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RACCOLTA DI SAGGI BREVI ESERCITAZIONI PER L’ESAME DI MATURITÁ A cura della prof.ssa Silvia Muccelli

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RACCOLTA DI SAGGI BREVI

ESERCITAZIONI PER L’ESAME DI MATURITÁ

A cura della prof.ssa Silvia Muccelli

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Indice

Il Saggio breve Pag. 3

Argomento Artistico-letterario Pag. 5

Argomento Socio-economico Pag. 13

Argomento Storico-politico Pag. 18

Argomento Tecnico-scientifico Pag. 23

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Consigli per la stesura di un saggio breve.

Che cos’è? Il saggio breve è un testo informativo-espositivo. Un avvenimento di cronaca, di politica, di economia oppure di cultura può dare lo spunto per descrivere un protagonista dei nostri giorni, per evocare un personaggio storico, per parlare di un libro, per fare delle riflessioni su un argomento di attualità. Questa forma di giornalismo richiede una solida preparazione culturale o, almeno, un buon livello di conoscenza dell’argomento che si intende trattare. Regole pratiche di scrittura. Se decidiamo di scrivere il saggio breve, la prima regola da rispettare è quella di un’esposizione chiara. Il nostro punto di vista su una pagina di storia, su un evento culturale, su un fenomeno sociale, su un aspetto della vita politica ed economica deve essere comunicato in maniera semplice e accessibile a tutti i lettori. Più la questione che trattiamo è complessa, più abbiamo il dovere di essere comprensibili. Questo significa che i riferimenti storici e i termini scientifici, economici, sociologici devono essere resi in un linguaggio mediale. Ad esempio, ipotizziamo di aver letto in un testo di sociologia un’espressione di questo tipo: l’emancipazione delle donne ha contribuito a modificare "la struttura asimmetrica dell’unione coniugale". Se vogliamo esporre questo concetto sul giornale, dobbiamo parlarne in modo che capiscano centinaia di migliaia di cittadini, che non sanno che cosa significhi "struttura asimmetrica". Glielo chiariremo col gusto della semplicità e con le regole del parlare comune: l’emancipazione della donna ha contribuito a modificare la legge che disciplina i rapporti tra i coniugi, cioè la non piena rispondenza di ruoli, compiti, responsabilità tra le parti. E se proprio saremo costretti a usare un termine difficile, dovremo darne la spiegazione. Il saggio breve ha in primo luogo una finalità: far capire ciò di cui si parla. Gli argomenti, le analisi, le riflessioni e le valutazioni vanno esposti in modo sintetico e chiaro, poiché sono diretti anche a persone che non hanno un elevato grado di cultura. Questo obiettivo si raggiunge soprattutto con: • la distribuzione del contenuto informativo all’interno dell’articolo; • le opzioni lessicali; • la struttura del periodo; • la punteggiatura. In ordine alla distribuzione delle idee-informazioni, non dimenticare mai il lead, cioè l’inizio che corrisponde alle prime cinque-dieci righe dell’articolo. Il lead è dunque il nucleo centrale dell’argomento che s’intende trattare. Per farsi capire si useranno termini comunemente adoperati dalla maggior parte delle persone, cioè quelli del lessico italiano di base. Quanto alla struttura del periodo, si consiglia di preferire una costruzione il più possibile lineare, essenziale, magari elementare. È opportuno limitare le parti del discorso a venti-venticinque parole, articoli e preposizioni inclusi, per non mettere mai il lettore in condizioni di perdere il filo. Relativamente ai segni di punteggiatura, vale la vecchia regola di leggere a voce alta: se manca il fiato, c’è qualcosa che non va. È necessario, infine, evitare gli incisi, le elencazioni meticolose, le lunghe citazioni, perché disturbano la semplicità lineare della frase, rischiano di appesantirla dandole un andamento tortuoso: in poche parole annoiano.

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La trattazione saggistica è adottata nella maggior parte dei reportage giornalistici di questi ultimi anni, basta infatti aprire un qualsiasi quotidiano o settimanale per trovarvi degli articoli sotto forma di brevi saggi. Per prima cosa, bisogna considerare i tre elementi distintivi del saggio breve: 1. Destinatario 2. Estensione 3. Documenti di consultazione Il destinatario è ovviamente colui a cui è indirizzato il componimento. Il destinatario influenza il registro linguistico utilizzato: se per esempio vi rivolgete a una giornale specialistico di settore dovrete utilizzare un insieme di termini più ricercati; se invece volete scrivere per il giornalino scolastico, dovrete usare dei termini più semplici e quindi spiegare molto bene il contenuto di ciò che scrivete. Il destinatario va indicato esplicitamente all'inizio del saggio breve. L'estensione è la lunghezza dello scritto che solitamente è indicata dal committente e che va, nei limiti del possibile, rigorosamente rispettata. In genere la lunghezza non deve essere superiore a 4-5 colonne di foglio protocollo diviso a metà. I documenti di consultazione sono quei testi o quelle fonti in generale dalle quali dovete attingere per il vostro saggio. Solitamente questi vengono indicati dal professore, ma in certi casi il tipo di consultazione che potete utilizzare è libero. Chi fa un saggio breve deve scrivere un testo di senso compiuto mescolando insieme i contenuti che gli vengono forniti nei documenti di consultazione, in maniera asettica senza che il proprio giudizio venga fuori in maniera esplicita. Insomma un certo giudizio critico è richiesto all'alunno, ma questo deve essere frutto del ragionamento logico esposto quando si presentano i contenuti dei testi di consultazione. Lo scopo finale del saggio, infatti, è quello di informare in maniera quanto più rigorosa e attinente ai documenti in merito a una certa tematica. Per la buona riuscita del saggio, un trucco è la creazione di una scaletta con riportati tutti i punti da esprimere. TIPOLOGIA B - REDAZIONE DI UN "SAGGIO BREVE" O DI UN "ARTICOLO DI GIORNALE" CONSEGNE Sviluppa l’argomento scelto o in forma di «saggio breve» o di «articolo di giornale», utilizzando, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti. Se scegli la forma del «saggio breve» argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi. Se scegli la forma dell’«articolo di giornale», indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pubblicato. Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio protocollo.

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AMBITO ARTISTICO – LETTERARIO.

I. ARGOMENTO: Il dono. DOCUMENTI. «La madre aveva steso una tovaglia di lino, per terra, su una stuoia di giunco, e altre stuoie attorno. E, secondo l'uso antico, aveva messo fuori, sotto la tettoia del cortile, un piatto di carne e un vaso di vino cotto dove galleggiavano fette di buccia d'arancio, perché l'anima del marito, se mai tornava in questo mondo, avesse da sfamarsi. Felle andò a vedere: collocò il piatto ed il vaso più in alto, sopra un'asse della tettoia, perché i cani randagi non li toccassero; poi guardò ancora verso la casa dei vicini. Si vedeva sempre luce alla finestra, ma tutto era silenzio; il padre non doveva essere ancora tornato col suo regalo misterioso. Felle rientrò in casa, e prese parte attiva alla cena. In mezzo alla mensa sorgeva una piccola torre di focacce tonde e lucide che parevano d'avorio: ciascuno dei commensali ogni tanto si sporgeva in avanti e ne tirava una a sé: anche l'arrosto, tagliato a grosse fette, stava in certi larghi vassoi di legno e di creta: e ognuno si serviva da sé, a sua volontà. […] Ma quando fu sazio e sentì bisogno di muoversi, ripensò ai suoi vicini di casa: che mai accadeva da loro? E il padre era tornato col dono? Una curiosità invincibile lo spinse ad uscire ancora nel cortile, ad avvicinarsi e spiare. Del resto la porticina era socchiusa: dentro la cucina le bambine stavano ancora intorno al focolare ed il padre, arrivato tardi ma sempre in tempo, arrostiva allo spiedo la coscia del porchetto donato dai vicini di casa. Ma il regalo comprato da lui, dal padre, dov'era? – Vieni avanti, e va su a vedere – gli disse l'uomo, indovinando il pensiero di lui. Felle entrò, salì la scaletta di legno, e nella cameretta su, vide la madre di Lia assopita nel letto di legno, e Lia inginocchiata davanti ad un canestro. E dentro il canestro, fra pannolini caldi, stava un bambino appena nato, un bel bambino rosso, con due riccioli sulle tempie e gli occhi già aperti. – È il nostro primo fratellino – mormorò Lia. – Mio padre l'ha comprato a mezzanotte precisa, mentre le campane suonavano il "Gloria". Le sue ossa, quindi, non si disgiungeranno mai, ed egli le ritroverà intatte, il giorno del Giudizio Universale. Ecco il dono che Gesù ci ha fatto questa notte.» Grazia DELEDDA, Il dono di Natale, 1930, in G. D., Le novelle, 4, La Biblioteca dell'identità de L'Unione Sarda, Cagliari 2012. «Gli uomini disapprendono l'arte del dono. C'è qualcosa di assurdo e di incredibile nella violazione del principio di scambio; spesso anche i bambini squadrano diffidenti il donatore, come se il regalo non fosse che un trucco per vendere loro spazzole o sapone. In compenso si esercita la charity, la beneficenza amministrata, che tampona programmaticamente le ferite visibili della società. Nel suo esercizio organizzato l'impulso umano non ha più il minimo posto: anzi la donazione è necessariamente congiunta all'umiliazione, attraverso la distribuzione, il calcolo esatto dei bisogni, in cui il beneficato viene trattato come un oggetto. Anche il dono privato è sceso al livello di una funzione sociale, a cui si destina una certa somma del proprio bilancio, e che si adempie di mala voglia, con una scettica valutazione dell'altro e con la minor fatica possibile. La vera felicità del dono è tutta nell'immaginazione della felicità del destinatario: e ciò significa scegliere, impiegare tempo, uscire dai propri binari, pensare l'altro come un soggetto: il contrario della smemoratezza. Di tutto ciò quasi nessuno è più capace. Nel migliore dei casi uno regala ciò che desidererebbe per sé, ma di qualità leggermente inferiore. La decadenza del dono si esprime nella penosa invenzione degli articoli da regalo, che presuppongono già che non si sappia che cosa regalare, perché, in realtà, non si ha nessuna voglia di farlo. Queste merci sono irrelate come i loro acquirenti: fondi di magazzino fin dal

