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Questo libro è dedicato essenzialmente ai giovani, col proposito di far loro conoscere in modo più approfondito e dettagliato, l'arte immensa di questo nostro grande Genio, figlio della nostra terra, che ha fatto palpitare i cuori di tutti, che è stato e lo è tutt'ora, il più grande ambasciatore della cultura musicale italiana nel mondo. Lettera ai giovani Caro giovane, ascolta la musica di Verdi! Ti sentirai trasportare in un mondo apparentemente 'irreale, immerso in una musica che tuttavia parla ai nostri sentimenti 'reali, piena di note che fanno 'venire i brividi, come si usa dire quando senti invaderti dentro da qualcosa che neanche tu riesci a controllare. Ascolta la musica di Verdi! Se sei un sentimentale troverai quello che cerchi nel preludio del terzo atto di Traviata oppure nel canto mistico della "Vergine degli angeli" nella Forza del destino. Se hai un temperamento forte, troverai maggiore emozione nell'ascoltare il "Credo"dell'Otello oppure l'aria "Cortigiani, vil razza dannata" nel Rigoletto. Se poi ascolterai Aida, sarai portato a chiederti come mai un europeo come Giuseppe Verdi abbia potuto scrivere una musica così evocativa dell'Egitto dei Faraoni. L'esecutore più famoso, l'artista che più di tutti seppe interpretare la carica vitale della musica di Verdi, fu un altro parmigiano: il maestro Arturo Toscanini; nelle sue esecuzioni era capace di interpretare la musica di Verdi esattamente nella maniera che lo stesso Maestro esigeva: con sentimento e forza drammatica! Ma queste cose le scoprirai ascoltando la musica di Verdi. Poi tutto ti verrà naturale, perché è musica che va direttamente nel profondo dell'anima, per non uscirne più. Questo libro è una occasione per scoprire l'arte di un grande uomo. Esso ti viene offerto dall'Associazione culturale "Parma Lirica", che da trent'anni opera per divulgare la musica lirica allo scopo di coinvolgere giovani e anziani in cicli di manifestazioni musicali. Per il centenario della morte di Giuseppe Verdi (1813-1901) abbiamo infatti pensato di raccogliere in un volume la sintesi della vita e delle opere del grande musicista al fine di avvicinare i giovani

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Questo libro è dedicato essenzialmente ai giovani, col proposito di far loro conoscere in modo più approfondito e dettagliato, l'arte immensa di questo nostro grande Genio, figlio della nostra terra, che ha fatto palpitare i cuori di tutti, che è stato e lo è tutt'ora, il più grande ambasciatore della cultura musicale italiana nel mondo.

Lettera ai giovani Caro giovane, ascolta la musica di Verdi! Ti sentirai trasportare in un mondo apparentemente 'irreale, immerso in una musica che tuttavia parla ai nostri sentimenti 'reali, piena di note che fanno 'venire i brividi, come si usa dire quando senti invaderti dentro da qualcosa che neanche tu riesci a controllare. Ascolta la musica di Verdi! Se sei un sentimentale troverai quello che cerchi nel preludio del terzo atto di Traviata oppure nel canto mistico della "Vergine degli angeli" nella Forza del destino. Se hai un temperamento forte, troverai maggiore emozione nell'ascoltare il "Credo"dell'Otello oppure l'aria "Cortigiani, vil razza dannata" nel Rigoletto. Se poi ascolterai Aida, sarai portato a chiederti come mai un europeo come Giuseppe Verdi abbia potuto scrivere una musica così evocativa dell'Egitto dei Faraoni. L'esecutore più famoso, l'artista che più di tutti seppe interpretare la carica vitale della musica di Verdi, fu un altro parmigiano: il maestro Arturo Toscanini; nelle sue esecuzioni era capace di interpretare la musica di Verdi esattamente nella maniera che lo stesso Maestro esigeva: con sentimento e forza drammatica! Ma queste cose le scoprirai ascoltando la musica di Verdi. Poi tutto ti verrà naturale, perché è musica che va direttamente nel profondo dell'anima, per non uscirne più. Questo libro è una occasione per scoprire l'arte di un grande uomo. Esso ti viene offerto dall'Associazione culturale "Parma Lirica", che da trent'anni opera per divulgare la musica lirica allo scopo di coinvolgere giovani e anziani in cicli di manifestazioni musicali. Per il centenario della morte di Giuseppe Verdi (1813-1901) abbiamo infatti pensato di raccogliere in un volume la sintesi della vita e delle opere del grande musicista al fine di avvicinare i giovani

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alla musica lirica. Sempre per questo grande evento commemorativo abbiamo predisposto la proiezione in video di gran parte dei suoi melodrammi. Le proiezioni saranno offerte ai ragazzi appartenenti alle scuole medie inferiori, accompagnati dai loro insegnanti, dietro richiesta della scuola di appartenenza; si terranno ogni giovedì mattina per gruppi di 120 studenti e saranno precedute da un'illustrazione storico-critica svolta da un nostro esperto. Caro studente, la nostra iniziativa riguarda tutta una tradizione che è nostra e che abbiamo il dovere di salvaguardare. Noi lo vogliamo fare con il tuo aiuto.

Verdi fotografato a Parigi da Nadar (ca. 1866-67)

Marcello Conati

Giuseppe Verdi e il suo tempo

Introduzione

alla cronologia verdiana Come ci ricorda Massimo Mila "Verdi nacque in un'epoca in cui il solo mezzo conosciuto di locomozione terrestre era la carrozza a cavalli. Quando morì, le ferrovie allacciavano la terra nella loro rete; da due anni Agnelli aveva fondato la Fiat. [...] Verdi nacque in un'Italia divisa e in un'Europa occupata a schiacciare gli eserciti di Napoleone e i princìpi di libertà, uguaglianza e fraternità.Alla sua morte, l'Italia era al terzo ed ultimo re del suo regno unito; il socialismo si diffondeva in Europa. [...] Non solo la vita di Verdi fu lunga, e la sua forza creativa conservò una freschezza eccezionale fino alla più tarda età; ma questa vita si svolse in un'epoca che non ha forse l'eguale per abbondanza e vastità di cangiamenti". Egli nacque infatti quando la rivoluzione industriale era appena agli albori, almeno in Italia. L'illuminazione era ancora a lampade di petrolio e a candele; la posta continuava a viaggiare per diligenza (con speditezza peraltro non di

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molto inferiore a quella della posta normale dei nostri giorni...), con tassa a carico del destinatario (non esistevano ancora i francobolli). Morì che già esisteva il telegrafo, venivano istituiti i primi "treni-lampo", le strade erano percorse dalle prime automobili, era stato inventato il grammofono, si produceva già la Coca-Cola, s'andava diffondendo il gioco del calcio e cominciavano le prime Olimpiadi... Visse ottantasette anni, tre mesi e diciassette giorni. La sua intensa attività di artista si estese pressoché ininterrotta per un arco di tempo durato oltre settant'anni, avendo egli iniziato a comporre la sua prima sinfonia, sembra, all'età di tredici anni (in quell'anno, 1826, Beethoven dava l'addio all'arte con il Quartetto op. 135, Weber moriva dopo aver fatto rappresentare l'Oberon) e avendo praticamente smesso all'età di ottantaquattro anni (Puccini e Richard Strauss erano nomi ormai famosi, sorgeva l'astro di Debussy, Schònberg s'apprestava a comporre Die verklarte Nacbt). Fu autore di opere destinate a conquistare una popolarità che ancora oggi non accenna minimamente a diminuire. E attraverso queste opere conferì ulteriore popolarità ai grandi e meno grandi autori della letteratura europea, da Shakespeare a Schiller, da Byron a Voltaire, da Hugo a García Gutiérrez, da Dumas a Saavedra. Incise profondamente sulla prassi esecutiva riformando la disposizione delle orchestre e i criteri delle prove musicali. Lottò perché la direzione musicale di un'opera fosse affidata a un solo responsabile e s'impegnò in prima persona per l'adozione di un unico diapason. Contribuì inoltre alla riforma dei conservatori musicali e collaborò alla legge per la tutela della proprietà artistica. Sempre in moto. Ma soprattutto sempre attento, con le antenne costantemente protese a captare tutti i segnali di trasformazione provenienti dalla società in cui viveva e operava, società complessa in cui convivevano gl'impulsi dell'avanzante civiltà borghese e le norme della tradizione contadina. Per Verdi la cultura - intesa non come fatto decorativo, letterario, nozionistico, bensì come modo di porsi di fronte alla realtà e come capacità di acquisire gli strumenti per trasformarla - era una necessità vitale. Il non ostentarla l'esito di consapevolezza. Non restò mai indietro, non si riposò mai sui propri allori (nemmeno quando parve di poterlo fare), non si lasciò sopraffare dalle mode e dai mutamenti né rinunciò a cimentarsi in nuove imprese. In breve: non volle né si lasciò mai superare dagli uomini e dagli eventi.Anche quando sembrò trovarsi in difficoltà di fronte all'avanzata delle nuove generazioni, portatrici di nuovi ideali estetici, non si arrestò mai, ma - pur brontolando contro Scapigliati, avveniristi, wagneristi, sinfonisti, quartettisti, oltremontani, veristi e quant'altro - continuò ad avanzare verso nuovi traguardi artistici. Con il Don Carlos vinse la sfida con Meyerbeer e con il Mefistofele di Boito. Con il Quartetto per archi dimostrò che anch'egli sapeva fare musica strumentale. Ritenne d'aver concluso la propria carriera di artista con l'Aida e con la Messa da Requiem; ma dopo la morte di Wagner riprese la penna in mano per avanzare ulteriormente nell'arte: e vennero Otello e il miracoloso Falstaff. E non fu ancora tutto. Convinto assertore del primato della voce umana ovvero del canto, a oltre ottant'anni compose i Pezzi sacri, vetta della musica corale d'ogni tempo. Fu anche uomo politico: allo scoppio dei moti del 1831, benché ancora minorenne, chiese di entrare nella Guardia Nazionale; animato da idee repubblicane e anticlericali partecipò in prima persona agli eventi del 1848 fiancheggiando l'azione di Mazzini, per il quale scrisse anche un inno patriottico; amico di Luigi Bonaparte, divenuto Napoleone III, si accostò gradualmente al programma politico di Cavour e accettò, benché riluttante, la sua richiesta di farsi eleggere deputato al primo Parlamento italiano. Fu inoltre agricoltore, nel senso pieno della parola: seppe amministrare i suoi possedimenti terrieri, sempre tenendosi a giorno sui progressi più recenti dell'agronomia, indicando ai propri fattori come addestrare cavalli, scegliere sementi, potare alberi, concimare terreni... Stimava coloro, egli diceva, "che sanno spendere a tempo e luogo mille franchi, e che sanno economizzare il centesimo"; sulla base di questa "teoria" riuscì ad accumulare un'immenso patrimonio, di cui saranno poi altri a godere. Fu infatti benefattore: non si contano le sue numerose elargizioni a beneficio di collaboratori (Cammarano, Piave) e di conoscenti, e le sue tante sottoscrizioni per aiutare terremotati, alluvionati, colerosi; attinse al proprio patrimonio per far erigere un ospedale a Villanova d'Arda

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per i poveri della zona e, poco più tardi, la Casa di Riposo per Musicisti, alla quale destinò la maggior parte dei suoi averi. Fu una lunga, poliedrica attività, la sua, continuamente rinnovatasi a stretto contatto con le trasformazioni della società. E quali trasformazioni! Se non si hanno costantemente presenti date e avvenimenti di una vicenda secolare, la figura di Verdi uomo e artista sfugge a una piena comprensione.Tanta attività non è riducibile a una formula, né l'artefice a una definizione.

Giuseppe Verdi (fotografia, Parigi, 1860-62 ca.)

Cronologia 1813

Giuseppe Verdi* 1813 Domenica 10 ottobre: nasce Giuseppe Verdi, primogenito di Carlo e di Luigia Uttini, entrambi discendenti di famiglie di locandieri e di affittuari; l'evento viene festeggiato all'osteria del padre Carlo con canti e balli. 11 ottobre: viene battezzato con i nomi di Giuseppe Fortunino Francesco; "il padrino del neonato volle che, in segno di letizia, venisse il bambino accompagnato al sacro fonte col suono di allegre fanfare da una brigata di suonatori girovaghi"; nello stesso giorno si celebra anche il matrimonio del fratello di Carlo Verdi, Marco Antonio. 1814 Aprile: per ripararsi dalle scorrerie dei Russi la madre di Verdi si rifugia col piccolo Giuseppe in cima al campanile della chiesa delle Roncole. (GV a Roito:"I soldati Russi commettevano atrocità

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nelle campagne. Nella stessa chiesa di Roncole uccidevano, violavano donne. Presso Polesine una famiglia di forti contadini, un padre e due figli armati di tromboni, nascosti dietro un pozzo, vendicavano le efferatezze dei Russi uccidendoli a trombonate. Le scorrerie dei Russi nei dintorni di Roncole provenivano dai reggimenti del generale austriaco Nugent formati di varie nazionalità. Il 16 Aprile fu l'ultimo giorno delle ostilità"). 1815 Le campane della chiesa delle Roncole e i musicisti popolari, fra cui un violinista ambulante soprannominato Bagassèt, danno al piccolo Giuseppe le prime idee della musica. * N.B. Nella seconda colonna della presente Cronologia ("Arte e Cultura") sono stati inseriti alcuni dati riguardanti avvenimenti artistici e culturali che, sebbene non presentino grande rivelanza a confronto con altri dati, hanno tuttavia qualche attinenza, diretta o indiretta, con l'opera e con l'attività di Verdi.

Arte e cultura

1813 17 gennaio: muore a Vienna Zacharias Werner, autore del dramma Attila. 6 febbraio: Venezia, La Fenice: Rossini, Tancredi. 21 febbraio: Genova, S. Agostino: Simone Mayr, La rosa bianca e la rosa rossa. 22 maggio: nasce a Lipsia Richard Wagner. Venezia, Teatro in S. Benedetto: Rossini, L'Italiana in Algeri. 29 settembre: muore a Montmorency André Grétry. 28 novembre: Napoli, S. Carlo: Mayr, Medea in Corinto, su libretto di Felice Romani. 8 dicembre: Vienna: Beethoven, Settima Sinfonia. 26 dicembre: Milano, Scala: Rossini,Aureliano in Palmira. George Byron, La sposa d'Abido, poemetto. - Ugo Foscolo inizia il poema Le Grazie. - Carlo Porta, I desgrazi de Giovannin Bongee. 1814 23 maggio: Vienna, Hofoperntheater: Beethoven, Fidelio (terza versione). 14 agosto: Milano, Scala: Rossini, Il turco in Italia. 17 ottobre: Milano, Scala: Mozart, Don Giovanni (sarà ripreso nel marzo del 1816). G. Bymn, Il corsaro, poemetto. C. Porta, La Ninetta del Verzee. Francisco Goya, Le fucilazioni del 3 maggio 1808, dipinto L'editore Giovanni Ricordi pubblica il suo primo catalogo e diventa copista e suggeritore alla Scala. 1815 8 giugno: Venezia, S. Benedetto: Carlo Coccia, Clotilde. 18 agosto: Milano, teatro Re: Silvio Pellico, Francesca da Rimini, dramma. 6 settembre: nasce a Lodi Giuseppina Strepponi. 4 ottobre: Napoli, S. Carlo: Rossini, Elisabetta, regina d'Inghilterra. Donizetti, dopo aver studiato alla scuola di Mayr, si perfeziona al Liceo Musicale di Bologna. Gian Battista Niccolini, Nabucco, tragedia in versi. Alessandro Manzoni, Quattro inni sacri. - G. Byron, Parisina, poema. Antonio Canova, Le tre Grazie, scultura

Politica, società, scienza, scoperte 1813 Febbraio: Russia, Prussia e Gran Bretagna danno vita alla sesta coalizione. Agosto: vittoria di Napoleone a Dresda. 16-19 ottobre: battaglia di Lipsia; Napoleone è costretto alla ritirata. Dicembre: gli eserciti della coalizione invadono la Francia. Viene fondata a Pisa la Scuola normale superiore. 1814 13 febbraio: i reggimenti austriaci del generale Nugent entrano a Parma. 9 marzo: ricacciati dai Francesi, dopo una settimana gli Austriaci ritornano a Parma.

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Marzo: gli eserciti della coalizione entrano in Parigi. Scorrerie di soldati russi nelle campagne del bussetano. 6 aprile: trattato di Fontainehleau: Napoleone è costretto ad abdicare; tornano al trono i Borboni con Luigi XVIII. Fine del regno d'Italia. Vittorio Emanuele I riprende possesso del Piemonte e Pio VII dello stato pontificio; gliAustriaci occupano Milano: il Lombardo-Veneto viene annesso all'impero asburgico. 14 aprile: a Maria Luigia, moglie di Napoleone, viene assegnato il ducato di Parma, Piacenza e Guastalla. 4 maggio: Napoleone si ritira nell'isola d'Elba. 30 giugno: a Parma viene costituita una Reggenza provvisoria in nome di Maria Luigia. 1° agosto: Pio VII ripristina l'ordine dei Gesuiti. 1° novembre: si apre il congresso di Vienna. Stephenson realizza la prima locomotiva a vapore. 1815 26 febbraio: Napoleone lascia l'isola d'Elba e sbarca a Cannes; sua marcia trionfale a Parigi, dove viene acclamato imperatore. 30 marzo: proclama di Rimini; Gioacchino Murat incita gli Italiani alla lotta per l'indipendenza. Sconfitto a Tolentino si rifugia in Corsica. 1° aprile: nasce a Schónhausen Otto von Bismarck. 9 giugno: si conclude il-congresso di Vienna. L'Italia torna alla frammentazione prenapoleonica, con il Lombardo-Veneto sotto il dominio dell'Austria. 15-18 giugno: battaglia di Waterloo; Napoleone sconfitto si consegna prigioniero agli Inglesi che lo deportano nell'isola di S. Elena. Cronologia 1816

Giuseppe Verdi 1816 22 marzo: nasce Francesca Giuseppa Verdi, sorella di Giuseppe. 12 agosto: si costituisce in Busseto una Società Filarmonica sostenuta da Antonio Barezzi e diretta da Ferdinando Provesi. 1 1 novembre: Carlo Verdi prende in affitto un piccolo podere alle Roncole. 1817 Secondo una testimonianza della madre, raccolta dal bussetano Ercole Cavalli, "il bambino era d'indole abbastanza buona, docile ed obbediente; ma era molto introverso e am-ante della solitudine. LI ma quando erano di passaggio organetti o musici ambulanti, era impossibile trattenerlo, essendo necessario la forza per riportarlo a casa". 1818 Il piccolo Verdi inizia a studiare con don Pietro Baistrocchi, che gli apprende anche a suonare l'organo e a cantare. Il parroco delle Roncole, don Carlo Arcari, gli insegna "i primi rudimenti di lettura e di scrittura".

Arte e cultura Ugo Foscolo va in esilio volontario in Svizzera, quindi (1816) a Londra. 1816 14 gennaio: Venezia, Fenice: Pietro Generali, I baccanali di Roma. 20 febbraio: Roma, Argentina: Rossini, Il barbiere di Siviglia. 27 aprile: Schubert termina la sinfonia in Do min. (Tragica). 2 maggio: viene fondata a Parma una scuola di musica. 5 giugno: Napoli: muore Giovanni Paisiello. 1° settembre: Praga: Ludwig Spohr, Faust. 4 dicembre: Napoli,Teatro del Fondo: Rossini, Otello. Luigi Cherubini, Requiem in Do min.

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Johann Nepomuk Miilzel costruisce il primo metronomo. Giovanni Berchet, Lettera semiseria di Grisostomo. Walter Scott, I puritani di Scozia, romanzo. Madame de Staél sulla"Biblioteca Italiana" esorta gli Italiani alla lettura e alla traduzione della letteratura straniera. 1817 25 gennaio: Roma, Valle: Rossini, Cenerentola. 31 gennaio: Vienna, Theater an der Wien: Franz Grillparzer, L'avola , dramma. 31 maggio: Milano, Scala: Rossini, La gazza ladra. 11 novembre: Napoli, S. Carlo: Rossini, Armida. Wolfgang Goethe, Viaggio in Italia. G. Byron, Manfred, dramma. August W. Schlegel, Corso di letteratura drammatica, tradotto da G. Gherardini. 1818 6 febbraio: Milano, Scala, Salvatore Viganò, Otello, ballo. 5 marzo: Napoli, S. Carlo: Rossini, Mosè in Egitto. 21 aprile: Vienna: E Grillparzer, Saffo, tragedia. 17 giugno: nasce a Parigi Charles Gounod. 5 agosto: Milano, Scala: Adalbert Gyrowetz, Il finto Stanislao. 3 settembre: esce a Milano il primo numero del "Conciliatore", fondato da Luigi Porro Lambertenghi; vi

Politica, società, scienza, scoperte Settembre: lo zar Alessandro I promuove la Santa Alleanza "fra trono e altare": ne fanno parte Russia, Prussia e Austria. Il parlamento britannico respinge ogni diritto d'intervento: la Gran Bretagna diventa così la patria dei liberali. 13 ottobre: sbarcato a Pizzo Calabro nel tentativo di riconquistare il trono di Napoli Gioacchino Murat viene catturato e fucilato. Nuovo metodo di pavimentazione stradale introdotto dallo scozzese J. L. Mc Adam. Negli Stati Uniti viene varata la Fulton, prima nave a vapore da guerra. 1816 19 aprile: la duchessa Maria Luigia fa il suo ingresso a Parma. Pio VII sopprime la tortura e i diritti feudali. Gran Bretagna: vengono istituiti i dazi sul grano; la crisi economica e la disoccupazione suscitano tumulti da parte dei lavoratori. Il duca di Weimar concede la costituzione. Londra: introduzione dell'illuminazione a gas. 1817 In Italia inizia a diffondersi la Carboneria. Moti carbonari nelle Marche. L'egittologo Battista Belzoni scopre a Luxor la tomba di Seti I e penetra nella piramide di Cheope. Il governo del Lombardo-Veneto introduce l'istruzione obbligatoria per tutti i bambini fra i sei e i dodici anni. 1818 12 dicembre: la duchessa di Parma, Maria Luigia, visita Busseto. Gran Bretagna: dilagano gli scioperi nelle filande. 12 Francia ottiene l'evacuazione dai suoi territori delle truppe alleate. La Baviera ottiene una costituzione. C. E Drais von Sauerbronn costruisce la draisina, bicicletta primitiva, mossa con la spinta dei piedi. Cronologia 1819

Giuseppe Verdi 1819 A Busseto viene decisa l'apertura di un ginnasio di studi. 1820

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Il padre regala a Giuseppe una spinetta; il ragazzo comincia a sostituire Baistrocchi all'organo. luglio: Ferdinando Provesi viene nominato organista della collegiata di S. Bartolomeo in Busseto. A questo periodo o a periodo di poco posteriore risale l'episodio di GV chierichetto, che serve messa nella chiesa delle Roncole, essendo officiante il cappellano don Giacomo Masini: "nel momento che il chierico deve versare il vino nel calice l'organista si mise a suonare e il piccolo Verdi rimane immobile a ascoltare come estatico la musica; il prete lo richiama all'ufficio, egli non ode, il prete allora gli dà un pugno che lo getta giù dai gradini dell'altare"; Dio t' manda na sajeta! sarebbe stata la risposta adirata del piccolo Giuseppe.

Arte e cultura collaborano Pellico, Gonfalonieri, Berchet, Romagnosi, Borsieri. 23 settembre: Milano, Scala: Pacini, Il barone di Dolsbeim. 3 dicembre: Napoli, S. Carlo: Rossini, Ricciardo e Zoraide. W Scott, Le prigioni di Edimburgo, romanzo. Jean-Charles Sismondi termina di pubblicare la sua Storia delle repubbliche italiane del Medioevo. G. B. Sonzogno fonda a Milano una casa editrice. 1819 19 gennaio: Venezia, S. Benedetto: Pacini, La sposa fedele. 24 settembre: Napoli, S. Carlo: Rossini, La donna del lago. Ottobre: Bellini è ammesso al Conservatorio di Napoli. 11 ottobre: Milano, Scala: Viganò, I Titani, ballo. 23 ottobre: Parigi, Odéon: Casimir Delavigne, / vespri siciliani, tragedia. 22 dicembre: Parigi, Opera: Spontini, Olimpia. 26 dicembre: Milano, Scala: Rossini, Bianca e Falliero. - Venezia, S. Samuele: Gaetano Donizetti, Il falegname di Livonia. Walter Scott, La fidanzata di Lammermoor, romanzo. Pompeo Ferrari, Teatro di Schiller, recato per la prima volta dal tedesco in italiano. 1819-1822: Michele Leoni, Tragedie di Shakespeare, in traduzione italiana. Giacomo Leopardi, L'infinito. Alessandro Manzoni, Osservazioni sulla morale cattolica. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione. Théodore Géricault, La zattera della medusa, dipinto. 1820 11 maggio: Trieste,T. Grande: Pacini, La sacerdotessa dirminsul. Giugno: Ricordi pubblica i 24 Capricci di Niccolò Paganini. 3 dicembre: Napoli, S. Carlo: Rossini, Maometto II. 26 dicembre: Roma,Valle: Pacini, La gioventù di Enrico V A. Manzoni, Il conte di Carmagnola, tragedia. - G. Byron, Marino Faliero, tragedia. W. Scott, Ivanhoe, romanzo. Francisco Goya, Le pitture nere.

Politica, società, scienza, scoperte 1819 Metternich organizza a Karlsbad un convegno di ministri in cui vengono decretate la censura sulla stampa e misure repressive contro le associazioni studentesche. Gli Stati Uniti acquistano la Florida dalla Spagna. In America del Sud le lotte di liberazione guidate da Simón Bolivar conducono alla proclamazione della Grande Colombia, con Bolivar presidente. Gli Inglesi occupano Singapore. Il medico francese R.T. Laennec inventa lo stetoscopio. Il piroscafo Savannah compie in 26 giorni la prima traversata dell'Atlantico. 6 febbraio: Parigi, Opera: nella messinscena di un'opera viene per la prima volta sperimentata la luce a gas. 1820 Gennaio: rivoluzione in Spagna; il re è costretto al ripristino della costituzione del 1812.

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Luglio: nel regno di Napoli la rivolta guidata da Guglielmo Pepe costringe il re a concedere la costituzione. Intanto in Sicilia scoppiano tumulti contro il centralismo napoletano. 13 ottobre: in Lombardia la scoperta delle "vendite" carbonare conduce all'arresto di Silvio Pellico, Piero Maroncelli, Luigi Porro Lambertenghi, Pietro Borsieri; condannati a morte, la loro pena viene commutata in carcere da scontare nella fortezza dello Spielberg. Negli Stati Uniti viene dichiarata abolita la schiavitù nei territori a nord del 36° parallelo. Hans Chr. Oersted scopre l'elettromagnetismo. Cronologia 1821

Giuseppe Verdi 1821 Alle Roncole si forma un piccolo gruppo di cantori per le cerimonie sacre, diretto da don Pietro Parenti; il piccolo Giuseppe ne fa parte. Stefano Cavaletti ripara la spinetta sulla quale studia Giuseppe e non chiede compenso "vedendo la buona disposizione che ha il giovinetto Giuseppe Verdi d'imparare a suonare questo istrumento". 7 maggio: Carlo Verdi chiede di avere un banco nella collegiata di S. Bartolomeo in Busseto. 24 agosto: nasce a Zibello, in provincia di Parma, Emanuele Muzio. 1822 GV viene assunto come organista della chiesa delle Roncole 1823 Allo scopo di "dargli un'educazione che lo esonerasse dal lavoro manuale" e anche per consiglio e incoraggiamento del negoziante e filarmonico Antonio Barezzi, Carlo Verdi conduce il figlio a Busseto per fargli continuare gli studi in quel ginnasio e lo alloggia in casa del ciabattino Pietro Michiara detto Pugnatta. 2 maggio: muore a Frescarolo Pietro Baistrocchi, organista della chiesa delle Roncole. Novembre: GV viene ammesso al ginnasio di Busseto e riceve lezioni da don Pietro Seletti, Carlo Curotti e Giacinto Volpini. Conserva tuttavia il posto di organista alle Roncole.

Arte e cultura 1821 5 gennaio: muore a Milano Carlo Porta. 23 febbraio: muore a Roma il poeta John Keats. 24 febbraio: Roma, Apollo: Rossini, Matilde di Shabran. 3 marzo: Milano, Scala:Viganò, Giovanna d'Arco, ballo. 18 giugno: Berlino: Weber, Il franco cacciatore. 10 agosto: muore a Milano Salvatore Viganò. 12 ottobre: nasce a Ravenna Angelo Mariani. 30 ottobre: Milano, Scala: Mercadante, Elisa e Claudio. G. Byron, I due Foscari e Caino, tragedie. Manzoni lavora a Fermo e Lucia. Francesco Hayez, I vespri siciliani, dipinto. G.W. E Hegel, Lineamenti della filosofia del diritto. A Parigi la Casa Érard costruisce il pianoforte "a doppio scappamento". Giovan Pietro Vieusseux fonda a Firenze la rivista "Antologia". 1822 4 febbraio: Venezia, Fenice: Morlacchi, Tebaldo e Isolino. 16 febbraio: Napoli, S. Carlo: Rossini, Zelmira. 8 luglio: muore per annegamento nel Mar Tirreno il poeta Percy Bysshe Shelley. Settembre: Bologna, Comunale: Giacomo Serafini, La distruzione d'Aquileia, ballo. 13 ottobre: muore a Venezia lo scultore Antonio Canova. Ottobre: Schubert, Sinfonia Incompiuta. 26 dicembre: Roma,Valle: Filippo Celli,11 Corsaro. Alessandro Manzoni, Inni sacri e Adelchi, tragedia. Ippolito Pindemonte pubblica una traduzione italiana dell'Odissea.

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Jean Francois Champollion decifra il valore fonetico e ideografico dei geroglifici egiziani. 1823 19 gennaio: Torino, Regio: Mercadante, Didone abbandonata. 3 febbraio: Venezia, Fenice: Rossini, Semiramide. 6 febbraio: Milano, Scala: Pacini, La vestale. Luglio: Vicenza, Eretenio: Feliciano Strepponi, Francesca da Rimini. 28 luglio: Kassel: Ludwig Spohr,Jessonda. 25 ottobre: Vienna: Weber, Euryanthe. Novembre: Stendhal, Vita di Rossini. 1 823-1 825: Stendhal, Racine e Shakespeare.

Politica, società, scienza, scoperte 1821 7 marzo: gli Austriaci, chiamati dal re di Napoli che nel frattempo ha rinnegato la costituzione, sconfiggono gli insorti a Rieti. 14 marzo: Carlo Alberto concede una costituzione, ma sconfessato da Carlo Felice si ritira in Toscana. 23 marzo: insurrezione carbonara ad Alessandria, guidata da Santorre di Santarosa. 26 marzo: insurrezione a Messina. 10 aprile: Vittorio Emanuele I abdica in favore del fratello Carlo Felice e nomina reggente il nipote Carlo Alberto. 5 maggio: muore a S. Elena Napoleone. Viene arrestato Federico Confalonieri; la condanna a morte gli viene commutata in carcere da scontare nella fortezza dello Spielberg. Agustin Iturbide proclama l'indipendenza del Messico dalla Spagna. Il Venezuela entra a far parte della Grande Colombia. In Perù vengono cacciati gli Spagnoli e dichiarata l'indipendenza del paese. A Parma viene compiuto il ponte sul Taro. 1822 Gennaio: al congresso di Epidauro viene proclamata l'indipendenza della Grecia dalla Turchia; inizia la guerra di liberazione. Il figlio del re del Portogallo proclama l'Impero indipendente del Brasile e si proclama imperatore col nome di Pedro I. Dura repressione dei Carbonari a Modena. Ottobre-dicembre: congresso di Verona convocato dalle potenze della Santa Alleanza per valutare la situazione italiana dopo i moti del '21. La Francia viene incaricata di reprimere i moti in Spagna. Parigi, Opéra: prima applicazione della illuminazione a gas in teatro. I primi passi della fotografia: Daguerre realizza il diorama; J. N. Niepce riesce a ottenere le primi immagini stabili. 1823 29 aprile: si conclude a Parma il processo contro i Carbonari. 20 agosto: muore Pio VII; gli succede Leone XII. 25 settembre: si conclude a Parma un secondo processo contro Liberali e Carbonari. In Spagna i moti vengono repressi dall'esercito francese; feroci rappresaglie da parte di Ferdinando VII. 2 dicembre: dottrina di Monroe contro ogni tentativo di intervento nel continente americano. Guatemala, Nicaragua, Honduras, EI Salvador si proclamano indipendenti. Cronologia 1824

Giuseppe Verdi 1824 GV riceve lezioni di musica, sembra, anche dall'organista don Pietro Arquati.

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Risale forse all'inverno di quest'anno l'episodio, raccontato dallo stesso GV, del rischio di annegamento in un canale costeggiante la strada fra le Roncole e Busseto per una caduta provocata dal ghiaccio e dalla scarsa visibilità, e del suo salvataggio da parte di una contadina accorsa alle sue grida d'aiuto. 1825 Inizia a studiare contrappunto e composizione con Ferdinando Provesi, maestro di cappella e organista in S. Bartolomeo nonché maestro di musica della Società Filarmonica. Inizia a comporre musica; risalirebbe a questo periodo una sinfonia, intitolata Capricciosa, che sarà eseguita il 15 agosto 1868 per l'inaugurazione del nuovo teatro di Busseto. 1826 4 agosto: GV sostiene l'esame di "grammatica superiore", dimostrando di non aver fatto "nessun progresso" sebbene fornito "di qualche talento". È "in grado di comporre e di ammaestrare la gioventù"; scrive e fa eseguire marce e rondò per banda. "Dagli anni 13 fino ai diciotto [...] ho scritto una farragine di pezzi: Marcie per banda a centinaia: forse altrettante brevi Sinfonie che servivano per chiesa, pel teatro e per accademie: cinque o sei tra Concerti e Variazioni per pianoforte che io stesso suonava nelle accademie: molte Serenate, Cantate,Arie, moltissimi Duetti, Terzetti e diversi pezzi da chiesa, di cui non ricordo che uno Stabat Mater".

Arte e cultura

Francesco Lucca fonda lo stabilimento musicale che porta il suo nome. 1824 4 febbraio: Roma,Valle: Donizetti, Laio nell'imbarazzo. 8 marzo: Venezia, Fenice: Giacomo Meyerbeer, /1 crociato in Egitto. 19 aprile: muore a Missolungi George Byron. 7 maggio: Vienna: Beethoven, Nona Sinfonia. 4 settembre: nasce ad Ansfelden (Austria)Anton Bruckner. Giuseppe Carpani, Le Rossiniane ossia Lettere musico-teatrali. G. Byron, Don Giovanni, una satira epica. Eugène Delacroix, Massacro di Scio, dipinto. 1825 12 gennaio: Napoli, Conservatorio: Bellini. Adelson e Salvini. 7 maggio: muore a Vienna Antonio Salieri. 19 giugno: Parigi, T. Italiano: Rossini, Il viaggio a Reims, cantata scenica. 31 ottobre: Milano, Canobbiana: Vaccai, Giulietta e Romeo. 19 novembre: Napoli, S. Carlo: Pacini, L'ultimo giorno di Pompei. 29 novembre: per la prima volta a New York si tiene una stagione d'opera. 10 dicembre: Parigi, Opéra-Comique:Adrien Boieldieu, La dama bianca. Aleksandr Pushkin, Boris Godunov, dramma storico. L'editore Ricordi acquista i fondi dell'archivio della Scala e pubblica il suo terzo catalogo. 1826 21 febbraio: Venezia, Fenice: Mercadante, Donna C'aritea. 26 marzo: Parigi, Opéra: Rossini,Mosè (nuova versione). 12 aprile: Londra: Weber, Oberon. 30 maggio: Napoli, S. Carlo: Bellini, Bianca e Gernando. 5 giugno: muore a Londra Carl Maria von Weber. 16 agosto: Milano, Scala: Giovanni Galzerani, Il corsaro, azione mimica. 9 ottobre: Parigi, Opéra: Rossini, L'assedio di Corinto. Mendelssohn, Sogno di una notte di mezza estate, musiche di scena. Schubert, Die Winterreise, ciclo di Lieder. Tommaso Grossi: I Lombardi alla prima crociata, poema. Walter Scott, Woodstock, romanzo.

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Politica, società, scienza, scoperte

H. Ch. Oersted isola l'alluminio. 1824 16 settembre: muore a Parigi Luigi XVIII; sale al trono Carlo X di Borbone, che restaura il potere assoluto della monarchia: leggi contro la libertà di stampa, ritorno dei Gesuiti, scioglimento della Guardia nazionale. Pietro Giordani viene condannato all'esilio. In Gran Bretagna viene concesso ai lavoratori il diritto di associazione e di sciopero. In America Latina l'ondata rivoluzionaria sfocia nell'indipendenza del Perù. 1825 In Gran Bretagna vengono legalizzate le Trade Unions. 8 maggio: Santorre di Santarosa muore in difesa di Sfacteria, in Grecia, nella guerra contro i Turchi. In America Latina viene dichiarata l'indipendenza della Bolivia. 1° dicembre: muore lo zar Alessandro I; le società segrete danno vita alla rivolta militare "decabrista", che viene duramente repressa dal nuovo zar Nicola I. I francesi Chevreul e Gay-Lussac inventano la candela stearica. In Inghilterra viene inaugurata la prima linea ferroviaria per il trasporto di passeggeri. 1826 Congresso di Panama: fallisce il progetto di Bolivar per un'unione federativa sudamericana. Joseph N. Niepce ottiene la prima immagine fotografica. Fourneyron realizza la turbina idraulica. Cronologia 1827

Giuseppe Verdi 1827 Carlo Verdi si aggiudica per asta l'affitto, per nove anni, del podere vescovile di Madonna dei Prati. 1828 GV scrive una sinfonia per la rappresentazione a Busseto del Barbiere di Siviglia di Rossini, e una cantata per baritono e orchestra su versi di Alfieri, intitolata I deliri di Saul. 14 settembre: durante un violento temporale scoppiato nel corso di una cerimonia religiosa nel santuario di Madonna Prati - alla quale GV, che "doveva cantare nei vespri", giunge in ritardo - un fulmine cade nell'abside "nel centro del coro sulla testa d'una madonna" uccidendo quattro preti e due secolari. GV "ebbe una scossa nervosa da quel orribile spettacolo e rimase malato per più d'un mese".Tra i preti fulminati era don Giacomo Masini (vedi 1820). 1829 24 ottobre: GV concorre al posto di organista a Soragna; ma la sua domanda non viene accolta. Diventa assistente di Provesi. Compone brani di musica sacra e pezzi per banda. 1830 19 febbraio: grande accademia in casa Barezzi delle due Società Musicale e Poetica; Provesi vi presenta composizioni di "quel genio, che in oggi risorge, e che diverrà il più bell'ornamento di questa Patria".

Arte e cultura 1827 8 marzo: Milano, Scala: Pacini, Gli Arabi nelle Gallie. 27 marzo: muore a Vienna Ludwig van Beethoven. 10 settembre: muore in Inghilterra Ugo Foscolo. 27 ottobre: Milano, Scala: Bellini, II pirata. 21 novembre: Napoli, Nuovo: Donizetti, Le convenienze teatrali. Andrea Maffei inizia con La sposa di Messina la traduzione delle tragedie di Schiller

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Alessandro Manzoni:/ promessi sposi (prima edizione). Victor Hugo, Cromwell, tragedia. G. Leopardi, Operette morali. Heinrich Heine, Libro dei canti. Louis-AdolphcThiers, Storia della rivoluzione francese. 1828 1° gennaio: Napoli, S. Carlo: Donizetti: L'esule di Roma. 28 febbraio: Parigi, Opéra:Auber, La muta di Portici. 6 marzo: Paganini inizia da Vienna la tournée che lo rivelerà ai pubblici di tutta Europa. 20 marzo: nasce a Skien, in Norvegia, Henrik Ibsen. 29 marzo: Lipsia: Heinrich A. Marschner, Der Vampyr. 7 aprile: Genova, inaugurazione del teatro Carlo Felice; Bellini, Bianca e Fernando. 16 aprile: muore a Bordeaux Francisco Goya. 20 agosto: Parigi, Opéra: Rossini, Il conte Ory. 28 agosto: nasce a Jasnaja Poljana Lev N.Tolstoj. 13 ottobre: muore a Milano Vincenzo Monti. 18 novembre: muore a Verona Ippolito Pindemonte. 19 novembre: muore a Vienna Franz Schubert. Frainois-Joseph Méry, La battaglia di Tolosa, dramma. 1829 14 febbraio: Milano, Scala: Bellini, La straniera. 16 maggio: Parma, inaugurazione del Teatro Regio; Bellini, Zaira. 12 giugno: Berlino: Spontini,Agnese di Hobenstaufen. 3 agosto: Parigi, Opéra: Rossini, Guillaume Tell. 24 ottobre: Parigi, Comédie:Alfred de Vigny, // moro di Venezia, tragedia; id., Lettera a lord ***, manifesto del teatro romantico. 20 novembre: Trieste, Grande: E Strepponi, Gli IllinesL Goethe, Anni di pellegrinaggio di Wilhelm Meister, romanzo. Nasce a Parigi il periodico "Revue des Deux Mondes". 1830 Gennaio: Firenze: G. B. Niccolini, Giovanni da Procida, dramma in versi (composto nel 1817).

Politica, società, scienza, scoperte 1827 5 marzo: muore a Como Alessandro Volta. Giugno: dopo dieci mesi di assedio i Turchi occupano Atene. Luglio: conferenza di Londra; Gran Bretagna, Francia e Russia si impegnano per l'indipendenza della Grecia. 20 ottobre: battaglia di Navarino; la flotta anglo-francorussa sconfigge quella ottomana. G. S. Ohm formula la legge sulla resistenza elettrica. 1828 Giugno: moti nel Cilento e a Salerno, dove viene proclamata la costituzione francese. Pace di Montevideo fra Argentina e Brasile; l'Uruguay diventa indipendente. Scoppia un conflitto tra Russia e Turchia. Ferrante Aporti fonda a Cremona una scuola infantile per la custodia e l'educazione di bambini da due anni e mezzo a sei. 1829 10 febbraio: muore papa Leone XII; gli succede Pio VIII. 14 settembre: pace di Adrianopoli che sancisce la fine del conflitto fra Russia e Turchia; viene confermata l'autonomia della Serbia e viene concessa alla Russia l'annessione della Moldavia e della Valacchia. 1° dicembre: muore Pio VIII; gli succede Gregorio XVI. In Gran Bretagna viene dichiarata la parità di diritti per i cattolici. Il boemo Ressel sperimenta a Trieste la propulsione a elica su una nave a vapore. 1830

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3 febbraio: col Protocollo di Londra viene creato il regno di Grecia. Cronologia 1831

Giuseppe Verdi

Aprile: la Società Filarmonica esegue durante la processione del Venerdì Santo quattro marce di GV. GV inizia a dare lezioni di canto e di piano alla figlia di Antonio Barezzi, Margherita, sua futura sposa. Termina gli studi al ginnasio. "Finiti i miei studi nel ginnasio di Busseto mio padre mi dichiarò che non avrebbe potuto mantenermi nell'Università di Parma, e mi decidessi a lavorare nel mio villaggio natìo. Questo buon vecchio [Antonio Barezzi], saputo questo, mi disse: «Tu sei nato a qualche cosa di meglio, e non sei fatto per vendere il sale e lavorare la terra. Domanda a codesto Monte di Pietà la magra pensione di 25 franchi al mese per quattro anni, ed io farò il resto; andrai al Conservatorio di Milano e, quando lo potrai, mi restituirai il denaro speso per te»". 1831 Febbraio: allo scoppio dei moti insurrezionali GV si offre a far parte della Guardia Nazionale di Busseto, ma viene rifiutato non avendo ancora compiuti i 18 anni (anni più tardi ricorderà che "era a quell'epoca un gran gridare Viva questo e viva quello"). 14 marzo: si trasferisce in casa di Antonio Barezzi e prosegue a dare lezioni di canto e piano alla figlia Margherita. 28 marzo - 3 aprile: fa eseguire in pubblico una sua nuova composizione: Le lamentazioni di Geremia, per voce di baritono, sulla versione italiana del testo biblico di Evasio Leoni. 16 maggio: Carlo Verdi chiede al Monte di Pietà di Busseto un sussidio per il figlio Giuseppe affinché possa "perfezionarsi nell'arte musicale"; la domanda è appoggiata da vari attestati, fra cui quelli di Provesi e del canonico Seletti. 14 dicembre: analoga richiesta Carlo Verdi rivolge alla duchessa Maria Luigia perché interceda presso il Monte di Pietà di Busseto. 1832 13 febbraio: grazie a un contributo diAntonio Barezzi, il Monte di Pietà di Busseto accorda a GV "dilettante di musica" una borsa di studio di 300 lire annue per quattro anni, onde "possa essere mantenuto altrove allo studio dell'arte bella" 20 maggio: gli viene rilasciato un passaporto valido per lo spazio di un anno.

Arte e cultura

28 gennaio: Parigi, Opéra:Auber, Fra Diavolo. 20 febbraio: Milano, Scala: Louis Henry, Macbetto. azione mimica. 25 febbraio: Parigi, Comédie: V. Hugo, Hernani. 14 marzo: Milano, Scala: Pacini, Giovanna d'Arco. 5 dicembre: Parigi: Berlioz, Sinfonia fantastica. 26 dicembre: Milano,T. Carcano: Donizetti,Anna Bolena Stendhal, Il rosso e il nero, romanzo. Niccolò Tommaseo, Dizionario dei sinonimi. Eugène Delacmix, La libertà che guida il popolo, dipinto. Giunio Bazzoni e Giacomo Sormani pubblicano Opere di Shakespeare (comprendenti fra l'altro Re Lear e Macbeth). A Capolago (Canton Ticino) la Tipografia e libreria Elvetica inizia la sua attività, rivolta soprattutto alla diffusione delle idee di Mazzini. 1831 15 gennaio: Roma,T. Apollo: Pacini, Il corsaro. 22 gennaio: Napoli, Nuovo: Pietro Raimondi,R ventaglio. 6 marzo: Milano,T. Carcano: Bellini, La sonnambula. 3 maggio: Parigi, Opéra-Comique: Louis Hérold, Zampa. 11 agosto: Parigi:V. Hugo,Marion de Lorme, tragedia. 5 settembre: nasce a Parigi Victorien Sardou.

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17 settembre: Lucca, Giglio: prima esecuzione italiana del Guglielmo Tell di Rossini, con il tenore Duprez. 11 ottobre: Milano, Scala: Luigi Ricci, Chiara di Rosemberg. 14 novembre: muore a Berlino Georg Wilhelm Friedrich Hegel. 21 novembre: Parigi, Opéra: Meyerbeer, Robert le diable. 26 dicembre: Milano, Scala: Bellini, Norma. V. Hugo, Notre-Dame de Paris, romanzo. Leopardi, Canti. - A. l'ushkin, Evgenij Onegin, poema. 1832 13 gennaio: muore a Trieste Feliciano Strepponi, padre di Giuseppina. 7 febbraio: Torino, Regio: Mercadante, I Normanni a Parigi.

Politica, società, scienza, scoperte

In Francia il governo reazionario di Polignac provoca una profonda crisi. Il 27 luglio scoppia un'insurrezione popolare che dopo le tre "gloriose giornate" costringe Carlo X all'abdicazione e alla fuga in Inghilterra. Il partito dei borghesi proclama Luigi Filippo I, duca di Orléans, re dei Francesi. Sostenuta dalla politica capitalistica di FranQois Guizot, si apre l'età aurea dell'alta borghesia. In politica estera si afferma il principio del non intervento. L'ondata rivoluzionaria si propaga in Belgio, in Polonia e in Italia. Novembre: rivolta di Bruxelles; viene dichiarata l'indipendenza del Belgio. 15 novembre: a Parma Macedonio Melloni tesse l'elogio delle barricate di Parigi. Mazzini viene arrestato dalla polizia del regno di Sardegna e mandato in esilio. In Polonia, Varsavia insorge contro il dominio russo. La Grande Colombia si smembra nelle repubbliche di Colombia, Venezuela ed Ecuador. Viene inaugurata la linea ferroviaria fra Manchester e Liverpool. 1831 2 febbraio: Roma: viene eletto papa Gregorio XVI, assertore dell'infallibilità del papato e promotore di una politica antiliberale. Febbraio: insurrezioni a Bologna (4 febbraio), a Modena, nelle Romagne, in Umbria e nelle Marche; intervento austriaco in Italia. 11 febbraio: rivoluzione a Parma; deposta Maria Luigia, si costituisce un governo provvisorio. - 13 marzo: a Parma viene ristabilita la sovranità di Maria Luigia. 10 marzo: viene istituita la Legione Straniera per garantire l'occupazione francese di Algeri. 27 aprile: muore Carlo Felice; sale al trono del regno di Sardegna Carlo Alberto. 26 maggio: viene giustiziato a Modena Ciro Menotti. Luglio: Mazzini fonda a Marsiglia la "Giovine Italia". 8 agosto: Maria Luigia rientra a Parma. Memorandum delle grandi potenze al papa per l'avvio di riforme nello stato pontificio. Conferenza di Londra: viene riconosciuta l'indipendenza del Belgio. L'esercito russo soffoca la rivolta di Varsavia. Michael Faraday scopre l'induzione elettromagnetica. Vengono prodotti i primi fiammiferi con accensione per strofinio. 1832 Gennaio: gli Austriaci occupano la Romagna. Rivolte liberali nello stato pontificio. 8 agosto: con la convenzione di Nauplia il regno di Grecia viene assegnato a Ottone di Baviera.

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Cronologia 1833

Giuseppe Verdi

Fine maggio: parte per Milano e prende alloggio presso il bussetano prof. Giuseppe Seletti in contrada Santa Marta. 22 giugno: fa domanda per essere ammesso al conservatorio come "allievo a pagamento di pensione". Fine giugno: sostiene l'esame di ammissione davanti a una commissione composta da Francesco Basily, Gaetano Piantanida, Antonio Angeleri e Alessandro Rolla. 2 luglio: nonostante l'esito positivo nella prova di composizione (cimforme il parere di Basily e di Piantanida "applicandosi esso con attenzione, e pazienza alla cognizione del contrappunto, potrà diriggere la propria fantasia che mostra di avere, e quindi riuscire plausibilmente nella composizione"), la domanda del giovane Vedi viene respinta per più ragioni: non aver dimostrato sufficiente abilità al pianoforte (conforme il giudizio di Angeleri "avrebbe bisogno di cambiare la posizione della mano, locché [...] attesa l'età di 18 anni si renderebbe difficile"), essere egli cittadino forestiero, aver superata l'età massima e infine per la ristrettezza del numero dei locali riservati agli allievi. 18 luglio: l'esito negativo viene comunicato a Rolla che suggerisce a GV di prendere lezioni private da Vincenzo Lavigna o da Benedetto Negri. GV sceglie Lavigna. Agosto: inizia a studiare con Lavigna, che gli fa già scrivere una sinfonia. È sempre a pensione da Giuseppe Seletti. Autunno: assiste ad alcune rappresentazioni d'opera alla Scala. 1833 Inverno: prosegue a studiare con Lavigna soprattutto contrappunto ("Canoni e Fughe, e Fughe e Canoni in tutte le salse"), e approfondisce la conoscenza dei grandi compositori del passato (Corelli, Haydn, Mozart, ecc.). Va spesso a teatro; in maggio alla Scala ascolta la Malibran. Intanto al Teatro Filodrammatico di Milano Pietro Massini istituisce un'accademia di musica aperta ai giovani e ai dilettanti. Giugno: GV rientra a Busseto per un periodo di vacanza. 26 luglio: muore Provesi,"parmigiano, maestro di musica, poeta spontaneo, da fortuna obliato", lasciando vacante il posto di direttore della Filarmonica e di organista della collegiata. 11 10 agosto muore la sorella Francesca Giuseppa, cui GV era molto affezionato. Settembre: GV ritorna a Milano per proseguire gli studi con Lavigna e va ad abitare da solo in via S. Pietro all'Orto "la casa a destra dal lato opposto del vicolo che riesce nella galleria De Cristoforis, una bella casa"; consuma i suoi pasti al l.eon d'Oro: una minestra costava 6 soldi di lira milanese, una frittata 6 soldi, un piatto di carne 6 soldi, un dessert 6 soldi, vino e pane 10 soldi; in tutto "non si arrivava a spendere due lire milanesi equivalenti a un franco e sessanta centesimi e si mangiava bene". Settembre: entra in contatto con il maestro Pietro Massini. 11 novembre: Lavigna gli rilascia un attestato in suo favore. Dicembre: da Milano GV fa domanda per concorrere al posto lasciato vacante da Provesi; ma la sua domanda verrà sottaciuta dal parroco di S. Bartolomeo, don Ballarini, che nominerà un tale Giovanni Ferrari di Guastalla. 1834 Durante il periodo di studio con Lavigna GV ha occasione di conoscere il figlio di Mozart, Carlo, impiegato alle finanze del governo lombardo, e gli esegue più volte al piano il capolavoro del padre, il Don Giovanni. 11 aprile: al Teatro Filodrammatici di Milano istruisce e dirige il coro ed è maestro al cembalo per l'esecuzione dell'oratorio di Haydn, La creazione. È forse in questo periodo che fa conoscenza con Andrea Maffei, socio del Filodrammatici. Maggio: l'esecuzione della Creazione viene ripetuta al Casino dei Nobili, questa volta sotto la direzione del giovane GV.

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18 giugno: Giovanni Ferrari viene nominato organista e maestro di cappella della collegiata di Busseto. Giugno: GV rientra a Busseto per le vacanze, e dirige in più occasioni l'orchestra della Società Filarmonica. 28 giugno: ricorre presso il Presidente dell'Interno "per non essere stato dall'opera parrocchiale di Busseto ammes-

Arte e cultura 12 marzo: Parigi, Opera: Filippo Taglioni, La silfide, ballo, con Maria Taglioni. 22 marzo: muore a Weimar Wolfgang Goethe. 12 maggio: Milano, Canobbiana: Donizetti, L'elisir d'amore. 29 maggio: Parigi: I)umas (in collaborazione con E Gaillardet), La torre di Nesle, dramma. 21 settembre: muore a Abbotsford sir Walter Scott. 22 novembre: Parigi:V. Hugo, Le roi s'anzuse, tragedia. Chopin, 3 Nocturnes op. 9. - Mendelssohn, primo quaderno delle Romanze senza parole. Torino, Carignano: Silvio Pellico, Ester d'Engaddi, dramma. S. Pellico, Le mie prigioni. W Goethe, Faust, seconda parte. Felice Le Monnier fonda a Firenze una casa editrice. 1833 2 gennaio: Roma, Valle: Donizetti, Il furioso dell'isola di S. Domingo. 19 gennaio: muore a Parigi Louis Hérold. 2 febbraio: Parigi:V. Hugo, Lucrezia Borgia, tragedia. 14 febbraio: Milano, Scala: Coccia, Caterina di Guisa. 27 febbraio: Parigi, Opera: Auber, Gustave III ou Le bal masqué. 16 marzo: Venezia, Fenice: Bellini, Beatrice di 7énda. 17 marzo: Firenze, Pergola: Donizetti, Parisina. 7 maggio: nasce ad Amburgo Johannes Brahms. 15 maggio: muore l'attore inglese Edmund Kean. 22 luglio: Parigi, Opéra: Cherubini, Ali Baba. 9 settembre: Roma,Valle: Donizetti, Torquato Tasso. 26 dicembre: Milano, Scala: Donizetti, Lucrezia Borgia. Wagner compone la sua prima opera, Le fate. Felix Mendelssohn-Bartholdy, Sinfonia detta L'italiana. M. d'Azeglio, Ettore Heramosca, romanzo. - Balzac, Eugenia Grandet, romanzo. 1834 26 marzo: Parigi: Rossini, Soirées musicales. 31 agosto: nasce a Paderno Fasolaro (Cremona)Amilcare Ponchielli. 29 settembre: Milano, Conservatorio: l'allieva Giuseppina Strepponi canta nel saggio finale. 8 ottobre: muore a Jarcy (Parigi) Adrien Boieldieu. 18 ottobre: Napoli, S. Carlo: Donizetti: Buondelmonte (.uriria Stuarda). 14 novembre: concerto di Paganini a Parma. 28 novembre: Parigi,Teatro Italiano:Vincenzo Gabussi, Emani.

Politica, società, scienza, scoperte In Gran Bretagna il governo di lord Grey vara il"Reform Act" che estende il suffragio ai proprietari di beni immobili. La Polonia viene proclamata provincia russa. Joseph Henry scopre il fenomeno dell'autoinduzione e realizza il primo motore elettrico. 1833 Ottobre: in Spagna, alla morte di Ferdinando VII, il fratello don Carlos avanza pretese al trono. Il parlamento inglese abolisce la schiavitù dei negri in tutti i domini britannici e limita a otto ore il lavoro dei fanciulli nelle fabbriche. Venezia, La Fenice: prima applicazione della illuminazione a gas in un teatro italiano.

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1834 17 febbraio: Maria Luigia sposa in terze nozze il conte di Bombelles. Fallisce in Savoia una spedizione mazziniana, cui aderisce fra gli altri Gerolamo Ramorino. Mazzini scioglie a Berna la "Glovine Italia" e fonda la "Giovane Europa". Dura repressione negli stati italiani dei moti liberali, in difesa dell'assolutismo politico, con arresti e processi. Rivolta operaia a Lione. Gli Anglo-francesi intervengono in Spagna in appoggio alla regina Isabella nella successione al trono; ha inizio la guerra civile promossa dal pretendente don Carlos Cronologia 1835

Giuseppe Verdi so al Concorso per la nomina di Suonatore organista e Maestro di Cappella in luogo del defunto Ferdinando Provesi". 4 agosto: scrive a Lavigna perché si interessi a un libretto promessogli da Tasca. 12 ottobre: partecipa a un'Accademia vocale e strumentale della Società Filarmonica di Busseto facendovi eseguire proprie musiche: una sinfonia "a pien'Orchestra", una Romanza per tenore, un "Tema Originale per Clarinetto", un Recitativo ed Aria per soprano, un Capriccio per pianoforte eseguito da lui stesso, un Recitativo ed Aria per Tenore, e una "Sinfonia finale". 14 novembre: assiste a Parma a un concerto benefico di Paganini, presente la duchessa Maria Luigia (ricorderà anni più tardi: "Era un concerto con orchestra. Dopo le prime battute degli stromenti quando Paganini incominciò a suonare, l'orchestra d'un tratto parve spenta, tanta sonorità si sprigionava da quel violino!"). Ritorna a Milano per riprendere gli studi con Lavigna e per concluderli. 15 dicembre: il governo ducale decide che il posto di maestro di cappella di BuSseto sia messo a concorso. 1835 Aprile: al Filodrammatico di Milano dirige come maestro al cembalo la Cenerentola di Rossini. 19 aprile: giorno di Pasqua, a Busseto la Società Filarmonica suona in piazza e in chiesa, dove esegue un Tantum ergo "scritto di fresco dal bravissimo Verdi", che secondo Demaldè "riunisce in sé la perizia dell'autore, il buon gusto, la novità, l'eleganza, la Filosofia, ed insomma inspira divozione ".All'incirca a questo periodo risale anche la composizione di una marcia funebre, che GV riutilizzerà poi nell'ultimo atto del Nabucco. 25 giugno: Maria Luigia respinge come infondato il ricorso di GV per la mancata ammissione al concorso del posto di organista e maestro di cappella in Busseto; ma fa convocare l'Anzianato di Busseto per deliberare in merito all'assunzione di un maestro di musica "istruttore della gioventù indipendente dall'Organista". 5 luglio: Giuseppe Seletti informa Barezzi:"Lavigna non vuol dirmi totalmente che Verdi non sia negligente, ma mi raccomanda di avvertirti che dopo il ritorno a Milano,Verdi non ha ricevuto che 36 lezioni". 15 luglio: Lavigna rilascia a GV un attestato in cui dichiara aver egli "studiato il Contrappunto sotto la mia direzione ed ha percorso gli studi lodevolmente delle fughe a due, a tre, ed a quattro voci; come pure Canoni, Contrappunto doppio ecc. Credendolo perciò abilitato a disimpegnare la professione al pari di qualunque accreditato Maestro di Cappella". 16 luglio ca.: completati gli studi con Lavigna, GV rientra a Busseto recando con sé un libretto di Antonio Piazza (Rocester) per un'opera che Massini ha promesso di far rappresentare al Teatro Filodrammatici di Milano. 28 luglio: a Massini:"Io scrivo l'opera (come tu sai) e quando ritornerò in Milano spero di aver abbozzato tutti i pezzi. Dammi notizie di tutti i Cantanti che avrai sentito nella Accademia che a quest'ora avrai data, onde potermi regolare nella estensione delle voci". 29 agosto: con sovrano rescritto vengono proibite le musiche in tutte le chiese di Busseto.

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11 ottobre: su sollecitazione di Lavigna e di Massini, GV fa istanza alla Fabbriceria della Basilica Collegiata di S. Giovanni in Monza per essere assunto come maestro di cappella. Intanto l'Anzianato di Busseto approva la spesa per l'assunzione di un maestro di musica incaricato di istruire gratuitamente i giovani, limitando lo stipendio a sole 687 lire annue. 28 novembre: Lavigna sollecita la presenza di GV a Milano per concorrere al posto di Monza. Inizio dicembre: appresa la notizia dell'incarico che sta per ottenere a Monza, i filarmonici insorgono perché GV resti a Busseto per assumere in patria il posto di maestro di musica. Lavigna a GV: "Ho letto quanto mi scrivi ed altro non ho potuto intenderne che ti trovi rattristato e assai afflitto. Se ti fossi stato più chiaro spiegato, se più confidente, t'avrei maggiormente capito"; e intanto lo sollecita a rinnovare l'istanza per il posto di Monza, assicurando che prenderà tutto l'impegno per lui. 15 dicembre: GV comunica a Lavigna la rinuncia al posto di Monza:"il partito filarmonico" nel rinfacciargli "i benefizii [...1 ricevuti dalla patria" giunse "ad atterrirmi colle minacce, e perfino ad obbligarmi a restare in Busseto, qualora io fossi visto partire. Se il mio benefattore Barezzi non avesse a soffrire per me l'odio quasi generale del paese, io sarei partito subito". 18 dicembre: Barezzi a Seletti:"abbiamo dovuto cedere a questa furente volontà degli amici, e tanto più si è dovuto farlo, in quanto che si è voluto aprire una volontaria soscrizione per compiere pel Verdi all'annuo stipendio sino a L. 1000. Io ed il Verdi conosciamo il peso del sacrifizio; ma l'onore esigeva che si facesse".

Arte e cultura 26 dicembre: Milano, Scala: Donizetti, Gemma di Vergy. Berlioz, Aroldo in Italia, sinfonia. Schumann fonda la "Neue Zeischrift fair Musik". Torino, Carignano: Carlo Marenco, La famiglia Foscari, dramma. - Alfred De Musset, Lorenzaccio, dramma. - Georg Biichner, Woyzeck, tragedia. Tommaso Grossi,Marco Visconti, romanzo. - Edward G. Bulwer-Lytton, Gli ultimi giorni di Pompei, romanzo. Gogol, Taras Bul'ba, racconto. - A. Pushkin, La donna di picche, racconto. 1834-1842: Poemi di Giorgio Lord Byron recati in italiano da Giuseppe Nicolini. 1835 19 gennaio: la Strepponi esordisce al Grande di Trieste nella Matilde di Shabran. 24 gennaio: Parigi,Teatro Italiano: Bellini, I Puritani. 28 gennaio: Napoli, S. Carlo: Giuseppe Persiani, Ines de Castro. 12 febbraio: Parigi:Alfred de Vigny, Chatterton, tragedia. 14 febbraio: Roma, Valle: Pietro Antonio Coppola, La pazza per amore. 23 febbraio: Parigi, Opera: F. Halévy, L'ebrea. 12 marzo: Parigi, Teatro Italiano: Donizetti, Marin 22 marzo: Madrid: Angel de Saavedra, Don Alvaro o La forza del destino, dramma. 28 aprile: Parigi: V. Hugo,Angelo, dramma. 8 giugno: muore a Milano Gian Domenico Romagnosi. 27 luglio: nasce a Val di Castello Giosuè Carducci. 16 settembre: Johann Moritz e Wilhclm Wieprecht brevettano a Berlino un nuovo strumento, il bass-tuba. 23 settembre: muore a Puteaux (Parigi) Vincenzo Bellini. 26 settembre: Napoli, S. Carlo: Donizetti, Lucia di Lamnzernzoor 25 dicembre: Maria Luigia affida a Paganini il compito di riorganizzare l'orchestra ducale. Antonio Somma, Parisina, dramma. - G. Biichner, La morte di Danton, dramma. Hans Christian Andersen inizia a pubblicare le sue Fiabe. Balzac, Papà Goriot, romanzo. - Edward G. BulwerLytton, Rienzi, l'ultimo dei tribuni romani, romanzo. Lorenzo Bartolini, La fiducia in Dio, scultura.

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Politica, società, scienza, scoperte (guerra carlista). Viene costituita l'unione doganale tedesca (Deutscher Zollverein). In Gran Bretagna si affermano le Trade Unions, organizzazioni sindacali dei lavoratori. Il francese L. Braille inventa l'alfabeto a punti in rilievo per i ciechi. L'americano C. M. McCormick brevetta la mietitrice meccanica. 1835 Settembre: in Francia dopo le repressioni operaie entrano in vigore leggi eccezionali che scatenano tumulti popolari. Alfonso Lamarmora istituisce un corpo di tiratori scelti detti "bersaglieri". I Turchi sbarcano a Tripoli mettendo fine all'indipendenza della Libia. Scoppia un'epidemia di colera in Italia e in Europa; durerà fino al 1836. Samuel Colt inventa la pistola a tamburo. In Germania viene costruita la prima ferrovia. 1835-1837: Daguerre mette a punto la prima tecnica per la riproduzione fotografica. Cronologia 1836

Giuseppe Verdi 1836 6 gennaio: GV suona per la prima volta l'organo a Busseto nella chiesa dei Francescani. "Non si è mai veduta la Chiesa zeppa come jeri e la Collegiata senza fedeli" commenta Demaldè; secondo Cavalli vi fu un tale schiamazzo fuori della chiesa contro i "ferrariani" che fu vietato a GV di suonare l'organo nelle chiese di Busseto sotto pena di vietargli anche i concerti. Secondo il biografo Pougin, in questo periodo i successi di GV come compositore e organista "erano tali che lo si disputava da tutti i lati e che le cittaduzze e i villaggi nei dintorni di Busseto, come Soragna, Monticelli, Castell'Arquato, Lugagnano, ecc. volevano averlo a tutti i costi [...1. La folla accorreva da tutte le parti, l'affluenza era enorme". Gennaio: la Società Filarmonica apre un concorso per l'incarico di maestro di musica e direttore della stessa. 27-28 febbraio: GV sostiene l'esame di concorso a Parma con il maestro Alinovi, riuscendo vincitore. 5 marzo: è nominato maestro di musica di Busseto. Intanto inizia la composizione della sua prima opera, Rocester, confidando di rappresentarla, tramite Massini, al Filodrammatico di Milano. 4 maggio: si unisce in matrimonio con Margherita Barezzi; insieme si recano a Milano in viaggio di nozze. Rientrati a Busseto prendono alloggio a palazzo Tedaldi. Mette in musica l'ode di Manzoni Il cinque maggio. 14 settembre: muore di colera a Milano Vincenzo Lavigna. 16 settembre: GV informa Massini d'aver terminato la composizione dell'opera. 21 settembre: spera di far rappresentare l'opera a Parma e fa chiedere ad Antonio Piazza alcune modifiche di versi al libretto. Novembre: compone un nuovo Tantum ergo per voce e orchestra. 1837 1° gennaio: il suo Tantum ergo viene eseguito nella collegiata di Busseto con accompagnamento d'organo. i O gennaio: invia all'oboista Giacomo Mori delle Variazioni che gli erano state inviate per essere da lui corrette. 22 gennaio: dirige un'accademia della Società Filarmonica; nel programma una sua Sinfonia e un'aria da I deliri di Saul. 26 maggio: nasce la figlia Virginia.

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18 giugno: nella chiesa dei Francescani a Busseto viene eseguita una Messa a tre voci, forse composta da GV. 8 ottobre: nella chiesa arcipretale di Croce S. Spirito, nel comune di Castelvetro, in occasione della sagra del S. Rosario, GV esegue con i filarmonici bussetani una sua Messa, che la "Gazzetta privilegiata di Milano" segnala come "eletta musica, quale cioè a sacra cerimonia conveniva; poiché in essa erano le armonie sì ben accomodate alla signi- ficazione dei sacri concetti, che ti destavano nell'animo i sentimenti più vivi della pietà e della Religione. 12 quale cosa diciamo a tutta lode del Sig. Verdi". Ottobre: alla scopo di far rappresentare il suo Rocester al Teatro Regio di Parma ottiene di incontrare l'impresario Granci; ma questi rifiuta, non volendo arrischiare la stagione con l'opera d'un esordiente. 3 novembre: scrive a Massini perché interceda presso l'impresario della Scala, Bartolomeo Merelli, onde far rappresentare la sua opera in un teatro di Milano. 1838 4 febbraio: dirige un'accademia della Società Filarmonica, presentando una sua nuova Sinfonia e un'aria. 18 febbraio: dirige un'altra accademia della Società Filarmonica, con l'esecuzione di alcune sue composizioni: Recitativo ed aria, Divertimento per tromba e una Sinfonia Finale. 25 febbraio: dirige una terza accademia della Società Filarmonica, con l'esecuzione di musiche sue: un Recitativo ed aria, Introduzione, variazioni e coda per fagotto, un Duetto buffo e un Capriccio per corno.

Arte e cultura 1836 4 febbraio: Venezia, Fenice: Donizetti, Belisario. 29 febbraio: Parigi, Opéra: Meyerbeer, Gli Ugonotti. 1° marzo: Madrid: García Gutiérrez, IZ trovatore. 29 marzo: Magdeburgo:Wagner, Il divieto d'amare. 17 aprile: S. Pietroburgo: Nikolaj Gogol', L'ispettore generale, commedia. 22 maggio: Diisseldorf: Mendelssohn, Paulus, oratorio. 6 giugno: Napoli, Nuovo: Donizetti, Il campanello dello speziale. 17 giugno: Torino, Carignano: C. Marenco, Pia de. Tolomei, dramma. 31 agosto: Parigi: Dumas, Kean, dramma. 23 settembre: muore a Manchester Maria Malibran. 17 ottobre: Parigi: A. Anicet - Bourgeois - E Cornu, Nabuchodonosor, dramma. 9 dicembre: Pietroburgo: Glinka, Ivan Sussanin. Mazzini, Filosofia della musica; id., Della Fatalità considerata com'elemento drammatico. Domenico Guerrazzi, L'assedio di Firenze, romanzo. Cesare Cantù pubblica il primo volume della sua Storia universale. 1837 10 febbraio: muore in duello a S. Pietroburgo Aleksandr Pushkin. 18 febbraio: Venezia, Apollo: Donizetti, Pia de' Tolomei. 11 marzo: Milano, Scala: Mercadante, Il giuramento. 1° aprile: Parigi: ripresa del Guglielmo Tell di Rossini col tenore Duprez (la rivoluzione del Do di petto). 5 maggio: muore a Torre del Greco Nicola Zingarclli. 14 giugno: muore a Napoli Giacomo Leopardi. 2 settembre: Napoli, S. Carlo: Donizetti, Roberto Devereux. 5 dicembre: Parigi, Invalides: Berlioz, Grande Messe des Morts. 22 dicembre: Lipsia: Gustav Albert Lortzing, Zar und Zimmermann. Ch. Dickens, Il circolo Pickwick, romanzo. Gogol', Il cappotto, racconto. Temistocle Solera, I miei primi canti, poesie.

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1838 10 marzo: Venezia, Fenice: Mercadante, Le due illustri rivali. 13 marzo: Trieste, Grande: Federico Ricci, La prigione di Edimburgo. 17 agosto: muore a New York Lorenzo Da Ponte.

Politica, società, scienza, scoperte 1836 19 giugno - 15 settembre: a Parma scoppia un'epidemia di colera. Rivoluzione in Spagna e insurrezione a Lisbona. In Francia Luigi Bonaparte tenta di sollevare la guarnigione di Strasburgo per rovesciare Luigi Filippo. Il Texas si stacca dal Messico e chiede di entrare a far parte degli Stati Uniti. In Sudafrica i Boeri scacciano gli Inglesi dalla colonia del Capo e fondano lo stato libero dell'Orange. Nikolaus von Dreys realizza il primo fucile a retrocarica ("ad ago"). Parigi: costruzione dell'Arco di Trionfo. 1837 20 giugno: muore Guglielmo IV d'Inghilterra; gli succede la nipote Vittoria che regnerà fino al 1901. Il re dell'Hannover sospende la costituzione. Mazzini in esilio a Londra ricostituisce la "Giovine Italia". Samuel E B. Morse realizza il primo telegrafo scrivente. W. E Cooke e Ch. Wheatstone inventano un telegrafo elettromagnetico a cinque aghi. 1838 8 settembre: Ferdinando I d'Austria viene incoronato re del Lombardo-Veneto. Concede l'amnistia ai condannati dello Spielberg. Nasce in Inghilterra il programma dei (:artisti, primo movimento politico operaio. Cronologia 1839

Giuseppe Verdi Maggio: si reca a Milano per pochi giorni. 11 luglio: nasce il figlio Icilio. 12 agosto: muore la figlia Virginia. 8 settembre - 10 ottobre: si reca di nuovo a Milano con la moglie Margherita. Si rivolge a Massini, al conte Borromeo e a un certo ingegner Pasciti per ottenere di rappresentare la sua opera (già Rocester, ora Oberto) in una serata benefica alla Scala organizzata dalla Pia Accademia Filarmonica. Intanto pubblica presso l'editore G. Canti le sue prime composizioni: Sei romanze per canto e pianoforte. 28 ottobre: rientrato da Milano, si dimette dall'incarico di maestro di musica in Busseto. 1839 6 febbraio: lascia Busseto con la famiglia e si stabilisce a Milano, in via S. Simone (Porta Ticinese). Aprile: è presentato alla Strepponi, cui fa ascoltare la sua opera. Il parere positivo di altri cantanti (Moriani,Ronconi e Marini) persuade Merelli a farla rappresentare in una serata benefica. 22 aprile: scrive a Giuseppe Demalde:"Il mio spartito L.] si eseguirà forse al Teatro La Scala con Moriani, Ronconi, la Strepponi e la Kemble". Copia di propria mano tutte le parti della sua opera "per risparmio di spesa". Maggio: a causa della malattia di Moriani la rappresentazione di Oberto viene rimandata; intanto Merelli suggerisce a GV di far apportare alcune modifiche al libretto rivolgendosi a Solera. 4 settembre: GV chiede un prestito al suocero Barezzi: "Lei sa a che siano rivolte le mie mire e le mie speranze: Non certamente la speranza di accumulare ricchezze, ma quella di essere qualche cosa fra gli uomini".

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Settembre: l'editore Canti gli pubblica due romanze: L'esule (su versi di Solera) e La seduzione, e il Notturno "Guarda che bianca luna", per soprano, tenore, basso e flauto obbligato. 27 settembre ca.: il giornale "Il Pirata" annuncia prossima la rappresentazione alla Scala dell'Oberto. 6 ottobre: GV a Massini:"Le faccende della mia Opera vanno tuttora bene. I cantanti sono tutti contenti e le donne hanno le parti: lo spartito resta di mia proprietà [.. Ricordi mi disse di avere il diritto di stampa senza dare nissun compenso. Questo non mi sembra giusto". 22 ottobre: muore il figlio Icilio. 17 novembre: Milano, Scala: prima rappresentazione di Oberto, conte di S. Bonifacio; il successo è molto buono; l'opera viene replicata fino al termine della stagione. Novembre-dicembre: Merelli offre a GV un contratto per tre opere a 4.000 lire austriache ciascuna. La prima di esse dovrà essere Il proscritto, su libretto di Gaetano Rossi (che però a GV non piace), da rappresentarsi nel prossimo autunno. 10 dicembre: l'editore Giovanni Ricordi inizia a pubblicare i pezzi dell'Oberto nella trascrizione per pianoforte a 4 mani. 1840 Gennaio-febbraio: per necessità di cartellone Merelli chiede a GV un'opera buffa su argomento da scegliersi fra "vari libretti di Romani"; il compositore sceglie come il "meno male" il libretto del Finto Stanislao, già musicato dal compositore boemo Gyrowetz per la Scala nel 1818; il titolo viene mutato in Un giorno di regno. Marzo: inizia a comporre Un giorno di regno; ma deve lottare con una salute malferma: mal di gola, dapprima; frequenti dolori gastrici in seguito. 18 giugno: muore la moglie Margherita per encefalite. 22 giugno: GV si reca a Busseto. Luglio: rientra a Milano e termina la composizione di Un giorno di regno. 5 settembre: Milano, Scala: prima rappr. di Un giorno di regno, con esito disastroso. 17 ottobre: Merelli rimette in scena l'Oberto, che rinnova il successo. 9 novembre: GV rispedisce a Busseto tutti i mobili della sua casa di Milano e va ad abitare in una pensione in

Arte e cultura 10 settembre: Parigi, Opéra: Berlioz, Benvenuto Cellini. 27 ottobre: Milano, Scala: Nabucodonosor, ballo, coreografia di Antonio Cortesi. 28 ottobre: nasce a Parigi Georges Bizet. 8 novembre: Parigi: V. Hugo, Ruy Blas, dramma. Carlo Rusconi, Teatro completo di Shakespeare, tradotto dall'originale in prosa italiana. Cesare Cantù, Margherita Pusterla, romanzo. - Charles Dickens, Oliver Twist, romanzo. 1839 2 marzo: Venezia, Fenice: Vaccai, La sposa di Messina. 9 marzo: Milano, Scala: Mercadante, Il bravo. Nasce a Karevo Modest P Musorgskij. 20 aprile: esordio della Strepponi alla Scala con I puritani. 3 maggio: muore a Parigi Ferdinando Paer. 18 maggio: alla Scala la Strepponi ottiene un grande successo nell'Elisir d'amore. 22 giugno: ancora un grande successo della Strepponi alla Scala in Lucia di LammetTnoor. 23 agosto: Padova, Nuovo:Alessandro Nini, La marescialla d'Ancre. 30 ottobre: Torino, Carignano: Giovanni Speranza, I due Figaro. 24 novembre: Berlioz, Romeo e Giulietta, sinfonia drammatica. Chopin, Ventiquattro preludi. Giuseppe Revere, Lorenzino de' Medici, dramma. Balzac, Splendori e miserie delle cortigiane, romanzo, prima parte. - Stendhal, La certosa di Parma, romanzo. Carlo Cattaneo fonda a Milano "Il Politecnico".

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1840 11 febbraio: Parigi, Opéra-Comique: Donizetti, La figlia del reggimento. -Torino, Regio: Nicolai, Il tempia rio. 10 marzo: Napoli, S. Carlo: Mercadante, La vestale. 14 marzo: Madrid: José Zorrilla y Moral, EI Zapatero y el Rey, dramma. 10 aprile: Parigi, Opéra: Donizetti: I martiri. 25 aprile: nasce a Votkinsk Pietro Ciajkovskij. 27 maggio: muore a Nizza Niccolò Paganini. 8 settembre: Lucca, Giglio: Poniatowski, Giovanni da Procida. 29 novembre: Napoli, S. Carlo: Pacini, Saffo. 2 dicembre: Parigi, Opéra: Donizetti, La favorita.

Politica, società, scienza, scoperte Gli Inglesi occupano Aden, in Arabia. Raffaele Piria scopre l'acido salicilico, per uso antireumatico. 1839 Nicola Fabrizi fonda a Malta la "Legione italica" allo scopo di fomentare la rivoluzione nell'Italia meridionale mediante una "guerra per bande". In Spagna si conclude la guerra "Carlista". 3 ottobre: viene inaugurata la prima linea ferroviaria italiana fra Napoli e Portici. Il francese Louis Daguerre mette a punto un procedimento fotografico su lastre di rame (dagherrotipia). L'americano Charles Goodyear mette a punto il processo di vulcanizzazione della gomma. 1840 Fallisce il secondo tentativo dei "bonapartisti" di provocare un'insurrezione in Francia; Luigi Bonaparte viene arrestato. Parigi: traslazione delle ossa di Napoleone sotto la cupola degli Invalidi. Gli Inglesi occupano la Siria e riconoscono l'indipendenza dell'Egitto dalla Turchia. Sale sul trono di Prussia Federico Guglielmo IV. Scoppia la "guerra dell'oppio" fra Cina e Gran Bretagna. Gli Inglesi si insediano in Nuova Zelanda. 6 maggio: cominciano a circolare in Gran Bretagna i primi francobolli, inventati da R. Hill. 18 agosto: viene inaugurata la linea ferroviaria fra Cronologia 1841

Giuseppe Verdi Contrada degli Andegari presso la Scala, non lontano dall'abitazione di Solera. Cerca di ottenere da Merelli lo scioglimento del contratto; l'impresario, che ha fiducia nel giovane maestro, cede alle sue insistenze, tuttavia dichiarandosi pronto a rinnovare il contratto il giorno che si decidesse a "riprendere la penna". 1 1 novembre: Ricordi inizia a pubblicare i pezzi di Un giorno di regno nella riduzione per canto e pianoforte. Dicembre: GV si reca a Genova per l'allestimento dell'Oberto al teatro Carlo Felice. Intanto Merelli gli propone di musicare un libretto di Solera, Nabucco, rifiutato dal compositore austriaco Otto Nicolai, e di cedere a questi Il proscritto. GV accetta contro voglia di leggere il Nabucco; ma poi ne rimane preso. 1841 9 gennaio: assiste alla rappr. di Oberto al Carlo Felice di Genova; scrive a un amico:"non ha destato quel fanatismo che destò a Milano, ad onta che l'esecuzione fosse in complesso buona". 15 gennaio: rientra a Milano.

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Fine gennaio: comincia a musicare, a poco a poco, il Nabucco, e chiede a Solera alcune modifiche al libretto, fra cui la sostituzione di un "duettino amoroso tra Fenena ed Ismaele" con un "una profezia pel Profeta Zaccaria". Ottobre: termina la composizione di Nabucco nella convinzione che venga rappresentato alla Scala nella prossima stagione di carnevale, comprendente tre opere nuove già precedentemente fissate, nonostante che Merelli gli avesse già fatto presente che "il dare una quarta opera di autore quasi esordiente era pericoloso per tutti". Dicembre: viene pubblicato il cartellone della Scala, ma il Nabucco non vi è annunciato; GV, furente, scrive una "leiteraccia" a Merelli; questi gli promette di dare l'opera in periodo di quaresima, ma, per ragioni di economia, con costumi e scene di ripiego. 1842 22 febbraio: la Strepponi si ripresenta alla Scala nel Belisario, ma le sue condizioni vocali sembrano ormai compromesse; Donizetti al cognato Vasselli :"il suo Verdi non la voleva nell'opera sua e l'impresa lo ha obbligato". Iniziano intanto le prove di Nabucco. 9 marzo, Milano, Scala: prima rappr. di Nabucco, esito eccellente; viene replicato il concertato finale. GV inizia a frequentare il salotto della contessa Clara Maffei e quello di Giuseppina Appiani. Abita sempre in Contrada degli Andegari, vicino alla Scala. 7 aprile: Ricordi inizia a pubblicare i pezzi del Nabucco nella riduzione per canto e pianoforte. 6 maggio: GV compone una romanza, Chi i bei dì m'adduce ancora per l'album di Sofia de' Medici. In questo periodo matura la scelta dell'argomento della terza opera contrattata con Merelli per la Scala, da ricavarsi da un episodio del poema I lombardi alla prima crociata di Tommaso Grossi. 21 maggio: alla Fenice che gli chiede un'opera nuova per la prossima stagione di carnevale, risponde d'essere già impegnato con Merelli alla Scala. Luglio: si reca a Busseto. 21 luglio: rientra a Milano. 13 agosto: con nuovi interpreti il Nabucco viene ripreso alla Scala per la stagione d'autunno: se ne fanno 57 recite. Settembre: si reca a Busseto per cinque o sei giorni; va anche a Bologna e vi conosce Rossini:"il quale mi ha accolto assai gentilmente e l'accoglienza è parsa sincera. [...] Quando penso che Rossini è la reputazione mondiale vivente, io mi ammazzerei e con me tutti gli imbecilli. Oh è una gran cosa essere Rossini!" 18 settembre: rientra a Milano e s'inoltra nella composizione dei Lombardi. Dicembre: su richiesta della cantante Almerinda Granchi, impegnata alla Fenice di Venezia nella parte di Fenena in Nabucco, apporta alcune varianti alla melodia della Preghiera.

Arte e cultura 19 dicembre: nasce a Milano Giulio Ricordi. 26 dicembre: Firenze, Pergola: prima esecuzione italia- na del Roberto il diavolo di Meyerbeer. N.Tommaseo, Fede e bellezza, romanzo. Edgar Allan Poe, Racconti del grottesco e dell'arabesco. Giovanni Prati, Edmengarda, poema. Milano, Brera: Hayez, L'ultimo abboccamento di Giacomo Foscari figlio del Doge Francesco colla propria famiglia prima di partire per l'esilio(...1, dipinto. Nicolini traduce il Macbeth di Shakespeare. 1841 11 febbraio: Roma, Apollo: Donizetti, Adelia, protagonista Giuseppina Strepponi. 3 marzo: Milano, Scala: Nicolai, // proscritto. 28 giugno: Parigi, Opéra: Coralli e Perrot, Giselle, ballo, con musica di A.Adam. 4 ottobre: Bologna, Comunale: Livio Morosini, Caterina Howard, azione mimica. 26 dicembre: Milano, Scala: Donizetti, Maria Padilla. Schumann, Prima Sinfonia. M. d'Azeglio, Niccolò de' Lapi, romanzo.

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Ludwig Feuerbach, L'essenza del cristianesimo. 1842 7 gennaio: Parigi: Rossini, Stabat Mater 24 febbraio: nasce a Padova Arrigo Boito. 26 febbraio: Trieste, Grande: Domenico Ronzani, Caterina Howard, ballo. 15 marzo: muore a Parigi Luigi Cherubini. 23 marzo: muore a Parigi Stendhal. 12 maggio: nasce a Montaud Jules Massenet. 19 maggio: Vienna,Teatro di Porta Carinzia: Donizetti, Linda di Chamounix. 20 ottobre: Dresda: Wagner, Rienzi. 9 dicembre: Pietroburgo: Glinka, Russlan e Ljudmila. 10 dicembre: Napoli, S. Carlo: Pacini, La fidanzata corsa. 31 dicembre: Lipsia: Lortzing, Der Wildschatz. Mendelssohn, Sinfonia detta La Scozzese. Otto Nicolai fonda a Vienna la Società Filarmonica. Maffei pubblica la traduzione italiana del Don Carlos di Schiller. A. Manzoni, I promessi sposi (edizione definitiva). Michele Amari, La guerra del Vespro siciliano, romanzo storico. - Gogol', Le anime morte, romanzo. - Eugène Sue, / misteri di Parigi, romanzo. Lord Byron, Opere complete, tradotte in prosa italiana da Carlo Rusconi.

Politica, società, scienza, scoperte Milano e Monza. L'Austria stipula con il Regno di Sardegna e altri stati italiani (meno il Regno delle Due Sicilie) una convenzione per la protezione del diritto d'autore. Jean Joseph Louis Blanc, L'organizzazione del lavoro. Pierre-Joseph Proudhon, Che cos'è la proprietà?. 1841 "Convenzione degli stretti" fra Russia e Inghilterra: il Bosforo e i Dardanelli sono dichiarati chiusi alle navi da guerra, a eccezione di quelle turche. Luigi De Cristoforis inventa un motore a nafta. Werner von Siemehs inventa un sistema per applicare la galvanoplastica alla copertura di oggetti in metallo. 1842 29 agosto: "Trattato di Nanchino": si conclude la "guerra dell'oppio"; la Cina cede alla Gran Bretagna la base di Hong-Kong. Primo tentativo di sciopero generale in Inghilterra. Il medico americano C. Long introduce negli interventi chirurgici l'anestesia per mezzo di etere. Cesare Correnti, Teoria della statistica. Cronologia 1843

Giuseppe Verdi 1843 Gennaio ca.: va ad abitare in un appartamento al n.601 di corso Francesco (l'attuale corso Vittorio Emanuele), dietro il Duomo. L'arcivescovo di Milano, Gaisruck, interviene presso il barone Torresani, capo della polizia, per far vietare i Lombardi; Torresani propone alcune modifiche che incontrano il deciso rifiuto del compositore. 11 febbraio: Milano, Scala: prima rappr. di I Lombardi alla prima crociata; esito molto buono. L'opera viene dall'autore dedicata alla duchessa di Parma. 20 marzo: GV si reca a Vienna, dove arriva il 4 aprile, per dirigere tre recite di Nabucco. La Fenice di Venezia gli avanza la proposta per un'opera nuova da darsi nel carnevale 1843-44. 9 aprile: accetta di massima la proposta della Fenice e fa alcune osservazioni sul contratto ("in ciò che riguarda all'istromentazione, io sono solito farla incominciate le prove a cembalo").

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1 1 aprile: rientra a Milano. Il 14 riparte per Parma, dove si rappresenta Nabucco con la Strepponi. Il 20 si reca a Bologna per alcuni giorni. Il 14 maggio a Parma s'incontra nuovamente con Rossini, in viaggio per Parigi. Il 18 si reca per alcuni giorni a Busseto a visitare la madre. Il 23 rientra a Milano. 25 maggio: al contratto con la Fenice fa inserire la clausola con la quale si riserva di scegliere gli "artisti che dovranno eseguire l'opera" dall'elenco della compagnia scritturata. 6 giugno: propone alla Fenice, come argomento della nuova opera, o il Re Lear o il Corsaro oppure La fidanzata d'Abido. 9 giugno: il segretario della Fenice, Guglielmo Brenna, gli suggerisce, come librettista, Francesco Maria Piave, che gli propone un libretto intitolato Crómvello, da un racconto di Walter Scott, Hallan Cameron. 29 giugno: GV contropropone nuovi argomenti: Caterina Howard, Cola di Rienzi, La caduta dei Longobardi. Il 4 luglio aggiunge alla lista I due Foscari, inviandone il programma, e accantona gli argomenti precedentemente segnalati. 10 luglio: si reca a Senigallia per dirigervi I Lombardi. 26 luglio: non essendo stati approvati dalla Fenice i soggetti dei Foscari e della Caterina Howard, accetta di prendere in considerazione il Cromvello di Piave purché questi sia "buon poeta conoscente dell'effetto teatrale, e delle forme musicali". 1° agosto: rientra a Milano. 8 agosto: a Piave in merito al Cromvello:"ln quanto alla durata dei pezzi la brevità non è mai un difetto. I metri poi come lei vuole. Io poi non metto mai ceppi al genio dei poeti ". 2 settembre: insoddisfatto dell'argomento di Cromvello il presidente della Fenice, Mocenigo, suggerisce a GV di musicare o Hernani o La torre di Nesle. 5 settembre: GV a Mocenigo:"Oh se si potesse fare l'Hernani sarebbe una gran bella cosa! [...1 non vi sarebbe che di ridurre e stringere; l'azione è fatta: e l'interesse è immenso". 17 settembre: Piave si rassegna a scrivere Emani; intanto Brenna fa presente a GV che Mocenigo "esige per condizione espressa" che sia scritta una parte importante per il contralto Carolina Vietti". 20 settembre: Brenna inoltra a GV il programma di Emani così come concertato fra Mocenigo e Piave onde parare possibili interventi della censura. Settembre - ottobre: GV s'impegna con Merelli per un'opera alla Scala (sarà Giovanna d'Arco). 2 ottobre: a Piave, raccomandando brevità:"Per l'amor di Dio non finisca col Rondò ma faccia il terzetto: e questo terzetto anzi deve essere il miglior pezzo dell'opera". Inizia a comporre l'Emani. 8 ottobre: si reca al Teatro Comunale di Bologna per assistere al Nabucco; s'incontra con Rossini. 10 ottobre: da Cassano d'Adda, ospite dei conti della Somaglia, propone alla Fenice di affidare al tenore la parte di Emani e al contralto quella di Carlo. Ma Brenna (26 ottobre) insiste a favore della Vietti per la parte di Emani. 27 ottobre: la "selva" di Emani (al momento intitolato Don Gomez da Silva) viene approvata sub conditione dall'autorità politica veneziana.

Arte e cultura Hayez lavora a un grande dipinto storico: La sete patita dai primi Crociati sotto Gerusalemme. Nasce la "Gazzetta musicale di Milano", edita da Ricordi. 1843 3 gennaio: Parigi,T. Italiano: Donizetti, Don Pasquale. 17 gennaio: Madrid: Garda Gutiérrez, Sinu5n Boccanegra. 2 febbraio: Torino, Regio: Mercadante, Il Reggente. 22 febbraio: Venezia, Fenice: G.B. Ferrari, Gli ultimi giorni di Suli. 28 marzo: Napoli, S. Carlo: Vincenzo Battista, Anna La Prie. 5 giugno: Vienna, Porta Carinzia: Donizetti, Maria di Rolian. Estate: Milano, T Re: Gustavo Modena forma una propria compagnia composta di giovani attori (fra cui Tommaso Salvini). 13 novembre: Parigi, Opéra: Donizetti, Don Sebastiano.

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27 novembre: Londra, Drury Lane: Michael William Balfe, The bohemian Girl. 28 novembre: Palermo, Carolino: Pacini, Medea. 26 dicembre: Genova, Carlo Felice: Mazzucato,Hernani. R. Schumann, Il paradiso e la Peri, oratorio profano. Parigi: Berlioz pubblica il suo Grande trattato di strumentazione e d'orchestrazione moderne. G. B. Niccolini, Arnaldo da Brescia, dramma in versi. Andrea Maffei inizia la pubblicazione del Teatro completo di Schiller in traduzione italiana. Giulio Carcano pubblica in traduzione italiana il Re Lear, primo volume del Teatro completo di Shakespeare. Andrea Maffei, Roberto, romanzo. Giovanni Prati, Canti e Ballate, poesie. Carlo Bini, Scritti editi e postumi, a cura di G. Mazzini. Giovanni Dupré, Caino, statua. Vincenzo Gioberti, Del primato morale e civile degli italiani. Saren Kierkegaard, Aut-Aut. L'editore Pomba di Torino pubblica la traduzione italiana della monografia di Felix Papencordt Cola di Rienzo e il suo secolo.

Politica, società, scienza, scoperte 1843 15 agosto: insurrezione mazziniana a Bologna. Viene iniziata in Inghilterra la produzione del perfosfato come fertilizzante. Cronologia 1844

Giuseppe Verdi 28 ottobre: Emanuele Muzio ottiene dal comune di Busseto una pensione per perfezionarsi nella musica a Milano. 7 novembre: Mocenigo lascia a GV la facoltà di scelta dei ruoli vocali. 10 novembre: GV assegna al tenore la parte di Emani, al baritono quella di Carlo. 28 novembre: l'editore Ricordi acquista dalla Fenice la proprietà della nuova opera di GV, ora intitolata L'onore castigliano. 1° dicembre: GV parte alla volta di Venezia. Vi arriva il 3, prende alloggio in Casa Bollini al Ponte delle Ostriche e inizia le prove dei Lombardi. 26 dicembre: alla Fenice i Lombardi cadono, a causa soprattutto di un tenore insufficiente. 29 dicembre: stante la cattiva prova del tenore, GV chiede il rinvio di Emani alla venuta di Carlo Guasco in quaresima. 1844 Gennaio: alla ricerca di un tenore per Emani, compie un rapido viaggio a Verona, dove si dà il Nabucco con la Strepponi. Per l'impossibilità di trovare un tenore, l'Emani viene rinviato alla quaresima. Febbraio: è invitato dalla Società dei Nobili di Milano a scrivere una Cantata per il 6° Congresso degli Scienziati. 15 febbraio: iniziano le prove di Emani. 29 febbraio: firma con Lanari un contratto per un'opera da darsi a Roma in autunno. 9 marzo: Venezia, La Fenice: prima rappr. di Emani; esito ottimo. 17 marzo: a Barezzi:"Il pubblico m'ha fatto ogni sorta d'accoglienza e l'altra sera m'hanno accompagnato a casa colla banda". Rientra a Milano. 21 marzo: accetta una proposta di Vincenzo Flaùto per un'opera al S. Carlo di Napoli su libretto di Salvadore Cammarano e fissa le condizioni del contratto riservandosi la facoltà di scelta dei cantanti. Fine marzo: si reca a Busseto. Il 13 aprile rientra a Milano in compagnia di Emanuele Muzio. 15 aprile: Muzio inizia a studiare musica con GV; sarà il suo unico allievo.

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18 aprile: scrivendo a Piave giudica eccellente il programma del Lorenzino de' Medici; ma prevedendo difficoltà da parte della censura, gli ripropone l'argomento dei Due Foscari. Maggio: non trova "musicabile la poesia del cav. Maffei" per la Cantata alla Società dei Nobili; chiede di rivolgersi a Felice Romani. 8 maggio: acquista alle Roncole il podere Plugaro. 9 maggio: il Lorenzino essendo stato rifiutato dalla censura, scrive a Piave di pensare ai Due Foscari. 14 maggio: ricevuto da Piave il libretto dei Due Foscari, gli chiede delle modifiche, e intanto inizia a musicarlo. Firma con Lanari un contratto per un'opera da darsi alla Fenice nel carnevale 1845-46. 17 maggio: Romani accetta di scrivere la poesia della Cantata. 18 maggio: GV ringrazia l)onizetti che si è offerto di dirigere le prove di umani a Vienna. 22 maggio: spedisce la 'selva' dei Foscari a Roma per l'approvazione della censura. 30 maggio: l'Emani va in scena per la prima volta a Vienna diretto da Donizetti. 14 luglio: rinuncia a scrivere la Cantata per l'eccessiva lunghezza del libretto, intitolato Flavio Gioia, inviatogli da Felice Romani. Agosto: si reca a Bergamo dove si dà Emani con la Strepponi; il 20 parte per Busseto. Agosto-settembre: firma il contratto per due opere da darsi al S. Carlo di Napoli nel giugno 1845 e nel giugno 1847. Settembre: Solera smentisce di aver ricavato il libretto della Giovanna d'Arco da Schiller: "è dramma affatto originale italiano". 1 settembre: GV rientra a Milano e porta a compimento la composizione dei Due Foscari. settembre: parte per Roma via mare (Livorno - Civitavecchia) e vi arriva il 3 ottobre.

Arte e cultura 1844 2 gennaio: Dresda,': Imperiale:Wagner, Der fliegende Holliinder. 12 gennaio: Napoli, S. Carlo: Donizetti, Caterina Cornaro. Febbraio-marzo: Milano, T Re: Giacinto Battaglia, La famiglia Foscari, dramma. 6 marzo: nasce a Tichvin Nikolaj A. Rimskij-Korsakov. 9 marzo: Parigi, Opéra: Perrot, Esmeralda, ballo. 28 marzo: Madrid, T. de la Cruz: José Zorilla y Moral, Don Giovanni Tenorio, dramma. 28 aprile: Reggio Emilia: prima rappr. Italiana della Maria di Rohan di Donizetti. 27 maggio: Angelo Mariani esordisce come primo violino direttore a Trento. 1° giugno: Milano, Re: Lauro Rossi, Il borgomastro di Schiedam. 25 luglio: muore a Nancy il drammaturgo RenéCharles de Pixérécourt. Autunno: Milano,T. Re: la ventiduenne attrice Adelaide Ristori recita il prologo della Giovanna d'Arco di Schiller, tradotto da A. Maffei. 5 dicembre: Napoli, Nuovo: Mercadante, Leonora. 8 dicembre: Parigi, Conservatorio: Félicien David, Il deserto, ode-sinfonia. 30 dicembre: Amburgo, Stadttheater, Friedrich von Flotow, Alessandro Stradella. Mendelssohn, Concerto in Mi minore per violino e orchestra. Giuseppe Vollo, La famiglia Foscari, dramma. Alexandre Dumas, I tre moschettieri, romanzo. Milano, Brera: Hayez, Il Doge Francesco Foscari desti- tuito con decreto del Senato Veneto, dipinto. Kierkegaard, Il concetto dell'angoscia. Cesare Balbo, Le speranze d'Italia. C. Cattaneo, Notizie naturali e civili su la Lombardia.

Politica, società, scienza, scoperte 1844 12-20 giugno: tentativo insurrezionale in Calabria dei fratelli Bandiera, che, traditi, vengono fucilati a Rovito (Cosenza).

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23 settembre: insurrezione a Rimini. Rivolta operaia in Slesia. La Francia muove guerra al Marocco. 24 maggio: viene inaugurata, fra Washington e Baltimora, la prima linea telegrafica. Milano: 6° Congresso degli Scienziati. Il dentista americano H. Well impiega il protossido d'azoto come anestetico. Giovanni Cavalli inventa il cannone rigato a retrocarica. Carlo Matteucci, Trattato di elettrofisiologia. Cronologia 1845

Giuseppe Verdi 3 novembre: Roma,Teatro Argentina: prima rappr. di I due Foscari; esito discreto la prima sera; ottimo nelle repliche. 7 novembre: parte da Roma in diligenza per rientrare a Milano. Il 10 assiste a Bologna a una recita dell'Emani. L'l l arriva a Milano e inizia a comporre la Giovanna d'Arco. Dicembre: alla Scala presiede alle prove della ripresa dei Lombardi, opera inaugurale della stagione 1844-45; scrive Muzio: "Egli grida che pare un disperato; batte tanto i piedi che pare suoni l'organo con la pedaliera; suda tanto che gli cadono le goccie sullo spartito". 1845 Gennaio: inizia la strumentazione della Giovanna d'Arco; l'editore Lucca acquista l'opera che scriverà per Venezia. 15 febbraio: Milano, Scala: prima rappr. di Giovanna d'Arco; esito buono. A Piave: "È la migliore delle mie opere senza eccezione e senza dubbio". 23 febbraio: riceve da Cammarano il programma dell'Alzira:"Ne sono contentissimo sotto ogni rapporto. Ho letto la tragedia di Voltaire [...]. Io sono accusato di amare molto il fracasso e di trattare male il canto: non ci badi: metta pure della passione e vedrà che scriverò passabilmente. [...] È inutile che le dica di tenersi breve". 24 febbraio: affida a Piave il libretto dell'opera per Venezia:"Bisogna E...] che tu lasci a me la facoltà di fare quelle accomodature che crederei opportune". 27 febbraio: Muzio informa che il maestro rifiutando un altro contratto a Merelli non intende più scrivere per la Scala e rimetter piede in quel teatro. 12 marzo: s'impegna con Lucca per un'opera da darsi in Italia nel 1848 e propone la pubblicazione di sei Romanze. 13 marzo: parte per Venezia per la messinscena dei Due Foscari al teatro in S. Benedetto. 25 marzo: a Cammarano, dopo aver ricevuto alcuni brani di Alzira: "È inutile che vi raccomandi brevità [...]. L'Impresa mi scrive che fino a Luglio non ha altra donna che la Bishop. Se la Tadolini non canta è inutile parlarne [...]. Perdonatemi un'osservazione: Non vi sembrano troppe tre cavatine di seguito?...". 30 marzo: i Due Foscari vanno in scena al teatro in S. Benedetto. Il 2 aprile è già di ritorno a Milano. Abita un appartamento alla Contrada del Monte. 3-5 aprile: avverte Piave che Maffei gli "farà lo sbozzo dell'Attila". 10 aprile ca.: viene assalito da "un gran male di stomaco" che lo costringe a una momentanea inattività. Il 18 informa Cammarano della propria malattia e chiede di protrarre l'Alzira di un mese. Il 25 spedisce a Napoli i certificati medici attestanti la sua malattia ("anoressia e dispnea"). 28 aprile: si reca sul lago di Como per una breve vacanza insieme a Maffei, Solera,Toccagni e altri amici. 10-12 maggio ca.: l'editore francese Marie Escudier fa visita per la prima volta a GV e tratta con lui la cessione della proprietà delle sue opere per la Francia. Maggio: l'editore Lucca inizia a pubblicargli 6 Romanze per canto e pianoforte. 20 giugno: GV parte per Napoli; l'Alzira è già composta, salvo il finale ("perché non aveva la poesia") e la strumentazione. Il 26 arriva a Napoli; la sera assiste a una recita dei Foscari accolto dall'entusiasmo dal pubblico.

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10 luglio: termina la composizione di Alzira; non gli resta che strumentarla; visita i dintorni di Napoli. 16 luglio: affida a Solera, più esperto di Piave in soggetti "grandiosi", il libretto di Attila. 30 luglio: informa Maffei d'aver finito anche la strumentazione:"Non saprei dare alcun giudizio di questa mia opera perché l'ho fatta, quasi senza accorgermene, e senza nessuna fatica perché se anche cadesse me ne dorrebbe poco ". 2 agosto: iniziate le prove d'orchestra, l'opera risulta piuttosto breve; Muzio informa:"affinché un sì bel lavoro non andasse senza la prefazione l'impresa ha pagato [...] 200 ducati, ed il signor Maestro vi ha fatta la sinfonia". 12 agosto: Napoli, S. Carlo: prima rappr. di Alzira; esito discreto. Alla contessa Appiani:"Sono feroci questi napoletani, ma hanno applaudito. La Bishop mi aveva preparato un partito che avrebbe voluto per forza far cadere questa povera creatura. Con tutto ciò l'opera starà in repertorio". 21 agosto: parte da Napoli. I1 26 arriva a Milano, dove Solera gli consegna il libretto di Attila. Il 3 settembre si reca a Busseto e inizia la composizione di Attila.

Arte e cultura 1845 25 gennaio: Milano, Scala: V. Battista, Rosvina de la Forest. 4 marzo: Venezia, Fenice: Pacini, Lorenzino de' Medici. 6 marzo: Napoli, S. Carlo: Mercadante, Il vascello di Gama. 18 giugno: Firenze, Pergola: Pacini, Buondelmonte. 20 giugno: Milano, Canobbiana: prima esecuzione italiana integrale dell'ode-sinfonia Il deserto di E David. l 2 luglio: Londra, Her Majesty's Th.: Perrot, Pas de quatre, con la Taglioni, la Cerrito, la Grisi e la Grahn. 19 ottobre: Dresda: Wagner, Tannbauser 11 novembre: Parigi, Porte-St-Martin: Dennery, Marie Jeanne ou la Femme de peuple, dramma. 15 novembre: Venezia, Apollo: Francesco Malipiero, Attila. 2 dicembre: muore a Bergamo Simone Mayr. Milano, Conservatorio: Emilio Arrieta, Ildegonda, su libretto di Solera. Mendelssohn, Romanze senza parole. Maffei pubblica la traduzione italiana della trilogia del Wallenstein di Schiller. Arnaldo Fusinato, Il medico condotto, romanzo. Mérimée, Carmen, racconto. - Edgar A. Poe, Il corvo, racconto. L. Feuerbach, L'essenza della religione. Max Stirner, L'Unico e la sua proprietà. Viene inaugurato a Bonn il monumento a Beethoven.

Politica, società, scienza, scoperte 1845 23 settembre: insurrezione liberale a Rimini; viene promulgato il "Manifesto di Rimini", redatto da Luigi Carlo Farini, dichiarazione programmatica con la quale si chiedono profonde riforme liberali nello stato pontificio, e che ha ampia diffusione nelle Romagne e nelle Marche. Il ministro francese Guizot invia Pellegrino Rossi a Roma nel vano tentativo di negoziare con il papa alcune riforme allo stato pontificio. Grave crisi economica in Francia; si rafforza l'opposizione operaia.

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Nel Granducato di Toscana viene installato sulla linea Livorno-Pisa-Firenze il primo impianto telegrafico italiano. Nella Manica viene installato il primo cavo telegrafico sottomarino. M. d'Azeglio, Degli ultimi casi di Romagna. Gino Capponi, Sui moti di Rimini. Cronologia 1846

Giuseppe Verdi Settembre-ottobre: GV acquista in Busseto il palazzo Dordoni-Cavalli. 1 1 ottobre: rientra a Milano, ma subito riparte per Clusone, ospite di Clara Maffei. 16 ottobre: s'impegna con l'editore Lucca per un'opera nuova da rappresentarsi "in un primario teatro d'Italia con compagnia d'alto cartello nel carnevale 1848". Per la prima volta un'opera di Verdi viene eseguita a Parigi: il Nabucco al Teatro Italiano. 28 ottobre: rientrato a Milano riceve la visita dell'impresario Benjmin Lumley col quale firma un contratto per un'opera da darsi a Londra. 30 ottobre: viene colto da forti dolori di origine reumatica che lo obbligano a letto. 5 novembre: ringrazia Jacopo Ferretti, che gli dà notizia del successo di Alzira a Roma, "dei suggerimenti" per migliorare l'opera: "Il male è nelle viscere e, ritoccando, non si farebbe che peggio". Metà novembre: gli perviene dal direttore dell'Opéra, Léon Pillet, la richiesta di rappresentare i Lombardi in francese con alcune aggiunte, fra cui i ballabili. 24 novembre: partito Solera in settembre per la Spagna al seguito della moglie cantante, GV decide di rivolgersi a Piave per le modifiche al libretto di Attila; lo informa che sta lavorando allo schizzo del Re Lear per Londra e gli chie- de un maestro di francese che lo metta in condizione di "leggere, tradurre, e parlare"; intanto è a letto ammalato. 6 dicembre: arriva a Venezia. Scrive una nuova cavatina nella Giovanna d'Arco, opera inaugurale della stagione della Fenice 1845-46, per la Loewe. 25 dicembre: chiede a Solera l'approvazione delle modifiche apportate da Piave al libretto di Attila. 1846 All'inizio dell'anno cade gravemente ammalato (febbre gastrica); si teme addirittura per la sua vita (un giornale tedesco lo dà addirittura per morto). 6 gennaio: l'Emani viene rappresentato per la prima volta a Parigi. 11 gennaio: la Strepponi canta per l'ultima volta in teatro (Nabucco a Modena). 25 gennaio: GV informa l'editore Lucca che per Londra musicherà il Corsaro su libretto di Piave. 1 1 febbraio: chiede a Luccardi il figurino di Attila come appare in uno degli affreschi di Raffaello nelle stanze del Vaticano. Febbraio: supera la grave malattia che lo ha colpito, ma il miglioramento, fra riprese e ricadute, è lento e non definitivo: la prima di Attila viene procrastinata. 24 febbraio: a I.ucca, che gli propone altro argomento per l'opera di Londra:"io faccio o il Corsaro o niente", e gliene invia il 'programma' perché lo trasmetta a Lumley. Marzo: la sua salute migliora; riesce a finire l'opera e a dirigerne le prove. 17 marzo: Venezia, La Fenice: prima rappr. di Attila; esito ottimo. 22 marzo: un certificato medico attesta che GV"fu curato di una febbre gastrica che durò molte settimane e recidivò"; dopo la terza recita di Attila e un banchetto in suo onore, lascia Venezia in compagnia di Maffei e rientra a Milano. 6 aprile: i medici gli prescrivono un lungo periodo di riposo. Il 10 invia certificati medici a Londra per rinviare di un anno l'opera che deve scrivere per quel teatro. 17 maggio: si accorda con Lanari "sul genere fantastico dell'opera che deve scrivere per Firenze". 16 giugno: fa da testimonio, insieme a Carcano, all'atto di separazione fra Andrea e Clara Maffei, redatto dal notaio Tommaso Grossi.

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Dopo il 17 giugno ca.: con Andrea Maffei si reca per alcuni giorni a Venezia; il 24 rientra a Milano. 3 luglio: si reca a Recoaro con Maffei per un periodo di cura; il 27 rientra a Milano. 13 agosto: Muzio informa che GV ha in mente tre soggetti, l'Avola di Grillparzer, i Masnadieri di Schiller e Macbetb: "se avrà Fraschini farà l'Avola", altrimenti farà Macbeth dove non necessita un tenore di forza. Agosto: Maffei accetta di scrivere per lui il libretto dei Masnadieri.

Arte e cultura 1846 1° febbraio: Donizetti viene internato nella casa di cura di Ivry. 7 febbraio: Torino, Regio: Pacini, La regina di Cipro. 3 marzo: Milano, Scala:Augusto Huss, Gustavo III re di Svezia, ballo. - London, Her Majesty's Th.: Perrot, Catarina o La figlia del bandito, ballo. 21 marzo: Adolphe Sax brevetta una nuova famiglia di strumenti da lui inventati, quella dei sassofoni. 1 ° aprile: Parigi, Opéra: Mazilier, Paquita, ballo. 31 maggio: Vienna, Th. an der Wien: Lortzing, Der Waffenschmied. 11 giugno: London, Her Majesty's Th.: Perrot, Lana Rookh o La rosa di Lahore, ballo. 27 giugno: Parma, Regio: Gualtiero Sanciti, Luisa Strozzi. Luglio: Napoli, Fondo: Salvatore Pappalardo, Il corsaro. 26 agosto: Birmingham: Mendelssohn, Elijah, oratorio. 12 settembre: si inaugura a Verona il teatro Nuovo con l'Attila di Verdi. 10 novembre: Napoli, S. Carlo: Mercadante, Orazi e Curiazi. 12 novembre: Parigi:Théophile Gautier (in collaborazione con N. Parfait e con musiche di M. Pilate), La Juive de C'onstantine, dramma. Dicembre: Parigi, Opéra-Comique: Berlioz, La dannazione di Faust. Firenze, Pergola: Antonio Cortesi, I vespri siciliani, ballo. Michele Costa viene nominato direttore stabile della Philharmonic Society di Londra.

Politica, società, scienza, scoperte 1846 14 maggio: muore a Parma Vincenzio Mistrali. 1° giugno: Roma: muore Gregorio XVI. 16 giugno: elezione di Pio IX. Giugno: manifestazioni a Parma in favore di Pio IX e dimostrazioni contro il vescovo Neuschel. 16 luglio: Pio IX concede l'amnistia dei prigionieri politici negli Stati della Chiesa. Grave crisi agricola in Europa, accompagnata dalla distruzione dell'intero raccolto di patate. Scoppia in Irlanda una gravissima carestia, che provoca un forte movimento migratorio verso gli Stati Uniti e pone le condizioni per ripetute rivolte. In Gran Bretagna, in seguito alle agitazioni popolari, il primo ministro Peel abolisce la legge sui dazi sul grano e avvia una politica economica basata sul libero scambio. In Irlanda nasce il movimento indipendentistico "la giovane Irlanda" che organizza azioni terroristiche in polemica con la lega nazionalista di O' Connell. Insurrezioni popolari a Cracovia e in Galizia, dove i contadini massacrano i proprietari terrieri. L'Austria si annette la repubblica di Cracovia. Scoppia la guerra fra Stati Uniti e Messico per i confini del Texas. Trattato dell'Oregon: Stati Uniti e Gran Bretagna fissano i confini tra Canada e Stati Uniti sul 49° parallelo.

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Cronologia 1847

Giuseppe Verdi 19 agosto: GV sollecita Lanari per la scrittura del baritono Varesi,"il solo artista attuale in Italia che possa fare la parte che medito". 22 agosto: a Piave:"Forse, forse, (ma silenzio!) faremo il Macbet. [...] L'impresa è gigantesca E...). Per Dio che sogetto colossale!... Quante novità!... Quanta poesial..." 27 agosto: rifiuta di restituire a Piave il libretto del Corsaro, di cui, quasi senza accorgersene, ha sbozzato "alcune delle cose" più simpatiche: "il Duetto della prigione ed il terzetto ultimo". 31 agosto ca.: a Cammarano, informandolo d'aver accettato il rinvio della seconda opera per Napoli all'autunno 1847: "In quanto agli argomenti ne ho in vista diversi, per cui la vostra censura troverebbe da dire, nonostante uno sarebbe passabile:Amore e Raggiro di Schiller. È un magnifico dramma di grand'effetto in teatro e di passione". 4 settembre: invia uno schizzo del Macbeth a Piave, che lo raggiunge a Milano alla fine del mese. Ottobre: inizia la composizione di Macbeth. 5 o 6 ottobre: scrive alla Strepponi in procinto di trasferirsi a Parigi per aprirvi una scuola di canto ("Questa lettera la metteranno sul mio cuore quando mi seppelliranno"). Ottobre: la Strepponi prende alloggio a Parigi in un appartamento in rue de la Victoire n. 13, nelle vicinanze dell'Opéra. 23 ottobre: Maffei termina il libretto dei Masnadieri. Novembre ca.: su richiesta del tenore Mario de Candia, GV scrive una nuova cabaletta per la prima rappr. dei Due Foscari al Teatro Italiano di Parigi (17 dicembre 1846). 2 dicembre: avverte l'editore Lucca del rinvio dell'opera per Londra al giugno 1847 e accetta la proposta di Flaùto (li differire la seconda opera per Napoli all'ottobre 1848. 4 dicembre: informa Lumley di essere insoddisfatto del libretto del Corsaro e d'aver pertanto risolto "di far fare un altro libretto nei I masnadieri di Schiller", soggetto che ritiene di maggior effetto e più adatto alla compagnia, e del quale ha già "musicato quasi la metà". Fine dicembre: termina la composizione dei primi due atti di Macbeth. 29 dicembre: vende lo spartito del Macbeth a Ricordi ponendo come condizione che non se ne permetta la rappresentazione alla Scala, teatro "dove non si sa o non si vuole montare come si conviene le opere, specialmente le mie". 1847 2 gennaio: invia alla cantante Barbieri Nini la parte di Lady Macbeth nel P atto:"Il soggetto è preso da una delle più grandi tragedie che vanti il teatro ed io ho cercato di farne estrarre tutte le posizioni con fedeltà, di farlo verseggiare bene e di farne un tessuto nuovo e di fare della musica attaccata, il più che poteva, alla parola ed alla posizione; ed io desidero che questa mia idea la comprendano bene gli artisti, in somma desidero che gli artisti servano meglio il poeta che il maestro". 5 gennaio: Giuseppina Strepponi chiede notizie di GV a Giovannina Lucca. 7 gennaio: GV al baritono Felice Varesi:"or eccoti un Duettino, un Duetto grande ed un finale.- Io non cesserò mai di raccomandarti di studiare bene la posizione, e le parole; la musica viene da se. Insomma ho più piacere che servi meglio il poeta del maestro". 21 gennaio: rimproverando Piave d'aver trascurato gli ultimi due atti del Macbeth, lo informa d'essersi rivolto a Maffei per accomodarli con versi musicabili. 28 gennaio: spedisce a Ricordi la prefazione al libretto di Macbeth. 31 gennaio: spedisce altri pezzi alla Barbieri Nini osservando:"questo è un dramma che non ha nulla in comune cogli altri, e tutti dobbiamo fare ogni sforzo per renderlo nel modo più originale possibile. Io credo poi che sia ormai tempo di abbandonare le formule solite, ed i soliti modi". 1° febbraio: termina la composizione di Macbeth e inizia a strumentarlo. 18 febbraio: arriva a Firenze in compagnia di Muzio e alloggia alla Pensione Svizzera. 20-24 febbraio: conosce Giuseppe Giusti (cui si presenta con una commendatizia di Alessandro Manzoni), il drammaturgo Nicolini, lo scultore Bartolini, lo scrittore e politico Gino Capponi,

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visita lo studio dello scultore senese Giovanni Dupré (che gli ritrae la mano), e rivede Luciano Manara, che aveva conosciuto nel 1844 a Venezia.

