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Italo TALIA e Vittorio AMATO, Scenari e mutamenti geopolitici. Competizione ed egemonia nei grandi spazi, Bologna, Pà- tron, 2015, pp. 202, bibl. Con gli eventi che accadono proprio nei giorni in cui sto scrivendo questa re- censione, il quadro tracciato dai nostri due autori su quanto sta avvenendo nel mondo contemporaneo non avrebbe potuto trova- re conferme maggiori. Perché non vi è dubbio che le tragedie che hanno investito Parigi e Bruxelles por- tano il segno di quei cambiamenti della geopolitica che Italo Talia e Vittorio Amato ci prospettano in questo loro ultimo lavo- ro. Lontana ormai non solo nel tempo la controversia relativa al significato del ter- mine geopolitica, oggi questo ramo della disciplina configura lo studio dell’insieme di entità e relazioni attraverso cui si espri- me la faccia politica del globo. È evidente che si tratta di un insieme che si presenta quanto mai vario e complesso, stanti i mo- di in cui nel tempo sono venute prenden- do forma le specifiche vicende di ciascuna di queste entità e in cui vanno tuttora cam- biando anche oggi le une e le altre. Sicché sempre rilevante ne appare la ricognizione tutta recente appunto che Italo Talia e Vit- torio Amato ci propongono per i tipi della Pàtron Editore. Il lavoro tuttavia non si limita a pro- spettare la fisionomia statuale di oggi qua- le sarebbe semplice riconoscere dall’insie- me di informazioni che inappuntabilmente ci viene prospettata ogni anno dal Calen- dario Atlante De Agostini. Come recita il sottotitolo del lavoro si tratta invece, nel caso del lavoro di Talia e Amato, di una ricostruzione delle diverse forme di egemonia politica mediante la quale si esprime questa appropriazione dei territori in cui si articola oggi lo spazio politico. E insieme alle diverse forme di appropriazione dei territori le competizio- ni cui esse danno luogo per le varie con- troversie che le interessano. Non causalmente, infatti, anche quanto è accaduto a seguito dell’azione terroristi- ca intrapresa dai militanti dello Stato Isla- mico ci viene proposto dai suoi feroci in- ventori come espressione di uno Stato po- litico-territoriale benché in realtà questo Stato non esista, ma appaia loro utile per giustificarne la tragica malvagità. Venuti meno i due grandi eventi del colonialismo per un verso e per l’altro verso della spartizione dell’universo politi- co internazionale tra le due grandi ideolo- gie cui si rifaceva l’organizzazione del mondo prima del crollo dell’Unione So- vietica, il panorama geopolitico ci appare oggi variegato e complesso onde risulta quanto mai utile la rassegna critica che i nostri due autori compiono nell’intento di dar ragione dei molti dinamismi in atto. Perché, mutato l’atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti del mondo che non ac- cetta, non pratica e non conosce la demo- crazia, non esiste più una superpotenza egemonica che vuol portare la democra- zia politica con le armi e il suo posto è stato preso da un atteggiamento diploma- tico; la comparsa della Russia al posto del- l’Unione Sovietica – benché sulla scorta della ricchezza energetica miri a recupera- re posizioni egemoniche – non ha ancora superato una dimensione regionale recla- mando un ruolo sempre più egemonico. E incontra ancora resistenze all’integrazione in Europa, così come accade anche nel caso della Turchia. Cina e India poi si sono affacciate al- l’orizzonte politico internazionale in posi- zione non più subalterna ma certo solo in parte non regionale. E altri attori sono comparsi, come le grandi organizzazioni R E C E N S I O N I E APPUNTI DI LETTURA

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Italo TALIA e Vittorio AMATO, Scenari emutamenti geopolitici. Competizione edegemonia nei grandi spazi, Bologna, Pà-tron, 2015, pp. 202, bibl.

Con gli eventi che accadono proprionei giorni in cui sto scrivendo questa re-censione, il quadro tracciato dai nostri dueautori su quanto sta avvenendo nel mondocontemporaneo non avrebbe potuto trova-re conferme maggiori.

Perché non vi è dubbio che le tragedieche hanno investito Parigi e Bruxelles por-tano il segno di quei cambiamenti dellageopolitica che Italo Talia e Vittorio Amatoci prospettano in questo loro ultimo lavo-ro. Lontana ormai non solo nel tempo lacontroversia relativa al significato del ter-mine geopolitica, oggi questo ramo delladisciplina configura lo studio dell’insiemedi entità e relazioni attraverso cui si espri-me la faccia politica del globo. È evidenteche si tratta di un insieme che si presentaquanto mai vario e complesso, stanti i mo-di in cui nel tempo sono venute prenden-do forma le specifiche vicende di ciascunadi queste entità e in cui vanno tuttora cam-biando anche oggi le une e le altre. Sicchésempre rilevante ne appare la ricognizionetutta recente appunto che Italo Talia e Vit-torio Amato ci propongono per i tipi dellaPàtron Editore.

Il lavoro tuttavia non si limita a pro-spettare la fisionomia statuale di oggi qua-le sarebbe semplice riconoscere dall’insie-me di informazioni che inappuntabilmenteci viene prospettata ogni anno dal Calen-dario Atlante De Agostini.

Come recita il sottotitolo del lavoro sitratta invece, nel caso del lavoro di Talia eAmato, di una ricostruzione delle diverseforme di egemonia politica mediante laquale si esprime questa appropriazionedei territori in cui si articola oggi lo spazio

politico. E insieme alle diverse forme diappropriazione dei territori le competizio-ni cui esse danno luogo per le varie con-troversie che le interessano.

Non causalmente, infatti, anche quantoè accaduto a seguito dell’azione terroristi-ca intrapresa dai militanti dello Stato Isla-mico ci viene proposto dai suoi feroci in-ventori come espressione di uno Stato po-litico-territoriale benché in realtà questoStato non esista, ma appaia loro utile pergiustificarne la tragica malvagità.

Venuti meno i due grandi eventi delcolonialismo per un verso e per l’altroverso della spartizione dell’universo politi-co internazionale tra le due grandi ideolo-gie cui si rifaceva l’organizzazione delmondo prima del crollo dell’Unione So-vietica, il panorama geopolitico ci appareoggi variegato e complesso onde risultaquanto mai utile la rassegna critica che inostri due autori compiono nell’intento didar ragione dei molti dinamismi in atto.Perché, mutato l’atteggiamento degli StatiUniti nei confronti del mondo che non ac-cetta, non pratica e non conosce la demo-crazia, non esiste più una superpotenzaegemonica che vuol portare la democra-zia politica con le armi e il suo posto èstato preso da un atteggiamento diploma-tico; la comparsa della Russia al posto del-l’Unione Sovietica – benché sulla scortadella ricchezza energetica miri a recupera-re posizioni egemoniche – non ha ancorasuperato una dimensione regionale recla-mando un ruolo sempre più egemonico. Eincontra ancora resistenze all’integrazionein Europa, così come accade anche nelcaso della Turchia.

Cina e India poi si sono affacciate al-l’orizzonte politico internazionale in posi-zione non più subalterna ma certo solo inparte non regionale. E altri attori sonocomparsi, come le grandi organizzazioni

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internazionali in vario modo intrecciate aiprodotti della globalizzazione economica;le nuove potenze regionali che, ad esem-pio nel caso del Sudafrica, hanno preso ilposto delle colonie e dei domini di untempo. Ma appare un mondo fluido, cioèin transizione.

Il lavoro di Talia e Amato si articola inquattro parti, di cui la seconda, la terza ela quarta propongono i cambiamenti in-tervenuti e in atto nelle diverse parti del-l’universo geopolitico attuale e danno ra-gione del giudizio sospeso che viene for-mulato dai nostri autori. Un giudizio cheaffonda le sue radici nelle considerazioniche si intrecciano nella prima parte del li-bro a proposito dei processi in atto e giu-stificano che gli autori ritengano che laprospettiva in atto sia considerata fluidapiù di quanto non sia lecito aspettarsisempre dal futuro che avanza.

Rifacendosi al concetto di Carl Schmittsi deve ritenere che i cambiamenti in attoprospettino una vera e propria «rivoluzio-ne spaziale» nel senso che non solo di so-stituzioni di entità politiche statali e sovra-statali si tratta, bensì della comparsa dinuove terre e nuovi mari insieme con ilmutamento degli «spazi dell’esistenza sto-rica». E questo significa un mutamentodella struttura stessa del concetto di spa-zio nel senso che essa comporta una tra-sformazione della sua immagine. Temaperaltro presente da tempo nel pensierodi storici e politologi – dall’Omodeo alBraudel, dal Luttwak al Losano e al Dio-dato, benché non sia stato ancora chiaritodel tutto quali relazioni siano esistite traquesti studiosi e i geografi.

È questa insomma la ragione che giu-stifica tutte le ricognizioni degli spazi geo-politici a scala globale e anche parziale, eoggi in particolare dopo le grandi trasfor-mazioni di cui si è fatto cenno, cui forsesolo i cambiamenti proposti dalla scopertadell’America alla fine del XV secolo sonoparagonabili.

Calogero Muscarà

Fabio AMATO ed Elena DELL’AGNESE (acura di), Schermi americani. Geografia egeopolitica degli Stati Uniti nelle serie tele-visive, Milano, Unicopli, 2014, pp. 255.

Le serie televisive sono entrate appie-no nel lessico e nelle interlocuzioni quoti-diane grazie a trame narrative molto avvin-centi, a elaborate introspezioni psicologi-che sui personaggi e a tematiche scottantinarrate con tecniche registiche che rendo-no i prodotti molto spesso assai accattivan-ti. Si tratta di prodotti godibili sia per sem-plice svago sia nella possibilità di com-prensione della società statunitense e, piùin generale, di alcuni scenari relativi a mu-tamenti geopolitici passati (come in «TheAmericans») e odierni (come, sebbene frut-to di fantasia ma con riferimenti chiari al-l’attualità, in «House of Cards», non presen-te nei saggi del libro). Alcune serie televi-sive, per questi e altri motivi, si prestanodunque molto bene alla funzione didatti-ca, poiché sono strumento di immediatalettura da parte degli studenti, che posso-no rappresentare un motivo di analisi piùapprofondita e a più ampio raggio di sce-nari geografici, di prospettive geopolitichee socio-politiche, oltre che di attenzione aparticolari territoriali che a un occhio di-stratto potrebbero sfuggire.

Alcuni geografi italiani, coordinati daicuratori del volume, Fabio Amato ed Elenadell’Agnese, hanno analizzato diverse seriestatunitensi di grande successo partendodalla prospettiva geografica, cercando difar emergere gli elementi più interessantiriguardanti la geografia e la geopolitica de-gli Stati Uniti. Ne è emerso un volume as-sai stimolante sotto molteplici chiavi anali-tiche, che presenta importanti e innovativepossibilità di lettura e di analisi di unostrumento – quello televisivo e delle serietv – che solo parzialmente (sebbene conrisultati assai positivi, sia in ambito nazio-nale, con la stessa Elena dell’Agnese, siainternazionale) è stato affrontato dalla no-stra prospettiva disciplinare. In effetti, ciòche maggiormente affiora è la capacità di

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lettura critica e intelligente degli «schermiamericani», di un mezzo col quale presso-ché tutti hanno a che fare quotidianamen-te, utilizzando una metodologia che ricon-duce l’attenzione del lettore ai fenomenigeografici e geopolitici.

Marco Picone ha, ad esempio, preso inesame «Il trono di spade», nella sua dimen-sione fantasy, nelle implicazioni cartografi-che che presenta («ciascuna delle principalifamiglie che aspirano al trono di spade èpresentata attraverso un inquadramentogeografico»), in quelle confinarie, etiche edi relazioni di corpi. Anche la popolare se-rie «The Walking Dead», che narra le vicen-de di un eterogeneo gruppo sociale chedeve affrontare un mondo dominato damorti viventi viene ben descritta da Elenadell’Agnese, sia affrontando un paragonecon altre proposte televisive, sia sofferman-do l’attenzione sugli aspetti paesaggistici,considerati «forme di equilibrio (perduto)».Maria Cristina Cardillo e Pierluigi De Felicehanno invece analizzato il serial «Lost», am-bientato su un’isola dove si ritrova ungruppo di viaggiatori sopravvissuti a un di-sastro aereo. La serie – girata alle Hawaii –narra le vicende dei personaggi sull’isola,scavando nella loro psicologia attraversoflashback continui. Gli autori legano le vitedei personaggi alla storia americana più re-cente, oltre a fornire un’interpretazionedell’isola come un personaggio essenziale,come entità geografica che assume un’im-portanza di estremo rilievo nella narrazio-ne. Per le sue implicazioni in termini di re-lazioni internazionali e di geopolitica nellaGuerra Fredda, non poteva non essere stu-diata la serie «The Americans», brillante nel-l’interpretazione degli attori e capace dicoinvolgere il pubblico tenendo altissimal’attenzione in tutte le stagioni, almeno finoad ora: è la storia di due agenti segreti so-vietici che vengono trapiantati negli StatiUniti, dove conducono una vita di coppiacome fossero una normale famiglia ameri-cana. L’analisi di Chiara Giubilaro mette inrilievo i collegamenti che la serie, pur trat-tando un periodo storico passato, ha con i

tempi attuali, soprattutto dopo gli attacchidell’11 settembre, partendo anzitutto dalle«microgeografie del potere», che contraddi-stinguono le puntate delle stagioni fin quirealizzate. Raffaella Coletti, Giulia de Spu-ches e Stefano Malatesta hanno indagato ri-spettivamente «The Good Wife», «Scandal» e«Fringe», prendendo in considerazione gliaspetti relativi alla geografia di genere, aglispazi del potere e al ruolo della donna nel-la società statunitense. Fabio Amato, inve-ce, ha portato alla luce le dimensioni pae-saggistiche, di formazione sociale e di crisieconomica presenti nella pluripremiata«Breaking Bad», una delle serie tv più vistee amate dal pubblico mondiale, che rac-conta la storia di un insegnante di chimicaa scuola, di carattere remissivo, che, dia-gnosticato un cancro e due anni di vita, sidedica alla produzione di droghe sinteticheper poter assicurare un futuro degno allasua famiglia. Da padre affettuoso e maritopremuroso il protagonista si trasformerà,lentamente, in uno spregiudicato traffican-te e produttore di droghe, mantenendo ibuoni propositi e perseguendo, però, la viadel male. L’ambientazione è quella delNew Mexico, dove i paesaggi desertici e icolori «privi di sfumature» rivestono effetti-vamente un’importanza cardinale, sottoli-neando la condizione verso cui il protago-nista, nel passare delle puntate, si dirige: diisolamento e di sempre maggiore ariditàinteriore. Valeria Pecorelli e Chiara Rabbio-si, dal canto loro, hanno messo in evidenzale dinamiche di crisi economica e lo stile divita americano, nella ipocrisia del political-ly correct presenti in «Weeds», serie nellaquale la protagonista coltiva e vende ma-rijuana «per mantenere uno stile di vita al-l’altezza degli standard antecedenti allaprematura scomparsa del marito». Sul temadella crisi si è soffermato anche RosarioSommella che ha invece scandagliato «MadMen» nei suoi aspetti di geografia urbanache riflettono anche «le questioni di gene-re» e di identità personale della New Yorkdegli anni Sessanta: non viene perciò rac-contata quella più recente, definita da