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primo giorno.» Theodor W. ADORNO, Minima moralia. Meditazioni della vita offesa, trad. it., Einaudi, Torino 1994 (ed. originale 1951). «La Rete di certo promuove la diffusione di una nuova cultura del dono, dello scambio reciproco (o quasi). Possiamo percorrere strade aperte, sconfinate, che offrono nuove possibilità di stabilire contatti e anche di dare vita a forme di aggregazione fondate sostanzialmente sul dono, ma che rimangono racchiuse in piccole nicchie, microcosmi con cui giocare o dove si può apprendere, nei quali ci si mostra, si costruiscono e si modificano identità, si condividono interessi, si elaborano linguaggi. Un dono costretto quindi dentro piccole mura fatte di specchi, trasparenti, che riflettono e amplificano la luce e i legami, ma che non sempre riescono a sopravvivere alle intemperie, agli improvvisi venti del mondo contemporaneo. E quando si spezzano, non si può fare altro che costruire qualcosa di simile, un po' più in là. Una delle caratteristiche della Rete è quella di dare vita a comunità immaginate, che non sempre necessitano di relazioni tra gli individui.» Marco AIME e Anna COSSETTA, Il dono al tempo di Internet, Einaudi, Torino 2010. «Difficilmente si diventa una persona generosa da soli: la generosità è una cosa che si impara. […] Quando un dono s'inserisce in una catena di reciprocità generalizzata, si lascia meno facilmente interpretare come un fenomeno puramente individualistico e interessato. Nel caso di una reciprocità diretta, invece, la tentazione è forte di assimilare lo scambio di doni a una variante dello scambio mercantile. […] È così che, in un mercoledì del mese di luglio 2007, Barbara Bunnell diventa la prima paziente nella storia a ricevere un rene all'interno di una catena di reciprocità generalizzata. Dopo che il primo donatore regala il suo rene a Barb, Ron Bunnell, il marito di Barb, darà un suo rene ad Angela Heckman; poi la madre di Angela darà un suo rene a qualcun altro ancora, e così via, in una catena continua che aiuterà altre sette persone. All'inizio di questa catena c'è un giovane uomo, Matt Jones, che accetta di donare un rene "senza perché"; cioè non per salvare dalla dialisi una persona cara, ma solo per la gioia di aiutare sconosciuti.» Mark ANSPACH, Cosa significa ricambiare? Dono e reciprocità, in AA.VV., Cosa significa donare?, Guida, Napoli 2011. «Da una lettura sommaria e superficiale si può concludere che oggi non c'è più posto per il dono ma solo per il mercato, lo scambio utilitaristico, addirittura possiamo dire che il dono è solo un modo per simulare gratuità e disinteresse là dove regna invece la legge del tornaconto. In un'epoca di abbondanza e di opulenza si può addirittura praticare l'atto del dono per comprare l'altro, per neutralizzarlo e togliergli la sua piena libertà. Si può perfino usare il dono - pensate agli «aiuti umanitari» - per nascondere il male operante in una realtà che è la guerra. […] Ma c'è pure una forte banalizzazione del dono che viene depotenziato e stravolto anche se lo si chiama «carità»: oggi si «dona» con un sms una briciola a quelli che i mass media ci indicano come soggetti - lontani! - per i quali vale la pena provare emozioni... Dei rischi e delle possibili perversioni del dono noi siamo avvertiti: il dono può essere rifiutato con atteggiamenti di violenza o nell'indifferenza distratta; il dono può essere ricevuto senza destare gratitudine; il dono può essere sperperato: donare, infatti, è azione che richiede di assumere un rischio. Ma il dono può anche essere pervertito, può diventare uno strumento di pressione che incide sul destinatario, può trasformarsi in strumento di controllo, può incatenare la libertà dell'altro invece di suscitarla. I cristiani sanno come nella storia perfino il dono di Dio, la grazia, abbia potuto e possa essere presentato come una cattura dell'uomo, un'azione di un Dio perverso, crudele, che incute paura e infonde sensi di colpa. Situazione dunque disperata, la nostra

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oggi? No! Donare è un'arte che è sempre stata difficile: l'essere umano ne è capace perché è capace di rapporto con l'altro, ma resta vero che questo «donare se stessi» - perché di questo si tratta, non solo di dare ciò che si ha, ciò che si possiede, ma di dare ciò che si è - richiede una convinzione profonda nei confronti dell'altro. Donare significa per definizione consegnare un bene nelle mani di un altro senza ricevere in cambio alcunché. Bastano queste poche parole per distinguere il «donare» dal «dare», perché nel dare c'è la vendita, lo scambio, il prestito. Nel donare c'è un soggetto, il donatore, che nella libertà, non costretto, e per generosità, per amore, fa un dono all'altro, indipendentemente dalla risposta di questo. Potrà darsi che il destinatario risponda al donatore e si inneschi un rapporto reciproco, ma può anche darsi che il dono non sia accolto o non susciti alcuna reazione di gratitudine. Donare appare dunque un movimento asimmetrico che nasce da spontaneità e libertà.» Enzo BIANCHI, Dono. Senza reciprocità – Festival filosofia – Carpi, 16/09/2012. II. ARGOMENTO: Le prime esperienze sentimentali, tappe di crescita dell’individuo.

DOCUMENTI.

1. “Oh bisogna che sia vero! Pensai. Bisogna fermare quel passo, quelle sue gambe, quella sua nuca, quel suo verde ed azzurro e renderli veri. Io le volevo bene per tutto questo che la facevano diversa da ogni altra scolara della terra. Ma appena si voltò il mio sguardo entrò nel suo, sentii di volerle bene anche per qualcosa di più, come per una mia e sua bontà furiosamente vitale che avrebbe potuto farmi correre ammazzando le professoresse di franco-inglese attraverso afriche e americhe. Fu con questo senso di enorme bontà che la baciai (…). E mi chiesi: - É stato un bacio? É stato un bacio?-. Essa sorrideva, poi non più (…). Scappò in classe, non di sotto come doveva; e io rimasi solo, di nuovo travolto dal mio interno turbine di io-io-io.” Elio Vittorini “Il garofano rosso”.

2. “Livi lanciò un urlo e voltandosi di scatto, si trovò faccia a faccia con il ragazzo più terribilmente bello che avesse mai visto. Aveva due meravigliosi occhi grigi, a mandorla, e capelli del colore del grano maturo. Stava in sella a una luccicante mountain bike; indossava una maglietta nera aperta sul collo e un paio di pantaloncini da ciclista color argento che ne mettevano in mostra le gambe muscolose e abbronzate dal sole. Livi pensò che potesse avere circa sedici anni. Solo quando lo sguardo di lui si spostò dai suoi capelli arruffati dal vento alle scarpe con tacco basso da bambina, si ricordò di avere indosso la gonna informe e l’insignificante pullover dell’uniforme scolastica.(…) Questo, pensò Livi, perfettamente cosciente della morsa allo stomaco e del tremito incessante alle gambe, deve essere ciò che chiamano amore a prima vista. R. Rushton “Tempi duri per Olivia”.

3. “La rivelazione era giunta improvvisa, e Fausto balzò in piedi. Si mise a camminare in fretta verso la caserma. Le barche ostruivano il passo, ed egli entrò nell’acqua bassa della rada. Si fermò: vedeva la propria immagine, appena scomposta dal tremolio. –io amo Anna – disse a se stesso. Barcollò quasi: la felicità gli era montata alla testa, dandogli le vertigini.” C. Cassola “Tempi memorabili”

4. Dentro di noi c'è un naturale bisogno di completezza. Senza che noi ci accorgiamo durante la nostra crescita, fin da piccoli, ci costruiamo un io ideale che è la somma delle cose che in noi ci piacciono e delle cose che ci mancano. Durante l'adolescenza, che inizia dai 11 anni sino ai 22, 25, 30 anni (a seconda delle persone e delle loro situazioni) nasce spontaneo questo fenomeno affettivo, che

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chiamiamo innamoramento. Quando si incontra un ragazzo (per lei) o una ragazza (per lui) che ci colpisce perché dimostra di avere uno degli elementi che compongono il nostro "io ideale" (che è dentro di noi), lo fa un po' come esplodere all'esterno (così come avviene per l'airbag di una macchina dopo un urto). Questo nostro "io ideale", che è "esploso" all'esterno, riveste la persona esterna che l'ha involontariamente provocato della nostra immagine interna. “Affettività – che ruolo ha nell’uomo” Manuale di psicologia.

5. “E non so perché quello che ti voglio dire poi lo scrivo dentro una canzone non so neanche se l'ascolterai o resterà soltanto un'altra fragile illusione se le parole fossero una musica potrei suonare ore ed ore, ancora ore e dirti tutto di me Ma quando poi ti vedo c'è qualcosa che mi blocca e non riesco a dire neanche come stai come stai bene con quei pantaloni neri come stai bene oggi come non vorrei cadere in quei discorsi già sentiti mille volte e rovinare tutto come vorrei poter parlare senza preoccuparmi, senza quella sensazione che non mi fa dire che mi piaci per davvero anche se non te l'ho detto perché è squallido provarci solo per portarti a letto e non me ne frega niente se dovrò aspettare ancora per parlarti finalmente dirti solo una parola ma dolce più che posso come il mare come il sesso finalmente mi presento E così, anche questa notte è già finita e non so ancora dentro come sei non so neanche se ti rivedrò o resterà soltanto un'altra inutile occasione e domani poi ti rivedo ancora... ...e mi piaci per davvero anche se non te l'ho detto perché è squallido provarci solo per portarti a letto e non me ne frega niente se non è successo ancora aspetterò quand'è il momento e non sarà una volta sola ma spero più che posso che non sia soltanto sesso questa volta lo pretendo.. Preferisco stare qui da solo che con una finta compagnia e se davvero prenderò il volo aspetterò l'amore e amore sia e non so se sarai tu davvero o forse sei solo un'illusione però stasera mi rilasso, penso a te e scrivo una canzone dolce più che posso come il mare come il sesso questa volta lo pretendo perché oggi sono io, oggi sono io”. Oggi sono io, Alex Britti.