Arte e cultura

B. Bermani, Schizzi sulla vita e sulle opere del Maestro Giuseppe Verdi (estratto dalla "Gazzetta musicale di Milano"). Antonio Tosoroni, Metodo per il corno a 3 pistoni. Giuseppe Pelitti realizza un tipo di tuba contrabbassa detta pelittone. Torino, Carignano: Francesco Dall'Ongaro, Il fornaretto di Venezia, dramma. - Tommaso Gherardi Del Testa, Con gli uomini non si scherza, commedia. Maffei pubblica la traduzione italiana dei Masnadieri di Schiller. A. Dumas, Il conte di Montecristo, romanzo. - Emily Bronté, Cime tempestose, romanzo. Aleardo Aleardi, Lettere a Maria, poesie. Vincenzo Vela, La preghiera del mattino, scultura. Giuseppe Mazzini, Scritti d'un italiano vivente. Esce l'ultimo dei 36 volumi della Storia universale di Cesare Cantù. 1847 23 gennaio:Antonio Ghislanzoni debutta a Lodi come cantante. 4 febbraio: Firenze, Pergola: L. Ricci, Il birrajo di Preston. 23 marzo: Milano, Scala: Pasquale Bona, Don Carlo. 28 aprile: Milano, Re:Antonio Cagnoni, Don Bucefalo. 10 giugno: Vienna, Hofoper: Matteo Salvi, Caterina Howard. 11 giugno: Parigi,Th.-Historique:A. Dumas -A. Maquet, Intrigue et amour (da Cabala e amore di Schiller). 22 luglio: Londra, Covent Garden: Giovanni Casati, La rosiera, ballo. 25 settembre: Torino, Carignano: Nini, Il corsaro. 20 ottobre: Parigi, Opéra: Arthur Saint-Léon, La fanciulla di marmo, ballo, musica di C. Pugni. 4 novembre: muore a Lipsia Felix von Mendelssohn. Novembre: Adolphe Sax viene nominato direttore della fanfara dell'Opéra di Parigi. 25 novembre: Vienna, Hofoper: Flotow, Marta. Novembre: Goffredo Mameli compone l'inno Fratelli d'Italia, subito musicato da Michele Novaro.

Politica, società, scienza, scoperte 1847 13 marzo: Pio IX concede una cauta attenuazione della censura. Maggio: in Toscana viene concessa una parziale abolizione della censura. L'esercito austriaco occupa Ferrara. Granducato di Toscana, Piemonte e Stato pontificio firmano i preliminari per una lega doganale. In Francia Louis Blanc cerca di unificare operai e piccola borghesia con il suo programma del "diritto al lavoro" e l'istituzione dei Stabilimenti nazionali gestiti dallo stato per dare lavoro ai disoccupati. In Belgio vittoria elettorale dei liberali. La Francia ottiene il pieno controllo dell'Algeria. L'opposizione liberale ungherese, guidata da Lajos Kossuth, chiede all'Austria riforme radicali. Settembre: la nomina di Bartolomeo Romilli, da parte di Pio IX, a vescovo di Milano in successione a Gaisruck, determina manifestazioni di giubilo che degenerano in scontri provocati dalla polizia, con morti e feriti; fra gli altri viene arrestato Antonio Ghislanzoni. Ottobre: il duca di Lucca, oberato di debiti, cede il proprio stato al granducato di Toscana. Ne segue una con-

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Cronologia 1848

Giuseppe Verdi 27 febbraio: iniziano le prove di Macbeth. 12 marzo: Antonio Barezzi raggiunge GV a Firenze per assistere alla prima del Macbeth. 14 marzo: Teatro della Pergola: prima rappr. di Macbeth; esito buono nei primi due atti, discreto negli altri due. 19 marzo: Giuseppe Giusti esorta GV ad accompagnare con la sua musica l'anelito di riscatto degli italiani:"La musica è favella intesa da tutti [...1. Il fantastico, è cosa che può provare l'ingegno; il vero prova l'ingegno e l'animo. Vorrei che gl'ingegni italiani [...] s'astenessero dalla vaga venere dei congiungimenti forestieri". 20-21 marzo: GV parte da Firenze, sosta a Bologna e rientra a Milano. 25 marzo: dedica il Macbeth a Barezzi:"Da molto tempo era ne' miei pensieri d'intitolare un'opera a Lei che m'è stato e padre, e benefattore, ed amico. Ora eccole questo Macbeth che io amo a preferenza delle altre mie opere". 27 marzo: risponde a Giusti: "intendo cosa vuoi dire. Oh se avessimo un poeta che ci sapesse ordire un dramma come tu l'intendi! Ma sgraziatamente [...] se vogliamo qualche cosa che almeno faccia effetto bisogna a nostra vergogna ricorrere a cose non nostre". Aprile: comincia a comporre la musica dei Masnadieri. 20 maggio: nel proporre a Ricordi un contratto per un'opera nuova, per la prima volta inserisce una clausola riguardante le percentuali sui noli dei suoi spartiti. 26 maggio: parte con Emanuele Muzio per Londra. 11 1° giugno arriva a Parigi, dove rivede la Strepponi; vi sosta per quattro giorni. I17 arriva a Londra e porta a termine la composizione dei Masnadieri. Conosce Giuseppe Mazzini e Luigi Bonaparte, il futuro Napoleone III. 1 ° luglio ca.: inizia la strumentazione dei Masnadieri. 22 luglio: Londra, I ler Majesty's Theatre: prima rappr. di I masnadieri; esito buono. 27 luglio ca.: parte da Londra per Parigi. 2 agosto: informa Lucca di avere in vista i seguenti argomenti: il Corsaro,l'Avola e la Medea nella vecchia versione di Felice Romani. Agosto: spedisce Muzio a Milano per curare la stampa dei Masnadieri e intanto sottoscrive un contratto con l'Opéra di Parigi per rappresentarvi un'opera su libretto nuovo di Vaéz e Royer, adattandovi la musica dei Lombardi. 22 agosto: informa la Appiani che ha gran desiderio di visitare Donizetti, ma finora ne è stato sconsigliato:"l'apparenza del suo fisico è buona, se non che egli tiene costantemente il capo curvo sul petto e gli occhi chiusi [...] e non dice quasi mai una parola". 16 settembre: inizia le prove di Jérusalem. Va ad abita in Rue neuve St. Georges n. 6. 26 novembre, Parigi, Opéra: prima rappr. di Jérusalem; esito buono. Ricordi dedica lo spartito alla Strepponi. L'editore Lucca pubblica una sua romanza per canto e piano, Il poveretto. 1848 Gennaio: termina la composizione del Corsaro. Barezzi gli fa visita a Parigi. Febbraio: GV firma un contratto per un'opera da darsi all'Opéra di Parigi. 12 febbraio: spedisce a Lucca la partitura del Corsaro. 17 febbraio: Muzio informa che GV tratterà per Napoli l'argomento Cola di Rienzi. 12 marzo: la Fenice avanza a GV la proposta per un'altra opera nuova; ma la proposta abortisce subito a causa dei capovolgimenti determinati dall'insurrezione del Quarantotto. Marzo: Emanuele Muzio partecipa alle "cinque giornate" di Milano. Marzo-aprile: Maffei scrive un Inno popolare su incarico del governo provvisorio e lo invia a GV perché lo musichi. 5 aprile: GV arriva a Milano da Parigi. Prosegue poi per Busseto; vi sosta pochi giorni, quindi ritorna a Milano.

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20 aprile: Cammarano ritiene poco drammatico l'argomento del Rienzi e contropropone o la Congiura dei Fieschi o il Vespro siciliano o la Virginia; alla fine suggerisce la Battaglia di Legnano sulla traccia della Battaglia di Tolosa di Méry.

Arte e cultura

17 dicembre: S. Pietroburgo: Dargomyzshkij, Esmeralda. E Liszt si stabilisce a Weimar. Ricordi pubblica la Missa Papae Marcelli di Palestrina e, in traduzione italiana, il Grande trattato di strumentazione e orchestrazione di Berlioz. Theobald Boehm, Sulla costruzione del flauto e sui recenti miglioramenti allo strumento ("sistema Boehm"). Charlotte Brontéjane Eyre, romanzo. Longfellow, Evangeline, poemetto narrativo. Giovanni Dupré, Abele morente, scultura. Karl Man, La miseria della filosofia. Nasce a Milano "L'Italia musicale", periodico edito dalla casa Lucca. Cavour fonda il giornale "Il Risorgimento". Politica, società, scienza, scoperte troversia di frontiera fra Toscana e ducato di Modena. 3 novembre: viene siglata un'unione doganale fra Piemonte,Toscana e Stato Pontificio. Novembre: in Svizzera guerra del Sonderbund; l'esercito federale sconfigge le truppe dei cantoni cattolici. 17 dicembre: muore a Parma la duchessa Maria Luigia. Le succede sul trono del ducato Carlo II di Borbone. Dicembre: la società milanese è agitata da fermenti rivoluzionari. Campagna di astensione dal fumo, indetta per protestare contro le tasse. In Inghilterra viene introdotta la giornata lavorativa di dieci ore per i giovani. Hoe realizza la prima rotativa per la stampa continua. Ascanio Sobrero ottiene la nitroglicerina. Il medico J.Y. Simpson impiega per la prima volta il cloroformio come anestetico. Justus von Liebig ottiene l'estratto di carne. Viene prodotto per la prima volta in Inghilterra il latte in polvere. Cesare Correnti, L'Austria e la Lombardia, trattato economico e finanziario. 1848 12 febbraio: Milano, Scala: Perrot, Faust, ballo, musica di Panizza. Febbraio: Liszt viene nominato direttore del teatro di corte di Weimar. 28 marzo: Venezia, Fenice: Pacini, Allan Cameron. 8 aprile: muore a Bergamo Gaetano Donizetti. 27 aprile: Rossini viene fatto segno a dimostrazioni ostili da parte di liberali; turbato, fugge a Firenze. 8 maggio: Vienna, Burgtheater: Friedrich Hebbel, Maria Maddalena, tragedia. 13 giugno: Londra, Her Majesty'sTh.: Perrot - Pugni, Le quattro stagioni, ballo. 4 luglio: muore a Parigi Francis-René de Chateaubriand, autore di Atala.

Politica, società, scienza, scoperte

troversia di frontiera fra Toscana e ducato di Modena. 3 novembre: viene siglata un'unione doganale fra Piemonte,Toscana e Stato Pontificio. Novembre: in Svizzera guerra del Sonderbund; l'esercito federale sconfigge le truppe dei cantoni cattolici. 17 dicembre: muore a Parma la duchessa Maria Luigia. Le succede sul trono del ducato Carlo II di Borbone. Dicembre: la società milanese è agitata da fermenti rivoluzionari. Campagna di astensione dal fumo, indetta per protestare contro le tasse. In Inghilterra viene introdotta la giornata lavorativa di dieci ore per i giovani. Hoe realizza la prima rotativa per la stampa continua. Ascanio Sobrero ottiene la nitroglicerina. Il medico J.Y. Simpson impiega per la prima volta il cloroformio come anestetico. Justus von Iiebig ottiene l'estratto di carne. Viene prodotto per la prima volta in Inghilterra il latte in polvere.

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Cesare Correnti, L'Austria e la Lombardia, trattato economico e finanziario. 1848 12 febbraio: Milano, Scala: Perrot, Faust, ballo, musica di Panizza. Febbraio: Liszt viene nominato direttore del teatro di corte di Weimar. 28 marzo: Venezia, Fenice: Pacini, Allan Cameron. 8 aprile: muore a Bergamo Gaetano Donizetti. 27 aprile: Rossini viene fatto segno a dimostrazioni ostili da parte di liberali; turbato, fugge a Firenze. 8 maggio: Vienna, Burgtheater: Friedrich Hebbel, Maria Maddalena, tragedia. 13 giugno: Londra, Her Majesty's Th.: Perrot - Pugni, Le quattro stagioni, ballo. 4luglio: muore a Parigi Francis-René de Chateaubriand, autore di Atala. 1848 12 gennaio: rivolta di Palermo guidata da Rosolino Pilo; la Sicilia chiede la separazione dal Napoletano. - 10 febbraio: Ferdinando II di Napoli è costretto a promulgare una costituzione. 17 febbraio: Leopoldo II diToscana concede uno Statuto. 22 febbraio: scoppia la rivoluzione a Parigi; Luigi Filippo è costretto ad abdicare. Mazzini fonda a Parigi la "Associazione nazionale italiana". Marzo: la rivoluzione dilaga in Europa; insorgono Bruxelles, Budapest e alcuni stati tedeschi (Baden, Assia, Nassau, Wiirttemberg, Brunswick, Turingia). In Ungheria i liberali guidati da Kossuth reclamano l'autogoverno dall'Austria. 5 marzo: Carlo Alberto concede lo Statuto. Cronologia 1848

Giuseppe Verdi 21 aprile: a Piave:"Figurati se io voleva restare a Parigi sentendo una rivoluzione a Milano. [...]. L'ora è suonata, siine pur persuaso, della sua liberazione. [...] Sì, sì, ancora pochi anni forse pochi mesi e l'Italia sarà libera, Una, repubblicana. [...] Bravo mio Piave, bravi tutti Veneziani bandite ogni idea municipale, doniamoci tutti una mano fraterna e l'Italia diventerà ancora la prima nazione del mondo!". 8 maggio: ritorna a Busseto, dove acquista alcuni terreni in S.Agata su cui sorge il casale che diventerà la sua villa, ma nella quale prenderanno intanto alloggio i suoi genitori; cede in permuta il podere di Plugaro e acquista il palazzi) Orlandi, che intende eleggere a sua prossima dimora. Maggio: accetta la richiesta di Mazzini di comporre un inno patriottico. 31 maggio: parte da Milano (vi farà ritorno vent'anni dopo) alla volta di Parigi. 6 giugno: Mazzini a Goffredo Mameli:"mandami un Inno che diventi la Marsigliese italiana; e della quale il popolo, per usare la frase di Verdi, scordi l'autore e il poeta". Luglio: GV va ad abitare a Passy con Giuseppina Strepponi; inizia la composizione della Battaglia di Legnano. 22 luglio: propone a Piave di scrivere un libretto su Ferruccio "personaggio gigantesco, uno dei più grandi martiri della libertà italiana", suggerendogli d'ispirarsi all'Assedio di Firenze di Guerrazzi. 8 agosto: firma - con Aleardi, Carcano e altri - una petizione di Guerrieri-Gonzaga, membro del Governo provvisorio della Lombardia, rivolta al generale Cavaignac e al ministro Bastide affinché la Francia intervenga per impedire il ritorno di Milano sotto la dominazione austriaca. 24 agosto: alla Maffei che vuol sapere l'opinione di Francia sulle cose d'Italia scrive: "chi non è contrario è indifferente: aggiungo di più che l'idea dell'Unità Italiana spaventa questi uomini piccoli, nulli che sono al potere [...1. In una parola: la Francia non vuole l'Italia nazione. [...] del resto anche la Francia è in un abisso di guai". - In conseguenza del disordine arrecato agli affari teatrali dagli avvenimenti politici "rapidi e violenti" e non avendo ricevuto il libretto "a tempo debito", avverte l'impresario Guillaume di considerare "distrutto, annullato" il contratto di Napoli; in pari data Flaùto, subentrato a Guillaume, conferma la validità del contratto spostandone la scadenza al 1849.

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15 settembre: prende tempo per decidere sul contratto per Napoli e intanto sollecita da Cammarano la poesia per l'opera sulla quale s'era impegnato con Ricordi. 24 settembre: a Cammarano che, minacciato dall'impresa del S. Carlo di un processo per rifusione di danni, gli aveva chiesto soccorso: "L'Impresa di Napoli, con mezzi poco legittimi e poco umani, vuol ottenere quanto il solo adempimento a doveri contratti doveva assicurarle. Voi, uomo onesto, padre di famiglia, artista distinto sareste la vittima di tutti questi ignobili intrighi. [...] a riguardo vostro, a solo vostro riguardo, scriverò l'opera per Napoli l'anno venturo, dovessi rubare due ore tutti i giorni al mio riposo, alla mia salute!"; intanto gli chiede alcune modifiche all'ultimo atto della Battaglia di Legnano. Settembre: ricevuta la poesia da Mameli. compone l'inno Suona la tromba, per voci maschili. 6 ottobre: risponde alla Barbieri Nini sull'interpretazione musicale e scenica del Corsaro: "non è opera che esiga grandi elementi ad eccezione dei cantanti principali. [...] fate che l'opera sia divisa in due soli atti. Il primo atto alla fine del finale [secondo] il secondo col terzetto. Guadagnerà in interesse, in brevità, in tutto" (riunendo in uno i primi due atti). 9 ottobre: Cammarano gli invia la poesia del terzo atto della Battaglia di Legnano. 18 ottobre: GV spedisce l'inno a Mazzini: "Possa quest'inno, fra la musica del cannone, essere presto cantato nelle pianure lombarde". 25 ottobre: Trieste,Teatro Grande: prima rappr. di 1Z corsaro, assente l'autore; esito abbastanza buono. 29 ottobre: Cammarano spedisce a GV la poesia dell'ultimo atto della Battaglia di Legnano. 21 novembre: GV a Vincenzo Luccardi:"A Ricordi in forza di vecchio contratto devo uno spartito: una volta scritto sono finiti i miei obblighi. Dietro sua preghiera io accondiscendeva venire a Roma con mio sacrifizio perché i mille franchi che ho chiesto non bastano certamente pel viaggio da Parigi a Roma, e da Roma a Parigi. [...] Perché non mi dici una parola [delle] faccende politiche di Roma?... [...] È vero che sono artista, se non per talento, almeno per passione, ma tu lo sai, abborro da tutto ciò che è mestiere! L'arte è bella ma non converrebbe farla per bisogno!" 23 novembre: a Flaùto:"io sono estremamente franco, deciso, qualche volta irascibile, selvaggio anche se volete, ma giammai né difficile né prezioso [...]. Certo mentirei se vi dicessi che io sono stato contento altra volta di Napoli; ma,

Arte e cultura 2 settembre: muore a Parma Pietro Giordani. 3 novembre: muore a Venezia per le ferite riportate nella sortita di Mestre Alessandro Poerio. 30 novembre: Napoli, S. Carlo: Donizetti, Poliuto (postumo). Carlo Alberto Bosi, Addio, mia bella, addio, canto patriottico. Souvestre - Bourgeois, Stifellius, tradotto in italiano. William M.Thackeray, La fiera delle vanità, romanzo. Henri Murger, Scene della vita di bohème, racconti. Antonio Rosmini, Delle cinque piaghe della Santa Chiesa. Karl Marx e Friedrich Engel pubblicano il Manifesto del partito comunista. John Stuart Mill, Principi di economia politica.

Politica, società, scienza, scoperte 13 marzo: l'insurrezione si estende a Vienna; Metternich è costretto alle dimissioni; l'imperatore Ferdinando concede una costituzione moderatamente liberale. 17 marzo: insorge Venezia. Il 18 insorge Milano (le Cinque Giornate). Nello stesso giorno insorge anche Berlino. Il 20 insorge Parma. 23 marzo: il Piemonte dichiara guerra all'Austria; a Venezia viene proclamata la Repubblica di S. Marco. 22 marzo: a Venezia Daniele Manin e Niccolò Tommaseo instaurano la Repubblica di S. Marco. A Modena, cacciato il duca Francesco V, s'insedia un governo provvisorio. Marzo: in Prussia Federico Guglielmo IV è costretto a concedere alcune leggi liberali. 7 aprile: Mazzini ritorna in Italia.

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29 aprile: Pio IX pronuncia un'allocuzione pacifista e ritira le truppe pontificie. 30 aprile: battaglia di Pastrengo. Maggio: a Milano Cristina di Belgiojoso fonda la "Società per l'Unità d'Italia". 15 maggio: a Napoli colpo di stato di Ferdinando II. 15 maggio: dimostrazione di massa del proletariato parigino promossa da Louis-Auguste Blanqui e dai suoi compagni, con invasione del parlamento. 25 maggio: plebiscito a Parma per l'annessione al regno di Sardegna. 29 maggio: battaglia di Curtatone e Montanara. 30 maggio: battaglia di Goito. 23-26 giugno: a Parigi insurrezione operaia a seguito della chiusura degli Stabilimenti nazionali, seguita da una sanguinosa repressione a opera del ministro della guerra Eugène Cavaignac (oltre 3.000 insorti massacrati, 15.000 deportati senza processo). Giugno: viene represso nel sangue il movimento rivoluzionario a Praga e in Boemia. 23-25 luglio: battaglia di Custoza. 25 agosto: Carlo III rientra a Parma. 28 agosto: armistizio di Salasco. Ottobre: a Vienna, bombardata, viene spietatamente soffocata l'insurrezione. 8 ottobre: a Livorno Giuseppe Montanelli propone una Costituente italiana. 15 novembre: a Roma assassinio del ministro Pellegrino Rossi; il papa fugge a Gaeta. Novembre: Francia: viene promulgata la costituzione della Seconda Repubblica. l 0 dicembre: Luigi Bonaparte trionfa alle elezioni presidenziali. Dicembre: le agitazioni popolari inducono Ferdinando I ad abdicare; gli succede il nipote diciottenne Francesco Giuseppe. La Toscana viene governata da un triumvirato formato da D. Guerrazzi, G. Montanelli e G. Mazzoni. Svizzera: i cantoni si danno una nuova costituzione Cronologia 1849

Giuseppe Verdi credetemi, l'esito non è quello che m'ha disgustato, ma una infinità di pettegolezzi che nulla aveva a che fare con un'Opera [...]. Sono sei anni che scrivo continuamente, che giro da paese in paese e non ho mai detto una parola a giornalista, mai pregato un amico, mai fatto la corte al ricco per aver un esito. Mai, mai [...].Voglio ora persuadervi che se non vengo a Napoli non dipende dalla mia volontà: vorrei potere sinceramente provare ai Napoletani che io pure posso faré qualche cosa che non sia del tutto indegno di questo Teatro". Novembre-dicembre: GV e Giuseppina Strepponi lasciano la residenza di Passy e abitano in rue de la Victoire n. 13. 23 novembre: chiede a Cammarano alcune modifiche al libretto della Battaglia di Legnano; quanto al soggetto dell'opera per Napoli chiede che vi siano "caratteri ben decisi, passione, movimento, molto patetico e soprattutto vi sia il grandioso e lo spettacoloso senza di cui io non credo possibile un successo in un gran teatro", e suggerisce Fieramosca o, in alternativa, L'assedio di Firenze di Guerrazzi o il Ferruccio; sapendo che a Napoli si sta per dare Macbetb, sconsiglia di dare alla Tadolini, la cui voce "ha dell'angelico", una parte come la Lady che ha "del diabolico", e infine dà alcuni suggerimenti per la messinscena delle apparizioni dei re. 20 dicembre: parte per Roma. 1849 7 gennaio: Escudier pubblica una romanza da camera dedicata alla Strepponi, L'abandonnée. 15 gennaio: GV si dichiara formalmente sciolto da ogni impegno con l'Opéra di Parigi non avendo ricevuto il libretto nei termini stabiliti. 16 gennaio: porta a termine la composizione e la strumentazione della Battaglia di Legnano. 18 gennaio: iniziano le prove dell'opera.

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27 gennaio, Roma,Teatro Argentina: prima rappr. di La battaglia di Legnano; esito ottimo. Inizio di febbraio: parte da Roma e rientra subito a Parigi. 14 febbraio: scrive a Cammarano per il libretto dell'Assedio di Firenze. 16 febbraio: assiste in sala Pleyel all'ultimo concerto di Chopin. 24 marzo: espone a Cammarano in una lunga lettera "tutte le pazzie che [gli] saltano in testa" intorno all'Assedio di Firenze, e per la scena del Campo di Orange suggerisce "una scena stupenda" che si trova nel Wallenstein di Schiller: "soldati, vivandiere, zingari, astrologhi, persino un frate che predica alla maniera più comica e deliziosa del mondo". 14 aprile: Cammarano informa che l'Assedio di Firenze trasformato in Maria de' Ricci è stato respinto dalla censura borbonica "per l'inopportunità del soggetto nelle attuali circostanze d'Italia"; prende in considerazione Amore e raggiro di Schiller, a suo tempo proposto da GV. 3 maggio: Cammarano spedisce il programma del libretto di Eloisa Miller facendo presente la necessità di superare tre ostacoli: "primo dover togliere quanto non sarebbe ammissibile dalla censura; secondo innalzare a maggior nobiltà il Dramma, o per lo meno alcuno de' suoi personaggi; terzo stringere il numero di questi personaggi ". 12 maggio: Carlo Verdi va ad abitare con la moglie nel casale di S.Agata. 17 maggio: a Cammarano:"vi confesso che avrei amato due primedonne, e mi sarebbe piaciuta in tutta l'estensione del suo carattere la favorita del principe precisamente come l'ha fatta Schiller. [...] ma infine so che non si può fare quello che si vuole e sta bene anche così. Mi pare peraltro che tutto quell'infernale intrigo tra Valter e Wurm, che domina come il fato tutto il dramma non abbia qui tutto il colore e tutta la forza che vi è in Schiller. Non dimenticate di conservare in tutta la parte di [Wurm] quel certo non so che di comico che servirà a dare maggior risalto alle sue finezze e alle sue scellerataggini". 1 1 giugno: Cammarano approva le opinioni del maestro:"Se non temessi la taccia di utopista, sarei tentato a dire che per ottenere la possibile perfezione di un'opera musicale dovrebbe una mente sola essere autrice dei versi e delle note: da questo concetto emerge chiara la mia opinione che due essendo gli autori, è d'uopo almeno che essi fraternizzino, e che se la Poesia esser non deve serva della Musica, non deve nemmeno esserne tiranna". 14 luglio: giuntagli notizia dell'entrata dei francesi a Roma, GV scrive a Luccardi:"La forza ancora regge il mondo! La giustizia? A che serve contro le bajonette!!". 29 luglio: lascia Parigi con la Strepponi, la quale si reca a Firenze per sistemare il figlio Camillo; GV si dirige alla volta di Busseto.

Arte e cultura 1849 10 febbraio: Parigi, Porte-St-Martin: Souvestre - Bourgeois,Lepasteun ou l'Évangile et le foyer (Stifelliusl. 9 marzo: Berlino, Reale: Otto Nicolai, Le allegre comari di Windsor 12 marzo: muore a Milano lo scenografo Alessandro Sanquirico. 14 aprile: Parigi, Vaudeville: E. Legouvé - E. Scribe, Adriana Lecouvreur, dramma. 16 aprile: Parigi, Opera: Meyerbeer, Le prophète; per la prima volta viene sperimentato l'"arco voltaico" per l'artificio del sole sorgente. Maggio: Wagner partecipa all'insurrezione di Dresda; costretto a fuggire, ripara dapprima a Weimar, quindi in Svizzera. 1° settembre: Milano, Canobbiana: Lauro Rossi, Il domino nero. 25 settembre: muore a Vienna Johann Strauss sr., autore della Marcia di Radetzky. 7 ottobre: muore a Baltimora Edgar Allan Poe. 17 ottobre: muore a Parigi Fryderyk Chopin. 22 novembre: Parigi, Th.-Historique: A. Dumas - A. Maquet, Il conte Hermann, dramma. - Parigi, Variétés: Théodore Barrière, Vita di bohème, commedia (dai racconti di Murger) Wagner, L'opera d'arte dell'avvenire. George Sand, La piccola Fadette, romanzo. Lamartine, Graziella, racconto.

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Gustave Courbet, Gli spaccapietre, dipinto. - Millet, Il seminatore, dipinto. C. Correnti, I dieci giorni della insurrezione di Brescia nel 1849. Nasce a Londra, per iniziativa di Dante Gabriele Rossetti e altri, il movimento "preraffaellita". F'edor Dostoevskij è condannato a morte; la pena gli è commutata in 4 anni di deportazione in Siberia. A Roma viene fondato l'"Osservatore Romano", trisettimanale politico cattolico (dal 1851 diventa quotidiano; dopo il 1870 organo ufficiale della Santa Sede).

Politica, società, scienza, scoperte federale sul modello americano. Si conclude la guerra fra Stati Uniti e Messico: oltre al Texas anche California e Nuovo Messico entrano a far parte della confederazione nordamericana. In California vengono scoperti importanti giacimenti d'oro. Curtis produce il chewing-gum. 1849 9 febbraio: viene proclamata la Repubblica Romana e dichiarato decaduto il potere temporale del papa. Febbraio: il granduca Leopoldo II fugge a Gaeta; si forma un governo provvisorio retto da un triumvirato e viene proclamata la repubblica toscana. 20 marzo: Carlo Alberto denunzia l'armistizio di Salasco; riprendono le ostilità fra Piemonte e Austria. 23 marzo: battaglia di Novara; l'esercito piemontese viene sconfitto dagli austriaci. 23 marzo - 1° aprile: Brescia insorge contro gli Austriaci, che tuttavia prevalgono. 29 marzo: Carlo Alberto abdica al trono; gli succede Vittorio Emanuele II. 29 marzo: a Roma si costituisce un triumvirato formato da Mazzini, Saffi e Armellini, con Garibaldi al comando delle truppe repubblicane. Aprile: l'Ungheria si proclama repubblica indipendente e si difende contro gli eserciti di Austria e di Russia. In Germania viene approvata la costituzione di uno stato federale, ma il re di Prussia rifiuta la corona imperiale offertagli. Aprile: Luigi Napoleone invia una spedizione a Roma al comando del generale Oudinot. 25 aprile: l'esercito francese sbarca a Civitavecchia e inizia l'assedio di Roma. Maggio: insurrezione di Dresda. 22 maggio: fucilazione del comandante Gerolamo Ramorino, ritenuto responsabile della disfatta di Novara. 25 maggio: gli Austriaci entrano in Toscana per restaurare il granduca. 3 giugno: strenua difesa di Garibaldi contro Borbonici e Francesi; muoiono Enrico Dandolo (3 giugno), Luciano Manara (29 giugno), Goffredo Mameli (6 luglio), Emilio Morosini. Il 3 luglio i francesi entrano a Roma; Garibaldi tenta invano di raggiungere Venezia insieme alla moglie Anita, a padre Bassi e a Ciceruacchio; riesce a sfuggire alla cattura e dopo la morte di Anita nelle valli di Comacchio ripara in Toscana. Luglio: con l'aiuto degli Austriaci Leopoldo ritorna a Firenze e instaura un regime autoritario. Cronologia 1850

Giuseppe Verdi 10 agosto: arriva a Busseto prendendo possesso del palazzo Orlandi che elegge a propria dimora in attesa dell'arrivo di Giuseppina. 13 agosto: Cammarano gli spedisce il libretto completo della Miller. Fine agosto: il figlio di Giuseppina, Camillo, viene alloggiato a Firenze presso la famiglia di Livia Zanobini e accolto nello studio dello scultore Bartolini. Agosto-settembre: GV è intento alla composizione di Luisa Miller

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7 settembre: accetta la proposta di Flaùto di scrivere un'altra opera nuova da darsi a S. Carlo dopo la Pasqua del 1850; per l'argomento suggerisce a Cammarano Le Roi s'amuse di Victor Hugo. 8 settembre: Giuseppina Strepponi entra in palazzo Orlandi; si ufficializza così la sua unione con GV. Fine settembre: porta a termine la composizione di Luisa Miller. 3 ottobre: parte con Antonio Barezzi alla volta di Genova. Il 6 da Genova si dirige via terra alla volta Napoli, com- piendo il tratto Pisa-Firenze su strada ferrata.11 13 raggiunge Roma, occupata dai Francesi, e vi sosta alcuni giorni per la quarantena causata dal colera. Il 27 arriva a Napoli e prende alloggio all'I-Rotel de Rome. 1° novembre: nel vedere che l'impresa del S. Carlo, che naviga in cattive acque, tarda a pagargli la prima rata del compenso dovutogli, protesta a Flaùto: "A voi son noti i sagrifizi che ho fatto, ed i danni sofferti; voi conoscete i miei obblighi; voi sapete che io sono venuto a Napoli per aderire alle vostre preghiere, e rendere un piccolo servigio a Cammarano [...J.- I gran successi sono difficili in Napoli, e sopratutto per me ". 3 novembre: a Escudier:"Le cose del nostro paese sono desolanti! L'Italia non è più che una larga e bella prigione! [...] Un paradiso per la vista: un inferno per il cuore! Il governo dei vostri a Roma non è migliore degli altri d'Italia". Novembre: Barezzi visita Napoli e i dintorni insieme a GV; il 14 ritorna a Busseto. 8 dicembre, Napoli, S. Carlo: prima rappr. di Luisa Miller; esito mediocre la prima sera, discreto nel corso delle repliche. 14 dicembre: lascia Napoli via mare imbarcandosi sul vapore Capri e rientra a Busseto prima di Natale. 1850 2 gennaio: propone a Cammarano il soggetto del Trovatore dal dramma di Garcia Gutiérrez. 31 gennaio: scioltosi dall'impegno di Napoli, cede a Ricordi l'opera che doveva scrivere per il S. Carlo, con l'incarico farla rappresentare in un teatro primario nel novembre del 1850. 28 febbraio: stende la traccia di un libretto dal Re Lear di Shakespeare e la spedisce a Cammarano. 9 marzo: Marzari, presidente della Fenice di Venezia, gli propone un contratto per un'opera nuova. 28 aprile: firma il contratto con la Fenice; propone a Piave alcuni argomenti (fra cui Kean, non gradito alla Fenice, e Gusmano il Buono), ma caldamente gli raccomanda il dramma di Hugo Le Roi s'amuse, invitandolo a ottenere il permesso di musicarlo. 8 maggio: approva la proposta di Piave per un libretto ricavato da Le Pasteur, ou l'Évangile et le Foyer di Souvestre e Bourgeois, noto in Italia col titolo di Stiidius, e ne chiede uno schizzo. Metà giugno: Piave si reca a Busseto per lavorare ai libretti di Stiffello e della Maledizione (titolo di quello che sarà poi Rigoletto). Intanto la Fenice, in grave crisi economica, sospende i contratti dei cantanti scritturati per il carnevale 1850-51. 17 giugno: a Giulio Carcano, che gli propone di musicare una sua 'riduzione' dell'Amleto di Shakespeare:"fatalmente questi grandi argomenti esigono troppo tempo ed io ho dovuto per ora rinunziare al Re Lear. [...] Ora se il Re Lear è difficile, l'Amleto lo è ancor di più". 25 luglio: la Fenice supera le difficoltà economiche e i contratti vengono riconfermati. 14 agosto: a GV e a Piave giunge notizia delle gravi difficoltà per ottenere l'approvazione del libretto della Maledizione. Piave rientra a Venezia per cercare di superare gli ostacoli della censura. 13 e 29 settembre: Fétis pubblica due virulenti articoli contro GV, poi tradotti in italiano. Sui giornali teatrali italiani si accende una lunga polemica, cui il compositore rimane totalmente estraneo. 28 settembre: GV si reca al Comunale di Bologna per rappresentarvi Macbeth (3 ottobre) e Luisa Miller (10 ottobre). L' il ottobre rientra a Busseto.

Arte e cultura 1850 20 gennaio: muore a Firenze lo scultore Lorenzo Bartolini. Gennaio: Carlo Tenca fonda il periodico "Il Crepuscolo".

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28 febbraio: Venezia, S. Benedetto: Luigi e Federico Ricci, Crispino e la comare. 31 marzo: muore a Firenze Giuseppe Giusti. 8 aprile: Bruxelles,Th. du Cirque: E. Muzio, Giovanna la Pazza. 8 giugno: Londra, Her Majesty's Th.: Halévy, La tempesta, " opera italiana". 25 giugno: Lipsia, Stadttheater: R. Schumann, Genoveffa. 11 luglio: Napoli, Nuovo: Nicola De Giosa, Don Checco. Luglio: viene fondata a Lipsia la Bach-Gesellschaft. 1 8 agosto: muore a Parigi Honoré de Balzac. 28 agosto: Weimar: va in scena il Lohengrin di Wagner diretto da Liszt, assente l'autore. Settembre: Rossini ritorna a Bologna. Novembre: Palermo, Cavolino: Paolo Fodale,Anna Erizzo. 27 dicembre: Madrid: Garda Gutiérrez,ll tesoriere del re. Anonimo [ma Wagnerl, L'ebraismo in musica. Francesco De Sanctis, Sulle opere drammatiche di Schiller, prefazione alla iraduzione di A. Maffei. Chateaubriand, Memorie d'oltretomba (postume).

Politica, società, scienza, scoperte Venezia viene cinta d'assedio dagli austriaci. 27 luglio: muore a Oporto Carlo Alberto. 6 agosto: pace di Milano fra Piemonte e Austria. 8 agosto: viene fucilato a Bologna padre Ugo Bassi. 10 agosto: viene fucilato a Rovigo Ciceruacchio con i suoi due figli. 13 agosto: pace di Vilagos; fallisce la rivoluzione ungherese; Kossuth si reca in esilio. 24 agosto: stremata dalla carestia e dal colera,Venezia cede agli Austriaci; fine della Repubblica di S. Marco. 8 settembre: Mazzini, Saffi e Aurelio Saliceti fondano a Londra un comitato per l'indipendenza italiana. Settembre: Garibaldi s'imbarca per l'America meridionale. 20 novembre: Vittorio Emanuele II, sciolto il parlamento, rivolge ai sudditi il proclama di Moncalieri contro l'opposizione democratica. Massimo d'Azeglio è a capo del nuovo governo. Pravaz inventa la siringa ipodermica. Livingstone esplora il deserto del Kalahari. 1850 Febbraio: il parlamento piemontese su proposta del ministro della giustizia Giuseppe Siccardi emana le leggi miranti a limitare i privilegi ecclesiastici e ad abolire i tribunali ecclesiastici. 12 aprile: Pio IX rientra a Roma e avvia una politica reazionaria. 10 ottobre: Camillo Benso conte di Cavour entra a far parte del governo di d'Azeglio come ministro dell'agricoltura e del commercio. In Francia il presidente Bonaparte avvia una politica conservatrice (riforma elettorale restrittiva, leggi sul controllo della stampa e sul diritto di riunione, estensione dell'autorità del clero in materia d'insegnamento). La Prussia abbandona la guerra per il possesso dello Schleswig-Holstein. Il Regno di Sardegna stipula con la Francia una convenzione per la protezione del diritto d'autore. McClure scopre il passaggio a Nordovest per il Pacifico. Il chimico britannico Thomas Graham distingue i colloidi dai cristalloidi. Nasce a New York la società Singer per la costruzione di macchine da cucire. Laura Solera Mantegazza fonda a Milano il primo asilo nido per lattanti. La popolazione in Europa è stimata in 260 milioni di abitanti; la popolazione mondiale è calcolata in un miliar-

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Cronologia 1851

Giuseppe Verdi 22 ottobre: riceve da Piave il libretto completo della Maledizione. 29 ottobre ca.: parte da Busseto; raggiunge Piave a Venezia; insieme arrivano a Trieste il 31. Intanto anche la censura triestina solleva obiezioni e chiede modifiche al libretto di Stiffelio. 11 novembre: la Fenice comunica a GV che la censura è assai preoccupata "per la dissolutezza di cui va gonfio" il dramma Le Roi s'amuse e ingiunge l'immediata presentazione del libretto. 16 novembre: spedisce il libretto della Maledizione alla Fenice per l'approvazione della censura. - Trieste,Teatro Grande: prima rappr. di Stiffelio; esito discreto. 19 novembre: ospite nella villa dell'ex-tenore Giovanni Severi compone la berceuse Fiorellin che sorgi appena dedicata al figlio neonato dell'ospitante. 20 novembre: parte alla volta di Busseto, da dove scrive a Piave circa eventuali modifiche alla Maledizione, raccomandando non siano alterati caratteri, soggetto, posizioni; è disposto a rinunciare alla "posizione in cui Francesco va colla chiave in camera di Bianca". 1° dicembre: la Fenice comunica a GV l'assoluto rifiuto da parte della censura veneziana del libretto La maledizione; intanto, per salvare stagione e contratti, essa corre ai ripari incaricando Piave di modificare il libretto. 9 dicembre: la censura veneziana approva la nuova versione del libretto della Maledizione, intitolata Il duca di Vendome. 14 dicembre: GV rifiuta categoricamente di adattare la musica della Maledizione al Duca di Vendome:"La maledizione del vecchio così terribile e sublime nell'originale, qui diventa ridicola LI Osservo infine che si è evitato di fare Triboletto brutto e gobbo!! Per qual motivo? Un gobbo che canta dirà taluno! E perché no?... [...] Io trovo appunto bellissimo rappresentare questo personaggio esternamente defforme e ridicolo, ed internamente appassionato e pieno d'amore"; e piuttosto lascia intravedere a quali modifiche egli potrebbe acconsentire. 21-23 dicembre: stretta fra le ingiunzioni della censura e il pericolo di una citazione per danni da parte dell'impresa, la Fenice avvia trattative con il compositore per superare la vertenza. 30 dicembre: Piave e Brenna arrivano a Busseto per concordare con GV le modifiche da apportare alla Maledizione: il luogo dell'azione, il nome di alcuni personaggi, la gobba, il sacco... Brenna riparte subito per Venezia. Piave si trattiene per lavorare alle modifiche al libretto. 1851 11 gennaio: Piave è di ritorno a Venezia; il titolo dell'opera è mutato in Rigoletto. Ma i guai con la censura non sono terminati; il commissario di polizia Martello richiede continui interventi ai versi, ai nomi dei personaggi, alle situazioni. 21 gennaio: GV dichiara al notaio Balestra "di essere diviso" dal padre Carlo "di casa e di affari [...]. Presso il mondo Carlo Verdi deve essere una cosa e Giuseppe Verdi un'altra". 26 gennaio: Piave annuncia a GV che la censura veneziana finalmente approva il libretto del Rigoletto. 5 febbraio: GV termina la composizione di Rigoletto. 18 febbraio: parte per Venezia e inizia subito le prove. 11 marzo: Venezia, La Fenice: prima rappr. di Rigoletto, con esito trionfale. 15 marzo: GV parte da Venezia e rientra a Busseto. 18 marzo: propone all'impresario Lanari un contratto per il Trovatore; e intanto ne stende uno scenario. 9 aprile: spedisce a Cammarano lo scenario del Trovatore. Maggio: fa traslocare i genitori a Vidalenzo e a stia volta si trasferisce con Giuseppina nel casale di S.Agata, dove fa subito iniziare i lavori di restauro per trasformarlo in villa. Fine maggio: subisce un furto nella casa di S.Agata. 30 giugno: muore a Vidalenzo la madre del maestro, Luigia latini (era nata a Saliceto il 30 settembre 1787).

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Settembre: la Fenice propone a GV un contratto per un'opera nuova per il carnevale 1851-52; ma il compositore rifiuta, occupato dal Trovatore e disgustato per le "immense noie sofferte" a causa della censura veneziana. 10 dicembre: irritato dai pettegolezzi dei bussetani, GV parte con la Strepponi per Parigi.

Arte e cultura Charles Dickens, David Copperfield, romanzo. - Nathaniel Hawthorne, La lettera scarlatta, romanzo. Alfred Tennyson, In memoriam 11.11. Hallam, poesie. Soren Kierkegaard, Esercizio di Cristianesimo. Terenzio Mamiani della Rovere, Le confessioni di un metafisico. Victor Hugo è costretto all'esilio. Viene fondato a Napoli il periodico "Civiltà Cattolica". Politica, società, scienza, scoperte do e 171 milioni di individui. Carlo Pisacane, La guerra combattuta in Italia negli anni 1848- '49. M. Melloni, La termocrosi. 1851 24 gennaio: muore a Majolati Gaspare Spontini. 15 febbraio: Napoli, Nuovo: Vincenzo Battista, Erme-linda (Esmeralda). 16 aprile: Parigi, Opéra: Gounod, Sapho. 1° maggio: dopo aver subito un nuovo affronto, Rossini si stabilisce a Firenze. 11 maggio: Napoli, Nuovo: Errico Petrella, Le precauzioni. 14 agosto: Parigi: Eugène Labiche, Un cappello di paglia di Firenze, vaudeville. 22 novembre: Verona, Nuovo: Carlo Pedrotti: Fiorina. - Parigi,Th. Lyrique: E David, La perla del Brasile. 23 dicembre: muore a Torino Giovanni Berchet. Ricordi pubblica il trattato di Biihm sul flauto (1847) in traduzione italiana. Wagner, Opera e dramma. V Gioberti, Del rinnovamento civile d'Italia. Herman Melville, Moby Dick o La balena bianca, romanzo. Gérard de Nerval, Viaggio in oriente. A Schopenhauer, Parerga e Paralipomena.

Politica, società, scienza, scoperte Do e 171 milioni di individui. Carlo Pisacane. La guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49. M. Melloni. La ternocrosi 1851 Cavour assume il ministero delle finanze. A Napoli viene scoperta la setta "dell'Unità italiana"; i tribunali borbonici condannano Luigi Settembrini alla pena capitale commutata in ergastolo, Silvio Spaventa all'ergastolo commutato in esilio, Carlo Poerio al carcere. Francesco De Sanctis è costretto all'esilio. Ottobre: nel regno di Sardegna il ministro d'Azeglio è costretto alle dimissioni per l'opposizione del re al progetto di introdurre il matrimonio civile. 2 dicembre: colpo di stato di Luigi Bonaparte, che scioglie il parlamento e reprime sul nascere una rivolta popolare. Prima Esposizione mondiale dell'industria al Palazzo di Cristallo di Londra. Primo collegamento telegrafico sottomarino fra Calais e Dover. Heinrich Daniel Ruhmkoff inventa e produce il rocchetto di induzione. Jean-Bernard Foucault mediante un gigantesco pendolo sospeso alla volta del Panthéon di Parigi offre la prima prova sperimentale della rotazione terrestre. Twining e Harrison inventano un refrigeratore.

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Cronologia 1852

Giuseppe Verdi 1852 21 gennaio: a Barezzi, alludendo alla propria convivenza con Giuseppina:"Io non ho nulla da nascondere. In casa mia vive una signora libera indipendente, amante come me della vita solitaria, con una fortuna che la mette al coperto da ogni bisogno. Né io, né lei dobbiamo a chicchessia conto delle nostre azioni, ma d'altronde chissà quali rapporti esistono fra noi? Quali gli affari? Quali i legami? [...] che io reclamo la mia libertà d'azione, perché tutti gli uomini ne hanno diritto, e perché la mia natura è ribelle a fare a modo altrui. [...1 la perdita di venti o trenta mila franchi non sarà mai quella che m'impedirà di trovarmi una patria altrove". 24 gennaio: la Fenice gli chiede un'opera nuova per il carnevale 1852-53. 4 febbraio: accetta in via preliminare la proposta della Fenice in attesa di conoscere la compagnia di canto. 20 febbraio: propone alla Fenice la scrittura di una primadonna di rango. 28 febbraio: firma con l'Opéra un contratto per un'opera nuova (i futuri Vespri siciliani). 7 marzo: parte con Giuseppina da Parigi. Il 18 rientrano a S.Agata. 13 aprile: la Fenice è in difficoltà nella ricerca di una primadonna, essendo le cantanti proposte da GV già tutte impegnate. 19 aprile: la Fenice scrittura quale primadonna Fanny Salvini Donatelli; e invia Brenna a S.Agata per conoscere il parere di GV. 25 aprile: GV firma un compromesso in base al quale si riserva se nella sua nuova opera debba agire la Salvini Donatelli, dichiarandone la idoneità o meno entro il 15 gennaio 1853. In quello stesso giorno anche Lanari è in visita dal maestro in vista dello Stiffelio a Bologna. 4 maggio: firma con la Fenice il contratto per l'opera nuova con l'impegno di consegnare il libretto entro luglio per l'approvazione dell'autorità politica. 9 maggio: il padre di GV, Carlo, supera una grave malattia. 20 giugno: Piave arriva a S.Agata per rifare il quarto atto di Stiffelio per Bologna; ma non se ne farà niente. Fine luglio: GV chiede una proroga per la consegna del libretto, Piave non avendogli ancora presentato un soggetto "originale e piccante". 17 luglio: muore a Napoli Salvadore Cammarano, lasciando incompiuto il libretto del Trovatore. 26 luglio: GV chiede alla Fenice un'ulteriore proroga, fissandola per la fine di settembre. 15 agosto: Piave, sempre alla disperata ricerca di un soggetto per l'opera nuova di Venezia, propone la Juive de Constantine di Gautier e Parfait; GV chiede copia di questo dramma a Marie Escudier. 22 settembre: riceve notizia del conferimento della Legion d'onore da parte del presidente della repubblica francese, Luigi Bonaparte, con decreto del 10 agosto. Fine settembre: Piave si reca a S.Agata per terminare il libretto per Venezia (l'Ebrea di Costantina o, forse, La forza del destino secondo l'indiscrezione di un giornale teatrale?). 20 ottobre: Piave comunica alla Fenice d'aver finito il libretto, quando, al momento di partire, "Verdi s'infiamma d'altro argomento" e deve dunque restare per scrivere un nuovo libretto intitolato Amore e morte (ossia La dama dalle camelie). 29 ottobre: GV ringrazia Marie Escudier per avergli spedito la Dame aux camélias. 21 novembre: il libretto di Amore e morte ottiene l'approvazione della censura veneziana con il titolo Traviata. Dicembre: GV inizia la composizione di Traviata e termina quella del Trovatore.

Arte e cultura

Charles-Augustin de Sainte-Beuve inizia a pubblicare le Conversazioni del lunedì. Nasce il quotidiano "New York Times". Viene fondata a Londra l'agenzia di stampa "Reuter".

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1852 2 febbraio: Parigi, Théàtre du Vaudeville: Dumas fils, La darne aux camélias,"pièce mélée de chant". 21 febbraio: muore a Mosca Nikolaj Gogol'. 7 marzo: Trieste, Grande: Francesco Cortesi, II trovatore (La schiava). 25 marzo: Monaco, Hoftheater: Hebbel, Agnese Bernauer, tragedia. 15 maggio: viene inaugurato a Ravenna il teatro Alighieri. 13 giugno: Weimar, Hoftheater: R. Schumann, Manfred, poema drammatico. 7 agosto: Firenze, Ginnasio Drammatico: Paolo Ferrari, Goldoni e le sue sedici commedie nuove. 12 agosto: Napoli, Fondo: Petrella, Elena di Tolosa. 14 agosto: Vicenza. Eretenio: Giuseppe Apolloni, Adelchi. 4 settembre: Parigi,Th.-Lyrique:A.Adam, Si fétais 7 ottobre: muore a Firenze l'impresario Alessandro Lanari. 8 dicembre: Breslavia: Gustav Freytag, I giornalisti, commedia. 15 dicembre: Wagner conclude il ciclo poetico dell'Anello dei Nibelunghi. 26 dicembre: prima rappr. italiana del Profeta di Meyerheer alla Pergola di Firenze. Angelo Mariani viene nominato direttore stabile dell'orchestra di Genova. L'editore Pirola di Milano porta a termine la pubblicazione, iniziata nel 1842, delle Opere edite e inedite del cav. Andrea Maffei, contenenti il Teatro completo di Schiller. Harriet Beecher-Stowe, La capanna dello zio Tom, romanzo. Ivan Turgenev, Memorie di un cacciatore, racconti. Giuseppe Giusti, Versi editi e inediti, pubbl. postuma. A. Comte, Catechismo positivista. Jules Michelet, Storia della rivoluzione francese.

Politica, società, scienza, scoperte 1852 14 gennaio: Luigi Bonaparte promulga una nuova costituzione. Febbraio: Cavour effettua il "connubio" delle forze parlamentari di centro con quelle di sinistra guidate da Urbano Rattazzi. Estate: a Mantova vengono arrestati i componenti di un sottocomitato mazziniano, diretto dal sacerdote don Enrico Tazzoli. Processati, nove di essi sono condannati a morte per impiccagione. 2 dicembre: attraverso un plebiscito Luigi Napoleone ottiene i poteri imperiali assumendo il titolo ereditario di imperatore dei Francesi con il nome di Napoleone III. 24 dicembre: Cavour diventa primo ministro del governo piemontese. Con il protocollo di Londra i ducati di Schleswig e Holstein restano sotto la sovranità danese, pur con autonomia interna. Nell'Africa meridionale gli Inglesi riconoscono l'indipendenza del Trasnvaal, dove si sono ritirati i Boeri. David Livingstone esplora lo Zambesi. Nel regno di Sardegna viene abolito lo studio del latino nelle università. Su incarico di Napoleone III l'urbanista Eugène Haussmann progetta la ristrutturazione di Parigi. Cronologia 1853

Giuseppe Verdi 20 dicembre: si dirige con Giuseppina alla volta di Livorno dove salpa per Civitavecchia; Giuseppina si trattiene a Livorno, da dove si reca per qualche giorno a Firenze. 24 dicembre ca .: arriva a Roma e inizia subito le prove del Trovatore al teatro di Apollo. 1853 6 gennaio: GV chiede che i costumi della Traviata rimangano "dei tempi presenti" (la richiesta verrà ignorata dalla Fenice; i costumi saranno trasportati all'anno 1700). 16 gennaio: alla Fenice cade un'opera nuova di Carlo Bosoni; si rende necessaria un'opera di ripiego; nonostante la riluttanza della Salvini Donatelli viene scelto l'Emani. 19 gennaio: Roma, Teatro Apollo: prima rappr. di Il trovatore, con successo trionfale.

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22 gennaio: fiasco dell'Emani alla Fenice a causa del cattivo stato di salute dei cantanti. GV parte da Roma, e rientra via mare imbarcandosi a Civitavecchia; a Livorno si ricongiunge con Giuseppina. Il 27, transitando da Bologna, riceve cattive notizie della stagione della Fenice. 30 gennaio: fa scrivere alla Fenice che si rende necessaria la scrittura di una nuova primadonna, che la Traviata non è ancora terminata, il libretto nemmeno, che è ammalato e che pertanto non assicura di andare a Venezia. La Fenice, allarmata, spedisce Piave a S.Agata. 3 febbraio: da S.Agata Piave informa la Fenice sull'esito dell'incontro con il maestro; conferma il suo cattivo stato di salute, rassicura che il maestro continua a lavorare alla Traviata, che accetta la Salvini Donatelli, e che l'opera avrebbe comunque fatto un "fiasco completo". 8 febbraio: la Fenice invia a S.Agata anche Brenna nel tentativo di appianare le difficoltà e convincere il maestro a venire a Venezia. 12 febbraio: Brenna rientra a Venezia con Piave dopo aver avuto ampie rassicurazioni da GV. 13 febbraio: a Venezia cominciano le prove di Traviata; intanto a S.Agata GV provvede a terminare l'opera. 21 febbraio: GV arriva a Venezia e termina la strumentazione della Traviata. 6 marzo: Venezia, La Fenice: prima rappr. di Traviata. Il primo atto viene applaudito; gli altri due atti cadono, causa principale il cattivo stato di salute del tenore e la svogliatezza del baritono. 7 marzo: GV considera l'esito un fiasco; tuttavia la Traviata viene rappresentata per altre nove sere con alto numero di spettatori e ottimi incassi. 10 marzo: riparte da Venezia; il 12 arriva a S.Agata. 23 aprile: a Somma, che gli propone un libretto:"Vivente il povero Cammarano, io gli aveva suggerito il Re Lear. Dategli un scorsa". Primavera: la Traviata sta per essere rappresentata a Roma, ma esigendo la censura papalina nuove e consistenti modifiche al libretto, GV fa ritirare la partitura. 22 maggio: propone a Somma una traccia di libretto del Re Lear. 12 luglio: riceve da Somma la prima parte (Introduzione) del libretto del Re Lear. 29 agosto: muore a Busseto la suocera di GV, Maria Barezzi. 9 settembre: riceve il secondo atto del libretto del Re Lear 15 ottobre: parte con Giuseppina alla volta di Parigi e va ad alloggiare al n. 4 di rue Richer. 7 novembre: paga a Somma 2.000 lire austriache per il libretto del Re Lear. 1854 18 gennaio: chiede a De Sanctis informazioni sulla tarantella. 8 febbraio: riceve da Scribe il libretto completo di Les Vépres siciliennes; a Somma: "speravo di poter musicare prima il Re Lear per l'Italia, ma mi è stato impossibile".

Arte e Cultura 1853 7 febbraio: Milano, Re: E. Muzio, Claudia. 15 marzo: muore a Milano l'editore Giovanni Ricordi. Novembre: Wagner inizia la composizione dell'Oro del Reno. 10 novembre: Milano, Scala: Giuseppe Rota, I Bianchi e i Neri, ballo, musica di Dominiceti. 10 dicembre: H. Berlioz, L'infanzia di Cristo, oratorio. 10 dicembre: muore a Milano Tommaso Grossi. Ferdinand Bliithner fonda a Lipsia una fabbrica di pianoforti. - Henry Steinway (Steinweg) fonda a New York una fabbrica di pianoforti. Fusinato, Poesie. Giovanni Gozzadini scopre a Villanova (Bologna) un sepolcreto dell'età del ferro, che rivela una nuova civiltà, detta "villanoviana". Su pressione del governo austriaco a Capolago viene chiusa la Tipografia e Libreria Elvetica. 1854 31 gennaio: muore a Torino Silvio Pellico. 9 febbraio: Napoli, S. Carlo: Petrella, Marco Visconti. 16 febbraio: Parigi, Opéra-Comique: Meyerbeer, La stella del nord.

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Politica, Società, Scienza, Scoperte

1853 6 febbraio: fallito tentativo insurrezionale mazziniano a Milano e a Brescia. 3 marzo: nove patrioti mazziniani - fra i quali don Tazzoli, Carlo Poma e Tito Speri - vengono impiccati sugli spalti della fortezza di Belfiore. Fallimento dei moti insurrezionali mazziniani a Sarzana. Luglio: lo zar Nicola I invade i principati danubiani di Moldavia e Valacchia posti sotto la sovranità turca. Ottobre: la Turchia dichiara guerra alla Russia; ha così inizio la guerra di Crimea. Viene costruita la prima ferrovia transalpina, la Vienna - Trieste. Viene fondata la società farmaceutica Carlo Erba. Giovanni Ansaldo, sotto la spinta di Cavour, fonda un gruppo metalmeccanico destinato all'industria navale, a quella ferroviaria e agli armamenti. 1854 26 marzo: a Parma viene assassinato Carlo III; gli succede il figlio Roberto sotto la reggenza di Maria Luisa Teresa di Berry. Marzo: una squadra navale americana comandata dal Cronologia 1855

Giuseppe Verdi Marzo: si reca per pochi giorni a Londra per le prove del Trovatore. Intanto apporta alcune modifiche allo spartito di Traviata per la ripresa che si sta allestendo a Venezia al teatro in S. Benedetto. 6 maggio: la Traviata risorge a Venezia al teatro in S. Benedetto, assente l'autore, trattenuto a Parigi. 18 maggio: Antonio Barezzi si sposa in seconde nozze con Maddalena Fagnoni, sua ex domestica. Maggio: GV e Giuseppina si ritirano a trascorrere l'estate in campagna prendendo in affitto una villa a Mandres (Seine et Oise). 26 maggio: a De Sanctis:"la Traviata che si eseguisce ora al S. Benedetto è la stessa, stessissima che si eseguì l'anno passato alla Fenice, ad eccezione di alcuni trasporti di tono, e di qualche puntatura E... I non un pezzo è stato cambiato, non un pezzo è stato aggiunto, o levato, non un'idea musicale è stata mutata". 6 luglio: incarica De Sanctis di rivolgersi al poeta Bardare per il rifacimento della Battaglia di Legnano: "Io non vorrei un semplice cambiamento di nomi, di titolo, e di parole e di qualche verso, ma un sogetto affatto nuovo, egualmente interessante e dello stesso carattere". Agosto: viene nominato Ufficiale della Legion d'onore. Muore a Locate Triulzi il fratello di Giuseppina, Davide. 9 settembre: a De Sanctis:"Ho appena finiti quattro atti della mia opera francese. Mi restano il quinto, i balletti, e l'istromentazione. L.] Un'opera all'Opéra è fatica da ammazzare un toro". 1° ottobre: cominciano le prove dei Vespri siciliani all'Opera; ma vengono interrotte dopo pochi giorni a causa della scomparsa della primadonna Sofia Cruvelli, fuggita sulla Costa Azzurra col suo fidanzato. 20 ottobre ca.: GV chiede lo scioglimento del contratto e la restituzione dello spartito (lei Vespri, ma senza risultato. Novembre: accetta intanto di dirigere le prove del Trovatore al Teatro Italiano; a De Sanctis: "voglio vedere se mi è possibile fare eseguire qui la mia musica come voglio io". 20 novembre: la Cruvelli riappare sulla scena dell'Opéra. 29 novembre: riprendono le prove dei Vespri. 26 dicembre: prima rappr. del Trovatore al Teatro Italiano di Parigi, diretto da GV; il successo è strepitoso.

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1855 Muore l'agente teatrale Camillo Cirelli. 3 gennaio: GV si rivolge al direttore dell'Opéra, Crosnier, lamentando la scarsa collaborazione di Scribe nel rimediare al quinto atto dei Vespri e della sua assenza alle prove, e osservando inoltre che il soggetto è pericoloso: ferisce i francesi perché sono massacrati, e ferisce gl'italiani perché Scribe, alterando il carattere storico di Procida, ne ha fatto un comune cospiratore con l'inevitabile pugnale alla mano: "je suis Italien avant tout, et coute qui coute, je ne me rendrai jamais complice d'une injurie faite à mon pays". 14 gennaio: scrive al presidente della Fenice, Mocenigo, di non poter accettare la proposta di un contratto per il carnevale 1855-56. 14 febbraio: analoga risposta invia al nuovo presidente,Tornielli. 17 febbraio: si lamenta con De Sanctis del fiasco di Traviata a Napoli:"Perché sul vostro S. Carlo non si potrà rappresentare indifferentemente una Regina od una paesana, una donna virtuosa od una puttana? Perché non un medico che tasta il polso, non dei balli mascherati etc. etc.? E...I Il 2° atto è migliore del primo. Il terzo è migliore di tutti j..1.Vorrei potervi far sentire da uno che sapesse cantare l'andante Di Provenza per farvi capire che è il miglior cantabile che m'abbia scritto per Baritono". 10 aprile: informa De Sanctis d'aver terminato la composizione dei Vespri, salvo i ballabili; gli chiede di mandargli "una Siciliana vera; vale a dire, una canzone del popolo e non una canzone fabricata dai vostri maestri". 13 giugno: Parigi, Opéra: prima rappr. di I.es Vépres siciliennes, con successo caloroso. 6 luglio: spedisce a Ricordi la partitura dei Vespri con la traduzione italiana intitolata Giovanna de Guzman. Metà luglio: GV e Giuseppina si recano per pochi giorni a Londra; scopo del viaggio quello di impedire che le sue opere, e in particolare il Trovatore, vi siano rappresentate senza pagare il diritto d'autore. Agosto: rientrati a Parigi, prendono in affitto un villino a Enghien-les-Bains per trascorrervi un periodo di vacanza.

Arte e Cultura 23 febbraio: Weimar: Liszt, I preludi, poema sinfonico. 25 aprile: nasce a Napoli Ruggero Leoncavallo. Giugno: Treviso: Paolo Giacometti, La colpa vendica la colpa, commedia. 18 ottobre: Parigi, Opéra: Gounod, La Nonne sanglante. 21 novembre: Trieste, Grande: Balfe, Pittore e duca, libretto di Piave. Hanslick, Del bello in musica. Roma, Valle: Gherardi Del Testa, La scuola dei vecchi ossia Il padiglione delle monelle, commedia. Firenze: inaugurazione del teatro Pagliano (poi teatro Verdi) con il Rigoletto. Manuel Garda jr., maestro di canto, inventa il laringoscopie. I fratelliAlinari aprono a Firenze un laboratorio di fotografia. Viene fondato a Parigi il periodico "Le Figaro". 1855 23 gennaio: Venezia, Fenice: Giuseppe Apolloni, L'ebreo. 10 febbraio: Mantova, Sociale: Sanelli, Gusmano il prode. - Napoli, S. Carlo: De Giosa, Ettore Fieramosca. 20 marzo: Parigi, Gymnase: Dumas fils, Le demimonde, commedia. Aprile: Rossini si trasferisce con Olimpia Pélissier definitivamente a Parigi. 30 aprile: muore a Londra Sir Henry Rowley Bishop, compositore, autore di Home, Sweet Home. Maggio: Wagner dirige a Londra una serie di otto concerti sinfonici con proprie musiche. Prima trionfale tournée di Adelaide Ristori a Parigi. Lo scultore Vela presenta il suo Spartaco all'Esposizione di Parigi. 1° luglio: muore a Stresa Antonio Rosmini. 11 novembre: muore a Copenaghen il filosofo Saren Kierkegaard.

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25 novembre: Venezia, S. Benedetto: Serafino De Ferrati, Pipelet. 31 dicembre: nasce a S. Mauro di Romagna Giovanni Pascoli. Giovanni Ruffini, esule a Londra, pubblica Il dottor Antonio, romanzo.

Politica, Società, Scienza, Scoperte commodoro M. C. Perry penetra nella baia di Tokyo e impone al Giappone relazioni commerciali (trattato di Kanagawa), ponendo fine al suo isolamento. 22 luglio: fallito tentativo insurrezionale a Parma da parte dei mazziniani; viene istituito lo stato d'assedio; seguono alcune condanne a morte. Nella guerra di Crimea Francia e Gran Bretagna si alleano alla Turchia contro la Russia. Giugno-agosto: moti insurrezionali in Valtellina. Ottobre: inizia l'assedio di Sebastopoli. La Francia organizza la colonia del Senegal. Gli Inglesi riconoscono l'indipendenza dell'Orange in Sudafrica. Stefano Jacini, La proprietà fondiaria e le popolazioni agricole in Lombardia. Eugenio Barsanti e Felice Matteucci inventano il motore a scoppio a due cilindri. Viene realizzata l'applicazione dell'aria compressa alle macchine perforatrici destinate allo scavo di gallerie. Viene inaugurata la ferrovia Torino - Genova. L'americano E. G. Otis brevetta l'ascensore. Nadar apre a Parigi il suo studio fotografico. Si diffonde l'impiego di coloranti sintetici. 1855 10 gennaio: il Piemonte firma un'alleanza con Francia e Inghilterra; e invia una spedizione militare in Crimea. Contro la volontà di Vittorio Emanuele II, Cavour fa approvare una legge che sopprime 334 ordini religiosi e rivendica la sovranità del potere civile nei confronti del clero. Esposizione Universale a Parigi al Palazzo dell'Industria. 16 agosto: il contingente piemontese è impegnato in Crimea nella battaglia della Cernaia. 8 settembre: cade Sebastopoli; lo zar firma un armistizio. In Etiopia sale al trono il negus Teodoro II che avvia con decisione un processo di modernizzazione del paese. G. Ravizza inventa il "cembalo scrivano", una delle prime macchine da scrivere a tastiera. Appaiono i primi bicicli, realizzati da Michaux, precursori della moderna bicicletta. Lo svedese C. E Lundstróm inventa i fiammiferi di sicurezza. Cronologia 1856

Giuseppe Verdi Ottobre: GV e Giuseppina ritornano a Parigi, in rue Richer. 21 ottobre: GV rinvia il rientro in Italia cedendo alla richiesta di Calzado di rimettere in scena il Trovatore al Teatro Italiano. Intanto, con l'aiuto di Giuseppina, controlla la traduzione francese di quest'opera in vista di un'eventuale allestimento all'Opéra. 28 novembre: spedisce a Ricordi la disposizione scenica dei Vespri. 20 dicembre.: GV e Giuseppina partono da Parigi. Il 21 sostano ad Aléssandria, dove Muzio sta dirigendo Traviata. Il 22 arrivano a S.Agata. 1856 Gennaio: si reca a Parma con Muzio ad assistere a una rappresentazione della Giovanna di Guzman (versione italiana dei Vespri siciliani); propone al duca di Parma un trattato internazionale per la protezione del diritto d'autore. 9 febbraio: riceve da Vittorio Emanuele II il titolo di Cavaliere dell'ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. 10 marzo: invita Piave a raggiungerlo a S.Agata per le modifiche al libretto di Stiffelio (il futuro Aroldo).

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23 marzo: sapendo del suo imminente viaggio a S.Agata la presidenza della Fenice incarica Piave di avviare le trattative con GV per un'opera da darsi nel carnevale 1856-57. 27 marzo: Piave arriva a S.Agata. 2 maggio: GV firma un contratto con il S. Carlo di Napoli (il futuro Un ballo in maschera). 15 maggio: firma un contratto con la Fenice di Venezia (il futuro Simon Boccanegra). 25 giugno: si reca a Venezia con Giuseppina per la stagione dei bagni. 21 luglio: riparte da Venezia per rientrare a S.Agata. 31 luglio: parte nuovamente per Parigi, ma solo per affari. Agosto: elabora in prosa l'intero libretto del Simon Boccanegra e lo spedisce a Piave per la versificazione. 22 settembre: firma un contratto per far rappresentare il Trovatore in francese all'Opéra. Ottobre: stante la lontananza da Piave, al fine di accelerare la composizione del Boccanegra si rivolge per la versificazione del libretto anche a Giuseppe Montanelli, esule a Parigi. 25 ottobre - 3 novembre: GV e Giuseppina sono ospiti di Napoleone III nella villa imperiale di Compiègne. Novembre: rientrano a Parigi, prendendo alloggio in un appartamento al n. 20 di Rue Neuve-des-Mathurins. Dicembre: dirige le prove del Trovatore in francese all'Opéra, vi aggiunge i ballabili e porta qualche modifica allo spartito, in particolare al finale dell'opera. 1857 12 gennaio: Parigi, Opéra: prima rappr. del Trovatore in francese con l'aggiunta del balletto. 13 gennaio: GV parte da Parigi per S.Agata a terminarvi la composizione del Boccanegra. 19 febbraio: parte con Giuseppina per Venezia. 12 marzo: Venezia, La Fenice: prima rappr. di Simon Boccanegra; esito mediocre. 15 marzo: rientra a S.Agata; firma un contratto per la stagione inaugurale del nuovo teatro di Rimini (il futuro Aroldo). 10 aprile: firma un contratto per far rappresentare Simon Boccanegra nella stagione inaugurale del nuovo Municipale di Reggio Emilia. Piave arriva a S.Agata per il rifacimento del libretto di Stiffelio e per le modifiche al libretto del Boccanegra. 10 maggio: parte per Reggio Emilia con Giuseppina. 10 giugno: Reggio Emilia, Municipale: rappr. del Simon Boccanegra con alcune modifiche. 14 giugno: rientra a S.Agata con Giuseppina dopo aver assistito alle prime tre recite.

Arte e Cultura Lev N.Tolstoj, Racconti di Sebastopoli. Arthur de Gobineau, Saggio sull'ineguaglianza delle razze umane. Marco Minghetti, Della libertà religiosa. Herbert Spencer, Princìpi di psicologia. Gustave Courbet, L'atelier e Ragazze sulle rive della Senna, dipinti; rifiutato dall'Esposizione Universale, dove viene allestita una retrospettiva di J.-A. Ingres, Courbet edifica per protesta il Pavillon du Réalisme. 1856 Gennaio: Torino, Alfieri: Paolo Ferrari, La satira e Panini, commedia in versi. 18 gennaio: Parigi,Th.-Lyrique:A.Adam, Falstaff 23 gennaio: Parigi, Opéra: Mazilier -Adam, Il corsaro, ballo. 17 febbraio: muore a Parigi Heinrich Heine. 21 febbraio: Parigi, T Italiano: Giovanni Bottesini, L'assedio di Firenze. 4 marzo: Milano, Scala: Petrella, L'assedio di Leyda. 6 maggio: nasce a Pribor (Moravia) Sigmund Freud. Maggio: Milano, Canobbiana: Rota, Il conte di Montecristo, azione mimica. 26 luglio: nasce a Dublino George Bernard Shaw. 29 luglio: muore a Endenich Robert Schumann. 30 agosto: Cremona: Ponchielli, /promessi sposi. 4 novembre: Verona, Nuovo: Carlo Pedrotti, Tutti in maschera.

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L'attore Tommaso Salvini inizia a interpretare Shakespeare (Otello e Amleto a Vicenza). Friedrich Wilhelm Cari Bechstein fonda a Berlino una fabbrica di pianoforti. Antonio Ghislanzoni, Gli artisti da teatro, romanzo. Theodor Mommsen, Storia romana. 1857 15 febbraio: muore a Berlino Mikhail Glinka. 21 aprile: Reggio Emilia, inaugurazione del teatro Municipale; Achille Peri, Vittor Pisani. 2 maggio: muore a Parigi Alfred de Musset. 31 maggio: Reggio Emilia, Municipale: Rota, Carlo il Guastatore, ballo, musica di P Giorza. 11 luglio: Rimini, inaugurazione del nuovo teatro Comunale con Il trovatore diretto da Angelo Mariani. Flaubert, Madame Bovary, romanzo. - José M. de Alencar, Il Guarany, romanzo. - Octave Feuillet, Il romanzo di un giovane povero. Baudelaire, I fiori del male. - Algernon Charles Swinburne, Ode a Mazzini.- L. Mercantini, La spigolatrice di Sapri, poesia. - Jan Neruda, Fiori di cimitero, poesie.

Politica, Società, Scienza, Scoperte 1856 30 marzo: il Congresso di Parigi chiude la guerra di Crimea; la Russia rinuncia alle foci del Danubio, viene riconosciuta l'integrità dell'impero ottomano, viene dichiarata la neutralità degli Stretti. In una seduta suppletiva, Cavour illustra, appoggiato da Napoleone III, la questione italiana. Lo zar Alessandro II auspica l'abolizione della servitù della gleba. Nell'impero ottomano viene garantita la parità di diritti politici e civili ai sudditi di religione cristiana. Riprende in Cina la "guerra dell'oppio". Henry Bessemer mette a punto il suo convertitore per la trasformazione della ghisa in acciaio. Il chimico francese Pierre Berthelot riesce a ottenere sinteticamente gli idrocarburi. Francesco Cirio apre la prima fabbrica di piselli in scatola. Presso Diisseldorf viene trovato il primo cranio dell'"uomo di Neanderthal". Una spedizione britannica raggiunge la punta Dudour sul Monte Rosa. 1857 Massimiliano d'Asburgo succede a Radetzsky come governatore del Lombardo-Veneto. 28 giugno: sbarco a Sapri di Carlo Pisacane; fallito il tentativo insurrezionale, Pisacane si uccide il 2 luglio; Giovanni Nicotera viene incarcerato. Agosto: Daniele Manin e Giuseppe La Farina fondano a Torino la Società Nazionale per l'unificazione dell'Italia sotto casa Savoia. Vi aderisce anche Garibaldi. Si interrompono le relazioni diplomatiche fra regno di Sardegna e Austria. Inizia nel Bengala l'insurrezione degli Indiani contro gli Inglesi. Viene posato il primo cavo telegrafico che attraversa l'oceano Atlantico. Cronologia 1858

Giuseppe Verdi Luglio: porta a compimento la trasformazione di Stiffelio in Aroldo. 20 luglio: GV e Giuseppina partono alla volta di Rimini, prendendo alloggio dapprima all'albergo Posta, quindi al più comodo Albergo dell'Aquila. 16 agosto: Rimini, nuovo Comunale: prima rappr. di Aroldo, diretto da Angelo Mariani, con grande successo. 28 agosto: a Busseto viene decisa la costruzione di un teatro; i lavori inizieranno due anni dopo. Settembre: incarica Antonio Somma di scrivere il libretto per l'opera di Napoli; l'argomento è tratto dal libretto di Scribe, Gustave III ou Le bal masqué, musicato da Auber (Opéra di Paiigi, 1833). 19 ottobre: spedisce il libretto a Napoli per l'approvazione della censura.

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Novembre: la censura napoletana chiede numerose modifiche al libretto del Gustave Dicembre: Somma si reca a S.Agata per le modifiche al libretto, ora intitolato Una vendetta in domino. 1858 5 gennaio ca.: GV e Giuseppina partono per Napoli; il 7 s'imbarcano a Genova; vi arrivano il 15. 28 gennaio: GV presenta il libretto della Vendetta in domino alla censura. 17 febbraio: la censura napoletana ricusa il libretto e ne fa approntare una versione addomesticata, dal titolo Adelia degli Adimari. GV si rifiuta di prenderla in considerazione. Marzo: l'impresa del S. Carlo cita il GV in giudizio accusandolo di inadempienza. Intanto questi si incontra con l'impresario Vincenzo Jacovacci e firma con lui l'impegno di far rappresentare la Vendetta in domino a Roma. Aprile: la vertenza con il S. Carlo viene ricomposta: in cambio della mancata Vendetta in domino, GV s'impegna a tornare a Napoli in autunno per mettervi in scena il Simon Boccanegra. 23 aprile: lascia Napoli imbarcandosi per Genova; il 29 aprile è già di ritorno a S.Agata. Aprile-maggio: la censura romana richiede modifiche al libretto e propone una versione intitolata 11 conte di Gothemburg. 12 maggio: annuncia a Clara Maffei la conclusione di "sedici anni di galera":"Dal Nabucco in poi non ho avuto, si può dire, un'ora di quiete". 22 giugno: spazientito dalle tergiversazioni della censura papalina, invia un ultimatum a Jacovacci chiedendo il ritiro del libretto. Giugno-luglio: trascorre con Giuseppina un periodo di riposo ai bagni termali di Tabiano. 3 luglio: l'avv.Vasselli, cognato di Donizetti, giunge a una soluzione positiva: la censura papalina accetta le situazioni più scabrose della Vendetta in domino, ma propone di trasportare l'azione fuori d'Europa. 20-25 luglio: accogliendo il suggerimento di Vasselli, GV si reca a Venezia e s'incontra con Somma per le modifiche al libretto della Vendetta in domino richieste dalla censura papalina. Settembre: il libretto della Vendetta, ora intitolato Un ballo in maschera,viene approvato dalla censura romana.Tuttavia Somma,"nauseato" dai continui interventi della censura e dalle modifiche fatte subire al libretto, si rifiuta di firmarlo. 20 ottobre: GV con Giuseppina s'imbarca a Genova alla volta di Napoli.Vi arriva il 23. 24 ottobre: inizia le prove del Boccanegra; e intanto modifica la disposizione dell'orchestra riunendo le sezioni di viole, violoncelli e contrabbassi. 28 novembre: al S. Carlo va in scena Simon Boccanegra con successo. 1859 10 gennaio: GV e Giuseppina partono da Napoli alla volta di Roma via mare: vi arrivano il 15, andando ad alloggiare in "una bruttissima casa" in via Campo Marzio 2. 16 gennaio: inizia le prove di Un ballo in maschera. 17 febbraio: Roma, teatro Apollo: prima rappr. di 17n ballo in maschera; grande successo.

Arte e Cultura A. Maffei pubblica la traduzione italiana del Paradiso perduto di Milton e del Teatro completo di Schiller. Brofferio inizia a pubblicare I miei tempi. Jean-Baptiste Corot, Concerto all'aperto, dipinto. - Jean-Frarwois Millet, Le spigolatrici, dipinto. 1858 1° gennaio: Varsavia: Stanislaw Moniuszko, Halka (versione definitiva). 26 gennaio: Milano, Scala: Petrella, Jone. 21 ottobre: Parigi, Bouffes-Parisiens: Offenbach, Orfeo all'inferno. 15 dicembre: Weimar, Hoftheater: Peter Cornelius, Il barbiere di Bagdad. 22 dicembre: nasce a Lucca Giacomo Puccini. Muore lo scultore Pompeo Marchesi. C. Pisacane, Saggi storici, politici, militari sull'Italia, postumi. Mazzini fonda il periodico "Pensiero e azione".

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1859 16 febbraio: un decreto del governo francese fissa il diapason a 870 vibrazioni semplici 19 marzo: Parigi,Th. Lyrique: Gounod, Faust. 25 aprile: Milano, Scala: prima rappr. italiana della Marta di Flotow.

Politica, Società, Scienza, Scoperte A Sheffield in Inghilterra viene fondata la prima società calcistica e nasce l'Alpin Club. K.Marx,Intmduzione alla critica dell'economia politica. Felice Orsini, Memorie politiche. 1858 5 gennaio: muore a Milano il governatore generale del Lombardo-Veneto maresciallo Johann Radetzky. 14 gennaio: fallisce l'attentato di Felice Orsini contro Napoleone III. 21 luglio: Plombières: accordi segreti fra Cavour e Napoleone III per un'alleanza tra Francia e Piemonte contro l'Austria. 1 ° ottobre: muore a Vienna l'ingegnere Luigi Negrelli, autore del progetto della rete ferroviaria svizzera e di un progetto per il taglio del canale di Suez, poi attuato da Lesseps. In Inghilterra un decreto legislativo abolisce le discriminazioni nei confronti di cittadini ebrei. La Russia si annette il territorio dell'Amur. In Messico scoppia una guerra civile fra liberali, sostenitori di riforme contro il potere della Chiesa, e conservatori. In India gli Inglesi soffocano la rivolta. la Gran Bretagna scioglie la Compagnia delle Indie e assume direttamente il governo dell'India attraverso un viceré. Stanislao Cannizzaro enuncia la teoria atomica, nota come "legge Cannizzaro", che rende possibile la classificazione degli elementi. L'egittologo Auguste Mariette inizia una campagna di scavi, raccogliendo materiali che costituiranno il nucleo del Museo egizio del Cairo. 1859 10 gennaio: Vittorio Emanuele III dichiara in parlamento di non essere insensibile "alle grida di dolore" che si levano da molte parti d'Italia. Gli accordi dell'incontro di Plombières vengono sanzionati da un trattato di alleanza tra regno di Sardegna a impero francese. Cronologia 1860

Giuseppe Verdi 20 febbraio: l'Accademia Filarmonica Romana elegge GV a membro onorario. 13 marzo: GV e Giuseppina partono da Roma via mare alla volta di Genova. 18 marzo: arrivano a Genova, dove sostano all'albergo Croce di Malta, in via Carlo Alberto, per assistere alle prove dell'Aroldo diretto da Mariani. 20 marzo: rientrano a S.Agata passando per Piacenza già in stato d'assedio. 23 giugno: a Clara Maffei:"dopo che quelli illustrissimi [gli Austriaci] hanno fatto saltare i forti di Piacenza, sono successe e succedono anche in questo guscio tante cose, tanti allarmi, tante notizie e vere e false che non si ha mai un'ora di calma. Finalmente se ne sono andati! o almeno si sono allontanati; e voglia la nostra buona stella allontanarli di più in più [...[. Quanti prodigi in pochi giorni! non par vero! E chi avrebbe creduto a tanta generosità nei nostri alleati! Per me confesso LI che io non credevo alla venuta dei Francesi in Italia, e che in ogni caso non avrebbero sparso, senza idea di conquista, il loro sangue per noi. Sul primo punto mi sono ingannato; spero e desidero ingannarmi sul secondo: che Napoleone non smentirà il proclama di Milano". GV e Giuseppina trascorrono un breve periodo di riposo ai bagni termali di Tabiano. 14 luglio: a Clara Maffei:"La pace è fatta! La Venezia rimane all'Austria!". E dov'è dunque la tanto sospirata e promessa indipendenza dell'Italia? Cosa significa il proclama di Milano? Oh che la Venezia non è Italia? Dopo tante vittorie, quale risultato! Quanto sangue per nulla! quanta povera

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gioventù delusa! E Garibaldi, che ha persino fatto il sacrifizio delle sue antiche e costanti opinioni, in favore di un Re, senza ottenere lo scopo desiderato!". 29 agosto: si reca a Collonges-sous-Salève nella Savoia (ancora facente parte del Regno di Sardegna) e vi sposa Giuseppina Strepponi con rito religioso officiato dall'abate Mermillod. 4 settembre: rientra a S.Agata; i bussetani lo eleggono loro rappresentante delle province parmensi. 15 settembre: va in delegazione dal re a Torino per dichiarare l'annessione del ducato di Parma al Piemonte. 16 settembre: incontra a Leri il conte di Cavour, dimissionario. 18 settembre: riparte da Torino e rientra a S.Agata. Ottobre: finanzia l'acquisto di 100 fucili "di fabbrica inglese" per la Guardia Nazionale di Busseto. 1° dicembre: Mariani è ospite a S.Agata. 17 dicembre: GV a Cesarino de Sanctis:"Ritornato da Roma non ho più fatto musica, non ho più visto musica, non ho più pensato a musica. Non so nemmeno di che colore sia quella ultima mia opera e quasi quasi non la ricordo". 28 dicembre: gli viene annunciata la nomina a membro dell'Accademia Imperiale dell'Istituto di Francia, nomina caldeggiata, fra gli altri, da Auber e da Berlioz. 1860 3 gennaio: GV e la moglie si recano a Genova a trascorrere il periodo invernale andando ad alloggiare alla Croce di Malta. Gennaio: raccomanda Piave, nel frattempo trasferitosi a Milano, a Massimo d'Azeglio, governatore di Milano, per ottenergli il posto di poeta e direttore di scena alla Scala. 10 febbraio: a Escudier: "Dacché non fabbrico più note pianto cavoli e faggiuoli etc. etc. ma quest'occupazione non bastandomi più, mi son dato alla caccia!". 11 marzo: rientra a S.Agata. 28 aprile: agli amministratori comunali di Busseto:"Il Municipio di Busseto fece opera lodevolissima votando, e donando un cannone al Re [...]. Non colle feste e le illuminazioni, ma colle armi e coi soldati potremo divenire forti, rispettati, e padroni in casa nostra. E non bisogna dimenticare che lo straniero potente e minaccioso è tuttavia in Italia".

Arte e Cultura

29 giugno: esce il primo numero di "Il Pungolo", giornale fondato da Leone Fortis. 3 ottobre: nasce a Vigevano Eleonora Duse. 20 novembre: esce a Milano il primo numero di "La Perseveranza. Giornale politico quotidiano". 11 dicembre: muore a Napoli il trentottenne poeta Nicola Sole, amico di GV. 28 dicembre: Parigi, T. Italiano: Gaetano Braga, Margherita la mendicante, su libretto di Piave. Johannes Brahms, Primo Concerto per pianoforte e orchestra. L. Mercantini, Canzone italiana; musicata da Alessio Olivieri, diviene nota come Inno di Garibaldi. Abramo Basevi, Studio sulle opere di G. Verdi. - Nicola Marselli, Saggi critici sulla ragione della musica moderna. 1859-1866: Franois V. Hugo pubblica tutte le tragedie di Shakespeare in traduzione francese. Ivan A. Goncarov, Oblomov, romanzo. - George Meredith, La prova di Richard Feverel, romanzo. Charles de Sainte-Beuve, Port-Royal. Frédéric Mistral, Mirella, poema. Con la pubblicazione della raccolta poetica Parnasse contemporain nasce il movimento dei "parnassiani". Thomas Moore, Gli adoratori del fuoco, traduzione di Andrea Maffei dedicata a GV. E Hayez, Il bacio, dipinto. - Jean-Francis Millet, L'Angelus, dipinto. Charles Darwin: Sull'origine della specie per selezione naturale. Viene fondato a Firenze il giornale "La Nazione". A Bologna nasce la casa editrice Zanichelli. 1860 Marzo: Parigi: Richard Wagner fa visita a Rossini. 7 luglio: nasce a Kalischt (Boemia) Gustav Mahler.

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21 settembre: muore a Francoforte Arthur Schopenhauer. 6 ottobre: Asti: inaugurazione del teatro Alfieri. 26 dicembre: Ancona: inaugurazione del teatro Vittorio Emanuele. Luigi Arditi, Il bacio, valzer, per Marietta Piccolomini. Aleksandr N. Ostrovskij, L'uragano, dramma. D. Guerrazzi, Pasquale Paoli, romanzo storico. - George Eliot, Il mulino sulla Floss, romanzo. Giosuè Carducci, Juvenilia, poesie.

Politica, Società, Scienza, Scoperte Garibaldi costituisce il corpo dei Cacciatori delle Alpi. 23 aprile: ultimatum dell'Austria al Piemonte; inizio delle ostilità. Il 29 l'esercito austriaco entra in Piemonte. Aprile: Il granduca Leopoldo II abbandona la Toscana; si forma un governo provvisorio retto da Bettino Ricasoli. 1° maggio: a Parma si forma una giunta provvisoria in nome di Vincili° Emanuele II. 4 giugno: battaglia di Magenta. 8 giugno: i franco-piemontesi entrano in Milano. 9 giugno: a Parma la reggente Maria Luisa di Borbone viene deposta; viene nominata una Commissione di Governo, guidata da Diodato Pallieri. 11 giugno: muore a Vienna il principe von Metternich. 23-24 giugno: battaglie di Solferino e di S. Martino. 8 luglio: Napoleone III firma l'armistizio di Villafranca. 12 luglio: dimissioni di Cavour; al suo posto viene nominato Alfonso La Marmora. 18 agosto: Carlo Luigi Farini viene nominato Dittatore delle province modenesi e parmensi. 5 settembre: a Parma primo plebiscito per l'annessione del Ducato al.Piemonte. Il 5 ottobre viene messo a morte, a furor di popolo, il colonnello Alfonso Anviti. 10 novembre: pace di Zurigo tra Francia, Piemonte e Austria. II parlamento piemontese approva la legge Casati sulla pubblica istruzione; estesa al regno d'Italia rimarrà in vigore fino al 1923. Dicembre: le leggi piemontesi vengono estese alla Lombardia e successivamente alle altre regioni italiane. 2 dicembre: a Charlestown negli Stati Uniti viene impiccato John Brown, organizzatore della campagna per l'abolizione della schiavitù in Kansas e in Virginia. Antonio Pacinotti progetta e costruisce il primo generatore di corrente continua, prototipo dell'odierna dinamo. Barsanti e Matteucci realizzano un motore a scoppio a pistone libero. Il fisico francese Gaston Planté realizza il primo accumulatore. Inizia la costruzione del canale di Suez. 1860 20 gennaio: Cavour viene richiamato al potere. 11-12 marzo: plebisciti in Emilia eToscana; loro annessione al Regno dell'Alta Italia. 24 marzo: Nizza e la Savoia sono annessi, con plebiscito (secondo gli accordi di Plombières), alla Francia. Aprile: moti insurrezionali in Sicilia. 5-6 maggio: da Quarto, presso Genova, ha inizio la spedizione dei Mille. - 11 maggio: Garibaldi sbarca a Marsala e il 14 a Salerai assume la dittatura della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele II. - 15 maggio: battaglia di Calatafimi.- 27 maggio: Garibaldi entra in Palermo.- 2027 luglio: i garibaldini conquistano Milazzo e Messina. - Cronologia 1861

Giuseppe Verdi 4 maggio: a Ricordi: "Da parecchi anni abito in campagna una bicocca così malandata, così modesta, così, direi quasi, indecente che mi vergogno perfino a farla vedere agli amici più intimi

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[...]. sono tre anni che volevo farla aggiustare, né intendevo farne palazzo o villa, ma solamente casa abitabile. Diverse circostanze mi hanno impedito d'effettuare finora questo mio progetto; ma da pochi giorni il lavoro è stato cominciato". Luglio: con la moglie trascorre un periodo di riposo alle terme di Tabiano. 9 agosto: a Mariani: "Sono qui fra mattoni e calce e muratori... sono in piena fabbrica: mi alzo alle cinque, sparo qualche fucilata alle quaglie che non sono tanto imbecilli d'andare nella rete; si fa dopo colazione; do un'occhiata ai muratori; si fa un piccolo sonno da un'ora alle due; si dà dopo passo alle cose di casa e si scrivono lettere; si pranza, si fa un passeggiata fino a notte, si torna a casa, quattro chiacchere ed a letto per alzarsi l'indomani alle cinque". 2 dicembre: si reca a Genova. 5 dicembre: Giuseppina a GV:"Ti giuro [...1 che io molte volte sono quasi sorpresa che tu sappia la musica! Per quanto quest'arte sia divina e il tuo genio degno dell'arte che professi, pure il talismano che mi affascina e che io adoro in te, è il tuo carattere, il tuo cuore, la tua indulgenza per gli errori degli altri, mentre sei tanto severo a te stesso. La tua carità piena di pudore e di mistero - la tua altera indipendenza e la tua semplicità da fanciullo, qualità proprie di quella tua natura che seppe conservare una selvaggia verginità d'idee e di sentimenti in mezzo alla cloaca umana! O mio Verdi, io non sono degna di te e l'amore che mi porti è una carità, un balsamo ad un cuore qualche volta ben triste, sotto le apparenze dell'allegria. Continua ad amarmi, amami anche dopo morta ond'io mi presenti alla Divina Giustizia ricca del tuo amore e delle tue preghiere, o mio Redentore!". 7 dicembre: GV rientra a S.Agata. 23 dicembre: il tenore Enrico Tamberlick, facendosi intermediario del direttore dei teatri imperiali di S. Pietroburgo, Sabouroff, chiede a GV di comporre un'opera per quel teatro; la richiesta viene appoggiata da Mauro Corticelli, segretario dell'attrice Adelaide Ristori, in tournée in Russia. 1861 10 gennaio: Cavour vuole che GV si candidi per il nuovo parlamento italiano: la sua presenza contribuirà ad elevarne il decoro "dentro e fuori d'Italia". 16 gennaio: GV si reca a Torino per chiedere udienza a Cavour prendendo alloggio all'albergo Feder (Trombetta). 11 18, di buon mattino, s'incontra con Cavour per respingere il suo invito; ma alla fine cede alla sua richiesta. 11 19 rientra a S. Agata. Il 21 s'incontra a Borgo S. Donnino con il suo competitore di collegio, Giovanni Minghelli Vaini, per informarlo d'essere stato costretto da Cavour ad accettare la candidatura. 27 gennaio: viene eletto deputato al primo parlamento italiano come rappresentante del collegio di Borgo S. Donnino ottenendo al primo turno 298 voti contro 185 del concorrente Minghelli Vaini, e al ballottaggio 339 voti contro 206. Fine gennaio: accetta la proposta del teatro di S. Pietroburgo per un'opera nuova e propone come soggetto il Ruy Blas di Hugo. 1 1 febbraio: a Giuseppe Piroli:"Ignoro se alla Camera di Torino il posto che prende un Deputato abbia significato politico come in Francia. [...] Io non voglio essere né bianco né rosso, ma desidero restare indipendente nelle mie opinioni ". 12 febbraio: Piroli a GV:"Il posto da me scelto è al Centro Sinistro, cioè tra i ministeriali ad ogni costo e l'opposizione, e il numero che altri aveva già scelto per voi debb'essere all'Estrema Sinistra, dove sederanno Brofferio e soci". 14 febbraio: GV si reca a Torino con la moglie per partecipare alla prima seduta del parlamento italiano. Marzo: fa sapere al teatro di Pietroburgo che non firmerà il contratto se prima non sarà approvato il soggetto che intende musicare. 12-14 aprile: s'incontra a Torino con il figlio di Tamberlick,Achille, espressamente giunto con ampi poteri per negoziare il contratto con il teatro di Pietroburgo, e invita Piave a raggiungerlo. Maggio: dopo una sosta a Genova, ne riparte con Giuseppina e prende dimora provvisoria a Busseto, essendo la villa di S.Agata sottosopra per lavori di ampliamento e di restauro.

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30 maggio: parte per Torino, per definire il contratto per Pietroburgo. Il 3 giugno firma il contratto: l'argomento sarà La forza del destino, dal dramma Don Alvaro di Angel Saavedra duque de Rivas, che giudica "potente, singolare

Arte e Cultura Jacob Burckhardt, La civiltà del rinascimento in Italia. Marc Monnier pubblica a Parigi una sua inchiesta: È l'Italia il paese dei morti?. 1861 14 febbraio: Parma, Regio: Tommaso Benvenuti, Guglielmo Shakespeare, su libretto di Piave. 20 febbraio: muore a Parigi Eugène Scribe. 21 febbraio: muore aTorino l'attore Gustavo Modena, riformatore della recitazione drammatica. 5 marzo: muore annegando nel Mar Tirreno Ippolito Nievo. 13 marzo: Parigi, Opéra: insuccesso del Tannhauser di Wagner. Maggio: esordio europeo di Adelina Patti al Covent Garden di Londra. 18 luglio: Parigi, Gymnase:Victorien Sardou,Piccolino, commedia. 4 settembre: Milano, Conservatorio: Faccio e Boito, Le sorelle d'Italia, cantata. 6 settembre: Fermo: Giacometti, La morte civile. 20 settembre: muore a Firenze Gian Battista Niccolini. 1847-1861: Francesco Dall'Ongaro, Stornelli. S. Pietroburgo: Balakirev costituisce il "possente cenacolo" ovvero "gruppo dei Cinque": oltre a lui ne fanno parte Borodin, Kjui, Musorgskij e Rimskij-Korsakovjules Pasdeloup istituisce a Parigi i Concerti Popolari di musica classica. Liszt si stabilisce a Roma. Nasce a Firenze la Società del Quartetto, la prima in Italia. Charles Baudelaire, I paradisi artificiali, saggi. F. Dostoevskij, Memorie da una casa di morti. Chr. Fr. Hebbel, I Nibelunghi, trilogia.

Politica, Società, Scienza, Scoperte 4-6 agosto: eccidio di Bronte; feroce repressione dei moti popolari da parte di Nino Bixio. - 20 agosto: Garibaldi sbarca in Calabria a avanza verso Napoli. - 2 settembre: battaglia del Volturno. - 6 settembre: re Francesco II di Borbone fugge da Napoli; il giorno dopo Garibaldi entra a Napoli. Mazzini, Cattaneo e i democratici spingono Garibaldi a non sancire l'annessione al Piemonte e a proseguire per Roma. Di fronte alla reazione di Cavour, Garibaldi indice due plebisciti per l'annessione al Regno d'Italia. Settembre: un esercito piemontese sconfigge le truppe pontificie a Castelfidardo ed entra in Ancona. - 21 ottobre: viene votata l'annessione dei territori meridionali italiani al regno di Sardegna. - 26 ottobre: incontro di Teano. - 4 novembre: plebisciti nelle Marche e in Umbria. La Francia occupa la Siria. Negli Stati Uniti viene eletto presidente Abraham Lincoln; nasce la secessione negli stati del sud. Il chimico francese Mége-Mouriès ottiene la margarina. Inizia la costruzione della metropolitana di Londra. 1861 2 gennaio: al trono di Prussia sale Guglielmo I, sostenitore dell'unità nazionale tedesca sotto il primato prussiano. 13 febbraio: dopo lungo assedio l'esercito piemontese costringe alla resa Gaeta, dove si era rifugiato Francesco II; fine del regno di Napoli. 17 febbraio: con regio decreto viene istituita in Italia la leva militare. 19 febbraio: lo zar Alessandro II abolisce la servitù della gleba. - Marzo: si inaugura aTorino il primo parlamento italiano, formato da 443 deputati eletti nelle varie regioni e 213 senatori di nomina regia. 17 marzo: proclamazione del Regno d'Italia sotto la sovranità di Vittorio Emanuele II. 12 aprile: negli Stati Uniti inizia la guerra di secessione. 6 giugno: Torino: muore il conte di Cavour. Alla guida del governo gli succede Bettino Ricasoli.

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La popolazione del regno d'Italia ammonta a 22 milioni di individui. Firenze: prima esposizione artistico-industriale italiana. Firenze: primo congresso delle Società operaie di mutuo soccorso. In Inghilterra A. Parkers realizza la celluloide. A Londra entrano in servizio i tram a cavalli. Cronologia 1862

Giuseppe Verdi e vastissimo [...1 fuori del comune"; comincia a stenderne il libretto in prosa, incaricando Piave della versificazione. Rientra a Busseto. 7 giugno: è colpito dall'improvvisa morte di Cavour; all'Arrivabene:"Non ho il coraggio di venire a Torino; né potrei assistere ai funerali di quell'Uomo. Quale sventura! Quale abisso di guai!". 15 giugno: ritorna a Torino per affari. Ma comincia già a lavorare alla Forza del destino. Metà luglio: rientra a S.Agata dove lo raggiunge Piave per portare a termine il libretto della Forza. Ottobre: accetta "di rappresentare musicalmente l'Italia" all'Espcisizione internazionale di Londra nella primavera del 1862 (a rappresentare Germania e Francia vi sono invitati, rispettivamente, Meyerbeer e Auber). 10 novembre: termina il terzo atto della Forza. 22 novembre: comunica a Tito Ricordi:"l'opera è finita, salvo la strumentazione". 24 novembre: parte con Giuseppina alla volta di S. Pietroburgo, con sosta a Torino e quindi a Parigi, dove arriva il 28. Il 6 dicembre arriva a S. Pietroburgo. 1862 Gennaio: s'ammala improvvisamente la primadonna Emma Lagrua; mancando la compagnia di canto di una valida sostituta, viene deciso di rinviare d'un anno la rappresentazione della Forza del destino. 28 gennaio: GV e consorte si recano per alcuni giorni a Mosca. 9 febbraio: lasciano S. Pietroburgo. 24 febbraio: arrivano a Parigi; s'accinge a comporre una cantata - l'Inno delle nazioni su versi del giovane Arrigo Boito, per orchestra, coro e tenore - per l'Esposizione internazionale di Londra. 27 febbraio: scrive a Vincenzo Luccardi a Roma per contattare la cantante Carolina Barbot per cantare nella Forza del destino a Pietroburgo nel prossimo autunno. 10 marzo: la Barbot accetta la scrittura per Pietroburgo. 29 marzo: GV ringrazia Boito per i versi della cantata e gli dona un orologio: "vi ricordi il mio nome, ed il valore del tempo". 31 marzo: termina di comporre l'Inno delle nazioni. 1° aprile: Giuseppina precede il marito a Londra con lo spartito della cantata. GV rientra a S.Agata per pochi giorni e ne riparte alla volta di Londra. 20 aprile: arriva a Londra. 1:Inno delle nazioni viene rifiutato dal maestro Michele Costa con il pretesto che esso non rientra nei termini stabiliti dalla commissione londinese, che contemplano un brano strumentale senza uso di voci, e che inoltre non v'era tempo sufficiente perché il coro apprendesse le parti. 24 maggio: l'Inno delle nazioni viene eseguito al Her Majesty's Theater di Londra sotto la direzione di Luigi Arditi. 31 maggio: GV e consorte ripartono da Londra. 2-6 giugno: sostano a Parigi. 7-13 giugno: sostano a Torino. 11 13 sono di nuovo a S.Agata. 30 giugno: GV riparte per Torino per le sedute parlamentari. Luglio: rientra a Busseto. Gli fa visita il tenore Fraschini per ripassare la sua parte nella Forza del destino, prevista in febbraio a Madrid.

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Fine agosto: GV e consorte ripartono per la Russia, via Parigi, dove sostano alcuni giorni. Il 5 settembre arrivano a Pietroburgo. Primi di ottobre: compiono nuovamente una breve visita a Mosca, dove assistono a una recita del Trovatore. 8 novembre: lo Zar gli conferisce la Croce dell'ordine di S. Stanislao. 10 novembre: Pietroburgo,Teatm Imperiale: prima rappr. di La forza del destino, con successo eccellente. 9 dicembre: parte con la moglie da Pietroburgo; il 15 arriva a Parigi. Intanto l'editore Escudier comincia a porre in vendita i pezzi della Forza del destino.

Arte e Cultura Telemaco Signorini, Il ghetto di Venezia, dipinto. Emilio Treves fonda a Milano la casa editrice omonima. 1862 29 febbraio: Parigi, Opéra: Gounod, La regina di 17 marzo: muore a Nizza Jacques Fromental Halévy. 24 aprile: Firenze, teatro Niccolini: Gherardi Del Testa, Le coscienze elastiche, commedia. 12 maggio: Parigi, Opéra-Comique: E David, LallaRoukh. 17 giugno: muore a Fucecchio Giuseppe Montanelli (aveva collaborato al libretto del Simon Boccanegra). 9 agosto: Baden: Berlioz, Béatrice et Bénédict. 22 agosto: nasce a St-Germain-en-Laye Claude Debussy. 1 1 novembre: Milano, Scala: prima rappr. italiana del Faust di Gounod. 30 novembre: con decreto governativo l'ex orchestra ducale di Parma viene riunita alla Scuola di musica. S. Pietroburgo:Anton Rubinstein fonda il Conservatorio; Balakirev e Lomakin fondano la Scuola libera di musica. Dopo tredici anni di esilio Wagner rientra in Germania. L'austriaco Ludwig Michel ordina il catalogo delle opere di Mozart. La casa editrice Breitkopf & Hiirtel inizia a pubblicare l'Opera omnia di Palestrina. Gustave Flaubert, Salammbd, romanzo. - 'Victor Hugo: I miserabili, romanzo. - Ivan Turgenev, Padri e figli, romanzo. Vittorio Betteloni, In primavera, poesie. - Meredith, Amore moderno, poesie. - Emilio Praga, Tavolozza, versi.

Politica, Società, Scienza, Scoperte 1862 Marzo: dimissioni di Ricasoli; gli succede Urbano Rattazzi. 23 maggio: a Francoforte Ferdinand Lassalle fonda l'Associazione generale dei lavoratori tedeschi (si tratta del primo partito socialista). 29 agosto: nel tentativo di raggiungere Roma, Garibaldi viene ferito all'Aspromonte in uno scontro con l'esercito italiano; incarcerato, gli viene concessa un'amnistia; si ritira a Caprera. Il maggiore de Villata fa fucilare senza processo alcuni volontari garibaldini. 24 settembre: viene firmata una convenzione fra Italia e Francia per la protezione della proprietà artistica. Dicembre: si dimette Rattazzi; gli succede Luigi Carlo Farini. Prussia: Otto von Bismarck diventa presidente del consiglio e ministro degli esteri del regno di Prussia. Con il consenso delle grandi potenze si attua la fusione dei principati di Moldavia e di Valacchia (la futura Romania) e ne viene riconosciuta l'autonomia. Negli Stati Uniti Lincoln decreta l'emancipazione degli schiavi negli stati secessionisti. I Francesi conquistano Saigon, prima tappa dell'occupazione della Cocincina. Secondo un censimento del ministero di agricoltura industria e commercio esistono in Italia 443 società di mutuo soccorso.

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Il livornese Pietro Bastogi costituisce la Società italiana per le strade ferrate meridionali, divenuta poi società finanziaria. l: americano R. I. Gatling realizza un nuovo modello di mitragliatrice. Foucault calcola la velocità della luce. Cronologia 1863

Giuseppe Verdi 1863 6 gennaio: GV e consorte partono da Parigi alla volta di Madrid. Vi arrivano l' 11. GV inizia subito le prove della Forza del destino. 21 febbraio: Madrid, Real: rappr. della Forza del destino; vi assiste l'autore del dramma, Angel de Saavedra duque de Rivas (che non cela la propria insoddisfazione). 3-6 marzo: GV visita, con la moglie, Cordoba, Siviglia, Cadice, Granada nonché l'Escurial, a proposito del quale scrive all'Arrivabene il 22 marzo:"non mi piace. È un ammasso di marmi [...1 nell'insieme vi manca il buon gusto. È severo, terribile come il feroce sovrano che l'ha costruito". 14 marzo: GV e consorte partono da Madrid per Parigi nonostante che in questa città l'epidemia di colera non sia del tutto cessata. 18 marzo: arrivano a Parigi e vanno ad alloggiare al n. 57 di Avenue des Champs-Elysées. Aprile: GV si appresta a presenziare le prove di Les Vépres siciliennes, in ripresa all'Opéra. Maggio: GV a Tito Ricordi: "Si dice che la Forza del Destino sia troppo lunga, e che il pubblico sia spaventato dei tanti morti! D'accordo: ma una volta ammesso il sogetto, come si trova altro scioglimento?". Maggio-giugno: scrive una nuova aria nei Vespri siciliani per il tenore Villaret. 26 giugno: muore all'ospedale di S. Maria delle Grazie in Siena, forse per contagio colerico, il figlio di Giuseppina, Camillo, alle soglie del conseguimento della laurea in medicina e chirurgia. 9 luglio: GV inizia all'Opéra le prove d'orchestra dei Vespri siciliani. 16 luglio: ha un battibecco con il direttore d'orchestra, Pierre Dietsch (già ritenuto da Wagner responsabile del fiasco del Tannhiiuser); al colmo dell'irritazione, abbandona seduta stante le prove. Dietsch viene sostituito da George Hainl. 20 luglio: Parigi, Opéra: ripresa dei Vespri siciliani. 21 luglio: GV parte da Parigi; il 22 sosta aTorino; il 25 è a S.Agata; ritorna il 30 aTorino; rientra a S.Agata il 1° agosto. 3 ottobre: a Tito Ricordi:"In quanto alla Società del Quartetto ti prego di lasciarmene fuori.Tu sai che io sono un'asino in musica e che non capisco affatto quella che i dotti battezzano per musica classica". Ottobre: si reca a Torino per partecipare alle sedute parlamentari. 30 ottobre: concorda con Piave sulla necessità di apportare alcune modifiche alla Forza del destino:"ma prima di tutto bisogna pensare allo scioglimento e trovare il modo di evitare tanti morti". 1864 20 gennaio ca.: GV ritorna aTorino con Giuseppina. Febbraio: sosta a Genova. 25 febbraio: torna ancora a Torino. Marzo: rientra a S.Agata. Giugno: s'incontra a Genova con Escudier; trattative per la rappresentazione del Macbeth in francese al Th. Lyrique di Parigi con l'aggiunta di un balletto. Fine giugno: fa ritorno a S.Agata. 2 luglio: a Ricordi:"sono sempre imbrogliatissimo per cambiare lo scioglimento [della Forza del destino]. Ne feci fare uno da Piave; un altro ne mandò or ora De Lauzières da Parigi, e né l'uno, né l'altro mi piacciono. Lasciatemi pen- sare ancora un poco".

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4 luglio: l'Académie des Beaux Arts di Francia lo elegge a proprio membro al posto del defunto Meyerbeer, con 23 voti su 37. 3 settembre: rifiuta di far parte della commissione per il monumento a Guido d'Arezzo. 27 settembre: Escudier propone a GV di far rappresentare il Macbeth in francese al Théàtre Lyrique di Parigi con alcune modifiche, fra cui l'aggiunta di un balletto. 22 ottobre: a Escudier:"Ho scorso il Macbet per fare le arie di ballo, ma ohimè! alla lettura di questa musica sono

Arte e Cultura 1863 17 gennaio: nasce a Mosca Konstantin Stanislavskij. 12 marzo: nasce a Pescara Gabriele d'Annunzio. 4 aprile: Torino: Vittorio Bersezio, Le miserie d'monssù Travet, commedia. 29 settembre: Parigi,Th. Lyrique: Bizet, I pescatori di perle. 4 novembre: Parigi, Th.-Lyrique: Berlioz, I Troiani Cartagine. 11 novembre: Milano, Scala: Faccio, I profughi fiamminghi. 22 novembre: Boito, Ode saffica. 7 dicembre: nasce a Livorno Pietro Mascagni. 21 dicembre: muore a Roma Gioachino Belli. Il teatro imperiale di Vienna adotta il diapason 'francese' di 435 Hz. Hermann Ludwig Helmholtz, Fondamenti fisiologici per la teoria della musica. Théophile Gautier, Capitan Fracassa, romanzo. Ernest Renan, Vita di Gesù. Cernyshevskij, Che fare?. Per iniziativa di T. Mommsen viene iniziata la pubblicazione del Corpus inscriptionum latinarum. Jean-Auguste Ingres, Il bagno turco, dipinto. - Parigi, Salon des Refusés: Manet, Colazione sull'erba, dipinto. Gottfried Semper, Lo stile nelle arti tecniche e tettoniche, trattato. 1864 4 febbraio: Madrid: Garda Gutierrez. La Venganza catalana, dramma. 5 marzo: Parigi, Gymnase: A. Dumas fils, L'amico delle donne, commedia. 8 marzo: Torino, Regio: Petrella, La contessa d'Amalft. 14 marzo: Parigi: Rossini, Petite messe solennelle. 19 marzo: Parigi,Th. Lyrique: Gounod, Mireille. 2 maggio: muore a Parigi Giacomo Meyerbeer. Settembre: esordio italiano diTeresa Stolz nel Trovatore al Teatro Nuovo di Spoleto. 17 dicembre: Parigi, Variétés: Offenbach, La bella Elena, operetta. Nasce, per iniziativa di Giulio Ricordi, Boito e altri, la Società del Quartetto di Milano. Biornstjerne Bjarnson, Sigurd Slembe, trilogia dram- matica. Erckmann - Chatrian, L'amico Fritz, romanzo. Aleardo Aleardi, Canti.

Politica, Società, Scienza, Scoperte 1863 Marzo: si dimette Farini; gli succede Marco Minghetti. Approvazione della legge Pica per la repressione del `brigantaggio' nell'Italia meridionale. 6 agosto: a Portici viene represso nel sangue uno sciopero operaio. La Francia promuove una spedizione militare in Messico incontrando forte resistenza, e impone il suo protettorato alla Cambogia. Contravvenendo al protocollo di Londra, Cristiano IX di Danimarca annette lo Schleswig-Holstein. Si riapre il conflitto con la confederazione germanica. Negli Stati Uniti l'esercito nordista, guidato dal generale Grant, sconfigge i sudisti a Chattanooga. L'esercito zarista reprime un'insurrezione democratica scoppiata in Polonia.

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A Londra viene inaugurata la prima linea metropolitana sotterranea. Ernest Solvay fonda la società per la fabbricazione industriale della soda. L'ingegnere Eugenio Villoresi progetta un canale fra il Ticino e l'Adda; sarà realizzato fra il 1880 e il 1891. Iniziano i lavori di costruzione del Canale Cavour fra il Po e il Ticino; termineranno nel 1866. Viene fondato il Politecnico di Milano. Quintino Sella fonda il Club Alpino Italiano. 1864 Conferenza di Ginevra: per iniziativa di Henri Dunant vengono poste le basi per la costituzione della Croce Rossa internazionale. Febbraio: scoppia la guerra austro-prussiana contro la Danimarca per lo Schleswig-Holstein. Settembre: ministero del generale Lamarmora. Convenzione fra Italia e Francia: la Francia ritira le proprie truppe da Roma contro l'impegno dell'Italia a non annettere lo Stato della Chiesa e a trasferire la capitale da Torino a Firenze. 28 settembre: a Londra, su iniziativa di Marx, nasce la prima Internazionale socialista dei lavoratori. 30 ottobre: pace di Vienna; la Danimarca cede lo Schleswig-Holstein a Prussia e Austria. Novembre: negli USA Lincoln viene rieletto presidente. 8 dicembre: Pio 1X promulga il Sillabo di conferma del concetto di potere temporale della Chiesa e di condanna di 80 proposizioni filosofiche, politiche e religiose, fra cui la libertà di stampa, di culto, d'opinione. Cronologia 1865

Giuseppe Verdi stato colpito da cose che non avrei voluto trovare. Per dire tutto in una parola vi sono diversi pezzi che sono o deboli, o mancanti di carattere che è ancor peggio". 23 ottobre: si reca a Torino per le sedute parlamentari. Fine novembre: rientra a S.Agata e affronta la revisione del Macbeth, incaricando Piave della stesura dei nuovi versi. 20 dicembre: Boito dona a GV, in anticipo, una copia del suo poemetto Il Re Orso. 1865 3 febbraio: GV completa la revisione del Macbeth. 5 febbraio: si reca a Genova per trascorrervi il resto dell'inverno. I1 12 fa una corsa a S.Agata per assistere il padre ammalato e rientra subito a Genova. Il 18 si reca a Torino per partecipare alle sedute parlamentari riguardanti la legge sulla proprietà artistica. Il 27 febbraio rientra a Genova dopo un'altra corsa a S.Agata per visitare il padre. Il 5 marzo si reca di nuovo a Torino. 11 marzo: a Escudier a proposito dell'aria del sonnambulismo nel Macbeth:"Chi ha visto la Ristori sa che non si devono fare che pochissimi gesti [...]. La Ristori faceva un rantolo; il rantolo della morte. In musica non si deve, né si può fare; come non si deve tossire nell'ultim'atto della Traviata; né ridere nello scherzo od è follia del Ballo in Maschera. Qui vi è un lamento del corno inglese che supplisce benissimo al rantolo, e più poeticamente". Fine marzo: si trasferisce a S.Agata. 21 aprile: Parigi,Théàtre Lyrique: prima rappr. della nuova versione di Macbeth. 22 aprile ca.: si reca a Torino per le sedute parlamentari; rientra a S.Agata il 25. 28 aprile: a Escudier a proposito delle critiche parigine al Macbeth:" Chi trova che io non conoscevo Shachespeare quando scrissi il Macbet. Oh, in questo hanno un gran torto. Può darsi che io non abbia reso bene il Macbet, ma che io non conosco, che io non capisco e non sento Shachespeare no; per Dio, no. È•un poeta di mia predilezione, che ho avuto fra le mani fin dalla mia prima gioventù e che leggo e rileggo continuamente". 19 giugno: GV risponde a Escudier accettando di scrivere per l'Opera "tutto dipende da un libretto. Un libretto, un libretto, e l'opera è fatta".

