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Raccolta di casi studio su misure e buone pratiche nella gestione di habitat e siti in altre regioni europee Azione A4 Realizzato da: Comunità Ambiente ed Ersaf

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Raccolta di casi studio su misure e buone pratiche nella gestione di habitat e siti in altre

regioni europee

Azione A4

Realizzato da: Comunità Ambiente ed Ersaf

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Sommario Introduzione Criteri per la selezione dei casi studio Catchment Sensitive Farming (CSF) – Una chiara soluzione per gli agricoltori (UK) Natura 2000 e Direttiva Acque Le misure di gestione oggetto del caso studio

I servizi di informazione, formazione e consulenza I metodi per ridurre l’inquinamento diffuso dovuto all’agricoltura Il Regime di Sovvenzioni in Conto Capitale (CSF Capital Grant Scheme) Collaborazioni strategiche Monitoraggio e valutazione

Conclusioni Risultati Fattori di successo

Bibliografia e sitografia Mantenimento dell’attività pastorale per la conservazione degli habitat di prateria nella regione Rhône-Alpes (Francia) I siti Natura 2000 Le misure di gestione oggetto del caso studio

Le convenzioni Le attività agro - pastorali e lo sviluppo del territorio La guida tecnica per diffondere l’importanza del pascolo estensivo

Conclusioni Risultati raggiunti Punti deboli Aspetti rilevanti per la Lombardia

Bibliografia e sitografia Abbreviazioni L'eradicazione della nutria in East Anglia (UK) La specie aliena

Origine e introduzione della specie Impatto ecologico ed economico della nutria

Le misure di gestione oggetto del caso studio La prima campagna di eradicazione (1962 - 1965) La seconda campagna di eradicazione (1981 - 1989)

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Conclusioni Le ragioni del successo della campagna in East Anglia Aspetti da considerare per la replicabilità nella realtà regionale

Bibliografia e sitografia ECONNECT: restoring the web of life (Arco Alpino) Le aree di intervento: sette Regioni Pilota

La Regione transfrontaliera Berchtesgaden – Salisburgo (Austria - Germania) La Regione delle Alpi Calcaree settentrionali (Austria) La Regione degli Alti Tauri (Austria – Italia) La Regione del Monte Rosa (Italia) La Regione delle Alpi sud-occidentali – Mercantour /Alpi Marittime La Regione del Dipartimento francese dell’Isere (Francia) La Regione del Triangolo Retico (Italia – Svizzera - Austria) Rapporti delle Regioni Pilota con le aree Natura 2000

Le misure di gestione oggetto del caso studio Raccolta di informazioni di carattere giuridico-amministrativo Creazione di un geoportale Interventi concreti per la costituzione di reti ecologiche Sensibilizzazione riguardo alle reti ecologiche

Conclusioni Cosa possiamo imparare dall'esperienza e dai risultati ottenuti

Bibliografia e sitografia Programma integrato per la riqualificazione e la gestione sostenibile dell’agroecosistema risicolo (Vercelli) I siti Natura 2000 Le misure di gestione oggetto del caso studio

Minacce Interventi concreti di conservazione Linee guida relative alla gestione dell’agroecosistema risicolo e per la conservazione della biodiversità Coinvolgimento degli stakeholder

Conclusioni Bibliografia e sitografia Allegati Allegato 1 - Elenco minacce selezionate per lo studio di misure e best practices nella gestione degli habitat e siti in altre regioni europee Allegato 2 - Elenco degli habitat e delle specie vegetali di interesse comunitario presenti in Lombardia Allegato 3 - Tabella comparativa dei potenziali casi studio

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Introduzione Il progetto Gestire prevede la selezione e la presentazione di cinque casi studio su buone pratiche di gestione della rete Natura 2000 realizzate in regioni italiane o in Stati membri dell’UE, che possano essere utili alla stesura della strategia di gestione della rete regionale lombarda. I casi di studio dovrebbero rispondere alle sfide che si prevede di affrontare nella stesura del programma di gestione della rete Natura 2000 in Lombardia (vedi azioni C del progetto). Il concetto su cui si basa questa azione è che problemi e conflitti nella gestione della rete Natura 2000 sono nella maggior parte dei casi ricorrenti in diversi Paesi europei e in diversi contesti ambientali. È quindi utile conoscere come altri enti hanno affrontato o risolto particolari problematiche, in modo da non duplicare gli sforzi e, soprattutto, per cercare di evitare di incorrere in errori già commessi da altri. Il lavoro, eseguito di concerto tra Comunità Ambiente ed ERSAF, si è articolato in 5 fasi: definizione dei criteri di selezione, ricerca bibliografica, selezione dei casi, redazione dei casi studio. Il presente documento sarà presentato al Gruppo Natura 2000 (azione A2) per il controllo di qualità e verrà utilizzato durante la realizzazione delle successive azioni C.

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Criteri per la selezione dei casi studio La selezione dei casi studio sì è basata su criteri standard applicati dagli autori di ciascun caso, sia durante la ricerca che nella stesura del caso studio. In particolare: - É stato verificato che all'interno dei casi di studio selezionati ci fossero delle

risposte alle problematiche da affrontare (vedi allegato 1); - É stato verificato che fossero disponibili tutte le informazioni pertinenti; - Quando pertinente, è stata analizzata e valutata la sovrapposizione tra i siti

Natura 2000 e altri tipi di zone designate come zone svantaggiate o di terreni agricoli di alta qualità, che possono essere sostenuti nell'ambito della politica agricola comune, nonché zone designate in applicazione della direttiva Acque.;

- Sono stati presi in considerazione gli habitat e le specie di interesse comunitario, le caratteristiche delle aree, la loro delimitazione geografica e connettività con altri settori, i loro obiettivi di conservazione;

- É stato tenuto conto dei potenziali conflitti, in particolare le sfide chiave nel garantire la coesistenza tra le specie e degli habitat protetti all'interno della rete Natura 2000 e le attività economiche;

- Si è cercato di individuare l’eventuale uso di strumenti finanziari per la gestione dei siti Natura 2000 e/o per migliorare lo stato di conservazione di habitat e specie di interesse comunitario;

- Si è cercato di individuare l’eventuale utilizzo di nuovi meccanismi di finanziamento (per esempio il PES, pagamento per servizi ecosistemici, o la partecipazione alle nuove forme di “banking”, quello per il contributo alla riduzione della CO² o quello relativo al “biodiversity banking”);

- Si è cercato di comprendere le modalità dell’eventuale coinvolgimento degli stakeholder nella progettazione e attuazione delle misure.

Secondo le indicazioni fornite, i casi studio dovrebbero quindi: - Essere effettuati in siti Natura 2000 - Affrontare diversi tipi di habitat e specie di rilevanza per la Lombardia (vedi

allegato 2) - Includere diversi tipi di misure di conservazione - Riflettere i principi della gestione integrata - Rappresentare approcci di gestione adeguati e l'approccio partecipativo nella

progettazione di misure - Rappresentare buone pratiche per risolvere i conflitti tra gli obiettivi di

conservazione della natura e le attività economiche - Rappresentare un uso efficiente dei programmi finanziari comunitari e di altre

forme di finanziamento - Avere un alto valore dimostrativo su alcuni degli aspetti di cui sopra

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É stato inoltre preparata la seguente lista di controllo con il proposito di ottenere informazioni, per classificare i potenziali casi studio e verificare l’attinenza con le condizioni richieste. Gli autori hanno fornito le informazioni richieste all’interno di uno specifico file excel (allegato 3). 1 Regione biogeografia

(Con/Alp) Continentale/Alpina

(se nessuna delle due specificare il valore del caso studio)

2 Habitat presenti nella Regione Lombardia (nome e codice Natura 2000)

Si/No (se si, specificare quali; se no, specificare

il valore del caso studio) 3 Specie presenti nella Regione Lombardia Si/No

(se si, specificare quali; se no, specificare il valore del caso studio)

4 Problemi affrontati (specificare quali) 5 Attività intraprese (specificare quali) 6 Sovrapposizione con altre aree

(HNV aree agricole ad alto valore naturale, ZVN zone vulnerabili ai nitrati, LFA aree svantaggiate, WFD aree importanti per la direttiva Acque, ecc.)

Si/No (se si, specificare quali)

7 Uso efficiente delle misure finanziate nell'ambito di programmi finanziari dell’Unione Europea per la gestione dei siti Natura 2000/Per migliorare lo stato di conservazione di habitat e specie di interesse comunitario (LIFE, FSE, PSR, POR, ecc.)

Si/No (se si, specificare quali)

8 Uso di nuovi metodi di finanziamento (PES, pagamento per servizi ecosistemici, partecipazione alle nuove forme di “banking”, quello per il contributo alla riduzione della CO² o quello relativo al “biodiversity banking”, ecc.)

Si/No (se si, specificare quali)

9 Coinvolgimento degli stakeholder nella progettazione e attuazione delle misure

Si/No

10 Applicazione dei principi della gestione integrata Si/No 11 Misure dirette ai servizi ecosistemi Si/No

(se si, specificare quali servizi ecosistemici)

12 Disponibilità di informazioni Si/No 13 Altri aspetti importanti del caso studio Si/No

(se si, specificare quali) 14 Valutazione del caso studio

(da 1 a 5 punti) -

Seguendo i criteri riportati sopra, è stato stilato un primo elenco di 23 casi studio potenziali. A seguito delle discussioni interne al gruppo di lavoro e alla Regione Lombardia, sono stati scelti 5 di questi casi, descritti nel presente documento.

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Catchment Sensitive Farming (CSF) – Una chiara soluzione per gli agricoltori (UK) La buona qualità dell’acqua è vitale per la fauna selvatica e la biodiversità, incoraggia la ricreazione e il turismo e al contempo favorisce le imprese rurali. L’inquinamento delle acque dovuto alla pressione esercitata dall’agricoltura rappresenta un grave problema che interessa molti Paesi europei. In Inghilterra l’attività agricola è una delle principali fonti di inquinamento diffuso delle acque. L’agricoltura interessa il 70% della superficie del Paese e le fonti di inquinamento diffuso, come i nutrienti provenienti da fertilizzanti e concimi/gestione del bestiame o i pesticidi (fitofarmaci, diserbanti e antiparassitari), sono parti essenziali dell’agricoltura. Si stima che in Inghilterra, l’agricoltura sia responsabile: - del 10%-60% dei livelli di fosfato nelle acque; - di circa 2/3 dell’azoto presente nelle acque; - del 76% dell’immissione nei fiumi di sedimenti provenienti dall’erosione del

suolo e delle sponde. L’aumento dei livelli di nutrienti, come azoto e fosforo, può causare gravi effetti sulla diversità di piante e animali che vivono negli ambienti acquatici; ad esempio può determinare la proliferazione di alghe tossiche e l’anossia delle acque alterando la catena alimentare che sostiene pesci, animali e uccelli, o l’acidificazione dei suoli e delle acque. I sedimenti possono trasportare altri contaminanti e, riducendo la limpidezza dell’acqua, provocano gravi problemi per pesci, piante e insetti, aggravando la perdita della diversità delle specie. Inoltre, i processi di erosione e sedimentazione alterano la morfologia dei corpi idrici e gli habitat acquatici connessi, sia di ambiente lotico (zone umide) sia di ambiente lentico (acque correnti). L’accumulo di limo sui letti dei fiumi può influire anche fisicamente sulle specie di piante radicate sul fondo (es. Ranunculus spp.), riducendone la capacità di ancorarsi e rendendole così più vulnerabili alla rimozione durante i periodi di piena. Circa l’80% delle Aree protette per l’estrazione dell’acqua potabile, il 15% delle acque di balneazione e il 75% delle acque destinate alla molluschicoltura sono a rischio di non riuscire a soddisfare gli standard richiesti, perché contaminate da pesticidi e patogeni provenienti dalle attività agricole. Un numero consistente dei siti che tutelano habitat e specie legati agli ambienti acquatici, designati sia a livello nazionale (Sites of Special Scientific Interest, SSSI) che a livello europeo (siti Natura 2000) e internazionale (siti Ramsar), sono vulnerabili o

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affetti da carichi inquinanti diffusi di origine agricola. Molte zone umide incluse nella rete Natura 2000 e la maggioranza dei laghi designati come Zone Speciali di Conservazione (ZSC) sono affetti da processi di eutrofizzazione. L’inquinamento diffuso di origine agricola è una delle principali cause dello ‘Stato Sfavorevole’ dei siti Natura 2000 in cui sono presenti specie ed habitat direttamente collegati agli ambienti acquatici. Gli agricoltori hanno quindi un ruolo importante da svolgere per la tutela della risorsa idrica di corsi d’acqua, laghi, acque sotterranee e degli ecosistemi acquatici in generale. Natura 2000 e Direttiva Acque Con l’obiettivo di ridurre l’inquinamento diffuso delle acque superficiali, sotterranee e di altri habitat acquatici causato dalle attività agricole, nel 2006 è stata lanciata in Inghilterra l’iniziativa Catchment Sensitive Farming, CSF (Agricoltura rispettosa dei bacini idrografici). L’iniziativa consiste nel promuovere presso gli agricoltori l’adozione su base volontaria di comportamenti e tecniche agricole capaci di salvaguardare l’ambiente acquatico dall’inquinamento, attraverso la prestazione di servizi gratuiti di formazione e consulenza tecnica e l’erogazione di contributi a sostegno dei costi di strutture atte a ridurre tale inquinamento. Il progetto nasce come un accordo di collaborazione tra l’Agenzia per l’Ambiente, quale autorità competente per la Direttiva Quadro sulle Acque1 (DQA), e il Natural England, responsabile per la conservazione della natura, ed è finanziata dal Dipartimento per l’Ambiente, Alimentazione e Affari Rurali (Defra) e, dal 2010, dal Programma di Sviluppo Rurale per l’Inghilterra. L’iniziativa intende soddisfare gli obiettivi della DQA , inclusa la Direttiva Nitrati, contribuendo contemporaneamente anche al raggiungimento degli obiettivi ambientali nazionali e internazionali, in particolare gli obiettivi di Natura 2000 di mantenere o ripristinare in uno stato di conservazione favorevole gli habitat e le specie di interesse comunitario. Dal 2009 l’iniziativa contribuisce anche all’implementazione dei Programmi di Misure2 richiesti dalla DQA per combattere l’inquinamento diffuso di origine agricola. 1 La Direttiva Quadro sulle Acque (2000/60/CE), concepita per migliorare e integrare la gestione dei corpi idrici, richiede di: - migliorare lo status e prevenire un ulteriore deterioramento degli ecosistemi acquatici e delle zone

umide associate, che dipendono dagli ecosistemi acquatici; - promuovere l’uso sostenibile delle risorse idriche; - ridurre l'inquinamento delle acque; - assicurare la riduzione dell’inquinamento delle acque sotterranee. 2 La DQA prevede che per ciascun distretto idrografico, ogni Stato membro predisponga un Programma di Misure, sia obbligatorie che volontarie, con lo scopo di realizzare gli obiettivi ambientali previsti dalla direttiva stessa.

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Inoltre, per siti Natura 2000 dipendenti dall’acqua che presentano uno stato di conservazione sfavorevole a causa dell’inquinamento idrico diffuso di origine agricola, il CSF sta anche collaborando all’aggiornamento dei Piani di controllo dell’Inquinamento Diffuso delle Acque3 dei siti Natura 2000 e sarà uno dei principali meccanismi di attuazione delle misure in essi individuate. Poiché le percentuali di immissione di inquinanti variano notevolmente tra i diversi bacini idrografici, così come varia la vulnerabilità degli ambienti acquatici, il Catchment Sensitive Farming (CSF) è implementato in Bacini idrografici prioritari, cioè a più alto rischio rispetto agli obiettivi della DQA e di Natura 2000, e quindi a priorità di intervento. I Bacini prioritari sono stati individuati all’interno di ciascun Distretto Idrografico combinando: - i livelli di pressione da nitrati, fosforo e sedimenti di origine agricola, ricavati ai

fini della DQA; - la sensibilità ecologica a ciascuna pressione delle Aree Protette ai sensi della

DQA4, inclusi i siti Natura 2000 per i quali lo stato di conservazione dipende dallo stato delle acque superficiali;

- i siti direttamente connessi alla presenza di acqua, designati a livello nazionale (SSSI), europeo (siti Natura 2000) e internazionale (siti Ramsar), considerati a rischio di inquinamento diffuso di origine agricola (English Nature, 2003).

I Bacini così individuati sono stati riesaminati in modo da includere anche altri fattori di rischio, come pesticidi e antiparassitari, e una più ampia gamma di tipologie di bacini, di habitat e di settori agricoli.

Figura 1. Processo di selezione e Prioritizzazione dei Bacini.

Oltre ai Bacini prioritari, il CSF si estende anche ai “Bacini di Partenariato”, cioè Bacini individuati come a rischio di inquinamento diffuso dai Gruppi di interesse dei 3 I Piani di controllo dell’Inquinamento Diffuso delle Acque sono elaborati, conformemente a quanto richiesto dalla DQA, per ciascun sito Natura 2000 in cui l’inquinamento delle acque rappresenta uno dei principali impedimenti per il raggiungimento degli obiettivi dello stato di conservazione favorevole. I Piani individuano le misure da applicare per affrontare l’inquinamento idrico diffuso di origine agricola nei siti Natura 2000. 4 La DQA richiede l’istituzione di un Registro delle Aree Protette (Art. 6) che comprende, per ciascun Distretto idrografico, tutte le: • Acque utilizzate per l’estrazione di acqua potabile. • Aree designate alla protezione di specie acquatiche significative dal punto di vista economico (aree

destinate alla pesca d’acqua dolce e alla molluschicoltura protette ai sensi delle Direttive 78/659/CEE e 79/923/CEE).

• Corpi idrici a scopo ricreativo (acque di balneazione protette ai sensi delle Direttive 76/160/CEE e 2006/7/CE).

• Aree sensibili rispetto ai nutrienti (aree vulnerabili ai nitrati protette ai sensi della Direttiva 91/676/CEE).

• Aree designate per la protezione degli habitat e delle specie, inclusi i siti Natura 2000, nelle quali il mantenimento o il miglioramento dello stato delle acque è importante per la loro protezione.

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Distretti Idrografici in cui ricadono e all’interno dei quali partner locali coordinano il progetto (Partenariati di Bacino5). I Bacini complessivamente coinvolti dall’iniziativa, inizialmente 40, sono stati estesi a 83 (sui 93 presenti in totale in Inghilterra), di cui 69 prioritari e 14 di partenariato, e coprono più del 60% della superficie agricola dell’Inghilterra. Alcuni dei bacini sono al di sotto della soglia di 11.3 mgN/l della Direttiva Nitrati, ma la maggior parte sono inclusi in Zone Vulnerabili ai Nitrati (ZVN), in cui misure di riduzione dei nitrati provenienti dalle attività agricole sono in vigore (Figura 2). Il CSF lavora anche all’interno di zone svantaggiate.

5 vedi paragrafo “Collaborazioni strategiche”

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Zone Vulnerabili Bacini di Partenariato

ai Nitrati Bacini Prioritari

Figura 2. Distribuzione delle Zone Vulnerabili ai Nitrati nei Bacini di Progetto. In Inghilterra la rete Natura 2000 consta di 337 siti, di cui 254 (184 ZSC e 70 ZPS) sono inclusi nel Registro delle aree protette dell’Inghilterra, quali aree in cui il mantenimento o il miglioramento dello stato delle acque è importante per la protezione di habitat e specie di interesse comunitario. Gli 83 Bacini Prioritari e di Partenariato comprendono la maggior parte di questi siti, 173 (117 ZSC e 56 ZPS), di cui ben 74 (43 ZSC e 31 ZPS) sono considerati negativamente impattati o a rischio di inquinamento diffuso di origine agricola. Vi è in quindi un buon allineamento tra la distribuzione dei siti designati Natura 2000 che risentono dell’impatto derivante dall’inquinamento agricolo diffuso e la copertura dei Bacini prioritari e di partenariato (Figura 3).

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ZSC Bacino di Partenariato

ZPS Bacino Prioritario

Figura 3. Distribuzione dei siti Natura 2000 nei Bacini di progetto. Gli habitat e le specie di interesse comunitario coinvolti sono quindi quelli legati ad ambienti ed ecosistemi acquatici presenti all’interno dei siti Natura 2000 che ricadono nei Bacini idrografici dell’iniziativa, in quanto soffrono della pressione esercitata dalle attività agricole sulla qualità delle acque e per i quali il raggiungimento degli obiettivi di conservazione dipende dallo stato delle acque. Si tratta di habitat di ambienti fluviali, lacustri, palustri e marini-costieri e di specie legate agli ambienti acquatici almeno per una fase del loro ciclo vitale.

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Tabella 1. Principali habitat dipendenti dall’ambiente acquatico coinvolti nell’iniziativa e presenti anche in Lombardia.

Acque stagnanti

3110 Acque oligotrofe a bassissimo contenuto minerale delle pianure sabbiose (Littorelletalia uniflorae)

3130 Acque stagnanti, da oligotrofe a mesotrofe, con vegetazione dei Littorelletea uniflorae e/o degli Isoeto-Nanojuncetea

3140 Acque oligomesotrofe calcaree con vegetazione bentica di Chara spp 3150 Laghi eutrofici naturali con vegetazione del Magnopotamion o Hydrocharition 3160 Laghi e stagni distrofici naturali Acque correnti

3260 Fiumi delle pianure e montani con vegetazione del Ranunculion fluitantis e Callitricho-Batrachion

Praterie umide seminaturali 6410 Praterie con Molinia su terreni calcarei, torbosi o argilloso-limosi (Molinion coeruleae) 6430 Bordure planiziali, montane e alpine di megaforbie idrofile Torbiere e Paludi 7110* Torbiere alte attive 7120 Torbiere alte degradate ancora suscettibili di rigenerazione naturale 7130* Torbiere di copertura (* solo torbiere attive) 7140 Torbiere di transizione e instabili 7150 Depressioni su substrati torbosi del Rhyncosporion 7210* Paludi calcaree con Cladium mariscus e specie del Caricion davallianae 7220* Sorgenti petrificanti con formazione di travertino (Cratoneurion) 7230 Torbiere basse alcaline Foreste dell’Europa temperata 9190 Vecchi querceti acidofili delle pianure sabbiose con Quercus robur 91D0* Torbiere boscate

91E0* Foreste alluvionali di Alnus glutinosa e Fraxinus excelsior (Alno-Padion, Alnion incanae, Salicion albae)

Tabella 2. Alcune delle specie coinvolte

nell’iniziativa e presenti anche in Lombardia.

Avifauna dell’Allegato I della Direttiva Uccelli Botaurus stellaris Sterna hirundo Circus aeruginosus Philomachus pugnax Acrocephalus paludicola Sternula albifrons Specie Faunistiche dell’Allegato II della Direttiva Habitat Vertigo angustior Austropotamobius pallipes Vertigo moulinsiana Cottus gobio Euphydryas aurinia Lampetra fluviatilis Alosa fallax Barbastella barbastellus Cobitis taenia Lutra lutra Specie Floristiche dell’Allegato II della Direttiva Habitat Drepanocladus vernicosus Liparis loeselii

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Le misure di gestione oggetto del caso studio Il progetto Catchment Sensitive Farming è stato avviato nel 2006 e proseguirà fino al 2015. Intende aumentare la consapevolezza degli agricoltori che operano all’interno dei Bacini prioritari sull’inquinamento originato dalle loro attività e incoraggiare l’adozione volontaria di soluzioni e pratiche agricole idonee al controllo dell’inquinamento e, allo stesso tempo, adeguate alle esigenze imprenditoriali dell’azienda agricola. Per far ciò il progetto ha adottato due misure complementari: 1. attività gratuita di informazione,

formazione e consulenza; 2. un sistema di incentivi in forma di

contributi in conto capitale (Catchment Sensitive Farming Capital Grants Scheme).

L’iniziativa si rivolge agli agricoltori che: - gestiscono un’azienda/impresa

agricola all’interno di un bacino prioritario;

- operano in un’azienda agricola classificata come una piccola o media impresa (PMI).

Gli agricoltori non sono solo destinatari, ma anche partner dell’iniziativa, insieme agli altri interessi coinvolti. Capire meglio le circostanze locali, i pareri e le esigenze delle parti interessate e la loro risposta alle attività messe in atto è indispensabile sia per impostare le misure di assistenza previste dal progetto sia per correggerle e migliorarle. In ogni bacino è stato quindi istituto un Gruppo Direttivo di Bacino (Catchment Steering Group, CSG) che riunisce le principali parti interessate e gli agricoltori locali per fornire orientamenti e contributi tecnici: Natural England, Agenzia per l’Ambiente, organizzazioni di agricoltori, società idriche locali, organismi per la conservazione della natura, etc. Al fine di massimizzarne l’impatto, le misure a sostegno degli agricoltori sono principalmente indirizzate, all’interno di ciascun Bacino prioritario, agli agricoltori nei sub-bacini a maggiore priorità (Aree Target) o a settori agricoli chiave (Settori Target). Aree e Settori Target sono identificati attraverso un processo di valutazione di ciascun Bacino che, basandosi sui risultati ottenuti da modelli di rischio e sui

Figura 4. Habitat 3260 - Fiumi delle pianure e montani con vegetazione del Ranunculion fluitantis e Callitricho-Batrachion. ZSC “River Mease”, ricadente all’interno dell’omonimo Bacino Prioritario.

© Natural England/Paul Glendell 2001

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pareri delle parti locali interessate, inclusi gli agricoltori, definisce le priorità da affrontare in termini di sostanze inquinanti, attività e aree geografiche. Aree Target e priorità di intervento in ciascun Bacino sono state concordate e ratificate da ciascun Gruppo Direttivo di Bacino e sono state trasposte in una Dichiarazione di Priorità di Finanziamento (Funding Priority Statement). Aree Target e priorità sono quindi il principale obiettivo delle attività di formazione e consulenza e del finanziamento in conto capitale. La valutazione è un processo continuo che permette di rivedere le aree e le attività a cui sono connessi i maggiori rischi. I servizi di informazione, formazione e consulenza6 Per raggiungere quanti più agricoltori possibile, metterli a conoscenza e coinvolgerli nell’iniziativa e promuovere il cambiamento dei loro comportamenti e pratiche, è stato prodotto un piano di comunicazione ed è stata organizzata una campagna pubblicitaria per gli agricoltori delle Aree Target. In ciascun Bacino prioritario è stato designato un funzionario responsabile per l’iniziativa (Catchment Sensitive Farming Officer, CSFO) che lavora a stretto contatto con gli agricoltori locali organizzando e coordinando attività su misura per il contesto locale e il settore agricolo, che includono: 1. una consulenza generica, rivolta a

tutte le aziende agricole nei bacini prioritari, attraverso pubblicità, comunicazioni e attività di diffusione, ecc

2. eventi di gruppo: workshop, seminari, corsi di formazione, dimostrazioni in azienda e visite nelle aziende. Gli eventi sono organizzati su specifici argomenti e per gruppi di agricoltori con problematiche simili; hanno lo scopo di aumentare la consapevolezza e condividere le conoscenze tecniche. La partecipazione è aperta agli agricoltori di volta in volta invitati.

3. visite individuali presso l’azienda agricola da parte di un esperto in agricoltura rispettosa dei bacini idrografici. Le aziende sono selezionate, previa iscrizione, dal

6 Per questo argomento si veda anche il documento “Stakeholder Facilitation Guide” (2007) redatto nell’ambito del Progetto LIFE WAgriCo - Water Resources Management in Cooperation with Agriculture. http://www.wagrico.org/publishor/system/component_view.asp?LogDocId=199&PhyDocId=250

Figura 5. Martin pescatore (Alcedo atthis).

 

© Copyright Natural England/Paul Lacey

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CSFO sulla base del maggior rischio di inquinamento diffuso e della minore evidenza di adozione di misure per attenuarlo: aziende coinvolte in incidenti di inquinamento, con elevata connettività a corpi idrici sensibili, con elevati rischi intrinseci (pendenza, precipitazioni, suoli, uso del suolo, ecc), che non adottano sistemi di Custodia ambientale del territorio (Environmental Stewardship7), e che non sono assistiti da altri organismi (società idriche, RSPB, National Trust, River Trust ecc). Lo scopo delle visite in azienda è quello di aumentare la consapevolezza dell’inquinamento diffuso di origine agricola, identificare i rischi e i percorsi dell’inquinamento in azienda, discutere e promuovere cambiamenti nelle pratiche agricole. La consulenza individuale comprende:

4. valutazione dell’azienda nel suo complesso; 5. piani di gestione del suolo, dei nutrienti e del concime; 6. controlli delle infrastrutture aziendali; 7. consulenza e formazione sulla movimentazione e stoccaggio dei liquami; 8. campionamento e analisi del suolo, del letame e dei liquami, per individuare le

esigenze nutritive del suolo e ottimizzare l’uso del proprio concime; 9. dimostrazione di macchinari e calibrazione di spanditori. Inoltre, il CSF ha sviluppato uno strumento interattivo on-line (CSF Advisory Tool) per guidare gli agricoltori nella valutazione della propria azienda, delle pratiche agricole adottate, dei rischi d’inquinamento idrico associati, e per fornire consigli pratici sulle pratiche raccomandate (https://www.gov.uk/catchment-sensitive-farming-advisory-tool). Alcuni dei comportamenti e pratiche consigliate sono coerenti con la buona pratica agricola, ma altri vanno oltre, comportando dei costi per gli agricoltori. Per questo motivo la consulenza non si limita ad individuare le soluzioni più efficaci ed adeguate alle esigenze aziendali, ma comprende anche l’individuazione dei fondi cui poter accedere per applicarli, e come accedervi. In particolare, il CSFO incoraggia gli agricoltori ad adottare le opzioni pertinenti con i programmi agro-ambientali, come il Sistema di Custodia ambientale del territorio (Environmental Stewardship), e con il Regime di Sovvenzioni in Conto Capitale, appositamente istituito dal CSF per sostenere i costi di beni d’investimento necessari per applicare le misure proposte. Inoltre, nei Bacini che comprendono ZVN, i CSFO lavorano a stretto contatto con gli agricoltori per aiutarli a rispettarne i requisiti regolamentari. La formazione e la consulenza specialistica offerta promuove, in definitiva, una migliore efficienza aziendale che si traduce in un risparmio economico per gli agricoltori e, allo stesso tempo, in effetti positivi per l’ambiente. L’Agricoltura Rispettosa dei Bacini idrografici (Catchment Sensitive Farming) può anche aiutare a soddisfare obblighi normativi, come la condizionalità della PAC e quelli relativi alle

7 Il Sistema di custodia ambientale del territorio (Environmental Stewardship) è un programma agro-ambientale che prevede finanziamenti per gli agricoltori e gli altri gestori del territorio che provvedono a una gestione ambientale efficace dei loro terreni. È una parte importante del programma di sviluppo rurale per l'Inghilterra (2007-2013).

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Zone Vulnerabili ai Nitrati. Inoltre, sebbene al momento gli agricoltori non siano obbligati da regolamenti o leggi ad implementare misure e metodi per ridurre l’inquinamento diffuso delle acque (con l’eccezione, appunto, dell’inquinamento da nitrati nelle Zone Vulnerabili ai Nitrati), potrebbe tuttavia diventare un obbligo in futuro. Comprendere il problema e applicare volontariamente le tecniche per risolverlo potrà quindi consentire agli agricoltori di trovarsi in una posizione di vantaggio. Infine, affrontare il problema su base volontaria potrebbe scongiurare l’imposizione di obblighi e regolamenti in futuro. In tal senso l’iniziativa offre un’alternativa alle prescrizioni regolamentari che comporterebbero maggiore burocrazia e costi per tutti. I metodi per ridurre l’inquinamento diffuso dovuto all’agricoltura La consulenza tecnica è volta a incoraggiare gli agricoltori ad adottare i comportamenti e le pratiche identificati nel “Manuale per l’utente” (Cutt S.P. et al., 2007), appositamente commissionato dal CSF. In particolare, si tratta di un inventario in cui vengono fornite informazioni sintetiche sui 44 metodi più convenienti che potrebbero essere adottati per ridurre l’inquinamento idrico diffuso di origine agricola e come applicarli a livello di azienda agricola. Il manuale fornisce anche stime del costo e dell’efficacia dei metodi di controllo dell’inquinamento a scala di azienda agricola8. I metodi analizzati si basano sulle cosiddette “tre grandi soluzioni”: 1. Ridurre la fonte di inquinamento dai campi agricoli, dalle infrastrutture e dalle aree

di movimentazione di pesticidi, concimi, etc. (ad es. promuovendo il loro corretto uso e gestione);

2. Interrompere o rallentare il percorso dell’inquinamento (ad es. favorendo una buona struttura del suolo al fine di massimizzare l’infiltrazione di pioggia e ridurre al minimo il ruscellamento e l’erosione);

3. Proteggere il recettore o corso d’acqua dalle sostanze inquinanti (ad es. con recinzioni e attraversamenti per il bestiame, fasce tampone etc.).

Le misure comprendono sia pratiche gestionali, sia investimenti in beni ed infrastrutture. Sono raggruppate in 6 categorie e per ciascuna di esse una scheda riporta: la descrizione (le azioni da intraprendere per implementare il metodo), il fondamento logico (i motivi per adottarlo), il meccanismo d’azione (i processi coinvolti e come il metodo può portare alla riduzione dell’inquinamento), le possibilità di applicazione (i sistemi di produzione agricola, le regioni, i terreni e le colture per cui l’applicazione del metodo è più idonea), la praticabilità (semplicità di adozione, possibili influenze su altre pratiche agricole, problemi di massimizzazione

8 Nel 2011 il manuale è stato integrato con i metodi per ridurre l’inquinamento dell’aria e le emissioni di gas a effetto serra di origine agricola. Newell Price J.P. et al., 2011. An Inventory of Mitigation Methods and Guide to their Effects on Diffuse Water Pollution, Greenhouse Gas Emissions and Ammonia Emissions from Agriculture. USER GUIDE.