III. ARGOMENTO: Il distacco nell’esperienza ricorrente dell’esistenza umana: senso di perdita e di straniamento, fruttuoso percorso di crescita personale.

DOCUMENTI.

Dopo aver traversato terre e mari, Ma ora, così come sono, accetta queste offerte eccomi, con queste povere offerte agli dèi sotterranei, bagnate di molto pianto fraterno: estremo dono di morte per te, fratello, le porto seguendo l’antica usanza degli avi, a dire vane parole alle tue ceneri mute, come dolente dono agli dèi sotterranei. perché te, proprio te, la sorte m’ ha portato via, E ti saluto per sempre, fratello, addio! infelice fratello, strappato a me così crudelmente.

CATULLO, Dopo aver traversato terre e mari, trad. S. Quasimodo, Milano 1968.

Da' colli Euganei, 11 Ottobre 1797

«Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia. Il mio nome è nella lista di proscrizione, lo so: ma vuoi tu ch'io per salvarmi da chi m'opprime mi commetta a chi mi ha tradito? Consola mia madre: vinto dalle sue lagrime le ho ubbidito, e ho lasciato Venezia per evitare le prime

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persecuzioni, e le più feroci. Or dovrò io abbandonare anche questa mia solitudine antica, dove, senza perdere dagli occhi il mio sciagurato paese, posso ancora sperare qualche giorno di pace? Tu mi fai raccapricciare, Lorenzo; quanti sono dunque gli sventurati? E noi, purtroppo, noi stessi italiani ci laviamo le mani nel sangue degl'italiani. Per me segua che può. Poiché ho disperato e della mia patria e di me, aspetto tranquillamente la prigione e la morte. Il mio cadavere almeno non cadrà fra le braccia straniere; il mio nome sarà sommessamente compianto da' pochi uomini buoni, compagni delle nostre miserie; e le mie ossa poseranno su la terra de' miei padri»

U. FOSCOLO, Ultime lettere di Jacopo Ortis, 1802

«Addio, monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l'aspetto de' suoi più familiari; torrenti, de' quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana!...Addio, casa natìa, dove, sedendo, con un pensiero occulto, s'imparò a distinguere dal rumore de' passi comuni il rumore d'un passo aspettato con un misterioso timore. Addio, casa ancora straniera, casa sogguardata tante volte alla sfuggita, passando, e non senza rossore; nella quale la mente si figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa. Addio, chiesa, dove l'animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del Signore; dov'era promesso, preparato un rito; dove il sospiro segreto del cuore doveva essere solennemente benedetto, e l'amore venir comandato, e chiamarsi santo; addio! Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la gioia de' suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande.»

A. MANZONI, I Promessi Sposi, cap. VIII, 1840

«Era il primo squarcio nella santità del babbo, la prima crepa nei pilastri che avevano sorretto la mia vita infantile e che ogni uomo deve abbattere prima di diventare se stesso. La linea essenziale del nostro destino è fatta di queste esperienze che nessuno vede. Quello squarcio e quella crepa si richiudono, si rimarginano e vengono dimenticati, ma in fondo al cuore continuano a vivere e a sanguinare. Io stesso ebbi subito orrore di quel nuovo sentimento e avrei voluto buttarmi ai piedi di mio padre per farmelo perdonare. Ma non si può farsi perdonare le cose essenziali: lo sente e lo sa il bambino con la stessa profondità dell’uomo saggio. Sentivo il bisogno di riflettere e di trovare una via d’uscita per l’indomani, ma non vi riuscii. Tutta la sera fui occupato ad assuefarmi alla mutata atmosfera del nostro salotto. La pendola e la tavola, la Bibbia e lo specchio, lo scaffale e i quadri alla parete prendevano commiato da me, e col cuore sempre più freddo ero costretto a veder sprofondare nel passato e staccarsi da me il mio mondo e la mia bella vita felice. Ero costretto a sentire le mie nuove radici che affondavano nel buio e succhiavano un mondo estraneo. Per la prima volta assaggiai la morte che ha un sapore amaro perché è nascita, angoscia e paura di un tremendo rinnovamento»

H. HESSE: Demian,1919, trad. it Mondadori, 1961

«Ero partita per il Nord immaginando che la pena dell'addio si sarebbe consumata al momento dei saluti. In mezzo a un mondo ricco di novità eccitanti - un mondo che aspettava solo me -, la mia nostalgia era destinata a sbiadire rapidamente. Così fantasticavo, e le mie fantasie di adolescente sconfinavano spesso nell'esaltazione. Ma l'impatto fu atroce. Quando, con un gesto deciso, si lacera un pezzo di stoffa, ci restano tra le mani due brandelli malinconicamente sfrangiati, e occorre lavorare con minuzia e pazienza per rimediare. Le sfilacciature rimaste dopo lo strappo dalle nostre consuetudini

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meridionali erano tante, e ci vollero anni perché io e la mia famiglia potessimo restaurare i lembi delle nostre identità lacerate. L'ansia suscitata in noi da modi di vita che ci erano estranei si manifestava sotto forma di diffidenza. E poi c'era la nostalgia, che non voleva sbiadire. E la retorica, che la sobillava.»

G. SCHELOTTO, Distacchi e altri addii, Mondadori, 2003

«Siamo tutti migranti. Stiamo permanentemente abbandonando una terra per trasferirci altrove. Siamo migranti quando lasciamo i vecchi schemi e le vecchie abitudini per aprirci a nuove circostanze di vita. Un matrimonio, una separazione, la morte di una persona cara, un viaggio non da turisti, persino la lettura di un libro sono delle migrazioni interiori. Poi c'è la migrazione di chi lascia la madre terra per vivere altrove: una volta gli uccelli, oggi gli uomini. Ogni migrazione esteriore a poco a poco diventa anche interiore. Gli ostacoli possono trasformarsi in occasione di crescita. E' un processo lungo e doloroso. Chi sono? Sono tutti i miei personaggi ("Madame Bovary c'est moi!" diceva Flaubert). Tutte le mie storie hanno qualcosa di me e nascono probabilmente dai miei conflitti interni. Le mie origini sono portoghesi, da parte della famiglia di mio padre, e tedesche (prussiane) da parte di mia madre. Ho vissuto l'infanzia in Brasile, la mia vera patria; penso che il mio italiano sarà sempre un po' lusofonico. Se sono arrivata a destinazione? Fortunatamente no. Solo nel momento della mia morte potrò dire di esserci arrivata. E anche allora penso che inizierò un nuovo viaggio. Una nuova migrazione.» Da un’intervista di C. Collina alla scrittrice brasiliana Christiana de CALDAS BRITO, in “Leggere-Donna”, n. 98, Ferrara, 2002

«Quando uno parte, si sa, dev’essere pronto a tornare o a non tornare affatto. È una porta che lui apre all’interno di una stanza buia, e che a volte si rinchiude da sola alle sue spalle. Già emigrare – partire con un’idea chiara del non ritorno – è la radicalizzazione di questa esperienza. È rinunciare a un certo “se stesso” (e quindi accettare il lutto di vederlo prima atrofizzarsi e poi perire per totale assenza di contiguità con i personaggi del passato), per scommettere su un futuro “se stesso” totalmente ipotetico: un rischio assoluto. Quando la scimmia lascia il ramo dov’è appesa, per aggrapparsi a un altro che ha intravisto tra il fogliame, può sembrare a chi l’osserva che voglia spiccare il volo senza ali di sorta. Ma per istinto la scimmia sa benissimo che non precipiterà nel vuoto. Allo stesso modo, qualcosa dentro al migrante sa dove si trova esattamente il ramo che lo aspetta, che aspetta le sue mani sicure, ed è questo qualcosa che lo spinge al salto».

Da un’intervista allo scrittore brasiliano Julio MONTEIRO MARTINS, a cura della redazione di “Voci dal silenzio – Culture e letteratura della migrazione”, Ferrara - Lucca, dicembre 2003

IV. ARGOMENTO: L'amicizia, tema di riflessione e motivo d’ispirazione poetica nella letteratura e nell'arte.

DOCUMENTI.

Tutti sanno che la vita non è vita senza amicizia, se, almeno in parte, si vuole vivere da uomini liberi. […] Allora è vero quanto ripeteva, se non erro, Architta di Taranto […]

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"Se un uomo salisse in cielo e contemplasse la natura dell'universo e la bellezza degli astri, la meraviglia di tale visione non gli darebbe la gioia più intensa, come dovrebbe, ma quasi un dispiacere, perché non avrebbe nessuno a cui comunicarla". Così la natura non ama affatto l'isolamento e cerca sempre di appoggiarsi, per così dire, a un sostegno, che è tanto più dolce quanto più è caro l'amico.