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22 giugno: a Tito Ricordi: "Vi ho pensato molto, ed ho pregato amici e nemici di darmi un'idea per cambiare lo scioglimento della Forza del destino. Io non ho saputo né altri han saputo trovare cosa migliore di quella che vi è". 30 luglio: si congratula con Giuseppe Piroli per la sua nomina a consigliere di stato: "E per primo consigliate il Governo ad essere meno indulgenti coi preti di campagna che una volta o l'altra finiranno col rivoluzionarvi tutti i contadini".A Busseto viene intanto terminata la costruzione del nuovo teatro cui GV è contrario:"in tutte le circostanze io mi sono sempre dimostrato avverso alla costruzione d'un teatro di troppa spesa [...] perché riescirà inutile nell'avvenire". 17 luglio: Escudier a S. Agata per avviare trattative per un'opera nuova da darsi all'Opera; ha con sé il libretto di una Cleopatra e lo scenario del Don Carlos. GV rifiuta Cleopatra, ripensa al Re Lear, suggerisce El Zapatero y el Rey di Zorrilla y Moral; ma infine decide per Don Carlos. 21 luglio: GV invia all'Opera l'abbozzo contenente i principali punti di scena del Don Carlos. 17 agosto: tramite i buoni uffici del notaio Angelo Carrara accetta la dedica del teatro di Busseto. Settembre: tenta inutilmente d'impedire la pubblicazione dell'inno "Suoni la tromba" già di proprietà di Mazzini. Discute con Perrin le modifiche alla Forza del destino per l'Opera. Metà settembre: rinuncia a candidarsi di nuovo al parlamento; al suo posto si presenta il prof. Scolari, che, eletto, opta tuttavia per il collegio di Guastalla, lasciando il seggio a Piroli. Fine settembre: trascorre con Giuseppina un periodo di cura a Tabiano. 20 novembre: parte con la moglie alla volta di Parigi via Genova. Vi arriva il 28 e "dopo aver cambiato tre case" va ad alloggiare in un appartamento in Avenue des Champs-Élisées n. 67. 24 dicembre: va in visita da Rossini.

Arte e Cultura G. B. Cavalcaselle e Joseph A. Crows iniziano la pubblicazione della Storia della pittura in Italia. Cesare Lombroso, Genio e follia. Vittorio Bersezio fonda aTorino la"Gazzetta piemontese". 1865 23 gennaio: muore a Moneglia Felice Romani. l' aprile: muore a Blevio la cantante Giuditta Pasta. 16 aprile: Milano, T. Re: la compagnia francese Meynadier fa conoscere per la prima volta in Italia un'operetta di Offenbach, Monsieur Choufleury restera chez lui. 28 aprile: Parigi, Opéra: Meyerbeer, L'africana (postuma). 30 maggio: Genova, Carlo Felice: Faccio, Amleto, su libretto di Boito. 10 giugno: Monaco di Baviera, Hoftheater: Wagner, Tristano e Isotta. 22 giugno: muore a Madrid Àngel de Saavedra. 8 agosto: muore a Venezia Antonio Somma. 23 settembre: grande successo di Teresa Stolz alla Scala di Milano nella Giovanna d'Arco di Verdi. 4 novembre: Bologna, Comunale: prima rappr. italiana dell'Africana di Meyerbeer. Fétis, Biographie universelle des musiciens et bibliographie générale de la musique, ultimo volume (rist.: 1878). Giuseppe Rovani, Cento anni, romanzo. - Lewis Canon, Alice nel paese delle meraviglie, romanzo. Boito, Il Re Orso, fiaba in versi. Edouard Manet, Olympia, dipinto.

Politica, Società, Scienza, Scoperte 11dicembre: Firenze diventa capitale d'Italia. In Messico continua la resistenza di Benito Juàrez contro l'esercito francese; Napoleone III proclama l'arciduca Massimiliano d'Austria imperatore del Messico. In Francia viene riconosciuto il diritto di sciopero. Louis Pasteur mette a punto il procedimento di "pastorizzazione" del vino. L'aMericano G. M. Pullman costruisce i primi vagoni-letto.

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1865 15 aprile: Abramo Lincoln viene assassinato da un fanatico schiavista; gli succede Andrew Johnson. Giugno: inizia il trasferimento della capitale italiana da Torino a Firenze; la decisione provoca moti insurrezionali a Torino, duramente repressi dal governo Minghetti. Dicembre: il congresso degli Stati Uniti approva il 13° emendamento della costituzione, con il quale si abolisce la schiavitù. Viene approvata dal Parlamento italiano una nuova legge per il regolamento del diritto d'autore. 14 luglio: l'inglese E.Whymper raggiunge per la prima volta la vetta del Cervino. Gregor Mendel, Ricerche sugli ibridi delle piante (vi sono esposte le tre leggi dell'ereditarietà). Cronologia 1866

Giuseppe Verdi Fine dicembre: frequenta teatri e concerti; all'Arrivabene: "L'Africaine non è certamente la miglior opera di Meyerbeer. Ho sentito anche la sinfonia del Tannhauser di Wagner. È matto!!!". Rinuncia alla Forza del destino in francese all'Opéra e segna un contratto per un'opera nuova su libretto di Méry e Du Lode (sarà Don Carlos). 1866 14 febbraio: offre un ricevimento a un ristretto gruppo di amici (fra i quali la Patti, Fraschini, Ronconi, Delle Sedie, Du Lode) in onore di Jean-Pierre Dantan, autore di un busto di Verdi e di una statua caricaturale che ritrae il compositore come un "leone seduto". 17 marzo: parte con la moglie da Parigi; il 18 sosta a Nizza in visita da Méry ammalato. 24 marzo: dopo una sosta a Genova rientra a S. Agata; annuncia ad Arrivabene d'aver terminato a Parigi il primo atto del Don Carlos. 14 aprile: a Ricordi:"tutto il male della Forza del destino non sta nello scioglimento [...] ! Del resto quel scioglimento è quasi impossibile mutarlo né io vi farò più nulla, perché ne ho proprio piena l'anima di opere e di teatri! Ho un'altra opera a scrivere! così non fosse...". 6 maggio: esprime all'Arrivabene preoccupazione per l'imminente guerra contro l'Austria e gli comunica d'aver fmito il terzo atto del Don Carlos. 10 maggio: a Piroli:"Se vi è guerra io sono proprio ai primi posti, e converrà far fagotto perché è certo che io sarei preso di mira non tanto dai Tedeschi quanto dai preti...". 6 giugno: a Escudier:"Ho finito il Terzo atto [del Don Carlos], ed ho incominciato il Quarto. Finito questo considero finita l'opera, perché il Quinto atto si fa e si deve fare in un momento". 16-21 giugno: chiede a Du Lode alcune modifiche al quarto atto di Don Carlos e propone per il finale del quinto atto un processo degli Inquisitori. Giugno: Boito e Faccio partono volontari per la guerra. 4 luglio: GV informa Escudier d'aver terminato il quarto atto di Don Carlos.A causa della morte di Méry il libretto viene condotto a termine da Camille Du Lode. 5-22 luglio: con la moglie si reca a Genova, prendendo alloggio all'Albergo Croce di Malta, per trattare l'acquisto di un appartamento a palazzo Sauli, in strada S. Giacomo sul colle di Carignano, ove trascorrervi il periodo invernale. Quindi proseguono per Parigi. 6 luglio: a Escudier: "leggo nei giornali cosa che mi mette nella più grande desolazione. L'Austria cede la Venezia all'Imperatore dei Francesi?!!! È egli possibile? E cosa ne farà l'Imperatore? La riterrà? La vorrà dare a noi? Ma noi non possiamo accettarla e spero che i nostri ministri la rifiuteranno". 24 luglio: arriva con la moglie a Parigi, andando ad alloggiare ancora in Avenue des Champs-Élisées. Fine luglio: lavora all'ultimo atto di Don Carlos. 11 agosto: all'Opéra ha luogo la prima prova con i cantanti del Don Carlos. 19 agosto: GV con la moglie si reca a Cauterets (Pirenei), dove lavora all'ultimo atto di Don Carlos. 12 settembre: parte da Cauterets alla volta di Parigi, facendo tappa a Pau e quindi a Bordeaux.

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15 settembre: giunto a Parigi continua a lavorare alla partitura del Don Carlos e intanto assiste alle prove. 28 settembre: scrive al proprio fattore di S.Agata per l'istruzione della nipote Filomena. 18 novembre - 12 dicembre: tratta con Ricordi la cessione dei diritti di rappresentazione del Don Carlos in Italia. 10 dicembre: comunica ad Arrivabene d'aver terminato il Don Carlos anche nella strumentazione, salvo i ballabili. 1867 14 gennaio: muore a Busseto Carlo Verdi, padre del maestro (era nato a Roncole il 28 agosto 1875). 15 gennaio ca.: GV termina la composizione dei ballabili per il Don Carlos. 24 febbraio: ha luogo la prima prova generale del Don Carlos; l'opera risulta troppo lunga: si rendono necessari alcuni tagli, fra cui l'Introduzione del primo atto e il concertato dopo la morte di Posa.

Arte e Cultura 1866 15 gennaio: muore a Torino Massimo d'Azeglio. 7 febbraio: Roma, Apollo: Petrella, Caterina Howard. 25 febbraio: nasce a Pescasseroli Benedetto Croce. 24 marzo: Vienna, Carltheater: Franz von Suppé, Cavalleria leggera, operetta. 5 maggio: esce a Milano il quotidiano "Il Secolo", edito da Sonzogno. 17 maggio: nasce nel Calvados Erik Satie. 30 maggio: Praga, Bedrich Smetana, La sposa venduta (prima versione). 17 giugno: muore a Parigi il poeta e librettista FranwisJoseph Méry. 17 novembre: Parigi, Opéra-Comique: A. Thomas, Mignon. 28 novembre: muore a Budapest la cantante Sofia Loewe. Johann Strauss jr., Sul bel Danubio blu, valzer. - Anton Bruckner, Prima Sinfonia in Do min. Dostoevskij, Delitto e castigo, romanzo. - Hugo, I lavoratori del mare, romanzo. - Meredith, Vittoria, romanzo. Eduard Mikike, Mozart in viaggio a Praga, racconto. Edmondo De Amicis, La vita militare, racconti. Hippolyte Taine, Viaggio in Italia. Vittorio Betteloni,tombra dello sposo, poesie. - Gioacchino Belli, Sonetti (edizione postuma e purgata). -A. Ch. Swinburne, Poesie e ballate. - Paul Verlaine, Poemi saturnini. Giovanni Fattori, Diego Martelli, dipinto. V. Vela, Napoleone morente, scultura. Charles Henri de Coussemaker inizia la pubblicazione dei Scriptores de musica Medii Aevii. Francesco De Sanctis, Saggi critici. Nasce la "Nuova Antologia", continuazione dell'Antologia" di Vieusseux. 1867 13 gennaio: Milano, Scala;Antonio Bazzini, Mranda. 25 marzo: nasce a Parma Arturo Toscanini. 27 aprile: Parigi, Th. Lyrique: Gounod, Romeo e Giulietta.

Politica, Società, Scienza, Scoperte 1866 Aprile: viene firmato un trattato segreto di alleanza fra Italia e Prussia in funzione antiaustriaca. Giugno: scoppia la guerra tra Prussia e Austria. 19 giugno: l'Italia dichiara guerra all'Austria. 24 giugno: l'esercito italiano viene sconfitto a Custoza. Lamarmora è costretto alle dimissioni; gli succede Ricasoli. 3 luglio: i Prussiani sconfiggono gli Austriaci a Sadowa e giungono a pochi chilometri da Vienna. 20 luglio: l'ammiraglio Persano subisce una pesante sconfitta presso l'isola di Lissa. 21 luglio: Garibaldi sconfigge gli Austriaci a Bezzecca e si avvia a occupare il Trentino.

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26 luglio: l'Austria chiede un armistizio alla Prussia. 8 agosto: a Garibaldi viene ordinato di arrestare l'avanzata in Trentino; egli esegue con il famoso dispaccio "Obbedisco". 12 agosto: a S. Andraz, frazione di Cormons, viene firmato l'armistizio fra Italia e Austria. 23 agosto: pace di Praga tra Prussia e Austria; la Prussia annette i ducati dello Schleswig-Holstein e dell'Hannover. 16-22 settembre: insurrezione popolare a Palermo e in provincia; viene invocata la repubblica. 3 ottobre: pace di Vienna tra Italia e Austria; l'Austria cede il Veneto a Napoleone III, che a sua volta lo consegna all'Italia. Con un plebiscito il Veneto proclama la propria annessione al regno d'Italia. Creta insorge contro iTurchi per l'annessione alla Grecia. Nasce nelTennes.see, Stati Uniti, la setta del Ku-Klux-Klan. Il francese A. A. Chassepot costruisce il fucile ad ago" a retrocarica. 1867 Aprile: si dimette Bettino Ricasoli; gli succede Rattazzi. Giugno: in Messico, dopo il ritiro delle truppe di Napoleone III, Massimiliano d'Asburgo viene catturato e fucilato; Jukez torna alla presidenza. Cronologia 1868

Giuseppe Verdi 11 marzo: Parigi, Opéra: prima rappr. di Don Carlos che ottiene un "successo di stima". 12 marzo: GV con la moglie lascia Parigi alla volta di Genova sostando a Nizza. 14 marzo: prende possesso dell'appartamento in palazzo Sauli. 1 ° aprile: a Escudier:"Ho letto [...] il resoconto sul D. Carlos dei principali giornali di Francia. Infine sono un wagnedano quasi perfetto. Ma se i critici avessero fatto un po' più d'attenzione avrebbero visto che le stesse intenzioni vi sono nel terzetto dell'Emani, nel Sonnambulismo del Macbet ed in tanti altri pezzi etc. etc... Ma la questione non sta nel sapere se appartiene il D. Carlos ad un sistema, ma sta nel sapere se la musica è buona o cattiva". 24 aprile: la città di Genova gli conferisce la cittadinanza onoraria. Maggio: GV e consorte decidono di affiliare la figlia di un lontano cugino, di nove anni, di nome Filomena. Metà maggio: Giuseppina si reca a Milano e fa visita a Clara Maffei e ad Alessandro Manzoni. 24 maggio: GV a Clara Maffei inviandole una propria fotografia per Manzoni:"Quanto invidio mia moglie d'aver visto quel Grande! [...1 Voi ben sapete quanta e quale sia la mia venerazione per quell'Uomo che, secondo me, ha scritto non solo il più gran libro dell'epoca nostra ma uno de' più gran libri che sieno usciti da cervello umano. [...] Io aveva sedici anni quando lo lessi per la prima volta". 16 giugno: all'Arrivabene:"Ci vuol altro che mettere delle imposte sul sale e sul macinato e rendere ancora più misera la condizione dei poveri. Quando i contadini non potranno più lavorare ed i padroni dei fondi non potranno, per troppe imposte, far lavorare, allora moriremo tutti di fame. Cosa singolare! Quando l'Italia era divisa in tanti piccoli Stati, le finanze di tutti erano fiorenti! ora che siamo tutti uniti, siamo rovinati. Ma dove sono le ricchezze d'una volta?!" 24 giugno: a Piroli:"Se il Sella va alle Finanze so bene che le condurrà come farebbe un carabiniere, ma prima di prendere delle forti misure mi pare che bisognerebbe studiare quello che è possibile di fare. Quando Egli metterà imposte che non si potranno pagare cosa succederà? Il malcontento, la disperazione, tutti i disordini che ne sono la conseguenza...". 30 giugno: Antonio Barezzi è gravemente ammalato; GV a Clara Maffei: "Povero vecchio, che mi ha voluto tanto bene! E povero me che per poco ancora, e poi nol vedrò più!!! Voi sapete che a lui devo tutto, tutto, tutto. Ed a lui solo, non ad altri, come l'han voluto far credere". 21 luglio: muore a Busseto Antonio Barezzi. 15 agosto: GV e consorte partono per Parigi con sosta a Torino. Il 1.° ottobre ripartono per rientrare a S. Agata.

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Ottobre: GV assume come segretario e fattore Mauro Corticelli, già impresario, agente teatrale e segretario dell'attrice Adelaide Ristori. Si reca a Bologna per assistere ad alcune prove del Don Carlos. 27 ottobre: Bologna, Comunale: prima esecuzione italiana di Don Carlo, diretta da Angelo Mariani. Novembre: GV e consorte si trasferiscono a Genova. 5 dicembre: a Milano Piave viene colto da un attacco apoplettico che lo costringe a vegetare, immobilizzato a letto, per il resto della vita. 1868 17 febbraio: preoccupato per il Don Carlos da rappresentarsi alla Scala dopo il Mefistofele di Boito, scrive a Ricordi:"per eseguire bene il D. Carlos musicalmente e scenicamente ci vogliono 40 giorni con tutto il personale del teatro completamente libero d'altri impegni". 12 marzo: dopo aver chiesto a Escudier e a Du Lode informazioni sull'Amleto di Thomas, ne riceve il libretto: "È impossibile far peggio. Povero Shaespeare! come te l'han conciato! E...] EThomas ha un gran merito se ha avuto successo con un libretto mancato". 25 marzo: gli viene conferita la cittadinanza onoraria di Bologna. Marzo: a Ricordi, che dopo il fiasco del Mefistofele insiste perché il maestro venga a Milano per le prove del Don Carlos:"11 momento è opportuno?!! Imbecilli!... ma che?... son io fatto per godere sulle rovine degli altri? Io son di quelli che va dritto per una strada senza guardar né a dritta né a sinistra, che fa quanto può, e quanto crede, che non vuole né momenti opportuni, né appoggi, né protezioni". 25 marzo: il Don Carlos alla Scala ottiene successo.

Arte e Cultura 28 giugno: nasce ad Agrigento Luigi Pirandello. 31 agosto: muore a Parigi Charles Baudelaire. 20 ottobre: Milano, S. Radegonda: Braga, Gli avventu- rieri. 23 novembre: Firenze, Niccolini: Achille Torelli, I mariti, dramma. 6 dicembre: muore a Pescia Giovanni Pacini. 26 dicembre: Parigi, Th.-Lyrique: Bizet, La bella fan- ciulla di Pertb.- Firenze, Pergola: Borri, Il figliuol prodi- go, ballo. Massimo d'Azeglio, I miei ricordi. Ippolito Nievo, Le confessioni di un italiano, roman- zo (pubbl. postuma). - Émile Zola, Teresa Raquin, roman- zo. - Iginio Ugo Tarchetti, Una nobile follia, romanzo. Henrik Ibsen: Peer Gynt, dramma. Conrad Ferdinand Meyer, Ballate. Dupré, Cavour, statua. Marx pubblica il primo volume del Capitale. Bertrando Spaventa, Princìpi di filosofia (Logica e metafisica). Muore a Parma il conte Jacopo Sanvitale. Viene fondato a Firenze il quotidiano "La riforma", ispi- rato da E Crispi. 1868 11 gennaio: Milano, Scala: Monplaisir, La Camargo, ballo, musica di Dall'Argine. 30 gennaio: Milano,T. Re: P Ferrari, Il duello, commedia. 25 febbraio: Milano, Scala: Monplaisir, Brahma, ballo, musica di Dall'Argine. 5 marzo: Milano, Scala: Boito, Mefistofele; fiasco. 9 marzo: Parigi, Opéra:Thomas, A mleto.

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10 aprile: Brema: Brahms, Un requiem tedesco. 1° maggio: Firenze, Alfieri: Emilio Usiglio, Le educande di Sorrento. 16 maggio: Praga: B. Smetana, Dalibor 6 giugno: nasce a I.ubecca Thomas Mann.

Politica, Società, Scienza, Scoperte Giugno: Francesco Giuseppe attraverso un accordo politico con la nazione ungherese sancisce una struttura dualistica, l'impero austro-ungarico, e viene incoronato re d'Ungheria. Estate: epidemia di colera in varie regioni italiane. Ottobre: Rattazzi è costretto alle dimissioni; gli succede Luigi Federico Menabrea. 3 novembre: a Mentana la spedizione di Garibaldi per conquistare Roma viene sconfitta dai Francesi, armati dei nuovi fucili Chassepot; due operai romani, Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti, vengono condannati alla decapitazione dal tribunale pontificio. Vittorio Emanuele II costituisce un corpo di carabinieri a cavallo, detti corazzieri, per scorta personale. La Russia vende l'Alaska agli Stati Uniti. Con un Reform Act il ministro inglese Disraeli estende il diritto di voto ai lavoratori urbani. La Gran Bretagna concede l'autogoverno alla federazione del Canada. L'imperatore del Giappone stabilisce la capitale a Tokyo e avvia un rinnovamento della società giapponese. Bakunin costituisce a Napoli la prima sezione italiana dell'Internazionale. Il francese P. Michaux costruisce le prime biciclette a pedali (applicati alla ruota anteriore). In Italia le società ginnastiche si riuniscono in federazione. Esposizione Universale di Parigi. Il francese J. Monier realizza il cemento armato 1867. Il chimico svedese Alfred Nobel brevetta la dinamite. 1868 13 aprile: una spedizione inglese sconfigge a Magdala il negus Teodoro II, che poco dopo si uccide. 22 aprile: a Torino il principe Umberto di Savoia sposa la cugina Margherita. 21 maggio: a causa delle spese sostenute nella guerra del 1866 e al fine di raggiungere il pareggio del bilancio viene istituita l'impopolare tassa sul macinato (due lire per ogni quintale di grano), ovvero la "tassa dei poveri". In Spagna viene cacciata la regina Isabella II. Unitasi all'Ungheria, la Croazia ottiene una relativa autonomia assumendo il nome di regno di Croazia e Slovenia. L'esercito zarista occupa Samarcanda e Buchara. Cronologia 1869

Giuseppe Verdi Aprile: si trasferisce da Genova a S.Agata; assume informazioni intorno a un Collegio femminile di Torino dove far educare la nipote Filomena. 15 maggio: indignato per un'affermazione del ministro Broglio, ritenuta denigrante per i compositori italiani succeduti a Rossini, rifiuta la Croce di Commendatore della Corona d'Italia appena conferitagli. 16-20 maggio: Giulio Ricordi conduce Antonio Ghislanzoni in visita a S.Agata; è il primo contatto per una possibile collaborazione per la revisione della Forza del destino. Fine maggio: Clarina Maffei è ospite a S.Agata e fa visita alla casa natale del maestro. Giugno: GV fa una donazione in favore della figlia di Piave. 30 giugno: si reca a Milano, che non rivedeva da vent'anni, prendendo alloggio all'Ilótel Milan, per far visita ad Alessandro Manzoni.

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Luglio: inizia le pratiche in vista della affiliazione della nipote Filomena (nata il 14 novembre 1859), cui sarà dato il nome di Maria, e ottiene di regolarizzare in sede civile il matrimonio religioso contratto con Giuseppina in Savoia nel 1859. 28 luglio: all'Arrivabene:"non scrivo Falstaff né altre opere". 22 agosto - 15 settembre: con la moglie si reca alle cure termali di Tabiano, dove viene intervistato da Michele Lessona intorno ai suoi anni giovanili (v. Lessona, Volere è potere ). Ottobre: fa ricercare invano nel cimitero di Milano, fuori di Porta Magenta, i resti della moglie Margherita e dei suoi due figli. Ottobre: propone la pubblicazione di un Album, con musiche di sei diversi compositori, a beneficio della famiglia di Piave. Novembre: Ghislanzoni si mette all'opera per trovare un nuovo finale alla Forza del destino. Novembre: per onorare la memoria di Rossini, GV propone che i maggiori compositori italiani scrivano una Messa da Requiem "da eseguirsi nell'anniversario della sua morte. [...) La Messa dovrebbe essere eseguita nel S. Petronio della città di Bologna che fu la vera patria musicale di Rossini". 13 dicembre: si trasferisce a Genova e affronta la revisione della Forza del destino. 15 dicembre: a Tito Ricordi:"Verrò io stesso a Milano per fare le prove che crederò necessarie alla Forza del Destino cambiando il finale ultimo e diversi altri squarci qua e là"; a Giulio:"Avete fatto male a dire che io non ho mai pensato a Giulietta e Romeo. Ci ho pensato molto e molte volte, e potrebbe ben darsi che io finissi a farne un'opera". 1869 Metà gennaio: insieme a Giuseppina si reca a Torino per condurre la nipote Maria al Collegio della Provvidenza. 19 gennaio: spedisce a Ricordi la musica nuova della Forza del destino. 24 gennaio: si reca da solo a Milano per iniziare le prove della Forza del destino.11 10 rientra a Genova. Il 15 ritorna a Milano in compagnia di Giuseppina per le prove d'orchestra. 27 febbraio: Milano, Scala: prima rappr. della nuova La forza del destino; esito buono. 28 febbraio: GV e consorte ripartono per Genova. 4 marzo: al critico Filippo Filippi che nella melodia "Pace, mio Dio" aveva avvertito un'imitazione dell'Ave Maria di Schubert: "io, nella mia somma ignoranza musicale, non saprei da quanti anni non sento l'Avo di Schubert; e m'era perciò ben difficile imitarla. Non creda che dicendo "mia somma ignoranza musicale", sia per fare un po' di blague. No: è la pura verità". Marzo: Giulio Ricordi "sogna" un progetto di collaborazione fra GV e Boito per il Nerone. 29 marzo: per l'Album Piave, al quale hanno già aderito Auber e Thomas, fa incaricare la vedova Piave di rivolgersi a Federico Ricci e a Mercadante:"Manca un sesto! Ci vorrebbe un nome! Chi? I.a signora Piave od altri non potrebbero raccomandarsi alla Giovannina Lucca per farlo fare a Vagner?". Aprile: si trasferisce con la moglie a S.Agata, dove riceve in visita l'impresario Perrin che gli propone un'opera da ricavarsi dal recentissimo dramma di Sardou Patrie!

Arte e Cultura 21 giugno: Monaco di Baviera, Hoftheater: Wagner, I maestri cantori di Norimberga. 19 luglio: una legge del governo italiano introduce la tassa del 10% sugli incassi lordi dei teatri e sopprime la dote erariale ai teatri reali. 15 agosto: inaugurazione del Teatro Verdi di Busseto con Rigoletto e l'esecuzione della Capricciosa,"graziosa Sinfonia che Verdi scrisse nell'età di dodici anni". 9 novembre: Bologna, Brunetti: Giacometti, Maria Antonietta, dramma. 11 novembre: Bologna, Comunale: Costantino Dall'Argine, // barbiere di Siviglia. 13 novembre: muore a Passy (Parigi) Gioacchino Rossini. Bazzini, Re Lear, ouverture. - Max Bruch, Concerto per violino in Sol min. - Edvard Grieg, Concerto per pianoforte e orchestra. E Dostoevskij, L'idiota, romanzo. Amilcare Zanella, Versi.

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Silvestro Lega,11 pergolato e La visita, dipinti. Adriano Cecioni, Bimbo con il gallo, scultura. 1869 2 gennaio: Milano, Scala: Monplaisir, La Semiramide del Nord, ballo. 14 gennaio: Parigi, Odéon: Frarwois Coppée, Il viandante, commedia. 17 gennaio: muore a S. Pietroburgo il compositore Aleksandr S. Dargomyzskij. 30 gennaio: Parigi, Fantaisies-Parisiennes: Federico Ricci, Una follia a Roma. 6 febbraio: muore alla Castagnola di Lugano Carlo Cattaneo. 3 marzo: Parigi, Opera: Gounod, Faust, nuova versione. 18 marzo: Parigi, Porte-St-Martin: Sardou, Patrie!, dramma. 25 marzo: muore a Milano Iginio Ugo Tarchetti, esponente della Scapigliatura. 3 aprile: Milano, Scala: Filippo Marchetti, Ruy Blas. 25 maggio: inaugurazione a Vienna della nuova I lofoper con Don Giovanni di Mozart.

Politica, Società, Scienza, Scoperte Negli Stati Uniti il congresso riconosce ai negri i diritti politici. A Creta iTurchi reprimono un tentativo indipendentistico. Esposizione di Torino. A Parigi viene disputata la prima gara ciclistica. E. Lartet scopre gli scheletri di Cro Magnon. 1869 Gennaio: l'applicazione della tassa sul macinato provoca numerosi disordini e tumulti contadini, con epicentro a Parma e in Emilia, che si estendono a tutta la Padania e alla Toscana (in appena due settimane si contano 250 morti, 1000 feriti e 4000 rivoltosi arrestati); viene proclamato lo stato d'assedio in molte province, fra cui Bologna, Parma e Reggio Emilia. Agosto: in EisenachAugust Bebel e Wilhehn Liebknecht fondano il partito operaio socialdemocratico di ispirazione marxista. 17 novembre: viene inaugurato il canale di Suez. Novembre: dimissioni di Menabrea. 8 dicembre: inizia il concilio Vaticano I. Dicembre: Giovanni Lanza succede a Menabrea. Agitazioni contadine nel parmense e nel reggiano. In Gran Bretagna diviene primo ministro William Ewart Gladstone. Viene realizzata la prima macchina per la fototipia. Cronologia 1870

Giuseppe Verdi Primi di giugno: il comitato per le onoranze a Rossini pubblica il programma definitivo per la Messa-Rossini; a GV viene assegnato il "Libera me, Domine". 23 giugno: viene decorato Cavaliere dell'Ordine del Merito Civile di Savoia. Metà luglio: GV e Giuseppina rischiano di annegare nel laghetto della villa di S.Agata a causa di un improvviso rovesciamento della barca sulla quale si trovavano. Fine luglio: GV si reca a Genova con la moglie. 2 agosto: a Escudier:"Vorrei ben fare quest'opera [Patrie!) con Sardou, ma quando penso alle prove del D. Carlos mi vengono i brividi". Agosto: compone il "Libera me, Domine" per la Messa-Rossini, e il 20 agosto lo spedisce a Ricordi. 19-24 agosto: nasce un dissidio con Mariani, impegnato nell'organizzazione delle feste rossiniane a Pesaro, a proposito della Messa-Rossini da eseguirsi a Bologna in S. Petronio. 21 agosto: rientra a S.Agata con la moglie; quindi si recano per alcuni giorni alle cure di Tabiano. 6 ottobre: a Du Locle:"Ho ricevuto Patrie che ho letto d'un-fiato. Bel Dramma, vasto, potente e soprattutto scenico". L'impresario Scalaberni espone pubblicamente i motivi per i quali rifiuta di cedere i propri scritturati per l'esecuzione della Messa-Rossini.

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27 ottobre: a Giulio Ricordi che aveva proposto un rinvio dell'esecuzione della Messa-Rossini e successivamente il trasferimento dell'avvenimento da Bologna a Milano, oppone un netto rifiuto:"Lo scopo è fallito dal momento che la Messa non verrà eseguita: 1° in Bologna, 2° all'anniversario della morte di Rossini" e suggerisce di restituire i pezzi ai rispettivi autori. 4 novembre: la commissione milanese per la Messa-Rossini rinunzia definitivamente al progetto. Novembre: compone uno Stornello per l'Album a beneficio della famiglia di Piave. Fine novembre: si trasferisce con la moglie a Genova. 8 dicembre: a Du Lode, rifiutandosi di scrivere per Parigi:"a me è assolutamente impossibile passare di nuovo sotto le Forche Caudine dei vostri teatri, avendo la coscienza che per me non è possibile un vero successo che scrivendo come sento io, libero da qualunque influenza, e senza riflettere che io scriva per Parigi, piuttosto che pel mondo della luna". Dicembre: Ricordi pubblica l'Album a beneficio della famiglia di Piave contenente composizioni di Auber, Cagnoni, Mercadante, Ricci,Thomas e dello stesso Verdi (Stornello). Fine dicembre: Du Lode, ospite a Genova, informa GV dell'intenzione del Khedivé d'Egitto di chiedergli un'opera per i festeggiamenti del Canale di Suez. 1870 8 gennaio: si acuisce il dissidio con Mariani; a Ricordi:"Io ne ho avuto abbastanza della lezione datami per la MessaRossini, ed io non m'immischierò mai più in affari musicali quando c'entra Mariani". L' 11 gennaio a Carlino Del Signore:go non accuso Mariani di aver mal agito: l'accuso di non aver agito. [...] Se in quel progetto [la Messa-Rossini] eravi cosa che gli spiacesse, egli doveva rifiutare l'incarico che la Commissione di Milano gli aveva affidato. Ma, accettato, correva a lui doppiamente l'obbligo di agire". 23 gennaio: chiede a Du I.ocle di mandargli gli scritti di Wagner e il dramma Acte et Néron di l)umas. Gennaio: muore a Cremona Rosa Cornalba, madre di Giuseppina Strepponi. 10 febbraio: Giulio Ricordi tasta il terreno per un Nerone su libretto di Boito con musica di Verdi. 26 marzo: GV parte da Genova con Giuseppina per Parigi; va ad alloggiare all'Henel de Bade. Incontra, fra gli altri, Draneth Bey e Sardou. Il 22 aprile fa ritorno a Genova. 26 aprile: rientra a S. Agata. A Du Lode, che insiste perché accetti la proposta del Khedivé d'Egitto, oppone un rifiuto, non volendo affrontare un lungo viaggio per mare. 30 aprile: GV a Clara Maffei:"non so ancora cosa sia stato a fare a Parigi [...].Ho frequentato molto i teatri: in quei di musica nulla di buono, ad eccezione della Patti che è meravigliosa. LI Il Maestro non scrive e non ha nessuna voglia di scrivere. Potrebbe però darsi lo facesse più tardi per l'Opéra Comique stante l'amicizia per Du I.ocle, ma è ben difficile, ben difficile".

Arte e Cultura 22 settembre: Monaco di Bavkra:Wagner, L'oro del Reno. 2 ottobre: Lecco: Petrella, I promessi sposi. 30 ottobre: Parigi, Gymnase: Ludovic Halévy e Henri Meilhac, Froulrou,commedia. 1° novembre: al Cairo viene inaugurato con Rigoletto il nuovo teatro dell'opera. Muore a Bade lo scultore Jean-Pierre Dantan. Ugo Tarchetti, Fosca, romanzo. - V. Hugo, L'uomo che ride, romanzo. - Flaubert, L'educazione sentimentale, romanzo. -Tolstoj, Guerra e pace, romanzo. - Louisa May Alcott, Piccole donne, romanzo. Alphonse Daudet, Lettere dal mio mulino, racconti. Michele Lessona, Volere è potere (contiene un capitolo su GV). Politica, Società, Scienza, Scoperte Il chimico russo D. I. Mendeleev espone la sua classificazione periodica degli elementi. Il belga Z. Gramme costruisce un generatore di corrente continua. L'americano G.Westinghouse brevetta il freno pneumatico. 1870 15 marzo: Lisbona, S. Carlos: Luigi Danesi, Fata Nix, ballo, musica di Giorza. 19 marzo: Milano, Scala: Gomes, Il Guarany.

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30 aprile: nasce a Komarom (Ungheria) Franz Lehar. 23 maggio: Saint-Léon - Delibes, Coppelia, ballo. 8 giugno: muore a Londra Charles Dickens. 26 giugno: Monaco di Baviera:Wagner, La Valchiria. 7 luglio: Parigi, Opéra-Comique: Flotow, L'ombra. 25 settembre: Praga, Bedrich Smetana, La sposa venduta (versione definitiva). Novembre: Milano, Teatro Milanese: Cletto Arrighi, El barchett de Boffalora, commedia in milanese. 5 dicembre: muore a Puy (Dieppe)Alessandro Dumas padre. 17 dicembre: muore a Napoli Saverio Mercadante. 31 dicembre: Milano, Scala: Borri, La dea del Walhalla, ballo, musica di A. Baur.

Politica, Società, Scienza, Scoperte Il chimico russo D.I. Mendeleev espone la sua classificazione periodica degli elementi. Il belga Z. Gramme costruisce un generatore di corrente continua. L’americano G. Westinghouse brevetta il freno pneumatico. 1870 Marzo: scoppiano moti repubblicani a Piacenza, Bologna, Pavia. 22 aprile: nasce a Simbirsk Nicolaj Lenin. 19 agosto: con il pretesto della successione al trono di Spagna, offerto a Leopoldo di Hohenzollern, parente del re di Prussia, la Francia dichiara guerra alla Prussia. 27 agosto: a Pavia viene fucilato il caporale Pietro Barsanti, di idee repubblicane. 1 settembre: l'armata francese guidata da Patrice de Mac-Mahon viene sconfitta dall'esercito prussiano guidato da Helmuth von Moltke a Sédan; Napoleone III è fatto prigioniero. 4 settembre: in Francia viene proclamata la Terza Repubblica; un governo provvisorio organizza la difesa nazionale. 20 settembre: attraverso la breccia di Porta Pia l'esercito italiano occupa Roma ponendo fine allo Stato della Chiesa. Cronologia 1871

Giuseppe Verdi Metà maggio: riceve da Du Lode un 'programma' di libretto (Aida) redatto da Auguste Mariette Bey. La lettura convince il maestro: "È ben fatto; è splendido di mise en scene, e vi sono due o tre situazioni, se non nuovissime, certamente molto belle". 2 giugno: comunica a Du Lode i termini del contratto per l'opera al Cairo sulla base di un compenso di 150.000 franchi; fra le clausole quella di designare persona di sua fiducia per dirigere l'opera al Cairo, non intendendo affrontare un viaggio per mare. Fine giugno: Du Lode è a S.Agata per definire col maestro il libretto in prosa di Aida. 25 giugno: GV informa l'ignaro Giulio Ricordi dell'impegno contratto con il teatro del Cairo e lo prega di interpellare Ghislanzoni per la versificazione del libretto di Aida. Giugno-luglio: coadiuvato da Giuseppina traduce il "programma" di Aida e ne stende il libretto in prosa. 15 luglio: ospita Ghislanzoni, che accetta l'incarico, e ringrazia Du Lode per le informazioni su strumenti musicali egizi. Primi di agosto: riceve da Ghislanzoni i versi del primo atto di Aida. 9 agosto: si reca a Genova, dove inizia la composizione di Aida.II 13 rientra a S.Agata, dove lo raggiunge Ghislanzoni per lavorare al libretto di Aida. 13 settembre: GV completa il secondo atto di Aida. 30 settembre: a Clara Maffei:"Questo disastro della Francia, come a voi, mette a me pure la desolazione in cuore. È vero che la blague, l'impertinenza, la presunzione dei francesi era ed è malgrado tutte le loro miserie insopportabile: ma infine la Francia ha dato la libertà e la civiltà al mondo moderno. E se essa cade, non c'illudiamo, cadranno tutte le nostre libertà e la nostra civiltà. Io avrei amato una politica più generosa, e che si pagasse un debito di riconoscenza. Centomila de'

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nostri potevano salvare forse la Francia e noi. In ogni modo avrei preferito segnare una pace vinti coi francesi, a questa inerzia che ci farà disprezzare un giorno. La guerra europea, non la eviteremo, e noi saremo divorati. Non sarà domani, ma sarà E...]. Quanto all'affare di Roma è un gran fatto, ma mi lascia freddo LI perché non posso conciliare Parlamento e Collegio dei cardinali, libertà di stampa e Inquisizione, Codice Civile e Sillabo E...]. Papa e Re d'Italia non posso vederli insieme nemmeno in questa lettera". 27 ottobre: porta a termine il terzo atto di Aida. 31 ottobre: riceve da Ghislanzoni i versi dell'ultima scena. 13 novembre ca.: termina il quarto atto. Ghislanzoni si reca nuovamente a S.Agata per gli ultimi ritocchi. 13 dicembre: GV si trasferisce a Genova. Chiede adAntonio Gallo e a Cesare Vigna di rinvenirgli a Venezia un madrigale di Monteverdi.Apporta alcuni ritocchi al finale del secondo atto di Aida. 20 dicembre ca.: rifiuta il posto di direttore del conservatorio di Napoli, offertogli dal ministro della P.I. e rimasto vacante dopo la morte di Mercadante. 1871 1° gennaio: ribadisce a Francesco Florimo il proprio rifiuto ad accettare la nomina di direttore del conservatorio di Napoli. Il 4 gennaio allo stesso, dopo aver esposto alcune idee sull'indirizzo da dare agli studi musicali in conservatorio: "Auguro troviate un uomo dotto soprattutto e severo negli studj. Le licenze e gli errori di contrappunto si possono ammettere e son belli talvolta in teatro: in Conservatorio, no.Torniamo all'antico: sarà un progresso". Gennaio: dopo aver portato ancora nuovi ritocchi al finale del secondo atto, porta a termine la strumentazione dell'Aida. 30 gennaio: a Giulio Ricordi, che insiste per un Nerone su poesia di Boito, propone di rinviare a epoca più opportuna tale progetto. 5 febbraio: sollecita da Ricordi un articolo sulla necessità attuale di direttori d'orchestra veramente capaci. Febbraio: discute con il ministro Cesare Correnti un progetto di riforma dei conservatori italiani. Primi di marzo: presiede a Firenze la commissione per la riforma dei conservatori. 11 aprile: approva, con alcune riserve, l'articolo di Ricordi sui direttori d'orchestra e condanna gli interpreti creatori:"Nò: io voglio un solo creatore, e mi accontento che si eseguisca semplicemente ed esattamente, quello che è scritto".

Arte e Cultura Giulio Briccialdi presenta un nuovo flauto che unisce le caratteristiche del modello Ziegler al sistema Btilun. Giovacchino Bimboni espone un tipo di trombone da lui costruito nel 1850 ca., il bimbonifono. E Dostoevskij, I demoni, romanzo. - I.Turgenev, Re Lear della steppa, romanzo. - Jules Verne, Ventimila leghe sotto i mari, romanzo. Biornstjerne Bjornson, Poesie e canti. Roberto Ardigò, Psicologia come scienza positiva. G. Fattori, Buoi al carro, dipinto. - T Signorini, Novembre, dipinto. Cletto Arrighi fonda il Teatro Milanese. Viene fondato a Firenze il giornale "Fanfulla". Politica, Società, Scienza, Scoperte 2 novembre: con un plebiscito Roma e il Lazio proclamano l'annessione al regno d'Italia; il papa si rinchiude nel Vaticano e scomunica Vittorio Emanuele II. Con la bolla Pastor aeternus il Concilio Vaticano proclama il dogma dell'infallibilità del papa in materia di fede e di morale. Viené aperta la galleria del Moncenisio. 1871 18 gennaio: Londra, Italian Opera Buffa Comp.: Bottesini, Ali Baba. 4 marzo: Genova, Nazionale: Cagnoni, Papà Martin. 12 maggio: muore a Parigi I)aniel Auber. Giugno: Pisa, Politeama: Ferdinando Martini, Chi sa il gioco non l'insegni, commedia.

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10 luglio: nasce a Parigi Marcel Proust. Agosto: Lauro Rossi succede a Mercadante nella direzione del conservatorio di Napoli. 8 settembre: J. Brahms, Il canto del destino. 16 settembre: Lecco, Sociale: Braga, Reginella. 17 ottobre: Milano T Re: Felice Cavallotti, I pezzenti, dramma storico in versi. 1° novembre: Bologna, Comunale: prima esecuzione in Italia di un'opera di Wagner, Lohengrin. 1868-1871: L Settembrini,Lezioni di letteratura italiana,

Politica, Società, Scienza, Scoperte 2 novembre: con un plebiscito Roma e il Lazio proclamano l’annesione al regno d’italia, il papa si richiude nel Vaticano e scomunica Vittorio Emanuele II. Con la bolla Pastor aeternus il Concilio Vaticano proclama il dogma dell’infallibità del papa in materia di fede e di morale. Viene aperta la galleria del Moncenisio 1871 18 gennaio: a Versailles i principi tedeschi proclamano la nascita del secondo Reich; Guglielmo assume il titolo di imperatore. Gennaio: sottoposta a un lungo assedio, Parigi si arrende ai prussiani. 3 febbraio: Roma viene proclamata capitale del Regno d'Italia. Febbraio: L'assemblea nazionale francese elegge Adolphe Thiers a capo dell'esecutivo. 18 marzo: alla notizia dell'armistizio scoppia a Parigi una rivoluzione popolare socialista che dà origine alla Comune. 10 maggio: pace di Francoforte; la Francia cede alla Prussia l'Alsazia e la Lorena e deve pagare un'indennità ingentissima. 13 maggio: il parlamento italiano approva la legge Cronologia 1872

Giuseppe Verdi 23 aprile: rientra a S.Agata da Genova. Per dirigere Aida al Cairo in luogo di Muzio, richiesto da GV ma non gradito a Draneth Bey, viene scritturato Giovanni Bottesini, a sua volta non gradito al maestro. 31 maggio: riceve a S.Agata la visita dello scenografo Girolamo Magnani con cui discute la messinscena di Aida alla Scala. Maggio: Draneth Bey si reca a S.Agata per ricevere disposizioni da Verdi per Aida al Cairo. Giugno-luglio: fissata Teresa Stolz come Aida alla Scala, GV è alla ricerca di un'interprete per Amneris. 10 luglio: raccomanda a Ricordi che la collocazione degli strumenti dell'orchestra della Scala sia come egli aveva stabilito: vale a dire con gli archi che "accerchiano e chiudono nel mezzo gli istromenti da fiato specialmente gli ottoni"; auspica che un giorno si possa togliere i palchi di proscenio portando il sipario alla ribalta e di rendere "l'orche- stra invisibile. Questa idea non è mia, è di Wagner: è buonissima". 4 agosto: spedisce a Ricordi il primo atto di Aida. Agosto: nel terzo atto di Aida rifà il coro iniziale, aggiunge un "pezzettino solo per Aida" ("O cieli azzurri") e ritocca il terzetto finale. 2 settembre: spedisce l'ultimo fascicolo della partitura di Aida a Ricordi. 18-20 settembre ca.: a Milano per alcuni giorni, s'incontra con Girolamo Magnani per le scene di Aida e propone un riassetto dell'orchestra della Scala. Ottobre: richiede un flauto in La per Aida e si occupa dei figurini. 19 novembre: si reca a Bologna per assistere a una recita del Lohengrin di Wagner e annota le proprie impressioni sullo spartito.

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20 novembre: si trasferisce a Genova. Vi accoglie i principali interpreti dell'Aida alla Scala per le prime prove di canto. 2 dicembre: opera un cambiamento alla fine del duetto Aida - Amncris nel secondo atto. 10 dicembre: scrive a Bottesini per chiedergli un parere sull-effetto" dell'ultimo duetto. 23 dicembre: compone una sinfonia per l'Aida per sostituirla al preludio. 24 dicembre: Il Cairo,Teatro Kediviale: prima rappr. di Aida. 28 dicembre: spedisce a Ricordi la sinfonia di Aida. 1872 2 gennaio: in compagnia di Giuseppina arriva a Milano e inizia le prove di Aida alla Scala. Gennaio: dopo aver provato in orchestra la sinfonia di Aida, la fa ritirare riconoscendone la "pretenziosa insulsaggine". 8 febbraio: Milano, Scala: prima rappr. europea di Aida; successo caloroso. Febbraio: gli viene conferita la cittadinanza onoraria di Parma. 20 febbraio: rientra a Genova con la moglie. In marzo si reca per alcuni giorni a S. Agata, s'incontra a Borgo S. Donnino con il maestro Giovanni Rossi e fa una scappata a Milano; trattative con Napoli per Aida; rifiuta di darla all'Opera di Parigi. 2 aprile: si reca a Parma per sovrintendere alle prove di Aida. 17 aprile: a De Sanctis, rispondendo alle critiche di"wagnerismo" in Aida:"Cosa mi parlate di melodia, di armonia! Di Wagner nemmen per sogno!! Al contrario, se si volesse ascoltare e capir bene si troverebbe l'opposto... totalmen- te l'opposto". 20 aprile: l'Aida va in scena alTeatro Regio di Parma, presente l'autore. Maggio: GV e consorte rientrano a S.Agata. Per alcuni giorni Teresa Stolz è loro ospite. Luglio: dietro le insistenze di Ricordi accetta il progetto di portare l'Aida in tournée in Germania; ma il progetto fallisce per lo scetticismo delle stesso Ricordi. Ribadisce il rifiuto di dare Aida all'Opéra:"Non ho che brutti ricordi musicali di Parigi e non verrò se non quando siansi meglio organizzati que' teatri!". 4-15 luglio: trascorre alcuni giorni a Genova. In agosto si reca a Tabiano con la moglie.

Arte e Cultura Giuseppe Giacosa, Una partita a scacchi, dramma in versi. Giovanni Verga, Storia di una capinera, romanzo. Giosuè Carducci, Levia gravia, poesie. - Stéphane Mallarmé, Erodiade, poema. - A. Ch. Swinburne, Canti antelucani. K. Marx, La guerra civile in Francia. Giuseppe Pitré dà inizio alla Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane. Esposizione internazionale di musica a Londra. Adolfo Bartoli e Riccardo Fulni fondano a Venezia l'"Archivio Veneto". Il pittore ferrarese Giovanni Boldini si trasferisce a Parigi. Heinrich Schliemann inizia gli scavi in Asia Minore e nel Peloponneso, che condurranno alla scoperta di Troia e di Micene. C. Darwin, L'origine dell'uomo e la selezione sessuale. 1872 Gennaio: Milano, Re vecchio: Cossa, Nerone. 21 gennaio: muore a Vienna Franz Grillparser. 4 febbraio: Milano, Scala: Antonio Pallerini, Le due gemelle, azione coreografica, musica di Ponchielli. 28 febbraio: S. Pietroburgo: Dargomyszkij, Il convita- to di pietra (postumo). Marzo: Alberto Mazzucato succede a Lauro Rossi nella direzione del conservatorio di Milano. 10 marzo: muore a Pisa Giuseppe Mazzini. 1° ottobre: Parigi, Vaudeville: Alphonse Daudet,

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L'Arlesiana, con musiche di scena di Bizet. 23 ottobre: muore a Neuilly-sur-Seine Théophile Gautier. 7 novembre: Bologna, Comunale: prima rappr. italiana del Tannhauser di Wagner. 20 novembre: muore a Milano l'editore Francesco Lucca. 4 dicembre: Bruxelles: Charles Lecocq, La figlia di madama Angot, operetta.

Politica, Società, Scienza, Scoperte delle "guarentigie" intesa a regolare i rapporti fra stato italiano e papato; Pio IX si rifiuta di riconoscerla. Maggio: con il consenso dei prussiani l'esercito francese entra a Parigi dando inizio a una ferocissima repressione, guidata da Mac-Mahon, del movimento della Comune (30.000 condanne a morte e migliaia di deportazioni). 21-28 maggio: "settimana di sangue" a Parigi. Thiers, già a capo dell'esecutivo che ha represso la Comune, viene eletto primo presidente della Terza repubblica. Luglio: viene avviato il trasferimento della capitale d'Italia da Firenze a Roma. La popolazione del regno d'Italia ammonta a 27 milioni di individui. In Gran Bretagna le Trade Unions ottengono il riconoscimento giuridico. In Giappone l'imperatore abolisce l'ordinamento feudale; vengono chiamati tecnici europei. Esposizione industriale a Milano. Antonio Meucci brevetta un apparecchio telefonico. R. I.. Maddox e G.W. Eastman apportano progressi decisivi nella fotografia (lastra al bromuro e introduzione della gelatina). Viene inaugurato il traforo del Fréjus, iniziato nel 1857. 1872 Bismarck avvia una violenta campagna contro il papato "asservitore delle coscienze" e contro i cattolici tedeschi (Kulturkampt), avversi alla supremazia della Prussia protestante, e scioglie l'ordine dei Gesuiti. La nomina di Amedeo di Savoia a re di Spagna provoca la terza guerra "carlista". Sul trono d'Etiopia sale Giovanni IV Il generale G.D. Perrucchetti fonda il corpo degli alpini. Entra in funzione adArcetri un osservatorio astronomico. Marinoni mette a punto la rotativa a carta continua. Augusto Righi, L'elettrometro a induzione. Cronologia 1873

Giuseppe Verdi 22 agosto: rifiuta Aida a Roma; a Torelli: "Per buoni elementi di esecuzione non intendo parlare soltanto della Compagnia cantante, ma delle masse orchestrali e corali, del vestiario, dello scenario, degli attrezzi, del movimento scenico e della finezza dei coloriti ". Settembre: a S.Agata si occupa del giardino e della costruzione di una grotta. Ottobre: rifà il duetto Filippo - Posa nel Don Carlos e apporta un taglio al duetto Elisabetta - Don Carlos nel quinto atto. - Polemica con Guerrazzi per aver rifiutato di collaborare all'Albo rossiniano di Guidicini, che gli aveva richiesto un parere su un'opinione di Rossini intorno al merito dei cantanti nell'esecuzione delle opere in musica. 10 novembre ca.: parte con la moglie via mare, sul vapore Colombo, alla volta di Napoli per dirigervi Don Carlos e Aida; vanno ad alloggiare all'Heitel de Russie. 12 novembre: arriva a Napoli. 2 dicembre: al S. Carlo di Napoli va in scena il Don Carlos, presente l'autore; poco dopo,Teresa Stolz si ammala di gola e le recite vengono sospese.

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1873 Gennaio: GV inizia intanto le prove per Aida, in attesa della guarigione della Stolz. Febbraio: a Milano viene promossa una pubblica sottoscrizione a favore di un monumento a Napoleone III. GV si sottoscrive con 200 lire; all'Arrivabene:"Napoleone è stato il solo francese che abbia amato il nostro paese; più Egli ha arrischiato la pelle per noi!". Marzo: compone il Quartetto in Mi minore per archi. Marzo ca.: Vincenzo Gemito scolpisce un ritratto in creta di GV e di Giuseppina, a compenso di una somma che lo esoneri dal servizio militare. 30 marzo: l'Aida va in scena al S. Carlo di Napoli, presente l'autore. 1 aprile: GV fa eseguire in forma privata il suo Quartetto all'Albergo delle Crocelle, dove ora alloggia; all'Arrivabene:"Ho scritto proprio nei momenti d'ozio di Napoli un quartetto. I: ho fatto eseguire una sera in casa mia senza dargli la minima importanza, e senza fare invito di sorta. Erano presenti soltanto sette od otto persone solite a venire da me. Se il quartetto sia bello o brutto non so... so però che è un quartetto!". 9 aprile: parte da Napoli per rientrare a S.Agata. Fine aprile: utilizzando il"Libera me, Dornine"già composto per la Messa-Rossini, decide di completare la Messa da requiem. 10 maggio: si reca a Parma per assistere a una recita della Forza del destino, e a Genova per smobilitare l'appartamento di palazzo Sauli. 22 maggio: è colpito dalla morte di Alessandro Manzoni. 1 giugno: si reca a Milano per visitare la tomba di Manzoni. 3 giugno: propone al sindaco di Milano di scrivere una Messa da morto per l'anniversario di Manzoni:"È un impulso, o dirò meglio, un bisogno del cuore che mi spinge a onorare, per quanto posso, questo Grande che ho tanto stimato come Scrittore, e venerato come Uomo, modello di virtù e di patriottismo!". 25 giugno: parte per Parigi con la moglie. Vi arriva il l° luglio; continua nella composizione della Messa. Primi di settembre: parte con Giuseppina da Parigi attraversando per la prima volta la nuova galleria del Frejus e rientra a S.Agata. Settembre: a Ricordi: "Per l'Aida io sono del parere ora di renderla popolare. Dopo cinque successi, mi pare ora soverchio il rigore: [.. .] datela ove credete meglio... e datela in molti teatri insieme". 17 settembre: a Piroli:"Parigi è una gran bella città, ed i Parigini sono più matti ancora di prima! LI Non so se farà un gran bene il viaggio del nostro Re [in Germania e Austria]. A me pare che è una protesta che si poteva risparmiare, eppoi cosa volete che vi dica, io detesto questo engoament per tutto quello che è tedesco!". Ottobre: chiede a Florimo in visione alcune cantate di Alessandro Scarlatti; riceve i due busti scolpiti da Gemito. Dicembre: continua nella composizione della Messa. 30 dicembre: si trasferisce con la moglie a Genova.

Arte e Cultura César Franck, Rédemption, poema sinfonico. Muore a Napoli il commediografo Pasquale Altavilla, autore fra l'altro di Li contraste tra duje mpressarie pe li mmuseche de li maste Verdi e Donizetti e Na famiglia ntusiasmata pe la museca de lo Trovatore. Friedrich W. Nietzsche, La nascita della tragedia. A. Daudet, Tartarino di Tarascona, romanzo. - G. Eliot, Middlemarch, romanzo. F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana. Henry Morton Stanley, Come trovai Livingstone. 1873 12 gennaio: Nikolaj A. Rimskij-Korsakov, La fanciulla di Pskov. 16 febbraio: Milano, Scala: Gomes, Fosca. 25 febbraio: nasce a Napoli Enrico Caruso. 29 aprile: muore a Milano il basso Ignazio Marini. Maggio: nasce la Società Orchestrale Fiorentina, diretta da Jefte Sbolci.

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22 maggio: muore a Milano Alessandro Manzoni. 29 maggio: Weimar: E Liszt, Christus, oratorio. Maggio: Verona, Arena: esordio di Eleonora Duse in Giulietta e Romeo di Shakespeare. 13 giugno: muore a Genova Angelo Mariani. 23 settembre: muore a Cecina Domenico Guerrazzi. Ottobre: l'Opéra è preda delle fiamme. 23 novembre: Trieste, Casino Schiller: esordio del giovanissimo pianista Ferruccio Weiss Busoni. 30 novembre: Bologna, Comunale: Stefano Gobatti: I Goti. Ministero della P. I., Istituti e società musicali in Italia. Statistica: l'indagine registra la presenza di 267 scuole di musica in gran parte mantenute dai municipi; 1.494 bande con 40.478 suonatori; 113 fanfare con 2.195 suonatori; 65 accademie filarmoniche con 4.849 soci; 6 società del quartetto con 391 soci. Il belga Meerens propone un diapason a 432 vibrazioni. Jules Verne, Il giro del mondo in ottanta giorni, romanzo. - É. Zola, Il ventre di Parigi, romanzo. Anatole France, I poemi dorati. Paul Cézanne, La casa dell'impiccato, dipinto. Antonio Stoppani, Corso di geologia. Paolo Mantegazza, Fisiologia dell'amore. L'editore Treves fonda la "Nuova Illustrazione Universale" (dal 1875 "L'Illustrazione Italiana").

Politica, Società, Scienza, Scoperte 1873 9 gennaio: muore a Chislehurst in Inghilterra Napoleone III. 1° maggio: si apre a Vienna l'Esposizione universale. 24 maggio: in Francia cade Thiers; la maggioranza conservatrice elegge presidente della repubblica il maresciallo Mac-Mahon, favorevole alla restaurazione monarchica. 9 luglio: si dimette Lanza; gli succede Minghetti. Vittorio Emanuele III va in Germania in visita ufficiale. 11 novembre: in Spagna Amedeo di Savoia, duca d'Aosta, abdica al trono per l'opposizione di conservatori e repubblicani. Viene istituita la Prima repubblica. Berlino: Russia, Austria e Germania si coalizzano nella "Lega dei tre imperatori" in difesa dell'ordinamento monarchico e per il mantenimento dello "status quo" nella penisola balcanica. Golgi individua le cellule nervose con metodo cromatico. Hansen isola per la prima volta un batterio. Michail Bakunin, Stato e anarchia. James Maxwell, Trattato sull'elettricità e il magnetismo. Cronologia 1874

Giuseppe Verdi 1874 Metà gennaio: assiste al Carlo Felice a una recita dei Promessi sposi di Ponchielli. 28 gennaio: alla Scala va in scena il Macbeth nella nuova versione. Metà febbraio: GV assiste al Carlo Felice di Genova a una recita dei Goti di Gobatti. 24 febbraio: il Consiglio comunale di Milano accetta l'offerta verdiana della Messa pro defunctis. 7 marzo: a Piroli a proposito dei Goti di Gobatti:"Sono scritti da uno che non sa nulla di musica né di poesia LI Se non studierà, Egli potrà avere le migliori idee del mondo, ma non gli serviranno a nulla, perché gli manca assolutamente la lingua per comprenderle"; e all'Arrivabene a proposito di Ponchielli:"sa la musica, ma nella sua Opera non v'è individualità". 11 marzo: protesta per le mutilazioni dell'Aida a Napoli; a Ricordi: "se avessi voluto fare il mercante, nissuno m'a-

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vrebbe impedito di scrivere dopo la Traviata un'opera all'anno, e formarmi una fortuna tre volte maggiore di quella che ho! Io aveva altri intendimenti d'arte (lo prova la cura che mi son preso per le ultime opere)". Marzo: fa una corsa a Milano per stabilire la chiesa in cui si eseguirà la Messa da Requiem, e sceglie quella di S. Marco. 16 aprile: termina la composizione della Messa. 2 maggio: arriva a Milano e inizia subito le prove della Messa. 10 maggio: è in trattative per far eseguire la Messa a Parigi. Metà maggio: in una corrispondenza dall'Italia Hans von Biilow giudica la Messa `una nuova emanazione del Trovatore'. 22 maggio: Milano, chiesa di S. Marco: prima esecuzione della Messa da Requiem sotto la direzione dell'autore. 25 maggio: la Messa viene eseguita alla Scala sotto la direzione di Franco Faccio. 26 maggio: parte per Parigi; vi arriva il 29, andando ad alloggiare all'Hotel de Bade e inizia subito le prove della Messa. 9 giugno: dirige la Messa da requiem all'Opéra-Comique. Fine giugno: con Giuseppina fa una corsa a Londra in vista di una possibile esecuzione della Messa. l ° luglio: rientra a Parigi e dopo una settimana parte per S.Agata dove arriva il 13. Fine agosto: Giuseppina si reca a Genova per il trasloco dei mobili da palazzo Sauli a palazzo Doria. Metà ottobre: alla Maffei:"I sessant'anni sono passati e non m'importa di loro, né di quelli che verranno, siano essi o molti o pochi... Sono nei campi dalla mattina alla sera, e non faccio null'altro, non leggo, non scrivo, nulla nulla nulla". 2 novembre: rifiuta di scrivere un inno "pel divino Ariosto". 15 novembre: viene nominato, ma solo per censo, senatore del regno. 21 novembre ca.: prende possesso dell'appartamento di palazzo Doria. Novembre: medita di riscrivere per la sola voce di contralto il "Liber scriptus" della Messa, già composto ed eseguito per coro a 4 voci. 1875 Gennaio: è in trattative con Ricordi per la tournée della Messa da Requiem a Parigi, Londra, Berlino e Vienna, e intanto scrive la nuova versione del "Liber scriptus". Il 31 gennaio la spedisce a Ricordi. 20 febbraio ca.: fa una corsa a Milano per definire la tournée della Messa. Il 25 rientra a Genova, per poi trasferirsi con la moglie il 3 aprile a S.Agata. 10 aprile: arriva a Milano e prova subito i cantanti per la tournée europea della Messa da Requiem. 12 aprile: parte da Milano, sosta a Torino e arriva a Parigi il 14 alloggiando all'Hotel de Bade. 19 aprile: dirige la Messa all'Opéra-Comique.

Arte e Cultura 1874 27 gennaio: muore a Milano Giuseppe Rovani. 8 febbraio: S. Pietroburgo, Marijnskij: Musorgskij, Boris Godunov. 7 marzo: Milano, Scala: Ponchielli, I Lituani. 21 marzo: Genova, Carlo Felice: Gomes, Salvator Rosa. 21 marzo: Bruxelles, Fantaisies-Parisiennes: Charles Lecocq, Giroflé-Girofla, operetta. 5 aprile: Vienna: Johann Strauss jr., Il pipistrello. Aprile: nasce la Società Orchestrale Romana diretta da Ettore Pinelli. 1 ° maggio: muore a Firenze Niccolò Tommaseo. 13 settembre: nasce a Vienna Arnold Schoenberg. Guerrazzi, Manzoni, Verdi e l'albo rossiniano, con note biografiche di B.E. Maineri. Vienna: Grillparzer, Libussa (postuma).

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Giuseppe Rovani, Le tre arti. Pedro Antonio de Alarcón, Il cappello a tre punte, romanzo. - Flaubert, La tentazione di Sant'Antonio, romanzo. - Nikolaj Leskov, L'angelo sigillato, romanzo. P Verlaine, Romanze senza parole. H. Schliemann, Le antichità troiane. Parigi: si inaugura nel laboratorio di Nadar il primo Salon dei pittori "impressionisti"; Claude Monet, Impressione, sole nascente; ean Renoir,// palco, dipinti. Quintino Sella promuove la restaurazione dell'Accademia dei Lincei. Politica, Società, Scienza, Scoperte 1874 Estate: tumulti popolari in Romagna e a Bologna, guidati da anarchici e internazionalisti. Pio IX pronuncia il "non expedit" che vincola i cattolici italiani ad astenersi dall'attività politica. In Spagna un colpo di stato militare abbatte la repubblica e restaura la monarchia ponendo sul trono Alfonso XII, figlio di Isabella II. In Svizzera viene introdotto l'istituto del referendum popolare. In Francia viene introdotto, sull'esempio russo, l'obbligo del servizio militare. In Gran Bretagna cade il governo Gladstone; gli succede il secondo ministero Disraeli. 30 novembre: nasce a Blenheim Winston Churchill. Il medico norvegese G.A. Hansen scopre il bacillo della lebbra. Convenzione di Berna: viene fondata l'Unione postale universale. 1875 5 gennaio: a Parigi viene inaugurato il nuovo Opéra, costruito dall'architetto Charles Garnier. 20 gennaio: Milano, Scala: Luigi Manzotti, Pietro Micca, ballo. 25 gennaio: S. Pietroburgo,T. Imperiale:A. Rubinstein, Il demone. 23 febbraio: Firenze, Pergola: Salvatore Auteri-Manzocchi, Dolores.

Politica, Società, Scienza, Scoperte 1874 Estate: tumulti popolari in Romagna e a Bologna, guidati da anarchici e internazionalisti. Pio IX pronuncia il "non expedit" che vincola i cattolici italiani ad astenersi dall'attività politica. In Spagna un colpo di stato militare abbatte la repubblica e restaura la monarchia ponendo sul trono Alfonso XII, figlio di Isabella II. In Svizzera viene introdotto l'istituto del referendum popolare. In Francia viene introdotto, sull'esempio russo, l'obbligo del servizio militare. In Gran Bretagna cade il governo Gladstone; gli succede il secondo ministero Disraeli. 30 novembre: nasce a Blenheim Winston Churchill. Il medico norvegese G.A. Hansen scopre il bacillo della lebbra. Convenzione di Berna: viene fondata l'Unione postale universale. 1875 Il presidente del consiglio Minghetti annuncia il raggiungimento del pareggio del bilancio. 10 ottobre: discorso di Stradella (Agostino Depretis). In Germania al congresso di Gotha nasce il partito socialdemocratico tedesco dalla fusione dell'associazione operaia fondata da Lassalle e del partito operaio fondato da Bebel e Liebknecht. Nella penisola balcanica la Bosnia-Erzegovina, sostenu- Cronologia 1876

Giuseppe Verdi Fine aprile: gli viene conferita la croce di Commendatore della Legion d'Onore. Maggio: richiesto dal comitato per le onoranze a Donizetti e Mayr di una composizione sacra da eseguirsi in occasione della traslazione delle ceneri dei due compositori nella cattedrale di Bergamo, GV rifiuta, considerando ormai cessata la sua attività di musicista. 8 maggio: parte alla volta di Londra.

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15 maggio: dirige la Messa da Requiem all'Albert Hall; per la prima volta viene eseguita la nuova versione del "Liber scriptus" per contralto solo. 2 giugno: parte da Londra alla volta di Vienna, via Parigi; prende alloggio all'HIStel Munsch. 11 giugno: dirige la Messa all'Hofoperntheater, alla presenza dell'imperatore Francesco Giuseppe, che gli conferisce la più alta onorificenza al merito culturale, la croce con stella dell'Ordine di Francesco Giuseppe. 19 giugno: dirige Aida (con i cantanti della Messa) all'Hofoperntheater. 22 giugno: visita il Conservatorio di Vienna; gli vengono mostrati gli autografi musicali di Beethoven e di Schubert. 26 giugno: parte da Vienna, sosta a Venezia e il 28 è di ritorno a S.Agata, irritato perché Ricordi non ha prolungato la tournée fino a Berlino. 10 luglio: la tournée della Messa, ora diretta da Faccio, prosegue al teatro Malibran di Venezia. Luglio: dopo essersi fatto mandare da Ricordi tutti i contratti dal Rigoletto in poi, apre una vertenza con l'editore per la constatata irregolarità nel pagamento dei noli dovutigli. 19 settembre: si conclude a Firenze la tournée della Messa. Ottobre: la Messa da requiem viene ripresa a Vienna sotto la direzione di Hans Richter; Richard Wagner e Cosima assistono da un palco all'esecuzione. 15 novembre: si reca a Roma per prestare giuramento al Senato e rientra subito a Genova. 29 dicembre: accomoda la vertenza con Ricordi chiedendo un indennizzo di 50.000 lire. 1876 5 febbraio: all'Arrivabene: giudica Gounod "grandissimo musicista, il primo Maestro di Francia, ma non ha fibra drammatica. Musica stupenda, simpatica, dettagli magnifici, ben espressa quasi sempre la parola... intendiamoci bene, la parola, non la situazione"; quanto al teatro "a repertorio" sul modello dell'Opéra e dei teatri di Germania, lo ritiene impraticabile in Italia. 4 marzo: si trasferisce da Genova a S.Agata. 15 marzo: all'Arrivabene:"io non voglio fare un proponimento, ma difficilmente scriverò ancora". 20 marzo: parte alla volta di Parigi. 22 marzo: giunto a Parigi inizia le prove dell'Aida in italiano. 22 aprile: dirige l'Aida al Teatro Italiano; intanto fa tradurre l'opera in francese. 26 aprile: a Piroli: "Sento che Nigra lascia Parigi! Peccato! Non troveranno Ambasciatore per qui migliore di lui" 30 maggio: dirige la Messa da Requiem al Teatro Italiano. 1° giugno: il suo Quartetto per archi viene eseguito in forma privata nell'appartamento di GV all'Hòtel de Bade, esecutori Sivori, Marsick, Delsart e Viardot. 7 giugno: GV parte da Parigi; si guastano i rapporti con Du Lode per inadempienze economiche di questi e cominciano a logorarsi quelli con Escudier a causa dei diritti d'autore. 18 giugno: rientra a S.Agata. 12 luglio: invia a Ricordi e a Escudier le bozze di stampa corrette del Quartetto per archi. Agosto: la nipote Maria termina gli studi al collegio di Torino. 15 agosto: si reca con la moglie a Torino.

Arte e Cultura 3 marzo: Parigi, Opéra-Comique: Bizet, Carmen. 7 marzo: nasce a Ciboure (Pirenei) Maurice Ravel. 10 marzo: Vienna, Hofoper: Karl Goldmark, La regina dí Saba. 3 giugno: muore a Bougival (Parigi) Georges Bizet. Agosto: Milano, Conservatorio: Alfredo Catalani, La falce," egloga orientale". 4 ottobre: Bologna, Comunale: risorge il Mefistofele di Boito in nuova versione. 26 dicembre: muore a Milano Emilio Praga. Grieg, Peer Gynt, musiche di scena. Karl Riemann, Musiklexicon. Hanslick, Die moderne Oper

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1875-1882: Giulio Carcano inizia a pubblicare una nuova versione italiana delle tragedie di Shakespeare. A. Maffei pubblica la traduzione italiana del Ratcliff di H. Heine. L. Capranica, Giovanni dalle Bande Nere, romanzo. Pasquale Villari, Lettere meridionali. 1876 3 gennaio: Roma, Valle: Cossa, Messalina, dramma, con musiche di scena di Luigi Mancinelli. 5 marzo: muore a Milano Francesco Maria Piave. I funerali vengono fatti a spese di Verdi. - Esce a Milano il primo numero del "Corriere della sera" fondato dal napoletano Eugenio Torelli-Viollier. 8 aprile: Milano, Scala: Ponchielli, La Gioconda. 8 giugno: muore a Nohant (Berry) George Sand. 14 giugno: Parigi, Opéra: Delibes, Sylvia, balletto. 13 agosto: Bayreuth: inaugurazione del Festspielhaus; Wagner, L'anello del Nibelungo. 3 novembre: muore a Napoli Luigi Settembrini. 4 novembre: J. Brahms, Prima Sinfonia op. 68 in Do magg. 28 dicembre: Napoli, Nuovo: De Giosa, Napoli di (ai, C. Franck, Les Bolides, poema sinfonico. G. B. Shaw inizia l'attività di critico musicale. Mark Twain, Le avventure di Tom Sawyer, romanzo. - J. Verne, Michele Strogoff, romanzo. Mallarmé, // meriggio di un fauno. William Morris, La storia di Sigurd il Volsungo, poema. Pierre-Auguste Renoir, ti mulino della Galette, dipinto.

Politica, Società, Scienza, Scoperte ta dalla Serbia, insorge contro i Turchi. La Gran Bretagna acquista la maggioranza delle azioni della Compagnia del canale di Suez. L'Italia e altre nazioni firmano la "convenzione del metro" con l'adozione del sistema metrico decimale introdotto in Francia all'inizio dell'Ottocento. 1876 18 marzo: cade il ministero Minghetti. 25 marzo: nasce il primo governo Depretis; e codesso la politica del "trasformismo". Novembre: elezioni generali in Italia. Dicembre: nasce a Reggio Emilia una Lega contro la tassa sul macinato. In Francia viene approvata la costituzione della Terza repubblica. Negli Stati Uniti gli Indiani, guidati da Toro Seduto, in lotta contro l'occupazione delle loro terre, annientano a Little Big Horn un reggimento di cavalleria guidato dal generale Custer. In Messico con un colpo di stato Porfirio Diaz instaura una dittatura personale che durerà, salvo un'interruzione, fino al 1911. la colonia inglese dell'India è costituita in impero. 1° luglio: muore a Berna Michail Bakunin. Thomas Alva Edison inventa il microfono a carbone. I: americano A. Graham Bell brevetta il telefono. Cronologia 1877

Giuseppe Verdi 20 agosto: annuncia a Piroli il fidanzamento della nipote Maria con il figlio del notaio Angiolo Carrara. Alberto: rientra a S.Agata. 27 ottobre: riceve da Morelli il dipinto Gli ossessi.

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Novembre: il Quartetto Fiorentino compie una tournée di oltre sei mesi in Austria, Italia e Germania, eseguendo fra l'altro il Quartetto di GV (a Vienna il 7 novembre, a Trieste il 24 novembre). 14 novembre: muore a Genazzano (Roma) l'amico scultore Vincenzo Luccardi. 3 dicembre: si trasferisce con Giuseppina a Genova. -Al Conservatorio di Milano il Quartetto Fiorentino esegue il suo Quartetto per archi. 14 dicembre: a Piroli:"non ho nulla a fare e non voglio far nulla". 1877 20 gennaio: è invitato da Ferdinand Hiller a dirigere la sua Messa al prossimo Festiva! del Basso Reno in Colonia. 21 marzo: all'Arrivabene:"Ora è difficile poter dire se Boito potrà dare all'Italia dei capolavori! Ha molto talento, aspira all'originalità ma riesce piuttosto strano. Manca di spontaneità e gli manca il motivo: molte qualità musicali. Con queste tendenze si può riuscire più o meno bene in un soggetto così strano, e così teatrale come il Mefistofele, più difficile nel Nerone!". Primi di aprile: dietro sua autorizzazione, il Quartetto viene eseguito al Krystall Palace di Londra da un'orchestra di 80 archi. 4 aprile ca.: si trasferisce con la moglie a S.Agata. 10 maggio ca.: parte con la moglie alla volta di Colonia. 21 maggio: dirige a Colonia la Messa da Requiem (a Piroli:"Stupenda esecuzione di masse, meschina per parte dei quattro cantanti"). Maggio-giugno: visita l'Olanda (a Piroli: "Triste e monotona tanto nella campagna come nelle città. Non monumenti: case parate a morto; canali orribilmente sporchi e fetenti. Si mangia male") e il Belgio, e ammira i dipinti di Rembrandt e di Rubens. Primi di giugno: arriva a Parigi, vi sosta per due settimane e assiste a rappresentazioni di opere di Gounod e di Massenet e a una commedia di Sardou. 19 giugno: rientra a S.Agata. Ottobre: scrivendo a Ricordi elogia Adelina Patti, "perfetto equilibrio fra la cantante e l'attrice. Artista nata in tutta l'estensione della parola". 2 novembre: a Clara Maffei:"Non m'occupo affatto di musica e dopo Cologne non ho fatto altro che fare il mestiere di Mastro Muratore. È un mestiere come un altro, che stanca, che poche volte diverte, e fa molto arrabbiare... Ma intanto la povera gente lavora: ne ha tanto bisogno!" 21 novembre: con la moglie si trasferisce a Genova. 5 dicembre: GV ringrazia Gino Monaldi per l'invio del suo opuscolo Verdi e le sue opere. Dicembre: trasloca al primo piano di palazzo Doria (a Hiller:"per fare meno scale ed avere un appartamento più grande"). 1878 8 febbraio: confida ad Arrivabene il suo parere sull'opuscolo di Monaldi:"È pieno d'inesattezze!" 12 febbraio: a Clara Maffei:"Povero Papa! Certamente io non sono per il Papa del Sillabo, ma sono per il Papa dell'amnistia, e del Benedite, Gran Dio, l'Italia...[...] I: hanno accusato d'aver indietreggiato, d'aver mancato di coraggio e di non aver saputo imbrandire la spada di Giulio II. Per fortuna! Ammettendo anche nel '48 egli avesse potuto scacciare gli austriaci d'Italia, cosa avressimo ora? Un governo di preti! [...] Meglio così!...Tutto quello che ha fatto di bene e di male è riuscito ad utile del paese". Febbraio-marzo: riceve a Genova la visita della pianista Maria Wieck, sorellastra di Clara, la vedova di Schumann, che suona per lui.

Arte e Cultura C. Lombroso, L'uomo delinquente. A Parigi, sulla collina di Monmartre, viene eretta la chiesa del Sacro Cuore. 1877 4 marzo: Mosca, Bol'soj: P I. Ciajkovskij, Il lago dei cigni, balletto. 5 aprile: Parigi, Opéra-Comique: Gounod, Cinq-Mars.

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7 aprile: muore a Genova Errico Petrella. 27 aprile: Parigi, Opéra: Massenet, II re di Lahore. 28 aprile: Anton Bruckner termina la Wagner-Symphonie. Agosto: nasce la Società Orchestrale di Genova. 25 novembre: Roma,Valle: P Cossa, Cleopatra, poema drammatico, con Intermezzi musicali di Mancinelli. 2 dicembre: Weimar: Saint-Saéns, Sansone e Dalila. 10 dicembre: muore a Conegliano Veneto Federico Ricci. 30 dicembre: Brahms, Seconda Sinfonia. 31 dicembre: muore a Milano Alberto Mazzucato. Tolstoj, Anna Karenina, romanzo. - É. Zola, L'ammazzatoio, romanzo. Boito, Il libro dei versi. - G. Carducci, Odi barbare. Mario Rapisardi, Lucifero, versi. - Lorenzo Stecchetti (pseud. di Olindo Guerrini), Postuma, poesie. Alessandro D'Ancona, Le origini del teatro in Italia. H. Spencer, Princìpi di sociologia. Don Giovanni Bosco, // sistema preventivo nella educazione della gioventù. 1878 8 gennaio: Torino, Regio: Manzotti, Sieba o La spada di Wodan, azione coreografica, musica di Romualdo Marenco. 15 gennaio: muore a Cernobbio Carlo Blasis, coreografo e teorico della danza. 21 aprile: muore a Milano Temistocle Solera. Giugno: al Trocadero di Parigi rassegna delle principali orchestre europee, fra cui quella della Scala.

Politica, Società, Scienza, Scoperte 1877 12 marzo: Pio IX pronuncia un'allocuzione di condanna delle principali leggi e atti del governo italiano. 15 luglio: viene varata la legge Coppino per l'istruzione obbligatoria dei fanciulli dai sei ai nove anni. In Italia inizia l'inchiesta agraria da parte di una commissione parlamentare coordinata da Stefano Jacini. Ottobre: un colpo di stato del presidente Mac-Mahon porta al successo dei repubblicani. Ottobre: si tiene a Bologna il primo Congresso nazionale operaio. Scoppia una guerra tra Russia e Impero Ottomano per il predominio nei Balcani e il controllo degli Stretti. Nell'Africa del Sud, dopo la scoperta di importanti giacimenti diamantiferi, gli inglesi annettono la repubblica boera del Transvaal. In Giappone fallisce una ribellione di samurai contro l'imperatore; la casta dei samurai viene abolita. T.A. Edison inventa il fonografo meccanico a cilindro. Giovanni Virginio Schiaparelli delinea una carta del pianeta Marte. L'inglese D. E. Hughes realizza il microfono a polvere di carbone. 1878 9 gennaio: muore a Roma Vittorio Emanuele II; gli succede il figlio Umberto I. 2 febbraio: muore a Roma Pio IX; gli succede Leone XIII. Marzo: Depretis si dimette; gli succede Benedetto Cairoli. 31 marzo: con la pace di S. Stefano la Turchia riconosce la sovranità russa sull'Armenia e sulla Bessarabia, e la

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Cronologia 1879

Giuseppe Verdi 12 marzo: a Piroli:"la miseria è molta; è cosa grave e può diventare gravissima compromettendo anche la sicurezza pubblica. Si tratta di fame!!! [...] Se voi vedeste [...1 da noi quanti poveri, e fra questi quanti giovani robusti, che domandano lavoro, e non trovandolo domandano la carità di un tozzo di pane!". Metà marzo: trascorre con la moglie un paio di giorni a Montecarlo. 19 marzo: a Clara Maffei:"Voi, proprio voi, mi consigliate a scrivere! [.. 1 Il risultato sarebbe ben meschino. Sentirei da capo a dirmi che non ho saputo scrivere, e che son diventato un seguace di Wagner. Bella gloria! Dopo quasi quarant'anni di carriera finire imitatore!". 6 aprile: parte da Milano alla volta di Parigi. Primi maggio: è di ritorno a Genova. 1 ottobre: viene celebrato il matrimonio di Maria Verdi con Alberto Carrara. Fine novembre: ritorna a Parigi per visitare l'esposizione universale; ascolta all'Opera il Polyeucte di Gounod. Quindi rientra a S.Agata. 10 dicembre ca.: si trasferisce a Genova. 1879 30 marzo: all'Arrivabene:"sono andato a sentire il Mefistofele, ed ho capito tutto di traverso". Fine marzo: riceve una visita di Boito. Metà aprile: parte da Genova per rientrare a S.Agata. 2 maggio: a Ricordi che insiste nel riproporre il Simon Boccanegra alla Scala con alcune modifiche:"Ora nulla di più inutile al Teatro che un'opera mia... e poi, e poi, è meglio finire coll'Aida e colla Messa che con un' arrangement..." 11 giugno: a Piroli a proposito dell'alluvione: "Le nostre disgrazie non sono così forti come il Mantovano e Ferrarese, ma in ogni modo i raccolti tutti sono quasi perduti [...] Ed intanto il Governo pensa ad aumentare le impo- ste, a far spese di guerre, a far Strade Ferrate non di prima necessità [alludendo al progetto di ferrovia fra Cremona e Busseto]". 23 giugno: inizia alla Scala le prove della Messa da Requiem. 30 giugno: dirige la Messa alla Scala a beneficio delle vittime dell'inondazione del Po; rientrato alflifitel Milan, l'orchestra della Scala, guidata da Faccio, gli dedica una serenata. 1° luglio ca.: nel corso di un pranzo Giulio Ricordi accenna a un progetto di libretto di Boito dall'Otello di Shakespeare.

Arte e Cultura 12 luglio: Lucca, chiesa di S. Apolino: Giacomo Puccini, Messa di Gloria. 7 ottobre: Parigi, Opéra: Gounod, Polyeucte. Hector Malot, Senza famiglia, romanzo. Carlo Dossi, Desinenza in '21". Nietzsche, Umano, troppo umano. Alessandro d'Ancona: La poesia popolare in Italia. Tranquillo Cremona, L'edera, dipinto. Lo scultore Vincenzo Gemito si afferma con successo al Salon di Parigi presentando Il pescatorello. Minghetti, Stato e Chiesa. John W. S. Rayleigh, Teoria del suono. Viene fondato a Roma il quotidiano "Il Messaggero". 1879 1 ° gennaio: Lipsia: Brahms, Concerto per violino e orchestra. 19 gennaio: Torino, Regio: Giovanni Bottesini, Ero e Leandro, libretto di A. Boito. 1° febbraio: Vienna, Carltheater E von Suppé,Boccaccio, operetta.

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6 febbraio: Milano, Scala: prima rappr. italiana del Re di Lahore di Massenet. 11 febbraio: Madrid, Real: E. Usiglio, Le donne curiose. 15 febbraio: Torino, Regio: Ferdinando Pratesi, L'astro degli Afghan, azione fantastica, musica di R. Marenco. 14 marzo: nasce a Ulm Albert Einstein. 20 marzo: Mosca: Ciajkovskij, Evgenij Onegin. Marzo: nasce la Società Orchestrale del Teatro alla Scala diretta da Franco Faccio. 10 aprile: muore a Milano Bartolomeo Merelli. Maggio: Vaucorbeil viene nominato direttore dell'Opéra di Parigi.

Politica, Società, Scienza, Scoperte sua influenza sui Balcani. La Gran Bretagna rifiuta la pace di S. Stefano; nascono dissidi fra Russia e Austria per l'influenza sui Balcani. Aprile: abortisce nel Matese il tentativo di un'insurrezione popolare guidata da internazionalisti. 13 giugno - 13 luglio: al congresso di Berlino viene discussa "la questione d'Oriente"; il trattato di S. Stefano viene modificato a svantaggio della Russia; vengono confermate l'indipendenza della Romania e della Serbia, e viene costituito il nuovo stato della Bulgaria. La Gran Bretagna ottiene Cipro dalla Turchia, la Russia la sola Bessarabia, l'Austria l'amministrazione della Bosnia-Erzegovina. 8 agosto: viene ucciso sul monte Labro in Toscana Davide Lazzaretti, riformatore religioso, fondatore di una "repubblica di Dio". Il suo movimento viene represso con le armi. Ottobre: in Germania per iniziativa di Bismarck vengono promulgate leggi eccezionali contro il movimento socialista. Terrorismo in Europa: attentati contro Guglielmo I di Germania e Alfonso XII di Spagna. 17 novembre: a Napoli attentato del cuoco Giovanni Passanante, repubblicano, contro Umberto I. Bombe di aderenti repubblicani a Firenze e a Pisa. 11 dicembre: cade il governo Cairoli sostituto da Depretis. Secondo un censimento del ministero di agricoltura industria e commercio esistono in Italia 2.091 società di mutuo soccorso. T A. Edison inventa la lampadina a incandescenza. Il tedesco K. Benz costruisce un triciclo con motore a scoppio. In Inghilterra il metodista W. Booth fonda l'"Esercito della salvezza". 1879 In Italia vengono perseguitati repubblicani e socialisti, con numerose e durissime condanne. Primi di giugno: abbondanti piogge causano una disastrosa alluvione del Po; particolarmente gravi i danni arrecati nelle terre del mantovano e del ferrarese. In Francia Mac-Mahon è costretto alle dimissioni. Viene stipulata un'alleanza difensiva fra Germania e Austria in funzione anti-russa. Fondazione del Partito Operaio Francese. Scoppia la guerra del Pacifico fra Cile, alleato con l'Argentina, e il Perù, alleato con la Bolivia. 21 dicembre: nasce in Georgia Josif Stalin. Karl Friedrich Benz inventa un motore a combustione interna alternativo a due tempi. Il tedesco Georg Cantor elabora la teoria degli insiemi. K. Fahlberg scopre la saccarina, mettendone poi a punto il primo processo di sintesi. Cronologia 1880 Giuseppe Verdi 2 luglio ca.: Verdi riceve Boito, che gli illustra il libretto di Otello. Pochi giorni dopo Boito gli reca lo schizzo; dopo averlo esaminato il maestro lo giudica eccellente. 5 agosto: nasce Giuseppina, figlia di Maria e Alberto Carrara.

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3 settembre: GV a Filippi:"Pel momento non ho nissuna volontà di scrivere; ma domani potrei benissimo mettermi al lavoro sia d'un'Opera, d'un Salmo, d'una Messa, E...] magari d'un'Opera buffal... Un'Opera buffa mia sarebbe cosa divertente assai... almeno prima d'andare in scena". 4 settembre: a Ricordi, sconsigliandolo dal venire con Boito a S.Agata per discutere di Otello:"voi siete già andato troppo oltre, e bisogna fermarsi prima che nascano pettegolezzi e disgusti. A mio avviso, il miglior partito LI è quello di mandarmi il Poema fmito, affinché io lo possa leggere, e manifestare con calma la mia opinione senza che questa impegni nissuna delle due parti". 3-4 ottobre: riceve la visita di Vaucorbeil; gli accorda il consenso di rappresentare l'Aida all'Opera. 19 ottobre: Carnale Saint-Saéns deplora in un articolo sul "Voltaire" che l'Opera spenda tempo e denaro per un'opera senza avvenire come Aida; nel quadro di un progressivo deterioramento dei rapporti italo-francesi, l'articolo suscita polemiche; le trattative del Regio di Torino per rappresentare il Sansone e Dalila (opera ancora sconosciuta in Francia) vengono sospese in attesa di occasione più propizia. Primi di novembre: vengono alla luce alcune malefatte compiute da Mauro Corticelli nei confronti di una domestica del maestro. 1 8 novembre: GV riceve da Boito il libretto di Otello. 20 novembre: a Milano per pochi giorni, discute con Boito il libretto dell'Otello; ne fa acquisto e per il momento lo ripone in portafoglio. 2 dicembre: Boito fa atto di cessione a GV del libretto di Otello, ponendo la propria penna a disposizione di tutte quelle modifiche che al maestro parranno necessarie. 18 dicembre: Giuseppina informa l'amica Negroni Morosini Prati dell'acquisto del libretto di Otello:"lo comperò ma lo mise accanto al Re Lear del Somma, che dorme da trent'anni nel suo Portafoglio, sonni profondi e non turbati. Cosa succederà di quest'Ote//o? Se sa minga.Vorrei che Verdi potesse lasciarlo dormire come il Re Lear altri trent'anni, e poi si sentisse tanto vigore e coraggio da musicarlo a gloria dell'arte sua". 23 dicembre: Mauro Corticelli lascia definitivamente S.Agata. 23 dicembre: GV spedisce a Ricordi il Pater noster "volgarizzato da Dante" per coro a cinque parti. 1880 27 gennaio: spedisce a Ricordi l'Ave Maria,"volgarizzata da Dante", per voce sola e archi. 12 febbraio: parte con Giuseppina per Parigi e inizia le prove per l'Aida in francese all'Opéra; apporta un'aggiunta ai ballabili del secondo atto. 22 marzo: dirige Aida in francese all'Opera. Viene nominato Grand Ufficiale della Legion d'onore. 5 aprile: partito da Parigi, sosta una settimana a Torino per visitarvi l'esposizione. 1 1 aprile: gli viene conferito da Umberto I il titolo di Cavaliere di Gran Croce. 12 aprile: si reca a Milano per iniziare le prove del Pater noster e dell'Ave Maria. 18 aprile: Milano, Scala: prima esecuzione del Pater noster e dell'Ave Maria, entrambi su testo da GV ritenuto "vol- garizzato da Dante"; al maestro viene conferita la cittadinanza onoraria milanese. Allo scultore Francesco Barzaghi viene affidato l'incarico di fare una statua marmorea di GV da collocare, con quella di Bellini, nell'atrio della Scala accanto alle statue di Donizetti e di Rossini. 20 aprile: GV rientra a Genova. Il 4 maggio si trasferisce con Giuseppina a S.Agata. Poi torna a Torino per visitare l'esposizione. 22 luglio: a Milano Corticelli tenta il suicidio gettandosi nel naviglio, ma viene subito salvato; GV lo soccorrerà con un mensile. 15 agosto: ricevute da Boito le modifiche al libretto di Otello, gli propone una modifica al finale del 3° atto: un

Arte e Cultura 1° novembre: Amburgo, Stadttheater: A. Rubinstein, Nerone. 15 novembre: Napoli, Bellini: prima rappr. italiana della Carmen di Bizet.

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9 dicembre: muore a Roma Emilio Angelini, primo violino e direttore d'orchestra molto apprezzato da GV. Bedrich Smetana, La Moldava, poema sinfonico. Ibsen, Casa di bambola, dramma. - Edoardo Ferravilla, La class di asen, commedia in dialetto milanese. - Meredith, L'egoista, romanzo. August Strindberg, La camera rossa, romanzo. G. Carducci, Giambi ed epodi, poesie. - Gabriele d'Annunzio, Primo vere, poesie. G. Dupré, Pensieri sull'arte e ricordi autobiografici. Vengono scoperte le pitture preistoriche delle grotte di Altamira in Spagna. Viene fondato a Roma il periodico "Fanfulla della Domenica". Politica, Società, Scienza, Scoperte L. Pasteur scopre il principio della vaccinoprofilassi. L'inglese H. J. Lawson costruisce la prima bicicletta a due ruote uguali, dotate di catena di trasmissione. Werner von Siemens costruisce il primo tram elettrico. 1880 13 gennaio: Firenze, Pagliano:Auteri-Manzocchi, Stella. 21 febbraio: Venezia, Fenice: Luigi Ricci jr: , Cola di Rienzo. 20 marzo: Milano, Manzoni: Eugenio Checchi, // piccolo Haydn, commedia. 7 aprile: muore a Parigi Marie Escudier. Agosto: festa di Piedigrotta: Luigi Denza, Funicolì funicolà, canzone per l'inaugurazione della funicolare del Vesuvio. 29 settembre: nasce a Parma Ildebrando Pizzetti. 5 ottobre: muore a Parigi Jacques Offenbach. 26 dicembre: Milano, Scala: Ponchielli,11 figliuol prodigo. 26 dicembre: Brahms, Ouverture tragica. Dicembre: l'editore Sonzogno fonda il mensile "Il Teatro illustrato". 28 dicembre: Parigi, Bouffes-Parisiens: Edmond Audran, La mascotte, operetta. C. Franck, Les béatitudes, oratorio. Wagner completa La mia vita.

Politica, Società, Scienza, Scoperte L. Pasteur scopre il principio della vaccinoprofilassi. L’inglese H.J. Lawson costruisce la prima bicicletta a due ruote uguali dotate di catena di trasmissione. Werner von Siemens costruisce il primo tram elettrico. 1880 In Francia vengono varate riforme a carattere laico e repubblicano; amnistia per i "comunardi", scioglimento dell'ordine dei Gesuiti, si celebra per la prima volta come festa nazionale la presa della Bastiglia; la Marsigliese diventa inno nazionale. In Gran Bretagna cade il governo Disraeli; gli succede Gladstone. In Inghilterra l'istruzione primaria viene resa obbligatoria. Nell'Africa del sud i Boeri delTransvaal entrano in guerra contro gli Inglesi. Inizia l'occupazione francese e belga del Congo. Esposizione internazionale di Parigi. Francesco Negri realizza un apparecchio per la microfotografia e il teleobiettivo. Il medico francese Charles Laveran identifica il plasmodio, protozoo agente della malaria. Cronologia 1881

Giuseppe Verdi assalto improvviso dei turchi;"il pezzo musicale vi sarebbe", ma "il Critico avrebbe molte osservazioni a fare. L.] Sono scrupoli questi, o serie osservazioni?". 7 settembre: a Ricordi, che vorrebbe venire a S. Agata con Boito per l'Otello, Giuseppina raccomanda pazienza: "Si può dire che Verdi è entrato alla cieca e senza volerlo in questa specie di rete. [...] da una semplice parola lanciata col bicchiere dell'allegria alla mano è nato un libretto. Verdi lo ha preso, e benché senza impegno l'ho più volte sentito dire, non senza malumore: lo mi lego troppo [...] non voglio esser costretto a fare quello che non vorrei".

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14 settembre: all'Arrivabene:"Ho molte case coloniche in ruina [...]. Mi sono messo in mente, tanto che vi è tempo, di ripararle, di fabbricarne [...]. Così io faccio l'architetto, il mastro-muratore, il fabbro-ferraio, un po' di tutto. [...] del perfido Jago non si parla per ora". 14 ottobre: nel ricevere una nuova versione del Finale Terzo di Otello sollecita Boito a rispondere agli "scrupoli" manifestati nella lettera di agosto. 18 ottobre: Boito, pur non rifiutando la proposta del maestro in quanto la musica "ha una logica sua propria", la sottopone a una serrata analisi drammaturgica osservando: "Quell'attacco dei Turchi mi dà l'impressione come d'un pugno che rompe la finestra d'una camera dove due persone stavano per morire asfissiate". Metà novembre: GV con la moglie si trasferisce a Genova. 20 novembre: a Ricordi, che nuovamente insiste per dare Simon Boccanegra alla Scala, fa presente la necessità d'avere cantanti esperti; inoltre lo spartito, "troppo triste troppo desolante", richiede radicali modifiche, rifacendo il secondo atto. Quanto al secondo atto, chi potrebbe rifarlo? e come? Si sovviene di due lettere di Petrarca che implora il Doge di Venezia e il Doge di Genova di non intraprendere una guerra fratricida:"Sublime questo sentimento d'una Patria Italiana in quell'epoca!". 24 novembre: Ricordi comunica al maestro che quanto al libretto del Simone Boito gli si è dichiarato "pronto a fare tutto ciò che Verdi può desiderare". 2 dicembre: GV apprezza il nuovo Finale Terzo con lo svenimento di Otello; ma intanto sollecita Boito a pensare alla revisione del libretto del Simone. 8 dicembre: Boito propone e illustra due idee per la revisione del Simone: o la scena del Senato, con la citazione delle lettere di Petrarca, o quella della chiesa di S. Siro; ma non nasconde che il compito è assai arduo:"ll dramma che ci occupa è storto, pare un tavolo che tentenna, non si sa da che gamba. [...] Non trovo in questo dramma nessun carattere di quelli che ci fanno esclamare: è scolpito! [...] V'è molto intrigo e non molto costrutto". 1 1 dicembre: o il Senato o S. Siro o far nulla; GV risponde a Boito che ragioni professionali non gli consentono di abbandonare il progetto di aggiustare il Simone; trova stupendo l'atto di S. Siro, ma per motivi di tempo bisogna attenersi alla Scena del Senato:"Infine tentiamo [...]. Noi non siamo poi tanto inesperti, da non capire, anche prima, cosa sarà per succedere sul Teatro". 28 dicembre: riceve da Boito la Scena del Senato, che trova bellissima, "piena di movimento, di color locale. con versi elegantissimi e potentissimi". 1881 8 gennaio: GV comunica a Boito i pezzi del Simone che intende cambiare o togliere, e chiede nuovi versi per le parti da rifare. 9-17 gennaio: serrata corrispondenza fra GV e Boito per il rifacimento del libretto del Simone. 5 febbraio: GV a Boito:"Non abbiamo finito!!!!"; continua la revisione del Simone con nuovi ritocchi al primo e al terzo atto. Allo stesso tempo Boito osserva che "ora è la quarta gamba che tentenna", cioè l'ultimo atto. 6 febbraio: acconsente ad aggiustare anche la "quarta gamba". 9 febbraio: compie un rapido viaggio a Milano per sentire una replica dell'Emani alla Scala onde giudicare i cantanti previsti per il prossimo Boccanegra. Rientra subito a Genova. 15 febbraio: "Non abbiamo ancor finito!"; 0V e Boito affrontano gli ultimi aggiustamenti al libretto. 21 febbraio: 0V porta a termine la revisione del Simone. Intanto a una proposta di Ricordi per l'allestimento della luminaria nell'ultimo atto, risponde scettico: "io non ho mai avuto la fortuna di vedere ben montata una mia opera alla Scala... Perfino l'Aida flì meglio rappresentata in una piccola città di Provincia, Parma, che a Milano". 24 febbraio: si reca con Giuseppina a Milano per iniziare le prove del Simone alla Scala.

Arte e Cultura Francesco Paolo Tosti viene nominato maestro di canto della casa reale inglese. John Hullah„Storia della musica moderna, trad. it. di A. Visetti.

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Giuseppe Gabusi espone un nuovo trombone, il gabusifono. E Dostoevskij, I fratelli Karamazoff, romanzo. - Zola, Nana, romanzo. Paolo Mantegazza, Fisiologia del piacere. Arnold Bócklin, L'isola dei morti, dipinto. - Federico Zandomeneghi, Place d'Anvers, dipinto. 1881 4 gennaio: Brahms, Ouverture accademica. 17 gennaio: muore al Cairo l'egittologoAuguste Mafiettc Gennaio: nasce la Società Orchestrale di Napoli diretta da Giuseppe Martucci. Febbraio: Romeo Orsi presenta il clarinetto a doppia tonalità (Si bem. e La). 10 febbraio: Parigi, Offenbach, I racconti d'Hoffmann. 1 1 febbraio: Milano, Scala: Manzotti, Excelsior, ballo, musica di R. Marenco. 22 marzo: va in fiamme il teatro di Nizza; numerose le vittime. 25 marzo: nasce in Transilvania Béla Bartók. 28 marzo: muore a S. Pietroburgo Modest P Musorgskij. 30 marzo: muore a Roma l'impresario Vincenzo Jacovacci.

Politica, Società, Scienza, Scoperte 1881 1° marzo: viene assassinato lo zar Alessandro II; gli succede il figlio Alessandro III, fautore di una politica reazionaria. Maggio: i Francesi occupano Tunisi, e ne impongono il protettorato, suscitando la viva irritazione del governo italiano, che inizia un avvicinamento a Prussia e Austria. 3 agosto: la Gran Bretagna riconosce l'autonomia del Transvaal. Nuovo accordo tra Prussia, Austria e Russia sulla "questione d'Oriente". In Francia viene introdotta la scuola primaria gratuita e laica. A Londra si tiene il congresso anarchico. Nel Sudan scoppia una rivolta antiegiziana guidata dal Mahdi. Esposizione industriale di Milano. Cronologia 1882

Giuseppe Verdi 24 marzo: Milano, Scala: prima rappr. del Simon Boccanegra nella nuova definitiva versione. 30 marzo: dopo la terza recita del Simone GV e consorte rientrano a Genova. Marzo: Vincenzo Torelli comunica a GV la notizia della morte dell'amico Cesarino De Sanctis. 3 aprile: GV si reca per alcuni giorni a S.Agata. Il 27 torna a Milano con la moglie per visitare l'Esposizione; quindi rientra a S.Agata. 27 maggio: all'Arrivabene alludendo all'occupazione di Tunisi.da parte dei Francesi:"Credi tu che vorrei andare in questo momento in quel paese [Francia]? Mai!... per tutto l'oro del mondo! Abbiamo ricevuto un gran schiaffo!". 7 giugno: a Giuseppe Perosio, che lo informa del successo di Attila a Genova:"Voi siete molto indulgente: non crediate però che io disdegni troppo i lavori di quell'epoca. Certo che ora non li farei, né vorrei farli in quel modo, pure...". 17 giugno: Boito lo informa d'aver ripreso a lavorare al libretto di Otello. 5 luglio: GV riceve a S. Agata una visita di Boito insieme a Faccio e a Giulio Ricordi; tema principale dei colloqui uno scambio d'idee sull'"ultimo punto dubbioso" del libretto di Otello. 24 agosto: Boito presenta a GV una nuova stesura del Finale Terzo di Otello, con la parte lirica e quella drammatica fuse insieme:"La figura principale del lato lirico è Desdemona, la figura principale del lato drammatico è Jago". 27 agosto: GV risponde approvando:"Molto moltissimo bene il Finale. Quanta differenza da questo al primo!". 30-31 agosto ca.: torna a Milano per visitare le due Esposizioni, Industriale e Artistica, allestite ai Giardini Pubblici.

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1° settembre: s'incontra con Boito; insieme vanno a visitare lo stabilimento Pelati, costruttore di strumenti d'ottone; visita inoltre al Conservatorio l'Esposizione Musicale, dove incontra Henri Herz, celebre pianista e costruttore di pianoforti, cui suona alcune battute di una sua composizione che aveva suonato all'esame di ammissione al Conservatorio milanese. 24 settembre: insiste col pittore Morelli perché faccia un ritratto di Jago: "se io fossi Attore, ed avessi a rappresentare Jago, io vorrei avere una figura piuttosto magra e lunga, labbra sottili, occhi piccoli vicini al naso come le scimie, la fronte alta che scappa indietro, e la testa sviluppata di dietro: il fare distratto, nonchalant, indifferente a tutto, frizzante, dicendo il bene e il male con leggerezza ed avendo l'aria di non pensare nemmeno a quel che dice". 25 ottobre: nell'atrio della Scala di Milano si tiene la cerimonia d'inaugurazione delle statue di Bellini e di GV. 29 ottobre: GV alla Maffei:"m'occupo di campi, di fabbriche, di terreni, e così passa la giornata senza fare forse niente d'utile". 22 novembre: con la moglie si trasferisce a Genova. 10 dicembre ca.: in vista della ripresa del Simon Boccanegra alla Scala, si reca con Giuseppina a Milano per risistemare l'orchestra e ridefinire la messinscena. Il 22 fa ritorno a Genova. 25 dicembre: per stimolare GV a comporre l'Otello, Ricordi ricorre all'espediente di inviargli per Natale un panettone con sopra disegnato un moro di cioccolata. 1882 21 gennaio: rifiuta di far parte della commissione per l'arte musicale e drammatica istituita dal ministro Baccelli, ma invia alcuni suggerimenti a Piroli, osservandogli fra l'altro (2 febbraio):"La nostra musica, a differenza della Tedesca, che può vivere nelle Sale colle Sinfonie, negli appartamenti coi quartetti, la nostra, dico, ha il suo seggio principalmente neiTeatri". 2 maggio: si reca a Parigi per controllare la questione dei suoi diritti d'autore dopo la morte di Léon Escudier e per affrontare il problema della riduzione di Don Carlos con il librettista Nuitter, il quale in realtà funge da tramite fra GV e Du Lock, i loro rapporti essendosi guastati dopo Aida. 18 maggio: parte da Parigi; sosta a Torino; arriva a S.Agata il 21. 14 giugno: informa Nuitter che nella riduzione di Don Carlos da 5 a 4 atti non è solo necessario tagliare, ma anche modificare alcune cose; in particolare l'imbroglio del Frate "mezzo ombra e mezzo uomo" e il duetto Posa - Filippo. da rifare completamente. 18 giugno: per la prima volta si reca alle cure termali di Montecatini con la consorte e con Teresa Stolz, prendendo alloggio alla Locanda Maggiore. Il 10 luglio ca. rientrano a S.Agata.

Arte e Cultura Aprile - maggio: Mostra musicale di Milano all'interno dell'Esposizione industriale. 25 maggio: il Mefistofele di Boito ritorna nella nuova versione alla Scala, e ottiene successo. 1 1 giugno: Praga, inaugurazione del Teatro Nazionale: B. Smetana, Libussa. 16-22 giugno: Milano, Congresso dei musicisti italiani: le questioni riguardano gli strumenti d'orchestra (contrabbasso a 4 corde, corno naturale e a macchina, trombe e cornette, clarinetto, trombone, bass-tuba) e l'unità del diapason (prevale il parere a favore del diapason a 864 vibrazioni semplici). 22 giugno: muore a Parigi Léon Escudier. Luglio: Carlo Collodi inizia a pubblicare a puntate sul "Giornale per i bambini" le Avventure di Pinocchio. Storia di un burattino. 30 agosto: muore a Livorno Pietro Cossa. 24 ottobre: Roma, Valle: E. Cavallotti, Il "Cantico dei Cantici", commedia in versi. 17 novembre: Parigi, Vaudeville: Sardou, Odette, commedia. 8 dicembre: incendio del Ringtheater di Vienna, che provoca 400 vittime. 29 dicembre: esce a Trieste il primo numero del quotidiano "Il Piccolo ". Nasce a Roma la Società del Quintetto fondata da Giovanni Sgambati. Giuseppe Pelitti sr. costruisce il "trombone contrabbasso Verdi" dietro suggerimento del maestro. Ibsen, Gli spettri, dramma.

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A. Fogazzaro, Malombra, romanzo. - A. France, Il delitto di Silvestro Bonnard, romanzo. - Neera (Anna Radius Zuccari), Castigo, romanzo. - Giovanni Verga, I Malavoglia, romanzo. Guy de Maupassant, La casa Tellier, racconti. Gemito, L'acquaiolo, scultura. 1882 10 gennaio: muore lo scultore Giovanni Dupré. 7 febbraio: Milano, Scala: Antonio Smareglia, Bianca di Cervia. 10 febbraio: S. Pietroburgo: Rimskij-Korsakov, La fanciulla di neve. 11 febbraio: muore il pittore Francesco Hayez. 18 marzo: nasce a Venezia Gian Francesco Malipiero. 14 aprile: Parigi, Opéra:Thomas, Francesca da Rimini. 18 giugno: nasce a Oranienbaum (Pietroburgo) Igor Strawinsky. Giugno: Arthur Pougin, Giuseppe Verdi. Vita aneddotica, con note ed aggiunte di Folchetto.

Politica, Società, Scienza, Scoperte 1882 In Italia viene varata la legge per l'allargamento del voto elettorale (da 600.000 a 2 milioni di elettori). 30 gennaio: nasce a Hyde Park Franklin Delano Roosevelt. 25 maggio: viene firmata segretamente a Vienna la Triplice Alleanza fra Germania, Austria-Ungheria e Italia "per il sistema dell'ordine su basi monarchiche e contro la repubblica sociale". 2 giugno: muore a Caprera Giuseppe Garibaldi. Giugno: agitazioni e scioperi di contadini nelle campagne della bassa parmense e del cremonese; si invoca la repubblica. Giugno: scoppia in Alessandria d'Egitto una violenta rivolta contro gli europei. Cronologia 1883

Giuseppe Verdi 16 agosto: a lloito che gli comunica il desiderio manifestatogli da un critico musicale di prenotarsi per la traduzione francese dilago, accenna alla difficoltà di tradurre il verso sciolto italiano essendo i francesi "obbligati alla rima" e risultando quindi "quasi impossibile conservare il senso letterale, colla frase e l'accento musicale": ma infine "perché parlare ora d'un'opera che non esiste?". 21 settembre: dopo aver ricevuto da Nuitter il progetto analitico delle modifiche da apportare al Don Carlos, propone di sopprimere il primo atto. 23 settembre: inizia un fitto carteggio con Nuitter per il rifacimento di Don Carlos; basandosi sulla traduzione di Maffei, GV cerca di ripristinare nel duetto Posa - Filippo il testo originale di Schiller. 16 ottobre: decide di fare una seconda partitura di Don Carlos e si fa mandare da Ricordi copia della partitura della precedente versione. 28 ottobre - 16 novembre: è ancora alle prese col rifacimento del duetto Posa - Filippo, che gli"dà grandissimo pensiero". 20 novembre ca.: si trasferisce con la moglie a Genova.Affronta le modifiche del quarto atto, ora diventato terzo. 1° dicembre: nel proporre il taglio delle prime scene del vecchio quarto atto, precisa:"In quanto a rendere meno odiosa Eboli io sono sempre del parere che i caratteri anche i più odiosi bisogna mostrarli al Publico come sono. Eboli non è e non può essere che una coquine!". 2 dicembre: comunica a Nuitter che la scena della Sommossa dovrà essere rapidissima "1° perché non vi può essere interesse musicale; 2° perché sarebbe impossibile lasciare lungamente Posa sdrajato per terra dopo aver cantato un'aria faticosissima". 7-15 dicembre: affronta le modifiche del terzo e dell'ultimo atto del Don Carlos. 20 dicembre: da qualche tempo sta facendo costruire a proprie spese un ospedale aVillanova d'Arda; a Piroli:"i poveri ammalati di questo comunello non hanno altro ospedale che quello di

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Piacenza, città distante 34 o 36 chilometri: e questi poveretti la maggior parte, muoiono per istrada. Un giorno, parlando col Sindaco di queste miserie, dissi che avrei pensato io a costruire qualche locale, un ricovero, qualche cosa infine per essere utile a questi infelici". 25 dicembre: a Ricordi, che gli ha inviato un panettone sormontato (con allusione a Otello) da un moro di cioccolata... senza gambe:"Io credo invece che manchino gambe testa, torace, braccia, tutto, tutto, tutto. [...1 ora mi occupa molto questo benedetto D. Carlos, che è osso più duro di quello che credevo". 1883 8 gennaio: ancora alle prese con le modifiche dell'ultimo atto di Don Carlos, comunica a Nuitter di aver terminato il primo atto. 11 gennaio: spedisce a Ricordi il primo atto del Don Carlos nella versione in 4 atti raccomandando di tenere "ove si può, la vecchia traduzione". 26 gennaio: apporta modifiche ai versi di Eboli nella sua scena con Elisabetta e fa chiedere a Nuitter se Du Lode è disposto a cedergli la proprietà del nuovo libretto per l'estero; intanto spedisce a Ricordi il secondo atto. 4 febbraio: Du Lock accorda la cessione della proprietà del libretto di Don Carlos, riservandosi i diritti d'autore per le rappresentazioni dell'opera in francese. 12 febbraio: è alle prese con la Sommossa, che intende accorciare; spedisce la prima parte del terzo atto. 15 febbraio: è profondamente colpito dalla morte di Wagner,"una grande individualità che sparisce! Un nome che lascia un'impronta potentissima nella Storia dell'Arte!". 19 febbraio: spedisce il quarto atto a Ricordi:"Non vi stupisca veder tolto il Coro Finale degli Inquisitori. Non erano che note. Il Dramma non aveva bisogno né di quelle note, né di quelle parole.Al contrario. - Portati gli avvenimenti a quel punto bisognava calar presto il sipario. [...] Carlo V appare vestito da Imperatore!! Non è verosimile. L'Imperatore era già morto da diversi anni. Ma in questo dramma, splendido per forme e per concetti generosi, tutto è falso [.. 1 nulla vi è di storico, né vi è la verità e profondità Shaespiriana dei caratteri... Allora una di più, una di meno non guasta nulla; ed a me non dispiace quest'apparizione del vecchio Imperatore!". 23 febbraio: fa sapere a Du l.ocle, tramite Nuitter, che gli è "estremamente riconoscente" e che sarà felice di stringergli "la mano come in passato"; spedisce la seconda parte del terzo atto concludendo così la riduzione del Don Carlos da 5 a 4 atti. 15 marzo: all'Arrivabene:"Il D. Carlos è ora ridotto in quattro atti e sarà più comodo, e credo anche migliore, artisticamente parlando".

Arte e Cultura 26 luglio: Bayreuth: Wagner, Parsifal. 14 settembre: Parigi, Comédie: Henry Becque, I corvi, commedia. Settembre: ad Arezzo si svolgono solenni celebrazioni del centenario di Guido d'Arezzo, con l'inaugurazione di un monumento, l'esecuzione di un Inno di Luigi Mancinelli su versi di Boito e la rappresentazione del Mefistofele. Novembre: Ricordi pubblica Ideale di Tosti. 11 dicembre: Parigi,Vaudeville:Sardou,Fedora, dramma. George Ohnet, // padrone delle ferriere, romanzo. Carducci, Nuove odi barbare. Gabriele d'Annunzio, Canto novo, poesie. A Parigi il pittore Giovanni Boldini ritrae Emanuele Muzio con la bacchetta in mano, nell'atto di dirigere. 1883 23 gennaio: muore a Parigi l'illustratore e incisore Gustave Doré. 13 febbraio: muore a Venezia Richard Wagner. 17 marzo: Milano, Scala:A. Catalani, Dejanice.

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14 aprile: Parigi, Opéra-Comique: Delibes, Lakmé. Inizia alla Fenice di Venezia la tournée italiana della compagnia di Angelo Neumann per la rappr. dell'Anello del Nibelungo di Wagner. Aprile: l'editore Sonzogno bandisce un concorso, limitato a compositori esordienti, per un'opera in un atto. 22 maggio: in piazza S. Fedele a Milano viene inaugurata, nel decennale della morte, una statua di Manzoni. 25 luglio: nasce a Torino Alfredo Casella. 4 settembre: muore a Milano Carlo Tenca. 2 dicembre: Brahms, Terza Sinfonia. 13 dicembre: nasce a Vienna Anton Webern. Milano, Conservatorio: Puccini, Capriccio sinfonico. Giovanni Verga, Novelle rusticane. Robert Louis Stevenson, L'isola del tesoro, romanzo. Contessa Lara, Versi. E Novati,A. Graf e R. Renier fondano il "Giornale storico della letteratura italiana".

Politica, Società, Scienza, Scoperte 17 settembre: inondazioni in Lombardia e nel Veneto; particolarmente gravi i danni provocati dallo straripamento dell'Adige nel veronese. 16 settembre: viene arrestato l'esule triestino Guglielmo Oberdan rientrato in patria con l'intenzione di attentare alla viti di Francesco Giuseppe. Settembre: gli Inglesi reprimono la rivolta egiziana, occupano il Cairo e ristabiliscono il loro protettorato sull'Egitto. Ottobre: in Italia alle elezioni politiche si affermano le sinistre;Andrea Costa è il primo deputato socialista. A Milano viene fondato il partito operaio italiano. 20 dicembre: condannato a morte, Oberdan viene impiccato. Numerose proteste e manifestazioni in suo favore. Il governo italiano acquista dalla Compagnia di navigazione Rubattino il porto di Assab in Eritrea. In Francia viene promulgata una legge d'indirizzo laico che statalizza l'istruzione elementare ed esclude gli ordini religiosi dall'insegnamento. Viene inaugurata la galleria del San Gottardo. Il medico tedesco Robert Koch scopre il bacillo della tubercolosi. 1883 Gennaio: a Roma manifestazione repubblicana di studenti per un busto a Oberdan fatto sequestrare dalla polizia. 14 marzo: muore a Londra Carlo Marx. 29 luglio: un terremoto nell'isola d'Ischia distrugge Casamicciola, Forio e Lacco Ameno provocando numerose vittime. Nasce a Predappio Benito Mussolini. Si diffondono nella Padania le cooperative di lavoro organizzate dai braccianti. Alessandro III impone l'uso della lingua russa e l'adesione alla religione ortodossa a tutte le regioni dell'impero. La Romania stringe un'alleanza con l'Austria per difendersi dall'influenza russa nei Balcani. Termina la guerra del Pacifico; il Perù, sconfitto, cede alcuni territori al Cile. La Francia occupa il Tonchino e impone il protettorato all'Annam. Robert Koch scopre il vibrione del colera. Il tedesco E. Klebs scopre il bacillo della difterite. Invenzione della mitragliatrice Maxim. 26 dicembre: la Scala di Milano è il primo teatro a inaugurare un impianto integrale di illuminazione elettrica.