Sommella come la «città di uno splendorerattoppato, ferita dall’11 settembre e dallecrisi finanziarie», ma quella «in cui tutto eb-be inizio», cioè «una città in transizione».Fabrizio Eva si sofferma, in conclusione dellibro, su «The Big Bang Theory», affrontan-dola da diverse prospettive geografiche,dalle questioni di genere a quelle del con-testo sociale americano, riuscendo anchead avanzare delle comparazioni con altreserie e con il genere sitcom, mettendo in ri-lievo gli elementi di maggior interesse geo-grafico e di percezione e narrazione dellasocietà statunitense.

Il libro ha il grande merito di aver coltoi cambiamenti della narrazione poliedricaofferta dai media statunitensi in modo par-ticolare (sarebbe interessante riuscire an-che a estendere simili riflessioni anche aserie prodotte in altri paesi) per proporrequestioni e prospettive tipicamente geogra-fiche, riuscendo a narrare quegli elementidi maggior rilievo per la disciplina presentiproprio nelle serie televisive. Il libro si pre-sta dunque non solo come strumento di ri-flessione per i geografi italiani, nelle ramifi-cazioni disciplinari che sono state proposte– dalla geografia culturale a quella politica,dalla geografia di genere a quella economi-co-sociale e così via – ma anche comemezzo di supporto didattico che, unita-mente a una dimensione formativa univer-sitaria organica, possa aiutare gli studenti aleggere criticamente e saper interpretare isegni più o meno evidenti presenti neglispettacoli mediatici proposti dalle televisio-ni internazionali. In questa ottica e direzio-ne, le serie televisive – che sembrano esse-re uno degli strumenti narrativi più com-pleti, innovativi e onnicomprensivi – siprestano a una lettura non solo sociologi-ca, tecnico-filmica e più in generale socia-le, ma anche geografica, poiché da tale di-mensione non si può prescindere, comehanno ben dimostrato gli autori dei saggipresenti nel libro, nella narrazione di vi-cende e storie, americane e non solo.

Alessandro Ricci

Marco SANTANGELO, Silvia ARU e AndreaPOLLIO (a cura di), Smart city. Ibridazio-ni, innovazioni e inerzie nelle città con-temporanee, Roma, Carocci, 2013, pp. 246.

Sul tema delle smart cities in Italia si èprodotta in questi anni una ricerca eccellen-te che ha avuto un’ottima eco nel dibattitointernazionale, e che questo libro in parteraccoglie. La smart city non è presentata inquanto «fatto» ma come discorso, interrogan-dosi sulle condizioni storico-politiche chene decretano l’incredibile successo, la suatrasmigrazione da una città all’altra, quelloche tale discorso produce o quello che puòpotenzialmente produrre. La smart city vie-ne riletta quindi da una prospettiva moltopiù ampia di quella eminentemente efficien-tistica e tecnicistica nella quale il tema vienein genere inquadrato. Una delle chiavi del-l’incredibile successo che tale concetto haavuto nelle politiche urbane di mezzo mon-do starebbe proprio nel nascondere con lasua apparente neutralità qualsiasi implica-zione sociale e politica. La tecnica, d’altron-de, è più che sufficiente a costruire smartcities: le città intelligenti sono eminente-mente post-politiche. Gli obiettivi sono tutticondivisibili. Il concetto «non è eccessiva-mente utopico (come nel caso della città so-stenibile) o elitario (come nel caso dellacittà creativa)» (p. 12), né tantomeno eversi-vo come quello di «città giusta»: chi non vor-rebbe vivere in una città più intelligente?

Il punto di vista è invece, nel libro, fero-cemente critico, ma al tempo stesso ironico,nella consapevolezza che si tratti dell’enne-sima ricetta buona per qualche stagione. Oforse no, se è vero – come si dice nel volu-me – che il «paradigma» abbia tutte le carat-teristiche per durare a lungo: sufficiente-mente vago e apparentemente innocuo,adatto alle esigenze di investimento delleimprese come a quelle di intervento pubbli-co, alla democrazia così come all’economia.E dopo la modernità, la crescita, lo svilup-po, dopo le merci, le industrie, i valori,quale forma di superiorità l’occidente avan-zato è oramai in grado di offrire al mondo

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che lo circonda? La sua tecnologia più all’a-vanguardia e l’individuazione dei fini aiquali essa si debba rivolgere: sostenibilità,efficienza, performance, competitività. Unaconcezione salvifica di una tecnologia, co-me sottolinea Alberto Vanolo (p. 48), ingrado di produrre autonomamente città mi-gliori, che evita di dover fare i conti con lacomplessità e la pesantezza dei meccanismisocio-politici che sottendono all’insostenibi-lità degli attuali modelli di sviluppo urbano.E infatti l’immaginario delle smart citiessembra includere la presenza umana in mi-sura marginale e solo in quanto terminaledi reti informatiche. L’idea del cyborg da di-stopica diventa utopica: una delle pochissi-me rappresentazioni positive, come giusta-mente fa notare Ugo Rossi (p. 53), in tempidi crisi e di declinismo.

Tutto qui? La significatività del temadella smart city si esaurisce interamentenella sua dimensione simbolica? Che cosa,in altre parole, tale immaginario è in gradodi produrre? Qual è la sua dimensioneperformativa? Nel discutere di questi aspettiil libro è necessariamente cauto, trattandosidi un fenomeno tutto sommato recente.

Intorno all’idea di smart city si sonoconcentrati in questi anni discreti flussi difinanziamento pubblico e investimentoprivato: una delle ragioni del suo succes-so, si sostiene nel libro, è dovuta proprio aquesto. Aggiungerei che dalla disponibilitàdi tali finanziamenti deriva anche partedell’interesse accademico per l’argomento.

Sul piano più propriamente applicati-vo, come documentato nel libro, tali finan-ziamenti prendono la forma di sostegno astart up innovative e, in generale, inter-venti che mettono la tecnologia al serviziodella sostenibilità urbana. L’assunzione im-plicita è che siano le imprese private le so-le in grado di produrre tecnologie adegua-te: ne risulta, come sottolinea Vanolo (p.49), il rischio che la smart city si configuricome una «privatopia», sottraendo ulterior-mente responsabilità ai soggetti politiciformali nella promozione di città più vivi-bili e sostenibili, possibilmente eque.

Inoltre, al pari degli esempi analoghiche l’hanno preceduta, l’idea di smart citysi traduce acriticamente in un target diperformances al quale tutte le città delmondo dovrebbero aspirare: un bench-mark, con l’ormai rituale corredo di indica-tori e classifiche che riproducono le con-suete gerarchie tra nord e sud, modernità earretratezza, rilette ora anche attraverso lecategorie dell’intelligenza e della stupidità.Classifiche e indicatori sopprimono inoltrequalsiasi considerazione relativa a differen-ze tra città che non siano riducibili a indicidi performances e che non siano ordinabilisecondo una scala di valori indiscutibili.Come sottolinea Marco Santangelo nell’in-troduzione, quello che conta è il know-how, piuttosto che il know-where. In que-sto, la smart city diventa anche inevitabil-mente un dispositivo di normalizzazioneche discrimina, squalifica, condanna, e altempo stesso incita, adesca, promuove. Lecittà smart, inoltre, sono effettivamente ditutti e per tutti? Il tema si lega inevitabil-mente a questioni relative al digital dividedal punto di vista sia geografico sia sociale.

Altri temi che sono soltanto accennatirichiederebbero forse approfondimenti ul-teriori. Come la natura biopolitica dellasmart city, richiamata da Alberto Vanolo,che si lega a un tema che è invece nel li-bro quasi assente: il rapporto tra tecnolo-gia e sorveglianza. O ancora l’idea suggeri-ta da Ugo Rossi che la smart city rappre-senti un esempio paradigmatico di quellache Michael Hardt e Antonio Negri defini-scono «sussunzione», contribuendo a porreil lavoro cognitivo al servizio della ripro-duzione del capitalismo.

Un libro indispensabile per tutti coloroche vogliano andare oltre la dimensionenormativa ed enfatica di gran parte dellapubblicistica in materia e che, a dispetto diun paradigma che individua nei tecniciinformatici la chiave per ripensare la città,dimostra che a questo compito è bene checontinuino a dedicarsi anche i geografi.

Filippo Celata

Enrica CAMPUS, Marco CILLIS, MicheleERCOLINI, Serena FRANCINI e AlessandroVILLARI (a cura di), Qualità del paesaggioe opere incongrue, Osservatorio della Pia-nificazione Urbanistica e della Qualità delPaesaggio, Regione Autonoma della Sarde-gna, Olbia, Taphros, 2013 (collana «Stru-menti», 2), pp. 143, ill., bibl.

Frutto della curatela e dei testi di archi-tetti, coadiuvati da altri tredici esperti dipianificazione territoriale, questo volume –il secondo degli «Strumenti» dell’Osservato-rio della Pianificazione Urbanistica e dellaQualità del Paesaggio della Regione Sarde-gna – è dedicato al rapporto tra opere epaesaggio. Alle sue radici è naturalmente laConvenzione Europea del Paesaggio (cuiin Italia ha poi fatto seguito, nel 2004, l’isti-tuzione del Codice dei Beni Culturali e delPaesaggio, CBCP), il trattato internazionaleche ha ufficializzato la concezione – datempo peraltro affermata in ambito accade-mico – secondo cui alle popolazioni si de-ve riconoscere un fattore di reale determi-nazione del paesaggio sulla base della per-cezione di esso posseduta. In altre parole,il paesaggio non è (solo) un insieme di «ec-cellenze» da proteggere, ma l’esito di pro-cessi complessi e in divenire da gestire (einsieme promuovere) attraverso un sistemadi valorizzazione integrata. A loro volta, lenovità introdotte dal CBCP hanno impostodi riconsiderare le azioni di tutela e di ge-stione del patrimonio paesaggistico inun’ottica collaborativa e responsabile, an-che attraverso la costituzione degli Osser-vatori regionali della Qualità del Paesaggio.La Regione Sardegna ha istituito il proprioOsservatorio nel 2006 per il monitoraggio ela comparazione dell’attività di pianificazio-ne in collaborazione con le Università econ gli ordini e i collegi professionali coin-volti. In particolare, l’obiettivo è stato quel-lo di supportare la realizzazione del PianoPaesaggistico Regionale della Sardegna(PPRS) che, approvato nel 2006, è stato ilprimo redatto in Italia in conformità con ilCBCP e realizzato per rispondere alla ne-

cessità di soddisfare criteri di qualità dellavita dei cittadini e di sostenibilità (ambien-tale e territoriale). La Convenzione ha dun-que reso paesaggio il territorio: si è trattatodi un’evoluzione tutt’altro che banale, lad-dove il problema, comune a tutte le regioniitaliane, è che sulla necessità di tutelare ilpaesaggio, richiamata persino dalla nostraCostituzione, tutti concordano; quandoperò si tratta di regolamentarne le trasfor-mazioni esso diviene oggetto di trattative,di compravendite, nonché campo di batta-glia per disfide politiche. L’entrata in vigoredel PPRS ha avuto il merito, scrive G. Big-gio (p. 13), di costringere «l’intera popola-zione (tecnici, professionisti, amministrato-ri pubblici e semplici cittadini) a dibatteresul paesaggio, su come questo viene vissu-to, come viene percepito, come può esseretrasformato senza essere sacrificato sull’al-tare dell’interesse particolaristico».

L’obiettivo di costruire dal basso unapresa di coscienza sui temi del paesaggio siè così concretizzata in numerose iniziativemirate alla formazione e alla divulgazionenon solo delle finalità enunciate e perse-guite dal PPRS, ma soprattutto dei principiinsiti nel concetto stesso di paesaggio «al fi-ne di formare una popolazione conscia eresponsabile delle proprie scelte, in gradodi valutare l’unicità e l’irripetibilità del pro-prio paesaggio davanti a proposte di tra-sformazione non sempre compatibili» (ibi-dem). Proprio a questo scopo è stato isti-tuito il suddetto Osservatorio, nel cui ambi-to rientrano diversi studi e ricerche, inclusaquella alla base del presente volume intito-lata Qualità del paesaggio e opere incon-grue e condotta in collaborazione con l’U-niversità di Firenze.