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dell’efficacia ed eventuale resistenza all’adozione), i costi da sostenere (in termini di costi di investimento e operativi), l’efficacia (nella riduzione delle perdite di ciascuno dei principali inquinanti), altri benefici o rischi di trasferimento dell’inquinamento da un corpo recettore ad un altro (come le emissioni di altre sostanze inquinanti potrebbero essere ridotte o aumentate se il metodo venisse adottato).

Figura 6. Minima lavorazione del terreno in un unico passaggio. Riduce lacompattazione del suolo, ne migliora la struttura e crea un buon letto di semina.

Figura 7. Recinzione dei corsi d’acqua.

© Natural England/Peter Roworth 2010

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Tabella 3. I 44 metodi più efficienti per controllare l’inquinamento idrico diffuso di origine agricola.

Categoria No. Metodo Uso del suolo 1 Convertire i seminativi in pascoli estensivi

Gestione del suolo

2 Introdurre colture di copertura in autunno 3 Lavorare il terreno in primavera piuttosto che in autunno 4 Adottare sistemi di lavorazione ridotta 5 Coltivare i terreni compattati 6 Lavorare e seminare trasversalmente alla pendenza 7 Lasciare in autunno letti di semina grossolani 8 Evitare la creazione di strade poderali durante l’inverno 9 Creare fasce tampone erbose all’interno dei campi 10 Allentare gli strati di suolo compattato nei terreni prativi 11 Mantenere e aumentare i livelli di sostanza organica nel suolo 12 Lasciare che i sistemi di drenaggio dei campi si deteriorino

Gestione del bestiame

13 Ridurre il carico di bestiame totale dell’azienda 14 Accorciare i tempi di pascolo giornaliero o la stagione di pascolo 15 Ridurre il carico di bestiame quando il terreno è umido 16 Spostare gli abbeveratoi e le mangiatoie ad intervalli regolari 17 Ridurre l’apporto alimentare di N e P 18 Adottare l’alimentazione a fasi del bestiame

Gestione dei fertilizzanti

19 Usare un sistema di raccomandazione per i fertilizzanti 20 Integrare i fertilizzanti con il letame 21 Ridurre i tassi di applicazione di fertilizzante 22 Non applicare fertilizzanti P ai terreni ad alto indice di P 23 Non applicare fertilizzanti in aree ad alto rischio 24 Evitare di spargere fertilizzante in periodi ad alto rischio

Gestione dei reflui zootecnici

25 Aumentare la capacità dei depositi di letame (liquame) da allevamento 26 Minimizzare il volume delle acque nere prodotte 27 Adottare lo stoccaggio dei liquami 28 Adottare lo stoccaggio del letame solido 29 Compostare il letame solido 30 Cambiare il sistema di gestione dal liquame al letame solido 31 Situare il letame solido lontano da corsi d’acqua e canali di drenaggio 32 Accumulare il letame solido sul calcestruzzo e raccogliere l'effluente 33 Non applicare letame in aree ad alto rischio 34 Non spargere letame sui campi in periodi a rischio 35 Non spargere liquame o pollina sui campi in periodi a rischio 36 Incorporare il letame nel terreno 37 Trasportare il letame in aziende vicine 38 Incenerire la lettiera avicola

Infrastrutture agricole

39 Recintare fiumi e torrenti dall’accesso del bestiame 40 Costruire ponti per far attraversare fiumi e torrenti dal bestiame 41 Riposizionare i cancelli lontani dalle aree a rischio 42 Piantare nuove siepi 43 Piantare fasce tampone ripariali 44 Creare e mantenere zone umide artificiali

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Il Regime di Sovvenzioni in Conto Capitale (CSF Capital Grant Scheme) Il CSF Capital Grant Scheme fornisce supporto finanziario agli agricoltori che vogliano effettuare investimenti infrastrutturali nella propria azienda per affrontare specifici rischi di inquinamento idrico diffuso. Priorità di finanziamento è assegnata alle domande nelle Aree Target dei bacini prioritari e di partenariato, in linea con le priorità individuate in fase di valutazione di ciascun bacino, e che producono il maggior beneficio ambientale. Hanno priorità di finanziamento anche gli “Accordi di Collaborazione”, cioè investimenti su aziende vicine, in cui la collaborazione possa offrire un valore aggiunto, un approccio integrato a specifici problemi di inquinamento delle acque, un maggiore contributo al conseguimento delle priorità di bacino. Tabella 4. Categorie di opere eleggibili al contributo del Regime di Sovvenzioni in Conto Capitale.

Recinzioni e cancelli 1. Ricollocazione dei cancelli e eliminazione di zone di confine non attribuite a seguito della

ricollocazione dei cancelli 2. Chiuse 3. Recinzione di corsi d’acqua 4. Recinzioni per zone tampone, paludi, praterie umide, boschi umidi e stagni 5. Recinzioni stagionali elettriche ad energia solare

Approvvigionamento di acqua per il bestiame 6. Creazione nei corsi d’acqua di piccole aree per l’abbeveraggio del bestiame 7. Basi stabili per rifornimento di acqua al bestiame 8. Tubazioni e pompe d’acqua per il bestiame 9. Tubazione e pompe temporanee 10. Abbeveratoi con associate condutture (in alternativa all’abbeveraggio dai corsi d’acqua)

Gestione di sedimenti, scarichi di acque e acque sporche 11. Installazioni per il drenaggio separato di acque sporche e acque pulite nelle aziende o nelle aie 12. Aree speciali per i sedimenti 13. Reti fognarie 14. Lavori di separazione acque pulite e acque sporche 15. Installazione di canali sotterranei 16. Azione di riapertura di passaggi sepolti 17. Serbatoi di acqua piovana, fornitura di filtri e altro

Antiparassitari per ovini 18. Ricollocazione di ovili/aree di trattamento con antiparassitari 19. Aree di drenaggio dei residui del trattamento antiparassitario 20. Installazione di abbeveratoi in ovili drenanti per ovini appena trattati con antiparassitari

Altro 21. Sentieri per bestiame e macchinari 22. Gestione dei pesticidi 23. Tetti per zone di raccoglimento bestiame e raccolta del letame 24. Ponticelli 25. Tetti per depositi di fanghi

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Gli investimenti ammissibili includono i costi di manodopera e sono quelli a cui gli agricoltori vanno incontro per mettere in pratica i metodi gestionali e infrastrutturali individuati in fase di consulenza, selezionati come quelli che possono realizzarne meglio gli obiettivi. Il finanziamento prevede un contributo massimo del 50% dei costi effettivi degli investimenti di capitale, fino ad un massimo di 10.000 £ per azienda agricola. Per ciascuna opera finanziabile viene fornito anche un prezzo di orientamento. Tutte le opere ammissibili a finanziamento devono essere conformi con i codici di buona pratica e con la legislazione ambientale, devono avere il permesso delle autorità preposte, se ricadono in prossimità di corsi d’acqua o in aree protette, e devono rispettare le specifiche tecniche indicate per ciascuna di esse. Il Regime di sovvenzioni è stato avviato nel 2007 ed è stato replicato ogni anno. Inizialmente finanziato dall’iniziativa CSF, tramite il Defra, nell’ambito del regime degli aiuti di stato, dal 2010 è finanziato dal Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale (FEASR) ed è parte del Programma di Sviluppo Rurale (PSR) per l’Inghilterra. Più precisamente, rientra nelle misure 121 “Ammodernamento delle aziende agricole” e 125 “Infrastrutture connesse allo sviluppo e all’adeguamento dell’agricoltura e della silvicoltura” dell’Asse 1. Attualmente si attende la proroga di un anno per coprire il 2014/2015, anno di transizione verso il nuovo regime della PAC e del PSR. Per intraprendere dispendiose opere di miglioramento delle aziende sono disponibili ogni anno più di 8 milioni di sterline. Questo rappresenta un notevole incentivo per gli agricoltori che così sono più propensi ad ascoltare i consigli che vengono offerti. Da quando lo Schema è stato avviato sette anni fa, oltre 6.000 agricoltori hanno ricevuto circa 54 milioni di sterline in sovvenzioni per opere di miglioramento infrastrutturale. Collaborazioni strategiche Il CSF incoraggia l’integrazione e le sinergie con altri strumenti politici, come la condizionalità, i regimi agro-ambientali e con altre iniziative o progetti a livello locale, di bacino, regionale e nazionale. Nove Coordinatori Regionali hanno il compito di coordinare l’iniziativa con la Pianificazione dei Bacini Idrografici e con altre iniziative regionali. Il CSF sta lavorando su progetti di consulenza congiunti con partner nazionali e locali che, con proprie risorse e competenze, contribuiscono a rendere più efficaci e più ampiamente disponibili le attività di formazione e consulenza. I partner sono organizzazioni che condividono un interesse per il bacino, il problema dell’inquinamento o che hanno obiettivi comuni e rapporti consolidati con agricoltori

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e consulenti agricoli: agenzie governative, amministrazioni regionali, organizzazioni di categoria, aziende idriche e ONG ambientali, etc. Mentre l’attività di consulenza fornita dal CSF si rivolge agli agricoltori che operano all’interno dei bacini prioritari, le partnership consentono di raggiungere e offrire consulenza anche agli agricoltori al di fuori dei bacini prioritari e a livello nazionale. Tre sono le tipologie di partnership create: 1. Progetti Associati: sono progetti simili in corso in bacini o sub-bacini diversi dai

bacini prioritari, ai quali il CSF offre supporto fornendo servizi di assistenza agli agricoltori su temi e problematiche specifici dell’iniziativa CSF. I progetti sono coordinati da una varietà di organizzazioni del settore pubblico e privato, ONG ambientali e istituti di ricerca o consorzi;

2. Partenariati di Bacino: sono collaborazioni con partner locali che hanno il compito di portare avanti l’iniziativa all’interno di 14 bacini definiti “Bacini di Partenariato”, identificando priorità, aree e settori target, e fornendo i servizi di assistenza e consulenza agli agricoltori.

3. Collaborazioni Nazionali: sono collaborazioni con partner nazionali che forniscono assistenza su argomenti specifici, come l’uso dei pesticidi (Voluntary Initiative), l’agricoltura di precisione (Agricultural and Horticulture Development Board), la pianificazione e la registrazione dei nutrienti (Professional Nutrient Management Group), la riduzione dell’inquinamento idrico attraverso il progetto “Iniziativa pratica per l’informazione sugli inquinanti” (Association of Rivers Trusts).

Queste forme di collaborazione hanno anche consentito di accrescere la capacità di fornire assistenza tecnica agli agricoltori su tematiche specifiche, tramite la formazione di agronomi e consulenti, e di sviluppare e distribuire agli agricoltori ulteriori prodotti (opuscoli e altri materiali stampati) e strumenti di uso pratico per auto-valutare la gestione dei pesticidi o stimare costi e benefici della propria attività agricola. Monitoraggio e valutazione Monitoraggio e valutazione sono una parte essenziale del progetto, per poter misurare il conseguimento degli obiettivi prefissati e valutare l’efficacia delle misure adottate per raggiungerli. La valutazione avviene su tre livelli, in funzione degli obiettivi del progetto: 1. Aumento della consapevolezza e cambiamento delle attitudini degli agricoltori.

Attraverso indagini annuali (questionari, interviste frontali e telefoniche, ecc) viene valutato il livello di recepimento del progetto e dei suoi obiettivi da parte degli agricoltori.

2. Adozione delle misure di controllo dell’inquinamento diffuso delle acque di origine agricola, inclusa l’adesione a programmi e regimi di finanziamento. L’impatto del progetto su questo aspetto viene stimato attraverso visite presso un campione casuale di aziende coinvolte nelle attività di consulenza.

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3. Riduzione delle perdite di sostanze inquinanti dai terreni agricoli, riduzione dei livelli di inquinamento delle acque, miglioramento della qualità delle acque e dei relativi ambienti acquatici, riferibili al progetto. Poiché le risposte della qualità dell’acqua richiedono tempi alquanto lunghi, sono stati prodotti dei modelli per prevedere i miglioramenti ambientali derivanti dal CSF. La creazione e l’uso di modelli sono sostenuti da un programma di monitoraggio della qualità delle acque su un sotto-insieme rappresentativo di bacini.

Usare un approccio basato sull’evidenza (dati di monitoraggio e di modelli) per valutare la performance di un’iniziativa di consulenza, è già di per sé alquanto singolare. Le informazioni ottenute, oltre che dimostrare l’impatto delle azioni di consulenza sui corpi idrici, servono come “base di esperienza” per indirizzare in maniera più mirata le attività di progetto in modo da massimizzare i risultati ambientali. Queste informazioni, ad esempio, hanno contribuito ad individuare le aree geografiche dove il CSF potrebbe avere una maggior probabilità di successo nell’influenzare gli agricoltori e dove le misure di mitigazione possono dare un maggior contributo al miglioramento dei bacini. Sulla base dei risultati di monitoraggio si sta anche cercando di individuare le combinazioni più efficaci di misure di controllo nelle singole realtà; questi potrebbero consentire ulteriori riduzioni di inquinanti, anche più significative rispetto alla sola estensione dell’area coinvolta dal progetto. Conclusioni Risultati Sulla base dei risultati del monitoraggio e della valutazione dell’iniziativa, raccolti al 2011, dopo 5 anni dal suo avvio, il progetto ha conseguito tutti i suoi obiettivi. I risultati dimostrano che la consulenza gratuita può dare un contributo significativo alla riduzione dell’inquinamento idrico diffuso dall’agricoltura. Il successo dell’iniziativa è confermato dal fatto che sta proseguendo tuttora e che le autorità competenti, in vista della sua chiusura prevista per il 2015, stanno già lavorando sul futuro progetto CSF per capire quali adattamenti apportare in vista della nuova CAP, del greening e del prossimo PSR. Il coinvolgimento degli agricoltori è stato molto efficace. Il 17% delle aziende agricole presenti nei bacini idrografici prioritari (38% in superficie), pari al 45% di quelle nelle Aree Target (62% in superficie), ha ricevuto una consulenza diretta. Le collaborazioni con partner locali, di bacino e nazionali, hanno permesso di estendere la portata dell’iniziativa al di là dei bacini idrografici prioritari. Oltre l’80% degli agricoltori coinvolti è più consapevole del problema dell’inquinamento delle acque e ha adottato o intende adottare misure per ridurlo. Oltre il 90% ha indicato il CSF come l’approccio migliore per apprendere dell’inquinamento delle acque. Tutti gli agricoltori coinvolti non solo conoscono il

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sostegno offerto dal CSF, ma anche quello disponibile da altre fonti. Nonostante la maggiore consapevolezza e conoscenza, l’accettazione del fatto che l’agricoltura contribuisce in modo significativo all’inquinamento delle acque è ancora limitata. L’adozione delle misure raccomandate è aumentata significativamente nel corso del tempo, e questo perché il cambiamento di comportamento e l’integrazione dei cambiamenti nelle attività agricole sono processi che richiedono tempo. Il 57% delle aziende che hanno usufruito della consulenza ha adottato più del 62% delle misure raccomandate per controllare l’inquinamento diffuso delle acque. Nella maggior parte dei casi (83%) l’implementazione delle misure di controllo è stata determinata esclusivamente dalla consulenza fornita dal CSF, che quindi dimostra di essere stata efficace nell’indurre un miglioramento nelle pratiche di gestione del suolo e del territorio. I principali fattori di cambiamento sono stati gli incentivi finanziari di consulenza gratuita, il risparmio sui costi (ad esempio, un più accurato calcolo nell’applicazione dei fertilizzanti) e le sovvenzioni (il Programma di Azione sui nitrati, il Sistema di custodia ambientale del territorio e il CSF Capital Grant Scheme sono stati i più significativi). Nonostante molti agricoltori dichiarino che considerazioni di natura finanziaria impediscono loro di fare di più, l’adozione delle misure di controllo che forniscono un risparmio per l’agricoltore è stata solo leggermente superiore (64%) rispetto a quelle con un costo netto associato (60%). Molti agricoltori inizialmente hanno aderito all’iniziativa incentivati dal Regime di contributi, ma nel corso degli anni l’influenza del sistema è andata ben al di là dei miglioramenti che ha finanziato. Il significativo esubero di richieste di accesso ai contributi e la volontà di impegnare il proprio denaro in quantità simile ai contributi ricevuti (il Regime di Sovvenzioni in Conto Capitale del CSF contribuisce al massimo per il 50% dei costi sostenuti) riflettono l’entusiasmo degli agricoltori e il loro impegno per l’ambiente. Riscontri con gli agricoltori sui funzionari CSFOs, sulla consulenza specialistica ricevuta e sul regime di contributi CSF, mostrano un tasso di soddisfazione superiore al 90%. I modelli previsionali indicano che i miglioramenti nelle pratiche di gestione si tradurranno in una significativa riduzione delle perdite di sostanze inquinanti dai terreni agricoli, pari al 5%-10% nelle Aree Target. Queste diminuzioni si traducono in riduzioni di grandezza simile delle concentrazioni degli inquinanti nei corpi idrici. Il monitoraggio della qualità dell’acqua ha evidenziato una riduzione del carico e delle concentrazioni di inquinanti come diretta conseguenza del progetto. Le riduzioni sono arrivate fino a circa il 30% nelle Aree Target di bacini rappresentativi. Le risposte variano tra i diversi inquinanti e bacini idrografici al variare della consulenza offerta, dell’applicazione delle indicazioni fornite e della significatività delle fonti di inquinamento. Il monitoraggio ecologico necessita di raccogliere un record di dati nel lungo termine per poter fornire evidenza della risposta ecologica degli ambienti acquatici. Tuttavia,

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una prima analisi dei dati in alcuni fiumi dei bacini prioritari già forniscono i primi segni di miglioramento ambientale (macroinvertebrati d’acqua dolce). Laddove i requisiti di buono stato ecologico saranno raggiunti, il CSF contribuirà a ridurre le concentrazioni ulteriormente verso gli obiettivi di conservazione dei siti Natura 2000. Fattori di successo L’iniziativa CSF affronta il problema dell’inquinamento diffuso dei corpi idrici dovuto alle attività agricole in una visione unitaria, integrando obiettivi, strumenti e misure individuati nelle politiche e Direttive europee per l’ambiente: Direttiva Acque, Direttive Natura, Direttiva Nitrati, Politica agricola, etc. Anche la scala di intervento deve essere necessariamente ampia, quella di bacino, l’unità fisica-geografica in cui convergono non solo le acque, ma anche tutte le problematiche e le strategie che le riguardano. Stimolando la cooperazione tra le autorità deputate all’attuazione delle politiche ambientali, il CSF si è mostrato essere una risorsa per le attività pianificatorie fornendo in vario modo contributi indispensabili per una pianificazione integrata e la sua successiva applicazione (ad es. la Pianificazione di Bacino, l’implementazione dei Programmi di Misure, la Pianificazione del controllo dell’Inquinamento Idrico Diffuso dei siti Natura 2000). L’iniziativa rappresenta un significativo esempio di collaborazione tra governo centrale, organismi di attuazione (Agenzia per l’Ambiente e Natural England) e parti interessate locali su scala di bacino. Se la strategia deve essere di ampia scala, l’azione per essere efficace deve essere locale, perché il singolo agricoltore opera e “inquina” a livello locale. Con questo obiettivo, il CSF focalizza le proprie attività laddove (aree e settori target) possono fare una reale differenza. Ogni bacino idrografico è diverso, ogni area target presenta caratteristiche ambientali distinte, ogni azienda adotta pratiche agricole peculiari e presenta problematiche di inquinamento specifiche (relative ai nitrati piuttosto che ai sedimenti, o relative a una maggiore sensibilità del ricettore piuttosto che al livello di inquinanti) che vanno valutate e risolte caso per caso. Non esistono soluzioni adatte a ogni situazione. Un elemento di successo del CSF è proprio quello di essere locale e flessibile, lavorando con gli attori locali e con i singoli agricoltori, adeguando i servizi offerti ad ogni singola realtà locale ed offrendo soluzioni su misura per le esigenze di ciascuna azienda agricola. La cooperazione, sotto la guida di un mediatore e dei consulenti incaricati, fra agricoltori, amministrazioni e altri soggetti interessati a livello locale ha dimostrato la sua efficacia. La rete di funzionari CSFO che agiscono da facilitatori e mediatori tra gli organismi di attuazione delle politiche ambientali e gli agricoltori è la principale chiave di successo dell’iniziativa. Lavorano con i rappresentanti della comunità agricola dei Gruppi Direttivi di Bacino per decidere quali misure sono realizzabili in ciascun bacino e come coinvolgere la comunità agricola locale, e lavorano a stretto

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contatto con gli agricoltori a livello locale per costruire rapporti di fiducia ed incoraggiarli ad adottare misure volontarie. Il progetto richiede agli agricoltori di adoperarsi in modo attivo, proattivo e volontario per ridurre il problema dell’inquinamento diffuso. Per far sì che gli agricoltori diventino parte attiva nella risoluzione del problema, il progetto ricerca la loro collaborazione non solo come destinatari dell’iniziativa, ma anche come partner del progetto, sin dalla fase di impostazione della strategia. Come membri dei Gruppi Direttivi di Bacino, il coinvolgimento della comunità agricola è garantito condividendo la diagnosi sullo stato delle risorse idriche e dell’ambiente, agevolando l’espressione del loro parere su aree a maggiore rischio e le priorità da affrontare in ciascuna di esse, condividendo gli interessi del settore agricolo, richiedendo input per adeguare l’assistenza all’interno dei bacini tenendo conto delle circostanze locali, etc. Come destinatari dell’iniziativa, il coinvolgimento degli agricoltori si concretizza promuovendo approcci su misura, realizzando una valutazione economica realistica dell’applicazione dei metodi e comportamenti proposti, suggerendo i fondi disponibili per la loro applicazione e creando un fondo dedicato per coprire quelle spese di miglioramento infrastrutturale che difficilmente un piccolo-medio imprenditore potrebbe sostenere. Un aspetto rilevante del progetto è stata proprio la particolare considerazione data alla situazione economica e sociale delle singole aziende, per ricomprendere tutti gli aspetti delle misure poste in essere e prevenire un impatto negativo sul reddito degli agricoltori. È questo uno dei principali motivi per cui il CSF sembra essere particolarmente apprezzato da parte degli agricoltori. Gli approcci più efficaci e necessari in termini di risultati ambientali non godono sempre di maggiore popolarità e le misure aggiuntive possono incontrare qualche resistenza. Tuttavia, ciò non dovrebbe implicare la mancata adozione delle misure più efficaci, quanto piuttosto la consapevolezza che occorre lavorare per garantire una scelta condivisa dei metodi più appropriati e una comune comprensione in merito alle modalità della loro attuazione. Attraverso una valutazione tecnica dell’intera azienda e una programmazione aziendale condivisa, i funzionari CSFO, i consulenti tecnici e l’agricoltore, individuano soluzioni su misura per ciascuna azienda agricola. Individuare di comune accordo con l’agricoltore le fonti di inquinamento, un decalogo dei metodi da poter applicare per ridurle, come, quando e dove applicarli, i miglioramenti infrastrutturali da apportare e i fondi cui accedere per implementarle, non solo ne garantisce la corretta adozione, ma anche una loro maggiore efficienza, perché sono quelle più idonee alle problematiche ed alle esigenze specifiche dell’impresa. La comunicazione dei benefici ottenuti e dei risultati raggiunti, basati sull’evidenza, è altrettanto importante per garantire che le parti interessate, in particolare gli

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agricoltori, aderiscano all’iniziativa e, se già coinvolti, aumentino il loro impegno e agiscano da cassa di risonanza nel diffondere gli obiettivi dell’iniziativa. La cooperazione diventa ancora più efficace laddove si instaura anche per integrare e creare sinergie con altre iniziative e progetti con cui condivide l’interdisciplinarità del problema dell’inquinamento idrico diffuso di origine agricola. La collaborazione con altri progetti ha consentito di condividere obiettivi, risorse, finanziamenti, competenze e area di influenza di una vasta gamma di organizzazioni con rapporti consolidati con agricoltori e consulenti aziendali. Ciò ha permesso non solo di raggiungere un maggior numero di agricoltori, ma anche di creare nuovi modi e strumenti per coinvolgerli, influenzare i loro comportamenti e stimolare l’adozione dei metodi più efficienti per ridurre l’inquinamento idrico diffuso di origine agricola.

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Bibliografia e sitografia Berglund M., Dworak T., 2009. Integrating water issues in Farm advisory services. A Handbook of ideas for administrations. Final draft for EG meeting Seville 6/7.4.2010. http://ec.europa.eu/environment/water/quantity/pdf/FAShandbk.pdf Commissione Europea, 2011. Links between the Water Framework Directive and Nature Directives. Frequently Asked Questions. http://ec.europa.eu/environment/nature/natura2000/management/docs/FAQ-WFD final.pdf Commissione Europea, 2003. Horizontal guidance on the role of wetlands in the water framework directive. Guidance document No 12 https://circabc.europa.eu/sd/d/47ac25cc-3b7f-4498-a542-afd9e3dc3a4b/Guidance No 12 - Wetlands (WG B).pdf CSF Evidence Team, 2011. Catchment Sensitive Farming. ECSFDI Phase 1 & 2 Full Evaluation Report. Environment Agency http://www.naturalengland.org.uk/Images/csf-evaluationreport_tcm6-27149.pdf CSF, 2012. CSF delivering ecological improvements in the River Dove Catchment. http://www.wildtrout.org/sites/default/files/library/CSF - River Dove Summary Report final 2012.pdf Cuttle S.P. et al., 2007. An Inventory of Methods to Control Diffuse Water Pollution from Agriculture (DWPA). USER MANUAL. Defra http://archive.defra.gov.uk/foodfarm/landmanage/water/csf/documents/UserManual_Jan07.pdf Defra, 2004. Mapping the Problem. Risks of Diffuse Water Pollution from Agriculture http://archive.defra.gov.uk/foodfarm/landmanage/water/csf/documents/mapping-problem-lowres.pdf English Nature, 2003. Prioritising designated wildlife sites at risk from diffuse agricultural pollution. Research Reports. Report Number 551. http://publications.naturalengland.org.uk/file/73046 Environment Agency and English Nature, 2005. Identification of priority catchments for the England Catchment Sensitive Farming Delivery Initiative http://adlib.everysite.co.uk/resources/000/147/329/csfmethodology_1247009.pdf Everall Nick, 2013. Ecological Appraisal of the Catchment Sensitive Farming Project in the upper River Dove, River Manifold and River Hamps from 2009-2013. Aquascience. AQ06/Dove EA.

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Link utili Natural England, 2013. CSF Capital Grant Scheme Farmer Handbook (CSF 3) http://publications.naturalengland.org.uk/file/4721409 Sito istituzionale del Regno Unito https://www.gov.uk/catchment-sensitive-farming Sito istituzionale del Defra http://archive.defra.gov.uk/foodfarm/landmanage/water/csf/index.htm Sito istituzionale dell’Environment Agency http://www.environment-agency.gov.uk/business/sectors/32767.aspx Sito istituzionale di Natural England http://www.naturalengland.org.uk/ourwork/farming/csf/default.aspx

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Mantenimento dell’attività pastorale per la conservazione degli habitat di prateria nella regione Rhône-Alpes (Francia) Il progetto “Life Nature et Territoires” è stato realizzato dall’Office National des Forêts Rhône-Alpes (Ente Nazionale per la Gestione Forestale) nella Région Rhône-Alpes (Francia), dal 2004 al 2008, con l'obiettivo di favorire l’integrazione della gestione dei siti Natura 2000 nella politica di sviluppo locale nel territorio del Rhône-Alpes. Un notevole impegno è stato posto per il raggiungimento della consapevolezza da parte della cittadinanza dei benefici economici e del miglioramento della risorsa ambientale derivanti da Natura 2000, soprattutto tramite incontri specifici, distribuzione di volantini e posizionamento di cartelli informativi. Le principali minacce individuate nell’area in questione erano infatti: - Uno scarso accoglimento della Rete Natura 2000 da parte degli attori locali; - Il mancato inserimento della Rete Natura 2000 nella politica territoriale; - La chiusura degli ambienti aperti (conservazione delle praterie), a cui il LIFE ha

risposto attraverso il ripristino di 180 ettari di habitat di praterie, lande, alpeggi, ecc. e la stesura di una guida per le pratiche pastorali;

- Il degrado degli habitat per abbandono delle pratiche agro-pastorali o per cattivo utilizzo degli stessi a causa dell'eccessivo sfruttamento turistico di alcune aree.

Le minacce sono state affrontate da vari punti di vista e hanno riguardato quattro tematiche principali: 1. Il mantenimento dell’attività pastorale per consentire la conservazione degli

habitat prativi e permettere lo sviluppo dell’economia nelle aree montuose. Questo tema è stato affrontato attraverso il recupero di 75 ettari di alpeggi. Le attività hanno previsto la consultazione degli allevatori alpini e la realizzazione di 11 contratti per il pascolo d’alta quota. È stato realizzato un workshop e una guida tecnica per il pastoralismo;

2. Il mantenimento delle attività selvicolturali per preservare gli habitat forestali più a rischio nei siti Natura 2000 e favorire lo sviluppo del territorio sulla base dell’economia forestale. Le convenzioni realizzate hanno permesso un ulteriore finanziamento di 1M€ a supporto delle attività volte alla conservazione della biodiversità. Sono stati ripristinati circa 50 ettari di habitat forestali. Sono stati inoltre aperti 17,5 ettari di bosco per promuovere lo sviluppo delle praterie a orchidee e per la raccolta dei mirtilli.

3. La corretta gestione della risorsa idrica in modo da salvaguardare gli habitat ad essa correlati. Il progetto ha promosso soluzioni per la gestione dei sistemi idrici a lungo termine, che integrassero la conservazione degli ambienti umidi. Sono stati ripristinati 24 ettari di torbiere e 28 ettari di stagni e paludi.

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4. Lo sviluppo turistico eco-compatibile, favorendo lo sviluppo dell’eco-turismo e la conservazione a lungo termine degli Habitat Natura 2000. Sono stati realizzati un giardino delle torbiere e percorsi didattici e sentieri all’interno dei siti per favorire lo sviluppo turistico. Più di 2000 bambini e 400 adulti hanno preso parte alle suddette attività.

I siti Natura 2000 Il progetto ha interessato 16 siti Natura 2000 nella regione Rhône-Alpes nel Sud Est della Francia, afferenti alle regioni biogeografiche Alpina, Mediterranea e Continentale. Nell'area Rhône-Alpes sono inclusi inoltre 3 Parchi Nazionali, 4 Parchi Regionali e 2 Riserve Naturali Nazionali che sono state coinvolte nelle attività svolte sui singoli siti. Nella scelta dei siti il progetto ha dato priorità a tutte quelle aree che rispecchiavano gli scopi prevalenti degli obiettivi prefissati dal progetto stesso; pertanto sono stati selezionati tutti quei siti da cui si poteva evidenziare la massima “diversità” a tutti i livelli, in particolare rispetto al: - contesto geografico-naturalistico (secondo 2 transetti ideali: montagna/pianura,

nord-est/sud-ovest); - contesto socio-economico della regione oggetto di studio. Per ogni sito sono stati prodotti dei programmi ad hoc, con specifiche azioni e misure di conservazione. Nella figura 1 è evidenziata la localizzazione del progetto.

Figura 1. Area del progetto (Rhône-Alpes).

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La figura 2 mostra la diversità geografica all’interno dell’area, evidenziando le diverse morfologie altimetriche e la presenza di ambienti umidi (montani e sub-montani). I siti Natura 2000 selezionati sono indicati sulla carta dai punti in blu.

Figura 2. Siti Natura 2000 inclusi nell'area di studio.

Come evidenziato nella figura 3, l’area Rhône-Alpes è ricca di siti Natura 2000 sia nazionali che transfrontalieri.

Figura 3. Distribuzione dei SIC nell'area da Natura 2000 Viewer. Nella tabella 1 sono descritti sinteticamente i siti coinvolti rispetto alla tematica della gestione pastorale e sono indicati gli habitat e le specie, rispettivamente dell’allegato I e II della Direttiva Habitat.

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Tabella 1. Lista dei siti coinvolti nella tematica della ‘Gestione pastorale e biodiversità. Denominazione Sito Descrizione

Molière – Plateau de Sornin

Il sito è composto da habitat di prateria e da habitat forestali. È caratterizzato da attività silvo-pastorali e turistiche. Tra le minacce, sono riconosciute la chiusura delle aree aperte per riduzione delle attività di manutenzione, danneggiamento degli habitat per una gestione sbagliata o eccesso di turismo. Habitat: 4060, 4070, 5130, 6110, 6170, 6210, 6230, 6430, 6510, 6520.

Charmant Som Sono presenti habitat prativi e alcuni habitat forestali prioritari. L’utilizzo del territorio da parte dell’uomo è molto antico. L’alpeggio di Charmant Som è l’ultimo alpeggio con produzione di formaggi della valle dell’Isère. Questo testimonia la necessità anche per gli attori locali di una gestione durevole nel tempo, che preveda il mantenimento dei pascoli. La presenza del turismo per la vicinanza alla città di Grenoble e lo sfruttamento delle risorse forestali sono le altre attività economiche del territorio. Habitat: 6170; 6520. Specie: (Allegato II Lynx (2 individui censiti) e Rosalia alpina (con popolazioni di circa 1000 individui).

Massif des Bauges I principali problemi di gestione degli alpeggi nel sito, prevalentemente privati, sono dovuti all'abbandono del pascolo che ha determinato la chiusura di alcune aree prative da una parte e dal troppo utilizzo che banalizza la flora dall'altro. La sfida principale era riuscire a recuperare gli alpeggi in accordo con lo sviluppo locale. I settori del sito esposti a sud e a quote basse sono coperti da praterie dell'habitat 6210(*). La vegetazione degli alpeggi può essere identificata nell'habitat 6520 ricco di specie, tra cui Eryngium alpinum (7 siti), Potentilla delphinensis (3 siti), specie di interesse comunitario presenti solo nel SIC.

