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www.moked.it Otto per mille cultura, memoria, solidarietà LA TUA FIRMA, IL NOSTRO IMPEGNO pagine ebraiche Pagine Ebraiche – mensile di attualità e cultura dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane - Anno 1 | Redazione: Lungotevere Sanzio 9 – Roma 00153 – [email protected] – www.paginebraiche.it | Direttore responsabile: Guido Vitale Registrazione al Tribunale di Roma – numero 218/2009 – ISSN 2037-1543 | Poste Italiane Spa - Poste italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB Milano | Stampa: Stem Editoriale S.p.A. Via Brescia, 22 - 22063 Cernusco sul Naviglio (MI) euro 3,00 ú MOKED E LA RASSEGNA STAMPA Portale dell’ebraismo, i perché di un successo S ono oltre 100 mila gli utenti che in questo primo anno di vita dell’iniziativa hanno utilizzato il Portale dell’ebraismo italiano www.moked.it (in ebraico questa parola significa “messa a fuoco”). Molti frequentatori della co- stellazione di siti dedicata alle realtà ebraiche italiane sono persone, spesso non ebree, che vogliono comprendere, conoscere la più antica comunità della Diaspora presente in Italia da oltre due millenni. Se una parte del pubblico vuole consultare i servizi di informazione (ogni settimana si pubblicano oltre cento articoli e commenti), o vuole leggere gli ultimi scritti dell’ottantina di collaboratori, tutti volontari non retribuiti, che affiancano la redazione, in tanti arrivano quotidianamente al Portale per consultare la Rassegna stampa. Sembra incre- dibile, ma gli strumenti di ricerca messi a punto dalla redazione as- sieme a Data Stam- pa hanno consenti- to di classificare in pochi mesi oltre 120 mila articoli di giornale e altri do- cumenti. La stam- pa italiana, infatti, parla spesso di ebrei e di cose ebraiche, anche se di frequente, per un motivo o per l’altro, non riesce a com- prendere e raccontare questa re- altà in modo equilibrato. Leggere e archiviare tutto ciò che fanno i media senza utilizzare strumenti sofisticati sarebbe per una piccolissima minoranza un’impresa impossibile. Il lavoro dei lettori di Data Stampa, cui si af- fianca quello della redazione del Portale, co- mincia all’una di notte e si protrae fino alle otto del mattino. Una rassegna che metta nel mirino i temi scottanti (religione, identità, Memoria, laicità, diritti civili, minoranze, Medio Oriente) richiede esperienza e attenzione. Quando i let- tori iscritti a Moked vanno al mattino a con- sultarla, alcuni operatori del Portale hanno già alle spalle ore e ore di lavoro. Valerio Mieli I l Tevere a gennaio sarà più stretto. E il giorno 17 non è una data scel- ta a caso. Neanche a farlo apposta, la visita di Bene- detto XVI alla sinagoga ro- mana, simbolo della più antica comunità della Dia- spora, ha cominciato a su- scitare interpretazioni dif- ferenti già dal suo primo annuncio. Questo avvenimento ecce- zionale è presentato al let- tore di Pagine Ebraiche (a pag. 23) da uno dei prota- gonisti: il direttore dell’Os- servatore Romano Gio- vanni Maria Vian non è solo un giornalista e uno studioso di valore, ma an- che una delle voci più ascoltate in Vaticano. Per alcuni la visita cadrà in occasione della controver- sa Giornata per il dialogo fra cattolici e ebrei. Chi conosce bene il luna- rio della Comunità ebraica di Roma sa che quest’anno nello stesso giorno gli ebrei della Capitale celebreran- no il Moed di piombo. In quest’occasione, attraverso il ricordo gioioso della sal- vezza dall’assedio antise- mita e dalle fiamme appic- cate nel 1793, gli ebrei di Roma riaffermano la pro- pria forte determinazione di resistere a difficoltà e persecuzioni, di non cede- re alla pressione di chi, più o meno apertamente, chie- de loro di rinunciare al- l’identità. A questa importante visita gli ebrei italiani partecipe- ranno dunque con forza e attenzione. Il rabbino capo della Capitale Riccardo Di Segni e il Presidente della prima Comunità ebraica italiana Riccardo Pacifici hanno già chiarito al Vati- cano che non potrà trat- tarsi solo della visita a un luogo di culto. Che non potrà mancare una presa d’atto di quanto la Roma ebraica e la minoranza ebraica italiana siano fatte di valori, di persone vive. Vivi come vivi sono rima- sti i valori degli ebrei del Sud Italia, mai spenti dopo cinque secoli di silenzio e oggi di nuovo alla luce, at- traverso una rinascita stra- ordinaria di cui raccontia- mo in molti servizi di que- ste Pagine. u 8X1000 PER IL BURKINA FASO Contro la povertà Impegno umanitario per i bimbi africani Ridurre drasticamente la mortalità infantile mediante una campagna di vaccinazione in Burkina Faso (sono stati già vaccinati oltre quattromila bambini contro la meningite), portare acqua potabile, fornire attrezzature sanitarie, co- struire scuole per 50 mila bambini in villaggi che ne sono privi. L’Unione delle Comunità Ebraiche - spiega il Con- sigliere Federico Steinhaus - ha deciso di aderire alla cam- pagna umanitaria del Lions International per combattere la povertà sul continente africano, destinando al progetto parte delle risorse della raccolta Otto per mille. Una scuola e un nuovo ospedale stanno per essere ultimati. Quattro grandi autori del fumetto italiano, Carlo Ambrosini, Paolo Bacilieri, Alberto Pon- ticelli e Mau- rizio Rosen- zweig regala- no ai lettori di Pagine Ebraiche uno straordinario omaggio al mitico Art Spiegelman (pag. 34). La rilettura dell’autore di Maus non è poi il solo spun- to grafico di questo primo numero. L’in- tervista a Paolo Mieli (pag. 6) e gli editoriali e commenti (pag. 23) por- tano infatti il segno di un il- lustratore di fama come Giorgio Albertini. ú BENVENUTI Conoscersi per capirsi La rivista mensile Pa- gine Ebraiche, il Por- tale dell’ebraismo ita- liano www.moked.it e il notiziario quotidiano online l'Unione in- forma fanno parte di un progetto finaliz- zato a dotare la mino- ranza ebraica in Italia, così antica, così parti- colare, così aperta al dialogo e al confronto, di strumenti di comu- nicazione veloci, flessi- bili e interattivi. Una strategia della cono- scenza che si propone di presentare l'ebrai- smo e gli ebrei per quello che sono real- mente. Di far compren- dere la loro vita, le loro tradizioni e le loro spe- ranze. Il nostro impe- gno vuole essere un contributo alla vita ci- vile, sociale e culturale del Paese, perché af- fronti e superi le nuove sfide, consolidando i princìpi di libertà, di democrazia e di laicità. Valori, questi, alla base del vivere comune che sono stati irrevocabil- mente scelti e acquisiti dagli italiani. –– ú Dalla rinascita ebraica in Meridione alla visita in sinagoga di Benedetto XVI La sfida del confronto Unione delle Comunità Ebraiche Italiane n. 1 - novembre 2009 | השון5770 LIBRI La rotta dei pirati ebrei dai Caraibi al Messico Anche il Corsaro nero e sua figlia Iolanda forse appartenevano alla diaspora marrana / P17 INTERVISTA - PAOLO MIELI VI RACCONTO LA MIA STORIA Le minoranze - afferma il grande direttore dei quotidiani italiani oggi presidente del colosso editoriale Rcs Libri - sono fondamentali, ma solo a patto di esaltarsi a vicenda e di evitare il rischio dell’arroganza. / P06 ECONOMIA Low cost per Israele I nuovi prezzi spiccano il volo / P15 Il mito di Art Spiegelman Quattro matite per Maus L’omaggio dei grandi illustratori italiani RENZO GATTEGNA Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ROSH CHODESH CHESHVAN | ROMA 18.00 19.02 | MILANO 17.55 19.06 | FIRENZE 18.03 19.06 | VENEZIA 17.56 18.59

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Otto per millecultura, memoria, solidarietà LA TUA FIRMA,

IL NOSTRO IMPEGNO

pagine ebraichePagine Ebraiche – mensile di attualità e cultura dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane - Anno 1 | Redazione: Lungotevere Sanzio 9 – Roma 00153 – [email protected] – www.paginebraiche.it | Direttore responsabile: Guido Vitale Registrazione al Tribunale di Roma – numero 218/2009 – ISSN 2037-1543 | Poste Italiane Spa - Poste italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB Milano | Stampa: Stem Editoriale S.p.A. Via Brescia, 22 - 22063 Cernusco sul Naviglio (MI)

euro 3,00

ú– MOKED E LA RASSEGNA STAMPA

Portale dell’ebraismo,i perché di un successo

Sono oltre 100 mila gli utenti che in questoprimo anno di vita dell’iniziativa hannoutilizzato il Portale dell’ebraismo italiano

www.moked.it (in ebraico questa parola significa“messa a fuoco”). Molti frequentatori della co-stellazione di siti dedicata alle realtà ebraicheitaliane sono persone, spesso non ebree, chevogliono comprendere, conoscere la più anticacomunità della Diaspora presente in Italia daoltre due millenni. Se una parte del pubblicovuole consultare i servizi di informazione (ognisettimana si pubblicano oltre cento articoli ecommenti), o vuole leggere gli ultimi scrittidell’ottantina di collaboratori, tutti volontarinon retribuiti, che affiancano la redazione, intanti arrivano quotidianamente al Portale perconsultare la Rassegna stampa. Sembra incre-dibile, ma gli strumenti di ricerca messi a puntodalla redazione as-sieme a Data Stam-pa hanno consenti-to di classificare inpochi mesi oltre120 mila articoli digiornale e altri do-cumenti. La stam-pa italiana, infatti,parla spesso diebrei e di coseebraiche, anche sedi frequente, per un motivoo per l’altro, non riesce a com-prendere e raccontare questa re-altà in modo equilibrato. Leggeree archiviare tutto ciò che fanno i media senzautilizzare strumenti sofisticati sarebbe per unapiccolissima minoranza un’impresa impossibile.Il lavoro dei lettori di Data Stampa, cui si af-fianca quello della redazione del Portale, co-mincia all’una di notte e si protrae fino alle ottodel mattino. Una rassegna che metta nel mirinoi temi scottanti (religione, identità, Memoria,laicità, diritti civili, minoranze, Medio Oriente)richiede esperienza e attenzione. Quando i let-tori iscritti a Moked vanno al mattino a con-sultarla, alcuni operatori del Portale hanno giàalle spalle ore e ore di lavoro. Valerio Mieli

I l Tevere a gennaio saràpiù stretto. E il giorno17 non è una data scel-

ta a caso. Neanche a farloapposta, la visita di Bene-detto XVI alla sinagoga ro-mana, simbolo della piùantica comunità della Dia-spora, ha cominciato a su-scitare interpretazioni dif-ferenti già dal suo primoannuncio. Questo avvenimento ecce-zionale è presentato al let-tore di Pagine Ebraiche (apag. 23) da uno dei prota-gonisti: il direttore dell’Os-servatore Romano Gio-vanni Maria Vian non èsolo un giornalista e unostudioso di valore, ma an-che una delle voci piùascoltate in Vaticano. Per alcuni la visita cadrà inoccasione della controver-

sa Giornata per il dialogofra cattolici e ebrei. Chi conosce bene il luna-rio della Comunità ebraicadi Roma sa che quest’annonello stesso giorno gli ebreidella Capitale celebreran-no il Moed di piombo. Inquest’occasione, attraversoil ricordo gioioso della sal-vezza dall’assedio antise-

mita e dalle fiamme appic-cate nel 1793, gli ebrei diRoma riaffermano la pro-pria forte determinazionedi resistere a difficoltà epersecuzioni, di non cede-re alla pressione di chi, piùo meno apertamente, chie-de loro di rinunciare al-l’identità. A questa importante visita

gli ebrei italiani partecipe-ranno dunque con forza eattenzione. Il rabbino capodella Capitale Riccardo DiSegni e il Presidente dellaprima Comunità ebraicaitaliana Riccardo Pacificihanno già chiarito al Vati-cano che non potrà trat-tarsi solo della visita a unluogo di culto. Che nonpotrà mancare una presad’atto di quanto la Romaebraica e la minoranzaebraica italiana siano fattedi valori, di persone vive. Vivi come vivi sono rima-sti i valori degli ebrei delSud Italia, mai spenti dopocinque secoli di silenzio eoggi di nuovo alla luce, at-traverso una rinascita stra-ordinaria di cui raccontia-mo in molti servizi di que-ste Pagine.

u 8X1000 PER IL BURKINA FASO

Contro la povertàImpegno umanitarioper i bimbi africani

Ridurre drasticamente la mortalità infantile mediante unacampagna di vaccinazione in Burkina Faso (sono stati giàvaccinati oltre quattromila bambini contro la meningite),portare acqua potabile, fornire attrezzature sanitarie, co-struire scuole per 50 mila bambini in villaggi che ne sonoprivi. L’Unione delle Comunità Ebraiche - spiega il Con-sigliere Federico Steinhaus - ha deciso di aderire alla cam-pagna umanitaria del Lions International per combatterela povertà sul continente africano, destinando al progettoparte delle risorse della raccolta Otto per mille. Una scuolae un nuovo ospedale stanno per essere ultimati.

Quattro grandi autori delfumetto italiano, CarloAmbrosini, Paolo Bacilieri,Alberto Pon-ticelli e Mau-rizio Rosen-zweig regala-no ai lettoridi PagineEbraiche unostraordinarioomaggio al mitico ArtSpiegelman (pag. 34).

La rilettura dell’autore diMaus non è poi il solo spun-to grafico di questo primo

numero. L’in-tervista a PaoloMieli (pag. 6)e gli editorialie commenti(pag. 23) por-tano infatti ilsegno di un il-

lustratore di fama comeGiorgio Albertini.

ú– BENVENUTI

Conoscersi

per capirsiLa rivista mensile Pa-gine Ebraiche, il Por-tale dell’ebraismo ita-liano www.moked.it eil notiziario quotidianoonline l'Unione in-forma fanno parte diun progetto finaliz-zato a dotare la mino-ranza ebraica in Italia,così antica, così parti-

colare, così aperta aldialogo e al confronto,di strumenti di comu-nicazione veloci, flessi-bili e interattivi. Unastrategia della cono-scenza che si proponedi presentare l'ebrai-smo e gli ebrei perquello che sono real-mente. Di far compren-dere la loro vita, le lorotradizioni e le loro spe-ranze. Il nostro impe-gno vuole essere uncontributo alla vita ci-vile, sociale e culturaledel Paese, perché af-fronti e superi le nuovesfide, consolidando iprincìpi di libertà, didemocrazia e di laicità.Valori, questi, alla basedel vivere comune chesono stati irrevocabil-mente scelti e acquisitidagli italiani. ––ú

Dalla rinascita ebraica in Meridione alla visita in sinagoga di Benedetto XVI

La sfida del confronto

Unione delle Comunità Ebraiche Italianen. 1 - novembre 2009 | השון 5770

LIBRI

La rotta dei pirati ebrei dai Caraibi al MessicoAnche il Corsaro neroe sua figlia Iolanda forseappartenevano alla diasporamarrana / P17

INTERVISTA - PAOLO MIELI

VI RACCONTO LA MIA STORIALe minoranze - afferma il grande direttore deiquotidiani italiani oggi presidente del colossoeditoriale Rcs Libri - sono fondamentali, ma soloa patto di esaltarsi a vicenda e di evitare il rischiodell’arroganza. / P06

ECONOMIA

Low costper IsraeleI nuovi prezzispiccano il volo / P15

Il mito di Art SpiegelmanQuattro matite per MausL’omaggio dei grandi illustratori italiani

RENZO GATTEGNAPresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

ROSH CHODESH CHESHVAN | ROMA 18.00 19.02 | MILANO 17.55 19.06 | FIRENZE 18.03 19.06 | VENEZIA 17.56 18.59

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/ P2 POLITICA / SOCIETÀ

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INCHIESTA / UN GIORNO DI SCUOLA

R oma e Milano. A Torino eTrieste. Si trovano qui lequattro scuole ebraiche ita-

liane. Realtà molto diverse fra loro,se non altro per il numero deglialunni e (di conseguenza) per il li-vello di studi che propongono. Mail mosaico della proposta educativaebraica non si esaurisce qui. NelleComunità in cui l’andamento demo-grafico non consente più di tenerein vita un istituto scolastico fiorisco-no infatti asili per i più piccoli, Tal-mud Torah pomeridiani o domeni-cali, corsi di ebraico, incontri a tema.E’ un mondo in costante evolu-zione e fermento che trova unmomento di raccordo nel Centropedagogico dell’Unione delle Co-munità Ebraiche Italiane, coordi-nato da Odelia Liberanome e di-retto da rav Roberto Della Rocca,responsabile del DipartimentoEducazione e Cultura dell’UCEI.Un ente che svolge il ruolo di “ri-sorsa privilegiata per il conseguimen-to degli obiettivi concordati” e quindiper gli aspetti collettivi, di interessegenerale di formazione della Retedelle scuole ebraiche italiane (chenel 2005 hanno siglato un Protocollodi Intesa denominato Galgal) e deivari Talmud Torah. La sua disloca-zione può sembrare singolare. L’entesi trova infatti a Firenze, realtà cheda tempo non dispone di una scuolaebraica. Ma la location è tutt’altroche casuale. “Si tratta di una sceltaprecisa da parte dell’UCEI – spiega

Odelia Liberanome – la posizionegeografica della città, abbastanza vi-cina ai principali centri italiani, larende facilmente raggiungibile dagliinsegnanti. Senza dimenticare lagrande collaborazione offerta dallaComunità di Firenze per la parte lo-gistica e organizzativa degli eventi”.Al tempo stesso il fatto di non poteressere continuativamente presentenei vari istituti scolastici ebraici èuna delle principali sfide. “L’esigenza di fare network e pren-dere decisioni condivise è semprestata una delle priorità. E con questo

intento sono nati il Forum periodicodei dirigenti scolastici, operativo dal2006, e il Forum coordinatori e vi-cepresidi, istituito quest’anno”.La didattica è protagonista degli in-contri e seminari di formazione, ri-servati soprattutto agli insegnanti dilingua ebraica e materie ebraiche(Torà, ebraismo, storia ebraica) e agliinsegnanti di materie dell’area uma-nistico - espressiva. “Una delle iniziative più importantipromosse dal Centro pedagogico -racconta Odelia Liberanome – è ilprogetto Lingua ebraica, da sempre

elemento fondamentale del nostroistituto e che in questi ultimi due an-ni ha visto la collaborazione a livellointernazionale con la World Ort, conl’organizzazione di due seminari spe-cialistici sulla didattica”.Gli appuntamenti proposti agli in-segnanti dal Centro Pedagogico han-no una duplice finalità: aiutare i do-centi ad affrontare al meglio il pro-prio lavoro e allo stesso tempo ri-flettere sul contenuto dell’offerta for-mativa. Un compito non facile. “Ilfine ultimo – afferma Odelia – èl’educazione degli studenti. E’ quindi

fondamentale attualizzare e rendereil più interessante e stimolante pos-sibile il programma, senza però per-dere di vista la necessità di fare cre-scere i ragazzi con solide basi ebrai-che”. Programma flessibile, dunque,pur nel rispetto della normativa. Lescuole ebraiche italiane sono infattiistituti paritari (non privati), con pro-grammi, orari ed attività equiparatialle scuole statali. “La nostra offertaformativa è la stessa delle altre scuole– spiega la coordinatrice – con l’ag-giunta di alcune specificità, vita, testie storia ebraica, trasversalmente spal-mate su varie materie, perché l’ap-prendimento avvenga attraverso iprincipi fondanti dell’ebraismo”. A testimoniare l’efficacia di questolavoro, sempre più spesso le attivitàdel Centro pedagogico richiamanol’interesse di realtà esterne al mondoebraico interessate al materiale di-dattico. E i rapporti con il mondoesterno includono anche progetti in-consueti. Come La Stella di Esther,fumetto a colori per spiegare la Sho-ah ai più piccoli pubblicato in con-comitanza con la Giornata della Me-moria, per cui è stato richiesto il pa-trocinio del Centro pedagogico. Ri-chiesta accolta con grande interesseperché, come dice Odelia, “dobbia-mo occuparci delle questioni ebrai-che ma al tempo stesso essere capacidi cogliere le opportunità e i segnaliche giungono dall’esterno”.

Adam Smulevich

ú– QUI ROMAu L’ESPERIENZA D’ISRAELE

Tre settimane nel villaggio Goldstein a Gerusalemme consentono agli studenti del liceo di immergersi nella realtà viva del paese

Tre settimane nel villaggio Goldstein a Gerusalemme, perun’immersione nella realtà israeliana. E’ la proposta di“Esperienza di Israele”, un progetto che coinvolge i ragazzidella seconda classe di liceo della scuola Renzo Levi di Romacui possono partecipare anche i giovani che non frequentanola scuola o provengono da altre comunità. “L’iniziativa, giàrealizzata in passato con ottimi risultati, è stata ripresa quattroanni fa grazie alla signora Celeste Pavoncello Piperno alloraparte del Consiglio d’istituto – spiega il rav Benedetto CarucciViterbi, dirigente scolastico della scuola – Si tratta di unprogetto a cui tengo molto perché assai formativo”.L’obiettivo dell’iniziativa, coordinata dall’insegnante Ester DiSegni, non è infatti una semplice visita turistica ma un contattoprofondo con la vita del paese. “Il piano iniziale – dice rav Ca-rucci – prevedeva lo studio della lingua ebraica ‘a tavolino’. Mapoi ci si è resi conto che per i ragazzi era più stimolante imparare

la lingua visitando il paese e trovandosi a contatto con i coetanei.Tanto che quest’anno si è realizzato un gemellaggio con unascuola di Haifa con cui sono previsti scambi culturali e di stu-denti”. L’impegno economico, per la scuola e per le famiglie,è significativo. Il primo anno il progetto è stato sostenuto dallafamiglia Piperno. Nel secondo anno è arrivata una donazionedai amici alla famiglia Piperno mentre il terzo è stato reso pos-sibile dal contributo dell’Otto per mille dell’UCEI.“Esperienza di Israele” è parte di un percorso educativo piùampio che coinvolge i ragazzi del liceo ebraico conducendolifuori della scuola. In prima liceo è infatti prevista la visita diuna comunità ebraica italiana o europea, in seconda c’è il viaggioin Israele. In terza è in programma un viaggio negli Stati Unitio nell’Est Europa, in quarta liceo si visitano i luoghi della Shoahmentre in quinta l’appuntamento è con una capitale europea.

Lucilla Efrati

ú– QUI TORINOu AL GRAN BALLO DEL TEMPO

Per trasmettere agli alunni i significati del calendario lunare si lavora in modointerdisciplinare. E ogni Rosh chodeshappuntamento in palestra, per fare festa tuttiinsieme

La vita ebraica è scandita con eterna e perfetta regolarità dalcalendario lunare. E’ il Tempo la dimensione cui si affida l’ebreoper impostare la propria esistenza. A Torino un gruppo di lavoroformato da insegnanti dei tre ordini di scuola ha costruito un’at-tività per trasmettere agli alunni l’importanza e la centralità delconcetto di Tempo. Un’impresa non facile, specie con i più pic-coli, a cui non si potevano certo proporre disquisizioni filoso-fiche. “Abbiamo pensato – racconta Ruth Mussi, insegnante di ebraicoed ebraismo nella scuola elementare e media – a un approcciomultidisciplinare che richiedesse una partecipazione attiva. Cosìquest’anno abbiamo cominciato a celebrare Rosh Chodesh, ilcapo mese”. Lo spunto è venuto dalla partecipazione di Rutha un seminario organizzato a Roma, grazie al Centro pedago-gico, con il World Ort. In vista del mese che arriva si preparaun’attività basata sulle sue caratteristiche: la stagione, le feste,

Lezioni d’eccellenzaProgrammi attuali e radici ebraiche. E’ l’obiettivo del Centro pedagogico UCEI che forma e coordina gli insegnanti

Il viaggio è parte di unpercorso educativo piùampio che prevede,sempre negli anni delliceo, visite negli StatiUniti e, in Europa, nelleComunità ebraiche e neiluoghi della Shoah

u Odelia Liberanome u Nella foto in alto Daniela Misan, insegnante d’ebraico nella scuola di Trieste

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POLITICA / SOCIETÀ / P3

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Viaggio nelle istituzioni educative ebraiche attraverso alcuni progetti di spicco. Dalle lavagne multimediali delle classi milanesi al me-todo Tal Am per apprendere l’ebraico alle feste per il capo mese allestite dagli alunni torinesi. Senza trascurare l’esperienza di situazionicome quella veneziana, dove le scuole non ci sono e per tenere viva la tradizione ci si organizza in altro modo.

ú– QUI MILANOu IN CLASSE CON IL TOUCH SCREEN

Così dalle elementari alle superiori si sfruttano leinfinite potenzialità di internet, si prendonoappunti e si ricevono i compiti per mail

Suona la campanella. Classe seconda B, diciannove studenti diliceo si preparano per l’ora di storia. Anche la professoressaKopciowski si organizza. Accende il Pc portatile nell’armadiettodietro la cattedra e sul grosso schermo bianco con tecnologiatouch screen che campeggia al posto della lavagna, compareil desktop di un computer. Poi ecco la schermata con gli appuntidel giorno prima, e la lezione può cominciare.Siamo davanti a una Lim, la lavagna interattiva multimedialeche in tutto il mondo rappresenta la nuova frontiera della scuola.In Italia le prime arrivarono nel 2006, ma sono ancora pocodiffuse. Con la Lim si può utilizzare internet, avvalersi di pro-grammi mirati alla didattica, mandare agli studenti il materialedelle lezioni via email. E soprattutto far sentire ai ragazzi chela scuola e i professori sono capaci di essere al passo con i lorotempi e inseriti nella loro realtà.Alla scuola ebraica di Milano si sono introdotto alcune Limalla fine dello scorso anno scolastico, per volontà della presidedei licei, Ester Kopciowski. “Ci rivolgiamo a ragazzi cresciutiin un mondo di immagini e nuove tecnologie – spiega la docente

di storia e storia ebraica, che qui insegna dal 1977 ed è presideda due anni – le Lim rappresentano una risorsa preziosissima.La visualizzazione aiuta molto lo studio. Possiamo conservareciò che scriviamo sulla lavagna di lezione in lezione e i ragazzi,sapendo di averlo a disposizione, seguono con più serenità.Senza più l’ansia di perdere qualche parola, fanno molte piùdomande”.Intanto in seconda B la lezione di storia prosegue con grandepartecipazione degli studenti. Anche loro sono molto soddisfattidelle nuove lavagne, e apprezzano l’impegno dei professori perimparare a sfruttarle bene, nonostante un po’ di nostalgia che

alcuni, sia studenti che insegnanti, nutrono ancora per ardesiae gessetti. “È comodo ricevere le lezioni a casa, specialmentese sei malato – dice però Daniel – mi piace anche vedere gliesperimenti di chimica su Youtube: in questo modo si capiscemolto di più”. “A me piace la ruota”, gli fa eco Carol e tuttiscoppiano a ridere. “Prima di interrogare – spiega – la profes-soressa di matematica fa girare una ruota virtuale sulla lavagnacon i nostri numeri di registro, come in televisione, e così sidecide chi deve uscire”. Divertente per chi è ben preparato,forse un po’ meno per chi non ha aperto libro, come dimostranole proteste di chi è stato pescato tre volte di seguito.Entusiasta della novità è anche Claudia Bagnarelli, coordinatricedidattica delle scuole dell’infanzia e primaria. “Queste lavagnesono una vera rivoluzione. Noi morot abbiamo tantissime nuovepossibilità. Usiamo in classe figure e esercizi interattivi, così lostudio diventa molto più attraente per i bimbi. Anche perché,secondo loro, la penna multimediale assomiglia al joystick diun videogioco”.Le Lim sono ormai presenti in tutte le classi delle elementari.Al liceo ce ne sono cinque, una per anno, alle medie arriverannopresto. “Siamo molto curiosi di provare queste meraviglie tec-nologiche – spiega il preside delle medie rav Roberto Colombo– e sarà bellissimo poter contare su uno strumento del generesoprattutto per aiutare i nostri ragazzi diversamente abili. Pensosia questo uno degli aspetti più belli del progresso”.

Rossella Tercatin

ú– QUI VENEZIAu TRA ASILO E TALMUD TORAH

La scuola ha chiuso cinquant’anni fa. Così lapreparazione di bimbi e ragazzi passa attraversocorsi che spesso coinvolgono anche le famiglie

Sono passati quasi 50 anni dalla chiusura della scuola ebraicadi Venezia. Ma la Comunità non si è affatto arresa sul fronteeducativo. Dopo un’annata poco felice tra il 2007 e il 2008l’asilo ebraico, riaperto nel 1981 per due giornate a settimana,è infatti risorto con un orario su cinque giorni. E per la prepa-razione ebraica è attivo un Talmud Torah con corsi dai sei annial bar/bat mitzva e post-maggiorità religiosa. Lo studio spazia dalla lingua ebraica allo studio dei Dinim edella storia del popolo ebraico con Elia Richetti, rabbino capodella Comunità ebraica di Venezia, per poi passare con ravAvraham Dayan e il morè Akiva Halla ai significati profondidelle tefillot, ai commenti alla Torah e del Talmud. Quest’annosi sono organizzati corsi intensivi di una settimana in previsionedi Rosh ha-Shana e Kippur, riscontrando un enorme successotra i bambini e nelle famiglie. Un esperimento riuscito, che saràripetuto anche in occasione di altre festività di rilievo del ca-lendario ebraico.

Michael Calimani

le tefillot e il significato simbolicoebraico del segno zodiacale. A Tishrì, il primo mese dell’anno,gli alunni della quinta elementaree della terza media hanno parteci-pato ad esempio a una sorta di se-minario sul tema della creazionedel mondo. Divisi in gruppi hanno analizzatoi primi due capitoli di Bereshit con-centrandosi sull’ordine logico dellaCreazione e cercando di capire perquale ragione l’Uomo sia stato creato per ultimo. Sull’argomentosono poi intervenuti i diversi docenti: la professoressa di scien-ze ha spiegato le diverse ipotesi scientifiche sull’origine del-l’universo; i docenti di lettere e storia hanno parlato delle an-tiche cosmogonie mitologiche confrontandole con la tradi-zione biblica. Al temine, la proiezione di alcune immaginiper mostrare in che modo l’uomo ha contribuito a modificareil mondo. E dopo lo studio, la festa, che è il momento centrale,il fulcro vitale di tutta la faccenda. La preside annuncia daglialtoparlanti l’inizio del nuovo mese, gli alunni vengono chia-mati fuori dalle classi, e in fila per due si recano in palestratutti insieme, dove ha luogo, nell’euforia generale, il GrandeBallo di Rosh Chodesh.

Manuel Disegni

ú– QUI TRIESTEu UN LEONE IN CATTEDRA

Amatissimo dai bambini, è il protagonista di TalAm, metodo d’avanguardia per l’insegnamentodella lingua ebraica

Il loro eroe si chiama Ariot. Ha una criniera fluente, un mantellorosso e uno sgargiante Maghen David sul petto. E’ un leoneche insegna le vocali: detto in ebraico, un ariè che insegna leotiot. E proprio questa è la missione di Ariot, che dalla primaalla quinta elementare aiuta i bimbi della scuola elementare diTrieste a impadronirsi della lingua ebraica attraverso il gioco,il dialogo e le canzoni. Il bel leone, amatissimo dai più piccoli,è infatti il protagonista di Tal Am, metodo didattico d’avan-guardia nato in Israele e poi migrato in Canada per insegnarel’ebraico ai bambini stranieri. “Questo sistema è oggi utilizzato

in tutte scuole ebraiche italiane con notevolivantaggi – spiega la morà Daniela Misan,che lo ha adottato quattro anni fa – ConTal Am il bambino viene sottoposto, findalla prima elementare, a una sorta di bom-bardamento multisensoriale. Vi sono i po-ster e i numerosi materiali che sollecitanodal punto di vista visivo e abbondano i gio-chi e le canzoni”. Assistere a una lezionedi questo tipo è un esercizio molto interessante. La classed’ebraico è infatti tappezzata di manifesti coloratissimi. E findal principio la morà comunica in ebraico, sottolineando i ter-mini con un’ampia gestualità. S’inizia aggiornando il tabellonedelle presenze, poi si passa a quelli della settimana e del tempoatmosferico, ripetendo parole già apprese o apprendendone dinuove. Poi è la volta dei libri e degli altri materiali educativi.Tenersi al passo con Tal Am richiede agli insegnanti un notevoleimpegno. Il sistema prevede infatti un aggiornamento costante

con due incontri l’anno, di cui uno in Israe-le. “L’unica difficoltà - dice Daniela Misan- sta nel fatto che il metodo è costruito peruna frequenza di almeno un’ora al giorno.Ma nelle nostre scuole, per tenere il passocon il programma ministeriale, dalla terzaelementare in poi si dedicano alla linguatre ore a settimana: poche per impadro-nirsene davvero”.

I risultati sono comunque molto positivi. Il metodo piace tan-tissimo agli alunni che attendono con ansia l’ora di ebraico,vero incubo per tante generazioni di scolaretti. E dopo la curadi Ariot nessuno rischia di ritrovarsi muto come un pesce quan-do la conversazione, come sempre più spesso accade in tanteComunità, dall’italiano vira sull’ebraico. (Nell’immagine, da si-nistra Gloriana Candusso e Tamar Misan rispettivamente di-rettrice della scuola dell’infanzia e dell’elementare)

d.g.

MILANOScuole dell’infanzia 74 alunni 16 insegnanti

Scuola elementare 155 alunni 23 insegnanti

Scuola media 149 alunni 28 insegnanti

Liceo 147 alunni 41 insegnanti

ROMAScuole dell’infanzia 177 alunni 10 insegnanti

Scuola elementare 423 alunni 44 insegnanti

Scuola media 304 alunni 36 insegnanti

Liceo 280 alunni 46 insegnanti

TORINOScuole dell’infanzia 40 alunni 6 insegnanti

Scuola elementare 103 alunni 11 insegnanti

Scuola media 40 alunni 13 insegnanti

TRIESTEScuole dell’infanzia 33 alunni 3 insegnanti

Scuola elementare 34 alunni 10 insegnanti

u I NUMERI

Le scuole ebraiche italiane sono una realtàmolto diversificata su base territorialecome evidenziato dai dati, riferiti all’annoscolastico in corso, forniti dagli stessi istituti

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POLITICA / SOCIETÀ

Negba, una scommessa vintaverso il Mezzogiorno

“Il primo festival di cultura ebraica in Puglia è riuscito a mettere in luce i nostri valori più profondi e universali”

D a troppi anni, nell’opinionepubblica e nel sistema deimass-media, l’immagine

degli ebrei è meccanicamente asso-ciata alla Shoah e alle vicende me-diorientali, cioè ad eventi luttuosi,drammatici, tragici. Eppure noi ebreinon siamo questo: al contrario siamola prova vissuta e vivente di un’ine-sauribile vitalità, umana e intellet-tuale, e di una fecondissima creati-vità. Rovesciare l’immaginario con-solidato sul mondo ebraico e mo-strare l’esperienza ebraica e la suasolarità, umanità, luminosità, è l’as-sillo che mi ha accompagnato inquesti anni ed è oggi anche il segnodell’azione culturale che l’UCEI stacercando di realizzare. Il festival dicultura ebraica “Negba-Verso il Mez-zogiorno” svoltosi a settembre in Pu-glia è stato fondamentalmente que-sto: portare in dote ad altri un beneprezioso, ricevere in cambio amiciziae vicinanza.

La scommessa ci è sembrata total-mente riuscita, non solo per il suc-cesso di pubblico e di critica, ma perl’attenzione ricevuta dalla popola-zione e dalle istituzioni. Ultima te-stimonianza di questo successo il fat-to che, a festival terminato, il presi-dente della Regione Nichi Vendolaha concluso il suo discorso d’inau-gurazione della Fiera del Levante ci-tando Negba come esempio di pro-

mozione e di crescita, attardandosia spiegare il significato del termineebraico. Abbiamo insomma propo-sto un “contenuto profondo” che halasciato sicuramente un segno e checerto darà i suoi frutti. Contestual-mente, abbiamo tentato di raggiun-gere altri obiettivi. Il rinascente ebrai-smo pugliese è stato fisicamente ri-congiunto al resto dell’ebraismo ita-liano e alle sue istituzioni. E’ solo

l’inizio di un percorso e molto c’èancora da fare, ma il nostro impegnoè stato sancito solennemente e nostrifratelli di Puglia sanno che non sonopiù soli. Abbiamo dimostrato a noistessi che è possibile iniziare a rea-lizzare iniziative di forte impatto chepossano incontrare, gradualmente egenuinamente, l’opinione pubblicarompendo cliché negativi. Abbiamomanifestato diversamente il nostro

storico impegno nella lotta al pre-giudizio e al razzismo utilizzandonon i linguaggi logori della politicae della retorica ma quello sempreattuale della cultura. Abbiamoespresso i valori più profondi e uni-versali dell’ebraismo per contribuirealla trasformazione del nostro Paesein una società serenamente multi-culturale e quindi più democratica.Sarebbe stato impossibile pensare erealizzare Negba senza il contributodelle istituzioni pugliesi (la RegionePuglia, la Soprintendenza regionale,le municipalità di Andria, Bari, Lec-ce, Oria, Otranto, San Nicandro Gar-ganico, Trani), senza l’impegno ge-neroso di quanti hanno partecipatoe l’entusiasmo e il lavoro degli ebreidi Puglia. La cultura è un luogo diincontro: l’esperienza ebraica insegnache uno degli elementi di forza diun popolo, di una cultura, è proprioil saper attingere all’esterno, all’altroda sé, restando sempre se stessi,pronti a cercare di volta in volta ri-sposte nuove. Nell’era della globalizzazione e dellaprecarietà, proponiamo la culturaebraica come esperienza paradigma-tica del saper incontrare gli altri sen-za perdere sé stessi. Questa la nostrapiccola rivoluzione culturale: offrirela luce dell’ebraismo.

A conclusione di “Negba - Verso il Mez-zogiorno”, il festival di cultura ebraicasvoltosi in sette città pugliesi crediamo

di poter dire che le nostre intenzioni sono statecolte dai partecipanti, dalle istituzioni e dagli ospitiche hanno animato gli appuntamenti. Il festivalha infatti riscosso successo, consenso e si è con-quistato reputazione e autorevolezza non solo inPuglia ma anche nel panorama delle proposte na-zionali e internazionali sull’ebraismo soprattuttograzie alla qualità delle proposte culturali.Il valore del messaggio di Negba - Verso il Mez-

zogiorno è stato, nelle intenzioni dell’Unione delleComunità Ebraiche Italiane, quello di esprimereil proposito di intraprendere un impegno di re-cupero del vasto patrimonio ebraico meridionaleche in questi anni sta vivendo momenti di studioe valorizzazione. La presenza ebraica nel SudItalia, contrariamente a quanto si possa pensare,non si ferma alla città di Napoli. In Puglia, in Sicilia,in Calabria e nel Sud in genere, piccoli e talvoltapiccolissimi nuclei ebraici sono sempre più presenticon una progressiva e crescente domanda di vitae di cultura ebraica.Un progetto culturale per il Sud Italia non do-vrebbe avere solo come primo obiettivo quello disostenere le identità disperse degli ebrei nel Me-ridione, ma dovrebbe anche rispondere alla do-manda, ormai divenuta di largo consumo, di co-noscenza della cultura ebraica da parte del mondonon ebraico. E’ crescente, infatti, nel Meridionela richiesta di una presenza ufficiale ebraica nonsolo nella gestione delle relazioni all’interno del

dialogo interreligioso, ma anche nel mondo ac-cademico ed universitario.E’ importante che l’UCEI rafforzi la propria pre-senza nell’Italia meridionale per stabilire un con-tatto diretto tra le regioni del Sud e la leadershipUCEI per un’armonica strategia politica, rendendoistituzionali e sistematiche le iniziative, di cui al-cune in corso, di tipo educativo e culturale, inclusequelle per la salvaguardia dei beni artistici. Si trattapoi di ristabilire la titolarità dell’UCEI in materiadi rappresentatività dell’ebraismo italiano in pre-senza di iniziative locali che si autoproclamanocome ebraiche costituendo un punto di riferimentoreligioso e culturale per gli ebrei residenti nell’Italiameridionale. Una buona offerta di attività potrebbeavere un’incidenza positiva e aggregante, nonchédi recupero, per i numerosi ebrei - talvolta incon-sapevoli della loro identità - sparsi oggi nell’Italiameridionale. (Nell’immagine il Sefer Torah nei vi-coli di Trani in occasione della Giornata della cul-tura ebraica)

Nella Genesi, per ordine di Dio, il cam-

mino di Abramo alla volta della Terra

promessa si dirige a Gerusalemme: a

sud, in ebraico negba. Ha riecheggia-

to questa millenaria suggestione il

richiamo lanciato quest’anno dalla

Giornata della cultura ebraica che in

Italia ha visto come città capofila Tra-

ni. Qui domenica 6 settembre ha pre-

so il via “Negba – Verso il Mezzogior-

no”, primo festival della cultura ebrai-

ca in Puglia. Un’iniziativa promossa

dall’UCEI e dalla Regione Puglia con

il patrocinio del ministero per i Beni

e le attività culturali, la Soprinten-

denza della Puglia e delle provincie

di Bari e Foggia per la direzione cul-

turale e organizzativa di rav Roberto

Della Rocca e Cristiana Colli, la dire-

zione artistica di Gioele Dix e la su-

pervisione di Victor Magiar. Negba ha

proposto appuntamenti di approfon-

dimento, musica, spettacoli e mostre

in alcune delle più belle località pu-

gliesi: da Bari a Otranto, da San Ni-

candro Garganico a Lecce, in una ri-

scoperta emozionante dell’antica sto-

ria dell’ebraismo meridionale che ha

riscosso un ampio successo di pub-

blico e di critica.