Articolato in quattro capitoli (precedutida un capitolo zero introduttivo), il libro siconcentra appunto sull’«incongruo» nelpaesaggio, inteso non in senso estetico,bensì qualitativo. Valutare la congruità del-le trasformazioni, in relazione ai caratteridel luogo, può essere lo strumento per unavalutazione dei manufatti da rimuovere oconservare; nel contempo si può in tal mo-

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do svolgere il compito di una valutazionepreventiva per successive trasformazioni.Come sottolinea A. Villari (p. 44), «se lacongruità è riferita normalmente a opereche si collocano in armonia con il conte-sto, di contro l’incongruità va riferita a tuttequelle opere che creano dissonanze conl’intorno paesaggistico immediato (prossi-mità) e con quello più distante (globale)».Il livello di congruità delle opere, natural-mente, non può basarsi su caratteri pura-mente estetici, ma andrà valutato in ordineal ruolo che esse esercitano sull’equilibrioformale e strutturale del paesaggio: un ruo-lo soprattutto «funzionale», per adoperareun aggettivo caro ai geografi. È questo amio avviso il messaggio più significativodel volume, dei cui numerosi e vari conte-nuti non si può restituire tutto il dettaglio,ma che andrà senza dubbio consideratoper il suo valore «esemplare»: ne emergonoin effetti – mi limito a queste segnalazioni –il confronto (al cap. 2) tra differenti espe-rienze di Osservatori regionali, anche esteri(Delta del Po, Emilia-Romagna, Lombardia,Puglia, Catalogna), nonché lo sforzo attua-to dagli organismi preposti alla pianifica-zione della Sardegna per comunicare leproprie scelte alla popolazione. Si delineacosì un dialogo favorito dai più modernistrumenti di comunicazione (pc, smartpho-ne, tablet, fotocamere e videocamere),connessi con il web e capaci di georefe-renziazione automatica; questi possono co-stituire una chiave di trasferimento e dicondivisione delle informazioni proficua-mente utilizzabile nelle fasi di pianificazio-ne e gestione paesistica per coinvolgerenel processo decisionale anche (soprattut-to?) i più giovani, rendendo possibile l’ac-cesso a costi limitati e senza bisogno diparticolari competenze tecniche. Non è in-fine trascurabile il fatto che in bibliografiasiano citati vari lavori di geografi: un se-gnale apprezzabile della considerazionetuttora rivolta ai nostri contributi dedicati alcomplesso tema trasversale del paesaggio.

Fabio Fatichenti

Silvia GRANDI, Sviluppo, geografia e coo-perazione internazionale. Teorie, politichee mappamondi, Imola, Editrice La Mandra-gora, 2013, pp. 182, ill., tabb., bibl.

Si tratta di una seconda edizione aggior-nata di un testo che intende esporre alcunielementi fondamentali della Geografia dellosviluppo, con un occhio di riguardo per lacooperazione internazionale nelle sue diver-se tipologie e scale territoriali. Rispetto allaprecedente edizione, i nuovi contenuti ri-guardano temi variegati: dall’estrattivismo al-le questioni di genere, dallo sviluppo ruraleall’interno dei PVS al ruolo dei paesi emer-genti nella cooperazione internazionale.

Il volume si presta a essere utilizzatocome compendio nell’ambito di un corsouniversitario, ma anche come strumentoper gli addetti ai lavori o per chi desideraapprofondire, attraverso nuove chiavi dilettura, fenomeni contemporanei di nonsempre facile comprensione nell’«era del-l’incertezza».

Attraverso un percorso principale dilettura articolato in otto capitoli e accom-pagnato da numerosi riquadri contenentisintesi e approfondimenti, l’autrice riepilo-ga concetti base ed esplora temi di parti-colare interesse nel continuo ed evolutivorapporto tra contesti geografici e dinami-che di sviluppo. Idealmente il testo puòessere suddiviso in due parti: i primi trecapitoli trattano il concetto dello sviluppo,mentre i restanti cinque sono incentratisulla cooperazione internazionale e sullarealizzazione pratica delle politiche e deimodelli di assistenza allo sviluppo.

Nella prima parte dunque, il lettore vie-ne orientato nella comprensione del realesignificato del termine «sviluppo», facendochiarezza tra le differenti definizioni, trac-ciandone un percorso cronologico e spa-ziale della sua evoluzione. Con uno stileagile e chiaro, l’autrice si concentra sullesfaccettature assunte dal termine sviluppo,partendo dalle sue letture più prettamenteeconomiche, legate ai paradigmi dell’indu-strializzazione e della crescita, sino ad arri-

vare a una visione più vicina allo sviluppoumano e sostenibile inteso in senso olisti-co, espressione dell’epoca postmoderna.

A tal proposito, questa parte si chiudecon un sintetico ma esaustivo riferimento aicontenuti delle principali Conferenze mon-diali sullo sviluppo sostenibile, medianteuna panoramica sugli obiettivi realizzati esu quelli ancora da raggiungere. Mostrandoun’interessante aderenza all’attualità, l’atten-zione verso gli esiti di queste Conferenzeconsente di comprendere quali saranno lestrategie mondiali da implementare dopo il2015, anno indicato come termine tempora-le per il raggiungimento dei MillenniumDevelopment Goals (MDGs), conclusosicon l’importante vertice di Parigi.

La seconda parte del volume si concen-tra invece sull’analisi dell’evoluzione dellacooperazione dalle sue origini, risalenti allafondazione delle grandi istituzioni interna-zionali e ai primi programmi di ricostruzio-ne post-bellica, con una rassegna delleazioni di Organizzazioni Internazionali, Or-ganizzazioni non Governative, autorità na-zionali. A questo proposito, sono presentiun focus sulla cooperazione italiana allo svi-luppo e un approfondimento sul ruolo svol-to dall’Unione Europea, la quale ha fatto delraggiungimento di una crescita intelligente,sostenibile e inclusiva un obiettivo ma an-che uno slogan che, secondo le parole dellastessa autrice, «rappresenta emblematica-mente la sintesi tra due linee teoriche di svi-luppo, quella tecno-economica e quella so-stenibile e umana». La descrizione delle di-verse politiche è, inoltre, arricchita da unimpianto tabellare e da una serie di carte.

In definitiva, il nesso diretto con laGeografia è ribadito anche all’interno delcapitolo conclusivo, scritto in collaborazio-ne con Roberta Curazi, nel quale si precisacome, in particolare nei contesti locali, l’e-lemento di riferimento dello sviluppo so-stenibile sia rappresentato dal territorio«composto dall’ambiente naturale, dall’am-biente antropico e dall’ambiente costruito».

Alfonso Giordano

Carlo DESIDERI, Regioni politiche e territo-ri. Per una storia del regionalismo italia-no, Milano, Giuffrè, 2015, pp. 119.

Il contributo di Desideri è di quelli aper-ti agli incontri interdisciplinari, dal diritto al-la scienza politica, alla storia e infine alßlageografia, che poteva darsi solo in un con-testo come il CNR, dove le differenze disci-plinari contano meno del progetto. Al pro-getto regionale, Desideri ha destinato buonaparte della sua esperienza di ricercatore e illibro è ricco di tutte le sfumature che solouna lunga e ponderata dedizione possonoportare, con un esame accurato e annotatodi pregi e difetti del nostro ordinamento.L’autore cerca nella storia istituzionale italia-na i paradigmi che spieghino al meglio e inpoche battute il senso di un approccio al re-gionalismo ormai duraturo sebbene maitroppo convinto. A cominciare dalla difesadell’operato dei padri costituenti, che diede-ro all’ordinamento italiano un ritaglio regio-nale forse non esente da pecche ma di certonon artificiale. Fu rispettato il precedentestorico, pur con i limiti del caso, ma indiriz-zando sostanzialmente l’ordinamento statalea farsi regionale e non più centralista.

L’idea di identità composita, che apre ilsenso di appartenenza alla cittadinanza auna dimensione non più solo nazionale maanche regionale, forse oggi è più plausibiledi ieri grazie ai colpi assestati allo Stato-na-zione dagli stravolgimenti della globalizza-zione. Il recupero del momento identitario,per quanto moderato da una lettura proces-suale e non ontologista, permette di pensa-re alle regioni come strumento non soltantoamministrativo ma anche politico.

Avrebbe forse giovato al testo un’esposi-zione meno orientata al decorso storico emaggiormente ai contenuti, che escono controppa ricchezza, lasciando a volte disorien-tato il lettore. Ciononostante, un libro checentra pienamente il problema della scarsaconsiderazione della territorialità nel riordinodelle istituzioni e del patto di cittadinanza.

Matteo Marconi

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Riccardo CAPPELLIN, Fiorenzo FERLAINOe Paolo RIZZI (a cura di), La città nell’eco-nomia della conoscenza, Milano, Fran-coAngeli, 2013, pp. 341.

Il libro che qui si recensisce è una rac-colta di saggi che si è misurata in modoambizioso con l’ecologia della città con-temporanea, fornendo al lettore strumentiutili a esplorare ciò che Jane Jacobs, nelsuo ormai classico The Death and Life ofGreat American Cities, denominò «ecosi-stema urbano». Nel merito, i dodici saggiapprofondiscono alcuni aspetti salienti delnesso tra città e capitalismo contempora-neo particolarmente rilevanti per il policymaker. I contributi della raccolta si presen-tano come eterogenei tra loro dal punto divista analitico e disciplinare, anche a testi-monianza della complessità del tema edella ricchezza di prospettive possibili. Atal proposito, l’Introduzione dei curatori,Cappellin, Ferlaino e Rizzi, costituisceun’utile guida che permette al lettore dimuoversi con maggiore agilità nel testo.

La prima parte della raccolta, che com-prende i saggi di Cappellin, Capello, Grå-sjö e Karlsson, e Cusinato, ha il merito dioffrire alcune coordinate per «navigare»nell’articolato universo economico urbanoe regionale contemporaneo. Nel tentativodi fare chiarezza sulle complesse fonda-menta economiche della città-regione po-st-industriale, il lavoro si propone di inda-gare, in linea con quanto fatto, ad esem-pio, dal geografo economico Allen J. Scott,ciò che la città contemporanea è oggi, an-ziché limitarsi a riflettere su ciò che non èpiù, ovvero il suo passato industriale.

Il testo si misura con alcuni casi para-digmatici di sviluppo (saggio di Nanetti) eprocessi e pratiche esemplari (saggi diDiappi, Penco, Pedrini). Inoltre, la raccol-ta comprende analisi di alcuni settori-chia-ve dell’economia della conoscenza (saggidi Campagnucci e Campanini, Costa e Riz-zi) e di problematiche che il processo diurbanizzazione e la densità urbana porta-no con sé (saggi di Fregolent, Tonin, Cal-

zavara e Mazzanti, e Ferlaino). Il volumesi conclude con cinque riflessioni critiche,sintetiche e pungenti, da parte di voci au-torevoli (Ferlaino, Bagnasco, Camagni,Dematteis e Indovina) che fanno luce sualcune delle criticità che caratterizzano lacittà contemporanea e la gestione politicadella stessa.

In linea generale, il volume confermadue tendenze: in primo luogo, un’atten-zione crescente da parte della comunitàscientifica, affermatasi a partire dagli anniSettanta e Ottanta del secolo scorso erafforzatasi nel corso degli anni Novanta eDuemila, nei confronti della città e delruolo di capofila nei processi di sviluppoeconomico che essa svolge. Al centro del-l’analisi troviamo infatti lo spazio econo-mico urbano e regionale, «denso» e im-merso in complesse trame socio-relazio-nali, che ha la funzione di sinapsi centra-le, e dunque non è solo mera espressio-ne, dell’economia della conoscenza. Insecondo luogo, nelle pagine si coglie iltentativo, ben esplicitato nel saggio di Au-gusto Cusinato, di comprendere e «afferra-re» il più possibile ciò che, usando comemetafora il segno linguistico di Ferdinandde Saussure, si trova al di là dell’immagi-ne acustica di città ed economia della co-noscenza (significato) per avventurarsi al-l’interno dei significanti della stessa. Que-sta spinta, che sicuramente è tra i più in-teressanti spunti che offre la raccolta,coincide prima di tutto con un approccioanalitico dello studioso e intende qualifi-care i fenomeni che si osservano e co-glierne i processi «sotterranei» che li ali-mentano. Nello specifico, una maggiorchiarezza sulle fondamenta cognitive espaziali dell’economia della conoscenzacontribuirà all’elaborazione di politichepubbliche più efficaci.

In tale prospettiva, Roberta Capello de-costruisce, mettendone in luce i presuppo-sti impliciti, alcune tautologie inerenti alnesso tra competitività da una parte e in-novazione e conoscenza dall’altra, a parti-re da un’utile rassegna delle principali tesi

teoriche-concettuali presenti in letteratura.Un esempio interessante è dato dall’argo-mentazione, incessantemente ripropostada più parti, scientifiche e non, e conside-rata quasi inconfutabile, secondo cui laprossimità spaziale tra imprese e istituzionidi varia natura quali, per esempio, univer-sità e centri di ricerca, generi conoscenzae innovazione, concetti questi ultimi spes-so confusi o adoperati come sinonimi qua-li non sono. Secondo tale lettura, propostain diverse versioni negli studi su knowled-ge creation e knowledge diffusion, la pros-simità è ritenuta in sé significativa, senzatuttavia approfondire che cosa la renda ineffetti tale in base al contesto.