CICERONE, De amicitia. Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io fossimo presi per incantamento e messi in un vasel, ch'ad ogni vento per mare andasse al voler nostro e mio; sì che fortuna od altro tempo rio non ci potesse dare impedimento, anzi, vivendo sempre in un talento, di stare insieme crescesse 'l disio. E monna Vanna e monna Lagia poi con quella ch'è sul numer de le trenta con noi ponesse il buono incantatore: e quivi ragionar sempre d'amore, e ciascuna di lor fosse contenta, sì come i' credo che saremmo noi. DANTE ALIGHIERI, Le Rime

"Renzo …!" disse quello, esclamando insieme e interrogando. "Proprio," disse Renzo; e si corsero incontro. "Sei proprio tu!" disse l'amico, quando furon vicini: "oh che gusto ho di vederti! Chi l'avrebbe pensato?" […] E, dopo un'assenza di forse due anni, si trovarono a un tratto molto più amici di quello che avesser mai saputo d'essere nel tempo che si vedevano quasi ogni giorno; perché all'uno e all'altro […] eran toccate di quelle cose che fanno conoscere che balsamo sia all'animo la benevolenza; tanto quella che si sente, quanto quella che si trova negli altri. […] Raccontò anche lui all'amico le sue vicende, e n'ebbe in contraccambio cento storie, del passaggio dell'esercito, della peste, d'untori, di prodigi. "Son cose brutte," disse l'amico, accompagnando Renzo in una camera che il contagio aveva resa disabitata; "cose che non si sarebbe mai creduto di vedere; cose da levarvi l'allegria per tutta la vita; ma però, a parlarne tra amici, è un sollievo".

A. MANZONI, I Promessi Sposi, cap. XXXIII, 1827

"Per un raffinamento di malignità sembrava aver preso a proteggere un povero ragazzetto, venuto a lavorare da poco tempo nella cava, il quale per una caduta da un ponte s'era lussato il femore, e non poteva far più il manovale. […] Intanto Ranocchio non guariva, e seguitava a sputar sangue, e ad aver

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la febbre tutti i giorni. Allora Malpelo prese dei soldi della paga della settimana, per comperargli del vino e della minestra calda, e gli diede i suoi calzoni quasi nuovi, che lo coprivano meglio. Ma Ranocchio tossiva sempre, e alcune volte sembrava soffocasse; la sera poi non c'era modo di vincere il ribrezzo della febbre, né con sacchi, né coprendolo di paglia, né mettendolo dinanzi alla fiammata. Malpelo se ne stava zitto ed immobile, chino su di lui, colle mani sui ginocchi, fissandolo con quei suoi occhiacci spalancati, quasi volesse fargli il ritratto."

G. VERGA, Rosso Malpelo - "Vita dei campi", 1880

"Cerco degli amici. Che cosa vuol dire ‹addomesticare›? E' una cosa da molto dimenticata. Vuol dire ‹creare dei legami›"… "Creare dei legami?" "Certo", disse la volpe. "Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi…Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell'oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano".

A. de SAINT EXUPERY, Il piccolo principe, 1943

"A me piace parlare con Nuto; adesso siamo uomini e ci conosciamo; ma prima, ai tempi della Mora, del lavoro in cascina, lui che ha tre anni più di me sapeva già fischiare e suonare la chitarra, era cercato e ascoltato, ragionava coi grandi, con noi ragazzi, strizzava l'occhio alle donne. Già allora gli andavo dietro e alle volte scappavo dai beni per correre con lui nella riva o dentro il Belbo, a caccia di nidi. Lui mi diceva come fare per essere rispettato alla Mora; poi la sera veniva in cortile a vegliare con noi della cascina".

C. PAVESE, La luna e i falò, 1950

"Non ricordo esattamente quando decisi che Konradin avrebbe dovuto diventare mio amico, ma non ebbi dubbi sul fatto che, prima o poi, lo sarebbe diventato. Fino al giorno del suo arrivo io non avevo avuto amici. Nella mia classe non c'era nessuno che potesse rispondere all'idea romantica che avevo dell'amicizia, nessuno che ammirassi davvero o che fosse in grado di comprendere il mio bisogno di fiducia, di lealtà e di abnegazione, nessuno per cui avrei dato volentieri la vita. […] Ho esitato un po' prima di scrivere che "avrei dato volentieri la vita per un amico", ma anche ora, a trent'anni di distanza, sono convinto che non si trattasse di un'esagerazione e che non solo sarei stato pronto a morire per un amico, ma l'avrei fatto quasi con gioia."

F. UHLMAN, L'amico ritrovato, 1971

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AMBITO SOCIO – ECONOMICO

I. ARGOMENTO: La ricerca della felicità.

DOCUMENTI.

«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.»

Articolo 3 della Costituzione della Repubblica Italiana

«Noi riteniamo che sono per sé stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità.»

Dichiarazione di indipendenza dei Tredici Stati Uniti d’America, 4 luglio 1776

«La nostra vita è un’opera d’arte – che lo sappiamo o no, che ci piaccia o no. Per viverla come esige l’arte della vita dobbiamo – come ogni artista, quale che sia la sua arte – porci delle sfide difficili (almeno nel momento in cui ce le poniamo) da contrastare a distanza ravvicinata; dobbiamo scegliere obiettivi che siano (almeno nel momento in cui li scegliamo) ben oltre la nostra portata, e standard di eccellenza irritanti per il loro modo ostinato di stare (almeno per quanto si è visto fino allora) ben al di là di ciò che abbiamo saputo fare o che avremmo la capacità di fare. Dobbiamo tentare l’impossibile. E possiamo solo sperare – senza poterci basare su previsioni affidabili e tanto meno certe – di riuscire prima o poi, con uno sforzo lungo e lancinante, a eguagliare quegli standard e a raggiungere quegli obiettivi, dimostrandoci così all’altezza della sfida.

L’incertezza è l’habitat naturale della vita umana, sebbene la speranza di sfuggire ad essa sia il motore delle attività umane. Sfuggire all’incertezza è un ingrediente fondamentale, o almeno il tacito presupposto, di qualsiasi immagine composita della felicità. È per questo che una felicità «autentica, adeguata e totale» sembra rimanere costantemente a una certa distanza da noi: come un orizzonte che, come tutti gli orizzonti, si allontana ogni volta che cerchiamo di avvicinarci a esso.»

Zygmunt BAUMAN, L’arte della vita, trad. it., Bari 2009 (ed. originale 2008)

«Nonostante le molte oscillazioni, la soddisfazione media riportata dagli europei era, nel 1992, praticamente allo stesso livello di 20 anni prima, a fronte di un considerevole aumento del reddito pro capite nello stesso periodo. Risultati molto simili si ottengono anche per gli Stati Uniti. Questi dati sollevano naturalmente molti dubbi sulla loro qualità e tuttavia, senza entrare nel dettaglio, numerosi studi provenienti da altre discipline come la psicologia e la neurologia ne supportano l’attendibilità. Citiamo solo la critica che a noi pare più comune e che si potrebbe formulare come segue: in realtà

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ognuno si dichiara soddisfatto in relazione a ciò che può realisticamente ottenere, di conseguenza oggi siamo effettivamente più felici di 20 anni fa ma non ci riteniamo tali perché le nostre aspettative sono cambiate, migliorate, e desideriamo sempre di più. Esistono diverse risposte a questa critica. In primo luogo, se così fosse, almeno persone nate negli stessi anni dovrebbero mostrare una crescita nel tempo della felicità riportata soggettivamente. I dati mostrano invece che, anche suddividendo il campione per coorti di nascita, la felicità riportata non cresce significativamente nel tempo. Inoltre, misure meno soggettive del benessere, come la percentuale di persone affette da depressione o il numero di suicidi, seguono andamenti molto simili alle risposte soggettive sulla felicità e sulla soddisfazione. Ma allora cosa ci rende felici?»

Mauro MAGGIONI e Michele PELLIZZARI, Alti e bassi dell’economia della felicità, «La Stampa», 12 maggio 2003

«Il tradimento dell’individualismo sta tutto qui: nel far creder che per essere felici basti aumentare le utilità. Mentre sappiamo che si può essere dei perfetti massimizzatori di utilità anche in solitudine, per essere felici occorre essere almeno in due. La riduzione della categoria della felicità a quella della utilità è all’origine della credenza secondo cui l’avaro sarebbe, dopotutto, un soggetto razionale. Eppure un gran numero di interazioni sociali acquistano significato unicamente grazie all’assenza di strumentalità. Il senso di un’azione cortese o generosa verso un amico, un figlio, un collega sta proprio nel suo essere gratuita. Se venissimo a sapere che quell’azione scaturisce da una logica di tipo utilitaristico e manipolatorio, essa acquisterebbe un senso totalmente diverso, con il che verrebbero a mutare i modi di risposta da parte dei destinatari dell’azione. Il Chicago man – come Daniel McFadden ha recentemente chiamato la versione più aggiornata dell’homo oeconomicus – è un isolato, un solitario e dunque un infelice, tanto più egli si preoccupa degli altri, dal momento che questa sollecitudine altro non è che un’idiosincrasia delle sue preferenze. [...] Adesso finalmente comprendiamo perché l’avaro non riesce ad essere felice: perché è tirchio prima di tutto con se stesso; perché nega a se stesso quel valore di legame che la messa in pratica del principio di reciprocità potrebbe assicuragli.»

Stefano ZAMAGNI, Avarizia. La passione dell’avere, Bologna 2009 II. ARGOMENTO: L'infanzia tra sfruttamento, abbandono e tutela: uno sguardo al passato e al presente.

DOCUMENTI.

