Raphael Angelo San e AA -...

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LOWELLAMERICAN TRIP testo|foto Raphael Angelo San e AA.VV

A circa trenta chilometri da Boston c’è una citta-dina visceralmente provinciale, di quelle che dif-ficilmente un turista diretto negli States annove-rerebbe mai nei suoi giri, eppure Lowell, questo è il suo nome, risulta essere un luogo estrema-mente importante per almeno due motivi per quel che riguarda la formazione americana. Pri-mo perché è la città ha dato il via al cambiamen-to economico dell’intera nazione a partire dal 19° secolo, contribuendo a far uscire gli Stati Uniti dal suo piglio agricolo per trasformarli in realtà industriale. Un tentativo andato immediatamen-te a buon fine, nato come esperimento che cam-biò il modo di vivere e lavorare degli Americani. Il secondo motivo è che Lowell è la città natale di Jack Kerouac il quale riuscì a cambiare il modo di pensare degli Americani. Lowell oggi è famosa anche per un altro motivo, è la sede di una delle più prestigiose Università dello Stato, la Umass University. Ma torniamo alla rivoluzione indu-striale e ai cotonifici della città. Attorno gli Anni 20 del 1800 alcuni investitori del luogo comincia-rono a sfruttare l’energia delle cascate del fiume Merrimack per mettere in azione migliaia di macchine tessili, le aziende richiamarono nugoli di donne che divennero ben presto responsabili di centinaia di rumorosissimi telai adibiti alla creazione di stoffe dall’aspetto un po’ grezzo, lontane da quelle con le quali siamo abituati a vestirci oggi. I cotonifici nacquero sul modello industriale inglese ma con l’ambizioso progetto di migliorare sensibilmente le condizioni lavora-tive degli operai ed evitare tutti gli scioperi e gli scontri in piazza che affliggevano il Regno Unito. Così, verso il 1850 Lowell era cresciuta a dismi-sura divenendo la seconda città più grande del Massachussets, dopo Boston, con una popola-zione che si aggirava attorno i 30.000 abitanti con dieci stabilimenti tessili che davano lavoro a più di 10.000 persone. La maggior parte degli operai dell’industria tessile di Lowell in quegli anni erano giovanissime donne non sposate. Molte di loro provenivano dalle fattorie agricole disseminate nelle campagne circostanti o dai piccoli villaggi rurali dove le opportunità econo-miche erano davvero scarse e le famiglie naviga-vano spesso ai limiti di una povertà appena sop-portabile. I cotonifici di Lowell divennero così il miraggio di migliaia di queste famiglie che man-davano le loro figlie in città in cerca di fortuna. Spesso queste ragazze trovavano un salario mensile fisso, confortevoli sistemazioni in pen-sioni della società e diversi modi per riuscire a

Viaggio a Lowell (Massachusetts), la città che ha dato il via al cambiamento economico di tutta la nazione, nonché Paese natale di Jack Kerouac