Ancora più precisamente: che cosarende proficuo in senso economico, manon solo, un contesto dialogico? In un ra-gionamento che riporta alla mente di chiscrive la nota conclusione (e il relativomonito) di John Lovering nell’articoloTheory Led by Policy (1999), «the policytail is wagging the analytical dog», RobertaCapello invita la comunità scientifica e ipolicy makers ad allontanarsi da semplici-stiche assunzioni e letture confuse diknowledge creation, innovazione e cresci-ta/sviluppo economico e a riconoscere lacontingenza storica dei processi e dellediverse fasi innovative. La definizione diterritorial pattern of innovation intendeesprimere per l’appunto l’idea secondocui il processo di innovazione è un feno-meno lineare ma differenziato nella suadimensione spaziale. Questo comportauno shift importante a livello di policy:non si tratta di individuare le condizioniche in linea generale favoriscono l’avviodi processi innovativi, bensì di compren-dere come ciascun contesto innovi e sirinnovi differentemente. Augusto Cusinatoritiene che il tratto distintivo dell’econo-mia della conoscenza risieda appunto inuna particolare concezione della cono-scenza stessa: abbracciando una letturaermeneutica, la tipologia di conoscenzaimpiegata (e ricercata) in buona parte del-l’attività economica contemporanea scatu-

risce da idiosincrasie soggettive e dall’am-biguità propria dei contesti dialogici. Talemodalità di conoscenza, che l’autore chia-ma learning II, si è affermata quale fonda-mento della prassi imprenditoriale con-temporanea con l’avvento delle ICT e sidistingue dalla tipologia di conoscenzaontologicamente intesa, learning I, da unpunto di vista epistemologico.

La distinzione tra le due tipologie è ri-levante in modo particolare quando siguarda al processo creativo che si sostan-zia in modo differente in base alla conce-zione di conoscenza contemplata: se nelprimo caso, learning I, la creatività èorientata al problem solving, nel secondocaso, essendo l’esito di discrepanze traparadigmi cognitivi di soggettività diffe-renti, si traduce in problem finding e pro-blem creating. Più precisamente, la distan-za tra learning I e learning II, nonostantenon si escludano a vicenda come è dimo-strato da Fabiano Campagnucci, risiedenel rapporto tra i codici cognitivi dei sog-getti e la realtà, il mondo esterno accessi-bile mediante gli stessi. Nel primo caso, ilsoggetto – ben rappresentato dall’impren-ditore quale figura archetipica della mo-dernità – accede alla realtà e la interpretaper mezzo del proprio paradigma cogniti-vo, giudicato il migliore e vero. Nel se-condo caso, è la collisione tra paradigmicognitivi eterogenei a creare valore eco-nomico. Si pensi, ad esempio, a eventiquali gli hackathons o ad ambienti di la-voro quali gli spazi di co-working, i «fablab» o gli incubatori che hanno conosciutouna certa notorietà e diffusione, divenen-do dispositivi à la Foucault, emblematicidi come i confini tra impresa e società sifacciano più sfumati nell’economia dellaconoscenza.

La nota interessante è che, affinchéun’esperienza dialogica generi valore (an-che economico), i soggetti dovranno esse-re non ostili all’Altro, rinunciando all’im-mediatezza, mostrando reciprocità, rispet-tando il silenzio quando prossimi fisica-mente all’Altro e al tempo stesso dimo-

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strandosi aperti al mondo esterno, il cui«rumore» deve poter «entrare» nel contestodialogico. Diventa più complesso, se siconsidera questa lettura del processocreativo, immaginare politiche pubblicheefficaci al fine di incrementare la produtti-vità e la competitività di un territorio.

Queste considerazioni suggerisconouna caratteristica relativa alla geografiadell’economia della conoscenza: vale a di-re, come sostiene Lara Penco, la selettivitàspaziale dei processi di sviluppo econo-mico urbano e regionale. Inoltre, alle di-seguaglianze territoriali si associano altreproblematiche che si manifestano piùspecificamente all’interno della città, inte-sa come agglomerazione con dotazioniinfrastrutturali, capacità produttive e strut-ture sociali specifiche. Alla nota classecreativa di Florida, alla quale alcuni affi-dano le sorti della città, si accompagnanonuovi precari modelli di soggettività nelcapitalismo contemporaneo. Inoltre, aquesto si sommano questioni socio-eco-nomiche di varia natura (per esempio, lagentrification affrontata da Lidia Diappi,la divaricazione socio-spaziale evocata daArnaldo Bagnasco e la sostenibilità am-bientale trattata da Fiorenzo Ferlaino) inun contesto urbano caratterizzato da unaperdurante scarsità di risorse che RobertoCamagni riconduce all’inadeguata tassa-zione delle rendite fondiarie e immobilia-ri, necessaria al fine di finanziare nuovefunzioni urbane.

In conclusione, la raccolta offre nonpochi spunti di riflessione al lettore cheavrà modo di cogliere la travolgente com-plessità che lo spazio urbano porta con sé,come complessi ed eterogenei sono i pun-ti di vista possibili per osservarla. Ciò cheè chiaro è che, riprendendo gli interventidi Giuseppe Dematteis e Francesco Indo-vina, se da un lato il compito è arduo, lacittà «va governata» ed è responsabilità del-la comunità scientifica misurarsi e impe-gnarsi in modo rilevante in tal senso.

Anna Paola Quaglia

Margherita PEDRANA (a cura di), Multi-culturalità e territorializzazione. Casi distudio, Roma, Università Europea di Roma,IF Press, 2014, pp. 128.

L’attenzione alla cultura – diffusasi am-piamente nella disciplina geografica daglianni Settanta del Novecento – ha fatto sìche il paesaggio abbia potuto essere inter-pretato non come semplice insieme di ma-nifestazioni morfologiche o in termini dimera presenza di insediamenti, strutture,infrastrutture e modi di sfruttare le risorse,bensì anche come ambito in cui si dispon-gono e si evolvono i valori che le comunitàattribuiscono ai luoghi. Oggi i temi dellaGeografia culturale vengono acquisendoun significato e una pregnanza scientificaancora maggiori; pur in presenza di quelprocesso che definiamo «globalizzazione» epur avendo la più ampia mobilità di indivi-dui, merci e informazioni ridotto la rigidasuddivisione di etnie, lingue e religioni deitempi antichi, infatti, il mosaico culturaledel pianeta è tutt’altro che uniforme. Ed èper questo che la lettura del rapporto traglobale e locale non può essere univoca,ma deve tener conto tanto di quei fattoriomologanti che spesso vanno al di là deidiversi caratteri regionali, quanto di quelleforze locali che sembrano rinascere conmaggior vigore proprio in un’epoca di con-tatti sempre più frequenti e veloci.

Il volume curato da Margherita Pedrana– scaturito da un’occasione di confrontopromossa dall’Università Europea di Romae, in particolare, dal Geographic Researchand Application Laboratory – propone al-cuni casi di studio che in qualche modo ri-chiamano aspetti variamente ricollegabili aidue temi richiamati nel titolo: la multicultu-ralità e la territorializzazione. Problemati-che, queste, estremamente importanti in unmondo sempre più multietnico qual èquello attuale, in cui assistiamo – per la ve-rità già da qualche decennio – non solo auna ripresa del pluralismo culturale, maanche a una crescente richiesta di ricono-scimento dell’autonomia etnica.

I primi tre contributi – componenti una(ideale) prima parte del testo – si concen-trano, prendendo spunto da specificherealtà post-sismiche, su nuove concezionidel territorio, considerando, nei primi duecasi (Calandra e Allevi), l’esempio dell’A-quila dopo il terremoto dell’aprile 2009, e,nel terzo (Ricci), quello dell’Emilia dopo ilsisma del maggio 2012. È così che le pecu-liarità di contesti differenti fanno da sfon-do, da un lato, all’analisi del legame cultu-ra-territorio nel governo della città e, piùspecificamente, nella gestione del rischio(analisi, questa, ritenuta imprescindibileladdove non si voglia giungere ad abdica-re alla propria cittadinanza o porre le basiper nuovi rischi e conflittualità, e che quiviene condotta attraverso indagini sul cam-po effettuate con tecniche e metodi parte-cipativi), e, dall’altro, alla riflessione su co-me una paura collettiva (e la connessa va-lutazione del rischio ambientale) possa in-fluire sulla progettazione territoriale.

Gli altri tre contributi si propongonoinvece di presentare «aspetti economici esociali di particolari fenomeni legati allamigrazione e al ruolo sociale del coopera-tivismo in Italia» (p. 5); se due di questi(Pedrana e Bizzarri), infatti, prestano at-tenzione al tema dell’immigrazione, rispet-tivamente soffermandosi sull’analisi del-l’apporto economico fornito dagli immi-grati – da un punto di vista sia occupazio-nale sia imprenditoriale – e provando amettere a confronto i casi di Napoli e Va-lencia; l’altro (Dumont) mira ad analizzarele relazioni tra cooperative sociali e territo-rio, considerando tanto le dinamiche didiffusione di una realtà tipicamente legataalle peculiarità del territorio di riferimentoqual è quella delle cooperative socialiquanto il ruolo che tali realtà possono gio-care rispetto alla tutela di spazi marginali edei gruppi ivi insediati; il tutto al fine di«identificare possibili modalità di sviluppodelle sinergie con il territorio, anche nelcaso di aree svantaggiate» (p. 90).

Dionisia Russo Krauss

Davide PAPOTTI e Franco TOMASI (a curadi), La geografia del racconto. Sguardi in-terdisciplinari sul paesaggio urbano nellanarrativa italiana contemporanea, Bruxel-les, Peter Lang, 2014, pp. 144, bibl.

La città resta al centro delle preoccupa-zioni delle scienze sociali. Pur di fronte aun’accelerata compressione spazio/tempo-rale che potrebbe indurci a considerare irri-levante la centralità della città ed evaporatoil ruolo del fattore distanza, si registra anco-ra una significativa rilevanza di tale oggettodi studi e dunque si è alla ricerca di nuoviapprocci, strumenti e metodi di indagineche contribuiscano a dare nuove interpre-tazioni di un oggetto proteiforme e in con-tinua trasformazione. La letteratura nonrappresenta certo una nuova chiave inter-pretativa che concorre, unitamente ai me-dia e ai discorsi sociopolitici, alla formazio-ne di un immaginario geografico urbano.

Nondimeno, l’affermarsi dello spatialturn come chiave interpretativa che toccadifferenti ambiti disciplinari evoca quasiinevitabilmente la geografia e la sua gram-matica. In tal senso, il dialogo tra letteratu-ra e geografia sembra aver generato uncomplesso sforzo di teorizzazione sul ver-sante critico letterario che in maniera cre-scente usa linguaggi e lemmi di imposta-zione spaziale a fronte di una risposta me-no intensa dal versante geografico, crean-do un rapporto paradossalmente asimme-trico in favore della letteratura. Solo negliultimi anni, sono state riproposte le rifles-sioni della geografia umanistica degli anniSettanta, cercando di dar vita a una geo-grafia testuale che non si limiti a una di-mensione mimetica e soprattutto non sisoffermi su una semplice funzione geore-ferenziale, come, del resto, in manierasempre più diffusa, viene vista la relazionetra letteratura e geografia in generale conun uso pervasivo del termine Atlante. Re-stando al contesto della geografia italiana,dopo l’opera seminale di Fabio Lando(Fatto e finzione. Geografia e letteratura,1993), bisogna attendere le riflessioni di

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anni recenti dello stesso Davide Papotti odi Marco Maggioli e Riccardo Morri per an-dare oltre quel prolifico, e invero un po’inflazionato, esercizio di saccheggio delleCittà Invisibili di Calvino che ha caratteriz-zato molta letteratura geografica. In questaprospettiva, il volume si pone l’obiettivo diguardare alle trasformazioni del paesaggiourbano al crocevia tra letteratura e geogra-fia sin dalle appartenenze dei due curatori:letteratura italiana (Tomasi) e geografia(Papotti). Si tratta di una riflessione che se-gue un filo di discussioni e convegni chefa perno sull’Università di Padova e checonduce a proficui incroci fra i due saperi.In tal senso, la logica delle due introduzio-ni separate che i curatori ci propongono,pur manifestando un’idea di dialogo a di-stanza, esplicitano le interazioni disciplina-ri: Tomasi si sofferma sul ruolo della spa-zialità nei testi e nelle analisi letterarie,mentre la riflessione di Papotti si appuntasulla ricchezza della letteratura come stru-mento del paesaggio geografico urbano. Ilprotagonismo dello spazio urbano si mani-festa chiaramente nei sei saggi che com-pongono il volume attraverso delle consi-derazioni che puntano sulla comparazionedi autori e ambiti geografici diversi, oppu-re si focalizzano su singoli autori o singolearee geografiche.