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Cronologia 1884

Giuseppe Verdi 24 marzo: a Ricordi: "finora non ho scritto nulla di questo Jago, o meglio Otello, e non so cosa farò in seguito". Aprile: compie una gita a Milano con Giuseppina. È colto da improvviso malore, ma ben presto si riprende e affretta il ritorno a S. Agata, dove si trasferisce 1'8 maggio. 24 giugno: torna a Milano; il 26 parte per Montecatini. Durante la sosta a Milano vengono avviate le prime trattative per rappresentare il nuovo Don Carlos alla Scala nella prossima stagione di carnevale. Il 12 luglio parte da Montecatini; sosta qualche giorno a Firenze, dove visita la Biblioteca Laurenziana.II 16 rientra a S.Agata. 15 agosto: a Clara Maffei:"E Casamicciola!!! quale strazio! quale immensa sventura! [...1 La carità verrà in soccorso, ed è bene... Vi è entrato l'entusiasmo, la voga, la moda e si farà molto [...1. Speriamo poi che i comitati, invece di distribuirne le somme ai poveri, non formino capitali alle banche". Ottobre-novembre: discute con Ricordi scene e cantanti per il nuovo Don Carlos alla Scala. Primi di dicembre: si trasferisce a Genova. Il 18 si reca a Milano con la moglie per iniziare le prove del Don C'arlos in 4 atti. 1884 10 gennaio: Milano, Scala: prima rappr. del Don Carlos nella versione in 4 atti. Il 17 rientra a Genova con la moglie. 24 gennaio: riceve una visita di Boito; riprende il dialogo per Otello. 10 febbraio: al presidente della commissione per l'adozione di un diapason ufficiale:" vorrei che un solo corista venisse adottato in tutto il mondo musicale. La lingua musicale è universale". 16 febbraio: muore a Napoli Vincenzo Torelli. 20 marzo: da Napoli Boito informa Ricordi:"il Maestro scrive, anzi ha già scritto buona parte del principio del 1° atto e mi sembra infervorato". 24 marzo: una dichiarazione sfuggita a Boito nel corso di un banchetto in suo onore a Napoli, e travisata da un cronista, raffredda improvvisamente i rapporti del poeta con GV: interrogato su Jago che sta scrivendo per GV, Boito avrebbe espresso "rammarico di non poter essere egli il maestro destinato a metterlo in musica". 27 marzo: l'intervista fa il giro di alcuni giornali; GV la legge e scrive subito a Faccio:"mi rivolgo a voi, al più antico, al più saldo amico di Boito" affinché quando ritornerà a Milano gli diciate a voce, non per iscritto, che io senz'ombra di risentimento, senza rancore di sorta gli rendo intatto il suo manoscritto. Più essendo quel libretto di mia proprietà, glielo offro in dono qualora egli intenda musicarlo". 19 aprile ca.: in una lunga lettera Boito manifesta a GV indignazione per il modo con cui un giornalista ha frainteso le sue parole, così "da costruirne una frase che sta precisamente agli antipodi del mio sentimento" e gli riferisce quali furono le sue esatte parole, così concludendo: "Lei è più sano di me, più forte di me, abbiamo fatto la prova del braccio e il mio piegava sotto il suo, la sua vita è tranquilla e serena, ripigli la penna [...) saprò lavorare per Lei, io che non so lavorare per me". 26 aprile: GV accetta le spiegazioni di Boito; ma intanto la "conclusione si è, che tutto questo ha sparso qualche cosa di freddo su quest'Otello, ed ha irrigidita la mano, che aveva cominciato a tracciare alcune battute". 27-30 aprile: Boito ringrazia GV e ricordandosi di una scena di Jago nel 2° atto di cui non era contento gli invia, per proprio "conforto" e "soddisfazione personale", i versi del Credo di Jago. 3 maggio: a sua volta GV ringrazia per il Credo, che trova "potentissimo e shaespeariano in tutto e per tutto". Ma intanto la composizione di Otello è interrotta; riprenderà nel tardo autunno. 6 maggio: si trasferisce con Giuseppina a S.Agata. 10 giugno: all'Arrivabene:"ho sentito a dir molto bene del musicista Puccini [...1. Segue le tendenze moderne, ed è naturale, ma si mantiene attaccato alla melodia che non è moderna né antica. Pare però che predomini in lui l'elemento sinfonico! niente di male. Soltanto bisogna andar

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cauti in questo. L'opera è l'opera: la sinfonia è la sinfonia, e non credo che in un'opera sia bello fare uno squarcio sinfonico, pel sol piacere di far ballare l'orchestra". 20 giugno ca.: GV con la moglie si reca a Torino per visitare l'Esposizione. Il 22 assiste a un concerto sinfonico diretto da Faccio; chiede di poter esaminare la partitura del Mazeppa di Liszt. 29 giugno: partito da Torino con la moglie, si reca a Montecatini.A metà luglio rientrano a S.Agata. 27 settembre ca.: riceve la visita di Boito e Giuseppe Giacosa, suoi ospiti a S. Agata per circa una settimana; la visi-

Arte e Cultura A Roma viene istituita la Galleria Nazionale d'Arte Moderna. Il ministero italiano della guerra incarica la commissione musicale del ministero della P I. di stabilire un diapason unico per tutte le bande e fanfare del regno. 1884 7 gennaio: Bruxelles, La Monnaie: Ernest Reyer,Sigurd. 14 gennaio: Torino, Carignano: Giovanni Verga, Cavalleria rusticana (dramma, dalla novella omonima). 19 gennaio: Parigi, Opéra-Comique: Massenet, Manon. 15 febbraio: Mosca: Ciajkovskij,Mazeppa. Febbraio: la commissione musicale governativa propone di ridurre il corista "francese" da 870 a 864 vibrazioni semplici. 29 aprile: muore a Hove (Inghilterra) Michele Costa. 9 maggio: muore a Roma Giovanni Prati. .31 maggio: Milano, Dal Verme: Puccini, Le Villi. Maggio-giugno: rassegna delle orchestre italiane all'Esposizione Generale Italiana di Torino. 26 agosto: muore a Madrid Garda Gutiérrez. 30 agosto: muore a Lesa il drammaturgo Giulio Carcano. 11 settembre: Torino, Regio: Danesi, Messalina, azione storico-coreografica, musica di C. Giaquinto. 2 ottobre: Bologna, Comunale: L. Mancinelli, Isora di Provenza. 5 novembre: muore a Parigi la cantante Erminia Frezzolini. Ibsen, L'anitra selvatica, dramma. Renato Fucini, Le veglie di Neri, racconti. Xavier de Montépin, La portatrice di pane, romanzo. Matilde Serao, Il ventre di Napoli, romanzo. - M. Twain, Le avventure di Huckleberry Finn, romanzo. Anton Cechov inizia a pubblicare i suoi primi racconti. Verlaine, I poeti maledetti, saggi. - C. Mendès, La leggenda del Parnaso contemporaneo. Angelo Mosso, La paura, trattato di fisiologia.

Politica, Società, Scienza, Scoperte 1884 Febbraio: la Gran Bretagna occupa in Africa orientale parte della costa somala. 14 marzo: muore a Biella Quintino Sella. Agosto: scoppia in Italia un'epidemia di colera, particolarmente persistente a Napoli. I: esercito italiano viene organizzato in 12 corpi d'armata e 25 divisioni; le spese militari ordinarie e straordinarie salgono a 402 milioni di lire. La fucilazione del soldato Salvatore Misdea suscita un'ondata di proteste contro la pena di morte. La grande crisi agraria scuote la provincia di Mantova col movimento de "La boje!". In Francia vengono legalizzate le organizzazioni sindacali dei lavoratori e viene approvata una legge sul divorzio. In Gran Bretagna una riforma elettorale concede il suffragio universale maschile. In Africa la Germania estende i suoi protettorati sul Togo e sul Camerun. Gaetano Mosca, Sulla teorica dei governi e sul governo parlamentare. Ch. Laveran, Trattato delle febbri palustri.

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Il medico tedesco A. Nicolaier scopre il batterio che causa il tetano. Il francese H. Chardonnet inventa la seta artificiale. Viene costruita la prima linotype. 22 maggio: s'inaugura a Torino l'Esposizione Generale Italiana; e con essa il castello medievale sulla riva del Po. Friedrich Engel, L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato. Jean-Martin Charcot, Lezioni sulle malattie del sistema nervoso. Cronologia 1885

Giuseppe Verdi ta riporta tranquillità e reciproca fiducia nei rapporti fra poeta e maestro, che riprendono a discutere di Otello. Fine novembre: si trasferisce a Genova. 9 dicembre: informa Boito: "M'occupo, e scrivo!!"; e intanto gli chiede versi per il quartetto del 2° atto di Otello, versi che Boito spedisce rapidamente. 1885 1° gennaio: Boito si trova a Nervi e vi resta fino a tutto marzo; gli incontri con GV, ormai avviato a musicare l'Otello, sono frequenti. Fine aprile: nel trasferirsi con la moglie da Genova a S.Agata, GV si ferma a Milano per farsi estrarre cinque denti e una radice da uno specialista americano. Aprile-maggio: riceve la visita di Amilcare Ponchielli che riferisce alla moglie:"Si parlò poi dell'opera di Puccini, il cui genere di musica non ci piace, perché segue le pedate di Massenet, Wagner etc. - Poi del Mefistofele di cui lodò il Duetto `Lontano lontano', il Quartetto, e certi dettagli d'istrumentale nell'aria della prigione. Ma nient'altro, e ho capito che la fuga che finisce l'atto delle streghe non ci piace. Non crede che Boito finirà così presto il Nerone". 28 giugno ca.: si reca con la moglie alle cure termali di Montecatini.A metà luglio rientrano a S.Agata. 5 ottobre: comunica a Boito d'aver finito il quarto atto di Otello. 16 ottobre: riceve a S.Agata una visita-lampo di Boito e Giulio Ricordi. 27 ottobre: lavora ancora "attorno al quart'atto". 8 novembre: a Boito - in procinto di recarsi a Vienna insieme al fisico Pietro Blaserna a rappresentare l'Italia al prossimo congresso internazionale per l'adozione di un diapason ufficiale - raccomanda una risoluzione unitaria. Fine novembre: si reca a Milano con la moglie; ne riparte il 5 dicembre per trasferirsi a Genova. 1886 18 gennaio: a Ricordi:"m'è venuta voglia di ripassare quello che ho fatto dell'Otello... e me ne sono spaventato per la parte del tenore. In molte e molte cose andrebbe benissimo Tamagno, ma in moltissime altre no. Vi sono delle frasi larghe, lunghe, legate che vanno dette a mezza voce, cosa impossibile per Lui". 21 gennaio: a Boito,infòrmandolo sugli incontri avuti con alcuni impresari:"si parla, e mi si scrive sempre di Jago!!! Ho un bel rispondere: Otello [...]. Per parte mia poi mi parrebbe ipocrisia il non chiamarlo Otello [...] Se Voi siete della mia opinione, cominciamo dumque a battezzarlo Otello". 18 gennaio: porta a compimento il concertato del 3° atto. 20 febbraio: si reca a Milano per sentire la Bellincioni alla Scala nel Roberto il Diavolo; assiste anche al ballo Amor di Manzotti. Il 22 rientra a Genova. 14 marzo: Muzio a Ricordi:"Boito entrò nella stanza del Maestro proprio quando era al pianoforte e che mi faceva sentire per la seconda volta il duetto finale del l° atto [che] ha terminato in questi giorni". 17 marzo: insieme a Giuseppina e a Muzio si reca a Parigi, prendendo alloggio all'Hètel de Bade, per ascoltare alcuni cantanti all'Opéra e all'Opéra-Comique in vista di Otello, in particolare Victor Maurel, cui vorrebbe destinare la parte di Jago, e per saggiare con Du Lode la possibilità di tradurre il libretto in francese insieme a Boito.

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26 marzo: assiste all'Opéra a una replica del Cid di Massenet. Nei giorni seguenti ritorna all'Opéra per assistere a una recita del Sigurd di Reyer con il tenore Duc e il soprano Rose Caron (sarà lei Desdemona all'Opéra) nonché all'e-

Arte e Cultura 1885 7 febbraio: Parigi, Renaissance: H. Becque, La parisienne, commedia. 9 febbraio: nasce a Vienna Alban Berg. 15 marzo: Londra: Sullivan,11 Mikado, operetta. 17 marzo: Milano, Scala: Ponchielli, Marion Delorme. 11 maggio: muore a Colonia Ferdinand Hiller. 22 maggio: muore a Parigi Victor Hugo. 7 luglio: muore a Bari Nicola De Giosa. 24 ottobre: Berlino: Johann Strauss jr., Lo zingaro barone, operetta. 25 ottobre: Brahms, Quarta Sinfonia. 16-17 novembre: Vienna, congresso internazionale per l'adozione di un diapason ufficiale: viene adottato il corista a 870 vibrazioni semplici. 27 novembre: muore a Milano Andrea Maffei. 30 novembre: Parigi, Opéra: Massenet, Le Cid. 22 dicembre: nasce a Parigi Edgar Varèse. C. Franck, Variazioni sinfoniche. Fogazzaro, Daniele Cortis, romanzo. - Guy de Maupas- sant, Bel-Ami, romanzo. - Zola, Germinal, romanzo. S. Lega, La popolana, dipinto. Muore a Ginevra lo storico svizzero Marc Monnier. A Bologna viene fondato il quotidiano "Il resto del Carlino". Viene fondato a Genova il quotidiano "Il Secolo XIX". 1886 16 gennaio: muore a Milano Amilcare Ponchielli. 17 febbraio: Milano, Scala: Manzotti,Amor, ballo, musica di R. Marenco. 10 aprile: Bruxelles, La Monnaie: Chabrier, Gwendoline, testo di C. Mendès. 30 giugno: Rio de Janeiro, Teatro Imperiale: Arturo Toscanini esordisce come direttore d'orchestra dirigendo Aula. 31 luglio: muore a Bayreuth Ferenc Liszt. Novembre: Ricordi pubblica Marechiare di Tosti e Di Giacomo. Ibsen, Rosmersholm, dramma. - L. Tolstoj, La potenza delle tenebre, dramma. E. De Amicis, Cuore, racconti. Neera, Teresa, romanzo. - Robert L. Stevenson, Lo strano caso del dottor jelgll e del signor Hyde, romanzo. Nietzsche, Al di là del bene e del male.

Politica, Società, Scienza, Scoperte 1885 Eliminata la presenza inglese il Mahdi proclama lo "stato mahdista del Sudan" . 5 febbraio: l'Italia occupa Massaua in Eritrea. Marzo-aprile: scoppiano sommosse contadine nel mantovano, nel cremonese e nel milanese che degenerano in disordini e tumulti; vengono domate dall'esercito e dai carabinieri, con oltre 50.000 arresti e con lo scioglimento delle associazioni e delle leghe sindacali. Scoppia una guerra tra Serbia e Bulgaria per il possesso della Rumelia. Conferenza di Berlino per lo spartimento dell'Africa da parte delle potenze europee. Il Congo viene riconosciuto stato indipendente sotto proprietà del re del Belgio. La Germania impone il protettorato alTanganika. la Gran Bretagna conquista la Nigeria. La Germania stabilisce colonie nelle isole del Pacifico.

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A Bombay, in India, il partito nazionalista apre la prima sessione del Congresso nazionale indiano. Secondo un ulteriore censimento del ministero di agricoltura industria e commercio esistono in Italia 4.900 società di mutuo soccorso. L. Pasteur ottiene il vaccino contro la rabbia. Gottlieb Daimler realizza il motore a benzina. G.W. Eastman inventa la pellicola fotografica. Edoardo Bianchi fonda a Milano una società per la produzione di biciclette (e, più tardi, di motociclette). I:inglese Francis Galton rileva la diversità individuale delle impronte digitali e ne propone una classificazione. 1886 18 aprile: dopo oltre un decennio di discussioni e di rinvii viene approvata in Italia una legge che riconosce lo stato giuridico delle Società operaie di mutuo soccorso. In Francia, promosso dal ministro della guerra Georges Boulanger, si afferma un movimento nazionalista antitedesco. La Serbia, sconfitta dalla Bulgaria, rinuncia al possesso della Rumelia. In Gran Bretagna cade il governo Gladstone, che aveva proposto una limitata autonomia all'Irlanda. In Russia la politica antiebraica dello zar favorisce l'esplosione di numerosi "pogrom". Nasce negli Stati Uniti il primo sindacato nazionale. Nel Transvaal vengono scoperti importanti giacimenti d'oro, che determinano la penetrazione britannica nello stato boero. Dopo sessant'anni di guerre la Gran Bretagna annette la Birmania all'impero indiano. Cronologia 1887

Giuseppe Verdi sordio del tenore Juliàn Gayarre nell'Africana di Meyerbeer; si reca anche all'Opera-Comique per ascoltare Maurel e il tenore Talazac in Zampa di Hérold. 4 aprile: a Piroli:"vado quasi tutte le sere al teatro. È una necessità!! Bisogna ch'io senta questi giovani artisti che non conoscevo". Primi di aprile: nel suo studio in piace Pigalle n. 11 il pittore Giovanni Boldini ritrae GV, in abito nero, senza cappello, le mani posate sulle cosce (il dipinto sarà donato dal pittore al maestro nel 1893 dopo il successo del Falstaff, ora si trova nella Casa di Riposo per Musicisti). 9 aprile: non contento del primo ritratto, Boldini ritrae ancora GV, con il cilindro in testa e la sciarpa al collo (questo ritratto, di cui l'autore non vorrà mai privarsi, sarà esposto all'Esposizione universale di Parigi del 1889, alla prima Biennale di Venezia e alla "personale" di New York nel 1897). 11 aprile: GV e consorte partono da Parigi e passano per la Svizzera per vedere la galleria del S. Gottardo. Il 13 sostano a Milano. Il 16 rientrano a Genova. Il 29 si trasferiscono a S.Agata. 24 giugno: si reca con Giuseppina alle cure termali di Montecatini. l 15 luglio rientrano a S.Agata. 13 luglio: muore a Milano l'amica Clara Maffei. 9 settembre: in procinto di spedire a Ricordi il atto di Otello e parte del 3°, scrive a Boito:"Ho ripassato una per una le tre prime parti per vedere [...] se stavano dritte e se filano bene... Filano!! E cosa curiosa! La parte di Jago, salvo qualche eclats, si potrebbe cantare tutta a mezza voce!". 14 ottobre: si reca a Milano per definire i preparativi per l'allestimento scenico e l'esecuzione musicale di Otello. Il 17 rientra a S.Agata. 18 ottobre: Boito si accinge a tradurre in francese il libretto di Otello per l'esecuzione all'Opera. 24 ottobre: GV sollecita Boito, tramite Ricordi, di risolvere il problema dell'inserimento del balletto per l'edizione francese di Otello all'Opéra di Parigi. 29 ottobre: a Boito:"Ben trovato il balletto nel second'atto". 1° novembre: comunica a Boito che l'Otello "è finito!".

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Metà novembre: si trasferisce con la moglie a Genova. Il 24 si reca a Milano per alcuni giorni; incontra Boito e prende accordi per la traduzione francese di Otello, per la quale viene definita la collaborazione di Du Lock. Il 10 dicem- bre rientra a Genova. 18 dicembre: spedisce alla tipografia di Ricordi gli ultimi due atti di Otello. 26 dicembre: Modena, Comunale: prima rappr. del Don Carlos nella versione in 5 atti, senza ballo, con le modifiche introdotte nella versione in 4 atti. 1887 1° gennaio: muore a Roma l'amico Opprandino Arrivabene. 4 gennaio: GV arriva a Milano con la moglie per iniziare le prove di Otello con i cantanti e con l'orchestra; prende alloggio all'Hòtel de Milan. 27 gennaio: iniziano le prove d'insieme (secondo violoncello è il giovane Arturo Toscanini). 3 febbraio: prova generale dell'Otello. 5 febbraio: Milano, Scala: prima rappr. di Otello. Il re Umberto I conferisce a GV le insegne di Gran Croce dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. 8 febbraio: riceve dal sindaco di Milano, Gaetano Negri, la cittadinanza onoraria milanese. 13 febbraio ca.: parte per S.Agata. L'Il marzo rientra a Genova. 19 marzo: in occasione del suo onomastico riceve da una delegazione di giornalisti un album contenente più di trentamila firme "raccolte in tutta Italia dai signori Melzi" di Milano. 14 aprile: la traduzione in francese di Otello è terminata. 16 maggio: GV si trasferisce a S.Agata con la moglie. - 25 giugno ca.: si reca con la moglie a Milano; il 29 partono per le cure termali di Montecatini.A fine luglio rientrano a S.Agata.

Arte e Cultura Cesare Pascarella, Villa Gloria, poesie. - Jean Rimbaud. Illuminazioni, versi e poemi in prosa. Daniele Ranzoni, La principessa di Saint-Léger, dipinto. - Giovanni Segantini, Alla stanga, dipinto. Auguste Rodin, Il bacio, scultura. Nel porto di New York viene eretta la Statua della Libertà dello scultore francese Auguste Bartholdi. 1887 21 febbraio: S. Pietroburgo: Musorgskij, La Chovanscina (rappr. privata). 27 febbraio: muore a S. Pietroburgo Alexandr Borodin. 24 marzo: Roma,Valle: Giacosa, Tristi amori, commedia. 30 marzo: AndréAntoine fonda a Parigi ilThéàtre-Libre. 23 maggio: muore a Napoli il tenore Gaetano Fraschini. 18 maggio: Parigi, Opéra-Comique: Chabrier, Le mi malgré lui. 25 maggio: a Parigi un incendio distrugge la Salle Favart, sede dell'Opéra-Comique, provocando numerose vittime. 24 giugno: muore a Milano Filippo Filippi. 27 novembre: Parigi, Porte-St-Martin: Sardou, La Tosca, dramma. 28 novembre: muore a Firenze Marianna Barbieri Nini. Politica, Società, Scienza, Scoperte La Corte Suprema degli Stati Uniti riconosce ad Antonio Meucci la priorità nell'invenzione del telefono. G. Daimler costruisce la prima motocicletta. Karl Friedrich Benz costruisce la prima automobile. 1887 26 gennaio: disfatta di Dogali; il contingente italiano viene sterminato dalle truppe di ras Alula. Luglio: si forma il primo governo di Francesco Crispi, sostenitore di una politica coloniale, protezionistica e autoritaria.

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29 luglio: muore a Stradella Agostino Depretis. Bismarck promuove attraverso la Convenzione mediterranea un'alleanza con Italia e Gran Bretagna, cui aderiscono Spagna e Austria, per il mantenimento dello "status quo" nel Mediterraneo e l'integrità territoriale della Turchia. Viene rinnovato il trattato della Triplice Alleanza. Russia e Germania firmano il trattato segreto "di controassicurazione" per la reciproca neutralità in caso di guerra contro un terzo paese. La Gran Bretagna occupa in Africa orientale i territori degli attuali Kenya e Uganda. Cronologia 1888

Giuseppe Verdi Agosto: approva la disposizione scenica di Otello, con la prefazione di Boito. 12 settembre: si reca a Milano con la moglie per alcuni giorni. Il 14 rientrano a S.Agata. 5 ottobre: a Boito - che, in procinto di conferire con il ministro Coppino sulla riforma degli istituti musicali gli aveva chiesto una lista di sei nomi di compositori del passato ritenuti "più adatti per essere studiati dai giovani" - risponde indicando oltre una dozzina di nomi, in particolare Palestrina in primis et ante omnia,Carissimi,Alessandro Scarlatti "che ha tesori anche di armonia", Marcello, Pergolesi, Piccinni, escludendo Monteverdi perché "disponeva male le parti"; raccomanda lo studio della prosodia e della declamazione: "quando si capisce bene quello che si ha da musicare [...] è più difficile lasciarsi forviare dalle bizzarie e stravaganze". Metà novembre: si trasferisce a Genova con la moglie.11 21 compie una breve visita a Milano. Il 23 rientra a Genova. Il 29 si reca a S.Agata: a Villanova d'Arda sta per essere completato l'ospedale che ha fatto costruire a proprie spese. 3 dicembre: rientra a Genova. Il 27 compie una visita di due giorni a Milano. 1888 1° marzo: il caricaturista Melchiorre Delfico gli invia un album di caricature intitolato: Otello, impressioni. 5 aprile ca.: si reca con la moglie a Milano per alcuni giorni; assiste al terzo concerto della Società Orchestrale della Scala. 5 maggio: parte da Genova e rientra a S.Agata.A metà giugno si reca con la moglie a Milano. Il 27 partono per le cure termali di Montecatini. L'Il luglio rientrano a S.Agata. 5 agosto: la "Gazzetta musicale di Milano" pubblica una "scala enigmatica" di Adolfo Crescentini. 12-14 settembre: GV si reca a Milano con la moglie per pochi giorni. Fine settembre: ospita a S.Agata Boito e Giacosa. Ottobre: a Giovanni Mariotti - promotore della trasformazione della Scuola di Musica di Parma in Regio Conservatorio - venuto a chiedergli consiglio per la nomina del nuovo direttore, indica due nomi: Boito (che rifiuta) e Bottesini (che accetta). 5 novembre: viene inaugurato l'ospedale di Villanova d'Arda. Inizio di novembre: all'avvicinarsi del cinquantenario dell'Oberto la "Perseveranza" propone di celebrare il "giubileo artistico" di GV. 9 novembre: GV a Ricordi:"Vedo che i giornali stanno parlando di un Giubileo!! Misericordial. Fra le tante cose inutili che si fanno al mondo, questa è la più inutile di tutte [A. Più è cosa impraticabile, ed è un'imitazione forestiera". Fine novembre: si trasferisce con la moglie a Genova. Il 1° dicembre ca. si recano a Milano. Il 4 rientrano a Genova. Metà dicembre ca.: compie un'altra visita a Milano; sia questa visita che la precedente sono da porsi in relazione con le trattative per l'acquisto di un terreno sul quale verrà costruita la Casa di Riposo per Musicisti.

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1889 14 gennaio: firma un contratto con l'architetto Camillo Boito per l'erigenda Casa di Riposo per Musicisti. 17 febbraio: si rivolge a Boito, membro della commissione per il "giubileo artistico", perché questa desista dai progetti avanzati: la ripresa dell'Oberto nel giorno anniversario del 17 novembre ("Figuratevi, se il nostro pubblico, con tendenze tanto diverse di quelle di 50 anni fa, potrebbe aver la pazienza di ascoltare i due lunghi Atti dell'Oberto!") e la fondazione per sottoscrizione nazionale di un'istituzione volta a sovvenzionare la rappresentazione della prima opera di un giovane compositore (progetto che ritiene oneroso e impraticabile):"questo Giubileo, oltre essere sommamente spiacevole per me, non è né utile, né pratico". 19 febbraio: alla Scala viene ripreso l'Otello con nuove scene di Zuccarelli e alcuni miglioramenti alla messinscena del 2° atto.

Arte e Cultura Erik Satie, 3 Sarabandes, per pianoforte. Zola, La terra, romanzo. - Maupassant, Mont-Oriol, romanzo. - Arthur Conan Doyle pubblica il suo primo romanzo poliziesco, Uno studio in rosso. A. d'Ancona, Le origini del teatro in Italia. Il medico polacco Lejzer Ludovik Zamenhof pubblica Doctoro Esperanto, saggi per l'impiego di una lingua internazionale semplificata. Viene fondato il quotidiano statunitense "Washington Post". 1888 7 gennaio: Napoli, Fondo: Eduardo Scarpetta. Miseria e nobiltà, commedia. 11 febbraio: Reggio Emilia, Municipale: Franchetti, Asrael. Maggio: si apre a Bologna l'Esposizione Internazionale di Musica, di cui Boito è presidente effettivo e GV presidente onorario. 7 maggio: Parigi, Opéra-Comique: Édouard Lalo, Le roi d'Ys. 20 maggio: la Casa Ricordi assorbe la Casa Lucca. 7 settembre: muore a Milano Tito Ricordi. 3 novembre: con decreto governativo viene approvato lo statuto che trasforma la Scuola di Musica di Parma in Conservatorio. 22 novembre: al teatro Manzoni di Milano Eleonora Duse rappresenta Antonio e Cleopatra di Shakespeare nella traduzione di Boito. 18 dicembre: muore a Napoli Francesco Florimo. Rimskij-Korsakov, Sbeherazade, poema sinfonico. Nietzsche: Il caso Wagner. Ibsen, La donna del mare, dramma.- Johan Strindberg, La signorina Giulia, dramma. Verga, Mastro Don Gesualdo, romanzo. Carducci, Rime nuove. Mario Rapisardi, Epigrammi. Carlo Tenca, Prose e poesie, pubbl. postuma. Costantino Nigra, Canti popolari del Piemonte. 1889 9 marzo: muore a Milano il commediografo Paolo Ferrari. 13 marzo: muore a Milano il baritono Felice Varesi. Muore a Parigi il tenore Enrico Tamberlick. 21 aprile: Milano, Scala: Puccini, Edgar. 26 giugno: Parigi, Opéra:Thomas, La tempesta, balletto fantastico. 7 luglio: muore a Parma Giovanni Bottesini. 18 agosto: Vienna, Hofoper: Antonio Smareglia, II vassallo di Szigeth.

Politica, Società, Scienza, Scoperte La Francia crea l'Unione Indocinese. Galileo Ferraris scopre il campo magnetico rotante, poi applicato nell'ideazione del motore elettrico asincrono.

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Nobel inventa un nuovo esplosivo, la balistite. 1888 In Italia Crispi dà il via a una profonda riforma dell'ordinamento amministrativo sulla base di un forte accentramento. 9 marzo: muore il Kaiser Guglielmo I; gli succede il figlio Federico III. Tra Italia e Francia inizia la "guerra delle tariffe doganali". 15 giugno: muore il Kaiser Federico III; gli succede il figlio Guglielmo II. Convenzione di Costantinopoli con la quale viene riconosciuta libertà di circolazione di tutte le navi nel canale di Suez. In Brasile l'imperatore Pedro II abolisce la schiavitù. Viene inaugurato a Parigi l'Istituto Pasteur. L'irlandese John Boyd Dunlop costruisce il primo tubo di gomma gonfiabile (pneumatico) da applicare alle ruote della bicicletta. Charles Goodyear inventa il processo di vulcanizzazione del caucciù. G. Daimler costruisce un'automobile a due cilindri. I: industriale statunitense George Eastman produce la Kodak, prima macchina fotografica portatile a rullo di pellicola. 1889 30 gennaio: suicidio a Mayerling del principe Rodolfo, figlio primogenito di Francesco Giuseppe. In Abissinia muore il negus Giovanni IV; con l'appoggio italiano sale al trono il ras Menelik che trasferisce la capitale ad Addis Abeba. 20 aprile: nasce in Austria Adolf Hitler. 2 maggio: con la "missione scioana" capeggiata da ras Makonnen viene stipulato il trattato di Uccialli, con il quale vengono genericamente riconosciuti gli interessi dell'Italia in Abissinia. Cronologia 1890

Giuseppe Verdi 21 febbraio: a Boito, che non assicura di mandare a vuoto il Giubileo ("il paese lo vuole"), ribadisce:"fui, sono, e sarò sempre contrario alla celebrazione di questo Giubileo". 6 marzo: chiede a Boito di mandargli copia della "scala enigmatica" pubblicata dalla "Gazzetta musicale di Milano": "Direte che non val la pena di occuparsi di queste inezie, ed avete ragione. Ma che volete! Quando si è vecchi si diventa ragazzi (...1. E più credo che di questa Scala si potrebbe fare un pezzo con parole per es. un Ave Maria". 11 marzo: informa Boito di aver armonizzato la "scala enigmatica" a quattro voci utilizzando per due volte il testo dell'Ave Maria. 18 aprile ca.: si reca a Milano per alcuni giorni; quindi rientra a S.Agata. Fine giugno: ritorna a Milano; procede all'acquisto di un terreno fuori Porta Magenta; in compagnia di Boito si reca al Teatro Manzoni per una recita della Pamela nubile di Goldoni, protagonista Eleonora Duse: in tale occasione manifesta a Boito l'antico desiderio di scrivere un'opera comica e il suo rincrescimento per non aver potuto trovare un argomento idoneo nel teatro di Goldoni. Da un racconto posteriore di Giulio Ricordi si apprende che Boito "nulla disse; ma [...] tornato a casa, in quarantotto ore mise insieme di suo capo la tela di un libretto [Falstaff], che portò subito a Verdi", ormai in partenza per Montecatini. 4 luglio: si reca con la moglie alle cure termali di Montecatini. 6 luglio: a Boito dopo aver letto il suo schizzo del Falstaff "Benissimo! Benissimo! [...] non si poteva far meglio di quello che avete fatto Voi. Peccato che l'interesse (non è colpa vostra) non aumenti sino alla fine. [...] Dico così per dire... e non badate a quel che dico. Ora abbiamo ben altre cose a communicarci, onde questo Falstaff o Comari che era due giorni fa nel mondo dei sogni, ora va prendendo corpo, e può diventare una realtà!". 10 luglio: a Boito:"Facciamo addumque Falstaff! Non pensiamo pel momento agli ostacoli, all'età, alle malattie!", e accoglie il consiglio di Boito di tenere sulla faccenda "il più profondo segreto: [...] nissuno deve saperne nulla!".

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1 1 luglio: a Boito, che ha già apportato alcune modifiche al terzo atto di Falstaff, suggerisce di concludere, come in Shakespeare, con i "matrimoni" . 23 luglio: rientra a S.Agata da Montecatini. 18 agosto: chiede a Boito di convincere Faccio ad accettare l'incarico di direttore del Conservatorio di Parma, rimasto vacante dopo la morte di Bottesini; e intanto gli comunica che sta lavorando:"Mi diverto a fare delle fughe!... Sì signore: una fuga... ed una fuga buffa... che potrebbe star bene in Falstaff!... Ma come una fuga buffa? Perché buffa? Direte Voi?... Non so come, né perché ma è una fuga buffa!". Settembre: Faccio accetta l'incarico di direttore del Conservatorio di Parma. 18 ottobre: GV firma il contratto d'acquisto del terreno posto fuori Porta Magenta per costruirvi un ospizio per musicisti. 4 novembre: riceve da Boito, in visita a S.Agata, il libretto del 1° e del 2° atto di Falstaff. Metà novembre: si trasferisce a Genova con la moglie. Il 23 si reca a Milano per non essere coinvolto nelle celebrazioni genovesi del suo "giubileo artistico". Il 6 dicembre rientra a Genova. 1890 15 febbraio: allarmato per le notizie sul cattivo stato di salute di Faccio, chiede informazioni a Boito. 3 marzo: si reca per alcuni giorni a Milano. Il 7 rientra a Genova. 8 marzo: ricevuto da Boito il libretto del 3° atto di Falstaff gli invia un compenso; "Se non arrivassi a finirne la musica, la poesia LA resterà di vostra proprietà". 17 marzo: a Boito:"il primo Atto è finito senza nissun cambiamento nella poesia; tale e quale me l'avete dato Voi". 10-14 aprile: in un'intervista a un giornalista francese smentisce le voci di stampa secondo cui egli si appresterebbe a comporre Giulietta e Romeo, un soggetto peraltro molto "tentatore". 15 aprile: apprende da Boito che Faccio, in disperate condizioni di salute mentale, è stato ricoverato in un nosocomio di Monza, dove già si trova ricoverato il padre. 19 aprile: assiste al Carlo Felice di Genova a una recita dell'Orfeo ed Euridice di Gluck:"sentendolo non ho potuto a meno di confermarmi che i Tedeschi devono restar Tedeschi, e gli Italiani, Italiani. [...] Anche allora, epoca in cui non si faceva in teatro che della melodia, o, per dir meglio, delle frasi melodiche, il tedesco è riuscito meglio nello

Arte e Cultura 24 settembre: muore a Parma lo scenografo Girolamo Magnani. 27 settembre: Rio de Janeiro: Gomes, Lo schiavo. 27 novembre: Berlino, Lessingtheater: Hermann Sudermann, L'onore, dramma. Dicembre: la commissione esaminatrice del secondo concorso Sonzogno proclama vincitore Pietro Mascagni con Cavalleria rusticana. Gustav Mahler, Prima Sinfonia in Re magg. Richard Strauss, Don Giovanni, poema sinfonico. Ibsen, La donna del mare, dramma. - Maurice Maeterlinck, La principessa Malena, dramma. G. D'Annunzio, Il piacere, romanzo. - Carolina Invernizio, Il bacio di una morta, romanzo. - Jerome Klapka, Tre uomini in barca, romanzo. - Verga, Mastro don Gesualdo, romanzo. - M.Twain, Un americano alla corte di re Artù, romanzo. Carducci, Odi barbare. Vincent van Gogh, Notte stellata e Autoritratto col capo bendato, dipinti. Un'ulteriore indagine statistica del ministero della P I., peraltro lacunosa e imprecisa, registra in Italia per il periodo 1887-89: 1.927 bande; 120 bande dotate di scuola di musica; 165 fanfare; 61 corali; 25 corali dotate di scuola; 80 accademie e società orchestrali; 17 cappelle; 173 scuole di musica. 1890 3 gennaio: S. Pietroburgo: Petipa - Ciajkovskij, La bella addormentata, ballo. 8 gennaio: muore a Madrid il baritono Giorgio Ronconi.

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10 febbraio: Bruxelles, La Monnaie:Reyer,Salammbó. 17 febbraio: Torino, Regio: Catalani, Loreley. 3 marzo: Rouen: prima rappresentazione in Francia del Sansone e Dalila di Saint-Saéns. 3 maggio: Parigi, Opéra-Comique: André Messager, La Basoche. 17 maggio: Roma, Teatro Costanzi: Mascagni, Cavalleria rusticana. 21 giugno: Eisenach: Richard Strauss, Morte e trasfigurazione. Politica, Società, Scienza, Scoperte L'Italia occupa la Somalia e ne inizia la colonizzazione. In Italia si verificano i primi fallimenti bancari; il ministro Miceli nomina una commissione d'inchiesta. In Italia viene promulgato il nuovo codice penale (codice Zanardelli); entrerà in vigore il 1° gennaio 1890. In Francia il ministro Boulanger tenta un colpo di stato, appoggiato da monarchici e clericali; scoperto, fugge in Belgio. 14 ottobre: viene fondata a Parigi la seconda Internazionale socialista. Per iniziativa dell'Internazionale in tutto il mondo viene celebrato il Primo Maggio come giornata di lotta dei lavoratori per la conquista delle otto ore. A Washington si tiene la prima conferenza panamericana; inizia la penetrazione statunitense nell'America del Sud. In Brasile un movimento rivoluzionario detronizza Pedro II e proclama la repubblica degli stati uniti del Brasile. Esposizione universale di Parigi; viene terminata la Torre Eiffel. 1890 Febbraio: in Germania viene abrogata la legge contro i socialisti; le elezioni segnano una vittoria del partito socialdemocratico. 20 marzo: il Kaiser Guglielmo II licenzia Bismarck. Nell'impero austro-ungarico nasce il movimento dei "Giovani Cechi", guidato da Jan Masaryk, per la difesa dei diritti della nazione boema. Nei Paesi Bassi la salita al trono della regina Guglielmina causa il distacco del Lussemburgo, che si costituisce in granducato indipendente sotto Adolfo Guglielmo di Nassau. Attraverso una Convenzione la Gran Bretagna cede alla Germania l'isola di Helgoland ottenendo il riconoscimento della supremazia britannica in Uganda. Cronologia 1891

Giuseppe Verdi stromentale. [...] Non ha saputo trovare una melodia calma, larga e sentita come si doveva. Invece frasi tormentate da modulazioni (modulazioni d'allora) e fredde". 28 aprile: si reca con la moglie a Milano per alcuni giorni; s'incontra con Boito per discutere della situazione venuta a crearsi al Conservatorio di Parma dopo il ricovero di Faccio in nosocomio. Il 3 maggio ca. si trasferisce a S.Agata. 19 maggio: viene firmato il decreto che nomina Arrigo Boito direttore onorario del Conservatorio di Parma, in sostituzione di Faccio "cui sarà continuato lo stipendio". 23 maggio: GV ringrazia Boito per aver accettato di supplire Faccio nella direzione del Conservatorio di Parma."In quanto al pancione Ahi ahi! Non ho fatto nullan " Fine giugno: GV e la moglie si recano a Milano; il 1° luglio partono per Montecatini.; a metà mese lasciano Montecatini e rientrano a S.Agata passando per Milano. 6 ottobre: a Boito:"Ho lavorato poco, ma qualche cosa ho fatto. Mi tormentava il Sonetto del Terz'Atto; e per togliermi questo chiodo dalla testa ho messo da parte il Second'Atto, e cominciando da quel Sonetto, giù giù una nota dopo l'altra sono arrivato sino alla fine". 14 novembre: muore a Roma Giuseppe Piroli.

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20 novembre ca.: (iV con la moglie si reca a Milano. 26 novembre: offre un pranzo alla famiglia Ricordi all'Hòtel de Milan, presenti Giuseppina e Boito; al momento del brindisi Boito brinda alla salute del pancione. I1 segreto, gelosamente custodito fino a quel momento, viene rivelato all'attonito editore: il maestro sta componendo il Falstaff. La notizia della nuova opera viene resa pubblica dal "Corriere della Sera" e divulgata in tutto il mondo. 27 novembre: muore a Parigi Emanuele Muzio. Metà novembre: GV e la moglie nel viaggio di trasferimento a Genova si fermano per alcuni giorni a Milano. 3 dicembre: a Gino Monaldi che gli aveva chiesto notizie del pancione: "Sono quarant'anni che desidero scrivere un'opera comica e sono cinquant'anni che conosco Le allegre comari di Windsor. Ora Boito [...] mi ha fatto una commedia lirica che non somiglia a nessun'altra. Io mi diverto a farne la musica, senza progetti di sorta, e non se nemmeno se finirò... Ripeto: mi diverto...". 1891 1° gennaio: a Ricordi:"Mi pare proprio che tutti i progetti sieno pazzie vere pazzie! Mi spiego. Io mi sono messo a scrivere Falstaff semplicemente per passare il tempo, senza idee preconcette, senza progetti, ripeto, per passare il tempo! Nient'altro!"; e a Boito:"Il Pancione non va avanti. Sono sconcertato e distratto". 9 febbraio: si reca a Milano per condurre la moglie in cura dal prof.Todeschini. Il 7 marzo rientrano a Genova. Aprile: riprende la composizione di Falstaff. 28 aprile: si trasferisce da Genova a S.Agata. 1° maggio: approva la deliberazione della Scala di trasformare i palchi della quinta fila in loggione:"Il pubblico del Loggione, vale a dire quello che si lascia impressionare, e manifesta con sincerità le sue impressioni è il pubblico vero. [...1 Il Pancione? Poveretto! Dopo quella tal malattia di 4 mesi è smilzo, smilzo!". 24 maggio: Boito gli fa leggere il libretto del Nerone; lo trovesplendido. L'epoca è scolpita magistralmente e profondamente". 2 giugno: scrivendo a Ricordi ritiene la Scala per il Falstaff"teatro troppo vasto per sentir bene le parole, e per vedere i musi degli artisti". 12 giugno: a Boito:"Il Pancione è sulla strada che conduce alla pazzia. Vi sono dei giorni che non si muove, dorme ed è di cattivo umore; altre volte grida, corre salta, fa il diavolo a quattro...". Metà giugno: si reca a Milano con Giuseppina; dopo una sosta proseguono per Montecatini. Ricordi dà l'annuncio ufficiale della costruzione di un "Istituto di ricovero pei musicisti vecchi e inabili". 5-8 settembre: d'accordo con Boito, che rifiuta la direzione del conservatorio di Parma, appoggia la nomina di Giuseppe Gallignani. 10 settembre: a Boito:"Non è vero che ho finito il Falstaff. Stò lavorando a mettere in partitura tutto quello che ho fatto perché temo di dimenticare alcuni squarci ed impasti d'istromenti". Ottobre?: a sconosciuto destinatario a proposito della "scienza dell'agricoltura": "Io vorrei che questa nobilissima

Arte e Cultura 4 novembre: S. Pietroburgo, Mariinskij: Borodin, //principe Igor 8 novembre: muore a Parigi César Franck. 11 novembre: Torino, Gerbino: Marco Praga, La moglie ideale, commedia. 19 dicembre: S. Pietroburgo, Mariinskij: Ciajkovskij, La dama di picche. Erik Satie, Tre gimnopedie, per pianoforte. Ibsen, Hedda Gabler, dramma. Emilio De Marchi, Demetrio Pianelli, romanzo. - A. France, Taide, romanzo. - W. Morris, Notizie da nessun luogo, romanzo.- M. Serao,ll paese di Cuccagna, romanzo. L.Tolstoj, La sonata a Kreutzer, racconto. Annie Vivanti, Liriche.

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James George Frazer, Il ramo d'oro. In Italia comincia a diffondersi lo stile liberty ("art nouveau"). 1891 22 gennaio: nasce ad Ales (Sardegna) Antonio Gramsci. 18 giugno: Parigi, Opéra-Comique:Alfred Bruneau, Le réve. 21 luglio: muore a Verona Franco Faccio. 4 ottobre: muore a Ligornetto (Canton Ticino) lo scultore Vincenzo Vela. 31 ottobre: Roma, Costanzi: Mascagni, L'amico Fritz. 10 novembre: muore a Marsiglia Jean-Arthur Rimbaud. Ilugo von Hofmannsthal, Gestern, dramma lirico. Giulio Cesare Abba, Da Quarto al Volturno. Noterelle d'uno dei Mille. Selma Lagerlik, La saga di Gósta Berling, epopea. Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, romanzo. - Melville termina il romanzo Billy Budd. Pascoli, Myricae, poesie latine. Pellegrino Artusi, La scienza in cucina o l'arte del mangiar bene. Mosso, La fatica. A Milano Filippo Turati fonda con Anna Kuliscioff la rivista "Critica sociale". A Napoli Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao fondano il quotidiano "Il Mattino".

Politica, Società, Scienza, Scoperte In Italia entra in vigore il nuovo Codice Penale che prevede, fra l'altro, il riconoscimento del diritto di sciopero e l'abolizione della pena di morte. Con regio decreto viene inoltre creata la colonia italiana di Eritrea. 11 Congresso statunitense approva una legge contro i monopoli. Con il Veloce Club Milano nasce in Italia la prima società ciclistica. Il medico tedesco Emil von Behring scopre il principio della sieroterapia. Il francese C.Ader riesce a compiere un breve volo su un aereo munito di motore a vapore. A Chicago viene costruito il primo grattacielo. Negli Stati Uniti viene eseguita la prima condanna a morte tramite sedia elettrica. Viene fondata la società petrolifera anglo-olandese Shell. 1891 Febbraio: cade il ministero Crispi; si forma il ministero del conservatore Antonio Di Rudinì. 1° maggio: a Roma un movimento di protesta dei disoccupati, di ispirazione anarchica, degenera in tumulti per l'intervento della forza pubblica. 15 maggio: papa Leone XIII promulga l'enciclica De Rerum novarum. A Genova per iniziativa di Filippo Turati nasce il partito dei lavoratori italiani. A Capolago (Canton Ticino) Errico Malatesta e E Saverio Merlino fondano la Federazione anarchica italiana. Al congresso del partito socialdemocratico tedesco viene adottato un programma riformista redatto da Karl Kautsky. A Giava l'antropologo olandese E. Dupois scopre i resti fossili del pitecantropo. In Russia viene iniziata la costruzione della ferrovia transiberiana. A Milano viene fondata la società elettro-meccanica Marelli. L'americano W. L. Judson inventa la chiusura lampo (non entrerà in uso prima del 1919). Viene ideato negli Stati Uniti il gioco della pallacanestro. Cronologia 1892

Giuseppe Verdi scienza fosse maggiormente coltivata da noi. Quale fonte di ricchezza per la nostra patria! Un po' meno di musicisti, di avvocati, di medici etc. e un po' più di agricoltori".

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6 novembre: a Ricordi:"Vi ringrazio della musica del [Amico] Fritz che m'avete mandato. Ho letto in vita mia molti molti moltissimi libretti cattivi, ma non ho mai letto un libretto scemo come questo. [...1 In quanto alla musica [...] mi sono stancato presto di tante dissonanze, di quei rapporti falsi di modulazione, di tutte quelle cadenze sospese, di quelli inganni, e più... di tanti cambiamenti di tempo a quasi ogni battuta 1...1. La musica sarà ad ogni modo bellissima! 1...1 ma io sono vecchio e codino... cioè, vecchio sì, ma codino non tanto". 10 novembre ca.: si reca a Milano con la moglie; riceve le visite di Rubinstein e di Piatti. L'8 dicembre: si trasferisce con la moglie a Genova. 1892 Fine febbraio: si reca a Milano con la moglie. Il 21 marzo rientrano a Genova. 7 aprile: von Biilow scrive a GV facendo atto di contrizione per un giudizio avventato espresso sulla Messa da requie'', alla vigilia della sua prima esecuzione:"Ebbene, illustre Maestro, ora vi ammiro, vi amo!". 14 aprile: GV risponde a von Billow:"non è caso di parlare di pentimenti e di assoluzioni! Se le vostre opinioni d'una volta erano diverse da quelle d'oggi, voi avete fatto benissimo a manifestarle [...]. Del resto, chi sa... forse avevate ragione allora. [...] Se gli artisti del Nord e del Sud hanno tendenze diverse, è bene sieno diverse..Tutti dovrebbero mantenere i caratteri propri della loro nazione, come disse benissimo Wagner". Aprile: termina la partitura del primo atto di Falstaff 7 aprile: si reca da solo a Milano per le celebrazioni del centenario della nascita di Rossini. L'8 dirige alla Scala la "Preghiera" del Mosè di Rossini. L'll aprile rientra a Genova. 13 giugno: affronta con Ricordi i molteplici problemi relativi all'esecuzione del Falstaff,"La musica non è difficile, ma bisognerà cantarla diversamente dalle altre opere comiche moderne, e dalle opere buffe antiche". 18 giugno: si reca a Tabiano con la moglie per alcuni giorni. Fine giugno: si reca a Milano; viene fotografato da Campanari e Ferrarlo nel giardino Perego, in via Borgonuovo dove abita Giulio Ricordi; un ritratto a mezzo busto serve al pittore Carlo Chessa per una sua acquaforte; alcune istantanee lo ritraggono in compagnia di Boito, Ricordi, Chessa; due istantanee - fra le più famose e diffuse dell'iconografia verdiana (erroneamente riferite al giardino di S.Agata) - lo ritraggono insieme a Boito. 10 luglio ca.: parte con la moglie per Montecatini.A fine mese ritorna a Milano per ascoltare la cantante Il 1° agosto: rientrano a S.Agata. 15 settembre: spedisce a Ricordi la partitura del terzo atto di Falstaff 18 settembre: propone l'andata in scena del Falstaff per i primi di febbraio. Fine settembre: spedisce a Ricordi la partitura del secondo atto. 13-16 ottobre: fa una corsa a Milano per prendere le definitive disposizioni per le scene e i costumi di Falstaff 24 ottobre: si trasferisce con la moglie a Genova, dove in novembre riceve la visita di Giosuè Carducci e Annie Vivanti. 1° dicembre: spedisce a Ricordi la partitura del primo atto di Falstaff 21 dicembre: scrive a Ricordi perché predisponga tutto per poter iniziare le prove di Falstaff. 1893 2 gennaio: parte da Genova con Giuseppina alla volta di Milano per iniziare le prove di Falstaff. 9 febbraio: Milano, Scala: prima rappr. di Falstaff; grande successo. 2 marzo: GV e consorte rientrano a Genova. 7 marzo: scontento di uno squarcio nel concertato finale del secondo atto di Falstaff informa Ricordi:"Ho rifatto 6 battute, e resta accorciato il pezzo di 10 battute. Ve lo manderò domani". 8 marzo: riceve da Boldini il ritratto a olio fatto nel 1886 a Parigi.

Arte e Cultura 1892 20 gennaio: Milano, Scala: Catalani, Wally.

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16 febbraio: Vienna, Hofoper: Massenet, Werther 20 febbraio: Londra, St. James: Oscar Wilde, Il ventaglio di Lady Windermere), commedia. 7 aprile: Firenze, Pagliano: Francesco Cilea, Tilda. 21 maggio: Milano, Dal Verme: Leoncavallo, Pagliacci. 6 ottobre: Genova, Carlo Felice: Franchetti, Cristoforo Colombo. 10 novembre: Firenze, Pergola: Mascagni, I Rantzau. 18 dicembre: S. Pietroburgo, Mariinskij: Ciajkovskij, Lo schiaccianoci, balletto. Gustave Charpentier, La vita del poeta, sinfonia-dramma. Maeterlinck, Pelléas et Mélisande, dramma. G. d'Annunzio, L'innocente, romanzo. - Italo Svevo, Una vita, romanzo. - É. Zola, La disfatta, romanzo. Ada Negri, Fatalità, poesie. Paul Cézanne, I giocatori di carte, dipinto. - Paul Gauguin, Ta Matete, dipinto. Alfredo Ortani, La lotta politica in Italia. G. Podrecca fonda a Roma il giornale satirico anticlericale "L'Asino". 1893 7 gennaio: Berlino, Lessingtheater: H. Sudermann, Heimat (Casa paterna), dramma. 30 gennaio: Parigi, Th. Lyrique de la Renaissance: Messager, Madame Chrysanthème. 1° febbraio: Torino, Regio: Puccini, Manon Lescaut. 26 febbraio: Berlino, Lessingth.: Gerhart Hauptmann, I tessitori, dramma. 5 marzo: muore a Parigi Hyppolite Taine.

Politica, Società, Scienza, Scoperte 1892 8 maggio: cade il governo retto da Di Rudinì; si forma il primo ministero Giolitti. Agosto: a Genova il partito dei lavoratori italiani assume il nome di partito socialista. Autunno: si celebrano a Genova le "Feste colombiane" per il IV centenario della scoperta dell'America. 20 dicembre: scoppia lo scandalo della Banca Romana su denuncia del deputato socialista Napoleone Colajanni. In Eritrea il tenente dei carabinieri Dario Livraghi compie feroci repressioni, al limite del genocidio. Francia e Russia stipulano una convenzione militare. Rudolf Diesel inventa un motore a combustione interna di olio pesante. Viene fondata ad Atlanta la società produttrice della Coca-Cola. In Francia fa bancarotta la società, fondata da De Lesseps, per il canale di Panama; l'iniziativa della costruzione viene rilevata dagli Stati Uniti. 1893 19 gennaio: viene arrestato il neo-senatore Bernardo Tanlongo, direttore della Banca Romana; il ministero Giolitti è in difficoltà. Febbraio: Menelik denuncia alle potenze europee il trattato di Uccialli e respinge il protettorato italiano. Estate: 400 emigrati italiani che lavorano nelle saline di Aigues Mortes vengono selvaggiamente aggrediti da francesi; 30 morti.Tumulti antifrancesi scoppiano a Roma e a Napoli. Cronologia 1894

Giuseppe Verdi 18 marzo: scontento di "quella specie di mazurka che chiude la prima parte del terzo atto" di Falstaff, medita di apportare un cambiamento. 21 marzo: di passaggio per recarsi a S.Agata sosta a Milano e assiste a una recita di Falstaff

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29 marzo: a Ricordi: "Ho visto annunciato Falstaff e Manon [di Puccini] a Brescia. È un errore! I: una ammazzerà l'altra! Date la Manon sola. Io non ho bisogno di far carriera e godo che altri approfittino". 1° aprile: spedisce a Ricordi il cambiamento apportato alla fine della prima parte del terzo atto. 6 aprile: il Falstaff viene rappresentato al Carlo Felice di Genova, presente l'autore, con i complessi artistici e orchestrali scaligeri. 13 aprile: parte con la moglie per Roma, prendendo alloggio all'Hàtel Quirinale. 14 aprile: viene ricevuto da re Umberto I. Dal consiglio municipale gli viene conferita la cittadinanza romana. Invita a pranzo alcuni pochi amici, fra cui Cesare Pascarella. 15 aprile: al Teatro Costanzi assiste con Boito alla prima romana del Falstaff 15 aprile: si incontra con Eduard Hanslick che, ammirato, scrive di lui:"Qualcosa di infinitamente mite, modesto e aristocratico nella stessa modestia, riluce nella figura di quest'uomo, che la fama non ha reso vanitoso, gli onori non arrogante, l'età non bisbetico". 20 aprile: rientra con la moglie a Genova. Il 4 maggio si trasferiscono a S.Agata. 23 maggio: a Ricordi:"V'ho mandato stamattina le ultime note del Falstaff! Pace all'anima sua!!". 15 giugno: a Ricordi:"Il repertorio fisso da noi! col nostro pubblico è impossibile! [...] Bisogna lasciare a ciascun paese la propria indole, e tollerare da noi talvolta gli indecenti chiassi e gli stupidi giudizi!... [...] sotto molti rapporti le condizioni del Teatri tedeschi sono migliori, sopratutto per la giustezza della paga, e per la pensione dopo dieci anni di servizio". Fine giugno: si reca con Giuseppina a Milano; il 3 luglio partono per Montecatini. Agosto-settembre: discute con Ricordi il progetto di dare Falstaff e Otello in francese in Francia. 2 settembre: a Ricordi in merito al successo di Falstaff a Brescia. "Io ho sempre creduto e credo che Falstaff sia opera facilissima a rappresentarsi; e che, un po' istruiti tutti, o quasi tutti possono eseguirla. [...] Bisogna soltanto badar molto alla parte d'Alice.Alice è la prima parte dopo Falstaff". Metà novembre: si trasferisce con Giuseppina a S.Agata. 8 dicembre: a Mascheroni:"Orchestra invisibile!... È un'idea tanto vecchia che tutti o almeno tutti hanno sognato!... Anch'io vorrei nei teatri l'orchestra invisibile; ma non a metà... La vorrei completamente invisibile! [...] Ma se l'orchestra completamente invisibile non è possibile come lo dimostrano non solo l'Opera, [ma] moltiTeatri di Germania, e perfino Monaco e Bayreuth (ripeto completamente) tutte le modificazioni che farete sono puerili, non hanno nulla a fare coll'arte". Dicembre: è preoccupato per un incidente sorto fra Boito e l'editore Sonzogno a proposito di un'opera di Frederic Cowen, che aveva minacciato di sfociare in un duello. 1894 Gennaio: protesta con Ricordi per i cambiamenti fatti apportare dal direttore dell'Opera, Gailhard, alla traduzione francese di Otello fatta da Boito e Du Lode e da lui approvata. 21 gennaio: spedisce a Ricordi alcune correzioni apportate in Falstaff al Sonetto di Fenton e al parlante che precede la Canzone delle Fate. Metà febbraio: GV e consorte si recano a Milano per alcuni giorni. Il 6 marzo rientrano a Genova. 12 marzo: scrivendo a Ricordi accetta a malincuore di recarsi a Parigi per il Falstaff in francese:"a Parigi io non conosco più nissuno, e sarei perduto come in un deserto! Più l'alloggio al mio antico Hotel [de Bade] in cui mi trovavo come a casa mia, non è più possibile (come dite Voi tutti) e bisognerebbe andare in quel Grand Hotel che mi è antipatico!". 14 marzo: a Boito a proposito della consuetudine di bissare "Quand'ero paggio":"In che offende l'estetica quel piccolo squarcio? [...] È scritto bene per la voce, è istromentato leggermente; lascia sentire tutte le parole [...] Che male c'è dunque, s'è riuscito popolare?".

Arte e Cultura 13 giugno: l'università di Cambridge conferisce la laurea honoris causa a Boito, a Max Bruch, a Ciajkovskij e a Saint-Saéns. 6 luglio: muore a Parigi Guy de Maupassant. 16 luglio: muore a Caprino Bergamasco Antonio Ghislanzoni.

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7 agosto: muore a Milano Alfredo Catalani. 16 ottobre: muore a Verona Carlo Pedrotti. 16 ottobre: S. Pietroburgo: Ciajkovskij: Sesta Sinfonia, detta la Patetica". 18 ottobre: muore a Parigi Charles Gounod. 27 ottobre: Parigi,Vaudeville:Sardou,Madame Sans-Cine, commedia. 6 novembre: muore a S. Pietroburgo in circostanze misteriose Piotr Ciajkovskij. 23 dicembre: Weimar: Engelbert Humperdinck, ~sei e Gretel. 26 dicembre: alla Scala va in scena la Walkiria di Wagner in italiano. Antonin Dvoràk, Sinfonia dal Nuovo Mondo. Oscar Wilde, Salomè, dramma. G. Courteline, Quelli dalle mezze maniche, romanzo. E. de Marchi, Arabella, romanzo. C. Pascarella, La scoperta dell'America, poemetto in romanesco. Roberto Ardigò, La scienza dell'educazione. Lombroso, Il fenomeno psicologico di Verdi, articolo in cui l'autore, coerente con le proprie teorie, nega al maestro la qualifica di "genio". Nel corso di una campagna di scavi a Delfo, in Grecia, vengono ritrovate due lastre marmoree su cui sono incisi due inni delfici, di cui uno battezzato Inno di Apollo. 1894 4 febbraio: muore a Parigi Adolphe Sax. 24 febbraio: Parigi, Odéon: Georges Feydeau - Desvallières, Il nastro, commedia. 10 marzo: Weimar: Richard Strauss: Guntram. 16 marzo: Parigi, Opéra: Massenet, Thais. 18 aprile: Colonia, Stadttheater: Nicola Spinelli, A basso porto. 10 maggio: Weimar: R. Strauss, Guntram. 13 giugno: muore adAnagni il baritono Filippo Coletti. 20 giugno: Londra, Covent Garden: Massenet, La Navanwe. 19 agosto: muore, presso Cernobbio, Giovannina Strazza ved. Lucca.

Politica, Società, Scienza, Scoperte Sommosse contadine in Sicilia e in Lunigiana, che ven- gono poste in stato d'assedio. Novembre: travolto dallo scandalo della Banca Romana, Giolitti è costretto alle dimissioni; dopo la rinuncia di Zanardelli si forma il secondo ministero Crispi. Dicembre: il col.Arimonti sconfigge i dervisci ad Agordat. Viene istituita la Banca d'Italia. In Inghilterra viene fondato il partito laburista indipendente. Una insurrezione nazionalista in Macedonia rivendica l'indipendenza dalla Turchia e l'unione con la Bulgaria. Viene inaugurato il canale di Corinto. Negli Stati Uniti l'industriale Henry Ford costruisce la sua prima automobile. 1894 Moti insurrezionali in Sicilia (i "fasci siciliani") e in Lunigiana vengono repressi da Crispi con la forza militare; la Sicilia viene posta in stato d'assedio. 20 marzo: muore a Torino Lajos Kossuth. 25 giugno: a Lione il presidente francese Sadi Carnot viene ucciso dall'anarchico italiano Sante Caserio; il gesto suscita manifestazioni anti-italiane. Luglio: il gen. Baratieri occupa Kassala. 15 ottobre: viene arrestato il capitano Alfred Dreyfus, accusato di spionaggio. Ottobre: Crispi decreta lo scioglimento delle associazioni operaie e del partito socialista.

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Cronologia 1895

Giuseppe Verdi 4 aprile: parte con la moglie per Parigi; di passaggio dalla stazione di Torino, una folla di persone accortasi della sua presenza in treno, lo saluta con una grande ovazione, cui il maestro risponde compiaciuto.Arrivato a Parigi prende alloggio al Grand Hòtel. 5 aprile: inizia le prove di Falstaff in francese all'Opéra-Comique, a quel tempo ospitata al Thatre Lyrique in piace du Chàtelet. 16 aprile: prova generale di Falstaff. • 18 aprile: prima rappresentazione in francese di Falstaff all'Opéra-Comique. 29 aprile: parte da Parigi con Giuseppina, sosta a Genova, quindi rientra a S.Agata. Fine maggio: si reca per una settimana a Milano; con Boito e Ricordi visita le Esposizioni Riunite. L'S giugno rientra a S.Agata. Il 24 ritorna con la moglie a Milano, e di qui, dopo una settimana, si dirige a Montecatini. Si occupa del balletto da inserire nell'Otello in francese e tempesta Ricordi per avere informazioni su danze popolari greche, cipriote e veneziane. 10 luglio: riceve da Ricordi alcune musiche di danze antiche: "Che miseria quella musica mandatavi da Tebaldini! Anche in quel tempo v'era ben altro ben altro! [...] Cercate cercate!" 17 luglio: parte da Montecatini e rientra a S.Agata il 19. Agosto: compone il balletto per l'Otello in francese e il 21 lo spedisce a Ricordi accompagnandolo con minuziose istruzioni su come dev'essere eseguito. 18 settembre ca.: si trasferisce con la moglie a Genova. Il 26 parte per Parigi (è il suo ultimo viaggio nella capitale francese) per le prove dell'Otello in francese. Giuseppina rimane a Genova. 12 ottobre: prima rappresentazione all'Opera dell'Otello in francese, alla presenza del presidente francese Casimir Péricr, che conferisce a Verdi la Gran Croce della Legion d'onore. 17 ottobre: partecipa con Thomas alla commemorazione dell'anniversario della morte di Gounod. 22 ottobre: lascia Parigi e rientra a Genova. 19-22 novembre: Jules Massenet gli fa visita a palazzo Doria. Il maestro lo accoglie con cordialità. A Massenet rimane impressa l'immagine di GV,"il capo scoperto e dritto sotto il sole" che gli mostra la città e il mare "con un gesto fiero come il suo genio e semplice come la sua bella anima d'artista. E fu come un'evocazione di uno dei grandi dogi dell'antichità, che stende su Genova la sua mano fatta di potenza e di bontà". 3-6 dicembre: compone Pietà Signor, su versi adattati da Boito dall'Agnus Dei, per il numero unico di "Fata Morgana" a beneficio dei terremotati di Calabria e Sicilia. 1895 18 gennaio: sotto l'entusiastica impressione ricevuta ascoltando una rappresentazione di Falstaff a Berlino, il giovane Richard Strauss dona a GV un esemplare della sua opera Guntram accompagnandola con una lettera piena di ammirazione. 28 gennaio: GV si reca con la moglie a Milano per controllare i lavori della futura Casa di Riposo. 31 gennaio: progettando di comporre un Te Deum, chiede a Giuseppe Gallignani di trascrivergli dal libro di Canto Fermo le "due cantilene"; inoltre lo prega di restituirgli le Ave Maria su scala enigmatica, avendo intenzione di farle stampare in un ristrettissimo numero di copie (prima di restituirle Gallignani, nel timore di una rinuncia del maestro a pubblicarle, ne trascrive copia). 17 febbraio: legge a Ricordi e a Emilio Seletti le disposizioni testamentarie relative alla Casa di Riposo. Febbraio: fa la conoscenza di Pietro Mascagni. 9 marzo: parte da Milano con la moglie per rientrare a Genova.A fine mese si trasferiscono a S.Agata. Aprile: inizia la composizione del Te Deum. Metà maggio: si reca a Milano. 28 giugno: al Conservatorio di Parma vengono eseguite sotto la direzione di Gallignani, di fronte a un ristrettissimo pubblico, le sue Ave Maria su scala enigmatica. 30 giugno: GV e consorte si recano alle cure termali di Montecatini.

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Arte e Cultura 16 novembre: Napoli, Nuovo: esordio di Enrico Caruso nell'opera L'amico Francesco di Morelli. 22 dicembre: Debussy: Prélude à "L'Après-midi d'un Faune". Nasce a Torino la "Rivista Musicale Italiana". Carlo 13ertolazzi, El nost Milan, commedia (prima parte: La povera gent). - G. B. Shaw, La professione della signora Warren, commedia. A. France, Il giglio rosso, romanzo. - C. Mendes, La casa della vecchia, romanzo. - George Moore, Esther Waters, romanzo. - Jules Renard, Pel di carota, romanzo. - Gerolamo Rovetta, La baraonda, romanzo. 1894-96: Henryk Sienkiewicz, Quo vadis?, romanzo. Piene Louys, Le canzoni di Bilitis,"poesie in prosa". L'attore Ermete Zacconi forma una propria compagnia. Viene fondata a Roma la rivista "Riforma Sociale". 1895 14 febbraio: Londra:Wilde,L'importanza di chiamar- si Ernesto, commedia. 16 febbraio: Milano, Scala: Mascagni, Guglielmo Ratcliff. 11 marzo: muore a Milano Cesare Cantù. 28 marzo: Trieste, Comunale: A. Smareglia, Nozze istriane. 5 novembre: Colonia: Richard Strauss, 'fili Eulenspiegel, poema sinfonico. 27 novembre: muore a Marly-le-Roi Alessandro Dumas figlio. 28 dicembre: i fratelli l.ouis-Jean e Auguste Lumière proiettand in pubblico il primo filmato: l'uscita degli operai dalla fabbrica. Scott Joplin inizia a comporre i primi ragtime. Enrico Panzacchi, Nel mondo della musica, saggi. Carlo Bertolazzi, El nost Milan, commedia (seconda parte: I sciori).

Politica, Società, Scienza, Scoperte

1° novembre: muore lo zar Alessandro III; gli succede il figlio Nicola II, continuatore della politica reazionaria del padre. 22 dicembre: Dreyfus viene condannato alla deportazione a vita. Francia e Russia stipulano un'alleanza per far fronte ai contrasti con l'Austria. Il Giappone muove guerra alla Cina per sottrarre la Corea alla sua influenza. Il medico francese E. Roux realizza la sieroterapia della difterite. Il tedesco E. Berliner inventa il grammofono a disco. Enrico Bernardi produce i primi esemplari italiani di automobile con motore a combustione interna. Viene scoperto il bacillo della peste. Il diplomatico francese Pierre de Coubcrtin promuove le Olimpiadi moderne. Viene fondato a Milano il Touring Club Italiano. 1895 La Francia conquista il Madagascar. Cuba si ribella alla Spagna; nonostante una dura repressione l'esercito spagnolo non riesce a soffocare la rivolta. Si conclude la guerra fra Cina e Giappone; la Cina cede ai nipponici l'isola di Formosa; viene proclamata l'indipendenza della Corea. Settembre: nasce in Francia la Confederazione Generale del Lavoro che riunisce tutte le associazioni sindacali. Scoppia la guerra fra Italia e Abissinia, alleata con Francia e Gran Bretagna. 7 dicembre: sconfitta delle truppe italiane comandate dal maggiore Pietro Toselli all'Amba Alagi dopo eroica resistenza. Viene fondato a Milano il partito repubblicano, erede della tradizione mazziniana. Termina la pubblicazione (postuma) del Capitale di Marx. 28 marzo: dopo molti esperimenti utilizzando le onde elettromagnetiche, Guglielmo Marconi approda alla rea-

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Cronologia 1896

Giuseppe Verdi 19 luglio: a Giulio Ricordi che gli chiede di pubblicare le Ave Maria su scala enigmatica:"non vale la pena di parlarne. È stato uno scherzo ed è quasi un puro esercizio scolastico" (e più tardi ad altro destinatario:"quella non è vera musica, è un tour de force, è una sciarada"). 21 luglio: rientra a S.Agata da Montecatini. 10 settembre: riceve una visita di Italo Pizzi; si parla di strumenti antichi, di antica musica greca, dell'Inno di Apollo, dell'orientalismo di Aida, di una visita fatta a un museo di Firenze per esaminare un flauto che secondo Fétis era di epoca egizia e che invece risulta essere un subieu da famè (uno zufolo da famiglio). Ottobre: con Giuseppina si reca a Milano; alla fine del mese rientrano a S.Agata. 1896 16 gennaio: GV ritorna a Milano con Giuseppina per controllare la costruzione della Casa di Riposo.II13 febbraio rientrano a Genova. 18 febbraio: chiede a Giovanni Tebaldini di poter conoscere un Te Deum di padre Vallotti. 21 febbraio: comincia a mettere in partitura il Te Deum. 1° marzo: riscrive a Tebaldini per il Te Deum di Vallotti osservando che questa cantica "ordinariamente cantata nelle feste grandi solenni, chiassose o per una vittoria o per un'incoronazione LI finisce con una preghiera E...1 commo- vente, cupa, triste fino al terrore!"; pertanto è curioso di sapere se Vallotti, disponendo di un'orchestra e di un'armonia abbastanza ricca,"aveva trovato espressioni, e colori, od aveva intendimenti diversi da molti de suoi predecessori". 26-28 marzo: compie un fulmineo viaggio a Milano. 6 aprile: rifiuta di comporre un inno su versi di Carducci per l'anniversario della liberazione di Roma. 1° maggio: ringraziaTehddini per il Te Deum di Vallotti:"È un pezzo molto ben fatto ma non vi ho trovato quello che cercavo". Primi di maggio: si trasferisce a S.Agata passando da Milano. Fine maggio.: si reca a Milano da solo (Giuseppina è ammalata) per depositare in banca 400.00() lire per l'erigenda Casa di Riposo; il 2 giugno rientra a S.Agata. 11 giugno: a Boito, dopo aver ricevuto da Tebaldini altri Te Deum:"oramai quello che è fatto, è fatto; né io potrei dare altra interpretazione a quella Cantica". Metà giugno: Verdi e consorte si recano a Milano per alcuni giorni. Giugno ca.: inizia a comporre uno Stabat Mater per coro a 4 parti e orchestra. 11 luglio: ritorna a Milano con la moglie per vedere lo stato dei lavori della Casa di Riposo. Il 15 ripartono alla volta di Montecatini. Il 20 luglio rientrano a S.Agata. Fine agosto: torna a Milano per vedere i lavori della Casa di Riposo; il 3 settembre rientra a S.Agata. Metà ottobre: con la moglie trascorre alcuni giorni a Milano,per vedere, fra l'altro, lo stato dei lavori della Casa di Riposo. 20 novembre ca.: si trasferisce a Genova; le condizioni di salute di Giuseppina non migliorano. 29 novembre ca.: Umberto Giordano, fresco sposo di Olga Spatz, la figlia del proprietario dell'I-atei de Milan, si reca con la moglie a palazzo Doria per far visita a GV. 1897 Primi di gennaio: GV subisce un colpo apoplettico che gli fa perdere i sensi; soccorso dalla nipote Maria, si rimette presto. 22 febbraio: si reca a Milano con la moglie - la cui salute, sempre più cagionevole, registra un lieve miglioramento - per sorvegliare l'andamento dei lavori di costruzione della Casa di Riposo. 24 febbraio: concede un'intervista a Heinrich Ehrlich, che trova il maestro "quasi ringiovanito", con il capo eretto come un militare, vigoroso come un sessantenne.

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Arte e Cultura Antonio Fogazzaro, Piccolo mondo antico, romanzo. Emilio Salgari, I misteri della giungla nera, romanzo. Joseph Conrad, La follia di Almayer, romanzo. - Rudyard Kipling, I libri della giungla, romanzo. - George Wells, La macchina del tempo, romanzo di fantascienza. Paul Valéry, Introduzione al metodo di Leonardo. Gaetano Mosca, Elementi di scienza politica. Siegmund Freud - Joseph Breuer, Studi sull'isteria. Si apre la prima Biennale di Venezia, esposizione internazionale d'arte contemporanea. I.. Roux fonda a Torino il quotidiano "La Stampa". 1896 26 gennaio: Torino, Gerbino: Verga, La lupa, scene drammatiche. 1 ° febbraio: Torino, Regio: Puccini, La Bohème. 12 febbraio: muore a Parigi Ambroise Thomas. 28 marzo: Milano, Scala: Giordano, Andrea Chénier. 7 giugno: Mannheim: Hugo Wolf, Der Corregidor 16 settembre: muore in Brasile Carlos Gomes. 23 settembre: muore a Poissy il cantante Gilbert-Louis Duprez. 8 ottobre: Festival di Norwich: L. Mancinelli, Ero e Leandro (in forma di cantata). 11 ottobre: muore a Vienna Anton Bruckner. 27 novembre: Francoforte: Richard Strauss, Così parlò Zaratustra. 10 dicembre: Parigi: Alfred Jarry, Ubu-re, commedia. 16 dicembre: Praga: Emil von Reznicek,Donna Diana. 25 dicembre: a Roma viene fondato il quotidiano socialista "Avanti!". Anton Cechov, Il gabbiano e Lo zio Vanja, commedie. Carolina Invernizio, La sepolta viva, romanzo. - Pierre Louys,Afrodite, romanzo. Marcel Proust, I piaceri e i giorni. A Torino e a Milano si aprono i primi locali destinati a proiezioni cinematografiche. In Francia viene istituito il premio letterario Goncourt. A Bologna viene fondato il quotidiano cattolico "L'Avvenire". 1897 10 febbraio: Milano, Scala: Manzotti, Sport, ballo, musica di R. Marenco. 19 febbraio: Parigi, Opéra:A. Bruneau, Messidor 12 marzo: Bruxelles, La Monnaie: Vincent d'Indy, Fervaal.

Politica, Società, Scienza, Scoperte lizzazione del circuito oscillante aperto. Il fisico tedesco Wilhelm Conrad Ròntgen scopre i raggi X (Un nuovo tipo di raggi). Lo statunitense King Camp Gillette inventa il rasoio di sicurezza (sarà commercializzato a partire dal 1901). I fratelli Édouard e André Michelin realizzano i primi pneumatici per automobile. Viene ideato negli Stati Uniti il gioco della pallavolo. 1896 L'arciduca Francesco Ferdinando, nipote di Francesco Giuseppe, viene nominato erede al trono. A Londra il terzo congresso dell'Internazionale socialista decide l'espulsione degli anarchici. 1 ° marzo: disfatta dell'esercito italiano, guidato da Baratieri, ad Adua. 5 marzo: Francesco Crispi è costretto alle dimissioni; gli succede Antonio Di Rudinì. Ottobre: con la pace di Addis Abeba si conclude la guerra fra Italia e Abissinia; l'Italia mantiene Eritrea e Somalia, ma deve rinunciare al protettorato sull'Etiopia. La Francia proclama il Madagascar colonia francese. Vilfredo Pareto pubblica il Corso di economia politica. Gennaio: Guglielmo Marconi realizza la prima trasmissione di segnali radio via etere. 2 giugno: Marconi deposita a Londra il brevetto per la trasmissione telegrafica senza fili. Anche il fisico russo A. Popov realizza la trasmissione radiotelegrafica.

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Il francese Henri Becquerel scopre la radioattività naturale. L'industriale torinese Michele Lanza costruisce la prima automobile a benzina, a due cilindri. 6 aprile: ad Atene viene aperta la prima Olimpiade moderna. Viene fondata a Milano la "Gazzetta dello Sport". 1897 17 marzo: muore in uno scontro con le truppe abissine Vittorio Bottego. 22 aprile: a Roma il fabbro Pietro Acciarito attenta alla vita di re Umberto I. 2 maggio: la morte in carcere, massacrato dalla poli- Cronologia 1898

Giuseppe Verdi 16 marzo: ritorna a Genova. Ma ai primi di aprile compie una rapida corsa a Milano. 6 maggio: Verdi e consorte si recano a Milano per un breve soggiorno; il 17 si trasferiscono a S.Agata. 1° giugno: si rassegna a far stampare le Ave Maria su scala enigmatica insieme ai tre Pezzi sacri: Luridi alla Vergine, Stabat Mater e Te Deum. 4 giugno: informa Ricordi d'aver dimenticato a Genova la Sciarada; ma sta tuttavia trascrivendola, cambiando qual- che battuta qua e là non ricordando del tutto la prima versione: "credo che questa sia più corretta nelle modulazioni e disposizioni di parti". Inoltre porta a termine l'orchestrazione dello Stabat Mater. 1° luglio: si reca con la moglie a Milano per visitare i lavori della Casa di Riposo; s'incontra con Ricordi, che insi- ste per fare pubblicare ed eseguire i Pezzi sacri. - Il 7 luglio partono per le cure termali di Montecatini. Il 22 rientrano a S.Agata. Agosto: apporta gli ultimi ritocchi ai Pezzi sacri. 1° settembre: è di passaggio a Milano, diretto a Genova, e in un incontro con Ricordi decide di pubblicare i Pezzi sacri. 9 settembre: la salute della moglie di GV va declinando; a Ricordi:"si alza per qualche ora; la tosse ed il catarro sono diminuite, ma la debolezza è estrema. Non mangia, e dice che non può!? È desolante! e non si sa cosa fare". 14 ottobre: Giuseppina trova la forza per visitare a Cremona la sorella Barberina. 21 ottobre: GV spedisce le Ave Maria su scala enigmatica e il Te Deum a Ricordi per la stampa. 25 ottobre: spedisce a Ricordi le Laudi alla Vergine e lo Stabat Mater;"Finché esistevano sul mio scrittojo li guardavo qualche volta con compiacenza e mi parevano cosa mia! - Ora non sono più miei!! [...] È un vero dolore!" Primi di novembre: Boito si reca a Parigi per studiare la possibilità di farvi eseguire i Pezzi sacri. 11 novembre: Giuseppina viene colta da una violenta polmonite. 14 novembre: nel pomeriggio muore in S.Agata Giuseppina Verdi Strepponi. I funerali si svolgono a S. Agata; la salma viene provvisoriamente tumulata nel Cimitero Monumentale di Milano. 25 dicembre: GV trascorre a S.Agata le feste natalizie in compagnia di Boito. 1898 6 gennaio: GV si reca a Milano per sorvegliare la pubblicazione dei Pezzi sacri. 21 gennaio: da Parigi Boito informa il maestro di un primo accordo per l'esecuzione dei Pezzi sacri alla Società dei Concerti del Conservatorio di Parigi. Fine gennaio: GV limita il consenso dell'esecuzione a soli tre Pezzi, vietando quella delle Ave Maria su scala enigmatica. l 4 marzo: parte da Milano per trasferirsi a Genova. 20 marzo: vorrebbe andare a Parigi per assistere all'esecuzione dei Pezzi sacri, ma i medici gli vietano un così lungo viaggio; in sua vece vi sarà Boito. 29 marzo - 5 aprile: è in fitta corrispondenza con Boito per l'esecuzione dei Pezzi sacri. 7 aprile: Parigi, Conservatorio: prima esecuzione assoluta dei tre Pezzi sacri, presente Boito.

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22-25 aprile: ArturoToscanini e Giuseppe Depanis si recano a palazzo Doria per consultare GV in merito alla prossima esecuzione dei Pezzi sacri a Torino, e averne consigli e suggerimenti; a Toscanini che gli chiede il perché dell'intervento di una voce sola, nascosta al pubblico, alla fine del Te Deum il maestro risponde:"E l'iimanità che ha paika dell'inferno". 26 aprile: GV si reca a Milano e vi soggiorna sino alla fine di maggio; a questo periodo risalgono alcuni appunti del testamento olografo. 19 maggio: a proposito dei tumulti popolari milanesi soffocati a cannonate da Bava Beccaris, Boito scrive a Bellaigue che essi non furono provocati dal caro-pane, ma per ottenere marmellata e polenta; "siamo ancora in stato d'assedio, stato che non manca di fascino, offre innanzi tutto l'illusione di un ritorno al medio evo. Si rientra entro mezzanotte, non si incontrano che pattuglie, la bicicletta è scomparsa, l'automobile pure, per conto mio sono incantato e mi sento ringiovanito di quattro secoli". 26 maggio: Torino, Salone dei Concerti dell'Esposizione Generale Italiana: prima esecuzione italiana dei tre Pezzi sacri, diretti da Toscanini.

Arte e Cultura 3 aprile: muore a Vienna Johannes Brahms. 6 maggio: Venezia, La Fenice: Leoncavallo, La Bohème. 6 settembre: Venezia, Rossini: Smareglia, La falena. 1° ottobre: muore a Mosca il baritono Leone Giraldoni 27 novembre: Milano, Lirico: Cilea, L'Arlesiana. 28 dicembre: Parigi: Edmond Rostancl, C..'irano di Bergerac, dramma in versi. Napoli, teatro Verdi: Salvatore Di Giacomo, 'O mese mariano, dramma. Paul Dukas, L'apprendista stregone, scherzo sinfonico. Lorenzo Perosi, La Passione di NS. Gesù Cristo secondo S. Marco, oratorio. André Gide, I nutrimenti terrestri, romanzo - Bram Stoker, Dracula, romanzo. Lev N.Tolstoj, Che cosa è l'arte? Henri Bergson, Materia e memoria. Emilio Girolamo Medrano fonda a Parigi il circo che porta il suo nome. A Torino viene completata la costruzione della Mole Antonelliana. 1898 7 gennaio: Mosca: Rimskij-Korsakov, Sadko. 10 febbraio: nasce ad Augsburg Bertolt Brecht. 25 febbraio: Lipsia (rappr. privata): Frank Wedekind, Lo spirito della terra, dramma. Primavera: esordio del baritono Titta Ruffo al Costanzi di Roma. 26 settembre: nasce a New York George Gershwin. 14 ottobre: nasce presso Mosca il Teatro d'Arte diretto da Stanislawski e Nemirovic-Dancenko. 5 novembre: Berlino: Hauptmann, Il vetturale Henschel, dramma. 17 novembre: Milano, Lirico: Giordano, Fedora. 22 novembre: Roma, Costanzi: Mascagni, Iris. Dicembre: Toscanini diventa direttore stabile alla Scala di Milano. Gabriel Fauré, musiche di scena per Pelléas et Mélisande di Maeterlinck. L. Perosi, La risurrezione di Lazzaro, oratorio. Edoardo Di Capua scrive la canzone 'O sole mio su versi di Giovanni Capurro. G. B. Shaw, Il petletto wagnerita. C. Bertolazzi, La gibigianna, commedia in milanese. -

Politica, Società, Scienza, Scoperte zia, di Romeo Frezzi falsamente accusato di complicità con Acciarito provoca un'ondata di proteste.

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A Basilea si tiene il primo congresso mondiale ebraico presieduto da Theodor Herzl, nel quale viene annunciato il programma per la costituzione di uno stato ebraico in Palestina. La Grecia muove guerra alla Turchia in difesa di Creta; ma, sconfitta, è costretta alla pace di Costantinopoli. Le grandi potenze europee ottengono per Creta l'autonomia sotto la sovranità turca. A Caltagirone Luigi Sturzo introduce il movimento della democrazia cristiana. Antonio Labriola, Del materialismo storico. Il fisico britannico Joseph John Thomson determina il rapporto fra la carica e la massa dell'elettrone. Viene fondata a La Spezia la Lega Navale Italiana. Viene fondata a Torino la società di calcio Juventus. 1898 Aprile: in varie parti d'Italia scoppiano sommosse popolari contro il rincaro del prezzo del pane. Aprile: gli Stati Uniti intimano alla Spagna di concedere l'indipendenza a Cuba; scoppia la guerra fra Stati Uniti e Spagna. 1° maggio: viene inaugurata l'esposizione di Torino. Proseguono proteste e scioperi; il governo proclama lo stato d'assedio in 4 province. 6-9 maggio: i moti popolari milanesi contro il carovita vengono repressi spietatamente dal generale Bava-Beccaris che fa sparare i cannoni direttamente sulla folla, provocando più di 80 morti; la città viene posta in stato d'assedio; seguono gli arresti di molti esponenti politici. Per la sua 'eroica' impresa BavaBeccaris viene ricompensato da Umberto I con la Croce di Grande Ufficiale e la nomina a senatore. 18 giugno: dimissioni del primo ministro Di Rudinì; gli succede il generale Pelloux che imprime una svolta autoritaria. Vengono avviati numerosi processi e condannati esponenti delle sinistre, fra cui Turati, Andrea Costa, Lazzari, Romussi, don Albertario, la Kuliscioff, Bissolati, De Ambris. Luglio: gli Stati Uniti si annettono lo stato delle isole Hawaii. 30 luglio: muore Otto von Bismarck. Cronologia 1899

Giuseppe Verdi Primi di luglio: GV parte per Milano. 1 1 luglio: insieme alla Stolz si reca alle cure termali di Montecatini. 1 ° agosto: lascia Montecatini per rientrare a S.Agata. 13 agosto: alla notizia che il conservatorio di Milano s'intitolerà a Giuseppe Verdi scrive a Ricordi:"Conservatorio "Giuseppe Verdi" è una stonazione! Un Conservatorio ha attentato (non esagero) alla mia esistenza, ed io debbo sfuggirne fin la memoria". 25 settembre: a S. Agata una cameriera viene uccisa da un colpo di fucile sparato dal figlio diciassettenne di Maria Carrara Verdi, Angiolino. 13 novembre: prima esecuzione dei quattro Pezzi sacri a Vienna, diretti da Richard von Perger, con il battesimo ufficiale delle Ave Maria su scala enigmatica. Primi di dicembre ca.: GV parte per Milano per un lungo soggiorno. 1899 9 febbraio: parte da Milano per trasferirsi a Genova. 18 marzo: si lamenta con Ricordi del protagonismo degli attuali direttori d'orchestra:"Quando ho incominciato io a scandalizzare il mondo musicale co' miei peccati, vi era la calamità delle prime Donne, ora vi è la tirannide dei Direttori d'orchestra! Male male! Però meno male il primo!!". Metà di maggio: lascia Genova per recarsi a Milano. Primi di giugno: si trasferisce a S.Agata. Primi di luglio: accompagnato dalla Stolz si reca direttamente alle cure termali di Montecatini. 28 settembre: dalla "Gazzetta musicale di Milano":"Giuseppe Verdi, che è sempre l'attività personificata, passò da Milano diretto a Genova ove rimase due giorni, ritornando poi di nuovo a Milano. Fra noi rimase quattro giorni, duran- te i quali prese varie disposizioni per far progredire i lavori interni del suo fabbricato fuori Porta Magenta".

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1 ° ottobre: si rivolge al ministro Baccelli per chiedere il consenso a essere sepolto, dopo la sua morte, accanto alla moglie nell'Oratorio del Ricovero pei Musicisti in Milano. Novembre: il Conservatorio di Parma, per iniziativa di Tebaldini, celebra il 60° anniversario della prima opera di GV, l'Oberto. 3 dicembre: GV si trasferisce a Milano, sempre alloggiando all'Hòtel de Milan. 16 dicembre: firma il documento che stabilisce la fondazione della Casa di Riposo per Musicisti. 25 dicembre: trascorre le feste natalizie e di capodanno a Milano tra amici.

Arte e Cultura Parigi, Vaudeville: Pierre Berton, Zazà, commedia. - G. d'Annunzio, La città morta,"tragedia moderna". Henry James, Il giro di vite, romanzo. - Italo Svevo, Senilità, romanzo. Émile Zola, J'accuse; viene riaperto il caso Dreyfus. Paul Cézanne inizia la serie delle Bagnanti. - T Signorini, La toeletta del mattino, dipinto. 1899 14 febbraio: Londra: Oscar Wilde, L'importanza di chiamarsi Ernesto. 15 aprile: Palermo, Bellini: G. d'Annunzio, La Gioconda,tragedia. 3 giugno: muore a Vienna Johann Strauss jr. 28 settembre: muore a Schafberg il pittore Giovanni Segantini. 26 ottobre: Vienna, Carltheater: J. Strauss jr., Sangue viennese, operetta postuma. Jan Sibelius, Finlandia, poema sinfonico. A. Schónberg, Verklarte Nacht, sestetto per archi. Tolstoj, Resurrezione, romanzo. Carducci, Rime e ritmi. A Milano viene fondato il settimanale "La Domenica del Corriere".

Politica, Società, Scienza, Scoperte 10 settembre: viene uccisa a Ginevra da un anarchico italiano l'imperatrice Elisabetta d'Austria, moglie di Francesco Giuseppe. 21 settembre: in Cina il tentativo di ammodernamento avviato dal giovane imperatore Kang-Yuwei viene troncato da un colpo di stato della vecchia imperatrice Tzushi. Settembre: truppe egiziane, guidate da un generale inglese, disperdono il movimento mahdista e riconquistano il Sudan. Dicembre: con la pace di Parigi termina la guerra fra Spagna e Stati Uniti; la Spagna, sconfitta, si ritira da Cuba e deve cedere agli Stati Uniti l'isola di Portorico, le isole Filippine e l'isola di Guam. Nelle Filippine il movimento nazionalista guidato da Emilio Aguinaldo proclama l'indipendenza. Un accordo commerciale pone fine alla "guerra delle tariffe" fra Italia e Francia. Pierre e Marie Sklodowska Curie scoprono il radio. In Francia viene fondata la società automobilistica Renault. Viene costruita a Paderno d'Adda la più grande centrale idroelettrica europea. 1899 25 maggio: in Italia il generale Pelloux, sostenuto da Sonnino, forma un secondo governo ancor più reazionario e propone al parlamento leggi eccezionali per la limitazione della libertà di stampa e di associazione; ma il colpo di stato viene bloccato dall'ostruzionismo parlamentare.Alcuni deputati propongono una Costituente. Giugno: le sinistre conquistano il comune di Milano; l'on. Mussi viene eletto sindaco. Settembre: Alfred Dreyfus viene amnistiato per decreto presidenziale e reintegrato nell'esercito. All'Aia, per iniziativa dello zar Nicola II, si tiene la prima conferenza per la pace; viene fondata la Corte di arbitrato dell'Aia per la composizione delle controversie internazionali. In Sudafrica inizia la guerra anglo-boera. La Germania acquista dalla Spagna le isole Caroline, Marianne e Palau.

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Novembre: in Cina ha inizio il movimento nazionale e xenofobo dei boxers. Nelle Filippine, Aguinaldo guida un'insurrezione contro l'occupazione statunitense. 6 marzo: il chimico tedesco Dreser ottiene per la prima volta l'aspirina. Luigi Mangiagalli, Trattato di ginecologia. Giovanni Agnelli fonda a Torino la società automobilistica EI.A.T. Cockran produce la lavastoviglie elettrica. A Milano viene fondata la società di calcio Milan. Cronologia 1900

Giuseppe Verdi 1900 1° marzo: si trasferisce a Genova. 29 marzo: a Ricordi:"Mangio poco, dormo poco, scrivo poco, e m'annojo molto! Ah l'ozio! che orrore!". 15 aprile: trascorre la Pasqua in compagnia di Boito. 5 maggio: si trasferisce a Milano. 14 maggio: firma il proprio testamento. con il quale istituisce la 'cugina' Maria Verdi in Carrara erede universale; fra i numerosi lasciti spiccano quelli relativi all'ospedale di Villanova d'Arda e alla Casa di Riposo per i Musicisti, alla quale destina, fra l'altro, tutti i diritti d'autore in Italia e all'estero. 22 maggio: riparte per S.Agata. Primi di luglio: si reca a Milano. 11 luglio: parte per le cure termali di Montecatini.A metà agosto rientra a S.Agata. 28 ottobre: d'accordo con il sindaco di Busseto,Tebaldini organizza un concerto di beneficenza con gli allievi del Conservatorio di Parma, fra i quali Ildebrando Pizzetti. Gli allievi si recano poi a far visita a GV nella villa di S.Agata. 12 novembre: GV riceve Tebaldini, che lo ringrazia per l'accoglienza accordata agli allievi del Conservatorio di Parma; escono in giardino; GV osserva alcuni contadini che stanno abbattendo una magnolia: "l'ho piantata io con le mie mani quando venni per la prima volta a Sant'Agata. Ed ora, ingombra e profuma troppo. La faccio togliere!". Sotto i colpi d'accetta l'albero cade a terra.Tebaldini prova una fitta al cuore:"nella vecchia pianta stroncata parvemi ravvisare il simbolo d'una fatalità incombente!". 4 dicembre: GV lascia per l'ultima volta S.Agata in compagnia della nipote, diretto a Milano, prendendo alloggio al solito appartamento dell'Hòtel de Milan. 22 dicembre: dà notizie di sé alla cognata Ilarberina:"non sono ammalato, ma la vita e le forze diminuiscono di giorno in giorno". 25 dicembre: trascorre le feste natalizie in compagnia di Boito, della Stolz, di Ricordi e di pochi amici. 1901 1 gennaio: GV trascorre il Capodanno nell'appartamento dell'Hòtel de Milan in compagnia di Boito, Pascarella, la Stolz, il pittore Carlo Mancini e altri pochi amici. Primi di gennaio: ha un incontro con Giordano e gli suggerisce di trasformare in opera la commedia di Sardou Madame Sans-Géne. 18 gennaio: alla cognata Barberina:"sono da quasi quindici giorni in casa perché ho paura del freddo!! Io sto abbastanza bene, come in passato, ma ripeto ho paura del freddo! 1...] Speriamo che le belle giornate come questa d'oggi continuino". 21 gennaio: alle 10,30 di mattino, all'atto di alzarsi da letto, è colto da un colpo apoplettico. Il dottore Caporali presta i primi soccorsi all'ammalato, che presenta i segni evidenti di una emiplegia al lato destro. 22 gennaio: accorre da Montecatini il dottore Grocco; ma Boito non si fa illusioni e scrive a Bellaigue:"il maestro sta morendo".

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24 gennaio: la fine sembra imminente; al maestro, in stato d'incoscienza, viene impartita l'Estrema Unzione. I milanesi, saputo del malore del maestro, spargono paglia sulla via Manzoni, dove s'affaccia l'appartamento del maestro, par attutire il rumore dei tram e dei carri. 27 gennaio: alle ore 2:45 del mattino,"dopo un'angosciosa interminabile attesa se mai ripigliasse un soffio di vita, il Grocco in lacrime si chinò sul viso immobile e baciò la fronte. Questo fu l'annunzio della morte".

Arte e Cultura 1900 14 gennaio: Roma, Costanzi: Puccini, Tosca. 31 gennaio: Milano, Manzoni: Giacosa, Come le foglie, commedia. 2 febbraio: Parigi, Opéra-Comique: G. Charpentier, Louise. 25 agosto: muore a Weimar Friedrich Nietzsche. Antonio Fogazzaro, Piccolo mondo antico, romanzo. - Joseph Conrad, Lord fim, romanzo. - Thomas Mann, I Bruddenbrook, romanzo. Giovanni Pellizza da Volpedo, I/ quarto stato, dipinto. S. Freud, L'interpretazione dei sogni. 1901 17 gennaio: Roma, Venezia, Torino, Genova, Verona, Napoli: Mascagni: Le maschere. 31 gennaio: Mosca,Teatro d'Arte: Cechov, Le tre sorelle, commedia. 10 dicembre: Torino, Alfieri: Gerolamo Rovetta, Romanticismo, dramma. Thomas Mann, I Buddenbrook, romanzo. - Kipling, Kim, romanzo. Viene fondata a Bari la casa editrice Laterza.

Politica, Società, Scienza, Scoperte 1900 In Italia le elezioni politiche segnano una netta sconfitta per il governo reazionario di Pelloux; gli succede il liberale Giuseppe Saracco. Maggio: le diplomazie occidentali inviano al governo cinese un ultimatum perché reprima la rivolta dei boxers. 29 luglio: viene ucciso a Monza dall'anarchico Gaetano Bresci il re Umberto I; gli succede il figlio Vittorio Emanuele III. Agosto: una spedizione internazionale delle potenze occidentali attacca la Cina, occupa Pechino e libera le legazioni dall'assedio dei boxers. La Russia occupa la Manciuria. Il fisico tedesco Max Planck enuncia la teoria dei quanti. Il fisico e chimico britannico William Crookes isola l'uranio. Il medico austriaco Karl Landsteiner individua i gruppi sanguigni. Il fisico Valdemar Poulsen riesce per primo a registrare la voce umana su filo magnetico. Lo svizzero E. Brandenberger inventa il cellofan. 2 luglio: Ferdinand von Zeppelin effettua il primo volo con dirigibile ad armatura rigida. Un frate francese, P Clément, ottiene l'agrume ibrido, noto come clementina. Si inaugura l'esposizione universale di Parigi. Viene fondata aTorino la prima università popolare italiana. Viene istituita la Coppa Davis nel gioco del tennis. A Parigi si svolgono le Olimpiadi. 1901 22 gennaio: muore a Osborne in Inghilterra la regina Vittoria. Giuseppe Zanardelli viene nominato capo del nuovo governo a orientamento liberale, con Giolitti ministro degli interni. Censimento generale in Italia: Li popolazione ammonta a 33.778.000 residenti. Si intensifica l'emigrazione di italiani verso le Americhe. 14 settembre: viene assassinato da un anarchico il presidente degli Stati Uniti, William McKinley; gli succede Theodore Roosevelt.

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Le colonie inglesi dell'Australia riunite vengono costituite in dominion. Nelle Filippine Aguinaldo viene catturato e il paese deve sottomettersi agli Stati Uniti. Marconi realizza la prima trasmissione telegrafica fra l'Europa e l'America.

Pensieri di Verdi sull'arte

In casa mia non vi è quasi musica; non sono mai andato in una Biblioteca musicale, mai da un'Editore per esaminare un pezzo. Stò a giorno d'alcune delle migliori opere contemporanee, non mai studiandole, ma sentendole qualche volta in teatro [...]. Io sono fra i Maestri passati e presenti, il meno erudito di tutti. Intendiamoci bene, e sempre per non fare blague: dico erudizione, e non sapere musicale. Da questo lato mentirei se dicessi che nella mia gioventù non abbia fatto lunghi e severi studj. Egli è per questo, che mi trovo aver la mano abbastanza forte a piegare la nota come desidero, ed abbastanza sicura per ottenere, ordinariamente, gli effetti ch'io immagino; e quando scrivo qualche cosa d'irregolare, si è perché la stretta regola non mi dà quel che voglio, e perché non credo nemmeno buone tutte le regole finora adottate. Forse i Trattati di Contrappunto han bisogno di riforma. [4 marzo 1869, a Filippo Filippi] Per quanta poca esperienza io mi possa avere, vado nonostante in teatro tutto l'anno, e stò attento moltissimo: ho toccato con mano che tante composizioni non sarebbero cadute se vi fosse stata miglior distribuzione nei pezzi, meglio calcolati gli effetti, più chiare le forme musicali... insomma se vi fosse stata maggior esperienza sì nel poeta che nel maestro.Tante volte un recitativo troppo lungo, una frase, una sentenza che sarebbe bellissima in un libro, ed anche in un dramma recitato, fan ridere in un dramma cantato. [15 novembre 1843, a Guglielmo Brenna] Quando ho un'idea generale di tutto il poema le note si trovano sempre. [19 agosto 1843, a Francesco Maria Piave] Sono stanco dei sogetti soliti. Io voglio fare una cosa che non voglio si giudichi dopo una sera è bella è brutta... nò nò, amo che si quistioni un pezzo. [22 agosto 1846, a E M. Piave] Leggo mal volentieri libretti che mi si mandano: è impossibile, o quasi impossibile che un altro indovini quello che io desidero: io desidero sogetti nuovi, grandi, belli, variati, arditi..., ed arditi all'estremo punto, conforme nuove etc. etc. e, nello stesso tempo, musicabili. [1° gennaio 1853, a Cesare De Sanctis] Tutto si può mettere in musica, è vero, ma non tutto può riescire d'effetto. Per fare della musica ci vogliono strofe per fare i cantabili, strofe per concertare le voci, strofe per fare dei larghi, degli allegri, ecc. ecc. e tutto ciò alternato in modo che nulla riesca freddo e monotono. [30 agosto 1853, ad Antonio Somma] E il verso, la rima la strofa? non so che dire; ma io quando l'azione lo domanda, abbandonerei subito ritmo, rima, strofa; farei dei versi sciolti per poter dire chiaro e netto tutto quello che l'azione esige. Pur troppo per il teatro è necessario qualche volta che poeti e compositori abbiano il talento di non fare né poesia né musica. [17 agosto] 870, ad Antonio Ghislanzoni] In un dramma lo stile e la lingua non valgono se non v'è azione. [...] Io musicherei colla massima sicurezza un soggetto che mi andasse a sangue, fosse anche condannato da tutti gli artisti come immusicabile. (25 febbraio 1854, a Giuseppina Appiani) In teatro il lungo è sinonimo di nojoso, ed il nojoso è il peggiore di tutti i generi. (31 marzo 1854, ad A. Somma] Io metterei in musica anche una gazzetta, od una lettera ecc. ecc. ma il pubblico ammette tutto in teatro fuori che la noja. [7 aprile 1856, ad A. Somma] Ahimè! Le lungaggini producono la noia, e nulla resiste alla noia! Quando si ha la disgrazia di essere maestri di musica bisogna avere un coraggio che è massimo, supremo: il coraggio di tagliare anche talvolta le cose che sono buone. [11 dicembre 1885, a Opprandino Arrivabene] Certo non bisogna scrivere esclusivamente pel tale o tale altro cantante, ma pure è necessario che il cantante abbia capacità e mezzi atti a rendere la parte che gli si destina; un'opera male eseguita, o

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fiaccamente eseguita, è come un quadro visto al bujo: non si capisce. [14 maggio l857, a Vincenzo Torelli] La lunga esperienza mi ha confermato nelle idee che io ebbi sempre riguardo all'effetto teatrale, quantunque ne' miei primordi non avessi il coraggio che di manifestarle in parte. (Per esempio dieci anni fa non avrei arrischiato di fare il Rigoletto). Trovo che la nostra opera pecca di soverchia monotonia, e tanto che io rifiuterei oggi di scrivere soggetti sul genere del Nabucco, Foscari ecc. ecc. Presentano punti di scena interessantissimi, ma senza varietà. È una corda sola, elevata se volete, ma pur sempre la stessa. [...] Per l'istessa ragione preferisco Shakespeare a tutti i drammatici, senza eccettuarne i Greci. [22 aprile 1853, ad A. Somma] La sola cosa che mi ha trattenuto di trattare con maggior frequenza i soggetti di Shakespeare è stata [...] questa necessità di cambiar scena ad ogni momento. Quando io frequentava il teatro era cosa che mi dava una pena immensa, mi pareva d'assistere alla lanterna magica. [29 giugno 1852, ad A. Somma] La critica fa il suo mestiere; giudica e deve giudicare secondo norme e forme stabilite; l'artista deve scrutar nel futuro, veder nel caos nuovi mondi; e se nella nuova strada vede in fondo il lumicino, non lo spaventi il buio che l'attornia; cammini, e se qualche volta inciampa e cade, s'alzi e tiri dritto sempre. È bello qualche volta anche una caduta in un capo-scuola". [23 dicembre 1867, a V.Torelli] In quanto a questo perpetuo spauracchio di decadenza che nasce ad ogni epoca fin dai tempi di Marcello è cosa veramente da riderne. [...] Non sono io quello che devo difendere la mia epoca né accusare le passate, ma sarebbe ben facile il dimostrare, in alcuni dei capi d'opera d'un tempo, lo stupido convenzionalismo dei pezzi, la pedanteria dei pezzi concertati, la melodia il più delle volte convertita in esercizi di solfeggio, l'espressione falsa, e l'istromentale duro, pesante, monotono, senza poesia e sopratutto senza perché. Anche noi abbiamo i nostri difetti e grandi, ma è certo che v'è meno convenzionalismo, più verità nella forma; nei pezzi d'assieme tutti hanno un linguaggio proprio alle loro passioni (e ciò sarà anche brutto ma è un gran progresso), l'espressione è più vera, e l'istromentale sopratutto ha un significato, uno scopo che non aveva altra volta. [30 maggio 1868, a Giuseppe Piroli] Sembrerà strana una melodia su parole che sembrano dette da un avvocato. Ma sotto queste parole d'avvocato, vi è un cuore di donna [Amneris] disperata ed ardente d'amore. La musica può riuscire egregiamente a dipingere questo stato dell'animo e a dire in certo modo, due cose in una volta. È una qualità di quest'arte mal considerata dai critici e mal tenuta dai maestri. [26 ottobre 1870, ad A. Ghislanzoni] In questo momento è venuto di moda di gridare e di non volere ascoltare le cabalette. È un errore uguale a quello di una volta che non si voleva altro che cabalette. Si grida tanto contro il convenzionalismo e se ne abbandona uno per abbracciarne un altro! [27 aprile 1872, a O.Arrivabene] Non ho tanto orrore delle cabalette, e se domani nascesse un giovine che ne sapesse fare qualcuna del valore per es. del "Meco tu vieni o misera" oppure "Ah perché non posso odiarti" andrei a sentirla con tanto di cuore, e rinuncerei a tutti gli arzigogoli armonici, a tutte le leziosaggini delle nostre sapienti orchestrazioni. Ah, il progresso, la scienza, il verismo...! Ahi, ahi! Verista finché volete, ma... Shakespeare era un verista, ma non lo sapeva. Era un verista d'ispirazione; noi siamo veristi per progetto, per calcolo. Allora tanto fa: sistema per sistema, meglio ancora le cabalette. Il bello si è che, a furia di progresso, l'arte torna indietro. L'arte che manca di spontaneità, di naturalezza e di semplicità, non è più arte. [20 novembre 1880, a Giulio Ricordi] Copiare il Vero può essere una buona cosa, ma Inventare il Vero è meglio, molto meglio. Pare vi sia contradizione in queste tre parole: inventare il vero, ma domandatelo al Papà [Shakespeare]. Può darsi che Egli, il Papà si sia trovato con qualche Falstaf, ma difficilmente avrà trovato un scellerato così scellerato come Jago, e mai e poi mai degli angioli come Cordelia, Imogene , Desdemona etc. etc... eppure sono tanto veri!... Copiare il vero è una bella cosa, ma è fotografia, non Pittura. [20 ottobre 1876,a Clara Maffeil Tutti, o quasi tutti credi tu che parlino conoscendo ed intendendo qualche cosa?... Credi tu che tutti, o quasi tutti penetrino nelle viscere d'una composizione e comprendano gli intendimenti del

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compositore? Mai e poi mai! Ma è inutile parlarne. L'arte, la vera Arte, quella che crea, non è l'arte sdentata che ci predicano i critici, che alla fine poi non s'intendono nemmeno fra loro. Io vorrei che mi definissero due parole che hanno sempre in bocca, melodia ed armonia! Sai tu cosa vogliono dire?... Io non lo so davvero. [21 luglio 1874, a O. Arrivabene] Resta a decidere [...] cosa s'intende per melodia, per armonia etc. e di tutte le altre coglionerie che non hanno significato nissuno. Per es. se qualcuno ti dicesse che gli antichi non sapevano cosa fosse melodia, e prima di tutti Palestrina; che nel Barbiere di Siviglia, a parte "Ecco ridente in cielo", non vi è melodia... solfeggio sì, melodia no... cosa parrebbe a te una gran bestemmia?... [16 aprile 1873, a o. Arrivabene] Nella musica vi è qualche cosa di più della melodia: qualche cosa di più dell'armonia: vi è la musica! [2 settembre 1871,a O. Arrivabene] Chi vuol essere melodico come Bellini, chi armonista come Meyerbeer. Io non vorrei né l'uno né l'altro, e vorrei che il giovane quando si mette a scrivere, non pensasse mai ad essere né melodista, né armonista, né realista, né idealista, né avvenirista, né tutti i diavoli che si portino queste pedanterie. La melodia e l'armonia non devono essere che mezzi nella mano dell'artista per fare della Musica, e se verrà un giorno in cui non si parlerà più né di melodia né di armonia né di scuole tedesche, italiane, né di passato né di avvenire etc. etc. etc. etc. allora forse comincierà il regno dell'arte. Un altro guaio dell'epoca si è che tutte le opere di questi giovani sono frutto della paura. Nissuno scrive con abbandono, e quando questi giovani si mettono a scrivere, il pensiero che li predomina si è di non urtare il pubblico e di entrare nelle buone grazie dei critici! [16 luglio 1875, a O.Arrivabenc] In fatto d'opinioni musicali bisogna esser larghi, e per parte mia sono tollerantissimo. Ammetto i melodisti, gli armonisti, i secca c... e quello che vogliono ad ogni costo seccarti per bon ton. Ammetto il passato, il presente, ed ammetterei il futuro se lo conoscessi e lo trovassi buono. In una parola melodia, armonia, declamazione, canto fiorito, effetti d'orchestra, color locale (parole di cui si fa tant'uso, e che il più delle volte non servono che a coprire la mancanza del pensiero) non sono che mezzi. Fate con questi mezzi della buona musica, ed ammetto tutto, e tutti i generi. Per es. nel Barbiere la frase Signor, giudizio per carità questa non è melodia né armonia: è la parola declamata giusta vera; ed è musica... Amen... [17 marzo 1882, a O. Arrivabene] So anch'io che vi è una Musica dell'avvenire,ma io presentemente penso e penserò così anche l'anno venturo che per fare una scarpa ci vuole del corame e delle pelli!... Che ti pare di questo stupido paragone che vuol dire che per fare un'opera bisogna aver in corpo primieramente della musica?!... Dichiaro che io sono e sarò un ammiratore entusiasta degli avveniristi a una condizione che mi facciano della musica... qualunque ne sia il genere, il sistema ecc. ma musica! [...]. Sta' tranquillo. Mi possono benissimo mancare le forze per arrivare dove io voglio, ma io so quello che voglio. [6 marzo 1868, a o. Arrivabenej Voi sapete come me, che vi sono di quelli che hanno buona vista, ed amano i colori franchi, decisi, e sinceri. Altri vi sono che hanno un po' di cateratta: ed amano i colori sbiaditi, e sporchi. Sono alla moda, ed io non disapprovo seguir la moda (perché bisogna essere del proprio tempo), ma la vorrei accompagnata sempre da un po' di criterio e di buon senso. Dumque né passato né avvenire! - È vero che io ho detto:" Torniamo all'antico!" Ma io intendo l'antico, che è base, fondamento, solidità. Io intendo quell'antico che è stato messo da parte dalle esuberanze moderne, ed a cui si dovrà ritornare presto, o tardi infallibilmente. Per ora lasciamo che il torrente straripi. Gli argini si faranno dopo. [26 dicembre 1883, a G. Ricordi] Il dilettantismo (fatale sempre in tutte le arti) per ismania di novità, e per moda, corre dietro al vago, allo strano, ed, affettando entusiasmi, và ad annojarsi ad una musica straniera ch'Egli chiama Classica, e... la Gran Musica. Perché poi Classica e Gran Musica? Chi sa!! Il giornalismo pure (altro flagello dei nostri tempi) vanta tal musica per attirare l'attenzione, e per far credere di capire quello che gli altri non capiscono, o capiscono meno. La folla incerta ed indecisa, tace, e corre dietro. Malgrado questo, io non mi spavento, ripeto, convinto che quest'arte tanto artificiosa, e strana molte volte per progetto, non sia conforme alla natura nostra. Noi siamo positivi, ed in gran

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parte scettici. Crediamo poco; e non possiamo alla lunga credere alle fantasticherie di quest'arte straniera che manca di naturalezza e di semplicità. Ora l'arte che manca di naturalezza e semplicità non è Arte! L'ispirazione stà necessariamente nel semplice! [17 dicembre 1884, a Clara Maffei] A me piace nelle arti tutto quello che è bello. Io non ho esclusività; io non credo alla scuola, e mi piace il gajo, il serio, il terribile, il grande, il piccolo, etc. etc.Tutto tutto, purché il piccolo sia piccolo, il grande sia grande, il gajo sia gajo etc. etc... Insomma, che tutto sia come deve essere: Vero e Bello. [14 maggio 1873, a Domenico Morelli] Ammetto la severità [del pubblico], ne accetto i fischj, alla condizione che nulla mi si richiegga per gli applausi. Noi poveri zingari, ciarlatani, e tutto quello che volete, siamo costretti a vendere le nostre fatiche, i nostri pensieri, i nostri delirj per dell'oro - il pubblico per tre lire compera il diritto di fischiarci o di applaudirci. Nostro destino è di rassegnarci, ecco tutto! [...] Trista cosa il teatro!! [4 febbraio 1859, a Tito Ricordi]

Verdi a Sant’Agata. fotografia

Non m'hanno mai sorpreso i scandali in teatro e [...] a 26 anni conobbi cosa significava pubblico. Da quell'epoca in poi i successi non m'hanno mai fatto montare il sangue alla testa, ed i fiaschi non mi hanno mai scoraggiato. Se ho continuato in questa malaugurata carriera si è perché a 26 anni era troppo tardi per fare altra cosa, e perché non avevo fisico abbastanza robusto per tornare a' miei campi. [9 febbraio 1859, a Filippo Filippi]

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Questi impresari non hanno ancora capito che quando le opere non si possono dare nella loro integrità, come sono state ideate dall'autore, è meglio non darle; non sanno che la trasposizione di un pezzo, di una scena è quasi sempre la causa del non successo d'un'opera. Immaginati quando si tratta di cambiare argomenti!! [1° dicembre 1851, a Vincenzo Luccardi] Io ho sempre soddisfatti gli impegni presi con tutta coscienza: il pubblico li ha accolti egualmente con tutta coscienza, con buoni fischi od applausi, etc. etc. Nissuno dunque ha diritto di lagnarsi, e ripeto ancora: partita saldata. [11 marzo 1871, a Clara Maffei] A dire il vero io son proprio poco grazioso in teatro... ed anche fuori; è perché io ho la disgrazia di non capire mai quello che gli altri capiscono; ed appunto perché non capisco, non mi riesce mai di profferire una di quelle parole dolci, di quelle frasi che fanno andare in solluchero tutti. [...] Tante e tante volte ho sentito a Milano dirmi (persino quando misi in scena la Forza del destino! Tutto dire!): La Scala è il primo Teatro del Mondo". A Napoli: Il S. Carlo primo Teatro del Mondo. In passato a Venezia si diceva: La Fenice, il primo Teatro del Mondo. A Pietroburgo: Primo Teatro del Mondo. A Vienna Primo Teatro del Mondo (e per questo starei anch'io). A Parigi poi l'Opéra è il Primo Teatro di Due o Tre Mondi! [21 febbraio 1879, a Clara Maffei] Mi vien da ridere quando leggo, o sento dire "un effetto che l'autore non s'era immaginato"! Poveri innocenti! Per quelli che non conoscono né canto. né orchestra può darsi, ma per me non ho mai trovato né cantante né orchestra che m'abbiano reso tutto quello che domandavo. [21 marzo 1868, a G. Ricordi] Nelle musiche attuali la Direzione musicale e drammatica è una vera necessità. Una volta una prima Donna un tenore con una cavatina, un Rondò, un Duetto etc. etc. potevano sostenere un'opera (se era un'opera); oggi no. Le opere moderne, buone o-cattive, hanno intendimenti ben diversi! [...] Predicate il bisogno assoluto di uomini capaci alla Direzione delle musiche teatrali, mostrate l'impossibilità dei successi senza un'interpretazione intelligente. [5 febbraio 1871, a G. Ricordi] Sulla divinazione dei Direttori, e sulla creazione ad ogni rappresentazione... Quest'è un principio che conduce addirittura al barocco, ed al falso. [...] Nò: io voglio un solo creatore, e mi accontento che si eseguisca semplicemente ed esattamente, quello che è scritto: il male stà, che non si eseguisce mai quello che è scritto! - I.eggo sovente nei giornali d'effetti non immaginati dall'Autore; ma io, per parte mia, non li ho mai, mai trovati. [...] Io non posso ammettere, né nei Cantanti, né nei Direttori la facoltà di creare, che [...] è un principio che conduce all'abisso... [11 aprile 1871, a G. Ricordi] Gli anni cominciano proprio ad essere troppi e penso... penso che la vita è la cosa più stupida, e quello che è ancor peggio inutile. Cosa si fa? Cosa abbiamo fatto? Cosa faremo? Stringendo ben tutto, la risposta è una, umiliante e tristissima