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crearsi una cultura personale loro preclusa nei villaggi sperduti del-le campagne limitrofe. Ma natu-ralmente non tutto era rose e fiori, le società cercavano di regolare la vita delle loro operaie esercitando un controllo paternalistico e mol-to rigido sul comportamento so-ciale delle donne. Vennero così imposti coprifuoco sugli orari d’uscita ed entrata nelle pensioni e codici di condotta, richiedendo pure una costante frequenza in chiesa. Inoltre l’orario di lavoro andava dalle 12 alle 14 ore al gior-no, alla lunga i ritmi e le varie re-gole divennero insostenibili. I sa-lari erano piuttosto alti, tenuti tali dagli immensi guadagni che que-ste aziende riuscivano a far propri non avendo, in quegli anni, alcu-na concorrenza in nessun altro luogo degli States ma non basta-va avere tanti soldi in tasca, alle ragazze, il lavoro era duro, le con-dizioni malsane e i direttori pre-posti al controllo spesso abusava-no dei loro poteri sulle natiche delle lavoratrici. Quando queste cercavano di ribellarsi venivano minacciate di licenziamenti e schedature ma per almeno due volte scioperarono contro riduzio-ni di salario e per chiedere una riduzione dell’orario di lavoro a dieci ore giornaliere. Tra alti e bassi ad ogni modo i cotonifici re-sero ricca e importante la cittadi-na e per chi cercava lavoro in que-gli anni Lowell era decisamente un porto sicuro. Come detto, at-torno il 1850 la città era più pro-sperosa di quanto i suoi stessi fondatori avrebbero mai potuto immaginare. Dieci complessi aziendali giravano a pieno regi-me, la città era all’avanguardia della tecnologia dopo aver sosti-tuito le ruote idrauliche stile muli-no bianco con turbine che sfrutta-vano il vapore oltre la forza dell’acqua. Tuttavia, verso la fine del 19° secolo qualcosa cominciò a vacillare, la concorrenza di altre città del Nord si fece pressante, rendendo in breve tempo i mac-chinari tessili obsoleti. I padroni delle fabbriche di Lowell commi-sero il primo di una serie di gravi sbagli, non fecero nuovi investi-menti per modernizzare le loro fabbriche. Questo perché comun-que riuscivano ugualmente ad ottenere forti introiti che duraro-no almeno fino agli anni venti del 20° secolo. Poi tra gli anni venti e trenta le fabbriche cominciarono a chiudere gettando nella disoc-cupazione migliaia di lavoratori, imbruttendo così l’intera città. Vi fu una ripresa durante la seconda guerra mondiale, il governo diede

molte commesse alle varie aziende per la realizzazione di paracadute e vestiario per l’esercito. Verso la metà degli Anni 50, però, chiuse anche l’ultimo degli originari cotonifi-ci, per sempre. Oggi, dopo anni di degrado e abbandono, le antiche strutture sono state rimodernate e molti di quegli edifici, le antiche pensioni del-le lavoratrici, sono stati tra-sformati in appartamenti di lusso che, visti da fuori, danno l’impressione di essere solo degli immensi casermoni poco invitanti, molto meglio sono le piccole, modeste casette a due piani che fanno da contorno alla città, dove in una di que-ste, posta al numero 9 di Lupin

Road, nel quartiere di Central-ville, nel marzo del 1922, nac-que Jack Kerouac. Figlio illu-stre di Lowell, oggi riposa all’Edson Cemetery, alla peri-feria est della città, dopo aver girato in lungo e in largo tutti gli Stati Uniti a piedi e in auto-stop. A Lowell Kerouac vi ha ambientato almeno tre dei suoi più famosi romanzi: “Il dottor Sax”, Visioni di Gerard” e il delicato-amaro “Maggie Cassidy”. Jack ha vissuto qui l’intera infanzia e l’adolescen-za fino al 1939 quando, dopo aver terminato gli studi alla prestigiosa Lowell High Scho-ol, decise di andarsene a New York per frequentare, grazie a una borsa di studio per meriti

sportivi, l’altrimenti irraggiun-gibile Columbia University. All’età di quattro anni perse il fratello maggiore Gerard. La vicenda è raccontata magi-stralmente nel libro già citato “Visioni di Gerard”, leggendo-lo e poi ripercorrendo i luoghi descritti ci si accorge di quan-to poco sia cambiato nel quar-tiere di Centralville dove sono ubicate le abitazioni e gli edifi-ci più importanti frequentati da Gerard nella sua breve vita. La casa dov’è morto per una febbre reumatica posta in Be-aulieux Street è pressoché identica ad allora, ancora oggi abitata e, per farle una foto, ho aspettato il momento propizio quando non ci fosse nessuno

presente. In Lupine Road dov’è nato Jack ho fatto la stessa cosa anche se sull’uscio d’entrata una targa comme-morativa ricorda l’importanza di quell’edificio, almeno per noi scrittori. Essendo Lupine Road una stradina di campa-gna poco frequentata, l’ho per-corsa a piedi facendo il turista sprovveduto dopodiché mi sono appoggiato a un palo a scrivere una poesia. La fami-glia Kerouac ha cambiato di-verse abitazioni a Lowell, qualche anno più tardi si è tra-sferita in un altro quartiere della città, Pawtucketville, po-sto in direzione ovest rispetto al centro città dove erano soliti recarsi il padre Leo che lavora-