La descriptio urbis che emerge dall’a-nalisi critica di alcuni testi dimostra come iracconti possano attuare processi di risi-gnificazione, ricreando sistemi identitari inun contesto di globalizzazione, restituen-do, in alcune circostanze, dignità alle mar-ginalità socio-territoriali. La partitura dop-pia dell’opera viene ribadita dalla presenzadi tre geografi e tre docenti di letteratura,mentre la sensibile preferenza in terminitopografici per la zona padana con parti-colare attenzione al Nord-Est conferma ilruolo baricentrico di Padova per questogruppo di ricercatori. Il primo saggio, diDavide Papotti, sembra assicurare unosguardo geografico in area più vasta (si ri-trova anche la Napoli di Antonella Cilento,ad esempio) ragionando sulla collana

«Contromano», promossa dal 2004 dalla ca-sa editrice Laterza, che offre sguardi e pro-spettive alternative per guardare ad alcunecittà italiane con opere che risultano delle«guide narrative urbane». Ogni raccontofornisce una sola chiave di lettura, sia essatemporale o spaziale, che riconduce allecartografie private degli autori sempre inrapporto di intimità con la città. Un filonarrativo che ritorna è la tematica del per-dersi e le descrizioni si propongono di in-serire il lettore in questo rapporto intimocon la città. Nella prima parte del saggio diTania Rossetto ritorna la riflessione teoricadel dialogo disciplinare, per poi provare aleggere l’area urbana veneziana attraversol’analisi e lo sguardo di Bettin, Ferrucci,Mozzi e Scarpa. Non possono mancare lecittà invisibili calviniane cui Gioia Valde-marca destina il ruolo di metafore dellamegalopoli padana, centro di una riflessio-ne che si appoggia sulla ricca schiera discrittori dell’area, a cominciare da Zanzot-to. Le atmosfere padane ritornano nel sag-gio di Franco Tomasi attraverso l’analisicritica di un’opera di Giorgio Falco (L’ubi-cazione del bene). È ancora una singolaopera (I quindicimila passi di VitalianoTrevisan) a farsi centro della disamina delgeografo Mauro Varotto dove le trasforma-zioni sempre del paesaggio padano dettatedalle aree di dismissione e altri luoghi del-l’abbandono tratteggiano un quadro digrande desolazione. La città come memo-ria degli eventi e come punto di arrivo diun viaggio è centrale nel racconto Cosacambia di Roberto Ferrucci, analizzato daEmanuele Zinato: è la Genova degli scon-tri e delle violenze dell’estate del 2001 unpunto di non ritorno ancora impresso nel-la memoria collettiva. Gli spazi vissuti,percepiti e agiti diventano grazie alla lette-ratura attori stessi e non semplici fondali,costituendo un cantiere di riflessione, tan-to affascinante quanto sdrucciolevole, chepuò arricchire la faretra di chi studia il fe-nomeno urbano.

Fabio Amato

Valeria DEPLANO, L’Africa in casa. Propa-ganda e cultura coloniale nell’Italia fasci-sta, Firenze, Le Monnier, 2015, pp. 202.

Il titolo L’Africa in casa esprime al me-glio il contenuto e soprattutto l’obiettivodel testo: guardare alla storia italiana con-siderando l’esperienza coloniale come suaparte integrante e non succedanea. Il viziodella storiografia italiana classica nei con-fronti dei temi coloniali è stato all’incircalo stesso che si andava registrando neglianni successivi alla seconda guerra mon-diale nella discussione pubblica. Gli avve-nimenti politici all’estero erano invariabil-mente percepiti come solo indirettamentelegati alle polemiche interne, eventual-mente strumento per lo scontro tra oppo-ste rappresentanze partitiche, mai comeelemento di confronto concreto. Allo stes-so modo, la storiografia italiana spesso evolentieri si è occupata delle occorrenzepolitiche esterne all’Italia come qualcosache poteva essere usato o meno all’internodel dibattito pubblico, mentre raramente siè cercato di comprenderne l’influsso diret-to sulla vita politica interna. Ad esempio,si potrebbe così interpretare in modo assaidifferente la storia italiana della secondametà del Novecento, dando adeguato spa-zio ai condizionamenti sulla politica inter-na provenienti dall’adesione alla NATO.

Spesso si è osservato che ben pochiitaliani si sono recati nelle colonie neglianni Venti e Trenta del Novecento. Tutta-via, l’Africa non era presente nell’immagi-nario italiano solo grazie all’effettiva pre-senza in loco, ma soprattutto in funzionedi canali propagandistici e di dibattito chehanno creato quel fenomeno che giusta-mente l’autrice indica come «Africa in ca-sa». Se gli italiani non potevano, o ancoranon avevano potuto, andare in grande nu-mero nelle colonie, la propaganda avreb-be fatto l’inverso.

Dal 1926 la coscienza coloniale dovevaintegrare quella nazionale: per perseguireun obiettivo così ambizioso, il governo fa-scista decise di agire tramite i canali dell’i-

struzione di massa e della propaganda. Lacausa coloniale fu così sostenuta tramiteenti e associazioni che attraverso numerosistrumenti si posero l’obiettivo di educaregli italiani a una mentalità confacente.

Il testo della Deplano, di conseguenza,è un’analisi di come le colonie entrarononella vita quotidiana degli italiani, ossia at-traverso quali strumenti di comunicazione ilregime fascista (oggetto privilegiato dell’in-dagine) cercò di veicolare una coscienzacoloniale. In questa grande operazione, sucui il regime tentò il passaggio da una pro-spettiva politica nazionale a una imperiale,ebbero un ruolo notevole associazioni cul-turali di vario genere, dalle società geografi-che agli istituti coloniali veri e propri. La vi-ta associativa e il messaggio veicolato sonoattentamente analizzati dalla Deplano, cheindaga in modo complessivo il rapporto traassociazionismo culturale e colonialismo.

Se questa è la vera novità tematica deltesto, il piano metodologico della Deplanoriprende, con misura, alcuni spunti deglistudi post-coloniali e dei codici foucaultia-ni. L’analisi è limitata alle modalità del di-scorso pubblico italiano sulle colonie, os-sia come la propaganda cercò di creare, equale, immaginario coloniale. Non ci sisofferma dunque, ma sarebbe opportunoapprofondire, su quanto la politica di co-municazione del fascismo ebbe modo dipenetrare nelle coscienze degli italiani,piuttosto si legge tutta l’operazione colo-niale come un testo al cui interno cercarele verità del potere.

Questo fa sì che l’operato delle asso-ciazioni studiate sia visto in relazione qua-si esclusiva ai desideri governativi, conuna tendenza forse eccessiva da parte del-l’autrice nel creare una sinonimia tra go-verno e potere. Se il paradigma di potereutilizzato fosse stato più ampio probabil-mente non si sarebbe modificato il pianodi analisi, però quantomeno sarebbe statapiù articolata la spiegazione di decisioni escelte delle associazioni culturali in queglianni. L’appoggio alla cultura coloniale, diquesto si tratta, avvenne a volte con criteri

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e modalità non del tutto compatibili con ledirettive del governo fascista, a renderesintomatico un potere coloniale non pie-namente schierato col governo coloniale.

Date queste premesse, la parte più in-teressante del lavoro è quella che tratta ilpassaggio dall’aspirazione coloniale allaproclamazione dell’Impero. La prima faseera stata contrassegnata dalla necessità difare comprendere agli italiani la desidera-bilità delle colonie, dunque era una propa-ganda di tipo conoscitivo, mentre successi-vamente sarà indirizzata a creare un tipodi italiano adatto al nuovo ruolo di funzio-nario e proprietario terriero nelle colonie.Si potrebbe sintetizzare: dal desiderio alcomando. Nell’analisi della comunicazionedi regime nella fase imperiale sorgono li-miti e dubbi su tutta l’operazione così for-temente voluta dal fascismo. L’autrice giu-stamente sottolinea che la conquista del-l’Impero avvenne con una mentalità anco-ra prevalentemente nazionale, tesa cioè acreare una netta divisione tra colonizzatorie colonizzati. Il passaggio è a tal puntocentrale che forse sarebbe stato interessan-te approfondire facendo riferimento alcontroverso rapporto tra legislazione colo-niale e legislazione razziale, ma anche alleforme di coinvolgimento nella vita impe-riale dei giovani indigeni.

Il colonialismo è per la Deplano unprocesso culturale che, come documentatonelle ultime pagine del libro, arriva a eson-dare dopo la fine della guerra nei primissi-mi anni della storia della repubblica. Nonsi tratta solo di un meccanismo di consen-so, dunque, ma di un più ampio progettoculturale le cui rimanenze nella mentalità enella cultura italiane meriterebbero ulterioriapprofondimenti anche nel periodo suc-cessivo alla perdita delle colonie.

Su questo ultimo punto si gioca il valo-re politico-culturale della proposta dell’au-trice, che auspica la verifica di ipoteticheincrostazioni colonialiste nel nostro attualeimmaginario collettivo.

Matteo Marconi

Carmen Silva CASTAGNOLI PIETRUNTI (acura di), Atlante Tematico delle Acque delMolise, Ripalimosani (CB), AGR Editrice,2014, pp. 204+20 ill., tabb.

Carmen Silva Castagnoli, forte della sualunga esperienza nel Gruppo di Lavoro del-l’Associazione dei Geografi Italiani «Gecoa-gri-Landitaly», in cui ha collaborato alla re-dazione dell’Atlante Tematico dell’Agricol-tura Italiana, pubblicato dalla Società Geo-grafica Italiana nel 2000, e poi dell’AtlanteTematico delle Acque d’Italia (Genova, Bri-gati, 2008), e forte delle sue conoscenze ecompetenze nello studio del territorio delMolise, di cui si occupa da molti anni concontinuità, ci presenta ora l’Atlante Temati-co delle Acque del Molise. Quest’opera car-tografica nasce per gemmazione dall’Atlan-te Tematico delle Acque d’Italia citato, a cu-ra di Maria Gemma Grillotti ed è anche ilprimo della collana degli «Atlanti Regionali»che il Gruppo di Lavoro, coordinato dallastessa Grillotti, intende realizzare.

L’Atlante affronta il tema della gestionedelle risorse idriche del Molise nelle suemolteplici sfaccettature anche perché siavvale del lavoro di 49 autori: geografi,geologi, climatologi, esperti di carsismo,cartografi, storici, archeologi, economisti,architetti, botanici, zoologi, funzionari del-l’ARPA Molise, dell’ARSIAM (ora ARSARP),di Molise Acque, della Regione Molise edell’Autorità di Bacino. Completano il cor-redo illustrativo altri documenti cartografi-ci e iconografici: la carta Tecnica della Re-gione Molise, i fogli del Catasto, la carto-grafia IGM e diversi documenti d’archivio.Tra questi, molto rilevanti sono le cartestoriche e i disegni di vari progetti relativiagli acquedotti, alla galleria del Matese peril trasporto dell’acqua in Campania o altridocumenti come quello che prova l’esi-stenza, nel primo decennio del XIX secolo,della coltivazione del riso a Ripalta sul Tri-gno, l’odierna Mafalda.

Il volume si articola in cinque sezionipiù la tavola introduttiva che offre un qua-dro sintetico dei problemi, delle potenzia-

lità e delle prospettive future delle risorseidriche del Molise. In totale il volume con-sta di 43 tavole e di 500 figure di cui 340foto dei paesaggi dell’acqua.

La Prima Sezione, la Naturalistico-am-bientale, si suddivide in 7 tavole che resti-tuiscono una visione ampia degli aspetti dinatura fisica: dalla rete idrografica alle basinaturali dell’acqua, al modellamento idricodel paesaggio, alla fauna ittica, non trala-sciando aspetti più specifici riguardanti leGrotte, il Pantano di Montenero Valcoc-chiara e la presenza della Lontra nei corsid’acqua molisani.

La Seconda Sezione, la Storico-cultu-rale, si sviluppa in 10 tavole che affronta-no temi legati all’approvvigionamento idri-co nel passato: dagli acquedotti storici aipozzi, alle fontane, all’utilizzo dell’acquanegli impianti protoindustriali, quali muli-ni, gualchiere, cartiere la cui diffusione sulterritorio dimostra che il Molise, nei secoliXVIII e XIX, era ben lontano dall’immagi-ne stereotipata di una regione esclusiva-mente agreste e pastorale. La sezione siapre con una tavola relativa al paludismoche nel passato era molto diffuso in tutto ilMolise. Ancora oggi, la notevole presenzadi toponimi legati a questa patologia testi-monia l’esatta portata del fenomeno cheha inciso notevolmente sull’organizzazionedelle attività produttive, sull’ubicazione deicentri abitati e sulla stessa distribuzionedella popolazione. Molto utile in questasezione la tavola relativa agli idrotoponimiche riflettono le caratteristiche geolitoligi-che dei terreni, della flora, della fauna,delle attività legate all’acqua e consentonodi ricostruire anche i contesti culturali del-l’acqua, spesso legati alla devozione reli-giosa. La tavola riguardante i proverbi per-mette di cogliere l’importanza dell’acquain tutti gli aspetti della quotidianità.

La Terza Sezione, l’Economico-gestio-nale, si articola in 13 tavole che affrontanole tematiche relative all’uso delle risorseidriche oggi: la gestione delle acque, la re-te acquedottistica, gli impianti di captazio-ne, gli aspetti normativi delle risorse idri-

che, la qualità delle acque potabili, le ac-que minerali, gli usi e i consumi idrici, l’e-nergia idromeccanica e idroelettrica e gliinvasi artificiali, realizzati per contenere lepiene disastrose, ma anche per disporre diuna riserva idrica utile al Molise e ancorpiù alle regioni limitrofe.

La Quarta Sezione, relativa alle Proble-matiche, si sviluppa in 7 tavole e ap-profondisce il difficile rapporto con le re-gioni contermini per l’uso delle acque:dalla problematica progettazione dellaGalleria di Valico del Matese ai tanti pro-getti extraregionali di captazione delle ac-que. Questa sezione affronta in modo ana-litico le principali problematiche riguar-danti i rischi d’inquinamento microbiologi-co delle acque di falda, la qualità delle ac-que fluviali, lacustri e i metodi di valuta-zione della qualità.