NULLA! [11 ottobre 1883, a Clara Maffei]

Introduzione alle opere di Giuseppe Verdi

Il catalogo. Ventisei sono le opere composte da Verdi nell'arco di oltre mezzo secolo di attività dedicata al teatro in musica, dal 1836 (Rocester) al 1894 (Othéllo). Ma ventotto sono tuttavia i titoli presenti nel suo catalogo operistico. La differenza si spiega con il fatto che due titoli riguardano opere che il maestro adattò in seguito a un nuovo argomento con titolo diverso:Jérusalem (1847), per la quale il maestro trasfuse gran parte della musica dei Lombardi (1843), e Aroldo (1857), cui adattò la musica di Stiffelio (1850) con l'aggiunta di un quarto atto. Ma revisioni fors'anche più radicali dal punto di vista sia drammaturgico che musicale Verdi operò per altre sue quattro opere, mantenendone tuttavia il titolo originale: Macbeth (1847, 1865), Simon Boccanegra (1857,1881), La forza del destino (1862, 1869) e Don Carlos (1869, 1884). Ritocchi non marginali apportò anche alla musica di Traviata (1853, 1854) dopo il suo poco felice

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esito alla Fenice.Altre opere furono da lui ritoccate per la versione francese all'Opéra di Parigi:Il trovatore (Le trouvère, 1857) e Otello (Othéllo, 1894), alle quali aggiunse i ballabili, nonché Aida (1880); solo i ritocchi a quest'ultima opera, riguardanti un ampliamento del ballo nel finale del terzo atto, furono accolti nella versione definitiva. Inoltre compose alcune arie alternative per Nabucco, I Lombardi, Emani, I due Foscari, Giovanna d'Arco, Attila, I vespri siciliani. Fra le opere cui egli non ebbe bisogno di mettere nuovamente mano figurano alcuni capolavori quali Rigoletto e Un ballo in maschera. Ventuno opere furono composte in quelli che Verdi stesso definì i suoi "sedici anni di galera", fra il 1842 e il 1858, dal Nabucco a Un ballo in maschera. Il periodo più intenso di questa "galera" fu il decennio che va dal 1842 al 1851; in questo periodo, precisamente tra il 1844 e il 1847, varò fin due opere all'anno (ciò non gl'impedì di scrivere due capi d'opera come Emani e Macbeth, per non parlare dei Due Foscari e di Attila...). I luoghi. Sette opere scrisse per la Scala di Milano, all'inizio e in fine di carriera: dapprima Oberto,Il finto Stanislao, Nabucco, I Lombardi, Giovanna d'Arco, quindi Otello e Falstaff, queste due precedute dalla 'prima' europea di Aida e dalle nuove versioni della Forza del destino, del Simon Boccanegra e del Don Carlos. Cinque opere scrisse per la Fenice di Venezia: Emani, Attila, Rigoletto, Traviata e Simon Boccanegra; quattro per i teatri di Roma: I due Foscari, La battaglia di Legnano, Il trovatore e Un ballo in maschera; tre per l'Opéra di Parigi:Jérusalem,I vespri siciliani e Don Carlos (destinando all'Opéra Lyrique la nuova versione del Macbeth); due per il S. Carlo di Napoli (Alzira e Luisa Miller) e due per Trieste (Il corsaro e Stiffelio); una per Firenze (Macbeth), per Londra (I masnadieri), per Rimini (Aroldo), per Pietroburgo (La forza del destino) e per Il Cairo (Aida). I librettisti. A partire quanto meno dai Due Foscari, di molti libretti il vero autore fu, salvo i versi, Verdi stesso, il quale preferiva valersi dapprima di uno schizzo (nel caso dei Due Foscari, di Attila e di Macbeth preparatogli con tutta probabilità da Andrea Maffei), dal quale ricavava un 'programma' con disegnate le scene e tracciati dialoghi in prosa, che poi inviava al librettista con l'incarico di tradurlo in versi "musicabili". Questo metodo fu da lui adottato con Piave dai Due Foscari in poi, con Somma per Un ballo in maschera, con Ghislanzoni per Aida. I suoi librettisti furono: Antonio PIAZZA: Oberto (con interventi e aggiunte di Solera e, forse, di Merelli; pubblicato anonimo). Felice Romani: Il finto Stanislao (con interventi di Solera). Temistocle SOLERA: Nabucco, Lombardi,Giovakna d'Arco,Attila (con interventi di Piave). Francesco Maria PIAVE: Ernani,I due Foscari, Macbeth' (con interventi di Maffei), Il corsaro, Stiffelio, Rigoletto, Traviata, Simon Boccanegra (con interventi di Giuseppe Montahelli; quindi, per la versione definitiva, con interventi e aggiunte di Boito),Aro/do, La forza del destino (con interventi e aggiunte di Ghislanzoni, dopo la malattia di Piave, per la versione definitiva). Salvadore CAMMARANO: Alzira, La battaglia di Legnano, Luisa Miller, , Il Trovatore (con interventi, dopo la morte di Cammarano, di Emanuele Bardare). Andrea MAFFEI: I masnadieri. Alphonse ROYER e Gustave VA£Z:Jérusalem. Eugène SCRIBE: I vespri siciliani. Antonia "SOMMA: Un ballo in maschera (pubblicato anonimo). Joseph MÉRY e Camille DU LOCLE: Don Carlos (con modifiche e aggiunte di Du Lode per la versione in 4 atti). GHISLANZONI: Aida. Arrigo BOITO: Otello, Falstaff Antonio PIAZZA: del primo librettista di Verdi (da non confondere con l'omonimoAntonio Piazza, scrittore e drammaturgo veneziano, morto a Milano nel 1825), non si conosce molto; si sa che era impiegato del governo lombardo e svolgeva attività poeta, di scrittore e soprattutto di giornalista. Felice ROMANI (Genova 1788 - Moneglia, 1865) è considerato il maggiore librettista italiano dell'Ottocento. Fu poeta del teatro alla Scala dal 1813 al 1833, quindi direttore, per volere di Carlo Alberto, della "Gazzetta ufficiale piemontese" dal 1834 al 1849, per la quale svolse anche attività di critico teatrale. Gli si devono tutti i libretti per Bellini, dal Pirata alla Beatrice di Tenda; scrisse inoltre libretti per Rossini (Aureliano in Palmira, Il turco in Italia, Bianca e Faliero), per Donizetti (Anna Bolena, L'elisir d'amore, Lucrezia Borgia), per Simone Mayr, Mercadante, Coccia, Pacini, Meyerbeer,Vaccai e altri ancora. Il suo libretto del Finto Stanislao, composto per il maestro boemo Adalbert Gyrowetz, risale al 1818; non si sa se Verdi si fosse rivolto all'autore, che ormai risiedeva a Torino, per introdurvi delle modifiche; ma sembra ormai accertato che esse per la maggior parte

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furono operate da Verdi stesso in collaborazione con Solera. Qualche biografo suppone che il "distinto poeta" cui Verdi allude nel corso delle trattative per la sua prima opera alla Fenice, prima che gli venisse suggerito il nome di Piave, fosse appunto Romani (ma avrebbe potuto essere, a maggior ragione, Andrea Maffei). È tuttavia certo che Verdi ebbe rapporti diretti con Romani per una cantata da eseguirsi a Milano in occasione di un convegno scientifico, intitolata Flavio Gioia, che il maestro rinunciò a musicare per l'eccessiva lunghezza del libretto. Temistocle SOLERA (Ferrara 1815 - Milano 1878), figlio di un patriota affiliato alla Carboneria, studiò a Vienna. Trasferitosi a Milano, svolse attività di poeta e di compositore, facendo rappresentare, fra l'altro, due sue opere alla Scala su libretto proprio. Nel 1845 si trasferì in Spagna al seguito della moglie cantante e si fece impresario, diventando inoltre consigliere della regina Isabella. Rientrato in Italia nel 1859, fu nominato "corriere segreto" fra Cavour e Napoleone III. Fu poi delegato di polizia in Basilicata allo scopo di reprimervi il cosiddetto "brigantaggio". In seguito rivestì l'incarico di questore in alcune città italiane (Firenze,Venezia, Bologna, Palermo). Nel corso delle sue peregrinazioni scrisse alcuni libretti per opere che tuttavia non ebbero fortuna. Dopo essere stato chiamato in Egitto a riorganizzarvi la polizia, si trasferì a Parigi, dove tentò l'attività dell'antiquario e dove scrisse il suo ultimo libretto. Ridotto ormai in miseria, ritornò a Milano, dove morì quasi ignorato. Francesco Maria PIAVE (Murano 1810 - Milano 1876) fu il librettista che seppe interpretare, forse meglio di altri, il pensiero drammaturgico del maestro, per il quale scrisse e versificò ben dieci libretti. In gioventù si trasferì, a causa di traversie familiari, a Roma, dove si mise in luce come poeta e scrittore. Rientrato a Venezia nel 1838, si impiegò come correttore di bozze nella Tipografia Antonelli. Nell'inverno del 1843 passò al servizio alTeatro della Fenice scrivendo il suo primo libretto per Verdi: Cromvello, divenuto Allan Cameron, poi sostituito da Emani. Il grande successo di quest'opera e quello, a breve distanza, dei Due Foscari, proiettarono il nome di Piave nel firmamento melodrammatico italiano di quegli anni. Verdi, sempre molto affabile nei rapporti d'amicizia con il poeta muranese (uno dei pochissimi amici e collaboratori cui dava del tu), fu invece esigentissimo, quasi inesorabile nei suoi confronti, sul tavolo di lavoro. Piave si sottomise sempre al maestro con cieca fiducia:"El maestro vol cussì e mi devo contentarlo" soleva ripetere ai denigratori (ed erano tanti!) dei suoi versi. Tenne l'impiego veneziano in qualità di direttore degli spettacoli e di poeta fino al 1859, partecipando fra l'altro agli eventi politici del Quarantotto che condussero all'effimera Repubblica veneziana e vestendo la divisa della Guardia Nazionale.Trasferitosi a Milano nel 1860, ottenne con l'appoggio di Verdi, l'impiego di direttore degli spettacoli alla Scala, incarico rinnovatogli fino al 1867, allorché, colpito da paralisi, fu costretto a vegetare pressoché incosciente in un letto d'ospedale fino alla morte. I funerali furono fatti a spese di Verdi, che inoltre patrocinò la pubblicazione di un Album di musiche di vari autori a beneficio della famiglia. Oltre ai dieci libretti per Verdi, Piave ne scrisse, fra l'altro, per Pacini (Lorenzino de' Medici,Allan Cameron), per i fratelli Ricci (il fortunatissimo Crispino e la comare), per Mercadante, per Achille Peri. Andrea MAFFEI (Molina in val di Ledro 1798 - Milano 1885). Fu uno dei primi amici del compositore, che lo conobbe con tutta probabilità durante l'apprendistato all'Accademia filarmonica diretta da Pietro Massini, di cui Maffei era membro. Nel 1832 aveva sposato Clara Carrara-Spinelli (la quale poco più tardi aprirà il famoso "salotto Maffei"), per poi separarsene legalmente nel 1846, avendo a testimoni Verdi e Giulio Carcano. Fu scrittore e poeta; ma il suo nome si raccomanda alle numerose traduzioni dall'inglese (Il paradiso perduto di Milton, le tragedie di Shakespeare, molti drammi e poemi di Byron) e soprattutto dal tedesco (il Faust di Goethe, la Messiade di Klopstock, l'Avola di Grillparzer e tutte le tragedie di Schiller). Oltre al libretto dei Masnadieri, collaborò con Verdi redigendo lo schizzo dell'Attila e con tutta probabilità anche quelli dei Due Foscari e del Macbeth, al cui libretto diede il proprio contributo su esplicita richiesta del compositore, scontento di alcuni scene versificate da Piave. Salvadore CAMMARANO (Napoli 1801-1852). È il librettista italiano più illustre, dopo Felice Romani, della prima metà dell'Ottocento. Discendente da una generazione di attori, commediografi, compositori, pittori e cantanti, fu egli stesso pittore, poeta e autore drammatico. Il suo nome si raccomanda soprattutto ai libretti; ne scrisse per Donizetti (Lucia di Lammermoor,

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Belisario, Roberto Devereux , Poliuto , Maria di Rohan), per Pacini (Saffo, Buondelmonte), per Mercadante (La vestale, Il reggente, Orazi e Curiazi), per De Giosa (Folco d'Arles).Verdi lo tenne in grande stima, tanto che fu con lui che volle avviare il progetto del mai realizzato Re Lear. Eugène SCRIBE (Parigi 1791-1861). Il suo nome divenne famoso in tutto il mondo come autore teatrale: scrisse innumerevoli commedie e vaudevilles che entrarono subito nel repertorio delle compagnie drammatiche di tutta Europa. Come librettista contribuì in maniera determinante a fissare il canone del grand-opéra e a trasformare l'opéra-comique in un vero e proprio dramma musicale. Fra i tanti suoi libretti - per la maggior parte composti con l'ausilio di collaboratori - si ricordano qui, per Hérold: La sonnambula (fonte ispiratrice di Romani per l'omonima opera di Bellini); per Boieldieu: La dama bianca; per Rossini: Il conte Ory; per Auber: La muta di Portici, Fra Diavolo, Il filtro (anch'esso fonte ispiratrice di Romani per L'elisir d'amore), Gustavo III (che a sua volta sarà la fonte per Verdi di Un ballo in maschera), Manon Lescaut; per Meyerbeer: Roberto il diavolo, Gli Ugonotti, Il profeta, La stella del Nord; per Cherubini: Ali Babà; per Halévy: L'ebrea; per Donizetti: I martiri, La favorita, Don Sebastiano, Il duca d'Alba; per Gounod: La nonne sanglante. Antonio SOMMA (Udine 1809 - Venezia 1865). Poeta, scrittore, giornalista e drammaturgo, visse a lungo a Trieste, dove diresse il Teatro Grande dal 1840 al 1847 e dove fondò, con Dall'Ongaro e altri, il giornale "La Favilla", d'ispirazione irredentista. Fra i suoi drammi si ricorda Parisina (1835), che ebbe un periodo di fortuna sulle scene nell'interpretazione di Adelaide Ristori, di cui Somma fu per qualche tempo copionista. Irritato per gl'interventi della censura romana ai versi di Un ballo in maschera, non volle firmarne il libretto. A lui, dopo la morte di Cammarano,Verdi affidò il progetto del Re Lear. Antonio GHISLANZONI (Lecco 1824 - Caprino Bergamasco 1893). Scacciato dal seminario per indisciplina, frequentò la facoltà di medicina all'Università di Pavia, scrivendo frattanto poesie e racconti. Scopertasi una voce di baritono, studiò canto, debuttando a Lodi nel gennaio del 1847. Di idee repubblicane, arrestato a Roma dai francesi e deportato in Corsica, riprese l'attività di cantante, dapprima a Bastia e quindi in Francia, arrivando a calcare le scene del Teatro Italiano di Parigi cantando la parte di Carlo nell'Emani. Rientrò a Milano nel 1854, ammalato di una bronchite che gli danneggiò la voce. Dopo essere stato fischiato al teatro Carcano cessò l'attività di cantante per darsi al giornalismo e alla letteratura, collaborando a diversi giornali e dirigendo, fra l'altro, !'"Italia musicale" e quindi la "Gazzetta musicale di Milano". Spirito arguto e penna brillante, acquistò subito notorietà nel mondo artistico milanese. Nel 1857 iniziò l'attività di librettista, scrivendo testi per Gomes (Fosca e Salvator Rosa), Petrella (I promessi sposi), Ponchielli (I lituani), Cagnoni, Catalani, e affermandosi fra i migliori librettisti del tempo per l'accuratezza dei suoi versi. Conobbe Verdi a Milano intorno al 1845-1846, quando era ancora cantante. Ma l'occasione di collaborare con lui verrà oltre vent'anni più tardi. Fu l'editore Ricordi a proporre il suo nome al maestro nel 1868 per la stesura del nuovo finale della Forza del destino. Soddisfatto della sua collaborazione, Verdi gli affidò poi la versificazione del libretto di Aida, ricorrendo ancora a lui per alcuni versi del Don Carlo in italiano. Arrigo BOITO (Padova 1842 - Milano 1918). Fu poeta, librettista e compositore. Aderì giovanissimo alla Scapigliatura milanese dando inizio a un'intensa attività giornalistica a sostegno delle proprie idee intorno alla riforma del melodramma. Nel 1865 diede alle stampe il poemetto Il Re Orso e nel 1877 il Libro dei versi. Iniziò l'attività di librettista nel 1863 con un Amleto per Franco Faccio, mentre stava già componendo il Mefistofele su libretto proprioil clamoroso fiasco di quest'opera alla Scala nel marzo del 1868 sembrò frenare definitivamente l'ardore dell'artista padovano e condurlo gradualmente su posizioni di retroguardia, segnate da un atteggiamento sempre più conservatore. Dopo la revisione del Mefistofele, risorto a Bologna nel 1875, attese alla composizione di una seconda opera, Nerone, progettata già in gioventù, cui si dedicherà per il resto della vita, senza tuttavia poterla vedere rappresentata a causa dei suoi continui ripensamenti. Compose anche il libretto di Ero e Leandro, che rinunciò poi a musicare per cederlo dapprima a Bottesini, quindi a Mancinelli. Scrisse pochi altri libretti, tutti firmati con lo pseudonimo Tobia Gorrio, il più notevole dei quali è quello della Gioconda per Ponchielli. Il suo nome resta legato soprattutto alle sue raccolte poetiche, al Mefistofele e ai due libretti (questi firmati col proprio

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nome) per Verdi. La sua prima collaborazione con il maestro delle Roncole era avvenuta nel 1862 con il testo dell'Inno delle nazioni per l'Esposizione di Londra. A causa di un'incauta affermazione fatta nel novembre del 1863 durante un banchetto in onore di Faccio, da Verdi ritenuta gravemente offen-

Verdi. Dipinto a olio di Giovanni Boldini (Parigi, aprile 1886)

siva nei propri confronti, i rapporti fra i due subirono un raffreddamento destinato a protrarsi nel corso degli anni. Con paziente tenacia e con fine diplomazia Giulio Ricordi, che in gioventù aveva partecipato alle battaglie artistiche di Boito, riuscì lentamente a far riavvicinare il musicista e il poeta nel 1879 con il progetto di Otello. Le fonti. Se si astrae dall'Oberto (le origini del cui argomento sono tuttora oscure; dal titolo primitivo del libretto, Lord Hamilton, sembra potersi dedurre che Piazza si fosse dapprima ispirato a una fonte inglese), dalla Giovanna d'Arco (che Solera dichiarò essere "dramma affatto originale",

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solo in parte ispirato a Schiller), dai due grand oriéra Jérusalem e I vespri siciliani (entrambi derivati da varie fonti) e dall'Aida (il cui soggetto deriva da un "programma" originale redatto da Mariette Bey), gli argomenti dei libretti verdiani derivano in grande misura da fonti francesi (nove); seguono le fonti inglesi (sei), quelle tedesche (quattro), e infine quelle spagnole (tre). Una sola fonte italiana!: quella dei Lombardi. Ma ecco nel dettaglio: Alexandre Vincent Pineux-Duval: Il finto Stanislao; Auguste Anicet-Bourgeois e Francis Cornu: Nabucco; Tommaso Grossi: I Lombardi alla prima Crociata; Victor Hugo: Emani, Rigoletto; George Byron: I due Foscari, Il corsaro; Voltaire: Alzira; Zacharias Werner: Attila;William Shakespeare: Macbeth, Otello, Falstaff; Friedrich Schiller: I masnadieri, Luisa Miller, Don Carlos; Joseph Méry: La battaglia di Legnano; Émile Souvestre e Eugène Bourgeois: Stiffelio; Antonio Garda Gutiérrez: Il Trovatore, Simon Boccanegra; Dumas figlio: Traviata; Walter Scott:Aroldo; Scribe: Un ballo in mascbera;Angel Saavedra: La forza del destino. Gli interpreti. Verdi si mostrò sempre molto esigente sulla scelta degli interpreti delle proprie opere (al punto che in occasione della Forza del destino preferì sobbarcarsi un secondo, faticoso viaggio in Russia, pur di avere una interprete da lui ritenuta adatta alla parte di Leonora).A partire dall'Emani fu il primo compositore a inserire nei contratti delle proprie opere la clausola con la quale si riservava la facoltà di scegliere i cantanti dalla compagnia scritturata. Dal Rigoletto in poi egli non segnò mai un contratto prima di sapere quali cantanti sarebbero stati scritturati. Richiedeva cantanti che fossero buoni attori, non senza però che fosse garantito, e ciò fino alla sua ultima opera, il primato del canto sull'azione, della voce sulla gestualità. Disse un giorno a un cronista viennese: "sono dell'opinione che nell'opera la voce ha soprattutto il diritto di essere ascoltata. Senza voce non vi è canto giusto". Le innumerevoli osservazioni del compositore intorno al canto e ai cantanti disseminate nel suo sterminato epistolario riflettono le più diverse esperienze maturate nel corso di oltre sessant'anni di ininterrotta attività artistica, un periodo incredibilmente lungo, dall'epoca di Rossini all'alba del nuovo secolo, durante il quale Verdi ebbe a trattare con intere generazioni di cantanti, dalla Frezzolini alla Stolz, da Guasco a Tamagno, da Ronconi a Maurel. Scrisse per cantanti italiani e per cantanti stranieri; per voci forti e per voci deboli; per cosiddetti `belcantisti' e per cantanti d'azione. Ma senza mai rinunciare alle ragioni del dramma e sempre mirando a tradurre tali ragioni in canto, in espressione musicale autonoma. Ed è perciò che nella sterminata galleria dei personaggi che animano il suo teatro non v'è carattere che assomigli a un altro e non v'è parte che non richieda un'espressione musicale (e quindi vocale) sua propria. Ma non per questo l'interprete deve andare oltre i confini del canto. I suoi criteri interpretativi si possono riassumere nel consiglio dato a un suo interprete, Leone Giraldoni: "raccomando che sieno evitati il più possibile questi rallentando che piacciono tanto alla maggior parte dei cantanti a grande scapito del buon senso, e spesso anche dell'effetto. Che donne ed uomini cantino e non gridino: abbino presente che declamare non vuol dire strillare. Se nella mia musica non vi sono molti vocalizzi, non vi è per questo bisogno di mettersi le mani nei capelli, e smaniarsi come furibondi". Varietà di coloriti, nettezza di attacco, diversità di piani sonori, spazialità della voce, duttilità di fraseggio, dizione chiara, sempre in funzione del dramma, costituivano per Verdi una condizione indispensabile. Si sa che egli amava le voci sfogate, in grado di raggiungere un fortissimo da un estremo pianissimo e viceversa. Ma aveva anche un debole per interpreti di voce non voluminosa, tuttavia penetrante e ricca di colori, come la Piccolomini, che insistentemente volle per la parte di Cordelia nel mai realizzato Re Lear; come la Patti, che ritenne in assoluto la migliore cantante-attrice da lui vista e ascoltata. Seppe sempre sfruttare le caratteristiche vocali dei cantanti per i quali scriveva, ma di volta in volta piegandole alle esigenze dell'espressione drammatica del personaggio che dovevano interpretare.Voce e vocalità non sono tuttavia la stessa cosa. Né dalla lettura delle partiture né tanto meno dalle dichiarazioni contenute nell'epistolario emergono elementi che in qualche misura possano accreditare il concetto, divenuto mito, della voce verdiana. Sarebbe d'altronde un controsenso. È un termine che non significa nulla. Un flatus vocis. Semmai nelle opere di Verdi è da tenere in massimo conto la concezione spaziale del canto teatrale, dove ogni dimensione, in specie quella della profondità, contribuisce a connotare il personaggio 'sonoro' e la sua funzione drammatica. Ma per questo non la voce in sé conta bensì l'assoluto dominio dei mezzi vocali. Esistono, piuttosto, aspetti di stile vocale connessi con

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l'interpretazione e con l'esecuzione che possono considerarsi peculiari del canto verdiano. Nel corposo epistolario di Verdi si raccolgono parecchie critiche ai cantanti, anche famosi (perfino la Malibran). Solo di due cantanti non disse che bene: di Giorgio Ronconi, "artista in tutta l'estensione del termine", e di Adelina Patti, "cantante ed attrice meravigliosa. Un'eccezione nell'arte". Nutrì tuttavia molta stima per interpreti quali Gaetano Fraschini (forse il cantante più `verdiano' in assoluto, avendo cantato, finché fu in carriera, in quasi tutte le opere del maestro, dall'Oberto alla Forza del destino) per la nettezza dell'attacco, Erminia Frezzolini per la vivacità del canto, Filippo Coletti per l'energia del fraseggio, Teresa Stolz per l'estrema elasticità del suo organo vocale,Victor Maurel per la sua perfetta dizione. E l'elenco potrebbe continuare. La fortuna. Già con la sua prima opera, l'Oberto, il maestro si pose all'attenzione dei contemporanei. Ma la sua vera popolarità comincia fra il 1842 e il 1843 con Nabucco e i Lombardi. La maggior parte delle sue opere sin dalla prima rappresentazione riscosse successo: caloroso per i Lombardi, i Due Foscari, Giovanna d'Arco, Attila; trionfale per Nabucco, Emani, Rigoletto, Trovatore, Ballo in maschera, Aida. Il solo, vero e proprio insuccesso fu quello di Un giorno di regno (più tardi ribattezzato col titolo originario Ilfinto Stanislao). Traviata e Simon Boccanegra, benché Verdi li considerasse entrambi un "fiasco", ebbero in realtà solo un esito contrastato. Mediocre accoglienza ebbero Alzira, Il corsaro, Stiffelio e Luisa Miller.Tutte le sue opere, a partire da Nabucco - ma ad eccezione di Alzira, B corsaro e La battaglia di Legnano (quest'ultima a causa delle circostanze politiche) - entrarono nel normale repertorio dei teatri e furono frequentemente eseguite in Italia e all'estero fino all'approssimarsi dell'ultima decade dell'Ottocento. Fino al 1859 (ma a Roma fino al 1870) negli stati italiani del centro-sud, vale a dire nel Regno delle due Sicilie, nello Stato della Chiesa e nei ducati molte sue opere furono rappresentate con libretto camuffato dalle varie censure, in particolare Emani, Giovanna d'Arco, Macbeth, Rigoletto, Traviata. Quanto ai Vespri siciliani fu l'autore stesso ad approntare una versione italiana, intitolata Giovanna de Guzman, che non incontrasse i rigori delle varie censure. Con la fine del secolo si entra negli "anni bui" dell'opera verdiana e più in generale del melodramma italiano d'età romantica.Verdi "progrediva", sì, con Otello e Falstaff, ma proprio questo "progresso" fece dimenticare alla società italiana di fine secolo e oltre il Verdi degli anni giovanili e della cosiddetta "trilogia romantica", il Verdi insomma di Emani e di Macbeth, di Rigoletto e del Trovatore. Solo il costante favore popolare, ridotto a manifestarsi ormai solo nei teatri secondari e di provincia, consentì all'opera di Verdi di sopravvivere ai margini di un'attività musicale ormai imperniata, nei teatri primari, sulle opere di Wagner, di Meyerbeer, di Massenet, di Puccini, della "giovane scuola". Alla Scala, ad esempio, nell'ultimo decennio dell'Ottocento furono date (a parte Otello e Falstaff) solo sei recite di Rigoletto, tre di Traviata e una di Don Carlos. Al Comunale di Bologna, la "wagneriana" Bologna, tra il 1887 e il 1912 si contano solo tre allestimenti: Rigoletto e Traviata nel 1901 e Aida nel 1908.AI Regio di Parma, la "verdianissima" Parma, tra il 1904 e il 1911 Verdi è presente con due soli allestimenti: Aida e Rigoletto. L'emarginazione del Verdi popolare dai teatri primari e la scomparsa di capolavori quali Macbeth, Luisa Miller, , Simon Boccanegra, fu il riflesso della progressiva opera di svalutazione da parte della critica di quegli anni. Quando nel 1902 si osò di riproporre alla Scala (e chi osò fu Toscanini), dopo anni di silenzio, il Trovatore, vi fu chi trovò a ridire che un teatro prestigioso come la Scala si abbassasse a rappresentare ancora melodrammi "da arena popolare"... Pochi anni dopo un fine cultore di musica quale Giannotto Bastianelli non arretrò dal dichiarare che "l'arte verdiana rimase nella sostanza simile a quella dei predecessori; arte, cioè, sempre primitiva nel contenuto sebbene spesso perfetta nella forma, profondamente sensuale, di tinte accecanti, di un sentimentalismo un po' barocco, ma spesso franco e sincero; arte che [...] non è destinata del tutto all'oblio, ma è meritevole di essere frammentata da una critica spassionata e rigorosa in una specie di florilegio contenente le più belle ispirazioni dei nostri ottocentisti". Il riscatto del teatro verdiano nasce in Germania, preparato dall'opera di traduzione e di divulgazione di Franz Werfel e pilotato da un'opera rimasta sconosciuta alle scene tedesche: La forza del destino, il cui trionfale successo a Dresda nel 1925 può essere considerato il punto d'avvio della VerdiRenaissance. Fu come un'esplosione quale non si era registrata sin dai

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tempi dell'Emani e del Trovatore, e che fece scrivere a un autorevole critico, nella patria di Wagner: "Verdi per noi tedeschi è per così dire lo Shakespeare dell'opera". E mentre in Italia ancora ci si baloccava intorno alle "sei più belle opere di Verdi", nei teatri della Mitteleuropa capolavori quali Macbeth, Simon Boccanegra, Don Carlos entrarono nel normale repertorio accanto alle opere di Wagner, di Mozart, di Richard Strauss, di Puccini. In Italia di vera e propria rinascenza verdiana si può parlare solo a partire dal secondo dopoguerra, una rinascenza cauta, quasi episodica, che si rinfranca in via definitiva solo a partire dagli Anni Sessanta e si sviluppa attraverso la ricognizione di tutto il teatro verdiano, dalle opere dimenticate o quasi cancellate (vedi Stiffelio) alle prime versioni di opere rifatte (vedi il primo Macbeth, vedi il primo Simon Boccanegra). Nota sulla melodranunaturgia verdiana. Il punto di vista da cui muove un compositore d'opera all'atto di organizzare un'azione teatrale è alquanto differente rispetto a quello di un autore di drammi destinati alla recitazione. In quanto musicista egli deve prefigurare il proprio materiale entro linee di durata determinate dalla sintassi del discorso musicale e non da quella del dialogo parlato, e deve pertanto prefissarne le dimensioni tenendo conto dei poteri di concentrazione, di sincronia e di evocazione che sono propri del linguaggio della musica. La scelta di un argomento d'opera è dunque in funzione di una drammaturgia soggetta alle leggi che governano la composizione musicale. Sin dagli esordi Verdi era consapevole che nell'opera il drammaturgo dev'essere innanzi tutto un architetto in musica e che scopo essenziale d'ogni impresa operistica è sempre la traduzione totale dell'azione drammatica in musica. È il dramma che deve essere posseduto dalla musica. Non viceversa. Pertanto l'interesse che in Verdi suscita un soggetto d'opera prende sempre le mosse dalla possibilità di rinvenirvi le occasioni atte a tradurre gli effetti in strutture musicali in movimento, compiute e autosufficienti. Riprendendo una considerazione avanzata da Pierluigi Petrobelli, si può affermare che Verdi insegue sempre la possibilità che "l'elemento musicale" diventi "di per sé elemento di articolazione drammatica, strumento ideale di teatralità pura". La chiave di lettura di un soggetto d'opera avviene sempre in Verdi attraverso una griglia di situazioni, di posizioni sceniche, di effetti teatrali che consenta di realizzare - attraverso una concezione estremamente dialettica delle tòrme musicali - una drammaturgia interamente posseduta dal discorso musicale. Primo risultato di questo lavoro di verifica è la concentrazione del dramma nei suoi elementi essenziali attraverso una 'selva', una sorta di scenario in cui già viene prefigurata la scansione musicale dell'azione drammatica, una scansione percorsa come una corrente elettrica dal contrasto di caratteri e di situazioni. Tale contrasto risponde a quella conflittualità dinamica, ostinatamente perseguita da Verdi, che rende possibile lo sviluppo di strutture musicali in costante movimento. Una volta stesa la 'selva' e trovata la 'tinta musicale', il più del lavoro per Verdi è fatto. Elemento fondamentale della griglia attraverso la quale Verdi valuta la possibilità di un soggetto teatrale di essere tradotto in musica è costituito dalla sequenza formale della "scena ed aria" quale era stata codificata da Rossini, quindi ripresa e sviluppata da Bellini e da Donizetti. Applicata all'aria solistica, al duetto e al finale d'atto, la sequenza risponde al seguente schema: a) scena o tempo d'attacco; b) cantabile; e) scena o tempo di mezzo; d) cabaletta. Ecco alcuni esempi nell'aria solistica, nel duetto e nel finale d'atto: aria di Violetta nel primo atto di Traviata: a) "È strano!... è strano!..."; b) "Ah fors'è lui che l'anima"; c)"Follie!... follie..."; d) "Sempre libera degg'io" duetto Leonora - Conte di Luna nel quarto atto del Trovatore: a) "Qual voce!... come!... tu, donna?"; b) "Mira d'acerbe lagrime"; c)"Conte...""Né cessi?"; d) "Vivrà!... contende il giubilo" finale atto secondo di Aida: a)"Salvator della patria"; b) "Ma tu, Re, tu signore possente"; c) "O Re: pei sacri numi"; d) "Gloria all'Egitto". Verdi impiega questa formula fino all'Aida compresa, ma mai in modo meccanico al solo fine di garantire una scansione musicale delle fasi principali di un'azione scenica. All'interno della sequenza egli opera continue modifiche che spesso ampliano la funzione della scena d'attacco o, più spesso, della scena di mezzo, che egli individua come elemento dinamico volto a esaltare l'opposizione e il contrasto fra l'adagio e l'allegro, fra il cantabile e la cabaletta, fino a farle assumere le dimensioni di brano musicalmente compiuto (come nel "Coro e Ballabile" nella scena

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delle apparizioni del Macbeth, o come nel "Miserere" del Trovatore, inserito fra il cantabile e la cabaletta dell'aria di Leonora); oppure rinuncia alla cabaletta (come nel finale primo di Luisa Miller o come nel duetto Aida - Amonasro nel terzo atto di Aida). Elemento basilare della melodrammaturgia verdiana è il duetto, luogo quasi sempre di scontro e di contrasto, su cui l'intero edificio drammatico si regge spesso in maniera determinante; basti pensare ai duetti Nabucco - Abigaille, Lady - Macbeth, Rigoletto - Gilda,Violetta - Germont, Amelia - Riccardo, Filippo - Inquisitore,Aida - Amonasro, Otello - Jago, per citarne solo alcuni. Inoltre Verdi sfrutta al massimo il potere di sincronia, e quindi di sintesi, consentito dal linguaggio dei suoni al fine di concentrare azioni e sentimenti in un solo blocco musicale: vedi i terzetti dei Lombardi, di Emani, di Attila, della Forza del destino, vedi il quartetto di Stiffelio e, soprattutto, il quartetto del Rigoletto, unico nel suo genere. Ma vedi anche il Finale Secondo dei Vespri siciliani (il contrasto fra il canto spezzato dei Siciliani umiliati e la cantilena dei Francesi sulla barca), il Finale Secondo di Un ballo in maschera (lo scherno dei congiurati di contro al furore represso di Renato e allo strazio di Amelia), il secondo atto di Otello (il contrasto fra l'omaggio canoro dei Ciprioti a Desdemona e il dialogo fra Otello e Jago), il concertato nel secondo atto di Falstaff, prodigiosa costruzione in cui la musica riesce a concentrare azioni e situazioni simultanee e contrastanti. E si potrebbe continuare. È inoltre da tenere presente che Verdi tende sempre a rendere omogeneo e compatto il discorso musicale ben al di là del pezzo chiuso, istituendo una stretta correlazione fra i brani attraverso l'impiego delle aree tonali: ne è un esempio il nesso tonale stabilito nel Rigoletto fra l'Introduzione (la festa nel palazzo ducale) e la seconda parte del primo atto (la casa di Rigoletto), o, ancora, il passaggio fra la prima e la seconda scena nel primo atto di Simon Boccanegra. A partire dal rifacimento appunto del Simon Boccanegra Verdi tende a dare maggiore continuità al discorso musicale eliminando il pezzo chiuso, ma non dimentica tuttavia, quando occorre, la sequenza canonica della "Scena ed Aria", sopra indicata, come dimostra la chiusa del duetto Otello - Jago ("Sì, pel ciel marmoreo giuro!"), che presenta il carattere di una vera e propria cabaletta, con tanto di stretta finale. Molto altro ancora v'è da dire sulla melodrammaturgia verdiana; ad esempio sui parlanti (dove "il motivo sta nella parte strumentale, anziché nella vocale"), sulla funzione del coro, sull'impiego della canzone ai fini drammatici ("La donna è mobile", "Stride la vampa", la "Canzone del salice", ecc.), sul cosiddetto "colore locale", sulla musica descrittiva (il mare, il sorgere del sole, il temporale, la caverna, la foresta), sull'impiego di temi ricorrenti (Leitmotiv), sui registri vocali, sulla strumentazione. Ma il presente capitolo vuole essere non un trattato di drammaturgia musicale, bensì solo una guida introduttiva, o meglio, un primo accostamento alla conoscenza dell'artista e all'ascolto della sua opera. Conviene dunque arrestarsi a questo accenno molto sommario, tuttavia sufficiente a far comprendere perché la stesura dei riassunti delle sue opere sia stata fatta sulla base non del solo libretto tout court, ma seguendo la trama ovvero la scansione dei brani musicali di cui ciascuna opera è composta. E ciò al fine di una migliore comprensione e soprattutto di un ascolto più consapevole. Poiché per Verdi è nella musica, cioè nell'evento sonoro, che il dramma si esplica. Ha osservato Bruno Barili con straordinario intuito, a proposito del Trovatore, che esso si fa tutto al disopra del libretto, per evaporazione lirica. Il canto scavalca il testo, lo espelle, lo distrugge: la musica fa il dramma da sé sola. La vicenda trae tutta la sua virulenza dal ritmo, e non si può raccontarla, o spiegarla per mezzo di parole, mentre si capisce in un lampo attraverso l'esecuzione sonora. Il barocco libretto non è che l'elemento occasionale che provoca l'esplosione, e dietro quella ricade annientato [4. Poi, quel che è stato è stato: il libretto non esiste più. Ma c'è l'opera viva, immortale. Questa splendido commento vale non solo per il Trovatore, ma per tutte le opere di Verdi, dall'Oberto al FaLstaff, per ognuno delle quali non v'è che da ripetere: la musica fa il dramma da sé sola.

MARCELLO CONATI

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Antonio Barezzi

Le opere di Verdi

Oberto conte di S. Bonifacio

Dramma in due atti [di Antonio Piazza e Temistocle Solera] Prima rappresentazione: Milano,Teatro alla Scala, 17 novembre 1839

La fonte dell'argomento rimane tuttora sconosciuta. È infatti l'unica opera di Verdi della quale non si è potuto finora rintracciare un precedente letterario o teatrale. Anche la genesi compositiva rimane in parte misteriosa. Si sa che prima di rientrare a Busseto dopo aver compiuto gli studi musicali con Vincenzo Lavi gna e aver collaborato in alcune circostanze con una Società filarmonica da poco istituita dal maestro Pietro Massini al teatro Filodrammatici, di fianco alla Scala, Verdi aveva ottenuto promessa dallo stesso Massini di far rappresentare una sua opera in quel teatro. Rientrato a Busseto, nel 1836 si era accinto a rivestire di note il libretto della sua prima opera: s'intitolava Rocester, diverrà Oberto. Quali legami vi fossero fra le due opere (la prima su libretto del giornalista e letterato Antonio Piazza, la seconda su libretto trasformato da Temistocle Solera) gli studiosi non sono ancora riusciti a stabilirlo con precisione. Verdi stesso non accenna mai, nelle confidenze rilasciate negli anni della maturità intorno ai suoi esordi, a un Rocester, limitandosi ad accennare a un libretto che, modificato da Solera, divenne l'Oberto. Essendo improvvisamente cessata l'attività della Società diretta da Massini, Verdi tentò inutilmente di far rappresentare la sua opera a Parma. Ritornato a Milano nell'autunno del 18.38 e quivi stabilitosi con la famiglia nel successivo febbraio, riuscì a ottenere dall'impresario Bartolomeo Merelli - grazie anche all'appoggio di influenti personaggi della 'Milano bene' del tempo e a quello di due importanti cantanti, Giorgio Ronconi e Giuseppina Strepponi, cui fece ascoltare l'opera - di farla rappresentare alla Scala. Ciò avvenne nel tardo autunno del 1839, ma senza Ronconi e la Strepponi, per i quali l'opera era stata pensata, non essendo stati scritturati per quella stagione (li ritroverà per Nabucco), tanto che il giovane compositore dovette 'puntare' il ruolo protagonista, già concepito per baritono, per la voce del basso Marini. L'Oberto ottenne un franco successo di pubblico e di critica, tanto che venne replicato fino al termine della stagione e fu ripreso l'anno dopo. Il successo fruttò a Verdi un contratto, propostogli dall'impresario Bartolomeo Merelli, per tre opere nuove da rappresentarsi alla Scala nelle successive stagioni (saranno Un giorno di regno, Nabucco e I Lombardi alla prima crociata). La versione definitiva dell'Oberto accoglie modifiche e aggiunte operate da Verdi per la ripresa alla Scala nell'autunno del 1840 e per le rappresentazioni al Carlo Felice di Genova nel gennaio del 1841. L'opera fu data

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anche a Torino, a Napoli e a Barcellona; ma ben presto superata in popolarità dalle successive opere del compositore, da Nabucco in poi, fu pressoché dimenticata (salvo l'aria di Cuniza, Oh chi torna l'ardente pensiero, che fu spesso eseguita nel corso dell'Ottocento, interpolata nella Luisa Miller dai mezzosoprani che sostenevano la parte di Federica, priva di aria). Per il suo ritorno alle scene l'Oberto dovrà attendere il nuovo secolo, a far inizio dal teatro Regio di Parma per le feste centenarie del 1913.

PERSONAGGI E PRIMI INTERPRETI CUNIZA, sorella di Ezzelino da Romano prima donna Maria Shaw RICCARDO, conte di Salinguerra primo tenore Lorenzo Salvi OBERTO, conte di S. Bonifacio primo basso Ignazio Marini LEONORA, sua figlia prima donna Antonietta Raineri Marini ImELDA, confidente di Cuniza seconda donna Marietta Sacchi Cavalieri, Dame, Vassalli L'azione è in Bassano nel castello d'Ezzelino e sue vicinanze Epoca 1228 Nota storica: Ezzelino da Romano: si tratta di Ezzelino III da Romano (1194-1259); tra i principali sostenitori di Federico II, di cui sposò una figlia, ampliò i feudi paterni impadronendosi di Verona e di Bassano, ottenendo quindi Vicenza da Federico, e conquistando infine Padova e Treviso; impostosi come capo del partito ghibellino e scomunicato da Innocenzo IV, fu sconfitto e mortalmente ferito a Cassano d'Adda dalla lega guelfa comandata da Marino Della Torre; la tradizione ne tramanda la memoria come un tiranno efferato e senza scrupoli.

RIASSUNTO DELL'AZIONE DRAMMATICA Antefatto

Oberto, conte di S. Bonifacio, in guerra con i Salinguerra di Verona, sconfitto da Ezzelino da Romano, loro alleato, ripara in Mantova. Sua figlia Leonora, orfana di madre e rimasta a Verona presso una zia, sorella di Oberto, viene sedotta con promessa di matrimonio da Riccardo di Salinguerra, presentatosi a lei sotto falso nome. Questi, innamoratosi poi della sorella di Ezzelino, Cuniza, dal fratello lasciata nel castello di Bassano, le offre la propria mano. Ezzelino, che doveva la signoria di Verona ai Salinguerra, approva le nozze. Leonora, conosciuta troppo tardi la verità, accorre a Bassano nel giorno delle feste nuziali per svelare il tradimento. Vi accorre anche il padre, Oberto, avvertito per lettera da sua sorella delle vicende di Leonora e della sua venuta in Bassano. Qui ha principio l'azione del dramma. 1. SINFONIA. Una delle più brevi di Verdi, è in due movimenti, entrambi costruiti su alcuni temi dell'opera: Andante (basato sul coro nuziale "Fidanzata avventurosa") e Allegro vivo.

ATTO PRIMO Deliziosa campagna. Alla sinistra, in poca lontananza, si scorge Bassano. 2. CORO D'INTRODUZIONE. Cavalieri, Dame, Vassalli vengono a incontrare Riccardo, conte di Salinguerra, futuro cognato del loro signore, di ritorno dalla guerra, e intonano un canto di gioia (Di vermiglia, amabil luce): la stella che prese in cielo il volto di Amatunzia annuncia un giorno felice; scorrano pure i fulmini di guerra per le città: la pace accompagnerà le nozze di Riccardo protette dalla buona stella. Come si vede avanzare Riccardo il ritmo si fa vivace e il canto dei cortigiani sempre più festoso. 3. CAVATINA. Riccardo esprime gratitudine per l'accoglienza riservatagli, pur rifiutando generosamente un plauso dovuto più alla sposa che a lui (Questi plausi a me d'intorno). Tuttavia, mentre il coro lo invita "dove l'attende amor", egli manifesta propositi bellicosi grazie al potere che sta per conseguire attraverso le nozze con Cuniza, la sorella del potente Ezzelino (Già parmi udire il fremito): già gli sembra di vedere le teste dei nemici invidiosi chinate a terra.Tutti si avviano al castello di Bassano. 4. CAVATINA. Entra in scena Leonora; sedotta e poi abbandonata dall'ambizioso Riccardo, ella è disperata sia per l'onore e per l'amore perduti, sia per il dolore che suo padre proverà quando ne verrà a conoscenza. Però è certa che la vendetta che sta preparando cancellerà la vergogna. Il sogno d'amore fiorito nella casa paterna si è dissolto nel tradimento (Sotto il paterno tetto). Ora

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vorrebbe poter ritornare all'innocenza del primo giorno (Oh potessi nel mio core). Mestamente si allontana verso l'abitato. 5. SCENA E DUETTO. Un breve preludio strumentale annuncia l'ingresso di Oberto, che ha appreso tutta la storia da una lettera della sorella. Fa ritorno alla sua terra agitato da due sentimenti contrastanti: la felicità di rivedere la patria natia e il dolore per dover ben presto dirle di nuovo addio. Rientra Leonora: ha saputo delle imminenti nozze di Riccardo con Cuniza e si propone di recarsi inosservata al castello. Alla vista del padre rimane esterrefatta. Assalita dai violenti rimproveri di Oberto (Guardami! Sul mio ciglio vedi) ella implora commossa un abbraccio di perdono (Padre mi strazi l'anima). Ricordando la moglie e madre morta, chiedono entrambi aiuto al cielo per poter ottenere giustizia (Del tuo favor soccorrimi). Si sente provenire dal castello uno squillo di tromba: Oberto ordina alla figlia di andare lassù a denunciare il seduttore; solo allora la perdonerà. Leonora promette di ottenere la vendetta o di morire. L'abbraccio del padre incoraggia la giovane nei suoi propositi (Un amplesso ricevi, o pentita). Insieme si avviano verso Bassano. Magnifica sala nel castello di Ezzelino. 6. CORO. Mentre Cuniza viene abbigliata per le nozze, dame e cavalieri esprimono ammirazione per la sua bellezza ed esaltano le sue virtù (Fidanzata avventurosa): ella è come l'alba che rischiara il cielo, pura come la neve che imbianca la terra Euganea; il suo sorriso è l'immagine del cielo sulla terra. 7. SCENA E Duetto. Cuniza ringrazia, congeda il coro e viene subito raggiunta da Riccardo. Le sembra di sognare (Il pensier d'un amore felice); tuttavia la gioia che le inonda il petto è mista a un timore inspiegabile, come un presentimento. Riccardo le risponde con le sue certezze e le sue promesse (Nuovo dì per te splenda sereno). La giovane si mostra infine convinta: insieme terminano il duetto (Questa mano ornai ritorni) pensando a un solo cuore, a un'anima sola, a una lunga vita insieme, finché morte non li separi. Ed escono di scena da porte opposte. 8. RECITATIVO. Sopraggiunge Leonora che chiede a Imelda, confidente di Cuniza, di poter incontrare la principessa. Nell'attesa è molto agitata, perché sa che suo padre è nascosto ad ascoltare: non vuole che la sappia tremante davanti ai suoi rivali e chiede al cielo di assisterla in questo incontro così difficile. 9. SCENA E TERZETTO. Quando Cuniza sopraggiunge, Leonora le si presenta come figlia di un infelice, Oberto, forse già noto alla principessa. Cuniza risponde agitata che lo conosce come "Oberto, il nemico!". Leonora la invita a parlare sottovoce perché Oberto è nascosto nei pressi: l'ira lo ha condotto nel castello per un atto estremo. Già le si sta avvicinando. E infatti Oberto si presenta in scena: implora pietà non come nemico vinto ed esiliato (Se pietà sperar mi lice), ma come padre disonorato da un vile. Cuniza è disposta a fare tutto quello che può; ma Leonora l'avverte che se le rivelerà il fatto e il colpevole, le trafiggerà il cuore. Incuriosita e sempre più turbata da un triste presentimento, Cuniza vuol sapere. Leonora racconta di un indegno che le rapì tutto, pace e onore, perché sotto falso nome le promise eterno amore e poi la tradì giurando amore ad altra donna, Cuniza, appunto. È Oberto a rivelare il nome del traditore: Salinguerra! E la verità sta scritta sul volto di Leonora (Su quella fronte impressa); se Cuniza non crede a ciò che vede, creda almeno allo sdegno di un padre che, disobbedendo a Ezzelino, ha lasciato l'esilio ed è tornato armato di spada sulla terra natia per vendicare il proprio onore. Cuniza placa gli animi promettendo aiuto e schierandosi dalla parte di Leonora, la quale si mostra dispiaciuta di recarle tanto dolore. Ella vede che le ciglia di Cuniza sono umide di pianto; ma la giovane l'assicura che sarà l'ultimo pianto che bagna le sue guance: ora l'ira che tormenta il suo cuore cadrà sul traditore; analogo proposito esprimono Leonora e Oberto (Ma fia l'estremo, o misera). 10. FINALE PRIMO. Dopo aver condotto Oberto in una stanza vicina, Cuniza richiama lo sposo e gli amici. Rivolta a Riccardo, gli indica Leonora. Per tutta risposta Riccardo, riavuto dalla sorpresa, umilia ancora una volta la giovane già da lui sedotta, accusandola vilmente di infedeltà. Leonora reagisce con terribile passione, ottenendo la solidarietà dell'assemblea. Oberto, che ha udito le infami parole di Riccardo, non resiste ed esce dal suo nascondiglio, fra lo stupore dei presenti, per difendere la figlia: il concertato a canone che segue (A quell'aspetto un fremito) lascia intuire che egli cadrà ucciso nella sua patria; Oberto però aggiunge che con lui cadrà morto anche

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il traditore. Si rivolge infine a Riccardo accusandolo di spergiuro e di viltà e affermando di saper usare ancora la spada: è la sfida a un duello, sfida che Riccardo rifiuta per pietà della canizie (All'onta rispondere m'udresti). Si innesta qui la stretta finale: Leonora accusa Riccardo di viltà; Cuniza sente l'amore trasformarsi in odio per il bugiardo; Imelda e il coro chiedono al Cielo di riportare la pace e di punire il colpevole. Su questa agitazione generale si chiude il sipario.

ATTO SECONDO Gabinetto della principessa. 11. CORO, SCENA E ARIA. Le damigelle circondano Cuniza seduta per confortarla. Imelda le annuncia che Riccardo vuole parlarle. Ma quell'uomo non ha nulla da dire a propria discolpa. Un giorno quel nome le scendeva nel cuore dolcemente come la rugiada che ravviva i fiori appassiti nella stagione estiva. Ella si abbandona per un attimo a dolci ricordi (Oh chi torna l'ardente pensiero): come volgere ancora il pensiero ai bei sogni del primo incontro? Egli era bello nel volto, nell'anima; le apparve lì, in quella stanza e le parlò d'amore. Un suo sguardo, un suo dolce sorriso erano per lei vita e gioia. Ora invano le scendono in cuore: sono come preghiere su una tomba. Ormai è deciso: Cuniza farà tutto il possibile per far tornare Riccardo al suo primo giuramento (Più che i vezzi e lo splendore), poiché le parole di Leonora hanno su di lei più potere di qualsiasi altra cosa e l'amicizia è un affetto santo al pari di quello dell'amore. Luogo remoto in vicinanza ai giardini del castello. 12. CORO DI CAVALIERI. Un gruppo di cavalieri si interroga sulla mutata situazione: un bel sogno si è dileguato e un triste velo ricopre l'astro dell'amore (Dov'è l'astro che nel cielo); la donna tradita si consoli: in questa vita la sventura è compagna alla virtù. Il gruppo si disperde. 13. SCENA E ARIA. Arriva Oberto, e ora aspetta Riccardo: nessun rifugio può sottrarlo al duello. Il tradimento richiede il sangue del colpevole (L'orror del tradimento); il braccio del vecchio guerriero non è invalido, la sua spada uccide ancora. Il vecchio cada pure ucciso, se così vuole il cielo, ma non sia oppresso dal disonore d'un delitto altrui. Il coro chiama ripetutamente Oberto: vada tosto da Cuniza che lo ha salvato dall'ira di Ezzelino. Oberto risponde che andrà subito, non prima però di riaffermare il proposito di vendicarsi (Ma tu superbo giovane): il destino ha in serbo un solo giorno di vita per uno dei due; se sarà egli stesso a morire, le sue ultime parole saranno per maledire i Salinguerra.

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Giuseppina Strepponi con lo spartito del Nabucodonosor

14. SCENA E QUARTETTO. Ecco giungere Riccardo, cui subito Oberto si rivolge per invitarlo a impugnare la spada per il duello; ma il giovane vorrebbe evitare un conflitto che ritiene ineguale. Oberto lo schernisce, accusandolo di essere vile nelle imprese guerresche e di serbare l'eroismo solo per quelle amorose. Riccardo, colpito nel proprio orgoglio, mette mano alla spada, ma è fermato dal grido di Cuniza che sopraggiunge con Leonora. Le voci dei quattro personaggi si uniscono per dare sfogo ai propri sentimenti (La vergogna ed il dispetto): Riccardo, dibattuto tra vergogna e dispetto, si augura di essere inghiottito dal terreno; Leonora, ancora innamorata pur sapendolo infame e traditore, non ha altra speranza che la morte; Cuniza cerca di consolarla promettendole che farà tornare Riccardo da lei; Oberto rinnova l'accusa di viltà e il proposito di colpirlo con la sua spada vendicatrice pari al fulmine di Dio. In un drammatico dialogare Cuniza fa promettere a Riccardo che sposerà Leonora, mentre Oberto lo consiglia di accettare per finta e di

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recarsi poi nel bosco per il duello. Nuovamente le voci dei quattro personaggi si riuniscono nella stretta finale per esprimere ciascuno i propri sentimenti: Leonora, commossa, accetta il ritorno di Riccardo a patto che sia pentito e sincero (Ah Riccardo! se a misera amante); Riccardo è dispiaciuto, perché vede sul viso di lei tanto amore, ma deve onorare il suo dovere di guerriero; Oberto persevera nell'idea fissa di lavare il disonore col sangue del traditore; Cuniza augura a Leonora tutta la pace e l'amore che a lei saranno negati. Alla fine Oberto entra nel bosco; gli altri si allontanano dalla parte opposta. 15. SECONDO CORO Di CAVALIERI. Entrano i Cavalieri esprimendo disappunto e preoccupazione per il duello fra due guerrieri, che pure vengono considerati splendidi campioni di questa terra (Ah, sventura! E dalla croce). Ma ad un tratto la musica fa capire che lo scontro è ormai in atto: tutti corrono verso il bosco. 16. ROMANZA. Al termine di un breve, turbolento preludio strumentale entra, come inseguito da alcuno, Riccardo sconvolto, la spada alla mano: si rende conto della gravità di ciò che ha fatto e ne sente rimorso (Ciel che feci!). Nel delirio di una vergogna che potrà nascondere solo fuggendo gli sembra di udire gli ultimi lamenti di Oberto morente: in atto di preghiera chiede salvezza alla clemenza di Dio, quindi fugge. 17. SCENA E ADAGIO. Il crescendo, su un ritmo frenetico, di un altro breve preludio strumentale sottolinea l'entrata di Cuniza e Imelda, che accorrono agitate: cercano i due uomini e sentono nelle vene un presentimento mortale. Il coro annuncia il ritrovamento di Oberto immerso nel sangue e di Leonora svenuta: ella, infatti, sospettando il duello, era accorsa e vi aveva assistito. La poveretta viene condotta in scena; Cuniza, sinceramente addolorata, accoglie il suo arrivo rassicurandola del proprio affetto (Vieni, o misera) e promettendole di mai più lasciarla. Anche il coro accoglie la sventurata esprimendole parole di conforto. 18. SCENA E RONDÒ FINALE. Leonora è posta a sedere; Cuniza le sta vicina; tutti la circondano. Ma lei è disperata: ha perduto tutto; ora ha perduto anche il padre: e della sua morte si sente direttamente colpevole. Riacquistata momentaneamente la calma, racconta in breve i tragici fatti avvenuti a Bassano (Sciagurata! a questo lido), concludendo che è stata ella medesima ad uccidere il padre per mano del suo seduttore. Arriva un messaggero con una lettera che Cuniza legge tremante: è di Riccardo, che è fuggito dall'Italia e che chiede perdono a Leonora, lasciandole tutti i suoi beni e rinnovando la promessa di fedeltà come nei primi giorni del loro amore. Ma la lettera, anziché confortare Leonora, la getta nella più profonda disperazione (Cela il foglio insanguinato): ormai orfana, maledetta, nel suo futuro non vi è che la cella di un convento. Vede sangue dappertutto, sente un fuoco che la brucia, in preda a violenti spasimi si augura la morte. Sviene tra le braccia delle dame, mentre il coro implora dal cielo pietà per la sventurata.

Un giorno di regno (ii finto Stanislao) Melodramma giocoso in due atti [di Felice Romani]

Prima rappresentazione: Milano,Teatro alla Scala, 5 settembre 1840 L'argomento, basato su una commedia di Alexandre Vincent Pineux-Duval, Le faux Stanislas (Parigi, 1808), deriva direttamente da un libretto che Felice Romani aveva scritto per un melodramma giocoso del compositore boemo Adalbert Gyrowetz, Il finto Stanislao, rappresentato alla Scala nel 1818. Nonostante Verdi avesse desiderato comporre un'opera seria, come stabilito dall'impresario Merelli, dovette tuttavia sottomettersi alla volontà dello stesso Merelli che all'improvviso, per esigenze di cartellone, aveva necessità che egli scrivesse un'opera buffa, un genere peraltro a quel tempo già in declino, almeno nelle forme e nei contenuti espressi dal vecchio libretto di Romani. Il compositore intervenne sulla struttura del libretto (con la collaborazione, forse, di Solera) operando alcuni tagli e in parte modificandolo, a cominciare dal titolo, mutato in Un giorno di regno. È l'unica opera in cui Verdi impiega - come era ancora costume in quegli anni in un'opera buffa (ma si trattava di un procedimento ormai datato) - il recitativo secco, vale a dire col solo accompagnamento di cembalo e basso continuo. Verdi lavorò in cattivo stato di salute e per di più con l'animo straziato per la repentina scomparsa della moglie Margherita, spentasi d'encefalite il 18 giugno 1840. Ma non volle tuttavia sottrarsi all'impegno assunto. L'accoglienza

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di pubblico e di critica fu disastrosa: l'opera - sul cui esito influì anche la cattiva esecuzione di alcuni interpreti - visse una sola, infausta sera. Merelli corse subito ai ripari riproponendo l'Oberto, cui arrise nuova fortuna. Qualche anno più tardi l'opera risorse a nuova, ma tuttavia effimera vita al teatro in S. Benedetto di Venezia e al teatro Valle di Roma, con il titolo ripristinato in Il finto Stanislao. Verdi, che affronterà con animo sereno gli insuccessi che gli riserverà la sua carriera di artista (vedi Traviata; vedi Simon Boccanegra), non dimenticherà mai il fiasco di Un giorno di regno, che resterà come una ferita aperta anche nel ricordo degli anni maturi. Scriverà infatti a Tito Ricordi nel gennaio del 1859: `Alla Scala s'applaudì altra volta il Nabucco ed i Lombardi; [..] tutt'insieme era tale spettacolo da non disonorare chi lo applaudiva. Poco più d'un anno prima, però, questo stesso pubblico maltrattava l'opera d'un povero giovine ammalato, stretto dal tempo e col cuore straziato da un'orribile sventura. Tutto questo si sapeva, ma non fu ritegno alla scortesia. Io non ho più visto da quell'epoca il Giorno di Regno, e sarà certo un'opera cattiva, pure chi sa quante altre non migliori sono state tollerate o forse anche applaudite. Oh se il pubblico avesse, non applaudita, ma sopportata in silenzio quell'opera, io non avrei parole sufficienti per ringraziarlo! ma finché ha fatto buon viso ad opere che fecero il giro del mondo, le partite sono pari. Io non intendo condannarlo: ne ammetto la severità, ne accetto i fischi, alla condizione che nulla mi si richiegga per gli applausi. Noi poveri zingari, ciarlatani e tutto quello che volete, siamo costretti a vendere le nostre fatiche, i nostri pensieri, i nostri deliri per dell'oro -- il pubblico per tre lire compera il diritto di fischiarci o di applaudirci. Nostro destino è di rassegnarci".

PERSONAGGI E PRIMI INTERPRETI IL CAVALIERE DI BELFIORE, sotto il nome di Stanislao re di Polonia IL BARONE DI KELBAR LA MARCHESA DEL POGGIO, giovane vedova, nipote del Barone ed amante del Cavaliere GIULIETTA DI KELBAR, figlia del Barone e amante di EDOARDO DI SANVAL, giovane ufficiale IL SIGNOR LA Rocca,Tesoriere degli Stati di Bretagna, zio di Edoardo IL CONTE IVREA, Comandante di Brest DELMONTE, Scudiere del finto Stanislao Cori e Comparse: Camerieri, Cameriere, Vassalli del Barone L'epoca: 1733 La scena è nella vicinanza di Brest nel Castello di Kelbar

RIASSUNTO DELL'AZIONE DRAMMATICA Antefatto

Stanislao Leczinski fu a intervalli re di Polonia. La sua ultima elezione avvenne nel 1833, quando si recò a Varsavia travestito da cocchiere, affidando a un cavaliere francese, Beaufleur (Belfiore), il compito di impersonarlo, onde far credere ai suoi nemici che egli fosse ancora in Francia. 1. SINFONIA. In un solo movimento, Allegro, è sostenuta da un ritmo scattante che predispone all'ascolto di un'opera di genere buffo; il compositore vi riprende in nuova veste lo spunto tematico di una sua sinfonia eseguita in un'accademia tenutasi a Busseto nel febbraio del 1838.

ATTO PRIMO Galleria. 2. INTRODUZIONE. Camerieri e vassalli del Barone di Kelbar salutano il dì radioso in cui, alla presenza di un sovrano, si annunciano due matrimoni, con festeggiamenti sontuosi e banchetti strepitosi (Mai non rise un più bel dì). È un grande giorno per la casa del Barone di Kelbar: sua figlia sta per sposare il signor La Rocca,Tesoriere degli stati di Bretagna, mentre la Marchesa del Poggio, nipote del Barone, andrà sposa al conte Ivrea. 3. DUETTINO. Il Barone si complimenta con il Tesoriere perché egli sta per sposare un ramo preziosissimo di un albero da cui germogliarono eroi (Ella è un ramo preziosissimo); a sua volta il Tesoriere è convinto che l'innesto delle due famiglie darà buoni frutti."Bravo genero!" esclama il Barone,"Gran suocero!" risponde ilTesoriere, orgoglioso d'aver per testimonio nientemeno che il re di Polonia: cosa da segnare su pergamena!

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4. SCENA E CAVATINA. Illustre ospite di Kelbar è infatti proprio il re di Polonia, Stanislao. Delmonte, scudiero del re, annuncia che Sua Maestà si è alzata e sta per arrivare. Al suono di squilli di tromba il coro esulta di soddisfazione. In realtà quello che si presenta è il cavaliere di Belfiore, ufficiale del re, sotto mentite vesti per ragioni politiche.Tutti lo salutano con grande rispetto e deferenza, ma il finto Stanislao prega tutti di trattarlo come un comune amico; informerà anzi la Corte per l'accoglienza riservatagli. Intanto, a parte, s'immagina la meraviglia dei suoi compagni di avventure nel vedere l'ufficiale più dissipato del reggimento assumere le pose "di filosofo e di re" (Compagnoni di Parigi). 5. SEGUITO E STRETTA DELL'INTRODUZIONE. Quindi prega gli astanti, che ammirati per la sua augusta presenza lo circondano per festeggiarlo, di trattarlo "come privato e amico": le inevitabili preoccupazioni che lo scettro impone verranno più tardi (Verrà pur troppo il giorno). 6. RECITATIVO, SCENA E DUETTO. Il cavaliere chiede chi siano le spose. Il Barone fa i nomi delle due giovani; ma quando accenna a sua nipote, la Marchesa del Poggio, al finto re sfugge un'esclamazione di sorpresa: ammette di conoscerla per fama, e molto! Poi invita tutti a lasciarlo solo.Temendo di essere riconosciuto dalla Marchesa si accinge in fretta a scrivere una lettera in Polonia in cui chiede d'essere esonerato dall'incarico strategico, perché ormai il vero Stanislao dev'essere giunto incolume a Varsavia; dovesse "regnare" ancora un giorno perderebbe l'amante. Intanto entra tremante il nipote del Tesoriere, Edoardo: con l'animo angosciato di fronte alla prospettiva di perdere l'amata Giulietta in favore dello zio, chiede aiuto al re offrendosi di combattere per lui Troverò che degno io sono). Il cavaliere acconsente: potrà combattere al suo fianco, sempre che ci sia da combattere; e lo nomina proprio scudiero. Edoardo si prostra riconoscente. Il finto re lo rialza e gli propone di fermarsi a dormire al castello, raccomandandogli di stargli sempre accanto: avrà così modo di rivedere Giulietta; il resto verrà. Queste parole accendono la speranza nel cuore di Edoardo, che al culmine della gioia loda la magnanimità del sovrano (Ricompensi amica sorte); il quale sovrano, a parte, si mostra felice di "regnare" ancora un giorno per burlare il vecchio Tesoriere. L'incontro si conclude con doppio soliloquio su ritmo marziale (Infiammato da spirto guerriero): Edoardo si dichiara pronto ad affrontare i pericoli della guerra; mentre Belfiore gli prospetta un avvenire da eroe. Entrambi escono di scena. 7. SCENA E CAVATINA. Sopraggiunge la Marchesa, che, non vista, li aveva osservati da lontano: è certa che l'uno dei due, Belfiore, sia il suo amante. Non comprende la ragione del suo travestimento.Tanto meglio: fingerà di sposare il vecchio conte Ivrea facendo ingelosire il cavaliere e potrà così smascherarlo. Lei ama solo Belfiore e nessun altro potrà mai aspirare al suo cuore (Grave a core innamorato). E se Belfiore le è infedele, rinuncerà per sempre all'amore (Se dee cader la vedova). Giardino. 8. CORO E CAVATINA. La scena si apre con un coro di contadine e cameriere (Sì festevole mattina) che recano fiori e frutti di augurio nuziale a Giulietta, la quale se ne sta seduta mestamente sopra un sedile. La giovane ringrazia, ma il suo cuore soffre: ama Edoardo da morire (Non san quant'io nel petto); le donne, notando la tristezza del suo volto, se ne chiedono il motivo. La giovane apre loro il suo animo: non intende sposare il vecchio Tesoriere (Non vo' quel vecchio) e invoca le gioie del primo amore, Edoardo. Le donne escono di scena. 9. RECITATIVO E SESTETTO. Sopraggiungono il padre e il promesso sposo. Kelbar ricorda a Giulietta che deve presentarsi al sovrano. La giovane non nasconde la propria malinconia; il Tesoriere tenta di consolarla: domani, il dì delle nozze, sarà certamente più felice. Entra il re seguito da Edoardo, che egli presenta come proprio scudiero. Il finto Stanislao elargisce complimenti e riconoscimenti di stima al Barone e al Tesoriere: ritenendoli esperti di guerra e di politica, vuole consultarli su un progetto militare. Allontana lo scudiero pregandolo di far compagnia alla "futura zia", poi stende sul tavolo una carta topografica e fa accomodare i due gentiluomini in modo che possano volgere le spalle ai due giovani innamorati, che finalmente hanno occasione di parlarsi. Mentre Giulietta ed Edoardo sono in dolce colloquio (Cara Giulia, alfin ti vedo), il Cavaliere indica sulla carta la disposizione delle artiglierie sotto lo sguardo attento di Kelbar e quello distratto del Tesoriere; e ogni tanto sorride nell'osservare l'imbarazzo di quest'ultimo che, gettando occhiate furtive, dà in smanie nel vedere Edoardo troppo vicino a

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Giulietta. Annunciata da un servo, sopraggiunge la Marchesa. Il Barone e Giulietta le vanno incontro mentre il cavaliere imbarazzato, non potendo più scappare, si trae in disparte fingendo di non vederla. La Marchesa, chiamata dalla cugina in difficoltà amorosa, si accosta a questa per chiacchierare. Le due donne vengono però zittite dal Barone che le avverte della presenza del re. La Marchesa rimane stupita nel vederlo, prende coraggio e con studiata indifferenza si avvia verso di lui scusandosi per non aver notato prima la sua presenza. Il cuore le batte sempre più forte, ormai è sempre più sicura che si tratta del cavalier Belfiore. Il finto re, imbarazzato e confuso, propone di affidare le signore alle cure del suo scudiero Edoardo (Madamine, il mio scudiere); la proposta consente ai due giovani di prolungare il loro incontro e le loro effusioni amorose; e mentre la Marchesa pensa come smascherare il briccone, il Barone e il Tesoriere, inorgogliti per essere diventati consiglieri del re, vantano le loro "teste tonde". Alla fine Belfiore, ritenendo concluso il consiglio di guerra, lascia la sala con il Barone e il Tesoriere. 10. RECITATIVO E TERZETTO. Edoardo e Giulietta si avvicinano sollecitamente alla Marchesa che passeggia pensierosa su e giù per la scena: confidano in lei per la salvezza del loro amore. Ma la Marchesa, distratta e turbata, pur venuta per aiutarli, ora ha altro per la testa, e infastidita dalla petulanza dei due innamorati, continua a parlare tra sé. E mentre Giulietta ed Edoardo esprimono la delusione nel vedersi mancare il suo sostegno (Bella speranza invero), la Marchesa in tanto imbarazzo è certa solo di due cose: che ama Belfiore e che questi l'ha ingannata. Dichiarandosi dispiaciuti per averla infastidita i due innamorati si scusano e fanno per allontanarsi, quando ella ricomponendosi li ferma: quel che è stato promesso va mantenuto e non farà quindi mancare il suo aiuto: dopo tutto anche lei sa cosa è amore... Le tre voci si uniscono nella cabaletta finale (Noi siamo amanti): armati d'amore si può vincere il destino avverso. Galleria come prima. 11. RECITATIVO E DUETTO BUFFO. Belfiore, sempre nei panni di re Stanislao, si sta adoperando per far fallire il matrimonio del Tesoriere con Giulietta. Alletta il promesso sposo con il miraggio di una nomina a ministro, di un matrimonio con la principessa Ineska e della dote di un immenso podere. Il Tesoriere coglie al volo l'offerta e mentre il finto re si allontana egli vuol correre a disdire gli impegni precedenti. Ma ecco che il Barone si presenta con il contratto di matrimonio in mano, pronto per le firme (Diletto genero, a voi ne vengo). A questo punto il Tesoriere non vuole più sottoscrivere e si disimpegna dalla promessa. A tanto affronto Kelbar si sente montare il sangue alla testa (Che sento? oh! nobili atavi miei!), ma il Tesoriere, pur protestando riverenza al Barone, "prole magnanima di semidei", persiste nel rifiuto: il fatto è che il re lo vuole ministro e principe. Il Barone è ancor più infuriato. 12. FINALE PRIMO. Con aria di minaccia il Barone s'avvicina allo spaventato Tesoriere, che cerca di schivarlo. Lo insegue per afferrarlo e lo sfida a duello. Sempre più spaventato il Tesoriere continua a correre per la scena e grida al soccorso. Accorrono subito Giulietta, la Marchesa, Edoardo e i servitori. In breve tutti vengono messi a conoscenza dell'accaduto: il matrimonio tra il Tesoriere e Giulietta non si farà. La Marchesa ne approfitta per proporre, a titolo di vendetta, un nuovo matrimonio per Giulietta con un giovane di sua conoscenza. Ma il Barone rifiuta categoricamente: sarebbe una viltà per la schiatta dei Kelbar; no, vuole un duello. Improvvisamente appare sulla porta il finto Stanislao. Tutti ammutoliscono sotto lo sguardo severo di colui che considerano il re; questi si avanza lentamente osservandoli a tino a uno (In qual punto il re ci ha cólto!): il Barone non osa alzare la testa per la vergogna d'attaccar briga alla presenza del sovrano; il Tesoriere spera che il re possa accomodare tutto; la Marchesa, Giulietta ed Edoardo confidano nella regia autorità; mentre Belfiore intuisce che il Tesoriere ha dato la disdetta. Alla fine il finto re chiede con tono autoritario il motivo della disputa; ed ecco che tutti si affollano intorno a lui, ciascuno fornendo la propria spiegazione. Ma Belfiore mette tutti a tacere con un severo rimprovero: se una delle due parti ricomincia la disputa prima della sua completa conoscenza di causa, allora il trasgressore incorrerà nello sdegno regale.Tutti si affidano alle decisioni della sovrana maestà (Affidate alla mente reale).

ATTO SECONDO Galleria.

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13. CORO ED ARIA. Il coro dei servitori commenta la gran confusione creata dal mancato matrimonio; ma sono sempre state queste le abitudini dei signori, che cambiano umore come cambiano veste (Noi felici, noi contenti): invece noi rozzi servitori abbiamo il viso aperto sia nei giorni di festa che nei giorni di lavoro. Si presenta Edoardo; ha bisogno di sfogarsi e apre il suo cuore alla servitù: non dispera di sposare ben presto la sua innamorata (Pietoso al lungo pianto). La solidarietà dei servitori gli è di conforto; al suo mesto cuore non è concesso che affidarsi alla speranza (Deh! lasciate a un'alma amante di speranza). Il coro si allontana. 14. RECITATIVO E DUETTO. Entra Belfiore con il Tesoriere e Giulietta: chiede al Tesoriere perché il Barone si opponga alle nozze di Giulietta con Edoardo. La giovane risponde che il padre "non ha fortuna, e il Tesorier nuota nel denaro". Se le cose stanno così, dice Belfiore, il Tesoriere ceda al Barone un suo castello e cinquemila scudi di rendita annua. Sbiancando in volto il Tesoriere tenta di tergiversare; ma è costretto a cedere all'insistenza del sovrano, che se ne parte con Giulietta, lasciandolo solo a riflettere. Ma ecco che sopraggiunge lo sdegnato Barone a chiedergli ragione della mancata promessa di matrimonio. Il Barone vuol guerra? E guerra sia. Inizia una buffa schermaglia fra i due vecchi fatta a suon di spacconate. Avendo il Tesoriere, in quanto parte sfidata, la scelta delle armi, il Barone gli dichiara che qualsiasi arma prenda, se lo berrà come un uovo (Tutte l'armi si può prendere); gli ribatte il Tesoriere chiedendogli di lasciar piuttosto detto dove vuol farsi seppellire. Sulla scelta dell'arma il Tesoriere suggerisce di porsi entrambi a cavallo su un barile di polvere con la miccia in mano (Si figuri un barilone), e buona notte a tutti. Figurarsi il Barone, che si vanta guerriero valente, all'udir questa proposta! No, occorre battersi con la spada. Ma alla fine, esasperato dalla codardia del Tesoriere, il Barone decide di farlo bastonare dai suoi servi. E mentre il Tesoriere si mostra divertito d'aver escogitato una scappatoia per evitare il duello, il Barone dà in smanie fremendo come un vulcano (Sudo, avvampo, smanio). Atrio terreno chiuso da invetriata che mette al giardino. 15. DUETTO. La Marchesa è ormai decisa: vuol ridurre il cavalier Belfiore a confessare la sua vera identità (Ch'io non possa il ver comprendere?...). In quella sopraggiunge proprio Belfiore, che vedendo la donna intuisce i suoi sospetti e teme i suoi progetti. I due si salutano quasi con indifferenza e conversano come fossero due sconosciuti. Forse la Marchesa pensa al Cavaliere?, chiede Belfiore. Sì, penso a lui, ella gli risponde, e al modo di punire la sua incostanza. La schermaglia fra i due, condotta con astuto linguaggio, fa capire all'uno che lei sta fingendo, all'altra che lui è vicino a cascare (Io so l'astuzia fin dove giunga). 16. RECITATIVO, SCENA ED ARIA. Entra frettoloso il Barone ad annunciare alla nipote l'arrivo del suo promesso sposo; e con altrettanta fretta si allontana. La Marchesa manifesta l'intenzione di sposarsi subito: "E il Cavaliere?", domanda Belfiore. Oh, egli s'è preso gioco di me fin troppo a lungo, gli risponde la Marchesa. Belfiore le fa però capire che l'amante verrà ben tosto a disputare la sua mano. "Perché dunque non vien?" è la domanda accalorata della Marchesa. Che venga dunque (Si mostri a chi l'adora): è disposta a perdonarlo (aggiungendo, a parte, che se Belfiore non si scopre adesso, niente più arte di donna potrà riuscirvi). Contrariamente alle speranze della Marchesa, il Cavaliere continua a insistere (ragion di stato ve lo costringe) nella finzione regale. Al marziale suono di tromba accorrono i servi del Barone per informare che il conte Ivrea si sta avvicinando con il suo seguito. La Marchesa si dispone ad andargli incontro; potrà così dimenticare l'infedele Cavaliere (Sì, scordar saprò l'infido). Il quale Cavaliere ora comincia davvero a preoccuparsi per il precipitare degli eventi. La Marchesa parte con la servitù. Belfiore si allontana dal lato opposto. 17. SCENA E DUETTO. Entra Giulietta raggiante di gioia perché finalmente il padre acconsente alle sue nozze con Edoardo. Questi sopraggiunge affannato: ha saputo che il re deve partire ed egli come suo scudiero dovrà seguirlo. Giulietta è contrariata; e "comanda" al suo sposo di restare; e se per Edoardo si tratta di una qti estione d'onore, che gli vieta di sottrarsi al dovere di combattere al fianco del suo re (Giurai seguirlo al campo), per Giulietta è una questione d'amore, che gli impone di sposarla. Edoardo la invita a riflettere; ma Giulietta - "migliore assai" del migliore dei re, come lei stessa dice - non vuol riflettere; e anzi vuol ricorrere al sovrano, e si vedrà se ha il coraggio di rapirle il suo Edoardo (Corro al re: saprò difendere). Il giovane la prega di desistere: il re ha ben

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altri pensieri per la testa; e poi c'è in ballo l'onore... Esprimendo entrambi la speranza che l'amore possa combinarsi con il dovere (Ah! non sia, mio ben, fallace la speranza), si allontanano insieme. Galleria. 18. RECITATIVO E SETTIMINO. Il Barone rassicura il Conte di Ivrea che la Marchesa è cambiata e che non pensa più al suo vecchio amore. Ella si dichiara disposta a sposare il Conte a patto che il Cavaliere non faccia ritorno entro un'ora. Ma proprio in quel punto fa il suo ingresso il sovrano annunciando di essere in procinto di partire per una importante ragione. La Marchesa manifesta il proprio rincrescimento: aveva tanto sperato che egli fosse presente al suo matrimonio; nondimeno, dispone che sia subito stipulato il contratto nuziale. Ma tra la sorpresa di tutti il finto re ordina che il Conte Ivrea si prepari a partire con lui per segreta missione di stato. Sorpresa generale. La Marchesa rimane confusa e come disarmata (A tal colpo preparata); a sua volta il Cavaliere, vedendola mortificata, gongola di soddisfazione. 19. FINALE SECONDO. Giunge in scena Delmonte annunciando l'arrivo di un corriere della Corte latore di una lettera importante. Il finto Stanislao ne intuisce il contenuto: finalmente la commedia è finita; tuttavia prima di rivelarsi decide di rimanere ancora per un poco il re Stanislao con il sancire le nozze di Edoardo e Giulietta, alle quali farà da testimone insieme al Tesoriere. Il Barone non sa che dire: si piega al volere del re.Tutti innalzano evviva agli sposi. A questo punto è giunto il momento di svelare il segreto; il Cavaliere apre la lettera e la legge: il vero Stanislao è giunto in Varsavia sano e salvo; la Dieta si è già dichiarata in suo favore; il Cavaliere può dunque abdicare, ricevendo come ricompensa la nomina a maresciallo. A questo punto tutti si chiedono chi egli sia in realtà. Belfiore si rivela correndo ad abbracciare la Marchesa, che non aspettava altro. Il Barone e il Tesoriere fanno buon viso a cattivo gioco e tutti si riuniscono (Eh! facciam da buoni amici) per gioire della salvezza del re e per festeggiare due matrimoni. A far risparmiare "sospiri e pianti" la burla è dunque riuscita.

Nabucodonosor (Nabucco) Dramma lirico in quattro parti di Temistocle Solera

Prima rappresentazione: Milano,Teatro alla Scala, 9 marzo 1842 L'argomento deriva da un dramma in 4 atti di Auguste Ani cet-Bourgeois e Francis Cornu, Nabuchodonosor, andato in scena con grande successo al Thé &re AmbiguComique di Parigi il 17 ottobre 1836 Già nel 1838 alla Scala il coreografo Antonio Cortesi ne aveva ricavato un balletto. Dopo il fiasco di Un giorno di regno Verdi, profondamente amareggiato, si era risolto a non scrivere più musica, rinunciando di conseguenza a musicare un libretto di Gaetano Rossi precedentemente consegnatogli, li Proscritto, che restituì all'impresario Merelli, il quale a sua volta lo girò al compositore austriaco Otto Nicolai. Tuttavia Merelli, che credeva nel talento del giovane maestro bussetano, insistette perché egli scrivesse un'opera su un libretto di Solera, Nabucodonosor, a sua volta rifiutato da Nicolai. Era l'inverno del 1841.A stimolare l'estro del compositore fu soprattutto, come egli stesso confiderà a Michele Lessona, l'ultima scena, con la morte di Abigaille. "Un giorno un verso, un giorno l'altro, una volta una nota, un'altra volta una frase... a poco a poco l'opera fu composta", ma non senza interventi sulla struttura drammaturgica da parte del compositore, che pretese da Solera la sostituzione di un duettino fra Fenena e Ismaele con la profezia di Zaccaria, suggerendogli il Libro di Geremia. L'opera fu terminata in autunno. Merelli avrebbe voluto rappresentarla in primavera, avendo già tre opere nuove da presentare nel carnevale 1841-42; ma alla fine cedette alle insistenze del giovane maestro, dal "sangue bollente", che chiedeva il rispetto degli impegni già presi. Nabucodonosor andò in scena alla Scala alla fine della stagione di quaresima del 1842, in tempo per farne alcune recite, con scene e costumi di ripiego. Nonostante le precarie condizioni vocali di Giuseppina Strepponi, l'esito fu trionfale. I brani più acclamati sin dalla prima sera furono tutta la prima parte, la "Profezia" di Zaccaria (brano comprensivo della preghiera introduttiva, "Va pensiero") e soprattutto l'invocazione finale, "Immenso Jehova", che venne replicata a furor di popolo nelle prime due recite (avvenimento eccezionale alla Scala in quei tempi, poiché era severamente vietata la replica di un brano, per quanto grande ne fosse il successo) tanto che nelle recite seguenti fu sacrificata la scena finale

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(morte di Abigaille) per concludere l'opera sulle note di quella invocazione. Il successo fu tale che, ripreso il 13 agosto a inaugurazione della stagione di autunno con nuovi interpreti (Teresa De Giuli al posto della Strepponi e Gaetano Ferri al posto di Ronconi), il Nabucco ebbe 57 repliche, un primato alla Scala rimasto ancora oggi imbattuto. Ricorda Michele Lessona nel suo libro Volere è potere: "Chi non ha vissuto in Italia prima del 1848, non può farsi capace di ciò che fosse allora il teatro. Era l'unico campo aperto alle manifestazioni della vita pubblica, e tutti ci prendevano parte. La riuscita d'una nuova opera era un avvenimento capitale che commoveva profondissima-mente quella città fortunata dove il fatto avveniva, e il grido ne correva per tutta l'Italia. Il buon successo del Nabucco destò un così strepitoso entusiasmo, come non s'era veduto mai prima. Quella notte Milano non dormì, il giorno dopo il nuovo capolavoro era argomento di tutti i discorsi. Il Verdi era sulle bocche di tutti". Il Nabucco divenne immediatamente popolare in Italia e all'estero, insediandosi stabilmente nel repertorio fino ai nostri giorni. "Con quest'opera - confesserà Verdi anni più tardi - si può dire veramente che ebbe principio la mia carriera artistica': Nabucodonosor è il titolo della prima rappresentazione scaligera; ben presto s'impose, fino ai nostri giorni, la forma abbreviata, Nabucco, d'altronde già presente nel testo del libretto.

PERSONAGGI E PRIMI INTERPRETI NABUCODONOSOR, re di Babilonia primo basso [baritono] Giorgio Ronconi IsMAELE, nipote di Sedecia re di Gerusalemme primo tenore Corrado Miraglia ZACCARIA, gran pontefice degli Ebrei primo basso Prospero Derivis ABIGAILLE, schiava, creduta figlia primogenita prima donna [soprano] Giuseppina Strepponi di Nabucodonosor FENENA, figlia di Nabucodonosor altra prima donna [soprano] Giovannina Bellinzaghi IL GRAN SACERDOTE di Belo basso Gaetano Rossi ABDALLO, vecchio ufficiale del re di Babilonia secondo tenore Napoleone Marconi ANNA, sorella di Zaccaria seconda donna [soprano] Teresa Ruggeri Coro: Soldati Babilonesi, Soldati Ebrei. Leviti - Vergini Ebree, Donne Babilonesi Magi, Grandi del regno di Babilonia, Popolo, ecc. Nella prima parte la scena si finge in Gerusalemme, nelle altre in Babilonia [Epoca: 587 a.C. circa] Nota storica: Il personaggio e la vicenda che lo ha per protagonista si ispirano a Nabucodonosor (o Nebukadnezar) II, figlio di Nabopolassar, re di Babilonia dal 604 al 562 a.C.; portò l'impero neobabilonese al suo massimo splendore; promosse il commercio e l'agricoltura; conquistata una prima volta Gerusalemme (597 a.C.), dopo una ribellione la distrusse e ne deportò la popolazione, ponendo fine al regno di Giuda, di cui era re Sedecia (587 a.C.). Se storicamente vera è la conquista di Gerusalemme, la conversione di Nabucodonosor alla religione di Israele, con la quale si scioglie il dramma (vedi Parte Quarta), è puramente immaginaria, così come immaginari sono gli altri personaggi di questa azione drammatica.

RIASSUNTO DELL'AZIONE DRAMMATICA

1. SINFONIA. Composta all'ultimo momento, essa consiste in gran parte in una sorta di riepilogo di temi che si ascolteranno nel corso dell'opera, in particolare quello di "Va, pensiero", intonato dall'oboe e dal clarinetto e poi ripreso dall'oboe e dalla tromba, e, per il movimento Allegro, il tema "Dalle genti sii rejetto" nella stretta del Finale primo e il tema "Il maledetto non ha fratelli" del Coro dei Leviti nella Parte Seconda. PARTE PRIMA: Gerusalemme

Così ha detto il Signore. Ecco, io do questa città in mano del re di Babilonia, egli l'arderà col fuoco

GEREMIA 300(1111 Interno del Tempio di Salomone. 2. CORO D'INTRODUZIONE E CAVATINA. La scena si apre con una musica tempestosa sulla quale si eleva, vibrante, il canto di Ebrei, Leviti e Vergini, tutti terrorizzati per l'imminente invasione degli Assiri guidati dal feroce Nabucodonosor, distruttore di idoli e portatore di lutti (Gli arredi festivi). I Leviti (bassi all'unisono) implorano le vergini di levare le braccia al cielo (I candidi veli): grazie alla loro purezza sarà più gradita la preghiera.Tutti si prostrano a terra e le

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fanciulle, accompagnate dall'arpa e dai legni, invocano Dio (Gran Nume, che voli) affinché disperda e distrugga le schiere assire sì che il popolo di David ritorni all'antico splendore. Alla fine le voci di tutto il popolo, sostenute dall'intera orchestra, si uniscono in comune preghiera (Non far che i tuoi figli divengano preda d'un folle). S'avanza Zaccaria, il gran sacerdote, tenendo per mano Fenena: figlia del re assiro, ella è il "prezioso pegno" che può apportare pace; rincuora il suo popolo ricordando Mosè e l'impresa di Gedeone (D'Egitto là sui lidi): solo fidando in Dio è la salvezza comune; il popolo fa eco alle sue parole. Ma s'ode un rumore: è Ismaele che irrompe annunciando il fulmineo arrivo di Nabucco. Tutti sono visibilmente impauriti. Zaccaria affida Fenena ad Ismaele; quindi invoca la protezione del possente Dio d'Abramo, perché accenda nel suo popolo un soffio che dia morte allo straniero (Come notte a sol fulgente). In tutti rinasce la fiducia. Il popolo si disperde, la scena si svuota e rimangono solo Ismaele e Fenena. 3. RECITATIVO E TERZETTINO. I due giovani rievocano il tempo in cui si conobbero e si amarono. Fenena aveva liberato Ismaele quando, giunto in Babilonia come ambasciatore, era stato fatto prigioniero. Ora egli è pronto a infrangere i sacri doveri verso la patria per liberare la donna amata. Sta per aprire una porta segreta quando, con la spada alla mano, entra seguita da alcuni guerrieri babilonesi celati in vesti ebraiche, Abigaille che annuncia la conquista del tempio. Anch'ella innamorata di Ismaele, Abigaille improvvisamente si arresta nell'accorgersi dei due amanti e con calma forzata e amaro sogghigno li schernisce; ma improvvisamente esplode in un'ira incontenibile minacciandoli entrambi di morte. Poi si avvicina a Ismaele e sottovoce gli promette, in cambio del suo amore, la salvezza per il suo popolo (Io t'amaval...); ma Ismaele si sottrae alle sue lusinghe: pensando alla libertà dei suoi, egli non sa tremare per la propria vita; intanto Fenena, ormai convertitasi al "Dio verace d'Israello", prega per la salvezza degli Ebrei. 4. CORO. Donne ebree entrano precipitosamente in scena: Nabucco si sta dirigendo verso il tempio trucidandone via via i difensori (LO vedeste?... Fulminando egli irrompe); sopraggiungono Leviti e vecchi terrorizzati, quindi guerrieri ebrei disarmati che recano notizie della battaglia in corso: le voci si sovrappongono l'un l'altra: a sottolineare lo stato d'agitazione generale e di terrore Verdi impiega in questo brano lo stile fugato. 5. FINALE PRIMO. Abigaille s'avanza con i suoi soldati gridando "Viva Nabucco!" e subito si ode una banda interna che intona una marcia guerriera annunciante l'arrivo del re. Ismaele informa Zaccaria che solo un travestimento poté aprire agli Assiri le porte del tempio. Ma ormai è tardi: i guerrieri assiri irrompono nel tempio e si spargono per tutta la scena sul ritmo della marcia intonata dalla banda interna. Infine Nabucco appare a cavallo sul limitare del tempio. Zaccaria, minacciando di uccidere con un pugnale Fenena, intima a Nabucco di non profanare il tempio. Questi, con furore represso, è costretto a fermare i suoi uomini. Scende da cavallo per patteggiare col nemico, ma sa che l'ira che è costretto a smorzare adesso scoppierà terribile tra poco (Tremin gl'insani). Inizia a questo punto il concertato finale: Fenena invoca pietà per gli infelici, secondata nel canto da Ismaele, che a sua volta, con Zaccaria e il popolo ebreo, chiede soccorso a Dio, mentre Nabucco insiste nella sua minaccia di distruggere "l'empia Sionne" e Abigaille, con canto tormentato, freme vendetta nei confronti della sorellastra. Infine Nabucco impone agli astanti di prostrarsi in segno di sottomissione: egli non ha paura né di loro né del loro Dio; nessuno può ormai resistergli. Zaccaria sdegnato alza il pugnale su Fenena; ma, prima che egli riesca a colpire, Ismaele ferma il suo braccio e libera Fenena, che si getta nelle braccia del padre. A questo punto Nabucco con gioia feroce ordina ai suoi soldati di far scempio dei vinti e di saccheggiare il tempio (Mio furor, non più costretto). Abigaille esultante, profondamente offesa dal rifiuto di Ismaele e ancor più dal suo generoso gesto nei confronti della sorella, vorrebbe placare il suo amore, non pago, nel bagno di sangue del popolo ebraico. Ma intanto gli Ebrei, condotti prigionieri, invocano sul reietto Ismaele la maledizione di Dio (Dalle genti sii reietto).

PARTE SECONDA: L'empio Ecco!... il turbo del Signore è uscito

fuori; cadrà sul capo dell'empio. GEREMIA XXX

Appartamenti della reggia.

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6. SCENA ED ARIA. L'atto si apre con un preludio che sottolinea il carattere iracondo e vendicativo di Abigaille, la quale entra in scena con impeto, stringendo una pergamena fra le mani (Ben io rinvenni): dal documento ha scoperto come ella non sia la primogenita di Nabucco, bensì figlia di una schiava. Scorno, impotenza, desiderio di vendetta: emozioni e sentimenti si avvicendano tumultuosamente nell'animo di Abigaille. Furente d'ira, minaccia di morte Fenena, già destinata dal padre, impegnato in battaglia, alla reggenza. Il suo sdegno si placa un attimo nel rimpianto e nella mesta disillusione; un flauto, raddoppiato poi dal clarinetto, introduce dolcemente il suo rimpianto del passato (Anch'io dischiuso un giorno): i tempi dell'incanto, della speranza di trovare, giovinetta, l'amore, sono finiti per sempre. Entra agitato il Gran Sacerdote, seguito dai Magi e dai grandi del Regno; è inorridito: Fenena manda liberi gli Ebrei; il popolo babilonese indignato è insorto, e deposta Fenena, invoca il nome di Abigaille. Per favorire il colpo di stato i sacerdoti hanno già sparso la falsa notizia della morte del re. Gonfia d'orgoglio, Abigaille già si vede regina (Salgo già del trono aurato) e pensa alla vendetta: popoli interi verranno a chiedere pietà e le figlie dei re si inginocchieranno ai piedi di una schiava. Sala nella reggia che risponde nel fondo ad altre sale. A destra una porta che conduce ad una galleria, a sinistra altra porta che comunica cogli appartamenti della Reggente. È sera. La sala è illuminata da una lampada. 7. PREGHIERA. Un preludio affidato ai violoncelli prepara l'entrata di Zaccaria; egli avanza insieme a un Levita che reca le Tavole della Legge e si sofferma a meditare su di esse (Tu sul labbro de' veggenti): invoca Dio di parlare all'Assiria con forti accenti, sì che la sua legge risorga sugli idoli spezzati e il tempio possa risuonare di canti a lui consacrati. Quindi entra con il Levita nelle stanze di Fenena. 8. CORO DI LEVITI. Appena allontanatosi Zaccaria entra Ismaele: ha il compito di convocare i Leviti dal "pontefice". Ma nel vederlo, essi si ritraggono inorriditi (Il maledetto non ha fratelli): sulla fronte del reietto sta il marchio dell'infamia. Ismaele invoca la morte per sé; ma non c'è pietà per chi ha tradito il suo popolo. 9. SCENA E FINALE SECONDO. Interviene Anna, sorella di Zaccaria, a salvare Ismaele dalla furia dei Leviti, annunciando la conversione di Fenena alla religione ebraica. Entra Zaccaria per confermare le parole di Anna. Ma sorge un tumulto: irrompe il vecchio e fedele Abdallo, tutto affannoso, per implorare Fenena di fuggire: corre voce che Nabucco sia morto e ora il popolo acclama Abigaille come regina. Fenena vuole accorrere in mezzo agli empi ribelli per dissuaderli; ma è tardi: entra il Gran Sacerdote acclamando Abigaille e gridando morte agli Ebrei! Lo segue Abigaille. Le due sorelle sono una di fronte all'altra: Abigaille reclama la corona, ma

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Verdi al tempo di Nabucco (incisione, 1842)

Fenena non cede. In quello stesso istante Nabucco, aprendosi con i suoi la via in mezzo allo scompiglio, si getta fra le due sorelle, prende la corona e, ponendosela sul capo, sfida Abigaille a prendersela. Terrore generale. Dopo un attimo di silenzio inizia un concertato 'di stupore' che si sviluppa a canone (S'appressan gl'istanti): s'avvicina il momento di una collera fatale che prepara un giorno di lutto. Al colmo di un'ira superba Nabucco dichiara decaduti il dio di Babilonia, reo d'aver indotto il popolo assiro a tradirlo, e il dio di Israele sconfitto in guerra; v'è un solo dio: Nabucco stesso! e in un delirio di onnipotenza ingiunge a tutti di chinare il capo a terra adorando il nuovo nume. Zaccaria con impetuoso accento lo avverte di far subita ammenda se non vuole incappare nell'ira divina. Per tutta risposta Nabucco ordina di farlo morire, insieme al suo popolo, davanti al proprio simulacro. Dichiarandosi ebrea, Fenena vuole seguire la stessa sorte. Con

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incontenibile ira Nabucco afferra la figlia per un braccio. Ma in quel medesimo istante un fulmine si abbatte sul suo capo. Nabucco, atterrito, sente strapparsi la corona da una forza soprannaturale; la follia appare in tutti i suoi lineamenti: gli astanti attoniti riconoscono la vendetta divina. A tanto scompiglio succede un attimo di silenzio. Nabucco viene sopraffatto da forze invisibili e sconosciute che gli strappano la corona e lo scettro e lo prostrano a terra afferrandolo per i capelli (Chi mi toglie il regio scettro); implora Fenena di aiutarlo a cacciare visioni di fantasmi con spade fiammeggianti. Il popolo assiste muto e attonito al delirio del re. Nabucco sente ora una lagrima bagnargli il ciglio; cerca aiuto, ma alla fine cade a terra svenuto. "Il cielo ha punito il vantator!" ammonisce Zaccaria. L'ambiziosa Abigaille raccoglie la corona caduta dal capo di Nabucco: per lei lo splendore del popolo di Belo non è ancora offuscato!

PARTE TERZA: La profezia Le fiere dei deserti avranno in Babilonia la loro

stanza insieme coi gufi, e l'upupe vi dimoreranno. GEREMIA 11

Orti pensili. 10. CORO D'INTRODUZIONE. Abigaille è sul trono. I Magi, i Grandi sono seduti ai suoi piedi; vicino all'ara ove sorge la statua d'oro di Belo sta coi seguaci il Gran Sacerdote. Donne babilonesi, Popolo e Soldati riempiono la scena. La marcia guerriera già udita nel Finale primo introduce l'omaggio che il popolo assiro rivolge alla regina (È l'Assiria una regina), arbitra di guerra e di pace. 11. RECITATIVO. Il gran Sacerdote le presenta la sentenza di morte per gli Ebrei e Fenena, che ha tradito Belo. Abigaille si finge riluttante; ma è interrotta da Nabucco che si trascina in scena con ispida barba e vesti dimesse; le guardie, alla cui testa è il vecchio Abdallo, gli cedono rispettosamente il passo. È delirante: crede di trovarsi nell'aula del consiglio; si sente debole, sì, ma tutti devono crederlo forte. Pur trattenuto da Abdallo che vuole risparmiargli l'umiliazione, Nabucco si avvicina al trono per salire e si rivolge irato ad Abigaille, che ancora non riconosce. Scendendo dal trono Abigaille ordina a tutti di uscire. 12. DUETTO. A Nabucco che le chiede chi sia, Abigaille risponde di essere la custode del trono: mentre lui era ammalato, il popolo assiro ha reclamato morte per gli Ebrei; e ora gli presenta la sentenza di condanna perché sia da lui firmata. Nabucco sulle prime tentenna incerto; ma quando sarcasticamente Abigaille lo accusa di codardia, rompe ogni indugio: afferra la sentenza e vi pone il suo sigillo. Abigaille esulta. E a Nabucco, che le chiede di Fenena, annunzia che essa morrà per essersi data a un falso dio. D'altronde egli ha un'altra figlia... Nabucco è inorridito; subitaneamente cerca in seno il foglio che attesta la nascita servile di Abigaille. Ma è Abigaille, che aveva già previsto il gesto, a trarre dal proprio seno quel foglio da lei trafugato e a farlo violentemente a pezzi davanti agli occhi di Nabucco. Questi è come annichilito; inutilmente con la mano corre alla spada, e si compiange (Oh di qual onta aggravasi): "l'ombra tu sei d'un re". Di fronte a lui Abigaille si erge superba dell'"ambita gloria": assai più vale il trono che un genitore perduto. Quanto più lui appare sottomesso, tanto più lei è imperiosa. Un segnale di trombe proviene dall'interno: è suono di morte per gli Ebrei, annuncia Abigaille. Nabucco reagisce chiamando le guardie: esse si presentano, ma solo - ordina Abigaille - per condurlo prigioniero: sì, prigioniero di una schiava che ne disprezza ormai il potere! Prigioniero!... Nabucco supplica che gli sia almeno resa la figlia; a questa condizione Abigaille sia pur regina dell'Assiria (Deh, perdona, deh perdona). Ma invano; la supplica del vecchio padre non fa che inasprire l'ira di Abigaille, che insulta Nabucco: non fosti audace nel serbarmi al disonore; e ora tutti vedranno se a me non si addice il manto regale. Nabucco viene trascinato via sotto lo sguardo trionfante della figliastra. Le sponde dell'Eufrate. 13. CORO DI SCHIAVI EBREI, PROFEZIA - FINALE TERZO. "Super flumina Babiloniae... ci sedemmo a piangere"... Al popolo ebreo ridotto in schiavitù non resta che il ricordo dolente e nostalgico della patria perduta (Va, pensiero, sull'ali dorate). È il cuore dell'opera, "una grande aria - come sembra la definisse Rossini - cantata da soprani, contralti, tenori e bassi". Nell'ampio fluttuare ritmico della melodia risuona la tristezza di tutto un popolo che saluta le rive del Giordano, le torri atterrate di Sionne, i destini di Gerusalemme ("di Solima i fati") e, con

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prorompente scatto verso l'acuto, rimpiange l'arpa dei profeti che ora pende muta dai salici. Che Dio ispiri un canto che dia forza al loro patimento! S'appressa Zaccaria che, severamente rimprovera questo piagnucolare; Dio, che ora parla per sua bocca, annuncia che ben tosto l'indegna catena sarà spezzata (Del futuro nel bujo discerno): Babilonia cadrà in rovina, in preda alle iene e ai serpenti, sommersa dalla polvere e dal silenzio. Nulla resterà della superba città (Niuna pietra ove sorse l'altera Babilonia); animati dal sacro fuoco di Zaccaria gli Ebrei si sentono rincuorati e si riconoscono nelle sue parole.

PARTE QUARTA: L'idolo infranto Bel è confuso; i suoi idoli sono rotti in pezzi

GEREMIA XLVIII Appartamento nella reggia come nella parte seconda. 14. PRELUDIO, SCENA ED ARIA. Nabucco, seduto su un sedile, è immerso in un profondo sopore; la musica del preludio, attraverso alcuni temi di scene precedenti ("Chi mi toglie il regio scettro", il canto di Fenena "Padre, pietade", la marcia guerriera) lascia intuire che il suo sonno è continuamente agitato da incubi. Si risveglia di soprassalto, tutto ansante: ancora delira, oppresso da un sogno in cui si vedeva braccato fra le selve. Uno squillo della banda interna sembra riportarlo alla realtà: è squillo di guerra! Or dunque la mia spada, il mio destriero... Ma è invece uno squillo funebre, preceduto dal nome di Fenena. Il nome di mia figlia!? Sul ritmo di una marcia funebre eseguita dalla banda interna, Nabucco s'affaccia alla loggia: vede la figlia, le mani incatenate, che piangendo cammina tra file di soldati, mentre risuona il grido "Fenena a morte!". Il volto di Nabucco si trasfigura; corre alle porte; trovatele chiuse, irrompe in un grido "Ah, prigioniero io sono!". Ritorna alla loggia, guarda verso la pubblica via; quindi si tocca la fronte e, chiedendo perdono al Dio degli Ebrei, s'inginocchia. Un dialogo fra violoncello e flauto introduce la sua preghiera: implorando di essere liberato da tanto affanno (Dio di Giudal...), promette di distruggere i riti i Belo e di consacrare a lui, Dio vero e onnipossente, ara e tempio. Quindi si alza e corre ad aprire con violenza la porta; in quel mentre sopraggiunge il fido Abdallo con alcuni guerrieri che si precipitano verso il re; ormai guarito nella mente, questi chiede una spada: per riacquistare il trono, gli dice Abdallo; per salvare Fenena, risponde Nabucco. Lo scatto veemente dei guerrieri (Cadranno i perfidi) anticipa lo slancio dello stesso Nabucco che, ardente d'insolita fiamma, esorta i suoi fedeli a seguirlo (O prodi miei, seguitemi): gli empi cadranno al suolo e la sua corona tornerà a rifulgere al sole. Orti pensili come nella parte terza. 15. MARCIA FUNEBRE E PREGHIERA. Il Sacerdote di Belo presiede al rito sotto il peristilio del tempio, presso un'ara espiatoria, ai lati della quale stanno in piedi due sacrificatori armati di ascia. La scena si apre al cupo e lugubre suono della marcia funebre, eseguita da una banda interna, che annuncia l'arrivo di Fenena, di Zaccaria e degli Ebrei condannati a morte. Essi si avviano al patibolo scortati dai sacerdoti di Belo e dai Magi. Giunta nel mezzo della scena Fenena s'inginocchia davanti a Zaccaria, che la incoraggia ad affrontare il martirio. La giovane sente ormai la sua anima librarsi illuminata verso il cielo (Oh dischiuso è il firmamento). 16. FINALE QUARTO. Si sente un tumulto e il grido "Viva Nabucco!". Il Gran Sacerdote vuole affrettare il rito. Ma Nabucco già accorre con la spada sguainata, seguito da guerrieri e da Abdallo, e prima che i guerrieri su suo ordine possano distruggere la statua di Belo, l'idolo cade infranto da sé. Il prodigio rende tutti attoniti. Nabucco dichiara liberi gli Ebrei e ordina che un nuovo tempio sia eretto a Jehovah: lo ha reso demente, gli ha ridonato la pace; e ora egli ha turbato la mente di Abigaille sì che essa si è avvelenata. Alle parole di Nabucco la pace scende nei cuori dei presenti.Tutti s'inginocchiano per innalzare un canto di lode (Immenso Jehovah) a colui che non ha nome (Jehovah), che dona pace e porta guerra, che fa splendere l'arcobaleno e fa vibrare il fulmine. Il tripudio generale è turbato da Abigaille che entra in scena sorretta da due donne babilonesi: ha ingoiato il veleno e sta per morire. Si rivolge a Fenena (Su me morente esanime) implorando il suo perdono; quindi a Nabucco indicandogli in Ismaele l'oggetto amoroso della sorella; infine invoca la misericordia del vero Dio implorando di non essere maledetta. Cade a terra morta. Le ultime parole sono di Zaccaria per Nabucco: servendo a Jehovah sarai re dei re!

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Margherita Barezzi, la prima moglie di Verdi

I Lombardi alla prima crociata

Dramma lirico [in quattro atti) di Temistocle Solera Prima rappresentazione: Milano,Teatro alla Scala, 11 febbraio 1843

L'argomento è ricavato dall'episodio di Giselda nel poema epico in ottava rima di Tommaso Grossi (Milano, 1790-1853), I Lombardi alla prima crociata, pubblicato nel 1826, una sorta di romanzo patriottico, sul modello dellivanhoe di Walter Scott, nel quale si narrano i conflitti di una famiglia i cui membri si riconciliano in nome di un comune ideale. Ad esso si ispira liberamente la terza e ultima delle tre opere che Verdi aveva pattuito con Merelli dopo il successo di Oberto. La genesi dei Lombardi è forse la meno documentata fra le opere di Verdi, stante la diuturna collaborazione fra maestro e poeta, dimoranti entrambi a Milano, a pochi passi dalla Scala. La scelta dell'argomento, ispirata alla spettacolarità e al frequente intervento delle masse corali, maturò nel maggio del 1842, sull'onda del successo di Nabucco. Solera approntò un libretto in cui preghiere, battaglie, processioni, chiostri, visioni, tradimenti, conversioni si accostano l'un l'altro entro un percorso 'a pannelli' che richiama insistentemente la complessa struttura del grand-opéra parigino, ma senza uno sviluppo drammatico organicamente unitario. Il maestro ne iniziò la composizione già sul finire dell'estate del 1842. Gli aspetti religiosi dell'argomento - fra cui una processione ecclesiastica e un battesimo - attirarono tuttavia l'attenzione dell'arcivescovo di Milano, l'austriaco Gaisruck, che intervenne presso il capo della polizia, il barone Torresani, perché ne fosse vietata la rappresentazione; Torresani, un melomane peraltro, propose alcune modifiche, che incontrarono tuttavia il deciso rifiuto dell'irremovibile compositore; sua pressoché unica concessione la sostituzione di `Ave Maria" con "Salve Maria". Alla prima rappresentazione il successo - grazie alla trascinante interpretazione delle masse corali e dei due cantanti principali, la Frezzolini e Guasco, e alla bravura del violinista Eugenio Cavallini che s'impose nell'esecuzione del grande assolo, improntato ai caratteri stilistici della tecnica paganiniana, che precede il terzetto alla fine del terzo atto - fu strepitoso e contribuì a rinsaldare la fama del giovane maestro e a valergli l'appellativo di "papà dei cori". Oltre quattro anni più tardi, per il suo esordio sulle scene dell'Opéra di Parigi, Verdi riutilizzerà gran parte della musica dei Lombardi su un soggetto interamente nuovo, intitolato Jérusalem, pure ispirato alle Crociate, ma basato su uno svolgimento più organico e coerente. Frequentemente eseguiti nel corso dell'Ottocento anche nei teatri di provincia (dove spesso il difficile assolo per violino veniva eseguito dal flauto) e ancora saldamente in repertorio verso la fine del secolo, I Lombardi entrarono nell'ombra all'alba del Novecento, trascurati anche dalla Verdi-Renaissance tedesca; isolate ma importanti riprese si ebbero tuttavia a Torino (1926/27), alla Scala di Milano (1930/31), al Maggio Musicale Fiorentino (1949). A

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partire dalla stagione 1969/70 con l'allestimento del Teatro dell'Opera di Roma I Lombardi sono tornati agli onori delle scene.

PERSONAGGI E PRIMI INTERPRETI Atto I

ARVINO i primo tenore Giovanni Severi figli di Folco signore di. Rò [Rho] PAGANO J primo basso Prospero Derivis VICLINDA, moglie d'Arvino seconda donna Teresa Ruggeri GISELDA, sua figlia prima donna Erminia Frezzolini PIRRO, scudiero d'Arvino secondo basso Gaetano Rossi UN PRIORE della città di Milano secondo tenore Napoleone Marconi

Atti II-IV ACCIANO, tiranno d'Antiochia secondo basso Luigi Vairo ORONTE, suo figlio primo tenore Carlo Guasco ARVINO, condottiero de' Crociati Lombardi primo tenore Giovanni Severi GISELDA, sua figlia prima donna Erminia Frezzolini SOFIA, moglie del tiranno d'Antiochia fatta celatamente cristiana seconda donna Amalia Gandaglia PIRRO, rinnegato secondo basso Gaetano Rossi UN EREMITA (PAGANO) primo basso Prospero Derivis Claustrali, Priori, Sgherri, Armigeri del Palazzo di Folco, Ambasciatori Persi, Medi, Damasceni e Caldei Cavalieri e Guerrieri Crociati, Pellegrini, Donne lombarde, Donne dell'Harem, Vergini L'epoca: l'anno 1097 circa La scena: Atto I a Milano - Atto II in Antiochia e sue vicinanze - Atto III e IV presso Gerusalemme Nota storica: I personaggi e la vicenda, tutti immaginari, si rifanno all'epoca della prima crociata, invocatà da Pietro d'Amiens, detto Pietro l'Eremita, al grido di Dio lo vuole, perché si liberasse il Santo Sepolcro. Consacrata da papa Urbano II a Piacenza e a Clermont-Ferrand nel 1095, la spedizione, capitanata da Goffredo di Buglione, ebbe inizio un anno dopo e si concluse nel 1099 con la conquista, effimera, di Gerusalemme. Nell'opera il "grido di Piero" viene rievocato nella seconda parte dell'atto 2°; e quindi ripreso alla fine dello stesso atto da Giselda, ma capovolto in Dio noi vuole, poiché Dio venne a parlarci solo di pace e non di guerra. Nell'elenco dei personaggi appare quello di Pirro: in lui si adombra la figura storica di Firuz, il capitano siriano che consegnò Antiochia ai Crociati. L'azione del dramma si svolge dapprima a Milano e quindi, dopo un lasso di alcuni mesi, in Palestina; all'inizio del terzo atto l'azione è ambientata nella "valle di Giosafat", luogo immaginario, nella tradizione biblica, in cui avverrà il giudizio universale, identificata con la valle di Cedron, ai piedi del monte Oliveto, a oriente di Gerusalemme.

RIASSUNTO DELL'AZIONE DRAMMATICA

ATTO PRIMO: La vendetta La Piazza di Sant'Ambrogio. S'ode lieta musica nel tempio. 1. PRELUDIO ED INTRODUZIONE. L'opera non ha ouverture. Inizia con un breve Adagio strumentale in cui si raccolgono brevi frasi che dapprima esprimono solennità, quindi alludono alle fosche minacce di Pagano e al suo pentimento. Esse vengono interrotte dai bruschi accordi di una banda interna; sulla scena sono radunati gruppi di cittadini milanesi che commentano gli avvenimenti che si stanno preparando nella chiesa di sant'Ambrogio (Oh nobile esempio): l'investitura del nobile Arvino quale comandante dei Crociati lombardi e inoltre la sua riappacificazione con il fratello Pagano. Un coro di donne, uscendo dalla chiesa, chiede il perché di tanto suono festante: i cittadini raccontano che Pagano (Quest'oggi sull'empio), colpevole d'avere molti anni prima attentato alla vita del fratello per vendicarsi del suo matrimonio con la giovane Viclinda, di cui Pagano stesso si era invaghito, ora è rientrato in patria dopo un periodo di esilio in Palestina, per chiedere perdono. Riprende il suono della banda interna, ed ecco apparire la famiglia di Folco, con Arvino in testa, che esce dalla cattedrale; ai cittadini tuttavia non sfugge nel volto di Pagano la traccia di un furore interiore.Terminato il coro, Pagano si prostra di fronte al fratello; i due si baciano in segno di pace. Giselda e Arvino non sanno nascondere un interiore turbamento (T'assale un tremito!): infatti Pagano, che ha finto il suo pentimento, trama con Pirro una nuova azione delittuosa contro Arvino, mentre il popolo, osservando i due fratelli, si augura che il bacio

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di Pagano non sia quello di Giuda. Un Priore della città di Milano annuncia che i cittadini milanesi, accogliendo il "grido di Piero", hanno deciso di inviare un contingente lombardo alla crociata, guidato da Arvino; questi accetta il compito affidatogli e invita i presenti a stringersi in un giuramento (All'empio, che infrange la santa promessa): tutti rispondono unanimi al suo appello. 2. CORO DI CLAUSTRALI, SCENA,ARIA E CORO DI SGHERRI. Sta per calare la notte. Dall'interno della cattedrale si sente provenire un breve concento d'organo sul quale s'innesta un canto di monache che pregano (A te nell'ora infausta) affinché la pace scenda nel cuore degli uomini. Seguito da Pirro, scivola furtivo in scena Pagano; irridendo alla preghiera delle suore confessa tuttavia a Pirro che il suo animo non è votato al crimine; è stato un amore contrastato a predisporvelo: l'amore per Viclinda (Sciagurata! hai tu creduto), la donna tanto impetuosamente desiderata, per la quale la sua passione è venuta aumentando nella lontananza. Pirro lo informa che molti uomini fidati, celati fra le piante, sono pronti all'azione. Essi gli si presentano; come Pagano li avverte dei pericoli dell'impresa, essi lo rassicurano, spavaldi nella loro determinazione di portare l'opera a compimento (Niun periglio il nostro seno). La ripresa del canto interno delle monache viene bruscamente interrotta dall'esplosione d'ira di Pagano (O speranza di vendetta), che, sostenuto dal coro degli sgherri, esprime la propria impazienza nel trarre vendetta. Galleria nel palazzo di Folco, che mette dalla sinistra nelle stanze di Arvino, dalla destra in altri appartamenti. La scena è illuminata da una lampada. 3. SCENA E PREGHIERA. Viclinda entra insieme a Giselda: si sente oppressa da una inquietudine che non sa spiegare; e fa voto, qualora dovesse sopravvivere a un pericolo che sembra sovrastarle, di recarsi a piedi nudi al Santo Sepolcro. Sopraggiunge Arvino, che invita la moglie ad andare nelle sue stanze, ma senza coricarsi: la attende il padre Folco; poi, avvertendo un rumore di passi, rientra guardingo nelle sue stanze. Le due donne s'inginocchiano; Giselda rivolge una preghiera alla Madonna (Salve Maria!) attraverso una dolcissima melodia, accompagnata in orchestra da un organico quasi cameristico. Su un breve postludio madre e figlia rientrano nelle loro stanze. 4. SCENA E FINALE PRIMO. Su un sinistro motivo di corni entra Pirro, che sottovoce invita Pagano a inoltrarsi: Arvino è già nelle sue stanze. Pagano non trattiene la propria gioia; ordina di spegnere i lumi ed entra furtivamente nelle stanze del fratello. Nel frattempo, mentre in orchestra risuona un ritmo vorticoso, si vede attraverso le vetrate della galleria un bagliore di fiamme e si sente un fragore d'armi. Pirro esce sguainando la spada, mentre Giselda attraversa la scena rapidamente. Pagano rientra dalle stanze di Arvino trascinando seco Viclinda che invano cerca di opporre resistenza. Mentre l'incendio va estinguendosi, il rapitore grida alla donna di urlare più forte, tanto nessuno l'ascolta. Ma si sbaglia, perché ecco arrivare Arvino. Di chi dunque il sangue versato? si chiede Pagano lasciando cadere il pugnale, mentre la scena si va riempiendo di folla. Del padre!, gli viene risposto. Tutti restano inorriditi dal gesto di Pagano (Mostro d'averno orribile). Esplode infine l'ira di Arvino che si scaglia sul fratello per ucciderlo. Subito Giselda si frappone: non si aggiunga delitto a delitto. Pagano fa allora per trafiggersi con la spada, ma viene trattenuto dagli armigeri: la vita gli sarà strazio maggiore della morte.Tutti i presenti gli si rivoltano contro (Va! sul capo ti grava l'Eterno) condannando il parricida a scontare la pena nell'esilio perpetuo.