Mont de Grange, Cornettes de Bise

I due massicci che costituiscono una ZSC sono situati nel nord del dipartimento dell'Alta Savoia. Sono caratterizzati da habitat forestali e sono ricchi anche di pascoli, che necessitano di gestione per il loro mantenimento. Gestione che dovrebbe essere pensata anche nell'ottica di uno sviluppo a lungo termine dell'area. Il progetto LIFE ha lavorato proprio in questo senso. Il sito fa parte delle prealpi e sono caratterizzati da terreni marnosi e calcarei. Gli alpeggi si trovano nell'orizzonte montano e alpino. Sono stati censiti gli habitat di prateria 6520, 6170 e le lande dell'habitat 4060. E' possibile inoltre trovare i prati umidi e le torbiere (6430 – 7110). Le specie di direttiva presenti nell'area sono Eryngium alpinum e Sorex alpinus.

Haute Chaine du Jura Il sito ha una grande varietà di ambienti (forestali, prativi e rocciosi) che hanno permesso l'istituzione di una riserva naturale nazionale. L'istituzione del sito Natura 2000 ha conosciuto forti opposizioni e le attività dell'uomo sono ancora molto presenti nell'area. Lo scopo del LIFE in questa area è stata proprio quella di promuovere la conoscenza della biodiversità e della sua importanza anche alla luce delle attività dell'uomo e di promuovere quindi la Rete Natura 2000 e la pastorizia nei 4 alpeggi del sito. Soprattutto nelle aree di quota è possibile rintracciare i seguenti habitat: 6510, 6520, 6170. Tra le specie di interesse animale sono state censite Lynx linx, Triturus cristatus, Bombina variegata, Rosalia alpina; tra le piante: Botrychium simplex, Eryngium alpinum, Cypripedium calceolus).

Hautes Chaumes du Forez

Il sito comprende il settore occidentale del massiccio fino alla quota di 1640 m s.l.m. Il progetto LIFE ha cercato di promuovere il mantenimento degli alpeggi e le attività forestali in modo da favorire lo sviluppo economico nell'ottica della conservazione della biodiversità. Tra gli habitat, le lande secche montane e subalpine (4030 e 5120) occupano il 50% del territorio. La presenza di specie rare danno un alto valore ecologico all'habitat 6230. Le praterie montane dell'habitat 6520 sono molto ricche dal punto di vista floristico e sono attualmente minacciate dall'abbandono dei pascoli. Le torbiere (codice habitat 7110, 7140, 7120, 7130, 7150 e 91D0) sono molto differenziate dal punto di vista tipologico e occupano più di 80 ettari: in questa area infatti c’è il più grande complesso di torbiere della Francia.

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Denominazione Sito Descrizione

Massif du Tanargue Il sito è molto ricco in specie e habitat ed è anche molto utilizzato da parte dell'uomo sia in termini agro- silvo pastorali che turistici e per questa ragione si è prestato bene al progetto LIFE. Tre sono state le principali azioni: promuovere l'importanza della Rete Natura 2000, l'inserimento della stessa nell’ambito dello sviluppo locale e il ripristino delle aree aperte. Il sito, compreso tra la regione biogeografica mediterranea e quella continentale, è prevalentemente boscata, ma sono presenti habitat di torbiera (7110, 7120), lande (4030, 4060, 5120). Tra le specie di allegato II di Direttiva, Buxbaumia viridis, Rosalia alpina (popolazione stimata di 300 individui) e Osmodermia ermita (2 segnalazioni).

Valdrôme Si tratta di un sito in una zona di transizione tra la regione biogeografica mediterranea, atlantico-continentale e continentale. È dominato da aree forestali e prative con notevoli interessi silvo-pastorali. Più di 300 pecore percorrono l'area in estate. È segnalata una popolazione relitta di Cypripedium calceolus che è minacciata dall'incespugliamento dell’habitat. Anche gli interessi turistici sono forti. Nell'area sono presenti dei campi da sci, che tuttavia negli ultimi anni sono stati utilizzati meno, a causa della riduzione della neve. Il progetto LIFE ha lavorato per cercare di promuovere anche le attività turistiche, ma nell'ottica della conservazione della biodiversità. Tra gli habitat prativi sono segnalati il 6170 e il 6210(*). Tra le specie di allegato II: Cypripedium calceolus, Euphydryas aurinia, Callimorpha quadriunctuaria.

Nella figura e nella tabella che seguono sono elencati rispettivamente le specie di allegato II e gli habitat di allegato I, target del progetto.

Figura 3. Cypripedium calceolus, specie target di alcune azioni specifiche del progetto.

Specie vegetali: - Buxbaumia viridis - Botrychium simplex - Potentilla delphinensis - Eryngium alpinum -Cypripedium calceolus. Specie animali: - Callimorpha quadriunctuaria -Euphydryas aurinia -Osmodermia ermita - Rosalia alpina - Triturus cristatus - Bombina variegata -Lynx lynx -Sorex alpinus.

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Tabella 2. Lista degli habitat oggetto del progetto. Habitat

3140 Hard oligomesotrophic waters with benthic vegetation of Chara spp.

3240 Alpine rivers and their ligneous vegetation with Salix elaeagnos

4030 European dry heaths

4060 Alpine and Boreal heaths

5110 Stable xerothermophilous formations with Buxus sempervirens on rock slopes (Berberidion p.p.) 5120 Mountain Cytisus purgans formations

6170 Alpine and subalpine calcareous grasslands

6210 (*) Seminatural dry grasslands and scrubland facies on calcareous substrates (Festuco-Brometalia) (* important orchid sites)

6230 Speciesrich Nardus grasslands, on silicious substrates in mountain areas (and submountain areas in Continental Europe)

6410 "Molinia meadows on calcareous, peaty or clayeysiltladen soils (Molinion caeruleae)" 6430 Hydrophilous tall herb fringe communities of plains and of the montane to alpine levels 6520 Mountain hay meadows

7110 Active raised bogs

7120 Degraded raised bogs still capable of natural regeneration

7140 Transition mires and quaking bogs

7150 Depressions on peat substrates of the Rhynchosporion

7210 Calcareous fens with Cladium mariscus and species of the Caricion davallianae

7220 Petrifying springs with tufa formation (Cratoneurion)

7230 Alkaline fens

8110 Siliceous scree of the montane to snow levels (Androsacetalia alpinae and Galeopsietalia ladani) 8120 Calcareous and calcshist screes of the montane to alpine levels (Thlaspietea rotundifolii) 8130 Western Mediterranean and thermophilous scree

8150 MedioEuropean upland siliceous screes

8210 Calcareous rocky slopes with chasmophytic vegetation

8220 Siliceous rocky slopes with chasmophytic vegetation

8230 Siliceous rock with pioneer vegetation of the Sedo-Scleranthion or of the Sedo albiVeronicion dillenii 8240 Limestone pavements

8310 Caves not open to the public

9110 Luzulo-Fagetum beech forests

9130 Asperulo-Fagetum beech forests

9140 MedioEuropean subalpine beech woods with Acer and Rumex arifolius

9150 MedioEuropean limestone beech forests of the Cephalanthero-Fagion

9170 Galio-Carpinetum oakhornbeam forests

9180 Tilio-Acerion forests of slopes, screes and ravines

91D0 Bog woodland

91E0 Alluvial forests with Alnus glutinosa and Fraxinus excelsior (Alno-Padion, Alnion incanae, Salicion albae)

9410 Acidophilous Picea forests of the montane to alpine levels (Vaccinio-Piceetea)

9430 Subalpine and montane Pinus uncinata forests (* if on gypsum or limestone)

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La ricchezza e la diversità di siti che sono stati oggetto di intervento, indicano che le problematiche individuate dal progetto LIFE, e le relative buone pratiche, potrebbero trovare un’applicazione in un’area più vasta di quella prevista dal progetto, in direzione del concetto di connettività ecologica della Rete Natura 2000 e di condivisione delle problematiche per la gestione comunitaria del territori alpini di confine. Le misure di gestione oggetto del caso studio La strategia di gestione implementata attraverso il progetto LIFE si è articolata su due obiettivi principali: - sviluppo di un programma di gestione dei siti Natura 2000 che tenesse conto dei

fruitori del territorio; - messa in opera di una politica di sviluppo del territorio che tenesse presente

anche le risorse naturali e che permettesse quindi un’economia sostenibile dal punto di vista ambientale e durevole nel tempo.

Le convenzioni In quest’ottica, nel quadro del progetto LIFE sono state sottoscritte 25 specifiche convenzioni con gli allevatori della zona, per uno sviluppo durevole e sostenibile della Regione in termini di conservazione e gestione delle risorse naturali. Tali convenzioni sono state sostenute da diverse forme di finanziamento. Nella figura a fianco vengono sintetizzate le azioni programmatiche dei finanziamenti utilizzati (Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale, Programma operazionale per il fondo sociale europeo, POR, FEDER, contratti Stato-Regioni, Piani specifici per le aree, la Convenzione Internazionale Alpi, Giura, Massiccio Centrale, politiche locali e singoli finanziatori). Attraverso queste convenzioni è stato possibile finanziare attività per mettere in opera le azioni previste dai documenti programmatici del progetto LIFE. In alcuni casi il finanziamento si è protratto per un tempo maggiore rispetto a quello del LIFE stesso. Dettagli su come procedere per la richiesta di finanziamenti per la Rete Natura 2000 sono rintracciabili in una sorta di guida tecnica per la richiesta di finanziamenti realizzata sempre nell’ambito del progetto (Simon et al. 2008).

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Le attività agro - pastorali e lo sviluppo del territorio Sono state inoltre intraprese azioni volte a favorire la conservazione della biodiversità per mezzo della gestione pastorale o quella delle risorse forestali, attraverso la messa in opera di lavori di ripristino dimostrativi, colloqui con gli attori locali e organizzazione di workshop o eventi con lo scopo di pubblicizzare le finalità e gli obiettivi fissati nel progetto. In dettaglio, per la gestione dell’attività pastorale, oltre al finanziamento del LIFE, sono stati utilizzati a partire dal 2007 fondi FEADER (Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale), per realizzare le Misure Agro-Ambientali Territoriali (MAEt) che si applicano nei Siti Natura 2000. Si tratta di misure di compensazione per gli agricoltori, che per un periodo di 5 anni si impegnano a rispettare delle buone pratiche all’interno delle aree Natura 2000 (http://feader.rhone-alpes.agriculture.gouv.fr). Nel quadro dell’asse IV del FEADER “Creazione di strategie locali integrate e la realizzazione di azioni concrete”, si è inserito il progetto LEADER, nell’ambito del quale è stato indetto un bando per progetti di sviluppo locale, per un contributo di

23.500.000,00 € nell’area Rhone-Alpes (2007-2013). Tali azioni erano finalizzate a un approccio integrato e innovativo per la realizzazione di progetti di cooperazione per lo sviluppo sostenibile e la conservazione degli habitat in Direttiva (http://feader.rhone-alpes.agriculture.gouv.fr/IMG/pdf/Appel_a_projets

_LEADER_2007-2013_Rhone-Alpes_ cle8d1477-1.pdf). Per il recupero delle attività agro-pastorali, il progetto LIFE ha determinato il ripristino di 180 ha di habitat (praterie umide, lande, torbiere, alpeggi, paludi, stagni e praterie aride) e ha permesso l'elaborazione di contratti per la gestione delle praterie d'alpeggio degradate. Di seguito vengono approfonditi tre casi specifici come esempio

delle attività intraprese e dei risultati ottenuti.

Figura 1. Pascoli del sito Massif des Bauges, dove sono stati realizzati piani specifici per il pascolo.

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1. Massif des Bauges Nell’area del Massif des Bauges, sono stati finanziati 28.000,00 € derivanti dal Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale (FEDER) per mezzo dell’iniziativa comunitaria Interreg, per il ripristino degli alpeggi. Il ricorso a fondi Interreg è stato pianificato per proseguire le attività dopo la fine del progetto LIFE. In questo sito è stato realizzato un piano di gestione pastorale (Plan de gestion «Charbonnet» 2006 - 2011 / Site Natura 2000 S15 / Parc naturel régional du Massif des Bauges / Doc de travail 7/11/05), finalizzato al ripristino degli alpeggi per favorire la conservazione delle risorse naturali. Il lavoro è stato concertato in partenariato con la ‘Chambre d’agriculture de la Savoie’, la ‘Société d’Economie Alpestre de la Haute Savoie’, l’ Office National de la Chasse et de la Faune Sauvage, i proprietari dei terreni e l’ONF, che ha assunto la direzione del Réserve Nationale de Chasse et de Faune Sauvage. In particolare, le azioni prevedevano, prima di tutto, lo sviluppo di uno studio sulla storia dell’alpeggio nel territorio a partire dagli inizi del ‘900. Questa scelta è stata fondamentale perché ha permesso di capire quali sarebbero state le azioni più importanti da realizzare per una buona riuscita della riattivazione della pratica dell’alpeggio. I risultati ottenuti hanno evidenziato la necessità di una strategia, mirata nella scelta del tipo e del quantitativo di bestiame da impiegare, per la selezione degli accessi agli alpeggi e per la stima del numero di addetti ai lavori necessari al mantenimento delle attività pastorali. L’analisi storica ha evidenziato inoltre, che il pascolo nel tempo è passato da prevalentemente bovino, all’inizio del ‘900, a principalmente ovino fino agli anni Settanta, quando l’area divenne di proprietà dello Stato Francese (Office National de la Chasse et de la Faune Sauvage), per diventare poi una riserva naturale. Una volta sancita l’importanza di ripristinare l’alpeggio, nell’ambito del progetto LIFE sono state realizzate le seguenti azioni, finanziate anche per mezzo di contratti Stato-Regioni, per un totale di 60.000,00 € (dettagli sul tipo di contratto sono rintracciabili in Simon el al. 2008): - Eliminazione della flora legnosa in alcune aree specifiche per

permettere l’ingresso e il passaggio del bestiame lungo le vie di transumanza mantenendo però la diversità di paesaggio e aree di ombreggiamento utili al pascolo;

- Realizzazione delle recinzioni per il bestiame; - Controllo veterinario dei capi per evitare trasmissioni di parassiti alla fauna

selvatica; - Realizzazione di convenzioni per l’utilizzo degli alpeggi, previo pagamento da

parte della popolazione locale interessata di un canone annuale di 1.500 € per circa 120 ettari. La convenzione con i pastori ha avuto la durata di 6 anni;

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- Realizzazione di studi scientifici allo scopo di selezionare i siti più interessanti dal punto di vista conservazionistico (ad esempio per la presenza di Eryngium alpinum o Primula auricola) e in modo da comprendere le conseguenze delle azioni messe in opera.

L’importanza della realizzazione di questo piano di gestione pastorale risiede nel fatto che l’analisi del passato ha permesso di comprendere quale sia stato il maggiore cambiamento nel tipo di pascolo, noto per l’intero arco alpino. Dopo gli anni ’70 si è assistito nell’area di studio, così come in generale nelle Alpi, all’abbandono delle pratiche pastorali da latte di tipo estensivo in favore di un metodo più moderno ed intensivo di pastorizia, legato all’uso della carne. Questo cambiamento è stato

accompagnato da un cambiamento socio-economico riguardo la proprietà del pascolo, che da condivisa è divenuta individuale, fenomeno questo che in genere viene seguito dall’abbandono per insostenibilità dell’attività agro-pastorale a lungo termine. Proprio un ritorno alle pratiche estensive di pascolo è necessario per promuovere l’economia locale, soprattutto a lungo termine. Per invogliare la popolazione locale al ritorno alla pastorizia si è deciso quindi di promuovere l’utilizzo della carne, come prodotto economico, piuttosto che del latte, che tra l’altro prevede alpeggi di quota maggiore, alla quale il bestiame va adattato nel tempo. Nella guida tecnica al pastoralismo (Conservatoire Rhône-Alpes des Espaces Naturels 2008) si auspica comunque un ritorno al pascolo da latte. Il tipo di bestiame scelto per il piano pastorale è stato quello

bovino da carne e, secondariamente, quello equino. La scelta è stata dettata dal fatto che il rischio di contagio da parassiti per la fauna selvatica è minore nel caso di allevamento da carne. In dettaglio, le misure di gestione del pascolo nel sito Massif des Bauges vengono stabilite secondo le seguenti linee guida: - recuperare gli accessi all’alpeggio; - limitare lo stazionamento delle mandrie per evitare un eccesso di pascolo

(evidenziato dall’invasione di megaforbie idrofile e nitrofile); - mantenere un periodo di riposo tra due utilizzi del pascolo, per permettere lo

svolgimento del ciclo vegetativo della prateria; - limitare l’utilizzo di insetticidi nel trattamento delle mandrie; - favorire il pascolo tardivo (dopo il 15 agosto) nei settori più importanti per la

riproduzione di Tetrao tetrix (Gallo forcello); - favorire un pascolo leggero di alcuni settori, in modo da mantenere il cotico

erboso fino al 15 agosto sempre in funzione dell’alimentazione del gallo forcello;

Figura 5. Importanza della disponibilità di acqua per il bestiame.

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- impedire l’accesso ad alcune zone ai mufloni, che possono competere con i camosci.

Per mantenere l’alpeggio in buono stato di conservazione, è stato previsto nel piano di gestione di seguire il comportamento delle mandrie e indirizzarne il pascolo e gli stazionamenti; soprattutto per questa ragione viene caldeggiata la realizzazione di fontanili (punti d’acqua) dove gli animali possano abbeverarsi. Accesso n° 1 da Doucy-En_bauges-Cul du Bois Tipo di lavoro svolto Km Costo

(€) Impatti

sull'ambiente naturale

Impatti sul paesaggio

Legame con altre attività

Pista 4*4 già esistente 1.7

Creazione di Pista Quad, o allargamento del sentiero esistente (tre tratte, una delle quali con passaggio difficile)

3.4 42100-53500

molto bassi, Alnete da ripristinare (nel

primo tratto), attenzione alle

stazioni di Primula auricola (nel

passaggio difficile)

Medi, il passaggio

difficile prevede la

realizzazione di un'opera

poco visibile da lontano,

ma ben visibile dai

turisti in escursione

Permette un buon uso interno

dell'alpeggio di Golet de Doucy, ma attenzione alla

convivenza con i turisti(nel passaggio

difficile)

Accesso n° 2 da Chevaline-Combe d'Ire via Planay Tipo di lavoro svolto Km Costo

(€) Impatti

sull'ambiente naturale

Impatti sul paesaggio

Legame con altre attività

Pista 4*4 difficile già esistente 3.3

Creazione di Pista Quad, o allargamento del sentiero esistente (due tratte)

3.5 28300-37700

Medi poiché attraversa molti

ambienti naturali

Medi Migliora l'accesso e il passaggio anche per i

forestali Accesso n° 2 da Chevaline-Combe d'Ire via Planay Tipo di lavoro svolto Km Costo

(€) Impatti

sull'ambiente naturale

Impatti sul paesaggio

Legame con altre attività

Miglioramento di una pista forestale

2.5 2000 Migliora l'accesso e il passaggio anche per i

forestali Creazione di Pista Quad 3 27000-

33000 Da Medi a Elevati, settore attualmente

poco frequentato

Bassi, territorio

essenzialmente forestale

Migliora l'accesso e il passaggio anche per i

forestali

Figura 6. Criteri per la scelta degli accessi potenziali agli alpeggi (Plan de gestion « Charbonnet » 2006 - 2011 / Site Natura 2000 S15 / Parc naturel régional du Massif des Bauges / Doc de travail 7/11/05).

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Nella tabella precedente si riporta un esempio di come sia avvenuta la scelta degli accessi agli alpeggi, del costo e delle ricadute sul paesaggio e sulle altre attività esistenti, compresa quella turistica, poiché è evidenziato nel piano di gestione come questo possa favorire le visite dei sentieri che percorrono le bestie all’alpeggio; la vista delle mandrie è infatti gradita ai turisti. 2. Hautes Chaumes du Forez Nel sito Hautes Chaumes du Forez circa 1.000 ha di pascoli sono stati oggetto di Misure Agro-Ambientali territoriali (MAEt) (CREN, 2008) sostenute da varie forme di finanziamento oltre Natura 2000. Ad esempio, Spazi Naturali Sensibili (ENS, politiche di sviluppo locale) e CDPRA (Contratti di Sviluppo Rhône Alpes che prevedono un finanziamento di 50-100 € per abitante per 5 anni, per un finanziamento massimo del 10% del totale, per progetti che promuovano lo sviluppo durevole). Alcuni di questi finanziamenti sono proseguiti anche oltre la durata del progetto LIFE (Simon et al. 2008). Il progetto specifico nel sito Hautes Chaumes du Forez ha avuto il merito di protrarsi per lungo tempo, a partire dal 1990. Nonostante ciò le azioni hanno avuto delle difficoltà di applicazione perché il progetto è sembrato inizialmente piuttosto teorico agli eventuali usufruitori e per la difficile gestione di un parternariato molto complesso (Simon et al. 2008). 3. Mont de Grange, Cornettes de Bise Nei siti Mont de Grange, Cornettes de Bise sono state messe in opera misure di compensazione (MAEt) per un totale di 570.000 € a favore dei pastori locali. Per il ripristino delle praterie sono stati finanziati, quasi completamente dal LIFE, circa 22.000 €. La guida tecnica per diffondere l’importanza del pascolo estensivo Il lavoro svolto sugli alpeggi si è concluso con la realizzazione di una guida tecnica (Agreil & Greff 2008) per diffondere le informazioni raccolte e, in particolare, propagare l’importanza del pascolo estensivo, come buona pratica pastorale. I concetti principali della guida tecnica si fondano sulla comprensione e la compenetrazione degli obiettivi della conservazione e della gestione pastorale, sulla proposta del tipo e della modalità di pascolo e sul monitoraggio (Brunel, 2005) dei risultati per migliorare le attività previste. In particolare, secondo i dettami della guida tecnica, per scegliere come recuperare o ripristinare un alpeggio bisognerebbe procedere nel seguente modo: - identificare gli habitat da conservare e comprendere le minacce a cui essi sono

sottoposti; - identificare se e in che modo il pascolo può rispondere a tali minacce;

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- identificare le relazioni tra 4 elementi che devono essere considerati come fondamentali per l’alpeggio, ovvero la vegetazione, il bestiame, i parassiti, la quota;

- proporre le modalità di pascolo; - valutare i risultati per mezzo del monitoraggio. Secondo la guida tecnica, il dinamismo della vegetazione non va considerato in modo autonomo rispetto al bestiame. La chiusura del pascolo a causa della naturale evoluzione della vegetazione non viene vista come una minaccia per la conservazione della prateria, ma viene dato risalto al valore fondamentale del cespuglieto e degli alberi isolati che consentono un ombreggiamento utile al bestiame. La guida suggerisce di tenere sotto osservazione la dinamica della vegetazione anche in termini di tratti funzionali delle specie, così da evidenziare le modalità con le quali la vegetazione risponde al pascolo. Viene sottolineato il ruolo fondamentale del pascolo estensivo in siti naturali che può essere protratto in genere per un periodo di tempo più lungo rispetto a quello intensivo, grazie alla conservazione della biodiversità che permette la coesistenza di specie precoci e tardive nello stesso sito (Fig. 7). Inoltre, a differenza di quanto in genere viene evidenziato, la presenza di graminacee “sociali”, come Brachypodium sp. pl., può rappresentare un’importante risorsa per l’alpeggio perché esse permettono di mantenere più a lungo il bestiame sul territorio (Agreil & Greff 2008).

Figura 7. Esempio di differenziazione del periodo di produzione di un alpeggio ad elevata diversità.

La scelta delle diverse specie e razze di bestiame per il pascolo è assolutamente empirica e l’educazione del bestiame alla quota deve essere accompagnata da periodi di adattamento e dalla corretta realizzazione di punti di accesso e di abbeveraggio. Si suggerisce infine di far pascolare i diversi animali nelle parcelle di alpeggio in periodi diversi dell’anno (Fig.8), in modo da promuovere ulteriormente la conservazione della biodiversità.

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Secondo la guida è necessario comprendere se le pratiche pastorali scelte diano un buon risultato sia nell’ottica del recupero delle pratiche legate agli alpeggi, sia in termini di sviluppo economico locale, che per quanto riguarda la conservazione di habitat e specie faunistiche. Nelle figure 9 e 10 riportiamo uno schema generale riassuntivo di gestione pastorale e lo schema adottato per valutare la scelta e la buona riuscita del ripristino dell’alpeggio.

Figura 9. Schema riassuntivo della guida tecnica per la gestione pastorale.

Figura 8. Relazioni tra tipo di bestiame, periodo di pascolo e grandezza della parcella.

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IL BESTIAME FREQUENTA LA ZONA? SI'

Il bestiame non mangia la vegetazione obiettivo? RISPOSTA SOLUZIONE PROPOSTA

è tossica capire se la specie è realmente tossica o se gli animali possono adattarsi a mangiarla

non riesce ad accedere rendere accessibile l'area il bestiame non la conosce insegnare agli animali a conoscere la pianta c'è un problema di complementarità

nell'offerta portare gli animali in un altro periodo, cercando di far corrispondere l'arrivo con la fenologia della specie o ampliare l'area del pascolo

Il bestiame mangia poco è tossica capire se la specie è realmente tossica o se gli animali

possono adattarsi a mangiarla c'è un problema di complementarità

nell'offerta portare gli animali in un altro periodo, cercando di far corrispondere l'arrivo con la fenologia della specie o ampliare l'area del pascolo

competizione con altre specie portare gli animali in un altro periodo sovrabbondanza delle risorse aumentare la pressione del pascolo in termini di

aumento del numero di individui o della durate di permanenza nell'area

Il bestiame mangia molto? mangia la vegetazione obiettivo bene, ma continuare il monitoraggio per evidenziare

cambiamenti futuri (il limite non deve comunque superare le 3-4 settimane)

non mangia la vegetazione obiettivo cambiare stagione, educazione del bestiame o intervento meccanico complementare

NO

RISPOSTA SOLUZIONE PROPOSTA non riesce ad accedere rendere accessibile l'area clima sfavorevole cambiare stagione, creare delle coperture topografia (pendenza o inclinazione

eccessive) educazione del bestiame o creazione di punti di interesse

problemi di pedologia, idrologia cambiare stagione sovrabbondanza delle risorse aumentare la pressione del pascolo in termini di

aumento del numero di individui o della durate di permanenza nell'area

area per il pascolo troppo grande dividere l'area in modo da aumentare la pressione del pascolo

Figura 10. Esempio di questionario per il monitoraggio delle buone pratiche di Alpeggio.

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Tabella 3. Schema riassuntivo delle attività pre-intra e post LIFE SITI ATTIVITÀ

PRIMA DEL LIFE

ATTIVITÀ REALIZZATE DAL LIFE

ATTIVITÀ SCATURITE A SEGUITO DEL LIFE

Molière – Plateau de Sornin

progetto di sviluppo del sito

studio sul valore pastorale e ricchezza floristica delle praterie e ripristino di 15 ha di prateria

piano di gestione dell'ENS istituita nell'area, ripristino di un'altra prateria

Charmant Som ripristino di una prateria attraverso il recupero di un sentiero degradato con pannelli illustrativi e la chiusura di alcune aree della prateria più sensibili al calpestio

contratti Natura 2000 per la gestione forestale

Massif des Bauges

piano di gestione delle praterie, realizzazione di un sentiero tematico con pannelli illustrativi

progetti proposti a INTERREG da sviluppare fino al 2011; MAEt

Mont de Grange, Cornettes de Bise

realizzazione del piano di gestione dei due siti, ripristino degli alpeggi, rilevamenti floristici

realizzazione del piano pastorale

Haute Chaine du Jura

realizzazione di 4 studi silvo-pastorali sugli alpeggi, di progetti educazione ambientale e di un sito web dedicato al SIC

Hautes Chaumes du Forez

raccolta dati sulla biodiversità e il pastoralismo nel sito a partire dagli anni '90

raccolta dati vegetazionali, ripristino di 2 ha di aree aperte, MAEt per gli agricoltori locali

Massif du Tanargue

ripristino di aree di pascolo e torbiere e realizzazione di un libro divulgativo e sistemazione di un'area con pannelli esplicativi

Valdrôme aperture nella volta arborea per favorire la presenza di Cypripedium calceolus, raccolta dati sulle popolazioni della specie e azioni di divulgazione ambientale al personale turistico di un impianto sciistico per un corretto utilizzo del territorio finalizzato alla conservazione degli habitat

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Conclusioni Risultati raggiunti Il più importante risultato del progetto è rappresentato dall‘integrazione della Rete Natura 2000 nella politica locale e il coinvolgimento di tutti gli attori locali che ha determinato un cambiamento della percezione della Rete Natura 2000 nell’area interessata dal progetto LIFE. La maggioranza delle risorse, anche dal punto di vista economico, sono infatti state riposte proprio nelle attività di comunicazione. Un’inchiesta realizzata su 3 siti nel settembre del 2008 ha attestato l’evoluzione positiva della percezione della Rete Natura 2000 nel corso del progetto LIFE. Tra le ricadute a livello nazionale e/o regionale, va evidenziato che la Rete Natura 2000, grazie al progetto LIFE svolto nella Rhône-Alpes, è stata al centro della realizzazione di molti contratti forestali e di convenzioni per l’agricoltura per un ammontare di più di 1.000.000 €, per i partner del progetto. Due dei 16 siti coinvolti (Massif des Bauges e Hautes Chaumes du Forez) sono riusciti ad utilizzare le misure di compensazione per la gestione pastorale (MAEt). La buona riuscita del progetto in queste due aree ha favorito l'utilizzo delle stesse procedure anche in altri cinque siti. I benefici ottenuti e gli impatti socio-economici conseguenti al mantenimento dell’attività pastorale per favorire la conservazione degli habitat sono stati i seguenti: - migliore utilizzo e gestione della risorsa Natura 2000 da parte degli agricoltori e

dei pastori; - migliore concertazione tra le parti interessate alla conservazione e gestione dei

siti Natura 2000 (servizi pastorali, camera dell’Agricoltura, operatori dei siti Natura 2000, gestori delle aree protette, collettività e amministrazione);

- gestione attraverso la messa in opera di Misure agro-ambientali territoriali (MAEt) relative per lo più a misure di compensazione, (le tipologie di finanziamento sono state descritte in precedenza);

- mantenimento a lungo termine delle attività pastorali; - realizzazione di un progetto territoriale integrato mettendo al centro della

problematica la conservazione della biodiversità; - realizzazione della guida tecnica utilizzabile a livello nazionale (Agreil & Greff

2008). In particolare, sono stati realizzati piani di gestione del pascolo che includono indicazioni per la conservazione degli habitat prativi attraverso il ripristino degli alpeggi applicabili anche nel territorio italiano. Sia nei documenti di lavoro relativi ai piani del pascolo, sia nella guida tecnica ci sono riferimenti alle variazioni storiche nell’utilizzo degli alpeggi. Da questi documenti emerge come sia modificato il pastoralismo storicamente nell’area, che ha visto passare i pascoli di tipo estensivo per la produzione di latte da bovini a proprietà individuali caratterizzate da pascolo intensivo per l’esclusiva produzione di carne.