In una regione a forte rischio idrogeo-logico appaiono particolarmente utili le ta-vole sulle aree a rischio d’alluvione e sugliinterventi attuati, in merito, dall’Autorità diBacino.

La Quinta Sezione, relativa agli Itinera-ri dell’acqua, si articola in 7 tavole che il-lustrano i percorsi, lungo le principali vallidel Molise: Alto Volturno, Trigno, Biferno,Biferno-Tammaro, il fiume diventa ele-mento di unione dei vari aspetti, non solopaesaggistici, ma anche storico-culturali,economici e di attualità.

Sono stati analizzati, in questa sezione,anche, alcuni siti d’interesse paesaggistico,come «I giardini di Guardialfiera»; architet-tonico-funzionale, come «La Peschiera Sa-lottolo» e di valorizzazione di un manufat-to del passato «Un esempio di recupero diun mulino ad acqua».

L’Atlante Tematico delle Acque del Moli-se di Carmen Silva Castagnoli contiene i ri-sultati di un lunga ricerca e si avvale di unametodologia cartografica ben strutturata esperimentata e, pertanto, rappresenta unostrumento avanzato per l’analisi del territo-rio molisano e di una sua risorsa strategica.

Andrea Riggio

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Judith SCHALANSKY, Atlante delle isole re-mote, trad. di Francesca Gabelli, Milano,Bompiani, 2013, pp. 144, ill.

La copertina rigida color carta da zuc-chero, il taglio delle pagine giallo ocra,come a voler ricordare un vecchio libro,una rassegna dettagliata di cinquanta pic-cole e sperdute isole, degna di una Ency-clopédie: la prima impressione che si ha èquella di tenere tra le mani un prodottoeditoriale classificabile più che altro tra lestrenne natalizie, e che dopo essere statoscartato rimane poggiato sul ripiano dellalibreria, in attesa di una collocazione futu-ra e chissà di una consultazione veloce.Ma tale impressione cambia non appena siapre il volume: nelle controguardie e neifogli di guardia sono raffigurati due mezziplanisferi con la localizzazione puntualedelle cinquanta isole raccontate e il som-mario mette in luce, in realtà, una strutturamolto più organizzata e funzionale diquanto ci si possa immaginare. E se i dub-bi continuano a persistere, è sufficienteleggere la Prefazione dell’autrice per ren-dersi conto di trovarsi di fronte a un librocertamente pensato per la più ampia di-vulgazione possibile, ma ideato e realizza-to con tutti i crismi della ricerca geografi-ca, e scientifica in genere.

Da una passione infantile, gli atlanti ela scoperta di quel mondo piatto dalle for-me sinuose e dai nomi misteriosi, a unapercezione del proprio spazio (ad esem-pio la Germania dell’Est) che da un certomomento in poi perde la sua forma nota,quelle linee che lei aveva imparato a me-moria seguendole con il dito, e ne acqui-sisce un’altra, più ampia sconosciuta, unnuovo spazio che non basta a una solapagina dell’atlante: «da allora diffido deiplanisferi politici, dove i paesi sono diste-si sul mare blu come asciugamani colora-ti». Mentre permane l’apprezzamento perle carte fisiche, perché vanno «al di là ditutte le frontiere create dall’uomo»: qui lelinee, il tratto, il colore, l’ombreggiaturadanno forma alla Terra. Linee ben definite

demarcano confini fisici netti, i contornidelle isole, che segnano il passaggio traterra e mare.

Talvolta, il tratto di mare che separaun piccolo territorio delimitato, un’isola, auno più esteso, la terraferma, è tanto ri-dotto che nelle carte vengono raffiguratenelle stesse tavole. Ma «in realtà c’è tuttauna serie di isole talmente distanti dallaloro madrepatria da non rientrare nellecarte nazionali […] qualche volta ottengo-no un posto in un angolino, stipate dentrola cornice di un riquadro, sospinte ai mar-gini, con una scala tutta loro, ma senza al-cuna informazione sulla loro reale posi-zione». E la distanza di un’isola e il suo es-sere remota è solo una questione di puntidi vista: chi la abita, certamente, non ritie-ne remota la propria patria, e addiritturac’è chi ritiene il proprio lembo di terra«l’Ombelico del mondo» (come ad esem-pio accade per l’isola di Pasqua). È pro-prio su questi piccoli territori insulari chesi concentra l’attenzione dell’autrice: «Cin-quanta isole [remote] dove non sono maistata e mai andrò».

La raccolta suddivide le isole oceano-graficamente: tre nel Mar Glaciale Artico,nove nell’Oceano Atlantico, sette nell’O-ceano Indiano, quattro nell’Oceano Antar-tico e la restante parte, la più consistente,nell’Oceano Pacifico. Per ogni isola vienepresentata una scheda, nella pagina sini-stra, che raccoglie alcune informazioni dibase e una breve descrizione. Le informa-zioni di base sono uguali (per tipologia)per tutti i casi: è indicato il mare di perti-nenza, le coordinate, la denominazione, ri-portata anche nella lingua locale, lo Statodi appartenenza, la dimensione e lo statoinsediativo, ovvero se è disabitata o il nu-mero di «abitanti» (stanziali) e di «abitatori»(temporanei). Un piccolo globo indica laposizione dell’isola sulla superficie terre-stre, mentre due grafici lineari fornisconoinformazioni sulla distanza di essa dallaterraferma o da altri lembi di terra, ancheinsulari; e sugli eventi che l’hanno interes-sata nel corso del tempo, come la prima

scoperta, l’esplorazione, o altri momentiimportanti legati a essa. Nella pagina de-stra, è rappresentata una carta dell’isola(sempre nella scala 1:25.000), nella qualesono indicate le emergenze antropiche (in-sediamenti, vie di comunicazione…) e na-turali (rilievi, corsi d’acqua…) che si pos-sono incontrare.

La parte che, evidentemente, è diversaper ciascuna scheda è quella descrittiva,utilizzata dall’autrice per narrare fatti stori-ci o curiosità di diversa natura (talvolta unpo’ troppo somiglianti alla rubrica Forsenon tutti sanno che… della «Settimanaenigmistica»). Dalla lettura di queste de-scrizioni emerge un quadro ben diverso daquello costruito nell’immaginario letterarioe dal marketing turistico delle isole delletre S (sea, sun, sand), dove splende sem-pre il sole, dove l’acqua del mare è calmae cristallina e si congiunge a distese disabbia bianca finissima. Queste isole re-mote sono luoghi difficili da raggiungeree, spesso, è difficile lo sbarco, per la risac-ca che si infrange su una costa inospitale.E quando si forma un insediamento, quasimai si ha la creazione di una comunità flo-rida e in armonia, quasi utopica, ma ci sitrova di fronte un luogo dove il dirittopubblico sembra perdere di funzione, e «siimpongono costumi sconcertanti», comeuccisioni, crimini efferati o forme di canni-balismo, fenomeni che talvolta «sembranoaddirittura programmati».

Comunque sia, abbiamo di fronte unpanorama di realtà micro-insulari che co-stellano la superficie acquea del globo cherimangono sospese nel nostro immagina-rio, e solo raggiungendole è possibile darsignificato effettivo al significante. Dopoaver apprezzato la presenza di un Glossa-rio e di un consistente Indice, chiudiamol’ultima pagina: fluttua davanti a noi unimmaginario polisemico e nel remoto delnostro inconscio ci viene quasi da voler ri-spondere all’incipit dell’autrice («dove nonsono mai stata e mai andrò»), «perché no?».

Arturo Gallia

Rafael COMPANY i MATEO, Cartografia,ideologia i poder: els mapes etnogràfics delTouring Club Italiano (1927-1952), Valen-cia, Universitat de Valencia, 2014, pp. 247.

Il volume monografico di Rafael Com-pany i Mateo attua un’interessante analisicomparativa fra la produzione di atlanti ecarte tematiche dell’editoria italiana – inparticolare l’Atlante internazionale delTouring Club Italiano – e lo sviluppo delleideologie totalitarie nel periodo interbelli-co. L’autore affronta, in secondo piano,anche la ricezione del materiale cartografi-co nel contesto culturale catalano e la rap-presentazione della dimensione etnico-na-zionale catalana attraverso la cartografia.

La ricerca di Company i Mateo presen-ta un’analisi filologica delle fonti cartogra-fiche sulla scorta del metodo critico mu-tuato dalle riflessioni di Harvey e sviluppatematiche in parte già affrontate in Italiadagli studi di Edoardo Boria, concentran-dosi in particolare sulle carte etnografichedella popolazione e sui gruppi linguistici.

La monografia si apre con due ampicapitoli introduttivi, nei quali l’autore pre-senta, in primo luogo, il problema del rap-porto fra produzione cartografica, questio-ni etnico-linguistiche ed estremizzazionedel sentimento nazionale agli albori dell’e-poca fascista. Una seconda introduzioneaffronta invece le questioni teoriche relati-ve alla rappresentazione cartografica dellepopolazioni e delle lingue.

Definito il contesto storico e teoretico, ilvolume si struttura in quattro parti, che se-guono in linea cronologica lo sviluppo del-la cartografia italiana dal 1908 al 1956. Laprima parte analizza le opere atlantistichegenerali pubblicate nei primi anni del ven-tesimo secolo quando in Italia ancora note-vole era l’influenza dell’editoria straniera,rappresentata soprattutto dalla casa editricePerthes di Gotha. Grazie al primo prodottooriginale – il Grande atlante geografico cu-rato nel 1922 da Mario Baratta e Luigi Visin-tin e stampato dalla De Agostini – la carto-grafia italiana si smarcava finalmente dalla

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produzione internazionale. Sebbene la trat-tazione di Company i Mateo sia dedicataagli atlanti universali, sorprende in parte lamancata citazione, almeno a livello compa-rativo, a importanti opere italiane del tem-po, come ad esempio l’Atlante della nostraguerra pubblicato nel 1916 dalla stessa DeAgostini e più oltre citato, soprattutto perl’attenzione quasi assoluta che l’autore de-dica alla cartografia tematica etnico-lingui-stica che caratterizza in maniera importantequeste opere di propaganda.

I capitoli successivi si addentrano nelproblema delle appartenenze etnico-lin-guistiche attraverso la cartografia: nel det-taglio viene affrontata la rappresentazionedella Catalogna attraverso la cartografiadegli atlanti francesi, tedeschi e italiani e laquestione delle isole Pitiuse (Ibiza e For-mentera) alternativamente incluse o esclu-se dall’arcipelago delle Baleari.

La seconda parte del volume è dedica-ta nello specifico all’analisi dell’Altlante in-ternazione del Touring Club Italiano, qua-le massimo esempio di prodotto cartografi-co dell’editoria europea fra le due guerre.Significativa in questo senso la recezionedell’opera in Spagna, attraverso la tradu-zione in castigliano e il sensibile adatta-mento dell’opera. L’aspetto che Company iMateo tende a sottolineare a più riprese èla teorizzazione da parte dei cartografi ita-liani che spinse a identificare l’identità et-nica esclusivamente con l’appartenenzalinguistica, sacrificando altri elementi dellacompagine etnico-culturale, aspetto certa-mente legato alla necessità di documentareattraverso la cartografia l’unità culturale delterritorio italiano e magari il legame con al-tre regioni di parlata italiana, non incluseal tempo nel territorio politico dello stato-nazione. Gli ultimi capitoli sono dedicatiall’ascesa del regime fascista e alla neces-saria adattazione che l’editoria cartograficadovette compiere nei confronti delle diret-tive del regime: la cartografia divenne in-fatti strumento importante per propagan-dare l’egemonia del paese e le volontà im-periali ed espansionistiche.

La terza parte si dedica al biennio1939-1940, in cui l’esacerbazione del na-zionalismo che porterà alla seconda guerramondiale viene letta attraverso i prodottidella cartografia. Un aspetto significativo èl’analisi delle modifiche apportate alle car-te del Touring Club – divenuto nel 1938Consociazione Turistica Italiana – dove larappresentazione etnico-linguistica si spo-sta decisamente in favore della componen-te italiana, spesso esagerandone la diffu-sione. In questo senso la Corsica assumeimportanza significativa quale nuova terrairredenta italiana.

L’ultima parte e le conclusioni seguonolo sviluppo delle opere del Touring duran-te la guerra e poi la ripresa nel secondo do-poguerra, durante il quale l’associazione siritagliò un nuovo ruolo per rappresentarel’Italia negli anni della ricostruzione.

Il volume si presenta come un’ampiaindagine sulla produzione cartografica delTouring Club Italiano, comparata ad altrecartografie coeve e analizzata sulla scortadelle questioni geografico-politiche che sipalesavano in quegli anni nello scenarioeuropeo e mediterraneo. Nonostante il ri-chiamo ad alcune opere tedesche e alla lo-ro edizione italiana, debole o assente è in-vece il riferimento alla produzione carto-grafica italiana risorgimentale e post-unita-ria, cosicché si perdono i riferimenti cultu-rali che stanno all’origine di certi prodotticartografici e, più un generale, viene menol’idea di lungo Risorgimento, affrontata inmaniera sistematica dalla storiografia degliultimi decenni, a partire dalle opere di Gil-les Pécout che pure è citato nel volume.

Il merito speciale sta nell’aver affronta-to per la volta lo studio di fonti piuttostotrascurate dalla storiografia italiana, soprat-tutto nel ventennio fascista. E di porre l’at-tenzione sull’originalità della produzionecartografica italiana che in quel periodostorico poté vantare una posizione di ri-spettosa considerazione nel panorama in-ternazionale.

Matteo Proto

Alessandro DI BLASI, Luogo e Globo. Sitistorici e nuovi processi territoriali, Bolo-gna, Pàtron Editore, 2015, pp. 189 (collana«Studi regionali e monografici», 72).