Alla riscopertadel SudUn progetto innovativo

per un patrimonio anticoL’impegno è quello di intraprendere un recupero della realtà meridionale a sostegno delle tante identitàdisperse. Rispondendo al tempo stesso a una domanda, sempre più ampia, di conoscenza e cultura e alla ri-chiesta di una presenza ufficiale nel dialogo interreligioso e nel mondo universitario

ú–– Victor Magiarconsigliere UCEIdelegato alla Cultura

ú–– Rav Roberto Della Roccadirettore del Dipartimento Educazione e Cultura UCEI

u Il concerto all’alba a Otranto del trio Nigun Italyà nell’ambito del festival Negba

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N egba, il festival di culturaebraica pugliese, ha rap-presentato non solo una

novità, ma anche una sfida sia perl’immagine che il mondo ebraico tra-smette di sé, sia per l’immagine cheil mondo ebraico ha di sé. Credoche almeno tre siano le questioni darichiamare. Tutte e tre hanno a chefare con la mentalità. Soprattutto ri-guardano profondamente come gliebrei raccontano se stessi. A lungoin Italia il mondo ebraico ha attrattoun pubblico a partire da una condi-zione residuale. E’ la dimensione an-tiquaria di una cultura che evoca ifasti del passato, presenta i motividella sua durata nel tempo, e celebrala propria tenacia attuale. Il tema ècostituito dalla continuità della tra-dizione e dal suo elogio.

óúúúó

Tutte le istanze di carattere pubblicocon cui il mondo ebraico si proponenascono poi da un evento o da unconcetto che ruota intorno al temadella memoria e del suo lavorio neltempo. Al centro di questa partitasta di solito un evento o un insiemedi fatti fondati su un trauma. Il mes-saggio implicito è che la continuitàebraica nel tempo avviene “malgradola storia”. Un principio che è forte-mente segnato da un rapporto in-quieto con il “fuori” e il cui signifi-cato è: “nonostante le avversità”,“contro i disegni periodici e reiteratidell’Amman di turno”, noi siamo an-cora qui.Negba, consapevolmente o meno,inaugura un nuovo modo di viverela storia, anzi forse obbliga per laprima volta a prendere in carico lastoria e ad avere uno sguardo diver-so non solo nel presente, ma anche

in merito al passato. Riprendere con-fidenza con il passato in un territoriola cui memoria è quella della fuga,significa ritrovare i mille fili di unastoria interrotta e che è continuatasotterraneamente. Non solo. Signi-fica ritrovare non la “grande storia”,bensì le storie: quelle di chi da lì nonpartì e che ha mantenuto o ha sal-vaguardato un pezzo di quella ap-partenenza che forzatamente lasciò;di un insieme di pratiche, di usi, diparole che attraverso le generazionisi sono perdute nei loro significati,ma che hanno una storia. Una storiache è l’effetto non di una sostituzio-ne, ma di una contaminazione, diun’identità che nel tempo si man-tiene e cambia. Perché la storia èfatta e vive prevalentemente di di-scontinuità, più che di continuità.Un processo che si colloca in un as-se temporale e che contiene un “pri-ma” e un “dopo”. Dove non c’è solola memoria, o il rito o la fedeltà. Maci sono gli uomini e le donne conle loro scelte e i loro compromessi;con ciò che tengono, quello che la-sciano e le cose che costruisconoper non dimenticare ciò che hannolasciato.

óúúúó

Al centro di tutto questo non ci sononé solo, né prevalentemente, gli ebreiche non si convertirono né i loro in-quisitori di allora. Ci sono in granparte gli eredi di molte figure inter-medie che lentamente diventanoconsapevoli che la loro è una storiaibrida, fatta di conservazione e diabbandono, di cose che si tratten-gono, anche casualmente, e di coseche si lasciano. E’ la storia dei mar-rani e ancora di più la storia comecondizione marrana, ibrida, “sgan-gherata”, sicuramente incerta, che èla radiografia della storia di tutti. Unastoria che oggi costituisce la scom-messa culturale più affascinante inun’epoca in cui molti giurano sullapurezza e sul carattere incontami-nato del proprio passato come ga-ranzia di un futuro certo.

POLITICA / SOCIETÀ / P5

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Assieme a pochi tranesi, fin dall’ini-zio ho vissuto con intensità e conpassione quella che a tutti sem-

brava un’assurda e utopistica avventura.In questi ultimi mesi in tanti si sono sof-fermati sulla Giornata della cultura ebrai-ca. Ma a Trani e in Puglia sono cinque an-ni che vengono organizzate preghierepubbliche nella riacquisita sinagoga Sco-lanova, eventi culturali per la Giornatadella Cultura e quella della Memoria e inoccasione di Yom ha - Azmauth, lezionidi ebraismo e di ebraico, festival musicali,mostre, incontri con rappresentanti dialtre religioni e si dà assistenza a tuttigli ebrei della regione per Pesach e perle altre feste. Trani si è abituata alla presenza ebraica,tanto che oggi è naturale vedere per lesue strade un rabbino e gruppi di per-sone con la kippah. E il successo dellaGiornata della Cultura ebraica non potevache essere un legittimo riconoscimentoconferito a un territorio dove si è lavo-rato duramente e con continuità per larinascita dell’ebraismo con risultati chenon sarebbero stati possibili senza l’aiutoe il credito ricevuti per anni dalle ammi-nistrazioni locali e regionali. Qualcunoha gridato al miracolo, ma nessun mira-colo sarebbe stato possibile se non cifosse stata la volontà e la convinzioneche we can.

Il numero degli ebrei pugliesi sta lenta-mente crescendo, sia per spontanea ag-gregazione sia perché li si è andati a cer-care uno per uno. Il gruppo sannican-drese ha preso coscienza delle sue po-tenzialità anche per l’appoggio prove-niente dall’esperienza di Trani. Ma qualefuturo vorranno e potranno costruireper sé gli ebrei pugliesi? Chi sarà davveroal loro fianco? Con quali mezzi? Se si vuole essere onesti fino in fondo (egli ebrei pugliesi mi sembra vogliano es-serlo) mancano ancora alcune cose fon-damentali perché Trani possa essere con-siderata una comunità a pieno titolo: unmikveh, un Beth hamidrash per adulti eragazzi, una vita culturale con incontriperiodici, un rav a cui tutti possano ri-correre quando hanno bisogno di risol-vere un problema o avere una rispostasul piano rituale. E non consoli il fattoche altre comunità italiane si trovino nel-le medesime (se non peggiori) condizio-ni. Ciò che non manca è invece la volontàdi continuare a operare nella direzionefin qui seguita per fare di più e meglio.Sarebbe un errore vedere l’esperienzapugliese come un’esperienza a se stante,senza relazione con le altre realtà ebrai-che, sia al Nord che al Sud. Le Comunità italiane devono definire inmaniera chiara le proprie priorità e pre-parare le persone con cui intendono rea-lizzarle. Nonostante l’ottimismo con cuisi può guardare all’esperienza pugliese,le cose in Italia non potranno cambiaremolto, a meno che non venga preso lospunto da quanto è stato fatto in Puglia,dove, pur con mezzi sempre limitati, sisono avvicinati alla Comunità e all’ebrai-smo ebrei lontani da ogni espressionedi vita ebraica. Ci sono certamente altre domande cuidovremo rispondere. A me sembra, tut-tavia, che se si vuole conferire un sensoa un’azione ebraica tendente, davvero enon solo a parole, a includere ogni ebreoin qualsiasi luogo (inteso sia in senso fi-sico che spirituale) egli si trovi, alloradobbiamo dedicare le nostre migliori ri-sorse e le nostre migliori menti all’ebrai-smo.

“Il numero degli ebrei stalentamente crescendo: perspontanea aggregazione o perchè lisi è andati a cercare uno per uno”

ú– L’ ANALISI

Uno sguardo diversotra presente e passato

ú–– David Bidussastorico sociale delle idee

ú–– Rav ShalomBahbout

La faticosa avventura della rinascita

Igiovani sono il futuro e dunque laprima priorità. Ciò è vero per ogniorganizzazione, ma il popolo

ebraico ne ha da sempre particolareconsapevolezza. La parola ebraica per“storia” è “toledot”, cioè generazioni;quando intendiamo “per sempre” di-ciamo “ledor vador”, per generazionie generazioni. Molte attività della li-turgia ebraica esplicitano un’inten-zione pedagogica, dal Seder di Pasquaallo Shema Israel - Ascolta Israele.Questa preoccupazione è ancora piùimportante oggi, in una piccola comu-nità come quella ebraica che sta attra-versando una crisi di invecchiamentoe di decremento demografico. La poli-tica giovanile dell’UCEI, di cui sonoassessore responsabile, deve contra-stare le spinte centrifughe inevitabiliper una minoranza immersa in unasocietà “liquida” che tende a indebo-lire ogni identità e ogni appartenenza.Con l’assessorato ho varato un pianoper coordinare tutte le realtà del set-tore: Ufficio Giovani UCEI, corso dilaurea in Studi superiori ebraici, Col-legio rabbinico, Comunità, movimentigiovanili. E’ nato così, in collabora-zione con gli assessorati ai giovani diRoma e di Milano, il progetto“L’unione per il futuro”: un metododi partecipazione e condivisione cheho esteso poi alle altre comunità.Obiettivi principali sono: rafforzarel’identità giovanile ebraica, stringere ilegami culturali tra movimenti giova-nili ed enti ebraici, istituzionalizzarela partecipazione dei giovani ebrei ita-liani ai seminari europei, formare ec-cellenze, accrescere l’uso dell’ebraico,favorire la partecipazione a progetti discambio universitario con Israele.Concretamente vi sono due situazionimolto diverse da considerare: i bam-bini e ragazzi in età scolastica e i gio-vani dai 18 ai 30 anni. Per il primogruppo è essenziale coinvolgere i ge-

nitori, per il secondo favorire l’attivitàdei movimenti e la formazione. L’ac-coglienza, l’accettazione degli altri, lacollaborazione, la generosità, il ri-spetto reciproco, la volontà di ascol-tare, di mettersi al servizio dellacomunità, sono principi imprescindi-bili che dovrebbero far parte della vitadi ognuno di noi e che l’ebraismo ita-liano ha il compito di trasmettere aipiù giovani. Nel settore della formazione ho realiz-zato un progetto con l’obiettivo di for-nire ai giovani un arricchimento dellecompetenze utili allo svolgimentodelle cariche comunitarie e ho appog-giato i movimenti giovanili ebraici.Essi hanno una storia ricca di fascinoe da sempre svolgono un ruolo essen-ziale nella formazione delle futureclassi dirigenti ebraiche. Sono un pa-trimonio da valorizzare, integrare econfrontare con il panorama europeoaltrettanto qualificato. Particolar-mente significativo è il ruolo del Mac-cabi, organizzazione sportiva ebraicamondiale. L’ebraismo italiano ha for-temente voluto i giochi europei delMaccabi di Roma 2007. Si è trattatodel più grande raduno giovanileebraico che si sia mai tenuto in Italia,un evento entusiasmante. Con esso econ tutto il nostro lavoro cerchiamo diapplicare l’insegnamento contenutonel libro dei Proverbi: “Indica al gio-vane la via da seguire - Neppure davecchio se ne allontanerà” lavorandocosì per il futuro dell’ebraismo ita-liano.

Il futuro è nei giovani

u BENÈ AKIVA: movimento giova-nile ebraico sionista nato nel 1929.Gli ideali riconducono al motto:Torah ve avodah - Bibbia e lavoro.Fondamentali sono lo studio dellaTorah e delle mitzvot, i precettiebraici. Organizza attività settima-nali, campeggi in Italia ed Europa eformazione leadership in Israele.

ú–– Claudia De BenedettivicepresidenteUCEI con delega ai Giovani

u HASHOMER HATZAIR: movimentogiovanile ebraico fondato nel 1913in Galizia. Gli ideali sono ebraismo,sionismo e socialismo. Ogni mem-bro dopo le superiori è incorag-giato a partecipare allo ShnatAchsharà, programma di un annoin Israele in cui si sperimenta l’in-dipendenza e si conosce il paese.

u MACCABI: organizzazione spor-tiva ebraica che nel mondo conta40 mila iscritti. Molti club Maccabifunzionano come centri polifunzio-nali che provvedono non solo al-l’educazione sportiva, ma anche aquella sociale e culturale, promuo-vendo lo sport come stile di vita.

u UGEI : l’Unione giovani ebreid’Italia coordina e unisce le asso-ciazioni giovanili ebraiche: I gio-vani che vi aderiscono hanno dai18 ai 35 anni. Organizza interventi in dibattitipubblici, convegni e manifesta-zioni, campeggi e raduni.

ú– INCONTRO

Tra dispersi e lontani una sfida vitale Riccardo Hofmann Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

Il futuro delle istituzioni ebraiche, la dipersione degli iscritti e la questione dei cosiddettiebrei lontani è stato al centro di un importante incontro-dibattito organizzato allascuola ebraica di Milano. L’iniziativa, che ha visto la partecipazione del presidente del-l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, oltre che di autorevolirabbini da Roma e da Milano, di istituzioni ebraiche e di professionisti, ha richiamatoun significativo pubblico di iscritti e non. Circa 350 persone hanno ritenuto importantepartecipare per dialogare e confrontarsi, con numerosi interventi, su questi temi vitali.La finalità della serata era di far comprendere che queste tematiche sono in cima al-l’agenda delle istituzioni raccogliendo più punti di vista possibili. E l’obiettivo mi sembrasia stato raggiunto. Ora si tratterà di utilizzare lo strumento della statistica (partirà adesempio a Milano un progetto pilota coordinato dall’UCEI); quello della comunicazione,dando visibilità sul nostro portale ai temi dell’avvicinamento degli ebrei lontani; le po-litiche sociali e la cultura, quest’ultima da sempre potente modalità di aggregazione.

u Folla a Trani

per la Giornata

della Cultura

Ebraica

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ú–– Guido Vitale

L’ identità, a volte te la scegli,a volte ti ci adatti, a voltete la sbattono in faccia. Ac-

cade alla gente qualunque e ai pro-fessionisti di successo. Era la vigiliadel grande turbine, stava per scate-narsi il turbine del ‘68, quando PaoloMieli, giovanissimo ha oltrepassatoper la prima volta la soglia di ungrande giornale. Mezzo secolo di storia a cavallo didue millenni che solo pochi giorna-listi italiani sono riusciti ad attraver-sare affrontandone con successo glisconvolgimenti e le sfide. Eppurel’identità, che a seconda dei casi af-fiora o si fa sommergere, pone un in-terrogativo che non ti lascia tregua.“Ci sono state mille occasioni – rac-conta Paolo Mieli – in cui qualcunoha cercato di giustificare i suoi pre-giudizi sottolineando le mie originiebraiche. Qualche volta è un segnoappena percettibile, quasi un tic. Manon ci ho mai dato peso”.

Mai? Nemmeno quando eri in corsa

per la presidenza della Rai e i muri di

Milano grondavano della vernice di

slogan antisemiti?

Quella volta ho pensato che questoè un paese strano. Che capisco, manon giustifico. E ho pensato che amaggior ragione mi sento ebreo.

Anche senza il riconoscimento della

legge rabbinica?

E’ vero, sono ebreo da parte di padree non di madre. Ma nel mio cuoremi sento ebreo. E’ un sentimento chenutro nei confronti dell’identità, dellacomunità. E di Israele.

Torna alla luce l’eredità della tua fa-

miglia?

La famiglia di mio padre veniva daAlessandria d’Egitto. Lui divenne undirigente del Partito comunista ita-liano. Era un laico convinto e solomolto più tardi ha voluto riscoprirea sua volta le radici. Quando per laprima volta sono arrivato in Israeleavevo una scarsissima consapevolez-za della mia identità.

Quando è avvenuto questo primo in-

contro?

Avevo cominciato a lavorare in re-dazione all’Espresso nel 1967. Eromolto giovane, la ferita della Guerradei sei giorni era ancora aperta, nonsolo in Medio Oriente, ma anche in

Italia. La redazione era divisa, ArrigoBenedetti si separò da Eugenio Scal-fari. E nasceva la questione palesti-nese. Ero come tanti miei coetanei schie-rato con l’estrema sinistra. Ma noncredo di aver mai scritto sulla basedi idee preconcette. Una maggiorecomprensione venne per me in oc-casione di un nuovo viaggio versol’area del conflitto, nel 1973.

La Guerra del Kippur ti fece aprire gli

occhi?

Mi resi conto che molti compagnidella sinistra parlavano sulla base distereotipi antisemiti. Gran parte dellepolemiche erano basate su una co-lossale ignoranza dei fatti. Cominciaia domandarmi come mai la parola“palestinesi” non appariva in nessunluogo prima del conflitto del ‘67, esubito dopo tutti ne parlavano come

se si trattasse di una realtà sempreesistita. Questo mi incoraggiò a ri-scoprire me stesso e le mie origini.

Puoi descrivere l’atmosfera che si re-

spirava allora fra gli intellettuali e

nelle redazioni?

Agli ebrei di sinistra si chiedeva, ap-plicando la vecchia logica dogmatica,di testimoniare contro Israele. Gli sci-voloni lessicali sul terreno dell’anti-

/ P6 POLITICA / SOCIETÀ

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Paolo Mieli: “Giornali, cultura, identità.Adesso vi racconto la mia Storia”

Le minoranze sono fondamentali, afferma il direttore dei grandi giornali italiani. Ma devono esaltarsi a vicenda

ú– STORICO E GIORNALISTA

Le radici, le ragioni, le nuove sfideLa Storia, le storie. Il titolo di uno dei libri di Paolo Mieli rappresentabene la sua vicenda di intellettuale impegnato sul fronte dell’attualità gior-nalistica e degli studi accademici. Il nostro dialogo, nello studio all’ultimopiano della sede del gruppo editoriale Rizzoli Corriere della Sera, si dipanaalternando considerazioni, memorie, progetti. In una doppia pagina delCorriere, Mieli ha offerto quest’autunno ai lettori un saggio di come ricercarigorosa e giornalismo possano talvolta coesistere e di come i fogli di ungrande quotidiano possano ospitare anche contributi destinati a durarenel tempo. L’antisemitismo e le influenze ideologiche pagane che hannoinquinato l’ideologia cristiana sono al centro di questa sua ricostruzionemeticolosa e densa di spunti, ma sempre ancorata a solide fonti. E mentreil dialogo attraversa il tempo e getta ponti fra informazione e rigore, frapassato e sfide del presente, Paolo Mieli accetta di lasciarsi cogliere dallamatita di Giorgio Albertini nelle immagini che illustrano queste pagine.

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semitismo si sprecavano. E arrivam-mo a quella bara scaraventata all’ini-zio degli anni ‘80 davanti alla sina-goga di Roma, al terrorismo per col-pire gli innocenti, all’attentato chevide fra le vittime un bambino.

E tu?

Mi sentivo più libero di tanti che siaffannavano a dimostrare plateal-mente la loro coerenza politica. Ilmio approccio era forse meno con-dizionato, era una scelta. Molta li-bertà ed equilibrio nel giudizio hopotuto conquistare anche grazie allostudio della Storia e ai miei maestri.

Direttore per eccellenza dei grandi

quotidiani e ora storico, riscoprendo

i tuoi studi di gioventù, l’esperienza

di assistente di Renzo De Felice. Ti

senti un giornalista o uno storico?

O pensi che le due identità possano

talvolta coincidere?

E’ strano, perché in quanto storiconon sono nessuno e come giornalistaho raccolto invece forse tutte le sod-disfazioni cui in Italia si potrebbeaspirare. Eppure devo rispondereche mi sento uno storico. E l’identitàdello storico è quella che mi accom-pagna, essere uno storico è la linguanativa in cui sogno.

Cosa ricordi di Renzo De Felice?

E’ stata una presenza determinantenella mia vita. Ricordo la sua atten-zione nei confronti del mondo ebrai-co. Mi ha lasciato un grande inse-gnamento. E l’amicizia con un altrosuo allievo, Giovanni Sabbatucci.

Quanto ti ha condizionato l’esperien-

za della contestazione?

I ragazzi del ‘68 sono stati a lungofatti passare per una minoranza diesclusi che doveva battersi contro ilconformismo della massa. In realtàle minoranze erano altre. Gli esclusierano altri.

Sono importanti, le minoranze?

Le minoranze sono la cosa più im-portante, sono la linfa di vita che facrescere la società. Ma per valoriz-zare il loro apporto devono esserecapaci di concepire l’esaltazione del-le altre minoranze, comprendere chele altre minoranze sono a loro voltaimportanti. Non dovrebbero lasciarsitrascinare dalla tentazione di affer-mare la propria identità in manieraesclusiva.

Puoi spiegarti con un esempio?

A me non sono mai piaciuti quegliebrei che commisero l’errore di igno-rare il massacro degli armeni. Quelliche non comprendono che tutte le

operazioni negazioniste sono colle-gate fra loro. Guai a lasciare appigliai pregiudizi di chi vede dappertuttoprivilegi e complicità. L’arroganzadelle minoranze costituisce un gran-de rischio, e misurare il proprio mo-do di proporsi è la sfida maggiore.

Nei lunghi anni della tua esperienza

giornalistica ti sei sentito la voce di

una minoranza, o hai voluto piutto-

sto farti interprete degli umori col-

lettivi? Molti hanno interpretato la

tua esperienza professionale come

un processo coerente di semplifica-

zione della stampa italiana, di mag-

giore sintonia con il mondo della te-

levisione. Appartieni anche tu a quel-

la categoria di direttori che prima di

decidere cosa va in prima pagina de-

vono attendere il telegiornale della

sera prima?

Quando si dirige un quotidiano, iltelegiornale bisogna guardarlo. Maproprio per fare poi tutto il contrario,per costruire qualcosa di diverso. Lacarta stampata, si dice spesso, è incrisi. Ma resto convinto che i giornalicontinueranno a svolgere un ruoloinsostituibile. Solo che la sfida, conlo sviluppo dell’informazione elet-tronica, si fa più difficile, richiede piùcreatività, più capacità di approfon-dimento, più curiosità, più persona-lità. Impone di non limitarsi alla rin-corsa di notizie per forza di cose giàvecchie al momento di andare instampa. Leggere un giornale oggi èquasi come prendere la tessera di unclub. Ai giornali è cambiato il terre-no sotto i piedi e solo quelli che sa-pranno scegliere, proporre, indicarei temi capaci di superare la provadel tempo, mettere in risalto, potran-no sostenere le sfide del futuro.

/ P7

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u PAOLO MIELI

Entra nel mondo nellacarta stampata dagiovanissimo. A 18 anni èin redazione a L’Espresso,dove rimane per circavent’anni. La militanza inPotere Operaio influenza isuoi esordi, ma daposizioni estremiste Mielipassa a toni moderati durante gli studi di Storia modernaall’Università, dove i suoi maestri sono Rosario Romeo eRenzo De Felice. Nel 1985 è a La Repubblica, nel 1990diventa direttore de La Stampa, due anni dopo prende iltimone del Corriere della Sera. Nel 1997 Mieli lascia ladirezione del quotidiano lombardo e diventa direttoreeditoriale del gruppo Rcs. Dopo la scomparsa di IndroMontanelli si occupa della rubrica giornaliera Lettere alCorriere. Nel 2003 viene indicato dai presidenti di Camerae Senato come nuovo presidente della Rai. La sua nomina,però, durerà soltanto pochi giorni. Mieli rinuncia subitonon sentendosi sostenuto, per motivi definiti “di ordinetecnico e politico”, dall’appoggio necessario a una linea

editoriale. Nel dicembre 2004 torna adirigere il Corriere della Sera. Nel marzo

del 2009 ne lascia la direzione perassumere la presidenza Rcslibri. Fra i suoi libri La Storia, le

storie; Storia e Politica -Risorgimento, fascismo,

comunismo; La goccia cinese(Rizzoli).

POLITICA / SOCIETÀ

ú–– Lucilla Efrati

Fino a pochi mesi fa la realtàebraica di Ostia stava tutta rin-chiusa nei libri di archelogia, conle descrizioni della bimillenariasinagoga rinvenuta alla finedegli anni ‘60 e considerata lapiù antica della Diaspora. Maoggi gli ebrei di Ostia tornanodalla storia alla cronaca. Untempo le migliaia di ebrei che vi-vono in zona erano dispersi, nonsapevano nulla l’uno dell’altro,non avevano contatti, né occa-sioni di incontro. Molti di essi, lastragrande maggioranza, pote-vano essere definiti ebrei som-mersi, quelli che non frequentanole sinagoghe, le scuole o altri luo-ghi di aggregazione comunitariae in alcuni casi non sono nean-che iscritti a una Comunità.Oggi Giorgio Foa, come moltialtri che hanno scelto di viveresulla riva del mare, ha voglia dicambiare. A Ostia ha trascorso lasua infanzia, perché suo padre,medico militare, vi aveva trasfe-rito la famiglia per la vicinanzacon il luogo di lavoro. Per Gior-gio è stato naturale, quando si èsposato, rimanere a vivere nellacittadina, farci crescere i suoifigli, oggi adolescenti, fare il pen-dolare ogni giorno per raggiun-gere la banca romana in cuilavora. “I ragazzi frequentano le

scuole locali e le attrezzaturesportive della zona - spiega Gior-gio - gli amici che di solito incon-trano sono in questo ambito,anche se io e mia moglie ci diamoda fare per farli incontrare con icoetanei della Comunità”. Da di-versi anni, infatti, ogni domenicamattina Giorgio da Ostia si di-rige verso Roma per far frequen-tare ai ragazzi i corsi dipreparazione ebraica organizzatiin città. “A cambiare radical-mente la nostra realtà - ricordaGiorgio Foa – è stata una serataorganizzata un anno e mezzo fache ha riunito un gruppo di per-sone con il presidente della Co-

munità di Roma, Riccardo Paci-fici”. “Le attività vere e proprie –continua - sono cominciate su-bito dopo. Abbiamo organizzatole due serate del Seder di Pesache la cerimonia di Lag BaOmer inuna sede provvisoria che ci erastata concessa al Borghetto deipescatori e Rosh Hodesh Elulagli scavi del Tempio di Ostiaantica mentre alcune famigliecon i figli coetanei hanno iniziatoa frequentarsi”. Il resto è storiarecente. A metà settembre l’inau-gurazione dello spazio (200 metriquadri circa) che ospiterà oltre altempio Shirat ha Yam, le inizia-tive rivolte ai circa 3 mila ebreiche vivono nel XIII Municipioromano, ha reso evidente il con-solidarsi di una nuova realtàmoltiplicando le aspettative degliabitanti di Ostia. “Il primogiorno del Capodanno ebraico -

osserva Giorgio - un centinaio dipersone seguivano le funzionisotto il tendone che abbiamo alle-stito. Lo stesso è accaduto ancheil secondo giorno, ed erano per-sone diverse. Gran parte di loronon sarebbe mai riuscita a rag-giungere il centro di Roma per lefeste. Abbiamo raggiunto ungrande risultato”.La struttura che accoglierà la si-nagoga sarà completata fra unanno e mezzo.In questi spazi sa-ranno organizzate le attività so-ciali e centri estivi per i ragazzidella zona e della capitale men-tre sono in arrivo anche i primiprodotti alimentari kasher.

ú– QUI ROMA

Ostia Lido, 2000 annidi attesa e il ritornoalla vita ebraica

Dopo due millenni di silenzio, nella cittadina del lito-rale romano torna la vita ebraica. Dalla sinagoga piùantica della Diaspora alla sinagoga in via di realizza-zione, chiamata Shirat Ha-Yam e intolata alla Canticadel mare dell’Esodo, le speranze e i progetti di mi-gliaia di ebrei, prima dispersi e lontani dal centrodella Capitale, ora al lavoro, in collaborazione con laComunità di Roma, per costruire un futuro migliore.

u Giorgio Foa con la sua famiglia

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I n Israele l’età media della popo-lazione è inferiore a 30 anni. Igiovani ricoprono ruoli di primo

piano nell’economia e persino nelmondo accademico, fioriscono lestart-up guidate da imprenditori un-der 40 e non è raro vedere professorigiovani anche negli atenei più pre-stigiosi. Ma quando si parla di lea-dership politica l’età media è deci-samente alta, proprio come in Italia.Adesso però si incomincia a intra-vedere qualche segno di ri-

cambio generazionale nella classepolitica israeliana. Si vedono faccenuove, aspiranti leader giovani e pro-mettenti. Ma per loro la strada restaancora in salita.

óúúúó

“Il sistema attuale rende molto dif-ficile per un politico giovane raggiun-gere i vertici in modo rapido a livello

nazionale, perché sono i partiti adecidere tutto”, spiega Sam Leh-man-Wilzig, docente di Scienze

politiche all’Università di BarIlan. In Israele non c’è l’elezione di-

retta per i singoli parlamentari: “Que-sto significa che ogni candidato deveguadagnare potere all’interno del suopartito, prima di potere emergere”,prosegue il docente.

óúúúó

Inoltre in Israele si aggiunge un pro-blema in più: “Si tratta di un Paeseche deve spesso affrontare una seriedi problemi seri, o persino esisten-ziali. Dunque anche il pubblico tendea preferire un leader con una mag-giore esperienza, che sappia comeaffrontare le crisi”. “Un fenomeno Obama è pressoché

impossibile in Israele”, prosegue Leh-man-Wilzig. “Ma questo non significache da noi manchino completamentei politici di nuova generazione in gra-do di farsi strada”. Prendiamo TzipiLivni, la leader di Kadima: “Lei è unafaccia relativamente nuova e in pra-tica ha vinto le elezioni - commentail professore - anche se poi non è riu-scita a formare una coalizione”. Livni,del resto, non è l’unico volto nuovoche si sta facendo notare: un proces-so di rinnovamento, seppure lento,è in atto in tutto lo spettro politicoisraeliano. Esistono molti leader, an-cora relativamente sconosciuti al-l’estero, che si stanno affermando inpatria.

Anna Momigliano

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ú–– Franca Rodrigues Garcia

A nna Adorian-Keller nascea Budapest durante la Se-conda guerra mondiale,

ma trascorre l’infanzia e la giovi-nezza in Italia, dove rimane fino al1964, quando deciderà di emigrarein Israele.Il padre, un medico ginecologo lau-reato a Vienna, era stato inviato inItalia alla fine della guerra per curarei superstiti che si trovavano neicampi di raccolta. La famiglia lo se-gue e a Modena nel 1948 nasce laseconda figlia, Edith. Purtroppo lamadre si ammala e muore. Edithviene allevata da una famiglia ebrai-ca di Modena, Anna e il padre sitrasferiscono a Milano. Inutili le richieste di Anna per sa-pere dal padre qualche cosa sullafamiglia di origine, le domande ca-

dono nel vuoto. Come tanti nel do-poguerra, il dottor Keller preferiscetacere, provato dalle vicissitudini edall’essere rimasto solo con duebambine piccole. Anna così crescenella convinzione di non avere pa-renti, al di fuori della sorella Edith. Una volta in Israele Anna conosceMoshè Adorian, i due si sposano emettono su casa nella cittadina diBet El. La donna ora ha una bellis-sima famiglia tutta sua, con figli enipoti. Ma per più di quarant’anniè convinta di non avere altri parentiall’infuori del suo nucleo familiare. Finché qualche mese fa riceve unatelefonata da Parigi. Un investigatore privato le chiedese il suo cognome da ragazza è Kel-ler e se suo padre si chiamava Hein-rich (Enrico) Leo. Risponde di sì,certo che è suo padre. E si sente di-re: “Sua zia Mina Keller di Parigi le

ha lasciato un’eredità”. Anna reagisce con sorpresa e incre-dulità, ma l’investigatore è sicuro diavere trovato la persona che cerca-va. E le sorprese non sono finite.Anche la vicina della casa di fronte,una certa Ruth Patenkin-Keller, e isuoi sette fratelli e sorelle, hanno ri-cevuto la stessa comunicazione dal-lo stesso investigatore.Si scopre infatti che Ruth è figlia diun fratello della defunta zia di Anna,Mina Keller. Dopo la clamorosascoperta e il commosso incontro ditutti i cugini, è stata finalmente ri-costruita la storia della famiglia. “All’inizio non ci credevo, ci homesso almeno una ventina di giorniper metabolizzare tutto”, raccontaAnna Adorian-Keller. “Ma quandomi sono ripresa, ho capito di esserefortunata: per tutti questi anni avevopensato di essere sola e invece ho

trovato questa famiglia straordina-ria”. Keller è un nome abbastanza co-mune tra gli ebrei dell’Europa orien-tale, Anna era convinta che la suavicina non potesse essere anche unasua parente: “Ruth e io avevamoparlato un po’ della nostra omoni-mia - racconta - Ma poi avevamoconcluso che doveva essere solouna coincidenza, perché io ero con-vinta che mio padre fosse nato aVienna”. Invece poi ha scoperto che la fami-glia Keller era polacca: “Mio padrenon mi ha mai raccontato nulla delsuo passato, io avrei così tante do-mande da fare, ma purtroppo oranon c’è più nessuno che può rispon-dermi”.Qualcosa del passato, però, è statosvelato. I nonni Keller avevano avu-to quattro figli, due maschi e due

ú– KOL HA-ITALKIM

Una famiglia ritrovata, dopo mezzo secoloDopo la guerra Anna Keller crede di non avere più parenti: finché scopre che la vicina di casa in Israele è sua cugina

Sentiremo parlare di loro

u GERUSALEMME, I RAGAZZI DEL RISVEGLIO

Negli ultimi due anni a Gerusalemme sta giocando un ruolo cruciale nella po-litica locale il movimento giovanile Hitorerùt, cioè Risveglio. Sono centinaiadi attivisti, soprattutto studenti e quasi tutti sotto i 30 anni, che lottano permantenere la città viva, nonostante le pressioni di alcune frange di estremistireligiosi. Caffé e cinema aperti di sabato, più locali notturni e spazi per i gio-vani: questo il loro programma. Sembra banale? Sarà, ma intanto il lavorodegli attivisti di “hitorerùt” è stato fondamentale per l’elezione del sindaco at-tuale, Nir Barkat. I due fondatori del movimento, Meirav Cohen e Ofer Berko-vitch, ormai sono diventati personaggi pubblici. “I movimenti come Hitorerùtsono molto attraenti per i giovani, ma difficilmente diventeranno dominanti -mette le mani avanti il politologo Lehman-Wilzig -Presto però potrebbero otte-nere qualche seggio di protesta in Parlamento”.

ROTHSCHILD BOULEVARD

“Ruth e io avevamoparlato spesso dellanostra omonimiapensando fosse solo unacoincidenza. Quand’èarrivata la notizia dellanostra parentela ci homesso un po’ ametabolizzarla.Quando mi sonoripresa, ho capito diessere fortunata:pensavo di essere sola eho trovato questafamiglia straordinaria”.

u ARIEL ATIAS

Classe 1970, è l’astro nascente del par-tito religioso Shas. A meno di qua-rant’anni ha già ricoperto dueposizioni di primo piano nel governo: èministro delle Costruzioni dell’attualeesecutivo e aveva il portafoglio delleTelecomunicazioni in quello prece-dente. Per il momento la leadershipdello Shas è contesa tra due veterani:l’attuale presidente Eli Yishai (46anni) e il suo predecessore Aryeh Deri(50). Però Atias, giovane e telegenico,appare spesso sui media nazionali perrappresentare il partito e per questo stadiventando molto conosciuto tra ilgrande pubblico. Tra i due litiganti...

u Sam Lehman-Wilzig,

professore del dipartimento di

Studi politici alla facoltà

di Scienze sociali, Università

Bar-Ilan - Tel Aviv

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A cosa porterà questo vertice?

A una collaborazione sempre piùintensa tra i due Paesi. Israele hauna grandissima capacità di ricercascientifica e investe moltissimo;l’Italia ha un know how unico nel-la capacità di collocare sul mercatoi prodotti della ricerca. Prendiamol’agroindustria: Israele è avanzatis-simo nella tecnologia agricola egenetica legata all’agricoltura; l’Ita-lia ha forti capacità nell’ambito del-la conservazione, del packaging edella distribuzione dei prodotti.

Cosa l’ha colpita di più di Israele?

La sensazione di tornare alle radici.Per me è stato un entrare nel cuoredella nostra tradizione giudaico-cristiana. Ho sentito un forte sensodi appartenenza. E poi vedo unaforte cultura comune.

Non pare evidente...

Il gusto della tradizione, il rispettoper la famiglia, il modo di guardareil futuro attraverso i figli, la tuteladella dimensione sociale, l’amoreper la discussione politica, che co-me in Italia entra nella vita quoti-diana, l’impegno in grandi dibattitietici, il rispetto della vita indivi-duale e la capacità dei due Paesidi trovare unità emotiva al di làdei contrasti politici, come abbia-mo constatato in Italia con la stra-ge di Kabul, e come avviene inIsraele per il soldato Shalit.

E la vita quotidiana a Tel Aviv?

Potrei riassumerla con la parola vi-talità. Questo è un Paese estrema-

mente vitale, creativo, la cultura èvivacissima e l’interesse per l’arte,la musica, la letteratura, il cinemad’autore, l’architettura, è un feno-meno di massa. C’è un forte sensoestetico, ed è un Paese giovane: il30% della popolazione ha menodi 14 anni. Come l’Italia, poi, Israe-le è piena di tesori.

Perché allora Israele gode di una

cattiva immagine anche in Italia?

Non sono d’accordo. A parte al-cuni settori davvero marginali, l’Ita-lia è uno dei Paesi in cui è più fortela consapevolezza dei diritti diIsraele. La questione della cattivaimmagine, a livello internazionale,è però una realtà. Anche qui ci sichiede perché Israele ha tante dif-ficoltà a far valere le sue ragioni disicurezza, addirittura il suo dirittoall’esistenza. Ma sta nascendo laconsapevolezza che è necessariocomunicare meglio. Finora non c’èstata una vera strategia di comu-nicazione. Israele si limitava a ri-badire che è un paese democraticoe non ha bisogno di controlli in-ternazionali nell’espletare ciò cheè necessario alla propria sicurezza.Ma non basta, in un mondo cosìinfluenzato dai media.

Lei intravede qualche nuova spe-

ranza di pace?

Ne sono convinto, e non per puroottimismo. Mai come ora StatiUniti ed Europa sono stati così insintonia sul processo di pace. Esi-stono le premesse giuste, spero siabbia il coraggio di coglierle.

“La vitalità di Tel Aviv mi ha stregato” ú–– Viviana Kasam

È entusiasta di Israele. Come la moglie Stefania e il figlio Tommaso, dodicianni. Luigi Mattiolo, da un anno ambasciatore italiano a Tel Aviv, qui sisente a casa sua. Israele, spiega, ha molto in comune con l’Italia: “Sonodue facce di una stessa medaglia”. Infatti, dice, “l’Italia è il primo Paesein Europa e il secondo al mondo per numero di progetti bilaterali a livelloindustriale, scientifico e tecnologico”. Durante l’ultimo incontro tra Ber-lusconi e Netanyahu si è raggiunto un accordo (“che abbiamo con po-chissimi Paesi”) per indire ogni anno un vertice governativo bilaterale,“il livello più alto possibile di dialogo politico”. Il primo è previsto perl’inizio del 2010.

u Luigi Mattiolo,

da un anno

ambasciatore

italiano a Tel

Aviv, insieme alla

moglie Stefania

femmine. A un certo punto si sepa-rarono. Il nonno con il figlio mag-giore e padre di Anna abbandonòla Polonia mentre l’altro figlio Shi-mon, padre di Ruth, si stabilì nel1934 in Palestina, dove ebbe ottofigli. Prima della Shoah, anche la madre

lo raggiunse. Mentre delle due so-relle una fu deportata e l’altra vissea Parigi, sposata ma senza figli. An-na e Ruth vicine di casa ed amichescoprono di essere anche cugine edi avere una nonna in comune. Che,non a caso, portava anche lei il no-me Anna.

u Anna e Ruth Keller,

insieme alla loro famiglia,

tengono la fotografia

della loro nonna.

u ISAAC HERZOG

Non è anagraficamente giovanissimo né tanto meno uno sconosciuto. Ma IsaacHerzog, 48 anni e un posto di ministro del Welfare nell’attuale governo, è certa-mente il simbolo di un tentativo di rinnovamento nella sinistra israeliana. Perquasi 15 anni il partito laburista non ha avuto alcun cambio di guardia: alla suaguida si sono sempre alternati, salvo una brevissima pausa, Shimon Peres (l’at-tuale presidente della Repubblica, 86 anni) ed Ehud Barak (attuale vicepremier,67). Ma nell’ultimo congresso un gruppo di parlamentari ribelli, capitanati daHerzog, ha cominciato a mettere in dubbio la leadership di Barak, che era già statoprimo ministro un decennio fa. Le primarie non si faranno fino al 2012, ma Her-zog si è già distinto come uno dei papabili successori. “E’ possibile che la sfida diHerzog porti qualche risultato, ma se ciò avverrà sarà soprattutto grazie alla suaesperienza”, commenta Lehman-Wilzig. Figlio dell’ex presidente della RepubblicaHaim Herzog e nipote del celebre rabbino irlandese suo omonimo, Isaac Herzog siè distinto per le sue posizioni liberali sui temi etici: tra le altre cose, ha promossouna legge favorevole all’adozione per le coppie omosessuali.

u ANASTASIA MICHAELI

E’ il volto più mediatico del partito nazionalista Yisrael Beitenu. Sarà il suo bel-l’aspetto, o forse il suo passato da giornalista televisiva che le permette di muo-versi senza sforzo nel mondo dei media. O, più probabilmente, sarà che a soli 35anni ha già sfornato otto figli e che quindi in casa Michaeli ce n’è sempre una daraccontare. Sta di fatto che questa giovane parlamentare, nata in Russia e immi-grata in Israele nel 1997, ha stregato la stampa israeliana. C’è chi la considerauna grande comunicatrice e chi invece vede in lei solo un prodotto ad uso e con-sumo delle televisioni. La storia di Michaeli è però senza dubbio affascinante: nataa San Pietroburgo da una famiglia cristiana, da adolescente ha sperimentato unabreve carriera di modella ed è stata la fidanzata di un oligarca. Poi si è laureata iningegneria, all’università ha conosciuto un ragazzo ebreo, si è convertita e ha de-ciso di trasferirsi con lui in Israele. E prima di entrare in politica ha lavorato peranni in una tv israeliana di lingua russa.