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I suggerimenti della guida tecnica vanno nella direzione di un recupero del pascolo di tipo estensivo da latte, attraverso delle tappe intermedie che permettano dapprima il recupero dei siti di accesso agli alpeggi e la realizzazione o il recupero dei fontanili per favorire una nuova stanzialità delle mandrie, in modo che nel tempo esse possano tornare in quota, nei prati pascoli dove storicamente stazzavano le mandrie deputate esclusivamente alla produzione di un buon latte per l’industria casearia. Punti deboli Dall’analisi delle attività realizzate emergono alcuni punti di debolezza legati alla gestione integrata delle aree montane in relazione alla conservazione delle praterie alpine, con particolare riferimento alle attività zootecniche. In genere questa risulta una delle problematiche maggiormente evidenziata nei piani di gestione di aree protette come SIC e ZPS nei territori montani comunitari, dove emerge spesso il rapporto causa/effetto dovuto all’eccessiva attività zootecnica ma anche ad un abbandono totale del pascolamento, che potrebbe “…..determinare una generalizzata ripresa delle dinamiche successionali naturali…”. Date le conclusioni evidenziate dal progetto e data diffusione della problematica su buona parte del territorio europeo, risulta evidente che è necessario definire cosa si voglia conservare, quale sia il “costo” delle attività di conservazione e quali risultati si vogliono raggiungere, prima di avviare una strategia gestionale dei siti natura 2000 con problematiche simili al progetto LIFE nelle Rhône-Alpes. Infatti, l’abbandono delle pratiche zootecniche in ambiti prativi in fasce ecotonali e più in generale delle praterie secondarie, produrrà inevitabilmente la ricostituzione di forme boschive preesistenti al disturbo ecologico in atto. Spesso tale sostituzione/ricostituzione, legata al dinamismo naturale delle comunità vegetazionali, può sfavorire in un primo momento la presenza di un Habitat Natura 2000 legato alle praterie, favorendo l’ampliamento di un Habitat Natura 2000 di tipo forestale. Pertanto la suddetta affermazione sul rischio della ripresa delle dinamiche naturali in ambito di praterie secondarie e l’erronea valutazione contenuta nella seguente citazione “…Si è così spesso verificato che il bosco ha riconquistato ampie aree prato-pascolive fino ad avvicinarsi pericolosamente ai centri abitati con conseguenze negative sotto gli aspetti igienico-sanitari (ad es. diffusione delle vipere e delle zecche), paesaggistici e ambientali (perdita di biodiversità). …” possono essere considerate il frutto di una mala interpretazione, seppur in buona fede, delle dinamiche successionali vegetazionali (p. es. differenza ecologica e storica tra le praterie primarie e secondarie) e delle dinamiche storiche del paesaggio. In generale, ciò che si ritiene importante per la conservazione delle praterie seminaturali (Praterie Secondarie), è che necessitano di una gestione attiva per essere mantenute. Pertanto la scelta di cosa conservare dovrebbe ricadere su quelle praterie in cui si annota una ricchezza di specie di particolare importanza

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biogeografia/naturalistica e in cui vi siano particolari caratteri stazionali (come la eccessiva pendenza o elevata rocciosità del terreno) che limitano la profondità del suolo. Questo tipo di praterie permetterebbero di conservare i migliori esempi degli habitat prativi (Praterie Primarie), evitando di conservare quelle zone aperte piccole e meno interessanti dal punto di vista conservazionistico e biogeografico, destinate a chiudersi in cespuglieti nel breve periodo a causa dei cambiamenti di uso del suolo seguiti dalla ricolonizzazione naturale. Tuttavia buona parte dei processi semi-naturali che agiscono sul dinamismo, interferendo con quello che è il decorso spontaneo dei processi ecologici di qualsiasi sistema naturale, sono legati a processi causa/effetto. Pertanto eliminata la causa, l’effetto procede in direzione dell’equilibrio naturale del sistema, verso una sorta di “comunità ambientale auto-sostenibile”. Questo è il teorema fondamentale della biologia della conservazione e pertanto tutti gli sforzi legati alle risorse investite (economiche, sociali, culturali, ambientali, etc.) dovrebbero andare solo ed esclusivamente in questa direzione. Aspetti rilevanti per la Lombardia Nell’ambito delle possibili strategie sulle attività gestionali dei pascoli si suggerisce, come evidenziato nella guida tecnica, di avviare azioni atte ad incentivare una attività zootecnica di tipo estensivo, scarsamente “tecnologica”, che purtroppo non beneficia spesso di adeguati investimenti pubblici e servizi dedicati. Proprio in tali attività si sono conservate le forme di gestione degli allevamenti più vicine alla tradizione. Suddette attività, sono spesso scarsamente sostenute sul piano tecnico-scientifico e poco considerate sul piano sociale. In realtà, se applicata una strategia regionale sulla riscoperta delle conoscenze tradizionali, come effettuato nel progetto LIFE discusso in questo caso studio, queste potrebbero essere un volano per una attività economica locale, con notevoli benefici, sia in termini di costi per la pubblica amministrazione, sia in termini di benessere sociale che di gestione e conservazione delle risorse naturali. Il tradizionale sistema di transumanza da valle a monte (Alpeggio), per l’utilizzo progressivo di pascoli a diverse quote, sfrutta un gradiente vegetazionale che consente un’adeguata transizione alimentare dal secco al verde e viceversa, e anche una utile gestione e mantenimento delle aree prative secondarie e primarie. Diversamente, l’approccio esclusivamente produttivistico e tecnologico legato alle filiere lunghe, non tradizionali, ha mutato radicalmente le attività zootecniche moderne spostando l’attenzione sull’animale da allevamento (Ovi-Caprino e/o Bovino) e facendo “dimenticare” l’importanza dell’alpeggio come strategia di gestione del territorio per una produzione di filiera corta. L’attuale gestione intensiva degli allevamenti ha reso necessario l’approvvigionamento di alimenti al di fuori del territorio e l’utilizzo intensivo delle

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praterie secondarie o la bonifica di ambienti umidi montani e sub-montani (es. torbiere), per recuperare prati da pascolo. Il ruminante, che un tempo era lo strumento per utilizzare efficacemente i foraggi e mantenere i pascoli produttivi, anche in termini di biodiversità, è diventato il principale fattore della produzione e l’alpeggio di tradizione è ormai una strategia secondaria. Di conseguenza, l’esigenza di approfondire le conoscenze tecnico/scientifiche in questo settore, creare uno sviluppo economico associato alla gestione tradizionale e definire una strategia politico-sociale eco-sostenibile, sembrerebbe ad oggi essere relegata in secondo piano, quando, invece, la ricerca scientifica (sia di tipo agro-alimentare che naturalistico) è fondamentale per avere gli strumenti necessari per il ripristino delle aree pascolive e per il monitoraggio dei risultati nel tempo (Agreil & Greff 2008). Pensando al futuro strategico dei sistemi zootecnici della regione Lombardia in ambito di siti Natura 2000, ci si auspica che i processi di “sviluppo integrato” focalizzino la propria attenzione sulla tutela e salvaguardia del “sistema tradizionale” alpino (allevamento, prodotto caseario, turismo eco-compatibile etc.). Le soluzioni adottate atte a favorire la sola gestione delle filiere lunghe, non devono rinnegare tradizioni secolari, ma integrarsi positivamente con esse e anche con altri settori produttivi, quale, ad esempio, quello del turismo sostenibile. Da un punto di vista zootecnico, lo “sviluppo integrato” dovrebbe consentire all’azienda di montagna di uscire dalla logica delle economie di scala, per aprirsi ad una realtà basata sull’utilizzo di allevamenti selezionati specificatamente per la montagna, sulla diversificazione delle produzioni per una filiera corta, sulla valorizzazione qualitativa dei prodotti e su tecniche e strategie di gestione del territorio dedicate all’alpeggio, attente alla sostenibilità ambientale e sociale. Un ri-orientamento del flusso degli incentivi (da un criterio “a pioggia” ad uno mirante a promuovere forme di pascolo pianificato e controllato), potrebbe generare la riqualificazione dei sistemi semi-naturali, la gestione delle aree costituite da Habitat a rischio soggette a specifiche misure di conservazione e la possibilità di avviare un processo di condivisione per la protezione del territorio che diventi certificazione di qualità e benessere ambientale. In relazione a ciò si potrebbe ipotizzare, come previsto nella guida tecnica sul pastoralismo e come evidenziato in alcune esperienze del caso studio, ad esempio, un sostegno “Eco-Tradizionale” dedicato ad attività agro-ambientali che realizzino buone pratiche gestionali eco-compatibili. Con questo contributo verrebbe riconosciuto all´allevatore/agricoltore, il proprio impegno nella tutela di beni pubblici fondamentali (nel caso le risorse naturali), che sono un patrimonio a disposizione delle attuali e future generazioni. Uno strumento molto utile per le regioni alpine potrebbe essere rappresentato dalla creazione di denominazioni specifiche per i prodotti alimentari di montagna, che valorizzino le attività eco-compatibili dell’allevatore/agricoltore. Un tale marchio

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garantirebbe alle regioni alpine un sistema di facile indicazione di origine/qualità per i propri prodotti che seguono una filiera corta. Ciò garantirebbe anche un reddito equo per l’allevatore/agricoltore, favorito proprio da una corretta gestione delle risorse naturali, prerequisito per la denominazione di prodotto tipico tradizionale (avviando così il principio che con le buone pratiche si aumentano le proprie risorse economiche). É inoltre importante creare processi di divulgazione/informazione, ma soprattutto formazione, per invogliare le nuove generazioni ad intraprendere attività di sviluppo, che mirino alla gestione tradizionale delle montagne. Ciò al fine di rendere consapevoli le nuove generazioni delle regioni alpine che sarà necessario intraprendere una professionalità che deve connettersi tra passato e futuro, mantenendo in vita quello che è il patrimonio culturale e naturale, come risposta alla carenza di lavoro nei territori montani e come risorsa per la salvaguardia del bene comune. Purtroppo spesso, anche come evidenziato nel caso studio (Simon et al. 2008), le sole misure di compensazione e/o indennità, non sono sufficienti a far sì che si crei il giusto rapporto di integrazione tra l’uso tradizionale del territorio e la conservazione degli habitat nei siti Natura 2000. In sintesi, si elencano alcuni criteri generali dettati dall’esperienza del caso studio e dal confronto con altre realtà dei nostri territori montani: - favorire la conservazione delle terre a pascolo prevalentemente di tipo primario; - favorire protocolli d’intesa con i fruitori del territorio per la conservazione delle

risorse naturali; - promuovere la gestione polifunzionale del territorio pastorale; - promuovere la razionalizzazione delle pratiche pastorali di tipo intensivo; - promuovere l'estensificazione delle attività zootecniche; - incentivare le attività zootecniche e agricole estensive e eco-sostenibili; - definire relazioni tra pratiche pastorali e forestazione in ambiente montano e sub-

montano; - promuovere la valorizzazione e la certificazione della qualità delle produzioni

delle aree marginali; - valutare le relazioni tra erbivori selvatici e domestici in funzione della gestione

multiuso del territorio montano; - valutare le relazioni tra carnivori predatori e attività pastorali; - valutare gli effetti delle attività pastorali sulla vegetazione d'altitudine e le

relazioni tra Praterie Primarie e Secondarie; - promuovere la conservazione degli Habitat Natura 2000 a rischio di estinzione

dovute al sovrapascolamento; - valutare la consistenza territoriale dei corridoi ecologici in ambito di gestione

delle praterie e potenzialità faunistica delle stesse; - gestione delle vie verticali, quali i campii sciistici, come mantenimento delle

praterie secondarie finalizzate a favorire l’alpeggio;

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- favorire un turismo mirato al benessere sociale, che implichi la valorizzazione del prodotto di qualità, che responsabilizzi i visitatori nella gestione del territorio e che favorisca il mantenimento del paesaggio tradizionale alpino;

- realizzazione di protocolli e progetti mirati a conciliare la rilevanza ecologica e agricola nella politica pubblica a favore della biodiversità e riavvicinamento della Regione ad una strategia mirata alla salvaguardia delle attività agricole tradizionali, come elemento probante della conservazione e gestione della montagna.

Sulla base di tali indicazioni è possibile elaborare una strategia sulla gestione dei siti Natura 2000 caratterizzati da attività agro-silvo-pastorali nelle zone alpine della Lombardia. È importante notare che una dettagliata analisi delle problematiche, sito per sito, su cui intervenire con specifiche misure gestionali (azioni e/o regolamenti) è fondamentale per la formulazione di una strategia adeguata al territorio. In conclusione, un buon risultato di gestione degli habitat Natura 2000 in ambito montano si può ottenere avviando processi che implichino una gestione integrata del territorio da parte degli amministratori e incoraggiando fin dalle prime fasi i fruitori del territorio ad avviare processi di rivalutazione delle buone pratiche. Ciò al fine di limitare inadeguate e atipiche attività gestionali del territorio, da parte dei fruitori e degli enti gestori, in particolar modo limitando allo stretto indispensabile un certo interventismo di “rinaturalizzazione” che spesso ottiene limitati risultati, in certi casi dannosi e troppo dispendiosi in termini di costi/benefici ottenuti.

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Bibliografia e sitografia AA.VV., 2006. Quaderno SoZooAlp n. 4, “L’allevamento ovino e caprino nelle Alpi: tra valenze eco-culturali e sostenibilità economica” riassunti convegno tenutosi dal 26 al 29 ottobre 2006 in alcune localita della Valle Stura di Demonte (Cuneo). http://www.sozooalp.it/Quaderno-4.68.0.html AA.VV., 2008. Quaderno SoZooAlp n. 5, “Benessere Animale e Sistemi Zootecnici Alpini” riassunti convegno svolto a Saint-Vincent (AO) dal 20 al 22 ottobre 2008.. http://www.sozooalp.it/Quaderno-5.70.0.html AA.VV., 2010. Quaderno SoZooAlp n. 6, “Zootecnia e Montagna. Quali strategie per il futuro?” riassunti convegno svolto a Bolzano nei locali della Libera Università, dal 13 al 15 ottobre 2010. http://www.sozooalp.it/Quaderno-6.71.0.html. Agreil C. et Greff N., 2008. Des troupeaux et des hommes en espaces naturels, une approche dynamique de la gestion pastorale. Conservatoire Rhône- Alpes des espaces naturels. pp. 96. http://www.life-nature-territoires.eu/base_documentaire-docs.html Bellon S., Girard N. et Guérin G. (1999) Caractériser les saisons-pratiques pour comprendre l’organisation d’une campagne de pâturage. Fourrages. 158 : 115-132. Brunel F., 2005. Proposition d'un protocole de suivi stationnel des habitats des sites Natura 2000 des hautes chaumes du Forez - Sites FR8201756 et FR8301030. CREN. pp. 110. http://www.life-nature-territoires.eu/base_documentaire-docs.html Carli E., 2013. Monitoraggio dello stato di conservazione degli habitat di direttiva in Molise: dalla scelta degli indicatori alla valutazione. Tesi di Dottorato. Università degli Studi del Molise. CREN, 2008. Guide technique "Les hautes chaumes du Forez" - Pratiques agropastorales et biodiversité. pp. 51. http://www.life-nature-territoires.eu/base_documentaire-docs.html CREN, 2008. Biodiversité & développement territorial - Synthèse du colloque 19, 20 et 21 mai 2008. pp. 104. http://www.life-nature-territoires.eu/base_documentaire-docs.html Departement Savoie et aHaute Savoie. 2005. Document d’objectifs Natura 2000 S15 – volet « landes, pelouses et prairies » et « habitats rocheux » – Comité de Pilotage http://www.life-nature-territoires.eu/base_documentaire-docs.html Etlicher B, Jacqueminet C, 2006.. Evolution du couvert végétal entre 1998 et 2005 - FR8201756 et FR8301030. CRENAM. Univeristé S. Monet. Saint Etienne. http://www.life-nature-territoires.eu/base_documentaire-docs.html

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Guérin G., Léger F. et Pfimlin A. (1994) Stratégie d’alimentation. Méthodologie d’analyse et de diagnostic de l’utilisation et de la gestion des surfaces fourragères et pastorales. Collection Lignes. Institut de l’Elevage. 36 p Simon L. et al., 2008. Territoires & Biodiversité - Construire et financer un projet: guide à l'usage des collectivités locales et autres porteurs de projets. pp. 56. ECOSPHERE & CREN. http://www.life-nature-territoires.eu/base_documentaire-docs.html Layman report (FR/EN) Year: 2008. pp. 18. http://www.life-nature-territoires.eu/base_documentaire-docs.html OF, 2008. Rapport final du projet couvrant la période du 01/07/2004 au 30/09/2008. pp. 325. http://www.life-nature-territoires.eu/base_documentaire-docs.html ONF, SEA, SICVA. 2008. Site Natura 2000 des Cornettes de Bise et du Mont de Grange - Connaissance et gestion des milieux. pp. 12. http://www.life-nature-territoires.eu/base_documentaire-docs.html. Abbreviazioni CREN Conservatoire Régional des Espaces Naturels CRAE Commission Régionale pour les mesures Agri-Environnementales CRPF Centre Régional de la Propriété Forestière FAI Fédération des Alpages de l’Isère ONF Office National des Forêts

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L'eradicazione della nutria in East Anglia (UK) Le specie aliene invasive si configurano fra le più grandi minacce mondiali alla biodiversità, causando danni agli ecosistemi e alla biodiversità, ma anche a colture e allevamenti. Il progetto DAISIE, finanziato nell'ambito del Sesto programma quadro per la ricerca dell'UE, ha individuato la presenza in Europa di 12.122 specie alloctone, il 10-15% delle quali ha con tutta probabilità un impatto economico o ecologico negativo. La lotta contro le specie invasive e la riparazione dei danni che esse causano rappresentano un costo per l'economia europea di almeno 12 miliardi di euro ogni anno. É per questo motivo che la Commissione Europea pone il problema delle specie aliene invasive come uno dei sei obiettivi della Strategia Europea sulla Biodiversità 2020. La nutria Myocastor coypus (Molina, 1782) è un roditore di grande taglia nativo del Sud America (Fig. 1). Il “castorino” sudamericano è stato inserito dall’Invasive Species Specialist Group dell’IUCN nell’elenco delle 100 specie più dannose del mondo a causa della sua capacità di distruggere colture e argini di corsi d’acqua, aumentando il pericolo di inondazioni. La nutria, inoltre, può costituire un serbatoio per la diffusione di alcuni parassiti come la Fasciola epatica e la Leptospira interrogans. La nutria è stata introdotta in Europa per la produzione di pellicce che, fino a qualche decina d’anni fa avevano un mercato molto importante, poi la moda è cambiata e i roditori sono stati liberati nelle campagne per evitare i costi di abbattimento e smaltimento delle carcasse. Già nel 2000 le nutrie in Europa erano 250 milioni. Malgrado tutti gli sforzi sostenuti negli ultimi anni, soltanto in una regione della Gran Bretagna, la East Anglia, si è pervenuti con successo all'eradicazione definitiva della nutria. Una popolazione di nutria si stabilì in quest'area raggiungendo il picco di circa 200.0009 esemplari nei primi anni '60. Dopo due lunghissime campagne, si è arrivati a debellarla definitivamente solo nel 1989. 9 Alcuni autori ritengono che questa cifra si a sovrastimata (Gosling and Baker 1989).

Figura 1. Myocastor coypus, la nutria.

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La specie aliena Origine e introduzione della specie La nutria, Myocastor corpus, è originaria della sub-regione patagonica del Sud America e delle aree temperate del Cile e dell'Argentina. La nicchia trofica, essenzialmente vegetale, è molto ampia, caratteristica che le consente di sfruttare una vasta gamma di fitocenosi. La nutria raggiunge la maturità sessuale in età molto precoce (già a 6 mesi i maschi sono in grado di riprodursi) e le femmine possono riprodursi in media 2,7 volte l'anno per la nascita di 5 neonati. I principali fattori limitanti lo sviluppo delle popolazioni di Nutria sono rappresentati dalle condizioni climatiche (in particolare i rigori invernali possono indurre riduzioni numeriche anche consistenti) e il controllo numerico operato dall'uomo. Popolazioni di nutria sono ora presenti in Nord America, Medio Oriente, Africa, Giappone, e nella parte asiatica dell'ex Unione Sovietica. In Europa la nutria è molto diffusa e particolarmente presente in Francia, Germania e Italia (Fig. 2).

In Gran Bretagna, la nutria è stata introdotta nel 1929 per la produzione di pellicce. Gli allevamenti cessarono di essere redditizi nel 1945 e più del 50% degli esemplari fuggì con la complicità di recinzioni inefficienti, collocate ai margini di stagni e corsi d'acqua, o fu deliberatamente rilasciata in natura. La nutria si stabilì principalmente in due zone. Una popolazione fu individuata nei pressi di un impianto di depurazione di acque fognarie nei pressi di Slough, poi scomparsa senza alcun intervento umano conosciuto nel 1956; un'altra, si stabilì nei pressi dei fiumi Yare e Wensum, in East Anglia. Quest'ultima popolazione si espanse fino a coprire la quasi totalità della regione di East Anglia, con un areale di distribuzione pari a circa 190 km da nord a sud e 150 km da est a ovest (Fig. 3).

Fuggite o rilasciate in natura Estinte Mai stabilite Dati insufficienti Eradicate

Figura 2. Distribuzione della nutria in Europa. Dati recenti indicano che la nutria è presente anche nella penisola Iberica.

Figura 3. Distribuzione della nutria in Inghilterra.

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Impatto ecologico ed economico della nutria Impatto ecologico La nutria è un erbivoro generalista che si nutre di un'ampia varietà di piante e colture, selezionando, solitamente, le parti che contengono le più alte concentrazioni di nutrienti e, se queste includono meristemi basali, ne provoca spesso la distruzione. Sebbene la valutazione del danno ecosistemico provocato dalla nutria sia complessa, data la mancanza di dati e di evidenza empirica a riguardo, diversi studi hanno correlato la presenza della nutria con la scomparsa o il danneggiamento di numerose specie vegetali quali Nuphar lutea10 (Fig. 4, ninfea gialla), Rumex hydrolapathum e Cicuta virosa, soprattutto nella rete Natura 2000. La nutria può avere inoltre impatti sugli habitat 3150 Laghi eutrofici naturali con vegetazione del tipo Magnopotamion o Hydrocharition, 3160 Laghi e stagni distrofici naturali e 3260 Fiumi delle pianure e montani con vegetazione del Ranunculion fluitantis e Callitricho-Batrachion, elencati nell’allegato I della Direttiva Habitat.

Per quanto riguarda le popolazioni ornitiche, vi sono segnalazioni di interazioni competitive con uccelli che nidificano in zone umide (ad esempio il Mignattino Chlidonias hybridus, protetto dalla Direttiva Uccelli; Fig. 5) sia per azione diretta (distruzione di nidi e predazione di uova) sia indiretta (disturbo). Nei siti Natura 2000, la nutria ha

inoltre un impatto negativo indiretto (tramite la distruzione della vegetazione palustre) su altre specie ornitiche quali Aythya nyroca, Botaurus stellaris, Ixobrychus minutus, Sterna hirundo, Ardea purpurea, Egretta alba, Nycticorax nycticorax, Ardeola ralloides, Egretta garzetta tutte specie incluse nell'Allegato I della Direttiva Uccelli. Anche Anfibi, Rettili (Emys orbicularis) e Invertebrati acquatici possono risentirne della presenza a causa dell’alterazione degli habitat delle zone umide.

10 La ninfea gialla è una specie protetta in Lombardia ed è anche caratteristica dell’habitat inserito in Direttiva Habitat 3160 Laghi e stagni distrofici naturali.

Figura 4. Nuphar lutea, la ninfea gialla.

Figura 5. Chlidonias hybridus, il mignattino piombato.

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Impatto economico Gli ingenti danni provocati dalla nutria sono relativi allo sfruttamento delle coltivazioni come fonte di alimentazione e, soprattutto, allo scavo delle tane. Le nutrie, infatti, scavano vasti sistemi di tane sulle rive di fossi e corsi d'acqua arrivando a compromettere i sistemi di drenaggio ed aumentando così il rischio di inondazioni in molti paesi dell'Europa centrale e meridionale. Fu proprio l'individuazione di questi danni a far scattare in East Anglia la prima campagna di contenimento della nutria negli anni '50. Anche in Italia, la considerazione degli ingenti danni provocati da questa specie aliena alle coltivazioni e ai sistemi di irrigazione ha spinto, nel periodo 1995-2000, un numero crescente di istituzioni italiane ad intraprendere azioni di controllo della nutria, dopo decenni di accettazione passiva. Una indagine condotta attraverso la distribuzione di questionari a quasi 300 fra Amministrazioni Pubbliche ed enti (Panzacchi, Bertolino; 2005), ha consentito di quantificare l'impatto della nutria sul territorio italiano: fra il 1995 e il 2000, sebbene siano stati catturati e uccisi circa 220 mila esemplari con un costo di 2.614.408€, i danni provocati agli argini sono ammontati a più di 10 milioni di euro (perforazione di argini pensili, frane, crolli di banchine, drenaggio improvviso di aree umide, ostruzione dei canali di irrigazione ecc) e l'impatto sull'agricoltura ha raggiunto quasi il milione di euro. Le coltivazioni più colpite sono i cereali, la barbabietola da zucchero, la soia, ortaggi e, in alcuni casi, cortecce di piante arboree. Inoltre, secondo le previsioni, il range di espansione della nutria sul territorio italiano può espandersi ancora 3.3 volte, raggiungendo un danno economico di circa 9-12 milioni di euro l'anno. Comparando quindi i costi della campagna di East Anglia (costata 5 milioni per 11 anni) e la campagna di controllo permanente in Italia (costata, considerando le cifre sopra riportate, 14 milioni per 6 anni), si dimostra che una campagna di eradicazione, seppure costosa, mantiene la natura di efficienza economica nel lungo periodo. Al danno puramente economico si aggiunge il danno sociale relativo al ruolo svolto dalla nutria nell'epidemiologia della leptospirosi, nota anche come febbre dei sette giorni, una malattia infettiva acuta sistemica di tipo vasculitico.

Figura 6. Distribuzione della nutria in Italia (Cocchi, Riga; 1999).

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La nutria in Lombardia Nella Regione Lombardia, in base ad una legge regionale del 2002, tutte le Province sono obbligate a operazioni di monitoraggio e contenimento della specie e nel corso degli ultimi anni sono stati investiti dalla Regione alcuni fondi a questo scopo (300.000 € nel 2012 e 150.000 € nel 2013). La Regione ha inoltre pubblicato delle Linee Guida che introducono un nuovo sistema di monitoraggio basato sul censimento dei punti di accesso lungo i corsi d’acqua; i primi dati aggiornati sulla consistenza della popolazione e, di riflesso, le prime valutazione sull’efficacia dei piani di contenimento adottati dalle Province dovrebbero essere disponibili entro il 2013. La specie non è cacciabile su territorio nazionale ai sensi dell'art. 2 della legge n. 157/92, ma è numericamente controllabile nei modi stabiliti dall'art. 19 della stessa legge. Quindi, nel 2012, il Consiglio Regionale della Lombardia ha approvato all'unanimità il Progetto di Legge al Parlamento che mira ad escludere la nutria dalle tutele della legge 157/1992, favorendo l’attività di cattura o di abbattimento con metodi selettivi. Questo Progetto di Legge non è stato però ancora approvato dal Parlamento.

Elenco SIC Lombardia in cui è riportata la presenza della nutria

IT2080011 Abbazia Acqualunga IT2080008 Boschetto di Scaldasole IT2080016 Boschi del Vignolo IT2080019 Boschi di Vaccarizza IT2080014 Boschi Siro Negri e Moriano IT2080007 Garzaia del Bosco Basso IT2080009 Garzaia della Cascina Notizia

IT2080013 Garzaia della Cascina Portalupa

IT2080005 Garzaia della Rinalda IT2080020 Garzaia della Roggia Torbida

IT2080003 Garzaia della Verminesca IT2080001 Garzaia di Celpenchio IT2080012 Garzaia di Gallia IT2080017 Garzaia di Porta Chiossa IT2080006 Garzaia di S. Alessandro IT2080010 Garzaia di Sartirana IT2080004 Palude Loja IT2080015 San Massimo

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Le misure di gestione oggetto del caso studio La prima campagna di eradicazione (1962 - 1965) Già a partire dagli anni '40, furono portate avanti in alcune regioni inglesi delle prime campagne di controllo delle popolazioni di nutria. Queste però, non ebbero i risultati sperati, e le popolazioni tornarono ad aumentare. Alla fine degli anni '50, i danni economici causati dalle nutrie, sia relativi alle coltivazioni che agli argini dei canali di drenaggio, risultarono in un rinnovato interesse pubblico alla problematica e ad un seguente finanziamento. La prima campagna vera e propria fu lanciata nel 1962. L'eradicazione completa fu ritenuta impossibile da raggiungere; pertanto l'obiettivo della campagna fu fissato nella riduzione drastica del numero di esemplari e il loro confino nella zona dei Norfolk Broads, all'estremo est. Furono impiegati allo scopo dodici trappolatori, affiancati anche da una parallela campagna di intrappolamento portata avanti dalla Rabbit Clearance Societies. La tecnica prescelta era selettiva: esemplari di altre specie accidentalmente catturati, venivano rilasciati. La strategia adottata si basò sulla divisione dell'area di maggiore distribuzione della nutria in nove fasce; la cattura prese avvio dalla fascia più esterna, spingendosi fino alla più interna, quella a maggiore densità (Fig. 7).

Figura 7. Strategia di intervento della prima campagna. La numerazione da 1 a 9 indica le principali fasi di avanzamento, mentre i puntini indicano la distribuzione di esemplari esterni all'area trattata.

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Le trappole venivano poste lungo la fascia fino a che si riteneva che tutti gli esemplari fossero stati catturati; il processo veniva poi portato avanti nella fascia seguente finché l'intera area fosse stata coperta. Le colonie rimaste al di fuori delle nove fasce principali, furono oggetto di una campagna specifica portata da un'iniziativa del governo per il controllo delle specie aliene invasive con la collaborazione dei proprietari terrieri. La campagna terminò nel 1965. Aveva coperto 6.850 km², i trappolatori avevano viaggiato per più di 800.000 km, registrando più di 600.000 notti di attività e riuscendo a catturare circa 40.500 nutrie. Il numero di esemplari era stato drasticamente ridotto anche grazie alla complicità, come in seguito documentato, di un inverno eccezionalmente rigido (quello fra il 1962 e il 1963 fu infatti l'inverno che registrò le temperature più basse da oltre 200 anni). Furono però identificate delle importanti falle nella strategia adottata: erano stati impiegati troppe risorse e troppo tempo nell'eradicazione delle fasce più esterne a bassa densità di popolazione e fuori dalla principale zona di cattura, invece che massimizzare i tassi di cattura nelle zone a maggiore densità. Inoltre, era stata posta scarsa attenzione al problema dell'immigrazione di esemplari in zone già trattate. In assenza di una analisi demografica contemporanea, non è chiaro in che misura l'attività di intrappolamento sia stata efficace o se abbia semplicemente contribuito a mantenere bassa la densità di una popolazione già provata dalle temperature rigide. Un importante conseguimento fu tuttavia rappresentato dalla creazione del Coypu Research Laboratory, organismo di ricerca che però non fu in grado di fornire sufficienti basi scientifiche all'opera di eradicazione. In mancanza di tali basi scientifiche che correlassero la capacità di intrappolamento con l'andamento della popolazione di nutria, l'impiego di personale mantenuto attivo nella zona non fu sufficiente a contenere un nuovo brusco innalzamento della popolazione, favorito da una serie di inverni miti verificatisi nei primi anni '70. La seconda campagna di eradicazione (1981 - 1989) Nel 1977 il Governo inglese creò un comitato, il Gruppo Strategico per la Nutria (Coypu Strategy Group), ad indirizzo delle future politiche relative al controllo della specie. A differenza della precedente campagna, il Gruppo aveva a disposizione numerose informazioni risultanti da una ricerca di lungo termine sull'ecologia della specie che furono ampiamente utilizzate per la pianificazione della campagna del 1981. Più di 30.000 nutrie furono sezionate per ottenere informazioni sulla biologia riproduttiva, sulla struttura per età ed altre informazioni necessarie per ricostruire

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l'andamento delle popolazioni e le determinanti delle variazioni. I risultati indicarono che l'intrappolamento, più che la rigidità invernale, era stato artefice della variazione nelle popolazioni adulte, anche se le due variabili combinate avevano rappresentato l’ 80% delle cause totali della diminuzione degli esemplari di nutria. Non tutte queste informazioni erano disponibili alla fine degli anni 1970, ma si sapeva abbastanza per fornire una base analitica ai modelli di simulazione della popolazione. Queste simulazioni furono utilizzate per valutare l'impiego di un diverso numero di trappolatori in varie circostanze climatiche. In base alle informazioni in suo possesso, il Gruppo Strategico valutò sufficiente l’utilizzo di 24 unità di personale impiegato per l'eradicazione della nutria. Prima di poter procedere il Governo inglese volle rassicurazioni circa l'efficacia della tecnica utilizzata. Grazie ad un esperimento operato sulle rive del fiume Yare, per una lunghezza di 30 km, fu possibile dimostrare che la nutria poteva essere eradicata su una scala realistica tramite l'intrappolamento in gabbie. La campagna di eradicazione ebbe avvio nell'aprile del 1981. Tenendo conto della ragionevole aspettativa di miglioramento delle tecniche di cattura e delle attrezzature impiegate, si decise di tentare l'eradicazione entro dieci anni. Rispetto alla precedente campagna, furono modificati i meccanismi di gestione e finanziamento: fu costituita una Organizzazione per il Controllo della Nutria (Coypu Control Organisation) che raccolse il finanziamento del Ministero dell'Agricoltura (50%), dell'Autorità per le Acque - Anglian Water Authority (40%) e dell'Associazione delle Autorità di Bonifica - Association of Drainage Authorities (10%). La direzione della campagna fu posta sotto il controllo di un piccolo comitato di gestione che comprendeva un rappresentante del Laboratorio di Ricerca sulla Nutria (Coypu Research Laboratory). Gli interessi dei diversi stakeholder furono rappresentati attraverso un Comitato di Coordinamento Consultivo (Co-ordinating and Advisory committee), che si riunì periodicamente per valutare i progressi compiuti e offrire supporto. Il personale del Laboratorio di ricerca fornì un supporto tecnico nel corso di tutta la campagna. Il fondamentale processo basato sulla raccolta di dati durante le operazioni, l'analisi, il processamento dei dati e la fornitura di nuove evidenze scientifiche fu cruciale per migliorare le operazioni sul campo. Questo processo è noto con il nome di "Adaptive resource management" (si veda Box dedicato).

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La seconda campagna di eradicazione fu basata su uno schema ad otto regioni, designate a coprire l'areale in cui esemplari di nutria erano stati individuati (Fig. 8). Lo sforzo fu distribuito nelle regioni con un indice ponderato, in modo tale che più nutrie venivano uccise per ogni trappolatore in un periodo di tre mesi, maggiore sforzo veniva messo in campo, in proporzione, nel seguente periodo di tre mesi. Tuttavia, a differenza della precedente campagna, nessuna area era mai lasciata priva di un, seppure minimo, impiego di personale preposto alla cattura.

Adaptive resource management- Gestione adattiva delle risorse  Molte delle carenze nelle conoscenze possono essere meglio affrontate attraverso una gestione delle risorse adattiva (che consiste ad esempio, nella raccolta di dati durante il processo di eradicazione, l'analisi e l'elaborazione di tali dati, e l'utilizzo delle informazioni per prendere decisioni obiettive da introdurre nelle operazioni sul campo). È importante ricordare, tuttavia, che l'adaptive resource management non è una tecnica scientifica per la verifica di ipotesi o per la risoluzione di problemi di causa ed effetto, ma piuttosto una strategia di gestione pratica che consente di ottimizzare la gestione e l'applicazione di risorse per un problema che ha già una base scientifica. L'adaptive resource management è un processo in evoluzione che utilizza le nuove informazioni man mano che si presentano, consentendo ai manager di essere flessibili ai cambiamenti e alle incertezze inevitabili nella gestione delle risorse naturali, in particolare nel caso di nuove specie in un nuovo ecosistema. Esso rende anche più facile l'inclusione di informazioni preziose dalla scienza convenzionale in una strategia di gestione. L'adaptive resource management è una stepping stone verso la più grande, più multidisciplinare strategia di gestione integrata delle risorse naturali, che incorpora diversi elementi, come ad esempio la partecipazione dei soggetti interessati, il comportamento dei consumatori e la socioeconomia. Va inoltre notato che la gestione delle risorse naturali è costosa. Con fondi limitati, il modo più efficiente per raccogliere informazioni chiave è quello di condurre una ricerca mentre si intraprendono le azioni di gestione.