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va in una tipografia sulla Merri-mack Street e poi Jack per recarsi alla Lowell High School posta nel cuore della cittadina. Le strade parallele alla Main Street, cioè la via principale che era, ed è, la Merrimack Str. e quelle poste nel quartiere di Pawtucketville sono state i luoghi dove lo scrittore ha ambientato “Il dottor Sax”, che altri non era che un suo perso-naggio immaginario adolescen-ziale, un libro che ho sempre fat-to fatica a leggere e capire, così intimista e pregno di quelle visio-ni che solo un ragazzo di dodici-tredici anni può avere dentro di sé; ne ho ricalcato appositamen-te i luoghi ma ho comunque fatto fatica a comprendere. Altro di-scorso per “Maggie Cassidy”, già più grande, Kerouac descrive ottimamente la vicenda di un amore immaturo tra lui e Mary Carney, una bella ragazza irlan-dese (Maggie Cassidy nel libro). Entrambi diciassettenni si incon-trano per la prima volta ad una festa di capodanno, si innamora-no come solo due adolescenti sanno fare ma Jack si trova com-battuto tra Maggie e Pauline, ra-gazza sicuramente più disinibita ma meno attraente. Maggie farà impazzire Jack con la sua imma-turità fino a far finire quella esile storia con la fuga verso NY e la sua nuova vita che darà il via alla Beat Generation. E’ pazzesco come abbia vissuto le stesse identiche cose io a diciassette anni a Lora, il mio paese alle por-te di Como e abbia poi voluto de-scrivere quegli amori immaturi per le mie ragazze più importanti dei primi anni 80; sono fiero, la-sciatemelo dire con un pizzico di immodestia, di aver scritto “Lora Blues” e aver descritto Tiara e MaryAnn così come Jack ha de-scritto Maggie e Pauline. Questo per dire che tutto il mondo è pae-se. Lowell la ritroviamo anche in “La città e la metropoli”, il primo romanzo pubblicato da Jack nel 1950, un tema epico parecchio distante dalla prosa di “On the road” che lo rese sette anni più tardi famoso in tutto il mondo. Kerouac rimase sempre molto le-gato alla sua città, tanto da tor-narci più volte per ricalcare i luo-ghi della sua giovinezza e rivedere i suoi vecchi amici, molti dei quali però, nel corso degli anni, come spesso succede a tutti noi, avevano preso le distanze da lui. Mary Carney (Maggie) non se ne andò mai da Lowell, si sposò e morì lì; dopo la sua storia con Jack e un altro paio di incontri ne-

gli anni, uno dei quali dopo che Kerouac ebbe pubblicato il libro che li riguardava, lei rup-pe definitivamente i rapporti con lui e non volle mai raccon-tare a nessuno la sua versione dei fatti. Per Kerouac quell’at-teggiamento fu sempre fonte di un profondo dolore interio-re. Ora tocca a me vivere un po’ la città, scendo da Moody Street in un pomeriggio caldo di inizio maggio, Lowell nel 2015 è rimasta una cittadina provinciale, con le sue case di mattoni rossi del centro e gli scheletri degli antichi cotonifi-ci abbandonati in riva al fiume. Solo per le insegne davanti ai cancelli d’entrata ci si accorge che alcune di quelle vecchie fabbriche sono diventati con-