I partiti si preparano al ricambio generazionale. Tre facce nuove e un movimento giovanile

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ú–– Daniel Reichel

“V i piace votare ogni an-no? Trasferitevi in Israe-le”. Per quanto sempli-

ce, questa barzelletta riassume in sémolti dei problemi del sistema po-litico israeliano. Che sotto moltiaspetti somiglia a quello italiano: go-verni deboli, maggioranze fragili erisicate, un eccessivo numero di par-titi e partitini alla Knesset, il Parla-mento unicamerale di Gerusalemme.I governi cadono frequentemente,tanto che dal 1948 a oggi ci sonostate ben 18 elezioni e 20 esecutivi.E anche quando riescono a rimanerein carica a lungo, le coalizioni si tro-vano spesso ostaggio dei piccoli par-titi. Finora sono stati redatti moltiprogetti di riforma con l’intento dicambiare e migliorare il sistema.Peccato però che nessuno sia maiandato in porto.

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Gli israeliani sono i primi a rendersiconto che il sistema va cambiato. Sene rendeva conto già David Ben Gu-rion, al tempo della nascita dello Sta-to: “Non credo che la candidaturadi ventuno partiti alle elezioni dellaKnesset in un Paese di sei-settecen-tomila abitanti sia espressione di de-mocrazia o di maturità sociale”, dissenel 1949. “Come ebreo, mi vergognodi questo fenomeno malato”. E sene rendono conto, oggi più che mai,gli esperti: serve una riforma che as-sicuri una maggiore governabilità.Come sostiene Sergio Della Pergola,demografo dell’università di Geru-salemme: “La democrazia va gove-nata. L’esecutivo non può rimanereprigioniero di piccoli interessi, biso-gna guardare al bene del Paese “. Re-sta da chiedersi, dunque, da dove na-sca il problema e quali siano le pos-sibili soluzioni. Israele è una democrazia parlamen-tare che utilizza il proporzionale pu-ro, su un collegio unico e con unasoglia di sbarramento assai bassa. Ec-co una panoramica delle proposte di

riforma avanzate finora.

Soglia di sbarramento?

La priorità, certo, deve essere ridurreil numero di partiti nella Knesset:“eliminare i nanetti”, per utilizzarel’espressione del politologo italianoGiovanni Sartori, ossia quei mini-partiti che a volte hanno il potere ditenere in ostaggio una coalizione. Ilprofessor Della Pergola consiglia dialzare la soglia di sbarramento: oggiè al 2%, ma basterebbe alzarla al3,5% per eliminare ben sei piccolipartiti (il comunista Hadash, il so-cialista Meretz, gli arabi Ra’am–Ta’ale Balad, gli ultra-ortodossi Ha’IhudHa’Leumi e HaBayit HaYehudi). Losbarramento permette una politicapre-elettorale diversa, a cominciareda una maggiore coesione fra partiti

simili e l’accorpamento di alcuni diessi. Inoltre, per ottenere un maggiornumero di voti i partiti sarebberocostretti ad allargare i propri obiettiviverso interessi più generali e non so-lo di singole categorie, con evidentibenefici per tutto il Paese: “Troppospesso le leggi in Israele vengonofatte per accontentare alcuni gruppie non per il bene comune”, spiegaDella Pergola.

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Come il parlamento palestinese?

Israele poi è uno dei pochi Stati almondo dove le elezioni si svolgonoin un collegio unico – quasi tutto ilPaese fosse un’unica grande urna.Un’altra proposta, di conseguenza,

è l’introduzione del voto su base col-legiale con la suddivisione del terri-torio in diverse circoscrizioni. “L’in-troduzione delle circoscrizioni da-rebbe alle persone una sensazionedi più stretta connessione con il si-stema centrale”, afferma AsherArian, membro dell’Israeli Demo-cracy Institute. Inoltre eviterebbe al-cune anomalie, fra cui la poca rap-presentanza locale. Per esempio unmodello valido è quello utilizzatodal parlamento dell’Autorità nazio-nale palestinese: composto da 132seggi, di cui metà eletta con il pro-porzionale in una circoscrizione uni-ca (si vota il partito) e metà nei sedicidistretti elettorali, dove si vota suuna lista di candidati e a ciascun di-stretto corrisponde un tot di seggi,variabile in base alla popolazione.

Elezione diretta del premier?

Nel 1992 Israele ha introdotto unalegge che consente, in alcuni casi,l’elezione diretta del premier: “Conl’introduzione dell’elezione direttadel primo ministro, Israele ha cessatodi essere una democrazia parlamen-tare pura”, ha commentato PaolaTorretta, ricercatrice di Diritto pub-blico all’Università di Perugia. Lalegge prevede la possibilità di indirespecial elections, soltanto per il primoministro, in modo da bypassare loscioglimento contestuale della Knes-set e del governo. Ma il premier con-tinua a dovere rendere conto al po-tere legislativo e deve essere unmembro del Parlamento. “Le finalità perseguite dalla riformaattuata nello Stato di Israele – spiegaTorretta – erano quelle di migliorareuna situazione politica deteriorata edi aumentare la governabilità”. Pec-cato però che i risultati delle due ele-zioni successive, nel 1997 e nel 1999,non abbiano dati i risultati sperati:le coalizioni di governo che ne usci-rono erano molto variegate e difficilida tenere unite. In altre parole, l’in-trodurre l’elezione diretta del pre-mier fu come “andare in Inghilterrasenza i partiti inglesi”. Conclusione?“La modifica del sistema elettoraleda sola si è rivelata insufficiente aprodurre la dialettica bipolare che siera prefissa”, perché la forma non èriuscita a modificare la sostanza delleprofonde divisioni nella società israe-liana.

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Resta il fatto che di una riforma inIsraele si sente molto il bisogno. Ungoverno stabile e forte è una neces-sità imprescindibile per ogni Paese:sicuramente bisogna dare spazio allediverse voci, ma non si può lasciareche un partito con il 4% faccia ilbrutto e il cattivo tempo nella poli-tica israeliana. L’auspicio è che non sia necessarioarrivare al disastro per attuare deicambiamenti. Come si suol dire:“Prima si fa, meglio è”.

/ P10 ERETZ

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Sognando una riforma elettoraleEsecutivi fragili, elezioni troppo frequenti: Israele ha un problema di governabilità

Ecco qualche proposta per risolverlo. Obiettivo principale: ridurre il numero dei partiti

סבבה SABABA

Letteralmente “ok”, “a posto”, “bene”, sababa è un termine slangche deriva dall’arabo, forse introdotto dagli immigrati iracheni.Per metà degli israeliani (in genere quelli sotto i trenta) è unpassepartout per qualsiasi domanda. Come stai? “Sababa”. Co-m’era il concerto? “Sababa”. Ci vediamo stasera? “Sababa”. Perl’altra metà degli israeliani (in genere i genitori di quelli che loutilizzano) è un intercalare infantile e fastidioso.

משפתה MISHPAHÀ

La famiglia, o mishpahà, ricopre un ruolo fondamentale nellasocietà israeliana – che in questo risulta molto simile a quellaitaliana. Spesso i figli vivono in casa fino al matrimonio e mantengonorapporti strettissimi con i genitori anche una volta sposati. Aloro volta, i genitori non considerano strano aiutare economi-camente anche i figli adulti.

AL HA-ESH על האש

Letteralmente “sul fuoco”. Il barbecue è lo sport nazionale dellefamiglie israeliane, che spesso accompagna le festività e le ri-correnze più importanti: compleanni, feste di laurea, cene delweekend e, forse sotto influenza americana, la Festa dell’Indi-pendenza (la prossima cadrà il 20 aprile). Un “Al Ha-esh” non èun vero “Al Ha-esh” senza spiedini iper-speziati e mille insalatemediorientali di condimento.

DIZIONARIO MINIMO

I DATI DEL VOTO

1951 1955 1959 1961 1965 1969 1973 1977 1981 1984 1988 1992 1996 1999 2003 2006 2009

6.000.000

5.000.000

4.000.000

3.000.000

2.000.000

1.000.000

0

–––– AVENTI DIRITTO–––– VOTI VALIDI

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O biettivo: riportare i cervellia casa. Per raggiungerlo, ilgoverno israeliano ha va-

rato un piano da 1,6 miliardi di she-kel, cioè circa 293 milioni di euro.Insomma, un fondo per attirare inpatria le migliori menti pensanti, chespesso cercano e trovano fortunaall’estero. Sembrerà strano, ma la fu-ga dei cervelli comincia a essere unproblema anche in quella che è spes-so definita (e a ragione) “la TerraPromessa della tecnologia” e “il Pae-se della cuccagna dei ricercatori”.Un problema che le autorità pren-dono molto sul serio e che voglionostroncare sul nascere. Anche a costodi investire molto denaro.

óúúúó

Per carità, i ricercatori in Israele nonse la cavano affatto male. Dalle uni-versità di Haifa, Gerusalemme e TelAviv escono tra i migliori al mondo,specialmente nel campo dell’inge-gneria, dell’elettronica, delle scienzemediche e delle biotecnologie. I cen-tri d’eccellenza per la ricerca appli-cata non mancano. Per esempiol’Istituto Weizman per le Scienze diRehovot, che ha sfornato l’ultimopremio Nobel per la Chimica: la bio-

loga Ada Yonath (nella foto). E chenegli ultimi ha sfornato due premiTuring (il “Nobel dell’Informatica”),un premio internazionale Wolf perla chimica e quattro per la medicina.Oppure il Technion di Haifa, da cuiprovengono i due Nobel per la Chi-mica 2004: Avram Hershko e AaronCiechanover, premiati per avere sco-perto il funzionamento della proteina“ubiquitina”, che potrebbe esserecruciale nella cura del cancro. Anche sul piano della retribuzione,la ricerca è messa molto meglio ri-spetto a quasi tutte le nazioni euro-pee. In Israele un ricercatore vienepagato in media 75 mila euro lordil’anno. Più del doppio rispetto al-l’Italia. E molto di più anche rispettoa nazioni europee considerate terrafertile per la ricerca, come l’Olanda,la Svezia e la Francia, dove le retri-buzioni medie variano tra i 66 e i 50mila euro.

óúúúó

Le cifre provengono da uno studiopubblicato nel 2008 dall’Anpri, As-sociazione nazionale professionistiper la ricerca italiani. Che infatti pro-nuncia un verdetto netto: “Il Paesedella cuccagna è Israele, dove un ri-cercatore guadagna in media più del120% rispetto all’Italia”. Anche sepoi aggiunge: “Ma lì, forse, i tantisoldi non riescono a compensare letensioni esistenti”. Ma evidentemente le condizioni at-tuali non bastano a trattenere i cer-velli migliori in Israele. Infatti si stimache tra i 15 e i 20 mila israeliani spe-cializzati in alta tecnologia lavorinoall’estero. Attratti dagli alti stipendi,soprattutto nel settore privato sta-tunitense.

La stessa Elbit, azienda israelianaconsiderata tra i leader mondialinell’ingegneria aeronautica, ha lan-ciato l’allarme: “La legge della sele-zione naturale sta attirando i miglioriall’estero per ragioni economiche”,ha detto Chaim Russo, direttore ge-nerale della sezione elettro-ottica.Russo partecipa al programma go-vernativo per il “rimpatrio dei cer-velli” in qualità di privato non retri-buito. E’ convinto che anche leaziende devono essere disposte a so-stenere parte dei costi: “Alla fine, iprofitti più alti ci ripagheranno del-l’investimento”.

La tecnologia da sola rappresenta il9% del mercato del lavoro israelianoe il 31% delle esportazioni. Il pianoper bloccare l’emorragia dei ricer-catori è stato varato nel gennaio diquesto anno dall’esecutivo prece-dente, ma ora è stato ampliato dalgoverno attuale. Coinvolge i mini-steri dell’Industria, del Commercioe dell’Immigrazione. Prevede percorsi e fondi separati perl’industria privata, per il settore pub-blico e per la ricerca universitaria.Se tutto procede come dovrebbe,Israele dovrebbe riportare 500 cer-velli a casa nei prossimi cinque anni.

Intanto, ancora prima che il pro-gramma governativo fosse varato,alcuni istituti hanno cominciato adaffrontare il problema individual-mente. L’istituto Weizman ha speso30 milioni di dollari per attirare igiovani scienziati israeliani che la-voravano all’estero. Il piano ha fun-zionato: 34 ricercatori si sono giàtrasferiti dagli Stati Uniti per lavorareal centro ricerca di Rehovot. Tra loroanche la genetista molecolare MayaSchuldiner che così come altri suoicolleghi ha festeggiato il Nobel con-quistato dall’istituto.

a.m.

ERETZ / P11

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Un piano per riportare i cervelli in Israele

Gli stipendi dei ricercatori sono già molto più alti che in Europa.Fra i migliori, però, molti scelgono l’America. Ora il governo, fiero

di un nuovo Nobel, vuole bloccare l’esodo con nuovi incentivi

RICERCATORI: EUROPA E ISRAELE A CONFRONTO

NAZIONE STIPENDIO MEDIO

Israele 75.000

Paesi Bassi 65.900

Svizzera 62.300

Svezia 51.900

Francia 50.800

Regno Unito 50.300

Italia 34.200

Grecia 32.00

Fonte: Anpri, Associazione nazionale professionisti della ricerca italiani. Dati 2008, espressi in euro, stipendio anno lordo.

u Ada Yonath,

premio Nobel

israeliano per la

Chimica 2009

(condiviso con due

americani). Yonath

ha “mappato i

ribosomi a livello di

atomi”, aprendo la

strada a nuovi

antibiotici. Lavora

all’Istituto

Weizmann.

u Maya Schuldiner al Weizman

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/ P12 ORIZZONTI

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LondraUn nuovo tatuaggio per Victoria Beckham

in omaggio alle radici di David

L a coppia di celebrities più famosa delRegno Unito ha festeggiato il decimoanniversario di matrimonio con un nuo-

vo tatuaggio... in ebraico. A ridosso del suo an-niversario di nozze, l’ex Spice Girl Victoria Bec-kham si è fatta fotografare dai paparazzi con unil braccio tatuato da una scritta in ebraico: “In-sieme per sempre, fino all’eternità”. Un omaggioa suo marito David, il famoso calciatore, e nonsolo per la promessa d’amore eterno. Infatti Da-vid Beckham, che aveva una nonna ebrea, tienemolto alle sue radici. Egli stesso si era fatto tatuare un proverbio ebraico:“Non dimenticare i miei insegnamenti, custodisci i miei comandamenti neltuo cuore”. Allora alcuni tabloid riportarono che l’ex Spice non approvò perniente la scelta del marito. Sarà. Ma ora deve avere cambiato idea. Anchese a dire il vero il concetto stesso di “tatuaggi ebraici” è controverso: moltirabbini ritengono infatti che i tatuaggi siano proibiti. Ma ora deve avere cambiato idea. Anche se a dire il vero, il concetto stessodi “tatuaggi ebraici” è controverso: molti rabbini ritengono infatti che itatuaggi siano proibiti.

New YorkNegli Usa una nuova scuola che di ebraico ha solo la lingua

C’è una nuova scuolanella Grande mela. Ladirettrice è afro-ame-

ricana, gli studenti sono di tuttii colori e di tutte le religioni:neri, bianchi, asiatici, cristiani,musulmani ed ebrei. Le lezionisi svolgono in due lingue: l’in-glese e l’ebraico. E’ la HebrewLanguage Academy CharterSchool, che ha aperto i bat-tenti a Brooklyn con l’inizio di questo anno scolastico.Fa parte di una serie di esperimenti di charter school –ossia scuole pubbliche finanziate dallo Stato, ma che go-dono della stessa autonomia degli istituti privati – re-centemente avviati nell’area di New York. Per legge lecharter school non possono avere connotazioni religiose,visto che ricevono fondi statali. E infatti la Hebrew Lan-guage Academy non dedica alcuno spazio all’insegna-mento della cultura e della religione ebraica. Semplice-mente, come molte altre charter school, la scuola utilizzauna seconda lingua, affiancata in tutto e per tutto all’in-

glese: in questo caso, l’ebraico.Alcuni hanno contestato ladecisione, sostenendo che unascuola in ebraico finirà per for-za per promuovere i valoridell’ebraismo. Polemiche si-mili si erano verificate lo scor-so anno, quand’è stata inau-gurata una charter school cheutilizza l’arabo come secondalingua. E che non ha nulla a

che fare con la religione musulmana, tanto che era statadedicata al poeta cristiano libanese Khalil Gibran. Anchenel caso della Hebrew Academy, il nome della scuolaparla chiaro: il termine “Hebrew” in inglese si riferiscealla lingua (l’aggettivo adatto alla religione sarebbe “Je-wish”, ma noi in italiano non abbiamo questa distinzione).“Ogni opportunità di imparare una seconda lingua è unbeneficio per gli studenti, che si tratti di ebraico o qualsiasialtra lingua poco importa”, commenta la direttrice Mau-reen Gonzalez-Campbell (nella foto). Che, per la cronaca,non parla l’ebraico.

Due sindaci in prima linea per il dialogo tra le religioni

Ad Amsterdam e Rotterdam, Job Cohen e Ahmed Aboutaleb lavorano a costruire ponti tra le culture

OLANDA Uno è ebreo, l’altro èmusulmano, entrambi vivono in unPaese che recentemente è stato scos-so dalle tensioni etniche e religiose.Job Cohen e Ahmed Aboutaleb han-no molto in comune. A cominciaredal loro lavoro di sindaco: Cohen èil primo cittadino di Amsterdam,mentre Aboutaleb è il sindaco diRotterdam. Ma c’è dell’altro: su tuttie due grava una condanna a morte,una minaccia lanciata da estremistiche dicono di agire nel nome del-l’Islam. La “condanna” risale al 2004,quando un giovane fanatico ucciseTheo Van Gogh, autore di un filmdi denuncia sulle condizioni delledonne nelle società islamiche. Sulcorpo del regista assassinato fu tro-vata una lettera che incitava al jihadglobale e che stilava una macabra li-sta di “sionisti, crociati e traditori”da eliminare. Tra questi, figuravano i nomi di Co-hen e di Aboutaleb: il primo alloraera già sindaco di Amsteram, mentreil secondo era il suo braccio destro,quale consigliere all’Educazione eall’Integrazione.Da allora, nonostante le minacce,Cohen e Aboutaleb hanno continua-to nel loro credo: costruire una so-cietà multiculturale fondata sul dia-logo. Non è un caso se Amsterdam

è stata una delle pochissime città arimanere pressoché indenne da que-gli atti ed episodi di violenza che im-perversavano nel resto del Paese al-l’indomani dell’omicidio di VanGogh: pestaggi, risse, incendi a chie-se e moschee. “In questa città nonabbiamo avuto incidenti, probabil-mente perché abbiamo agito subito- sottolinea il primo cittadino di Am-sterdam - Ovviamente abbiamo avu-to dibattiti molto accesi e a volte so-no volati insulti, ma qui abbiamocontinuato a parlare”. Cohen ha por-

tato avanti con forza la sua politicainclusiva: “Non vogliamo che la gen-te sia semplicemente tollerante, vo-gliamo che le persone interagiscanofra di loro e si conoscano”. Il Time lo considera “eroe europeo”.Secondo classificato ai “World Ma-yor Award” del 2006, la classificaannuale in cui vengono nominati imigliori sindaci del mondo, Cohenè noto per le sue capacità nel gestireuna città come Amsterdam, che con170 nazionalità diverse per 750 milaabitanti, è epicentro di una multicul-

turalità caratteristica di tutta l’Olan-da. “Gli immigranti fanno da sempreparte di Amsterdam che era e rima-ne una città tollerante , – raccontail sindaco al Time – Qui gli ebrei nondevono aver paura di camminare perle strade con la kippah, i marocchinipossono trovare lavoro e gli omo-sessuali non sono insultati”.Di Aboutaleb invece dicono che èl’Obama di Rotterdam. Oggi è sin-daco del più grande porto d’Europa,che nel 2020 sarà abitato per oltrela metà da cittadini di origine stra-

niera. Come il suo collega e amicoCohen, Aboutaleb propone una po-litica del confronto. “Il mio compitoè quello di costruire ponti”, raccontain un’intervista all’inglese Guardian.E aggiunge “Rotterdam si presta be-ne a questo scopo. Questa è la cittàdai grandi progetti dove il limite èil cielo, ma è anche un posto in cuipovertà e miseria raggiungono livellimolto alti. Io dovrò essere il sindacodi tutti, del ricco uomo d’affari quan-to del ragazzo del Suriname che cer-ca di tirare avanti sino alla fine delmese”. Soprannominato Mr. Allochtoon,Signor Straniero, Aboutaleb è il sim-bolo dell’integrazione: nel 1976 lasciail Marocco con la famiglia e tren-t’anni dopo è il sindaco della secon-da città olandese. “Se riuscirò nelmio compito – dice – sarà un ele-mento chiave per persuadere le co-munità di immigrati che qualsiasiposizione sociale è accessibile”. In-sulti, intimidazioni, minacce di mortenon hanno fermato né Cohen néAboutaleb nel proseguire la loro po-litica per il consolidamento di unasocietà multiculturale e tollerante.Non utopia ma pragmatismo: se sivogliono evitare nuove violenze,creare ponti è l’unica strada.

Daniel Reichel

u Job Cohen u Ahmed Aboutaleb

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VilniusIn salvo l’antico cimitero lituano

Non si potrà più costruire sulle rovine del cimitero ebraico di Vilnius.Attivo soprattutto tra il sedicesimo e diciottesimo secolo, l’anticocimitero fu in gran parte distrutto dai nazisti, anche se alcune tombe

sono rimaste intatte. Nel 2005 le autorità cittadine avevano autorizzato lacostruzione di una serie di appartamenti in quel luogo, provocando una duraprotesta da parte di tutte le comunità ebraiche d’Europa. Dopo quattro anni di battaglie legali, le autorità lituane hanno deciso dibloccare le costruzioni: secondo il nuovo piano, approvato dalla Commissioneper la salvaguardia dei cimiteri ebraici in Europa e dalla Comunità ebraicalituana, gli appartamenti già costruiti rimarranno dove sono ma per il restol’antico cimitero godrà di uno statuto protetto.Un tempo la Lituania ospitava una delle più attive e vibranti comunitàebraiche d’Europa, tanto che ancora oggi si parla di ebraismo lituano perindicare una scuola molto erudita e concentrata sullo studio dei testi, mentrenon a caso Vilnius era soprannominata “la piccola Gerusalemme”. Primadella Shoah più di 200 mila ebrei vivevano in Lituania più di 200 mila ebrei:oggi ce ne sono appena cinquemila.

DamascoLa soap opera del Ramadan

dedicata alla diva Layla

E’ dedicata alla vita di Layla Murad,l’ebrea egiziana che fu la leggendadella musica e del cinema arabo

negli anni Quaranta, l’ultima delle “soapopera del Ramadan” di successo. Ovverole telenovelas che spopolano in tutto il mon-do arabo durante il mese sacro dei musul-mani, quando amici e parenti si trovano riu-niti di sera per rompere il digiuno... spessodavanti alla televisione. Layla Murad (1918-1995) è entrata nella storia della cultura poparaba con decine di canzoni e film di suc-cesso. La sua vita fu molto travagliata: trematrimoni e tre divorzi, tutti con l’affasci-nante attore e regista Anwar Wagdi, e una carriera messa in difficoltà all’iniziodegli anni Cinquanta dalle accuse di essere filo-sionista. A lei è dedicata laserieAna Albi Dalili (“Il mio cuore è la mia guida”, una delle sue canzonipiù famose), andata in onda in 14 Paesi arabi durante il Ramadan. La serietenta di combattere alcuni pregiudizi contro gli ebrei che ancora sono diffusiin molte nazioni musulmane. La regia è di Mohammad Zuhair, mentre laparte principale è recitata da Safa Sultan: entrambi sono siriani.

Il presidente Zumalancia un appello“Ebrei, tornate”

SUDAFRICA In Sudafrica esisteuna comunità ebraica antica e, finoa poco tempo fa, numerosa: circaottantamila persone, i primi dei qualisi stabilirono a Città del Capo nel1652. In questi ultimi anni il numerodi ebrei presenti in Sudafrica è peròcalato drasticamente di oltre un ter-zo, a causa di consistenti flussi mi-gratori verso Israele, Australia e StatiUniti. Un esodo tuttora in corso.Il rischio che in un tempo piuttostobreve la presenza ebraica in Suda-frica diventi solo un ricordo sembrapreoccupare molto Jacob Zuma, pre-sidente della Repubblica e leader del-l’African National Congress (Anc).“Dobbiamo impegnarci per invertireil trend”, ha detto il capo di Statodurante un recente incontro con Ro-nald Lauder, presidente del Con-gresso ebraico mondiale. “Il messag-gio che vorrei mandare agli ebreiche hanno lasciato il Paese per an-dare a vivere e lavorare all’estero -ha proseguito Zuma - è che il Su-dafrica rimarrà per sempre casa loroe saranno sempre i benvenuti, qua-lunque contributo possano offrirenella costruzione di un futuro mi-gliore per questa grande nazione”.Una presa di posizione importante,utile per cercare di ricucire lo strap-po che si è creato negli ultimi annitra l’Anc e le comunità ebraica su-dafricana, dopo che sono riprese nu-merose campagne di boicottaggionei confronti di Israele e sono au-

mentati gli episodi di antisemitismonel Paese, non sufficientementeosteggiati da una parte dell’Anc. Il messaggio di Zuma sottolinea l’im-portanza della presenza ebraica inSudafrica, fondamentale per la co-struzione di un futuro migliore. Forsesi tratta di buonismo “politichese”,ma il contributo dato dagli ebrei alPaese, soprattutto nell’ambito dellegrandi battaglie civili che hanno se-gnato e segnano ancora la storia diquesta nazione, è un fatto oggettivo.Meriterebbero maggiore pubblicitàalcune vicende poco conosciutedall’opinione pubblica mondiale. Co-me quella della scrittrice NadineGordimer, premio Nobel per la Let-teratura nel 1991, che aiutò a scri-vere il discorso difensivo di NelsonMandela al tristemente celebre pro-cesso di Rivonia. Oppure le battagliecontro l’apartheid di Helen Suzman,che fu una delle primissime persone

a dichiararsi pubblicamente contrariaalle politiche razziste messe in attodal National Party nei confronti deineri. Oppure ancora la vicenda diRuth First, l’attivista anti-apartheiduccisa da un pacco bomba in Mo-zambico, dove viveva in esilio permotivi politici.Adesso Zuma, la cui vittoria eletto-rale aveva fatto storcere il naso abuona parte del mondo ebraico,sembra aver teso la mano in segnodi amicizia. “Uno degli obiettivi prio-ritari che mi sono posto è quello dipreservare l’unità del Paese, tutelan-do allo stesso tempo le diverse mi-noranze che lo compongono e ar-ricchiscono”, dice il presidente. Leparole, è risaputo, volano. Sarebbemolto importante che questa voltavenissero seguite dai fatti, è stato ilcommento degli ambienti ebraici.

a.s.

u Layla Murad

u Il cimitero ebraico di Vilnius

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G li straordinari risultati conseguiti daIsraele nel campo delle alte tecno-logie affondano le loro radici negli

anni Novanta e riflettono il concorso di diversifattori: le esigenze di sviluppare tecnologie ditelecomunicazione in campo militare, una seriedi misure di politica industriale mirate a inco-raggiare la piccola imprenditoria e l’innova-zione tecnologica, un’ondata di immigrazionea elevata scolarizzazione dall’ex-impero sovie-tico e, infine, il processo di pace dei primi anninovanta, che aveva favorito l’afflusso di inve-stimenti e capitali esteri.Oltre all’importante ruolo svolto dalle politichepubbliche di sostegno all’istruzione e alla ri-cerca, parte del successo del settore è ricon-ducibile agli stretti rapporti con gli Stati Uniti.

Da un lato, numerose società statunitensi attivenel settore high tech (tra queste la Intel e laMicrosoft) hanno aperto dei centri di ricercae sviluppo in Israele. Dall’altro lato, molti israe-liani che si erano trasferiti negli Stati Uniti percompiere gli studi universitari o per lavoro so-no rientrati in Israele portando con sé un ba-gaglio di conoscenze e una “imprenditorialità”americana. Non a caso Israele è il terzo paese (dopo Usae Canada) per numero di società quotate alNasdaq, il mercato azionario statunitense ri-servato alle società del settore high tech. Il set-tore high tech non è immune da fattori di de-bolezza: Israele eccelle nel creare le cosiddettestart-up ma poi non riesce a trasformarle ingrandi imprese. A parte alcune fortunate ec-

cezioni, Israele crea capitale umano (ricercatori,scienziati) ma poi “esporta i talenti” a uno sta-dio troppo iniziale della cosiddetta catena delvalore aggiunto. In una prospettiva di medioperiodo, un altro elemento di debolezza è rap-presentato dal fatto che negli ultimi due de-cenni il settore ha prosperato “cavalcando” ilboom di Internet ma, secondo gli esperti, legrandi innovazioni del nuovo millennio avver-ranno nel campo delle biotecnologie, delle na-notecnologie, dei materiali “intelligenti” e delleenergie alternative, tutti settori ai quali i centridi ricerca militari, che ricevono ingenti finan-ziamenti pubblici e che hanno finora svolto unruolo trainante nell’innovazione tecnologica,non sono interessati.

Aviram Levy, economista

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u Un laboratorio dello stabilimento di Intel a Kiryat Gat, nel Sud del Paese u Il parco tecnologico di Gav Yam, Haifa. Uno dei distretti d’eccellenza del Paese

Perché l’hi-tech si è sviluppato proprio quiIl commento

L a ripresa finalmente si in-travede, anche in Israele.L’economia di questo pic-

colo Paese dipende in larga misuradalle esportazioni e per questo erastata messa a dura prova dalla con-trazione dei mercati internazionali,e in particolare dal calo dei consuminegli Stati Uniti. Oggi invece l’eco-nomia israeliana ricomincia a cam-minare proprio grazie all’export, so-prattutto nel settore della tecnologia.L’Ufficio centrale di statistica ha in-fatti reso noto che nel trimestremaggio-luglio del 2009 le esporta-zioni israeliane sono cresciutedell’11,3% rispetto agli stessi mesidello scorso anno. Un ottimo risul-tato, specie se paragonato ai dati deltrimestre precedente: tra febbraio eaprile l’export aveva registrato uncalo di oltre il 15%, con molte ri-percussioni negative anche sull’oc-cupazione. Guida della ripresa è l’al-ta tecnologia, che da sola rappre-

senta il 52% delle esportazioni in-dustriali. All’interno del settore tec-nologia, ha registrato una crescitarelativamente lenta l’esportazionedelle apparecchiature mediche escientifiche: “soltanto” 8,5 punti per-centuali. Invece le esportazioni dell’elettro-nica hanno avuto una crescita dav-vero record: + 136,6%. L’impennataè in gran parte dovuta alla perfor-mance positiva del colosso interna-zionale Intel. Leader mondiale nellafabbricazione di processori, Intel hadiverse fabbriche e centri di sviluppoin Israele: tra le sedi di Haifa, PetahTikva, Yakum e Kiryat Gat, dà la-voro a 6 mila 470 impiegati. Inoltresta riprendendo a fare nuove assun-zioni, dopo una serie di licenzia-menti effettuati nel periodo peggioredella crisi economica israeliana, loscorso marzo. La capacità produt-tiva di Intel in Israele è di molto au-mentata da quando è stata inaugu-

rato nel luglio del 2008 il nuovo sta-bilimento Fab 28 a Kiryat Gat, unacittadina nel sud del Paese. Dunque anche in Israele, come inFrancia e in Germania, si può tor-nare ad essere ottimisti sull’econo-mia. Ma davvero la crisi economicasta volgendo al termine? Il gover-natore della Banca di Israele StanleyFischer si dice fiducioso, ma invitaanche alla cautela: “Stiamo comin-ciando a vedere segnali di ripresa,specie per quanto riguarda le espor-tazioni. La disoccupazione conti-nuerà a crescere nei prossimi mesi”,ha avvertito. “Sono ottimista sull’economia israe-liana, ma non esagererei - prosegueFischer - Dovremo affrontare di pet-to il problema della disoccupazione.Da questo punto di vista, le cosenon vanno bene, anche se comun-que ce la stiamo cavando meglio dimolti altri Paesi”. Nel periodo dimassima crisi il tasso di disoccupa-

zione israeliana ha toccato il recorddi 8,4%. Ma la scorsa estate l’agenziaper i servizi occupazionali ha an-nunciato che gli di israeliani in cercadi lavoro sono diminuiti di circa il2%. Un segnale incoraggiante, che nondeve però portare a facili illusioni.Tanto per iniziare, il fatto che menoisraeliani cerchino lavoro non signi-fica automaticamente un pari calodella disoccupazione: molti dei neo-disoccupati, probabilmente, aspet-tano semplicemente un momentomigliore. Il timore velatamenteespresso da Fischer infatti è che laripresa economica guidata dal set-tore hi-tech sia, almeno nella sua fa-se iniziale, una jobless recovery. Ov-vero un periodo di crescita del Pilcui non corrisponde una crescitaequivalente nel mercato del lavoro,come già avvenuto negli Stati Unitidopo la crisi del 2001.

a.m.

La ripresa israeliana riparte dalla tecnologia

Le esportazioni di elettronica s’impennano. Ma mentre i primi segnali di crescita fannoben sperare la Banca centrale invita alla cautela: il mercato del lavoro è ancora in crisi

NEWS

GOOGLE, MADE IN ISRAELGoogle, il leader mondialedelle ricerche su internet, hasviluppato un nuovostrumento per “ricercareall’interno delle ricerche”,cioè per scoprire i trenddelle stesse ricerche in rete.Allo sviluppo dellostrumento, denominatoGoogle Insights, hacontribuito non poco ilcentro di sviluppo e ricercadi Google in Israele. GoogleInsights è disponibile anchein italiano e sono ben 38 lelingue utilizzabili. Traqueste, ironia della sorte,non figura però l’ebraico.

STRAUSS, MANAGER IN ROSAC’è un’israeliana tra le 50business women più influentidel pianeta. Ofra Strauss,presidente dell’omonimogruppo alimentare, si èclassificata dodicesima nellaprestigiosa lista stilata dalFinancial Times, che ognianno elenca le 50 manager eimprenditrici più importantidel pianeta. La Strauss,classe 1960, controllal’azienda di famiglia dal 1996e da allora ha perseguito unapolitica di espansione,all’estero così come inpatria. “Abbiamo cominciatocome una piccola fattorianegli anni Trenta e oggisiamo un brand conosciutoin tutto il mondo”, raccontal’imprenditrice. A livellointernazionale Strausslavora tramite accordi conaltri gruppi alimentari,inclusa la Danone, mentre inIsraele ha acquisito laconcorrente Elite.

SIEMENS ENTRA IN ARAVA Il colosso tedesco Siemensha acquisito per 15 milioni didollari il 40% di Arava Power,produttore leader di sistemifotovoltaici in Israele. Ilkibbutz Ketura detiene unaltro 40% della società eospita il suo quartiergenerale. L’accordo traSiemens e Arava prevede lacostruzione di una serie diimpianti, per un totale di 40megawatts: il primo saràcostruito proprio nel kibbutzKetura. Siemens starebbeinoltre considerandol’acquisizione di un’altraazienda, attirata dalleprospettive dell’energiasolare in Israele. Secondo leindiscrezioni, si tratterebbedi Solel Solar Systems, cheproduce collettori termici.

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ECONOMIA / SCIENZA / P15

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ú–– Rossella Tercatin

L a guerra delle low cost è co-minciata. Le compagnie ae-ree si sfidano a colpi di of-

ferte, sconti e opzioni “senza fron-zoli”, per offrire voli verso Israele alprezzo più competitivo. La primadelle low cost che ha aperto una rot-ta verso Tel Aviv è stata l’inglese EasyJet. La compagnia arancione inau-gura il 2 novembre una rotta che col-lega London Luton e l’aeroportoBen Gurion sei volte alla settimana.Prezzo base: 72 Sterline (circa 90 Eu-ro), per un volo di oltre cinque ore.Precedentemente, aveva valutatoun’opzione simile la concorrenteRyanair. Che tuttavia ci ha ripensato,almeno per il momento. L’avvento di EasyJet segna una rivo-luzione nelle possibilità di viaggiarein Israele per il pubblico inglese enon solo.

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“Abbiamo deciso di inserirci in que-sta rotta perché è operata attualmen-te solo da compagnie tradizionali enoi siamo in grado di offrire prezzimolto più convenienti”, raccontaThomas Meister, marketing managerdella compagnia inglese, che nonesclude la possibilità di replicarel’esperienza anche da altri hub euro-pei, compresa Malpensa. “L’anda-mento delle prenotazioni fino a que-sto momento è molto positivo. Ciaspettiamo un riempimento mediodel volo dell’85%”, dice Meister. Chepoi aggiunge: “Siamo interessati a

proporre Tel Aviv anche da altre cit-tà. Stiamo considerando tutte le pos-sibilità”. Dopo EasyJet, ha seguitol’esempio Air Berlin, compagnia lowcost tedesca, che vola in Israele dallaGermania con un prezzo di partenzadi 99 Euro a tratta. Alla concorrenza delle low cost, lacompagnia di bandiera israeliana ElAl risponde con una serie di offertespeciali last minute, da una serie digrandi città europee (Roma e Milanoincluse). “La concorrenza è fonda-mentale per incrementare il trafficoverso Israele”, commenta Yechiel Ey-ni, general manager di El Al per l’Eu-ropa centrale e meridionale. La stra-tegia della compagnia israeliana, rac-conta il manager, consiste nell’offrirebiglietti scontati per un servizio “sen-

za fronzoli” molto simile aquello delle low cost: “At-tualmente abbiamo ancheallo studio una tariffa basic, che offral’essenziale, ossia il trasporto aereo,e preveda servizi e accessori a parte,con l’opportunità di viaggiare a costimolto contenuti, garantendo sempresicurezza e affidabilità”.

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Dall’Italia mancano ancora i colle-gamenti a Tel Aviv con una veracompagnia low cost . Anche se al-cune offerte si avvicinano alle tariffedelle compagnie “senza fronzoli”. Peresempio Eurofly organizza tre col-legamenti settimanali per Tel Aviv

da Malpensa euno da Roma eVerona, a partireda 225 euro per

andata e ritorno. Il mercato israelia-no, insomma, si fa sempre più com-petitivo. Anche perché è sempre piùaffollato. Dall’Italia, per esempio, ilnumero dei voli che collegano variecittà italiane all’aeroporto Ben Gu-rion è in continuo aumento. Allecompagne di bandiera Alitalia ed ElAl, in seguito alla modifica dell’ac-cordo bilaterale fra Italia e Israeledell’aprile 2008, si sono aggiunte altredue compagnie con voli di linea, Me-ridiana-Eurofly e Israir, affiancate daun’abbondante offerta di voli charter. La crisi mondiale del comparto aereoha colpito solo marginalmente Israe-

le, che pur essendo un Paese di solisei milioni di abitanti, rimane unodei mercati più dinamici del settore.Dall’aeroporto Ben Gurion, attivo 24ore su 24, nel 2008 sono passati oltreundici milioni e mezzo di passeggeri,il dieci per cento in più dell’anno pre-cedente. Se più del 60% di questi so-no israeliani in giro per il mondo (gliisraeliani, si sa, adorano viaggiare), ilresto del traffico è costituito da pel-legrini cristiani, da ebrei che si recanoin Israele per turismo o in visita aiparenti, e naturalmente da uominid’affari.