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La tecnica utilizzata fu l'intrappolamento in gabbie. Le trappole venivano ispezionate ogni giorno ed ogni nutria intrappolata veniva abbattuta con un colpo di pistola. Questa tecnica consentiva di liberare ogni esemplare di specie diversa dalla nutria. Questo fu importante per riuscire a coinvolgere i proprietari terrieri nella campagna, compresi quelli con interessi conservazionistici o legati alla caccia. Il Laboratorio di ricerca introdusse notevoli miglioramenti nelle tecniche di cattura, in particolare promuovendo l'utilizzo di trappole montate su zattere galleggianti (Fig. 9). Alcuni esperimenti avevano infatti dimostrato un'efficacia anche 50% maggiore rispetto alle trappole a terra, con una cattura accidentale di altre specie notevolmente inferiore. Il laboratorio di ricerca monitorò costantemente i progressi della campagna di eradicazione, sia attraverso indagini sul campo che tramite l'analisi della popolazione. Il procedimento utilizzato fu il censimento retrospettivo continuo (continuous retrospective census), tecnica basata sul controllo della popolazione adulta tramite il peso del cristallino (Fig. 10).

Figura 8. Strategia di eradicazione della seconda campagna. In ciascun trimestre di campagna lo sforzo è stato distribuito fra le due regioni ad alta densità (C), le tre regioni a media densità (B), e le tre regioni a bassa densità (P) in proporzione al numero di nutrie uccise nel precedente trimestre. Assicurando maggiore sforzo nelle aree a maggiore densità, si sono massimizzate le catture e minimizzate le emigrazioni.

Figura 9. Trappole su zattera.

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All'inizio della campagna di eradicazione, nel 1981, la popolazione di nutria era arrivata a contare circa 6.000 esemplari adulti11. Nel 1989, questa popolazione poteva essere considerata definitivamente eradicata. Il successo fu probabilmente accelerato da una serie di inverni freddi, ma è importante notare che le basse temperature di per sé non avrebbero mai provocato l'eradicazione della nutria dall'Inghilterra. Durante questa campagna, i trappolatori giunsero a registrare 216.000 interventi all'anno, e furono catturate circa 35.000 nutrie. Per incoraggiare i trappolatori a concludere prima possibile la campagna, anche se li avrebbe lasciati senza lavoro, fu adottata una strategia vincente: il contratto fu ristretto ad un massimo di 10 anni con l'accordo su un pagamento di un bonus pari fino a tre volte il salario annuale se l'eradicazione fosse stata conseguita. Il bonus diminuiva progressivamente dopo il sesto anno. Per evitare che lo schema di incentivi incoraggiasse i trappolatori a non riportare le uccisioni, che potenzialmente avrebbero potuto ridurre il proprio bonus, il controllo sull'effettivo successo della campagna fu affidato al personale del Laboratorio di ricerca nei successivi quattro anni dalla fine della campagna. A tale scopo furono utilizzate delle zattere provviste di esche; il personale preposto doveva controllare che non ci fossero segnali di presenza di nutrie, come segni di morsi o escrementi. Il vantaggio di questa tecnica fu che, a differenza delle trappole che dovevano essere controllate ogni giorno, le zattere con esche potevano essere controllate anche una volta a settimana. Questo permetteva di controllare un'area più vasta con minor impiego di personale.

11 Considerando un tasso di riproduzione medio di 2,7 volte l’anno e una media di 5 cuccioli per evento riproduttivo, il numero di nutrie presenti sul territorio era di gran lunga superiore ai 6.000 adulti stimati.

Figura 10. Andamento della popolazione. Numero di esemplari adulti di nutria presenti in Inghilterra fra il 1970 e il 1990, ricostruito utilizzando la tecnica del censimento retrospettivo continuo.

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Per confermare la presenza residua di esemplari di nutria, furono utilizzate anche delle zattere fornite di macchine fotografiche automatiche. Le zattere erano dotate di un fascio di luce ad infrarossi che correva lungo tutto il bordo, e innescava la macchina fotografica nel momento in cui qualsiasi animale fosse salito attirato dall'esca. Così come stabilito all'inizio, nel gennaio del 1989, 21 mesi dopo la fine effettiva della campagna, non avendo registrato nessuna presenza residua di esemplari, la nutria poteva essere considerata definitivamente eradicata. Il Laboratorio di Ricerca sulla Nutria, così come gli altri comitati, cessarono la propria attività nel 1992. Conclusioni Le ragioni del successo della campagna in East Anglia Il successo della campagna di eradicazione della nutria non sarebbe stato conseguito in assenza di valutazioni tecniche dettagliate delle risorse, dei costi e delle probabilità di successo. La ricerca scientifica ha consentito di applicare alle operazioni di controllo della popolazione le risultanze di studi a lungo termine sul campo ed in laboratorio, ponendosi come riferimento di scelte anche pratiche (come ad esempio il regime di incentivazione per i trappolatori). Il successo della campagna è stato assicurato da sette elementi chiave: 1. La problematica era stata ben focalizzata. Alla presenza della nutria erano stati

chiaramente ricondotti i danni alla flora, alle coltivazioni e agli argini. Era stato valutato che queste minacce sarebbero state permanenti e che, nel lungo periodo, una eradicazione definitiva sarebbe costata meno di un controllo continuo.

2. Era stata elaborata una strategia fattibile e una stima dei costi. L'attività di ricerca sulla biologia della nutria e sulle dinamiche della popolazione ha consentito di stimare le risorse necessarie, anche in termini umani, per pervenire all'eradicazione. Sebbene una previsione accurata fosse impossibile (soprattutto riguardo alle temperature invernali che si sarebbero registrate), era stato possibile calcolare anche la possibile durata della campagna. Una accurata stima dei costi, ed il supporto di studi scientifici che ne comprovassero la possibilità di successo, ha incoraggiato le Amministrazioni Pubbliche ad investire nella campagna.

3. Fu utilizzata una tecnica di controllo accettabile. La cattura in trappole si è dimostrata una tecnica efficace. Le nutrie venivano catturate vive e uccise "umanamente" con un colpo di pistola alla testa. La tecnica impiegata ha permesso di rilasciare gli individui di altre specie catturati accidentalmente. Questo metodo fu ritenuto accettabile dall'opinione pubblica. C'è da dire che negli anni '80 le associazioni per i diritti degli animali non erano così organizzate e diffuse come lo sono oggi.

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4. Era presente una struttura di gestione e di finanziamento solida. L'eradicazione è un progetto di lungo periodo. Nel caso dell'East Anglia, in cui erano stati previsti dieci anni di campagna, gli operatori potevano contare sul supporto del Governo Centrale e dei rappresentanti degli interessi locali. La struttura di gestione locale aveva un filo diretto con il Laboratorio di Ricerca in cui si elaboravano le strategie e le tecniche di controllo.

5. Il progresso della campagna poteva essere monitorato ed era presente un continuo processo di miglioramento. La tecnica del censimento retrospettivo continuo ha permesso di monitorare costantemente il progresso della campagna. Questo si rivelò fondamentale affinché gli enti finanziatori fossero rassicurati e incoraggiati a perseguire la campagna. La risposta della popolazione di nutria ai cambiamenti nelle strategie di cattura o ai miglioramenti apportati alle tecniche utilizzate poteva essere monitorata, anche al fine di bilanciare le risorse impiegate.

6. I trappolatori erano incentivati a raggiungere l'obiettivo. Coloro che sono impiegati in una campagna di eradicazione, nel caso in cui abbiano successo, si trovano disoccupati, e questo tende a disincentivare al raggiungimento degli obiettivi. Soprattutto durante l'ultima fase della campagna, è importante che i trappolatori vengano motivati ed incentivati, anche perché possono passare intere settimane, o mesi, senza che avvenga alcuna cattura. Nel caso della campagna in East Anglia, fu stabilito fin da subito che i trappolatori avrebbero ricevuto un bonus economico nel caso in cui fossero riusciti a raggiungere l'eradicazione della specie entro 10 anni.

7. È stato possibile determinare la fine della campagna. È importante che le risorse non vengano disimpegnate troppo presto. La collaborazione costruttiva fra la biologia applicata e una struttura di controllo centrale della campagna, che ha caratterizzato l'esperienza di East Anglia, è potenzialmente applicabile a qualsiasi vasta operazione di controllo delle specie aliene invasive e può risultare essenziale per una eradicazione definitiva.

Il successo della campagna per l'eradicazione della nutria in East Anglia può essere di incoraggiamento per tutte le campagne future, confermando che l'eradicazione di una specie aliena è possibile, anche quando la popolazione è largamente diffusa. Aspetti da considerare per la replicabilità nella realtà regionale Per valutare la possibile replicabilità dell'esperienza inglese, è opportuno considerare che le esperienze italiane hanno rilevato ulteriori problematiche: le operazioni di controllo sono pianificate secondo la disponibilità di fondi e non secondo valutazioni scientifiche dei risultati raggiungibili; in qualche caso i controlli sono stati interrotti per cause burocratiche; l'efficacia delle operazioni di controllo viene raramente valutata.

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È importante notare come operazioni di gestione altalenanti possono avere effetti destrutturanti sulle popolazioni di nutria, favorendo un alto tasso di riproduzione della specie e l'emigrazione verso nuove aree (soprattutto considerando la conformazione idrografica italiana), e creando pertanto le condizioni ottimali per un aumento della popolazione. L'eradicazione, inoltre, è preferibile per popolazioni di piccola o media dimensione, ma un qualche genere di controllo è essenziale nei casi in cui l'eradicazione sia considerata ancora non raggiungibile. Vi proponiamo una schematizzazione delle informazioni necessarie per pianificare e condurre una campagna di eradicazione (Roy, Smith, Russell; 2009).

In funzione della particolarità del territorio italiano e delle precedenti esperienze infruttuose, possiamo rinvenire nella letteratura scientifica a riguardo ulteriori raccomandazioni: 1. Eradicare prontamente aree di nuova colonizzazione qualora sia tecnicamente

fattibile; 2. Pianificare politiche di controllo su una adeguata scala territoriale, su base

biologica fondata, considerando possibili contro effetti di immigrazione; 3. Intensificare i controlli nelle aree più vulnerabili in termini di biodiversità e di

attività umane; 4. Identificare i fattori limitanti per la specie, e pianificare di conseguenza la

gestione; 5. Verificare l'efficacia delle operazioni di gestione e modificare di conseguenza le

operazioni successive; 6. Supportare la ricerca sull'efficacia dei controlli e sui metodi di prevenzione per

diversi ecosistemi.

Categorie di ricerca e gestione Informazioni tecniche necessarie

Operazioni sul campo

I tassi di cattura siano maggiori dei tassi di crescita Le tecniche scelte siano efficaci per tutti gli individui La scala territoriale delle operazioni sia maggiore dei modelli di movimento degli individui Le tecniche sul campo sia ben pianificate e siano esplorate alternative

Valutazione e pianificazione del rischio

Ricerca di individui in zone a bassa densità Gli impatti sulle specie siano monitorati L'immigrazione in zone trattate sia inesistente I potenziali percorsi di re- invasione siano monitorati all'inizio Effetti imprevisti del controllo

Informazioni biologiche rilevanti Ecologia della popolazione e tasso di crescita Ecologia di uso dell'habitat

Biologia generale Fisiologia della specie Ecologia trofica Comportamento sociale

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Bibliografia e sitografia Baker, 2006. The eradication of coypus (Myocastor coypus) from Britain:the elements required for a successful campaign. In Assessment and control of biological invasion risks (F. Koike, M.N. Clout, M. Kawamichi, M. De Poorter & K. Iwatsuki, eds). Shoukadoh Book Sellers, Kyoto, Japan and International Union for Conservation of Nature, Gland, Switzerland, 142-147. Baker, 2010. Control and eradication of invasive mammals in Great Britain. Rev. sci. tech. Off. int. Epiz., 2010, 29 (2), 311-327. Bertolino, Perrone, Gola, 2005. Effectiveness of Coypu Control in Small Italian Wetland Areas. Wildlife Society Bulletin, Vol. 33, No. 2 (Summer, 2005), pp. 714-720. Ciruna, Meyerson, Gutierrez, 2004. The ecological and socio-economic impacts of invasive alien species in inland water ecosystems. Report to the Conservation on Biological Diversity on behalf of the Global Invasive Species Programme, Washington, D.C. pp. 34. Cocchi, Riga, 2001. Linee Guida per il controllo della Nutria (Myocastor coypus). Quad. Cons. Nat, 5, Min. Ambiente - Ist. Naz. Fauna Selvatica. Gosling, Baker, 1989. The eradication of muskrats and coypus from Britain. Biological Journal of the Linnean Society 38: 39-51. Lowe, Browne, Boudjelas, De Poorter, 2000. 100 of the World’s Worst Invasive Alien Species. A selection from the Global Invasive Species Database. Published by The Invasive Species Specialist Group (ISSG) a specialist group of the Species Survival Commission (SSC) of the World Conservation Union (IUCN), 12pp. Panzacchi, Bertolino, Cocchi, Genovesi, 2007. Population control of coypu (Myocastor coypus) in Italy compared to eradication in UK: a cost-benefit analysis. Wildlife Biology 13: 159-171. Prigioni, Balestrieri, Remonti, 2005. Food habits of the coypu, Myocastor coypus, and its impact on aquatic vegetation in a freshwater habitat of NW Italy. Folia Zool. 54(3): 269-277. Roy, Smith, Russell, 2009. The eradication of invasive mammal species: can adaptive resource management fill the gaps in our knowledge? Internet Center for Wildlife Damage Management, 4-1-2009. Università di Firenze, Università di Pisa, Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Lazio e Toscana, Azienda USL 3 Pistoia, 2005. Le specie aliene nelle aree umide interne: attività di controllo, contenimento e verifica dell’impatto di Nutria e Gambero rosso della Louisiana. Centro di Ricerca, Documentazione e Promozione del Padule di Fucecchio.

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Woods, Contreras, Chapman, Whidden, 1992. Myocastor coypus. The American Society of Mammalogists. Link utili Delivering Alien Invasive Species Inventories for Europe (DAISIE) http://www.europe-aliens.org/ Norfolk Biodiversity Partnership http://www.norfolkbiodiversity.org/nonnativespecies/

Biological Records Center http://www.brc.ac.uk/gbnn_admin/index.php?q=node/73 National Wetlands Research Center http://www.nwrc.usgs.gov/special/nutria/europe.htm GB Non- Native Species Secretariat https://secure.fera.defra.gov.uk/nonnativespecies/factsheet/factsheet.cfm?speciesId=2282 EUNIS- EEA (Myocastor coypus) http://eunis.eea.europa.eu/species/11308/sites;jsessionid=2988BCCAD0639829B343262675EBC0E0?tab=sites&d-4014547-p=1&d-4014547-o=2&idSpecies=11308&d-4014547-s=3

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ECONNECT: restoring the web of life Il progetto è stato realizzato tra settembre 2008 e novembre 2011, nell’ambito di Interreg IV - Programma “Alpine Space” (European Territorial Cooperation 2007-2013), con il coinvolgimento di 16 Partner, appartenenti a 6 Paesi dell’arco alpino: - Austria: Università di Medicina Veterinaria, Vienna – Istituto di ricerca

dell’ecologia della fauna selvatica (lead partner); Parco nazionale degli Alti Tauri; Agenzia dell’ambiente dell’Austria; Parco nazionale del Gesäuse; Università di Innsbruck - Istituto di Ecologia.

- Germania: Parco nazionale di Berchtesgaden. - Francia: CEMAGREF; Consiglio del Dipartimento dell’Isere. - Italia: Parco naturale delle Alpi Marittime; Regione Autonoma Valle d’Aosta;

Accademia Europea di Bolzano; Ministero dell’Ambiente; WWF Italia. - Liechtenstein: CIPRA Internazionale - Commissione Internazionale per la

Protezione delle Alpi. - Svizzera: Parco nazionale svizzero. - Internazionale: Task Force Aree Protette – Segretariato Permanente della

Convenzione delle Alpi. - Osservatori: Agenzia federale per la Conservazione della Natura; BfN (DE),

Comitato Scientifico internazionale per la ricerca alpina ISCAR (CH); Parco naturale Logarska Dolina (SI) e Biosfera Val Müstair (CH).

La connettività delle Alpi è limitata, in parte e per alcune specie, dalle barriere fisiche naturali (dirupi, creste montuose a quote elevate, etc), ma è soprattutto limitata dalla frammentazione del paesaggio e del continuum ecologico creata dall’uomo: le infrastrutture stradali o ferroviarie e l’urbanizzazione nei fondovalle sono i principali ostacoli allo spostamento di animali e piante tra gli habitat. Gli spostamenti rappresentano una delle più importanti possibilità di sopravvivenza per le specie: consentono, infatti, una redistribuzione adattativa delle popolazioni e quindi il raggiungimento del giusto equilibrio delle densità, il mantenimento di un regolare flusso genetico e l’adeguamento alle rapide trasformazioni ambientali in atto, in particolare ai grandi cambiamenti climatici. I corridoi ecologici costituiscono lo spazio naturale entro il quale le specie possono spostarsi per raggiungere le grandi aree protette, core area di una rete ecologica. Va da sé che i confini amministrativi o i confini dei parchi non vengono “letti” e interpretati come tali dalle specie animali e vegetali che si diffondono seguendo le leggi della natura. ECONNECT affronta il problema della connettività ecologica sulle Alpi, prendendo in considerazione sia gli effetti pratici che le barriere fisiche, come

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autostrade o dighe, provocano sulla fauna alpina, sia le differenze tra i quadri legislativi dei diversi Paesi Partner che possano direttamente o indirettamente limitare la costruzione di una rete ecologica. La riduzione della frammentazione degli habitat nell’arco alpino è obiettivo essenziale per raggiungere un’efficace conservazione della biodiversità, nell’ottica della Strategia della biodiversità EU 2020 e nel rispetto delle diverse convenzioni e accordi internazionali e regionali stipulati, fra cui la Convenzione delle Alpi, la Convenzione sulla Diversità Biologica e le Direttive Habitat e Uccelli dell’Unione Europea, di cui la rete Natura 2000 rappresenta l’elemento fondamentale. Le aree di intervento: sette Regioni Pilota Il progetto ha concentrato i propri obiettivi sul territorio di Austria, Francia, Germania, Italia e Svizzera, selezionando sette “Regioni Pilota” sulle quali testare le misure per la connettività ecologica per tutto l’arco alpino.

Figura 1. Carta delle regioni pilota del progetto ECONNECT.

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La Regione transfrontaliera Berchtesgaden – Salisburgo (Austria - Germania)

Figura 2. Regione Pilota “Berchtesgaden – Salisburgo”.

Questa area transfrontaliera che si estende tra la Baviera (Germania) e il Salisburghese (Austria) comprende 3 grandi aree protette: il Parco Nazionale di Berchtesgaden, la Riserva della Biosfera del Berchtesgaden e il Parco Natura Weissbach. Il paesaggio è caratterizzato da un mosaico ambientale diversificato, includendo aree antropizzate, soprattutto nei fondovalle e nella parte nord della Regione, foreste naturali, aree prative adibite a colture estensive e pascoli di montagna.

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La Regione delle Alpi Calcaree settentrionali (Austria)

La Regione Pilota “Alpi Calcaree settentrionali” occupa la parte nord orientale della catena montuosa alpina, dagli ultimi ghiacciai del Dachstein (2.995 m s.l.m.) a ovest, sino alle antiche foreste dell’area selvaggia di Dürrenstein a est. Consiste in una rete di 25 aree protette che coprono un’area di 2.000 km2 nei tre stati federali austriaci della Stiria, dell’Austria superiore e dell’Austria inferiore. La regione è influenzata dalla storia mineraria della zona dell’“Eisenwurzen”, compresa nella Rete Europea dei Geopark. Si tratta di un vasto territorio, caratterizzato da una scarsa densità di insediamenti, un basso grado di frammentazione, un’elevata percentuale di foreste (>80%), un paesaggio antropizzato densamente strutturato e una ricca biodiversità, che rappresenta un importante collegamento con altre regioni alpine e con i Carpazi. Vi si registra una notevole ricchezza di specie endemiche e di insetti molto rari in prossimità delle sorgenti d’acqua. I più comuni tipi di habitat naturali sono le foreste di faggi e abeti. La Regione degli Alti Tauri (Austria – Italia) Questa Regione Pilota ha un ruolo significativo per l’intera catena montuosa, in quanto costituisce un punto d’intersezione cruciale tra le Alpi settentrionali e le zone pedemontane di Italia e Slovenia, oltre che tra le Alpi occidentali e orientali. Comprende il più ampio e coeso network protetto del territorio alpino, con il Parco Nazionale Hohe Tauern (A) e i parchi naturali altoatesini (Vedrette Ries, Fanes-Sennes-Braies, Tre Cime di Lavaredo, Puez-Odle) in Italia. La Regione Alti Tauri è definita il tetto d’Austria, con il Grossglockner che raggiunge i 3.798 m s.l.m.,

Figura 4, Regione Pilota "Alti Tauri".

Figura 2 – Regione Pilota “Alpi Calcaree settentrionali”

Figura 3. Regione Pilota “Alpi Calcaree settentrionali”.

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più di 300 vette oltre i 3.000 m e il 10% di territorio coperto da ghiacciai. Il paesaggio comprende habitat primordiali e terreni coltivati. La Regione del Monte Rosa (Italia)

Figura 5. Regione Pilota "Monte Rosa".

Il massiccio del Monte Rosa è situato lungo il confine tra Italia e Svizzera, in Valle d’Aosta, con quote che vanno da 2.000 m a un massimo di 4.531 m. L’area è classificata come SIC/ZPS IT1204220 “Ambienti Glaciali del Gruppo del Monte Rosa” ed ha una superficie complessiva di 8.645 ha ricadente sui comuni di Valtournanche, Ayas, Gressoney-La-Trinité. La vulnerabilità del Sito è legata alle possibili modificazioni degli habitat a seguito dell’effetto dei cambiamenti climatici, alla forte pressione turistica del comprensorio turistico di Valtournenche-Cervinia, ai progetti di ulteriori infrastrutturazioni, all’abbandono o modificazione delle pratiche pastorali tradizionali e alla modifica del regime delle acque superficiali.

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Il Sito, che comprende l’habitat prioritario dei “pavimenti calcarei”, è noto per la presenza dello stambecco (Capra ibex) le cui popolazioni si spostano tra Svizzera e Piemonte. La Regione delle Alpi sud-occidentali – Mercantour /Alpi Marittime

Figura 6. Regione Pilota "Alpi sud-occidentali - Mercantour / Alpi Marittime".

Le Alpi sud-occidentali sono situate tra il Piemonte, la Liguria e la regione francese Provence-Alpes-Côte-d’Azur. La Regione Pilota comprende il Parco Nazionale Mercantour, in Francia, e il Parco Naturale Alpi Marittime, in Italia, che insieme costituiscono un’unica entità geografica naturalistica di oltre 100.000 ha. Le due aree protette hanno stabilito da tempo forme consolidate di collaborazione e una comune visione di un “Parco

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Nazionale Europeo”. Insieme formano un’unità biogeografica, la cui particolare localizzazione, strategica per gli spostamenti della fauna, permette di considerare quest'area come un naturale corridoio ecologico fra Alpi, Appennini e Mediterraneo. Le Alpi Marittime sono anche famose in tutto il mondo per la loro ricchezza botanica (2.600 specie). La Regione del Dipartimento francese dell’Isere (Francia)

Figura 7. Regione Pilota "Dipartimento francese dell'Isere".

Il Dipartimento francese dell’Isère si trova nella regione Rhône-Alpes e rappresenta un importante percorso migratorio per uccelli e altre specie attraverso le montagne e le ampie aree protette (Parco Nazionale Les Ecrins, Parchi Naturali regionali Vercors, Chartreuse, Bauges). Le valli sono densamente popolate e gli habitat, ricchi e vari, spaziano dalle montagne alle foreste alluvionali.

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La Regione del Triangolo Retico (Italia – Svizzera - Austria)

Questa Regione Pilota, situata nell’area di confine tra Austria, Italia e Svizzera, consiste in una rete di aree protette e parchi naturali, che include il Parco Nazionale Svizzero e il Parco Nazionale dello Stelvio, la Riserva della Biosfera Val Monastero, il Parco Naturale Kaunergrat, il

Parco dell’Adamello e Adamello Brenta e parte dei parchi naturali dell’Alto Adige. La Regione include altresì un’altra area importante, oltre a quella dei parchi, che si estende dalla pianura del Po attraverso la valle dell’Adige, sulle Alpi centrali alla Valle dell’Inn (Engadina in Svizzera e la valle superiore dell’Inn in Austria). La quota più elevata è la cima dell’Ortles con 3905 m, mentre il passo più basso sulle Alpi centrali, il Passo di Resia (1504 m), è anch’esso parte importante in questa Regione ai fini della connettività. Qui, le rotte migratorie da est e sud sono principalmente determinate dalle caratteristiche topografiche. Le reti sono di particolare importanza nella valle dell’Adige, densamente popolata e intensamente sfruttata (es. frutteti). Il Triangolo Retico e le aree adiacenti del Trentino e della Lombardia ospitano un’ampia varietà di habitat alpini, dalle praterie umide alle torbiere, oltre all’ampia tipologia forestale, dai boschi di latifoglia di bassa quota alle foreste di conifere delle quote più alte. Rapporti delle Regioni Pilota con le aree Natura 2000 L’approccio metodologico del caso studio, di tipo multidisciplinare e transnazionale, si discosta dall’analisi specifica dei singoli Siti della Rete Natura 2000, che vengono considerati, al pari delle aree protette, elementi core areas della rete ecologica alpina. Il criterio di riconoscimento delle Regioni Pilota nell’arco alpino si basa su criteri di qualità ben definiti che contemplano la presenza di aree protette ed aree esterne con elevata biodiversità, come nel caso dei Siti Natura 2000. Nelle Regioni Pilota coinvolte dal progetto sono incluse infatti diverse aree della rete Natura 2000, quali il SIC/ZPS IT1204220 “Ambienti Glaciali del Gruppo del Monte Rosa” nella Regione Pilota Monte Rosa, la ZPS IT2040044 “Parco Nazionale dello Stelvio” nella Regione del Triangolo Retico, il SIC/ZPS IT1160056 “Alpi Marittime” nella Regione delle Alpi sud-occidentali – Mercantour /Alpi Marittime.

Figura 8. Regione Pilota "Triangolo Retico".

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Le misure di gestione oggetto del caso studio Il progetto si è sviluppato seguendo un approccio olistico e multidisciplinare prevedendo i seguenti gruppi di azioni. Raccolta di informazioni di carattere giuridico-amministrativo Le informazioni raccolte hanno riguardato i diversi Paesi partner, tenuto conto che le Alpi comprendono 8 paesi, 28 regioni, 98 province e le comunità che vivono in quest’area parlano 5 lingue diverse. Si è partiti, infatti, dal presupposto che questa diversità comportasse un’ampia varietà di quadri giuridici disciplinanti la protezione della natura, la pianificazione territoriale e le pratiche di utilizzo del suolo. Dopo aver rilevato il quadro giuridico delle aree protette nei paesi alpini coinvolti si è proceduto ad una valutazione comparativa tra gli Stati confinanti (Italia/Francia, Svizzera/Italia, Austria/Germania e Italia/Austria) analizzando le differenze, individuando gli ostacoli alla connettività ecologica e le possibili soluzioni. Dal lavoro è emerso che: 1. in relazione al quadro istituzionale di protezione della natura e di tutela degli

habitat, le barriere legislative derivano prevalentemente da tradizioni costituzionali dei paesi alpini;

2. occorre collaborazione non solo tra i gestori delle aree protette, ma anche tra le parti politiche. Un maggior livello di cooperazione agevolerebbe la comprensione degli obiettivi perseguiti e comporterebbe un’armonizzazione degli statuti delle aree protette nelle Alpi;

3. è necessaria l’adozione di disposizioni specifiche fuori dalle aree protette; attività, progetti, piani o programmi fuori o vicino alla zona focale dell’area possono avere un’influenza e un impatto significativi sulla stessa;

4. la tutela del paesaggio è un importante obiettivo, poiché le caratteristiche del paesaggio sono spesso considerate parte della rete ecologica. Inoltre, diventa sempre più importante il concetto di “paesaggio culturale”, integrato nella Convenzione delle Alpi, ma non nelle singole legislazioni nazionali/regionali;

5. la cooperazione transfrontaliera è vitale, come è emerso nella Regione Pilota delle “Alpi sudoccidentali Mercantour/Alpi Marittime” in Francia-Italia;

6. gli attuali strumenti di cooperazione sotto forma di accordi e gemellaggi devono essere istituzionalizzati; occorrono inoltre altri quadri giuridici che consentano di istituire una struttura congiunta e sviluppare strategie comuni di gestione tra le aree protette. In quest’ottica, il regolamento GECT (Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale) può rappresentare una buona opportunità per istituzionalizzare la cooperazione transfrontaliera tra aree protette.

Il Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale è uno strumento giuridico europeo (definito dal Reg. (EC) No. 1082/2006) volto ad agevolare e promuovere la cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale. Il GECT è una persona

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giuridica e in quanto tale consente alle autorità regionali e locali e ad altri enti pubblici dei vari Stati membri di costituire gruppi cooperativi dotati di personalità giuridica. Possono essere membri del GECT: Stati membri, autorità regionali o locali, associazioni, qualsiasi altro ente pubblico. Il GECT consente alle pubbliche autorità di formare un team e di fornire servizi congiunti, senza dover prima firmare un accordo internazionale, ratificato dai parlamenti nazionali. Gli Stati devono comunque concordare la partecipazione dei potenziali membri nei rispettivi Paesi. Tra i risultati della comparazione legislativa si riportano di seguito quelli emersi dal confronto tra Italia e Svizzera con riferimento specifico alla Regione Pilota più prossima alla Lombardia, “Triangolo Retico”. - Le aree protette individuate sono in Italia, il Parco Nazionale dello Stelvio e in

Svizzera, il Parco Nazionale Svizzero (Cantone Graubünden) e il futuro parco naturale regionale Val Müstair (Riserva della biosfera-UNESCO).

- Il fatto che due delle aree protette siano parco nazionale è da considerarsi elemento positivo per l’attuazione di azioni di gestione transfrontaliera. Inoltre, la Val Müstair rappresenta un territorio “buffer” importante tra i due parchi nazionali e che rafforza l’idea di necessità di una cooperazione tra le tre aree per la creazione di un’”area ecologica transfrontaliera”.

- Diversamente dalla Direttiva europea sulle acque, la Direttiva Habitat non impone obblighi di cooperazione transfrontaliera, né menziona il concetto dei siti Natura 2000 transfrontalieri sebbene le direttive Habitat e Uccelli riconoscano che la natura non ha confini amministrativi.

- La Convenzione delle Alpi è strumento per la salvaguardia di habitat e specie alpine poiché definisce misure di conservazione per la natura così come misure per altri settori. Tuttavia, Italia e Svizzera, non hanno ancora ratificato nessuno dei protocolli d’implementazione della Convenzione delle Alpi (novembre 2010), mentre hanno adottato il Piano d’Azione sui cambiamenti climatici nelle Alpi, così come la Dichiarazione sui cambiamenti climatici.

- Parlando di creazione di corridoi ecologici e conservazione di habitat occorre considerare non solo la legislazione sulla conservazione della natura, ma anche le misure per lo sviluppo rurale della Politica Agricola Comunitaria che possono avere un’influenza positiva sulla connettività ecologica.

- In relazione alle reti ecologiche, la Svizzera non partecipa all’implementazione della Rete Natura 2000, mentre supporta la Rete Emerald, il cui scopo analogamente a Natura 2000 è contribuire alla rete ecologica pan-europea. Tuttavia la Rete Emerald non è attualmente operativa (novembre 2010) e la sua attuazione rappresenta una scelta facoltativa per il Paese.

- Sia in Italia che in Svizzera la rete ecologica è supportata da disposizioni adottate a livello regionale, ma l’effettiva creazione viene concepita in modo diverso, poiché mentre in Italia la rete è il frutto di provvedimenti legali adottati dalle Regioni, in Svizzera è stata definita un Rete Ecologica Nazionale. Anche gli elementi della Rete sono differenti.

- In Italia il Regolamento del GECT è recepito con Legge n. 88 del 7 luglio 2009, artt. 46, 47 e 48. La Svizzera, invece, poiché Stato extracomunitario, può partecipare ad un GECT soltanto se il Gruppo è già costituito da almeno due Stati

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membri. Nel caso dei parchi della Regione Pilota “Triangolo Retico” la Svizzera potrebbe essere coinvolta solo se si costituisse un GECT tra Italia ed Austria.

- Può essere considerato uno strumento di cooperazione fattibile la creazione di una “Riserva della Biosfera transfrontaliera” (TBR) tra Parco Nazionale dello Stelvio, la Riserva della Biosfera Val Mustair ed il Parco Nazionale Svizzero (anch’esso dal 1979 Riserva della Biosfera).