domini di lusso. In Moody Str. mi siedo sul marciapiede, in fronte all’istituto tessile, l’equivalente del Setificio delle mie parti; sto seduto sul mar-ciapiede, osservo l’asfalto grinzoso, il sole è caldo, l’aria tersa, provengo dal ponte nuo-vo sul fiume Merrimack, lad-dove sul ponte vecchio, oggi abbattuto, una notte un uomo con un’anguria in mano si sen-tì male, cadde a terra morto e il frutto rotolò in acqua. Kerouac assistette alla scena, aveva circa dieci anni e non si scordò mai di quel trauma. Sto seduto a fissare la palazzina del 1883 in fronte a me, solitario, come sempre solitario in questi miei viaggi in America alla ricerca dell’Essenza ma che non rie-

sco a trovare nemmeno qui, in Moody Street, dove il Dottor Sax avanzava con passo incer-to tra le pieghe della fantasia di un giovanissimo Jack-bam-bino-attore. Cosa posso cerca-re a Lowell, una città che non mi appartiene, anche se per certi versi è molto simile a Como. Smetto di cercare, allo-ra! Mi limito ad osservare. Così mi alzo e vado verso Mer-rimack Street, la via principale, guardo qualche negozio poi mi infilo nel museo tessile del Lo-well National Historic Park, se passate da Lowell questo po-sto vale davvero una visita, si può toccare con mano e vede-re coi propri occhi ciò che ho descritto poco prima sulla vita delle lavoratrici di questi im-

mensi cotonifici. Uscendo m’im-batto nel Paradise Diner. Legger-mente rimodernato, è un luogo importantissimo per la letteratu-ra di Kerouac: aperto nel 1936, uno dei primi avventori fu Leo, il padre di Jack. Dal canto suo, Jack lo frequentò assiduamente, tanto che il nome del protagonista di On the road, Sal Paradise (che al-tri non è che il suo alter-ego) deri-va proprio dal nome di questo Diner nel quale ci sarei tornato il mattino seguente per fare cola-zione. All’interno, un ragazzo cor-diale mi ha accolto gentilmente, facendomi accomodare su una panca di legno dove chissà quan-te volte Leo e Jack si sono seduti, ammetto che è stata una forte emozione e ho scritto una piccola poesia: “Wow! My Death Gene-ration at the Paradise Diner!”. Oggi è sabato e c’è una festa a Lowell, per le vie del centro. Sono le cinque e nugoli di ragazzi e ra-gazze in maglietta viola, tutti, en-trano ed escono dai vari pub e bar concentrati nella zona più centrale della Main Street, poli-ziotti poco discreti, attenti ma sorridenti, tengono sotto control-lo la situazione. C’è una gran con-fusione ma i ragazzi sono tran-quilli e anche educati, li osservo per un po’, poi mi siedo su una panchina ad assaporare gli ultimi raggi di un sole tiepido, appena scompare un freddo pungente penetra nelle ossa, chiudo il giubbotto fino alla gola mentre i ragazzi continuano imperterriti ad entrare e uscire dai locali in maglietta a maniche corte. Lo-well val bene una visita se si vo-gliono conoscere gli Stati Uniti in profondità, questa provincia è il cuore vero degli States. Certo, non verrei a viverci, non lascerei mai New York e la sua follia, i suoi locali, d’altra parte è lì che ho trovato il mio Satori ed è lì che Kerouac è andato dopo essere fuggito da Lowell. Però una gior-nata in una cittadina profonda-mente provinciale fa capire che gli States non sono assolutamen-te così distanti da noi e che Lo-well in ogni suo angolo mi ha ri-cordato Como, e ora che ci penso nella Via M. Monti, nella zona di San Giuliano dove ho abitato da piccolo, avevo visto l’ombra di qualcuno aggirarsi tra gli alberi nella notte, forse era il Dottor Sax, quello stesso Dottor Sax che scendeva correndo per Moody Street gridando sconcertato che la vita va vissuta, sempre e co-munque, meglio se con una rosa nel cuore.

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