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Le autorità israeliane, che stannopuntando molto sul business del tu-rismo internazionale, si augurano diaumentare ulteriormente il trafficoaereo dai Paesi europei, anche grazieall’ingresso delle compagnie low cost.Ma attenzione a non farsi ingannaredalla pubblicità.Il low cost deve essere scelto conconsapevolezza, o si rischia di spen-dere più del previsto: il bagaglio spes-so non è incluso, pasto e bevandenon lo sono mai. Talvolta ci sonodifferenze di quasi dieci euro a se-conda della modalità di pagamentoe spesso le tariffe minime non sonodisponibili nelle date desiderate. Pergli aspiranti viaggiatori, dunque, laparola d’ordine deve essere cautela.Tuttavia se la competizione sul mer-cato israeliano continuerà a crescere,è facile prevedere che il futuro avràin serbo offerte sempre più allettantiper chi viaggia.

Le low cost sbarcano a Tel AvivAl via la sfida tra compagnie aereeEasyJet e AirBerlin inaugurano una rotta. Ryanair ci sta pensando. El Al ed Eurofly rispondono a colpi di offerte

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u INFORMAZIONI u DIBATTITO u CULTURA u DOSSIERu COMUNITÀ u RASSEGNA STAMPA u NOTIZIARIO QUOTIDIANO

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/ P16 MEDIA

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ú–– Ugo Vollisemiologo

ú– DIETRO LE PAROLE / MULTICULTURALISMO E MULTICULTURALITÀ

Fra le parole che dominano il dibattito politico-cultu-rale vi è il multiculturalismo. Sembrerebbe che sidebba assolutamente essere multiculturalisti e “acco-gliere” le altre culture. E’ una ricetta assurda, perchéle culture in sé non si mescolano e chi si può davveroaccogliere sono gli individui. Le culture sono astra-zioni, sistemi di regole e valori, reali solo nel con-creto modo di vivere delle persone, con mille variantilocali, di età, di classe, di professione. Irrigidire que-ste differenze, credere che le culture siano soggetti e

non predicati, sostanze e non attributi, è come pen-sare le differenze genetiche in termini di razze: falso edannoso. Gli individui sono certamente culturali,portatori di regole, valori, gusti, abitudini. La storiadell’ebraismo mostra che proprio gli individui, non lesocietà, possono anche farsi multiculturali: parlarepiù lingue, conoscere più sistemi di regole o di abitu-dini, imparare ad adattare i propri gusti al contesto.Mangiare il gefillte fish in Polonia, i carciofi in Ita-lia, i felafel in Medio Oriente; e magari portarseli

dietro viaggiando. Applicare la Halakhah e il codicecivile per commerciare; diventare cittadini leali e ap-passionati dei paesi senza perdere l’identità ebraica.Scrivere romanzi o saggi in italiano e leggere laTorah in ebraico: il lavoro degli ebrei per integrarsi,non l’ibridazione dell’ebraismo. La multiculturalitàdelle persone, non il multiculturalismo della società.Richiede lo sforzo di imparare e di integrarsi, ma in-vece di produrre scontri di civiltà arricchisce le so-cietà in cui si realizza.

due temi. A parte qualche eccezioneveramente marginale, il mondo po-litico italiano esclude ogni posizioneesplicitamente antisemita e così lacultura almeno nel suo corpo uffi-ciale. Quindi quasi sempre anche lastampa italiana ha un atteggiamentopositivo nei confronti della tradizio-ne culturale ebraica che si estendea una grande reverenza per la Sho-ah. Lo spazio per il negazionismoè davvero scarso, per tutto l’arcopolitico/giornalistico. Il che è posi-tivo. Il rovescio della medaglia diquesto atteggiamento è una certamuseificazione dell’ebraismo: gli ar-gomenti ebraici vanno bene soprat-tutto se possono essere fatti rientrarenella categoria della memoria. Fan-no parziale eccezione gli artisti israe-liani, scrittori, cineasti, pittori, can-tanti, in genere trattati con giustoentusiasmo, ma sempre con la ri-chiesta di distaccarsi dalle politichedi Israele.Veniamo così al punto critico. Se gliebrei morti sono in genere trattatibene e se l’immaginario museo del-l’ebraismo è visitato con rispetto eammirazione unanime, gli ebrei vivi,il loro Stato e la loro attività politicasono trattati in maniera assai diversa.Vi è qui in generale un opposto pre-giudizio negativo, più o meno ac-

centuato a seconda delle apparte-nenze politiche, ma quasi semprepresente (a parte alcune firme au-torevoli ma poco numerose, da Mo-linari a Ostellino e Battista, da Me-otti a Nirenstein a Pezzana e pochialtri).

óúúúó

Cerchiamo di capirne il come, senon il perché. Di solito non si trattadi editoriali che prendono posizioniper una delle parti. I sistemi sonomolto più umili e banali. In primoluogo vi sono delle scelte di “agen-da”, come si chiama l’organizzazio-ne del menu delle notizie. Al MedioOriente, e in particolare al conflittoisraelo-palestinese è destinato fra lecento e le mille volte lo spazio dialtre guerre ben più gravi e persi-stenti, dal Sahara Occidentale oc-cupato dal Marocco alla Cecenia alTurkmenistan cinese al Kashmir in-diano passando per il Darfur, l’Iran,l’Afghanistan. Ciò occulta la lungafaglia conflittuale fra l’Islam e tuttele società circostanti, isolando alcentro il conflitto palestinese, comefosse la causa di tutto.Poi c’è la scelta degli episodi. Nellacronaca del Medio Oriente non è

possibile risalire ogni giorno allecause effettive ma remote deglieventi, né la grande maggioranzadei lettori ne ha una conoscenza suf-ficiente per inquadrarli autonoma-mente. Dunque l’opinione del pub-blico viene influenzata prima di tuttocon la scelta di quali episodi regi-strare, o come raccontare la sequen-za degli eventi. Per esempio se, co-me accade spesso, l’esercito israe-liano al confine di Gaza scopre degliattentatori che si preparano a spa-rare razzi o posano mine o scavanotunnel per attaccare Israele, normal-mente reagisce sparando sui terro-risti. A partire dalle agenzie di stam-pa (l’Ansa in questo è particolar-mente pervicace) per finire coi gran-di quotidiani, episodi del genere ven-gono sistematicamente raccontaticome “Israele uccide tot palestinesi”.Il che è fattualmente vero, ma con-temporaneamente è anche una de-formazione dei fatti. Allo stesso modo si parla degli in-sediamenti ebraici a Gerusalemme,a Hebron o in Cisgiordania comefossero sempre “nuovi” e non il ri-torno, che spesso risale a trent’annifa, a luoghi in cui sinagoghe e caseebraiche erano state distrutte: nondai romani venti secoli fa, ma daipalestinesi e dai giordani fra il 1948

ú– COVER TO COVER di Cinzia Leone

L a stampa italiana è faziosa,autoreferenziale, sovrecci-tata, propagandistica e di

conseguenza noiosissima. Probabil-mente la peggiore del mondo occi-dentale. I grandi quotidiani, Repub-blica in testa, hanno preso una di-rezione paradossale imitando nei to-ni e nel carattere militante gli inven-duti giornali di partito. Le opinioni,le prediche, le scomuniche, gli ap-pelli diretti ai lettori perché sotto-scrivano un appello, o vadano a unamanifestazione; e poi ancora gli in-sulti e le “domande” dedicate a svil-laneggiare qualche personaggio pub-blico, sovrastano di gran lunga le in-formazioni. Esse, quando ci sono,sono sempre imbottite di propagan-da. Mai, anche sulle vicende più ba-nali, il lettore riceve le notizie da so-le; sono sempre avvolte in un fittoinvolucro di morali, manipolazioni,propaganda. L’ultima variante sonoi pettegolezzi sessuali usati comemateria di ricatto personale controgli avversari politici: una mossa ri-dicola e controproducente in unpaese che consuma con ammirataavidità pettegolezzi sulla vita deipersonaggi dello spettacolo.Il risultato di questo modo di (non)fare giornalismo è una crisi deva-stante di credibilità ma anche di dif-fusione. Escludendo i giornali spor-tivi, i quotidiani vendono quest’annoin Italia solo 3,7 milioni di copie, lametà di una trasmissione televisivadecorosa. Repubblica ha il recorddelle perdite con il 17 per cento inmeno di copie vendute. Il fatto èche i giornali non cercano lettori,ma fedeli da convertire, militanti damobilitare; e gli italiani interessati apagare perché qualcuno dica lorochi odiare o disprezzare sono sem-pre di meno.Questa vocazione comiziante riguar-da anche l’informazione sul mondoebraico e Israele. Il paradosso italia-no qui è la netta dissociazione fra i

e il ‘67. Ancora: si isola la morte deibambini a Gaza dal fatto che si sonotrovati in mezzo a un combattimen-to che Hamas ha programmato ap-posta in mezzo alle città, usandolicome scudi umani. Eccetera. Infine vi sono le parole. Gli insedia-menti diventano “colonie” e i loroabitanti, “coloni”. Ma per il dizio-nario di De Mauro colonia significa“in età moderna, territorio distintoe solitamente lontano dalla madre-patria, assoggettato a essa da vincolimilitari, politici, economici e giuri-dici, e in cui la popolazione indigenanon gode degli stessi diritti civili dichi proviene dallo stato dominante”.Usando questa parola si dà già perscontato che il West Bank e magarilo stesso territorio di Israele sia “di-stinto” se non “lontano” da una “ma-drepatria” (forse europea?) dei “co-loni” e che gli ebrei essendo “coloni”non siano “indigeni”. Essi dunquedovrebbero andarsene e chi li com-batte, anche col terrorismo, ha ra-gione. Che i dati storici siano assaidiversi, che la popolazione ebraicasia stata estromessa da quelle terrecon la violenza senza abbandonarledel tutto o che non vi sia mai statauna “Palestina” autonoma non contanulla. Gli ebrei sono “coloni” e tantobasta per demonizzarli. Chi li assaleinvece è spesso un “militante”, nonun “miliziano” o un “terrorista”. An-che quando non si ricorre alle defi-nizioni più estreme e insussistenti,come il paragone spesso usato fraGaza e i Lager nazisti, il pregiudizionegativo si fa strada attraverso leparole. Non sempre, naturalmente, la colpaè dei giornalisti. Ormai il senso co-mune si è sedimentato, facendo diIsraele uno stato sospetto. Ma que-sto è un altro discorso. Per ora nonsi può fare a meno di riaffermareche il giornalismo italiano sul con-flitto israeliano è quasi tutto schie-rato contro Israele.

L’Osservatore

t TIME OUT

Tarantino, una faccia da schiaffi. Un bastardosenza rispetto come dice il titolo. Un registascorretto per un film con la stessa cifra. Unpizzico del Lubitch di “Vogliamo vivere”, il pro-fumo di epopea western, e molto maccheroni-kombat. Glorious bastard è piaciutoall’Osservatore Romano e ha raccolto ovazionidi pubblico e di critica in Israele. Splatterquanto basta, sia il film che la copertina.

Voto 10

t MOMENT

Una donna e tre abiti. I primidue contrapposti e il terzo unafusion. Un cambio di identità ouna mutazione? Il costume e lamoda registrano senza scampoi cambiamenti. Rigorosa e au-stera, in pieno stile Toscani, lacopertina è un vero editorialevisivo.

Voto 8

t TRIBUNE JUIVE

Un piccolo sforzo in più avrebbe giovato.Sulla stampa ebraica internazionale Tel Aviv eil grande centenario della città bianca chenon dorme mai l’hanno fatta da padrone permesi e mesi. Anche riconoscendo il fascinostraordinario di quella spiaggia mitica dovetutti noi vorremmo passeggiare al mattino ri-proponendola in copertina un’ennesimavolta si corre il rischio di annoiare.

Voto 4

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ú–– Anna Foa

Èstrano come gli ebrei, pur ap-partenendo ad una religionepiuttosto restia ad accettare

proseliti, siano affascinati dalla pro-spettiva di scoprire dappertutto ebrei,o mezzi ebrei, o remoti discendentidi ebrei. A sollecitare l’entusiasmonostalgico del mondo ebraico sonosoprattutto le vicende dei marrani,cioè degli ebrei convertiti perseguitatidall’Inquisizione nella penisola ibericae nelle Americhe. Questa vera e pro-pria epopea romanzesca, di vite du-plici, di identità celate e disvelate edi persecuzioni non smette di affa-scinarci, e leggiamo con entusiasmoi libri che sostengono la presunta ap-partenenza marrana di questo o diquello. Qualche anno fa, ad esempio,andava molto di moda sostenere cheCristoforo Colombo era di origineebraica, anche in seguitoall’uscita di un libro,storicamente assai de-bole ma emotivamenteconvincente, nienteme-no che di Simon Wie-senthal. Che illustri per-sonaggi della storia edella cultura passata fos-sero discendenti di con-versos, lo si sapeva benedel resto. Non contentidi avere Spinoza, Heine,Marx, Freud, Einstein eSchonberg, per non no-minare che i nomi piùgrandi, gli ebrei sono an-cora alla caccia affannosa nella storiadi ebrei “nascosti”, dei discendentidegli anussim. Meglio se pii ed osservanti comeShlomo Molho, il compagno dell’av-ventura messianica di David Reubeninel primo Cinquecento, ma in man-canza di questi si accettano anche glieretici e i mercanti di schiavi, i laicie le spie.Ed ecco un libro, non tradotto in ita-

liano e dispo-nibile solonell’originaleinglese, che

ci mette addirittu-ra sulla pista dei pirati della Tortuga.Tutti o quasi marrani, o almeno filo-giudaizzanti, naturalmente, compresiil Corsaro Nero e sua figlia Iolanda,che tanto hanno fatto sognare la miagenerazione (oggi sono quasi dimen-ticati, ma non sarebbe male recupe-rare anche Salgari in questa infornatadi filogiudaizzanti). Scherzi a parte, il libro del giornalistae storico americano Edward Kritzler,

Jewish Pirates of the Caribbean, trattanon solo dei corsari della Tortuga,come il titolo ci potrebbe far suppor-re, ma in genere della diaspora mar-rana, o più specificamente, anche senon solo, di quei conversos spagnolie portoghesi che emigrarono nelleAmeriche, dal Messivco al Perù, fu-rono perseguiti anche là dall’Inqui-sizione e diedero un notevole appor-to allo sviluppo economico e com-merciale del Nuovo Mondo. Il libro intreccia questa storia, assaipoco conosciuta dal vasto pubblico,con quella della Comunità di Am-sterdam, e con le vicende del ritorno

degli ebrei in Inghilterra nel Seicento.Insomma, con la storia dei paesi cheattuarono un’attiva politicacoloniale in funzione anti-spagnola. L’idea cheè alla base del libroè che la colonizza-zione americana,fin dai suoi esor-di, abbia obbedi-to al proposito dicercare per i di-scendenti degliebrei sefarditi co-stretti alla con-versione o al-

l’esilio nella penisola iberica una terranuova, che offrisse loro la libertà ne-gata in patria. Che è poi l’interpre-tazione di Wiesenthal. Di qui l’afflus-so, proibito sovente e altrettanto so-vente contrastato con processi e ro-ghi, dei conversos spagnoli e porto-ghesi nel Nuovo mondo, la loro pre-senza numerosa nelle nuove terreamericane, Messico, Perù, sempresotto la copertura formale del catto-licesimo. Di qui, nel corso del Sei-cento, la guerra contro la Spagna e isuoi traffici commerciali nell’Atlan-tico, portata avanti dai mercanti ebreidi Amsterdam insieme con gli inglesi,attraverso la pirateria. E’ una storiaromanzesca, in cui spesso la realtàsupera la finzione, come nella storiadi Sinan, il famoso pirata ebreo checonquistò Tunisi, un rifugiato spa-gnolo in Turchia divenuto negli anniTrenta del Cinquecento il luogote-nente del Barbarossa, o come SamuelPalache, il rabbino pirata, originariodi Fez, sempre intento a tessere stra-ne alleanze tra l’Olanda, l’Inghilterra,la Spagna e il Marocco, in un giocoche più che duplice potremmo chia-mare molteplice. Le sue esequie, nellaAmsterdam del 1616, videro il carrofunebre trainato da sei cavalli bardatidi nero seguito dall’intera comunitàebraica di Amsterdam, e dal principeMaurizio di Nassau, con tutte le au-torità cittadine. O come nella storiadei pirati ebrei della Giamaica che

parteciparono attivamentealle imprese di Henry

Morgan. Tutti a leg-gere questo libro,

dunque, chissà chenon salti fuori qualche altrameraviglia! Non me la sen-

tirei di raccomandarloin un convegno ac-cademico, ma peruna lettura piace-vole davanti al ca-minetto è propriol’ideale.

STORIA / P17

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Nei mari dei Caraibilungo le rotte di pirati ebrei

Anche il Corsaro nero e sua figlia Iolanda forse appartenevano alla variegata diaspora marrana che in fugadai roghi della Santa Inquisizione trovò riparo nel Nuovo mondo. A sostenerlo è lo storico americano EdwardKritzler in un libro di lettura appassionante. Anche se forse non raccomandabile per un convegno accademico

Con la Kippaha tricornoUna storia di cappa e spada che ha il merito

di schiuderci un’ottica nuova

La storia è senz’altro irresistibile. Un’epopea dicappa e spada in salsa ebraica che, secondo ilWashington post, potrebbe essere d’utile ispira-zione per il prossimo film di Mel Brooks. Prota-

gonista un capitano Jack Sparrow che nulla hapiù delle mirabili fattezze di Johnny Depp. Macon il nome di Sparrowitz e inalbera una kippaha tricorno.Il libro di Ed Kritzler ha suscitatomolte facili ironie per una certa vaghezza nellefonti storiche e qualche approssimazione nelletesi. Sta di fatto che l’autore, atletico signore dalcapello brizzolato , ha stuzzicato molte fantasie.Merito di un titolo, I pirati ebrei dei Caraibi,che anche i critici più acerrimi riconosconocome azzeccatissimo. E soprattutto di un filonenuovo di racconto che Kritzler, grande conosci-

tore della Giamaica su cui ha scrittocentinaia di articoli e dove per diecianni ha lavorato al Tourist board orga-nizzando visite e tour per stampa e tivùstraniere, è riuscito a sviluppare con ori-ginalità. Spetta agli specialisti decidere dellafondatezza di questo libro. Ma certo l’autore hail merito di riportarci a una seria riflessione sulfatidico 1492. In quell’anno, che vide la scopertadell’America e la cacciata degli ebrei dalla Spa-gna cattolica, molti dei fuggiaschi alimentaronole file dell’emigrazione nel Nuovo mondo con-

quistandosiruoli chiavenella coloniz-zazione.

Chissà quantifurono i piratiebrei che davvero

veleggiarono alla conquista delle navi della Co-rona di Spagna. Ma certo ha un senso rove-sciare l’ottica con cui, quanto menodall’Europa, siamo avvezzi guardare a quellospartiacque storico.

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ú–– Rav Riccardo Di SegniRabbino Capo di Roma

D urante la Guerra del Golfo, efino ad oggi durante l’occu-pazione americana dell’Iraq,

i rabbini cappellani militari dell’esercitoUsa distaccati in Iraq hanno ironica-mente notato di essere i rabbini per cuiil mondo ebraico prega di più. Questoperché nel minhag ashkenazita il Sa-bato mattino, dopo la lettura della To-rah, si legge una preghiera speciale (Ye-qum Purqan) per i “signori rabbini dellaterra d’Israele e di Babilonia”. Oggi, pertrovare dei rabbini in Babilonia, bisognaricorrere ai cappellani militari Usa, masecoli fa la stragrande maggioranza deirabbini era concentrata in quella regio-ne, che dettò legge e ancora continuaa farlo su tutto il mondo ebraico. Alpunto tale che anche un’antica preghie-ra per qualcuno che non c’è più, con-tinua ad essere recitata ancora. Questastoria della leadership babilonese e deisuoi influssi a lungo termine ritorna neigiorni autunnali del calendario ebraico,evocando riflessioni sui meccanismi ditrasmissione, sviluppo e mantenimentodei riti ebraici. Vediamo alcune parti diquesta storia, centrata sul mese dell’an-no di cui si parla meno, Marcheshvan.

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Triste sorte quella di Marcheshvan, cor-rispondente a ottobre - novembre delcalendario solare. Secondo mese del-l’anno, se si cominciano a contare i me-si da Tishri, o ottavo, se il conto co-mincia da Nisan. Tutti i mesi ebraicihanno una festa, lieta o triste che sia,tranne Marcheshvan, che non ha nep-pure un giorno speciale da ricordare.O forse sì, come vedremo poco avanti.Forse è una rivalsa rispetto al mese pre-cedente, Tishri, che di feste ne ha fintroppe. Eccolo dunque questo mese unpo’ grigio, piovoso, in cui le giornatesi accorciano, in cui comincia a far fred-do ma non è neppure inverno. Non acaso il suo nome può essere diviso indue, Mar – Cheshvan, dove Mar inebraico può significare “signore”, e an-drebbe ancora bene, o “amaro”. Il nome però non è di origine ebraica,è come per gli altri babilonese. Forsederiva da una deformazione di quello

che in ebraico è yerach sheni, secondomese. Nella Bibbia il nome antico edebraico era Bul, carico di significati.Perché proprio nei primi capitoli dellaTorah si parla di diluvio, mabul. Checomincia il secondo mese e dura nellaprima fase 40 giorni.

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Il secondo mese potrebbe appunto ri-ferirsi a Bul - Marcheshvan, mentre lamem iniziale di mabul vale 40 in ghe-matria. Diluvio in ebraico è quindi 40-Bul. I suoi principali riferimenti simbo-lici sono collegati all’acqua, in partico-lare a quella che scende dal cielo, la

pioggia. Una pioggia che in Eretz Israelsi fa desiderare. La festa di Sukkot cheprecede di poco l’inizio di Marche-shvan ha come tema centrale la richie-sta della pioggia. Proprio alla fine di Sukkot, a SheminiAtzeret, nella seconda benedizione del-la Amidà, che celebra le prodezze di-vine, si comincia a parlare di Colui che“fa soffiare il vento e scendere la piog-gia”, e lo si farà fino all’inizio di Pesach.Ma perchè alla fine di Sukkot e non al-l’inizio? Perchè a Sukkot a Gerusalem-me ci sono moltitudini di pellegrini,certamente interessati all’irrigazione deiloro campi, che vorrebbero godersi igiorni di vacanza all’asciutto. Attenzio-

ne, quella della seconda benedizionedell’Amidà non è ancora una richiestadi pioggia, è solo una lode al Signoreche la fa scendere. La richiesta di “daccila pioggia e la rugiada” si fa nella nonabenedizione. Ma non subito a Sukkot,neppure alla sua fine, solo qualche gior-no dopo. E’ qui che entra in gioco ilsettimo giorno di Marcheshvan.

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Che cos’ha di speciale? Il fatto che dista15 giorni dalla fine di Sukkot. Il temponecessario, per i pellegrini che venivanodalla Babilonia a Gerusalemme, per ar-rivare alle rive dell’Eufrate. Un viaggiosenza pioggia era certamente preferi-bile. Per questo si aspettava il 7 di Mar-cheshvan per chiedere la pioggia inIsraele. Se la pioggia non era arrivatain Eretz Israel entro altri 10 giorni lasituazione diventava preoccupante escattava la procedura di preghiere e di-giuni. La situazione era diversa altrove.In molti luoghi della Diaspora l’acquascende più che abbondante e non c’èbisogno di affrettarsi nella richiesta. Diqui il principio per cui ogni regione do-vrebbe cominciare a chiedere la pioggiase e quando le serve. Ma nei primi se-coli dell’era volgare la maggioranza de-gli ebrei e la sua leadership spiritualeerano spostata verso la Babilonia, i cuitempi e necessità dettavano legge. Lìla data giusta per chiedere la pioggiaera il sessantesimo giorno dopo l’equi-nozio autunnale: il 22 novembre se-condo il calendario giuliano. Con la ri-forma del calendario di papa Gregorio,nel 1582, si decise di continuare a direla benedizione nel giorno gregorianocorrispondente al 22 Novembre giulia-no, il 2 dicembre, cominciando dall’Ar-vit della sera prima. Che si trattasse diun calcolo non preciso, già lo si sapeva;l’errore viene mantenuto perchè in de-finitiva si tratta di una convenzione, diuna data più simbolica che reale, di uncompromesso per mantenere l’unitàdella preghiera nel mondo ebraico. Maè interessante e motivo di curiosità chesi continui a mantenere una data giu-liana. Piccoli misteri del mese “signore”e “amaro” e di quello che lo segue, do-ve l’attenzione è tutta per Hanukkah.(Il testo integrale di questo intervento èpubblicato su www.moked.it)

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CULTURA EBRAICA

ú– PAROLE

ú– LUNARIO

u CHI È UN RABBINOAnni fa una collega all’istituto del Cnr dove lavoro mi disse,parlando di un conoscente del marito con cui stavano trat-tando un affare, che quel tale si comportava “proprio darabbino”. Dopo un attimo di pausa, le manifestai il mioestremo disappunto. La collega si scusò abbondantemente,fino quasi a mettersi a piangere per l’imbarazzo. L’episodio,per quanto spiacevole, è indicativo della percezione che siha del rabbino, di qualcuno che è considerato la figura piùrappresentativa degli ebrei. La parola “rabbino” deriva da rav, o meglio da rabbenu (no-stro rav), e rav a sua volta deriva da una radice ebraica chevuol dire “molto”. Il rav, quindi, è qualcuno che è “maggiore”rispetto agli altri. Un rabbino è, innanzitutto, qualcuno cheha compiuto approfonditi studi sui testi tradizionali ebraici,come la Bibbia, il Talmud, i codici legali e altre opere. E’quindi in grado di dare una risposta ebraica alle domande.Fra i suoi compiti ci sono l’insegnamento, l’ascoltare e ri-solvere i problemi della gente, l’assicurarsi che i servizi pub-blici di tipo religioso siano conformi alla regola. Spessofunge da interfaccia fra la comunità e la società o il mondopolitico. Grazie alla sua conoscenza, il rabbino può verificareche eventi come la nascita, il matrimonio, la fine della vita,seguano la normativa ebraica ma la sua presenza, se purraccomandata, non è, in questi casi, strettamente neces-saria. Il matrimonio, ad esempio, se svolto alla presenza ditestimoni legittimi, con la procedura richiesta e l’opportunadocumentazione, sarebbe comunque valido anche senzala partecipazione di un rabbino. Il rabbino in genere presiedeal culto sinagogale, ma pure in questo caso la sua presenzanon è vincolante. Lo è invece quando il problema richiedeun giudizio da parte del Tribunale rabbinico: in questo caso,il rabbino deve avere anche la qualifica di dayan (giudice).

Rav Gianfranco Di Segni, Collegio Rabbinico Italiano

u LANA E LINO, UNIONI PROIBITE Non vestirai shatnez cioè lana e lino assieme (Deut. 22, 11).Il divieto di indossare abiti di lana e lino si estende anchealla proibizione di possedere stoffe composte da tale me-scolanza. La norma è apparentemente priva di logica, i Mae-stri, però, ritengono che le motivazioni possano esserevarie. Tra queste ne citeremo solo una piccola parte. Rabbi Moshè ben Maimon (1138-1204), scrive “il motivodel divieto dipende dal fatto che i sacerdoti idolatri usavanoprendere dei vegetali e pelli animali e dopo averli mescolatine facevano dei vestiti che indossavano durante i loro riti”(Guida degli smarriti 3,37). Evitando di indossare abiti dilana e lino si sottolineerebbe, dunque, l’assoluto divietopiù volte espresso nella Torà di seguire le usanze idolatredei Gentili.Joseph ben Isaac di Orleans (XII secolo) nota invece che se-condo la Torah i Sacerdoti del Tempio, tra i loro abiti rituali,dovevano avvolgersi con tuniche stranamente intessutedi lana e lino e proprio da ciò avrebbe origine il divieto. Egliscrive infatti: “Gli abiti usati dai Sacerdoti erano di lana elino. La Torah ha vietato tale mescolanza affinché non siadoperasse un abito sacro per svolgere delle pratiche pro-fane”. Il valore simbolico del divieto è dunque comprensibile.E’ vietato indossare abiti, cioè assumere ruoli in campo sa-cro, a colui che non ha veri meriti. Il Midrash Pirkè De-RabbiEliezer, infine, ritiene che il primo omicidio della storia ac-cadde proprio a causa della lana e del lino. Secondo la tra-dizione, l’offerta di lino che Caino portò a Dio fu rifiutatamentre la lana portata da Abele fu accolta. Ciò generòinvidia e violenza che portò alla morte uno dei fratelli e ge-nerò punizione per il secondo. Il shatnez, che ricorda l’in-capacità di uomini a stare assieme senza prepotenza e ag-gressività, fu così vietato dalla Torà.

Rav Roberto ColomboScuola Ebraica Milano, Progetto Kesher

u Il mese di Cheshvan 5770 ha inizio con il novilunio

del 19 ottobre 2009 e dura quest’anno trenta giorni.

u La preghiera “Tal uMatar” (“Dispensa pioggia e ru-

giada”) si aggiunge alle 19 Benedizioni a partire dal setti-

mo giorno del mese (il 25 ottobre) in Israele e a partire

dall’inizio di dicembre nella Diaspora.

ú– PERCHÉ

La pioggia, i babilonesi

e il calendario

Ci troviamo nel mese diMar-Cheshvan, l’unicosenza una festa, lieta otriste, da ricordare. Isuoi riferimentisimbolici si colleganoall’acqua, in particolarea quella che scende dalcielo. E proprio nel suosettimo giorno si chiedela pioggia in Israele.Richiesta che, in base aregole antichissime,nella Diaspora avvieneil 2 dicembre.

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ú–– Daniela Gross

Le due voci sono quelle di Ester eEliezer Tritto. Entrambi sulla sogliadegli ottanta sono nati e cresciuti aSannicandro, al fianco di Manduzio.Hanno compiuto il loro mikve nelleacque aperte dell’Adriatico, sullaspiaggia di Torre Mileto, e una voltasposi sono partiti ancora adolescentiper costruire lo Stato d’Israele. Dal1946 la coppia è tornata a Sannican-dro quattro o cinque volte appena.Da Biria vicino a Zefat, dove abitanoda quasi cinquant’anni e gestisconoun chiosco di falafel celebre in tuttala Galilea, il tragitto è infatti lungoe molto stancante. Questa volta però l’occasione è diquelle da non perdere. Nella piazzadel paese - in occasione di “Negba- Verso Mezzogiorno”, il primo fe-stival di cultura ebraica in Puglia -si presenta infatti in anteprima Ilviaggio di Eti, film del giovane regi-sta Vincenzo Condorelli che attra-verso una serie incrociata d’intervistericostruisce la vicenda di tre gene-razioni di ebrei sannicandresi. Cosìad accompagnare Ester e EliezerTritto sono arrivati i due nipoti cheportano il loro stesso nome. Esterdetta Eti, capelli ricci neri neri e unsorriso dolce ed Eliezer piccolo, co-me lo chiamano i nonni. Lei ha 25anni. Ha studiato cinema a Tel Avive sogna di lavorare alla regia. Perora, nel film di Condorelli mostrauna notevole capacità di bucare loschermo. Lui ha 22 anni, studia inuna yeshiva a Bnei Beraq e ha unavoce angelica che strappa le lacrimeai commensali quando a tavola in-tona i Salmi.

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Due giovani israeliani e due sanni-candresi in età che per una manciatadi giorni intrecciano passato, pre-sente e futuro in un fiume di incontricon i paesani, passeggiate, chiacchie-re al fresco sulle sedie davanti casa,pranzi e cene con la porta spalancatasul vicolo e visitatori che vanno evengono, tavolate che si chiudonoin allegria con i canti antichi di Do-nato Manduzio.Per caso o per destino sono Ester eEti, Eliezer e Eliezer piccolo a gui-

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DOSSIER/Sud EBREI PER SCELTA

Viaggio a Sannicandro Garganiconel cuore di un risveglio antico

La sfida invitante della cucina kasher

In principio è solo un mormorio. Sono le cinque e mezza del mattino e di là dellaporta una donna conversa in pugliese stretto. Le risponde una voce d’uomo e ildialogo piano piano cresce di tono. Poi come per magia il dialetto si trasforma inun ebraico fluente e animato che spegne sul nascere ogni rimostranza.E’ il mio benvenuto a Sannicandro Garganico. Come in un film il mio viaggio sulletracce di un mondo ebraico unico comincia da qui, dalla magia di queste due vociall’alba che incarnano la straordinaria epopea di un altro viaggio: quello chenell’immediato dopoguerra da questo piccolo borgo sperduto nel verde portò inIsraele oltre settanta uomini, donne e bambini. Ebrei per scelta e non per na-scita, frutto di un risveglio delle coscienze ispirato alla lezione visionaria di Do-nato Manduzio, bracciante, guaritore e cantastorie dal carisma ancor oggiindimenticato.

A prima vista sembra un’im-presa ai limiti dell’impossibile.Ma vista da Sannicandro la que-stione della kasherut assume tut-t’altro aspetto. Qui laconsuetudine delle donne con ifornelli non è ancora stata tra-volta dalla modernizzazione esupplisce in modo egregio all’as-senza di macellerie e spacci ka-

sher. “I prodotti che ci servono –spiega Grazia Gualano – li fac-ciamo arrivare da Roma o da Mi-lano. Poi si fa la spesa nellebotteghe del paese tenendo sottomano il libriccino con le listedegli articoli consentiti”. Ma arisolvere il problema è innanzitutto un’abitudine alimentareche privilegia il pesce pescato da

figli e mariti nelle vicine acquedell’Adriatico e servito, marinatocon sapienza, in mille varietà. Leverdure e la frutta che lo accom-pagnano arrivano di solito dalleterre di famiglia. Quanto ai dolcie al pane si fanno in casa. E, perlunga tradizione, il venerdì è de-dicato alla confezione di fragrantie deliziose challot.

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u IL PAESESannicandro conta oggi oltre 18 milaabitanti. Si trova in collina, nella zonanord est del Gargano, a un quartod’ora dall’Adriatico dove, sulla spiag-gia di Torre Mileto, nel ‘46 avvennel’immersione rituale dei primi conver-titi. Dai tempi di Manduzio il paese hacambiato radicalmente volto. Solo il centro storico mantiene i vicolistretti e le case candide d’un tempo.Altrove la cementificazione ha can-cellato le tracce del passato. Soltanto qui e là s’intravedono i segnidella storia ebraica del Gargano: nellacasa, ancora intatta, da cui la quindi-cenne Ester Tritto partì alla voltad’Israele o negli slarghi tra i vicoli do-ve ancor oggi le donne siedono insie-me a chiacchierare o mondare le ver-dure.

u LA SINAGOGALa porta, velata da una tenda in pizzo,si affaccia sulla trafficatissima via Gar-gano. La sinagoga di Sannicandro èuna piccola sala, arredata con sem-plicità e tenuta con ogni cura, checonta poco più di trenta posti. A iden-tificarla, dall’esterno, solo una targaaffissa a fianco della porta. E’ di proprietà del gruppo ebraico soloda una decina d’anni. Prima le pre-ghiere si svolgevano in un apparta-meno nei pressi allestito all’uopo. Poi,dopo molti sacrifici, si è finalmentegiunti all’acquisto. Nella foto il nipotedi Eliezer Tritto che si prepara allafunzione.

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dare i miei primi passi nel delicatomicrocosmo della Sannicandroebraica di oggi in un vortice spessoincomprensibile di traduzioni tra pu-gliese, ebraico e italiano. L’accoglien-za del gruppo ebraico è infatti caldae affettuosa. Ma le diffidenze nonmancano. Negli ultimi anni la storia degli ebreidel Gargano è rimbalzata più voltesu tivù e giornali e la cosa qui nonè piaciuta troppo. Un po’ per unanaturale riservatezza, un po’ per i to-ni troppo spesso urlati nel raccontareuna vicenda. “La stampa fa i suoi in-teressi e costruisce le sue storie. Manon è detto che noi si debba stare aquesto gioco”, riassume Lucia DiMaggio, una delle colonne del grup-po, diretta discendente di quella Lu-cia Gravina che fu una delle primefedeli di Manduzio. In altre parole,sintetizza la figlia Maria, 30 anni,“non siamo qui per fare teatro”.Il risultato è che prima di parlare ofarsi fotografare ci si deve conosceree soprattutto riconoscere in un ri-spetto reciproco. Altrimenti può ac-cadere quel che si dice sia successodi recente alla troupe di una tivù te-desca che dopo qualche giorno diperegrinazioni tra porte chiuse ebocche cucite ha dovuto tornarseneindietro a mani vuote. Fatta ecce-zione per i cacciatori di scoop echicche etnografiche la tendenza èperò verso l’apertura, spiega GraziaGualano. Anche perché la presenzaebraica, all’inizio passata quasi inos-servata agli occhi degli abitanti dellazona, da tempo è divenuta motivod’interesse e curiosità.A 24 anni Grazia è la rappresentante

della realtà ebraica di Sannicandroe uno degli assi portanti delle nu-merose attività che coinvolgono tuttii componenti, dagli anziani ai piùpiccoli. Un’imminente laurea in Let-tere moderne all’università di Foggiae per il futuro il sogno di una secon-da laurea al Collegio rabbinico diRoma e di un viaggio in Israele, Gra-zia coltiva con dedizione la causadell’ebraismo sannicandrese. Guidale visite nella minuscola sinagoga af-facciata su via Gargano, accoglie lescuole, tiene i contatti con la stampa,gestisce le preziose memorie di Do-nato Manduzio e organizza le diver-se manifestazioni. Il tutto con unaforza gentile che non trascura maiil sorriso o la battuta per la squadraaffiatatissima di amiche (Sara, Maria,Patrizia e tante altre) che la affiancano o per la madre Lucia. A chi viene da fuori fa strano che areggere il gruppo, per quanto ridotto,sia una donna. E per di più così gio-vane. Ma qui l’ebraismo per tradi-

zione si declina al femminile. “Sonostate le donne ad accostarsi per pri-me a Donato Manduzio e a costi-tuire l’embrione del gruppo – spiegaGrazia – Ed è grazie a loro che ogginel nostro paese vi è una realtàd’ebraismo”.