Creazione di un geoportale Il Geoportale ha permesso la raccolta di dati geografici integrati ed armonizzati (in quanto provenienti da province, regioni e paesi diversi) al fine di consentire l’analisi, tramite uno strumento di mappatura on-line, dei corridoi ecologici, su scala alpina e su scala di Regione Pilota, e di individuare le barriere fisiche capaci di influire sui movimenti delle specie. L’azione ha condotto all’allestimento di un archivio di dati strutturato (http://gis.eurac.edu/geonetwork/srv/en/main.home ), conforme alla Direttiva europea INSPIRE, e di uno strumento di mappatura online denominato JECAMI - “Joint Ecological Continuum Analyzing and Mapping Initiative”. (http://gis.nationalpark.ch/arcgisserver_app/secure/econ_jecami.htm)

Figura 9. Recami. Con JECAMI è possibile visualizzare distribuzione, idoneità ambientale, barriere e corridoi del paesaggio in relazione ad alcune specie animali selezionate come indicatori faunistici: Orso bruno (Ursus arctos), Lupo (Canis lupus), Lince eurasiatica

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(Lynx lynx), Cervo (Cervus elaphus), Gallo forcello (Tetrao tetrix), Grifone (Gyps fulvus), Lontra (Lutra lutra) e Scazzone (Cottus gobio). JECAMI fornisce 4 servizi: 1. CSI - Continuum Suitability Index: indice di idoneità del continuum che analizza la

connessione ecologica nel paesaggio alpino. L’indice si basa sulle interazioni di dieci diversi indici, tra cui densità di popolazione, uso del suolo, eterogeneità del paesaggio, frammentazione, topografia, infrastrutture, protezione ambientale, e consente la misurazione della connettività su una matrice di differenti aree.

2. SMA - Species Map Application: analizza la distribuzione e la migrazione di 5 specie rappresentative (orso bruno, lupo, lince, grifone e gallo forcello) rilevando barriere che limitano la permeabilità all’habitat;

3. PAM – Priority Areas Mapping: analizza le aree prioritarie delle Alpi nel contesto della connettività ecologica;

4. CARL – Connectivity Analysis of Riverine Landscapes: analizza la connettività dei paesaggi fluviali. Sono stati sviluppati modelli di idoneità dell’habitat per le specie focali dello scazzone e della lontra sulla base delle rispettive abitudini.

Oltre alla distribuzione e identificazione delle aree ritenute idonee sono emersi i seguenti risultati circa l’analisi delle barriere fisiche e giuridiche in riferimento a orso bruno, lupo e lince. Orso bruno Nelle Alpi, le autostrade rappresentano la barriera fisica antropogenica maggiormente rilevante per gli orsi, anche se il principale problema da risolvere consiste nell’accettazione da parte delle comunità locali e delle amministrazioni. Infatti, l’intolleranza è uno dei fattori che scatenano la caccia all’orso. Le decisioni politiche assunte nell’arco alpino, come ad esempio il risarcimento del bestiame predato, avranno certamente l’effetto di incrementare il grado di accettazione degli orsi tra gli agricoltori e le popolazioni locali. Inoltre, occorre urgentemente l’introduzione di misure di prevenzione dei danni (recinti elettrici, cani, ecc.). Infine, va considerato che, in paesaggi sempre più dominati dall’uomo, gli habitat risultano sempre meno adatti agli orsi e i conflitti tra orsi e umani sono destinati ad aumentare. Lupo I lupi attraversano agevolmente strade e autostrade; una singola strada non è abitualmente considerata una barriera ai fini della diffusione del lupo. Tuttavia, in Italia i lupi sono spesso vittime di incidenti d’auto, soprattutto se si insediano in zone con molte vie di comunicazione. Pertanto, la densità di strade costituisce un grave limite alla costituzione di branchi e alla diffusione del lupo. Gli insediamenti umani, le piccole aree boschive e le alte quote sembrano essere ulteriori variabili negative per quanto riguarda la presenza del lupo. L’analisi ha richiamato l’attenzione sul fatto che si trovano livelli minimi di

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connettività tra le aree di provenienza situate nelle Alpi Pennine e Lepontine e tra la Svizzera e l’Italia. Un ulteriore fattore in grado di influire sulla connettività di questa specie è rappresentato dal livello elevato di frammentazione giuridica, visto che il paesaggio alpino comprende diversi paesi, ciascuno con il suo quadro amministrativo e legislativo. Un programma condiviso di gestione applicabile a tutti i paesi alpini costituisce un passo necessario per mantenere la connettività e garantire la conservazione del lupo nella regione per un lungo periodo. Lince Il camoscio e il cervo sono le principali prede della lince e quindi la loro presenza influisce sulla sua distribuzione. La predazione di altri animali è occasionale. A differenza del lupo e dell’orso, la lince non è considerata una minaccia dagli agricoltori, ma è percepita come un concorrente dai cacciatori. Le autostrade sembrano rappresentare la principale barriera per i suoi spostamenti, in quanto possono interrompere le vie di diffusione della specie e decimare così le popolazioni già insediate. Tuttavia, i dati sugli animali morti sulle strade sono scarsi e vi è tuttora incertezza riguardo alle reali minacce che tali infrastrutture possono porre alle specie. Gallo forcello I principali ostacoli alla diffusione su ampie distanze sono: - le barriere naturali (es. catene montuose superiori a 2500 m); - la pressione antropogenica: a livello locale il gallo forcello utilizza diversi tipi di

habitat durante il suo ciclo annuale. Pertanto, è essenziale garantire l’accesso a questi spazi vitali riducendo la frammentazione del territorio;

- nei mesi invernali il gallo forcello è disturbato dalla presenza di impianti di risalita delle stazioni sciistiche.

Destano preoccupazione anche i previsti mutamenti degli habitat proprio del gallo forcello conseguenti ai cambiamenti climatici. Interventi concreti per la costituzione di reti ecologiche Il progetto ha affrontato l’aspetto più pratico dell’obiettivo di salvaguardia, ripristino e promozione della connettività ecologica in tutto il territorio alpino, partendo dall’elaborazione del documento “Metodologia per le Regioni Pilota” come strumento di guida per assicurare coerenza di metodo nella scelta più efficace degli interventi da attuare e per garantire un minimo di comparabilità tra le diverse iniziative. In sostanza, definisce i passaggi necessari per arrivare a fare la scelta più appropriata: 1. Preparazione, contatti con gli stakeholders e organizzazione (delimitazione

cartografica della regione di interesse, identificazione delle aree prioritarie, verifica dei progetti già esistenti, identificazione e contatto con gli stakholders per la costruzione del progetto);

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2. Attività d’identificazione target tramite analisi e selezione delle priorità (definizione obiettivi, selezione delle specie e degli indici di analisi, identificazione delle barriere legali e delle barriere fisiche, analisi GIS, definizione del piano di azione e delle misure da realizzare)

3. Progettazione dettagliata e realizzazione (organizzazione dettagliata di ogni azione, realizzazione, monitoraggio e valutazione dei risultati)

Partendo dalle analisi della condizione di connettività ecologica sono state individuate ed attuate all’interno delle 7 Regioni Pilota, sotto la guida dei gestori delle aree protette e rafforzando la cooperazione tra gli stakeholder e le istituzioni competenti, le seguenti specifiche misure per il ripristino e la conservazione delle stesse: Regioni pilota Misure attuate Berchtesgaden- Salzburg

1. utilizzo estensivo delle praterie 2. costruzione di sottopassi per Anfibi 3. rivitalizzazione e studio sulla connettività del torrente Saletbach 4. scambio transfrontaliero di esempi di buone pratiche

Alpi Northern Limestone

1. misure per gli habitat del picchio dorsobianco (Dendrocopos leucotos) 2. misure per gli habitat dell’allocco degli Urali (Strix uralensis) 3. sensibilizzazione della popolazione locale con un evento pubblico a favore della connettività

Hohe Tauern (Alti Tauri)

1. Gallo cedrone (Tetrao urogallus) progetto connessione Mallnitz 2. Gallo cedrone (Tetrao urogallus) progetto connessione Matrei 3. progetto di gestione dei visitatori invernali a Larisa in Mallnitz 4. inserimento della connettività ecologica nella Strategia austriaca per i parchi nazionali

Monte Rosa 1. mantenimento degli elementi del paesaggio utili per la connessione ecologica 2. adozione di nuove misure per il miglioramento della connessione in occasione della designazione dell’area come ZSC 3. regolamentazione dei flussi turistici

Dipartimento francese Isère

1. campagna di sensibilizzazione contro l’inquinamento luminoso 2. miglioramento di un muro identificato come barriera per la fauna (sistemazione recinzione per ostacolare il passaggio sulla strada) e altri lavori su barriere per l’avifauna; 3. corso di formazione organizzato da Cemagref rivolto alle guardie delle aree protette e alle associazioni ambientaliste 4. guida metodologica alle reti ecologiche gerarchiche

Alpi sud-occidentali – Parchi Mercatour/Alpi Marittime

1. implementazione della connettività idrica 2. implementazione della connettività terrestre 3. implementazione della connettività aerea

Triangolo Retico 1. salvaguardia della connettività nel sistema fluviale del Rio Rom 2. attuazione della connettività nel processo di pianificazione regionale 3. collaborazione con il progetto INSCUNTER – sinergie nelle aree rurali

Tra le molte azioni si segnalano quelle attuate nella Regione Pilota “Monte Rosa” attraverso le quali è stato possibile: − attivare la misura 213 del Programma di Sviluppo Rurale (Indennità Natura

2000) prevedendo rimborsi agli agricoltori per il mantenimento degli elementi del paesaggio rurale, quali muretti a secco e zone alberate o con cespugli, che

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permettono un miglioramento della connettività ecologica quali punti di rifugio di diverse specie animali;

− individuare delle misure di conservazione per habitat e specie, ai fini della successiva designazione dell’area come Zona Speciale di Conservazione (ZSC). (La Regione autonoma della Val d’Aosta ha approvato con Deliberazione di Giunta regionale n. 3061 del 16/12/2011 il documento tecnico concernente le misure di conservazione per i siti di importanza comunitaria della rete ecologica europea NATURA 2000, ai sensi dell'articolo 4 della L.R. 8/2007 e del D.M. 17 ottobre 2007 e ai fini della designazione delle zone speciali di conservazione (ZSC));

− realizzare una specifica cartografia della rete sentieristica per regolamentare i flussi turistici;

− rimuovere due impianti di risalita ormai in disuso e di ostacolo per l’avifauna (azione attuata dalla società Monte Rosa S.p.A.).

Dalle azioni attuate nella Regione Pilota “Dipartimento francese dell’Isere”, invece, è nata una “Guida metodologica delle reti ecologiche gerarchiche”, derivata dall’esperienza decennale di interventi in Francia e in Svizzera. La guida raggruppa e combina in un unico concetto tutti i principi scientifici necessari come base per la modellazione delle infrastrutture ecosistemiche naturali (es. effetti della dimensione superficiale di un habitat, effetti dell’isolamento, teoria della gerarchia nella scala spazio-temporale, etc.). Riporta, inoltre, gli approcci tecnici, soprattutto cartografici, che sono stati impiegati per definire le reali, o simulate, interazioni ecologiche di un particolare paesaggio, tenuto conto che qualsiasi paesaggio può essere caratterizzato da un certo numero di “continua” ecologici: forestale, palustre, acquatico, prativo, agricolo, etc. Ciascuna fase dell’approccio è illustrata nella guida attraverso esempi delle soluzioni applicate in accordo a situazioni particolari o standardizzate. Un esempio più pratico proviene dall’azione realizzata nella Regione Pilota Alti Tauri. In base a uno studio sulla popolazione del gallo cedrone occidentale (Tetrao urogallus), specie in All I della Direttiva Uccelli, e sull’uso del suo habitat nella regione di Mallnitz (Parco Nazionale Alti Tauri in Carinzia), sono state ideate misure di miglioramento del suo spazio vitale. Poiché il Parco Nazionale Alti Tauri offre un habitat troppo ridotto per il gallo cedrone, l’area oggetto dello studio e dell’attuazione delle misure è stata estesa alle zone di Mallnitz e Obervellach, per un totale di 4.500 ettari (Parco Nazionale 3.072 ettari, area circostante 1.500 ettari) e oltre 27 concessioni di caccia. La prima area selezionata è stata il cosiddetto “Gassneralm” nella valle di Kaponig a Obervellach, un pascolo in cui, nel corso del tempo, a seguito della ricrescita delle foreste, il gallo cedrone ha perso il suo habitat. I due proprietari privati e il team incaricato del progetto hanno individuato insieme le misure necessarie in questa area

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modello di 6,5 ha, tra cui la cura e il diradamento della foresta, il taglio di larici, la rimozione dei rami, la pulizia delle erbacce e la liberazione di spazi da adibire a pascoli alpini. I lavori sono stati affidati a un’impresa specializzata nell’abbattimento di alberi. Per il diradamento forestale sono occorse tre linee di cavi sospesi che ora servono da corridoi per il volo del gallo cedrone. La canopea (volta della foresta) è stata ridotta dal 90% al 60%, condizione ideale per i galli cedroni. Il lavoro, supervisionato costantemente dal team di progetto, è stato portato a termine con successo nell’arco di 3 settimane. Questo progetto pilota ha dimostrato quali siano le possibilità di cooperazione interdisciplinare tra silvicoltura, agricoltura, caccia e protezione della natura, oltre a fungere da modello per un ampio piano d’azione a favore del gallo cedrone.

Sensibilizzazione riguardo alle reti ecologiche Sono state sviluppate numerose azioni di comunicazione: incontri, conferenze volte sia alla divulgazione del concetto, sia alla diffusione dei risultati ottenuti, soprattutto per il trasferimento delle conoscenze alle altre regioni montane.

L’approccio per la comunicazione si è basato sull’immagine e sul coinvolgimento della popolazione alpina tramite un concorso fotografico sui corridoi/barriere ecologiche e il coinvolgimento della scuola di fotografia della prestigiosa agenzia CONTRASTO che ha prodotto una mostra fotografica che riprende questi temi in maniera molto particolare e creativa. Le conferenze organizzate a livello internazionale sono servite a richiamare gli stakeholder e gli attori

Figura 10. 3° classificato "un giorno lungo un anno" di G. Rado. Immagine usata per il booklet del progetto.

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chiave di altre aree montane (Carpazi e Pirenei) che hanno contribuito con le loro esperienze a realizzare i prodotti finali del progetto. Per la diffusione dei risultati del progetto sono stati realizzati diversi documenti in forma divulgativa e di comune comprensione. Tra i prodotti presentati a conclusione del progetto vi sono due documenti che raccolgono “raccomandazioni” destinate agli attori chiave a livello locale, alpino ed europeo:

1. "Raccomandazioni per l'implementazione". Raccolgono le esperienze e le lezioni tratte dalle attività di campo. Le Raccomandazioni per l'implementazione puntano a supportare i gestori delle aree protette e gli esperti coinvolti nella conservazione della natura a livello di Regione Pilota.

Raccomandazione 1: l’approccio delle regioni pilota - un modello di governance di successo e di laboratorio futuro per una migliore connettività ecologica nelle Alpi. Problema: la connettività ecologica richiede un approccio progettuale ampio e attività di implementazione pratica. Naturalmente, per ottenere risultati tangibili, queste devono essere coordinate. Approccio: grazie alle loro competenze interdisciplinari e al loro know how, i gestori delle aree protette sono i punti di partenza per lo sviluppo di modelli di governance della connettività a livello regionale che possano essere coronati da successo. Raccomandazione 2: le regioni pilota contribuiscono al mantenimento e al miglioramento di aree di priorità per la connettività nelle Alpi. Problema: le aree di priorità per la connettività ecologica richiedono misure di conservazione e di prevenzione per mantenere o migliorarne il valore. Approccio: lo strumento JECAMI permette alle regioni pilota di identificare il loro ruolo e il potenziale della connettività nelle Alpi e a livello regionale. Raccomandazione 3: è importante sviluppare un mix adatto di metodi di analisi per definire e implementare la connettività ecologica nelle regioni pilota. Problema: la base della connettività ecologica richiede l'analisi degli elementi paesaggistici (strutturali) e delle esigenze delle specie (funzionali) per sviluppare risultati di vasta portata. Approccio: ECONNECT ha identificato l'approccio paesaggistico come base della connettività ecologica. Le specie fungono da indicatori per le funzioni paesaggistiche e supportano i passi di un'analisi dettagliata insieme alla valutazione delle misure a livello locale. Esse sono anche utili ai fini della comunicazione. Raccomandazione 4: le misure di connettività devono essere basate su un focus regionale comune. Problema: nelle regioni pilota è necessario considerare e integrare condizioni regionali specifiche, conoscenze, bisogni e vincoli locali, per raggiungere un impatto massimo ai fini della connettività ecologica. Approccio: inseriti in un contesto alpino e partendo da un approccio metodologico comune, tutti gli attori a livello di regioni pilota contribuiscono ad acquisire un quadro nitido sulle condizioni generali esistenti per la connettività, ai fini di individuare soluzioni adeguate per il contesto regionale specifico. Raccomandazione 5: la cooperazione intersettoriale è indispensabile per ottimizzare la connettività ecologica e la conservazione della natura nelle Alpi. Problema: l'impatto sulla biodiversità e sulla connettività è molteplice e deriva spesso da attività di rilevanza paesaggistica di diversi settori dell'economia. Ciò richiede un'interazione e una cooperazione con le rispettive fonti dell'impatto.

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Approccio: è necessario adottare sforzi pro-attivi per analizzare e contrastare i rischi per la biodiversità e la connettività, riunendo le forze con altri settori di rilievo; gli strumenti sono territoriali e comprendono in particolare la pianificazione territoriale. Raccomandazione 6: le regioni pilota devono comunicare il loro know how a livello di condizioni normative e vincoli, per favorire un progresso efficiente in direzione della connettività ecologica. Problema: gli strumenti normativi esistenti possono essere utili per raggiungere gli obiettivi di connettività. Approccio: le regole e le normative esistenti a livello nazionale in materia di connettività devono essere attentamente analizzate. È necessario discutere la loro effettiva capacità di migliorare la connettività e proporne miglioramenti e modifiche.

2. “Raccomandazioni politiche”. Hanno l’obiettivo di promuovere un quadro giuridico comune e di incentivare la diffusione del concetto di connettività ecologica e l’attuazione delle misure necessarie al fine di dare concretezza alla rete ecologica.

Raccomandazione 1: Valorizzare la connettività ecologica per la società e l’economia alpina Problema: nonostante il suo ruolo indispensabile nella conservazione della biodiversità e nell’erogazione di servizi ecosistemici, la connettività ecologica non è sufficientemente apprezzata dalla società che generalmente ignora l’alto valore economico che generano i servizi ecosistemici. Approccio: la connettività ecologica deve essere valorizzata come elemento insostituibile per la biodiversità, i servizi ecosistemici e quindi per la società e l’economia. Biodiversità e servizi ecosistemici forniscono valori importanti per la società e l’economia. Allo stesso modo, la connettività ecologica rappresenta un valore indispensabile per la società e l’economia, in quanto gioca un ruolo centrale nel funzionamento ecosistemico. Quando la connessione tra gli habitat è persa, questi habitat gradualmente degradano ed i livelli di biodiversità al loro interno (ed i servizi ecosistemici associati) declinano. Per questo la connettività ecologica è un fattore determinante per la sopravvivenza, migrazione e potenziale adattamento di tutte le piante e animali presenti in un dato habitat e, per estensione, un fattore determinante per la conservazione dei servizi ecosistemici. Raccomandazione 2: stabilire un quadro normativo esaustivo in supporto della connettività ecologica a varie scale nella regione alpina Problema: il quadro normativo per l’istituzione di una rete ecologica che copra l’intera regione alpina e per misure locali di connettività ecologica è inesistente o insufficiente. Approccio: il quadro normativo a supporto delle misure di connettività ecologica ai diversi livelli deve essere istituito, integrato e migliorato. Il rispetto dei diritti dei proprietari terrieri privati è un elemento chiave per la conservazione e il miglioramento della connettività. È impossibile realizzare un continuum ecologico sostenibile senza la partecipazione dei proprietari privati e pubblici dei terreni e dei gruppi di interesse. Raccomandazione 3: integrare il concetto della connettività ecologica negli strumenti della pianificazione territoriale a tutti i livelli (dal livello locale a quello internazionale), utilizzando un approccio multisettoriale. Problema: La pianificazione territoriale e l’implementazione sono gestiti separatamente da singoli settori, mentre la connettività ecologica richiede un approccio olistico e integrato. Approccio: la pianificazione è essenziale per favorire la resilienza dei processi ecologici a fronte dei cambiamenti antropogenici globali nella paesaggio alpino multifunzionale. Il processo di pianificazione deve essere integrato attraverso tutti i settori di rilievo, compresi l’agricoltura, il turismo, l’industria, i trasporti e la conservazione dell’ambiente. Il successo dell’integrazione della connettività ecologica nella pianificazione territoriale presuppone la considerazione delle esigenze

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sociali, culturali, legislative, economiche ed ecologiche nuove, e l’assegnazione di sufficienti risorse e capacità per la conservazione della biodiversità e la manutenzione delle funzioni ecosistemiche. Raccomandazione 4: permettere ai gestori delle aree protette di giocare un ruolo attivo nella rete ecologica locale e regionale, supportando e promuovendo il processo e coinvolgendo i principali stakeholder Problema: attualmente i gestori delle aree protette non hanno il mandato né sono autorizzati a promuovere e supportare il processo atto ad assicurare l’integrazione spaziale e funzionale dell’area protetta nel territorio circostante e ad implementare una rete ecologica regionale, assolutamente necessaria per conservare la biodiversità ad un livello più ampio. Approccio: i gestori delle aree protette dovrebbero essere supportati e autorizzati dalle amministrazioni ad assumere un ruolo attivo come facilitatori e partner di un processo basato sul coinvolgimento degli stakeholder, che porti ad un continuum ecologico alpino , oltre i confini dell’area protetta. Raccomandazione 5: i dati raccolti con finanziamenti pubblici devono essere resi diffusamente disponibili attraverso un sistema comune di gestione dei dati a livello europeo (alpino) Problema: attualmente sono troppi il tempo e le risorse inutilmente investiti in un processo reiterato di acquisizione, elaborazione e analisi di dati provenienti da diverse fonti eterogenee. In alcuni casi i dati non sono nemmeno facilmente accessibili. Approccio: il riutilizzo e la comparabilità dell’informazione pubblica è essenziale per una pianificazione corretta ed efficiente di reti ecologiche transfrontaliere. È necessario creare un sistema comune di gestione dati con standard comuni, un controllo qualità, una strategia di manutenzione e un più facile accesso per gli utenti. Un sistema di questo tipo dovrebbe contenere i dati spaziali di base comunemente necessari per progetti europei nel campo della pianificazione territoriale e ambientale. I progetti europei che producono dati di questo tipo dovrebbero essere obbligati ad alimentare il data base con dati in formati standardizzati e armonizzati. Le prospettive future, oltre il progetto ECONNECT Il progetto ECONNECT nasce dalla precedente iniziativa “Ecological Continuum”, un progetto finanziato nel 2007 dalla Fondazione svizzera Mava e gestito da ALPARC, la rete delle aree protette alpine, CIPRA International – Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi, ISCAR (Comitato Scientifico della Convenzione delle Alpi) e WWF (Programma Alpi Europeo). Le quattro organizzazioni alpine costituirono già nel 2002, l’anno internazionale della montagna, un consorzio al fine di creare la rete ecologica nelle Alpi, mantenendo una stretta collaborazione con la piattaforma “Rete ecologica” della Convenzione delle Alpi, base di strategia politica per tutte le iniziative alpine legate alla connettività ecologica. Scopo principale dell’iniziativa Continuum fu quello di lanciare le basi per l’attuazione a lungo termine di una rete ecologica delle Alpi. Il progetto sviluppò alcune metodologie per la connessione delle aree importanti e un catalogo delle possibili misure per favorire la connettività, attuate in 4 Regioni Pilota. Nell’ambito di questa iniziativa sono state inoltre predisposte delle Schede informative «Reti ecologiche nell’Arco alpino» riguardanti: Protezione della natura, Agricoltura,

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Gestione dell‘acqua, Silvicoltura, Turismo, Traffico, Caccia, Pesca, Pianificazione territoriale, Comuni, Cittadini e proprietari di terreni. Sulla scia di questa iniziativa è stato realizzato ECONNECT e altre proposte perseguono il medesimo obiettivo nell’arco alpino: − In alcune Regioni Pilota le nuove strutture di gestione costituite da comitati e

direttivi attivati con ECONNECT proseguono il loro lavoro sviluppando ed attuando misure per la connettività ecologica.

− Nel Dipartimento dell’Isere dal 2009 è in corso il progetto “Paths of life”, cofinanziato dal Fondo europeo per lo sviluppo regionale (FESR) e che si concluderà nell’agosto del 2014. Obiettivo è la soluzione di alcuni punti di conflitto importanti locali riguardanti i corridoi ecologici (terrestri ed acquatici). La valutazione tecnico-scientifica dei risultati verrà completata da uno studio sociologico.

Per sviluppare visioni a lungo termine e progetti al di là di ECONNECT, l'iniziativa Continuum ha organizzato nel 2010 un Think Tank sulle reti ecologiche nelle Alpi, coinvolgendo i maggiori esperti dei paesi alpini. Obiettivo del Think Tank è di raggruppare le competenze scientifiche e pratiche scambiare idee sulle possibilità di sviluppo di nuovi progetti. Al momento sono iscritti e visibili su web (http://www.alpine-ecological-network.org/index.php/services-mainmenu-8/experts) circa 180 esperti. Sulla base di presentazioni dello status quo delle attività in corso all'interno del Progetto ECONNECT, i partecipanti hanno discusso e definito in quattro gruppi di lavoro quali siano le necessità per un lavoro futuro. Ogni gruppo ha sviluppato alcuni elementi promettenti per il potenziale dei progetti. Sono stati anche elaborati diversi aspetti prioritari. Un rapporto dettagliato sul Think Tank è disponibile su http://www.alpine-ecological-network.org/about-us/ecological-continuum-initiative/think-tank/ReportThinkTank2010_neu.pdf Conclusioni Il caso del Progetto ECONNECT si discosta in parte dalle linee di indirizzo dell’Azione A4 “Studio di misure e best practices nella gestione di habitat e siti in altre regioni europee” poiché non pone come principale oggetto di tutela il Sito Natura 2000, bensì interviene a salvaguardia delle interconnessioni ecologiche su vasta scala (quella dell’arco alpino e delle Regioni Pilota) fra le grandi aree naturali, includendo aree protette e siti Natura 2000, con l’obiettivo di ridurre la frammentazione degli habitat (acquatici, forestali, prativi, etc.) e, conseguentemente, favorire la migrazione delle specie tra cui alcune particolarmente vulnerabili e di interesse comunitario (orso bruno, lupo e lince).

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Le azioni del progetto conducono pertanto più che alla individuazione di misure e buone pratiche per la gestione specifica dei siti Natura 2000, alla individuazione di misure e strategie per la gestione della Rete Ecologica Regionale lombarda, fornendo un contributo al raggiungimento degli obiettivi dell’Azione C1 del Progetto LIFE+ GESTIRE “Formulazione delle misure di gestione per i siti senza un pdg e delle misure necessarie alla interconnessione dei siti della rete”. Rispetto all’Elenco delle minacce selezionate per l’attuazione dell’Azione A4 “Studio di misure e best practices nella gestione degli habitat e siti in altre regioni europee” il progetto ha affrontato sostanzialmente il rilevante problema della frammentazione causata dai cambiamenti di uso del suolo (sviluppo urbanistico) e dalle infrastrutture legate alla rete dei trasporti (rete stradale o ferroviaria). Tra le azioni condotte all’interno del progetto, occorre evidenziare gli obiettivi raggiunti nella Regione Pilota Monte Rosa, coincidente con la SIC/ZPS IT1204220 “Ambienti Glaciali del Gruppo del Monte Rosa” nella Regione Autonoma della Valle d’Aosta. La Regione ha infatti portato a termine la definizione delle misure di conservazione per habitat e specie, ai fini della successiva designazione dell’area come Zona Speciale di Conservazione (ZSC) e attivato la misura 213 del Programma di Sviluppo Rurale (Indennità Natura 2000), obiettivi, entrambi, anche della Regione Lombardia. Il concetto chiave del progetto ECONNECT rimane comunque la tutela della biodiversità e la conservazione del patrimonio naturale delle Alpi che richiede un approccio integrato di sviluppo delle reti ecologiche che coinvolgano i gestori delle aree protette, gli organi amministrativi, le istituzioni scientifiche e un gran numero di stakeholder superando i confini nazionali. Cosa possiamo imparare dall'esperienza e dai risultati ottenuti 1. Che il modo più adatto per valutare il potenziale della connettività ecologica è

integrare habitat, specie e paesaggio sulla base di specifici criteri. Non è sempre utile investigare aspetti e concetti separati, ma è meglio sviluppare approcci multifunzionali esaurienti.

2. Che la connettività ecologica deve coinvolgere tutti gli attori del “mercato territoriale” (=mercato per la domanda e l’offerta di spazio) che vogliono sviluppare le loro attività.

3. Che la conservazione della natura nelle aree protette non è sufficiente a mantenere l’attuale livello di biodiversità a scala alpina e regionale.

4. Che un’esaustiva discussione sui metodi affrontata dai partner di progetto ed una condivisione delle conclusioni sono il prerequisito per un approccio metodologico ben bilanciato.

Inoltre:

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5. Per poter garantire la connettività tra i siti Natura 2000 può essere valutata l’opportunità di avvicinarsi al concetto di “regione pilota” espresso nel progetto, considerando l’ipotesi di estensione del coordinamento e della responsabilità oltre il confine del sito naturale, nel senso del coinvolgimento degli stakeholder limitrofi (amministrazioni comunali, proprietari dei terreni, imprenditori locali).

6. Le amministrazioni delle aree protette sono partner conosciuti e riconosciuti dagli attori locali. Spesso rappresentano l’interlocutore più adatto per trasmettere, discutere e sviluppare progetti per la connettività ecologica.

7. Oggi i dati cartografici prodotti dal progetto ECONNECT e riguardanti l’area alpina sono disponibili gratuitamente. I dati sono stati il frutto di un lavoro attento finalizzato all’ottenimento di dati di qualità e in scala adeguata. Il processo ha previsto anche l’acquisto dei dati, a fronte di un contratto con i rispettivi proprietari. In alcuni casi, in Austria, la richiesta eccessiva ha fatto desistere dall’acquisto. La Regione Lombardia viene citata come esempio di buona pratica, in quanto i suoi dati sono facilmente e gratuitamente accessibili. È importante per Regione Lombardia mantenere il medesimo standard.

8. Applicando il concetto delle reti ecologiche espresso nel progetto ECONNECT, il Programma Alpine Space, nell’ambito di proposte di progetti comuni all’interno della Piattaforma della Rete Ecologica della Convenzione delle Alpi, può rappresentare una ulteriore opportunità di finanziamento per la gestione dei Siti Natura 2000 della regione biogeografica alpina.

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Bibliografia e sitografia Angelini P. & Randier C., 2009: “The European Grouping of Territorial Cooperation (EGTC).” MATTM/EURAC, Bolzano. Belardi M., Catullo G., Massacesi C., Nigro R., Padoan P. & Walzer C., 2011 (Ed.): “Webs of Life – Alpine biodiversity needs ecological connectivity – I risultati del progetto ECONNECT.” Berthoud G., 2010: “Methodological guide of the hierarchical ecological networks. Ten years of experiments in Isère”. Füreder L. et al., 2011: “Towards ecological connectivity in the Alps – The ECONNECT Project Synopsis”. Studia Universitätsverlag, Innsbruck. Füreder L., Waldner T., Ullrich-Schneider A., Renner K., Streifeneder T., Heinrich A.K., Künzl M., Plassmann G., Sedy K. & Walzer C., 2011: “Policy Recommendations.“ Künzl, M., Badura M., Heinrich A.K., Künzl M., Plassmann G., Haller R. & Walzer, C. 2011: “Implementation raccomandations”. Studia Universitätsverlag, Innsbruck. Mignotte A., 2010: “Econnect legal barriers and possibilities for the implementation of ecological corridors in the Alps”. Plassmann G. & Maurice D., 2010: “Methodology for pilot regions“ -http://www.alpineecological-network.org/the-alpine-ecological-network/pilot-regions/Methodology_PR_0616VD.pdf. Scheurer T., Bose L. & Künzle I., 2008: “The Continuum Project: Evaluations of Approaches for Designing and Implementing Ecological Networks in the Alps – Assessment Report.” http://www.alpine-ecological-network.org/information-services/publications/4035. Sedda C., 2011: “Le azioni e i risultati del progetto Econnect: libera circolazione sulle Alpi”. Regione Autonoma Valle d’Aosta - Assessorato Agricoltura e Risorse Naturali L’Informatore Agricolo n. 4-2011. Ullrich-Schneider A., Pirc M., Righetti A., Wegelin A., 2009: Final Report “The ecological network in the Alps: definig criteria and objectives for Pilot Region”. Link utili Il progetto ECONNECT: www.econnectproject.eu Area Downloads sito ECONNECT: http://www.econnectproject.eu/cms/?q=download_area/en

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Il sito cartografico JECAMI: www.jecami.eu Informazioni sulla Piattaforma delle reti ecologiche alpine e sito dell’iniziativa “Ecological Continuum”: www.alpine-ecological-network.org Il sito di Alpine Space dove è possibile raccogliere altre informazioni sul progetto ECONNECT: www.alpine-space.eu Il sito della rete ecologica alpina: http://www.alpine-ecological-network.org Il sito della Convenzione delle Alpi: http://www.alpconv.org Maggiori informazioni sul Think Tank: http://www.alpine-ecological-work.org/about-us/ecological-continuum-initiative/think-tank

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Programma integrato per la riqualificazione e la gestione sostenibile dell’agroecosistema risicolo (Vercelli) Nel contesto geografico piemontese, le aziende risicole gestiscono quasi 120.000 ettari di territorio, per la quasi totalità in regime di stretta connessione con ecosistemi acquatici di riconosciuta importanza, anche a livello comunitario. Il rischio e la minaccia per la conservazione degli habitat e delle specie sono evidenti in quanto le necessità produttive della coltura portano spesso ad una banalizzazione e frammentazione del paesaggio, alla deturpazione di siti di elevato valore naturalistico, ad esigenze di asciutte sempre più frequenti e all’inquinamento dovuto all’utilizzo di sostanze chimiche. Per una gestione integrata emerge pertanto la necessità di dialogo fra le parti interessate per individuare strategie politiche, economiche e ambientali comuni. In particolare il punto di forza è il coinvolgimento degli agricoltori, coloro che ogni giorno vivono sul territorio e le cui scelte produttive esplicano gli effetti maggiori sullo stato di conservazione di habitat e specie legati all’acqua. Il progetto LIFE ECORICE “Le risaie del Vercellese: programma integrato per la riqualificazione ambientale e la gestione sostenibile dell’agroecosistema risicolo” LIFE09 NAT/IT/000093, coordinato dalla Provincia di Vercelli in partenariato con gli Enti di gestione delle aree protette del Po vercellese alessandrino e del Bosco delle Sorti della Partecipanza di Trino, del Po e della Collina Torinese e con la Partecipanza dei Boschi, affronta la sfida della conservazione delle emergenze ambientali nelle aree risicole della bassa pianura vercellese, caratterizzata dalla monocoltura intensiva del riso. Questo progetto (09.2010 - 09.2013) nel tentativo di mettere in rete cooperative, aziende e attori locali che operano localmente, ha l’obiettivo di tutelare l’ambiente e l’ecosistema attraverso azioni di rinaturalizzazione o in alcuni casi di creazione ex novo di aree naturali (riqualificazione di fontanili, conversione di camere di risaia a fini naturalistici, etc); azioni dimostrative e proposte di pratiche gestionali sostenibili delle risaie con la partecipazione e la condivisione di stakeholders locali, nazionali e internazionali e l’applicazione di tecniche sperimentali di gestione selvicolturale innovative; e grazie a interventi di monitoraggio faunistico e socio-culturale. È proprio la partecipazione dei diversi livelli di protagonismo che mira a rendere questo progetto sostenibile sul lungo periodo e realmente raggiungibili i risultati attesi, sia a livello ambientale che culturale ed educativo, grazie alla realizzazione di: tavoli tecnici, visite guidate, workshop nazionali e comunitari e giochi per le scuole.