ATTO SECONDO: L'uomo della caverna Sala nel palazzo d'Acciano in Antiochia. 5. CORO DI AMBASCIATORI. Molti mesi sono passati dall'azione dell'atto precedente. Raggiunta l'Asia Minore i Crociati stanno già stringendo d'assedio Antiochia. Acciano è seduto sul trono; dinanzi a lui stanno gli Ambasciatori. Anche soldati e popolo sono in scena; e con essi la moglie del sultano, Sofia (segretamente convertitasi al cristianesimo), e il figlio Oronte (recante il nome stesso del fiume che bagna Antiochia), che però non partecipano all'azione. Acciano annuncia agli ambasciatori presso di lui convenuti che l'intera regione è invasa dai cavalieri crociati, i quali stanno devastando i territori e compiendo stragi e rapine. Insieme agli ambasciatori invoca la punizione di Allah per gli infedeli (Or che d'Europa il fulmine); all'invocazione si uniscono i soldati

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e il popolo di Antiochia, giurando di sorgere tutti come un solo uomo contro gl'invasori. Quindi Acciano e i convenuti escono in processione dalla sala, lasciando soli Sofia e Oronte. 6. SCENA E CAVATINA. Sofia rivela al figlio che la giovane Giselda, pur piangendo i propri cari, lo ama sempre (e intanto, in cuor suo, spera che anche il figlio si converta). Felice della notizia, Oronte vorrebbe trasfondere la propria gioia nel cuore di Giselda (La mia letizia infondere). La madre gli fa tuttavia presente che egli potrà coronare il suo sogno d'amore solo abbracciando la religione della giovane. Per tutta risposta Oronte manifesta alla madre, con sua grande gioia, d'avere già in animo di convertirsi alla fede cristiana, a ciò indotto dall'amore per Giselda (Come poteva un angelo) che le ha schiuso il velo della verità. Prominenze di un monte praticabili, in cui s'apre una caverna. 7. GRAN SCENA E MARCIA DEI CROCIATI. Su una musica cupa, turbata da frementi cromatismi, Pagano, sotto le spoglie di un Eremita, esce dalla caverna; si chiede quando si udrà il fragore delle armi: è suo desiderio unirsi ai Crociati per emendare "un gran misfatto". Ma come pretendere pace? Solo Dio è giusto, anche quando comanda dolore e pianto. Ma quando si udrà l'appello "Dio lo vuole" (Ma quando un suon terribile) e la destra gelida impugnerà la spada per liberare il Santo Sepolcro, allora l'anima potrà salire redenta al cielo. Avverte l'avvicinarsi di un uomo in abito mussulmano; è Pirro che, richiamato dalla fama di santità dell'Eremita, chiede se potrà ottenere perdono alle proprie colpe: ha prestato aiuto a un parricida e da codardo ha rinnegato la propria fede. E all'Eremita, che lo invita a sperare, Pirro confida ancora d'aver avuto in custodia le mura di Antiochia. Intanto il breve squillo di una banda interna annuncia l'arrivo delle schiere crociate. All'Eremita non par vero: al colmo dell'entusiasmo perdona Pirro, ingiungendogli di scontare il suo peccato con l'aprire le porte di Antiochia ai Crociati. Mentre il suono della banda si fa più vicino, Pirro giura di aprire la notte stessa l'ingresso della città alle truppe cristiane. Entra la banda e la scena si riempie di guerrieri crociati e di pellegrini. I: Eremita osserva con trasporto che sono Lombardi! Spinge Pirro a rifugiarsi nella caverna; vi entra anch'egli e ne esce con un elmo e una spada. Sul monte si distendono intanto i guerrieri crociati, preceduti da Arvino. L'Eremita si pone l'elmo in testa e cala la visiera. 8. DUETTINO ED INNO DE' CROCIATI. Anche ad Arvino è giunta la fama di santità dell'Eremita (Sei tu l'uom della caverna?), e ora gli si rivolge per chiedere della propria figlia, rapita dai mussulmani; conducendolo sull'altura, gli mostra le schiere dell'esercito crociato. L'Eremita lo

Temistocle Solera

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Francesco Maria Piave

assicura che la prossima notte l'esercito accamperà in Antiochia e la figlia gli sarà restituita. Esplode a questo punto l'inno guerriero dei crociati (Stolto Allab!... Sovra il capo ti piomba), cui Arvino e Pagano rispondono a una voce. Recinto dell'Harem. 9. CORO DI SCHIAVE. Precedute dal suono di una musica 'alla turchesca' le donne dell'Harem accompagnano Giselda, che mestamente si abbandona sopra un sedile; esse irridono la sua condizione (La bella straniera) e le danzano intorno con atteggiamenti ironici, punteggiando la danza con parole minacciose per la sorte dei suoi. Quindi fuggono. 10. RONDÒ - FINALE SECONDO. Sorgendo impetuosamente, Giselda si rivolge allo spirito della madre: un amore indegno di una cristiana le sta divorando il cuore (Se vano è il pregare): spera con la preghiera di raggiungerla in cielo. Improvvisamente si odono della grida di donne che irrompono in scena inseguite dai Crociati; con loro è Sofia, la quale informa Giselda che un tradimento ha aperto la via ai Crociati: marito e figlio sono caduti ai suoi piedi e indica il loro uccisore in Arvino, che sopraggiunge insieme all'Eremita. Giselda, sopraffatta dall'orrore, si copre il volto con le mani e di fronte al padre retrocede rifiutando il suo abbraccio. Come colpita da demenza esplode in un'accusa che declama con forza (No! no! giusta causa non è d'Iddio): no, Dio non vuole guerra, né vendette, né uccisioni; egli ha sempre sdegnato l'olocausto della vita umana. Arvino le urla "sacrilega!". Ma Giselda continua: sottovoce, su una sequenza di frasi cromatiche, e con tono profetico ella prevede che un giorno torme di barbari domeranno le genti d'Europa. Infine esplode: no!,"Dio nol vuole": egli scese fra gli uomini a parlarci solo di pace. Arvino, al colmo dell'ira, cava il pugnale e fa per avventarsi sulla figlia; ma tutti lo trattengono col dirgli che ella ha smarrito la ragione.

ATTO TERZO: La Conversione La valle di Giosafat, sparsa di vari colli praticabili, fra i quali primeggia quello degli Ulivi. In lontananza si vede Gerusalemme. 11. CORO DELLA PROCESSIONE. Cavalieri, Crociati, Donne, Pellegrini escono in processione a capo scoperto intonando un canto alla città promessa (Gerusalem!... la grande, la promessa città!): il canto inizia dall'interno; poi, man mano che entrano in scena, un'ampia melodia viene dispiegata dalle voci femminili: ora che è dato di rivedere i luoghi santi, si può anche morire.

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Rispondono fieramente le voci gravi dei bassi; enumerando i luoghi santificati dai vangeli, procedono in un crescendo che sbocca nella ripresa della melodia delle donne da parte dell'intero coro. Improvvisamente il ritmo si anima: ecco arrivare il Dio guerriero! Poi la musica si placa e le voci invocanti Gerusalemme si perdono in lontananza. 12. SCENA E DUETTO. Compare Giselda, fuggita dalla tenda del padre; ora non ha che pensieri d'amore per Oronte, che crede ucciso. Ma questi, che ha udito le sue ultime parole, le si presenta e con trasporto corre ad abbracciarla. Giselda quasi non crede ai propri occhi. Il giovane le racconta che, ferito da spada nemica, nella speranza di rivedere l'amata si è reso vile con la fuga, errando di terra in terra e cambiando veste; ora ha tutto perduto: patria, parenti, amici, trono, la vita con l'amata. Giselda con decisione gli dichiara di fuggire con lui e seguire il suo destino. Il giovane tenta di dissuaderla dal proposito (Per dirupi e per foreste): egli vive fra dirupi e caverne, solo il deserto farà loro da talamo e sarà l'urlo della iena il canto nuziale... Ma Giselda è ormai decisa; l'amore non le impone altro consiglio che fuggire con lui. Oronte accoglie la sua decisione con sommo trasporto di gioia. Accompagnata dall'arpa, Giselda dà tristemente addio alle tende del campo lombardo (012 belle, a questa misera) chiedendo perdono alla madre; Oronte si associa al suo canto affermando che pregherà lo stesso Dio di Giselda. Si ode un grido d'allarme provenire dal campo lombardo; Giselda, spaventata, trema per la sorte di Oronte (Vieni, sol morte): mentre si fa sempre più frequente l'appello interno dei Crociati, i due giovani si giurano fedeltà e quindi fuggono. La scena viene suggellata dal persistente grido d'allarme. Tenda d'Arvino. 13. SCENA ED ARIA [CON CORO]. Sono passate poche ore dalla scena precedente. Arvino è furente nei confronti della figlia; fuggita a cavallo insieme a Oronte, sa che l'uomo della caverna la insegue: l'avrebbe preferita morta, piuttosto che sacrilega, oh, non fosse mai nata! Su un allegro vivacissimo irrompono alcuni Crociati con la notizia che Pagano, l'infame assassino, è stato visto incamminarsi verso i luoghi santi; ora non può più fuggire: sia dunque tratta feroce vendetta su di lui. Ignorando che Pagano e l'"uomo della caverna" (cioè il "santo" Eremita) sono la stessa persona,Arvino giura di dare la caccia al fratello (Sì! del ciel che non punisce) e di ucciderlo. Interno di una grotta. Da un'apertura in fondo si vedono le rive del Giordano. 14. PRELUDIO E TERZETTO - FINALE TERZO. Un lungo assolo di violino, caratterizzato da un'ampia melodia che si conclude con un brano virtuosistico, introduce l'ingresso di Giselda che sostiene Oronte ferito a morte dopo uno scontro con i Crociati di Arvino. Nell'adagiarlo sopra un masso all'interno della grotta, Giselda appare disperata; ha bendato la ferita con le proprie vesti, ma invano. Con impeto si rivolge contro Dio (Tu la madre mi togliesti) che gli ha tolto dapprima la madre e ora gli sta togliendo l'uomo amato. Ma viene interrotta da una voce che con accento tonante rimprovera il suo amore delittuoso: è la voce dell'Eremita, che si appressa a Oronte annunciandogli nuova vita se egli cambierà fede. Sulle note di un violino solo che riprende la melodia dell'inizio, Oronte accoglie con gioia le parole dell'Eremita e si appresta alla conversione, conversione che l'Eremita compie con l'atto del battesimo (L'acque sante del Giordano). Ora, esclama Giselda, il nostro amore non è più delitto davanti a Dio. Oronte è allo stremo delle forze, ma si sente tuttavia invadere da una gioia intensa (Qual voluttà trascorrere); mentre l'Eremita invita il morente a volgere la mente a Dio, Giselda lo supplica di non lasciarla sola; dopo averle chiesto di bagnargli il volto del suo pianto, Oronte esala l'ultimo respiro. Giselda sviene sul suo corpo.

ATTO QUARTO: Il Santo Sepolcro Caverna. La scena è presso Gerusalemme. 15. VISIONE. Una scena presente nel libretto, ma non musicata, si svolge fra l'Eremita e Arvino; mentre Giselda giace priva di sensi, l'Eremita spiega al padre d'averla trascinata nella caverna per nasconderla alla sua ira. Arvino sembra disposto a perdonare la figlia; ma intanto chiede chi egli sia, egli che ha visto combattere al proprio fianco facendo scudo con il suo petto agli assalti nemici. Un giorno lo saprà, risponde l'Eremita; ma intanto preme cercare acqua per dare sollievo all'orrenda sete che divora la fanciulla. Rimasta sola nella caverna, Giselda è sorpresa in sogno da una visione di spiriti celesti (coro Componi, o cara vergine) che la invitano a raggiungere in cielo un'anima da lei redenta. Alzandosi e continuando a sognare, la fanciulla chiede sia affrettata l'alba

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del "giorno eterno". D'improvviso vede apparire su una nuvola, fra gli angeli, Oronte con un'arpa in mano; non sa trattenere un grido di gioia e chiede che egli le parli. Oronte si volge a lei (In cielo benedetto) per dirle che la sua preghiera è ora accetta a Dio e invita dunque la fanciulla ad avvertire i Crociati lombardi di accorrere alle fonti del Siloe, dove troveranno acqua fresca per dissetarsi. La visione sparisce. 16. ARIA. Risvegliandosi dal sogno Giselda si trova in uno stato di grande agitazione: ora alla visione del Paradiso s'è sostituita la realtà dell'oscura caverna.Tuttavia si sente sostenuta da una nuova forza ed erompe in un'aria di gioia (Non fu sogno!): sente risuonare in fondo all'anima la voce amata e vede scorrere il fiume dove i Crociati potranno dissetarsi. Le tende lombarde presso il sepolcro di Rachele. 17. CORO Di CROCIATI E PELLEGRINI. I Crociati, i pellegrini e le loro donne sono stremati dalla sete.Tutti, all'unisono, elevano un pensiero a Dio (O Signore, dal tetto natio): ricordando d'essere accorsi giubilanti sull'aspro sentiero in risposta all'appello di un pio, vanno con la mente ai limpidi ruscelli e ai purissimi laghi di Lombardia, mentre ora la sete li divora senza scampo nell'immenso arido deserto in cui si trovano. 18. SCENA. INNO DI GUERRA E BATTAGLIA. Si odono all'interno le voci di Giselda, di Arvino e dell'Eremita che gridano: "Al Siloe! al Siloe!". Entra Giselda, ringraziando Dio per aver esaudito le sue preghiere. La seguono l'Eremita e Arvino. Questi ordina alle schiere lombarde di dissetarsi e subito di risalire le mura. D'improvviso risuona la squilla di Goffredo da Buglione: è l'inizio dell'attacco finale. Gli animi si accendono e tutti irrompono in un inno bellicoso (Guerra! guerra! S'impugni la spada): la vittoria è ormai a portata di mano. Segue fuori di scena la battaglia; lo scontro fra le opposte schiere è descritto in musica dall'alternarsi di orchestra e di banda interna; un lungo decrescendo, contrassegnato da un tema lamentevole che annuncia la sconfitta dei Mussulmani, si conclude su una cadenza sospesa, preludendo così alla scena seguente. Le tende d'Arvino. 19. SCENA, TERZETTINO ED INNO FINALE. Entra l'Eremita sorretto da Giselda e da Arvino; per primo accorso sulle mura, ora è pieno di ferite e in delirio grida che le sue mani sono sporche del sangue di Arvino. Giselda, con dolcezza, cerca di farlo tornare in sé. All'udirne la voce la sua mente si rischiara; chiama la fanciulla "l'angelo del perdono" e finalmente svela la sua vera identità: egli è Pagano! Giunto al termine dei suoi giorni annuncia che con la morte ha voluto espiare il suo delitto '(Un breve istante); Giselda proclama che egli sta morendo "in Dio". Pagano implora di non essere maledetto: Arvino lo abbraccia vivamente commosso. Allo stremo delle forze chiede infine di poter vedere ancora Gerusalemme. La tenda si apre e lascia vedere le mura e le torri della città santa con le bandiere crociate che sventolano illuminate dai raggi del sole nascente.Tutti si uniscono in un inno di lode al Dio della vittoria e della salvezza (Te lodiamo, gran Dio).

Ernani Dramma lirico in quattro parti di Francesco Maria Piave

Prima rappresentazione: Venezia,Teatro La Fenice, 9 marzo 1844 L'argomento deriva dalla tragedia in versi di Victor Hugo (Besanon, 1802 - Parigi, 1885), Hernani, rappresentata con tumultuoso esito a Parigi il 25 febbraio 1830, argomento che aveva tentato Vincenzo Bellini; dopo averne abbozzate alcune pagine, il compositore catanese fu costretto a rinunziarvi per l'opposizione della censura, sostituendolo con la Sonnambula. In un primo tempo Verdi, dopo aver proposto vari argomenti fra cui Re Lear (da Shakespeare), il Corsaro e I due Foscari (entrambi da Byron), Cola di Rienzi, Caterina Howard - si era adattato a prendere in considerazione un libretto di un poeta esordiente, Francesco Maria Piave, ricavato da un racconto di Walter Scott e intitolato Cromvello (poi musicato da Pacini col titolo Allan Cameron). Fu lo stesso presidente della Fenice, poco convinto della spettacolarità di questo argomento, a suggerire a Verdi VErnani di Hugo, suggerimento che il compositore accolse con entusiasmo, nonostante la difficoltà di aggirare l'ostacolo della censura, trattandosi nel dramma di una congiura contro un sovrano. Nelle intenzioni della presidenza della Fenice la parte protagonista avrebbe dovuto essere

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scritta per contralto; ma Verdi, che non amò mai scrivere parti maschili per voci femminili (quasi unica eccezione è Oscar in Un ballo in maschera, ma si tratta di un imberbe paggio) ottenne di scrivere per tenore. L'interprete cui la parte era destinata fu costretto a rinunciare dopo la pessima prova fatta nell'opera inaugurale della stagione, I Lombardi. Non essendosi trovato un degno sostituto, Verdi preferì attendere l'arrivo di Carlo Guasco, scritturato per la sola stagione di quaresima. Nel corso delle prove venne meno anche l'interprete destinato alla parte di Silva, Vincenzo Meini, che la ritenne troppo bassa per la sua voce; Verdi fece allora scritturare un giovanisiimo basso, Antonio Selva, dopo averlo ascoltato, su suggerimento di Superchi, al teatro in S. Benedetto. Verdi tenne duro anche nei confronti del presidente della Fenice, scandalizzato per un corno che suona dietro le quinte... Ma quando le cose devono girare per il verso giusto non ci sono contrattempi che tengano. Infatti, nonostante un'esecuzione imperfetta (Guasco era vocalmente stanco e la Loewe sembra stonasse più del dovuto), Emani ebbe un esito clamoroso. La sua popolarità divenne pressoché immediata. Nei teatri del Regno delle Due Sicilie il libretto fu oggetto di censura e l'opera rappresentata con titolo modificato in Elvira d'Aragona o anche Il proscritto ossia Il corsaro di Venezia. Rimasta ininterrottamente in repertorio fino ai nostri giorni, Ernani non ha mai conosciuto eclissi; la sua diffusione sulle scene italiane e straniere ebbe un ritmo così fulmineo quale nessun'altra opera di Verdi fino al Trovatore. Da osservare che la cabaletta di Silva,"1nfin che un brando vindice", non faceva parte dello spartito originale; fu composta per il basso Ignazio Marini (che la eseguì alla Scala nel settembre del 1844) e solo in un secondo tempo fu introdotta dall'editore nello spartito.

PERSONAGGI E PRIMI INTERPRETI ERNANI, il Bandito primo tenore DON CARLO, re di Spagna primo basso cantante [baritono] DON RifY GOMEZ DE SILVA, Grande di Spagna primo basso profondo ELVIRA, sua nipote e fidanzata prima donna GIOVANNA, di lei nutrice seconda donna DON RICCARDO, scudiero del re secondo tenore JAGO, scudiero di Don Ruy secondo basso Carlo Guasco Antonio Superchi Antonio Selva Sofia Loewe Laura Saini Giovanni Lanner Andrea Bellini Cori: montanari ribelli e banditi, cavalieri e famigliari di Silva, ancelle di Elvira, cavalieri del re, personaggi della Lega, nobili spagnoli e alemanni, dame spagnole e alemanne Comparse: montanari e banditi, elettori e Grandi della Corte Imperiale, paggi dell'Impero, soldati alemanni, dame e familiari d'ambo i sessi La scena ha luogo: Parte I. l( Parte II. Parte III. Parte IV. Nelle montagne d'Aragona Nel castello di Don Ruy de Silva Nello stesso castello In Aquisgrana In Saragozza Epoca: l'anno 1519 Nota storica: L'argomento del dramma s'ispira all'elezione di Carlo d'Asburgo re di Spagna a Imperatore del Sacro Romano Impero e si finge tale elezione in Aquisgrana, l'antica capitale del S.R.I. in cui si custodiscono le spoglie del suo fondatore, Carlo Magno (nella realtà storica l'elezione del nuovo imperatore del S. R. I. si svolse alla Dieta di Francoforte; Carlo vi fu eletto grazie all'appoggio finanziario dei banchieri Fugger, che gli permise di comprare il voto di molti principi elettori). Nel dramma si allude alla Lega: forse si tratta della lega dei Comuneros spagnoli, unitisi per contrastare la politica di Carlo.

RIASSUNTO DELL'AZIONE DRAMMATICA Antefatto

Lo sfondo storico del dramma è la Spagna del primo Cinquecento, agitata dalle ribellioni dei nobili, soprattutto castigliani, contro la politica centralizzatrice del giovanissimo Carlo I d'Asburgo, proclamato re di Spagna e sovrano delle Americhe nel 1516 a Bruxelles. Tre anni dopo, nel 1519, muore Massimiliano imperatore di Germania e del Sacro Romano Impero, nonno paterno di re

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Carlo. In concorrenza con re Francesco di Francia e Federico il Saggio duca di Sassonia, Carlo (il futuro imperatore Carlo 19 ambisce succedergli nonostante l'opposizione di vari baroni dell'impero, ai quali s'erano uniti alcuni Grandi di Spagna malcontenti di lui e associatisi in una Lega. Fra questi Ernani, sotto il cui nome - preso da quello di un villaggio nei cui pressi si è rifugiato - sí cela in realtà quello di don Giovanni d'Aragona, duca di Segorbia e conte di Cardona, signore di molte terre, il cui padre era stato ucciso dal padre di Carlo e spogliato d'ogni avere. Bandito dal regno di Spagna, Ernani, riunita una masnada di seguaci con il proposito di vendicare la morte del padre, si dà alla macchia fra le montagne della sua terra, l'Aragona. 1. PRELUDIO. Per la prima volta Verdi assegna al brano strumentale introduttivo di una sua opera la funzione di segnale drammatico. Il preludio inizia infatti, enunciato da trombe e tromboni all'unisono, con il tema del "pegno di Emani": Nel momento in che Emani vorrai spento, se uno squillo intenderà tosto Emani morirà. Al tema 'fatale' segue quello che si potrebbe definire il tema "dell'amore", che risuonerà nel quarto atto.

PARTE PRIMA: Il Bandito Montagne dell'Aragona. Si scorge di lontano il castello moresco di Don Ruy Gomez de Silva. E presso il tramonto. 2. INTRODUZIONE. Sono in scena montanari e banditi, tutti seguaci di Emani, al sicuro nel loro rifugio: alcuni mangiano e bevono, altri giocano o lustrano le armi.Tutti esaltano le virtù del vino e il rischio del gioco (Evviva! beviam!), soli piaceri a loro rimasti. Emani si mostra su una vetta: la mestizia del suo volto non sfugge ai banditi, che promettono di dividere con lui qualsiasi sorte; quindi riprendono a cantare le lodi del vino. 3. RECITATIVO E CAVATINA. Discendendo dalla vetta Emani ringrazia commosso i banditi per le loro profferte di fedeltà, e ne approfitta per confidare loro il suo amore per un'"aragonese vergine", che però è stata chiesta in sposa dal "vecchio" Silva (Come rugiada al cespite); le nozze sono fissate per il giorno dopo, ma egli l'ama a tal punto da morire d'affanno senza di lei. L'ardito ribelle vuole rapirla e i suoi fidi gli assicurano che lo seguiranno: il loro pugnale gli varrà da scudo e la sua donna diventerà la stella dei banditi. Emani esprime la propria felicità (Oh tu che l'alma adora, vien): accanto a Elvira scorderà le proprie pene. Ricche stanze d'Elvira nel castello di Silva. E' notte. 4. CAVATINA. Un breve preludio affidato agli archi introduce l'ingresso in scena di Elvira: ella si augura che Silva, questo odiato vecchio che quale "immondo spettro" la persegue con le sue profferte d'amore, non faccia ritorno e che ella possa fuggire con l'amato Emani (Emani! Emani involami): con lui anche i luoghi più inospitali saranno un "eden di delizie". Entrano le ancelle: su un ritmo di bolero salutano la sposa recandole ricchi doni di nozze (Quante d'Iberia giovani). Elvira ringrazia, ma il suo animo agitato disprezza ogni dono che non le parli di Emani (Tutto sprezzo che d'Emani); ella invoca impaziente l'arrivo dell'amato ribelle: ogni indugio è per lei supplizio. Il suo turbamento non sfugge alle ancelle: Elvira appare loro sposa costretta e non amante. Sempre in preda a grande agitazione, la giovane lascia la stanza seguita dalle ancelle. 5. SCENA, DUETTO, INDI TERZETTO. Don Carlo, re di Spagna, entra in incognito, accompagnato da Giovanna, la nutrice di Elvira, cui ordina di avvisare la futura sposa di raggiungerlo. Anche il re è innamorato della donna e freme all'idea di vedersi preferito un bandito. Alla repentina comparsa di Elvira, egli confessa di amarla di un amore possente sin dal primo giorno che la vide (Da quel dì che t'ho veduta), e la implora di cedere ai suoi voleri di re. La donna risponde con fierezza d'avere nelle vene sangue d'Aragona e che nemmeno lo splendore d'una corona potrà cambiare ciò che le detta il suo cuore. Al suo rifiuto il re l'afferra per un braccio, ma Elvira riesce a impossessarsi del pugnale di lui e minaccia di colpirlo. Questi chiama le guardie, mentre da un uscio segreto entra Emani furibondo. Carlo lo riconosce come ribelle al suo potere, ma Emani lo accusa di avergli ucciso il padre: ora che lo scopre rivale in amore il suo odio per lui si accresce. Elvira si interpone minacciando di trafiggerli entrambi con il pugnale (No, crudeli, d'amor non m'è pegno). 6. FINALE PRIMO. Improvvisamente compare il padrone di casa, il vecchio Silva, che, vedendo presso la fidanzata due seduttori, chiama a testimonianza del proprio disonore cavalieri e servi; mentre Carlo si tiene prudentemente nell'ombra, Silva lamenta che la propria tarda età gli abbia

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conservato un cuore giovane, ormai gelato dal disonore (Infelice e tuo credevi). Ma l'onta subita non deve restare invendicata; esplodendo con incontenibile impeto d'ira chiede che gli venga portata una spada per duellare (Infin che un brando vindice): la sua mano non tremerà. Ordina ai due seduttori di uscire per il duello, quando viene annunciato l'arrivo dello scudiero del re, don Riccardo. Appena entrato questi prende posto a fianco di Carlo, rendendogli regale omaggio. Egli, il re! Sorpresa generale. Ha inizio il concertato "di stupore": Carlo osserva ironicamente come Silva sembri ritornato alla ragione (Vedi come il buon vegliardo); a sua volta questi manifesta stupore e mortificazione, mentre Emani sussurra a Elvira, confortata dalla presenza dell'amato, che al nuovo giorno la toglierà dai suoi affanni. Silva si rivolge dolente al re; ma questi, per toglierlo dall'imbarazzo, lo trae in disparte confidandogli che, essendo morto l'imperatore, ora si pensa alla nomina del successore: Silva è un suddito fedele, vuole un suo consiglio. Quindi, dopo aver annunciato ad alta voce che per la notte occuperà il castello, Carlo si avvicina ad Ernani: indicandolo come suo fido, con gesto magnanimo invita Silva a lasciarlo partire. Inizia la stretta del concertato: Emani reagisce: il suo proposito è sempre quello di vendicare la morte del padre (IO tuo fido? il sarò a tutte l'ore); Elvira lo scongiura di fuggire. Intanto Carlo rivela a Silva di aspirare al fulgore della corona imperiale; il vecchio gli assicura il proprio appoggio: chi possiede l'amore di Iberia è ben degno di cingerla.

PARTE SECONDA: L'ospite Magnifica sala nel palazzo di Don Ruy Gomez de Silva. Porte che mettono ai vari appartamenti. Intorno alle pareti si vedono disposti, entro ricche cornici sormontate da corone ducali e stemmi dorati, i ritratti della famiglia dei Silva. Presso ciascun ritratto si vede collocata una completa armatura equestre, corrispondente all'epoca in cui il personaggio dipinto viveva. Vi è pure una ricca tavola con presso un seggiolone ducale di quercia. 7. INTRODUZIONE. Cavalieri e paggi di Silva, dame e damigelle di Elvira riccamente abbigliate: tutti esprimono la loro gioia per il matrimonio del loro signore (Esultiamo! Letizia ne inondi) e magnificano la bellezza della sposa. 8. RECITATIVO E TERZETTO. Entra Silva, pomposamente vestito da Grande di Spagna; seguito da Jago, va a sedersi sul seggiolone ducale. Giunge a corte un pellegrino che chiede ospitalità1 L'ospitalità è sacra ai Silva, risponde il vecchio indicando i ritratti; né brama sapere altro. Il pellegrino è in realtà Emani, venuto a rapire Elvira. S'apre una porta ed entra Elvira abbigliata a nozze, seguita dalle ancelle. Silva presenta la sposa al pellegrino, ma questi, gettando a terra il mantello e facendosi così riconoscere, offre in dono di nozze la taglia che pesa sulla propria testa: inseguito dal re, Emani implora Silva di essergli consegnato, onde possa ricevere in premio l'oro della taglia (Oro, quant'oro ogn'avido); mentre Elvira esprime grande timore per la vita dell'amato, Silva commenta che il giovane deve aver perso la ragione. Alla fine il vecchio orgoglioso risponde che i suoi ospiti hanno i diritti di un fratello e che l'ospitalità è sacra. Ordina siano armate le torri del castello e, dopo aver fatto cenno a Elvira di entrare nelle sue stanze, esce seguìto dai suoi. Su un cupo crescendo orchestrale Elvira, partito Silva, fa alcuni passi per seguire le ancelle, poi si ferma; uscite quelle torna ansiosa da Emani, che sdegnosaménte la respinge accusandola d'averlo illuso. La donna si discolpa mostrando un pugnale con il quale si sarebbe uccisa durante il rito nuziale. L'ira di Emani svanisce ed egli chiede perdono per aver dubitato della fede di lei; i due si abbracciano (Ab morir potessi adesso): ma solo affanni essi troveranno sulla terra. Ritorna Silva; nel vedere i due abbracciati va su tutte le furie scagliandosi su di loro, pugnale alla mano. Ma entra frettolosamente Jago, che annuncia l'arrivo del sovrano accompagnato da un drappello di soldati. Silva ordina che si apra al re. A quest'ordine Emani implora Silva di dargli la morte, affinché non debba essere l'odiato re, l'assassino di suo padre, a ucciderlo; ma Silva vuole per sé la vendetta (No, vendetta più tremenda); infine fa entrare Emani in un nascondiglio segreto, celato dietro il ritratto dello stesso Silva, mentre Elvira si ritira nelle proprie stanze. 9. SCENA ED ARIA. Carlo entra nel castello, seguito dai suoi cavalieri; con modi bruschi chiede a Silva perché il suo castello è armato; forse per ridestare l'idra della ribellione?... A Silva,

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Verdi fotografato a Parigi da Disderi (ca. 1855-57)

che ribadisce la propria lealtà, il re annuncia d'aver vinto l'ultima torma dei ribelli; ma sa che il loro capo si è rifugiato nel castello. Silva non nega di aver dato ospitalità a un pellegrino, ma non lo può tradire. Reagendo con impeto, Carlo esige che il bandito gli sia consegnato: o il suo capo o quello stesso di Silva. Al rifiuto di questi comanda che gli sia tolta la spada. Dopo aver dato ordine a suoi di cercare il bandito in ogni angolo del castello, si rivolge di nuovo a Silva sfidandolo a resistere alla vendetta del re (Lo vedremo, veglio audace); Silva mantiene la propria dignità: il re di Spagna non può volere il suo disonore. Dopo aver perquisito invano il castello, i soldati del re ritornano portando fasci di armi che depongono ai piedi del re (Fu esplorata del castello): di Emani nessuna traccia. Elvira esce precipitosamente dalle sue stanze, seguita da Giovanna e dalle ancelle, e si prostra al re supplicandolo d'avere pietà per il suo futuro sposo. Nel vederla Carlo si acquieta: la fa rialzare replicando che risparmierà Silva, ma sarà lei, trattenuta in ostaggio, a seguirlo. Nell'udir questo, Silva è colto da un'angoscia mortale: protesta, disperato, che Elvira è il suo solo conforto in terra. Alla nuova richiesta del re di avere Ernani, il vecchio si rassegna: che Elvira lo segua. Il sovrano prende la mano di Elvira in lacrime e le rivolge parole di amorosa passione (Vieni meco, sol di rose): la giovane pensi ora alla gioia che l'attende. Mentre Silva, divorato dall'ira, medita vendetta, il re parte con il suo seguito, traendo seco Elvira appoggiata al braccio di Giovanna.

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10. DUETTO. Silva è rimasto solo con i ritratti dei suoi avi, in uno stato d'animo di cupo odio nei confronti del re; poi corre a due armature che sono presso i ritratti, estrae due spade e va quindi ad aprire il nascondiglio di Emani: vuole che il bandito si batta con lui. Questi rifiuta: non combatterò contro un vecchio, dal quale piuttosto implora la morte purché gli sia concesso di vedere Elvira. (Tu m'hai salvato, uccidimi). Silva gli comunica che la giovane è stata portata via con la forza dal suo acerrimo nemico. Emani allora svela a Silva che anche il re ama Elvira. Silva è sorpreso; chiama i suoi uomini ed Emani si offre di aiutarlo a vendicarsi del re; e qui nasce tra i due un patto scellerato: la libertà di Elvira per la morte di Emani. Il bandito giura di rispettare il patto: consegna a Silva un corno da caccia impegnandosi a darsi la morte quando il vecchio lo suonerà. Sopraggiungono frettolosi i cavalieri di Silva, disarmati. Su un ritmo rapido e incalzante (In arcione, in arcion, cavalieri), Emani e Silva indicano loro i fasci di armi che ancora giacciono per terra e li spronano alla vendetta. Quindi tutti partono per andare a liberare Elvira.

PARTE TERZA: La clemenza Sotterranei sepolcrali che rinserrano la tomba di Carlo Magno in Aquisgrana. A destra dello spettatore vi è il suo monumento con porta in bronzo, sopra la quale in lettere cubitali si legge l'iscrizione KAROLO MAGNO; in fondo una scalea che mette alla porta maggiore del sotterraneo, nel quale si vedranno anche altri sepolcri minori; sul piano della scena altre porte conducono ad altre catacombe. Due lampade pendenti dal mezzo spandono una fioca luce sugli avelli. 11. SCENA CARLO. La cupa atmosfera dell'ambiente sepolcrale viene sottolineata da un preludio affidato ai soli strumenti a fiato, con melodia al clarinetto basso. Don Carlo e Riccardo, avvolti in ampi mantelli scuri, entrano guardinghi dalla porta principale. I due, presa una torcia, esaminano il luogo dove sta per radunarsi la Lega che cospira contro il re di Spagna, mentre altrove i principi elettori stanno decidendo a chi andrà la corona del Sacro Romano Impero. Il re congeda il suo scudiero ordinandogli di far sparare tre colpi di cannone per fargli sapere se è stato eletto e poi di raggiungerlo con Elvira. Rimasto solo, Carlo pensa ai ribelli che tramano per trucidarlo; volgendosi alla tomba di Carlo Magno contempla la vanità delle cose umane: scettri, ricchezze, onori sono come vascelli che s'infrangono sullo scoglio della tomba e piombano nel nulla. Ripensa ai bugiardi sogni di gioventù (Oh de' verd'anni miei): ma ora, se sarà eletto al trono dei Cesari, è pronto a sollevarsi a volo d'aquila per rendere immortale il proprio nome nei secoli regnando con magnanimità. Apre con una chiave la porta del monumento a Carlo Magno e vi si nasconde. 12. CONGIURA. Si schiudono le porte minori del sotterraneo e vi entrano guardinghi e avvolti in grandi mantelli i personaggi della Lega, portando fiaccole e pronunciando la parola d'ordine stabilita:"Ad augusta—Per angusta". Con la medesima parola entrano Silva, Jago ed Emani. Salito su una delle tombe minori, Silva si accerta che nessuno manchi; poi, rammentando che Carlo aspira all'impero, tra di loro votano per designare colui che dovrà ucciderlo. Ciascuno incide con il pugnale il proprio nome su una tavoletta e la getta in un piccolo avello. Silva si appressa lentamente all'avello, estrae a sorte una tavoletta, vi legge e pronuncia il nome del prescelto: Emani! Il bandito accoglie con gioia l'occasione offerta dal destino: finalmente potrà vendicare la morte del padre. Silva s'avvicina al giovane e sottovoce si propone in sua vece: gli offre in cambio tutti i propri averi pena costringerlo, mostrandogli il corno, a morire. Ma Emani rifiuta decisamente; Silva minaccia vendetta. Intanto i ribelli si uniscono in un giuramento: combattere uniti per la libertà a rischio della propria vita, sperando in giorni migliori per sé e per i propri figli (Si ridesti il Leon di Castiglia). 13. FINALE TERZO. All'improvviso si sentono all'interno tre colpi di cannone. È il segnale richiesto da Carlo in caso di nomina. I cospiratori sono disorientati. Carlo si mostra loro sulla soglia della tomba di Carlo Magno, sorprendendoli atterriti: essi credono nella riapparizione del defunto imperatore. Picchiando tre volte col pomo del pugnale sulla porta di bronzo, Carlo esclama con voce terribile:"Carlo Quinto, o traditor!". Si apre la porta del sotterraneo e, allo squillare delle trombe, entrano sei Elettori vestiti di broccato d'oro, seguiti da Grandi che portano su cuscini di velluto lo scettro, la corona e le altre insegne imperiali. Un ricco corteo di gentiluomini e dame circonda il neo-eletto imperatore; fra le dame si vede Elvira, seguita da Giovanna. Nel fondo si vedono bandiere spiegate. Riccardo, alla testa del corteo, si rivolge a Carlo, comunicandogli la volontà degli Elettori, e gli consegna le insegne di imperatore. Carlo si scaglia

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contro i ribelli, e impartisce loro una dura condanna: la scure per i nobili, la prigione per il volgo. Emani, avanzando fieramente e vantando i propri titoli nobiliari, chiede d'essere condannato alla scure per aver invano tentato di vendicare la morte del padre. Elvira si getta ai piedi del sovrano e lo supplica in nome del cielo di perdonare: è virtù augusta la pietà. Nel momento supremo Carlo ha un moto di grandezza; fissando la tomba di Carlo Magno invoca su di sé le virtù che lo fecero grande, e prima di tutte la virtù della clemenza (O sommo Carlo): perdona a tutti, e nel vedere Elvira ed Emani abbracciati, li dichiara sposi. Quindi rende omaggio alla memoria di Carlo Magno. Ma in un'esplosione di gioia incontenibile tutti rivolgono l'omaggio a Carlo Quinto, auspicandogli gloria e onore; sola voce discorde nel plauso generale è quella di Silva, che in disparte, deluso dalla perdita di Elvira, medita vendetta. Con quest'azione di magnanimità imperiale Carlo si congeda dal dramma.

PARTE QUARTA: La maschera Terrazzo nel palazzo di Don Giovanni d'Aragona in Saragozza. A destra e a sinistra vi sono porte che mettono a vari appartamenti; il fondo è chiuso da cancelli, attraverso i quali si vedono i giardini del palazzo illuminati, e parte di Saragozza. Nel fondo, a destra dello spettatore, vi è una grande scalea che va nei giardini. 14. FESTA DA BALLO. Da una sala a sinistra di chi guarda si sente la lieta musica delle danze eseguita da una banda. Gentiluomini, dame, maschere, paggi e ancelle vanno e vengono discorrendo fra loro e magnificando la felicità di Elvira ed Emani finalmente sposi e liberi (Oh come felici gioiscon gli sposi). Ad un tratto appare una maschera dall'aspetto funesto, avvolta in un mantello nero, che si aggira impaziente come in cerca di qualcuno.Tutti l'attorniano cercando di penetrare il mistero, guardandolo negli occhi, che dietro la maschera sembrano riflettere le fiamme dell'inferno; ma, dopo qualche atto di minacciosa collera, lo sconosciuto riesce a sfuggire alla curiosità dei festanti scendendo nei giardini. Riprende l'allegra musica della danza, e dopo aver rinnovato il canto nuziale tutti escono di scena . 15. SCENA E TERZETTO FINALE. Emani ed Elvira si mostrano venendo dalla sala delle danze: tutto ora è silenzio e le faci si sono spente. Essi conversano gioiosi guardando il cielo stellato e pensando al loro avvenire di sposi: ora sono uniti per sempre fino al sospiro estremo. Ma ad un tratto s'ode un lontano suono di corno. Emani udendolo emette un grido di dolore; Elvira se ne avvede ed è turbata. Ecco un altro suono, più vicino. Emani è stordito, e delirante esclama "È il vecchio, è il vecchio, egli mi vuole!". Fingendo dolore per un'antica ferita prega Elvira, attonita e confusa, di recargli un farmaco. Elvira obbedisce. Tutto ora tace intorno. Emani crede di aver udito male, e fa per seguire Elvira. Ma ecco che compare Silva, che lo arresta mostrandogli il corno che suggellò il patto scellerato: "Se uno squillo intenderà, tosto Ernani morirà". Il giovane implora che gli sia almeno concesso, dopo tanti anni di sofferenze, di passare con la sposa la notte di nozze (Solingo, errante e misero). Ma Silva è irremovibile e sordo alla pietà, e mostra al disperato Emani una fiala di veleno e un pugnale perché possa scegliere. Emani sceglie il pugnale. Ma in quel mentre entra precipitosa Elvira a fermare la mano dello sposo (Ferma crudele, estinguere) per poi avventarsi furiosamente contro Silva: vuoi vendetta ora che sei presso al sepolcro? Poi si arresta e piange. Ma Silva è inesorabile: ogni pianto è vano, Emani deve morire. Dichiarandosi fiera figlia di un Silva, Elvira proclama l'indissolubilità del nodo nuziale che ora la lega a un giovane che ama immensamente. Ma è proprio per tale amore, insiste crudelmente Silva, che Emani deve morire. Il giovane, scongiurando Elvira di non piangere (Quel pianto Elvira ascondimi), le rivela il patto scellerato che ora lo costringe a morte: la sua felicità fu solo scherno della sorte. Appressandosi minaccioso a Emani, Silva gli rammenta il patto: con atto fulmineo Ernani si pugnala a morte, compiendo il destino fatale. Le sue ultime parole sono per Elvira, che al massimo della disperazione, sviene sul corpo del suo sposo, mentre il vecchio Silva esulta per aver così vendicato il proprio onore.

I due Foscari Tragedia lirica fin tre atti] di Francesco Maria Piave

Prima rappresentazione: Roma,Teatro Argentina, 3 novembre 1844

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L'argomento - derivato dal dramma in versi, in cinque atti, di Lord George Byron (Londra, 1788 - Missolungi, 1824), The Two Foscari, pubblicato nel 1821 - era stato proposto da Verdi alla Fenice, forse dietro suggerimento di Andrea Maffei, al tempo di Emani (appena tre anni prima Francesco Hayez, di cui Verdi era amico, aveva esposto a Brera un dipinto raffigurante l'ultimo incontro di Jacopo Foscari con la famiglia prima dell'esilio); ma venne rifiutato in quanto coinvolgeva antiche famiglie veneziane ancora viventi quali Barbarigo, Loredano, Contarini. Sottoscritto nel febbraio del 1844 un contratto con l'impresario Alessandro Lanari per un'opera nuova da rappresentarsi al teatro Argentina di Roma, il compositore ripropose l'argomento, affidandone la versificazione a Piave. L'opera - una fra le più brevi del maestro - fu composta fra maggio e settembre del 1844. In essa il compositore impiega alcuni motivi come reminiscenze tematiche, a guisa di Leitmotiv. Andati in scena il 3 novembre 1844, I due Foscari riscossero un grande successo di pubblico ed ebbero immediata diffusione sulle scene italiane e straniere, gareggiando in popolarità con il coevo Emani. Rimasta stabilmente in repertorio per quasi tutto il corso dell'Ottocento, alla soglia degli anni 1890 l'opera subì un periodo di eclissi, divenuto totale per tutta la prima metà del Novecento, fatta eccezione per un allestimento tedesco a Halle nel 1929. Dopo una ripresa alla Fenice nel 1957-58 e una versione tedesca allestita a Duisburg nel 1963, i Foscari hanno cominciato ad apparire sempre più frequentemente in Italia e all'estero, inserendosi in quel gruppo di opere cosiddette 'minori' che stanno a ridosso dei grandi capolavori.

PERSONAGGI E PRIMI INTERPRETI FRANCESCO FOSCARI, Doge di Venezia, ottuagenario JAcopo FOscARI, suo figlio LUCREZIA Contarini, sua moglie JACOPO LOREDANO, membro del Consiglio dei Dieci BARBARIGO, Senatore, membro della Giunta PISANA, amica e confidente di Lucrezia Fante del Consiglio dei Dieci Servo del Doge primo basso [baritono] primo tenore prima donna basso comprimario secondo tenore seconda donna tenore basso Achille De Bassini Giacomo Roppa Marianna Barbieri Nini Balciassare Mirri Atanasio Pozzolini Giulia Ricci N. N. N. N. Cori: Membri del Consiglio dei Dieci e Giunta -Ancelle di Lucrezia - Dame Veneziane - Popolo e Maschere d'ambo i sessi Comparse: Il Messer grande - Due figliuoletti di Jacopo Foscari - Comandadori - Carcerieri - Gondolieri Marinai - Popolo - Maschere - Paggi del Doge La scena è in Venezia, l'epoca il 1457 194 I due Foscari Nota storica: Dopo essere stato membro del Consiglio dei Dieci ed esserne stato quindi a capo, Francesco Foscari fu eletto Doge il 15 aprile 1423 in concorrenza con Pietro Loredano, padre di Jacopo. Pochi mesi dopo Pietro e suo fratello Marco morirono avvelenati; acopo Loredano accusò apertamente Francesco Foscari della loro morte. Foscari ebbe quattro figli: tre ne morirono; il quarto, di nome Jacopo, accusato d'aver ricevuto doni da principi stranieri, fu condannato dal capo del Consiglio dei Dieci, Ermolao Donato, al confino. La notte del 5 novembre 1450 Donato fu trucidato. Anche di questo delitto Jacopo Foscari fu accusato; inutilmente torturato, fu condannato all'esilio in Candia (oggi Creta). Cinque anni dopo, avendo invano chiesto la grazia, Jacopo Foscari scrisse a Francesco Sforza, duca di Milano, perché intercedesse in suo favore; caduto lo scritto nelle mani dei Dieci, Jacopo fu ricondotto in patria, nuovamente torturato e nuovamente condannato all'esilio in Candia. In seguito un nobile veneziano, Nicolò Erizzo, in punto di morte confessò d'essere stato egli stesso l'uccisore di Donato, scagionando così Jacopo Foscari. Rientrato in patria ed elevato nel 1457 alla carica di Decemviro, Jacopo si adoperò per vendicarsi dei torti subiti, tanto che il padre fu costretto ad abdicare (invano altre due volte, in passato, aveva tentato di farlo). 11 31 ottobre 1857, udendo suonar le campane che annunciavano l'elezione del suo successore, Pasquale Malipiero, Francesco Foscari provò così forte emozione che all'indomani morì. - Nel dramma assume funzione protagonistica il Consiglio dei Dieci, magistratura di dieci patrizi, eletti annualmente, istituita nel 1310 allo scopo di consolidare l'autorità del Doge e di tutelare la quiete e la libertà dei sudditi; in casi particolari il Consiglio dei Dieci poteva aumentare

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il numero dei propri membri con l'aggiunta (Zonta ovvero Giunta) di venti cittadini, sì da costituire il Consiglio deiTrenta. Occorre anche ricordare che la delimitazione dei poteri del Doge attraverso l'istituzione dei Dieci era diventato principio basilare della Serenissima sin dal tempo della cospirazione di Marin Faliero. Nel libretto sono citati anche il "Messer grande" (cioè il Bargello ossia capo della polizia), i "Comandadori" (ovvero agenti di giustizia) e un "Sopracomito", comandante della ciurma di una galera (i còmiti erano coloro che scandivano il ritmo ai vogatori). La seconda scena del primo atto è ambientata nel palazzo Foscari con la vista sul "Canalazzo" (vecchio nome del Canal Grande) e sull-antico ponte di Rialto", a quell'epoca ancora in legno, sostenuto da pali (il ponte attuale, in pietra, sarà costruito un secolo dopo, fra il 1588 e il 1591). All'inizio del secondo atto Jacopo ha la visione del conte Carmagnola: si tratta di personaggio storico, Francesco Bussone conte di Carmagnola che, dopo essere stato al servizio di Filippo Maria Visconti, passò al servizio della Repubblica di Venezia, chiamatovi dal Doge Francesco Foscari nel proposito di rafforzare il dominio della Serenissima in terraferma; nonostante la vittoria di Maclodio nel 1427 contro il Ducato di Milano, che consentì alla Repubblica Veneziana di annettersi i territori di Bergamo, Brescia e Crema, il Carmagnola fu accusato di tradimento dal Consiglio dei Dieci, decapitato nel 1432 e sostituito con il Gattamelata.

RIASSUNTO DELL'AZIONE DRAMMATICA 1. PRELUDIO. Si apre con un violento tema di tutta l'orchestra all'unisono, che viene ripetuto dagli ottoni, contrappuntati dalle agitate terzine di archi e legni. Segue un motivo melodico per clarinetto che costituirà il tema di Jacopo Foscari; su di esso s'innesta, accompagnato dal tremolo dei violini, un nuovo motivo, questa volta per flauto, a sua volta legato al personaggio di Lucrezia. Esso viene interrotto da una sorda concitazione dell'orchestra da cui prende avvio un crescendo che esplode in laceranti accordi in fortissimo: una volta ribadita la tonalità iniziale, il suono si va placando su un persistente movimento di terzine fino a spegnersi del tutto.

ATTO PRIMO Una sala nel Palazzo Ducale di Venezia. - Di fronte veroni gotici, dai quali si scorge parte della città e delle lagune a chiaro di luna. A destra dello spettatore due porte, una che mette negli appartamenti del Doge, l'altra all'ingresso comune; a sinistra altre due porte che guidano all'aula del Consiglio dei Dieci, ed alle carceri di Stato. Tutta la scena è rischiarata da due torce di cera, sostenute da bracci di legno sporgenti dalle pareti. 2. CORO D'INTRODUZIONE. Una musica dal suono cupo, pesantemente cromatica, disegna la tenebrosa atmosfera nella quale i Dieci vanno raccogliendosi; come una parola d'ordine essi si raccomandano reciprocamente "Silenzio, mistero", quel silenzio e quel mistero che sin dalle origini avevano protetto Venezia, nata dalle onde (Qui veglia costante), e l'avevano resa potente e temuta. Sopraggiungono Barbarigo e Loredano: controllano che il Consiglio sia al completo e se il Doge sia arrivato: è giunto fra i primi e attende nell'aula del Consiglio.Tutti si dirigono verso l'aula per deliberare secondo quella giustizia che rende tutti eguali, nuovamente raccomandando "silenzio, mistero". 3. SCENA E CAVATINA. Sulla melodia del clarinetto già udita nel Preludio entra in scena, uscendo dal carcere, il figlio del Doge, Jacopo Foscari; è condotto, fra due Comandadori, da un Fante del Consiglio che gli ordina di attendere l'appello dei Dieci. Jacopo si appressa al verone per contemplare Venezia e il suo mare, che la musica descrive su un tremolo di flauto; con trasporto crescente saluta la regina dei mari. La vista della città natia (Dal più remoto esigilo) fa quasi dimenticare il dolore patito nell'esilio. Riappare il Fante che gli ordina di presentarsi davanti ai Dieci a dire la verità: Jacopo è terrorizzato al pensiero di affrontare lo sguardo del padre. Ma il Fante assicura: potrà sperare pietà e clemenza. Con impetuoso scatto d'ira Jacopo fa tacere il Fante; sa che solo odio e desiderio di vendetta alberga nell'animo dei giudici (Odio solo, ed odio atroce): la consapevolezza della propria innocenza e quella di essere un Foscari gli danno la forza per sopportare la sentenza. Entra col Fante e i Comandadori nell'aula del Consiglio. Sala nel palazzo Foscari. - Vi sono varie porte all'intorno con sopra ritratti dei Procuratori, Senatori, ecc., della famiglia Foscart Il fondo è tutto forato da gotici archi, a traverso i quali si scorge il Canalazzo, ed in lontano l'antico ponte di Rialto. La sala è illuminata da grande fanale pendente dal mezzo.

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4. SCENA, CORO E CAVATINA. Su un tema energico degli archi entra precipitosamente Lucrezia uscendo da una stanza, seguita dalle ancelle che cercano di trattenerla. È risoluta ad andare da Francesco Foscari: prima che Doge egli è padre; e lei stessa, figlia di Dogi, gli è nuora: vuole chiedere giustizia, non perdono. In un unisono agitato le ancelle cercano ancora di trattenerla: il suo pianto è solo gioia per i nemici; solo dal cielo si può sperare giustizia. E al cielo, inginocchiandosi, si rivolge Lucrezia con appassionata preghiera (Tu al cui sguardo onnipossente) invocando giustizia per l'innocente e mitezza nel cuore dei giudici. Giunge Pisana in lagrime, annunciando che la clemenza del Consiglio ha concesso a Jacopo Foscari nuovo esilio. Clemenza? La parola è offensiva! Fremendo d'ira Lucrezia insorge (O patrizj, tremate) con veemenza invocando la vendetta divina contro i giudici. Sala [nel Palazzo Ducale] come alla prima scena. 5. CORO. Risuona in orchestra la cupa atmosfera dell'inizio dell'atto. Entrano i Senatori, e con essi Barbarigo e Loredano, commentando la sentenza testé espressa: la lettera di Jacopo Foscari a Francesco Sforza è sufficiente prova per la sua condanna all'esilio in Creta. In un allegro vivacissimo e impetuoso, su accordi pesantemente ribattuti, i Senatori lodano l'imparzialità della legge di S. Marco nei confronti dei colpevoli, siano essi patrizi o plebei. Stanze private del Doge. - Vi è una gran tavola coperta di damasco, con sopra una lumiera d'argento; una scrivania e varie carte; di fianco un gran seggiolone. 6. SCENA E ROMANZA. Su una lenta melodia arpeggiata entra il Doge Francesco Foscari e s'abbandona sul seggiolone. Finalmente è solo. Solo? Dove non penetra l'occhio dei Dieci a spiare ogni parola, ogni gesto, fin ogni pensiero?... Ora non può nemmeno intercedere in favore del figlio; e anche se il ciglio non ha ormai più lagrime, l'umana debolezza lo invita a piangere sulle proprie sventure famigliari (O vecchio con, che batti). 7. SCENA E DUETTO - FINALE PRIMO. Un servo annuncia l'arrivo di Lucrezia. Prima che ella entri, Foscari s'impone di ricordarsi d'essere Doge prima che padre.Va incontro alla nuora che entra sul tema precipitoso già udito in precedenza; nota che sta piangendo. E che altro le resta se non vi son più folgori a incenerire quelle vecchie tigri dei Dieci! Foscari le ricorda di essere Doge e dunque custode delle patrie leggi. Ma per Lucrezia sole leggi ai Dieci sono odio e vendetta! E inveisce con crescente fremito contro il suocero (Tu pur lo sai, che giudice), che pur sapendo innocente il figlio ha assistito impassibile alla sua condanna: chiede le sia restituito lo sposo. Risponde il Doge chiedendo di non essere insultato (Oltre ogni umano credere): darebbe il resto della sua vita per la libertà del figlio. Lucrezia si domanda se il padre dubiti ancora della sua innocenza. Ma lo accusa la lettera intercettata, osserva Foscari. Sì, ribatte la nuora, ma fu scritta solo per rivedere Venezia. Atto pur sempre delittuoso, risponde il Doge. Lucrezia si appella ai suoi sentimenti paterni: ma il Doge, pur soffrendo come padre, non ha il potere di modificare una sentenza. Con prorompente scatto Lucrezia chiede al suocero d'andare con lei a pregare in favore del figlio (Se tu dunque potere non hai): se non il potere del Doge, possa almeno l'amor di padre ottenere pietà; Foscari esprime a parte la propria impotenza (O vecchio padre misero) a salvare il figlio da un errore involontario, e piange; Lucrezia nota le sue lagrime: esse rianimano in lei una speranza.

ATTO SECONDO Le prigioni di Stato. - Poca luce entra da uno spiraglio praticato nell'alto del muro. Alla destra dello spettatore vi è un'angusta scala per cui si ascende al palazzo [Ducale]. 8. PRELUDIO, SCENA E PREGHIERA. Una successione di melodie sinuose espresse da una viola e da un violoncello introducono l'atmosfera opprimente di una delle prigioni più basse, i "pozzi", dove non filtra luce alcuna. Jacopo, sconsolato, è seduto sopra un masso: notte!, eterna notte! oh potesse fuggire alla vendetta dei suoi nemici! Su un'improvvisa esplosione dell'orchestra si alza spaventato: vede sorgere di terra migliaia di fantasmi, dallo sguardo feroce, che lo chiamano; e uno s'avanza gigantesco, recando nella mano sinistra il capo troncato e gettandogli in volto con la destra il sangue che ne cola, come per accusarlo della propria tragica fine. Lo riconosce: è Carmagnola! Terrorizzato, Jacopo implora da lui pietà (Non maledirmi, o prode): fu il Consiglio dei Dieci a condannarlo a morte; e ora egli stesso si vede condannato con fraudolenta sentenza. Alla fine, stremato, cade bocconi per terra.

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9. SCENA E DUETTO. Risuona in orchestra l'energico tema che sempre distingue l'ingresso del personaggio di Lucrezia. Ella scende precipitosamente la scala. Nel vedere lo sposo esanime crede per un momento che gliel'abbiano ucciso e che per maggiore crudeltà le abbiano concesso di vedere solo il cadavere. Gli si avvicina, lo tocca, sente il suo cuore palpitare. Risollevata nell'animo invita lo sposo a posare il capo sul suo seno. Jacopo rinviene, ma è ancora delirante: crede d'avere ancora davanti a sé lo spettro del Carmagnola. Su un vibrante crescendo di un tremolo d'archi Lucrezia abbraccia lo sposo con grande trasporto; a quell'abbraccio Jacopo la riconosce, tuttavia teme che il carnefice lo attenda e che la sposa sia venuta per l'ultimo saluto, mentre egli non potrà rivedere né figli né padre. Lucrezia in lacrime gli dice che una sentenza fintamente pietosa, ancor più orrenda della morte stessa (No, non morrai, ché i perfidi), lo vuole vivo, ma esule in una terra lontana e lontano dai suoi, in una vita senza rassegnazione. Anche Jacopo sa che la vita dell'esule, lontano dall'affetto dei

Verdi fotografato a Parigi da Disderi (ca. 1855-57)

propri cari, è ben più dura della morte: le lacrime della sposa sono come piombo che scende ad appesantire la sua sofferenza. Al suono di una banda interna si sente in lontananza un canto di gondolieri che vogano nella calma del mare. Là si ride e qui si muore, impreca Jacopo, maledicendo coloro che lo allontanano dalla famiglia. Ma i due sposi non abbandonano la speranza di poter

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insieme dividere dolore e sventura e di poter vivere, perduto ogni altro bene, nel reciproco amore (Ah! speranza dolce ancora). 10. SCENA, TERZETTO E QUARTETTO. Avvolto in un ampio mantello nero entra nel carcere il Doge preceduto da un servo con fiaccola. Lucrezia e Jacopo corrono verso di lui. Su una musica dal ritmo concitato, il vecchio Foscari invita gli sposi ad abbracciarlo, con passione assicurando il figlio d'essere ancora padre: solo il volto ha dovuto fingere rigore all'atto della sentenza; ma il suo cuore nutre pur sempre grande amore per il figlio. Le parole del genitore sono di conforto agli sposi. Nell'affetto paterno Jacopo scorda ogni dolore e si sente fortificato nell'affrontare il duro esilio (Nel tuo paterno amplesso); inginocchiatosi davanti al padre, questi invoca su di lui la protezione divina (Abbi l'amplesso estremo), mentre Lucrezia invoca, con frasi spezzate dal dolore (Di questo affanno orrendo), che giustizia sia fatta nel giorno del gran giudizio. Tutti restano abbracciati, piangendo. Scuotendosi, il vecchio Foscari dà l'addio al figlio, che non vorrebbe staccarsi da lui; lo rivedrà ancora una volta, ma non come padre, bensì come Doge. Mentre Jacopo si dispera si avverte un rumore: dalla soglia del carcere, preceduto dal Fante del Consiglio e da quattro custodi con fiaccole, appare Loredano. Con freddezza annuncia a Jacopo che i Dieci sono già riuniti e che una nave lo attende per tradurlo a Creta. Lucrezia vuole accompagnare lo sposo nell'esilio; ma lo vieta, osserva Loredano, la sentenza dei Dieci. Al vecchio Foscari, che gli riserva un'espressione ironica, Loredano consiglia saggezza... quindi ordina ai custodi di applicare la sentenza. I due sposi abbracciano ancora una volta Foscari, ma Loredano s'interpone per dividerli. A una sola voce Lucrezia e Jacopo si scagliano contro Loredano invocando sulla sua testa dolori e tormenti (Ah! sì, il tempo che mai non s'arresta), e mentre il vecchio Foscari cerca invano di trattenere il loro furore, Loredano, guardando gli sposi con disprezzo, gusta la vendetta che finalmente cade su una schiatta che è stata funesta alla sua famiglia. Jacopo parte fra i carcerieri, preceduto da Loredano, e seguito lentamente dal Doge, che s'appoggia a Lucrezia. Sala del Consiglio de' Dieci. 11. Coito. Mentre risuona in orchestra il tema dei Dieci, questi, fra i quali Barbarigo, vanno raccogliendosi: insistono sulla necessità che il giovane Foscari s'imbarchi al più presto per l'esilio; quindi all'unisono (Non fia che di Venezia ei sfugga alla vendetta) riaffermano che egli non può sfuggire alla vendetta dellitìcorruttibile giustizia veneziana.Tutti sono in piedi quando, sulle note di un breve postludio, entra il Doge che, preceduto da Loredano, dal Fante e dai Comandadori e seguito da Paggi, va gravemente a sedere sul trono. Lui seduto, tutti gli altri si siedono. 12. SCENA E FINALE SECONDO. Con dignitoso tono il Doge si rivolge ai presenti: non sa se sia chiamato a nuovo tormento; ma la giustizia ha i suoi diritti: sarà Doge nel volto e padre nel cuore.Tutti approvano. S'apre una porta. Entra Jacopo fra quattro custodi. Loredano consegna una pergamena al Fante che a sua volta la dà a Jacopo. Loredano gli ordina di leggerla osservando che la clemenza del Consiglio gli ha conservato la vita. Restituendo la pergamena Jacopo dichiara che comunque nell'esilio morrà; quindi con agitazione si rivolge al padre: una sola parola di grazia, e nessuno oserà negarla a chi sa d'essere innocente. Il Consiglio a una voce rammenta solennemente che la legge non tollera di essere ingannata. Il Doge s'alza; tutti lo imitano: dichiara il giudizio inappellabile. A Jacopo che gli chiede se mai più lo rivedrà, risponde il vecchio Foscari: "Forse in cielo, in terra no". Mentre Loredano ordina di far subito partire Jacopo, improvvisamente si presenta sulla soglia Lucrezia con i due figli, seguita da varie dame sue amiche e da Pisana. Con somma sorpresa dei presenti ella si lancia contro il Consiglio accusandolo di crudeltà. Jacopo chiama a sé i figli e li pone in ginocchio ai piedi del Doge (Queste innocenti lagrime) implorando ancora una volta pietà; accanto a lui Lucrezia supplica i Consiglieri di cedere alla legge degli affetti famigliari; Barbarigo stesso, commosso da quelle lagrime, esorta Loredano a desistere dalla vendetta; ma per Loredano quelle lagrime sono come rugiada per il suo inestinguibile sentimento d'odio verso gli orgogliosi Foscari; e mentre le dame invocano clemenza, i Consiglieri ricordano, inesorabili, che il delitto è stato provato: la pietà darebbe solo un pessimo esempio. La cadenza finale viene bruscamente interrotta da Loredano che insiste perché Jacopo parta immediatamente. Quale ultimo favore questi chiede di portare con sé moglie e figli. Ma Loredano gli nega anche questo e toglie i figli dalle braccia di Jacopo per consegnarli ai Comandadori. Con doloroso accento il condannato supplica il padre di proteggere i figli: sa ormai di scendere presto nella tomba.

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Un'esplosione corale di tutti i presenti, in cui si sovrappongono sentimenti opposti, conclude il concertato. Jacopo parte fra le guardie, mentre Lucrezia sviene fra le braccia delle dame.

ATTO TERZO L'antica piazzetta di San Marco. - Il canale è pieno di gondole che vanno e vengono. Di fronte si vede l'isola dei Cipressi, ora San Giorgio. Il sole volge al tramonto. 13. INTRODUZIONE E BARCAROLA. La scena, da principio vuota, va riempiendosi di popolo e di maschere, che entrano da varie parti.Tutto è gioia. Si sta approntando una festa: una regata di gondole, e tutti inneggiano alla bellezza di Venezia, figlia, sposa e signora del mare. Loredano e Barbarigo, entrambi mascherati, osservano la moltitudine commentando: ad essa non importa chi sia Doge. Avanzando fra il popolo, Loredano ordina che si dia inizio alla regata al suono del!' "usata canzone". Tutti vanno alla riva del mare; con i fazzoletti bianchi e con i gesti incitano i gondolieri intonando una Barcarola (Tace il vento, è queta l'onda). 14. SCENA ED ARIA. Escono dal Palazzo Ducale due trombettieri seguiti dal Messer Grande. Lo squillo delle trombe annuncia l'ingresso della "giustizia del Leone": il popolo deve lasciare il passo. Ammutolito, esso si ritira tenendosi a molta distanza. Anche le gondole scompaiono dal canale, ove si avanza una galera, su cui sventola il vessillo di San Marco. Osservando il popolo ritirarsi, Barbarigo e Loredano si sentono più tranquilli: d'altronde il volgo manca di coraggio. Dalla galera sbarca il Sopracomito, cui il Messer Grande consegna un foglio. Sul motivo melodico del clarinetto che lo aveva accompagnato nel primo atto Jacopo esce lentamente dal Palazzo Ducale fra i custodi, seguito da Lucrezia e da Pisana. Si rivolge tristemente alla moglie: d'ora in poi sarà infelice vedova di non estinto marito; possa il vascello che lo conduce a Creta essere ingoiato fra le secche marine o urtare in uno scoglio, più pietoso del marmoreo cuore dei giudici; ciò sarebbe preferibile a una morte lenta. Lucrezia lo implora di vivere per lei e per ì figli; ma il viver lontano, le risponde Jacopo, è morte; prega la sposa di essere di conforto al padre (All'infelice veglio) e di allevare i figli nella virtù; si ricordi d'essere Contarini per nascita e Foscari per matrimonio e di non recare gioia ai nemici con il suo pianto. Con impazienza mal trattenuta Loredano ordina al Messer Grande di dare l'ordine della partenza; quindi, avvicinandosi agli sposi, si leva per un istante la maschera. acopo e Lucrezia riconoscono in lui la tigre che li perseguita. Con accento pieno di passione il giovane Foscari dà l'ultimo addio alla famiglia (Ah padre, figli, sposa); Lucrezia lo supplica di mantenersi in vita per sé e per i figli. Tutti sono vivamente commossi alla scena del definitivo distacco, anche Barbarigo. Solo Loredano rimane impassibile, assaporando la vendetta che scende sull'abbominata stirpe dei Foscari. Scortato dal Sopracomito e dai custodi, Jacopo sale sulla galera. Lucrezia sviene fra le braccia di Pisana. Loredano entra nel Palazzo Ducale; Barbarigo s'avvia per altra strada; il popolo si disperde. Stanze private del Doge come nell'Atto Primo. 15. SCENA ED ARIA. Risuona in orchestra per intero il tema del Doge, come nell'atto primo (n. 5).11 vecchio Foscari, in abito dogale, medita mestamente sulla partenza del figlio. Aveva quattro figli: tre morirono nel fiore degli anni; ora il quarto è condannato a un disonorevole esilio, e nulla ha potuto fare per salvarlo. Oh! fosse morto il giorno che gli fu posto in capo il corno dogale: avrebbe avuto intorno a sé i figli. Giunto alla fine della vita, solo atroci affanni lo attendono. Entra frettoloso Barbarigo recando un foglio: lo ha inviato Nicolò Erizzo in punto di morte; in esso confessa essere stato egli stesso l'uccisore di Donato. Il vecchio Foscari prorompe in un grido di gioia nell'apprendere la notizia che ora può restituirgli il figlio, scagionandolo da ogni colpa. Ma il suo grido viene come strozzato dall'urlo desolato di Lucrezia che entra precipitosamente portando la ferale notizia: Jacopo è morto di crepacuore non appena salito sulla nave. Sperava il cielo placato, il vecchio Doge; ora non ha più figli; e cade vacillando sul seggiolone. Lucrezia sfoga il suo dolore (Più non vive! L'innocente s'involava): forse lo sposo ha finalmente trovato giustizia in cielo; ma attende che il vecchio padre, animato da possente desiderio di vendetta, rechi giustizia alle tante lagrime versate. Quindi la nobildonna esce di scena. 16. SCENA ED ARIA FINALE. Entra un servo: i Dieci chiedono di parlargli. I Dieci? Che entrino. Sul ben noto tema che li personifica, fanno ingresso i Dieci, fra i quali sono Loredano e Barbarigo. Riponendo in capo il corno dogale, Foscari chiede il motivo della visita. Risponde Loredano: il Consiglio e il Senato sono convinti che la tarda età e le traversie famigliari impongano

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a Foscari un ben meritato riposo. Il Doge non crede alle proprie orecchie. In definitiva Loredano dichiara che egli deve restituire ai Dieci l'anello dogale. Alzandosi impetuosamente il Doge oppone con vigoria il proprio reciso rifiuto: già due volte in sette lustri chiese di abdicare, e non gli fu concesso; di più: fu costretto a giurare che sarebbe rimasto Doge a vita. Un Foscari non viene mai meno ai suoi giuramenti! I Dieci insistono perché si dimetta. Il vecchio Doge esplode in un'invettiva contro i Dieci (Questa dunque è l'iniqua mercede): ecco il ringraziamento per chi ha protetto la Serenissima e ne ha accresciuto la potenza; ecco il rispetto per il padre cui fu strappato il figlio e cui ora si toglie l'onore. I presenti lo invitano a tornare alla pace degli affetti privati. Ma quale pace? Il figlio è morto, che più resta? Rendetemi il figlio! implora Foscari. Ordina che a lui venga l'infelice vedova. E intanto rende l'ànello: ora non è più Doge. L'anello, come d'uso, viene infranto. Loredano fa per togliergli dal capo il corno dogale, ma con un urlo il vecchio Foscari lo respinge: che non osi toccarlo! la sua destra ne è indegna. Egli stesso consegna il corno a un altro Senatore, mentre un terzo Senatore lo spoglia del manto d'ermellino. Sul precipitoso tema che la personifica entra Lucrezia: Foscari la informa che chi gli ha ucciso il figlio ora gli toglie il trono. La invita a fuggire dal luogo. Ma è colpito dal suono della campana grande di S. Marco. Lui vivo, salutano già il successore! Infatti, sul cupo rullare del timpano, Loredano, invano trattenuto dai presenti che intendono rispettare il dolore di Foscari, annuncia con gioia ferina che è stato nominato come suo successore Pasquale Malipiero. Con lugubre tono Lucrezia manifesta il proprio accorato sdegno. Al vecchio Foscari il rintocco della campana sembra suonare a morto e schiudergli la tomba (Quel bronzo ferale); vittima d'un odio infernale, ora è senza più figli, senza più trono, senza più vita.Tutti sono impressionati dal suo stato di agitazione. Solo Loredano non partecipa alla commozione generale: il suono della campana per lui è suono di tromba che annuncia vendetta. Il rintocco della campana continua. Quel suono è morte. Il vecchio invoca per un'ultima volta il figlio e cade morto. Loredano, in disparte, cava un portafoglio e vi scrive 'Pagato'.

Giovanna d'Arco Dramma lirico fin un prologo e tre atti] di Temistocle Solera

Prima rappresentazione: Milano,Teatro alla Scala, 15 febbraio 1845 La genesi di quest'opera è - con quella dei Lombardi - la meno documentata fra tutte le opere di Verdi. Non appare chiaro se la scelta dell'argomento fosse derivata da un suggerimento del compositore o non piuttosto, come sembra più probabile, da una proposta di Solera. Comunque il soggetto (già musicato in precedenza da altri compositori, quali, fra gli italiani, Andreozzi nel 1779, Vaccai nel 1827 e Pacini nel 1830) non deriva in linea diretta dalla tragedia di Friedrich Schillen Die Jungfrau von Orléans, come affermato da molti studiosi. Anche se vi si accostò in molte parti nel disegnare la figura di Giovanna d'Arco,- a quel tempo non ancora beatificata, ancor meno santificata, bensì solo eroina (la sua canonizzazione avverrà solamente nel 1920) - Solera si propose di fare, come egli stesso ebbe a dichiarare, "un dramma affatto originale". Verdi ne iniziò la composizione nel tardo autunno del 1844, portandola a compimento in poco meno di quattro mesi. Alla Scala, sin dalla prima rappresentazione (cui Verdi preferì non assistere per alcuni screzi con l'impresario Merelli), l'opera ottenne un grande successo, grazie anche all'interpretazione di Erminia Frezzolini, la cui affascinante figura risplendeva ancor più sotto l'armatura della guerriera. Considerata fra le opere minori del compositore, la Giovanna d'Arco godette tuttavia di una discreta diffusione sulle scene italiane per almeno una quindicina d'anni. Sporadicamente riproposta in seguito in teatri secondari, l'opera - che pure contiene pagine fra le più belle del giovane Verdi - scomparve definitivamente dalle scene dopo un'ultima ripresa avvenuta ad Alba nel 1892. Né migliore fortuna le arrise nel Novecento: a una rappresentazione in tedesco a Berlino nel 1941 e a una ripresa al S. Carlo di Napoli nel 1951, hanno fatto seguito rare esecuzioni, fra le quali spicca la rappresentazione avvenuta all'Opera di Roma nel 1972.

PERSONAGGI E PRIMI INTERPRETI CARLO VII, re di Francia primo tenore prima donna primo basso [baritono] secondo tenore secondo basso Antonio Poggi GIOVANNA, figlia di Erminia Frezzolini Poggi Filippo Colini Napoleone Marconi Francesco Lodetti

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GIACOMO, pastore in Dom-Remi DELIL, ufficiale del re TALBOT, supremo comandante degli Inglesi Coro: Ufficiali del re - Borghigiani - Popolo di Reims - Soldati francesi - Soldati inglesi - Spiriti eletti - Spiriti malvagi Comparse: Grandi del regno,Araldi, Paggi, Fanciulle - Marescialli, Deputati, Cavalieri e Dame - Magistrati, Alabardieri, Guardie d'onore La scena è in Dom-Remi, Reims Epoca: 1429-1431 Nota storica: Nel dramma figurano due personaggi storici: re Carlo e Giovanna. Carlo VII il Vittorioso (1403-1461), quinto figlio di Carlo VI il Folle, fu escluso dalla successione al trono in base al trattato di Troyes, che, siglato nel 1420 fra i re di Francia e d'Inghilterra, mirava all'unificazione (lei due regni sotto la corona di Enrico V d'Inghilterra; alla morte del padre, avvenuta nel 1422, si proclamò tuttavia re di Francia, ma fu incoronato a Reims solo nel 1429 grazie all'imporsi di Giovanna d'Arco ovvero la Pulzella d'Orléans, la leggendaria guerriera che liberò il suolo francese dagli Inglesi.

RIASSUNTO DELL'AZIONE DRAMMATICA 1. SINFONIA. È in tre movimenti. Il primo di essi; caratterizzato dai brutali accordi degli ottoni cui risponde il flauto, esprime un temporale. Il secondo movimento, equivalente a un pezzo concertato per flauto, oboe e clarinetto, è a carattere pastorale. Il terzo movimento, in tempo Allegro, che si apre con un lungo crescendo per culminare in un finale di carattere trionfale, sembra quasi suggerire la trasformazione di Giovanna da pastorella a guerriera.

PROLOGO Grande atrio in Dom-Remi che mette agli appartamenti apprestati per la corte. 2. INTRODUZIONE. Sono in scena ufficiali francesi e borghesi, divisi in due cori. Ai borghesi che chiedono notizie gli ufficiali comunicano che Carlo è stato cacciato dal trono e che Orléans è minacciata dagli invasori inglesi. All'unisono imprecano contro coloro che non restano entro i confini assegnati da Dio (Maledetti cui spinge rea voglia); 'noi pure commettemmo lo stesso peccato, e ora Dio ci punisce'. 3. SCENA, RACCONTO E CAVATINA. Delil annuncia l'ingresso del re. I presenti notano che il suo bel volto è rattristato dal dolore. Egli viene a dare il suo ultimo ordine: fra i possenti accordi dell'orchestra che sembrano conferire alle sue parole la forza di un pronunciamento, Carlo comanda che un ambasciatore si rechi a Orléans per por fine alla guerra: si ripongano le spade e sieda sul trono avito il re d'Inghilterra; scioglie i sudditi dal giuramento di fedeltà. Spiega il motivo della sua decisione. Racconta d'essersi prostrato a terra per pregare affinché la collera di Dio cada solo sulla sua testa, quando venne colto improvvisamente da un dolce sopore e un sogno divino gli apparve: si trovava nella foresta, davanti a una quercia su cui era dipinta l'immagine della Vergine (Sotto una quercia parvemi): a un tratto l'immagine parlò imponendogli di deporre elmo e spada ai piedi della quercia. Con accento esaltato Carlo si propone ora di fregiare la propria corona di quell'immagine e di far cessare la guerra auspicando che il piede straniero non sia pesante al suolo francese. Vuole andare a visitare la Vergine anzi notte; ma i borghigiani tentano di dissuaderlo: quella foresta è orrenda; essi raccontano che dopo il crepuscolo infuria la tempesta (Allor che i flebili bronzi): là vi convengono demoni, maghi e streghe; guai all'uomo che» si fa sorprendere: non vedrà più il mattino del nuovo giorno. Ma Carlo resta irremovibile: dove sta l'immagine della Vergine l'inferno non ha potere, e insiste per andare a visitarla e a sciogliere il voto. La corona gli ha portato solo infelicità (Pondo è letal martino) e vuol disfarsene; nonostante tutti i presenti riaffermino la loro fedeltà al re, Carlo dichiara di non esserlo più e chiede quel raggio di pace che gli doni libertà. Alla fine impone al coro un cenno e parte, mentre il coro si allontana per diverse uscite. Una foresta. A destra sopra una balza praticabile una Cappelletta. A sinistra sul piano avanti vi è una quercia, al suo piede un sedile di pietra. Nel fondo si apre una caverna. Il cielo è scuro e tempestoso. Lo squillo di una campana invita alla preghiera dei defunti. 4. SCENA. La scena si apre con una musica tempestosa simile a quella del primo movimento della Sinfonia. Mentre il tuono si allontana Giacomo, il padre di Giovanna, esce dalla caverna in preda al

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terrore: in quell'orrendo luogo non si sarebbe avventurato se non fosse ossessionato da un sospetto letale. Mentre sopra la balza appare Giovanna che s'inginocchia davanti alla Cappella, Giacomo si chiede, tra i fragori intermittenti della tempesta, perché mai "colei" si rechi nelle notti procellose alla quercia dove si svolgono i riti infernali; ha essa forse venduto l'anima al demonio? Orribile pensiero è questo per Giacomo, che in un breve arioso chiede soccorso al cielo per scoprire il vero; quindi si ritira lentamente nella caverna per starvi di guardia. 5. SCENA E CAVATINA. Giovanna, scendendo dalla balza, osserva come la turbolenza del cielo ben si addica all'affanno in cui versa la Francia oppressa: perché, lei donna, non può accorrere sui campi di battaglia? forse una maglia di ferro, una spada, un cimiero le sarebbero di troppo peso? Ai piedi della quercia, dove ogni notte riposa, la fanciulla rinnova la preghiera alla Vergine perché le doni armi per combattere (Sempre all'alba ed alla sera); vinta dal sonno va a sedersi su una pietra ai piedi della quercia, chiedendo perdono alla Madonna per il voto richiestole e s'addormenta. 6. FINALE DEL PROLOGO. Dalla balza scende Carlo; si dirige all'altare della Vergine, vi depone l'elmo e la spada e s'inginocchia a pregare in silenzio, mentre il temporale si è ormai placato. Alla sola anima di Giovanna dormiente si fa intanto sentire da lontano un coro di Demoni (Tu sei bella) che con tono sommesso e blando, sul ritmo di un valzer scandito dal tinnire del triangolo, invitano la fanciulla a non sprecare i suoi giovani anni e a darsi all'amore terreno. Mentre le nuvole si diradano la foresta viene vivamente illuminata dal chiarore della luna; segue subito, sempre di lontano, il coro degli Angeli (Sorgi! i celesti accolsero): sull'accompagnamento dell'arpa essi annunciano a Giovanna che la sua preghiera è stata accolta; Dio l'ha scelta per salvare la Francia, ma guai a lei se si arrenderà a un amore terreno. I due cori si sovrappongono cercando l'uno di prevalere sull'altro. D'improvviso Giovanna si desta balzando in piedi e dichiarandosi pronta all'impresa. Nel dire questo vede Carlo davanti all'altare, il quale le chiede chi ella sia. Giovanna riconosce il re; dopo esser corsa alla balza per armarsi dell'elmo e della spada gli risponde dichiarandosi guerriera (Son guerriera che a gloria t'invita); esortando il re a liberare Orléans lo invita alla battaglia e a inalberare sull'inglese sconfitto il vessillo vittorioso della Francia. Carlo riconosce nello sguardo di Giovanna la fiamma di Dio e si sottomette al suo comando. Non visto, Giacomo esce dal limitare della caverna e subito riconosce il re. Né Giovanna né Carlo s'accorgono della sua presenza. Giovanna raccomanda alla Vergine il suo gregge, la sua casa e il vecchio padre (A te, pietosa vergine), mentre Carlo, al colmo dello stupore, crede di trovarsi di fronte non a una creatura mortale bensì a un angelo del cielo; ma per Giacomo ora tutto è terribilmente chiaro: la figlia si è data ai demoni infernali per un folle amore verso il re. Giovanna e Carlo s'allontanano rapidamente. Giacomo tenta di seguirli, ma cade al suolo oppresso dal dolore.

ATTO PRIMO Luogo remoto, sparso di rupi. In lontananza si scorge parte della città di Reims. 7. CoRo. Soldati inglesi sparsi qua e là in gruppi. Donne che piangono presso estinti, altre che assistono i feriti. La scena si apre su una musica turbolenta in stile semi-fugato, che esprime disordine e scompaginamento. Perduta Orléans gli Inglesi ora hanno solo un pensiero: tornare alle proprie famiglie. Il loro comandante,Talbot, cerca di riunirli, accusandoli di viltà; essi gli rispondono ricordandogli con quanto coraggio hanno finora combattuto (O duce, noi sempre mirasti); non temono di lottare contro uomini mortali, ma contro una furia scatenata a che giova il valore umano? Invano 1albot cerca di convincerli che ciò è frutto di fantasia e di paura: i soldati rispondono d'esser venuti a combattere dei soldati, non dei demoni armati. 8. SCENA ED ARIA. Il pericolo d'un ammutinamento viene evitato dalla comparsa di Giacomo; i capelli scomposti e i gesti dimostrano il disordine della sua mente. Viene ad avvertire che egli consegnerà prigioniera la donna che li ha sconfitti. Giura di farlo entro sera. Lo stupore è generale. Giacomo racconta la sua storia: egli è francese e ama la sua terra (Franco son io); ma tiene ancor più al proprio onore: ed è quindi risoluto a combattere insieme agli Inglesi contro un re che ha coperto d'onta il suo crine canuto. Talbot ordina di rialzare la tenda militare in luogo fortificato: in esso, assicurano i soldati, sarà eretto il rogo per l'empia donna. Un lamento di Giacomo infonde nei presenti un sentimento di pietà per il suo stato infelice. E in verità Giacomo è in lotta con se stesso e cerca di dominare i propri sentimenti dilaniati fra debolezza umana e forza spirituale (So che per via di triboli); Talbot e i soldati giurano di vendicarlo.

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Giardino nella corte di Reims. 9. SCENA E ROMANZA. È stato un grande giorno di festa. Per la prima volta dopo cento anni gli Inglesi sono stati sconfitti e ora si fanno i preparativi per l'incoronazione del re di Francia. Fuggendo dalla frastornante atmosfera della corte, Giovanna, eroina del giorno, adornata d'elmo, corazza e spada, s'è rifugiata nel giardino per restare sola. Ma anche qui le voci la perseguitano: nel breve preludio strumentale, per flauto, clarinetti e oboi, risuona il canto dei Demoni. L'assale il turbamento per un sentimento cui non osa dare nome. In fondo l'impresa è ormai compiuta, la Francia è salva; perché dunque rimanere a corte? Il canto dei Demoni irrompe in orchestra con forza brutale, ma viene troncato. Il pensiero di Giovanna si volge alla vita pastorale, alla capanna, al vecchio padre (O fatidica foresta). 10. SCENA E DUETTO - FINALE PRIMO. Nel momento in cui ella decide di tornare al villaggio, entra Carlo che le chiede di rientrare a corte dove tutti l'attendono. Ma Giovanna risponde che Dio la richiama a casa. Con trasporto Carlo la scongiura di non partire; preferirebbe che lei lo trafiggesse con la spada. Da lei ha avuto in dono il trono e con esso una ferita al cuore (Dunque, o cruda): le rivela che fin dal primo giorno l'ha immensamente amata. Giovanna, commossa, gli risponde che ora non è più l'inviata della Vergine e chiede d'essere rispettata come prima. Carlo protesta che il suo amore è santo e puro. Giovanna si copre il volto dall'emozione. Il ritmo incalzante dell'orchestra si fa più concitato trasformandosi in un pulsare affannoso: la giovane sente la mente smarrirsi, non sa più resistere. Alla fine cede: confessa a Carlo d'amarlo e si getta fra le sue braccia. D'un tratto ode le voci degli angeli che le ricordano di non accogliere un amore terreno, e subito si scioglie dall'abbraccio. Carlo è sorpreso dal suo gesto (T'arretri e palpiti!): il suo canto, dapprima spezzato dallo stupore, si distende infine in un'ampia melodia che invita a un amore sereno; ma Giovanna ha ancora nelle orecchie il canto degli angeli e le sembra di vedere fra le tenebre il fantasma del vecchio padre che la maledice. D'improvviso risuona una marcia militare; Carlo vede gente che si appressa. Entra una delegazione guidata da Delil (Le vie traboccano) per accompagnare Carlo alla cerimonia dell'incoronazione in cattedrale; Giovanna lo precederà inalberando la bandiera che Delil le consegna. Ai presenti non sfugge il volto turbato della giovane. Carlo congeda la delegazione; quindi si rivolge con dolcezza a Giovanna chiedendole che sia lei stessa a incoronarlo (Vieni al tempio e ti consola); Giovanna rimpiange fra sé di non esser morta sul campo di battaglia: la vita ora non le riserva che dolore. D'improvviso la sua anima è assalita dal coro dei Demoni (Vittoria, vittoria! Plaudiamo a Satàna) che, accompagnati dalla banda, cantano vittoria. Carlo è di nuovo sorpreso dall'atteggiamento della giovane che con disperazione grida "Son maledetta!". Le sollecite domande di Carlo, le grida disperate di Giovanna, il canto dei demoni si sovrappongono fra loro. Alla fine Carlo prende con trasporto la mano di Giovanna ed esce traendola seco.

ATTO SECONDO Piazza in Reims. Sul davanti a sinistra s'innalza la cattedrale dedicata a S. Dionigi. 11. GRAN MARCIA TRIONFALE. La scena è ingombra di popolo. Sul suono di una banda interna si leva un plauso all'indirizzo della giovane vergine che ha redento la terra di Francia debellando gl'Inglesi e sollevandola dal fango (Dal cielo a noi chi viene). Intanto il popolo viene diviso dai soldati, che sostano in due ali. Cessato il canto, inizia il corteo: entrano dapprima i suonatori, poi vengono fanciulle vestite di bianco recanti fronde, poi gli araldi, indi gli alabardieri. Dietro a questi vengono paggi, magistrati in toga, marescialli col bastone del comando, grandi con la spada dal pomo reale, la corona e il manto, i giudici con la verga, cavalieri e dame con l'abito dell'ordine, deputati e quindi fanciulle che spargono fiori. Finalmente, annunciati dal suono di campane e dallo sparo delle artiglierie, e salutati dagli evviva della folla, appaiono Giovanna con la bandiera e il re sotto un baldacchino portato da sei baroni. Cortigiani, servitori e soldatesca chiudono la processione. Tutti entrano nel tempio. Cessa la musica e tutto è silenzio. 12. SCENA E ROMANZA. Una sola persona rimane in scena. È Giacomo: sullo sfondo del tema tempestoso della Sinfonia egli si dichiara non più padre bensì il fulmine di Dio crucciato. Costernato e affranto compiange se stesso (Speme al vecchio era una figlia), povero padre costretto a offrire in olocausto al Signore la propria figlia per sottrarla a una condanna eterna.

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13. FINALE SECONDO. Si ode uno squillo di trombe provenire dal tempio; segue tosto un inno, parafrasi del Te Deum, eseguito a cappella (Te, Dio, lodiam), concluso dal rinnovato squillo delle trombe. La cerimonia è terminata, osserva Giacomo, e ora il corteo esce dal tempio condotto da sua figlia che ha il volto turbato. Precedendo Carlo con la corona in testa e tutto il corteo, esce Giovanna in stato di grande agitazione. Sembra voglia fuggire. Carlo, interpretando il suo gesto come un atto di modestia, la trattiene perché riceva l'omaggio di tutto il popolo, che acclama con trasporto la redentrice. Quindi Carlo annuncia che la Francia avrà ora due patroni, a ciascuno dei quali sarà eretto un tempio: Dionigi e Giovanna. D'improvviso s'avanza Giacomo gridando alla bestemmia. Giovanna riconosce il padre. La sorpresa è generale. Giacomo si rivolge al re: sulla fede di vecchio e di padre egli accusa la figlia di spergiuro (Comparire il ciel m'ha stretto): colpevole di amore terreno essa ha patteggiato coi demoni. La musica ridiventa tempestosa e la folla arretra inorridita. Acquetatasi la musica, si apre un episodio (No! Forme d'angelo) in cui Carlo esprime incredulità sulla colpevolezza di chi è simile a un angelo, Giacomo lotta con i propri sentimenti paterni, la folla commenta attonita e disorientata. Su tutti si eleva, dapprima solitario e arpeggiato dal clarinetto, il canto di Giovanna che si sottomette alla volontà divina (L'amaro calice). Carlo chiede alla giovane di discolparsi, ma ella tace impallidendo. Quindi chiede al padre le prove della sua accusa. Questi per tutta risposta prende la figlia per mano e per tre volte - in nome di Dio, della famiglia, dell'anima della madre - le chiede se non sia sacrilega. Nonostante gli appassionati appelli di Carlo, ella tace. Un improvviso tumulto orchestrale accompagnato da lampi e tuoni semina generale terrore. Ecco la risposta del cielo! grida Giacomo. Al suo grido tutti sono convinti che la prova è ormai manifesta: Giovanna è dunque una strega. Carlo, disperato per il suo ostinato silenzio, le promette aiuto. Ma Giacomo ammonisce severamente il re: il solo aiuto è in Dio; e chiama a sé la figlia piangente. La folla ora impreca contro Giovanna (Fuggi, o donna maledetta), urlandole di uscire dalle mura della città; solo Carlo è convinto della sua innocenza. Sul vociare della folla si leva alto il grido di Giovanna che dichiara purificata nel dolore la sua colpa (Contro l'anima percossa) e sarà dunque lieta di portare la croce. Carlo si unisce a lei: ma ormai non ha più potere di aiutarla. La scena si prolunga terminando fra le imprecazioni della folla. 206 Giovanna d'Arco

ATTO TERZO Interno d'una rocca nel campo inglese. Una scala conduce a una torre, dalla quale si dominano i campi 14. SCENA E DUETTO. Giovanna, cinta di grosse catene, è abbandonata sopra un sedile: vicino a lei s'innalza un rogo.A1 levar della tela si ode un triplice grido di sentinelle interne che lanciano l'allarme: i Francesi! Seguono tre colpi di cannone. Quindi lo squillo delle trombe annuncia che è iniziata la battaglia. Giovanna si riscuote; il suono bellicoso delle trombe la rende irrequieta: cinta di catene nel campo nemico con la vista del rogo, sente crescere il rumore: vorrebbe essere sul campo. Trovatasi rinchiusa, s'arresta immobile. A poco a poco, mentre Giacomo entra di soppiatto e si ferma non visto a osservarla, Giovanna si rianima: come in delirio vede le legioni scontrarsi; lei stessa incita i suoi. Poi vede il re che avventatosi come turbine sugli Inglesi ne viene tosto circondato. Cessa la battaglia. Sconsolata, Giovanna si sente abbandonata da Dio e cade in ginocchio; apre il suo cuore a Lui: ha amato sì un uomo, ma solo per un istante (Amai, ma un solo istante); il suo cuore è puro e non ha più palpiti che per il Signore. Giacomo, che prima riteneva pazza la propria figlia, ora è stupefatto: ella prega Dio! Si rende conto d'aver avuto egli stesso la mente annebbiata. Alzandosi infiammata dalla fede, Giovanna chiede a Dio che le spezzi le sue catene come già le spezzò a Saul [in realtà a Sansone]. Giacomo accorre a lei, liberandola dai ceppi e chiedendole perdono. La giovane, quasi incredula, si getta fra le sue braccia chiedendo d'essere da lui benedetta. Ponendole le mani sul capo Giacomo esaudisce la sua preghiera. Fortificata dalla benedizione paterna (Or dal padre benedetta) è impaziente di percorrere il sentiero di guerra; Giacomo stesso ora la incoraggia a combattere e a condurre il suo stendardo sull'ali della vittoria. Sguainata la spada, Giovanna esce precipitosamente. 15. BATTAGLIA. Riprende il suono della musica guerresca. Salito alla torre, Giacomo guarda i campi della battaglia; vede la figlia volare sul suo bianco destriero, apparire in cento luoghi, liberare il re dalla mischia, riuscendo a far arretrare le turbe dei nemici. La vista viene offuscata da

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un'enorme nuvola di polvere. Mentre Giacomo scende dalla torre attraverso la ringhiera, entrano soldati francesi che annunciano la conquista della rocca. 16. SCENA E ROMANZA. Entra quindi Carlo: per la seconda volta è stato salvato da Giovanna. Gli si presenta Giacomo invocando per sé la punizione del re. Ma Carlo perdona: Giovanna stessa lo ha pregato di accorrere alla rocca in difesa del padre. Sopraggiunge Delil annunciando la sconfitta degli Inglesi; ma Giovanna è morta! Silenzio generale. Giacomo nasconde il viso fra le mani. Il re guarda mestamente i suoi. Poi s'avanza lentamente. Il suo canto diventa un lamento (Quale più fido amico): vorrebbe rinunciare alla vita e al trono; oh, potesse nell'anima inaridirsi la fede per fargli dimenticare il dolore. 17. MARCIA FUNEBRE.A1 grave suono di una marcia funebre avanza un mesto corteo, con alla testa soldati francesi che con gli stendardi precedono Giovanna adagiata sulla bara. Il coro commenta sommesso (Un suon funereo): la giovane sembra un angelo dormiente. Giacomo avverte un gemito. Carlo nota che essa sta socchiudendo gli occhi. Mentre la musica raggiunge il culmine trionfale della sonorità, Giovanna cerca di sollevarsi. Carlo grida al miracolo! 18. SCENA - FINALE TERZO. Giovanna si leva diritta, muovendosi come investita da una forza soprannaturale. Riconosce Carlo, riconosce il padre. Si dichiara innocente e chiede le sia data la sua insegna per portarla in cielo. Carlo gliela consegna. Nel riceverla Giovanna è come rapita in estasi: vede il cielo aprirsi e la Vergine venirle incontro (S'apre il ciel); Carlo scongiura di non abbandonare la Francia, suo padre, il suo re; Giacomo, rassegnato, chiede la benedizione della figlia. Le tre voci s'intrecciano. Poi ancora solitaria si leva la voce di Giovanna che si sente innalzare da una nube dorata e vede la propria corazza trasformarsi in ali. All'apoteosi finale si aggiunge il canto degli angeli esultanti e quello dei demoni sconfitti, quindi quello di tutti i presenti. Infine Giovanna cade. Una luce siderea si spande improvvisamente nel cielo. I soldati abbassano gli stendardi e tutti si prostrano innanzi al glorioso cadavere.

Alzira Tragedia lirica in un prologo e due atti di Salvadore Cammarano

Prima rappresentazione: Napoli,Teatro di S. Carlo, 12 agosto 1845 L'argomento deriva da una tragedia in versi di Voltaire (Parigi, 1694 - 1778), Alzire, ou les Américains, rappresentata nel 1736, basata su un fatto accaduto in Perù nel XVI secolo: l'assassinio del governatore spagnolo Gusman nel giorno delle sue nozze con una principessa Inca, avvenuto per mano di un membro della tribù. Questa tragedia era ancora considerata a metà Ottocento opera di esaltazione della religione cristiana contro il fanatismo idolatra dei popoli barbari. Ben altro era naturalmente il suo messaggio: una condanna del fanatismo e dell'intolleranza di tutte le religioni, semmai, onde dimostrare che la vera religiosità sta nell'amore fra gli uomini: meglio essere infedeli ai propri riti pur di restar fedeli ai doveri dell'uomo, come Voltaire dichiara esplicitamente nella prefazione al dramma. Fu lo stesso Cammarano - verso il quale Verdi nutriva altissima stima e con il quale iniziava una collaborazione che poi avrebbe prodotto altre tre opere, fra cui Luisa Miller e Trovatore - a proporre un argomento già musicato in precedenza da Zingarelli (Firenze 1794), da Nicolini (Genova 1796) e da Nicola Manfroce (Roma 1810). Nel libretto i motivi ispiratori della tragedia di Voltaire pressoché scompaiono per lasciar invece emergere il dramma privato attraverso il confronto fra il 'barbaro' Zamoro e il 'cristiano' Gusmano, con in mezzo l'indigena Alzira. Verdi compose l'Alzira "senza nessuna fatica" (come ebbe a dichiarare egli stesso) fra aprile e maggio del 1845, un periodo in cui fu soggetto a frequenti disturbi alla gola e allo stomaco. Cammarano prese forse troppo alla lettera la sua raccomandazione di "tenersi breve": l'Alzira risultò infatti l'opera più corta del maestro, tanto che l'impresa napoletana offrì un compenso fuori contratto affinché il compositore vi aggiungesse una Sinfonia. Alla prima rappresentazione il successo fu discreto. Migliore, ma non di molto, l'accoglienza del pubblico romano nel successivo ottobre. Applaudita a Parma nel 1846, l'Alzira cadde alla Scala nel 1847 ed ebbe un'unica rappresentazione. Verdi stesso, che sulle prime aveva difeso la sua opera, si convinse che v'erano in essa difetti strutturali. Che egli poi la dichiarasse "proprio brutta" è affermazione spesso riportata dai biografi, ma che non ha finora trovato

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riscontro nei documenti. Dopo una decina di allestimenti l'opera scomparve letteralmente dalle scene. Rimase in vita per qualche tempo la sola cabaletta di Zamoro, "Non di codarde lagrime", che i tenori abitualmente interpolavano nel Macbeth. Dopo più di un secolo (l'ultima apparizione era avvenuta a Malta nel 1858) l'Alzira fu ripresa all'opera di Roma nel febbraio del 1967; dopo di allora sono seguite solo rare ricomparse (fra cui Amburgo nel 1983, Parma nel 1991).

PERSONAGGI E PRIMI INTERPRETI ALVARO, padre di Gusmano} Governatori del Perù secondo basso Marco Arati GUSMANO primo basso [baritono] Filippo Coletti OVANDO, duce spagnuolo secondo tenore Ceci ZAMORO ATALIBA Capi di Tribù Peruviane secondo basso Michele Benedetti ALZIRA, figlia di Ataliba prima donna Eugenia Tadolini ZUMA, ancella di Alzira seconda donna Anna Salvetti OTUMBO, guerriero americano secondo tenore Francesco Rossi Ufficiali e soldati spagnuoli. Americani d'ambo La scena è in Lima ed in altre contrade del Perù L'epoca è verso la metà del secolo XVI

RIASSUNTO DELL'AZIONE DRAMMATICA 1. SINFONIA. Un critico dell'epoca vi rilevò "il doppio carattere selvaggiamente guerriero ed amoroso che informa il dramma". È in due movimenti. Il primo di essi, in tempo Andante mosso, eseguito in prevalenza dai legni, presenta un colore vagamente esotico. Il secondo movimento, in tempo Prestissimo, introdotto da tre squilli di corno e di tromba, ha un carattere bellicoso, addolcito a metà movimento da una patetica melodia del clarinetto, e si conclude con un tema che sarà poi citato nella marcia trionfale degli Spagnoli a inizio del primo atto.

PROLOGO: Il Prigioniero Vasta pianura, irrigata dal fiume Rima. L'oriente è ingombro di maestose nubi, imporporate dai raggi del sole nascente. 2. INTRODUZIONE. Un brutale crescendo dell'orchestra sottolinea l'entrata di Otumbo alla testa d'una tribù di Americani che trascinano Alvaro fra catene; alcuni di essi lo annodano a un tronco, tutti gli altri gli danzano intorno gridando con accento ferocissimo un inno di guerra (Muoia coverto d'insulti): la morte del prigioniero avvenga fra interminabili tormenti; e invocano i fratelli caduti combattendo perché sorgano dalle tombe per assistere al supplizio. 3. SCENA, CAVATINA E STRETTA DEL PROLOGO. Mentre Alvaro, con cristiana rassegnazione, invoca sugli indigeni il perdono di Dio, essi, alzando urli di frenetica gioia, s'avventano su di lui, alcuni con frecce, altri con picche e tizzi ardenti. In quel mentre appare una canoa: ne discende Zamoro. Otumbo e i suoi si gettano ai suoi piedi, increduli nel rivederlo vivo. Zamoro nota il prigioniero; ma non vuole festeggiare la gioia del suo ritorno con il sangue. Comanda che egli sia liberato dai legami; gli Americani eseguono. Zamoro ordina al prigioniero di tornare fra i suoi e di raccontare loro che deve la vita a mi 'selvaggio'. Alvaro abbraccia commosso il suo liberatore. A un cenno di Zamoro Alvaro parte, scortato da alcuni della tribù. Otumbo esprime la propria sorpresa nel rivedere il guerriero che si riteneva morto. Ed effettivamente morto lo ritenne l'empio Gusmano dopo la tortura inflittagli. Esplode l'odio di Zamoro per il tiranno (Un Inca... eccesso orribile!), un carnefice che osa chiamare barbari gli Inca; e irresistibile vola il pensiero all'amata Alzira. Al sentirne il nome Otumbo lo informa che ella è prigioniera con il padre in Lima. Zamoro è sorpreso, ma non dispera di salvarla; e racconta che, ritornato in vita (Risorto fra le tenebre), nell'attraversare luoghi ombrosi ha visto "mille tribù guerriere" risolute a vendicarsi degli oltraggi perpetrati dagli Spagnoli. Tutti salutano con gioia la notizia che una grande rivolta sta per scoppiare, e s'abbracciano con occhi scintillanti di selvaggia esultanza. La scena culmina in un inno di battaglia all'unisono (Dio della guerra). Alla fine gli Americani s'avviano tumultuosi, agitando nell'aria vivamente frecce, clavi ed aste.

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Salvadore Cammarano

Antonio Ghislanzoni

ATTO PRIMO: Vita per vita

Piazza di Lima. 4. CORO D'INTRODUZIONE. Al lieto suono di una banda militare in scena si schierano le milizie spagnole; gli ufficiali si radunano in crocchio. I soldati raccontano dell'arrivo di un

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messaggio del re di Spagna (Giunse or or, da lido ispano); `con entusiasmo guerriero' auspicano che esso contenga l'ordine di conquistare nuove terre americane. 5. SCENA E CAVATINA. Ad essi si rivolge Alvaro per comunicare che su disposizione regia l'ufficio di governatore passerà a Gusmano, suo figlio. Questi dichiara che il primo atto del suo governo sarà un accordo con l'Inca per la cessazione d'ogni ostilità. Protendendo la destra in atto di grave giuramento Ataliba aderisce alla proposta. Gusmano gli ricorda una promessa fattagli quale pegno di pace: d'avere in sposa sua figlia Alzira. Ataliba risponde che i tempi non gli sembrano maturi per il matrimonio: Alzira è oppressa da una 'fatale mestizia'. Gusmano conosce il motivo di tale incertezza: Alzira gli è contesa da un'ombra (Eterna la memoria), quella d'un uomo ch'egli stesso ha debellato e di cui ella è ancora follemente innamorata. Ad Alvaro che gli consiglia perseveranza e ad Ataliba che gli chiede di attendere, Gusmano oppone l'ardore di un sentimento che non conosce pazienza ed esorta il padre di Alzira d'imporre il suo volere sulla figlia. Mentre Ataliba parte, Gusmano dichiara che tutta la sua fama e la sua gloria non sono che polvere e cenere senza la donna che ama (Quanto un mortai può chiedere). Appartamento destinato ad Ataliba, nel palazzo del Governatore. 6. SCENA E CAVATINA. Su un breve preludio di violini con sordine, Zuma s'avanza silenziosamente, seguita da altre donzelle americane; solleva una cortina, al di là della quale si scorge Alzira addormentata su un divano; osserva la sorella, che distrutta dal pianto sembra aver trovato un momento di quiete; le ancelle sussurrano pregando che ella trovi pace nel sonno. Immersa in un sogno Alzira mormora il nome di Zamoro, ma subito si desta e percorre la scena come in cerca di qualcuno. Non lo trova. Si rende conto d'aver sognato. Vede la sorella e le ancelle. Narra loro il suo sogno (Da Gusman, su fragil barca): fuggiva da Gusmano su una canoa, quando venne colta nell'oceano da un uragano; era sul punto d'annegare allorché, improvvisamente sollevata da un'ombra errante fra le nubi tempestose, si ritrovò fra le braccia di Zamoro; il turbine dell'uragano le parve la voce dell'amore. Le ancelle, impietosite, supplicano la giovane di non vivere di sogni. Zamoro è ormai morto. In terra, risponde Alzira, ma non in cielo; egli vive nell'astro che sfavilla nella notte (Nell'astro che più fulgido); egli è divenuto una scintilla immortale; trasformata in luce, lei stessa ascenderà a lui per vivere un amore eterno. 7. SCENA E DUETTO. Entra Ataliba. La figlia gli va incontro, mentre Zuma e le donzelle, a un cenno di Ataliba, si ritirano. Egli deve compiere la missione impostagli da Gusmano: costringere la figlia a sposarlo. Alzira gli ricorda che Alvaro gli tolse il trono ma gli conservò la vita; invece Gusmano ha tolto a Zamoro, cui era stata solennemente promessa, e trono e vita. Ataliba le fa notare che l'ultima speranza dei popoli oppressi, privati di re e di religione, è nell'amore di Gusmano per lei. Amore in quel tiranno? ribatte ironica Alzira. Ma a questo punto Ataliba non ammette più obiezioni: quando il padre impone, la figlia deve ubbidire. E parte. Appare Zuma, informando Alzira che un Inca chiede di poterla riverire. Entra lo sconosciuto: è Zamoro! (Anima mia!). Su una musica vibrante dal ritmo affannoso Alzira, incredula alla vista del proprio amato, indietreggia gridando al prodigio, ma subito si getta fra le sue brac-` cia; durante il concitato dialogo Zamoro apprende con sollievo che Alzira non è ancora sposata a Gusmano. I due innamorati rinnovano la loro promessa d'amore; caduto l'impero degli "infidi numi", non resta loro che giurarsi fede l'un l'altro (Risorge ne' tuoi lumi). 8. FINALE DELL'ATTO PRIMO. Appare improvvisamente Gusmano, accompagnato da Ataliba e gentiluomini spagnoli, e scorge Alzira fra le braccia di un uomo. Chiede chi egli sia: si trova di fronte al redivivo Zamoro, che subito accusa il tiranno d'averlo privato d'ogni bene in terra, non del cuore di Alzira. Gusmano ne ordina immediatamente l'arresto, invano trattenuto da Ataliba che gli ricorda la pace concordata con gli Inca. Zamoro dichiara il proprio diritto a riprendersi la promessa sposa. Come Gusmano ordina di trascinare il rivale al supplizio, Alzira si precipita disperatamente fra i soldati e Zamoro. Questi sfida Gusmano; gli ha chiesto spesso di affrontarlo in leale combattimento (Teco sperai combattere), ma Gusmano sa solo parlare di prigione, tortura, patibolo; non è un guerriero, ma un carnefice! Gusmano impassibile ripete l'ordine ai soldati. Come questi si muovono per trascinare Zamoro, entra in scena improvvisamente il vecchio Alvaro, che subito riconosce in Zamoro l'uomo generoso che gli salvò la vita. Sorpresa generale. Alzira si rivolge implorando pietà ad Alvaro, che chiede tosto la grazia al figlio. Ma Gusmano non recede:

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Zamoro deve morire. Alvaro cade in ginocchio ai piedi di Gusmano raccontandogli l'atto generoso compiuto da Zamoro e implorando misericordia per lui (Nella polve, genuflesso); ma Gusmano rimane inflessibile, sebbene a disagio; e mentre da un lato Zuma e Ataliba manifestano la loro disperazione, dall'altro Alzira lamenta che troppo breve è stata la sua felicità; Zamoro si unisce al canto della donna amata per esprimere fiducia nella sua fedeltà. S'ode lontano, sul ritmo di una banda, un mormorio che va crescendo a poco a poco. Entra il capitano spagnolo Ovando con la notizia che gli Inca sono in marcia su Lima per chiedere la liberazione del loro capo Zamoro. Nella concitazione del momento Gusmano prende una decisione: seguendo l'esempio del padre, darà una vita in cambio d'una vita; e dopo aver ordinato alle guardie di lasciar libero Zamoro, corre fra le braccia del padre, tuttavia ammonendo Zamoro: lo rivedrà sul campo di battaglia. Durante la stretta del finale Gusmano promette al rivale di ritogliergli con la spada la vita che ora gli ha reso (Trema... a ritorti fra l'armi); dal canto suo Zamoro giura a Gusmano che avrà il suo scalpo, mentre Alzira si propone di seguire l'amato e di fargli da scudo. Ataliba e Alvaro deplorano che si dia voce alle armi; ma Ovando e i soldati ora pensano a come affrontare l'assalto dei nemici.

ATTO SECONDO: La vendetta d'un selvaggio Parte interna delle fortificazioni di Lima. 9. INTRODUZIONE - BRINDISI. Qua e là drappelli spagnoli sbevazzano allegramente inneggiando alla vittoria (Mesci, mesci). D'un tratto il ritmo brutale della canzone si trasforma in quello di una marcia funebre: si vedono, scortati da soldati spagnoli, alcuni prigionieri americani in catene, fra i quali Zamoro, che attraversano la scena. I soldati riprendono a cantare il brindisi. 10. SCENA E DUETTO. Entra Gusmano, accompagnato da Alzira, e annuncia ai soldati la divisione delle spoglie nemiche. Con lui è Ovando, che gli presenta la sentenza di morte per Zamoro, accusato di ribellione. Gusmano s'avvia a un tavolo per firmarla, ma Alzira lo trattiene implorando clemenza. Fatti uscire con un cenno Ovando e i soldati, Gusmano dichiara ad Alzira che solo acconsentendo a diventare sua sposa potrà salvare Zamoro. A lei la scelta. Prorompendo in lagrime la donna si getta ai suoi piedi; attraverso un canto rotto dall'emozione e punteggiato dai passaggi lamentosi dell'orchestra (Il pianto... l'angoscia...), essa protesta che se sarà costretta allo spergiuro la sua vita sarà comunque spenta; il pianto di Alzira provoca in Gusmano un maggiore sdegno: ancora un indugio e Zamoro per causa sua salirà al rogo. Egli sta per firmare la sentenza di morte, quando infine Alzira cede. Gusmano ordina immediatamente a Ovando di preparare la festa nuziale ed esplode in un palpitante canto di gioia (Colma di gioia ho l'anima), mentre Alzira, al massimo della disperazione, esprime la speranza di morire ai piedi dell'altare nuziale. Orrida caverna, appena rischiarata da un raggio di luna, che vi scende attraverso un forame. 11. SCENA ED ARIA. La scena, vuota per qualche tempo, si apre su un breve preludio strumentale, dominato dal suono grave di un serpentone che evoca l'oscurità della spelonca. Si avanza Otumbo, guardingo, che batte su uno scudo d'oro che pende sospeso: superstiti americani sbucano dalle parti più sinuose della caverna, dove s'erano appiattati. Otumbo comunica loro che grazie all'oro, quel maledetto oro cagione di tanti mali, ha potuto corrompere le guardie di Zamoro e far fuggire il prigioniero sotto vesti spagnole. Sentendo un rumore, i soldati accorrono all'ingresso dell'antro: entra Zamoro. Mentre in orchestra risuona il motivo del preludio, tutti si prostrano al suo incedere. Rialzatili con un cenno, Zamoro volge lentamente gli occhi, pieni di cupa tristezza, e getta uno sguardo, come vergognandosi, all'abito spagnolo che lo riveste. I suoi compagni cercano di confortarlo. Ma Zamoro, distrutto nell'anima, esprime la propria impotenza (Irne lungi ancor dovrei); lui che ha sempre guardato impavido la morte in volto, ora non può più vivere senza Alzira: l'amore rende purtroppo debole l'animo del guerriero. Otumbo gli dice che l'ingrata Inca ormai non è più degna di lui: ella stessa si è data; non vede Zamoro in lontananza il brillare delle faci che annunciano le nozze di Alzira con Gusmano? Con un grido selvaggio e cacciandosi furiosamente le mani fra i capelli, mentre un tremore convulso lo assale in tutta la persona, Zamoro esplode: la sua disperazione si trasforma in un accesso di incontenibile furore (Non di codarde lagrime); invano trattenuto dai compagni, dichiara di partire la notte stessa per Lima per compiere la sua vendetta. Vasta sala nella residenza del Governatore, con logge nel fondo, dalle quali si scorge la città di Lima illuminata; nel mezzo una tribuna, a cui si sale per tre o quattro gradini.

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12. CORO D'ANCELLE. La scena è ingombra di milizie spagnole; i comandanti stanno sulla tribuna; le ancelle di Alzira da un lato. Introdotto dal suono della banda su un ritmo di bolero le ancelle acclamano le nozze che uniranno Americani e Spagnoli, vinti e vincitori, in una pace duratura (Tergi del pianto, America). 13. SCENA ED ARIA FINALE. Entra Gusmano, che presenta la sua sposa alla folla riunita. Si sente l'anima inebriata: è bello il suono della vittoria (È dolce la tromba), ma ancor più grande è la gioia di possedere la donna amata. Dà infine ordine di cominciare il rito nuziale, mentre Alzira, disperata, invoca d'essere inghiottita dalla terra. Le stende la mano per condurla all'altare, ma non arriva a stringerla: un soldato s'avventa su di lui e gl'immerge un pugnale nel petto.Viene riconosciuto: è Zamoro! Cento spade balenano sul suo capo. Ma Zamoro ormai non teme la morte: esulti pure la traditrice Alzira alla vista del suo sangue, e impari Gusmano come si muore. Sostenuto da Ovando e da alcuni ufficiali, Gusmano si rivolge al rivale perché apprenda ben altre virtù: il tuo dio, Zamoro, ti ha consigliato una vendetta orribile, il mio dio m'impone di perdonare (I numi tuoi, vendetta atroce); solo per la tua salvezza Alzira ha ceduto a me. Quindi spinge Alzira fra le braccia di Zamoro: vivano insieme giorni d'amore. Tutti manifestano profonda commozione per il gesto di Gusmano. Erompe a un tratto il grido disperato del padre, Alvaro; raccogliendo le forze estreme Gusmano fa qualche passo verso di lui e si pone la mano paterna sul capo per riceverne la benedizione. Quindi cade morto.