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“Dopo la grande migrazione inIsraele tra il ‘48 e il ‘49 – racconta –del gruppo di Donato Manduzio so-no rimaste al paese solo quattro si-gnore. Sono state loro a tenere vivala tradizione ebraica e a trasmetterlaai figli e ai nipoti”. “Tramandare i nostri principi di ge-nerazione in generazione – sottoli-nea infatti Lucia Di Maggio, madredi Maria, Sara e Patrizia – è la cosapiù importante, l’unico modo cheabbiamo per non andare dispersi”.Sorretta da un buon trend demogra-fico, la forza di quell’insegnamento

ha superato le previsioni più ottimi-stiche. Tanto che oggi il gruppoebraico comprende quasi quarantapersone, dagli ottant’anni ai due mesidel piccolo Lorenzo. Quasi tutti inattesa del suggello definitivo e uffi-ciale al loro ebraismo. Sono in gran-de maggioranza donne, gli uominisi contano a stento sulle dita di duemani. “Anche se – garantisce GraziaGualano – la situazione si sta pianopiano riequilibrando”. Per loro l’ebraismo non è un ritualeda riservare alle feste o un’astrazioneculturale. Ma vita quotidiana, checoinvolge nel profondo. “La fede èil motore di tutte le nostre azioni”spiega Sara Leone, 25 anni, studen-tessa di Biologia. “Vogliamo amareil Signore con tutto il cuore”, aggiun-ge la sorella Maria, laureanda in fi-losofia. Nella pratica quotidiana ciò significamangiare kasher, preparare le challotal venerdì e al tramonto accenderele candele di Shabbat. E’ astenersi

dal lavoro per l’intera giornata delloShabbat e darsi appuntamento nellasinagoga per una tefillah di solito ri-dotta, perché monca delle parti cherichiedono la presenza di dieci uo-mini. E’ organizzare le grandi festecon mesi d’anticipo per assicurarsiil minian (adesso, per mettere insie-me il quorum maschile, si sta lavo-rando alla pianificazione di qualcheShabbat con il gruppo che fa capoa Trani). E’ preparazione e studio,con il rav Mino Bahbout che da anniveglia sulla situazione o sotto la gui-da del maestro Vito Perugia che daRoma sbarca a Sannicandro a mesialterni per due settimane di studiointensivo che coinvolgono grandi epiccini. Ed è anche fare gruppo, sce-gliere di stare insieme per condivi-dere e rinnovare una tradizione inun susseguirsi d’appuntamenti chein questo borgo assumono toni e sa-pori assai diversi da quelli cittadini.Qui l’ebraismo appare un collanteportentoso, capace di stemperareperfino il fisiologico attrito tra le ge-nerazioni in un’atmosfera che permolti versi rimanda a un’Italia antica,tramata di gesti ospitali e abitudinisemplici. Madri, figlie e nonne lavo-rano insieme senza un velo di ten-sione. La divisione dei compiti èquasi matematica: le signore alla cu-cina, le ragazze col cellulare incollatoall’orecchio ad accogliere ospiti, spie-gare e guidare visite. Gli uominicompaiono di tanto in tanto con ilmelone appena colto (quasi tuttipossiedono un pezzo di terra), il pe-sce appena pescato o qualche enor-me zucca.“Collaboriamo tutti allo stesso pro-getto – sorride Maria – non ci sonoconflitti tra le generazioni perché ve-

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DOSSIER/Sud EBREI PER SCELTA

“Mi trovavo nell’oscurità esentivo una voce che mi dice-va: ‘Ecco io vi porto la luce’.Ho visto, nelle tenebre, un uo-mo che teneva in mano unalanterna spenta che non illu-minava”. Così Donato Mandu-zio descrive la visione desti-nata a rivoluzionare la sua vi-ta e quella di un gruppo disannicandresi. Siamo nel 1930.Manduzio ha 45 anni, viene dauna modesta famiglia di brac-cianti, è infermo e da poco haimparato a leggere e scrivere.Spinto dal desiderio di con-quistarsi la luce vista in sognosi accosta all’Antico testa-mento e inizia a diffondere lanuova religione tra le personepiù vicine: la moglie, il fratel-lo, le cugine, gli amici. Dallecase si eliminano le immagini,ci si riunisce il venerdì sera esi rispetta il Sabato. Si cele-brano le feste, si studia la Bib-bia e s’impartiscono nomiebraici ai nuovi nati.Solo un anno dopo Donato

scopre, grazie a un venditoreambulante, che gli ebrei nonsono scomparsi da secoli mache le città sono “piene diquel popolo”. Scrive subito ad alcuni ebreiresidenti a Torino e Firenzepoi si mette in contatto conil rabbino capo di Roma, An-gelo Sacerdoti, che all’iniziopensa a uno scherzo. Il grup-po di Sannicandro insiste e aquel punto il rav inizia a in-teressarsi alla questione, purmettendo bene in chiaro che“l’ebraismo è assai poco incli-ne al proselitismo e solo ec-cezionalmente accetta prose-liti”.Nel 1936 il gruppo conta unacinquantina di convertiti,compresi i bambini, e di tantoin tanto riceve la visita diebrei “nati nella Legge” men-tre i contatti con Roma si fan-no via via più stabili. La pro-mulgazione delle leggi razzia-li, due anni più tardi, non nescalfisce affatto le convinzio-

ni. Il nuovo rabbino di Roma,Davide Prato, cerca di rispar-miare loro molte difficoltà ri-badendo “non siete ebrei per-ché non siete nati ebrei, ed’altra parte la vostra conver-sione non è mai stata legaliz-zata”. Ma i “Fedeli di Levi”, co-me li chiamano i paesani, nonci stanno. Firmano in massa

un documento in cui si dichia-rano ebrei, protestano con ilrabbino e si professano di re-ligione ebraica anche davantialle autorità.Queste ultime sembrano di-menticarsi di loro, forse an-che grazie alla fittissima retedi parentele e solidarietà chelega tra loro gli abitanti del

paese. Gli ebrei di Sannican-dro attraversano dunque sen-za troppi problemi gli annidelle persecuzioni e nell’au-tunno del ‘43 hanno occasioned’incontrare i soldati dellaBrigata ebraica. E’ il primo se-me di un altro radicale cam-biamento. Il gruppo già sape-va cos’era il sionismo e cosastava accadendo. Ma i militaripalestinesi schiudono per laprima volta la prospettiva af-fascinante dell’emigrazione.La svolta decisiva avviene nel-la prima settimana dell’ago-sto 1946, quando DonatoManduzio vede finalmente isuoi integrati nel popolod’Israele. Con una cerimoniacollettiva si celebra la conver-sione del gruppo. L’immersio-ne rituale avviene nelle acquedell’Adriatico. Due anni dopo,una seconda tornata di con-versioni. Solo allora il mondo,e gli stessi paesani, scopronoquest’affascinante vicendagrazie ai riflettori dei media.

Ma a quel punto la storia de-gli ebrei del Gargano si avviaa conclusione. Manduzio muore nel 1948 etra il ‘49 e il ‘50 la piccola co-munità migra in massa inIsraele dove si stabilisce pre-valentemente al Nord, tra Bi-ria e Zefat. Al paese rimango-no solo quattro donne chenon hanno potuto affrontarela conversione. Sembra l’iniziodella fine. Ma le quattro si-gnore non s’arrendono e ten-gono viva la tradizione diManduzio trasmettendola allenuove generazioni. Il resto èstoria di oggi.A far conoscere quest’appas-sionante vicenda sono statidue libri molto diversi: il ro-manzo di Phinn E. Lapide,“Mosè in Puglia” , (Longanesi,1958) e, con altro spessorestorico, “San Nicandro. Unpaese del Gargano si converteall’ebraismo” (Corbaccio,1995) della studiosa franceseElena Cassin.

u LA CASA “Un’unica stanza spaziosa, quasi qua-drata, dai muri imbiancati a calce; il sof-fitto, anch’esso imbiancato a calce, èmolto alto”. Elena Cassin, autrice del li-bro San Nicandro, ricorda così la dimoradi Donato Manduzio. Oggi la sua casa,a pochi passi dalla sinagoga, è stata tra-sformata da uno degli eredi in un’ano-nima palazzina a due piani. Nulla ricordala storia del carismatico capostipite de-gli ebrei del Gargano.

u IL MUSEO Il documento d’identità di Manduzio, una manciata di foto, lettere e alcuni oggetti rituali. A ospitare, in una saletta, alcuniframmenti della memoria ebraica di Sannicandro è il Museo storico archeologico e della civiltà contadina realizzato da MicheleGrana. Il piccolo settore ebraico è stato allestito grazie a Eliezer Tritto che negli anni ha donato molti suoi preziosi documentie conta numerose visite di scolaresche dall’intera regione.

u DONATO MANDUZIO, LA CONVERSIONE DI MASSA E L’EMIGRAZIONE IN ISRAELE

Una visione tra luce e tenebre destinata a mutare il corso della Storia

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niamo dalle stesse origini, siamo lastessa cosa”. Per tutti quella di Do-nato Manduzio è storia di ieri, cheormai si tinge delle sfumature del mi-to, ma in cui ci si continua a ricono-scere con fierezza: a venti come aottant’anni. A tavola le ragazze ascol-tano affascinate i ricordi di Ester,istruita da bambina nella casa diManduzio. E lei racconta delle suelezioni che per tenere desta l’atten-zione alternavano alla Bibbia branidi romanzo, parla delle recite di Pu-rim con i costumi di carta colorata,della paziente moglie Emanuela. Mai nipoti, che d’italiano conoscono astento qualche parola, scalpitano. “Canta nonna, canta Gerusalemme”,implorano. E senza fasi pregare trop-po Ester intona con voce ancora si-cura una scarna melodia. E’ uno degliinni scritti ai tempi di Manduzio. Pa-role desuete che raccontano di Ge-rusalemme e della Terra promessa,da lei cantate infinite volte nella suainfanzia e nella nuova casa in Israele.Le donne si uniscono al canto. Elie-zer nonno ed Eliezer nipote le se-guono a mezza voce. E per un atti-mo, in un dolce pomeriggio di set-tembre a Sannicandro, la Storia sem-bra chiudersi in un cerchio magico.

Il mulo di EliezerUn bracciante a fianco di un mulo ornato da un Maghen David. Quellaa fianco è una delle foto simbolo della storia ebraica di Sannicandro. Acomporre l’emblema è stato Eliezer Tritto. “Allora avevo sette anni edero molto bravo a disegnare – ricorda – Un giorno feci un MaghenDavid e mi venne la fantasia di inserirne un altro all’interno su unfondo scuro. Uno dei conoscenti di mio padre lo vide, gli piacque eportò a riprodurre il tutto dal lattoniere”. Fu così che il MaghenDavid, trasformato in medaglione con tanto di campanelli, planò sul

muso di un mulo a significare il profondo legame con l’ebraismo della gente di Sannicandro. E, ri-prodotta nel libro di Elena Cassin, quell’immagine fece il giro del mondo.

Quel diario prezioso “Qui ci narra una piccola lucita storia e come da una via tenebrosaè uscita una luce. Luce che riluce nelle tenebre ombra di morte”. Siapre così il diario in cui Donato Manduzio ripercorre gli avveni-menti che negli anni Trenta lo portarono alla religione ebraica in-sieme alla moglie e a un gruppo di cittadini di Sannicandro. Ildiario è oggi uno dei cimeli più preziosi del gruppo ebraico locale. Si compone di alcuni quaderni legatiinsieme e ricoperti da una sdrucita carta da pacco. Le pagine a righe, quelle in uso un tempo nelle no-stre scuole, recano le tracce del tempo. La grafia è marcata e a tratti incerta, le pagine assottigliate eingiallite dalle tante mani che negli anni le hanno sfiorate. Ma la suggestione che ne promana è sem-pre viva. E’ custodito oggi da privati ma potrebbe divenire l’embrione di un museo dell’ebraismo san-nicandrese attualmente in progetto.

Il coroInni, stornelli, recitazioni. Uno dei frutti più sin-golari della conversione di Donato Manduzio edel suo gruppoè un vasto re-pertorio dicanti che cele-brano le di-verse occasionirituali e le fe-stività. Sonocanzoni in unitaliano nobile,che riecheggia le cadenze bibliche, innestato sumelodie che in parte derivano dalla devozione cat-tolica e dalla tradizione delle processioni. Ad ana-lizzarle, nella genesi e nella struttura, è da pocouscito “Fonte di ogni bene” (127 pag, EditriceRotas) di Francesco Lotoro e Paolo Candido conprefazione di Pasquale Troìa che ne riproponeuna selezione in un cd. A intonare i canti compo-sti a Sannicandro tra il 1930 e il 1945 sono, conentusiasmo e calore, le donne del gruppo che oggisi riconosce nell’ebraismo. Per loro gli inni deltempo di Manduzio sono infatti ancor oggi un re-pertorio vivo e vitale che s’intona volentieri incoro nelle feste e nelle occasioni speciali.

u Ester e EliezerTritto

u Da sinistra Maria,Lucia, Patrizia eSara Leone

u Grazia Gualanonella sinagoga

u Sannicandro -l’interno dellasinagoga

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Così fiorisce la rinascita di Tranitra antichi simboli e nuove alleanzeNell’epicentro della ripresa ebraica pugliese, dove la sinagoga ha un campanile, ma con tanto di Maghen David

ú–– Daniela Gross

U n campanile su cui svettaun discreto ma evidenteMaghen David. E’ l’emble-

ma più éclatante del risveglio del-l’ebraismo in atto nel Mezzogiornod’Italia. Il campanile in questione èquello della Scolanova di Trani, epi-centro di una rinascita culturale chein questi ultimi anni vede il suo sce-nario principale proprio nelle Puglie.Utilizzato in origine come sinagoga,il piccolo edificio immerso nell’in-trico degli antichi vicoli dopo la cac-ciata degli ebrei dal Meridione è sta-to infatti trasformato in chiesa perdivenire poi, in tempi più vicini, cen-tro culturale. Poi, quattro anni fa,l’ultima decisiva metamorfosi.Su richiesta del gruppo ebraico pu-gliese il Comune, guidato dal sinda-co Giuseppe Tarantini, sancisce larestituzione della Scolanova all’ebrai-smo. Una serie di pronunciamentitra Soprintendenza alle Belle arti eBeth Din israeliano sbloccano la spi-nosa questione di una Madonninaposta in una nicchia che potrebbeostacolare la ripresa del culto (il tuttosi risolve con un’halakhica aliena-zione di quella parte dell’edificio ela discrezione di un velame a celarla).E la candida Scolanova torna al ritoe alla cultura ebraici come segnalatoda quella scenografica Stella di Da-vide che, dopo qualche mese, è issata– con effetto invero un po’ surreale- in cima alla torre campanaria.

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La storia della rinascita del Mezzo-giorno ebraico è d’altronde tutta tra-mata di simboli che raccontano diun rapporto strettissimo con la realtàcircostante, ebraica e no. Il primoKippur celebrato in compagnia diun gruppo di ebrei tripolini tra lemura di un ex monastero. La Ha-nukkiah gigante accesa sul fortinoche s’affaccia sul centralissimo porto.Il Sefer Torah che nella Giornatadella cultura ebraica fa il giro dei vi-coli accompagnato da una grandepartecipazione di folla.“In una situazione come la nostra,in cui stiamo cercando di riaccen-dere i motori dell’osservanza, il rap-porto e il dialogo con il mondo nonebraico sono essenziali, forse più che

in altre realtà”, spiega Francesco Lo-toro. Quarantacinque anni, pianistae docente di pianoforte, Francescoè uno degli artefici della rinascita pu-gliese in cui profonde lo stesso en-tusiasmo e la stessa caparbia energiache da anni lo guidano in un’altraimpresa ai limiti dell’impossibile.Quella di riportare alla vita la musicacomposta nei campi di concentra-mento attraverso un’opera certosinadi raccolta, recupero e poi esecuzio-ne. Un lavoro immane che ha tro-vato forma nell’Enciclopedia disco-grafica Kz musik di cui già sono statiincisi alcuni cd. “Fin dal principio – racconta – lagente ha vissuto con grande natu-ralezza la rinnovata presenza ebraica.La città sembrava infatti riappro-priarsi di una parte della sua identità.Chi ci vedeva con la kippah in testaci accoglieva con un caloroso ‘ben-

tornati’. Non benvenuti, bentornati.Quasi che il nostro essere qui andas-se a riparare una storia spezzatasisecoli fa”.

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L’accoglienza tranese non si è peròesaurita nel garbo di un saluto. Onello scambio di visite e auguri. Masi è tradotta subito in un supportopratico prezioso. Il ristoratore dietrola Scolanova ha aperto le cucine almasghiach per la preparazione dipasti kasher acconsentendo a tenerele luci accese di Shabbat. La baristaha messo il suo bagno a disposizionedei frequentatori della sinagoga (do-ve solo da poco ne è stato possibilerealizzarne uno). Il gestore del bedand breakfast pratica sconti notevolia chi dal resto delle Puglie giunge a

Trani per lo Shabbat o le festività. Sono aiuti che possono sembrare in-genui a chi vive in Comunità dovel’osservanza si fonda su un sistemacomunitario rodato da secoli. Mache hanno grande importanza, an-che morale, per un gruppo che congrande impegno e fatica va costruen-do una sua fisionomia e un’organiz-zazione stabile.Ancor più centrale, in questo lavoro,il rapporto con il mondo ebraico.“La nostra storia – ricorda Francesco– inizia nel 2004 quando con alcuniebrei della regione abbiamo decisodi dare vita a un gruppo. Il primoappuntamento è stata la Giornatadella cultura ebraica, organizzata inpoche settimane”. “Poi – continua -abbiamo cominciato a darci da fareper ottenere l’utilizzo della Scolano-va. Da allora stiamo lavorando dicemento per consolidare la nostra

realtà con l’affetto e il sostegno dellaComunità ebraica di Napoli, di cuisiamo una sezione, e del rav ShalomBahbout che fin dal principio è statoal nostro fianco”. Gli ebrei in Puglia oggi sono pochi,una cinquantina appena in tutta laregione. Tra di loro ve ne sono pa-recchi che si sono trasferiti qui perlavorare nelle basi militari di Brin-disi, Gioia del Colle, Foggia e Ta-ranto. Molti sono israeliani, qual-cuno arriva dalla Bielorussia, qual-cun altro dall’Iran. Insomma, un mi-crocosmo cosmopolita che nel ri-conoscimento identitario si saldaalla realtà, per tanti versi ancora sco-nosciuta, dei marrani. Uomini edonne lontani discendenti di ebreiconvertiti che - come raccontaAbraham Zecchillo, a cui oggi sonoaffidate le cure della Scolanova edella kasherut - dopo moltissimi an-ni hanno fatto ritorno alle radiciebraiche. Nipoti e pronipoti di fa-miglie che nel chiuso delle case persecoli hanno mantenuto usanze etradizioni ebraiche: la preparazionedelle azzime a Pesach, l’accensionedelle candele di Shabbat, la prepa-razione delle challot al venerdì.

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Il composito gruppo pugliese po-trebbe crescere a breve , sostieneFrancesco, anche sull’onda di unacrescente notorietà. “Dopo ognievento pubblico ci contatta qualcunoche racconta di essere ebreo o diavere origini ebraiche e chiede di es-sere coinvolto”. Intanto si tratta dianimare una realtà che ha i suoi li-miti principali proprio nell’esiguitàe nella dispersione. A queste condizioni realizzare lezio-ni e occasioni culturali è infatti unaquestione improba. Anche un sem-plice Shabbat con dieci uomini peril minian è iniziativa che richiedegrande attenzione per coordinare lepersone, organizzare pernottamentie pasti. Per questo gli ebrei di Trani,oltre a coltivare con dedizione gliamici delle altre Comunità ebraiche,stanno cercando una sinergia con ilgruppo di Sannicandro. Per oral’obiettivo è uno Shabbat al mesetutti insieme. Ma per il futuro il pro-gramma promette di essere assai piùambizioso.

“Fin dal principio la gente havissuto con grandenaturalezza la nostrapresenza. La città sembravariappropriarsi di una partedella sua identità. Chi civedeva con la kippah in testaci accoglieva con un caloroso‘bentornati’. Non benvenuti,bentornati” Quasi che ilnostro essere qui andasse ariparare una storia spezzatasisecoli fa”.

A sinistra Abraham Zecchillo che apre il portone della Scolanova. Originario di Trani, Zecchillo è tornato ad abitarvi

attratto dal rinnovamento in atto in Puglia. Oltre ad occuparsi della sinagoga e delle visite segue alcune questioni legate

alla kasherut. A destra Francesco Lotoro fotografato all’interno della Scolanova, per lungo tempo utilizzata come chiesa

e poi come centro culturale, che quattro anni fa l’amministrazione comunale ha restituito al culto ebraico.

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S ettant’anni fa fu l’Inghilterraa dichiarare guerra alla Ger-mania (che aveva aperto il

fuoco contro la Polonia), aprendocosí ufficialmente le ostilità in unodei più sanguinosi conflitti della sto-ria. La responsabilità di avere messoin movimento la valanga del con-flitto nel quale perirono 70 milioni dipersone, fra cui sei milioni di ebreivittime della ritorsione tedesca, fudunque degli Inglesi. L’Organizza-zione delle Nazioni Unite, se fosseesistita, al termine della secondaguerra mondiale avrebbe potuto no-minare una commissione d’inchiestaper valutare i danni causati alle po-polazioni civili delle due parti. E segli Inglesi si fossero rifiutati di colla-borare all’esercizio di equidistanza,la commissione avrebbe potuto sti-lare un volume di 575 pagine con1223 note stigmatizzando le perditeinflitte ai civili tedeschi senza unaparola su ciò che fu perpetrato dallaGermania nazista.Quello che potrebbe sembrare un de-menziale e inutile esercizio di sofi-stica, descriveinvece esatta-mente la meto-dologia deldocumento cheRichard Gol-dstone ha stilatoper conto delConsiglio sui di-ritti umani sta-bilito dallamissione del-l’Onu per accer-tare i fatti delconflitto di Gaza. Goldstone, unebreo sud-africano coadiuvato da trecommissari, ha ritenuto onesto e in-telligente pubblicare un rapportod’inchiesta in cui è stata sentita sola-mente una delle parti interessate,Hamas, e non la parte israelianacoinvolta nel conflitto in un arco ter-ritoriale profondo 40 km., ampia-mente superiore a quello dell’interastriscia di Gaza. Com’era facile pre-vedere, il documento è un atto di ac-cusa nei confronti dell’esercito e delgoverno israeliano: documento pro-lisso, unilaterale, abbondante di in-venzioni, imprecisioni e illazioni nonconfermate da testimonianze incro-ciate. Dal canto suo, Israele aveva ri-fiutato di collaborare con lacommissione Goldstone dopo cheuno dei membri, la giurista inglese

Christine Chinkin, aveva pubblicatouna lettera al direttore di un quoti-diano in cui negava il diritto di auto-difesa di Israele. Il rapporto Goldstone va ad aggiun-gersi alle centinaia di risoluzioniunilaterali di condanna di Israele ap-provate annualmente come atto do-vuto dall’Onu e da altreorganizzazioni pubbliche e private.L’impatto operativo di questi sforziretorici dalle sembianze giuridiche èquasi nullo. Ma non si può negareche l’accumularsi di questa massacartacea e delle sue indelebili traccein internet, finisca per inquinaregravemente la banca dati su cui lefuture generazioni si formerannoun’opinione. Non meno inquietanteè il fatto che oggi ambienti culturalie politici non sospetti di pregiudiziotendono se non ad accreditare, per lomeno a prendere nota dell’esistenzadi queste versioni distorte. Da quinasce la vocazione all’equidistanzanota anche come equivicinanza.Equivicinanza fra due sofferenzeumane in fondo simili fra loro, maanche fra due concetti diametral-mente opposti dell’etica politica e delrispetto per la vita umana: l’unocondiviso da Israele e dalla civiltà oc-cidentale, l’altro in totale vilipendioad esso. Equivicinanza, in Occi-dente, significa inevitabilmente par-ziale negazione della propria

filosofia, dellapropria ragionedi essere. Di ciòbisognerebbe es-sere più consape-voli.In questi fran-genti Israele nonfa praticamentenulla. E’ uno deipochi paesi almondo in cuiesiste una fortecapacità autocri-

tica nei confronti delle operazioni digoverno. Il Controllore dello Stato èun’istituzione di provata indipen-denza che non esita a esporre episodidi incapacità e corruttela. E cosí ilConsigliere giuridico del governo chenon ha esitato a rimandare a giudi-zio un presidente della Repubblica eun primo ministro. In ripetute occa-sioni Israele ha avuto il coraggio dinominare commissioni di inchiestainterne che hanno impietosamentesvelato errori di pianificazione e diconduzione pubbliche. Il paradosso è che lo stato d’Israele samettere se stesso sotto accusa, congli abbondanti strumenti costituzio-nali di cui dispone, e allo stessotempo viene messo sotto accusa daaltri, sulla base di patetiche dicerie,falsificazioni di dati, o pura invet-

tiva. Quegli stessi altri, mai hannopensato di sindacare se stessi, vuoiperché nella cultura politica dei paesiislamici il concetto di autocritica nonesiste, vuoi per l’imperante ipocrisiadei loro fiancheggiatori. È giusto e importante da parte israe-liana non perdere mai il senso deivalori etici ebraici, anche quando larealpolitik impone decisioni difficili,anche nel pieno delle operazioni mili-tari. Ma sarebbe anche necessario

controbattere con maggiore efficaciaalle accuse quando queste sono in-giustificate. Israele non dispone diun’agenzia di stampa statale, mentretutte le altre controparti dispongonodi un portavoce che mette in circolola loro versione ufficiale dei fatti. Laproverbiale libertà di stampa inIsraele lascia ampio spazio alle vocidi dissidenti che in altre culture ven-gono acquistati, azzittiti o semplice-mente soppressi.

La tattica seguita da Israele di “nongiocare” non paga in questa erasuper comunicativa. È importante dire tutta la verità espiegarne bene i difficili contesti.Israele avrebbe dovuto preparare efar circolare in simultanea un rap-porto alternativo a quello di Gol-dstone, altrettanto dettagliato,narrando tutta la propria verità. Altrimenti resta solamente tutta lafalsità.

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EDITORIALI / COMMENTI / LETTERE

OPINIONI A CONFRONTO

S arà una visita del cuore edella ragione quella di Be-nedetto XVI ai luoghi più

carichi di significato della comu-nità ebraica di Roma, cioè il Tem-pio Maggiore e l’antico ghetto.L’avvenimento, non comune, ètuttavia anche naturale. E questoperché alla maturazione positivache, in modo irreversibile, caratte-rizza i rapporti tra cattolici edebrei almeno dalla metà del Nove-cento in buona misura ha contri-buito e sta contribuendo JosephRatzinger: negli anni passaticome teologo e poi come cardinaleresponsabile dell’ortodossia dellaChiesa, e ora come papa. Ma sitratta anche di un gesto emblema-tico di vicinanza e di amicizia delvescovo di Roma nei confrontidella più antica comunità ebraicad’Occidente, la stessa alla qualenegli anni Quaranta del primo se-colo – durante il regno di Clau-dio, prima dell’arrivo di Pietro edi Paolo nella capitale dell’impero– inizialmente si rivolsero i primidiscepoli di Gesù venuti da Geru-salemme. Che ad Antiochia, più omeno negli stessi anni, già eranoconosciuti con il nome di cri-stiani, termine greco che significaseguaci del Messia.Dalla vicinanza, dalla differenza edalla competizione anche a Romanacquero – come già era avvenutoa Gerusalemme e in altre comu-nità della diaspora – contrasti,

che provocarono disordini e mi-sure repressive delle autorità. Fuquesto nella città imperiale ilprimo episodio conosciuto di unastoria lunghissima di prossimità edivaricazione, che comunque nonha mai cancellato né oscuratol’ineliminabile comunanza tracristiani ed ebrei. E nonostanterivalità, incomprensioni, intolle-ranze, violenze, nessuno è riu-scito mai a strappare questa santaradice comune, la cui ramifica-zione, proiettata nel futuro degliultimi tempi, fu intravista e de-scritta da Paolo al tempo di Ne-rone proprio nella lettera allacomunità cristiana di Roma, dovel’apostolo sarebbe giunto qualcheanno più tardi.Il veleno dell’avversione antie-braica, già diffusa nell’antichitàpagana, ha inquinato durante isecoli anche i rapporti tra cri-stiani ed ebrei, mescolandosi al-l’originaria rivalità religiosa eteologica. Fino al crescere in etàmoderna e contemporanea di unrazzismo del tutto nuovo, ancorauna volta pagano, nei confrontidel popolo ebraico, sfociato nelmostruoso sterminio della Shoah,vera e propria ora delle tenebreche ha segnato in modo indelebileil Novecento europeo e di frontealla quale la Chiesa di Roma hacercato di opporsi con un’opera dicarità – incoraggiata e sostenutain ogni modo da Pio XII, poi dive-nuto segno di contraddizione –che ha salvato moltissime vite dal-l’atroce persecuzione. Anchenell’antico ghetto romano Bene-detto XVI rievocherà la memoriadelle vittime della Shoah e ren-derà loro onore, come ha fatto inpiù occasioni, soprattutto ad Au-schwitz, “come figlio del popolo

tedesco”, e quindi a Yad Vashem.E ancora una volta il vescovo diRoma entrerà in una sinagoga, ri-petendo un gesto semplice, giàcompiuto da papa a Colonia, sededella più antica comunità ebraicain territorio germanico, quattromesi dopo l’elezione a successoredi Pietro, e a New York, alla vigi-lia delle festività pasquali.Papa Ratzinger avanza così nellungo cammino di riconciliazionetra cattolici ed ebrei che nella se-conda metà del Novecento è statopercorso dai suoi predecessori conpassi sempre più decisi. Passi “lacui condivisione e promozione findall’inizio era stato un obiettivodel mio personale lavoro teolo-gico”, come Benedetto XVI ha ri-vendicato – con doloroso stuporedi fronte a insostenibili accuse diantisemitismo – nella letterascritta ai vescovi cattolici dopo larevoca della scomunica ai vescovilefebvriani, uno dei quali a insa-puta del papa si era reso respon-sabile di ignobili affermazioninegazioniste della Shoah.L’incontro di Benedetto XVI congli ebrei romani esprimerà dun-que quell’affetto dichiarato consolennità durante la messa inau-gurale del suo pontificato ai “fra-telli del popolo ebraico, cui siamolegati da un grande patrimoniospirituale comune, che affonda lesue radici nelle irrevocabili pro-messe di Dio”. Un patrimonioche, nelle differenze, ha bisogno diessere riscoperto in continuazioneper superare diffidenze, ignoranzee rivalità reciproche – tra fratelli,si sa, queste non sono infrequenti– e per ritrovarsi, alla fine. Non sisa quando e non sarà facile, pro-babilmente, ma certo ne vale lapena.

Benedetto XVI con gli ebreiVisita di cuore e di ragione

Nel silenzio d’Israele si alimentano le falsitàú–– Sergio

Della Pergolademografo, Università ebraica di Gerusalemme

ú–– Giovanni Maria Viandirettore de L’OsservatoreRomano

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S econdo il professor Shifman ta-le legame può essere scioltounicamente se un tribunale

rabbinico dichiara che i due israelianisono liberi di sposarsi di nuovo senzabisogno di ghet (documento di divor-zio): in un certo senso la sentenza deltribunale rabbinico viene a sciogliere illegame.Ma iniziamo dal racconto dei fattiprincipali, come appaiono nella sen-tenza 4276/63 del Tribunale rabbinicosupremo (11/11/2003): un ebreo edun’ebrea, entrambi cittadini d’Israele equi residenti, si sposano civilmente aCipro il 17 ottobre del 1987. Conse-gnano l’attestato al ministero degli In-terni che li ha registrati come sposati edalla loro unione nasce una bambina.Vari anni dopo i rapporti fra i due siincrinano e le parti iniziano procedurel’una contro l’altra, sia al Tribunalerabbinico, sia in quello di famiglia. Aun certo punto l’uomo chiede al Tri-bunale rabbinico di emettere una sen-tenza dichiarativa per cui le parti nonsono sposate secondo il diritto ebraico(letteralmente: kedat Moshé veIsrael)o, alternativamente, una richiesta didivorzio.Il Tribunale rabbinico locale emetteuna sentenza secondo cui le parti nonsono sposate kedat Moshé veIsrael,stabilendo che sia l’uomo sia la donnapossono sposare chi vogliono trovan-dosi nella condizione di non-sposati.Tale sentenza, che non aveva tenutoconto del matrimonio civile, vienecambiata dal Tribunale rabbinico su-premo e permette alle parti di sposarsi,senza però addurre ulteriori motiva-zioni. La donna si rivolge allora alla Cortesuprema israeliana nella sua funzionedi Bagaz (Corte suprema di giustizia;sull’ordinamento giudiziario si puòvedere Groppi-Ottolenghi-Rabello, Ilsistema costituzionale dello Stato diIsraele, Torino, 2006, pp. 227 ss.). Se-

condo la donna il Tribunale rabbinicoaveva permesso alle parti di sposarsiperché non aveva dato valore al matri-monio civile svoltosi a Cipro e nonaveva motivato lo scioglimento di que-sto matrimonio. La donna consegnainoltre a Bagaz un documento dell’Uf-ficio centrale di statistica da cui risultache nel 2000 si sono sposati all’estero5 mila 600 abitanti di Israele, in prati-ca il 7% di tutti gli israeliani che si so-no sposati in quell’anno. Una parte siè sposata con matrimonio religiosomentre 1.381 coppie israeliane si sonosposate a Cipro, fra cui 735 coppieconsiderate ebree da ambo le parti.Coppie di ebrei preferiscono talvolta ilmatrimonio civile all’estero non per-ché sia difficile sposarsi ebraicamente,ma a causa delle difficoltà del divorzioebraico, con le sue cause di divorzio ela posizione preminente del marito.Alla domanda secondo quale dirittodeve giudicare il Tribunale rabbinico,la Corte Suprema ha più volte rispostoche il Tribunale rabbinico deve giudi-care negli affari di matrimonio e divor-zio esclusivamente secondo il din To-rah senza che vi debba essere una sot-tomissione al diritto internazionaleprivato o ad un altro diritto. Alla luce di tale considerazione il pre-sidente del Tribunale rabbinico supre-mo, il dayan Dichowski, ha osservatoche esiste una divergenza di opinionifra i poskim a proposito del valore ha-lachico di un matrimonio civile. Daun lato il matrimonio non è stato in-fatti celebrato kedat Moshé veIsrael.Dall’altro possiamo supporre che leparti si siano sentite come vincolatematrimonialmente anche secondo lahalakhah e abbiano considerato i lororapporti come normali rapporti framarito e moglie, per creare una fami-glia. In questo caso normalmente vie-ne ritenuto necessario il ghet, almenolechumra, cioè per essere sicuri chenon veniamo a dichiarare permessaper un altro matrimonio una donnache invece dovrebbe essere consideratasposata e quindi avrebbe dovuto esseredivorziata con un ghet. È differente il caso in cui la coppiavuole creare espressamente un vincolonon secondo dat Moshé veIsrael. In talcaso il matrimonio è considerato

senz’altro contrario alla halakhah. Persciogliere il vincolo non sarà dunquenecessario un ghet: lo scioglimento delmatrimonio civile si effettuerà in basealla sentenza del Tribunale rabbinico,secondo l’uso accolto dai diritti di mol-tissimi paesi, senza bisogno – lo ripe-tiamo - di ghet.Questa soluzione è basata in principalmodo sull’opinione del rav I. Rozin(soprannominato Rugaciover, 1858-1936) autore dell’opera Responsa zfa-nat paneach. Secondo tale autore an-che se nella rivelazione sul Sinai i figlidi Israel hanno ricevuto regole partico-lari sul matrimonio e divorzio, conti-nuano a rimanere in vigore anche leregole valide per i bené Noach (noachi-di o figli di Noè), cioè per l’Umanitàintera, e si può quindi comprendere ilminhag dei Tribunali rabbinici inIsraele di sciogliere con una sentenzail matrimonio civile. I bené Israel han-no infatti kiddushin (consacrazione)che sono loro propri, e nisuim che sonocomuni all’umanità intera (bené No-ach): per questo matrimonio (noachi-de) è sufficiente il desiderio di divor-ziare dell’uno o dell’altra per sciogliereil vincolo e la sentenza del tribunaleviene a dare vigore a questa volontà,come avviene nella maggior parte deidiritti moderni dell’umanità. Con la sua sentenza il tribunale rabbi-nico viene quindi a togliere il vigoredel matrimonio civile da ora in avanti(ex nunc) ma viene anche a decidere seper lo scioglimento di quel determina-to matrimonio civile venga richiesto, omeno, il ghet. Nel caso specifico cheabbiamo riportato all’inizio dell’artico-lo il Tribunale rabbinico ha stabilitoche il motivo del divorzio vada ricerca-to nell’assoluta impossibilità di vitamatrimoniale fra le parti e che non sianecessario il ghet, sciogliendo così conla sua sentenza il matrimonio civile.Ecco una decisione del Tribunale rab-binico supremo e della Corte supremaisraeliana sul matrimonio civile ed uninvito a studiare anche per noi Ebrei lemizvot dei bené Noach.

Per un approfondimento:A. M. Rabello, Introduzione al DirittoEbraico: Fonti, Matrimonio e Divor-zio, Bioetica, Torino, 2002)

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EDITORIALI / COMMENTI / LETTERE/ P24

L’ora di religione a scuolae le tutele della società laica

“L a prima scossa che turbò gli ebrei d’Italia... fu data dallaRiforma Scolastica che va sotto il nome di RiformaGentile”, presentata nel 1924-25, “per una svolta tantoinattesa quanto inesplicabile” del fascismo “ la Scuola

italiana da laica diventava cattolica” scrive Rav Prato (z.l.) nella prefazioneal volume “Dal pergamo della Comunità di Roma” (5711-1950).Affrontando questo argomento con ottica non tanto benevola verso quellascuola laica della quale “avevano particolarmente approfittato gli ebrei diRoma noncuranti di educare e d’istruire i loro figliuoli nella lingua, nellastoria, nella disciplina dei doveri ebraici”, la nascita all’epoca di scuoleebraiche gli appare quindi la miglior risposta. L’idea di scuola delineata daPrato riflette la preminenza dell’educazione ebraica, a noi assai cara, epropone concetti che oggi probabilmente sarebbero espressione diopposte posizioni. “Gli ebrei come i valdesi come i mussulmani chevogliono mantenere pura, secondo il loro modo di vedere, la coscienza deiloro figli - scrive - si aprano Scuole per conto loro; lo Stato, perché è suodiritto, ne sorveglierà il funzionamento senza incidere nello spiritodell’insegnamento fino a quando esso non presenti un pericolo per l’ordinepubblico e, ove occorra, le sovvenzionerà come Scuole a sgravio”. Aquesta visione, coerente con un concetto di società aperta, ne affianca poiun’opposta quando dice di “non disapprovare l’attuale indirizzo religiosodelle Scuole dello Stato in cui domina una religione alla quale appartiene il99 e mezzo per cento della popolazione”, dicotomia evidentemente figliadi quel tempo. Riguardo la situazione attuale che, a “giustificazione” dellapresenza dell’ora di religione nella scuola pubblica (a carico dellacollettività intera) adduce invece la “superiorità” di una religione, ancheRav Prato però probabilmente condividerebbe lo sconcerto per posizioniche sembrano predicare una divisione dei cittadini tra “tolleranti” e“tollerati”, ad onta della Costituzione che ci vuole tutti uguali dinanzi alloStato. Apparrebbe invece particolarmente consona alla nostra società intrasformazione un’impostazione, della scuola come dello Stato tutto, cheinvece di difendere privilegi dia pari opportunità ai diversi credenti e ai“senza fede”, così da dare forma a una società realmente laica e capace digarantire la libertà di tutti nel rispetto tra tutti e verso tutti.

Gadi PolaccoConsigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

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I disegni e gli appunti grafici che accompagnano l’intervista alle pagine 6 e 7 e le pagine degli editoriali e dei commentisono di Giorgio Albertini

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u LA LEGGE

Può essere utile al lettore prendere visione di alcuni articoli della legge israeliana sulla competenza dei Tribunali rabbinici inmateria di matrimonio e divorzio, 5713 – 1953:

■ Competenza per le questioni relative a matrimoni e divorzi: le questioni relative a matrimoni e divorzi di ebrei in Israele, siacittadini che residenti, sono di competenza esclusiva dei Tribunali rabbinici.

■ Celebrazione di matrimoni ed effettuazione di divorzi: matrimoni e divorzi tra ebrei verranno effettuati in Israele secondole norme della Torah.

■ Competenza nel corso di un divorzio: qualora sia stata presentata al Tribunale rabbinico una richiesta di divorzio tra ebrei siada parte della moglie che del marito, il Tribunale rabbinico avrà competenza esclusiva per ogni questione connessa con larichiesta di divorzio, inclusi gli alimenti alla moglie e ai figli della coppia.

ú–– Alfredo Mordechai Rabellogiurista

ú– LETTEREHo sentito dire che in Israele non è previsto il matrimonio civile e che molte coppieper questo celebrano le nozze all’estero. Ma in che modo si può sciogliere questolegame fra due israeliani ebrei?

Ottavio Bianchini, Milano

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S e si dà un’occhiata ai pro-grammi dei corsi di filosofiae teologia delle università

cattoliche, colpisce la presenza im-ponente di Edith Stein. E colpisceanche la quantità di pubblicazioni.Nel 2009 sono usciti tre libri, eancor di più nel 2008, oltre a unagran quantità di saggi, convegni,opere in musica e film. La rete di metafore altisonanti –dalla “luce nella notte di Au-schwitz” all’”angelo di Husserl” –che si va infittendo, sembra preclu-dere una riflessione sulla sua vita,una fuga assurda, forse la più as-surda tra le tante che ci furono al-lora, terminata ad Auschwitz il 9agosto del 1942. Il fiume straripantedi pubblicazioni sembra non averealtro scopo che cancellare il cancel-labile, gli ultimi resti ebraici diEdith Stein, per imporre, con ripeti-zione ossessiva, la figura di suor Te-resa Benedetta della Croce, monacacarmelitana, martire, già beata esanta – ci dicono – nonché patronad’Europa.Da parte ebraica le prese di posizio-ne non sono certo altrettante. Nonperché, come qualcuno ha insinuato,Edith Stein sia fonte di imbarazzo.Ma perché la fonte di imbarazzo è ilmodo in cui la Chiesa ha usato e usaEdith Stein. Gli ebrei non possono rallegrarsi delfatto che questa potente istituzione,che non ebbe il coraggio di chiamaregli sterminatori con il loro nome da-vanti al mondo, si sia appropriata diquella ebrea che forse non sarebbestata ridotta al silenzio se la Chiesanon avesse taciuto. Il che è tanto più

eclatante dal momento che fu lastessa Stein, tra il 1933 e il 1938, achiedere più volte udienza a Pio XIIper sollecitarlo a condannare la poli-tica antiebraica di Hitler, udienzasempre negata per “il numero ecces-sivo di visitatori”. Alla Stein va ri-conosciuto il merito di aver fatto untentativo. Ma a che titolo giudicanoquesta donna, a che titolo la glorifi-cano, quelli che allora hanno sba-gliato?“Non posso non sospettare che ilVaticano prenda in considerazionecosì seriamente la canonizzazione diEdith solo perché sente l’urgenza diprocurarsi un alibi”, denunciava ilfilosofo Günther Anders (aliasStern) nel suo taccuino di un viag-gio ad Auschwitz del 1966 (ora initaliano: Discesa all’Ade. Au-schwitz e Breslavia 1966, Milano2008). Anders conosceva EdithStein perché entrambi provenivano

da Breslavia, la città nell’Alta Slesiacosì importante per l’ebraismo tede-sco. Si imbatté poi nelle sue tracce

quando, per studiare filosofia, si re-cò a Friburgo dove perfino la suapadrona di casa ricordava quellagiovane promettente filosofa, assi-stente del famoso Edmund Husserl. Ma nel frattempo Edith Stein avevagià lasciato Friburgo e, alla dispera-ta ricerca di un’assimilazione nega-ta, si era messa a scrivere di mistica,diventando cattolica, tomista e per-fino carmelitana. La sua fuga assurda la portò nellaclausura di un convento, una picco-la gabbia nella grande gabbia dellaGermania di allora. Lei stessa laracconta nella sua autobiografia(Storia di una famiglia ebraica,Roma 1992), scritta prima dell’ulti-mo viaggio, che la riportò in un tre-no blindato nell’Alta Slesia, ad Au-schwitz, un viaggio che forse fu perlei ancora più straziante. Perchéebrea tra gli ebrei interpretò la partedella suora carmelitana, in una sor-

ta di “festa in costume”, come com-menta con dolore Anders.Alla ricerca di mezzi per emendareil suo errore, per aggirare il suoscacco, la Chiesa ha trovato unacandidata ideale, ha optato perun’ebrea, la cui glorificazione per-mettesse la propria autoglorificazio-ne. Libro dopo libro, viene suggeritala versione di una “martire cristia-na”, come se il suo incenerimentodovesse avere qualcosa di diverso ri-spetto a quello degli altri milionisterminati con lei. Vero è che Edith Stein è morta per-ché era ebrea. Vero è che quando fuarrestata, disse di voler condividereil destino del “suo popolo”. E vero èanche che nessuno può dire che siamorta come cattolica, perché nullasi sa delle ultimissime ore. Dopo eoltre il chiasso della glorificazione,tutto questo dovrà essere meditatocriticamente.