La scala locale e quella globale sono ilivelli di dispiegamento dei processi territo-riali attualmente prevalenti e, di conseguen-za, le analisi geografiche e le letture di sce-nario sono irrimediabilmente attratte da taliordini spaziali. Questo mi pare debba esse-re il senso del volume in esame. Senso cuilo stesso autore, con acume, dedica alcunepagine introduttive muovendo dal titolo delvolume: evidente «espediente» per dareconto in modo non pedante del percorso dilettura offerto, delle piste trascurate, deltracciato di pensiero, insomma, che la lettu-ra del volume vorrebbe essere.

Un tracciato articolato dall’accostamen-to di alcune focalizzazioni che apparten-gono all’esperienza di ricerca di Alessan-dro Di Blasi, a loro volta aperte da un cor-sivo dalla cifra decisamente letteraria. Ilche porta in evidenza, come ha fatto rile-vare Franco Farinelli nella sua Presenta-zione, una non comune coincidenza tra laforma espressiva che caratterizza il testo«scientifico» proposto e le esperienze esi-stenziali di chi lo ha prodotto, secondoun’angolatura di particolare efficacia.

È il caso di notare che il locale coinci-de, per l’autore, con la Sicilia del cui spaziogeografico vengono proposti tre momentitenuti saldamente insieme dalla prospettivastorico-culturale, con la quale vengono af-frontati, e dalla mediazione di una riflessio-ne a «volo d’uccello» sull’intero territorio re-gionale, del quale vengono colti i trattiprofondi e «irredimibili», ma anche le pul-sioni di innovazione e di trasformazione af-fidate alla scala urbana dei processi chepercorrono l’Isola e che danno spessore aun «sogno urbano» teoricamente in grado diconferirle il passaporto per un ruolo rinno-vato e autentico verso dimensioni globali.

La specificazione del ruolo territorialedella storia è il focus della seconda parte delvolume in esame, con un’attenzione partico-

lare agli aspetti della valorizzazione. Que-stione apparentemente distraente rispetto alfilo della razionalità espositiva, e invece divalore strategico ove si considerino, da unlato, inflazionate argomentazioni sulle op-portunità offerte dalla messa a reddito deibeni culturali e, dall’altro, la necessità dicomprendere come il patrimonio culturalesia, comunque, il filo cromosomico che ac-cende o spegne relazioni potenzialmenteevolutive del territorio. La città resta il sog-getto interlocutore primario per il transitodal locale al globale. E alla città sono dedi-cate dall’autore la terza e quota della quartaparte essendo la città stessa il tramite euristi-co di fondo del sapere geografico odierno,che ne costituisce l’oggetto.

La città di cui «il patrimonio storico rap-presenta il cuore e la memoria»; la città co-me «totem multiforme» che attrae e respin-ge; la città come luogo di esercizio dellautopia; la città sottoposta a continuo sezio-namento e ricomposizione. Momenti e pro-spettive che l’autore affronta con riferimen-to alle città italiane, ma soprattutto, e conmolta acribia, al caso di Londra, prima «cittàmondo» che si presta a interpretazioni utilia individuare le tracce di una evoluzioneverso la città globale che finisce per riguar-dare non solo la geografia urbana, ma lastessa geografia tout court e, in definitiva,la capacità euristica del sapere geografico.

A questo ultimo aspetto è dedicato l’ul-timo paragrafo, in particolare al ruolo delgeografo vissuto dall’autore essenzialmen-te come esperienza intellettuale e in unadimensione artigianale. Vissuto intrigante eda considerare attentamente in una fase diorganizzazione della ricerca scientifica tut-ta proiettata verso magnifiche sorti e pro-gressive sulla base del progetto globale.

Poche dense pagine quelle propostedall’autore a questo riguardo definite«agnostiche» dallo stesso autore, ma cheapprodano alla perorazione di una «geo-grafia civile» che non può non essere con-divisa o almeno condivisibile.

Franco Salvatori

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Luigi ANGELINO, Dionigi ROGGERO,Marco BERTONCINI, Chiara DE VIDO eAnna Maria BRUNO, La guida del Monfer-rato, Casale Monferrato, Editrice Il Monfer-rato, 2014, pp. 256, ill.

Venerdì 5 dicembre 2014, nel Saloned’Onore del Palazzo dell’Arte della Trienna-le di Milano, si è tenuta la presentazione deLa guida del Monferrato. L’assessore allaCultura del Comune di Casale, Daria Carmi,ha sottolineato come Casale sia da conside-rarsi porta di quel territorio complesso, riccodi storia, vario, che è il Monferrato. Due so-no le bellezze inserite nel Patrimonio dell’U-manità dell’Unesco: il Sacro Monte di Crea,con il santuario e la via sacra, e gli infernot,«scavati in una peculiare formazione geolo-gica presente solo nel Basso Monferrato, lacosiddetta Pietra da Cantoni. Utilizzati per laconservazione domestica delle bottiglie,rappresentano delle vere e proprie opered’arte legate al saper fare popolare» (p. 253).Dionigi Roggero sottolinea come il Monfer-rato sia stato definito «giacimento di saperi edi sapori» e in tal senso paragonato alla Me-sopotamia (anche qui ci sono i due fiumi, ilPo e il Tanaro). Un’intensa coltivazione del-la vite è ricordata anche da Plinio il Vecchionella Naturalis Historia. Luigi Angelino hasottolineato come la Guida sia frutto di annidi viaggi in un territorio che è cambiato inmeglio, una terra che si va aprendo. Le fotosono quasi tutte nuove e numerose sonoquelle aeree. Non si è fatto uso di teleobiet-tivo, ritenendo che gli occhi del fotografodevono essere quelli del turista. La Guida sisofferma su tutti i Comuni del Monferrato,sui loro personaggi, sui luoghi d’arte, suipunti panoramici e significativi. Concludonol’opera alcune sezioni particolari: fattorie di-dattiche in Monferrato, Camminare il Mon-ferrato (proposte di itinerari), itinerario nel-l’Astigiano, itinerario nella Lomellina, Patri-monio Unesco, e, in ultimo, una bella cartadell’area, con cui ciascuno può costruire ilproprio itinerario.

Evasio Soraci

Luciano MAFFI, Turismo nell’Ottocento. Iviaggi in Italia di un prete pavese, Milano,Cisalpino, 2015, pp. 240, ill. (collana «Bi-blioteca della Società Pavese di Storia Pa-tria», terza serie, 5).

Il recente libro di Luciano Maffi è stato,fra l’altro, distribuito ai Soci della predettaSocietà di Storia Patria. Se ne dà notizia acultori di geografia, sia perché la formazio-ne dell’autore spazia fra le due discipline,sia perché i numerosi geografi che si occu-pano di turismo possono sempre trovareinteressante il confronto con situazioni delpassato, ormai quasi inimmaginabili.

Del pavese don Luigi Marchelli (1837-1909), infatti, esistono parecchi quaderni didiario manoscritti, conservati nell’archiviostorico diocesano, contenenti anche docu-menti di viaggio originali, a proposito diescursioni della durata media di 4 giorni, dalui promosse e compiute fra il 1865 e il1876, in compagnia dapprima del fratellopure sacerdote e del loro padre, poi da so-lo. Il Nostro aveva allora dai 28 ai 39 anni esi propose specialmente un turismo cultura-le, per conoscere il patrimonio artistico dinumerose città dell’Italia del nord e dellaToscana. Ancora 16 anni dopo, nel 1892,un famoso volume distribuito agli abbonatial «Corriere della Sera» (G. de Leris, L’Italiasuperiore) presentava un taglio quasi identi-co nell’individuare le regioni italiane da pri-vilegiare nel viaggio in Italia – in questo ca-so, di uno straniero; forse perché vi esistevasicuramente una capacità ricettiva adeguataalle esigenze di allora.

Per ogni viaggio è menzionato il passa-porto per l’interno e il relativo costo. Intempi più vicini a noi tale documento, si sa,era necessario ai cittadini degli Stati comu-nisti per spostarsi fuori dalla loro residenza.In attesa di approfondire la questione, ci sichiede: che non fosse ancora in uso un piùsemplice documento d’identità? Prerequisitinecessari erano la disponibilità di denaro,provenuta al Nostro da offerte per Messe disuffragio, e della ferrovia via via più presen-te nell’ancor recente Italia unita. A proposi-

to, si nota che le vaporiere dell’epoca con-sentivano velocità medie di 30 km/ora; madella loro lentezza l’autore non si lamentamai, anche perché apprendiamo che il per-corso Novara-Borgosesia, ancora non servi-to dal treno, ma solo da una carrozza «cor-riera», richiese ben 6 ore di viaggio, e que-sto sì che sembrò molto lungo e noioso. Ela meta era, peraltro, ben scelta: il SacroMonte di Varallo, il primo e il più importan-te dei Sacri Monti.

Quanto alle note delle spese, mi sembradi individuare in 10 euro un valore appros-simativo da far corrispondere alla lira imme-diatamente postunitaria. E come il Mafficonstata nella sua Introduzione alla trascri-zione quasi integrale dei manoscritti, c’erachi, come i braccianti, poteva contare sumeno di una lira al giorno, al di là di qual-che provento dell’agricoltura di sussistenza.Ma il costo dei biglietti ferroviari, ammon-tante a parecchie decine di lire anche perpercorsi così domestici, ci fa idealmente pa-ragonare l’impegno richiesto da quei viaggia quelli odierni in voli a basso costo e permete esotiche, e ci fa riflettere sulla geogra-fia del vicino e del lontano. I viaggi di donMarchelli erano, per lo più, in seconda clas-se; ma anche l’uso dalla terza classe (tariffasul 30-40% in meno) non gli avrebbe con-sentito di passare a un diverso ordine digrandezza della spesa.

Una curiosità, riportata con dovizia diparticolari, è data dall’alimentazione: dallesuccose noterelle il ricercatore concludeche quel turista prevedeva un solo pasto algiorno, che perciò era normale che quelpasto contenesse due secondi piatti, e chenei primi piatti era presente allora – nell’Ita-lia del Nord – sempre il riso e non la pasta.

Molte altre osservazioni pertinenti eutili sono contenute nella Presentazione acura di Xenio Toscani e nel capitolo Il tu-rista e l’arte a cura di Luisa Erba. A esse sirimanda per altri aspetti interessanti diquesti manoscritti, che sicuramente merita-no di essere divulgati.

Giulio Bianchi

Romain H. RAINERO, Jean-Raimond Pa-cho (1794-1829), Un explorateur niçoisméconnu et la découverte de Cyrène, Pari-gi, Publisud, 2013, pp. 166.

L’autore, contemporaneista della Fa-coltà di Scienze Politiche presso l’Universitàdi Milano, apre la Prefazione rammarican-dosi della scarsa attenzione dedicata alle re-gioni libiche in generale e a Cirene in parti-colare, nella storia delle esplorazioni di ini-zio XVIII secolo in Africa settentrionale, no-nostante la fama del luogo e dei suoi mo-numenti. Rainero si sofferma poi sull’irrico-noscente oblio in cui è caduto Jean-Rai-mond Pacho, nonostante l’importanza dellesue due spedizioni a Cirene nel 1823 e nel1825 che hanno dato un contributo fonda-mentale alla conoscenza di questo sito cosìparticolare da parte del monde savant (p.5). L’entusiasmo di Pacho nell’avventurarsialla scoperta di questa regione era grandis-simo, tanto da fargli dichiarare con orgo-glio: «Cirene fu la culla di un celebre statoove fiorirono le arti che resero illustri gran-di uomini. Figlia della Grecia, vide i suoimonti coronarsi di magnifici templi, le suefontane e le sue foreste popolarsi di ninfe.Più tardi, l’austera morale del Cristo vennea illuminare la terra; i raggi della sua lucepenetrarono a Cirene e la verità prese il po-sto delle piacevoli ma ingannevoli fantasie.Infine, l’islamismo invase questa contrada;lo stendardo di Maometto prese il postodella croce, segno di distruzione, sventolòsulle fortezze e poi presto su cumuli di ro-vine» (in francese nel testo, p. 7). Raineromette poi in luce il singolare contrasto tra lapassione di Pacho e l’atteggiamento di sto-rici e geografi di varie epoche, il cui mag-gior interesse non era rivolto ai monumentio alle rovine di Cirene ma a una pianta dal-le proprietà apparentemente miracolose, ilsilphium, che allora si trovava in granquantità in quella sola regione.

All’origine del viaggio di Pacho, primoesploratore europeo in Cirenaica, giovanedisegnatore e archeologo di Nizza, ci ful’appello della Société de Géographie de

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Paris, pubblicato nel suo «Bulletin» nel 1823,per un progetto di viaggio all’interno diquell’antica provincia. Il testo dell’appello,riproposto per intero nell’Appendice del li-bro di Rainero, permette di cogliere la posi-zione ambigua e contrastante della Sociétérispetto a quel territorio. Se l’Introduzioneinsiste fortemente sull’opportunità di talespedizione, peraltro con toni piuttosto elo-giativi («Di tutti i paesi celebri per le loro an-tichità, per il rango che occupano nella sto-ria, ve ne son pochi che meritino l’attenzio-ne dei geografi […] più dell’antica Cirenai-ca», in francese nel testo, p. 131), dal seguitotraspare la reale percezione che la Sociétéha di quella regione: «Non bisogna nascon-derselo, le difficoltà sono grandi per giunge-re in una contrada difesa dall’ignorante erozza barbarie dei suoi abitanti; e raramentesi ha per scorta la potenza di un bey e unesercito intero […]. Sta a voi mostrar loro [aipotenziali esploratori] la gloria che li attendee di guidare, nel loro percorso, i successoridei Mungo-Parck, degli Hornemann e ditanti altri la cui dedizione ha spostato e spo-sta ancora i confini delle conoscenze geo-grafiche in Africa. Tre rotte possono condur-re sul suolo di questa illustre repubblica» (infrancese nel testo, p. 133).