Attila Dramma lirico in un prologo e tre atti - Poesia di Temistocle Solera

[completato da Francesco Maria Piave] Prima rappresentazione:Venezia,Teatro La Fenice, 17 marzo 1846

L'argomento deriva dalla tragedia di Zacharias Werner (Kònigsberg, 1768 - Vienna, 1813), Attila, Kiinig der Hunnen, composta nel 1808 e descritta da Madame de Staél in De l'Allemagne. Animato da una forte avversione nei confronti di Napoleone, a quel tempo dominatore dell'Europa, Werner volle assumere la figura di Attila a simbolo della tirannide napoleonica; nel consultare tuttavia i documenti storici apprese che il "flagello di Dio" fu in realtà sovrano saggio e guerriero leale, che diede leggi al suo popolo e seppe amministrarlo con giustizia: ne seguì che nella tragedia la sua figura emerge come immagine rovesciata di Napoleone e al tempo stesso come esaltazione del mito germanico in opposizione al corrotto mondo occidentale, cui alla fine soccombe. In tal senso il libretto riflette abbastanza fedelmente la tragedia di Werner; e sono pertanto in errore quegli studiosi che assegnano all'Attila verdiano un carattere risorgimentale; ben al contrario: anche in Verdi si tratta del dramma d'un sovrano inesorabile, ma fiero e solitario nella sua lealtà, che resta vittima degli intrighi dei "romani". Dopo aver chiesto ad Andrea Maffei uno "sbozzo" della tragedia di Werner; Verdi aveva in un primo momento affidato la stesura del libretto a Piave, indicandogli i punti salienti del dramma e invitandolo a leggere l'Allemagne della Staél. Per un soggetto cui annetteva molta importanza, preferì poi affidarsi al più esperto Solera. Più esperto, sì, ma assai meno tempestivo e puntuale di Piave. Inopinatamente partitosene il focoso Temistocle alla volta della Spagna per raggiungervi la moglie cantante, ivi scritturata, Verdi rimase alle prese con un libretto che, per quanto apparentemente ultimato, necessitava di ritocchi e di ulteriori modifiche, specie nel terzo atto. Per non perdere ulteriormente tempo il compositore ritornò alla collaborazione del più servizievole e infaticabile Piave, le cui modifiche furono peraltro approvate da Solera su richiesta di Verdi. Già alla prima sera l'opera ottenne un grande successo, entrando subito nel repertorio dei teatri italiani in patria e all'estero per quasi tutto il corso del secolo. Come altre opere del periodo giovanile, l'Attila scomparve dalle scene all'alba del nuovo secolo. Ignorata dalla Verdi-Renaissance, la rinascita dell'opera, pur lenta, ma costante, inizia a partire, in pratica, da un allestimento effettuato al Comunale di Firenze nel dicembre del 1962.

PERSONAGGI E PRIMI INTERPRETI ATTILA, re degli Unni primo basso Ignazio Marini EZIO, generale romano primo basso [baritono] Natale Costantini ODABELLA, figlia del signore d'Aquileja prima donna Sofia Loewe

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FORESTO, cavaliere aquilejese primo tenore Carlo Guasco ULDINO, giovane bretone, schiavo di Attila secondo tenore Ettore Profili LEONE, vecchio romano secondo basso Giuseppe Romanelli Duci, re e soldati, i.Jnni, Gepidi, Ostrogoti, Eruli, Turingi, Quadi, Druidi, Sacerdotesse, Popolo uomini e donne di Aquileja, vergini di Aquileja in abito guerriero, ufficiali e soldati romani, vergini e fanciulli di Roma, eremiti, schiavi La scena durante il Prologo è in Aquileja e nelle Lagune Adriatiche; durante i tre Atti è presso Roma Epoca: la metà del secolo V [anno 452 circa] Nota storica: La vicenda drammatica presenta tre personaggi storici. Innanzi tutto il protagonista,Attila (395 ca. - 453), re degli Unni (popolazione di origine turco-mongolica); dopo aver unificato le varie tribù riuscì a dominare i territori della Russia meridionale e del bacino del Danubio sconfiggendo l'imperatore d'Oriente Teodosio II; nel 451 invase la Gallia, ma sconfitto da Ezio ai Campi Catalaunici (località pianeggiante della Francia presso Chàlons-sur-Marne), rientrò in Pannonia da dove iniziò la sua marcia verso l'Italia, distruggendo Aquileja. Sul Mincio (e non nei pressi di Roma come si finge nel dramma) s'incontrò con papa Leone I Magno: la fame e le malattie che colpirono il suo esercito lo convinsero alla pace e al ritorno in Pannonia. "Flagello di Dio" per la tradizione cristiana, egli è tuttavia ricordato nella saga nibelungica e nei carmi dell'Edda come monarca valoroso e saggio. Nel dramma dovrebbe avere 57 anni. Suo antagonista è Flavio Ezio, generale romano di origine illirica (390-454); rimasto come ostaggio presso gli Unni, strinse con loro amichevoli rapporti. Per volere di Galla Placidia gli fu affidato il comando dell'esercito dell'Impero d'Occidente e combatté vittoriosamente contro Goti e Franchi; nel 451 (un anno prima degli avvenimenti esposti nel dramma), alleatosi con Visigoti, Burgundi e Franchi, vinse gli Unni ai Campi Catalaunici, arrestando per qualche tempo la marcia di Attila verso l'Italia. Nel dramma dovrebbe avere circa 62 anni. Il terzo personaggio storico, che fa una fugace ma importante apparizione nel finale del primo atto, è papa Leone I Magno, che opportunità di censura fanno designare nel libretto come "vecchio romano". Un altro personaggio storico non presente nel dramma, cui allude Ezio nella prima parte del primo atto, è il "regnator d'Oriente", cioè Valentiniano III (419-455), figlio di Galla Placidia, eletto nel 424, all'età di cinque anni, sul trono dell'Impero d'Oriente (inetto e vizioso, accecato dalla gelosia nei confronti del generale Ezio, lo ucciderà in uno scatto d'ira, restando a sua volta ucciso da due commilitoni di Ezio). La seconda scena del Prologo si svolge a Rio-Alto (da cui Rialto), l'antico agglomerato di case sorgenti su palafitte, eretto - secondo la leggenda - dagli scampati alla distruzione di Aquileja, che diverrà in seguito la città di Venezia.

RIASSUNTO DELL'AZIONE DRAMMATICA

1. PRELUDIO. È piuttosto breve, quasi laconico; inizia con il tema sul quale i Druidi nel finale del secondo atto pronunceranno le loro profezie e si conclude con una dolente melodia caratterizzata dalla figura musicale del lamento.

PROLOGO Piazza di Aquileja. La notte vicina al termine è rischiarata da una grande quantità di torce. Tutto all'intorno è miserando cumulo di rovine. Qua e là si vede ancora tratto tratto sollevarsi qualche fiamma, residuo di un orribile incendio di quattro giorni. 2. INTRODUZIONE. La scena è ingombra di Unni, Eruli, Ostrogoti, ecc. inneggianti ad Attila e al dio Wodan che li hanno condotti alla scoperta del ricco suolo d'Italia (Urli, rapine, gemiti). A poco a poco un possente re s'avanza, con il suo seguito, su un carro tirato da schiavi: è Attila che fa il suo ingresso trionfale. Al suo passaggio tutti si prostrano. Ma Attila scendendo dal carro li fa alzare (Eroi levatevi) e, andando a sedersi su un trono di lance e di scudi, rammenta loro la rapidità delle sue imprese: i barbari inneggiano al loro re, ministro e profeta del dio Wodan (Viva il re dalle mille foreste). 3. SCENA E CAVATINA. Scendendo dal trono Attila scorge un gruppo di donne risparmiate al massacro e chiede ai suoi perché fu infranto il suo ordine di sterminare gli sconfitti. Uldino, un Bretone schiavo di Attila, risponde che queste guerriere così mirabili nel difendere i loro fratelli possono essere un degno tributo alla gloria di Attila. Il re è stupito.Tra queste guerriere è Odabella, figlia del signore di Aquileia, trucidato dagli Unni, la quale con energia assicura che santo amor di patria anima le donne italiche (Allor che i forti corrono), e se le compagne dei

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barbari rimangono su un carro a piangere i loro cari, le donne italiche saranno sempre pronte alla battaglia. Attila, sorpreso e ammirato dal coraggio e dalla fierezza della giovane, decide di concederle una grazia. Odabella chiede una spada; il re pronto le porge la sua. Odabella coglie il senso di un dono ambiguo con il quale l'oppressore arma l'odio dell'oppresso (Da te questo or m'è concesso); e mentre i barbari inneggiano al valore di un re, protetto dal dio Wodan, che sa distruggere con l'impeto di un torrente in piena e che delicato come la rugiada premia i valorosi, Attila rimane turbato: nel suo animo coriaceo sente scendere un sentimento nuovo. Meditando vendetta, Odabella si allontana con le altre donne. 4. DUETTO. Attila si rivolge a Uldino e gli ordina di far entrare il messo di Roma. Il popolo ha un sussulto di sdegno, che il re placa con calma: ascoltare non vuol dire accettare. Ezio, ufficiale romano, giunge al campo di Attila in veste di messaggero di Roma. Attila lo saluta come vecchio amico e suo degno nemico. Ezio gli chiede bruscamente un colloquio privato. Il barbaro intima a tutti di uscire. Appena soli, Ezio salta ogni convenevole: propone al re unno di allearsi a lui e, approfittando della debolezza dei regnanti dell'impero d'oriente e di quello d'occidente, l'uno vecchio e debole, e l'altro solo un ragazzo (Tardo per gli anni, e tremulo), impadronirsi di tutte le antiche terre dell'impero romano; poi si divideranno il bottino: a Ezio l'Italia, ad Attila il mondo intero. Attila, disgustato, disprezza con vigore la proposta del romano; con severità ammonisce l'avversario, che pure stima valoroso combattente: laddove un eroe è disposto al tradimento, il popolo è perduto e la stessa aria è impura, e allora sarà proprio lì che piomberà il flagello di Attila e si manifesterà la fede di Wodan. Nel vedersi respingere il patto, Ezio si rimette i panni del messaggero di Roma e dichiara guerra al re degli Unni in nome dell'imperatore. Con impeto Attila promette all'avversario che sommergerà nella polvere il sonnolento impero romano (Vanitosi! che abbietti e dormenti) e ridurrà in cenere le superbe città italiane; ma Ezio gli ricorda la sconfitta infertagli a Chàlons. Con queste minacce di guerra partono entrambi da opposte parti. Rio-Alto nelle lagune adriatiche. Qua e là sopra palafitte sorgono alcune capanne comunicanti fra loro per lunghe asse sorrette da barche. Sul davanti sorge in simile guisa un altare di sassi dedicato a San Giacomo. Più in là si scorge una campana appesa ad un casotto di legno, che fu poi il campanile di San Giacomo. 5. SCENA E CAVATINA. Un fragoroso preludio strumentale descrive la forza dell'uragano in corso: la scena s'illumina di lampi, risuona di tuoni. Quando la tempesta si placa e le tenebre vanno diradandosi si odono i rintocchi insistenti di una campana che suona il mattutino. Alcuni eremiti escono dalle capanne e si avviano all'altare intonando canti di lode al Signore e Creatore che, dopo averla suscitata, acquietò d'un soffio la tempesta (Qual notte!). Un interludio strumentale descrive il sorgere dell'alba che a poco a poco invade la scena; gli eremiti salutano il primo raggio di sole invitando alla preghiera. Dalle navicelle, che approdano a poco a poco, escono Foresto, uomini, donne e fanciulli di Aquileja scampati alla strage di Attila. Foresto, cavaliere aquileiense, promesso sposo di Odabella, interpreta la presenza delle croci e degli altari come un buon auspicio e invita i suoi compagni ad accamparsi. Gli Aquileiensi inneggiano a Foresto, che riconoscono come loro capo. Il giovane, ormai al sicuro sulla spiaggia, pensa alla sua promessa sposa, Odabella, schiava dell'Unno, una sorte atroce che ben varrebbe forse la morte (Ella in poter del barbaro).Tutti cercano di consolarlo: il sole luminoso che ora splende sembra una promessa per il futuro; ma il pensiero di Foresto si rivolge alla patria perduta, Aquileia, divenuta un cumulo di macerie (Cara patria, già madre e reina) e che tuttavia risorgerà, come fenice dalle ceneri, sulle onde della laguna per rivivere ancor più superba e bella.

ATTO PRIMO Bosco presso il campo di Attila. È notte; nel vicino ruscello bulicano i raggi della luna. 6. SCENA E ROMANZA. Sono passate molte settimane; ora Attila si trova con il suo esercito a poche miglia da Roma. Una triste melodia di violini introduce l'ingresso in scena di Odabella che, finalmente sola, può dare sfogo alla sua tristezza e piangere i suoi lutti. Nelle nuvole che attraversano il cielo vede l'immagine di suo padre e poi di Foresto (Oh! nel fuggente nuvolo); commossa da quella suggestione chiede al fiume e al vento di acquetarsi affinché possa udire la voce dell'amato. 7. SCENA E DUETIO. Odabella sente improvvisamente dei passi. È Foresto che inopinatamente compare: sommo stupore di Odabella che, al colmo della gioia e dell'emozione, corre ad

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abbracciarlo. Ma egli la scosta: vedendola abbigliata in barbare vesti la crede traditrice e indegna dei pericoli che lui ha affrontato per liberarla (Sì, quello io son, ravvisami), indegna della sua patria e di suo padre. Odabella non riesce a resistere a questi accenti: ben conscia della sete di vendetta che le cova in cuore, preferisce essere trafitta dalla spada di Foresto piuttosto che dalle sue parole. Riesce infine a spiegarsi, e a Foresto offeso confida d'aver giurato di vendicare il suo popolo seguendo l'esempio di Giuditta (l'eroinca biblica che salvò Israele seducendo il generale Oloferne e decapitandolo). Foresto, commosso e dispiaciuto per aver mancato di fiducia, fa per prostrarsi ai suoi piedi; ma la giovane lo stringe a sé e insieme i due rinnovano, all'unisono, le promesse amorose (Oh t'inebria nell'amplesso). Tenda di Attila. Sopra il suolo, coperto da una pelle di tigre, è disteso Uldino che dorme. In fondo alla sinistra, per mezzo di una cortina sollevata a mezzo, la quale forma come una stanza appartata, si scorge Attila in preda al sonno sopra il letto orientale assai basso, e coperto egualmente da pelli di tigre. 8. SCENA ED ARIA. Dopo un breve preambolo orchestrale Attila si sveglia di soprassalto e chiama Uldino: gli narra d'aver sognato un gigantesco vecchio (Mentre gonfiarsi l'anima) che gli afferrava la chioma e lo ammoniva a desistere dalla conquista di Roma. Il re degli Unni sembra come paralizzato dal terrore; ma non appena Uldino gli chiede cosa intende fare, prontamente riconquista i propri sensi e ordina, risoluto, di far riunire le sue schiere per muovere contro Roma, sfidando, in un dialogo immaginario, lo spettro che nel sogno osava arrestarlo (Oltre quel limite t'attendo). 9. FINALE PRIMO. In un rapido crescendo di musica marziale entrano in scena Uldino, duci, re e le schiere dei barbari. Fra essi sono Odabella e Foresto, quest'ultimo con la visiera calata. L'esercito radunato attende ordini. Attila lo incita alla battaglia: allo squillo delle trombe i soldati intonano un inno di guerra (Sia gloria a Wodan). Improvvisamente al canto guerriero si sovrappone, proveniente da lontano, un canto religioso (Vieni, le menti visita); la scena si muta in: Il campo d'Attila. Dalla collina in fondo si vede avanzare processionalmente, preceduta da Leone e da sei Anziani, una schiera di Vergini e Fanciulli in bianche vesti recanti palme. La scena, sul davanti, è ingombra dalle schiere di Attila in armi. Attila si chiede chi possano essere quegli sparuti inermi. Vergini e Fanciulli s'avanzano cantando (I guasti sensi illumina). Il re a poco a poco si va commuovendo: scorge alla testa di quel corteo il "bieco fantasma" del sogno. È papa Leone, che gli ripete le parole udite nel sogno: "Di flagellar l'incarco contro i mortali hai sol. T'arretra! or chiuso è il varco; questo de' numi è il suol". Attila trema e leva la testa al cielo sopraffatto da subito terrore. Crede di scorgere due figure gigantesche (allusione ai santi Pietro e Paolo) che occupano tutta la volta celeste con gli occhi di fuoco e lunghe spade fiammeggianti, le cui punte aguzze arrivano a toccarlo (No!... non è sogno). Dominato dalla visione si prostra al suolo in segno di rinuncia.Tutti restano sorpresi e smarriti: la visione dei fanciulli e del vecchio, e la vista di Attila inginocchiato coinvolgono anche i guerrieri di Attila. Odabella, Foresto, Leone e il coro delle vergini lodano Iddio, che è capace di risolvere le situazioni con eventi miracolosi come quando il piccolo David sconfisse Golia.

ATTO SECONDO Campo di Ezio. Si scorge lontana la grande città dei sette colli. 10. SCENA ED ARIA. Ezio, il generale romano, è solo; legge un dispaccio con il quale l'imperatore Valentiniano gli ordina di rientrare a Roma; freme d'ira nel dover obbedire agli ordini di un giovinetto imbelle, circondato dagli agi, più timoroso di Ezio che non delle schiere barbare. Il pensiero del "prode guerrier canuto" va agli antichi eroi la cui gloria riempiva l'universo (Dagl'immortali vertici); se potessero rivivere, come potrebbero riconoscere la patria nel"vil cadavere" a cui ora è ridotta? Preceduto da alcuni soldati romani, fra cui Foresto, si presenta uno stuolo di schiavi appena liberati da Attila, inviati a convocare Ezio presso l'Unno. Nell'accettare l'invito Ezio congeda i soldati. Ma uno rimane: Foresto, che manifesta a Ezio l'intenzione di avvelenare Attila approfittando di un momento di sbandamento della schiere barbare, provocato da un segnale di fuoco, che egli farà accendere sul monte dalle truppe romane. Ezio accetta; quindi, rimasto solo, si dichiara pronto alla guerra: saprà cadere per la patria, almeno per non vederla decadere lentamente e fatta a brani (È gettata la mia sorte).

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Campo di Attila come nell'atto primo, apprestato a solenne convito. La notte è vivamente rischiarata da cento fiamme che irrompono da grossi tronchi di quercia preparati all'uopo. 11. FINALE SECONDO. Sono in scena Unni, Ostrogoti, Eruli, ecc. Mentre i guerrieri cantano (Del ciel l'immensa volta), entra Attila, seguito dai Druidi, dalle Sacerdotesse, dai Duci e Re, e va ad assidersi al posto; Odabella gli è presso in costume d'Amazzone. Uno squillo di tromba annuncia l'arrivo di Ezio e degli ufficiali romani, tra cui Foresto, preceduti da Uldino. Mentre Foresto si frammischia alla moltitudine, Attila invita Ezio a sederglisi accanto. Ma i druidi gli sussurrano all'orecchio infausti presagi: lo spirito dei monti ha ululato nella notte e nuvole tinte di sangue annunciano l'approssimarsi della tempesta. Attila respinge queste fantasie infantili e invita le Sacerdotesse a intonare un giocondo canto conviviale. Ma il loro canto (Chi dona luce al cor?), apparentemente lieto, è lugubre nelle parole: non un solo raggio amico penetra nelle tenebra notturna offuscata dalle nubi e già si alza il vento e rumoreggia il tuono. All'improvviso un rapido soffio procelloso spegne gran parte delle fiamme.Tutti si alzano per naturale moto di terrore. Silenzio e tristezza generale (Lo spirto de' monti). Foresto corre presso Odabella, rincuorandola con la promessa di una rapida vendetta: la tazza del veleno per Attila, complice Uldino, è già pronta. Ma Odabella in cuor suo pensa che Attila, l'uccisore di suo padre, debba morire non per tradimento, ma trafitto dalla sua spada. Intanto Ezio, che si è avvicinato ad Attila, gli offre l'ultima possibilità di un'alleanza; ma il re unno rifiuta con ira. E mentre Uldino, memore della sua origine bretone, medita di liberarsi dalla propria schiavitù e versa il veleno nella coppa destinata ad Attila, in tutti il terrore viene scemando: la procella si è ormai allontanata e il cielo si è rasserenato. Riscuotendosi, Attila ordina di riaccendere le torce e di riprendere le danze. Si appresta quindi a libare in onore di Wodan bevendo dalla coppa che gli porge Uldino, quando Odabella lo trattiene avvertendolo del veleno. Attila, furibondo, chiede del colpevole: Foresto, con fermo accento, si autodenuncia, affermando di essere quello stesso che un dì gli strappò la corona. Attila fa per scagliarsi contro di lui, ma subito Odabella s'interpone, e come compenso per avergli salvato la vita chiede che a lei sola sia consentito di punire il reo confesso.Attila, compiaciuto del suo atto di fedeltà, accetta, e come segno di gratitudine la dichiara sua sposa. Infine avverte i Romani di prepararsi alla guerra (Oh miei prodi! un solo giorno): il re degli Unni non ha più paura di sogni e di visioni. Nel corso del concertato Odabella implora Foresto di fuggire, assicurandogli che al nuovo giorno avrà il suo perdono; e mentre Ezio e Uldino si appartano stupefatti - il primo chiedendosi chi ha svelato il segreto del veleno e tuttavia ripromettendosi di debellare Attila in battaglia; il secondo, commosso dal magnanimo gesto di Foresto che lo ha scagionato, promettendo di essergli sempre fedele - il popolo dei barbari proclama la grandezza del re e a gran voce lo invita a impugnare le armi contro i Romani traditori.

ATTO TERZO Bosco come nell'atto primo, il quale divide il campo di Attila da quello di Ezio. È il mattino. 12. SCENA E ROMANZA. Entra Foresto in quello che sarà il luogo delle nozze di Attila con Odabella. Sopraggiunge Uldino, divenuto suo fedele, che lo informa che nel campo barbaro fervono i preparativi delle nozze del re. Foresto gli ordina di raggiungere Ezio e avvertirlo di tenersi pronto per l'imboscata con le schiere romane al di là della foresta. Partito Uldino, il giovane, vivamente sdegnato per il gesto di Odabella, si chiede perché la perfidia assuma volto d'angelo (Chi non avrebbe il misero). 13. TERZETTO. Ezio arriva frettoloso dalla parte del campo romano. I soldati romani sono pronti: i barbari saranno sterminati, proclamano insieme Foresto ed Ezio. Si ode provenire dal campo degli Unni un dolce canto che è un inno alla bellezza di Odabella (Entra fra i plausi, o vergine). Foresto ha un fremito di gelosia, ma Ezio lo invita a trattenere la smania per non compromettere l'impresa. D'improvviso sopraggiunge Odabella, fuggita dal campo di Attila (Te sol, te sol quest'anima): scorge l'amato Foresto in compagnia di Ezio e subito rassicura il giovane, che non crede alle sue parole, di essergli rimasta sempre fedele. Intanto Ezio sollecita Foresto: ora non è tempo di lacrime e di gelosie; si dia subito il segnale d'attacco finché il momento è propizio. 14. QUARTETTO FINALE. Sopraggiunge Attila alla ricerca di Odabella e si accorge di trovarsi accerchiato dai tre cospiratori (Tu, rea donna); con crescente indignazione rinfaccia la loro ingratitudine: quella di Odabella già schiava or suà sposa, quella di Foresto cui ha donato la vita,

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quella di Ezio cui ha salvato Roma... Ma non c'è pietà per colui le cui nequizie hanno colmato la misura. Odabella gli rammenta che proprio sotto i suoi occhi Attila le trucidò il padre: diventando sua sposa sarebbe per sempre maledetta. Foresto gli ricorda che gli ha distrutto la patria, ed Ezio gli rammenta il sangue invendicato degli oppressi. Odabella scaglia lontano la corona di sposa. Ma ecco provenire dall'interno un grido di morte; soldati romani entrano precipitosamente in scena. S'ode l'intenso rumore dell'improvviso assalto al campo dei barbari. Foresto si avventa contro Attila per trafiggerlo, ma viene preceduto da Odabella, che vendica così il proprio padre. Poi abbraccia Foresto. Attila cadendo la guarda attonito, e come il grande Cesare esclama: tu pure, Odabella? Guerrieri romani irrompono da ogni parte annunciando che tutte le vittime di Attila sono state vendicate!

Macbeth Melodramma in quattro atti di Francesco Maria Piave

[con correzioni e integrazioni di Andrea Maffei] Prima rappresentazione: Firenze,Teatro alla Pergola, 14 marzo 1847

nuova versione: Parigi,Thatre Lyrique, 21 aprile 1865 L'argomento deriva dalla tragedia di William Shakespeare (Stratford-on-Avon, 1564 - 16 16), Macbeth, composta intorno al 1606, a sua volta ispirata alle Chronicles di Raphael Holinshed.Verdi, che conosceva le tragedie del grande drammaturgo inglese sin dagli anni di gioventù, da tempo desiderava affrontarle come argomento d'opera; già nel 1843 aveva proposto alla Fenice il Re Lear. L'occasione che gli consentì di scegliere, per l'opera nuova che doveva scrivere per la Pergola di Firenze, il Macbeth (tragedia mai sino ad allora rappresentata in Italia dalle compagnie drammatiche, il cui repertorio shakespeariano si limitava a Giulietta e Romeo e a Otello, già tradotte in musica rispettivamente da Rossini e da Zingarelli, Vaccai, Bellini, e raramente comprendeva Amleto) deriva dal fatto che la compagnia di Firenze disponeva solo di una primadonna e di un baritono di gran cartello, il che veniva a coincidere con un argomento che non necessita di una parte importante per tenore. Lo stesso Verdi stese (con il probabile aiuto di Andrea Maffei) lo schizzo del libretto e lo inviò a Piave perché lo versificasse. Insoddisfatto del lavoro di Piave, chiese l'intervento di Maffei per l'aggiustamento di alcune scene. Nel corso delle prove Verdi fu più esigente del solito; due scene in particolare considerava basilari per il successo dell'opera: il duetto Lady - Macbeth del primo atto e la gran scena del sonnambulismo. Nonostante il pubblico sulle prime apparisse disorientato a causa dell'elemento fantastico, l'opera ottenne successo e ben presto si diffuse sulle scene teatrali italiane e straniere, restando in repertorio per quasi tutto l'Ottocento (da segnalare l'abitudine dei tenori che al fine di rendere più importante la parte di Macduff sostituivano la stretta nel quarto atto, l'"a due" con Malcom, con la cabaletta di Zamoro nell'Alzira). Il successo dell'opera divenne subito fattore trainante per l'inserimento della tragedia di Shakespeare nel repertorio delle compagnie drammatiche italiane, a cominciare dalla Compagnia Lombarda di Alamanno Morelli, fino a costituire uno dei cavalli di battaglia di Adelaide Ristori, che recitò la_ tragedia anche a Parigi e a Londra. Nel 1864, su richiesta del Thé atre-Lyrique di Parigi, che desiderava rappresentare il Macbeth in francese, Verdi procedette a una revisione dell'opera, ancora servendosi di Piave, introducendo brani nuovi (l'aria "La luce langue", un balletto, il finale), sostituendone altri (il duettino "Ora di morte e di vendetta", il nuovo coro dei profughi scozzesi, la battaglia), rifacendo interi squarci e togliendo la morte di Macbeth in scena. La versione "francese" ebbe alcuni allestimenti anche in Italia; ma per anni vi prevalse la versione `fiorentina". Sparito dalle scene all'alba del Novecento, il Macbeth risorse a nuova vita grazie alla Verdi-Renaissance tedesca, a cominciare da un allestimento a Dresda nel 1928. I teatri italiani sono giunti assai in ritardo alla riscoperta di quello che oggi viene considerato uno dei capolavori di Verdi; è solo a partire dagli anni 1960 che esso si è gradualmente insediato nel repertorio melodrammatico corrente. In alcune esecuzioni moderne (a partire dalla ripresa di Dresda, sopra citata) l'opera viene fatta concludere ripristinando dalla versione del 1847 la scena della morte di Macbeth ("Mal per me che m'affidai"), in ciò contravvenendo a un'esplicita volontà di Verdi che, riformando il Macbeth per Parigi, volle espressamente togliere la morte in scena del protagonista (così rispettando la tragedia originale), per sostituirvi un inno di vittoria.

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PERSONAGGI E PRIMI INTERPRETI

Firenze 1847 Parigi1865 DUNCANO, re di Scozia [mimo] MACBETH primo baritono Felice Varesi Ismaàl

generali dell'esercito di Duncano BANCO primo basso Nicola Benedetti Petit LADY MACBETH, moglie di Macbeth prima donna Marianna Barbieri Rey-Balla DAMA di Lady Macbeth seconda donna Faustina Piombanti Mairot MACDUFF, nobile scozzese signore di Fiff primo tenore Angelo Brunacci Monjauze MALCOM, figlio di Duncano secondo tenore Francesco Rossi Iluet FLEANZIO, figlio di Banco [mimo] Domestico di Macbeth [mimo] Medico secondo basso Giuseppe Romanelli Guyot Sicario secondo basso Giuseppe Bertini Caillot Streghe, messaggeri del re, nobili e profughi scozzesi, sicari, soldati inglesi, bardi, spiriti aerei, apparizioni La scena è in Scozia, e massimamente al castello di Macbeth. Sul principio dell'Atto quarto è tra il confine di Scozia e d'Inghilterra Epoca: fine dell'XI secolo Nota storica: Verso la metà dell'XI secolo il buon re Duncano successe a Edoardo il Confessore sul trono di Scozia. Volgevano tempi difficili, perché il regno era scosso dalle rivolte dei baroni (thani) e assalito da Danesi e Norvegesi. Duncano affidò a Macbeth il compito di riportare l'ordine. Secondato da Banquo, Macbeth raggiunse l'intento; ma non pago di onori, osò aspirare al soglio regale, in ciò incoraggiato dalle leggi di Scozia, in base alle quali il re, ove fosse morto senza lasciar figli, doveva passare la corona al parente più prossimo. Duncano, già vecchio, aveva due teneri figli, Malcom e Sivard, il primo dei quali elesse suo successore. Macbeth pensò allora di ottenere col delitto ciò che non poteva ottenere per legge e trucidò Duncano un giorno che questi fu ospite nel suo castello. Malcom fuggì in Inghilterra. Macbeth regnò per 17 anni. Malcom, ottenuto da re Edoardo un esercito di uomini e secondato da Macduff, cui Macbeth aveva ucciso moglie e figli e carpito il castello di Fife, vinse Macbeth in battaglia uccidendolo e così recuperando il trono avito. Secondo .la leggenda gli sarebbe successo Fleanzio, figlio di Banquo, considerato capostipite della famiglia degli Stuart, sovrani di Scozia.

RIASSUNTO DELL'AZIONE DRAMMATICA 1. PRELUDIO. È intessuto sui temi collegati alle parti più significative del dramma; si apre con il tema delle Streghe all'inizio del terzo atto ("Tre volte miagola la gatta in fregola") suggellato da un trillo che esprime, come spesso in Verdi, scherno e malevolenza. Prosegue con l'improvviso scoppio degli accordi di ottoni che nel terzo atto saluta le tre apparizioni, combinato con il riso diabolico delle "spirtali donne". E si conclude con l'ampia, toccante melodia degli archi derivata dal preludio alla gran scena del sonnambulismo.

ATTO PRIMO Bosco. 2. INTRODUZIONE. Tre crocchi di Streghe barbute appaiono uno dopo l'altro fra lampi e tuoni, e si raccontano raccapriccianti magie (M'è frullata nel pensier): maledetta dalla moglie di un navigante, una strega medita di far naufragare il marito; l'ostinata uniformità del ritmo e della tonalità conferisce un che di fatale al canto delle "veggenti". Ma all'improvviso s'ode un rullo di tamburo dietro la scena; nel vedere Macbeth che si avanza i tre crocchi si confondono insieme e intrecciano una ridda (Le sorelle vagabonde) su un motivo che suona deliberatamente sguaiato e a un tempo grottesco. 3. SCENA E DUETTO. Appare Macbeth, generale dell'esercito di Duncano, re di Scozia; con lui è un altro generale, Banco. Scorgendo le Streghe rimangono entrambi stupiti del loro orribile aspetto. Invitate a parlare, esse in tono profetico, su accordi di fiati a intervalli ascendenti, salutano Macbeth tre volte: dapprima con un titolo vero che egli sa di possedere, vale a dire come sire di Glamis; quindi con un titolo altrettanto vero, ma che egli non sa ancora di possedere, cioè come sire di Caudore; infine con un titolo immaginario: re di Scozial... Rivolgendosi poi a Banco le

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Streghe lo salutano come genitore di monarchi. Quindi spariscono con un evviva che suona a scherno. Giungono alcuni messaggeri per annunciare a Macbeth che il sovrano ha fatto giustiziare il signore di Caudore, e che lo ha eletto al suo posto. Macbeth resta profondamente turbato; il secondo vaticinio delle streghe si è avverato (Due vaticini compiuti or sono): ora sente nascere in sé un pensiero di sangue, e tuttavia s'impone di non alzar la mano rapace sulla corona promessa nel terzo vaticinio. Non sfugge a Banco l'ambizioso orgoglio da cui Macbeth sembra animato; ma egli ben sa che lo spirito infernale dice il vero solo per portare l'uomo a perdizione. 4. CORO DI STREGHE. STRETTA DELL'INTRODUZIONE. Non appena tutti si sono allontanati le Streghe tornano in scena, e al ritmo convulso di una nuova ridda (S'allontanarono!), che sembra assumere un tono di trionfo, si ripromettono di riunirsi ancora: sanno che Macbeth ritornerà per ascoltare il loro oracolo. Atrio nel castello di Macbeth. 5. SCENA E CAVATINA. La scena si apre con un preludio a piena orchestra dal carattere tempestoso: sequenze ascendenti che sembrano soffi d'uragano introducono il personaggio di Lady Macbeth in scena; sta leggendo una lettera del marito in cui egli racconta delle Streghe e dei loro vaticini. Lady Macbeth, conoscendo la debolezza dello sposo, sa di dover intervenire per spingerlo alla conquista del trono promesso dal terzo vaticinio: la strada della potenza è piena di delitti, e guai per chi ha il piede dubbioso! Che Macbeth venga: non vede l'ora di accendere il suo freddo cuore (Vieni! raffretta): il canto di Lady ergendosi verso il registro acuto, esprime un carattere volitivo e imperioso. Entra un servo per annunciarle l'arrivo del re e di Macbeth sul calar della sera. Duncano qui? Il destino sembra venire in aiuto di Lady, che con accento infuocato invoca i ministri infernali (Or tutti sorgete): scenda presto la tenebra notturna a occultare il pugnale omicida. 6. SCENA E MARCIA. Entra Macbeth per annunciare a Lady che fra poco verrà il re. Ma Lady, che ha salutato il marito con il nuovo appellativo di Caudore, gli fa capire quale accoglienza gli si debba riservare, opponendo alla sua titubanza un'imperiosa determinatezza. Di lontano si ode provenire il lieto suono di una marcia villereccia (eseguita dalla banda interna); avanzandosi a poco a poco essa annuncia l'arrivo del re. Questi attraversa la scena accompagnato da Banco, Macduff, Macbeth, Lady Macbeth e. dal suo séguito. Quindi la musica si allontana sempre più fino a spegnersi. 7. GRAN SCENA E DUETTO. Macbeth rientra in scena ordinando a un servo di avvertirlo della "tazza notturna" con un tocco di campana (sarà questo il segnale dell'azione). Rimasto solo, resta improvvisamente colpito da un'allucinazione: crede di vedere l'elsa di un pugnale insanguinato; ne tenta la presa, ma l'arma sembra sfuggirgli. Sui movimenti striscianti dell'orchestra il suo canto, cupo e sordo, si dipana lentamente come un serpente in agguato: nulla esiste ancora, ma l'assassino come fantasma già si muove mentre le Streghe consumano i loro riti. Di lontano giunge il tocco di una campana: è il segnale che chiama Duncano in cielo o all'inferno. Entra precipitoso nella stanza dove il re riposa. Il trillo fortissimo dell'orchestra affonda rapidamente in lunghi accordi smorzati, sui quali entra guardinga, a passo lento, Lady. Si sente un lamento. Gli fa eco il verso del gufo. Ed ecco sulla porta apparire Macbeth, barcollante e stravolto, col pugnale insanguinato in mano. "Tutto è finito!". Il motivo, tosto ripreso dagli archi, si snoda su un ritmo incalzante: Macbeth s'avvicina a Lady e sottovoce le chiede se ha sentito un mormorio (Fatal mia donna! un murmure): no, solo il canto del gufo. Improvvisamente, guardandosi le mani insanguinate, esplode: Oh vista orribile! Tornando a parlare sottovoce dice d'aver sentito i cortigiani recitare la preghiera della notte; avrebbe voluto egli pure recitarla, ma invano."Follie!", incalza Lady, follie che si disperdono ai raggi del giorno. Ma Macbeth, scosso e turbato, sente una voce interna che gli dice: Glamis, hai ucciso il sonno per sempre. Lady schernisce i suoi timori di fanciullo vanitoso che vacilla e s'arretra. E mentre Macbeth atterrito avverte la vendetta del cielo che tuonerà su di lui le "sante virtù" di Duncano, Lady rimane sorpresa nel constatare come l'invitto guerriero ora tremi di paura. Ordina al marito di riportare il pugnale nella stanza del re e d'insanguinare le guardie affinché su di loro ricada la colpa. Al suo risoluto rifiuto gli strappa di mano l'arma ed entra nella stanza del re. Bussano forte, per tre volte, alla porta del castello. Macbeth è spaventato: si guarda le mani lorde di sangue, imprecando: nemmeno l'acqua dell'oceano basterà a lavarle. Rientra Lady

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mostrando le proprie mani, ora anch'esse insanguinate: uno spruzzo basterà a mondarle, e tutto sarà dimenticato. Battono di nuovo. Macbeth è atterrito: vorrebbe poter cancellare il delitto, ma Lady, con risoluta energia, lo trascina via (Vien! vien altrove, ogni sospetto). Le loro voci si perdono in lontananza. 8. SCENA E SESTETTO - FINALE PRIMO. Entrano Banco e Macduff: questi ha il compito di svegliare il re ed entra nella sua stanza. Su un ritmo lento (che riecheggerà nella scena del sonnambulismo) Banco, assalito da ferali presentimenti, crede di avvertire il suono di voci lamentose e sentir la terra tremare (Oh qual orrenda notte). All'improvviso, mentre la musica assume un ritmo incalzante e sempre più convulso, rientra Macduff agitatissimo e inorridito: non riesce ad articolar parola; indica a Banco la stanza del re. Banco vi entra precipitoso, mentre Macduff chiama tutti gridando al delitto. Entrano frettolosi Macbeth, Lady, Malcom, cortigiani e servi, chiedendo ragione dello scompiglio. In quel mentre rientra Banco annunciando con orrore che è stato assassinato il re Duncano. Un'esplosione compatta (Schiudi, inferno, la bocca) accoglie il terribile annuncio. Sul motivo "Tutto è finito" si sviluppa il concertato finale. Tutti esprimono orrore (anche Lady e Macbeth) e tutti invocano la punizione divina: essa colga l'empio e gli imprima sul volto l'immagine di Caino.

ATTO SECONDO Stanza nel castello. 9. SCENA ED ARIA. L'orchestra riprende il motivo "Tutto è finito" con il successivo motivo "Donna fatale, un murmure". Macbeth entra immerso in profondi pensieri, inseguito da Lady. Ormai il destino è compiuto: Malcom, subito fuggito in Inghilterra, è accusato di parricidio, lasciando così il trono a Macbeth. Ma questi non dimentica che le Streghe hanno profetato Banco padre di re. Per lui e i suoi figli ha dunque egli ucciso Duncano? È forza che scorra altro sangue: quello di Banco e di suo figlio. E subito. Macbeth esce deciso. Lady resta sola, in attesa; e ancora una volta invoca la tenebra notturna affinché nasconda la mano che colpirà (La luce langue): un nuovo delitto è necessario perché l'opera sia compiuta. La voluttà del trono trasporta ora Lady in un crescente stato di esaltazione: chi fu predetto padre di re sta ora per soccombere. Parco. In lontananza il castello di Macbeth. 10. CORO DI SICARI. Avvolti nelle tenebre notturne due gruppi di armati s'incontrano (Sparve il sol): hanno entrambi il compito di trucidare Banco e suo figlio. A poco a poco si nascondono in agguato fra gli alberi del parco in attesa delle vittime. 11. GRAN SCENA. Entra Banco con il figlio Fleanzio. Le tenebre infondono nel suo animo un tristo presagio (Come dal ciel precipita): in notte simile a questa fu ucciso Duncano; immagini terrifiche attraversano i suoi pensieri. S'inoltra col figlio nel parco, scomparendo. D'un tratto si sente la sua voce gridare al tradimento e si vede Fleanzio che attraversa correndo la scena, invano inseguito da un sicario. La musica si spegne in un bisbiglio sul calare della tela. Magnifica sala [nel castello di Macbetb). Mensa imbandita. 12. FINALE SECONDO. Nella sala vi è un grande banchetto imbandito. Macbeth e Lady sono in scena; a poco a poco entrano nobili scozzesi e dame. La musica attacca con accento che sembra deliberatamente volgare. Macbeth e Lady recitano la parte di ospiti cortesi e generosi. Invitando ciascuno a prendere posto, Macbeth chiede alla moglie di intonare un brindisi. Ed ella risponde con prontezza (Si colmi il calice); il suo canto è tuttavia secco, nervoso, come di persona che stenta a dominare il proprio isterismo. E tuttavia tutti rispondono giocondi al suo canto. Mentre il motivo del brindisi viene ripreso come eco dall'orchestra, un sicario appare sulla porta: Macbeth lo vede e subito gli si avvicina parlando sottovoce; nota il suo volto sporco di sangue: è sangue di Banco! E il figlio? Fuggito! Mentre riprendono le note gioiose del banchetto, Lady nota il volto preoccupato del marito (Fleanzio è riuscito a sfuggire all'agguato); fingendo mestizia per l'assenza del "valoroso" Banco, Macbeth decide di sedersi in sua vece nel seggio assegnatogli. Ma, come fa per sedersi, improvvisamente vede che su quel seggio vi è già seduto lo spettro di Banco con i capelli e il volto insanguinati! Macbeth è atterrito e fra lo stupore generale si rivolge allo spettro, da lui solo veduto (Di voi chi ciò fece?). Lady si scusa con gli ospiti: si tratta di un malore fugace. Ma il marito è assalito dal terrore: perché lo spettro non parla? e può la tomba restituire al mondo gli uccisi? Lo spettro sparisce. Lady s'avvicina a Macbeth sussurrandogli "voi siete demente!". Poi ad

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alta voce, con simulata calma, lo invita a risvegliare negli ospiti la gioia. Macbeth, scusandosi, chiede che si riprenda il brindisi. Lady non si fa pregare: lo riprende questa volta in onore dell'"inclito Banco", e tutti partecipano al suo canto. Ma un urlo di Macbeth, che vede riapparire lo spettro, strozza nelle gole il brindisi (Va! Spirto d'abisso): la visione di Banco, fiammeggiante di sangue, lo sguardo fisso a lui rivolto, provoca in Macbeth un attacco isterico; no, è inutile che lo spettro minacci; Macbeth non sa tremare di paura. "Fuggi, fantasma, fuggi!" E fa per scagliarsi stillo spettro. Questi di nuovo sparisce. La sua scomparsa sembra ridare vita a Macbeth, che tuttavia, scosso nella propria sicurezza, è ora costretto ad agire sotto l'influsso del vaticinio delle Streghe; e alle Streghe si propone di ritornare, perché gli rivelino il futuro (Sangue a me quell'ombra chiede). Solo Lady rimane imperturbabile biasimando sottovoce la viltà del marito: chi morì non può tornare in vita. Ma in tutti ormai comincia a penetrare il sospetto; Macduff intuisce che la Scozia è governata da una mano maledetta e in tutti nasce la convinzione che essa è ormai diventata una spelonca di ladroni.

ATTO TERZO Un'oscura caverna. Nel mezzo una caldaja che bolle. Tuoni e lampi. 13. CORO D'INTRODUZIONE - INCANTESIMO. Le Streghe sono già in scena che si muovono in circolo intorno a una grande caldaja (Tre volte miagola la gatta in frega), versandovi - dopo una triplice invocazione alla gatta, all'upupa e all'istrice - intingoli magici; per tre volte risuona il loro canto sguaiato mentre gettano nel brodo infernale dapprima il rospo venefico, il pruno spinoso, la radica; quindi la lingua di vipera, il pelo di nottola, il sangue di scimmia; da ultimo il dito di un pargolo strozzato sul nascere, il labbro di un Tartaro, il cuore di un eretico. Infine, come invasate dal demonio, si scatenano in una ridda generale. 14. BALLO. Allo squillo delle trombe la scena si riempie di spiriti, diavoli, streghe: tutti iniziano a danzare intorno alla caldaja. Alla fine sospendono la danza e si riuniscono per invocare Ecate, la dea della notte e dei sortilegi. Stanno per riprendere la danza, quando fra lampi e tuoni appare Ecate.Tutti stanno religiosamente atteggiati e quasi tremanti contemplano la dea. Ecate fa capire alle streghe che conosce l'opera loro, per la quale è stata invocata. Le Streghe indicano a Ecate la caldaja, che essa esamina attentamente (mentre in orchestra risuona una nobile melodia di violoncello e fagotto). Infine Ecate annuncia che re Macbeth verrà a interrogarle sul suo destino: esse dovranno soddisfarlo. Se le visioni abbattessero troppo i suoi sensi, esse invocheranno gli Spiriti Aerei per risvegliarlo e ridonargli vigore. Tutte stanno rispettose ricevendo i decreti della dea. Fra lampi e tuoni Ecate scompare nell'aria. Inizia a questo punto una danza vivacissima (Valzer). Alla fine tutte circondano la caldaja, e prendendosi per le mani l'un l'altra formano un circolo danzando. Spiriti e diavoli si dileguano. 15. GRAN SCENA DELLE APPARIZIONI. Le Streghe si raccolgono intorno alla caldaja menando la polta. Entra Macbeth; si arresta un istante all'ingresso per dire ai suoi soldati di attenderlo in silenzio; quindi si rivolge alle Streghe per sapere il futuro a costo di rinnovare la guerra fra cielo e inferno, e chiede che esso gli sia rivelato dalle potenze occulte. Il tema degli ottoni, che aveva risuonato nel preludio, introduce la scena delle apparizioni, che le Streghe ora invocano (Dalle basse e dall'alte regioni); il loro canto non è più sguaiato, ma è ora solenne e profetico. All'improvviso scoppio di un fulmine sorge una testa coperta d'elmo che avverte Macbeth di guardarsi da Macduff. Macbeth vorrebbe interrogarlo, ma l'ombra non vuole richieste. Al rumore d'un tuono appare il fantasma di un fanciullo insanguinato; gli dice parole che lo porteranno alla rovina: potrà essere sanguinario, feroce; nessun nato di donna potrà nuocergli. In uno scatto di gioia ferina Macbeth giura morte a Macduff. Ancora tuoni e lampi; sorge un fanciullo con la corona regale in testa, recante un arboscello: predice a Macbeth che sarà invincibile fino a che la foresta di Birnam non si muova contro di lui. Macbeth a tale annuncio esplode di gioia: nessuna foresta s'è mai mossa! Tuttavia chiede alle Streghe se la progenie di Banco regnerà. Esse lo diffidano dal fare tale richiesta; ma egli lo vuole e fa per lanciarsi su loro con la spada, quando improvvisamente la caldaja sparisce inghiottita dal terreno. Al suono sotterraneo di cornamuse le Streghe per tre volte invocano le ombre di apparire. Otto re passano lentamente, l'uno dopo l'altro. All'apparizione del primo re, Macbeth gli urla di sparire (Fuggi, regal fantasima). Via via che le ombre appaiono e scompaiono Macbeth è colto da un terrore crescente. Da ultimo appare Banco,

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con uno specchio in mano sul quale si riflette l'immagine di altri re. Macbeth lo riconosce (Oh! mio terror! Dell'ultimo), e in un impeto d'ira irrefrenabile si avventa sullo spettro di Banco, finché, esausto, avuto conferma dalle Streghe che i re vivranno, cade svenuto. Le Streghe, eseguendo il comando di Ecate, invocano gli Spiriti Aerei perché ridonino "la mente al Re svenuto". 16. CORO E BALLABILE. A poco a poco scendono gli Spiriti Aerei (Ondine e silfidi, dall'ali candide); mentre le Streghe intonano la danza, ondine e silfidi volteggiano intorno al re svenuto, intrecciando "carole armoniche" allo scopo di confortarne i sensi. Alla fine le Streghe si dileguano e gli Spiriti Aerei spariscono d'incanto, in un sussurro d'ali. 17. SCENA E DUETTO - FINALE TERZO. Macbeth rinviene maledicendo l'incontro con le Streghe. Sopraggiunge Lady, sempre intenta a sorvegliare il marito. Macbeth le riferisce le profezie delle tre apparizioni; e tuttavia la stirpe di Banco regnerà. Lady s'infuria: sia sterminata l'iniqua razza! Accanto a lei Macbeth ritrova coraggio: sia bruciato il castello di Macduff, muoiano la sua consorte e i suoi figli, si persegua il figlio di Banco. Le due voci si uniscono in un proposito di morte e di strage (Ora di morte e di vendetta); lo ha decretato il fato: iniziata nel sangue, la vendetta deve compiersi nel sangue. In un frenetico incalzare di ciechi propositi il loro canto viene suggellato da risate isteriche.

ATTO QUARTO Luogo deserto ai confini della Scozia e dell'Inghilterra. In distanza la foresta di Birnam. 18. CORO DEI PROFUGHI SCOZZESI. Sul rullo dei timpani un corale intonato nel registro grave dagli ottoni introduce il coro dei profughi scozzesi che rimpiangono la terra natale (Patria oppressa!). La figura ritmica del lamento accompagna il loro canto, un canto sommesso, come rassegnato, ripiegato in se stesso, incapace di volo, scandito sul ritmo di una squilla che suona a morto, che alla fine si spegne sul suono acutissimo dei violini. 19. SCENA ED ARIA. Tra i profughi è Macduff, prostrato dal dolore per la morte dei figli e della moglie trucidati da Macbeth. Rimpiange di non aver potuto essere a loro di scudo (Ah, la paterna mano): supplica Dio di trarlo in faccia al tiranno e, solo se questi gli sfuggirà, possa essere egli perdonato. A suon di tamburo e al ritmo di una vivace marcia militare entra il giovane Malcom alla testa di molti soldati inglesi. Non sa dove si trovi, ma appreso di trovarsi presso la foresta di Birnam, Malcom ordina che ogni soldato svelga un ramo che, portato "innanzi a sé", lo nasconda; e infine comanda di partire all'attacco. Il suo tono deciso infiamma il cuore dei profughi. Brandendo le spade, Malcom e Macduff spronano a liberare la patria dal tiranno (La patria tradita).Tutti rispondono compatti al grido di battaglia per salvare gli oppressi. Sala nel castello di Macbeth, come nell'Atto primo. 20. GRAN SCENA DEL SONNAMBULISMO. Una lunga introduzione strumentale, il cui tema aveva risuonato nel preludio dell'opera, prepara il clima nel quale sta per compiersi il dramma finale di Lady Macbeth. Un medico e una dama attendono la sua apparizione. Ella entra lentamente come sonnambula, portando un lume. Lo depone e quindi si sfrega le mani facendo l'atto di cancellare qualche cosa (Una macchia è qui tuttora!): sono macchie di sangue che le ricordano il regicidio: l'ora fatale, la viltà di Macbeth, il sangue, oh quanto sangue, di Duncano. E queste macchie che nessun balsamo potrà mai cancellare su una pur piccola mano! E poi il ricordo di Banco spento: chi morì non può risuscitare... Una cellula melodica in orchestra che suona come un rantolo accompagna le ultime parole della sonnambula: a letto! Macbeth, a letto! non si può disfare ciò ch'è stato fatto; andiamo, Macbeth; non esser codardo, andiamo... andiamo... Sulla cadenza finale Lady Macbeth esce di scena e la sua voce si perde in lontananza su una nota sopracuta. Sala nel castello [di Macbeth). 21. SCENA ED ARIA. Su una violenta esplosione orchestrale che risuona come eco della battaglia in corso, irrompe in scena Macbeth e subito inveisce contro i traditori scozzesi che si sono alleati agli Inglesi: nessun nato di donna può nuocergli, hanno profetato le Streghe; e dunque non teme le schiere nemiche guidate da un fanciullo (Malcom).Tuttavia non si sente più tanto sicuro; assalito dallo scoramento, avverte la vita inaridirsi nelle vene. Giunto all'approdo della vecchiaia, non ha più il conforto di nobili sentimenti (Pietà, rispetto, amore), né può sperare "soavi accenti" sulla sua pietra tombale: solo la bestemmia accompagnerà la sua nenia funebre e il ricordo della sua vita.

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22. SCENA E BATTAGLIA. Si sente un trasmestio all'interno e si ode un lamento di donne; sopraggiunge la Dama di Lady:"è morta la Regina!". Con indifferenza e sprezzo Macbeth esclama:"la vita che importa?...è il racconto d'un povero idiota". Entrano i suoi guerrieri per avvertirlo che la foresta di Birnam si sta muovendo. Benché deluso dall'infernale presagio delle Streghe, Macbeth non arretra: chiede corazza e spada e ordina ai suoi di correre alla battaglia: o vittoria o morte! Intanto la scena si muta a vista, e presenta una vasta pianura circondata da alture e boscaglie. Il fondo è occupato da soldati inglesi, i quali lentamente s'avanzano, portando ciascuno una fronda dinanzi a sé. In orchestra lo squillo delle trombe dà l'avvio a un brano fugato (Battaglia): il corrersi dietro che fanno i soggetti e contrasoggetti, l'urto delle dissonanze, il frastuono strumentale esprimono la battaglia in corso. Macduff ordina di togliere le fronde e di metter mano alle armi, e subito accorre dove più ferve la lotta. Entra in scena Macbeth incalzato da Macduff, che gli rivela di non essere nato di donna, perché strappato dal ventre della madre già morta. Macbeth è al colmo dello spavento; disperatamente battendosi con Macduff esce di scena. Entrano agitatissime donne e fanciulli scozzesi pregando per i propri uomini. D'un tratto cessa il fragore delle armi. 23. INNo DI VITTORIA - FINALE. Di lontano echeggiano grida di vittoria. Entra Malcom seguito da soldati inglesi, i quali trascinano prigionieri i guerrieri di Macbeth; con lui è Macduff insieme a guerrieri scozzesi e a bardi (i poeti popolari degli antichi popoli celtici). Malcom chiede di Macbeth: Macduff lo informa d'averlo già trafitto e piegando un ginocchio a terra saluta Malcom come nuovo re. Tutti si uniscono unanimi al saluto. Indi i bardi intonano un inno di vittoria, accompagnandolo sulle cetre (Macbeth, Macbeth ov'è?), inno dal ritmo marziale che sembra fugare gli incubi della notte con i suoi orrori e le sue streghe. Sull'inno dei bardi si eleva infine, luminoso e solenne, il canto di ringraziamento delle donne (Salgan mie grazie).

I Masnadieri Melodramma in quattro parti di Andrea Maffei

Prima rappresentazione: Londra, Her Majesty's Theatre, 22 luglio 1847 L'argomento deriva dalla tragedia in versi Die Rauber, opera d'esordio di Friedrich Schiller (Marbach, 1759 -Weimar 1805), rappresentata con grande successo a Mannheim il 12 gennaio 1782. Cominciata a circolare in versione rabberciata su alcune scene milanesi e veneziane già in età giacobina, ebbe poi grande fortuna in Italia dapprima attraverso un'edizione clandestina apparsa nel 1832, quindi nella traduzione in prosa di Andrea Maffei pubblicata nel 1846 La scelta dell'argomento da parte di Verdi maturò durante il periodo di convalescenza trascorso appunto con Maffei a Recoaro nell'estate del 1846; il proposito era quello di destinare il dramma alla Pergola di Firenze. Sembra che in autunno buona parte del libretto fosse già stata musicata. Tuttavia, venuto a mancare alla Pergola un tenore della forza di Fraschini, il compositore risolse di affrontare per Firenze un dramma di Shakespeare che gli stava molto a cuore, il Macbeth, destinando l'argomento schilleriano a quello che può considerarsi la più antica roccaforte dell'opera italiana all'estero, l'Her Majesty's di Londra. Verdi terminò la composizione dei Masnadieri alcune settimane dopo essere giunto nella capitale inglese (vi era arrivato il 7 giugno, precedutovi dall'allievo Emanuele Muzio), cioè non prima d'aver ascoltato la voce di Jenny Lind, stella di prima grandezza nel firmamento canoro di quel tempo, cantante che il compositore giudicò "artista in tutta l'estensione del termine", con "una agilità senza pari", ma la cui bravura di canto secondo lui peccava "in fioriture, in gruppetti, in trilli, cose che piacevano nel secolo passato, ma non nel 1847". Le altre parti principali furono destinate al giovane e quasi sconosciuto tenore parmigiano Italo, Gardoni, al baritono Coletti (che Verdi aveva avuto fra i primi interpreti di Alzira, e per il quale nutriva un'alta considerazione) e al basso Lablache, uno dei massimi cantanti dell'epoca, ammirato sia da Rossini che da Wagner. Alla prima recita il successo fu molto caloroso, quasi trionfale; ma nelle poche repliche che seguirono l'esito andò sensibilmente calando. Assai migliore fortuna arrise all'opera in Italia, dove entrò subito in repertorio. Per tutto il corso degli anni 1850 e oltre, I masnadieri gareggiarono per frequenza di allestimenti sulle scene italiane in patria e all'estero con le opere più eseguite del compositore. Furono rappresentati anche in una

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versione francese dal titolo Les Brigands (1870). Nell'ultimo ventennio dell'Ottocento le rappresentazioni diradarono alquanto, ma l'opera non scomparve del tutto, almeno nei teatri minori: ancora nel 1903 la si rappresentava al teatro Fossati di Milano. Dopo un trentennio di pressoché totale silenzio, una prima timida ripresa si ebbe in Germania al tempo della Verdi-Renaissance (Barmen, 1928). Ma per il definitivo ritorno alle scene attuali occorrerà attendere l'allestimento realizzato al Maggio Musicale Fiorentino nel giugno del 1963.

PERSONAGGI E PRIMI INTERPRETI AMALIA, orfana, nipote di prima donna Jenny Lind MASSIMILIANO, conte di Moor, reggente primo basso profondo Luigi Lablache CARLO figli di lui primo tenore Italo Severo Gardoni FRANCESCO figli di lui primo basso cantante [baritono] Filippo Coletti ARMINIO, camerlengo della famiglia reggente secondo tenore Leone Corelli MOSER, pastore secondo basso Stefano L. Bouché ROLLA, compagno di Carlo Moor secondo tenore Dal Fiori Coro di giovani traviati poi masnadieri, donne, fanciulle, servi Scena: L'azione succede in Germania [recte Boemia], al castello dei Moor e nella vicina foresta Epoca:All'inizio del secolo XVIII; l'azione dura circa tre anni

RIASSUNTO DELL'AZIONE DRAMMATICA 1. PRELUDIO. Contribuisce a stabilire l'atmosfera del dramma. Consiste praticamente, preceduta da un breve tempestoso avvio, in una romanza per violoncello, scritta per il celebre Alfredo Piatti, primo violoncellista al Her Majesty's Theatre.

PARTE PRIMA Taverna al confine della Sassonia. 2. SCENA E ARIA [CON CORO] . Carlo Moor è immerso nella lettura di un libro di Plutarco (Quando io leggo in Plutarco); biasima il tempo che scorre imbelle. Oh, rivivesse una scintilla di Arminio, onde far libera tutta la Germania. Dall'interno s'ode il coro di una banda di giovani "eroi da strada" inneggianti alla vita brigantesca (Col pugnale e col bicchier). Sono i suoi attuali compagni, che Carlo disprezza e che vorrebbe abbandonare al loro destino, pur di tornare al castello paterno dopo aver ottenuto il perdono del vecchio padre che lo ha allontanato. Assalito dalla nostalgia, il suo pensiero corre alle foreste della sua terra e al casto amore di Amalia, che vorrebbe poter riabbracciare (O mio castel paterno). Parecchi giovani entrano frettolosi; con loro è Rolla, che gli reca una lettera. Carlo gliela strappa di mano e tremante d'emozione la apre, nella speranza che essa gli annunci il perdono paterno. La legge, sbianca in volto e fugge precipitoso lasciando cadere la lettera. Rolla la raccoglie e ne legge il contenuto: è un messaggio del fratello di Carlo, Francesco Moor, che lo avverte di non tornare al castello, pena l'essere rinchiuso in un oscuro carcere; il padre lo bandisce per sempre. Carlo ritorna fieramente agitato imprecando contro coloro che hanno respinto le sue suppliche; quindi accetta la proposta di Rolla e dei giovani di formare una masnada e di esserne loro capo e condottiero.Tra gli evviva dei compagni egli trae la spada e impone loro un giuramento di fedeltà (Nell'argilla maledetta). Poi tutti partono tumultuosamente. Franconia. Camera nel castello dei Moor 3. RECITATIVO E ARIA. Il brutale vigore del preludio introduttivo sembra voler significare l'indole infernale del personaggio in scena, Francesco Moor, il fratello minore di Carlo. È soddisfatto d'aver sostituito la lettera con la quale il padre concedeva a Carlo il perdono: la natura lo fece cadetto, e sulla natura, nella persona del padre, ora vuole vendicarsi castigando il fratello. Diritto e coscienza sono solo spauracchi per le timorate coscienze. Ora quel vecchio di suo padre vive a stento; basta un soffio a spegnerlo. Ma se lento è il corso della natura, egli lo affretterà (La sua lampada vitale); gli basta trovare un pugnale e nascondere la mano che lo stringe.Vede con gioia avanzarsi Arminio. Con tono concitato gli ordina di travestirsi e di andare dal vecchio padre con la notizia che Carlo è caduto in battaglia: certamente il vecchio ne morrà di dolore. Arminio esita: teme di non essere creduto. Ma Francesco lo rassicura: gli fornirà una tale prova da ingannare chiunque. Arminio parte. Francesco esulta al pensiero di diventare presto signore del castello e prorompe in una terribile promessa di orrori (Tremate, o miseri!): finalmente si rivelerà

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nel suo vero aspetto; non più gioia e riso, non più indulgenza, ma dolori e lagrime, affanni e sospetti regneranno d'ora in poi. Camera da letto nel castello. 4. SCENA E CAVATINA. La scena è introdotta da un preludio per flauto, oboe e clarinetto. Massimiliano Moor è addormentato su una seggiola. Amalia si accosta pian piano e si ferma a contemplarlo. Prega perché il suo sonno sia tranquillo; anche se ha bandito l'adorato Carlo, tuttavia Amalia non prova risentimento nei suoi confronti. Poi come colta da un pensiero improvviso ricorda il suo amato, il suo sguardo, il suo sorriso, i suoi baci (Lo sguardo avea degli angeli); ma quel vortice di ebbrezza è ormai solo un sogno! L'estasi amorosa non tornerà più. 5. DUETTO. Massimiliano addormentato sogna, mormora il nome dei suoi due figli. Infine si desta di soprassalto e vede Amalia: pensando al destino di Carlo, supplica la giovane di non maledirlo. Ella lo rassicura. Il vecchio padre lamenta la lontananza del primogenito; caro è il pianto all'uomo che muore, ma per lui chi piangerà? (Carlo! Io muoio). La risposta di Amalia esprime un'ansia di morte, un anelito a spaziare nell'eternità con Carlo. 6. QUARTETTO - FINALE PRIMO. Immediatamente si presenta Francesco, seguito da Arminio, travestito, che racconta al vecchio conte di aver visto Carlo durante la battaglia di Praga combattere arditamente e poi cadere più volte ferito a morte. Francesco fa per avventarsi su Arminio perché interrompa il racconto, ma Massimiliano gli fa cenno di continuare. Prima di morire, però, Carlo gli consegnò la spada da portare a suo padre con il seguente messaggio: il figlio che avete rinnegato morì disperato combattendo fra l'armi; la, sua ultima parola fu per Amalia. Ignorando gli accenti disperati di Massimiliano e della giovane, Francesco mostra la spada e legge il messaggio che Carlo vi incise col sangue: "Dal giuro, Amalia, ci scioglie la morte, sii tu, Francesco, d'Amalia consorte". Nell'udire queste parole Amalia grida disperata: Carlo, tu non mi amasti mai! Massimiliano invoca su di sé l'ira del cielo (Sul capo mio colpevole); ma poi si getta con ira su Francesco, invocando che gli sia reso il figlio. Amalia cerca di consolare il vecchio, ricordandogli che la felicità è solo in cielo. Assistendo alla scena Francesco si compiace nel vedere il vecchio padre distrutto dall'ira e dal rimorso. Intanto Arminio, commosso dal dolore di Massimiliano, esprime la sua vergogna. Alla fine Massimiliano ancora una volta grida di rendergli il figlio, quindi stramazza al suolo. Amalia lo grida morto, mentre Francesco esulta: ora è lui il signore!

PARTE SECONDA Recinto attiguo alla chiesa del castello. Vi sorgono in disparte alcuni sepolcri gotici. In uno recente è scolpito il nome di Massimiliano Moor 7. SCENA E ARIA. Sono passati tre mesi. Francesco ora è il padrone e vive tra festini e baldorie. Amalia, fuggita furtiva dal banchetto, sta genuflessa innanzi al sepolcro di Massimiliano. Dopo breve silenzio si rialza. D'improvviso l'orchestra tace, interrotta da un canto festoso che proviene dall'interno: sono i seguaci di Francesco che inneggiano ai piaceri della vita (Godiam, ché fugaci son l'ore del riso). Amalia è inorridita: Francesco sta tripudiando sul- ossa del padre! Volgendosi alla tomba pensa che Massimiliano è ora in luogo dove non può udire l'esecrata voce del figlio snaturato. Alza gli occhi al cielo e le sembra di vedere Carlo e suo padre uniti nella gioia, mentre lei rimane a soffrire sulla terra (Tu del mio Carlo al seno); oh, quanto invidia l'avello di Massimiliano! Entra Arminio agitato: rivela ad Amelia che Carlo e Massimiliano sono ancora vivi; quindi fugge senz'altro aggiungere. All'inattesa notizia Amelia dà libero sfogo alla sua gioia (Carlo vive?...): l'universo intero ora le sorride d'amore. 8. SCENA E DUETTO. Viene raggiunta da Francesco, che le chiede perché si sia assentata dalla festa. Per pregare sulla tomba di tuo padre, gli risponde la giovane. Ma Francesco rimprovera ad Amalia un dolore che nasconde la sua bellezza. E si getta ai suoi piedi dichiarandosi suo schiavo in amore e offrendole mano e cuore (Io t'amo, Amalia!); la giovane lo respinge con furore e ripugnanza: all'infame talamo non salirà mai con Francesco. Questi tenta di trascinare con la forza Amalia, non più per essere• sua moglie, bensì come "druda e serva". Amalia dapprima reagisce con forza; infine, per difendersi dalla tracotante furia di Francesco, simula d'abbracciarlo e gli strappa la spada dalla cintola minacciando di trafiggergli il cuore (Ti scosta, o malnato). Francesco inveisce insolentendo la "vil femminetta" e a sua volta minacciandola di "catene, flagelli, tormenti".

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La selva boema. Praga in lontananza mezzo nascosta fra gli alberi. 9. SCENA E CORO. Due gruppi di masnadieri appaiono ai lati opposti scambiandosi le ultime notizie (Tutto quest'oggi le mani in mano): Rolla è stato fatto prigioniero e il giorno stesso sarà impiccato; saputo questo, il loro capo ha giurato di vendicarsi bruciando Praga. Di lontano si vede rosseggiare fra gli alberi una fiamma: il capo ha mantenuto la parola! Sul frastuono si levano grida di terrore, e dagli alberi sbucano donne scapigliate con fanciulli che attraversano la scena gridando al soccorso. Entra infine, fra la sorpresa generale, Rolla con altri masnadieri: arriva "dalla forca dritto filato", ma non ha fiato per continuare; chiede dell'acquavite e fa raccontare dai masnadieri entrati con lui come fu tratto salvo dal patibolo (I cittadini correano alla festa): approfittando della festa lanciarono canapi incendiati che fecero saltare in aria la polveriera; la paura si impadronì del nemico e grazie all'ardimento di Carlo il suo capo fu tratto dal laccio. Tutti esultano ammirati da tale impresa. Entra Carlo, mesto e commosso: avverte la masnada che si partirà alla prossima aurora. Rolla e i masnadieri si sparpagliano nel bosco; il loro canto si perde in lontananza. 10. RECITATIVO E ROMANZA. Rimasto solo, Carlo contempla il sole che tramonta "splendido e grande" come la morte di un eroe. La natura è "bella e stupenda"; ma per lui il paradiso s'è tramutato in inferno. Ha per compagni dei briganti ed egli si è ormai incatenato al crimine (Di ladroni attorniato); reietto in terra e maledetto in cielo, sente la sua pena ancor più crudele allorché il pensiero corre a quell'angelo di Amelia. 11. FINALE SECONDO. Rolla e i masnadieri tornano in scena per avvertire il loro capo di essere accerchiati da mille soldati. Carlo si rifà spietato e rianima lo spirito dei compagni. Fanfare, corni e trombe danno l'avvio a un canto di sfida e di guerra (Su, fratelli! corriamo alla pugna).

PARTE TERZA Luogo deserto che mette alla foresta presso il castello. 12. SCENA E DuErro. Una musica dal ritmo affannoso introduce l'ingresso di Amalia, fuggita per sottrarsi agli "artigli" di Francesco. È finalmente sola e salva. Ma il suo sollievo è di breve durata: i suoi pensieri vengono interrotti dal lontano suono di un canto brutale di masnadieri, dalle parole allarmanti (Le rube, gli stupri). Amalia si sente perduta: capisce di essere caduta in mano "de' ladroni". Qualcuno si muove fra gli alberi e si sta appressando. Amalia, senza guardare, implora pietà. Ma è Carlo, che subito la riconosce. I due volano l'uno nelle braccia dell'altro in un'esplosione di gioia. Poi, ricordandosi d'aver appena udito un canto orrendo, Amalia si scioglie dall'abbraccio: bisogna fuggire da quel posto. Ma Carlo la conforta; ella sarà sicura con lui (ma intanto prega fra sé perché Amalia non sappia mai in quale abisso è caduto). La giovane racconta di averlo creduto morto (Qual mare, qual terra); Carlo è vivamente commosso dal pianto della giovane. In un rapido dialogo Amalia mette Carlo al corrente della nuova situazione: il padre è morto e Francesco, nuovo signore, l'ha minacciata di morte per obbligarla a sposarlo. Malgrado gli affanni i due gioiscono per essersi ricongiunti (Lassù risplendere più lieta); Amalia si stringe con entusiasmo. a Carlo: lo seguirà fino alla morte. Ma il giovane sente che la loro unione si realizzerà solo in cielo. Interno della foresta. Sorgono, in mezzo, le rovine di un'antica rocca. È notte. 13. CORO DI MASNADIERI. Il canto che Amelia aveva udito nella scena precedente risuona ora, preceduto da una minacciosa introduzione orchestrale, con nuova violenza: è un inno assetato di sangue che esalta la vita dei masnadieri: stupri, incendi, assassinii non sono che un gioco per loro (Le rube, gli stupri, gl'incendi, le morti). Il loro motto è quello di scacciare oggi la noia perché il boia domani li strangolerà. Fieri d'essere liberi, la loro vita è dedita al piacere. Una grotta è la loro casa, il bosco il quartiere. Una volta è la pietà di una donna, una volta la generosità di un fittavolo a sfamarli. I lamenti dei padri uccisi, delle madri o delle spose sono musica per le loro orecchie. Poi quando giungerà l'ora della morte coglieranno la ricompensa per le loro azioni e, innaffiate le gole dell'ultimo vino, con un salto raggiungeranno l'altro mondo. 14. FINALE TERZO. Sopraggiunge Carlo, salutato dai compagni; subito ordina alla masnada, essendo notte fonda, di coricarsi. La masnada obbedisce e canticchiando si addormenta. Addolorato per aver deluso Amalia, Carlo contempla i briganti addormentati: a lui è negato il sonno. E riflette. La vita è un cupo arcano (O vita, tenebroso mistero°. Come attirato dall'abisso dell'eternità, cava dalla cintura una pistola per infrangere il mistero della vita. Ma darsi morte sarebbe fuggire dagli

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affanni: no, meglio vivere soffrendo. E getta l'arma. Un furtivo movimento degli archi avverte che qualcuno sta arrivando. Carlo si ritira fra gli alberi. Appare Arminio che cautamente s'accosta all'inferriata della torre e chiama il misero abitatore, per avvertirlo che è arrivata la cena. Dal sotterraneo risponde una voce cavernosa che invita a calare il cestino nella fossa. Arminio esegue e fa per andarsene, quando Carlo salta fuori e lo acciuffa per le spalle chiedendogli a chi appartenga quella voce, che continua a chiamare. Di nuovo risuona la voce da sottoterra. Arminio si divincola e fugge. Carlo scuote le catene ed apre il cancello, e ne tira fuori un vecchio attenuato come uno scheletro. Lo riconosce: è Massimiliano, suo padre! Con crescente stupore, senza farsi a sua volta riconoscere, viene a sapere che il poveretto è stato sepolto vivo dal figlio Francesco. Massimiliano gli racconta d'aver appreso da un ignoto pellegrino che il figlio Carlo era morto (Un ignoto, tre lune or saranno); il dolore della notizia lo aveva fatto cadere in un lungo sopore. Credendolo morto, Francesco lo fece rinchiudere in una cassa. Ma prima che il coperchio fosse chiuso, egli emise un lamento. Scoprendolo ancora vivo Francesco ordinò che lo gettassero in quell'orrido covo: "Troppo ei visse!". Finito il racconto, Massimiliano sviene. Carlo trae la pistola e spara un colpo per destare la masnada. Ai compagni, balzati in piedi, addita il vecchio svenuto: sepolto vivo da un figlio infernale, quell'uomo è suo padre! Con furia repressa da un tono solenne, giura di trarre vendetta entro l'alba. Quindi, rivolgendosi ai masnadieri, li chiama a essere ministri di giustizia. I masnadieri s'inginocchiano per apprestarsi al giuramento. Ponendo una mano sul capo del vecchio svenuto, Carlo impegna solennemente sé e i compagni a diventare strumento della vendetta divina (Giuri ognun questo canuto santo crin di vendicar!). I masnadieri giurano (Struggitrice ira di Dio). Alla fine tutti si disperdono in tumulto. Carlo s'inginocchia innanzi al padre.

Clara Maffei

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Andrea Maffei

PARTE QUARTA

Fuga di parecchie stanze. 15. SOGNO. Francesco entra precipitoso e stravolto. È visibilmente terrorizzato: gli gridano "Assassino!". Accorre Arminio con alcuni servi. Francesco ordina loro di condurgli il pastore. Arminio lo vede tremante. Francesco l'afferra per un braccio: "risorgono i morti?" e lo invita ad ascoltare il racconto di un sogno (Pareami che sorto da lauto convito): dormiva in un giardino quando un sordo muggito lo svegliò; la terra era in fiamme, le tombe rigettavano i defunti e la pianura era ricoperta di ossa infinite. In quel punto fu tratto sul Sinai e tre splendenti figure lo abbagliarono. La prima, tenendo in mano un misterioso codice, esclamava: "Infelice chi manca di fede!". La seconda, recando uno specchio, diceva:"La menzogna confondesi qui". La terza librava una lancia gridando: "Venite, figliuoli d'Adamo". E fra i nembi tonanti il suo nome risuonava per primo! Poi la visione di una coppa gravata di misfatti, tenuta in equilibrio da un'altra, sospesa nel cielo, ripiena del sangue versato del divino riscatto. Quand'ecco un vegliardo distrutto per fame, e a lui noto, prese una ciocca di capelli dalla seconda coppa e la gettò in quella dei misfatti. Cigolando la coppa discese mentre una voce di tuono gridava: "per te maledetto l'Uom-Dio non penò". Arminio fugge con atti di raccapriccio. 16. SCENA E DUETTO. Annunciato da poderosi squilli di ottoni si presenta Moser, il pastore. Francesco lo ha fatto chiamare per prendersi burla di Dio o perché da Dio incalzato? Quel Dio di cui egli nega l'esistenza - tuona il pastore - già lo sente chiedergli ragione dei suoi delitti. Francesco gli domanda scettico: se l'anima è immortale, quali peccati possono aver provocato l'ira del Dio di Moser? Peccati inconcepibili all'umano pensiero: il parricidio e il fratricidio. Invano Francesco, pieno d'ira, urla al pastore di tacere. In quella entra Arminio trafelato con la notizia che uno stuolo di cavalieri sta scendendo dal monte. In grande agitazione Francesco ordina che tutti vadano al tempio a pregare per lui. Intanto voci in lontananza gridano che la rocca è caduta. Francesco chiede a Moser l'assoluzione; ma questi gli risponde che solo Dio può assolverlo, non l'uomo. E pronuncia l'anatema contro di lui (Trema iniquo! il lampo, il tuono); Francesco s'inginocchia invocando l'Eterno per la prima e ultima volta. D'un tratto, mentre risuonano sempre più vicine le voci che gridano "la rocca è in polvere", Francesco s'alza impetuosamente urlando che l'inferno non si farà beffe di lui, e fugge precipitosamente. Foresta come nell'ultima scena della parte terza. Sorge il mattino. 17. SCENA E DUETTO. La scena si apre con delicati tremoli degli archi. Massimiliano è seduto sopra un sasso; Carlo (che egli non ha ancora riconosciuto) è al suo fianco. Il vecchio pronuncia il

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nome di Francesco; non sia contro di lui la vendetta: solo per se stesso sia il castigo. Che lo spirito di Carlo lo perdoni. Carlo commosso risponde "Ei ti perdona". Poi s'inginocchia e chiede al vecchio di benedirlo quale suo liberatore. Ponendogli una mano sul capo Massimiliano invoca su di lui la misericordia divina. Carlo chiede d'essere baciato. Il vecchio lo bacia come farebbe un padre con il proprio figlio (Come il bacio d'un padre amoroso); Carlo si sente trasportato in cielo. 18. GRAN SCENA E TERZETTO - FINALE ULTIMO. Una parte dei masnadieri entra e s'accosta a Carlo a passo lento. Carlo è atterrito dalla loro presenza. Essi gli annunciano che qualcuno è fuggito. Carlo capisce che si tratta di Francesco e, levando le mani al cielo, ringrazia Dio. Altri masnadieri sopraggiungono trascinando Amalia coi capelli sparsi. Amalia s'accorge di Carlo e gli butta le braccia al collo chiedendogli aiuto. Carlo tenta di sciogliersi. La donna gli si rivolge chiamandolo "mio sposo". Massimiliano è sbalordito. Carlo, in preda al delirio, dà in smanie; con esplosione di rabbia chiede sia trafitta la donna, svenato il vecchio, ucciso se stesso: "Oh fossero i vivi d'un colpo distrutti!". Si rivolge a Massimiliano rivelandosi per il maledetto, reietto Carlo. Quindi trae la spada e s'avventa, minaccioso e terribile, sulla masnada, esecrata ministra dell'ira celeste, per poi volgersi subitaneo verso Amalia e il padre indicando loro i masnadieri, ladri e assassini, di cui egli stesso è il capo. Stupore universale. Dopo lunga pausa Carlo, abbattuto, si dichiara pronto a pagare il debito alla società (Caduto è il reprobo'. Amalia, uscita di stupore, si getta di nuovo fra le braccia di Carlo: angelo o demone, non lo lascerà mai, qualunque sia la sua sorte. Intanto Massimiliano, anch'egli tornato alla realtà e in preda al rimorso, invoca per sé un baratro. Sul loro canto erompe con forza il coro dei masnadieri contro lo spergiuro Carlo: mostrando le ferite che hanno nel petto gli ricordano il solenne giuramento di dividere la vita con loro. Amalia si rivolge a Carlo: se non può infrangere il giuramento, ch'egli almeno la uccida come pegno d'amore. D'improvviso Carlo si rivolge alla masnada: "m'avete offerto un capo orribile d'onta coperto... io v'offro un angelo". Ciò dicendo cava il pugnale e ferisce Amalia a morte. Tutti accorrono verso Amelia. Carlo fugge come un disperato verso il proprio destino.

Jérusalem (Gerusalemme) Grand opéra in quattro atti. Poema di Alphonse Royer e Gustave Vaèz

Traduzione italiana di Calisto Bassi Prima rappresentazione: Parigi,Thatre de L'Opéra, 26 novembre 4847

Per il suo esordio sulla maggiore scena europea, quella dell'Opéra di Parigi, regno del grand opéra di Meyerbeen Verdi stimò di ricorrere a una sua precedente opera, fornita di sufficiente apparato spettacolare, quale I Lombardi alla prima crociata, ma rimodellata su un soggetto interamente nuovo, pure ispirato alle Crociate, cui i due librettisti francesi seppero conferire un percorso drammaturgico molto più coerente rispetto a quello offerto dal libretto di Solera: la vicenda ha inizio non appena conclusosi il Concilio di ClermontFerrand nel quale viene bandita una crociata per liberare il Santo Sepolcro; ma in luogo dell'immaginario Arvino, capitano del contingente lombardo, vi è la figura storica del conte Raimondo di Tolosa che con Boemondo può considerarsi il capitano autentico della prima crociata. Per questo argomento Verdi utilizzò, trasformandola e soprattutto raffinandola nello strumentale, gran parte della musica dei Lombardi, aggiungendovi molti brani nuovi; inoltre, com'era dí rito in un grand opéra, inserì all'inizio del terzo atto un balletto ovvero divertissement Da segnalare fra gli interpreti della prima rappresentazione, accanto a Duprez (il mitico 'inventore' del Do di petto), la presenza del soprano Van r Gelden che a quel tempo stava perfezionandosi alla scuola di Giuseppina Strepponi. Inoltre per la prima volta all'Opéra fu utilizzata la banda di Adolphe Sax (il famoso costruttore di strumenti, inventore del sassofono). L'opera ebbe successo ed entrò subito nel repertorio dei teatri di lingua francese (anche in Olanda, a Pietroburgo, in Algeri e a Tunisi, a New Orleans, a Montreal, a Soerabaya). Sulle scene italiane, dove i Lombardi erano ormai entrati stabilmente in repertorio, l'opera ebbe solo qualche fugace apparizione: alla Scala e a Torino nel 1851, a Venezia nel 1854, a Verona l'anno successivo, a Vercelli nel 1858, infine all'Apollo di Roma nel 1865. Scomparsa dalle scene all'alba del nuovo secolo, Jérusalem è stata oggetto in tempi recenti di

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occasionali riprese a far inizio da quella avvenuta alla Fenice di Venezia nel settembre del 1963. Nel gennaio del 1986 l'opera è stata rappresentata a Parma in lingua originale.

PERSONAGGI E PRIMI INTERPRETI GASTONE, visconte di Bearn tenore Gilbert-Louis Duprez IL CONTE DI TOLOSA basso [baritono] Charles Portehaut RUGGERO, fratello del conte basso Adolphe Alizard ADEMARO di Monteil, ambasciatore di Roma basso Hippolyte Brémont RAIMONDO, scudiero di Gastone tenore Barbot Un soldato basso E Prévost Un araldo basso Molinier L'EMIRO di Ramla basso Guignot 236 Jérusalem Un ufficiale dell'Emiro tenore Koenig ELENA, figlia del conte soprano Julian Van Gelder IsAURA soprano Muller Cavalieri, dame, paggi, soldati, pellegrini, penitenti, un esecutore, sceicchi arabi, donne dell'harem, popolo di Ramla Il primo atto a Tolosa nel 1093 dopo il Concilio di Clermont. Gli altri atti quattro anni più tardi, in Palestina

RIASSUNTO DELL'AZIONE DRAMMATICA [N.B.Tra parentesi quadre sono citati i brani analoghi dei Lombardi alla prima crociata] 1 INTRODUZIONE. Questo preludio strumentale si basa su due elementi tematici: il canto di supplica dei monaci alla fine del terzo atto (Cum judicatur exeat condemnatus) e l'inciso melodico che apre il terzetto del quarto atto, fra loro correlati e sviluppati sì da condensare, attraverso l'impiego dei timbri orchestrali, le principali fasi del dramma e prepararne il clima.

ATTO PRIMO Nel palazzo de' l conte di Tolosa. - Una galleria che serve di comunicazione tra il palazzo e la cappella alla quale si ascende per mezzo di alcuni gradini e che si vede in tutta la sua profondità. All'esterno della galleria, una terrazza cinge il profilo del palazzo; da questa terrazza una scala scende nei giardini, che si lasciano intravvedere solo attraverso le cime degli alberi. 2. RECITATIVO E DUO. È notte. Al levarsi della tela Elena è presso la porta che conduce agli appartamenti del palazzo, e Gastone nel mezzo della scena che ascolta con inquietudine. Isaura, che veglia sul fondo, lo rassicura con un gesto. È un incontro segreto. Il conte di Tolosa con le nozze della propria figlia con Gastone desidera riconciliare le due famiglie; Gastone odia l'uomo che gli ha ucciso il padre in un'ingiusta guerra, ma è pronto a rinunciare alle ostilità se il conte acconsente al matrimonio. L'alba si avvicina; occorre separarsi; in un brevissimo duo, sostenuto da nient'altro che il suono di un corno, i due giovani si dicono teneramente addio (Addio, mio cuor, mia vita). Gastone scende per la scala in giardino; Elena lo segue con lo sguardo. Una campana suona l'Angelus. 3. AVE MARIA. Elena rientra in scena con Isaura, e s'inginocchia pregando per la salvezza di Gastone (Cielo pietoso, le preci intendi ["Salve Maria"]). 4. IL SORGERE DEL SOLE. Dopo aver pregato, Elena rientra con Isaura nel palazzo del conte. L'orchestra attacca un breve interludio che descrive, attraverso un crescendo strumentale, il sorgere dell'alba. 5. CORO. Intanto la galleria si riempie di cavalieri e di dame che salutano il giorno propizio che unisce due cuori rivali dando tregua all'odio (Or ecco il giorno propizio ["O nobile esempio"]): con la fine della guerra civile la crociata chiama tutti i cristiani sotto la stessa bandiera. 6. [RECITATIVO], SESTETTO E CORO. Il conte di Tolosa esce dagli appartamenti col fratello Ruggero, Elena e Isaura; Gastone giunge dall'esterno, seguito dal suo scudiero Raimondo e da un gruppo di cavalieri. Il conte gli tende subito la mano in segno di pace e di fratellanza. Al canto di dolce gratitudine espresso da Gastone si contrappone, sottolineata dal tremolo degli archi, l'ira di Ruggero. Quindi le voci si uniscono in un canto in cui si intrecciano i timori di Elena, la felicità di Gastone, il rodimento geloso di Ruggero, la soddisfazione del conte (Oh! come l'anima balza serena! ["T'assale, t'assale un fremito"]). Ruggero non si rassegna a vedere Elena andare sposa a Gastone e s'allontana infuriato alla ricerca di un braccio mercenario che serva alla sua ira. Intanto

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il conte invita Elena e Gastone a inginocchiarsi davanti all'altare. Giunge Ademaro di Monteil, l'Ambasciatore di papa Urbano; egli ha l'incarico di nominare il conte di Tolosa comandante dei crociati francesi. Nel decidere la partenza della crociata per l'indomani il conte cede a Gastone il proprio mantello bianco in segno di reciproca lealtà: il giovane s'inginocchia, un servo toglie il mantello dalle spalle del conte e lo pone su quelle di Gastone. Annunciato da squilli di tromba si eleva un canto generale, alternato da brevi episodi per terzetto a cappella, che è di esaltaziòne del Santo Sepolcro e della sua conquista cristiana (Guerrieri del Santo, del Giusto campioni ["All'empio che infrange la santa promessa"]). Il canto sfocia in una marcia scandita dal tamburo militare: tutti entrano nella cappella. 7.CORO DI DONNE E ARIA. Accompagnato dall'organo si ode provenire dalla cappella un canto religioso intonato da voci femminili (Se a te nell'ora infausta). Durante il coro interno riappare in scena Ruggero, che ascolta la preghiera in silenzio; vana invocazione, egli osserva: l'amore mi ha reso criminale; ma per ora la collera resti celata nell'ombra e nel mistero (Del mistero il più profondo ["Sciagurata! hai tu creduto"]). Entra un soldato: è il mercenario che Ruggero ha assoldato per far trucidare Gastone; nessuno in Tolosa lo conosce. Assicurandogli lauta ricompensa Ruggero conduce il soldato fino ai gradini della cappella e gli indica due guerrieri con l'armatura dorata: quegli che porta il mantello bianco è il mio amato fratello, l'altro è il mio nemico: colpiscilo a morte. Il soldato entra furtivamente nella cappella. 8. CORO DI BEVITORI [E CABALETTA]. Entrano soldati crociati recando coppe colme di vino, ed elevano un canto bacchico (Mentre l'ora si avvicina ["Niun periglio il nostro seno"]): sarà fatta strage dei saraceni e nessuna fanciulla araba potrà resistere ai loro doni, al battesimo e al buon vino. Alla fine del coro si sente ancora per un attimo il canto religioso: i soldati indicano la cappella ed escono con rispetto. Esplode intanto l'ira gelosa di Ruggero che attendendo il compimento del crimine invoca lo spirito del male (Ah! vien! demonio! affrettati!); alla fine si ode ancora il canto dei bevitori. 9. FINALE PRIMO. Si sente un tumulto, delle grida; il soldato esce dalla cappella fuggendo pallido e sconvolto: Ruggero ritiene compiuta la sua vendetta. Dalla cappella accorre lo scudiero di Gastone seguito da alcuni cavalieri gridando all'assassinio; alcuni soldati corrono all'inseguimento. Esce Gastone, seguito da Elena, Isaura,Ademaro, il conte e tutto il coro. Alla vista di Gastone, Ruggero resta stupefatto. Il conte di Tolosa, gravemente ferito, scende i gradini della cappella sostenuto da cavalieri che lo conducono negli appartamenti. Elena sta presso il padre, in preda alla più grande disperazione. Gastone vuole trattenerla. I soldati che hanno arrestato l'assassino ritornano con lui, e lo gettano ai piedi di Ruggero. L'Ambasciatore pontificio gli chiede chi lo ha pagato per uccidere: il mercenario accusa Gastone. Inorriditi, tutti puntano il dito contro di lui maledicendolo (Mostro! spergiuro! barbaro! r Mostro d'averno orribile"» mentre, a parte, Ruggero esprime orrore verso se stesso, ed Elena implora la giustizia del cielo: Gastone non è sacrilego. Alla fine l'Ambasciatore pronuncia l'anatema contro Gastone: si fa consegnare la spada e lo condanna all'esilio; ogni cristiano dovrà rifiutargli sale e pane (Fu lanciato su te l'anatema ["Va! Sul capo ti grava l'Eterno"]).

ATTO SECONDO Montagne di Ramla in Palestina, a poche leghe da Gerusalemme. - Una caverna presso la quale si eleva una rozza croce. Di lontano si vede la città araba di Ramla. 10. INVOCAZIONE [E RECITATIVO]. Al levarsi della tela Ruggero, i capelli bianchi, abbigliato in un rozzo saio e cinto da un corda, è prosternato davanti alla croce; lacerato dal rimorso è qui giunto a piedi nudi e per tre anni ha pianto in questo deserto selvaggio; dal fondo dell'abisso in cui si trova, vede sempre davanti a sé lo spettro del fratello, ma spera tuttavia nella clemenza del Signore (Oh! dì fatale! Oh, eccesso!... ["Ma quando un suon terribile"]). Un pellegrino appare sulla montagna; dopo pochi passi crolla a terra estenuato dalla fatica e dalla sete, e chiede aiuto. Ruggero accorre, stacca una fiasca dalla cintura e gli porge da bere. Il pellegrino gli indica altri sperduti sulla montagna e torturati dalla sete; Ruggero si allontana per soccorrerli. 11. [SCENA] E POLACCA. Due persone appaiono: sono Elena e la fedele Isaura. Fermamente convinta dell'innocenza di Gastone, Elena ha voluto recarsi in Palestina, dove si dice che egli sia morto, e chiedere consiglio all'eremita, venerato sia dai saraceni che dai cristiani. Le due donne si

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accorgono del pellegrino. Elena quasi non crede ai propri occhi: è Raimondo, lo scudiero di Gastone! Subito gli chiede notizie in un dialogo incalzante (Del tuo signor favella). No, Gastone, non è morto; è prigioniero a Ramla. Elena esulta di felicità (Nella speme io m'avvaloro ["Non fu sogno!"]); ora vuole rivederlo, a rischio della vita; ha dell'oro, e troverà bene il modo di rivedere colui che gli è sposo davanti a Dio. 12.CORO Di PELLEGRINI. Su un tema lamentoso molti pellegrini, prostrati dalla fatica e dalla sete, entrano a gruppi sparsi; alcuni salgono il sentiero più alto della montagna e ne ritornano scoraggiati; guardano con disperazione l'immensa solitudine che li circonda; infine tutti si rivolgono alla clemenza del Signore invocando la via del ritorno alla patria e alle sue fresche sorgenti (Oh! mio Dio, dunque vano è il tuo pegno? ["O Signore, dal tetto natio"]). 13. MARCIA. Si sente debolmente di lontano il suono di una fanfara. Alcuni pellegrini raccolgono le loro forze per salire vivacemente sulle alture e ne ridiscendono gridando con gioia: arrivano i crociati! Al suono di un marcia guerriera alcuni cavalieri accorrono annunciando la conquista di Ramla. Ben presto arriva l'esercito dei crociati, con la fanfara in testa, che sfila dall'alto della montagna; alcuni prestano cure ai pellegrini malati e ai feriti. 14. [SCENA E] CORO Di CROCIATI. Alla fine appaiono a cavallo il conte di Tolosa e l'Ambasciatore papale, circondati da paggi e da cavalieri. I pellegrini si prosternano. Il conte ringrazia Dio per essere scampato a un assassinio. Mentre l'Ambasciatore annuncia che al nuovo giorno apparirà Gerusalemme nel suo splendore divino, rientra Ruggero: a bassa voce i soldati esprimono la loro devozione per l'eremita. Come lo vede, il conte implora la sua benedizione; Ruggero, sconvolto nel rivedere il fratello, può solo chinare la testa nella polvere: alludendo a un peccato che deve essere espiato chiede di potersi unire alla crociata. Il conte, stupito, esaudisce la sua richiesta. Alla fine egli, Ruggero e l'Ambasciatore, all'unisono, intonano il canto dei crociati, cui tutti si uniscono in un coro finale (Il Signor ci promette vittoria!). La scena rappresenta la sala del Consiglio dell'emiro di Ramla. 15. ARIA. Gastone, ora prigioniero, viene introdotto nella sala, essendo stato convocato dall'Emiro; mentre aspetta, i suoi pensieri sono per Elena, che egli sa essere vicina: spezzerà ogni catena per rivederla e riascoltare la sua 'voce (Ch'io possa udir ancora ["La mia letizia infondere"]). 16. [SCENA E] DUETTO. Entra l'Emiro, seguito da alcuni sceicchi e da un ufficiale: dice a Gastone che gli ha risparmiato la vita per non attirarsi la vendetta dei cristiani; ora essi marciano verso Ramla; questo palazzo è la sua prigione: non tenti la fuga, sotto pena di morte. MI funzionario annuncia che una cristiana travestita da araba è stata arrestata sotto le mura; chiede che sia uccisa. Ma l'Emiro ordina di farla entrare. È Elena! I due sposi nel rivedersi cercano di contenere l'emozione. Interrogata dall'Emiro, Elena risponde che i cristiani non attaccheranno Ramla finché lei sarà dentro le mura della città. Il funzionario sospetta tuttavia un complotto. Anche l'Emiro è dello stesso avviso, e lascia soli Elena e Gastone disponendo che siano sorvegliati onde spiare le loro mosse. I due sposi, dopo tanto tempo, possono finalmente riabbracciarsi ed esprimersi reciprocamente tutto l'affetto; tuttavia Gastone supplica vivamente Elena di tornare dal padre (Me, che colse un anatema). Ma per Elena il rimorso d'aver abbandonato il padre è largamente compensato dall'aver ritrovato l'amore di Gastone (D'un padre oimè! l'imagine ["O belle, a questa misera"]). S'ode all'interno un grido d'allarmi, seguito da tumulto; dalla finestra Gastone vede sventolare delle bandiere crociate. Per i due sposi è il momento della fuga (Fuggiamo!... sol morte ["Ah! vieni, sol morte"]); il loro canto sovrasta le grida interne d'allarmi. Ma al calar della tela si trovano circondati dalle guardie.

ATTO TERZO I giardini dell'harem. 17. CORO DANZATO. Sono trascorse poche ore. Elena è rinchiusa nell'harem dell'Emiro. Le donne dell'harem la guardano e ridono della sua disperazione; alcune le danzano intorno, altre sono mollemente sdraiate su dei cuscini e la canzonano (La bella cattiva). 18. BALLABILI. Entra l'emiro con il suo funzionario, accompagnato da alcuni sceicchi arabi; al loro avvicinarsi le donne si velano e si disperdono nei giardini come volo d'uccelli. Segue un

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balletto di' odalische, in quattro parti (Pas de quatre, Pas de deux, Pas solo, Pas d'ensemble) e quindici movimenti. 19. SCENA E ARIA. Terminato il balletto, il funzionario avverte che i crociati stanno per dare l'assalto; l'Emiro confida nell'aiuto di Allah; ma se il capo dei crociati entrerà in Ramla, riceverà la testa di sua figlia.Tutti escono per presidiare le fortificazioni. Elena, rimasta sola, prega Dio di liberarla (Son vani i lamenti ["Se vano è il pregare"]). Improvvisamente delle donne irrompono in scena urlando e gridando che i cristiani sono entrati in Ramla. Elena trema per Gastone; ma questi, nel frattempo liberatosi approfittando dello spavento che aveva invaso le sue guardie, si precipita al suo fianco; ma trema a sua volta al pensiero di trovarsi al cospetto del padre di Elena. Entra il conte di Tolosa, furibondo nel vedere la figlia accanto al suo presunto assassino. I cavalieri afferrano Gastone gridando "a morte!". Sì, grida Gastone: mi sia preparato il supplizio e la cieca giustizia sparga pure il sangue di-un innocente. Elena accorre al suo fianco, scagliandosi contro la cieca rabbia del padre: che il suo sangue ricada su di voi (No... l'ira vostra, l'indegno insulto ["No!, no! giusta causa non è d'Iddio"]). Ma il conte non intende ragione e respinge la figlia maledicendo il suo amore. Mentre tutti invocano la morte per Gastone, il conte afferra Elena per le bràccia e la trascina via. La pubblica piazza di Ramla. Un palco addobbato di nero. 20. MARCIA FUNEBRE. Mentre il sipario rimane abbassato l'orchestra suona una marcia funebre, in cui spicca una melodia intonata dalla cornetta. Sulle ultime battute si riapre il sipario: Gastone viene condotto sotto scorta; dietro di lui in processione un gruppo di penitenti che porta la sua spada, il suo elmo e il suo scudo. Una gran folla si è radunata per assistere alla sua pubblica vergogna e all'esecuzione capitale; fra di loro i suoi compagni di crociata, guidati dal conte e dall'Ambasciatore pontificio, cui tocca pronunciare la sentenza. 21. GRAN SCENA E ARIA. Gastone protesta la propria innocenza al cospetto di Dio. L'Ambasciatore proclama la sua morte per l'indomani, ma oggi lo dichiara infame, privandolo di nobiltà e di cavalierato. Gastone preferisce la morte al disonore, e si rivolge ai compagni d'arme piangendo e implorando di non essere trattato come un infame (O miei diletti compagni d'armi). Ma invano. Un araldo ordina che la sentenza venga eseguita. Su un ritmo funebre scandito dai timpani, un gruppo di penitenti consegna l'elmo di Gastone al carnefice; è l'elmo di un traditore. Il carnefice lo frantuma a un colpo simultaneo di gong e di grancassa. I penitenti iniziano un canto di preghiera, sostenuto da un solo fagotto (Cum judicatur exeat condemnatus), sul quale si eleva il lamento di Gastone e il canto delle donne della folla, mosse a pietà. La cerimonia si ripete altre due volte: allorché l'araldo consegna al carnefice, nonostante la protesta del condannato, lo scudo e quindi la spada perché siano frantumati. Infine annuncia che all'alba dell'indomani la testa di Gastone cadrà sotto la mano del carnefice. Al sommo della disperazione Gastone implora di essere ucciso subito (Colpite alfin! L'orgoglio mio riprendo°, mentre tutti si rivolgono alla giustizia di Dio perché nella sua equità giudichi l'anima del condannato (Empio! Fellon! la tua condanna è scritta).

ATTO QUARTO La scena rappresenta il limite del campo dei crociati nella valle di Josafat. 22. CORO DELLA PROCESSIONE. Alcuni soldati vigilano l'entrata d'una tenda principale. Ruggero contempla la lugubre valle da cui si scorge la vista di Gerusalemme: sente che la morte è vicina. In lontananza si ode un coro: (Gerusalem!... la grande, la promessa città!): all'appressarsi del combattimento i crociati invocano il favore di Dio. All'ingresso di Elena, che avanza in mezzo alle donne, la melodia di un oboe prepara l'intervento dei bassi del coro che indicano il monte Oliveto (Sovra quel colle il Nazaren piangea), il luogo del supplizio, dove un angelo porse il calice al figlio di Dio. La processione si dilegua in lontananza, mentre una fanfara di trombe avvia l'estinguersi delle voci coro ormai lontane nella valle. 23. [SCENA E] TERZETTO. L'Ambasciatore pontificio si rivolge all'eremita, che senza entrare in Ramla ha voluto precedere i crociati: gli chiede l'assoluzione per un condannato a morte, quindi prosegue per raggiungere l'armata. Elena, che è intanto misteriosamente ricomparsa rimanendo sul fondo e ascoltando, dopo la partenza dell'Ambasciatore si avanza aspettando con angoscia che Gastone appaia. Questi vien fatto uscire dalla tenda guidato da un soldato e finalmente rivede

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Elena, che si slancia verso di lui. All'udire la voce di Gastone, l'eremita lo riconosce. Nella sua disperazione Elena quasi impreca contro Dio (Dio, che tutto a me togliesti ["Tu la madre mi togliesti"]). Il giovane chiede all'eremita d'essere benedetto; ma questi non può: la sua mano è colpevole.Tuttavia Gastone insiste; ponendo fra le mani di Gastone la sua spada, la cui impugnatura forma una croce, l'eremita lo rassicura: la giustizia divina sarà provata e la sua innocenza rivendicata. Il suono del flauto introduce un terzetto (Non isperan o misera ["Qual voluttà trascorrere"]): Gastone esprime la propria disperazione per la morte imminente; Elena tenta di consolarlo invocando anche per sé la morte, mentre l'eremita rassicura che in questo giorno la giustizia del cielo sarà appagata. Al rumore del combattimento Ruggero restituisce a Gastone la sua armatura dicendogli: "Sii libero; ora puoi combattere per il Signore"; quindi entrambi si precipitano nella mischia. La tenda del conte di Tolosa. 24. LA BATTAGLIA. A sipario calato un brano per sola orchestra descrive la battaglia in corso. 25. FINALE DELL'ATTO QUARTO. Si riapre il sipario. Dal fondo della tenda si scorge il panorama di Gerusalemme. Elena e Isaura sono in attesa dell'esito della battaglia. Con loro grande gioia il conte entra in trionfo, seguito dall'Ambasciatore e da alcuni cavalieri che recano gli stendardi conquistati. Da ultimo entra uno sconosciuto cavaliere col viso coperto da una celata. Il conte, che lo ha visto compiere gesta di incredibile valore, chiede di conoscerne il nome. Per tutta risposta il cavaliere solleva la celata: è Gastone, che ora chiede di essere giustiziato dai suoi carnefici. In quello stesso momento entra Ruggero vacillante, mortalmente ferito. Egli confessa il proprio crimine, chiedendo perdono al fratello e salvezza per Gastone; come ultimo desiderio chiede di vedere ancora una volta Gerusalemme. La tenda viene aperta e, mentre i raggi del sole illuminano i bastioni della città santa, tutti si uniscono in un inno finale (Te lodiamo, gran Dio di vittoria).

Il Corsaro [Melodramma in tre atti] Poesia di Francesco Maria Piave

Prima rappresentazione: Trieste, Teatro Grande [oggi Teatro Verdi], 25 ottobre 1848 L'argomento deriva dal poema The Corsair del poeta inglese Lord George Gordon Byron (Londra, 1788 - Missolungi (Grecia),1824), pubblicato nel 1814 e divenuto molto in voga presso il pubblico italiano del tempo, tanto che nel 1826 alla Scala fu ridotto ad azione mimica e quindi nel 1831 a Roma musicato da Giovanni Pacini su libretto di Jacopo Ferretti. Già in vista della sua prima opera per la Fenice, Verdi aveva inserito Il corsaro fra gli argomenti su cui operare una scelta, più tardi realizzatasi con arnani. Firmato nel 1845 con l'editore Lucca un contratto per un'opera da rappresentarsi a Londra, il compositore ripropose l'argomento a condizione che il libretto fosse di Piave. Procrastinato di un anno l'impegno londinese a causa della lunga malattia patita al tempo di Attila, Verdi si decise per I masnadieri, mantenendo tuttavia il Corsaro quale argomento per un'altra opera che s'era impegnato a scrivere per l'editore Lucca sin dall'ottobre del 1845 e che si sarebbe dovuta rappresentare in un primario teatro italiano entro il 1849. Nel frattempo s'erano fortemente incrinati i suoi rapporti con Lucca, a tal punto che il maestro volle sbarazzarsi al più presto dell'impegno che aveva con lui, portando rapidamente a compimento la composizione del Corsaro - di cui aveva già sbozzato nel 1846 alcune scene, fra le quali il duetto della prigione e il terzetto finale - senza quasi alterare il libretto di Piave. Il 12 febbraio 1848 consegnava la partitura completa a Lucca, autorizzandolo a farne l'uso che volesse sia della musica che delle parole. L'opera fu destinata dall'editore al Teatro Grande di Trieste con una compagnia di gran cartello che costituiva di per sé una garanzia per il compositore in quanto comprendeva la Barbieri Nini (che aveva partecipato alle prime' dei Foscari e del Macbeth), il tenore Fraschini (presente alle prima' di Alzira) e il baritono De Bassini (che aveva 'creato' la parte di Francesco Foscari). Verdi non si mosse da Parigi, dove risiedeva, impegnato nella composizione della Battaglia di Legnano, limitandosi a fornire alla Barbieri Nini, che gliene aveva fatto richiesta, alcune indicazioni essenziali per l'interpretazione dell'opera. L'accoglienza del pubblico e della stampa fu molto negativa; il commento generale fu che Trieste si attendeva da Verdi qualcosa di molto meglio.

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Dopo tre sere l'opera fu tolta dal cartellone. Tuttavia Lucca accanito concorrente di quel Ricordi che era rimasto praticamente l'unico editore di Verdi non si rassegnò facilmente al fallimento di un'opera sulla quale aveva fatto molto affidamento, e tra il 1852 e il 1853 organizzò una serie di rappresentazioni del Corsaro in alcuni teatri secondari, ma senza riuscire a stabilire l'opera nel repertorio, nonostante qualche considerevole successo (in particolare nel primario teatro della Fenice dove l'opera andò in scena a pochi giorni dalla prima' di Traviata). Dopo un'apparizione a Lodi nel 1860 e a Oporto nel 1864, Il corsaro cadde in un totale oblio, restando ignorato perfino alla Verdi-Renaissance tedesca, pur così provvida nel riportare in vita tante opere cosiddette 'minori' del maestro. La ricomparsa del Corsaro sulle scene risale all'allestimento fatto alla Fenice di Venezia nel 1963. Le sporadiche riprese avvenute in seguito in alcuni teatri italiani e stranieri hanno tuttavia dimostrato che quest'opera, pur non rientrando nel rango dei capolavori di Verdi, è scritta con mano maestra, risultando, per l'efficacia degli aspetti drammatici e la maturità dello stile, una delle meno invecchiate fra le sue opere del periodo giovanile.

PERSONAGGI E PRIMI INTERPRETI CORRADO, capitano dei corsari primo tenore Gaetano Fraschini GIOVANNI, corsaro basso Giovanni Volpini MEDORA, giovane amante di Corrado altra prima donna Carolina Rapazzini GULNARA, schiava prediletta di Seid prima donna Marianna Barbieri Nini SEID, pascià di Corone primo basso cantante [baritono] Achille De Bassini SELIMO, agà [agha] secondo tenore Giovanni Petrovich Eunuco, nero tenore comprimario Francesco Cucchiari Uno schiavo tenore comprimario Stefano Albanassich Anselmo, corsaro che non parla [mimo] N. N. Corsari, guardie, turchi, schiavi, odalische. Ancelle di Medora. Scena: Un'isola dell'Egeo e la città di Corone Epoca: Il principio del secolo XIX

RIASSUNTO DELL'AZIONE DRAMMATICA N. B. La struttura del riassunto non tiene conto del consiglio che Verdi diede alla Barbieri Nini alla vigilia della 'prima', di dare l'opera in due soli atti, riunendo in un solo atto i primi due. 1. PRELUDIO. È in tre movimenti. Si apre con un Allegro tempestoso, che crea il clima byroniano del dramma. L'energia sonora delle terzine in contrattempo si scarica improvvisamente su una cadenza sospesa che introduce l'Andante. Una serie di armonie cromatiche aprono la via a un'espressiva melodia del clarinetto (è il tema di Medora morente). Dopo un breve percorso la melodia sfocia in un concitato Allegro conclusivo che a poco a poco si spegne sul prolungato rullo del timpano.

ATTO PRIMO L'isola dei corsari nell'Egeo. Seno di mare circondato da erti scogli che ne lasciano vedere l'ampiezza. Si scorge da lontano sopra una più alta rupe scoscesa una massiccia torre quadrata di architettura bizantina. Tra gli scogli a sinistra si vedono capanne e grotte, rifugio dei corsari. E il tramonto. -2. CORO, SCENA ED ARIA. Corsari sparsi qua e là per la scena. Dall'interno giunge il canto grintoso di altri corsari che inneggiano alla loro vita sui mari (Come liberi volano i venti), liberi di cacciare ovunque le prede favorite, affrontando coraggiosamente la morte con una bandiera rossa come scettro. Entra Corrado pensieroso; ascoltando il fiero canto dei suoi corsari, pensa al destino che lo costringe a essere in guerra perenne con tutti gli uomini. È assai temuto, ma è anche molto infelice. E rivolge la. mente a un fato inesorabile che gli rapì ogni bene (Tutto parea sorridere). Entra frettoloso Giovanni, insieme ai corsari, per consegnare a Corrado una lettera pervenuta tramite un fidato messaggero da parte del "greco esploratore". Corrado legge la lettera. Il contenuto lo induce a ordinare ai suoi uomini di tenersi pronti per salpare in serata. Quindi si scatena in una dichiarazione di guerra contro il Mussulmano (Sì: de' corsari il fulmine), cui si uniscono i corsari. Alla fine Corrado si avvia alla torre, mentre i corsari si disperdono per i preparativi.

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Stanze di Medora nella vecchia torre, con verone verso il mare. 3. ROMANZA. Una dolente melodia di violini e violoncelli introduce il personaggio di Medora che, sola in scena, attende il ritorno dell'amato Corrado. Senza lui vicino il tempo non sembra IZ Corsaro 243 passare mai. Prende l'arpa affinché assecondi il suo canto sì che il suo lamento possa giungere all'amato sulle ali del vento.Tetre visioni gravano sulla sua esistenza e la speranza é solo un breve raggio di luce (Non so le tetre immagini); oppressa da una tristezza infinita, finisce per annichilirsi giungendo a desiderare la morte. 4. SCENA E DUETTO. Sulle ultime battute entra Corrado. Sentendo le ultime parole di Medora le chiede il motivo di tanta tristezza. Ella si giustifica allora dicendo che in assenza di lui non può essere lieta. Il corsaro le conferma che il loro amore non morrà; ma ha bisogno dell'incoraggiamento dell'amata per portare a compimento una pericolosa impresa. Medora tenta di trattenerlo con parole di supplica: le notti saranno per lei lunghe veglie e il rumore del vento le parrà un lamento (No, tu non sai comprendere); Corrado la rassicura: presto lo vedrà tornare tra i vortici che lo porteranno direttamente tra le sue braccia, dove egli le asciugherà le lacrime, e tutto si trasformerà in gioia. Ma intanto l'ora della partenza incalza. Medora cerca di trattenere Corrado. Si ode un colpo di cannone: è il segnale. Medora supplica nuovamente Corrado chiedendo pietà per le proprie lagrime: sente in cuor suo che non lo rivedrà più e che se un giorno tornerà la troverà morta dal dolore (Tornerai, ma forse spenta); Corrado fa di tutto per rassicurarla: sarà presto di ritorno e il dolore dell'amata si trasformerà in letizia. Il cannone tuona una seconda volta. Corrado esce fuggendo; Medora sviene.

ATTO SECONDO Stanza deliziosa nell'harem di Seid. 5. CORO DI ODALISCHE. Alcune odalische presentano veli trapunti e gemme a Gulnara lodando la sua bellezza: ella è la più fulgente stella dell'harem di Seid (Oh qual perenne gaudio t'aspetta). 6. CAVATINA. Gulnara in realtà odia Seid. Per lei non è che un vile mussulmano e tutte le gemme e gli ori non potranno mai comprare il suo amore. Il suo pensiero si rivolge al sospirato cielo della terra natia (Vola talor dal carcere). Entra un Eunuco nero che per ordine di Seid invita Gulnara ai festeggiamenti per l'imminente vittoria. La donna accetta, consapevole che la vita che l'aspetta non è fatta solo di dolori: la conforta la speranza che il cielo impietosito le renda l'amore che la infiamma (Ah conforto è sol la speme). Magnifico chiosco in riva al porto di Corone, che si vedrà occupato dal naviglio mussulmano illuminato e parato a festa. A sinistra dello spettatore si vedrà parte del serraglio pure splendente di luci.Alla destra vi è una tenda con sotto le mense apparecchiate. 7. CORO ED INNO. Soldati e capitani mussulmani cantano a festa minacciando morte ai corsari (Sol grida di festa). Entra Seid seguito da Selimo e da altri guerrieri.Tutti si prostrano. Seid esorta i suoi sudditi alla gioia; fa squillare le trombe e invita a elevare un inno ad Allah. Egli stesso intona il canto magnificando, sul ritmo martellante degli ottoni, la potenza del Profeta in pace e in guerra (Salve, Allah!); a una sola voce gli risponde compatto il coro dei sudditi. 8. RECITATIVO E DUETTINO. Entra uno schiavo: annuncia l'arrivo di un Derviscio sfuggito alle catene dei corsari, che implora di parlare a Seid. È Corrado, che sotto le mentite spoglie di un monaco islamico, una veste con cappuccio, nasconde l'armatura di maglia di ferro e l'elmo. Egli racconta che, fuggito dai corsari, dopo tre mesi di navigazione fu salvato da un umile pescatore; ora chiede la protezione di Seid. Questi s'infuria contro i corsari (Di: que' ribaldi tremano) promettendo di ridurre in cenere i loro covi; Corrado gli dice che durante la prigionia non ha potuto vedere altro che il cielo e udire il fragore delle onde; ma sa che il riparo dei corsari è mal custodito. 9. FINALE SECONDO. Corrado fa per partire, ma Seid gli ordina di rimanere. A un tratto un chiarore abbagliante illumina la scena. Si grida al tradimento, mentre scoppia un brulotto: il fuoco s'appicca alle navi, indi al serraglio. Corrado getta il cappuccio e la veste e appare armato di elmo e di maglia di ferro; suona un corno e impugnando la spada chiama a sé i corsari; questi irrompono sulla scena mettendo in fuga i Turchi. Dall'interno del serraglio si odono le voci di Gulnara e delle odalische che gridano al soccorso. Ordinando di uccidere gli uomini, ma di risparmiare le donne,

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Corrado corre con i suoi alla volta del serraglio e ne ritorna precipitosamente tenendo fra le braccia Gulnara; i corsari lo seguono traendo con sé le odalische. Corrado le tranquillizza, mentre dal di fuori si odono le voci dei Turchi che vengono all'assalto al grido di Allah. Corrado cerca di sfuggire all'accérchiamento, ma ne è impedito dai Turchi capitanati da Seid, che entrano in scena, sempre al grido di Allah. Anselmo e parte dei corsari riescono a fuggire; gli altri sono circondati e vinti. Lo stesso Corrado è costretto a cedere. Seid, dopo aver ordinato che gli sia risparmiata la vita, gli si avvicina con fare ironico e lo schernisce quale rapitore di donne; ma dopo che Corrado gli impone di tacere, esplode incontenibile la sua ira (Audace cotanto mostrarti): il corsaro sarà messo a morte; Corrado, per nulla intimorito, replica che dalla sua bocca non uscirà un lamento; intanto Gulnara, guardandolo ammirata, si sente affascinata dal suo coraggio. Soldati turchi trascinano via parte dei corsari in catene. Selimo informa il Pascià dell'esito della vittoria: molti corsari sono stati trafitti, altri ridotti in schiavitù, altri ancora sono fuggiti. Ma Seid ordina di non inseguirli; gli basta aver fra le mani il loro capo. Corrado mantiene il suo contegno sprezzante e accusa Seid di perfidia. Questi gli risponde facendogli presente le torture atroci che lo attenderanno (Sì, morrai di morte atroce); mentre Corrado resta impassibile alle minacce e i corsari superstiti rispondono con grande fierezza agli insulti del Pascià, Gulnara e le odalische lo supplicano di salvare la vita all'uomo che salvò la loro.