S ono passati vent’anni dall’approvazione del-l’Intesa che archiviava definitivamente il regiodecreto del 1930 con cui le comunità “israeli-

tiche” avevano funzionato durante il fascismo e neglianni della prima Repubblica. Per il piccolo ebraismoitaliano, che allora approvava anche il suo primo sta-tuto interno all’insegna della nuova piena autono-mia, si apriva così una situazione inedita, tra rischidi disintegrazione e opportunità di rilancio. Pochi avrebbero scommesso su quanto poi è accadu-to: l’inattesa fioritura culturale, la ripresa dell’osser-vanza, la fine del tradizionale ripiegamento su se

stessa della vita comunitaria. E, all’esterno, un inte-resse sempre più forte a conoscerci e, finalmente, acomprendere le ragioni di Israele. Un’attenzione sen-za corrispondenza con i numeri della nostra presenzao il peso elettorale in cui ha giocato un ruolo impor-tante anche l’apertura della Chiesa. Dopo vent’anni è tempo di bilanci. E’ il momentod’interrogarsi sulla correlazione tra quest’esplosioneculturale e la svolta legislativa del 1987-89, tema cuiè dedicato un importante convegno di studi, promos-so dall’università di Roma e dalla Fondazione Cdeccon il patrocinio dell’Unione delle Comunità Ebrai-che Italiane, che il 9 novembre vedrà riuniti nell’aulamagna della facoltà di Giurisprudenza numerosiesperti. L’approvazione dell’Intesa ha messo in crisi tantevecchie certezze. La piena eguaglianza e libertà han-no imposto la necessità di attivarsi per mantenerel’identità culturale religiosa, la coesione e un’orga-nizzazione unitaria e rappresentativa riscuotendo il

consenso degli iscritti, offrendo servizi di qualità. El’adesione nel 1996 al meccanismo dell’Otto per milleha avuto anche un inatteso impatto organizzativo,rafforzando l’UCEI nel suo ruolo guida delle Comu-nità a livello nazionale. Ma soprattutto, l’Intesa haportato al pieno riconoscimento della libertà indivi-duale di praticare la propria religione, con il diritto dirispettare il sabato e le feste ebraiche nel mondo dellavoro e delle attività collettive. Una piena uguaglianza cui si saldano altre impor-tantissime conquiste tra cui l’abolizione della diversi-tà di tutela penale delle religioni, l’impegno control’antisemitismo e la tutela dei beni culturali ebraici.Davanti al razzismo, alle chiusure verso il diverso, alrifiuto del multiculturalismo, al ritorno di influenzeimproprie del cattolicesimo ufficiale su scelte anzitut-to di coscienza individuale, la lezione e le conquistedell’Intesa di vent’anni fa non vanno dimenticate. Ciricordano tuttora chi siamo e le nostre responsabilitànell’Italia di oggi.

Vent’anni per un’Intesa d’attualità

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Al di là del mito. A chi appartiene Edith Steinú–– Donatella

Di Cesarefilosofa

ú–– Giorgio Sacerdotipresidente Fondazione CDEC

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U na buona società non può vi-vere senza minoranze, reli-giose, culturali, sessuali, po-

litiche. Le credenze e le condotte mag-gioritarie hanno un potenziale di veritàe di autenticità solo nei limiti in cui di-ventano minoritarie, nei limiti in cui siliberano della presunzione di parlareper tutti e sono riconquistate da ciascu-no come sguardi inusuali, nuovi e fra-

gili sul mondo. E’ una verità conosciu-ta da chiunque abbia mai affrontato lavita con serietà e dedizione. Ogni lavo-ro, ogni ricerca, intellettuale, spirituale,morale e politica, ha bisogno di un’at-mosfera di libertà e di indipendenza acui sono nemici il bisogno di compiace-re gli altri e l’attrazione verso i gusti ele opinioni diffuse. Non importa che lamaggioranza sia quella che si crea inregimi dove vige la libertà di opinione,che è il pericolo che avevano intravistocon grande acutezza i teorici liberali ot-tocenteschi, come John Stuart Mill, osia quella imposta da un’autorità di-spotica nei regimi totalitari. La ricercadella verità ha bisogno di apprezzareciò che è nuovo ed eccentrico, ciò che è

strano e controcorrente, mentre le opi-nioni della maggioranza tendono a im-porsi per una forza che non è loro spe-cifica, ma quella della massa di personeche vi aderiscono e tendono a respinge-re idee diverse. L’essere minoranza ha però anche unaltro significato poiché, se il luogo dovefiorisce una credenza e un ideale è lapropria interiorità, lo spazio più largo èinvece quello di pratiche di vita ed espe-rienze condivise. I grandi passi nel pro-gresso morale e civile nelle nostresocietà sono stati conquistati da alcunigruppi di persone, tesaurizzati dallaloro esperienza condivisa in pratiche dilotta e di rivendicazione di sé. La libe-razione di vari gruppi oppressi, dagli

ebrei ai neri, dalle donne ai gay, è statala scoperta interna a gruppi determi-nati di persone di lotte e di un linguag-gio che hanno trasformato la percezionedi sé e l’hanno messa in circolazione.Come ha mostrato in modo emblema-tico l’esperienza ebraica nel Novecento,c’è una difficoltà a trovare le parole chedanno voce alla propria esperienza e arenderla una fonte viva per tutti: ilpassaggio dalla vergogna di ciò che si è,intessuta della percezione e del giudiziodegli altri, alla riscoperta di sé che rove-scia questa percezione in motivo di or-goglio e in modello per tutti.I diritti, quelli liberali e costituzionali,consolidano in modo fisso questa realtàmobile, la possibilità di essere se stessi e

di vivere con gli altri in modi che sonosempre aperti alla novità e alla speri-mentazione. La democrazia vive suquesta tensione, poiché ha bisogno diuna cultura costituzionale condivisa,fondata sui diritti e sulle libertà comebase ultima e irrinunciabile della con-vivenza civile (qualcosa che nel nostropaese chiamiamo anche laicità), ma nonpuò permettersi di lasciare che le suebasi diventino acquisite e ovvie. Ha bi-sogno che siano sempre da conquistaree da difendere, ma anche da ripensare eda riscoprire. Ha bisogno di una conti-nua sperimentazione delle sue basi edelle sue forme, e sono gli individui e leminoranze a rendere possibile questavita democratica.

Quello sguardo democratico delle minoranzeú–– Piergiorgio

Donatellidocente di bioetica,La Sapienza di Roma

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F ervono le polemiche sulle cele-brazioni nel 2011 del 150° an-niversario dell’unità d’Italia.

Polemiche che sono arrivate a metterein discussione l’oggetto stesso da cele-brare, lo Stato Italiano. Mentre la Le-ga alza proclami separatisti ed esalta idialetti e i campanili, si possono trova-re sui giornali articoli titolati “Abbas-so il Risorgimento” che ci presentanocome una seria revisione storiograficail passatismo più bieco e l’elogio delloStato della Chiesa e del regno borboni-co. Dobbiamo forse dedurne che l’uni-tà d’Italia non sia più un dato sconta-to e irreversibile?Proviamo a fare una sommaria rifles-sione sul modo in cui il Risorgimentoitaliano è stato nel corso degli anni ri-cordato ed interpretato, sull’immagineche ne è stata tramandata nelle scuolee nell’opinione comune. Non è, questodella memoria del Risorgimento, untema molto dibattuto, nemmeno nelmondo ebraico, che pure ha ottenutol’Emancipazione attraverso il Risorgi-mento e che si è identificato, nell’Otto-cento, con la formazione dello Statonazionale come condizione stessa dellaparità dei diritti e del raggiungimentodella piena uguaglianza politica e so-ciale.Per la mia generazione, il Risorgi-mento italiano era il tema centrale delprogramma scolastico di storia con-temporanea, come la storia romana eraquello centrale della storia antica. Sa-pevamo a menadito tutte le battagliedelle guerre del Risorgimento, aveva-mo una frequentazione stretta con Ca-vour, Garibaldi e Mazzini, per non

parlare di Vittorio Emanuele II. Matutta quest’agiografia era naturalmen-te problematica. Infatti, era l’ereditànon solo del processo risorgimentalestesso, ma anche del fascismo, fruttodel suo nazionalismo e della sua esal-tazione della romanità. Per questo, noi della generazione deldopoguerra trattavamo sia Roma cheil Risorgimento con una certa suffi-cienza. Le guerre del Risorgimentonon ci piacevano, a Mazzini preferiva-mo Pisacane, a Cavour Cattaneo, aCrispi gli insorti di Bronte. Comincia-va in quegli anni la revisione in chiaveantirisorgi-mentale diquella storia.Ricordo unlibro giorna-listico diAlianello, Laconquista delSud, che al-lora mi sem-brò illumi-nante: erava-mo dallaparte deiperseguitati,e la guerradel brigan-taggio cisembravauna batta-glia per lagiustizia.L’aspetto borghese del Risorgimento ciirritava quanto la sua retorica nazio-nalista. Ma tutto questo senza intac-care ciò che allora sembrava a tutti,qualsiasi fosse il punto di vista, un da-to di fatto scontato: l’unità d’Italia. Sipoteva rivedere la retorica, valutarecriticamente le modalità della costru-zione nazionale, ma il Risorgimentonon era messo in discussione. Se siparlava di conflitto, era di quello traCavour e Mazzini, non di quello tra

Pio IX e Vittorio Emanuele II. Eppure a volte mi domando se non ab-biamo, con il nazionalismo, buttatovia anche il patriottismo, l’identifica-zione con lo Stato italiano. Oggi pochistudenti conoscono la storia del Risor-gimento italiano. Nessuno sa piùquante furono le guerre di Indipen-denza, che cosa rappresentò il 20 set-tembre del 1870, figuriamoci l’Eman-cipazione di ebrei e valdesi nel 1848!Invece di una revisione ciò che si è de-terminato è stata una cancellazionedalla memoria e dalla storia. Nellescuole, lo studio del Risorgimento è

stato sostitui-to dallo studiodel Novecentoe, se primanon si arriva-va oltre la pri-ma guerramondiale,adesso si saltacompletamen-te o quasil’Ottocento esi cominciadal 1914. Si èeliminata laretorica, maanche la me-moria storica.Che fare, allo-ra? Credo cheritornare astudiare il Ri-

sorgimento non basti. Il processo deveessere più ampio e profondo: dobbiamoricostituire la memoria collettiva dellacostruzione dell’Italia in quanto Stato,affondare in quel processo le nostre ra-dici identitarie. Occorre, dopo tantianni e tante crisi della nostra identitànazionale, ricreare una memoria chesia senza censure e senza retorica, maanche senza nostalgie retrograde deisecoli privi di libertà, di uguaglianze,di Stato.

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C os’è l’identità? Secondo ildizionario, a livello indivi-duale esprime un “rapporto

di esatta uguaglianza o coinciden-za”. A livello collettivo rappresentala “coscienza della propria indivi-dualità e personalità”. In altre paroleè ciò che ci fa sentire parte di qualchecosa: della famiglia, sia essa di san-gue o mafiosa, dell’ideologia - di na-zione, di classe o di una strutturaumana a cui si attribuiscono spirito eregole particolari come lo spirito delcorpo medico o del reggimento, pernon parlare di quel “freddo mostro”che per Hobbes è lo stato. Per l’ebraismo in tutte queste identi-tà si nasconde il pericolo idolatria. Ladifferenza fra il profano – quel chesta al di qua del fano, della soglia deltempio - e quello che sta al di là delfano, è il tipo di sacro. Laico come ilPantheon di Parigi o religioso comenel Tempio di Gerusalemme. Il ter-mine ebraico di sacro, kadosh, non si-gnifica santo ma sacro, ciò che sta al-l’interno della casa della divinità.Che può essere un idolo o, come nelcaso ebraico, l’idea dell’En Sof, del“senza fine” di un Nome, impronun-ciabile che è la Havaya, l’essenzainarrivabile coi sensi e la mente. Nel passato, con idee del genere ilmonoteismo ebraico poteva apparireunico, rivoluzionario, in totale con-trasto con l’etica e le religioni del suotempo. Ma oggi insistere sul valoredel particolarismo monoteisticoebraico non è una pretesa elitista, unvolere marcare una distinzione ar-caica che per molti, anche ebrei, è

pretenziosa e attira invidia e antago-nismo? Mi sembra vero il contrarioproprio a causa dell’ossessioneebraica per l’idolatria che non è soloun dovere ma ragione d’esistere.Quest’opposizione costante, inflessi-bile dell’ebraismo contro tutte leforme di paganesimo, diventa indi-spensabile in un’epoca in cui assi-stiamo al rifiorire del politeismo e delpaganesimo. Le star di celluloide non sono menoinfluenzanti delle stelle o del sole. Lalotta contro l’idolatria non è soltantoun dovere per l’ebraismo. E’ la suaragione di esistenza. Monoteismoebraico significa combattere, testimo-niare contro la deificazione delle cose,del possesso, del potere, delle ideolo-gie. E’ combattere contro il dualismo,l’attribuzione di potere supremo almale, contro il panteismo che consi-dera divina la totalità delle cose, giu-stificando un relativismo che rendeimpossibile la distinzione fra il bene eil male. Non è solo una lotta controqualche cosa ma anche per qualchecosa. Attraverso questa lotta infatti,il monoteismo ebraico ha proclamatola fratellanza degli esseri umani, laprotezione degli animali, l’unitàdell’universo molto prima che i verdie gli scienziati la scoprissero, difesol’unità della storia. Per molti è duroammettere questa preminenza. Con quali strumenti l’ebraismo mo-rale elitista ha condotto la lotta con-tro l’idolatria e il paganesimo?Opponendo il metodo al sistema. Unsistema è uno strumento d’analisiche si completa in se stesso, unamappa intellettuale utile, a condi-zione non si trasformi in illusione direaltà. Il metodo invece – shita inebraico - è un procedimento logicocon cui un problema viene impostatoed eventualmente, ma non sempre,risolto. Opera, indaga, immagina, re-stando sempre legato a un fatto con-creto. E’ lo strumento di ricercatalmudico par exellence, il pilpul, chenon crea mappe ma partendo daqualcosa di concreto permette infi-nite estensioni e applicazioni senzamai cadere nella tentazione del-l’idolo. Il sistema rischia invece di di-staccarsi dalla realtà. Tanto più unsistema - marxista, democratico, giu-ridico, politico - è elegante, intellet-tualmente soddisfacente, tanto piùrischia di trasformarsi in un idolocon una conseguenza non piccola: ilproblema di cosa fare delle eccezionialle sue regole. E’ il problema delsarto che per quanto abile nel ta-gliare non può evitare di crearescampoli. E’ il problema molto piùserio della scelta fra il male maggioree il male minore. Per risolvere la que-stione degli scampoli si usano le pat-tumiere. Gli istituti psichiatrici e daicampi di sterminio per chi non siconforma col sistema.

Dove si celanole idolatrie

ú–– Vittorio Dan Segrepensionato

Anniversario con polemiche per celebrare l’unità d’Italia

ú–– Anna Foastorica

/ P26 EDITORIALI / COMMENTI / LETTERE

uando il 22 novembre partirà, finalmente,la prima edizione del Master Hans Jonas(www.hansjonas.it), proverò una gioia in-

tensa. Perché a questo traguardo abbiamo lavoratotantissimo, con Saul Meghnagi e altri, incerti sinoalla fine sull’esito finale. Tutto comincia con l’ultimoCongresso dell’UCEI, quando l’Unione giovani ebreid’Italia, insieme agli altri gruppi giovanili, fa appro-vare unanimemente una mozione che chiede ai consi-glieri entranti di occuparsi della formazione dei nuo-

vi leader comunitari. Una priorità assoluta, pensia-mo, perché conosciamo le difficoltà sempre maggiorinel gestire una keillah, soprattutto se piccola o me-dio-piccola. Siamo stati insieme nei movimenti gio-vanili, abbiamo lavorato nel Consiglio dell’Ugei.Adesso vorremmo creare uno strumento di crescitacomune, ebraica, rivolta al futuro. E dopo parecchimesi e alcuni tentativi costituiamo l’Associazione dicultura ebraica Hans Jonas, in onore del grande filo-sofo tedesco del Novecento, con un’assemblea fatta diragazze e ragazzi da molte parti d’Italia. Ci riuscia-mo grazie ad amici nelle varie Comunità che credononel nostro progetto e ci aiutano. Il Joint DistributionCommittee (JDC), attraverso il programma Leatid, cimette a disposizione dei docenti e organizza la partedel primo master che insegna ai ragazzi gli aspettipiù pratici della leadership comunitaria. Stabiliamoalcuni importanti contatti internazionali con orga-

nizzazioni ebraiche e coinvolgiamo docenti universi-tari autorevoli, ebrei e non ebrei, che accettano di in-segnare gratuitamente. Ed eccoci qua, alla partenza.L’11 novembre Hans Jonas viene presentata con ilconvegno Democrazia, laicità, diversità alla Cameradei deputati, con gli interventi, oltre al presidentedell’UCEI Renzo Gattegna, di Piero Fassino, GiorgiaMeloni, Mario Marazziti e Nicola Zingaretti, mode-rati dalla neodirettrice del Tg3 Bianca Berlinguer. Aseguire l’inizio del master, saranno 20-25 giovaniebrei da tutta Italia. Siamo solo al primo passo. Il cor-so andrà ripetuto. Dovremo riuscire a finanziareun’attività di ricerca sull’ebraismo italiano. Dovre-mo stare nel dibattito pubblico, mostrando la ricchez-za delle Comunità di tutta Italia e un volto aperto,dialogante, non strumentale dell’ebraismo. Una sfidaambiziosa. É per il nostro futuro che vale la pena diprovarci.

ú–– Tobia ZeviAssociazione di cultura ebraicaHans Jonas

Così i giovani si preparano al futuro

Q

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CULTURA / ARTE / SPETTACOLO

pagine ebraiche“Non copiare nessuno, ridi se ti copiano”! - Angelo Fortunato Formiggini

u /P28-29UMORISMO

u /P30-31MUSICA

u /P32-33LETTERATURA

u /P34-35COMIX

u /P36-37SPORT

u /P38MUSEI

u /P39RITRATTO

ú–– Sandro Gerbi

Dai primi anni TrentaEugenio Colorni diventaun «ebreo suo malgra-

do». Nel senso che tale «appar-tenenza» gli verrà imputatadall’esterno, come una colpa,in almeno due circostanze. La prima coinvolge colui che fi-no a quel momento era statouno dei suoi migliori amici, loscrittore Guido Piovene. Questi,a partire dal 1° giugno del ‘31,cominciò a pubblicare sull’Am-brosiano una rubrica quotidianaintitolata “Biglietto del mattino”,con una cinquantina di rapidepuntate. Piovene immaginavadi scrivere dei messaggi aun’ipotetica signora ebrea, Ed-vige Salomon di Amburgo (cheha «l’enfasi patetica della suarazza»), informandola sarcasti-camente sugli amici, sugli am-bienti milanesi da lui frequen-tati, sulle proprie avventure edisavventure, vere o fasulle. Iltutto a comporre un vivace fe-uilletton, non sempre felice nellostile, ma curioso, e soprattuttomalizioso. Perché, come sempre,Piovene traeva ispirazione darealtà a lui ben conosciute, al-terando solo qualche dettaglioper fuorviare gli ignari lettori.Ma non le persone interessate,come Eugenio Colorni.

óúúúó

Si legga il primo di questi Bi-glietti del mattino.Lo scrittore immaginava di in-contrare in una biblioteca tal«Franz» (alias Colorni), cono-scente della signora Salomon.Con sorpresa, lo trovava «vesti-to, in quel luogo, d’una casaccaturchina e di calzoni color kaki,come usano i vostri uominiquando si mettono in viaggio».«Franz» spiega che non ha il de-naro per comprarsi un altro ve-stito, e non vuole chiedere aiutoal pur ricco padre, perché non

ritiene lecito vivere di rendita.(...) Era il rigore morale di«Franz» a irritare Piovene.«Io credo che quest’ambizionedi scegliere la religione, la pa-tria, la condizione sociale, e diricominciare faticosamente ilmondo in noi, e di patire e dispremere la nostra partecipa-zione ai nostri atti, paia eroicasoltanto per una finzione del-l’egoismo e della pigrizia». Le al-lusioni erano trasparenti. (...) La seconda circostanza è stret-tamente legata alla campagnaantisemita, iniziata in Italia neiprimi mesi del 1938. L’8 set-tembre Colorni veniva arrestato,dopo mesi che l’Ovra era sullesue tracce, in seguito alle con-fidenze di due delatori mai iden-tificati, uno a Parigi e uno aTrieste. (...) Solo il 17 ottobre,però, la notizia del suo arresto(assieme a quella dell’ebreo Di-

no Philipson, a Firenze) venivadata dai quotidiani, cui eragiunta una velina del Mincul-pop, che recitava: «I giornalicommentino il comunicato Ste-fani sull’arresto del prof. Colorniponendo in rilievo che le attivitàsvolte da lui e dagli altri rimon-tano ad un periodo antecedentea quello nel quale fu agitato inItalia il problema della razza. IlColorni e gli altri non meritanoquindi alcuna pietà».

óúúúó

Già nel pomeriggio del 17 otto-bre, L’Ambrosiano pubblicavala notizia, seguita da un corsivoche trasudava odio:Gli annali dell’ebraismo possonodirsi ricchi di casi come il presente.Gli ebrei, fatte poche eccezioni, sonosempre stati o indifferenti o nemici

del Fascismo. E questo stato d’animoderivava loro dall’essere senza patriae senza una dottrina. Il Regime è stato sempre longanime,e infatti non ha colpito che i casiestremi di ebraismo antifascista. Ora,l’attività contro il Fascismo di questigruppi di ebrei, si può dire ch’è natacon il Fascismo. Quanto al giudeoColorni, specificamente, si sa cheagiva contro l’Italia già da parecchiotempo. È giunta l’ora della puni-zione. (...)

L’indomani, 18 ottobre 1938, igiornali si scatenavano con ar-ticoli violenti e grossi titoli insintonia con le direttive ricevute:Agli imbecilli (Farinacci su Il Re-gime Fascista); La doppia vitadel professor Colorni (Il Piccolodi Trieste); Ebrei antifascisti ar-restati e deferiti al TribunaleSpeciale (Il Popolo d’Italia); Latrama giudaico-antifascista

stroncata dalla vigile azione del-la polizia (Corriere della Sera).(...)Una volta stabilita la linea dicondotta, si era deciso di ren-dere di pubblico dominio l’even-to, evidentemente per alimen-tare la campagna antiebraica,ormai entrata nel vivo.Poco importava che il distaccodi Colorni dall’ebraismo e dalsionismo fosse a tutta prova. Èvero che molte persone dellasua cerchia erano ebrei (anchese per lo più «laicizzanti» comelui) e che nel censimento del 22agosto 1938 egli figurava ancoraiscritto alla Comunità israeliticadi Trieste. Ma il problema ebraico era or-mai completamente assente dal-le sue riflessioni. Eppure, inquei giorni, questo diventavaun particolare irrilevante, poi-ché faceva comodo al regimemettere in piazza l’ovvia equa-zione: ebreo, per di più ricco,uguale antifascista. Laddove luicertamente avrebbe preferito es-sere considerato più una vittimadell’illiberalismo fascista chenon delle leggi razziali.

óúúúó

Il «veleno» di «una fede feroce»,per dirla con Montale, obbligavadunque Colorni a diventare un«ebreo suo malgrado». (...) Undestino all’epoca inevitabile, co-me sanno tutti coloro che du-rante la «persecuzione dei dirit-ti», e ancor più durante la «per-secuzione delle vite» (dopo l’8settembre), sperimentarono sul-la propria pelle il brusco richia-mo ad ascendenze cosciente-mente rimosse.Oggi Eugenio riposa nella tom-ba di famiglia, al Cimitero israe-litico di Milano, a destra rispettoall’ingresso principale del «Mo-numentale», accanto a tutti isuoi cari: questo, sì, l’avrebbedesiderato, ma non di morire asoli trentacinque anni.

SANDRO GERBI, giornalista e storico, ha dedicato molti studi a Eugenio Colorni e il volume“Tempi di malafede - Una storia italiana tra fascismo e dopoguerra” (Einaudi), incentrato sulrapporto fra Colorni e Guido Piovene. La sua relazione dedicata a Colorni e il mondo ebraicodi cui riportiamo uno stralcio è uno dei numerosi contributi del convegno su Eugenio Colornie la cultura italiana fra le due guerre, organizzato a metà ottobre all’Università di Milano dal-l’Istituto per la storia del pensiero filosofico e scientifico moderno del Consiglio nazionale perle ricerche con l’alto patronato del Presidente della Repubblica e il sostegno di molti enti, fracui il Centro di judaica Goren Goldstein. Fra gli interventi, “Eugenio Colorni, Umberto Saba e lapsicoanalisi” (Alberto Cavaglion), “L’apocalisse della modernità continua: la crisi della civiltànell’epoca dei totalitarismi” (Emilio Gentile), “Eugenio Colorni e l’ambiente ebraico triestinonegli anni Trenta” (Tullia Catalan), “La presenza di Eugenio Colorni nelle riviste del primo do-poguerra” (Mario Quaranta), “Colorni e Croce” (Stefano Miccolis), “Colorni lettore di Leibniz”(Geri Cerchiai), “Colorni e la cultura scientifica del suo tempo” (Luca Guzzardi), “Colorni e il Sio-nismo socialista” (Maurizio Torrini e Marco Cuzzi), “Colorni e la tradizione federalista di Catta-neo” (Carlo Lacaiata), “Antifascismo tra i giovani: il caso di ‘Pietre’” (Amedeo Vigorelli), “Borgesee Colorni: il comune impegno antifascista in nome dell’autonomia della cultura” (Alceo Riosa).

Eugenio Colorni, ebreo controvogliaLe veline del fascismo, il linciaggio della stampa, il tradimento degli amici: così l’antisemitismo svegliò l’identitàdi un grande intellettuale progressista e assimilato. A Milano un convegno ne ricostruisce il doloroso percorso

EUGENIO OLORNI nacque a Milano nel 1909, da una famiglia ebraica.Si laureò in Lettere con una tesi su Leibniz e collaborò con alcune ri-viste filosofiche. Nel 1935 entrò a far parte del “Centro interno so-cialista”, organismo di collegamento dei socialisti in Italia. Arrestatonel 1938 dalla polizia fascista, fu condannato a cinque anni di confinoa Ventotene. Evaso dal confino nel maggio 1943, si trasferì a Roma,dove venne ucciso dai fascisti un anno dopo.

Il MANIFESTO DI VENTOTENE - Durante il confino a Ventotene, Colorniaiutò Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nella stesura di un manifesto“Per un’Europa libera e unita”, di cui scrisse la prefazione e che pub-blicò clandestinamente nel 1944. Ancora oggi il Manifesto di Vento-tene, che propone l’unificazione di un Europa in senso federale innome degli ideali kantiani, conserva la sua attualità e resta un do-cumento di riferimento per molti europeisti.

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Ci vorrebbe una Casa del RidereIl sogno irrealizzato di Formiggini

ú–– Alberto Cavaglion

N ella storia dei musei unaparte importante giocanoi progetti non attuati, i so-

gni irrealizzati. Arcangelo Ghisleri,il geografo maestro di Salvemini, ave-va raccolto a Bergamo materiale perun Museo dell’Esule che non trovòmai le risorse necessarie per essereinaugurato. Sempre all’inizio del No-vecento l’editore modenese AngeloFortunato Formiggini voleva donareai suoi concittadini un museo cheavrebbe potuto essere utile non sol-tanto a Modena: la Casa del Ridere.Nell’Italia di oggi questi due museisarebbero necessari come l’aria chesi respira.Il ruolo che la casa editrice Formig-gini ha avuto nella cultura italianadel Novecento è, non da molto, ac-quisito: le sue collane, le sue riviste,le sue iniziative editoriali (la Treccaniche Gentile gli rubò!) sono state esa-minate con la dovuta cura. E’ statoperò necessario del tempo prima checi si accorgesse di lui e dell’assurditàdella sua morte. Soltanto nel 1988 ilComune di Modena ha posto unalapide: da allora ogni dieci anni ci siritrova a commemorarlo nel tvajoled Furmajin, il cantone sotto la Ghir-landina, dove si uccise il 29 novem-bre 1938. Si rischia però di commet-tere un errore fatale se si lega la me-moria di Formiggini al volo suicidadalla torre della Ghirlandina. Riman-gono, per nostra fortuna, le carte delsuo archivio: un vero tesoro deposi-

tato per sua volontà alla BibliotecaEstense. Rimane, in primo luogo, la passioneper l’arte del comico, che lo accom-pagnò per tutta la vita e persino nel-l’ultimo viaggio verso la morte (si ve-da l’importante libretto postumo Pa-role in libertà). Fin dai tempi dellaseconda tesi di laurea, nel 1907, aBologna in Filosofia morale (sei anniprima s’era laureato in Legge con unconfronto fra la donna nella Torà enel Manava-Dharma Sastra) la “filo-sofia del ridere” è una passione pre-dominante. Dirà in una famosa pa-gina autobiografica: “Nel periodo del-la mia vita che dedicai agli studi, lasola cosa, forse, a cui volsi l’animoparticolarmente fu il ridere, e mi par-ve che esso, oltre ad essere la piùemergente caratteristica dell’umanitàè il più specifico elemento diagno-stico del carattere degli individui

(dimmi di checosa ridi e ti di-rò chi sei), forseanche il tessutoconnettivo più te-nace e il più attivopropulsore della sim-patia umana”. Come questo progetto si sia attuatonella fortunata collana dei Classicidel Ridere, dove nel 1918 Marienbaddi Shalom Alechem troverà spazioaccanto a Boccaccio, Belli e Porta, ècosa nota.

IL PROGETTO DEL COLLEZIONISTAMeno noto è il lavoro di collezioni-sta. Che Formiggini avviò a partiredal 1918 affiancandolo al mestiere dieditore. E’ da sottolineare che la rac-colta di carte volanti, giornali, disegnida esporre nella futura Casa del Ri-

dere abbia avuto inizio pro-prio con i documenti satiricie umoristici dei soldati dellaGrande Guerra. Non l’eroi-

smo bellicista lo attraeva, néil vittimismo dolente, ma un’an-

tieroismo umano. Al pari di Ben-jamin, Formiggini vedeva nel colle-zionista l’uomo della vita che racco-glie le cose morte per farle rinascere.Sperava di trovare per la sua casauna sede idonea a Modena. Nessunolo ascoltò. Quelle sue carte, “gioconde” e “biz-zarre” (aggettivi formigginiani pereccellenza) vengono spesso confusecon l’officina del fabbricatore di libri,quando invece da questa si discosta-no come la realtà si distingue dal-l’utopia di una umanità più libera. LaCasa del Ridere è tutta da immagi-nare e così il giornale umoristico cheavrebbe desiderato fondare: nel pe-

riodo di lavoro a Genova avrebbedovuto intitolarsi L’Uovo di Colombo,dopo il trasferimento nell’Urbe si mu-tò in l’Ombelico (una specie di Sele-zione comica) .I progetti di Museo non sperimentatihanno un fascino inconfondibile, chei fasti dei musei faraonici non pos-seggono. Il fascino si confonde conil desiderio di riparare a un torto. Secautamente avanzo l’idea di attuareoggi il sogno di Formaggini è perchésono convinto che la Casa del Ridereper l’ebraismo italiano rappresentiuna specie di passaggio obbligato.Quella casa potrebbe ben dirsi una“schola”. A chi mi chiedesse se, nel-l’età dell’emancipazione, vi siano luo-ghi culturali dove il deposito dellafede dei padri, il “moral deposit of faith”di cui parlano gli inglesi, si sia sedi-mentato, non avrei esitazione a ri-spondere, tracciando sulla carta geo-grafica una linea tra Modena e Man-tova, dove il deposito fu eminente-mente uno “humoristic deposit of faith”.Nel fazzoletto di terra che si estendeintorno al tvajol ed Furmajin , pochis-simi chilometri quadrati, potremo re-perire l’occorrente per dare sostanzaal sogno di cent’anni fa.

NON SOLO FORMIGGINIDebbo, per necessità, limitarmi agliestremi geografici di un triangolo chefu della vita e non della morte. In-sieme alla Modena di Formiggini, glialtri due vertici sono: 1) Pompone-sco, a due passi da Mantova, dovevisse e operò Alberto Cantoni (1841-

ú– UMORISMO

C he cosa accomuna George Simenon a AgathaChristie? La risposta più ovvia non è quella cor-retta. Anche se sono entrambi grandi autori di

libri gialli, l’elemento che li accomuna è altrove; siamoa Bari, in Puglia, al culmine delle manifestazioni che sisono tenute durante il Festival di cultura ebraica Negba.La sala è grande, accogliente nel suo rigore, al muro “AllBands”, una straordinaria pittura murale di Sol LeWitt,solo in parte nascosta dallo schermo su cui presto ver-ranno proiettate graffianti, preoccupanti, inquietanti dia-positive. L’argomento dell’affollato incontro è “Satira,umorismo e antisemitismo”. Luciano Canfora introducel’argomento, con letture tratte da Simeon e dalla Christie,ma anche anche da Tacito e Shakespeare. Già dalle primefrasi emerge fra le righe (anche senza voler cercare troppoin profondità) chiaro e forte come il pregiudizio antie-

braico sia radicato nella letteratura, e non solo in quella“sospetta”. Ne segue una riflessione su come il riso puòessere utilizzato per descrivere l’ebreo a tinte fosche, dalgrottesco al ridicolo, come potente arma dell’antisemi-tismo. E pensare che l’umorismo è una componente im-portante non solo nella cultura, ma anche nella religioneebraica. Infatti in un Midrash viene spiegato chi puòavere parte nell’Olam ha-baà, il mondo a venire, un pri-vilegio enorme: con nostra sorpresa, scopriamo che trai tanti passanti che affollano un mercato, il profeta Eliaindica in due badranim coloro che avranno posto nelmondo a venire. Badranim sono i buotemponi, coloro che amano divertiregli altri in particolare le persone tristi, e mettere la pacetra quelli che sono in lite tra loro. Una conclusione piut-tosto inaspettata e che è servita da spunto anche per

Satira, Talmud e antisemitismoUn convegno a Bari, nel quadro del festivalNegba, sui due volti della comicità: un valore spirituale, ma talvolta anche un’armaa disposizione dei razzisti

L’editore modenese che diffuse l’umorismo ebraico in Italiavoleva costruire un museo della risata

L’incontro

u Nel 1926 Formiggini inventò le

“Cartoline Parlanti” che avevano lo

scopo di comprendere nello spazio

di una cartolina l’immagine di

un’opera d’arte con sotto una

descrizione storico-artistica

attraente. In una di queste

Formiggini lancia un messaggio

ironico: “Non copiare nessuno, ridi

se ti copiano”!

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Umorismo e senso del dovere.L’impiego come “missione”, qua-si nel senso weberiano del ter-mine, unito al non prendersitroppo sul serio e all’apprezzarele piccole gioie quotidiane. Que-sta è la singolare ricetta del do-cumentario israeliano Ha HevràAchì Gru’a BaOlam (ovvero, lapeggiore compagnia al mondo,distribuito anche con il titolo in-glese The Worst Company in theWorld), già uscito nelle sale diGerusalemme e Tel Aviv e orain cerca di distribuzione anchein Europa. Il regista Regev Contes, 33 anni,ha seguito per un anno la com-pagnia di assicurazioni di suo pa-dre Karol, un simpatico sessan-tenne di origine ceca che sembraportato per tutto fuorché per gliaffari. Ma che si ostina, nono-stante tutto, a pro-seguire a ogni co-sto sulla sua strada:fare l’assicuratore èla missione di Ka-rol Contes, discen-dente da una fami-glia di ebrei di Pra-ga che vanta 500anni di tradizioneimpiegatizia. Il de-stino va seguito no-nostante tutte le avversità... e aanche volte in barba all’evidenzae al più comune buon senso: giàperché né Karol Contes, né tantomeno i due amici squinternatiche gli fanno da soci, sanno faregli assicuratori. Tanto che la loroazienda è in passivo da ormaitempo immemore. Per l’appunto,è “la peggiore compagnia delmondo”.“C’è una dimensione tipicamenteebraica in tutto questo”, raccontail giovane regista. “Mio padre hadeciso di lavorare nelle assicura-zioni, anche se sapeva che nonne sarebbe mai stato capace, soloper fare piacere a sua madre. Unsenso del dovere atavico”, pro-segue. “E adesso, per quanto siaal verde, continua a mantenere

un ottimo sensodell’umorismo”. Un tratto di fa-miglia, si direbbe: “Mia nonna èstata internata ad Auschwitz emi risulta che raccontasse bar-zellette persino lì”. Eppure, nel ritratto affettuoso chene fa il regista, quella di Contese soci è anche la migliore com-pagnia che si possa immaginare:“Mio padre e i suoi colleghi mihanno insegnato a ridere”, rac-conta il giovane. Infatti tutto ilsuo documentario è intriso di unumorismo nostalgico, kafkiana-mente mitteleuropeo: una raramiscela tra il culto per la buro-crazia, l’umorismo dell’assurdo,ma anche una grande tenerezzae il rispetto per i rapporti umani.Prima ancora di essere impiegati

per vocazione, eprima ancora diessere negati pergli affari, KarolContes e i suoidue improbabilisoci sono soprat-tutto tre amici,tre uomini matu-ri che non si ver-gognano di mo-strare l’affetto re-

ciproco e di sostenersi nelle gran-di e piccole avversità quotidiane:un divorzio, la scoperta di uncancro, la morte del gatto, e na-turalmente una serie inenarrabiledi fallimenti finanziari. Per RegevContes, quella di suo padre è unalezione di vita: “Prima di girareil documentario ero il classicogiovane rampante, abituato adavere tutto e a non rilassarsi mai.Oggi invece ho molti meno soldima sono anche più rilassato econtento”, racconta. “Ormai sia-mo tutti abituati a correre dietroalla nostra carriera e al denaro,così ho pensato che al pubblicoavrebbe fatto piacere vedere trepersone che sono contente dinon combinare nulla dalla mat-tina alla sera”.

1904), il re umo-rista che ispiròLuigi Pirandello(a lui è dedicato Ilfu Mattia Pascal,da lui lo scrittoresiciliano presel’idea dell’umori-smo come senti-mento del doppio);2) Belfiore, dovenacque e visse a lun-go Tullo Massarani(1826-1905), l’eroe delRisorgimento, autore di un trattatoin tre tomi, Storia e fisiologia dell’artedel ridere, uscito nel 1900-1902, conpagine importanti su Cantoni cheFormiggini utilizzerà nella sua tesi dilaurea. Senza Cantoni la Casa del Riderenon starà su dritta, senza Massaraniè una dimora senza tetto. Ai colorifilosofici delle pareti provvede la “fi-

losofia della sim-patia” di Ludo-vico Limentani,da cui Formig-gini deriva ilconcetto dicomico comeideale di af-fratellamentoe solidarietàfra gli esseriumani.

Il tour operator è avvisato. C’èuna nuova Italia ebraica da scoprire,proprio nel cuore di una regione incui, mentre Cantoni scriveva e For-miggini sognava la Casa del Ridere,i nuovi caseifici mantenevano coi ca-scami del latte una gran quantità dimaiali: “Pomponesco”, scrive Can-toni, “è sotto Mantova e come tuttala provincia è compreso nella zonamalarica, purtroppo. Ora si aggiun-

gono i numerosi porci che la cir-condano – quasi un migliaio – perla grande estensione che ha presol’industria del latte. Sia benedettoMosé che li ha proibiti. Difatti inostri contadini ne hanno uno perfamiglia e noi nessuno”.