Nel seguito dell’appello all’esplorazio-ne vengono poi date alcune delucidazionisulle tre rotte in questione: la prima, viaAlessandria d’Egitto, è la meno sicura acausa della presenza di beduini accusati diaggredire i pellegrini; la seconda, via Tri-poli, appare meno difficoltosa ma con l’av-vertenza di prestare attenzione al carattere«rapace del popolo» e in particolare deimarabouts, descritti come poco tolleranti;infine l’ultima, la più agevole, che prevededi giungere direttamente in Cirenaica tra-mite navi maltesi, con partenza da Malta earrivo a Bengasi. Pacho scelse proprio laprima rotta, partendo da Alessandria e se-guendo l’odierna costa libica. Tra i princi-pali siti da lui studiati vanno ricordati: lacittà di Derna che lo colpisce per i suoigiardini, per l’inattesa ospitalità degli abi-tanti e per l’abitudine di ornare i cimiteri

con piante di cactus; le grotte della necro-poli di Cirene, con le facciate di stile doricoed egizio; il castello di Ladjedabiah a Ptole-mais, a ovest di Cirene, che incanta con ilsuo elegante stile moresco; l’oasi di Audje-lah, ove incontra un bey di origini francesi,fatto prigioniero in Egitto in giovane età evenduto al pascià di Tripoli. Di grande in-teresse sono anche le analisi di Pacho sulleattività agricole della Cirenaica e in partico-lare le sue carte sull’estensione delle terrefertili, che secondo l’esploratore oltrepassa-no decisamente a sud le zone allora credu-te coltivabili. Tali indicazioni furono utili aicolonizzatori italiani che negli anni trentadel XX secolo incentivarono una consisten-te emigrazione di italiani di origine ruraleverso quelle zone della Cirenaica.

Nonostante il successo riscontrato dallesue spedizioni, confermato all’epoca dalPremio della Société de Géographie nel1825 e dai riconoscimenti avuti da rivistefrancesi e italiane (cfr. «Journal des Savans»,marzo 1826, pp. 166-170; «Annuaire Histori-que Universel», 1827, p. 309; «Antologia»,settembre 1826, pp. 121-145), nonché dalladiffusione dei due volumi pubblicati in se-guito alle spedizioni stesse, l’oblio di Pachoe il difficile percorso di ricostruzione bio-grafica, per lo storico Rainero sono dovuti adue elementi. Il primo di ordine personale:Pacho morì a 35 anni suicidandosi, senzaavere nessun discepolo. Il secondo di natu-ra più politica, in quanto la pubblicazionedei suoi due volumi, dedicata al re Carlo Xe finanziata dall’allora ministro dell’Internononché presidente della Société de Géo-graphie nel 1825, precedette di poco la ca-duta di questi ultimi. Il regime di Luigi Filip-po d’Orléans, installatosi nel luglio 1830,voleva in ogni modo esser percepito comeinnovatore e si sforzò dunque di marcare ladistanza dalla vecchia monarchia borboni-ca. Ne fecero così le spese anche coloro,come Pacho, che in qualche modo avevanoelogiato la corte di Carlo X e ne avevano ri-cevuto sostegno politico ed economico.

Isabelle Dumont

Laura CASSI, Valeria SANTINI e FrancescoZAN (a cura di), Rediscovery the Abode ofSnow. Filippo De Filippi and the ItalianScientific Expeditions to Central Asia (1900and 1913-14), Pisa, Pacini, 2012, pp. 96,ill., CD-rom.

Nel 2008, in seguito alla scoperta di do-cumenti e diari inediti, la Società di StudiGeografici – in collaborazione con altre isti-tuzioni – organizzò un convegno sulle spe-dizioni italiane in Asia centrale all’inizio delNovecento. Fu l’occasione per la riunifica-zione e l’esposizione di documenti dispersiin più sedi di conservazione. Lo spunto ori-ginale del convegno fiorentino era da rin-tracciare nel rinvenimento dei diari mano-scritti di De Filippi e di altri partecipanti, ol-tre a cinque album fotografici, materiali uti-lizzati per l’allestimento della mostra La«Dimora delle nevi» e le carte ritrovate. Filip-po De Filippi e le spedizioni scientifiche ita-liane in Asia Centrale (1909 e 1913-14),inaugurata nel marzo 2008 a Firenze, pres-so il Palazzo Pazzi Ammannati, a cura diLaura Cassi e Valeria Santini. Il volume è laversione in inglese «migliorata e arricchita»dell’edizione italiana del catalogo della mo-stra. I curatori sono stati impegnati nel lun-go compito di individuazione delle fontidescrittive, di trascrizione da testi editi eoriginali inediti (citazioni di Filippo De Fi-lippi, Giotto Dainelli, Nello Ginori Venturi);lo stesso paziente lavoro ha riguardato lascelta delle fotografie e delle loro didasca-lie. Per le foto, in questo catalogo, si è volu-to indicare anche la posizione geograficastimata della fotocamera grazie a un siste-ma di riposizionamento virtuale. Per quantoriguarda i contenuti, la maggiore innovazio-ne è la realizzazione di un portale (www.fi-lippodefilippi.it), che è stato ideato come ri-ferimento ufficiale di tutte le manifestazioni.

Nel CD-rom allegato sono contenuti idiari di viaggio dell’esploratore italiano tra il1913 e il 1914 relativi al Karakorum, all’Hi-malaya e al Turkestan orientale.

Annalisa D’Ascenzo

Dane KENNEDY (a cura di), Reinterpre-ting Exploration. The West in the World,Oxford – New York, Oxford UniversityPress, 2014, pp. 236.

Difficile immaginare l’Africa senza pen-sare agli esploratori. A lungo Africa edesplorazioni hanno costituito un binomiopressoché inscindibile e le nazioni hannobasato il proprio prestigio e misurato il pro-prio potere anche in base alle imprese deirispettivi esploratori.

Il genere biografico e il tono agiografi-co hanno rappresentato i tratti dominantidegli studi sulle esplorazioni. Solitari, de-terminati e invariabilmente pronti all’estre-mo sacrificio, è attraverso gli esploratoriche l’Occidente ha allargato il propriosguardo al mondo. È stato solo negli anniSettanta e Ottanta del secolo scorso chequesto schema di lettura è stato sostanzial-mente ribaltato e gli esploratori sono di-ventati creature sospette, violente e parte-cipi a quella grande spartizione del mondoche fu il colonialismo.

Se generazioni di lettori hanno cono-sciuto e immaginato l’Africa attraverso leimprese degli esploratori, rimane il fattoche negli anni questo binomio ha dato se-gni di crescente stanchezza. Una letteraturaun tempo ricca ha finito per essere spintasempre più ai margini, in buona parte dallasua stessa incapacità di rinnovarsi. Abban-donata dagli accademici e poi anche daigiornalisti, in Italia il ricordo degli esplora-tori è sempre più delegato alla storia locale.

Questo libro curato da Dane Kennedy,professore di Storia alla George Washing-ton University, rappresenta un importantecontributo nella direzione di una riletturadell’epoca delle grandi esplorazioni. Il vo-lume è diviso in due parti. Nella primavengono presentati alcuni dei temi più di-scussi dalla recente storiografia sulleesplorazioni e sui principali cambiamentiintervenuti nel settore. I cinque contributidella prima parte affrontano la relazionetra scienza ed esplorazioni, il rapporto tragli esploratori e le popolazioni visitate, il

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legame tra esplorazioni e conoscenzascientifica, l’importanza della stampa perla circolazione e fruizione degli scritti degliesploratori, e come l’occidente, propriograzie alle esplorazioni, si è confrontatocol mondo esterno.

Anche se l’oggetto dell’indagine è cir-coscritto agli esploratori britannici in Africae Australia nel XIX secolo, molte delle con-siderazioni avanzate possono essere estesead altri continenti ed esplorazioni. SecondoThe Last Blank Spaces, precedente operadella Kennedy, il punto di svolta fu nel XIXsecolo, quando nei viaggi furono introdottetecniche e procedure conoscitive sviluppa-te nella navigazione marittima. Si trattò diun cambiamento radicale del modo diviaggiare e codificare l’esperienza di viag-gio. Attraverso il massiccio ricorso a stru-menti scientifici si tentò di produrre seriedi informazioni capaci di essere misurate,mappate, quantificate e classificate inun’ottica dichiaratamente comparativa.

Un simile approccio ebbe come effettoimmediato l’annullamento delle conoscen-ze precedenti che, incapaci di produrre da-ti così fortemente strutturati, vennero rite-nute per lo più inutili. Kennedy ricorda co-me uno dei principali paradossi delleesplorazioni compiute da britannici ed eu-ropei nel XIX secolo fu quella di esploraree scoprire luoghi che, in realtà, erano inbuona parte già noti agli «indigeni» e aglistessi europei. Il caso più emblematico inquesto senso è rappresentato dal viaggio diAlexander von Humboldt in America Latina(1799-1804). I trenta volumi che raccolserol’esperienza di viaggio furono considerati alungo un modello per la raccolta, organiz-zazione e analisi dei dati. Humboldt, simosse comunque in territori che ormai dadue secoli a appartenevano alla Spagna ederano stati in buona parte già visitati e de-scritti. A rendere unica ed esemplare l’e-sperienza di Humboldt fu, piuttosto, l’ap-plicazione di un rigido protocollo scientifi-co nella raccolta dei dati. I saggi della pri-ma parte del volume giocano su due livelliprincipali: il primo è il dover essere delle

spedizioni, la loro presentazione ufficiale epubblica. Il secondo livello riguarda invecela realtà, spesso taciuta, delle mille diffi-coltà incontrate e delle tante concessionifatte, spesso in grado di inficiare la qualitàfinale dell’esperienza e dei dati raccolti.

I cinque contributi della seconda partesi concentrano sulla storia delle esplora-zioni in particolari contesti geografici. Ac-canto al consueto capitolo sull’Africa (inquesto caso orientale), i contributi prendo-no in considerazione la Russia imperiale, ilPacifico, l’Asia centrale e le esplorazionidell’Antartico. Complessivamente i cinquearticoli mettono bene in evidenza l’intimafragilità di molte spedizioni, costrette a ne-goziare le risorse materiali e conoscitivedelle popolazioni dei luoghi attraversati.Le esplorazioni, infatti, erano imprese cherichiedevano un livello di partecipazionelocale molto alto. Anche se le relazioni diviaggio sono abbastanza restie ad affronta-re questo aspetto, è chiaro che senza ilcoinvolgimento e il consenso delle auto-rità locali, le spedizioni avevano pochissi-me possibilità di riuscita. Caramanli, otto-mani, autorità khediviale, e il sultano diZanzibar, per fare alcuni esempi, offrironoun sostegno attivo a quelle esplorazioniche più contribuirono ad ampliare e con-solidare la loro sfera d’influenza in vasteporzioni dell’Africa. Più che essere un vei-colo esclusivo dell’imperialismo occidenta-le, è allora giusto dire che gli esploratoricondussero spesso le proprie missioni incontesti marcati dalla competizione di piùattori e interessi. Un solo rammarico in unvolume del resto molto riuscito: non averetrovato riferimento agli esploratori africani(es. John Akim Fergusson) e afro-america-ni a cui, qualche anno fa, David Killingrayaveva prestato attenzione.

Questi e altri temi fanno della raccoltadi saggi curata da Dane Kennedy un pre-zioso strumento per rileggere le esplora-zioni geografiche in un’ottica nuova e de-cisamente stimolante.

Massimo Zaccaria

Gabriella BONINI e Chiara VISENTIN (a curadi), Paesaggi in trasformazione. Teorie e pra-tiche della ricerca a cinquant’anni dallaStoria del paesaggio agrario italiano di EmilioSereni, Bologna, Editrice Compositori, 2014,pp. 349 + 64 n.n., ill., bibl., CD allegato.

Tra le molte iniziative assunte (ed elencatenella Presentazione) per ricordare i 50 an-ni dalla pubblicazione della notissimaopera di E. Sereni, questo densissimo (an-che tipograficamente) volume ha un ruoloparticolare, non fosse che per i circa 150contributi che accoglie e per la bibliogra-fia copiosissima. Voluto dall’Istituto AlcideCervi e dalla Biblioteca Archivio EmilioSereni, si tratta di un vero e proprio reper-torio, per così dire, del lascito dell’operasereniana. La Prefazione è di M. Quaini,tra i primi promotori delle celebrazionidell’anniversario.

Emanuele PARATORE e Rossella BELLUSO(a cura di), Studi in onore di Cosimo Pala-giano. Valori naturali, dimensioni culturali,percorsi di ricerca geografica, Roma, Edi-geo, 2013, pp. 760, ill.

Amici e colleghi hanno inteso festeggiare,con la sessantina di contributi raccolti inquesto volume, la lunga carriera accade-mica di C. Palagiano – fra le altre cose, alungo componente del Consiglio dellaSocietà Geografica Italiana e oggi accade-mico linceo. La sua produzione ha spazia-to fra tematiche varie, con una particolareattenzione, in anni recenti, alla geografiamedica. I testi raccolti si distribuisconocon una certa varietà tematica entro i tregrandi ambiti richiamati dal titolo, il piùdelle volte prendendo le mosse o comun-que non allontanandosi dalla produzionescientifica dello studioso.

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