... Una volta si doveva esplorare un passaggio che doveva comunicare col pozzo grande a sinistra, verso la valle, e se la cosa andava bene, si sarebbe risparmiata una buona metà di mano d'opera nel cavar fuori la rena. Ma a ogni modo, però, c'era il pericolo di smarrirsi e di non tornare mai più. Sicché nessun padre di famiglia voleva avventurarcisi, né avrebbe permesso che si arrischiasse il sangue suo, per tutto l'oro del mondo. Malpelo, invece, non aveva nemmeno chi si prendesse tutto l'oro del mondo per la sua pelle, se pure la sua pelle valeva tanto: sicché pensarono a lui. Allora, nel partire, si risovvenne del minatore, il quale si era smarrito, da anni ed anni, e cammina e cammina ancora al buio, gridando aiuto, senza che nessuno possa udirlo. Ma non disse nulla. Del resto a che sarebbe giovato? Prese gli arnesi di suo padre, il piccone, la zappa, la lanterna, il sacco col pane, il fiasco del vino, e se ne andò: né più si seppe nulla di lui. Così si persero persin le ossa di Malpelo, e i ragazzi

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della cava abbassano la voce quando parlano di lui nel sotterraneo, ché hanno paura di vederselo comparire dinanzi, coi capelli rossi e gli occhiacci grigi."

G.VERGA, Rosso Malpelo, in "Vita dei campi", 1880

"I carusi sono generalmente ragazzi dagli otto ai quindici anni o diciott'anni, che trasportano a spalla il minerale dello zolfo dalle profonde gallerie alla superficie, arrampicandosi su per gli strettissimi pozzi. I picconieri, cioè gli uomini che coi picconi staccano il minerale nelle gallerie, si procurano uno o più carusi mediante un'anticipazione ai genitori dei ragazzi di una somma che varia dalle 100 alle 150 lire in farina o frumento. Preso così come una bestia da soma, il caruso appartiene al picconiere come un vero schiavo: non può essere libero finché non ha restituito la somma predetta e siccome non guadagna che pochi centesimi la sua schiavitù dura per molti anni."

A. ROSSI, in "La Tribuna", 1893

"Una volta, negli anni del secondo dopoguerra, ... erano italiani: gli sciuscià, i bambini delle macerie, scampati alla furia dei bombardamenti. Adesso si chiamano Alì, Mohamed, Marian, lonel, Michel, Martin, Soarez, Alexa. I nomi e le nazionalità sono cambiati, ma la sostanza è rimasta la stessa. La legge li definisce "minori non accompagnati". Provengono dall'Afghanistan, dalla Romania, dall'Etiopia, dalla Nigeria, dall'Albania, dal Marocco, dalla Moldavia. Sono arabi, slavi, creoli, meticci, azari, bianchi e neri. Biondi e bruni. Parlano idiomi sconosciuti. Hanno sedici, diciassett'anni. 1 traguardi da tagliare diventano altri: imparare la lingua italiana, trovare una sistemazione professionale ... Dopo tutte le esperienze che hanno avuto, laceranti, profonde, indicibili, i minori stranieri assomigliano piuttosto a quegli uccelli di passo che, se torneranno nei lidi da cui partirono, lo faranno soltanto alla fine del giro, lungo o breve che sia."

E. AFFINATI, Città dei Ragazzi, lo spettro della chiusura, "Il Corriere della Sera", 11/1 1/2005

"Lo sfruttamento del lavoro minorile ha serie conseguenze non solo sulla salute e sullo sviluppo dei bambini, ma anche effetti psicologici che ne possono segnare tutta la vita. La vulnerabilità dei bambini li pone a rischio di incidenti e di malattie professionali più di un adulto che faccia lo stesso lavoro. I minori che lavorano possono essere esposti a prodotti nocivi (es. pesticidi e diserbanti in agricoltura); difficilmente i bambini hanno sufficienti conoscenze per maneggiare sostanze pericolose né sufficiente potere contrattuale per rifiutare determinate attività. Da un'indagine condotta negli USA nel 1990, risultava che minori messicani avevano lavorato nei campi, appena irrorati di pesticidi, in alcune aziende nello stato di New York. I bambini costretti a lunghe ore di lavoro ripetitivo hanno cali di attenzione che aumentano il rischio di incidenti."

da Amnesty Intemational, Rapporto 2000

"Secondo l'organizzazione internazionale Unicef sono 250 mila i ragazzini coinvolti nelle guerre in corso nel pianeta. Dire bambini-soldato non significa però solo bambini in armi. L'Unicef non si stanca di ripeterlo: il reclutamento e lo sfruttamento di minorenni a fini militari dev'essere inteso in senso molto più ampio. Sono maschi e femmine, a volte hanno appena sette anni. Oltre che come combattenti, sono utilizzati come spie, portatori, cuochi, infermieri, staffette. Per gli eserciti, regolari o no, avere dei bambini fra gli ausiliari consente di avere più adulti da inviare al fronte. Attualmente, almeno dodici paesi sarebbero toccati dal flagello: Colombia, Burundi, Costa d'Avorio, Uganda,

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Repubblica democratica del Congo, Somalia, Sudan, Ciad, Birmania, Nepal, Filippine, Sri Lanka."

G. MARTINETTI, Un patto contro i bambini soldato, "La Repubblica", 5/2/2007

"E' stato attivato un servizio per aiutare mamme in difficoltà: accanto all'ospedale è stata allestita una stanza accogliente. Al centro c'è una culla termica, evoluzione della ruota degli esposti, collegata a sensori e telecamere. Appena un bimbo viene adagiato nel lettino scatta l'allarme. E i neonatologi del pronto soccorso in una manciata di secondi riescono ad assisterlo... Il cinema italiano ha sempre dimostrato una certa passione per il bambino lasciato in quella ruota detta degli Innocenti. Così gli orfanelli compaiono ne "I soliti ignoti"1959, in "Marcellino Pane e vino" girato nel 1955 da Luigi Comencini ... E dello stesso tema parla "L'albero degli zoccoli" di Ennanno Olmi del 1978."

F. DI FRISCHIA in La ruota salva-bambini in tutti gli ospedali, "Corriere della sera", 26/2/2007

"La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione."

La Costituzione della Repubblica Italiana, Art. 37

"Gli Stati adottano tutti i provvedimenti appropriati affinché il fanciullo sia effettivamente tutelato contro ogni forma di discriminazione o di sanzione motivate dalla condizione sociale, dalle attività, opinioni professate o convinzioni dei suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali o dei suoi familiari."

Da Convenzione sui Diritti del Fanciullo, New York, 20 novembre 1989 III. ARGOMENTO: Musica per tutti, tra arte e industria. DOCUMENTI.

Oscar della musica, Eminem come Madonna: "Stoccolma - Doppio trionfo per Madonna agli Mtv Europe Music Awards ieri sera al Globen della capitale svedese e in diretta TV per un bacino di un miliardo di telefan. Madonna conquista i titoli di miglior artista femminile e dance, e si ritrova a condividere il palco del megashow con Guy Ritche, il suo compagno 31enne, il regista inglese di "Snatch", che l'ha resa madre due mesi fa. Canta "Music", in scena con due ballerini e tre musicisti, e sullo sfondo le istantanee più importanti della sua carriera. Doppio trionfo anche per Eminem, rapper bianco americano, con più di una grana con la giustizia per violenze: è lui che vince il premio per il miglior artista hip hop... Tutti gli artisti si esibiscono dal vivo. La scenografia ricorda i film di fantascienza degli anni 50: lame d'acciaio, stalattiti argentee, sfere color latte, alcune ripiene di acqua, e c'è pure una sorta di igloo... Richy Martin, dio in terra del pop latino, vince come miglior artista maschile e propone "She bangs" con più di 40 ballerini, trasferendo l'atmosfera acquatica del video sul palco proprio in quelle bolle piene d'acqua."

dal "Corriere della Sera", 17 novembre 2000

Umano troppo umano: si celebra l'innocuo rito della sintonia nazionale. "Del resto Sanremo svolge una funzione determinante nella vita del Paese che, in segno di rispetto, si ferma, si sintonizza, si interroga sui massimi sistemi. Il Festival infatti è una sorta di pratica divinatoria coatta per leggere la

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nostra società; anche qui a fasi alterne. Un anno Sanremo è lo specchio del Paese, l'anno dopo è lo specchio di se stesso, di ciò che rappresenta, di tutto il baraccone televisivo; insomma è un Censis tradotto in canzone, un Istat in rima baciata, un Osservatorio di dati orecchiabili. Bisogna guardare Sanremo perché sugli altri canali, inspiegabilmente, non c'è mai nulla da guardare."

A. GRASSO, dal "Corriere della Sera", 27 febbraio 2001

L'evento: Con le star della lirica un viaggio nella vita di Verdi. "L'anniversario di Verdi ha imposto uno scatto in più. I cantanti sfileranno uno dopo l'altro, ma reciteranno anche: mantenendo un tono di conversazione leggeranno appunti di vita verdiana ricollocando la scheggia d'opera che cantano nel contesto storico, sociale, psicologico in cui nacque. Poi ci saranno le emozioni e forse qualche ricordo personale dei protagonisti a tu per tu con gli eroi e i ribaldi inventati da Verdi. Sarà un viaggio nella vita di Verdi - dice il celebre direttore Zubin Mehta - Il galà viene consegnato al festival, chiavi in mano, da un noto agente musicale, e sarà ripreso da 80 televisioni. Ci sarà anche un dvd (ma non un cd), un home video e una distribuzione via Internet."

dal "Corriere della Sera", 11 marzo 2001

I due volti di Internet, pericoli ed opportunità: "Molto rumore per nulla? Il caso Napster - o se volete il caso della musica digitale che viaggia lungo le arterie del Web compressa col formato Mp3 - ha scatenato una battaglia legale di proporzioni enormi. La sentenza finale dei giudici federali è alle porte e gli uomini di Napster, proprio ieri, hanno detto di essere pronti ad introdurre un filtro elettronico per la protezione del copyright, che ha prontamente fatto arricciare il naso alla Riia, l'associazione delle case discografiche... Fermare Napster non significa fermare lo scambio illegale di musica; nel breve o nel medio periodo, non c'è da attendersi che il mercato legale della musica on line decolli vertiginosamente. Secondo le stime di Forrester Research, nel 2003 la musica acquistata digitalmente dovrebbe valere 220 miliardi di lire su scala globale, quindi solo una modesta fetta del totale. Ma siamo sicuri che Napster & friends danneggino il mercato? A parte l'Italia (dove le vendite ristagnano da anni) su scala globale i consumi non hanno mostrato sensibili segni di cedimento. Anzi, a detta di alcuni, la musica digitale può avere effetti positivi sul mercato: ascolto un brano via Napster, e se mi piace vado a comprare l'intero disco." da "Il Sole 24 Ore", 4 marzo 2001