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Obiettivi: 1. Salvaguardare e migliorare le principali aree forestali e i corridoi ecologici fluviali

per implementare la coerenza e la funzionalità della rete ecologica. Le azioni di riqualificazione ambientale previste sono finalizzate alla tutela delle specie vegetali attraverso la costituzione di nuovi habitat e la riqualificazione di quelli già esistenti, tenendo conto delle specificità dei siti di intervento e degli elementi naturali autoctoni residuali. Queste misure avranno inoltre effetto sulla fauna, in quanto aumenteranno la disponibilità di habitat riproduttivi e trofici per le specie animali target.

2. Creare aree naturali ex novo e ripristinare alcuni dei caratteristici elementi naturali della zona (fontanili, zone umide, siepi e filari campestri) per lo sviluppo della rete ecologica e per favorire la connessione fra gli elementi della Rete Natura 2000 all’interno della pianura vercellese, promuovendo l’utilizzo sostenibile dei terreni agricoli e forestali.

3. Attuare tecniche selvicolturali sperimentali per la gestione delle formazioni vegetali che ospitano colonie di Ardeidi, per arrivare a definire dei modelli di gestione al fine di migliorare qualitativamente questi habitat così importanti per l’avifauna.

4. Attraverso il coinvolgimento di tutti gli stakeholders locali, nazionali e internazionali, realizzare azioni dimostrative per promuovere le pratiche più adatte per una gestione sostenibile delle risaie, con l’obiettivo di sviluppare una rete ecologica pilota a scala provinciale.

5. Divulgare l’importanza della rete ecologica e accrescere la sensibilità dei risicoltori verso la tutela ambientale delle aree della rete ecologica, anche attraverso l’individuazione di compensazioni agroambientali che ne permettano la convivenza con l’attività agricola. Informare, aggiornare e rendere consapevoli i cittadini delle potenzialità di questa rete, anche a livello turistico, realizzando incontri con gli stakeholders e iniziative didattiche, per una valorizzazione ecocompatibile del territorio e dei suoi prodotti.

6. Attraverso rilevamenti faunistici e vegetazionali nelle aree interessate dalle azioni di ripristino e di conservazione degli habitat, monitorare il progetto per valutarne lo stato di avanzamento e per quantificare l’efficacia delle azioni. Analizzare mediante monitoraggi socioculturali il grado di coinvolgimento dei soggetti locali nella realizzazione della rete ecologica e il loro atteggiamento nei confronti della stessa.

I siti Natura 2000 L’area di progetto è situata nella bassa pianura vercellese (Regione Piemonte) e si estende a sud della città di Vercelli fino a raggiungere la sponda sinistra del fiume Po, interessando cinque siti della Rete Natura 2000 appartenenti alla regione biogeografica continentale: Risaie vercellesi (ZPS IT1120021); Fiume Po - Tratto Vercellese e Alessandrino (ZPS IT1180028); Isolotto del Ritano, Dora Baltea (SIC, ZPS

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IT1120013); Bosco della Partecipanza di Trino (SIC, ZPS IT112002); Palude di San Genuario (SIC IT1120007) e Paludi di San Genuario e San Silvestro (ZPS IT1120029). All’interesse economico di questo ambiente caratterizzato dalla coltivazione intensiva del riso si affianca l’importanza ecologica che le risaie svolgono come zone umide vicarianti. Le tecniche colturali adottate sovente compromettono fortemente questo ruolo anche se esistono, concentrati in questa area, alcuni elementi di elevato valore naturalistico, come importanti siti di stop over a livello nazionale per gli uccelli acquatici e habitat forestali riproduttivi delle colonie di Ardeidi nella Pianura Padana occidentale. Come evidenziato nelle figure seguenti, l’area della pianura considerata è caratterizzata dalla presenza di numerosi siti Natura 2000, anche nella limitrofa regione Lombardia, con tipologie di habitat analoghi a quelli oggetto del progetto (Lomellina), pertanto le problematiche individuate dal progetto LIFE e le buone pratiche individuate potrebbero trovare un’applicazione in un’area più vasta di quella prevista dal progetto, in direzione del concetto di connettività ecologica della Rete Natura 2000 e condivisione delle problematiche per la gestione comunitaria delle coltivazioni risicole. Nella realizzazione degli interventi sono inoltre stati coinvolti i gestori di alcune aree protette che insistono sul territorio interessato dal progetto: Ente di gestione delle aree protette del Po vercellese alessandrino e del Bosco delle Sorti della Partecipanza di Trino, Ente di gestione delle aree protette del Po e della Collina Torinese

Figure 1 e 2. Inquadramento territoriale dell’area di intervento e del contesto di riferimento. Nella seguente tabella 1 sono descritti sinteticamente i siti coinvolti nel progetto LIFE e sono indicati inoltre gli habitat e dell’allegato I della Direttiva Habitat.

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Tabella 1. Descrizione di sintesi delle caratteristiche dei Siti interessati dal progetto. Denominazione Sito

Descrizione

Risaie vercellesi (ZPS IT1120021)

Sito importante a livello regionale e nazionale sia per la sosta durante la migrazione primaverile di molti limicoli (e come sito riproduttivo per alcuni di essi), sia per la valenza trofica che ha per molte specie di ardeidi nidificanti, nell’area o nelle immediate vicinanze. Area sostanzialmente tutta a coltura intensiva di riso, con marginali porzioni di terreno ad incolto e residuali superfici costituite da fontanili alberati e da canneti. Habitat: 31.40, 32.60, 64.30, 9160, 91.E0.

Fiume Po - Tratto Vercellese e Alessandrino (ZPS IT1180028)

Ambienti di particolare interesse naturalistico si incontrano in prossimità di bracci morti del fiume caratterizzati da acque stagnanti e boschetti di ontano nero. Il corso del Po rappresenta inoltre un importante corridoio ecologico nell’ambito delle zone pianeggianti della regione, peraltro intensamente coltivate. Presenti 3 garzaie in periodo riproduttivo, colonie di laridi e importanti concentrazioni di anatidi e roost invernali di ardeidi e cormorani. Area planiziale con ghiareti, formazioni erbacee miste a vegetazione arborea rada (gerbidi), formazioni boschive riparie sia planiziali che collinari comprendenti saliceti ed estesi pioppeti artificiali nella pianura, mentre sui rilievi collinari si trovano fitti robinieti, ma anche cedui di latifoglie miste. Nelle immediate vicinanze del fiume vi sono frequenti zone interessate dall’attività di estrazione di inerti: per alcune cave dismesse sono in fase di attuazione progetti di recupero ambientale. Habitat:3140, 3150, 3240, 3260, 3270, 6210, 6430, 6510, 9160, 91E0, 91F0, 9260.

Isolotto del Ritano, Dora Baltea (SIC, ZPS IT1120013)

Lembo isolato di bosco planiziale e ripario relitto alternato a vegetazione xerofila di banchi ciottolosi stabilizzati; l'isolone ospita una formazione boschiva con notevole varietà di specie arboree e arbustive. Sull'isolone, presenza di farnia (e cerro), che di rado è rinvenibile nella pianura vercellese. Greti aridi con specie xerotermofile; 5 specie di uccelli (seppure con contingenti numericamente ridotti) in Allegato I Habitat: 3240, 6210, 91E0, 91F0.

Bosco della Partecipanza di Trino (SIC, ZPS IT112002)

I due massicci che costituiscono una ZSC sono situati nel nord del dipartimento dell'Alta Savoia. Sono caratterizzati da habitat forestali e sono ricchi anche di pascoli, che necessitano di gestione per il loro mantenimento. Gestione che dovrebbe essere pensata anche nell'ottica di uno sviluppo a lungo termine dell'area. Il progetto LIFE ha lavorato proprio in questo senso. Il sito fa parte delle prealpi e sono caratterizzati da terreni marnosi e calcarei. Gli alpeggi si trovano nell'orizzonte montano e alpino. Sono stati censiti gli habitat di prateria 6520, 6170 e le lande dell'habitat 4060. E' possibile inoltre trovare i prati umidi e le torbiere (6430 – 7110). Le specie di direttiva presenti nell'area sono Eryngium alpinum e Sorex alpinus. Habitat: 6510, 9160, 91E0.

Palude di San Genuario (SIC IT1120007) e Paludi di San Genuario e San Silvestro (ZPS IT1120029)

L'area comprende habitat relitti non facilmente rintracciabili sul territorio regionale in ambiente planiziale, ha grande importanza per l'avifauna (presenti anche specie rare per il Piemonte) come sito trofico, di riproduzione e svernamento ed ospita una popolazione di testuggine palustre. Sito caratterizzato da aree a vocazione agricola con sfruttamento intensivo a risaia, residui agglomerati boschivi igrofili e colture a pioppeto; presenti anche fontanili e torbiere, parzialmente trasformati a scopo di allevamento ittico (poi abbandonato) o per fini venatori e di pesca sportiva. Il SIC è ricompreso nel perimetro della ZPS. Habitat: 31.40, 3150, 32.60, 9160.

Sono di seguito approfondite informazioni inerenti gli habitat di allegato I della Direttiva Habitat e le specie di allegato II della Direttiva Uccelli interessati dalle azioni di progetto.

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Tabella 2. Habitat target del progetto.

Habitat target 9160 Querceti di farnia o rovere subatlantici e dell’Europa Centrale del Carpion betuli

Querceti di farnia o rovere subatlantici dell’Europa centrale del Carpinion betuli. Cenosi arborea tipica dei grandi boschi che in passato ricoprivano la pianura, attualmente si rinviene in corrispondenza di alcune aree boscate presso San Genuario, Fontana Gigante e nel Bosco della Partecipanza di Trino, dove costituisce gran parte delle formazioni arboree che si trovano al suo interno. La sopravvivenza di questo habitat è minacciata dalla continua frammentazione e degradazione delle comunità boschive dovute alla diffusione di specie esotiche, la cui comparsa è stata favorita dall’intensa attività di taglio delle querce

91E0* Foreste alluvionali di Alnus glutinosa, Fraxinus excelsior, Fraxinus angustifolia, Salix alba Ontano nero (Alnus glutinosa), frassino comune (Fraxinus excelsior), salice cenerino (Salix cinerea), pioppo bianco (Populus alba). Relitti di queste formazioni, a dominanza di Alnus glutinosa associato a Fraxinus excelsior, Salix cinerea, Populus alba, si trovano in corrispondenza di aree scarsamente drenate, sia lungo le rive dei corsi d’acqua che nei boschi planiziali. La presenza di queste cenosi è minacciata dalla riduzione della superficie su cui insistono, a causa dell’artificializzazione dei corpi idrici (attraverso la cementificazione dei canali e degli argini), che porta alla conseguente scomparsa delle zone umide, e alla sottrazione di terreno per la conversione a fini agricoli.

91F0 Boschi misti ripari dei grandi fiumi a Quecus robur, Ulmus laevis, Ulmus minor, Fraxinus excelsior o Fraxinus angustifolia Farnia (Quercus robur), olmi (Ulmus spp.), frassino comune (Fraxinus excelsior), pioppo bianco (Populus alba), pioppo nero (Populus nigra), sanguinella (Cornus sanguinea), sambuco comune (Sambucus nigra), robinia (Robinia pseudoacacia), ciliegio tardivo (Prunus serotina). Queste formazioni, caratterizzate dalla presenza di Quercus robur, Ulmus spp., Fraxinus excelsior, Populus alba, Populus nigra, Cornus sanguinea, Sambucus nigra sono ormai sporadiche e di dimensioni modeste. L’intensa pressione antropica legata alla artificializzazione dei corsi d’acqua ha favorito l’espansione di specie esotiche come Robinia pseudoacacia e Prunus serotina, contribuendo a peggiorare lo stato di conservazione di queste comunità arboree

Specie target

AIRONE ROSSO – Ardea purpurea

SGARZA CIUFFETTO – rdeola ralloide

TARABUSO – Botaurus stellaris

GARZETTA – Egretta garzetta

NITTICORA – ycticorax nycticorax

TARABUSINO – Ixobrychus minutus

LICENA DELLE PALUDI – Lycaena dispar

OPHIOGOMPHUS CECILIA

TESTUGGINE PALUSTRE – Emys orbicularis

TRITONE CRESTATO – Triturus carnifex

SPATOLA – Platalea leucorodia

MIGNATTAIO – Plegadis falcinellus

RANA DI LATASTE – Rana latastei

FALCO DI PALUDE – Circus aeruginosus

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Le misure di gestione oggetto del caso studio Minacce Nella porzione di territorio della provincia vercellese compresa tra i comuni di Saluggia, Vercelli e Casale Monferrato (area che presenta una significativa somiglianza con il territorio limitrofo della Lomellina), la natura è stata fortemente influenzata dall’attività agricola che ha trasformato questa parte della pianura in un ambiente altamente antropizzato. La presenza di corsi d’acqua superficiali e di risorgive, molto abbondanti in quest’area del Piemonte, ha contribuito a costituire un fitto reticolo idrico che ha conferito all’area caratteristiche ideali per la coltivazione del riso. Nel corso dei decenni, attraverso il modellamento dei terreni, il riporto di materiali e l’artificializzazione dei corpi idrici secondari, l’attività agricola ha alterato profondamente il territorio, determinando la progressiva scomparsa delle formazioni vegetali tipiche di questo ambiente e compromettendo la conservazione della biodiversità ad esse legata. Ad oggi, del paesaggio originario restano solo lembi di ambienti forestali planiziali, ovvero formazioni relitto del bosco che anticamente ricopriva la pianura. Le comunità boschive, in prevalenza ascrivibili al querco-carpineto o all’alnofrassineto planiziale, estremamente rarefatte e circoscritte, si riscontrano in aree degradate, in abbandono, talvolta preservate in qualità di rifugio per la fauna di interesse venatorio, senza però essere sottoposte a piani di gestione selvicolturale per il loro mantenimento. Spesso disturbate da interventi di origine antropica, queste formazioni sono state impoverite nella composizione floristico-vegetazionale a causa di piantumazioni a fini ornamentali o produttivi (per la produzione di essenze legnose o per l’ottenimento di premi previsti da misure agro-ambientali comunitarie) di specie alloctone. In aggiunta, la mancanza di azioni conservative ha favorito l’insediamento di specie invasive quali robinia (Robinia pseudoacacia), ailanto (Ailanthus altissima), platano comune (Platanus acerifolia), acero saccarino (Acer saccharinum) e quercia rossa (Quercus rubra), molto più competitive delle essenze autoctone su cui hanno preso il sopravvento. A causa delle attività antropiche, anche gli ambienti acquatici e palustri che si sviluppavano lungo il reticolo idrografico sono divenuti sempre più rari. Ciò che ne resta sono modeste zone umide legate alla presenza delle risorgive, costantemente minacciate dall’uso improprio di agrofarmaci. La frequente commistione tra acque di fontanile e di colatura all’interno del reticolo irriguo che attraversa anche habitat naturali, determina la mobilizzazione di elementi nutritivi derivanti dall’attività agricola ma anche di sostanze chimiche, i cui principi attivi possono avere come target specie che costituiscono gli habitat acquatici. Inoltre, lungo il reticolo irriguo che spesso si sviluppa a ridosso delle aree agricole, vengono comunemente realizzati interventi di gestione in conflitto con i principi di conservazione delle comunità stesse. Operazioni di pulizia meccanica, la trinciatura delle sponde dei canali, la bruciatura della vegetazione lungo i corsi d’acqua, il continuo

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rimodellamento degli argini sono responsabili del deterioramento delle formazioni vegetali che spesso portano alla comparsa di cenosi caratteristiche delle aree disturbate, in sostituzione a quelle che tipicamente dovrebbero occupare tali ambiti. Anche le formazioni lineari arboreo-arbustive quali filari e siepi campestri, a testimonianza delle antiche tradizioni agricole, sono ormai sporadiche e comunemente presenti con radi alberi isolati o piccoli nuclei residuali a margine dei coltivi. In questo contesto, in cui l’originaria biodiversità resta ascritta ad aree relittuali sempre più ridotte, il territorio è caratterizzato da una grande rilevanza ecologica dovuta alla presenza delle risaie. L’ambiente di risaia della bassa pianura vercellese, infatti, riveste un’importanza cruciale a livello nazionale e comunitario per l’elevata presenza di avifauna acquatica. Attratti dall’abbondante disponibilità trofica delle risaie e dalla funzionalità vicariante delle zone umide, molti uccelli hanno individuato quest’area del Piemonte come punto di sosta lungo le principali rotte di migrazione padane ed alpine, o per la nidificazione. Tuttavia, il crescente livello di modernizzazione delle pratiche agricole sta seriamente compromettendo l’equilibrio esistente tra agricoltura e ambiente naturale. L’innovazione tecnologica, infatti, sta rendendo il paesaggio agrario non più idoneo a sostenere forme vegetali e animali di interesse conservazionistico, mettendo a rischio la sopravvivenza di queste specie. Per esempio, mentre nel passato il letto di semina presentava molte irregolarità nelle quali stagnava acqua sufficiente per consentire la sopravvivenza agli organismi acquatici durante le asciutte, gli accresciuti livelli di meccanizzazione permettono ora di avere terreni perfettamente livellati, privi di avvallamenti. L’impiego di livellatrici laser consente di realizzare la sommersione con pochi centimetri d’acqua e non permette il mantenimento di piccole pozze allagate nei periodi di asciutta. In passato, l’acqua restava nelle camere di risaia praticamente durante l’intero ciclo di coltivazione del riso e le asciutte erano sporadiche. Oggi le nuove tecniche agronomiche, che rispondono ai criteri di produttività, prevedono periodi di sommersione molto più brevi, l’esecuzione di molteplici asciutte per l’applicazione di fertilizzanti e agrofarmaci, la realizzazione di asciutte anticipate, provocando la morte di molti organismi acquatici, in particolare di quelli dotati di minore mobilità (anfibi, invertebrati allo stadio larvale). In aggiunta, alcune pratiche di gestione dei corpi idrici, quali la distruzione della vegetazione lungo le sponde dei corsi d’acqua e sugli argini delle risaie con macchine trinciatrici, la pulizia del fondo dei canali con dragaggi eseguiti anche durante la stagione vegetativa, concorrono all’eliminazione di un elevato numero di animali, specialmente rettili, uova e nidiacei, impoverendo irreparabilmente la biodiversità del territorio.

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Figura 3. Immagini delle aree di risaia in cui si colgono le minacce alla biodiversità: banalizzazione paesaggistica, bruciatura delle stoppie, impoverimento dei filari lungo le rogge. Interventi concreti di conservazione Le attività strategiche del progetto ECO-RICE sono connesse a:

‐ Creazione di corridoi ecologici con operazioni per il recupero e il miglioramento della coerenza ecologica all’interno dell’agroecosistema risicolo attraverso la ricostituzione degli habitat prioritari della pianura vercellese e interventi di contenimento delle specie esotiche,

‐ Riqualificazione e/o creazione di core area e stepping stones quali fontanili, zone palustri e siepi campestri,

‐ Azioni sperimentali di gestione forestale volte alla conservazione degli habitat boschivi e delle garzaie,

‐ Compartecipazione degli attori locali. Ricostituzione di habitat 91F0 “Foreste miste riparie di grandi fiumi a Quercus robur, Ulmus laevis e Ulmus minor, Fraxinus excelsior o Fraxinus angustifolia (Ulmenion minoris)” Gli habitat ripariali del fiume Po hanno una grande importanza in quanto sono i principali corridoi ecologici dell’ecosistema della Pianura Padana e conferiscono al fiume un ruolo chiave nelle rotte migratorie europee degli uccelli non solo come luogo di sosta ma anche di svernamento, in particolare per quelli provenienti dal Nord Europa. La recente eccessiva intensificazione dell’azione umana ha portato alla quasi totale scomparsa della vegetazione ripariale e ha ridotto sempre più lo spazio libero per la naturale dinamica fluviale, cambiando la distribuzione delle specie vegetali, favorendo o limitando alcune di esse e influendo inoltre sulla presenza degli animali in queste particolari aree. L’area di intervento (ZPS “Fiume Po - Tratto Vercellese e Alessandrino” (IT1180028) è stata scelta oltre che per la posizione cruciale a ridosso della zona umida rappresentata dalle risaie, anche per la grande importanza faunistica principalmente correlata agli uccelli (250 specie). Data l’assenza di continuità tra le foreste alluvionali e ripariali lungo l’alveo del fiume, l’intervento consiste nell’impianto di una nuova macchia boscata di dimensioni sufficienti a ricostruire la continuità dell’habitat ripariale, portando al ripristino di un ambiente naturale in una zona ex-agricola di notevole interesse conservazionistico. L’intervento è stato realizzato su una superficie di 12,4 ettari, precedentemente destinata alla coltivazione del pioppo, essenza tipica delle aree di golena, sabbiose.

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Dopo le operazioni di abbattimento e rimozione delle piante e delle ceppaie, sono cominciati i lavori con la messa a dimora oltre 8.000 piantine di essenze autoctone tipiche del bosco misto ripariale dei grandi fiumi, oltre che specie pioniere ed eliofile caratteristiche per la capacità di colonizzare rapidamente nuovi ambienti, nonché per accrescere la biodiversità dell’area. Riqualificazione di habitat 9160 “Querceti di farnia o rovere subatlantici dell’Europa centrale del Carpinion betuli” Ciò che resta del bosco planiziale della Pianura Padana, sono ormai comunità puntiformi e altamente frammentate, spesso interessate da azioni di disturbo da parte dell’uomo che causano la modificazione della composizione vegetazionale, portando alla comparsa di specie esotiche in sostituzione di quelle autoctone. L’area prescelta, il Bosco della Partecipanza di Trino (ZPS “Paludi di San Genuario e San Silvestro” IT1120029 - SIC “Palude di San Genuario” IT11200007.) è l’habitat forestale planiziale più esteso della pianura piemontese. Nel suo intorno sono presenti altre formazioni relitto, ma di dimensioni eccessivamente ridotte e isolate per supportare una funzione di corridoio ecologico nei confronti del corpo principale. Al fine di ripristinare la complessa e diversificata trama della rete ecologica della pianura si è realizzata la riconversione a bosco di terreni storicamente adibiti a risaia. Per la realizzazione della nuova area boscata si è proceduto all’acquisto di terreni (1,30 ettari), in parte confinanti con aree già naturalizzate ed in parte a diretto contatto con le risaie, e messe a dimora specie tipiche dell’habitat 9160, ovvero specie arboree e arbustive ascrivibili a querceti o querco-carpineti sub atlantici e dell’Europa centrale del Carpinion betuli. Ampliamento di boschi di latifoglie e di boschi delle zone umide nella SIC-ZPS "Bosco della Partecipanza di Trino" (IT1120002) Il sito è stato scelto in quanto di elevatissimo interesse ecologico per la presenza di una delle garzaie più importanti a livello nazionale, in cui sopravvive la consociazione di ontano nero (Alnus glutinosa) e frassino (Fraxinus excelsior) tipica delle foreste alluvionali. Sopravvissuto nel tempo, il bosco risultava minacciato dalla diffusione di specie esotiche altamente invasive come quercia rossa (Quercus rubra) e robinia (Robinia pseudoacacia) stress climatici e predazioni dai lepidotteri defogliatori. La ricostruzione degli habitat ha interessato una superficie di 10 ettari, in parte di proprietà della Partecipanza dei Boschi ed in parte su terreni ex agricoli acquisiti nell’ambito del progetto. Prima di procedere con i rimboschimenti, nei terreni precedentemente coltivati a riso sono stati rimossi gli argini, per conferire al paesaggio un aspetto più naturale e simile a quello originario. Inoltre, le camere di risaia sono state sottoposte ad un primo intervento di rippatura per rompere la suola di lavorazione ed arieggiare gli orizzonti compatti, poi ad un’aratura superficiale ed infine ad erpicatura, in modo da disgregare le zolle senza distruggere la debole struttura del suolo e ricreare un livello compatto. Sui terreni già coperti da formazioni arboree, sono stati realizzati interventi specifici in funzione delle specie presenti. Negli impianti di arboree da legno, di frassino o con specie di latifoglie

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miste, è stato necessario rimuovere gran parte delle piante presenti perché di provenienza incerta, per evitare il rischio di inquinamento genetico del germoplasma locale. Nei settori di bosco ormai degradati, per composizione e struttura e per la presenza di Robinia, è stato necessario l’abbattimento di gran parte del soprassuolo poiché fortemente infestato da questa esotica. Per la ricostituzione degli habitat sono state scelte le essenze tipiche del querco-carpineto e dell’alno-frassineto. Ricostituzione dell’habitat 91E0 “Foreste alluvionali di Alnus glutinosa e Fraxinus excelsior (Alno-padion, Alnion incanae, Salicion albae)” e habitat 9160 “Querceti di farnia o rovere subatlantici dell'Europa centrale del Carpinion betuli” L’area di intervento, SCI-ZPS “Isolotto del Ritano” (IT1120013), si trova la Riserva Naturale dell’Isolotto, estesa su una superficie di 237 ettari ed immersa in una zona esclusivamente a vocazione agricola; questa area, soggetta a fenomeni alluvionali, è stata fortemente interessata e modificata dalle alluvioni verificatesi nell’ultimo decennio del secolo scorso. I lavori consistono nella ricostituzione delle formazioni vegetali autoctone dell’Isolotto mediante la reintroduzione della vegetazione arborea e arbustiva ripariale e nell’attuazione delle tecniche di contenimento delle specie invasive. Una prima tipologia di lotta a queste nuove specie prevede l’eliminazione fisica delle piante tramite taglio al piede del tronco e, per impedire la produzione di nuovi ricacci e devitalizzare la ceppaia, l’applicazione sulla ceppaia di formulati a base di picloram. Una tecnica meno adatta per il contenimento di Ailanthus ma molto più efficace su Robinia prevede l’applicazione di glifosate sulle foglie, ripetuta se necessario nel corso dell’anno per contenere tutti i ricacci prodotti. Con l’obiettivo di ripristinare la vegetazione autoctona, ai bordi delle radure ovvero al limite delle formazioni boscose, sono state realizzate fasce boscate utilizzando le essenze tipiche del bosco ripariale originario: acero campestre (Acer campestre), cerro (Quercus cerris), corniolo (Cornus mas), biancospino comune (Crataegus monogyna), berretta del prete (Euonymus europaeus), pioppo bianco (Populus alba), viburno (Viburnum opulus). Riqualificazione di fontanili Nella parte settentrionale del sito Natura 2000 “Bosco della Partecipanza di Trino”, la presenza di risorgive, storicamente governate e mantenute dall’uomo, ha portato alla formazione di una zona umida intorno alla quale sono venute a coesistere diverse associazioni vegetali di grande importanza, tipiche del bosco alluvionale ripariale. Al fine di garantire la conservazione dell’intero ecosistema in cui insistono i fontanili, a protezione delle specie vegetali e animali ad essi legate, sono stati realizzati interventi di riqualificazione delle sorgenti e degli habitat circostanti. Per impedire l’interramento delle risorgive è stata effettuata la pulizia manuale delle teste di fontanile e, dove necessario, si è proceduto alla stabilizzazione delle scarpate. Al fine di preservare le cenosi boschive tipiche di questa particolare zona umida, sono stati avviati interventi selvicolturali finalizzati all’eradicazione di specie esotiche e invasive, in particolare di quercia rossa. Sono inoltre state impiantate specie autoctone per migliorare la struttura delle formazioni boschive, al fine di

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migliorare sia la naturalità delle cenosi stesse che la percezione visiva e paesaggistica dell’area sorgiva. Data la fragilità di questi ambienti, per evitare l’intrusione dei visitatori del bosco all’interno delle aree recuperate, in alcuni casi è stato necessario installare delle recinzioni di protezione. Ripristino di habitat palustri per Botaurus stellaris, Ixobrychus minutus, Ardea purpurea, Circus aeruginosus, Emys orbicularis La ZPS “Paludi di San Genuario e San Silvestro” (IT1120029), che comprende il SIC “Palude di San Genuario” (IT11200007) è immersa nelle risaie vercellesi e si estende su una superficie di 1.248 ettari in cui sono ancora presenti formazioni boschive appartenenti al quercocarpineto planiziale e ospita piccole aree palustri naturali e specchi d’acqua artificiali. All’interno della Palude di San Genuario, data la presenza di numerosi fontanili che alimentano una fitta rete di canali, sono state ricavate delle vasche per la realizzazione di un allevamento ittico, attualmente dismesse e colonizzate da diverse specie vegetali, tra cui alcune a rischio estinzione. Il sito gode di notevole rilevanza naturalistica anche per quanto riguarda l’avifauna palustre. Fanno inoltre parte del sito pioppeti in via di rinaturalizzazione, alcuni incolti erbosi e recenti imboschimenti finalizzati alla ricostituzione del bosco di latifoglie originario. Un precedente progetto LIFE+ Natura ha permesso alcuni interventi urgenti di riqualificazione ambientale della Palude e l’elaborazione ed approvazione del Piano di Gestione del sito; successivamente, è stato avviato un nuovo piano operativo per la rinaturalizzazione morfologica dell’ex allevamento ittico. Al fine di conferire all’ambiente un aspetto più naturale, sono state rimodellate le sponde delle vasche che si presentavano ripide e con profilo rettilineo, modificandone gli argini e riducendone la pendenza. I lavori hanno previsto la rimozione dei rilevati in materiale ghiaioso precedentemente posti a separare gli specchi d’acqua, in quanto ostacolo alla rinaturalizzazione e substrato di crescita per le piante infestanti. Per agevolare gli spostamenti della fauna fra i bacini e consentire l’insediamento della flora palustre, in alcune vasche, attualmente asciutte poiché aventi la quota di fondo superiore alla capacità di risalita della falda, sono stati realizzati lavori di approfondimento, mentre uno specchio d’acqua profondo diversi metri è stato in parte interrato per ridurne la profondità e consentire la creazione di un lamineto, aumentando la biodiversità all’interno dell’area. Creazione di stepping stones nella ZPS “Risaie vercellesi” (IT1120021), per favorire la connessione ecologica fra gli elementi della Rete Natura 2000 della pianura vercellese Gli elementi naturali più caratteristici della pianura risicola, come i fontanili, le zone umide, le macchie boscate, le siepi e i filari campestri, sono sempre più rari. Il loro ripristino è un punto chiave nella conservazione della rete ecologica della bassa pianura vercellese e per il mantenimento della sua funzionalità ambientale. Gli interventi erano finalizzati ad aumentare la disponibilità di habitat riproduttivi, trofici e migratori per la salvaguardia di specie protette come sgarza ciuffetto (Ardeola ralloides), garzetta (Egretta garzetta), cavaliere d’Italia (Himantopus

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himantopus), avèrla piccola (Lanius collurio), licena delle paludi (Lycaena dispar), nitticora (Nycticorax nycticorax) e tritone crestato (Triturus carnifex), attraverso diversi piani operativi: ‐ Interventi di rinaturalizzazione di un fontanile e creazione di nuovi ambienti

umidi ad esso contigui, in aree di abbandono colturale potenzialmente idonee alla presenza di alcune specie target quali il tritone crestato (Triturus carnifex) e la testuggine palustre (Emys orbicularis). Il programma di intervento ha previsto l’ampliamento ed il rimodellamento di alcuni tratti dell’occhio di fontana e dell’asta, lavori di rinfoltimento e piantumazione della vegetazione presente lungo le sponde, nonché il graduale contenimento delle specie vegetali alloctone (es. Robinia pseudoacacia). Per limitare le azioni di disturbo derivanti dall’attività agricola, nelle immediate vicinanze del fontanile, è stata inoltre creata una fascia ecotonale di transizione verso le adiacenti superfici coltivate. Con l’obiettivo di aumentare la disponibilità di aree umide nella zona, sono state scavate anche nuove pozze e alcuni canali di alimentazione.