NELLE TERRE DEL LAMBRUSCOIn mezzo alle reclamizzate e supe-raffollate autostrade del lambrusco,il riso ebraico ha una tradizione di-gnitosa, da contrapporre alla memo-ria poco kasher del culatello o dellasalsiccia, che pure, come è giusto,hanno avuto i loro storici e dispon-gono di musei. L’umorismo ebrai-co-italiano ha qui la sua sorgente.Nulla a che vedere con il Witz mit-teleuropeo e freudiano dei triestini(Svevo, per intenderci), nessuna cu-ginanza con Woody Allen o Grou-cho Marx o con l’ironia un po’ lom-brosiano-cartesiana dei piemontesi(Primo Levi, per intenderci). Fra Mantova e Modena il comico sinutre di cascami del latte, di nebbiae di afa, s’intreccia con i versi dellaSecchia rapita, il do di petto del DonCarlos e non dimentica la saggezzadel rabbino Marco Mortara. Per co-glierne l’armonia bisognerà sedersi“in quella punta della provincia diMantova”, dove il Po, scriveva Can-toni, “raccolte dalla opposta riva letorbide acque dell’Enza, si getta aun tratto verso settentrione, l’ultimoaddio che il regal fiume volge repen-tinamente alla catena delle Alpi”.

l’intervento di David Meghnagi: da un lato la risatapuò risanare e portare davvero shalom - nel senso dicompletezza - ma dall’altro, in contesti diversi, può an-che diventare estremamente aggressiva e distruttiva. Egli esempi fioccano come neve d’inverno.L’ebraismo nel quale ci guida è quello della Torah: unebraismo che tra la morte e la vita sceglie la vita, checostruisce in modo positivo, anche in condizioni di sof-ferenza, magari attraverso la battuta pronta; un ebraismoche non rinuncia alla propria identità. E forse è proprioa causa di questa identità forte che l’ebreo, purtroppo,spesso diviene oggetto di scherno e dileggio. Le vignettesatiriche che Meghnagi proietta sono colme dei peggioristereotipi antisemiti. Disegni e didascalie in cui si rin-corrono come cani feroci l’aggressione, la menzogna,la derisione, la calunnia e la violenza, e tutto con un

unico obiettivo.Se gli ebrei ridono soprattutto di loro stessi, delle lorosofferenze e disgrazie, dei loro difetti e anche della lorostoria, per quanto tragica possa essere, è una risata cheha origini ben radicate e antiche, e lo sottolinea nelsuo intervento il rabbino Benedetto Carucci: da Abramoe Sara che ridono dell’idea di avere un figlio alla loroveneranda età, a Dio stesso, che, in un altro raccontotalmudico, sorride e dice “i miei figli mi hanno superato,i miei figli mi hanno superato”. E di fronte a un Dio che sorride, sintesi estrema delpensiero anti-idolatrico, non ci resta che constatare chel’umorismo, come una coincidenza, può essere un altrodi quei piccoli miracoli in cui Dio vuole mantenerel’anonimato.

Sira Fatucci

u La peggiore compagnia del mondo, al completo: Karol Contes (al cen-

tro) con i suoi due soci, Moshe e Latzi, e il figlio Regev (a destra)

“““Ho pensato che alpubblico avrebbe fattopiacere vedere trepersone che sonocontente di noncombinare nulla dallamattina alla sera”

(e divertiti)

Poveri in cannama divertenti

Angelo FortunatoFormiggini

Modena, 21 giugno 1878 Modena, 29 novembre 1938

Appassionato di Legge, arte e Storia del-le religioni, Formigli fondò l’omonimacasa editrice nel 1908. Le prime operepubblicate furono una raccolta di so-netti di Alessandro Tassoni e una mo-nografia su Botticelli. Ciò che contrad-distingue lo stile di Formigli è la fasci-nazione per la “filosofia del ridere”, tan-to che nel 1912 creò la collana “I Classicidel Ridere”, la sua preferita. Nel 1938 fuduramente attaccato dalla propagandaantisemita e morì suicida.

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Il tuo sound è davvero unico per gli

standard israeliani. Da dove viene?

Sono cresciuto con la collezione divinili dei miei genitori. Loro si sonoincontrati a New York negli anni Set-tanta, quindi c’era un’abbondanzadei grandi nomi del rock’n’roll, delblues e delle leggende del jazz. Nonmi sono interessato molto a questogenere di musica fino a 13 anni,quando si è forma-to il nuovorock anni No-vanta. Hoascoltato i Nir-vana per la pri-ma volta, e lamia vita è cam-biata per sempre.

Quali sono le altre

tue influenze musi-

cali?

Poco dopo ho cominciato a scoprirechi aveva influenzato questo nuovorock: i Led Zeppelin, i Doors, JanisJoplin, Jimi Hendrix. Poi sono andatoancora indietro e ho scoperto ilBlues. E’ cominciato tutto da lì: JohnLee Hooker, Muddy Waters, RobertJohnson, una volta che si ascoltaquesta musica non si torna più in-dietro. Aggiungici i testi di Bob Dy-lan e Leonard Cohen e avrai il ca-vallo vincente. Non so se il “folk”faccia davvero parte della mia in-fluenza, perché non sono un artistafolk in nessun modo. Scrivo di mee solamente di me, non ho le pretesedi mettere i pensieri e i sentimentidella gente nelle mie canzoni. Sonola voce dei miei sentimenti ed espe-rienze, il fatto che così tanta gentesi possa riconoscere nelle mie paroleun po’ mi sorprende.

Sei cresciuto in Giamaica, come ti ha

influenzato?

La Giamaica mi ha dato molto, manon nel senso che ci si potrebbeaspettare. Non ascolto musica reg-gae, a parte Bob Marley, che non èproprio un artista reggae in sensostretto, visto che mischia elementirock e soul. Ma Marley ha qualcosa

che ho capito essere l’in-grediente chiave in tuttele arti: l’onestà. Credi aogni parola, perché lui

crede veramente in ogni suono chevocalizza. E’ un dono che in pochihanno, specie nel mondo musicaledi oggi.

Quali artisti contemporanei ammiri

di più?

Là fuori ci sono un paio di band ve-ramente spettacolari: i Radiohead,White Stripes, i Raconteurs, Kingsof Leon (ma non l’ultimo album),Cold War Kids, Fiona Apple. Perònon mi piace il termine ammirare:

io non sono il tipo che ama guardarele persone dal basso in alto, e nem-meno dall’alto in basso. Rispetto laloro arte, il talento, la creatività, manon credo che una persona possaessere l’idolo di qualcuno solo peruna canzone che ha scritto. Pensoche dovremmo conservare l’ammi-razione per i medici, gli insegnanti,i difensori degli animali e per il vo-lontariato.

I critici musicali ti hanno paragonato

a Janis Joplin. Ora ti senti sotto pres-

sione?

Beh, è un gran bel complimento. Manon mi preoccupo troppo di quelloche la gente scrive o non scrive dime e della band. L’unica pressioneche sento è quella di essere soddi-sfatto del mio lavoro, e da parte dellacerchia ristretta degli amici. Certoadesso ci sono molte aspettative sudi noi. Ma io cerco di non pensarcie di concentrarmi sulle cose impor-tanti, nella vita e nell’arte.

Parliamo del contratto con la Sony

Columbia. Che effetto fa questo suc-

cesso improvviso?

Io non la vedo come un successoimprovviso. Certamente non il con-tratto con Columbia-Sony. Alla finfine l’unica cosa che è successo è unpo’ di inchiostro su un pezzo di car-ta. Il duro lavoro per la band e perchi lavora con noi continua, comeè continuato per gli ultimi tre anni.Siamo cresciuti lentamente, ma conle unghie e con i denti, abbiamo la-vorato sodo per essere arrivati dovesiamo ora.

Non ci dirai che non siete contenti...

Ma no, non ci lamentiamo per niente:stiamo facendo quello che amiamo, eil fatto che il nostro lavoro sia notatoci dà grandi soddisfazioni. La gentedi Sony/Columbia è diventata partedella “famiglia Mojo” e noi la siamodei loro. Ormai siamo degli amici epenso che stiamo costruendo un belrapporto. Però la firma di un contrattoattira la stampa, ma non vuol dire diper sé un successo. Non è un risultato,ma solo l’inizio di un cammino perdiffondere l’arte che pensiamo valgala pena di essere diffusa.

ú– MUSICA

Li hanno paragonati a Jeff Buckley, aMacy Gray e persino a Janis Joplin.Asaf Avidan & the Mojos sono uno

dei pochi, anzi dei pochissimi gruppi israelianiche sono riusciti a sbarcare nel mondo dellamusica leggera internazionale. Il fatto che can-tino in inglese certo ha aiutato, ma ancora dipiù ha aiutato uno stile unico e accattivante:un sound che per convenzione è stato collo-cato nel “folk rock” (definizione, peraltro, cheloro dicono di non potere sopportare), mache dimostra fortissime influenze blues, talvoltastrizzando l’occhio al soul e all’indie rock. Perora restano un fenomeno di nicchia, osservatocon grande interesse dagli addetti ai lavori maancora sconosciuto tra il grande pubblico. Laloro musica, troppo energica, ricercata e in-dividuale per rimanere confinata nel piccolomondo dei cantautori made in Israel, ha giàstregato prestigiosi critici musicali internazio-nali. In particolare il cantante del gruppo, AsafAvidan, nato a Gerusalemme nel 1980, è statodefinito “un genio” dalla rivista Rolling Stone:“Una voce genuina e potente, qualcuno chesa cantare, urlare, sussurrare e sorprendere”,al punto da “farti pensare di stare ascoltandoJanis Joplin”. Il successo commerciale ora peròsembra a portata di mano. Avidan e la suaband hanno appena firmato un contratto di

distribuzione europea con la casa discograficaSony Columbia – la stessa che fu di LeonardCohen e di Bob Dylan, due punti di riferimen-to per l’artista. E pensare che fino a un annofa Avidan era un perfetto sconosciuto ancheper gli israeliani, uno studente dell’accademiadi belle arti di Bezalel, a Gerusalemme. Nel2008 si è autoprodotto il suo primo album,“The Reckoning”, da cui è stato rilasciato ilsingolo “Weak”, con un video girato da duesuoi compagni di corso: “Lo abbiamo creatoper la nostra tesina finale”, raccontano ElyashivLevine e Hadar Landsberg sul loro canale diYoutube. Nel giro di poche settimane “Weak”ha scalato le classifiche israeliane. Nel dicem-bre dello stesso anno Rolling Stones ha distri-buito “The Reckoning” nella sua edizione cheviene venduta in Germania, Olanda, Belgio eSvizzera: “E’ un grande onore”, aveva com-mentato il giovane artista. “Speriamo sia ancheil segnale di un buon inizio per il 2009”. Unaugurio che si è trasformato in realtà, vistoche quest’anno hanno tenuto due concerti aLondra e firmato il contratto discografico chepotrebbe rivoluzionerà la sua carriera. In vistadella distribuzione europea, Avidan si raccontaa Pagine Ebraiche.

Anna Momigliano

Il nuovo folk blues viene da GerusalemmeAssaf Avidan & The Mojos, rivelazione della musica leggera israeliana,sbarcano in Europa: “Ho ascoltato i Nirvana e la mia vita è cambiata”racconta il cantante. “Poi ho scoperto Bob Dylan e Leonard Cohen”

L’INTERVISTA

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ú–– Manuel Disegni

Basta chiedere “Maramao per-ché sei morto”. Tutti sannoche “pane e vin non gli man-

cava”. Il Trio Lescano fa parte dellamemoria nazional popolare italiana,le loro canzoni sono quelle che can-tano nonni e nipoti insieme. Eccoperché Rai Uno ha deciso di mandarein onda, il prossimo febbraio, una fic-tion in due puntate dedicate a loro.Protagoniste sono Alexandra, Judithe Ketty Leschan, tre sorelle ebreeolandesi nate nel secondo decenniodel secolo scorso. Meglio conosciute,da questa parte delle Alpi, come San-dra, Giuditta e Caterinetta.

óúúúó

Musica rimasta nel cuore del nostroPaese, ma che riporta alla memoriaun periodo buio: il Trio Lescanospopolava mentre il regime fascistapromulgava le leggi razziali e si pre-parava a entrare in guerra. Rappre-senta però il ricordo di un’altra facciadell’Italia: la grande popolarità con-sentì loro di non piegarsi alla pro-paganda. Poterono irrompere con illoro sound americaneggiante – fattodi raffinati virtuosismi vocali, armo-nizzazioni jazz e swing - nel grigiopalinsesto dell’Eiar.L’idea della fiction è nata da unachiacchierata tra due amici: MaurizioZaccaro, regista, e Gabriele Esche-nazi, coautore. Scrittore e giornalistamilanese, laureato a Gerusalemme,ex leader dell’Hashomer Hatzair,movimento giovanile sionista e so-cialista, Eschenazi è un professionista

molto interessato ai temi storici: “Èiniziato tutto circa tre anni fa – rac-conta – quando un articolo di Re-pubblica ha catturato la mia atten-zione: era stato reperito un docu-mento in cui le famose cantanti sup-plicavano alte cariche fasciste di sal-vare la loro madre dalla deportazio-ne. Allora non sapevo neanche chefossero ebree.” Un po’ per mestiere, un po’ per pas-sione, Eschenazi si è spesso imbar-cato in ricerche storico-giornalisti-che. Per esempio con Ebrei invisibili,uno studio dei rapporti degli ebreisopravvissuti alla Shoah con il co-munismo stalinista. Questa volta illavoro di ricerca si tradurrà nella fic-tion Le Ragazze dello swing e in unlibro, prossimo alla pubblicazione.“Cominciata la ricerca sul Trio Le-scano, mi sono accorto che c’era unagrossa lacuna”, racconta. “Così hodeciso di colmarla. Ho raccolto vec-chi articoli di giornale e molte testi-monianze. In Olanda ho contattato

tutti i parenti, sonoriuscito a ricostruireil destino del ramomaterno della fami-

glia, quello ebraico. Sono finiti quasitutti ad Auschwitz.”La vicenda delle sorelle Leschan èmisteriosa e intricata, nella versionerivista per la fiction diventa un thril-ler politico. Arrivarono in Italia aportare un tocco di colore e di eso-tismo, al tempo in cui Louis Ar-mstrong veniva chiamato, con pocosenso del ridicolo, Luigi Braccioforte.Coi loro ritornelli spensierati, con-seguirono presto un grande successo.

óúúúó

Guadagnavano mille lire al giornoquando si cantava “se potessi averemille lire al mese”. Riuscirono nelfrattempo anche a ingraziarsi alte

cariche fasci-ste e la casareale: pareanche il ducefosse loroammiratoree furono in-vitate a cortedal principeUmberto per una festa di carnevale.Il loro fu visto come un tollerabiletentativo di italianizzare un generemusicale – il jazz – bandito in quanto“musica negro-semita”. Ottennero,straniere e per giunta ebree, la cit-tadinanza italiana durante le leggirazziali, con inconsueta facilità. Pareche Tommaso Filippo Marinetti sifosse sbilanciato fino a dire che “rea-lizzano in terra il mistero della trinitàceleste”.Poi, all’improvviso, tutto cambiò. Daun giorno all’altro si ritrovaronoescluse dalla programmazione del-l’Eiar, costrette a esibirsi solo nei tea-tri, e neanche per molto tempo. Nel

1943 furono ar-restate dalla Ge-stapo duranteun concerto aGenova. L’accu-sa era assurda: lacanzone “Tuli-Tu l i -Tu l ipan”avrebbe contenu-to messaggi in

codice per gli Alleati: “Spionaggiointernazionale”, sorride amaramenteEschenazi. “Ma se neanche le scri-vevano loro le canzoni... è ovvio chenon sta in piedi”. Le tre sorelle so-pravvissero alla carcerazione. Dopola guerra Caterinetta, la più giovane,lasciò il trio che continuò a cantarecon una giovane cantante di Chi-vasso, Maria Bria. Fu quest’ultima ariportare all’attenzione pubblica lastoria del trio partecipando negli an-ni Novanta a una trasmissione tele-visiva condotta da Paolo Limiti incui ripercorse la singolare vicendadelle ragazze dello swing.

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ú– MUSICA & FICTION

Jacobson è uno scrittore brillante, un fine osservatore dellarealtà ebraica: arguto e profondo al tempo stesso.

Elena Loewenthal, «TTL»

C’è chi a leggerlo ride e c’è chi piange, c’è chi lo considera unlibro comico, chi una tragedia. E forse hanno tutti ragione.

Giulio Busi, «Il Sole 24 Ore»

Una forza vitale che lo rende originalein un modo a dir poco struggente.

Alessandro Piperno,«Corriere della Sera»

Commovente, caustico, spassoso…L’imbattibile Walzer è uno di quei libriche ti cambia la vita.«The Observer»

La comicità di Jacobson è spudoratamenteferoce e le sue battute taglienti come unalama di coltello: un umorismo al vetriolodegno di un grande comico.«Express»

in libreria dal 21 ottobre pp. 448 euro 19,50 isbn 978-88-6005-028-1

pp. 640 euro 20,00 isbn 978-88-6005-017-5www.edizionicargo.it

CULTURA / ARTE / SPETTACOLO / P31

Le sorelle Alexandrina “Sandra” Evelina Leschan (Gouda, 29 luglio 1910 –Salsomaggiore Terme, 1 febbraio 1987), Judith Leschan (L’Aia, 3 agosto1913 – 2007) e Katharina “Kitty” Matje Leschan (L’Aia, 23 novembre 1919

– Caracas, 1965). Italianizzarono i loro nomi in Alessandra, Giuditta e Cateri-netta (Caterina) Lescano e formarono insieme il celebre Trio Lescano, un triovocale molto popolare in Italia a cavallo tra gli anni Trenta e gli anni Quarantadel XX secolo.

LE CANZONI DEL TRIO LESCANO

Accanto al Pianoforte (1942)Anna (1936)Camminando sotto la pioggia (1942)La Canzone delle mosche (1936)C’è un’orchestra sincopata (1941)Ciribiribin (1942)Colei che debbo amare (1938)Come l’ombra (1942)Contemplazione (1936)Dove e quando (1938)È quel fox-trot (1938)Forse tu (1941)La Gelosia non è più di moda (1939)

Io conosco un bar (1937)Non me ne importa niente (1938)Ohi mammà (1939)Oi Marì, oi Marì (1942)Piccolo naviglio (1938)Senza parlar (1937)Topolino al mercato (1936)Tornerai (1937)Le Tristezze di San Luigi (1942)Tulilem blem blu (1937)Tulipan (1939)Ultimissime (1938)Valzer della fisarmonica (1936)

Le mitiche sorelle dello swing Al via una fiction su Raiuno, a firma di Gabriele Eschenazi, dedicata al Trio Lescano

u Gabriele Eschenazi

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ú–– Adam Smulevich

La Francia durante l’occupazione na-

zista e il Sudafrica dell’apartheid, due

momenti storici in cui follia e razzi-

smo hanno avuto la meglio su ra-

gione ed umanità. Cosa fare perché

queste tragedie non si ripetano più?

Denise Epstein: Ricordare. È ancheper questo motivo, oltre che peronorare la memoria di mia madre,che ho deciso di pubblicare “SuiteFrancaise”, un volume che raccogliealcune sue riflessioni sugli anni tra-gici della presenza nazista in Francia;parole scritte da una persona con-sapevole che non sarebbe soprav-vissuta al dramma delle persecuzionirazziali. Un libro che non ho avuto il corag-gio di leggere per decenni, rimastoper molto tempo chiuso in una va-ligia, affidatami da mio padre per cu-stodire gelosamente questa straor-dinaria testimonianza. Nadine Gordimer: Non bisogna farel’errore, soprattutto in Sudafrica, diparlare del problema del razzismocome se appartenesse esclusivamen-te al passato. I discendenti dei colo-nialisti bianchi hanno infatti ancorail sopravvento sui neri, molti dei qua-li possono rivendicare il possesso diun solo piccolissimo pezzetto di ter-ra: la propria tomba.Oltre che per i neri, la vita in Suda-frica si è fatta difficile anche per gliebrei, soprattutto a causa dell’ina-sprimento del conflitto israeliano –palestinese. Conflitto che ha attirato l’astio diuna parte consistente della popola-zione nei loro confronti, attraversoil solito meccanismo per il qualeogni ebreo diventa automaticamenteresponsabile per le azioni dei varigoverni israeliani. Adesso, grazie al-l’intervento in prima persona del neopresidente Jacob Zuma, un perso-naggio comunque molto discutibile,qualcosa sta cambiando. È in attoun tentativo di ridare dignità alle va-rie minoranze del paese, tra cui gliebrei, che passa attraverso il ricono-scimento del loro contributo allo svi-luppo del Sudafrica.

Qual è il vostro legame con l’ebraismo?

Denise Epstein: Ho un approccio di-staccato nei confronti della religione,quasi un “rapporto di buon vicinato”,sicuramente frutto dell’educazionelaica che ho ricevuto in famiglia. Èstato solo quando mi fu cucita sugliabiti una stella gialla che mi resi ve-ramente conto di essere diversa daglialtri. Non credo in Dio, anche se ov-viamente rispetto chi lo fa, perchése ci credessi sarei molto arrabbiatacon lui. Spesso, inoltre, avverto un“senso di colpa” per essere soprav-vissuta alle persecuzioni. Perché iosì e tantissimi altri no? Nadine Gordimer: Mi consideroun’ebrea assimilata. A proposito del“senso di colpa”, vorrei dire che que-sto sentimento è molto forte nellenuove generazioni di bianchi suda-

fricani, angosciati dal rimorso per leschifezze compiute dai loro parenti.Credo che sia comunque fondamen-tale chiedersi che cosa sia davveroquesto disagio, se un semplice sen-timentalismo oppure uno stimolo percercare di costruire una società dovegli uomini siano tutti uguali. La que-stione del “senso di colpa”, tra l’altro,è attuale non solo nella società su-dafricana, ma anche in quella tedesca,che non ha ancora rimosso comple-tamente il trauma delle persecuzionie dello sterminio degli ebrei.

Perché avete sentito l’esigenza di

scrivere?

Denise Epstein: Ho sempre conside-rato fondamentale lavorare per latrasmissione della memoria. Credoche i sopravvissuti alla Shoah abbia-

no il dovere di cercare di parlare perconto di chi non ce l’ha fatta. Nonbisogna far sì che queste personesprofondino nell’oblio, sarebbe comefarle morire due volte.Spero inoltredi poter aiutare le nuove generazionia capire cosa è stato quel periodoaffinché crescano senza pregiudizi.Nadine Gordimer: Per denunciare icrimini che venivano commessi inSudafrica. Un impegno che ho por-tato avanti per tutta la mia vita. Mol-ti dei libri che ho scritto in pienoapartheid sono ancora attuali, a te-stimonianza del fatto che bisognaancora lavorare molto affinché il Su-dafrica diventi una vera democrazia.L’impegno di chi scrive deve essereinoltre quello di opporsi ai modellinegativi che alcuni media e politicipropongono ai più giovani.

Eppure, soprattutto per i giovani, le

moderne tecnologie sembrano ave-

re molto più fascino dei libri

Nadine Gordimer: Una volta, insiemead un ricco filantropo, mi recai inun villaggio del Mali per donare al-cuni computer alla popolazione lo-cale, che ci accolse con calore edentusiasmo. Quando ci fu fatto notare che nelvillaggio non c’era energia elettrica,capimmo che non avremmo potutoripagare la loro commovente acco-glienza: i nostri doni erano inutiliz-zabili. Invece dei computer, avremmo do-vuto regalare loro dei libri, che han-no la fortuna di non avere bisognoné di una spina né di un caricatoreper “funzionare”! Ecco come i librisono eterni ed insostituibili.

ú– LETTERATURA / CINEMA

È un film sulla nascita del so-spetto, dell’odio, del razzi-smo. Un film splendido, de-

licato, intimista, in cui la Storia nonirrompe, ma si infiltra – dalla radio,dalle finestre delle case, nei cortili,attraverso il passaparola, e cambiala vita. E’ uno di quei film che tuttidovrebbero vedere, che andrebbeproiettato nelle scuole, e invece pro-babilmente in Italia finirà nei circuitidei film d’autore, dei festival di nic-chia.Lo ha girato una regista ebrea di ori-gine tunisine, Karin Albou, e raccon-ta la storia di due ragazzine sedicen-ni, amiche di quella amicizia totale,quasi velata di omosessualità, che si

instaura tra leadolescenti.Myriam eNour vivononello stessoriad a Tunisinel 1942, sono entrambe povere ele loro famiglie condividono mo-menti di gioia e di fatica, si scam-biano visite e doni per le feste. MaMyriam è ebrea, figlia di una sartavedova, interpretata dalla registastessa, e Nour è musulmana, fidan-zata a Khaled di cui è innamoratis-sima ma che non può sposare per-ché lui non trova lavoro. Nell’esi-stenza tranquilla e ripetitiva di questapiccola comunità che si rispetta e si

Un’amicizia spezzata dall’odioIl Canto delle Spose racconta le vite di due ragazzine a Tunisi durantel’occupazione nazista e la genesiirrestitibile del sospetto

Premio ADEI

Lizzie Doron, le ferite della Shoahnarrate con dolcezza

Acasa sua, lo ammette con un

sorriso, ci sono due cucine e tre

frigoriferi. E’ un esorcismo della

fantasia, un tentativo di attrezzarsi in

caso di fame, guerra e terrore. Tutte

eventualità che Lizzie Doron, figlia di

una sopravvissuta ad Auschwitz, cono-

sce bene dalle parole della madre. Pro-

prio a partire dall’esperienza materna

Lizzie ha saputo costruire, nel libro

“Perché non sei venuta prima della

guerra?” (La Giuntina, 139 pagine, 12

euro), un racconto che si avvicina alla

Shoah con tenera delicatezza, narran-

done le ferite e i fantasmi più che gli

accadimenti in modo diretto. Un approccio nuovo che è valso all’autrice

il nono premio letterario Adei Wizo intitolato ad Adelina Della Pergola.

L’importante riconoscimento, frutto del giudizio della giuria delle

lettrici, è stato assegnato in una cerimonia pubblica a Trieste. Il secondo

premio è andato a David Grossman per il suo romanzo A un cerbiatto

somiglia il mio amore” (Mondadori, 281 pagine, 22 euro). Il terzo è

andato invece a Boris Zaidman per Hemingway e la pioggia di uccelli

morti (Il Saggiatore, 192 pagine, 16 euro).

Nadine Gordimer, Scrivere è vivere

t Denise Epstein, Survivreet vivre

t

Due voci al femminile

“Scrivere contro il razzismo, scrivere per la Memoria”Nadine Gordimer, sudafricana, premio Nobel per la letteratura, è stata una dellepiù feroci e coraggiose critiche dell’apartheid nel suo Paese. Denise Epstein, natanel 1929 in Francia, è divenuta famosa al grande pubblico dopo aver acconsentito apubblicare Suite francaise, forse il capolavoro di sua madre, la scrittrice IrèneNémirovsky, morta di tifo ad Auschwitz. Entrambe sono da lungo tempo impegnatesul fronte dei diritti umani, contro l’intolleranza e la discriminazione. Una battagliache, dicono, si può e si deve combattere anche sul fronte della cultura e dei libri.Per aiutare le nuove generazioni a comprendere le tragedie del passato evitandoalle vittime di sprofondare nell’oblio. E per denunciare i tanti crimini commessicontro l’umanità. Nella speranza di riuscire prima o poi a sconfiggere il pregiudizio.

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CULTURA / ARTE / SPETTACOLO / P33

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ú–– Rocco Giansante

C he cos’è un film ebraico?Che cosa lo caratterizza?Un autore ebreo? Il cast?

La lingua, ebraico oppure yiddish?Il fatto che sia girato in Israele? Pro-dotto ad Hollywood? Magari i suoiriferimenti culturali? Il contenuto?La Sensibilità? Rispondere non è fa-cile, perché ogni spettatore ha unasua idea in proposito. Moment, unarivista di intellettuali ebrei americani,ha recentemente pubblicato un’in-chiesta sui grandi film ebraici, firmatada Maxine Springer. La giornalistaha chiesto a un gruppo di critici estudiosi di cinema (tra i quali LisaSchwarzbaum, Patricia Erens, DavidEssers, Ben Furnish e Steve Carr) dinominare i loro cinque film ebraicipreferiti. I film scelti vanno da Io e Annie diWoody Allen a Shoah di ClaudeLanzmann, da Dirty dancing di Emi-le Ardolino a Funny girl di WilliamWyler. Fiddler on the roof di Nor-man Jewison è nominato più volteinsieme a capolavori del cinema Yid-dish come Green fields di PeretzHirshbein e Tevya di MauriceSchwarz. Le commedie dei FratelliMarx (Animal crackers) e quelle diMel Brooks (The producers, Blazingsaddles) sono preferite da molti. Poivi sono vari film che trattano espli-

citamente della condizione dell’ebreonella diaspora: Comme un juif enFrance di Yves Jeuland e Me Ivanyou Abraham di Yolande Zuberman.I film sulla Shoah citati sono tanti:The pawnbroker di Sidney Lumet,The last stage di Wanda Jabukowska,Birthplace di Pawel Lozinski, EuropaEuropa di Agnieszka Holland, Ilgiardino dei Finzi Contini di VittorioDe Sica. E non mancano quelli suIsraele: Valzer con Bashir di Ari Fol-man, Zero degrees of separation diElle Flanders, Local angel di UdiAloni e l’intramontabile Exodus diOtto Preminger.Subito notiamo che i film sono rag-gruppati in categorie (commedia,Olocausto, Israele…) che corrispon-dono alle sezioni della maggior partedei festival del cinema ebraico nelmondo. Che cosa lega questi film

così lontani nello spazio e nel tem-po? Possiamo individuare dei puntiin comune: gli outsider come pro-tagonisti, l’attenzione ai problemisociali, la commedia come resisten-za e una certa sensibilità per le vi-cende umane. Gli emarginati, i po-veri, gli immigrati, i diversi, con illoro desiderio d’integrarsi e miglio-rare la loro condizione, sono alcentro del lavoro di molti cineasti(von Stroheim, Wilder…).Le storie sono inserite nel lorocontesto sociale: mentre la societàcondiziona gli individui, le azioni deipersonaggi hanno conseguenze chevanno ben al di là del loro gruppo.Importante diventa, quindi, descri-vere i problemi sociali per affrontarlie risolverli (basta pensare per esem-pio ai film di Otto Preminger – comeL’Uomo dal braccio d’oro e il suo

protagonista alcolizzato interpre-tato da Frank Sinatra). La commediaè uno dei capitoli principali della sto-ria del cinema ebraico. Il suo uso co-me critica sociale e lotta al sistemaè vecchio come il mondo: Mel Bro-oks, per esempio, ne La Pazza storiadel mondo racconta la tormentatastoria degli ebrei con degli sketchfacendoci ridere dell’Inquisizione maanche di Mosé.

óúúúó

Quello della sensibilità è un discorsopiù complicato: è il tocco di ErnstLubitsch, è la tenerezza di Billy Wil-der. Nei film ebraici si sente la pre-senza del cineasta: anche se è dietrola macchina da presa, nella manierain cui i personaggi sono presentatie raccontati, si rivela la sua parteci-pazione sincera alla loro vicenda. InTwo lovers di James Gray, per esem-pio, l’amore e l’attenzione che cir-condano il protagonista LeonardKraditor provengono anche dal mo-do in cui la macchina da presa losegue e lo guida attraverso la storiaverso il lieto fine.I film ebraici nella loro varietà riflet-tono le molteplici forme dell’identitàebraica. Se è vero, come dice il detto,che ci sono tre opinioni ogni dueebrei altrettanto possiamo dire deifilm ebraici. In Monsieur Klein, Jo-seph Losey mette in scena la storiadi Robert Klein (Alain Delon), riccoantiquario gentile che nella Parigioccupata dai nazisti è scambiato perun altro Robert Klein, ebreo. Biso-gnoso di provare la sua “arianità” einsicuro della sua identità, Klein vaalla ricerca del misterioso Kleinebreo, sempre più attratto da questopersonaggio sfuggente che porta ilsuo stesso nome.Si ritrova così a seguirlo al Velodro-me d’Hiver e da lì fino ai campi disterminio. Come in un romanzo diKafka, il Klein gentile impara a co-noscere se stesso attraverso l’altro,il Klein ebreo. Capovolgendo la teo-ria kafkiana, possiamo dire che i filmebraici sono quelli nei quali ritrovia-mo, da spettatori, la nostra identitàebraica.

ú– CINEMA DA WOODY ALLEN AL GIARDINO DEI FINZI CONTINI

Che cos’è un film ebraico?

aiuta a vicenda, irrompe l’occupa-zione tedesca e la propaganda an-tisemita: “La guerra è vissuta da unpunto di vista femminile, percepitadall’interno delle case”, spiega la re-gista. Sono “frammenti di parole eimmagini, annunci radio, le voci deisoldati, il rumore dei loro stivali chesi avvicinano, gli spari, il rombo sor-do e remoto delle bombe che ca-dono”. La propaganda tedesca, che dappri-ma impone pesanti tasse agli ebrei,poi li accusa di essere complici deifrancesi e infine li deporta, fa nascerenella piccola comunità di Myriam eNour il sospetto reciproco, il silenzio,l’odio. Khaled, il fidanzato di Nour,trova infine lavoro con i tedeschi,ed è la prima vittima della loro cru-dele propaganda antisemita. La ra-gazzina, controvoglia dapprima, poisempre più convinta, si stacca dal-l’amica, ed è un distacco lancinanteper entrambe, che la regista riesce acomunicare fisicamente attraversole immagini. Mentre all’inizio delfilm le due protagoniste (entrambebelle di una bellezza naturale, vera,senza orpelli) appaiono sempre in-sieme nelle inquadrature, così vicineda sfiorarsi, letteralmente fuse, ora

sono riprese separatamente, inmondi che non comunicano più.“Ognuna viene gettata suo malgra-do nella propria identità, costrettaa vivere il destino della propria co-munità”, spiega la regista. Entrambevittime della storia: Myriam costret-ta a sposare un giovane medico ric-co, che non le piace, per salvare lapelle; Nour a rinunciare all’amicaper salvare il rapporto con il ragaz-zo che ama.

óúúúó

Il film, che uscirà finalmente in Italiaai primi di febbraio, distribuito dallabenemerita Archibald di Vania Tra-xler Protti, può essere letto su moltipiani: la condizione femminile, ilpercorso identitario, l’esplorazionedella sensualità al suo nascere (in-dimenticabili le scene del bagno tur-co e della depilazione delle spose),e anche la storia poco raccontatadei rapporti tra ebrei e arabi in Me-dio Oriente prima e durante la se-conda guerra mondiale. “Sono ri-masta sgomenta - dice Karin Albou- dalla violenza dei discorsi antise-miti pubblicati all’epoca dai giornali

o trasmessi alla radio. La radio, chele due famiglie condividono nel riad,resta sempre accesa, ed è tramite diessa che la violenza che si verificanel mondo s’infiltra nella vita quo-tidiana. Tutto ciò che nel film si sen-te alla radio è tratto da testi storicidell’epoca”.La dimensione più interessante èproprio la genesi dell’odio. Come ilsospetto si infiltra impercettibilmentenelle coscienze di persone che primasi stimavano; come gli stessi gesti,che una volta apparivano innocui,assumano attraverso la calunnia, va-lenze inquietanti; e come l’odio spin-ga alla ricerca delle proprie radici,alla riscoperta della propria tradizio-ne e religione, spezzando un percor-so di tolleranza. Come è successo in Jugoslavia, inIsraele, e continua a succedere quo-tidianamente in Africa causandotragedie collettive e drammi privati.Karin Albou riesce a raccontare tut-to questo in modo mai scontato,mai didascalico, con una raffinataricerca di immagini, una colonnasonora perfetta e un cast di attorisensazionale.

Viviana Kasam

u Una scena del

film Animal

Crackers dei

fratelli Marx

(1930). Un

logorroico

Groucho Marx

interpreta il

personaggio di

un eccentrico

esploratore.

Scuole

Lebanon, Beit Zvicatturail Leone

Èla versione israeliana di

Saranno famosi. Si chia-

ma Beit Zvi ed è la più

grande e prestigiosa accade-

mia di arti dello spettacolo

del paese. Nelle sue aule si so-

no succeduti insegnanti di fa-

ma tra cui lo scrittore Yeoho-

shua Kenaz. Nel suo board vi

sono alcuni degli attori più

noti, tra cui Ghila Almagor. E

proprio qui ha compiuto i

suoi studi di cinematografia

Samuel Maoz, il regista di Le-

banon che quest’anno ha

spuntato il Leone d’oro al Fe-

stival di Venezia. Sostenuta

dal ministero dell’Istruzione

e dal Comune

di Ramat Gan,

la scuola Beit

Zvi, che da

maggio è af-

fidata alla

direzione di

Micah Le-

wensohn ,

già presti-

gioso di-

rettore dell’Israel festival,

propone agli studenti una for-

mazione professionale e arti-

stica a tutto campo. I ragazzi,

che vi accedono, dopo un esa-

me che verifica i loro talenti

nella recitazione, nella danza

e nel canto, si confrontano in-

fatti con un’ampia gamma di

stili e di approcci teatrali. Do-

po il primo anno una commis-

sione valuta le capacità dei

candidati per decidere, insie-

me a loro, se sono più o meno

adatti.

Gli studi durano tre anni, in

cui i ragazzi imparano a strut-

turare il loro talento, a svi-

luppare tecniche di espressio-

ne personale, a lavorare con

gli altri. Si studiano canto e

danza, pantomima e acroba-

zie, scherma e tip tap. S’im-

provvisano rappresentazioni

e si approfondisce il musical.

Senza trascurare la storia del

teatro. Ogni anno gli alunni

della Beit Zvi realizzano una

ventina di produzione, rap-

presentate in parte davanti a

un pubblico pagante. Una ve-

trina d’eccezione per i talent

scout in caccia dei talenti che

di tanto in tanto alimenta pe-

rò le proteste dei ragazzi:

troppo lavoro e poco studio,

dicono.

Daniel Reichel

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ú– FUMETTO

È un autore cult, che ha stre-gato le due sponde del-l’Atlantico. Ma soprattutto

Art Spiegelman è un grande narra-tore di questo secolo. Con il suo ca-polavoro Maus, graphic novel antelitteram dedicata all’esperienza deisuoi genitori nei lager nazisti, ha rac-contato gli orrori dell’Olocausto, evinto il premio Pulitzer nel 1992.Con il più recente L’Ombra delletorri, ha ripercorso latragedia delle Twin to-wers e l’aria cupa che sirespirava dopo l’UndiciSettembre. Con le suenumerose copertine delNew Yorker, ha tracciatomolti affreschi dell’Ame-rica contemporanea. Ognivolta raccontando la gran-de Storia attraverso le pic-cole storie, spesso autobiografiche:“All’inizio in molti hanno accoltocon scetticismo la mia decisione ditrattare dei temi simili con il linguag-gio del fumetto”, racconta l’autorea “pagine ebraiche”. “A volte michiedevo persino se sarei stato presosul serio. Ma poi quello che conta èche sapevo di meritarmi di esserepreso sul serio, e questo mi bastava”. Sarà anche per questo che Spiegel-man, disegnatore e autore newyor-chese, gode di un enorme successotra il pubblico italiano. Ed è per que-sto che il giornale dell’ebraismo ita-liano ha deciso di dedicargli un tri-buto d’eccezione: quattro tavole ori-ginali siglate da altrettanti grandi fir-me del fumetto italiano. QuandoSpiegelman è stato a Milano per pre-sentare una mostra di suoi lavori(schizzi preparatori, tavole a chinae matita), tremila persone si sonoaccalcate per vederlo e oltre un cen-tinaio delle sue opere, tra volumi estampe, sono state vendute: “E nonè stata una sorpresa”, commenta Cri-stina Taverna della galleria d’arteNuages, che ha organizzato la mo-stra. “Quando Spiegelman è venutonel 2003 per presentare il suo volu-me ‘Baci da New York’ è successala stessa cosa. La sua intelligenza, ilsuo impegno, la sua onestà sono tut-te cose che passano attraverso la suaarte”. E il pubblico italiano lo ap-prezza. Ma non è questa l’unica ra-gione che fa di Spiegelman un autoretanto apprezzato nel nostro Paese.“E’ un autore europeo tanto quantoè americano”, racconta la scrittricee disegnatrice Cinzia Leone, autricedi Liberabile, storia di un uomo qua-lunque. “In fondo chi c’è di più eu-ropeo di un ebreo che vive a New

York? Nella sua arte Spiegelmanesprime una profondissima nostalgiaper una Mitteleuropa ebraica chenon esiste più”. E non si tratta sola-mente di Maus, precisa: “PrendiamoWild party, con il suo tratto così raf-finato e così retro’, che conserva benela memoria dell’espressionismo te-desco”. L’autrice considera Spiegel-man uno scrittore paragonabile aPhilip Roth, altro premio Pulitzer

molto amato in Italia:“Spiegelman è il grandecronista di un secolo.Racconta la Storia, primaattraverso la storia di suopadre, e poi con la sua.Ripercorre gli eventi piùtraumatici di questo se-colo, la Shoah e l’Undicisettembre, attraverso

elementi autobiografici”. Propriocome Roth, “scatta una fotografiabruciante e polemica della Storia”.Tra Spiegelman e Roth esiste peròuna differenza: quest’ultimo utilizzaun solo linguaggio, mentre Spiegel-man ne utilizza due contemporanea-mente, la scrittura e il disegno. “Peresperienza, posso dire che scrivere edisegnare è molto più difficile chescrivere e basta”, conclude Leone. La potenza dell’opera di Spiegelmanruota attorno al concetto di Memo-ria e all’immediatezza del linguaggio,dice Fulvia Serra, la storica direttrice

di Linus, la prima a pubblicare Mausin Italia, nel lontano 1983. “Appenami presentarono l’opera capii subitoche si trattava di un romanzo veroe proprio, di altissimo spessore, an-che se allora il concetto di graphicnovel non esisteva”, racconta. InfattiMaus fu pubblicato su Linus a pun-tate, proprio come i romanzi di ap-pendice nell’Ottocento, e così comel’autore lo pubblicò per la prima vol-ta negli Stati Uniti con la rivistad’avanguardia Raw.