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AMBITO STORICO – POLITICO

I. ARGOMENTO: Violenza e non-violenza: due volti del Novecento. DOCUMENTI. «Successivamente alla prima guerra mondiale, il Mito dell'Esperienza della Guerra aveva dato al conflitto una nuova dimensione come strumento di rigenerazione nazionale e personale. Il prolungarsi degli atteggiamenti degli anni di guerra in tempo di pace incoraggiò una certa brutalizzazione della politica, un'accentuata indifferenza per la vita umana. Non erano soltanto la perdurante visibilità e lo status elevato dell'istituzione militare in paesi come la Germania a stimolare una certa spietatezza. Si trattava soprattutto di un atteggiamento mentale derivato dalla guerra, e dall'accettazione della guerra stessa. L'effetto del processo di brutalizzazione sviluppatosi nel periodo tra le due guerre fu di eccitare gli uomini, di spingerli all'azione contro il nemico politico, oppure di ottundere la sensibilità di uomini e donne di fronte allo spettacolo della crudeltà umana e alla morte. […] Dopo il 1918, nessuna nazione poté sfuggire completamente al processo di brutalizzazione; in buona parte dell'Europa, gli anni dell'immediato dopoguerra videro una crescita della criminalità e dell'attivismo politico. Da un capo all'altro dell'Europa, parve a molti che la Grande Guerra non fosse mai finita, ma si fosse prolungata nel periodo tra il primo e il secondo conflitto mondiale. Il vocabolario della battaglia politica, il desiderio di distruggere totalmente il nemico politico, e il modo in cui questi avversari venivano dipinti: tutto sembrò continuare la prima guerra mondiale, anche se stavolta perlopiù contro nemici diversi (e interni).» George L. MOSSE, Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti, trad. it., Roma-Bari 1990. «Per quale funzione la violenza possa, a ragione, apparire così minacciosa per il diritto e possa essere tanto temuta da esso, si mostrerà con esattezza proprio là dove le è ancora permesso di manifestarsi secondo l'attuale ordinamento giuridico. È questo il caso della lotta di classe nella forma del diritto di sciopero garantito ai lavoratori. I lavoratori organizzati sono oggi, accanto agli Stati, il solo soggetto di diritto cui spetti un diritto alla violenza. Contro questo modo di vedere si può certamente obiettare che l'omissione di azioni, un non-agire, come in fin dei conti è lo sciopero, non dovrebbe affatto essere definita come violenza. Questa considerazione ha certamente facilitato al potere statale la concessione del diritto di sciopero, quando ormai non si poteva più evitare. Ma poiché non è incondizionata, essa non vale illimitatamente.» Walter BENJAMIN, Per la critica della violenza, 1921, trad. it., Alegre, Roma 2010. «Molto tempo prima che Konrad Lorenz scoprisse la funzione di stimolo vitale dell'aggressività nel regno animale, la violenza era esaltata come una manifestazione della forza della vita e segnatamente della sua creatività. Sorel, ispirato dall'élan vital di Bergson, mirava a una filosofia della creatività destinata ai «produttori» e polemicamente rivolta contro la società dei consumi e i suoi intellettuali; tutti e due, a suo avviso, gruppi parassitari. […] Nel bene e nel male – e credo che non manchino ragioni per essere preoccupati come per nutrire speranze – la classe veramente nuova e potenzialmente rivoluzionaria della società sarà composta di intellettuali, e il loro potere virtuale, non ancora materializzato, è molto grande, forse troppo grande per il bene dell'umanità. Ma queste sono considerazioni che lasciano il tempo che trovano. Comunque sia, in questo contesto ci interessa soprattutto lo strano revival delle filosofie vitalistiche di Bergson e di Nietzsche nella loro versione

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soreliana. Tutti sappiamo fino a che punto questa combinazione di violenza, vita e creatività sia presente nell'inquieta situazione mentale della generazione odierna. Non c'è dubbio che l'accento posto sulla pura fattualità del vivere, e quindi sul fare l'amore inteso come la più gloriosa manifestazione della vita, sia una reazione alla possibilità reale che venga costruita una macchina infernale capace di mettere fine alla vita sulla terra. Ma le categorie in cui i nuovi glorificatori della vita riconoscono se stessi non sono nuove. Vedere la produttività della società nell'immagine della „creatività' della vita è cosa vecchia almeno quanto Marx, credere nella violenza come forza vitale è cosa vecchia almeno quanto Bergson.» Hannah ARENDT, Sulla violenza, trad. it., Guanda, Parma 1996 (ed. originale 1969). «Non sono un visionario. Affermo di essere un idealista pratico. La religione della non violenza non è fatta solo per i Rishi [saggi] e i santi. È fatta anche per la gente comune. La non violenza è la legge della nostra specie, come la violenza è la legge dei bruti. Lo spirito resta dormiente nel bruto, ed egli non conosce altra legge che quella della forza fisica. La dignità dell'uomo esige ubbidienza a una legge più alta, alla forza dello spirito. […] Nella sua condizione dinamica, non violenza significa sofferenza consapevole. Non vuol dire sottomettersi docilmente alla volontà del malvagio, ma opporsi con tutta l'anima alla volontà del tiranno. Agendo secondo questa legge del nostro essere, è possibile al singolo individuo sfidare tutta la potenza di un impero ingiusto per salvare il proprio onore, la religione, l'anima, e porre le basi della caduta di questo impero o della sua rigenerazione. E così non propugno che l'India pratichi la non violenza perché è debole. Voglio che pratichi la non violenza essendo consapevole della propria forza e del proprio potere. […] La mia missione è di convertire ogni indiano, ogni inglese e infine il mondo alla non violenza nel regolare i reciproci rapporti, siano essi politici, economici, sociali o religiosi. Se mi si accusa di essere troppo ambizioso, mi confesserò colpevole. Se mi si dice che il mio sogno non potrà mai attuarsi, risponderò che "è possibile" e proseguirò per la mia strada.» Mohandas K. GANDHI, Antiche come le montagne, Edizioni di Comunità, Milano 1975. «Sono felice di unirmi a voi in questa che passerà alla storia come la più grande dimostrazione per la libertà nella storia del nostro paese. […] Siamo anche venuti in questo santuario per ricordare all'America l'urgenza appassionata dell'adesso. Questo non è il momento in cui ci si possa permettere che le cose si raffreddino o che si trangugi il tranquillante del gradualismo. Questo è il momento di realizzare le promesse della democrazia; questo è il momento di levarsi dall'oscura e desolata valle della segregazione al sentiero radioso della giustizia; questo è il momento di elevare la nostra nazione dalle sabbie mobili dell'ingiustizia razziale alla solida roccia della fratellanza; questo è il tempo di rendere vera la giustizia per tutti i figli di Dio. […] Non ci sarà in America né riposo né tranquillità fino a quando ai negri non saranno concessi i loro diritti di cittadini. I turbini della rivolta continueranno a scuotere le fondamenta della nostra nazione fino a quando non sarà sorto il giorno luminoso della giustizia. Ma c'è qualcosa che debbo dire alla mia gente che si trova qui sulla tiepida soglia che conduce al palazzo della giustizia. In questo nostro procedere verso la giusta meta non dobbiamo macchiarci di azioni ingiuste. Cerchiamo di non soddisfare la nostra sete di libertà bevendo alla coppa dell'odio e del risentimento. Dovremo per sempre condurre la nostra lotta al piano alto della dignità e della disciplina. Non dovremo permettere che la nostra protesta creativa degeneri in violenza fisica. Dovremo continuamente elevarci alle maestose vette di chi risponde alla forza fisica con la forza dell'anima.» Martin Luther KING.

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III. ARGOMENTO: Alle origini dello sviluppo industriale dell'Italia.

DOCUMENTI.

"Un'altra condizione nuova che va tenuta presente è la fine della crisi agraria, avvenuta intorno al 1895, con la conseguente tendenza al rialzo anche dei prezzi agricoli. Lo slancio industriale si collegò pertanto ad una notevole ripresa della produzione agricola che si manifestò, come si vedrà più avanti, nei settori capitalisticamente e tecnicamente più evoluti dell'agricoltura italiana. Anche questa connessione, che favorì l'industria chimica, alcune industrie alimentari e, in qualche misura, l'industria meccanica, meriterebbe di essere approfondita più di quanto sia stato fatto finora, soprattutto per gli effetti riguardanti i movimenti della manodopera e gli impieghi dei capitali. Ma queste circostanze generali non sarebbero bastate a stimolare e a consolidare lo slancio industriale se non avessero agito in senso concomitante altre spinte di carattere interno: la politica doganale ... e il riordino bancario degli anni 1893-95."

G. CANDELORO, Storia dell'Italia moderna. VII, Milano 1974.

"I settori di cui si è detto brevemente sin qui sono costituiti in buona parte da industrie relativamente nuove e caratterizzate da notevoli potenzialità di aumento di produttività attraverso l'introduzione di progresso tecnico autoctono o importato. Sono anche i comparti manifatturieri sui quali si fonderanno per molti decenni le fortune economiche di un paese tipicamente trasformatore quale l'Italia. P,, pertanto, giustificata l'attenzione che ad esse dedicano gli storici, nel quadro di quella che molti di essi considerano la rivoluzione industriale italiana, nata sull'onda lunga del progresso tecnico che caratterizza l'intera economia mondiale di questo periodo."