‐ La riqualificazione delle canalizzazioni irrigue interessa il Navilotto della

Colombara, una delle poche canalizzazioni irrigue della bassa pianura vercellese che ancora conserva caratteristiche di naturalità (alveo e sponde non cementificate, talvolta affiancato da vegetazione, a tratti anche arborea). Il piano operativo ha previsto anzitutto la piantumazione di una siepe campestre arboreo-arbustiva, per una lunghezza totale di 750 m e 2 metri di larghezza, costituita da vegetazione riparia, ovvero specie vegetali afferenti al Carpinion betuli, tipiche di questa parte della pianura. Oltre a contribuire alla stabilizzazione della riva del Navilotto, la fascia vegetata è stata prevista per incrementare la biodiversità dell’area grazie alla sua funzione di habitat ripariale in prossimità di una zona umida (rappresentata dal corpo idrico), nonché di ecotono con le adiacenti camere di risaia. A fini sperimentali inoltre, su una lunghezza di 10 metri, verrà installata una palificazione per limitare l’azione erosiva dell’acqua in quel particolare tratto. Quest’opera di ingegneria naturalistica semplificata servirà a dimostrare come tali interventi possano risolvere problematiche ricorrenti della gestione irrigua in risaia, con effetti più duraturi e sostenibili a livello ambientale rispetto alle comuni attività manutentive.

‐ Creazione di aree umide permanenti mediante la trasformazione di una camera

di risaia in zona umida permanente per garantire l’esistenza di una estesa zona umida non interessata dall’attività agricola. Nell’appezzamento individuato per la riconversione è stato realizzato l’approfondimento del fondale a diversi livelli, per conferire eterogeneità morfologica all’invaso. Attraverso la piantumazione di arbusti e di siepi è stata inoltre realizzata una fascia vegetazionale con funzione di ecotono, oltre che di schermatura dell’area dalla limitrofa rete viabile e dai fabbricati presenti.

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‐ Impianto di un’area arboreo-arbustiva eterogenea all’interno di due camere di risaia in recente abbandono colturale, al fine di creare una fascia ecotonale frapposta ai terreni destinati all’agricoltura oltre a contribuire ad incrementare la superficie occupata da boschi ed arbusteti mesoigrofili divenuti molto radi. Per quest’ultima azione, sono stati selezionati arbusti spinosi, disposti non solo all’interno e ai margini dell’area boscata ma anche in piccole formazioni rade realizzate in una delle due camere di risaia, nel tentativo di ricreare uno degli habitat preferenziali per la sosta, l’alimentazione e la nidificazione dell’avèrla piccola. Gli interventi di rinaturalizzazione sono stati eseguiti direttamente da aziende agricole locali mediante specifica convenzione e affidamento diretto, stipulati fra esse e la Provincia di Vercelli ai sensi dell’art.15 del Decreto Legislativo 228/01. Tale decreto consente ad imprese agricole e forestali di svolgere lavori ed interventi legati alla manutenzione del territorio, alla salvaguardia del paesaggio agrario e forestale, alla promozione di attività a favore della tutela delle vocazioni produttive del territorio, alla cura ed al mantenimento dell’assetto idrogeologico. La possibilità di far eseguire lavori di manutenzione del territorio direttamente agli agricoltori è stata infatti permessa per sviluppare l’occupazione locale e garantire un’importante integrazione di reddito, grazie alla multifunzionalità del settore agricolo, abbassando i costi di intervento, poiché i macchinari utilizzati e la manodopera fornita sono propri dell’azienda; inoltre, garantirà la necessaria compartecipazione degli agricoltori agli interventi di conservazione e gestione del patrimonio naturalistico, con il supporto di esperti esterni in materia di riqualificazione ambientale.

L’attuazione degli interventi ha previsto inoltre la delineazione di linee guida utili alla gestione sostenibile dell’agroecosistema risicolo, per aumentare la consapevolezza del valore naturalistico e dell’esiguità degli elementi naturali ancora esistenti così da favorirne il mantenimento, inducendo gli agricoltori al loro ripristino, anche se su piccole superfici. Tutti gli interventi sono stati avviati su terreni di aziende agricole private che hanno aderito al Progetto ECO-RICE, dando la propria disponibilità a garantire l’esecuzione dei lavori ed il mantenimento di quanto realizzato per i venti anni successivi al termine del progetto LIFE+. Ripristino di una zona umida vicino al confine meridionale del SIC-ZPS “Bosco della Partecipanza di Trino” (IT1120002) L’area, di circa 11.500 mq di superficie, è situata in una posizione marginale rispetto al Bosco della Partecipanza, andando a creare una sorta di punto di connessione, tra ambiente agricolo e forestale, di grande funzionalità ecologica. Data la sua posizione, questa zona umida si colloca in un ambiente di notevole interesse per la biodiversità, sia dal punto di vista entomologico che faunistico. Con l’obiettivo di integrare al meglio le vasche di pesca, sono state effettuate opere di rimodellamento del ciglio di sponda, in modo da ridurne la pendenza per aumentarne la fruibilità da parte degli animali e agevolare l’insediamento della flora palustre, conferendo agli specchi d’acqua una forma più naturale. A seguito degli interventi strutturali sono stati

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avviati i lavori di ricostituzione dell’habitat, attraverso il reimpianto delle specie caratteristiche delle zone umide planiziali. Sperimentazione di tecniche selvicolturali mirate alla gestione delle garzaie nelle ZPS “Paludi di San Genuario e San Silvestro” (IT1120029) e “Bosco della Partecipanza di Trino” (IT1120002) La Zona di Protezione Speciale “Bosco delle Sorti della Partecipanza di Trino” ospita, nella formazione boschiva lungo la costa di Montarolo, una delle più importanti garzaie a livello nazionale ed europeo. Nella garzaia di Montarolo l’equilibrio naturale delle formazioni vegetali è stato compromesso dal disturbo antropico, provocando la riduzione della colonia che è attualmente stabilita sopra un bosco ceduo di Robinia pseudoacacia. Mentre per l’airone cenerino, la specie più diffusa e opportunista, sono aumentati i siti a disposizione per la nidificazione, si sono ridotti gli habitat idonei per Nitticore, Sgarze ciuffetto, Airone guardabuoi e Garzetta, rappresentati dalle giovani fitocenosi alluvionali. Al fine di stilare delle linee guida per la gestione forestale dei boschi che ospitano garzaie, sono state sperimentate delle tecniche selvicolturali per preservare le associazioni vegetali idonee alla nidificazione degli Ardeidi. Gli obiettivi principali sono stati conservare i resti delle foreste decidue esistenti per mantenere il bosco nella struttura ottimale per ospitare i nidi, aumentare le fitocenosi arbustive impedendo l’evoluzione del bosco verso formazioni mature, e perseguire il rinnovo delle associazioni arboree alluvionali di ontano nero e robinia. Per permetterne lo studio, l’azione ha previsto la sperimentazione di operazioni di riqualificazione delle tre tipologie di habitat forestale più favorevoli allo sviluppo delle garzaie, ovvero: - vegetazione arbustiva di Salix spp. e bosco umido con salicone (Palude di San

Genuario); - giovani formazioni arboree di Alnus glutinosa e Robinia pseudoacacia (Garzaia di

Montarolo); - un bosco misto maturo, (all’interno del Bosco della Partecipanza); - per ogni parcella è stato necessario individuare una superficie minima di 4-6 ha,

preferibilmente non di forma lineare. Eradicazione di Quercus rubra nella SIC-ZPS “Bosco della Partecipanza di Trino” (IT1120002) Tra le arboree fortemente invasive presenti in Piemonte, nei confronti delle quali sono in corso sperimentazioni per il contenimento o l’eradicazione, oltre ad ailanto (Ailanthus altissima), ciliegio tardivo (Prunus serotina) e robinia (Robinia pseudoacacia) è stata annoverata anche la quercia rossa (Quercus rubra). All’interno del Sito Natura 2000 “Bosco della Partecipanza di Trino”, da una decina di anni sono in corso interventi per il controllo della specie, avviati su piante d’alto fusto inizialmente stimate in alcune migliaia, presenti come singoli soggetti a piccoli gruppi o a costituire viali che attraversano il bosco, ma anche in tre popolamenti principali, estesi su alcuni ettari. Opere di contenimento della quercia rossa sono state inserite nel Piano naturalistico del Parco e attuate attraverso il rispettivo Piano di gestione

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forestale. Prioritario su tutte, l’abbattimento dei portaseme, ovvero piante che hanno già raggiunto la capacità riproduttiva, al fine di evitare la dispersione della specie ad opera della fauna che si nutre di ghiande, oltre al controllo dei ricacci e dei semenzali. Nell’ambito del progetto si è anche lavorato per la costruzione di una rete, International Rice field ecological network (IRFEN), di partner internazionali che operano per la salvaguardia e la gestione dell’agroecosistema risicolo per un mutuo scambio di conoscenze, al fine di migliorare il rapporto tra esigenze ecologiche e produttive degli ecosistemi risicoli, con lo scopo principale di produrre un concreto piano di azione condiviso e basato su strategie comuni emerse da precedenti esperienze progettuali. Dal confronto si è però evidenziata la difficoltà a definire uno schema operativo comune a causa delle differenti criticità di ciascuna area risicola europea.

Figura 4. Immagini di tipologie di interventi attuati. Piantumazione siepe campestre, ricostruzione della vegetazione ripariale in prossimità di una polla; nuovo impianto per la ricostruzione dell’habitat 91F0. Linee guida relative alla gestione dell’agroecosistema risicolo e per la conservazione della biodiversità Il documento, tuttora in fase di redazione, individua specifiche criticità connesse alle attuali pratiche colturali: 1) Gestione del ciclo idrico, 2) Gestione delle stoppie, 3) Gestione degli elementi naturali del paesaggio, 4) Lotta agli antagonisti del riso, 5) Gestione dei canali, 6) Gestione del reticolo idrografico minore, 7) Gestione specie esotiche. Attualmente sono state elaborate le azioni relative alla gestione del ciclo idrico, delle stoppie e degli elementi naturali del paesaggio, descritti di seguito.

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1) Gestione del ciclo idrico Le date di allagamento e di prosciugamento definitivo sono dettate da esigenze agronomiche e rispondono pertanto a criteri di ottimalità produttiva. Diverse considerazioni possono essere fatte per quanto riguarda le asciutte temporanee nel periodo compreso fra la prima sommersione e la messa in asciutta definitiva di fine estate. Con il regime attuale, l’acqua viene eliminata dalle vasche in diverse occasioni: - La prima coincide col radicamento delle pianticelle dopo l’emissione della

radichetta dal seme. - Le successive asciutte sono giustificate dall’esigenza di irrorare con erbicidi

pre- e post-emergenza. - Negli ultimi anni si è diffusa la pratica dei “falsi allagamenti” in periodo

precoce, seguiti da asciutte e da trattamenti erbicidi finalizzati alla lotta al riso crodo. La semina del riso della varietà scelta completa questo ciclo.

- Si sta diffondendo la pratica della semina in asciutto, che comporta l’esecuzione delle operazioni dalla semina al completamento dei diserbi senza allagare i campi in modo semipermanente. L’acqua viene aggiunta, e talvolta mantenuta costantemente, a partire dal termine dell’ultimo diserbo; talvolta a fine maggio o addirittura a metà giugno.

La messa in asciutta delle vasche determina l’eliminazione di tutti gli organismi acquatici presenti. Taluni fra questi sono attivi solo nel corso della primavera e non ricompaiono dopo l’eliminazione. È, per esempio, il caso delle raganelle e delle rane verdi, che si recano in acqua per deporre e cambiano ambiente dopo la riproduzione. Le ovature e i girini soccombono dopo l’asciutta, senza che gli adulti possano deporre ovature di rimpiazzo. Nelle risaie dell’epoca precedente la diffusione delle livellatrici laser, le asciutte non comportavano l’eliminazione totale dell’acqua, in quanto il terreno presentava delle irregolarità e degli avvallamenti nei quali si tratteneva acqua sufficiente per consentire la sopravvivenza agli organismi acquatici. Proposta di gestione del ciclo idrico Poiché l’uso delle livellatrici laser e la pratica delle asciutte sembrano essere indispensabili per la risicoltura moderna, si rende necessario adottare misure che consentano la sopravvivenza degli organismi acquatici durante le asciutte. Una soluzione possibile e di basso costo consiste nella creazione di canali, profondi almeno 100 cm e larghi 80 cm, disposti nel modo più opportuno al fine di non intralciare i movimenti dei mezzi agricoli. Durante le asciutte, in questi canali troverebbero rifugio i girini degli anfibi, i pesci e le larve degli insetti e gli altri invertebrati acquatici; dopo il riallagamento questi organismi torneranno a occupare l’intera superficie della risaia. Un vantaggio non secondario di questa pratica sarebbe la riduzione delle larve di zanzara presenti. Occorre approfondire gli aspetti legati all’interferenza del diserbo chimico in asciutta e ottimizzare la densità e disposizione di cataletti.

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2) Trebbiatura e gestione delle stoppie Le stoppie delle risaie costituiscono un ambiente di interesse naturalistico, in quanto ospitano cospicue popolazioni di uccelli migratori. I metodi di trebbiatura meccanica possono essere di due tipi. 1. La trebbiatrice taglia gli steli con le pannocchie e lascia degli stocchi di altezza variabile, dai quali è stata asportata la parte terminale. 2. La trebbiatrice “sgrana” la spiga, lasciando in piedi gli steli e le pannocchie svuotate. Entrambi i microambienti che si formano con queste due tecniche possono costituire degli habitat ottimali per diverse specie di uccelli. Una condizione ottimale sarebbe la creazione di un mosaico di risaie trebbiate con le due tecniche. Tuttavia, in molti casi le stoppie vengono erpicate immediatamente dopo la trebbiatura; in questo modo l’ambiente perde gran parte dell’idoneità dal punto di vista ornitologico. Proposta di gestione delle stoppie Livello di base Le stoppie sono lasciate sul campo sino alla fine dell’inverno. Livello avanzato Le stoppie sono lasciate sino alla fine dell’inverno. Inoltre, una frazione compresa fra il 20% e il 60% viene allagato con uno strato di 5-20 cm d’acqua. Questo allagamento favorisce la decomposizione e mineralizzazione della sostanza organica e consente l’esistenza di una moltitudine di organismi acquatici nel corso dell’autunno e dell’inverno.

3) Gestione degli elementi del paesaggio agricolo L’area delle risaie è caratterizzata dalla scarsità di alcuni elementi caratteristici di altri paesaggi agrari, quali siepi e filari. Sono invece abbondanti i corsi d’acqua artificiali che albergano molte forme di vita, sia nell’elemento liquido sia sulle rive. Alcune pratiche di gestione comportano il continuo disturbo del fondo dei canali, con dragaggi eseguiti anche in piena stagione vegetativa, e la distruzione della vegetazione delle sponde con macchine trinciatrici. Con queste operazioni si eliminano quantità immense di organismi viventi e si impoverisce il territorio. Proposte di gestione del paesaggio agricolo Livello di base a) La vegetazione riparia dei canali della rete irrigua viene mantenuta per tutta la stagione vegetativa. Le fresature sono effettuate fra ottobre e gennaio. b) Le aree residue di vegetazione naturale sono mantenute tali. Livello avanzato a) I canali che per lunghi tratti non presentano sponde adatte alla vegetazione riparia sono modificate, soprattutto con le tecniche dell’ingegneria naturalistica, al fine di favori l’attecchimento delle piante palustri e la vita agli organismi animali ad esse legate. b) Vengono create piccole zone umide intercalate alle vasche di risaia, nelle quali lo stadio evolutivo della vegetazione è mantenuto a uno stadio giovanile

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attraverso interventi opportuni di gestione, da effettuare al di fuori del periodo vegetativo.

Si sottolinea che il progetto è tuttora in corso di realizzazione e non è dunque possibile disporre di una visione esaustiva dei risultati perseguiti e delle criticità affrontate. Coinvolgimento degli stakeholder Nell’ambito del progetto si è investito notevolmente sul coinvolgimento degli agricoltori, riconosciuti come principali attori per la gestione del territorio, in un’ottica sia di attuazione operativa degli interventi previsti, sia e soprattutto per la continuità temporale delle attività gestionali intraprese. In primis, le azioni di creazione di stepping stones per favorire la connessione ecologica fra gli elementi della Rete Natura 2000 della pianura vercellese sono stati avviati su terreni di aziende agricole private che hanno aderito al Progetto ECO-RICE, dando la propria disponibilità a garantire l’esecuzione dei lavori ed il mantenimento di quanto realizzato per i venti anni successivi al termine del progetto LIFE+. Inoltre alcuni lavori di manutenzione del territorio sono stati eseguiti direttamente dagli agricoltori, con possibilità di integrazione del reddito e di coinvolgimento agli interventi di conservazione e gestione del patrimonio naturalistico. Per favorire una buona gestione delle aree delle risaie da parte degli agricoli sono state redatte

‐ le linee guida utili alla gestione sostenibile dell’agroecosistema risicolo e ‐ le linee guida per la gestione forestale dei boschi che ospitano garzaie.

Una delle priorità della Provincia di Vercelli è rappresentata dalle azioni di divulgazione dei risultati volte a: sensibilizzare cittadini e amministrazioni sui temi della conservazione della biodiversità e dell’inestimabile valore ambientale della pianura risicola vercellese, promuovere il progetto e diffonderne i risultati ottenuti, offrire supporto diretto ai soggetti interessati dai temi del progetto. ‐ Sportello LIFE - Rete Ecologica designato a fornire informazioni sul progetto

LIFE+, occupandosi di elaborare il materiale informativo, di diffondere news su argomenti di progetto e dello strumento LIFE+ (sito web, mailing list, newsletter, video e poster), di aggiornare lo stato di avanzamento delle attività, di mantenere i contatti con e tra i realizzatori del progetto, di partecipare all’organizzazione degli eventi attinenti al progetto, di supporto tecnico alle aziende risicole interessate al tema della biodiversità e di raccogliere idee e spunti per progetti futuri legati alla valorizzazione e al miglioramento della rete ecologica.

‐ Pubblicazioni: relazione a carattere divulgativo per diffondere gli obiettivi perseguiti e i risultati ottenuti, brochure e depliant relativi al progetto (disponibili

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gratuitamente presso lo Sportello Reti Ecologiche e sul sito internet ECO-RICE www.ecorice.it).

‐ Bacheche informative presso i siti di intervento interessati dalle azioni concrete di conservazione finalizzate all’ampliamento del bacino di utenze, per fornire maggiori informazioni su presenza e caratteristiche dei Siti della Rete Natura 2000 coinvolti e alla sensibilizzazione nei confronti del progetto e del patrimonio naturale da salvaguardare.

‐ Sito internet del progetto e newsletter. ‐ Applicazioni open-source per migliorare l’interazione con il Sistema

Informativo Territoriale locale. È stata inserita all’interno del sito internet ECORICE (www.ecorice.it) un’applicazione GIS opensource, completamente gratuita, per dare la possibilità agli utenti, previa autenticazione, di condividere materiale ed informazioni georeferenziate sullo stato della rete ecologica locale e i progetti in corso facilitando la realizzazione di quest’ultima.

‐ Azioni di diffusione su scala nazionale e internazionale per fornire aggiornamenti tecnici sui temi di progetto e sul progetto stesso e per realizzare opportunità di confronto tra i soggetti coinvolti, con l’obiettivo di condividere le esperienze di ciascuno e fornire dati tecnici attuali per ricreare una migliore visione di insieme.

‐ Seminari sulla coltivazione del riso - Rete Rurale Nazionale rivolto ad un target specializzato per un proficuo scambio di pareri tra gli addetti ai lavori del settore risicolo e gli operatori del progetto LIFE+, promuovendo la metodologia di intervento ECORICE e sottolineando l’importanza della salvaguardia della Rete Natura 2000 per la conservazione di specie animali e vegetali dell’agroecosistema risicolo, anche con riferimento all’impiego dei fondi strutturali per l’agricoltura.

‐ Attività di diffusione degli obiettivi del progetto LIFE+ per le comunità locali focalizzati su obiettivi di progetto, rete ecologica, salvaguardia della biodiversità in termini di specie e habitat protetti della Provincia di Vercelli e sulle migliori pratiche per tutelarli.

‐ Gioco didattico per le scuole sul progetto LIFE+, la rete ecologica e la salvaguardia della biodiversità nella provincia di Vercelli.

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Conclusioni Il programma integrato per la riqualificazione ambientale e la gestione sostenibile dell’agroecosistema risicolo del vercellese presenta molteplici punti di forza in riferimento a buone pratiche di gestione dei siti Natura 2000 esportabili sul territorio della Lombardia. 1. L’ambiente di risaia della provincia di Vercelli presenta molte caratteristiche

comuni alle limitrofe risaie lombarde della Lomellina Pavese, per quanto concerne sia l’aspetto morfologico, sia quello della gestione colturale di agricoltura intensiva.

2. Le sperimentazioni delle tecniche colturali sostenibili nell’ambiente della risaia

sono confluite all’interno delle Linee guida relative alla gestione dell’agroecosistema risicolo e per la conservazione della biodiversità, in fase di redazione.

3. Con specifico riferimento al potenziamento degli habitat idonei per gli ardeidi sono state redatte le Linee guida per la gestione forestale dei boschi che ospitano garzaie.

4. I portatori di interesse, in particolare agricoltori, sono stati fattivamente coinvolti non solo attraverso specifiche campagne divulgative, ma anche operativamente come attori di alcune delle azioni di rinaturalizzazione del territorio. Si evidenzia a tal proposito il ricorso a convenzione e affidamento diretto, stipulati fra aziende agricole e la Provincia di Vercelli ai sensi dell’art.15 del Decreto Legislativo 228/01 che consente ad imprese agricole e forestali di svolgere lavori ed interventi legati alla manutenzione del territorio, alla salvaguardia del paesaggio agrario e forestale, alla promozione di attività a favore della tutela delle vocazioni produttive del territorio, alla cura ed al mantenimento dell’assetto idrogeologico. Le ricadute di tale approccio si manifestano da un lato nel coinvolgimento diretto degli operatori che può concorrere a incrementarne la sensibilità e conoscenza verso le tematiche ambientali affrontate, e dall’altro nella possibilità di ottenere una integrazione al reddito che porta a ritenere la presenza di aree protette come una risorsa e non come un ostacolo/vincolo all’uso delle aree agricole. Entrambi gli aspetti concorrono potenzialmente a dare continuità al progetto sotto il profilo dell’uso di tecniche colturali sostenibili per l’agroecosistema.

5. Sono stati coinvolti esperti e soggetti provenienti da altri paesi europei nei quali si

coltiva il riso su superfici significative, costituendo un networking IRFEN-International Rice field ecological network. Il confronto con i soggetti stranieri ha però evidenziato come ciascuna area risicola europea sia caratterizzata da criticità che difficilmente potranno essere ricondotte a uno schema operativo comune, portando alla decisione di focalizzare l’attenzione sull’elaborazione di

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linee guida per la situazione locale dell’Italia nordoccidentale, con particolare attenzione alle risaie del Vercellese.

I servizi ecosistemici potenziati grazie agli interventi di progetto Servizi di supporto: - incremento biodiversità Servizi di regolazione dei processi ecosistemici: - sequestro del carbonio e la regolazione del clima - depurazione di acqua e aria - regolazione dell’azione erosiva dell’acqua - impollinazione Servizi di approvvigionamento: - produzione alimentare Servizi culturali: - aspetti turistico-ricreativi - miglioramento paesistico - incremento delle conoscenze scientifiche

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Bibliografia e sitografia A. Bari A. et alii (a cura di), 2008, “Le Zone Umide in Piemonte - Indicatori ambientali”. ARPA PIEMONTE. Sindaco R., Mondino G.P., Selvaggi A., Ebone A., Della Beffa G., 2003, “Guida al riconoscimento di Ambienti e Specie della Direttiva Habitat in Piemonte”. Regione Piemonte. Sindaco R., Savoldelli P., Selvaggi A., 2008 “La Rete Natura 2000 in Piemonte - I Siti di Importanza Comunitaria”. Regione Piemonte. ECO-RICE Brochure Mid-term Report del progetto Link utile www.ecorice.it/

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ALLEGATO 1 Elenco minacce selezionate per lo studio di misure e best practices

nella gestione degli habitat e siti in altre regioni europee

Minacce

Ambito

Minacce prioritarie: Mancata gestione del bilancio idrico a livello di bacino idrografico; Sbarramenti e captazioni; Mancato rispetto del Deflusso Minimo Vitale (DMV); regolazione delle acque a monte; Mancanza di acqua: abbassamento della falda per eccessivi prelievi a scopo irriguo o per derivazioni e captazioni a monte; Uso del fuoco per la gestione dei cariceti/vegetazione palustre; Specie alloctone animali: Nutria; Minacce secondarie (ricerca facoltativa): Artificializzazione degli alvei fluviali e dei canali; Distruzione di habitat riproduttivi presenza di attività antropiche produttive in area di greto o ad esso limitrofe ed incompatibili con la sua conservazione e con la riproduzione dell’avifauna, in particolare di quella nidificante a terra (Sterna comune, Fraticello, Corriere piccolo, Occhione, Piro piro piccolo).

Ambienti acquatici

Minacce prioritarie: Eccessiva pressione antropica dovuta all’attività turistica (es. impianti sciistici); Abbandono di attività tradizionali come ad esempio lo sfalcio e la zootecnia non intensiva; Minacce secondarie (ricerca facoltativa): Interventi di drenaggio delle torbiere ed inadeguata gestione del pascolo, che non impedisce l'invasione degli arbusti sui versanti, mentre ricava superfici pascolabili in corrispondenza delle torbiere.

Ambienti di alta quota, praterie

Minacce prioritarie: Frammentazione causata da: cambiamenti di uso del suolo e infrastrutture legate alla rete dei trasporti (strade, autostrade, ferrovie, canali artificiali, TAV). Ricerca di casi di applicazione misure normative, processo di costruzione progettuale (calcolo compensazioni, monitoraggi, etc.); Agricoltura intensiva: rilascio eccessivo di nitrati, fosfati e liquami nei corsi d’acqua; Utilizzo delle biomasse a fini energetici; Mancanza di acqua: abbassamento della falda per eccessivi prelievi a scopo irriguo.

Aree agricole

Minacce prioritarie: Frammentazione causata da: cambiamenti di uso del suolo e infrastrutture legate alla rete dei trasporti (strade, autostrade, ferrovie, canali artificiali, TAV); Eccessiva pressione antropica dovuta all’attività turistica (es. impianti sciistici). (disturbo legato alle specie forestali ed ecotonali); Isolamento: scarsa connessione tra nuclei boscati in aree di pianura; Minacce secondarie (ricerca facoltativa): (minaccia potenziale) Eccessivo prelievo della biomassa per produzione energetica; Mancanza di acqua, in particolare prosciugamento estivo dei boschi idrofili: abbassamento della falda.

Aree forestali

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Minacce

Ambito

Distruzione di habitat riproduttivi: operazioni di taglio e gestione dei boschi e dei pioppeti idonei per la riproduzione dell’avifauna, in particolare di Ardeidi; Cambiamento climatico (ricerca facoltativa; da valutare se si trova qualcosa)

Ambienti vari

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ALLEGATO 2 Elenco degli habitat e delle specie vegetali di interesse comunitario

presenti in Lombardia

59 Habitat 31: Acque stagnanti 3130 Acque stagnanti, da oligotrofe a mesotrofe, con vegetazione dei Littorelletea uniflorae e/o degli Isoëto-Nanojuncetea 3140 Acque oligomesotrofe calcaree con vegetazione bentica di Chara spp. 3150 Laghi eutrofici naturali con vegetazione del Magnopotamion o Hydrocharition 3160 Laghi e stagni distrofici naturali 3170* Stagni temporanei mediterranei 32: Acque correnti - tratti di corsi d'acqua a dinamica naturale o seminaturale (letti minori, medi e maggiori) in cui la qualità dell'acqua non presenta alterazioni significative 3220 Fiumi alpini con vegetazione riparia erbacea 3240 Fiumi alpini con vegetazione riparia legnosa a Salix eleagnos 3260 Fiumi delle pianure e montani con vegetazione del Ranunculion fluitantis e Callitricho- Batrachion. 3270 Fiumi con argini melmosi con vegetazione del Chenopodion rubri p.p e Bidention p.p. 40: Lande e arbusteti temperati 4030 Lande secche europee 4060 Lande alpine e boreali 4070* Boscaglie di Pinus mugo e Rhododendron hirsutum (Mugo-Rhododendretum hirsuti) 4080 Boscaglie subartiche di Salix spp. 51: Arbusteti submediterranei e temperati 5130 Formazioni a Juniperus communis su lande o prati calcicoli 61: Formazioni erbose naturali 6110* Formazioni erbose rupicole calcicole o basofile dell'Alysso-Sedion albi 6150 Formazioni erbose boreo-alpine silicicole 6170 Formazioni erbose calcicole alpine e subalpine 62: Formazioni erbose secche seminaturali e facies coperte da cespugli 6210(*) Formazioni erbose secche seminaturali e facies coperte da cespugli su substrato calcareo (Festuco-Brometalia) (*stupenda fioritura di orchidee) 6230* Formazioni erbose a Nardus, ricche di specie, su substrato siliceo delle zone montane (e delle zone submontane dell'Europa continentale)

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64: Praterie umide seminaturali con piante erbacee alte 6410 Praterie con Molinia su terreni calcarei, torbosi o argilloso-limosi (Molinion caeruleae) 6430 Bordure planiziali, montane e alpine di megaforbie idrofile 65: Formazioni erbose mesofile 6510 Praterie magre da fieno a bassa altitudine (Alopecurus pratensis, Sanguisorba officinalis) 6520 Praterie montane da fieno 71: Torbiere acide di sfagni 7110* Torbiere alte attive 7130(*) Torbiere di copertura (*per le torbiere attive soltanto) 7140 Torbiere di transizione e instabili 7150 Depressioni su substrati torbosi del Rhynchosporion 7160 Sorgenti ricche di minerali e sorgenti di paludi basse fennoscandiche (da verificare reale presenza) 72: Paludi basse calcaree 7210* Paludi calcaree con Cladium mariscus e specie del Caricion davallianae 7220* Sorgenti pietrificanti con formazione di tufi (Cratoneurion) 7230 Torbiere basse alcaline 7240* Formazioni pioniere alpine del Caricion bicoloris-atrofuscae 81: Ghiaioni 8110 Ghiaioni silicei dei piani montano fino a nivale (Androsacetalia alpinae e Galeopsietalia ladani) 8120 Ghiaioni calcarei e scisto-calcarei montani e alpini (Thlaspietea rotundifolii) 8130 Ghiaioni del Mediterraneo occidentale e termofili 82: Pareti rocciose con vegetazione casmofitica 8210 Pareti rocciose calcaree con vegetazione casmofitica 8220 Pareti rocciose silicee con vegetazione casmofitica 8230 Rocce silicee con vegetazione pioniera del Sedo-Scleranthion o del Sedo albi-Veronicion dillenii 8240* Pavimenti calcarei 83: Altri habitat rocciosi 8310 Grotte non ancora sfruttate a livello turistico 8340 Ghiacciai permanenti 91: Foreste dell'Europa temperata 9110 Faggeti del Luzulo-Fagetum 9130 Faggeti dell’Asperulo-Fagetum 9150 Faggeti calcicoli dell’Europa centrale del Cephalanthero-Fagion

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9160 Querceti di farnia o rovere subatlantici e dell’Europa centrale del Carpinion betuli 9170 Querceti di rovere del Galio-Carpinetum 9180* Foreste di versanti, ghiaioni e valloni del Tilio-Acerion 9190 Vecchi querceti acidofili delle pianure sabbiose con Quercus robur 91D0* Torbiere boscate 91E0* Foreste alluvionali di Alnus glutinosa e Fraxinus excelsior (Alno-Padion, Alnion incanae, Salicion albae) 91F0 Foreste miste riparie di grandi fiumi a Quercus robur, Ulmus laevis e Ulmus minor, Fraxinus excelsior o Fraxinus angustifolia (Ulmenion minoris) 91H0* Boschi pannonici di Quercus pubescens 91K0 Foreste illiriche di Fagus sylvatica (Aremonio-Fagion) 91L0 Querceti di rovere illirici (Erythronio-Carpinion) 92: Foreste mediterranee caducifoglie 9260 Boschi di Castanea sativa 92A0 Foreste a galleria di Salix alba e Populus alba 94: Foreste di conifere delle montagne temperate 9410 Foreste acidofile montane e alpine di Picea (Vaccinio-Piceetea) 9420 Foreste alpine di Larix decidua e/o Pinus cembra 9430(*) Foreste montane ed subalpine di Pinus uncinata (* su substrato gessoso o calcareo) 15 specie vegetali in Lombardia

1379 Mannia triandra 1381 Dicranum viride 1387 Orthotrichum rogeri 1389 Meesia longiseta (da verificare reale presenza) 1393 Drepanocladus vernicosus 1428 Marsilea quadrifonia 1524 Saxifraga tombeanensis 1583 Daphne petraea 1670 Myosotis rehsteineri 1710 Linaria tonzigii 1714 Euphrasia marchesettii 1898 Eleocharis carniolica 1902 Cypripedium calceolus 1903 Liparis loeselii 4096 Gladiolus palustris

Page 121: Raccolta di casi studio su misure e buone pratiche nella ... · Il progetto Gestire prevede la selezione e la presentazione di cinque casi studio su buone pratiche di gestione della

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1 2 3 4 5 Titolo, Stato/Regione Regione Biogeografica Habitat allegato 1 Specie di interesse comunitario Problema affrontato Attività intraprese

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Programmi finanziari Nuovi finanziamenti Stakeholder Gestione integrata Servizi ecosistemici Disponibilità info Altro Valutazione

ALLEGATO 3 Tabella comparativa dei potenziali casi studio Lombardia