óúúúó

“Rimasi immediatamente colpita dal-la sua capacità straordinaria di rac-contare una storia vera, con tutte lestorie dolenti che si celano dietro, ilsuo utilizzo degli animali per creareuna simbologia profondamenteumana”, ricorda Serra. “Mi sono resaconto che Maus era il diario diun’esperienza traumatica, un dolo-roso scavare nel passato, tanto chel’autore dovette ricorrere a uno psi-canalista”, prosegue. “Quello che neemerge è una Memoria profonda,ripiegata, accartocciata, che poi rie-merge all’improvviso. Una concettomolto ebraico della Memoria, chesi può riassumere in una domanda.Nel chiedersi il perché”.

a.m.

due chiacchiere con il compagno di scuolaBob Kane (che sarà uno dei creatori diBatman), entra a lavorare nella rivistaWow Magazine. Lì conosce Jerry Iger,con cui nel 1937 fonda lo studio Eisner& Iger. Da quell’anno inizia l’avventuraprofessionale di Eisner che lo porterànel 1940 a fondare uno studio proprioe creare il personaggio “The spirit”, unaspecie di dibbuk, anche se l’eroe è vivo,nei panni di Danny Colt.The spirit diventa la serie più famosadi quegli anni a tal punto che quando l’autore viene chiamatoper il servizio militare, seguirà lo stesso la produzione dellaserie dalle varie basi militare dove viene trasferito. In realtàEisner ha l’occasione di avviare una nuova attività creativache porterà avanti fino al 1972. In quegli emerge la necessitàdi produrre materiale per insegnare la manutenzione dei nuovimezzi motorizzati dell’esercito statunitense.Così nasce Army motors durante la Seconda guerra mondiale,seguito da P.S. Magazine durante le guerre della Corea e delVietnam. L’autore di Brooklyn gira tra le truppe per impararecome si “arrangiano” nel mantenere i mezzi, ma nello stessotempo spiega anche le indicazioni ufficiali per la manutenzione.L’innovazione fu tale che furono fatte delle ricerche per veri-ficare l’efficacia della proposta editoriale/educativa di Eisner,e i classici manuali pieni zeppi di spiegazioni, indicazioni, frasi

Ritratto di Will Eisner, che inventò il graphic novel

Il dibbuk e l’arte della manutenzione della motocicletta

ú–– Andrea Grilli

N on è facile raccontare un autore considerato, a ra-gione, il maestro da moltissimi fumettisti. Will Eisnerha attraversato dal 1937 al 2005 la storia del fumetto,

intervenendo più volte con soluzioni innovative, geniali chehanno fatto esplodere l’emozione dei lettori, ispirato futurifumettisti, educato milioni di americani e formato migliaia disoldati. William Eisner nasce nel 1917 a Brooklyn, New York, da unafamiglia di ebrei emigranti. Nel 1937, dopo aver scambiato

u PAOLO BACILIERII suoi primi lavori a fumetti risalgono al 1982. Tra le sue opere principali, ri-

cordiamo Durasagra-Venezia über alles, The Supermaso attitude, Napoleo-

ne, Jan Dix, il ciclo di avventure di Zeno Porno e Canzoni in A4.

Maus ha cambiato il nostro sguardoQuattro matite per Art Spiegelman

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CULTURA / ARTE / SPETTACOLO / P35moked מוקד/

u ALBERTO PONTICELLIHa esordito con il Sentimetal Hacker Superhero

Videomax. Nel 1995 incontra gli esordienti dello

Shok Studio e con loro disegna Egon pubblica-

to anche negli States dalla Dark Horse Comics.

Segue il progetto Dead or Alive, cyberpunk we-

stern.

Lo confesso: di Spiegelman ho letto solo Maus, omeglio, ho spulciato altre sue opere ma non le hotrovate così illuminanti; ho una soglia d’atten-zione molto bassa, ho mollato il resto delle let-ture per andare a bere con amici e conoscerenuovi livelli di verità indotti dall’alcool.Però Maus, è un capolavoro di onestà intellet-tuale e tocca tutte le corde della sensibilitàumana, dalla rabbia alla commozione. È una sto-ria vera, basata su traumi reali: il fallimento del-l’uomo, animale superiore che crolla nelcontrasto. Maus commuove, parla di famiglia:usa la guerra e intesse una relazione padre-figlioin cui ti ritrovi e ti fa capire l’orrore e il meravi-glioso di una vita che viene privata della suanormalità. Spiegelman, per questo, è il Fumetto.

ufficiali e parole spesso incomprensibili. L’autore ricorda cheall’epoca della Seconda guerra mondiale poteva capitare diincontrare anche intere compagnie di analfabeti. Il manualevisuale – che oggi, nella cultura delle immagini in cui viviamo,potrebbe sembrare una banalità – allora risultò efficace emolto innovativo. Ecco perché quando si parla di Eisner icommenti positivi sono sempre riduttivi.Fino al 1972 si dedica all’attività didattica e professionale, poieccolo di nuovo tornare nel mondo del fumetto: già, perchédopo la chiusura di The spirit, la maggiore attività è quellaimprenditoriale nel settore della grafica. Spinto dalla mogliee dal buon esito della ristampe delle storie dell’investigatoreDenny Colt per conto della Kitchen Sink, Ei-sner lavora a un nuovo modo di fare fumetto,l’idea è quella di avvicinarsi al romanzo, madisegnando quanto uno scrittore scriverebbe.Nasce il graphic novel. Che sarà poi tradottoin Italia in romanzo a fumetti. Il primo è ilContratto con Dio. Poi seguono, per citarnesolo alcuni, Dropsie avenue, Il palazzo, Genteinvisibile, Il sognatore e l’ultimo Il complotto,la ricostruzione della vergognosa falsità deiProtocolli dei savi di Sion. Rispetto ai comic book che all’epoca venivanovenduti nelle edicole, il cambiamento è fon-damentale, epocale. Eisner concentra l’espe-rienza didattica iniziata con le riviste militari

per evolvere il modo di raccontare le storie. La sintassi si ar-ticola, i personaggi acquistano profondità non solo nelle parole,ma anche nelle espressioni corporee, la loro relazione, il ritmonarrativo si esprimono secondo un percorso, una trama, cheha origine nei classici della letteratura. Il dramma, la tragediaacquistano figura, immagine. Hanno un volto i personaggi del Don Chisciotte di Cervantes,in una memorabile interpretazione di Eisner. Il fumetto diventaarte, viene sdoganato, almeno negli Stati Uniti e in altri Paesi,molto meno da noi soggetti a una arretratezza culturale e so-ciale di stampo crociano.Le storie dei graphic novel di Eisner toccano vite comuni, uo-

mini normali che vivono, sentimenti, attraverso la plasticitàdella linea, l’espressività dei movimenti che rendono vivi quegliuomini comuni, emigranti dall’Est Europa, cantanti fallite, bar-boni, bambini, lavoratori. In più di un romanzo viene raccontatala storia di New York e della sua comunità ebraica, ma so-prattutto la storia delle famiglie, dei loro legami e relazionianche nella storia. Un lavoro da Storico sociale. Da roman-ziere.In Contratto con Dio Will Eisner esplora il rapporto tra uomoe Dio. Mentre le storie successive ci raccontano il tentativodegli uomini di superare il loro stato di insoddisfazione e mi-gliorare. Eisner ha anche scritto due importanti studi sulla

comprensione dell’arte del fumetto, così comeha dedicato parte della sua vita alla formazionedi nuovi autori. Negli ultimi anni aveva riscrittola storia dei Protocolli dei savi di Sion, realiz-zando uno strumento contro l’antisemitismodi straordinaria efficacia. L’importanza di Will Eisner nella storia delfumetto è tale che forse ci vorranno anni percapire e comprendere il suo contributo. Perchi ama solo leggere i fumetti esistono decinedi volumi pubblicati che prendono posto af-fianco al grande romanzo mondiale, non nece ne vorrà il buon Peter Parker, ma la storiadi Frimme Hersh ha reso il fumetto un artematura, non certo le sue ragnatele.

Art SpiegelmanArt Spiegelman(Stoccolma,1948) è un au-tore di fumettistatunitense.Spiegelman è codirettoredella rivista di fumetti egrafica Raw, di cui è statouno dei fondatori, ed è tragli artisti che hanno compi-lato e illustrato grafica-

mente i lemmi del Futuro dizionariod’America.Ha pubblicato svariati lavori su riviste statu-nitensi come New York Times, Village Voice eNew Yorker. Attualmente insegna alla School of VisualArts di New York.

u MAURIZIO ROSENZWEIGInizia a lavorare nel campo della pubblicità

e esordisce nel fumetto con la fanzine

“Macchia”. La sua prima pubblicazione

professionale avviene su “Fumo di China”.

E’ autore della serie autobiografica

“Davide Golia” composta di tre volumi e

disegnatore della serie “John Doe”.

Spiegelman è la dimostrazione che perfare questo lavoro non bisogna saperedisegnare, ma essere intelligenti e aperti aogni tipo di linguaggio. Kurtzman, Segar eCrumb sono disegnatori di tutt’altrapasta, ma Spiegelman ha avuto dalla suaaltri elementi necessari: capacità comuni-cativa e fortuna. Spiegelman può essere unmodello, ma l’underground come ogni cor-rente culturale fortemente connotata, traela propria forza dai propri limiti.

u CARLO AMBROSINI

Ha inziato a disegnare racconti di guerra e quindi a collaborare con Sergio Bonelli

Editore disegnando Ken Parker, Dylan Dog, la testata Napoleone e Jan Dix.

Il Maus di Art Spiegelman assieme a Città di Vetro di Auster- Mazzucchelli, sonodue capolavori della contemporaneità ( non sono i soli per la verità , ma per me fra ipiù significativi). Due capolavori a fumetto. Due grandi fumetti. E basterebbero dasoli a significare come l’espressione a fumetti debba smettere di essere intesa (conbuona pace anche degli intellettuali più snobistici e svagati) come riduttiva. Al centrodel capolavoro di Spiegelman, oltre alla straordinaria vicenda biografica sua e dellasua famiglia ( così altamente destabilizzante per la coscienza occidentale), al di là dellanarrazione e della tematica, c’è l’utilizzo di un sistema espressivo del quale lui è unvero e indiscutibile maestro. In Maus l’oggetto ancor prima della Shoah è proprio ilfumetto, una forma di espressione auto-poietica, una sorta di “alchimia semantica”attraverso la quale vicende così tristemente note prendono sostanza insediandosi inde-lebilmente nel tessuto connettivo. L’ironia e la leggerezza che contraddistinguonoanche graficamente il trattamento delle vicende e la caratterizzazione dei personaggiin Maus, restituiscono tutta la drammatica epicità di quell’abnorme cortocircuitodella mente umana, aggirando le trappole di una rappresentazione retorica celebrativacommemorativa. Questo grande fumetto rende attraverso la sua peculiarità, il quoti-diano pulsare del mostruoso attorno, accanto, e dentro di noi; con apparente frugalitàma con la spietata precisione quale altri sistemi della rappresentazione quali il cinema,il teatro o la letteratura si vedono spesso negata per eccesso di sovrastrutture formali.

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Nome Yuri Foreman

Luogo di nascita Gomel, Bielorussa

Data di nascita 5 agosto 1980

Categoria pesi medi

Incontri 28

Vittorie 27 (1 no contest)

Sconfitte 0

Vittorie per KO 8

Nome Dmitriy Salita

Luogo di nascita Odessa, Ucraina

Data di nascita 4 aprile 1982

Categoria superleggeri

Incontri 31

Vittorie 30 (1 pareggio)

Sconfitte 0

Vittorie per KO 16

ú–– Anna Momigliano

Sono entrambi ebrei osservanti,entrambi sono pugili e vengo-no da Brooklyn, New York. Ma

c’è anche un altro elemento che ac-comuna Yuri Foreman, 29 anni, eDmitriy Salita, 27: tutti e due aspi-rano al titolo di campione del mon-do. E presto potrebbero avverare illoro sogno, nelle rispettive categorie.Foreman è un peso medio, finora im-battuto: il prossimo 14 novembre sfi-derà a Las Vegas il campione DanielSantos. Per Salita, anche lui imbat-tuto, l’appuntamento invece è il 5 di-cembre per il titolo dei pesi super-leggeri, contro l’attuale campioneAmir Khan. E, come se non bastasse,i due pugili newyorchesi sono anchebuoni amici: “E’ davvero incredibilepensare che Yuri e io siamo arrivati

allo stesso livello nello stesso mo-mento”, ha commentato recente-mente Salita. “Spero che ce la faremotutti e due”.

óúúúó

Della loro fede e della loro osservan-za dei precetti, i due boxer di Broo-klyn non fanno alcun mistero: si ri-fiutano di combattere durante loShabbat, mangiano solamente cibokasher e studiano la Torah nel tempolibero. Foreman ha già preso una de-cisione per quando la sua carrieraatletica sarà conclusa: farà il rabbino,racconta, e sta già studiando per di-ventarlo. Salita invece frequenta re-golarmente una yeshiva, o scuola re-ligiosa, gestita dal gruppo Chabad. A chi si sorprende e pensa che il du-

ro mondo della boxe sia poco adattoagli ebrei ortodossi, i due rispondonoche invece non c’è alcuna contrad-dizione. Anzi, per loro la fede è mol-to importante anche sul ring. “Moltepersone hanno questo pregiudizio,pensano che se sei un pugile nonpuoi fare nulla di spirituale”, dice Fo-reman. “Ma invece l’Ebraismo miaiuta molto nella boxe, mi aiuta a te-nere i piedi per terra, perché nonposso dimenticare chi sono e da do-ve vengo.” Anche Salita è della stessa opinione:“A modo mio, sto facendo conoscerel’ebraismo”, racconta. Ma poi aggiun-ge: “Non so se consiglierei al figliodi un rabbino di diventare un pugile,però per me la boxe sta funzionandobene”. Che cosa ha spinto questi dueragazzi a scegliere proprio il pugilato?La risposta è semplice: una vita da

immigrati, nei bassifondi di NewYork che ospitano gli esuli dall’exUnione sovietica, e la fame di riscat-to. Salita è nato a Odessa, in Ucraina:si è trasferito con la famiglia a Broo-klyn verso la metà degli anni Novan-ta. Foreman invece è nato a Gomel,in Bielorussia, ed era immigrato inIsraele dopo la caduta del Muro diBerlino.

óúúúó

Si è trasferito a New York, dieci annifa, proprio per realizzare la sua car-riera nella boxe: “Molti dei grandicampioni di pugilato del passato era-no immigrati - dice Foreman - credosi abbia bisogno di questa qualità par-ticolare, di questa fame”.Non a caso il periodo d’oro del pu-

gilato ebraico-americano fu tra glianni Venti e Trenta, quando moltiimmigrati arrivarono negli Stati Unitidai ghetti dell’Europa orientale, contanta voglia di costruirsi un futuromigliore anche a costo di sputaresangue: tra questi si ricorda BennyBass, nato a Kiev in Ucraina, cam-pione del mondo dei pesi piuma trail 1927 e il 1928, nonché medagliad’oro alle Olimpiadi del 1920. Op-pure Louis Kaplan, anche lui un na-tivo di Kiev e campione mondialedei pesi piuma. Ora che una nuova ondata di immi-grati dall’Europa dell’Est sta salendosui ring d’America, la storia potrebberipetersi. Salita è d’accordo: “Essereun immigrato oggi è una situazionemolto dura - dice - Combattere sulring è il mio modo di inseguire il so-gno americano”.

ú– LA SCHEDA

Torah e pugni strettiYuri Foreman e Dimitriy Salita vivono a Brooklyn, sono ebrei osservanti e non combattono di Shabbat.

Ottimi amici, sono entrambi in lizza per il titolo di campione del mondo, nelle categorie pesi medi e superleggeri

Yuri Foreman

Dmitriy Salita Dmitriy Salita Yuri Foreman

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F alafel, humus e pallacanestro.In una classifica delle coseche fanno impazzire mag-

giormente gli israeliani, questa sa-rebbe probabilmente la composizio-ne del podio ideale. Una passione,quella per il basket, paragonabile alsentimento che gli italiani provanoper il calcio (nel nostro paese si parladi “sessanta milioni di allenatori”) erafforzata dagli eccellenti risultatiraggiunti dalla pallacanestro israe-liana negli ultimi anni, grazie soprat-tutto alle spettacolari affermazioniin campo europeo del Maccabi TelAviv.

óúúúó

I gialloblù (chiamati così per il coloredella maglia da gioco) hanno scrittoalcune memorabili pagine della sto-ria di questo sport. Dalla conquistadi cinque Coppe Eurolega, il più im-portante torneo cestistico europeo,alla vittoria contro i Toronto Raptorsnel 2005, prima squadra europea ariuscire nell’impresa di battere unasquadra della Nba, il prestigiosissimocampionato statunitense. Tal Brody,Oded Katash e Anthony Parker (danon confondere con il suo omoni-mo, marito di Eva Longoria), sonosolo alcuni dei “mostri sacri” chehanno calcato l’infuocato palcosce-nico dello Yad Eliyahu, lo stadio cheospita le partite casalinghe dei gial-loblù. Clima bollente che si respira anchedurante i match della squadra na-zionale, quando le giovani speranzeisraeliane (la maggior parte degliatleti hanno meno di venticinque an-ni) si esibiscono sul campo da gioco.Punto di riferimento della nazionalesono gli oltre due metri di altezzadi Omri Casspi, probabilmente ilmaggior talento dell’ultima genera-zione di “ragazzi terribili”. Ed è pro-prio Omri che sta per compiere unpasso memorabile per il movimentocestistico del suo paese.

óúúúó

Il ragazzone di Yavne, dopo quattroanni di intense soddisfazioni sportivecon il Maccabi, ha deciso di spiccareil volo, firmando un contratto con icaliforniani dei Sacramento Kings,con i quali avrà la possibilità di di-ventare il primo israeliano a giocarenella mitica Nba. Traguardo al qualesi erano già avvicinati nel passatoDoron Sheffer, Yotam Halperin eLior Eliyahu, selezionati per il Draft(la fase nella quale i team rinforzanoi propri organici con giocatori pro-venienti dai campionati universitari,

amatoriali o esteri), ma non confer-mati per il campionato vero e pro-prio. Tre sono le caratteristiche di Casspiche hanno impressionato maggior-mente i dirigenti americani: carisma,impegno agonistico e forza fisica.

óúúúó

E’ un mix indispensabile per rico-prire al meglio un ruolo difficile,quello di ala piccola, il più versatiledel quintetto di base delle squadredi basket. Difficoltà che aumentanoconsiderevolmente se gli avversarisi chiamano Kobe Bryant o DwightHoward. Ma giocare in Nba è sem-pre stato il chiodo fisso di Casspi edè perciò comprensibile che il talentoisraeliano non abbia avuto alcundubbio su quale fosse la scelta mi-gliore per la sua carriera : “Ho sem-pre sognato di giocare in Americae, nonostante alcuni importanti clubeuropei mi abbiano cercato, non hoavuto dubbi e sono venuto qua”. Inogni caso non avrà di che lamentarsivisto che il contratto triennale ap-pena firmato (con opzione per altridue anni) gli garantirà più di tre mi-lioni di dollari di stipendio all’anno. Non sono tutte rose e fiori, comun-que. I ritmi di gioco asfissianti ecompletamente differenti da quellieuropei, le grandi aspettative riposteda parte dei tifosi (i Kings, dopo leultime stagioni insoddisfacenti, stan-no puntando molto sui giovani ta-lenti), la responsabilità di essere “am-basciatore del basket israeliano” negliStates, sono fattori che richiedonouna determinazione e una serenitàinteriore notevole da parte di Casspi.Dulcis in fundo, a complicargli ul-teriormente la vita, i velenosi stra-scichi polemici successivi al suo ad-

dio al Maccabi, la squadra che lo halanciato nel basket che conta nel2005 e che non voleva privarsi delsuo prezioso apporto. Apparentemente, comunque, Omriaffronta con distacco le insidie postedavanti al suo cammino: “Voglio so-lamente giocare, divertirmi e fare di-vertire. Il resto non conta”. La sta-gione ufficiale dei Kings comincia afine ottobre: adesso Casspi può di-mostrare quanto vale.

a.s.

SPORT / P37

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Un israeliano all’NbaOmri Casspi, la stella della squadra di basket Maccabi Tel Aviv,

sbarca nel campionato americano con i Sacramento Kings

u Durante il Draft dell’Nba

News

ROMA GIOVANI Sport e quaderni dopo la scuolaSport e doposcuola. Una navetta dal Palazzo della cultura del Ghetto perandare a fare sport e completare assieme i compiti scolastici. Mentre aRoma la stagione dei tornei di calcio e calcetto deve ancora entrare nelvivo, la prima comunità ebraica italiana pensa a importanti novità per ipropri giovani. In attesa del termine dei lavori nel nuovo centro sportivoa Ponte Marconi, è stata siglata una convenzione con un Centro sportivoche permetterà lo svolgimento di diverse attività, fra le quali corsi ditennis, ginnastica e pattinaggio L’organizzazione Maccabi organizza inoltrela tradizionale scuola calcio per i ragazzi dai 5 ai 14 anni.

Daniele Ascarelli

BASKETL’addio di Tamir GoodmanA scuola lo chiamavano “the Jewish Jordan”, il Michael Jordan ebreo. MaTamir Goodman si è ritirato, a soli 27 anni, dopo una brillante carrieracon i Maryland Nighthawks (Stati Uniti) e i Maccabi Haifa Heat (Israele).Nel 2007 Goodman aveva riportato gravi danni ai legamenti, da cui nonsi è mai del tutto ripreso. Per due anni ha tentato di mantenere gli altristandard di gioco che lo hanno contraddistinto. Ma poi, un recente incidente sul campo di gioco, lo ha convinto a riti-rarsi. Così, lo scorso 10 settembre, ha annunciato il suo addio alla pal-lacanestro: “Fisicamente, non sono più in grado di giocare come vorrei.Mi sono ripreso da tre incidenti gravi, ma quest’ultimo ha posto finealla mia carriera”, ha detto. Poi Goodman, che è religioso, ha aggiunto:“Amo il basket, ma Dio ha un altro piano per me”. L’ex giocatore, chevive a Cleveland, si dedicherà alla beneficenza.

MACCABIADILa sorpresa è il VenezuelaNon sono mancate le sorprese all’ultima edizione delle Maccabiadi, le“olimpiadi ebraiche”, che si sono svolte questa estate in Israele. Comesempre, il medagliere è stato dominato da Israele (691) e Stati Uniti(292). Ma in questa edizione si sono distinte anche alcune delegazioniche provengono da Paesi dove le comunità ebraiche non sono partico-larmente numerose. La sorpresa dell’anno è stato però il Venezuela, che si è aggiudicato 17 me-daglie, quasi quanto il Sudafrica (19). Oltre le aspettative è andato ilrisultato della squadra finlandese (5 medaglie) e di quella cilena (4). Perla prima volta, inoltre, anche l’India e il Costa Rica hanno vinto una medaglia.

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IDENTITÀ E MEMORIA/ P38

Riccardo Calimani, lei ha dedicato

gran parte dei suoi studi al mondo

ebraico. Cosa prova a presiedere il

Consiglio di amministrazione di un

ente che ha la grande responsabilità

di realizzare un museo che racconti

approfonditamente la storia degli

ebrei italiani?

Un grande orgoglio, penso sia na-turale. Ma tale orgoglio sarà real-mente giustificato solo se riuscirò atrasmettere agli ebrei italiani questomessaggio: il museo è una sfida mol-to importante per tutti noi, da af-frontare e vincere assieme. Penso in-fatti a questa iniziativa come a unlaboratorio culturale dinamico, aper-to a chiunque voglia dare il propriocontributo. Per questo spero in unagrande partecipazione degli ebreiitaliani, sia come singoli sia attraver-so le Comunità presenti sul territo-rio. È una straordinaria opportunitàda cogliere al volo, senza esitazionie tentennamenti. Un lavoro ben fattopotrà accrescere ancora di più l’in-teresse che già circonda questa stra-ordinaria minoranza culturale e re-ligiosa, da duemiladuecento anni inItalia. Siamo arrivati in questo paesecon oltre due secoli di anticipo ri-spetto ai cristiani e siamo ancora qui,apprezzati e stimati da buona parte

della popolazione. Vogliamo raccontare la nostra storia,lunga e ricca di significati. E per farloal meglio abbiamo bisogno delladell’aiuto di tutti.

La storia degli ebrei italiani è fatta

di momenti belli e, molto spesso, di

periodi difficili. Parlando di questi

ultimi, quanta parte del racconto

museale sarà riservata alla Shoah?

Vi dedicheremo uno spazio impor-tante, senza però focalizzarci esclu-sivamente su quel buio momentostorico. Le leggi razziali e le perse-cuzioni nazifasciste, pur nella loroimmensa tragicità, rappresentano in-fatti un fenomeno piuttosto ristrettotemporalmente. L’obiettivo che ci siamo prefissi, in-vece, è quello di abbracciare oltredue millenni di storia.

Il museo sorgerà al posto dell’ex car-

cere di via Piangipane, un edificio

per lungo tempo abbandonato.

Quando inizieranno i lavori di riqua-

lificazione dell’area?

Entro la fine del mese lanceremo ilbando per il restauro del sito. Per ilmomento stiamo andando avanticon la fase progettuale. Il Consigliodi amministrazione, composto da

elementi di spicco del mondo ebrai-co italiano (tra cui Renzo Gattegna,presidente dell’Unione delle Comu-nità Ebraiche Italiane), si sta riunen-do a cadenze regolari, deliberandosui diversi ordini del giorno. In pa-rallelo all’operato del Cda, procedel’importante lavoro svolto dal Co-mitato scientifico, organismo di cuifanno parte ottimi elementi, che halavorato e lavora tuttora al progettoda portare in Soprintendenza.

Un carcere che diventa un museo.

E’ una trasformazione curiosa.

Non c’è una motivazione particolare

alla base della scelta di questo luogo.Si tratta di un’area dismessa, moltovasta e dal grande potenziale, che loStato e gli enti locali avevano inten-zione di riqualificare. Impossibile,comunque, non notare la forte sim-bolicità di una metamorfosi di questogenere. Un carcere, ove tra l’altromolti ebrei ed antifascisti furono rin-chiusi durante la seconda guerramondiale, che diventa “anticarcere”.Da luogo di segregazione e oppres-sione a simbolo di libertà.

Perché è stata scelta Ferrara per

ospitare questa importantissima ini-

ziativa?

E’ una città che ha il grande vantag-gio di trovarsi in una posizione ba-ricentrica, che la rende facilmenteraggiungibile dalle principali cittàdell’Italia centrale e settentrionale,luoghi dove l’interesse verso l’ebrai-smo è molto forte. Non bisogna di-menticare, poi, che a Ferrara il gran-de scrittore Giorgio Bassani trascor-se l’infanzia e ambientò “Il Giardinodei Finzi Contini”, la sua opera piùcelebre ed amata. Una grande spintaaffinchè il museo venisse realizzatonella città estense, inoltre, l’ha dataVittorio Sgarbi, fino a non moltotempo fa sottosegretario ai Beni cul-turali. Un ferrarese doc cui stavamolto a cuore che questo progettopotesse trovare applicazione concre-ta nella sua città natale.

Quanti visitatori annui vi aspettate?

Non sono in grado di effettuare delleprevisioni definitive, almeno per ilmomento. Naturalmente ci aspettia-mo risultati molto significativi, te-nendo conto che l’interesse del mon-do esterno nei nostri confronti è for-te e crescente.

Accanto al nuovo museo sono in

cantiere altre iniziative e manifesta-

zioni per soddisfare questo interes-

se?

Uno dei progetti più significativi cuistiamo lavorando è una manifesta-zione dedicata al rapporto specialeche gli ebrei hanno con i libri. Unafull immersion alla scoperta del “po-polo del libro”, della durata di unasettimana, dieci giorni al massimo.

L’iniziativa avrà luogo a Ferrara?

Sì, anche se ovviamente non avrebbesenso limitarci l’orizzonte. Se anchealtre città italiane fossero interessatea collaborare con noi, ne saremmoben lieti. Vorrei però aggiungere undato. Per trent’anni ho segnalato erecensito testi scritti da ebrei italianisu Shalom, il mensile della comunitàebraica di Roma. I libri di cui ho par-lato sono molte centinaia, se nonmigliaia. Un fatto straordinario, sepensiamo alla esiguità numerica, al-meno in Italia, di questa acculturataminoranza. Pochi ma buoni, è pro-prio il caso di dirlo.

Adam Smulevich

Così a Ferrara troverà voce e raccontola millenaria cultura degli ebrei italiani

Nato a Venezia nel 1946, Riccardo Calimani ha dedicato numerosi lavori alla storia dell’ebraismo italiano ed europeo.

Laureato in ingegneria elettronica a Padova e in filosofia della scienza all’università di Venezia, Calimani è stato re-

sponsabile del settore programmi televisivi della sede regionale Rai veneta che ha diretto dal ‘94 al ‘98. Tra i suoi

libri, quasi tutti editi da Mondadori, si ricordano il Dialogo sull’ebraismo; I destini e le avventure dell’intellettuale

ebreo; Gesù ebreo; Storia del ghetto di Venezia; Ebrei e pregiudizio; Storia dell’ebreo errante; Ebrei eterni inquieti. A

coronare questo appassionato impegno in campo ebraico, nel gennaio dello scorso anno, la nomina a presidente della

Fondazione per il Museo dell’ebraismo e della Shoah.

L’ex carcere giudiziario di via Piangipane a Fer-

rara, dove vedrà la luce il Museo nazionale del-

l’ebraismo italiano e della Shoah, risale al 1912.

In quest’enorme struttura di 13 mila metri qua-

dri furono incarcerati antifascisti ed ebrei. Fra

i detenuti, nel 1943, anche lo scrittore Giorgio

Bassani. In questa sede emblematica il Museo,

istituito nel 2003, diverrà il luogo privilegiato

in cui conoscere la storia, il pensiero e la cultura

dell’ebraismo italiano. Una sezione sarà dedicata

alle testimonianze della Shoah in Italia. La Fon-

dazione che lo gestirà vede in campo il ministero

per i Beni e le attività culturali, il Comune di

Ferrara, il Centro di documentazione ebraica

contemporanea e l’UCEI. Del Cda, presieduto da

Riccardo Calimani, fanno parte Cesare De Seta,

Bruno De Santis, Renzo Gattegna, Gad Lerner,

Saul Meghnagi, Antonio Paolucci, Paolo Ravenna,

Michele Sacerdoti. Il Museo può contare su uno

stanziamento iniziale di 15 milioni di euro più

un milione annuo per il funzionamento. L’aper-

tura è prevista per il 2011 in concomitanza con

le celebrazioni per i 150 anni dell’unificazione

d’Italia.

In via Piangipane, nel carcere dove fu recluso Bassani

Riccardo Calimani, tra i più noti scrittori e

storici dell’ebraismo italiano ed europeo,

non ha bisogno di grandi presentazioni.

Molti dei suoi scritti hanno avuto e conti-

nuano ad avere ampio riscontro. Vicepresi-

dente della Comunità ebraica di Venezia e

ambasciatore onorario di Svizzera nella Se-

renissima, Calimani ricopre oggi l’impor-

tante incarico di presidente della

Fondazione Museo nazionale dell’ebraismo

italiano e della Shoah di Ferrara. Un pro-

getto di grande portata e rilevanza che va

prendendo corpo proprio in questi mesi e,

secondo le previsioni, è destinato a dive-

nire realtà nel 2011.

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ú–– Ugo Volli

In realtà Giorgio Israel è una per-sona dal tratto garbatamente iro-nico e signorile, al polo opposto

dall’immagine arrogante del “pupa-ro” con cui di recente è stato eti-chettato. E ha una storia e una per-sonalità complessa e problematica,amante della provocazione intellet-tuale e del sarcasmo rispetto alle ideedominanti, che lo allontana radical-mente da qualunque forma di inte-gralismo. Giorgio è figlio di Saul Israel, medi-co, intellettuale e romanziere, natoa Salonicco in una grande famigliaebraica e approdato dopo la primaguerra mondiale in una Roma riccadi fermenti intellettuali soprattuttonel mondo cattolico, con cui intrat-tenne un dialogo fitto trasmesso ineredità al figlio. Quest’ultimo si for-ma politicamente come uomo di si-nistra e scientificamente come ma-tematico, nell’ambito più astratto epuro del pensiero scientifico. Diventaprofessore universitario di Geometriaalgebrica, ma gradualmente i suoiinteressi di docente e studioso pas-sano dalla teoria matematica puraalle applicazioni nei modelli econo-mici e biologici e poi alla storia dellamatematica, cioè alle complesse in-terazioni che legano la scienza allavita materiale e sociale.

óúúúó

Parallelamente sviluppa un impegno,spesso polemico, sui temi della di-dattica scolastica e universitaria, sulleriforme che si succedono e sul lorosostanziale fallimento. I problemidella scuola italiana e dell’universitàsono uno dei grandi temi del suoimpegno civile, quello per cui è statopiù attaccato di recente. In un mon-do dominato dalle corporazioni sin-dacali, in cui si sono succeduti in-terventi disordinati e ideologici, ingenere intellettuali e docenti hannoevitato di esporsi, rassegnati al peg-gio o al più impegnati a minimizzare

i danni. Israel ha invece sostenutocoerentemente una visione dell’uni-versità come luogo d’alta formazionecapace di selezione e produzioneculturale. L’altro grande tema di interventopolemico di Israel sono le questionidell’ebraismo e della difesa di Israele.Fra i più impegnati nel contrastarel’antisionismo dominante nella cul-tura politica da cui pure proviene,

quella della sinistra politica, Israel èstato sempre un critico molto asprodella deriva antisraeliana di partiti eintellettuali di sinistra. Si è ancheschierato con forza a favore del dia-logo del mondo ebraico con la Chie-sa, soprattutto con gli ultimi duepontefici, contro le tentazioni versol’arroccamento che ogni tanto si fan-no sentire nell’ebraismo italiano econtro ogni sincretismo religioso,

per un confronto fra diversi. Non bisogna pensare però a un per-corso tutto politico e polemico. Isra-el è un intellettuale fine e sensibile,dalle molte curiosità. Ha scritto di Kabbalah, della politicarazziale del fascismo, di filosofia dellascienza, di medicina e di complessità.Parlando con lui, escono citazionidi Popper e di Scholem, spunti po-lemici altrettanto forti contro lo

scientismo e il relativismo, la “tec-noscienza” e l’”odio di sé” degli ebreinemici di Israele. Non è facile essere intellettuali ebreioggi, sentirsi eredi di una grandissi-ma tradizione di pensiero senza ri-chiudersi nel folklore o nella tauto-logia, e impegnarsi nel mondo conil rigore e la lucidità che tale tradi-zione impone. Israel è fra i pochi chein questa Italia ci riescono davvero.

www.moked.it

/ P39RITRATTO

Giorgio Israel, tra scienza e storia un matematico nella sfida dei tempi

Non è facile essere un’intellettuale ebreo, neppure nell’Italia di oggi che si professa esentedall’antisemitismo. Non è facile soprattutto se si evita di pagare il tributo verbale che vieneregolarmente richiesto dai media agli ebrei per il loro accesso allo spazio pubblico, che sitratti di arte o di cinema, di letteratura o di scienza, e cioè la dissociazione da Israele e dallesue scelte difensive contro il terrorismo e l’adesione al linguaggio della sinistra. Gliintellettuali ebrei devono essere “progressisti” o tacere. E’ per questa ragione, per il rifiutodi adeguarsi al politicamente corretto nel campo della politica interna come in quello degliaffari esteri, che Giorgio Israel è stato oggetto di pesanti attacchi personali negli ultimimesi: minacciosamente paragonato a Marco Biagi, il giuslavorista ucciso dai terroristirossi, definito “puparo ebreo” del Ministro della pubblica istruzione, boicottato anche nellasua attività pubblicistica in quanto “integralista”.

In libreria

Dai modelli matematici, al centro del

suo ultimo lavoro, alla questione

della razza nell’Italia fascista al raz-

zismo contemporaneo. Dal delicato rap-

porto tra scienza e storia alla kabbalah.

Nelle opere di Giorgio Israel il filone scien-

tifico lascia periodicamente spazio a si-

gnificative inserzioni che approfondiscono

questioni legate all’ebraismo. Affrontate

sempre con grande rigore e con una pro-

fonda vocazione laica.

CHI SONO I NEMICI DELLA SCIENZA

Riflessioni su undisastro educa-tivo e culturale edocumenti dimalascienza(2008)

352 pagineLindau editore21, 50 euro

tMODELLI MATEMATICI

Introduzionealla matematicaapplicata (2009)

160 pagineMuzzio editore13, 50 euro

t IL MONDO COME GIOCO MATEMATICO

La vita e le ideedi John von Neu-mann

273 pagineBollati Boringhierieditore22 euro

t

Giorgio Israel è professoreordinario di Matematichecomplementari all’Univer-sità di Roma La Sapienza.Dopo un periodo di ricer-che matematiche, si è de-dicato alla storia dellascienza e della matema-tica, con particolare atten-zione alla storia dellamatematizzazione dellescienze biologiche ed eco-nomico-sociali. Da tempo èimpegnato nella divulga-zione scientifica e nell’in-segnamento ma esercitaanche l’attività di opinioni-sta firmando su numerosigiornali e sul Portale del-l’ebraismo italianowww.moked.itFiglio del medico, insignestudioso e letterato SaulIsrael, Giorgio Israel citafra le sue letture preferiteLa Divina Commedia, I De-moni e L’Idiota di Dostoev-skij, Vita e destino di VasilijGrossman, Don Quijote, Ala recherche du tempsperdu e i libri Jules Verne.Fra i film che ha più amatoIntrigo internazionale e laserie della Pantera rosa.

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Lo scopo del MuseoNazionale dell'EbraismoItaliano e della Shoah

è di diventare un'istituzione diriferimento per tutti gli ebreidel nostro paese. È un'occa-sione irripetibile e un'impresaingente che va sostenuta con

interesse e collaborazione.Senza sottrarre spazio a realtàlocali, il Museo è chiamato a

diventare un polo di attrazionecomune per l'Italia ebraica e

non ebraica».

Cariche e organidella Fondazione MEIS

PRESIDENTE: Riccardo Calimani.SEGRETARIO GENERALE: Roberto Finardi.

CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE:Bruno De Santis, Cesare De Seta,

Renzo Gattegna, Gad Lerner,Saul Meghnagi, Antonio Paolucci,Paolo Ravenna, Michele Sacerdoti.DIRETTORE SCIENTIFICO: Piero Stefani.COMITATO SCIENTIFICO: Roberto Della

Rocca, Daniela Di Castro,Massimo Giuliani, Michele Luzzati,

Michele Sarfatti.

Fondazione MEISpiazza del Municipio 2

44100 Ferrara.Tel 0532.419583; fax 0532.419501

e-mail [email protected]

Il Museo Nazionaledell’Ebraismo Italianoe della Shoahè stato istituito a Ferrara in basealla legge 296 del 27 dicembre2006. La decisione riconosce evalorizza la eccezionale continuitàdella più che bimillenaria presenzaebraica nella Penisola. Gli ebreirappresentano un riferimento indi-spensabile per comprendere lastoria e la civiltà italiane.Straordinario è stato l’apporto cul-turale arrecato dagli ebrei italianitanto all’ebraismo nel suo insieme,quanto alla civiltà del nostroPaese. Nel corso dei secoli essihanno contribuito a instaurarenumerosi rapporti tra l’Italia,l’Europa e le altre sponde delMediterraneo. Alla minoranzaebraica va perciò ascritta una pre-ziosa funzione di collegamento traculture e civiltà. Infine, vanno presiin considerazione i modi in cui,dall’esterno, si è guardato agliebrei. In questo campo ci furono eci sono scambi fecondi; tuttavia èanche attestata la presenza diun’ostilità di lunga durata sfociatanegli avvenimenti estremi posti alcentro del Novecento.Il sito individuato come sede delMEIS è costituito dall’ampio com-plesso delle ex carceri cittadine.L’edificio, inaugurato nel 1912, fudismesso nel 1992. Attraversoqualificati interventi urbanistici earchitettonici, si tratta ora di recu-perare per la città un luogo disegregazione e di esclusione. In talmodo si renderà aperto e frequen-tato uno spazio di emarginazione(e in seguito di fatiscente abban-dono) collocato in pieno centrourbano, a breve distanza dall’areadell’ex ghetto dove si trovano, tut-tora, le storiche sinagoghe e altriimportanti segni del celebre pas-sato ebraico di Ferrara. .Al fine di procedere all’attuazionedel progetto museale, con la parte-cipazione del Ministero dei Beniculturali, dell’Unione delle ComunitàEbraiche Italiane e degli Enti locali,si è costituita un’appositaFondazione. La legge prevede inol-tre la collaborazione scientifica delCentro di Documentazione EbraicaContemporanea (CDEC) di Milano.

Ex carceri di via Piangipane (Ferrara), prima deilavori di recupero (2006) - © Comune di Ferrara