G. TONIOLO, Storia economica dell'Italia liberale, Il Mulino, Bologna 1988.

"Un altro ambiente noi troviamo alla vigilia della guerra. Le basi del nostro sistema si sono alquanto allargate, oltre che per il notevole impulso dato alla produzione cotoniera, perché è sorta un'industria siderurgica, una serie di imprese chimiche, se non un'industria chimica, e s'è avuto un esordio promettente dell'industria elettrica ... Il tardivo sviluppo delle nostre industrie spiega agevolmente il largo concorso che in esse si verificò di uomini e capitali stranieri. Notevolissima appare, agli inizi della nostra attività, la partecipazione dell'elemento tecnico o dirigente venuto da fuori, quando tedeschi, svizzeri, inglesi, francesi erano, nella grandissima maggioranza dei nostri opifici attrezzati per la produzione meccanica, i capi-fabbrica e il personale tecnico dirigente, che s'importava insieme col macchinario."

R. MORANDI, Storia della grande industria in Italia, Einaudi, Torino 1966.

"Il quadro muta, ma lentamente, dopo l'unificazione. Lo sforzo dello Stato per migliorare l'istruzione della popolazione non fu trascurabile. 1 fondi stanziati per la pubblica istruzione passarono da un modestissimo 1,4% del bilancio nel 1861 (il che era comunque pari, in valore assoluto, a circa una volta e mezzo la spesa congiunta degli Stati preunitari nel 1859) a circa il 5% nel 191 I. Anche i comuni aumentarono i fondi per l'istruzione dal 7,5% delle spese nel 1866 al 23% nel 1912, mentre le province ebbero in questo campo un ruolo modesto e declinante (dal 5,4% delle spese nel 1866, al 3,5% nel 1913."

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V. ZAMAGNI, Istruzione e sviluppo economico. Il caso italiano. 1861-1913, in "L'economia italiana. 1861-1940", a cura di G. Toniolo, Laterza, Bari 1978.

"Siderurgia e industria tessile furono insieme con la grande cerealicoltura le forze che, come è noto, più energicamente lottarono in Parlamento e nel paese per l'approvazione della tariffa del 1887, e che da essa ricavarono i maggiori benefici. Non spetta a noi di n'prendere qui i temi della pluridecennale polemica fra sostenitori ed avversari del protezionismo allora instaurato, che vide schierati a difesa rappresentanti di interessi sezionali, nazionalisti di varia gradazione e colore, esponenti del movimento operaio e del mondo industriale e settentrionale in genere, contro l'attacco concentrico di meridionalisti, sostenitori degli interessi agrari, libero-scambisti di origine politica o "scientifica", democratici ed esponenti dell'estrema sinistra."

R. ROMEO, Risorgimento e capitalismo, Laterza, Roma-Bari 1978. III. ARGOMENTO: La ricostruzione in Italia dopo il secondo conflitto mondiale. DOCUMENTI. “Il problema delle distruzioni belliche appariva, agli occhi dei contemporanei, come il più grave. [...] Nelle grandi città, buona parte del patrimonio di abitazioni era andato distrutto o danneggiato, la rete dei trasporti, sia ferroviari, sia stradali, era sconvolta, l’industria siderurgica, che nel momento della ricostruzione assumeva un ruolo chiave, aveva subìto perdite profonde. [...] Il problema della disoccupazione era indubbiamente il più acuto sotto il profilo sociale. La stima ufficiale, che poneva il numero di disoccupati intorno ai due milioni peccava probabilmente per difetto, in quanto ignorava forzatamente i sottoccupati e i disoccupati nascosti che, specie nel settore agricolo, erano assai numerosi”. A. GRAZIANI, Introduzione, in L’economia italiana: 1945-1970, Bologna, 1972 “La politica delle opere pubbliche si presenta come parte integrante della politica della ricostruzione. Essendo questa la situazione, appare evidente che, per combattere la disoccupazione, la politica delle opere pubbliche deve avere l’assoluta prevalenza rispetto a quella dei sussidi. Si presenta, per lo Stato, l’opportunità di richiedere a stati e a organismi bancari esteri prestiti espressamente destinati al finanziamento di progetti di opere pubbliche. [...] Inoltre, prestiti dall’estero potranno essere richiesti da enti locali e da particolari amministratori dello Stato. Molti sono gli inconvenienti che occorrerà affrontare e superare per poter iniziare una vasta e coerente politica di opere pubbliche: costo elevato delle materie prime, difficoltà dei trasporti, difficoltà burocratiche e amministrative. Nel 1945 e nei primi quattro mesi del 1946 sono state autorizzate, per opere pubbliche, spese per un ammontare complessivo di oltre 100 miliardi di lire. Nello stesso periodo sono stati effettivamente spesi meno di 40 miliardi di lire. Il fattore negativo più importante è dato appunto dalla lentezza degli organi amministrativi e dalla assoluta mancanza di coordinamento tra i vari interventi statali”. P. SYLOS-LABINI, Atti della Commissione per lo studio dei problemi del lavoro, vol. III, Roma, 1946. “All’indomani della liberazione, due sono stati i grandi movimenti che si sono scatenati nelle campagne. Il movimento mezzadrile e quello per l’occupazione delle terre incolte nell’Italia

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meridionale. [...] I mezzadri, con l’eccezione di quei pochi che vivevano nelle zone devastate dalla guerra, attraversano un periodo economico di notevole prosperità. Gli elevati prezzi dei prodotti agricoli e in particolare del vino e dell’olio, che rappresentano spesso le produzioni tipiche delle zone mezzadrili, lo sviluppo notevole dell’allevamento dei suini e della bassa corte malgrado i turbamenti apportati dalla guerra, fanno sì che oggi, nella maggior parte dei casi, i mezzadri siano in grado di realizzare notevoli guadagni e consistenti risparmi. L’altro dei movimenti indicati, quello dei contadini meridionali per l’occupazione delle terre incolte, rappresenta, all’inverso, l’espressione di una situazione disperata. Nel Mezzogiorno, infatti, l’agricoltura resta dominata dalla coltura estensiva dei cereali e dall’allevamento brado degli animali e tra il pascolo e la coltura continua una lotta che rimonta ad epoche immemorabili”. M. ROSSI-DORIA, Riforma agraria e azione meridionale, Bologna 1956.

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AMBITO TECNICO-SCIENTIFICO

I. ARGOMENTO: Tecnologia pervasiva. DOCUMENTI. «Anche la Silicon Valley ha la sua religione. E potrebbe presto diventare il paradigma dominante tra i vertici e gli addetti ai lavori della culla dell'innovazione contemporanea. È il «transumanismo» e si può definire, scrive il saggista Roberto Manzocco in "Esseri Umani 2.0" (Springer, pp. 354), come «un sistema coerente di fantasie razionali parascientifiche», su cui la scienza cioè non può ancora pronunciarsi, «che fungono da risposta laica alle aspirazioni escatologiche delle religioni tradizionali». Per convincersene basta scorrerne i capisaldi: il potenziamento delle nostre capacità fisiche e psichiche; l'eliminazione di ogni forma di sofferenza; la sconfitta dell'invecchiamento e della morte. Ciò che piace ai geek della Valley è che questi grandiosi progetti di superamento dell'umano nel "post-umano" si devono, e possono, realizzare tramite la tecnologia. E tecniche, la cui fattibilità è ancora tutta da scoprire, come il "mind uploading", ossia il trasferimento della coscienza su supporti non biologici, e le "nanomacchine", robot grandi come virus in grado di riparare le cellule cancerose o i danni da malattia degenerativa direttamente a livello molecolare.» Fabio CHIUSI, TRANS UMANO la trionferà, "l'Espresso" – 6 febbraio 2014. «Lord Martin Rees, docente di Astrofisica all'Università di Cambridge e astronomo della Regina, la vede un po' diversamente: i robot sono utili per lavorare in ambienti proibitivi per l'uomo – piattaforme petrolifere in fiamme, miniere semidistrutte da un crollo, centrali in avaria che perdono sostanze radioattive – oltre che per svolgere mestieri ripetitivi. Ma devono restare al livello di «utili idioti: la loro intelligenza artificiale va limitata, non devono poter svolgere mestieri intellettuali complessi». L'astronomo della Corte d'Inghilterra, occhi rivolti più alle glorie del passato che alle speranze e alle incognite di un futuro comunque problematico, propone una ricetta che sa di luddismo. Una ricetta anacronistica ed estrema che si spiega con l'angoscia che prende molti di noi davanti alla rapidità con la quale la civiltà dei robot – della quale abbiamo favoleggiato per decenni e che sembrava destinata a restare nei libri di fantascienza – sta entrando nelle nostre vite. Che i robot stiano uscendo dalle fabbriche lo sappiamo da tempo: il bancomat è un bancario trasformato in macchina, in servizio notte e giorno. In molti supermercati il cassiere non c'è più, sostituito da sensori, lettori di codici a barre, sistemi di pagamento automatizzati. In Giappone e Francia si moltiplicano treni e metropolitane guidate da un computer (è così la nuova Linea 5 della metropolitana di Milano), così come tutti i convogli che si muovono all'interno dei grandi aeroporti del mondo sono, ormai, senza conducente.» Massimo GAGGI, E il robot prepara cocktail e fa la guerra, "Corriere della Sera. la Lettura" – 26 gennaio 2014. «Per molto tempo al centro dell'attenzione sono state le tecnologie e gli interrogativi che si portano dietro: «Meglio i tablet o i netbook?», «Android, iOs o Windows?», seguiti da domande sempre più dettagliate «Quanto costano, come si usano, quali app…». Intanto i docenti hanno visto le classi invase da Lim, proiettori interattivi, pc, registri elettronici o tablet, senza riuscire a comprendere quale ruolo avrebbero dovuto assumere, soprattutto di fronte a ragazzi tecnologicamente avanzati che li guardavano con grandi speranze e aspettative. Per gli studenti si apre una grande opportunità:

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finalmente nessuno proibisce più di andare in internet, di comunicare tramite chat, di prendere appunti in quaderni digitali o leggere libri elettronici.» Dianora BARDI, La tecnologia da sola non fa scuola, "Il Sole 24 ORE. nòva" – 12 gennaio 2014 «Passando dal tempo che ritorna al tempo che invecchia, dal tempo ciclico della natura regolato dal sigillo della necessità al tempo progettuale della tecnica percorso dal desiderio e dall'intenzione dell'uomo, la storia subisce un sussulto. Non più decadenza da una mitica età dell'oro, ma progresso verso un avvenire senza meta. La progettualità tecnica, infatti, dice avanzamento ma non senso della storia. La contrazione tra "recente passato" e "immediato futuro", in cui si raccoglie il suo operare, non concede di scorgere fini ultimi, ma solo progressi nell'ordine del proprio potenziamento. Null'altro, infatti, vuole la tecnica se non la propria crescita, un semplice "sì" a se stessa. L'orizzonte si spoglia dei suoi confini. Inizio e fine non si congiungono più come nel ciclo del tempo, e neppure si dilatano come nel senso del tempo. Le mitologie perdono la loro forza persuasiva. Tecnica vuol dire, da subito, congedo dagli dèi.» Umberto GALIMBERTI, Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, Feltrinelli, Milano 2002. II. ARGOMENTO: Da Gutenberg al libro elettronico: modi e strumenti della comunicazione.

DOCUMENTI.

1. "L'homo sapiens che moltiplica il proprio sapere è il cosiddetto uomo di Gutenberg. È vero che la Bibbia stampata da Gutenberg tra il 1452 e il 1455 ebbe una tiratura (per noi, oggi, risibile) di 200 copie. Ma quelle 200 copie erano ristampabili. Il salto tecnologico era avvenuto. E dunque è con Gutenberg che la trasmissione scritta della cultura diventa potenzialmente accessibile a tutti. Il progresso della riproduzione a stampa fu lento ma costante e culmina nell'avvento - a cavallo tra il Settecento e l'Ottocento - del giornale che si stampa ogni giorno, del "quotidiano". Nel contempo, dalla metà dell'Ottocento in poi comincia un nuovo e diverso ciclo di avanzamenti tecnologici. Primo, l'invenzione del telegrafo, poi quella del telefono (di Alexander Graham Bell). Con queste due invenzioni spariva la distanza e cominciava l'era delle comunicazioni immediate. La radio, anch'essa un eliminatore di distanze, aggiunge un nuovo elemento: una voce facile da diffondere in tutte le case. La radio è il primo formidabile diffusore di comunicazioni; ma un diffusore che non intacca la natura simbolica dell'uomo. [...] La rottura avviene, alla metà del nostro secolo, con la televisione. La televisione - lo dice il nome - è "vedere da lontano" (tele), e cioè portare al cospetto di un pubblico di spettatori cose da vedere da dovunque, da qualsiasi luogo e distanza. E nella televisione il vedere prevale sul parlare, nel senso che la voce in campo, o di un parlante, è secondaria, sta in funzione dell'immagine, commenta l'immagine. Ne consegue che il telespettatore è più un animale vedente che non un animale simbolico. Per lui le cose raffigurate in immagini contano e pesano più delle cose dette in parole. E questo è un radicale rovesciamento di direzione, perché mentre la capacità simbolica distanzia l'homo sapiens dall'animale, il vedere lo ravvicina alle sue capacità ancestrali, al genere di cui l'homo sapiens è specie. [...] I veri studiosi continueranno a leggere libri, avvalendosi di Internet per i riempitivi, per le bibliografie e le informazioni che prima trovavano nei dizionari; ma dubito che se ne innamoreranno." G. SARTORI, Homo videns, Laterza Bari 1997 2. "Attraverso il disegno e la stampa, già nei secoli scorsi, l'uomo aveva catturato e imparato a governare l'immagine. Solo in questo secolo è stato capace di realizzare una delle sue più antiche ambizioni: quella di catturare, riprodurre, trasmettere a distanza i suoni delle voci e delle cose. La galassia Gutenberg ha fatto piombare il mondo nel silenzio. La galassia multimediale gli ha ridato

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voce, ne ha moltiplicato le immagini acustiche." R. MARAGLIANO, Nuovo manuale di didattica multimediale, Laterza Bari 1998 3. "La rivoluzione dell'editoria comincia a primavera. E nell'arco di pochi anni si verificheranno tali trasformazioni nella produzione di libri e nella loro distribuzione (ma anche in quella dei giornali) che alla fine tutto apparirà radicalmente mutato. Addio carta, addio biblioteche con chilometri di scaffali dal pavimento al soffitto. La rivoluzione si chiama eBook. ... Gli eBook, conclude Fabio Falzea [responsabile delle relazioni strategiche della Microsoft Italia], saranno il più grosso fattore di accelerazione della cultura dopo Gutenberg". L. SIMONELLI, "Tuttoscienze", 23 febbraio 2000. III. ARGOMENTO: Conoscenza, lavoro e commercio nell'era di INTERNET. DOCUMENTI. "Cento anni fa, il 12 dicembre 1901, i tre punti del codice Morse che stanno per la lettera "s" passarono per la prima volta da una sponda all'altra dell'Atlantico, attraversarono l'etere. Non lungo un cavo sottomarino ma nell'aria, da una stazione trasmittente in Cornovaglia ad una piccola costruzione distante tremila chilometri con sopra, appeso a un aquilone, un filo oscillante nel vento rabbioso del Canada. Nasceva la radiotelegrafia a grande distanza. Il suo inventore, Guglielmo Marconi, diventa di colpo famoso nel mondo. Da allora quel nome significa progresso, cosmopolitismo, modernità". G. M. Pace, "La Repubblica", 12 dicembre 2001. "Con lo sviluppo delle tecnologie per il trattamento delle informazioni e della telematica, la questione (quella del rapporto tra istanze economiche e istanze dello Stato) rischia di divenire ancora più spinosa. Ammettiamo per esempio che un'impresa come la IBM (International Business Machines) sia autorizzata ad occupare un corridoio orbitale attorno alla terra per piazzarvi dei satelliti di comunicazione e/o delle banche di dati. Chi vi avrà accesso? Chi deciderà quali siano i canali e i dati riservati? Lo Stato? Oppure esso sarà un utente come tutti gli altri? Nascono in tal modo nuovi problemi giuridici e attraverso di essi si pone la domanda: chi saprà? La trasformazione della natura del sapere può dunque generare un effetto di retroazione nei confronti dei poteri pubblici stabiliti tale da costringerli a riconsiderare i loro rapporti di diritto e di fatto con le grandi imprese e più in generale con la società civile". J. F. Lyotard, "La condizione postmoderna", Milano 1989. "Dal lavoro interinale a quello su Internet. Non più solo annunci sui quotidiani o sulle bacheche delle agenzie. Per chi è alla ricerca di un impiego o desidera cambiare lavoro le proposte non mancano. Grazie anche alle immancabili "partnership", parola che indica le collaborazioni tra le agenzie di reclutamento web con siti e portali, sia italiani sia esteri. (...) Pensati per chi cerca un impiego o vuole cambiarlo, gli indirizzi di ricerca del personale sono uno strumento rapido per fare incontrare la domanda con l'offerta. Nati cinque anni fa negli Stati uniti e soltanto da tre, con base in Scandinavia, sviluppatisi in Europa i primi siti di ricerca del personale via Internet sono arrivati in Italia. Dove, a tutt'oggi, ne esistono una ventina". Supplemento a "Panorama", 15 novembre 2001 segue... (tra poco gli altri ambiti...) "Il commercio elettronico consiste nello svolgimento di attività di business in via elettronica. Esso è basato sulla elaborazione e trasmissione di dati, inclusi testi, suoni e immagini. Ricomprende una molteplicità di attività, inclusive di attività commerciali di beni e servizi, consegne online di contenuti digitali, trasferimenti elettronici di fondi, scambi commerciali elettronici, fatturazione elettronica, aste

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di vendita, progettazione e sviluppo collaborativo tra partner, approvvigionamenti, marketing diretto rivolto al consumatore e servizi postvendita. Esso comprende sia prodotti (ad esempio, beni di consumo o attrezzature specializzate), sia servizi (ad esempio servizi informativi, finanziari e legali); attività tradizionali (ad esempio, cure mediche, formazione) e nuove (ad esempio centri commerciali virtuali) (European Commission 1997)" A. GRANDO - Commercio elettronico e progettazione logistica. Una relazione sottovalutata, Milano, 2001. "Allo stesso modo io penso che siano stati rivoluzionari miglioramenti tecnici, nei trasporti e nelle comunicazioni, realizzati dalla fine della seconda guerra mondiale, ad aver consentito all'economia di raggiungere gli attuali livelli di globalizzazione. (...) Sappiamo che questi processi informatici trasformano il mercato finanziario internazionale creando un totale squilibrio tra l'economia reale del mondo, la produzione di beni e servizi reali, e il fiume di derivati, diritti, scommesse, insomma di tutte le transazioni finanziarie che scorrono sui computer degli operatori. L'ammontare di questo flusso finanziario è molte volte più grande del prodotto totale reale del globo. Questo è dovuto alla tecnologia dell'informazione che rende tutto ciò straordinariamente facile. E rende addirittura possibile per gente comune (...) di entrare nel mercato realizzando profitti, comprando e vendendo nell'arco della giornata con promesse di pagamento senza trasferimenti reali di denaro." E.J.HOBSBAWM, Intervista sul nuovo secolo, Bari, 2000.