ATTO TERZO Stanza di Seid. 10. SCENA ED ARIA. Seid è solo e pensa all'audace corsaro che osò incendiare la sua reggia e rapire l'amata Gulnara. Poi nella sua mente di amante si affaccia il sospetto che costei non gli sia fedele.Tormentato dalla gelosia, rammenta che Gulnara fu da lui scelta tra altre cento vergini; se il suo amore per lei dovesse essere tradito la sua vendetta sarebbe spietata (Cento leggiadre vergini). Per sciogliere ogni dubbio chiama Selimo e gli ordina di condurre Gulnara alla sua presenza; inoltre comanda che il prigioniero l'indomani sia messo a morte fra le torture. Nel frattempo prorompe in un'invettiva piena di ferocia vendicativa (S'avvicina il tuo momento): se scoprirà che Gulnara non lo ama, egli da amante si trasformerà in tiranno. 11. DUETTO. Entra Gulnara. Seid la guarda e le si-rivolge cercando di mascherare con ironica dolcezza i propri intenti. Le annuncia che Corrado è prigioniero e che sarà messo a morte. Gulnara riconosce giusta la sentenza; tuttavia propone di tenerlo in vita per riscuotere la grossa taglia che pesa sulla sua testa. Seid, nel risponderle che non lo lascerebbe libero per tutti i tesori del sultano, intuisce che l'intenzione della giovane è quella di salvare il corsaro. Invano Gulnara tenta di protestare; ma Seid ha già ascoltato abbastanza e ritiene ormai fondati i propri sospetti: ella ama Corrado. La sua ira prorompe con tutta la violenza; maledicendo l'istante in cui fu salvata dall'incendio, minaccia la giovane schiava (Sia l'istante maledetto): nel suo cuore geloso ormai alberga solo la morte. Gulnara freme a queste parole oltraggiose e dentro di sé sente accrescere l'odio per il tiranno e il desiderio di vendetta. Quando Seid è fuori di scena Gulnara gli lancia un ultimo grido "Guai, tiranno!". Interno di una torre. Di fronte una porta chiusa che mette al mare; presso ad essa un balCone con grosse inferriate. A sinistra dello spettatore una porta con cancello che guida alle gallerie superiori del serraglio. Da un lato è un duro giaciglio. 12. SCENA E Dumo. Corrado, carico di catene, passeggia con fare altero. Un preludio dominato dal lamento degli archi crea un'atmosfera di cupo squallore. Il corsaro è disperato perché i suoi ambiziosi sogni sono svaniti (Eccomi prigioniero f); il suo pensiero corre all'infelice Medora, cui la notizia della sua morte sarebbe certamente fatale. Avesse almeno una spada! Sconsolato, si getta esausto sul giaciglio e, vinto dal sonno, s'addormenta. Entra cautamente Gulnara: aperto il cancello, s'avanza vestita di bianco cón in mano una lampada. Appressatasi a Corrado amorosamente, lo contempla rammentando come egli tentasse di salvarla sottraendola per un attimo a Seid. Corrado si desta e vede la bella odalisca che lo conforta con dolci e rassicuranti parole. Ella gli è amica e troverà un modo di salvarlo anche se Seid ha già decretato la sua morte (Seid la vuole). Ma il corsaro rifiuta: preferisce la morte alla viltà; e confessa d'essere lacerato da un solo pensiero: quello di una persona amata che lo attende invano. Gulnara si rattrista nel sentire che egli ama un'altra donna; invidia Medora con tutto il cuore e a Corrado, che la crede

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innamorata del Pascià, s'affretta a dichiarare che una schiava non può amare: solo in un cuore libero può albergare il vero amore (E può la schiava un palpito). Ma intanto occorre cercare libertà per entrambi; con concitazione Gulnara rivela il piano di fuga: ella ha già corrotto i soldati e gli sgherri; una nave li attenderà nel porto; quanto a Seid, ecco un pugnale, da lei celato in seno, con cui trafiggerlo nel sonno. Ma a Corrado ripugna la proposta di usare un pugnale per uccidere un inerme. Con appassionato tono di preghiera Gulnara tenta di convincerlo a fuggire dal carcere (Non sai tu che sulla testa); ma il corsaro, rassegnato, chiede d'essere lasciato al proprio destino. Gulnara è furibonda, e dopo aver schernito il corsaro per la sua viltà, fugge brandendo il pugnale verso gli appartamenti di Seid. Il tuono rumoreggia; scoppia un fulmine. La furia degli elementi si scatena in pochi istanti, mentre Corrado invoca su di sé il fulmine inceneritore. Altrettanto rapidamente la tempesta si allontana. Cessa il tuono e il cielo va a poco a poco rasserenandosi. Gulnara ritorna volgendo lo sguardo inorridita dietro di sé, cammina vacillando e cade; con voce soffocata confessa a Corrado d'aver ucciso Seid; quindi gli si appressa piangendo: ha compiuto il delitto per amore del corsaro; ma se questi non può amarla, che almeno fugga con lei (La terra, il ciel m'abborrino). Di fronte al gesto di Gulnara il corsaro sente accresciuti i propri rimorsi; commosso dalle sue suppliche promette di salvarla fuggendo con lei. Escono insieme per la porta che mette al mare. Spiaggia del mare come nell'atto primo. Si vede una nave ancorata. 13. TERZETTO FINALE. Un breve preludio orchestrale prepara una scena di desolazione. Medora chiede ai corsari notizie di Corrado; ma il loro aspetto abbattuto sembra confermarle la verità da tempo paventata: Corrado non è più. Già sente scendere nelle sue viscere la morte: ben presto si ricongiungerà al suo amato in un altro mondo. Mentre viene esortata a sperare, alcuni guardano verso il mare e avvistano una vela improvvisamente comparire all'orizzonte: è la nave di Corrado. In un crescendo di sonorità, ne scende, festeggiato dai compagni, Corrado insieme a Gulnara. Corrado si precipita ad abbracciare Medora, affrettandosi a raccontarle delle avventure in terra mussulmana e del fortunoso salvataggio a opera di Gulnara (Per me infelice). A lei si rivolge Medora per ringraziarla d'avergli salvato Corrado. Gulnara si schermisce, giustificando la propria azione come gesto dettato da un amore tuttavia non corrisposto. Ma è ormai troppo tardi per Medora, che sente la morte appressarsi. Tutti i presenti si commuovono alla vista della giovane che sta via via perdendo i sensi. Mentre Corrado si mostra disperato, Medora, con un ultimo sforzo chiede di poter morire sul suo seno (O mio Corrado, appressatt). La commozione è generale; la stessa Gulnara chiede perdono al cielo, mentre Corrado impreca contro un destino che gli ha reso la vita togliendola alla donna da lui tanto amata. Medora muore nelle braccia di Corrado. Questi, disperato, si slancia in mare per affogarvi, mentre le ancelle portano via la salma di Medora. Gulnara cade svenuta.

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Verdi a Napoli (dipinto di Achille Scalese, 1858)

La battaglia di Legnano

Tragedia lirica in quattro atti di Salvadore Cammarano Prima rappresentazione: Roma,Teatro di Torre Argentina, 27 gennaio 1849

L'argomento deriva da una tragedia, La Bataille de Toulouse, allora ben nota in Italia, scritta nel 1828 da Joseph Méry (Marsiglia, 1797 - Parigi, 1866), bonapartista e ardente ammiratore dell'arte italiana; la vicenda, ambientata negli ultimi giorni della sesta coalizione (1814), era incentrata sulla tragedia privata di tre personaggi, il tema patriottico fungendo più che altro da sfondo. Cammarano, nel trasportare la vicenda al tempo della Lega Lombarda, s'incaricò di porre in primo piano il tema patriottico senza sbilanciare il dramma privato, dando rilievo alle scene di massa e ai risvolti politici, tenendo conto anche delle esigenze del compositore, che desiderava una scena col Barbarossa, la scena in cui Rolando benedice itfiglioletto alla vigilia della' battaglia decisiva e infine la scena finale davanti a S. Ambrogio. Concepita e composta nel clima bollente e convulso della rivoluzione del Quarantotto, la Battaglia di Legnano - al contrario di quanto si potrebbe ritenere - non fu solo opera d'occasione. Già il 22 luglio 1848 Verdi da Parigi aveva proposto a Piave un libretto su un soggetto "italiano" ispirato a Ferruccio, `personaggio gigantesco, uno dei più grandi martiri della libertà italiana". Ma il progetto, da ricavarsi dall'Assedio di Firenze di Guerrazzi, abortì quasi sul nascere. Nel frattempo Verdi aveva accolto l'invito di Mazzini (da lui conosciuto a Londra nel luglio del 1847) a comporre la musica per un nuovo inno di Goffredo Mamelt Suona la tromba, ondeggiano le insegne; l'inno giunse purtroppo quando oramai la rivoluzione era in fase di ripiegamento (d'altronde esso non presenta né nella musica né nel testo quel carattere di schietta popolarità - pur ricercato da Verdi - in grado di competere con l'inno Fratelli d'Italia, lanciato un anno prima). Scartato il soggetto di un Cola di Rienzo, suggerito ila Verdi, per le difficoltà incontrate nel dargli forma drammatica, fu lo stesso Cammarano a proporre nell'aprile del 1848 "di tratteggiare l'epoca più gloriosa della , storia italiana, quella della Lega Lombarda" impostando la vicenda sulla stessa tela offerta da La Bataille de Toulouse di Méry. Verdi accolse il suggerimento di Cammarano. L'opera fu dunque concepita quando sembrava che gli Austriaci avessero lasciato l'Italia per sempre e si nutriva speranza di raggiungere l'unità

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politica. Ma a causa della lentezza con cui operava Cammarano, essa fu pronta solo alla fine del 1848, quando quella speranza stava ormai svanendo. Fu tuttavia rappresentata in una Roma in cui la rivoluzione era al culmine, una Roma abbandonata dal Papa dopo l'assassinio del ministro riformista Pellegrino Rossi per mano di fanatici repubblicani, all'immediata vigilia della proclamazione della Repubblica Romana guidata dal triumvirato Mazzini - Saffi - Armellini. L'esito, manco a dirlo, fu di entusiastica accoglienza. Subito rappresentata anche a Firenze, Ancona e Genova, l'opera scomparve dalle scene a causa delle vicende post-quarantottesche, salvo un paio di riprese all'estero con libretto modificato in Assedio di Arlem. Dopo il Trovatore Verdi, che credeva nei valori drammaturgici della Battaglia di Legnano, tentò di riportarla in vita modificandone l'argomento, ma senza esito, stante l'incapacità del librettista Bardare (Cammarano nel frattempo era morto) di stendere un libretto musicabile. All'alba dell'unità italiana (18601861) l'opera ebbe tuttavia una decina di riprese (fra cui alla Scala e al 5'. Carlo), per poi sparire dalle scene. Dopo una riapparizione alla Scala nel 1916 e una timida ripresa durante la Verdi-Renaissance tedesca (Augsburg 1932) sull'opera scese il silenzio. Occorrerà attendere il secondo dopoguerra (a cominciare da Parma nel 1951) per vederla ricomparire, sebbene sporadicamente, sulle scene.

PERSONAGGI E PRIMI INTERPRETI FEDERICO BARBAROSSA basso profondo Pietro Sottovia I CONSOLE di Milano secondo basso Alessandro Lanzoni II CONSOLE di Milano secondo basso Achille Testi Il Podestà di Como secondo basso Filippo Giannini ROLANDO, duce milanese primo basso cantante [baritono] Filippo Colini LIDA, sua moglie prima donna Teresa De Giuli Borsi ARRIGO, guerriero veronese primo tenore Gaetano Fraschini MARCOVALDO, prigioniero alemanno secondo baritono Lodovico Buti IMELDA, ancella di Lida seconda donna Vincenza Marchesi Un Araldo secondo tenore Luigi Ferri Cori e Comparse: Cavalieri della Morte - Magistrati e Duci Comaschi - Ancelle di Lida - Popolo Milanese Senatori di Milano - Guerrieri di Verona, di Brescia, di Novara, di Piacenza e di Milano - Esercito Alemanno L'epoca: 1176 [nel mese di maggio] Nota storica: Federico I di Hohenstaufen detto il Barbarossa (1123 ca. - 1190) ottenne da papa Adriano V, dopo avergli consegnato l'eretico Arnaldo da Brescia, la corona di imperatore del Sacro Romano Impero. Convinto assertore della missione universale dell'impero e della sua sacralità, pretese la restituzione dei diritti usurpati da parte dei comuni del nord d'Italia; sceso con il suo esercito in Italia nel 1158, rase al suolo le città ribelli: dapprima Tortona, quindi Crema e nel 1162 Milano. Per tutta risposta, secondo una tradizione peraltro non documentata, il 7 aprile 1167 si celebrò a Pontida, località del bergamasco, su sollecitazione di papa Alessandro III, acerrimo oppositore dell'imperatore, un giuramento fra i delegati delle varie leghe unitesi in un'unica Lega Lombarda. La resistenza della Lega all'autorità imperiale spinse il Barbarossa a scendere nuovamente in Italia nel 1174, trovando un alleato nel comune di Como; dopo aver invano assediato la cittadella di Alessandria, fu sconfitto a Legnano il 29 maggio 1176 dall'esercito della Lega Lombarda.

RIASSUNTO DELL'AZIONE DRAMMATICA Antefatto

Arrigo, condottiero veronese, nominato ambasciatore a Milano, trova ospitalità presso il padre di Lida. Conosce la fanciulla e se ne innamora: i due giovani si giurano eterno amore. Partito per la guerra contro l'imperatore Federico Barbarossa, viene ferito gravemente a Susa e fatto prigioniero; a Milano giunge notizia che egli sia morto. Frattanto Lida, per volere del padre, sposa Rolando, un fraterno amico di Arrigo. Questi, infine liberato e rientrato a Verona, riesce a sopravvivere grazie alle cure della madre;

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ripreso il comando delle schiere veronesi, accorre a Milano, nuovamente riedificata, rispondendo all'appello delle leghe comunali. 1. SINFONIA. Si apre con un tema marziale, intonato dagli ottoni (Allegro marziale maestoso), che costituisce - a guisa di Leitmotiv - la sigla musicale della Lega Lombarda. Il maschio carattere del tema non si esaurisce quando viene ripreso dai legni, e anzi riesplode all'improvviso con tutta l'orchestra per sfociare poi in un episodio lirico (Andante sostenuto), condotto dai legni, in cui risuona un tema melanconico (che sarà poi associato all'episodio di Arrigo mentre scrive alla madre). Un graduale crescendo conduce a un'immane esplosione, che a sua volta prepara la ripresa del tema: essa si snoda su un accompagnamento sempre più rielaborato e termina in un pianissimo. La seconda parte della Sinfonia (Allegro) si apre con la riproposizione del tema marziale dell'inizio; su di esso s'innesta un nuovo tema, di carattere a un tempo brillante e militaresco, che si sviluppa su un doppio crescendo, per concludersi infine con una lunga coda contrassegnata da un contro-tema (quasi un'eco della Marsigliese), di carattere marziale, che suggella il percorso musicale della Sinfonia su un tono trionfale.

ATTO PRIMO: Egli vive! Parte della riedificata Milano, in vicinanza delle mura. 2. CORO D'INTRODUZIONE. Da una parte della città s'inoltrano i militi piacentini ed alcune centurie di Verona, di Brescia, di Novara e di Vercelli. La contrada è gremita di popolo, come i soprastanti veroni, da cui pendono arazzi variopinti e giulive ghirlande. Un grido universale di esultanza, un prolungato batter di palme e un nuvolo di fiori che cade dall'alto sulle squadre, attesta le festevoli accoglienze ad esse prodigate. Arrigo è fra i guerrieri veronesi. Le squadre rinnovano il giuramento fatto a Pontida nove anni prima per lottare contro il Barbarossa, giuramento che di tanti popoli ne ha fatto uno solo (Viva Italia! Sacro un patto). Dall'alto dei balconi rispondono le donne inneggiando all'Italia. 3. SCENA E ROMANZA. Arrigo, veronese, saluta la risorta Milano, egli, creduto morto, fatto prigioniero, ma tornato a vita grazie alle cure della madre (La pia materna mano). 4. SCENA E ROMANZA. Si odono voci interne che a poco a poco s'avanzano (Viva Italia forte ed una): sono le schiere milanesi, guidate da Rolando; questi è stupito nel rivedere vivo l'amico Arrigo, che credeva caduto nella battaglia di Susa, e corre a salutarlo con grande calore, ringraziando Dio d'avergli restituito l'amico (Ah! m'abbraccia). 5. GIURAMENTO. Uno squillo di trombe annuncia l'arrivo dei due Consoli di Milano. Alla loro presenza Arrigo invita tutti a giurare di difendere la città col proprio sangue e di trar vendetta dello scempio fatto dalle truppe del Barbarossa (Tutti giuriam difenderla). Quindi, con alla testa i Consoli e seguite dal popolo, le schiere si allontanano a ritmo di marcia. Sito ombreggiato da gruppi d'alberi in vicinanza delle fossate colme d'acqua, che circondano i muri; essi si vedono torreggiare nel fondo. 6. CORO DI DONZEI.LE. Lida si avanza assorta in profondi pensieri; le sue donne la seguono. Ella siede all'ombra e vi rimane estatica, con gli occhi rivolti al cielo. Le donne si stupiscono del suo atteggiamento; poi tutte si uniscono in un canto gioioso di plauso per l'esercito della Lega accorso in difesa di Milano (Plaude all'arrivo Milan dei forti). 7. SCENA E CAVATINA. Lida condivide il plauso delle donne; tuttavia è triste per la morte dei fratelli e dei genitori: solo conforto al suo dolore è il pianto (Quante volte come un dono); quante volte ha desiderato di morire! ma Dio le ha dato un figlio, e ora deve adempiere ai doveri di madre. Improvvisamente s'indigna nel constatare l'inattesa presenza di Marcovaldo, ostaggio alemanno al servizio di Rolando, che audacemente non le nasconde di nutrire per lei un cieco amore. Ma prima che Lida abbia il tempo di allontanarlo, accorre frettolosa Imelda per annunciarle l'arrivo dello sposo, seguito da Arrigo. Egli vive! Parole fatali: a Marcovaldo non sfugge lo stato di agitazione di Lida, la quale esprime ora una gioia incontenibile nel rivedere l'amato di un tempo; non sa frenare i palpiti del cuore: se è colpa un istante d'affetto, basti a punirla una vita di dolore (A frenarti, o cor nel petto). 8. SCENA E DUETTO. Sopraggiunge Rolando, che presenta alla sposa il redivivo Arrigo; questi, nel riconoscere in lei la donna con la quale un tempo s'erano giurati reciproco eterno amore, non sa nascondere un brivido, che subito attribuisce a una vecchia ferita, ma la cui vera causa non

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sfugge al bieco Marcovaldo. Memore dell'ospitalità un tempo accordata ad Arrigo "messaggier di Verona" dal padre di Lida, Rolando a sua volta gli offre l'ospitalità della propria casa; fa quindi allontanare le donne e Marcovaldo. Uno squillo di trombe annuncia l'arrivo di un araldo che, allarmato, annuncia l'avvicinarsi del potente esercito imperiale; comandanti e Senato sono subito convocati in assemblea. Rolando vi accorre precipitosamente. In tutto questo tempo Lida è rimasta come incatenata al suolo. Arrigo le si accosta e, scuotendola d'un braccio, la apostrofa vivacemente, ricordandole il reciproco giuramento d'amore: (È ver?... Sei d'altri?...). Lida racconta come ella credesse Arrigo morto in guerra (Spento un fallace annunzio); rimasta orfana, senza più famiglia, obbedì al desiderio del padre morente che la voleva sposa di Rolando. Arrigo non riesce a trattenere una "virulenta" ironia: chissà quanto avrai pianto alla notizia della mia morte, e per asciugare quel pianto ti sei subito sposata; ma non ricordi d'aver giurato a Dio che saresti accorsa là dove io fossi caduto. Lida si copre il volto con le mani, non sa cosa rispondere. Arrigo, al colmo dell'ira, l'accusa di ritorcere su altri la propria colpa: il suo amore per lei si è mutato in orrore (T'amai, t'amai qual angelo); non resta che offrire il proprio sangue alla patria; Lida si dichiara colpevole e chiede la punizione (Son rea, puniscimi). Ma Arrigo non intende più ragione; la respinge ed esce velocemente.

ATTO SECONDO: Barbarossa! Sala magnifica nel Municipio di Como. Veroni chiusi nel fondo. 9. CORO D'INTRODUZIONE. A poco a poco vanno radunandosi Duci e Magistrati che attendono l'arrivo di una delegazione milanese in rappresentanza della lega dei comuni lombardi per venire a patti con Como: ma ormai è troppo tardi: (Sì, tardi ed invano) l'ddio trasfuso dai padri ai figli per "i danni mortali a Como recati" non verrà mai meno. 10. SCENA E DUETTO. Il Podestà annuncia l'ingresso di Arrigo e Rolando, messaggeri della "baldanzosa" Lega Lombarda. Rolando informa che una nuova orda di barbari sta scendendo in Italia attraverso i Grigioni: la valle dell'Adige lè. è impedita dalle schiere veronesi; il Barbarossa è asserragliato in Pavia; non sarebbe dunque impresa difficile arrestare quell'orda sulle rive del lago; dimentichiamo gli antichi rancori: abbiamo solo un nemico, l'Alemanno, e una sola patria: l'Italia. I comaschi rispondono rammentando a Rolando il patto sottoscritto con Federico. Vergognoso patto! ribatte Rolando: siete italiani e nel volto e nel linguaggio (Ah! ben vi scorgo), ma nelle azioni e nei pensieri siete "barbari stranier!". Arrigo sostiene l'appello dell'amico: che la storia non abbia a dichiararvi traditori della patria e parricidi (Oh! la storia non v'appelli). 11. FINALE SECONDO. Acerbe parole, commenta il Podestà di Como; ma Arrigo chiede una risposta. Improvvisamente si presenta, piombato da Pavia, Federico Barbarossa: "Io darò la risposta". Nella sorpresa e nel silenzio generali, Federico, lasciando cadere il mantello, s'avanza fieramente verso Arrigo e Rolando: siete diventati muti?...; per i Lombardi è ormai giunta l'ora estrema (A che smarriti e pallidi). Ma i due messaggeri milanesi non indietreggiano: non è da eroi combattere con le ingiurie, e promettono di rivedersi sul campo di battaglia "al fiero lampo" delle armi. L'assemblea comasca parteggia apertamente per Federico (Su te Milano già. tuona) minacciando Milano del "fulmin punitor". Si ode un rimbombo di strumenti militari che sempre più si approssima. Sono le "possenti squadre" di Federico; a un suo cenno vengono dischiusi i veroni, attraverso i quali si scorgono le colline circostanti ingombre di falangi alemanne. Eccovi la mia risposta, annuncia il Barbarossa: la caduta di Milano. No, contrattaccano Rolando e Arrigo, le tue masnade mercenarie non vinceranno un popolo che lotta per la propria libertà né cambieranno il destino d'Italia. Con terribile accento Federico esplode: "Il destino d'Italia son io!" e Milano due volte distrutta sarà spavento per i ribelli. Ma Rolando e Arrigo confidano nella vittoria e in un'Italia "grande e libera". Con grido ferocissimo tutti invocano ormai la guerra (Guerra adunque terribile!).

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Verdi al tempo di Un ballo in maschera (fotografia)

ATTO TERZO: L'infamia!

Volte sotterranee nella basilica di St. Ambrogio in Milano, sparse di recenti sepolcri: gradinata in fondo per la quale vi si discende: una fioca lampada getta intorno qualche incerto raggio. 12. INTRODUZIONE, SCENA E GIURAMENTO. Una musica cupa, lenta, quasi minacciosa prelude all'ingresso dei Cavalieri della Morte che scendono a poco a poco, e in silenzio; ognuno d'essi porta una sciarpa nera ad armacollo, su cui è effigiato un teschio (Fra queste dense tenebre): vengono a prestare giuramento. Dall'alto della scalinata appare Arrigo: anch'egli vuole far voto della propria vita fra i Cavalieri della Morte nella guerra contro il Barbarossa. Tutti ne conoscono il valore, e viene quindi accolto nella Compagnia. Il più anziano della Compagnia pone Arrigo in ginocchio, ai piedi di una tomba, e lo fregia della propria sciarpa; i Cavalieri incrociano le spade sul capo di Arrigo. Infine tutti prestano giuramento di liberare l'Italia (Giuriam d'Italia por fine ai

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danni) e di cadere, prima di ritirarsi o di essere vinti, con l'arma in pugno; guai al codardo che mancherà al giuramento: il suo nome sarà infamato per l'eternità. Lentamente i Cavalieri partono. Appartamenti nel castello di Rolando. 13. SCENA E DUETTO. Lida s'avanza a rapidi passi; la sua fronte è pallida, lo sguardo incerto. Imelda le chiede ragione del suo frenetico comportamento; l'ha vista scrivere, in lagrime, una lettera. Lida nega con impeto. L'ha anche vista riporre lo scritto in seno. In seno, sì, un aspide - insorge Lida in un crescente delirio - che mi avvelena le più segrete fibre (E il seno qual aspide); e ora accusatemi: a ogni costo sono colpevole e non chiedo che di morire. E si getta convulsa sopra una sedia. Riprende i sensi, fissa Imelda, prorompe in lagrime e s'abbandóna nelle sua braccia. Imelda la esorta a parlare; Lida le confida che un "forsennato" ha fatto voto di morte. Arrigo? Sì, lui. E lo scritto a lui diretto potrebbe stornare questa sciagura. Lida lo consegna a Imelda raccomandandole che nessuno la veda andare da Arrigo. Imelda fa per uscire, ma cela rapidamente il foglio perché sopraggiunge Rolando che l'arresta: prima di partire per la guerra vuole rivedere la sposa e il figlio; chiede che questi gli sia condotto. Rolando è commosso, gli occhi bagnati di lagrime, ma cerca di controllarsi. Imelda rientra col bimbo, lo depone in braccio a Rolando ed esce veloce per l'opposto lato. Rolando abbraccia sposa e figlio; poi avverte la sposa: il cielo promette vittoria, ma ogni vittoria è a prezzo di sangue; se egli dovesse morire lei resterà maestra di virtù al figlio; gli ricordi che è italiano, che rispetti Dio e la patria (Digli ch'è sangue italico). Lida chiede a Dio che sperda ogni tristo presagio. Rolando fa inginocchiare il figlio e, alzati gli occhi al cielo, stende la destra sul suo capo per benedirlo. Quindi pone il fanciullo in braccio a Lida. Ella si ritira col figlioletto. 14. SCENA ED ARIA. Chiamato da Rolando, entra Arrigo, che ora non cinge la sciarpa nera dei Cavalieri della Morte. Rolando gli va incontro, osserva attentamente intorno che altri non possano udirlo e sottovoce gli ricorda d'aver combattuto più volte al suo fianco; Arrigo rammenti che una volta ebbe da lui salva la vita. Rolando continua dicendo, con profonda emozione, d'essere ora marito e padre: domani prima dell'alba dovrà muoversi all'avanguardia dell'esercito; Arrigo resterà con i Veronesi a guardia di Milano, come deciso dal Senato; stringe la mano di Arrigo portandosela al cuore: se dovesse morire gli raccomanda sposa e figlio (Se al nuovo dì pugnando). Arrigo pone la sua nella destra di Rolando in segno di giuramento, ma tituba nell'abbracciare l'amico. I due si dicono addio. Arrigo esce singhiozzante e precipitoso. Rolando s'avvia per opposto lato, e già tocca la soglia, quando si sente sommessamente richiamare. È Marcovaldo che gli denuncia un tradimento... l'onore vilipeso... un'empia... un seduttore... E chi sono? Arrigo e Lida. Ed ecco la prova: una lettera di Lida. Marcovaldo gli consegna lo scritto, confessando d'aver corrotto chi lo recava (evidentemente Imelda). Rolando legge con voce tremula e fremente:"tu,Arrigo, votato fra i Cavalieri della Morte... il mio sposo in avanscoperta contro Federico... devo vederti prima della battaglia...te ne scongiuro in nome del nostro antico amore...". Mentre Marcovaldo si compiace della propria vendetta, a Rolando scoppia il cuore (Ahi scellerate alme d'inferno): il suo furore non ha limiti; ora non ha che un desiderio: vendicare il tradimento della sposa e dell'amico spegnendoli nel sangue. Una stanza sull'alto della torre. Ferrea porta da un lato. In fondo un verone che risponde sulle fossate delle mura. La bruna sciarpa d'Arrigo pende dalla spalliera d'un seggio. 15. SCENA E TERZETTO - FINALE TERZO. È notte fonda. Arrigo si siede per scrivere all'infelice madre.Tacitamente Lida s'inoltra e fissa lo sguardo sullo scritto. Alla fine, dopo aver letto, prorompe: Vuoi morire? e osi scriverlo a tua madre? è giusto rischiare la vita per la patria, ma non il morire a tutti costi! A che vivere, se hai cessato d'amarmi, risponde Arrigo.T'amo! confessa Lida, t'amo! ma ora dobbiamo fuggirci e vivere per gli affetti più santi: tu per la madre, io per il figlio; non avendo avuto risposta al mio scritto, sono qui accorsa. S'ode improvvisamente battere alla porta e risuonare la voce di Rotando che chiama Arrigo. I due restano come fulminati. Arrigo tosto si riprende: fa fuggire Lida sul verone, ne serra le imposte e va quindi ad aprire la porta. Rolando entra guardando all'intorno, quindi si rivolge ad Arrigo: so che ti sei votato fra i Cavalieri della Morte e che per riguardo non me l'hai detto; ora il tempo stringe e vengo ad affrettarti. Ma è ancora notte, obietta Arrigo. T'inganni, gli osserva Rolando: è già l'alba. E così dicendo spalanca il verone... Appare Lida che, cercando di dissimulare invano il suo terrore, trema

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da capo a piedi; essa cerca di giustificarsi; altrettanto cerca di fare Arrigo. Ma uno sguardo di Rolando li costringe a tacere: io non v'interrogo; perché vi discolpate? Lida cade in ginocchio ai piedi del marito; Arrigo è come trascinato a seguirne l'esempio. Rolando con veemenza si scaglia contro di loro (Ab! d'un consorte, o perfidi): ormai vi tengo nella polvere ai miei piedi. Ad Arrigo, che ancora tenta di giustificarsi, Rolando impone di uscire dalla propria casa; a Lida dichiara infranto il vincolo matrimoniale. Arrigo giura sull'innocenza di Lida; ma ormai Rolando è scatenato: stringe l'elsa di un pugnale;Arrigo gli offre il petto, invano trattenuto da Lida. Rolando fa per avventarsi su Arrigo sguainando la lama quando, volgendo lo sguardo alla porta, come preso da una nuova risoluzione, a un tratto si ferma e con voce soffocata dalla rabbia si rivolge ad Arrigo: poco sarebbe il trucidarti; avrai un supplizio ben maggiore di cento morti (Vendetta d'un momento): mentre Arrigo invoca di essere trafitto, Lida si rivolge a Rolando dichiarandosi la sola colpevole. Risuona all'interno uno squillo di trombe: è l'appello. Rolando, avvicinandosi alla porta, ad Arrigo:"Tua pena sia l'infamia!" e con la rapidità di un baleno esce serrando la porta con chiavi e catenacci. Arrigo al colmo dello spavento si slancia sulla porta, la percorre cogli occhi, la tocca con le mani, cerca invano ogni modo di aprirla (Ah! Rolando! il ciel ne attesto); grida a Rolando che il suo onore non fu macchiato; si rende conto che lì restando il suo nome sarebbe coperto d'ignominia. Mentre Lida cade affranta su una sedia, Arrigo torna al verone, vede che le squadre di Rolando già procedono e intanto echeggiano prolungati squilli di trombe. Cacciandosi le mani fra i capelli vede avanzare i Cavalieri della Morte, fra i quali egli dovrebbe già essere. La disperazione lo coglie: dov'è Arrigo? - diranno - ha paura di combattere? No, no, deve seguirli... Lida balza in piedi, intuendo il gesto di Arrigo. Questi afferra la sciarpa nera e si precipita dal verone per raggiungere i suoi compagni. Lida cade tramortita.

ATTO QUARTO: Morire per la patria! Piazza di Milano ove sorge un vestibolo di tempio. 16. PREGHIERA. Donne, vecchi, fanciulli sono in parte nel vestibolo del tempio di S. Ambrogio, in parte sulla via; Lida è con Imelda; tutti sono genuflessi e ascoltano le salmodie che partono dall'interno del tempio (Deus meus, pone illos). Dopo aver avuto notizia da Imelda che Arrigo, uscito illeso, fu visto raggiungere le squadre, Lida eleva una preghiera per la vita dello sposo e per quella di Arrigo (Ah! se d'Arrigo e di Rolando), ma anche per la salvezza d'Italia; ora in lei parla solo amor di patria. 17. GRAN SCENA,TERZETTINO ED INNO DI VITTORIA. Echeggia di lontano un grido di vittoria! Tutti sorgono vivamente ansiosi. Entra il secondo Console, seguito dai Senatori e da una gran calca di cittadini. Da Legnano giunge un messaggio: il nemico è stato sconfitto e l'imperatore è stato sbalzato di iena dal veronese Arrigo. Si elevi dunque un inno di ringraziamento al Re dei Re; il Console entra in chiesa con i Senatori. I cittadini si abbracciano l'un l'altro. Intanto si vedono passare di lontano alcuni drappelli reduci dalla battaglia; e nell'aria echeggia il suono di strumenti di guerra e il rintocco delle campane (inno Dall'Alpi a Cariddi). Improvvisamente si odono lugubri squilli di tromba; alcuni del popolo annunciano che sta per essere portato un ferito, accompagnato in corteo dalla Compagnia della Morte. Lida ha come un triste presagio... Entra Arrigo mortalmente ferito e sorretto da alcuni Cavalieri della Morte; i comandanti milanesi Io seguono; fra essi Rolando a capo chino e taciturno. Con frasi spezzate Arrigo dichiara di aver voluto esalare l'ultimo respiro in questo luogo. Viene adagiato sui gradini della chiesa. Vede Lida. E vede Rolando: gli chiede di potergli stringere la mano. Rolando, muto, incerto, come trascinato da un invisibile potere, si accosta ad Arrigo; questi gli si getta al collo: giura sulla purezza del cuore -di Lida (Per la salvata Italia). A sut volta Lida, frattanto avvicinatasi al morente, richiama Rolando all'antica amicizia. Questi è profondamente commosso mostrando di credere all'estremo giuramento di Arrigo: "Chi muore per la patria alma sì rea non ha!" Nella più viva commozione Rolando stringe Lida al cuore e porge ad Arrigo la destra. Intanto entra il primo Console, seguito da armati e'dal Carroccio trionfante. Nel vederlo,Arrigo accen" na al vessillo che lo sormonta. I Cavalieri lo porgono ad Arrigo. Questi lo bacia, e cade morto stringendone il lembo al cuore.

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Luisa Miller Melodramma tragico in tre atti di Salvadore Cammarano

Prima rappresentazione: Napoli,Teatro di San Carlo, 8 dicembre 1849 L'argomento deriva dalla "tragedia borghese"Kabale und Liebe (Luise Millerin era il titolo originale, poi modificato su consiglio dell'attore-impresario August Iffland), terzo e ultimo dei drammi giovanili di Friedrich Schiller, rappresentato il 15 aprile 1784 a Mannheim con clamoroso successo. Per i suoi contenuti - che esprimono non tanto una denuncia contro l'ingiustizia e la violenza del potere quanto piuttosto una condanna di quel rigorismo morale della società borghese in cui è la radice stessa della sua servitù politica - esso è considerato il testo più rivoluzionario del teatro tedesco del Settecento. Verdi conosceva il dramma tramite la versione di Carlo Rusconi (1844), conosceva Andrea Maffei che stava per iniziarne una nuova traduzione (vedrà la luce nel 1852) e conosceva anche la riduzione fattane da Alexandre Dumas in collaborazione con Maquet per la scena francese, insolitamente rispettosa del dramma originale, andata in scena l' 1 1 giugno 1847 al Thé eare Historique di Parigi. La storia della composizione di Luisa Miller s'inserisce in un momento chiave dell'evoluzione artistica di Verdi avviata alle conquiste della cosiddetta "trilogia romantica" (Rigoletto, Trovatore e Traviata). La prima proposta di musicare il dramma schilleriano era stata avanzata da Verdi a Cammarano nel 1846 per la seconda opera che s'era impegnato a scrivere per il S. Carlo di Napoli entro il 1847. Rinviato di due anni l'impegno napoletano, era lo stesso Cammarano che riproponeva l'argomento facendo pervenire al compositore, nel maggio del 1849, il relativo "programma" con alcune modifiche al dramma originale: l'azione viene trasportata dalla città in campagna (a vantaggio dei cori); il vecchio Miller da musicista in pensione viene trasformato in soldato in ritiro; il personaggio di Lady Milford (che in Schiller riveste un ruolo di aperta contestazione sociale e che Verdi avrebbe voluto "in tutta l'estensione del carattere") ridotto a par te comprimaria non essendovi nella compagnia di canto scritturata al S. Carlo che una sola primadonna. In agosto Verdi rientrava a Busseto da Parigi prendendo possesso del palazzo Orlandi, da poco acquistato; in settembre lo raggiungeva Giuseppina Strepponi:. si ufficializzava così un'unione iniziata due anni prima a Parigi. Ricevuto il libretto completo da Cammarano il 13 agosto, Verdi ne conduceva a termine in poche settimane la composizione. La prima sera l'opera ebbe esito contrastato, né migliorò di molto nel corso delle prime repliche. Ciò tuttavia non impedì alla Luisa Miller di percorrere un rapido e fortunato cammino nei teatri italiani (più di 200 allestimenti nel corso degli anni 1850) e stranieri, sì da inserirsi stabilmente in repertorio fino alle soglie del Novecento (ultima apparizione alla Scala nel 1903, diretta da Toscanini). Dopo un'eclisse durata un quarto di secolo, l'opera risorgeva a nuova vita grazie alla Verdi-Renaissance tedesca, a cominciare da Berlino (1927), per proseguire poi il nuovo cammino sulle scene del Metropolitan (1929), di Torino (1933), di Leningrado (1936), di Firenze (1937) fino a giungere ai nostri giorni inserita nel gruppo delle opere di Verdi più frequentemente rappresentate.

PERSONAGGI E PRIMI INTERPRETI IL CONTE DI WAITER primo basso profondo Antonio Selva RODOLFO, suo figlio primo tenore Settimio Malvezzi FEDERICA, duchessa d'Ostheim, nipote di Walter prima donna contralto Teresa Salandri WURM, castellano di Walter primo basso Marco Arati MILLER, vecchio soldato in ritiro primo basso cantante Achille De Bassini Luisa, sua figlia prima donna soprano Maria Gazzaniga Malaspina LAURA, contadina seconda donna Anna Salvetti Un contadino secondo tenore Francesco Rossi Damigelle di Federica, paggi, famigliari, arcieri, abitanti del villaggio L'avvenimento ha luogo nel Tirolo, nella prima metà del secolo XVII

RIASSUNTO DELL'AZIONE DRAMMATICA 1. SINFONIA. È strettamente connessa al clima drammatico dell'opera cui è premessa. Rappresenta per così dire 1—atmosfera morale" di una vicenda che si svolge in terra tedesca. Costituita di un solo tempo Allegro, con tonalità d'avvio in Do minore (relativo del tono di Mi

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bem. maggiore con cui l'opera si conclude), essa è imperniata su un unico tema, una cellula ritmico-melodica (che si ritroverà, variata e trasformata, in alcuni momenti dell'opera, in particolare all'inizio dell'ultimo atto), il cui ininterrotto sviluppo riflette un procedimento compositivo inconsueto nelle sinfonie italiane del tempo, analogo per tanti aspetti a quello delle ouvertures dell'opera romantica tedesca, di Weber in particolare.

ATTO PRIMO: L'amore Ameno villaggio. Da un lato la modesta casa di Miller, dall'altro rustica chiesetta: in lontananza, ed attraverso degli alberi, le cime del castello di Walter. Un'alba limpidissima di primavera è sull'orizzonte; gli abitanti del villaggio si adunano per festeggiare il dì natalizio di Luisa. 2. INTRODUZIONE. Già all'inizio l'impianto scenico riflette gli opposti luoghi del conflitto sul quale si impernia la vicenda: in primo piano la casa di Miller, sullo sfondo il castello del tiranno. Gli abitanti del villaggio e Laura elevano un canto pastorale (Ti desta, Luisa, regina de' cori) in onore della figlia di Miller nel giorno del suo compleanno. Entra in scena Luisa accolta dal padre Miller con parole di tenero affetto (Ecco mia figlia). Luisa è tuttavia inquieta non scorgendo fra i presenti l'amato Carlo, nome sotto il quale si cela Rodolfo, figlio del conte di Walter. Miller, osservando l'ansia della figlia, tenta di dissuaderla da sentimenti amorosi verso uno sconosciuto. Luisa esprime per contro la felicità di un amore corrisposto (LO vidi, e 'l primo palpito). I compaesani circondano Luisa per offrirle omaggi floreali, fra di essi un giovane cacciatore nel quale Luisa subito riconosce l'amato Carlo. Ora la gioia della fanciulla è al colmo (T'amo d'amor che esprimere). Mentre in un angolo della scena, non visto, Wurm, castellano di Walter, osserva l'azione, tutti si associano con lieti auguri alla felicità dei due giovani innamorati, tranne Miller che in disparte esprime il timore che la figlia possa esser vittima di un seduttore. Si ode il rintocco della campana della chiesetta: tutti abbandonano la scena cantando ed entrano a poco a poco nella chiesa, a eccezione di Miller. Le voci si perdono in lontananza all'interno del tempio. _ 3. SCENA ED ARIA. Improvvisamente appare Wurm; aspirante alla mano di Luisa e furente di gelosia, s'accosta rapidamente a Miller: vantando il favore di cui ora gode presso l'attuale signore del luogo, Walter, si scaglia aspramente contro il vecchio, reo di non aver costretto a forza la figlia alle nozze con lui. Miller (Sacra la scelta è d'un consorte) protesta che un padre non può essere tiranno contro la volontà dei figli:"in terra un padre somiglia Iddio per la bontade, non pel rigor". Wurm allora gli svela, andandosene, che l'innamorato di Luisa si cela sotto mendace aspetto: egli è in realtà il figlio dell'altero Walter. La rivelazione scuote l'animo di Miller che si sente macchiato nell'onore: ira e dolore invadono il suo petto (Ah! fu giusto il mio sospetto!). Sala nel Castello di Walter, con porta in fondo. 4. SCENA ED ARIA. Entra agitato in scena Walter seguito da Wurm: questi gli ha appena riferito del legame amoroso tra il figlio Rodolfo e Luisa. Il tiranno teme che ciò possa impedirgli di concludere le nozze di Rodolfo con una sua amica d'infanzia, la nipote Federica, ora duchessa d'Ostheim. Rimasto solo, accusa il figlio d'ingratitudine (e tuttavia ch'egli non sappia quanto gli sia costata la sua felicità...): tutto farebbe per lui, ma le dolcezze dell'"affetto paterno" non fanno breccia nel suo cuore sdegnato (Il mio sangue, la vita darei). 5. SCENA E CORO. Rodolfo si presenta al padre. Questi gli annuncia le nozze con Federica, che sa segretamente innamorata di lui sin dalla giovinezza, nozze illustri in quanto Federica, vedova ed erede del duca d'Ostheim, è intima amica dell'imperatrice di Germania. Rodolfo confessa di non nutrire ambizioni; ma il padre tronca sul nascere ogni sua protesta: "son leggi i miei voleri". Si ode una musica che annuncia l'arrivo della Duchessa con seguito di damigelle, paggi, famigliari, arcieri.Walter trae seco Rodolfo per andare incontro alla Duchessa. Un coro (Quale sorriso d'amica sorte) festeggia il suo arrivo. Vivamente commossa Federica si getta amorosamente nelle braccia di Walter. Avviandosi a impartire ordini per una partita di caccia, Walter le comunica che Rodolfo implora l'onore di parlarle. 6. SCENA E DUETTO. Federica e Rodolfo restano soli. Ella ricorda il tempo felice della prima gioventù quando i loro due cuori stavano per aprirsi a un tenero sentimento. L'"a due"(Dall'aure raggianti di vano splendor) si spezza in un parlante in cui Rodolfo rivela a Federica di essere costretto da padre spietato a chieder perdono di un errore non suo: confessa di non poterle offrire

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un cuore appartenente ormai ad altra donna e chiede pietà; Federica, sorpresa e turbata, gli ricorda che "da geloso core" non può aspettarsi favore (Deh!... la parola amara perdona). Interno della casa di Miller. Due porte laterali; una mette alla stanza di Miller, l'altra a quella di Luisa; accanto alla prima pende una spada ed una vecchia assisa da soldato; nel prospetto l'ingresso ed una finestra, da cui si scorge parte della chiesetta. 7. CORO DI CACCIATORI E FINALE PRIMO. Luisa è sola e muta in scena; si odono per le montagne e le vallate circostanti grida e rimbombo di 'strumenti da caccia (Sciogliete i levrieri). Entra Miller, si getta accasciato su una sedia (Oh padre mio!... Che fu?...); mentre il coro di cacciatori si perde in lontananza, egli rivela alla figlia di essere tradita: Carlo è in realtà il figlio del conte di Walter e ora si appresta a splendide nozze. La fanciulla è stupita e incredula. Aggirandosi adirato per la stanza e trovatosi di fronte alla vecchia divisa militare, il vecchio Miller giura di vendicare l'onore della figlia. In quel mentre appare sulla soglia Rodolfo, che ha udito le ultime parole del vecchio (Luisa, non temer..):è vero, bugiardo fu il nome, ma non le promesse d'amore. Pone Luisa in ginocchio ai piedi di Miller e prostrandosi anch'egli stringe nella sua la destra di lei, solennemente giurando:"Son io tuo sposo!". Infine a Miller, che paventa l'ira di Walter sulla propria famiglia, il giovane svela d'essere a conoscenza di un terribile segreto in grado di ridurre il proprio padre all'impotenza. Ma ecco che il Conte in persona si presenta nella stanza di Miller (Tu, tu, signor): armato del proprio diritto è sua intenzione di porre fine a "colpevol tresca". Rodolfo si ribella appellandosi alla purezza del sentimento che lo lega a Luisa. Ma il Conte accusa sprezzantemente la fanciulla di essere una "venduta seduttrice". Luisa cade fra le braccia del padre; Rodolfo snuda la spada in atto di parricidio e tosto la ripone, così significando il proprio gesto: "La vita mi donasti! Lo rimembra... t'ho pagato ora il dono!". Anche Miller, il vecchio soldato, insorge contro Walter per chiedere giustizia del grave insulto. Per tutta risposta il Conte fa accorrere un drappello d'arcieri, seguìto da molti contadini, ordinando loro di arrestare Miller e Luisa. Questa s'inginocchia supplice ai piedi di Walter, ma il padre le impone fieramente di rialzarsi (Fra' mortali ancora oppressa): l'innocenza non si genuflette alla superbia ma a Dio. Mentre Luisa, disperata, implora salvezza al Signore, Walter insiste nel piegare alla propria volontà il figlio, che invece, con l'inferno nel cuore, proclama l'indissolubilità di un nodo formato da Dio. Nel momento in cui Walter si appresta a far eseguire l'ordine di arresto (I cenni miei si compiano) Rodolfo insorge col ferro sguainato tentando invano di impedire che gli arcieri sottraggano Luisa. L'ira furibonda che lo invade lo trascina dapprima a giurare al padre di seguire Luisa in carcere ("Ebbene, la segui"), quindi di trapassarle il cuore con la spada ("Uccidila. Che tardi?"). Di fronte all'atteggiamento irremovibile del padre, Rodolfo gioca l'ultima carta disperata (Tutto tentai... non restami), quella del terribile segreto di cui aveva fatto cenno ai Miller: si avvicina al padre minacciandolo sotto voce in un orecchio di svelare a tutti in qual modo egli sia giunto "ad essere conte di Walter"... ed esce rapidamente di scena. Come folgorato dalle parole del figlio, convulso e pallido in volto più della morte,Walter ordina che Luisa sia lasciata libera. Gli arcieri partono traendo seco il vecchio Miller, mentre la fanciulla cade in ginocchio mezzo svenuta.

ATTO SECONDO: L'intrigo Interno della casa di Miller. 8. INTRODUZIONE (LUISA E CORO). Gli abitanti del villaggio recano a Luisa il triste annuncio che suo padre è stato visto trascinato in catene al carcere. La fanciulla fa per accorrere al castello a implorare la grazia; ma ecco che alla soglia della stanza appare Wurm, che impone agli astanti di uscire. 9. SCENA ED ARIA. Wurm comunica a Luisa che il padre, resosi colpevole di oltraggio e di minacce al Conte, è stato condannato alla scure... essa può tuttavia salvarlo... ma a una condizione, imposta dal Conte medesimo: dovrà, scrivere una lettera indirizzata a Wurm. Luisa, affranta per la sorte del padre, si accinge a scrivere il foglio sottoponendosi alla dettatura di Wurm (Wurm. Io giammai Rodolfo non amai): nella lettera essa deve dichiararsi innamorata da sempre di Wurm e confessare di essere stata attratta da Rodolfo solo per ambizione e non per amore... Il lamento di un clarinetto in orchestra sottolinea l'atroce dolore di Luisa, rassegnata al sacrifizio, nello scrivere le parole dettategli dal diabolico castellano. Ma alla fine, improvvisamente insorgendo, essa si rifiuta di firmare il foglio e in uno slancio di passione supplica Dio di non lasciarla in abbandono al

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furore dei "barbari" (Tu puniscimi, o Signore) che la vogliono disonorata per salvare l'innocente genitore.Wurm fa l'atto di ritirarsi dicendo freddamente a Luisa di ritenersi libera d'agire come meglio crede. La fanciulla, ormai consapeyole che un suo rifiuto condannerebbe il padre a morte, torcendosi convulsamente le mani si accosta alla tavola e firma l'infame foglio. Ma al perfido Wurm ciò non basta (Sul capo del padre): impone a Luisa di giurare che la lettera è stata scritta da lei spontaneamente, inoltre ingiungendole di venire al castello per mostrarsi, al cospetto della Duchessa, innamorata di lui,Wurm... Solo in tal caso il padre sarà salvo. Luisa prorompe in un grido di dolore (A brani, a brani, o perfido) e invoca la morte per sé, mentre Wurm esprime a parte la speranza di stringere la sua mano.

Verdi in Russia (1861 - 1862)

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Il castello: appartamenti di Walter 10. SCENA E DUETTO. Il Conte è determinato a compiere l'opera; il figlio è fuor di senno (Egli delira), ma "esser pietoso crudeltà sarebbe". Sopraggiunge Wurm: assicura che la trama è ormai pronta, non resta che far recapitare, da un uomo prezzolato, la lettera di Luisa a Rodolfo, e la vittoria è certa. Non riesce però a comprendere come il Conte avesse dapprima ceduto alla ribellione del figlio. Walter si giustifica adducendo il timore che egli possa conoscere il delitto commesso per impadronirsi della Contea. D'altronde non per altri che per il proprio figlio egli l'ha usurpata al cugino (L'alto retaggio non ho bramato). Con tono misterioso Wurm gli ricorda il misfatto e cioè come un giorno gli avesse riferito una confidenza fattagli dal cugino, padrone della contea: il suo proposito di sposarsi. Per impedire un matrimonio che avrebbe tolto l'eredità a Walter, Wurm stesso aveva suggerito "orribil mezzo": uccidere il cugino in un agguato notturno nella foresta per la quale egli sarebbe dovuto passare, accusando poi del delitto una masnada di banditi. Il Conte rabbrividisce al ricordo. Ma Wurm lo calma: l'evento è ormai sepolto nei misteri di notte eterna e tutti ritengono il cugino ucciso dai masnadieri. Non tutti! insorge il Conte: al rumore dell'armi il figlio era accorso in tempo perché il cugino moribondo nominasse gli assassini (Al rombo mio figlio accorse)... Wurm si sente perduto, ma il Conte gli ricorda che Satana lo ha congiunto ai propri destini (O meco incolume sarai, lo giuro). 11. SCENA E QUARTETTO. Sopraggiunge Federica. Congedato Wurm con un cenno, Walter rassicura la Duchessa sui sentimenti del figlio: l'amore per Luisa è ormai spento, poiché Luisa è d'altri, e anzi ella stessa è stata condotta al castello per attestarlo. La Duchessa, stupita per la rapidità degli eventi, si siede, cercando di ricomporsi dal suo turbamento. Walter apre una porta segreta, donde esce Luisa accompagnata da Wurm (Presentarti alla Duchessa). Mentre Federica con sussiego invita la fanciulla ad avvicinarsi, Wurm ricorda sottovoce a Luisa il pericolo che sta correndo il padre. Federica, commossa dal candore della fanciulla, la interroga avvertendo che un solo suo detto può farla sventurata o felice. Sente che ella non può mentire; prendendole la mano e guardandola fissa negli occhi le chiede se veramente ama Rodolfo. Schiantata dal dolore Luisa afferma di amare solo Wurm... Tuttavia, nel dubbio che la fanciulla nasconda in cuore un mistero, Federica insiste perché Luisa dica tutta la verità. In procinto di svelare il segreto, anche Walter insiste perché ella parli "per quanto ami il padre"... Il ricordo dell'amato genitore è lancinante per la giovane. Gli sguardi di Walter e Wurm stanno immobili sopra di lei. Ella sente di non poter agire diversamente se non riaffermando alla Duchessa di nutrire un solo immenso amore: e accenna a Wurm... Federica ne trae indicibile conforto; dal canto loro Walter e Wurm non celano la loro soddisfazione, mentre Luisa è al colmo della prostrazione (Come celar le smanie). Federica si ritira seguita da Walter; Wurm riconduce Luisa per l'uscio segreto. Giardino pensile del castello. Porta nel fondo che mette agli appartamenti di Rodolfo. 12. SCENA ED ARIA - FINALE SECONDO. Rodolfo viene precipitoso da un appartamento: ha il foglio di Luisa tra le mani; un contadino lo segue. Questi gli viene narrando come Luisa lo avesse sollecitato a recar segretamente quel foglio a Wurm (Il foglio dunque?); ma sospettando una trama e sperando in una ricompensa egli ha risolto di consegnarlo a Rodolfo... Congedato il contadino con una borsa di denari, Rodolfo ordina a un servo di chiamare Wurm. Infine esplode in un'invettiva contro Luisa (Oh! fede negar potessi agl'occhi miei!...): i giuramenti, le speranze, la gioja, tutto è menzogna, tradimento, inganno! Quando ella nelle ore dell'incantò amoroso gli stringeva la mano e gli diceva "amo te solo", in realtà lo tradival... (Quando le sere al placido). Sopraggiunge Wurm (Mi chiedeste?). Rodolfo gli porge il foglio di Luisa perché lo legga. Ripreso il foglio, presenta a Wurm due pistole sfidandolo a duello mortale. Mortale per entrambi:"Meco ad un punto solo spento cader al suolo t'è forza". Wurm, impaurito, arretra rapidamente scaricando la pistola in aria. Al rumore dell'arma accorrono da ogni parte armigeri e famigliari. Confòndendosi tra i sopravvenuti, Wurm sparisce. Accorre anche Walter; Rodolfo disperato cade ai suoi piedi. Walter fa mostra di essere pentito del proprio rigore accordando al figlio il consenso alle nozze con Luisa. Ma ora Rodolfo chiede solo compianto: Luisa lo ha tradito! Il padre lo rincuora affermando che in tal caso la migliore vendetta è quella di condurre all'altare la Duchessa. Rodolfo sembra acconsentire; ma in realtà egli delira dalla disperazione (L'ara, o l'avello apprestami);

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dichiarando d'abbandonarsi al proprio destino, sia esso l'altare o la tomba, sente di non poter più vivere senza Luisa.

ATTO TERZO: Il veleno Casa di Miller. La finestra è aperta, ed attraverso di essa si vede il tempio, internamente illuminato. 13. CORO D'INTRODUZIONE. Luisa scrive presso una tavola, su cui arde una lampada; sulla tavola medesima vi sono un cesto di frutta e una tazza colma di latte; in un canto della stanza Laura e altre paesane mestamente contemplano Luisa (Come in un sol giorno) e osservano le funeste impronte stampate sulla sua fronte. Laura esorta la fanciulla a ristorarsi con del cibo (O dolce amica); ma ella rifiuta, e fra sé già medita il suicidio volando col pensiero alle "celesti dolcezze". Osserva la chiesa illuminata e ne chiede la ragione; le contadine confuse fingono di non saperlo: tacciono all'infelice che vi si sta apprestando il rito nuziale di Rodolfo con Federica. Dopo una breve ripresa del coro entra, liberato dal carcere, il vecchio Miller, nelle cui braccia subito accorre Luisa. Laura e le compagne lentamente si ritirano. 14. SCENA E DUETTO. Miller confida alla figlia d'aver appreso da Wurm quale immenso sacrificio le è costato salvargli la vita (Pallida... mesta sei!). Mentre Luisa va lentamente alla tavola a ripiegare un foglio appena scritto, il padre osserva in lei una calma funesta, tristemente presaga... Chiede la ragione del foglio. Luisa prega solo che sia recato al suo destinatario. Miller guarda fissamente Luisa, poi apre il foglio e legge; è diretto a Rodolfo; parla di tradimento, di giuramento che non può essere infranto, di dimora dove tradimento e giuramento non hanno più alcun potere e dove invita Rodolfo a venire a mezzanotte...A Miller cade il foglio di mano, vacilla muto di fronte alla figlia: quella dimora sarebbe dunque... "La tomba" ella risponde... Miller inorridisce ed esplode in un urlo di dolore. Luisa lo rincuora (La tomba è un letto sparso di fiori): la morte veste orride forme per i colpevoli, ma è un angelo per gli innocenti. Il vecchio Miller ricorda alla figlia con terribile accento che "pel suicida non v'ha perdono!". S'allontana raccapricciato e cade sopra una sedia; quindi prorompe in lagrime, sorge, e stretta la figlia per mano, le dice che l'amore che un padre ha seminato deve poter essere da lui raccolto nei suoi tardi anni; la tomba della figlia sarà ancor prima la tomba del genitore. Luisa cede al dolore del padre, riconosce di essere colpevole, fa a pezzi il foglio (il foglio lacero, annullo) e pentita cade ai suoi piedi. Miller la rialza e se la stringe al seno. Insieme concordano di fuggire da un luogo così pericoloso. Luisa consiglia al padre un breve sonno onde poter partire con la nuova aurora. Miller si avvia alla sua stanza, poi ritorna ed abbraccia ancora una volta la figlia: sarà loro destino restare sempre insieme ramingando per il mondo e chiedendo pane agli uomini di porta in porta (Andrem, raminghi e poveri). . 15. SCENA, PREGHIERA, DUETTO E TERZETTO FINALE. Mentre il padre entra nelle sue stanze a riposare, Luisa s'avvia lentamente all'opposto lato, quando la sua attenzione è richiamata dai lenti accordi provenienti dalla chiesa. S'inginocchia per elevare una preghiera al cielo, l'ultima preghiera nella casa dove ha finora felicemente vissuto. Intanto che è china, immersa in tacita preghiera, un uomo avvolto in lungo mantello si è fermato sulla porta: è Rodolfo; a un famigliare che lo segue ordina di riferire al padre che lì lo attende non appena sarà pronto il rito nuziale. Osserva Luisa nella sua preghiera; quindi trae dal seno un'ampolla e ne versa il liquore nella tazza. Luisa si rialza, vede Rodolfo e trasalisce. Bruscamente spiegandole sott'occhio la lettera a Wurm, Rodolfo le chiede se ella stessa l'ha scritta... (Hai tu vergato questo foglio?). Con lo sforzo d'una morente che proferisce l'ultima parola, Luisa, fedele al giuramento fatto, annuisce. Rodolfo s'accascia su una sedia; accusando l'arsura che lo invade chiede una bevanda e accenna alla coppa avvelenata. Luisa, ignara, gliela porge: Rodolfo beve e invita Luisa a fare altrettanto. Mentre Luisa beve, Rodolfo impallidisce e volge altrove lo sguardo dicendo fra sé: "Tutto è compiuto!". Infine le si rivolge col dire che opposti destini stanno per dividerli: altro uomo attende Luisa, altra donna attende Rodolfo. Entrambi attenderanno invano... Il giovane percorre a gran passi la scena, si strappa la sciarpa e la spada e le getta lungi da sé. Si sente mancare il respiro: Luisa cerca di ristorarlo offrendogli la tazza... Ma egli reagisce al suo gesto chiamandola "infame". La fanciulla invano protesta. Rodolfo la allontana da sé esprimendo dolorosi pensieri: come può Dio dare sembianze d'angelo a un'anima d'inferno? E mentre Luisa si sforza di tacere, Rodolfo, al colmo della disperazione, con voce soffocata si trova a chiedere pietà... alla fine prorompe in lagrime. Luisa benedice il suo pianto (Piangi, piangi, il tuo dolore): esso è più giusto dell'ira; ma per Rodolfo

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quelle lagrime non sono di conforto, sono stille di sangue di uomo abbandonato da Dio. L'orologio del castello batte le ore. Rodolfo stringe Luisa per mano (Donna, per noi terribile): nell'ora suprema vuol sapere se ella veramente ama Wurm...; guai a lei se mentisce: prima che la lampada si spenga sarà davanti a Dio, e additando la tazza: "con me bevesti la morte". Luisa rimane come trasognata... ma infine si rianima: la morte la scioglie da ogni vincolo, ora può dire a Rodolfo tutta la verità. Gli narra come per salvare il padre fosse stata costretta da Wurm a scrivere quella lettera. Rodolfo è esterrefatto: ora non sa darsi pace d'aver egli stesso ucciso l'innocente Luisa... Cacciandosi le mani fra i capelli, e col grido terribile della disperazione, maledice se stesso, il proprio sangue, il padre (Maledetto, maledetto il dì ch'io nacqui); invano Luisa cerca di trattenerlo dall'inveire contro il cielo nell'ora della morte. Alle loro grida accorre Miller (Quai grida intesi?): Rodolfo gli si confessa assassino della figlia e raccogliendo la spada fa per svenarsi. Ma Luisa lo arresta; sente la morte serpeggiare in seno. Miller non comprende: Rodolfo gli svela che è stato il veleno. Il vecchio si slancia verso la figlia, che annoda le braccia al collo paterno per riceverne l'ultima benedizione (Padre... ricevi l'estremo addio). Rodolfo invoca perdono a Luisa; Miller rimpiange il sogno crudele di un promesso incanto; Luisa protende la mano a Rodolfo ("Ah! vieni mero... deh! non lasciarmi...") per salire con lui in cielo, e muore. Si odono voci interne. L'azione precipita e tutto si svolge in un baleno. Entra Walter, seguito di lontano da Wurm. Entrano anche delle donne che si fanno subito intorno al cadavere di Luisa, presso il quale è rimasto Miller in ginocchio, immoto e pallido più del cadavere stesso. Rodolfo, scorto Wurm, rimasto sulla soglia, afferra velocemente la spada, e lo trafigge; quindi rivolto al padre: "La pena tua... mira..." e cade morto accanto a Luisa. Cala rapidamente la tela.

Stiffelio Melodramma [in tre atti] di Francesco Maria Piave

Prima rappresentazione:Trieste,Teatro Grande [oggi Teatro Verdi], 16 novembre 1850 L'argomento deriva dal dramma Le Pasteur, ou l'Évangile et le Foyer di Émile Souvestre ed Eugène Bourgeois, rappresentato a Parigi nel febbraio 1849, ma già noto in Italia alle compagnie drammatiche col titolo Stifelius nella traduzione di Gaetano Vestri pubblicata nel 1848. Scioltosi alla fine del gennaio 1850 dall'obbligo di una seconda opera per Napoli, Verdi cedette a Ricordi l'opera che doveva scrivere per il S. Carlo, con l'impegno di farla rappresentare in un teatro primario nel novembre del 1850. Intanto in maggio il compositore firmava un contratto anche con la Fenice di Venezia. Fu in questa circostanza che nacque il progetto di Stiffelio; e fu Piave a proporre l'argomento in vista appunto dell'opera per la Fenice. Ma per questo teatro Verdi aveva già pensato a Le Roi s'amuse di Victor Hugo (il futuro Rigoletto); accolse invece la proposta di Piave come argomento per l'opera che s'era impegnato a scrivere per Ricordi, il quale la destinò al Teatro Grande di Trieste. Stiffelio fu composto tra luglio e ottobre del 1850. Alla vigilia della prima rappresentazione esso andò tuttavia incontro a guai con la censura triestina, che, sollecitata anche dalle proteste della locale comunità di protestanti, impose poche ma determinanti modifiche, tali da stravolgere nel finale la situazione drammatica. Dopo la prima rappresentazione l'opera ebbe vita breve e tormentata; ripresa a Trieste, quindi a Venezia, a Verona, a Barcellona e a Oporto col titolo originale, fu devastata dall'intervento della censura papalina che ne modificò il libretto in Guglielmo Wellingrode, e in questa veste rappresentata oltre che a Roma anche a Firenze, Napoli e Palermo, ma senza fortuna. Verdi si convinse che l'opera poteva sopravvivere riscrivendola su un argomento che fosse accetto alle censure italiane, e la trasformò in Aroldo (1857). Stiffelio scomparve definitivamente dal giro; l'editore Ricordi addirittura ne fuse i piombi. La scoperta in età moderna di una copia manoscritta coeva ne ha consentito la ripresa, a cominciare dal Teatro Regio di Parma il 26 dicembre 1968 (in edizione peraltro non molto rispettosa dell'originale). La ripresa abbinata di Stiffelio e Aroldo alla Fenice. nel dicembre del 1985 sembra aver definitivamente consacrato quest'opera nel rango dei capolavori del genio di S. Agata.

PERSONAGGI E PRIMI INTERPRETI STIFFELIO, ministro [pastore] assasveriano primo tenore Gaetano Fraschini LINA, sua moglie, figlia di prima donna Marietta Gazzaniga Malaspina

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STANKAR, vecchio colonnello, conte dell'impero primo baritono Filippo Colini RAFFAELE, nobile di Leuthold tenore Ranieri Dei JORG, altro vecchio ministro basso Francesco Reduzzi FEDERICO di Frengel tenore Giovanni Petrovich DOROTEA, cugini di Lina soprano Amalia Viezzoli De Silvestrini FRITZ, servo che non parla mimo N. N. Cori e comparse: Amici del conte e Discepoli di Stiffelio. Popolo assasveriano Scena: Un castello del conte di Stankar in Germania [più propriamente nel Nord-Tirolo, nei pressi di Salisburgo], sulle rive del Salzbach, e suoi dintorni Epoca: il principio del secolo XIX Nota storica: Il nome di Stiffelio (Stifelius) - che nel dramma copre in realtà quello di Rodolfo costretto a nascondere il suo vero nome in quanto perseguitato per le proprie idee religiose - adombra quello di Micael Stifel (1487-1567), predicatore e seguace di Lutero, transfuga in Sassonia dopo un periodo di apostolato in Austria; ma ricorda anche quello di uno Siiffelius seguace di un certo Miiller, forse antesignano della moderna pranoterapia. La confessione religiosa degli "assasveriani", dissidenti luterani, di cui Stiffelio è ministro ovvero "pastore evangelico", è pura invenzione degli autori francesi; l'appellativo è ricavato da Assasvero (Ashaverus o anche Ahasuerus), nome che nel primo Ottocento designava l'Ebreo Errante. Nel dramma è citata la Messiade di Friedrich Gottlieb Klopstock (1724-1803): si tratta di un poema in esametri, diviso in venti canti, composto fra il 1748 e il 1777.

RIASSUNTO DELL'AZIONE DRAMMATICA 1. SINFONIA. È in due movimenti,Andante e Allegro. L'Andante inizia con la citazione della melodia del salmo "Non punirmi, Signor, nel tuo furore" nel finale del secondo atto, e prosegue con una melodia per tromba, arricchita nella ripresa dal controcanto dei legni. L'Allegro si apre con un tema ricavato dal coro del primo atto "A te Stiffelio un canto"; il secondo tema deriva dal coro "Concordi qui regnino la gioia" nel finale del primo atto.

ATTO PRIMO Sala terrena nel castello del conte di Stankar; nel fondo una porta nel centro, con finestra a sinistra dello spettatore, un caminetto ardente a diritta. Davanti la finestra, verso la metà della scena, una gran tavola con vari libri, tra i quali uno piuttosto grande legato in tutto lusso con fermaglio chiuso a chiave. L'occorrente per scrivere. 2. INTRODUZIONE E RACCONTO. Jorg, seduto presso il tavolo, sta leggendo la Bibbia; rinchiuso il libro, il suo pensiero corre a Stiffelio, che esorta a perseverare nella sua missione di fustigatore dei nemici di Dio. Una musica allegra annuncia il ritorno di Stiffelio (il cui vero nome è Rodolfo Miiller) da una delle sue missioni. Jorg esprime la speranza che il suo matrimonio non sia d'inciampo allo zelo missionario. Entra Stiffelio; Lina è al suo braccio; lo seguono Stankar, Raffaele, Federico e Dorotea che esprimono felicità per il suo ritorno. Dorotea avvisa il ministro che un battelliere lo ha cercato. Si tratta di Valter, afferma Stiffelio, che lo aveva già consultato su uno strano caso. E descrive (Di qua varcando sul primo albore) come questo Valter una mattina vedesse un uomo saltar giù da una finestra nel fiume, sotto lo sguardo di una donna che sembrava terrorizzata. 3. SCENA E SETTIMINO. Il fatto era accaduto otto giorni prima. Il fuggitivo non fu riconosciuto, ma perse dei fogli, che il battelliere consegnò a Stiffelio. Questi trae di tasca un portafoglio ed estrae i fogli; non vuole leggerne il contenuto; potrebbe trattarsi di colpevole tresca, e getta alle fiamme il portafoglio: arda con esso il nome del seduttore. Lina e Raffaele traggono un sospiro di sollievo. Stiffelio spiega il suo gesto ricordando il comandamento del perdono (Colla cenere disperso). Alla voce di Stiffelio s'intrecciano quelle dei presenti: mentre Jorg, Dorotea e Federico ammirano il nobile gesto di Stiffelio, Lina ringrazia il cielo d'essersi salvata, proponendosi di non cadere più nell'errore, Raffaele le suggerisce di continuare a simulare chiedendole inoltre un nuovo colloquio, e Stankar già sospetta di lui e medita vendetta. 4. SEGUITO E STRETTA DELL'INTRODUZIONE. Si odono grida interne: Viva Stiffelio! Guardando dalla finestra Jorg annuncia l'arrivo di una schiera di amici e partigiani di Stiffelio che vengono a festeggiare il suo ritorno. Essi entrano cantando le sue lodi (A te Stiffelio un canto): il suo nome è ormai famoso in Germania per la sua opera di fustigatore del vizio e di propaganda del Verbo divino; e mentre Stiffelio esorta gli amici a lodare Dio, Lina in disparte si sente lacerare da

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un rimorso atroce; dal canto suo Raffaele, di fronte alla prospettiva di arrivare in fondo all'avventura, soffoca ogni senso di colpa, mentre Stankar, cui non sfugge lo stato d'agitazione della figlia, si propone di soccorrerla. Alla fine tutti partono, seguendo Stankar nelle sue stanze, meno Stiffelio e Lina, che s'abbandona su una sedia presso la tavola. 5. SCENA ED ARIA. Rimasti soli, Stiffelio si mostra sorpreso del silenzio della moglie. Lina supplica il marito di poterlo chiamare col dolce nome col quale l'aveva conosciuto la prima volta: Rodolfo Múller; da allora egli è andato godendosi i piaceri del gran mondo lontano da lei. Stiffelio le risponde che non potevano esservi piaceri senza di lei; ha visto dovunque giovani e vecchi in schiavitù del vizio e della corruzione (Vidi dovunque gemére), ha visto la giustizia offesa e ha visto anche donne rompere il vincolo coniugale. Vedendo Lina confusa dalle sue parole, Stiffelio s'interrompe per assicurarla che la sua fedeltà lo conforta; guai se si scoprisse ingannato! Lina insinua che la grandezza d'animo del marito perdonerebbe un torto fatto al suo onore. Stiffelio le risponde che il perdono è facile a chi non è ferito in cuore. Ma s'avvede che la moglie piange ed è tutta tremante; chiedendo la ragione del suo affanno egli le ricorda che oggi è l'anniversario del loro matrimonio, che la madre benediceva dal cielo con il suo anello. Nel prenderle la mano nota che al dito l'anello non c'è più! Con foga crescente egli la interroga; ma Lina non sa rispondere e scoppiando in pianto si copre il viso con le mani. Il silenzio della moglie equivale per Stiffelio a un'ammissione di colpa (Ah v'appare in fronte scritto): sul ritmo turbolento della musica egli manifesta una disperazione furente: `Possa la terra inghiottirmi se mi ha colto il disonore!' Lina è impotente a reagire. Entra Stankar per annunciare a Miiller che gli amici lo attendono; non gli sfugge l'ira che gli sta sul volto. Promettendo a Lina di tornare, Stiffelio parte con Stankar. 6.SCENA E PREGHIERA. Lina, agitatissima, eleva una preghiera a Dio invocando perdono (A te ascenda, o Dto clemente). 7. SCENA E DUETTO. D'impeto Lina decide di scrivere una lettera a Stiffelio, ma non riesce ad andare oltre le prime parole. Improvvisamente entra Stankar, si avvicina silenzioso e sospettoso; prende la lettera e legge: "Rodolfo! di voi non son più degna". Dunque i suoi sospetti erano fondati. Con voce rotta dall'emozione Lina si giustifica affermando di non poter tacere la propria colpa. Allora, le risponde il padre con crescente collera, Lina, non contenta di tradire Stiffelio, sarebbe pronta a dargli morte con la vergogna e il dolore: non le basta l'infamia, ora vuol essere anche vile (Dite che il fallo a tergere); no, ella salverà lo sposo subendo immeritatamente il suo amore. E proprio lui, Stankar, doveva conoscere il disonore di scoprire in sua figlia un'adultera confessa (Ed io pure innanzi agli uomini)! Invano Lina, in preda al pianto, sostiene d'essere stata complice di un intrigo contro la propria volontà. Stankar le impone di seppellire la sua colpa nel silenzio (Or meco venite, il pianto non vale): nessuno deve sospettare. Lina si sottomette alla volontà del genitore; ma sa d'aver perduto per sempre l'amore dello sposo. Entrambi escono a sinistra. '8. SCENA. Dalla parte opposta entra cautamente Raffaele; fuori dalla finestra si intravede Jorg. Raffaele vuole un colloquio con Lina: con le spalle volte alla finestra, trae di tasca una lettera; scorge il grande libro chiuso da un fermaglio (è la Messiade di Klopstock): con una doppia chiave lo apre, vi inserisce la lettera e richiude a chiave il fermaglio. Jorg vede tutto, ma non il volto dell'uomo. Entra Federico per richiedere il libro; Raffaele glielo consegna. Entrambi escono a sinistra. Jorg scompare dalla finestra. Sala di ricevimento nel castello, illuminata e parata per una festa. 9. CORO NEL FINALE PRIMO. Amici di Stiffelio e di Stankar, invitati a un ricevimento per festeggiare il ritorno di Stiffelio, giungono con le loro spose introdotti da servi ed elevano un canto di plauso al "grande oratore" (Plaudiam! di Stiffelio s'allieti il soggiorno). Da destra entrano Stiffelio e Jorg; fra i due si svolge un dialogo serrato, mentre gli ospiti si raccolgono sul fondo della sala sempre cantando. Dopo aver giustificato il proprio ritardo - in quanto solitamente rifugge dalle feste mondane che spesso celano insidie amorose - Jorg rivela a Stiffelio quanto ha appena visto, e cioè che un "signore" nascose un biglietto in un libro chiuso con fermaglio; quel biglietto "che aspetta risposta", insinua Jorg, è strumento di una tresca! Entra frattanto anche Lina al braccio di Stankar; quindi da sinistra ecco Raffaele con Dorotea e Federico, che ha con sé il libro di Klopstock e che subito si mette a discorrere con Lina. Stiffelio è sorpreso dalla rivelazione di Jorg; alla richiesta di chi sia il colpevole, Jorg gli indica colui che ha il libro, cioè Federico. Stiffelio

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resta sconcertato, mentre gli ospiti avanzano dal fondo della sala attorniandolo e concludendo il loro canto. 10. SEGUITO DEL FINALE PRIMO. Dorotea e Federico chiedono a Stiffelio se ha pensato al sermone che terrà la sera stessa alla riunione nel tempio; il ministro risponde, fissando Federico, che l'argomento sarà antico: il tradimento; parlerà non solo di chi vendette Gesù ai suoi nemici (Non solo all'iniquo), ma di quanti tradiscono le leggi dell'ospitalità e del vincolo matrimoniale; su di essi esprimerà la condanna ripetendo l'anatema del grande poeta della Messiade. Prende il libro dalle mani di Federico per aprirlo. Ma il fermaglio è chiuso. Dorotea avverte che è Lina ad averne la chiave. Stiffelio ordina tosto alla moglie di aprirlo; notando il suo terrore, insiste: egli sa che nel libro è rinchiusa la condanna del traditore. 11. LARGO DEL FINALE PRIMO. L'azione improvvisamente s'arresta: tutti sono come paralizzati dal mistero, fatale e terribile, rinchiuso nel libro (Oh qual m'invade ed agita). 12. STRETIA DEL FINALE PRIMO. Stiffelio decide di forzare il fermaglio del libro; mentre vi è intento ne esce una lettera che cade a terra. Stankar la raccoglie; Stiffelio gli ordina di consegnargliela. Ma il vecchio rifiuta, sostenendo che il ministro deve ignorare chi l'ha scritta e a chi è diretta, e la riduce in brani. Al colmo dell'ira Stiffelio si scaglia contro Stankar (Chi ti salva, o sciagurato). Lina si frappone invocando su di sé l'ira del marito. E mentre gli ospiti esprimono turbamento alla vista di Stiffelio lacerato da un diabolico sospetto, Stankar s'avvicina a Raffaele e sottovoce lo sfida a duello, dandogli appuntamento al cimitero; Raffaele raccoglie la sfida con sfrontatezza. Alla fine Stiffelio e Jorg partono dalla destra; Lina e Stankar dalla sinistra; gli altri dal mezzo. Cala la tela.

ATTO SECONDO Antico cimitero. Nel centro è una croce con gradini; a sinistra la porta d'un tempio internamente illuminato, a cui si ascende per grandiosa scalea; a destra più in fondo si vede il castello di Stankar; la luna piove sua luce sulle sparse tombe ombreggiate da spessi cipressi; tra queste ve n'è una recente. 13. SCENA ED ARIA. La scena si apre su un preludio strumentale dal carattere lugubre e, a un tempo, tempestoso. Entra Lina dal fondo, agitatissima, come trascinata da una forza invisibile; su C)gni tomba le sembra di vedere scolpito il proprio delitto. S'aggira barcollando fra i sepolcri fino a trovarsi di fronte all'avello della madre, presso il quale è l'appuntamento con Raffaele. Lina prega la propria madre che dal cielo vede i suoi affanni (Ah dagli scanni eteree) ed offre le proprie lacrime al trono di Dio; se questo non bastasse, anche la madre dovrà unirsi al suo pianto, così Iddio non potrà negarle il perdono. Entra Raffaele frettoloso. Lei lo esorta a parlare a bassa voce: il padre è nei pressi e il marito ha indovinato la situazione. Raffaele le risponde che dopo che Stankar ha distrutto la prova Stiffelio sospetta di Federico. Lina, in preda al rimorso, vuole interrompere quella relazione: ella non lo ama. Ma Raffaele si appella al suo amore. Ella insiste, e chiede la restituzione dell'anello e delle lettere supplicandolo di fuggire. Ma Raffaele non sembra intendere ragione. Lina disperata lo supplica un'ultima volta (Dunque perdere volete): se resta, la sua vita sarà un eterno pianto; se fugge, su lui non cadrà la sua maledizione, malgrado proprio a lui debba tutte le sue disgrazie.

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Verdi fotografato a Parigi da Nadar (ca. 1866-1867)

14. SCENA E DUETTO. Poiché Raffaele insiste nel restare, Lina gli dichiara che dirà tutto allo sposo. In quel punto sulla porta del tempio, appare improvvisamente Stankar avvolto in un mantello sotto il quale cela due spade. Ha sentito la dichiarazione di Lina; con tono severo le impone di partire; ella obbedisce. Quindi, rimasto solo con il seduttore, getta il mantello presentando le spade e sfidandolo a un duello mortale (Scegli... Un duello?). Il giovane rifiuta di battersi con un vecchio. Stankar inveisce contro di lui accusandolo d'infamia e di viltà; e come se non bastasse questa accusa a fargli accettare la sfida, Stankar gli rivela di conoscere la sua vera identità: egli non è un nobile, bensì un trovatello, figlio di padre ignoto.A tale rivelazione Raffaele s'infuria e si precipita a scegliere una delle due spade che Stankar gli presenta; entrambi esplodono in minacce di morte (Nessun demone, niun Dio). Quindi si battono accanitamente. 15. SCENA E QUARTETTO. Richiamato dal rumore delle armi, appare Stiffelio alla porta del tempio: con accento autoritario ordina di cessare il duello; il luogo è sacro (Santo è il loco che sì profanate)! I due contendenti insistono nel continuare il duello altrove. Ma Stiffelio ricorda loro di parlare in nome di Dio: sia dimenticata l'offesa e il fratello perdoni al fratello. Ciò dicendo si rivolge al più giovane dei duellanti, Raffaele, lo disarma e gli stringe la mano. A tale azione Stankar non si trattiene e grida al seduttore: la mano che stringi è quella dell'uomo che hai tradito! Stiffelio, allibito, chiede spiegazioni. Intanto dal fondo appare Lina che si precipita da Stiffelio a chiedere grazia per Raffaele. Il gesto di Lina fa cadere il velo dagli occhi di Stiffelio: ora egli sa che è Raffaele il seduttore! Chiede alla sposa di discolparsi (Un accento, un accento proferite); non vorrebbe credere alla sua infedeltà, ma il suo silenzio conferma la colpa; Lina con l'animo straziato invoca per sé la morte; Stankar, con inalterato sdegno, rinnova a Raffaele propositi di vendetta, propositi che il seduttore accoglie con spavalderia.

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16. PREGHIERA E FINALE SECONDO. Stankar dichiara a Stiffelio che non è Lina che egli deve punire. Ma Stiffelio ormai sa contro chi deve rivolgere la propria ira; strappando la spada di mano a Stankar, ora è lui che vuole battersi con Raffaele (Non odi un suon terribile). D'improvviso si ode provenire dal tempio, accompagnato dall'organo, il canto dei fedeli in preghiera (Non punirmi, Signor, nel tuo furore). Nello stesso momento sulla soglia appare Jorg che raggiunge il ministro e lo avverte che i fratelli lo attendono al tempio per avere i confòrti della sua parola. Conforti? A Stiffelio cade la spada di mano: come in delirio invoca che l'ira che lo invade lasci presto il posto alla calma e si plachi l'ardore del sangue (Me disperato abbruciano); e disperatamente chiede d'essere lasciato solo. Mentre s'ode ancora provenire dal tempio il canto dei fedeli, Jorg gli ricorda il suo ruolo di ministro. Confuso e stordito, Stiffelio chiede a Dio di ispirare la sua parola. Ma mentre tutti s'inginocchiano invocando pace e perdono, egli sorge impetuoso come una furia e maledice la sposa, che cade in ginocchio ai suoi piedi. Jorg, salito sui gradini del sagrato, addita a Stiffelio la croce, dalla quale Gesù perdonò agli uomini. La croce! Stiffelio s'avvia barcollando verso di essa e cade svenuto sui gradini.

ATTO TERZO Anticamera che mette a vari appartamenti. Sopra una tavola, due pistole e l'occorrente per scrivere. Una porta a sinistra conduce alla stanza di Stiffelio. 17. SCENA E ARIA. Dopo un tempestoso preludio Stankar entra agitato leggendo una lettera con la quale Raffaele invita Lina a seguirlo. Dunque il seduttore cerca di sfuggire alla vendetta; prende in mano la spada, che gloriosa per tanti anni aveva cinto al fianco, e la getta a terra come immeritevole di cingerla, gridando al disonore. E che è mai la vita senza onore? Fa per prendere la pistola con l'intenzione di uccidersi, poi si arresta; le lagrime bagnano il suo volto ed egli scoppia in pianto pensando alla figlia che lo ha coperto di vergogna (Lina, pensai che un angelo) cancellando tutte le gioie che la vita riserva a un padre. Siede commosso e scrive una lettera d'estremo addio a Stiffelio. Suggella il foglio, poi prende la pistola e la carica. In quella entra Jorg che cerca Stiffelio, per avvisarlo di aver raggiunto Raffaele, convincendolo a tornare. Jorg entra nella stanza di Stiffelio. Sorpreso dalla notizia, Stankar esplode in una gioia terribile: il ritorno del seduttore gli offre ora la possibilità di portare a compimento la sua vendetta (Oh gioia inesprimibile). Esce precipitosamente a destra. 18. SCENA. Uscendo dalla sua camera Stiffelio prega Jorg di comunicare ai fratelli che fra poco sarà al tempio. Mentre Jorg parte, sopraggiunge Raffaele che, ricercato da Stiffelio, si dichiara pronto a subire la sua vendetta; ma per tutta risposta il ministro gli chiede che farebbe se la sua sposa fosse libera. Il seduttore è imbarazzato di fronte a una supposizione che ritiene assurda. Stiffelio fa chiamare Lina e intanto conduce Raffaele in una stanza laterale così che possa ascoltare non visto: in tal modo Stiffelio potrà sapere se al seduttore sia più cara una colpevole libertà o l'avvenire della donna di cui ha macchiato l'onore. 19. SCENA E DUETTO. Si presenta Lina. Stiffelio le fa presente che intende partire la sera stessa poiché Dio lo richiama in altri luoghi; le loro vie ora vanno in direzione opposta: egli servendo Dio, ella seguendo l'uomo che ama (Opposto è il calle); ella potrà così stringersi all'uomo che ha nel cuore. Lina è sorpresa. Ma egli rassegnato le propone il divorzio, reso possibile dal fatto che la donna al momento delle nozze non conosceva il suo vero nome, e le consegna il documento da firmare per porre fine al matrimonio. Lina gli risponde che s'attendeva qualcosa di fatale (Ah! Fatal colpo attendermi); sa d'essere degna di rimprovero, ma non di disprezzo. Ma per Stiffelio le lacrime della sposa non cancellano un disonore cui non sa rassegnarsi. D'improvviso Lina toglie di mano allo sposo l'atto di divorzio e corre al tavolo per firmarlo. Rendendogli la carta si dichiara libera: ora Stiffelio può ascoltarla. Il marito fa per partire, ma lei lo arresta: non allo sposo intende rivolgersi, bensì all'uomo di chiesa; e gettandosi ai suoi piedi grida con forza: "Ministro, confessatemi!" .Accompagnata dal lamentoso suono di un corno inglese, ella confessa al ministro quanto Midler non aveva voluto udire: di non aver mai amato l'uomo che l'ha sedotta e disonorata (Egli un patto proponeva), di esser stata da lui tradita, e infine di essere stata fedele al marito, che ha sempre amato e tuttora ama. Di fronte a questa confessione Stiffelio resta sbalordito: ora egli ha il diritto di uccidere il seduttore; si precipita verso la porta dove è celato Raffaele. Ma non è questi che esce, bensì Stankar con la spada insanguinata in mano rivelando d'aver egli stesso ucciso

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l'adultero: chi poteva rivelare il disonore ora è spento. Nel frattempo, prima che Stiffelio possa riaversi dalla sorpresa, sopraggiunge dall'opposta parte Jorg che invita il ministro al tempio. Questi è troppo sconvolto; ora pensa solo a fuggire da una casa infamata che è stata testimone di disonore e di delitto (Ah sì, voliamo al tempio), ammonendo che quanto successo sia d'esempio ai seduttori: Dio li fulminerà ; Lina, sempre oppressa dal senso di colpa per un errore involontario che tanta disgrazia causò, invoca la clemenza di Dio. Stiffelio esce trascinato da Jorg; Una si ritira in una stanza. Interno d'un tempio gotico sostenuto da grandi arcate. Non si vedrà alcun altare; solamente, appoggiata a una colonna, è una cattedra, a cui si ascende per doppia gradinata. 20. PREGHIERA. Sulle note di un preludio suonato dall'organo il popolo entra a poco a poco; quindi ecco Federico e Dorotea; infine Lina, coperta d'un velo, che va presso la cattedra a de-stra; finalmente Stankar da sinistra. Tutti sono in ginocchio e pregano accompagnati dall'organo (Non punirmi, Signor, nel tuo furore) affinché il Signore disperda il velo che annebbiò le loro anime. Stankar chiede a Dio di perdonare il suo delitto così come perdonò Davide; accanto a lui Una confida nella bontà del Signore. 21. SCENA FINALE. Dalla destra entrano Stiffelio e Jorg, avvolti in una cappa nera; Stiffelio, concentrato, ha con sé un libro. Mentre il coro a più riprese canta il Miserere, Stiffelio passa accanto a Lina, dapprima senza riconoscerla. Lina si toglie il velo. Jorg nota il turbamento di Stiffelio, che evidentemente ha riconosciuto la moglie e sente la mente confusa. Ma Jorg lo conforta: che apra la Bibbia e il Signore lo ispirerà. Seguito da Jorg, Stiffelio sale agitato alla cattedra per la scala a sinistra. Su suo invito apre il libro della Bibbia e con voce tremante vi legge l'episodio dell'adultera: "Rivolto allor Gesù al popolo assemblato mostrò l'adultera che era ai suoi piedi e così disse". A queste parole Lina cade sulla scalinata, ma egli prosegue "quegli di voi che non peccò la prima pietra scagli" e guarda Lina che sale le scale coi ginocchi. Poi continua "La donna perdonata si alzò!". Lina, raggiunto Stiffelio, cade ai suoi piedi. Stiffelio, ponendo la mano sul libro, dice: "Sì. Perdonata... Iddio lo pronunziò". Tutti ripetono le sue ultime parole. Lina, sempre in ginocchio, con le mani alzate grida "Gran Dio!".

Rigoletto Melodramma [in tre atti]• di Francesco Maria Piave

Prima rappresentazione:Venezia,Teatro La Fenice, 11 marzo 1851 L'argomento deriva dalla tragedia in versi di Victor Hugo Le Roi s'amuse (Parigi, Théei tre de la Comédie, 22 novembre 1832); l'esito tempestoso della prima rappresentazione indusse l'autorità governativa a vietarne ogni ulteriore replica, avendo ravvisato in molti punti del dramma oltraggio alla morale. L'autore intentò un processo invocando la libertà di rappresentazione sancita dalla carta costituzionale e sostenendo il significato morale del dramma, ma perse la causa. Dopo che la tragedia fu musicata da Verdi, Hugo tentò le vie legali per impedire la rappresentazione di Rigoletto a Parigi appellandosi al divieto governativo di rappresentarvi Le Roi s'amuse; anche in questo caso egli perse la causa. La sua tragedia ritornò alle scene nel 1882; ma a quella data essa era divenuta ormai famosa in tutto il mondo con la musica di Verdi. Già nel settembre del 1849 Verdi aveva scelto la tragedia di Hugo come argomento d'opera, affidandone il libretto a Cammarano, che tuttavia rinunciò ritenendolo troppo pericoloso per le censure. Firmato nel successivo aprile un contratto con la Fenice di Venezia, Verdi ripropose l'argomento a Piave addossandogli anche il compito di ottenere il benestare preventivo della censura veneziana: "Le Roi s'amuse è il più grazi sogetto e forse il più gran dramma dei tempi moderni. Tribolet è creazione degna di Shakespeare!!". L'opera fu inizialmente intitolata La maledizione ("Tutto il sogetto è in quella maledizione che diventa anche morale" aveva scritto Verdi a Piave. "Un infelice padre che piange l'onore tolto alla sua figlia, deriso da un buffone di corte che il padre maledice, e questa maledizione coglie in una maniera spaventosa il buffone, mi sembra morale e grande, al sommo grande'). La composizione, iniziata nel tardo autunno del 1850 e terminata nel successivo febbraio, fu troncata a mezzo (dopo il primo atto) dall'intervento della censura veneziana che ne vietò la rappresentazione in via assoluta. La Fenice tentò di correre ai ripari facendo rifare il

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libretto da Piave con pesanti modifiche (tolta la gobba a Rigoletto, tolto di scena il sacco con il corpo di Gilda, ecc.) e con un nuovo titolo, Il Duca di Vendome. Di fronte al reciso rifiuto di Verdi, risoluto, in forza del suo contratto, a sciogliersi dall'impegno, e nel timore di un processo per danni da parte dell'impresa, la Fenice fu costretta a intervenire per addivenire a un accomodamento, che fu raggiunto dopo lunghe trattative: mantenuta la gobba a Rigoletto, mantenuto il sacco, trasformato il Re in un Duca di Mantova (dunque un Gonzaga, che qualche studioso ha ritenuto di identificare nel "magnifico" e spendaccione duca Vincenzo I [1587-1612]), modificati i nomi dei personaggi (Monterone da una località dell'aretino, Ceprano da una località del frusinate, Marullo derivato dal Marot della tragedia e da identificarsi con il poeta Clément Marot), rifatti alcuni versi (ad esempio "Diana o Agnese" divenuto "Questa o quella'), Verdi sacrificò, in pratica, una sola importante scena: l'incontro di Gilda rapita con il Duca, sostituita con un'aria per tenore ("Parmi veder le lagrime'), ottenendo in cambio di mantenere tutte le posizioni del dramma. Sulla prima rappresentazione fiorirono alcune leggende, fra cui quella che Verdi avrebbe composto "La donna è mobile" all'ultimo momento; è vero che egli chiese al tenore Mirate di non cantarla a casa o per le calli di Venezia, ma la canzone era già stata composta molto tempo prima, come rivela l'autografo dell'abbozzo. L'esito della 'prima' fu trionfale, e Rigoletto entrò immediatamente nel repertorio internazionale, restandovi ininterrottamente fino ai nostri giorni. Non finirono però i guai con le altre censure italiane: nello Stato della Chiesa, nel Granducato di Toscana e nel Ducato di Modena il libretto fu trasformato in Viscardello, nel Regno delle due Sicilie, in Lionello (ma in Clara di Perth al Teatro Nuovo di Napoli).

PERSONAGGI E PRIMI INTERPRETI IL DUCA DI MANTOVA primo tenore Raffaele Mirate RiGOLETTO, suo buffone di corte primo basso [baritono] Felice Varesi GILDA, di lui figlia prima donna Teresina Brambilla SPARAFUCILE, bravo basso profondo Feliciano Pons MADDALENA, sua sorella primo contralto Anna Casaloni GIOVANNA, custode di Gilda seconda donna Laura Saini IL CONTE DI MONTERONE baritono Paolo Damini MARULLO, cavaliere baritono Francesco de Kunerth BORSA MATTEO, cortigiano tenore Angelo Zuliani IL CONTE DI CEPRANO basso Andrea Bellini La contessa sua sposa seconda donna Luigia Morselli Usciere di corte basso Antonio Rizzi Paggio della duchessa soprano Annetta Modes Lovati Cavalieri, dame, paggi, alabardieri La scena si finge nella città di Mantova e suoi dintorni Epoca: il secolo XVI

RIASSUNTO DELL'AZIONE DRAMMATICA 1. PRELUDIO. Costituisce la sintesi sonora del dramma che si sta per rappresentare; è costruito sulla successione del tema della maledizione ("Quel vecchio maledivami") affidato agli ottoni, della figura ritmica del pianto affidata ai violini e del ritmo della morte scandito dal cupo suono del timpano.

ATTO PRIMO Sala magnifica nel palazzo ducale con porte nel fondo che mettono ad altre sale, pure splendidamente illuminate. 2. INTRODUZIONE. L'orchestra improvvisamente tace. Si apre il sipario. Folla di cavalieri e dame in gran costume nel fondo delle sale; paggi che vanno e vengono. La festa è nel suo pieno. Musica interna da lontano che suona motivi di danza, e scrosci di risa di tratto in tratto. Da una delle sale s'avanza il Duca accompagnato da Borsa cui confida il proposito di portare a compimento la sua avventura con la giovane borghese conosciuta in chiesa; essa abita in un vicolo ove ogni notte si reca uno sconosciuto. Borsa, guardandosi intorno, fa notare la presenza di molte belle dame. Ma il duca è attratto dalla sposa del Conte di Ceprano, la più bella. Risuona l'orchestra: il Duca esalta la libertà come il migliore attributo dell'amore e deride, cantando una ballata (Questa o quella), la costanza degli amanti e le smanie e le gelosie dei mariti: se attratto da una bella donna

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sfiderebbe anche Argo dai cento occhi. Mentre all'orchestra subentra un gruppo strumentale di soli archi sistemato sulla scena con suonatori in costume che eseguono un Minuetto, il Duca si avvede della presenza della contessa di Ceprano e subito le si accosta per un'ardente dichiarazione d'amore. Sul fondo appare Rigoletto, che osserva la scena; come il Duca e la contessa si allontanano, e mentre la banda interna riprende le danze, egli s'accosta al marito con allusiva e triviale apostrofe:"In testa che avete signor di Ceprano?". Il conte esce infuriato. Rigoletto esalta la scioperata vita del Duca e subito s'allontana.Ancora l'orchestra d'archi in scena riattacca il suono per un vorticoso Perigordino. Ma subito riprendono le danze sostenute dalla banda interna. In quel punto entra Marullo; ha una grande notizia da dare ai cortigiani: Rigoletto, il gobbo, ha un'amante! Allo stupore generale segue il rientro del Duca accompagnato da Rigoletto: vorrebbe far sua la contessa di Ceprano, ma il marito lo disturba. Il gobbo cinicamente suggerisce ad alta voce di rapirla e poi imprigionare o esiliare il marito o addirittura tagliargli la testa. Il conte di Ceprano, che ha ascoltato, fa per avventarsi su Rigoletto, ma il buffone è salvato dal Duca che però lo avverte di non scherzare così pesantemente: potrebbe costargli caro. Il buffone ride: sotto la protezione del suo signore nessuno può fargli del male. Intanto Ceprano riunisce i cortigiani, che ormai stanchi delle ingiurie del gobbo meditano vendetta, e propone loro di trovarsi armati al suo palazzo di notte. I: orchestra si unisce alla banda e una folla di danzatori invade la sala inneggiando ai piaceri della festa. Il crescendo di sonorità viene interrotto da una voce interna: è quella di Monterone che viene a cercare vendetta dal Duca che gli ha sedotto la figlia. Rigoletto chiede al Duca di parlare in sua vece. Investitosi per un momento dell'autorità ducale e usando quindi il plurale majestatis come per un'udienza pubblica, il buffone ricorda a Monterone d'aver egli a suo tempo congiurato contro il Duca e d'averne per contro ottenuto clemenza. Perché dunque protestare "a tutte l'ore" per l'onore di sua figlia? A questo nuovo insulto Monterone reagisce con rinnovato furore dichiarando al Duca che, vivo o morto, lo perseguiterà sino alla fine dei suoi giorni; il Duca ordina di arrestarlo. Le guardie fanno per intervenire. Prima d'essere arrestato il vecchio padre scaglia un duplice anatema contro il Duca e il suo buffone; dapprima risponde al Duca che accanirsi contro un uomo indifeso è da vile; quindi, rivolgendosi direttamente al buffone, lo maledice per aver deriso il dolore di un padre. La maledizione gela il sangue nelle vene a Rigoletto, assalito da un orrore incontenibile. In un crescendo incalzante i cortigiani si scagliano contro Monterone accusandolo d'esser venuto a turbare la festa, provocando l'ira sovrana. Alla fine il vecchio conte parte trascinato da due alabardieri; tutti gli altri seguono il Duca in altra stanza, mentre Rigoletto rimane come inebetito. Si cala per un istante la tela al fine di mutare la scena. L'estremità più deserta d'una via cieca. A sinistra una casa di discreta apparenza con una piccola corte circondata da un muro. Nella corte un grosso ed alto albero ed un sedile di marmo; nel muro una porta che mette alla strada; sopra il muro un terrazzo praticabile, sostenuto da arcate. La porta del primo piano dà su detto terrazzo. A destra della via è il muro altissimo del giardino, e un fianco del palazzo di Ceprano. È notte. 3. DUETTO. Rigoletto, chiuso nel suo mantello, appare dal fondo della via: la maledizione di Monterone risuona nel suo animo come un incubo. Lo segue un uomo avvolto in, un grande mantello dal quale spunta una lunga spada. Questi gli si avvicina (Signor?...Va, non ho niente): osservando il suo fare furtivo come di chi stia sorvegliando una donna, gli si offre come sicario per eventuali servigi. Rigoletto, che a tutta prima lo aveva preso per un ladro, gli chiede quale prezzo per la vita di un signore e quale forma di pagamento: prezzo maggiore per un signore; una metà prima, l'altra dopo. L'uomo lo informa che uccide sia in città che nella propria casa. Ha una complice nella sorella: è bella e, danzando per le vie della città, attira la vittima in casa dove lui può agire impunemente. L'uomo dichiara di chiamarsi Sparafucile, di essere straniero, Borgognone, e di trovarsi tutte le sere appostato nella stessa via. -.4. SCENA E DUETTO. Rigoletto indugia sulla via meditando (Pari siamo) sull'analogia tra il bandito Sparafucile che ferisce con il pugnale e se stesso così abile nel ferire con le parole. Ma ancora una volta lo assale un incubo: la maledizione di Monterone. Con uno scatto improvviso, quasi a cancellarla, si scaglia contro gli uomini e la natura che lo hanno reso deforme e buffone, negandogli la consolazione del pianto. Non gli resta che continuare a divertire il suo signore. La

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sua rabbia esplode contro i cortigiani schernitori: con quale gioia li morde! poiché son essi che lo hanno reso iniquo. Mentre si avvicina alla sua abitazione, si sente un altro uomo al pensiero della figlia. Fa per entrare, ma ancora un volta lo assale l'incubo della maledizione di Monterone: gli apporterà forse sventura? Scaccia il tristo presagio: è solo un folle pensiero. Da una finestra Gilda si accorge dell'arrivo del padre; scende di corsa per corrergli incontro e si getta nelle sue braccia (Figlia! Mio padre!). Rigoletto non riesce a trattenere un doloroso sospiro. La figlia se ne avvede e chiede il motivo del suo turbamento; vorrebbe sapere quale sia la sua famiglia e come si chiami il padre. Ma Rigoletto elude le domande; è solo preoccupato che la figlia non esca mai di casa, salvo andare in chiesa. Ma Gilda insiste, e chiede di sapere almeno della madre. Al ricordo di lei si dischiude l'animo di Rigoletto (Deh non parlare al misero): una donna ha avuto compassione delle sue sofferenze e lo ha amato; moti, lasciandogli Gilda, il suo bene più prezioso. La giovinetta è così commossa dalle parole del padre che il suo canto si fa singhiozzante. Quindi gli chiede nuovamente quale sia il suo nome. Ma Rigoletto rifiuta energicamente di cedere al desiderio di Gilda; sa di essere oggetto dell'odio altrui: alcuni lo temono, altri lo maledicono. E alla figlia sorpresa che gli chiede dei parenti egli risponde con crescente trasporto che tutto il suo universo è riposto in lei. L'espansione melodica si spegne su una delicata melodia dei violini: Gilda (cresciuta in campagna, come si apprende da Hugo, affidata alle cure di una donna) chiede al padre di visitare la città, in cui risiede ormai da tre mesi. La reazione di Rigoletto è violenta: potrebbero seguirla e rapirla pur di disonorare un buffone. Con ordine perentorio fa accorrere la custode, Giovanna, e affannosamente la interroga su eventuali infrazioni al rigido isolamento da lui imposto alla figlia. Da lei rassicurato, si raccomanda che il portone sia sempre ben chiuso e la prega di vigilare sulla figlia e di difenderne la purezza (Veglia, o donna). Gilda è intenerita dal prorompente affetto del padre e lo rassicura che su di lei veglia dal cielo, quale angelo protettore, la madre. Intanto nell'oscurità del vicolo appare il Duca in costume borghese, che s'avvicina alla casa di Rigoletto. Il rumore dei suoi passi viene avvertito da Rigoletto che si precipita sulla via per osservare, aprendo per un breve ma fatale istante la porta; ne approfitta il Duca, favorito dall'oscurità notturna, per guizzare furtivo nel cortile e nascondersi dietro l'albero; gettando una borsa di denari a Giovanna le fa cenno di tacere. Gilda, che si sente tormentata dai paterni sospetti, di nulla s'è accorta. Rigoletto, rientrando, chiede affannoso a Giovanna se è mai stata seguita tornando dalla messa. Al suo diniego, ordina che non sia aperto a nessuno, men che meno al Duca (il quale, ancora nascosto, scopre così che la "giovane borghese" di cui s'è invaghito altri non è che la figlia del suo buffone). Rigoletto raccomanda un'ultima volta Gilda a Giovanna, abbraccia infine la figlia e parte chiudendosi dietro la porta, ignaro d'aver chiuso dietro di sé con l'agnello anche il lupo... 5. SCENA E DUETTO. Gilda esprime a Giovanna il rimorso per aver taciuto al padre di un giovane che la seguiva al tempio. Ma è sentimento fugacé; la voce della fanciulla si distende sull'arco di una melodia sospesa: il suo animo trasognato sembra cercare il volo come per inseguire una visione cara. In uno stato d'estasi sta per proferire la parola "t'amo", quando essa viene improvvisamente completata dal Duca che, inginocchiatosi ai suoi piedi, ha nel frattempo allontanato Giovanna. Gilda è ora sola davanti al suo innamorato, a un tempo spaventata e attirata dalla sua foga irruente. Con subitanee aperture all'espansione melodica il Duca incalza la fanciulla indebolendone le ultime resistenze, fino a esprimere un'infuocata dichiarazione amorosa (È il sol dell'anima): fama, potenza, trono sono cose fragili; solo l'amore avvicina agli angeli. Gilda cade in estasi: nel suo tremebondo palpito si esprime la gioia di un sogno che si sta avverando. Alla fanciulla che chiede di sapere il suo nome, il Duca risponde chiamarsi Gualtier Maldè, d'essere studente e povero. Nel frattempo appaiono nel vicolo Ceprano e Borsa, che avevano giurato di vendicarsi del buffone; il loro piano di vendetta mira al rapimento di quella che ritengono essere l'amante di Rigoletto; intanto Ceprano indica a Borsa la casa del buffone. Il rumore dei loro passi mette in agitazione Gilda, che teme l'improvviso ritorno del padre. Giovanna, pure allarmata, accorre dalla casa: la fanciulla le affida il compito di far uscire il giovane dalla porta che dà sul bastione. L'addio fra questi e Gilda si ripete più volte (Addio addio), in modo quasi convulso, come si conviene a due amanti che non vorrebbero mai lasciarsi. Infine il Duca esce scortato da Giovanna.

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6. SCENA ED ARIA. Gilda resta a fissare la porta da cui è partito l'amante. Sugli arpeggi ascendenti di un flauto la fanciulla, rapita nel suo sogno d'amore, ripete il nome dell'amato. La sua estasi amorosa si esprime attraverso un canto spezzato (Cano nome), come un pulsare del cuore, che esprime non solo la trepidazione amorosa, ma anche il sentimento di chi cerca di indugiare su una visione per imprimerne nella mente le forme evanescenti. Un lungo, interminabile pedale esprime la fissità estatica con la quale la fanciulla sembra prolungare all'infinito la gioia che la pervade; ma in questa fissità si insinua una nota inquietante, espressa dal timbro cupo del timpano; mentre ella sale sul terrazzo con la lanterna in mano, fuori, sul vicolo, si vanno riunendo i cortigiani, armati e mascherati, che ammirano estasiati la sua bellezza. Gilda entra infine nelle sue stanze ripetendo il nome dell'amato. Un lungo trillo... e la sua voce si perde in lontananza. 7. SCENA E CORO. Mentre i cortigiani si apprestano al rapimento della supposta amante di Rigoletto, questi riappare, con fare preoccupato, dal fondo del vicolo. Ritorna alla sua casa: l'incubo della maledizione di Monterone lo persegue come un sinistro presagio. Nell'appressarsi alla soglia urta improvvisamente Borsa (Chi va là? Tacete... c'è Rigoletto). I cortigiani sono imbarazzati dalla sua presenza proprio nel momento in cui stanno per rapirgli l'amante. Ceprano vorrebbe ucciderlo, ma Borsa gli osserva che con lui vivo ci sarà più da divertirsi l'indomani. Interviene Marullo, che gode di maggiore confidenza da parte del buffone, per risolvere la situazione: facendosi riconoscere da Rigoletto gli dà da intendere di essere convenuti in quel luogo per sottrarre la sposa di Ceprano in favore del Duca. Il motivo appare plausibile al buffone; ma resta tuttavia sospettoso. Per vincerne i dubbi Marullo ricorre allo stratagemma di far tastare al buffone la chiave del palazzo di Ceprano come prova di quanto sta dicendo. Rigoletto palpa la chiave, ne riconosce lo stemma e trae un respiro di sollievo; decide di essere lui pure della partita: indica il palazzo e chiede d'essere anch'egli mascherato. Gli viene affidato il compito di reggere la scala; e intanto, approfittando della tenebra notturna, i cortigiani gli mettono una maschera cui accortamente sovrappongono una benda che gli copra occhi e orecchie, sì da renderlo cieco e sordo. Infine lo accostano a una scala appostata al terrazzo. Il suono dell'orchestra si spegne in un brusio, sul quale d'un tratto si stacca sottovoce il canto burlesco dei cortigiani (Zitti, zitti, moviamo a vendetta). Frattanto alcuni salgono al terrazzo, rompono la porta del primo piano, scendono, aprono ad altri che entrano dal vicolo nel cortile; infine ne escono trascinando Gilda, la cui bocca è chiusa da un fazzoletto. Nel traversare la scena ella perde una sciarpa. Da lontano si sente il grido di vittoria dei cortigiani. Gli fa eco, ancor più lontano, il grido lamentoso della fanciulla che chiama il padre in soccorso. Rigoletto nulla sente, causa il mascheramento. Stanco per la lunga attesa, si porta la mano agli occhi e s'accorge della benda. La "ridevol cosa" precipita in tragedia. Sulla concitazione crescente del ritmo orchestrale Rigoletto si strappa violentemente benda e maschera e al chiarore d'una lanterna dimenticata riconosce la sciarpa; vede la porta spalancata, si precipita nel cortile, ne trae Giovanna spaventata che fissa con stupore; si strappa i capelli... vorrebbe gridare, non può; finalmente dopo molti sforzi esclama "Ah!... ah!... ah!... la maledizione!".

ATTO SECONDO Salotto nel Palazzo Ducale. Vi sono due porte laterali, una maggiore nel fondo che si schiude.Ai suoi lati pendono i ritratti, in tutta figura, a sinistra del Duca, a destra della sua sposa. Vi è un seggiolone presso una tavola coperta di velluto e altri mobili. 8. SCENA ED ARIA [CON CORO]. Il Duca entra in scena agitatissimo (Ella mi fu rapita!); racconta come un presagio interno lo avesse ricondotto alla casa della "giovine borghese" e avesse trovato la porta spalancata, le stanze vuote. E dove ora sarà, lei così pura da spingerlo a virtù? Un commovente moto di sincera pietà lo porta a immaginare la fanciulla piangente e spaventata (Panni veder le lagrime). :intimità elegante ancorché superficiale del canto del Duca viene interrotta dall'irrompere sfacciato e disordinato dei cortigiani, che si precipitano a gara per annunciargli il rapimento dell'amante di Rigoletto e raccontargli come ciò avvenne (Scorrendo uniti). Il Duca dapprima ascolta tra il divertito e l'annoiato; ma poi la sua attenzione si desta: la supposta amante di Rigoletto altri non è che la sua "diletta"! Nell'apprendere dai cortigiani che la giovane è stata condotta a palazzo, la sua gioia è incontenibile: vuole correre da lei, riaffermarle il suo amore, rivelarle il suo vero stato (Possente amor mi chiama). Quindi esce frettoloso attraverso la porta di sinistra.

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9. SCENA ED ARIA. Dietro le quinte si ode la voce di Rigoletto che torna al suo ufficio di buffone canterellando con represso dolore. Fra i cortigiani il solo Marullo sembra mosso a pietà per lui. Rigoletto entra in scena cercando di mostrarsi allegro e spensierato.Viene accolto dal buongiorno dei cortigiani, un saluto carico di ironia che non sfugge al buffone. Dopo uno sberleffo a un provocatorio approccio di Ceprano che gli chiede se vi sono novità, riprende a canterellare aggirandosi per la sala spiando dovunque. Stenta a mascherare la propria agitazione; i cortigiani, avvedendosene, si limitano a un riso sommesso e contenuto, in attesa che la burla esploda. Con simulata indifferenza si rivolge a Marullo accennando al "bel colpo" di stanotte... Marullo finge di cader dalle nuvole: ha sempre dormito! Al che Rigoletto ironicamente risponde d'aver dunque sognato; e riprende a canterellare. Nota a terra un fazzoletto; lo raccoglie, l'osserva: non è quello di Gilda. Chiede del Duca: sta dormendo, gli viene risposto. Improvvisamente la scena si anima con l'entrata di un paggio venuto a chiedere appunto del Duca da parte della sua sposa. Sulle risposte imbarazzate dei cortigiani, che si contraddicono facendogli capire che insomma ora egli "non può vedere alcuno", piomba impetuosa l'interruzione di Rigoletto: Gilda è dunque a palazzo! I cortigiani non fanno in tempo a prendersi gioco del buffone e ridersi dell'amante da lui perduta, ché questi li investe con accento terribile:"Io voglio mia figlia!". Di fronte ai cortigiani stupiti ora non sta più un buffone, ma un padre colpito nei suoi affetti più sacri, che ora li sfida a ridere del "bel colpo". Le parole escono come mozzate dall'ira. Corre alla porta della stanza dove ormai sa che Gilda è rinchiusa col Duca, ma viene respinto. Su una discesa impetuosa degli archi che s'arresta su tre violenti accordi di tutta l'orchestra, il furore di Rigoletto esplode con tutta veemenza in un'invettiva contro i cortigiani, espressione di una rabbia e di un'acredine a lungo repressi (Cortigiani, vil razza dannata). Ma la sua arma più affilata, la lingua, non può nulla contro il silenzio imperturbabile di quei nobili. Si getta ancora sulla porta, che gli è nuovamente contesa. L'impeto della musica si smorza. Si accascia spossato. E finalmente piange: ciò che gli era tolto, "il retaggio d'ogni uom", ora gli è reso. Si rivolge a Marullo, dall'animo "gentile", il solo fra i cortigiani che non è di nobile origine: lo supplica di rivelargli dove è stata nascosta la figlia. Le parole si spezzano sulle labbra di Rigoletto. Ma Marullo tace: forse non ha il coraggio di dirgli la verità. Alla fine Rigoletto, distrutto dal dolore, si rivolge a tutti i cortigiani implorando perdono e pietà affinché gli sia ridonata la figlia, così trovando per la prima volta la via del canto spiegato. 10. SCENA E DUETTO. Gilda esce dalla stanza e si getta fra le braccia del padre. Il suo strazio è tale che non manifesta sorpresa nel vederlo abbigliato da buffone.Tutto si svolge in un baleno. Rigoletto è incapace di parlare. La gioia gli mozza le parole. S'avvede però che la figlia piange. Gliene chiede il motivo. Ma Gilda vuole confessare la propria vergogna soltanto davanti al padre. Con imperioso modo, derivantegli dall'autorità di un padre offeso nell'onore, Rigoletto ordina ai cortigiani di uscire e comanda che sia vietato al "loro" Duca di entrare. I cortigiani lasciano lentamente la stanza con fare divertito, rimanendo tuttavia appostati. Rimasti soli, il padre invita la figlia a parlare. Il tono di Gilda ormai non è più quello di una fanciulla. Introdotta dal suono dell'oboe, ella rivela l'incontro con un giovane "bello e fatale" (Tutte le feste al tempio), come se ne innamorò e, in un drammatico crescendo, come poi fu rapita e sedotta. Rigoletto ascolta con angoscia crescente. E anziché inveire, si esprime in un ribollire d'ira impotente, sul ritmo fremente dell'orchestra, rivolgendosi a Dio; tutto ha egli accettato: la vergogna, l'abiezione, il disprezzo; ma per sé, non per la figlia. Deve pur esserci un altare presso al patibolo. L'altare si è rovesciato. Ma ora in Rigoletto prevale non la bestemmia, ma la pietà paterna. Si volge improvvisamente alla figlia invitandola a lasciar scorrere le lagrime (Piangi, fanciulla) e ancora una volta la sua voce si piega al canto di un'ampia melodia. La voce del padre sembra a Gilda quella di un "angelo consolatore"; smarrita, tremante, quasi non osa credere che il padre, anziché inveire contro di lei, le apra le braccia stringendola al cuore. Mal celando propositi di vendetta, Rigoletto comunica alla figlia l'intenzione di lasciare l'"aura funesta" di quel luogo. Il ritmo marziale di una progressione armonica annuncia la svolta della situazione: un usciere ordina che si schiudano le porte a Monterone condotto al carcere. Scortato da alabardieri il vecchio conte attraversa la scena con saldo passo; arrestandosi di fronte al ritratto del Duca riconosce con accento solenne di averlo invano maledetto: che egli viva dunque felice. Quindi esce dalla porta di mezzo. Gli fanno eco le parole di Rigoletto: "No, vecchio, t'inganni...". Con impetuosa mossa, la voce quasi soffocata

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dall'ira, quindi con vigore crescente, Rigoletto si scatena in un desiderio sfrenato di vendicare l'affronto subito (Sì, vendetta, tremenda vendetta). Gilda è spaventata dalla gioia feroce che brilla negli occhi del padre e lo supplica di perdonare; nonostante tutto si sente ancor più innamorata dell'uomo che l'ha ingannata. Ma Rigoletto non sente ragione e, rivolto al ritratto del Duca, tuona la sua minaccia.

ATTO TERZO Deserta sponda del Mincio. A sinistra è una casa in due piani, mezza diroccata, la cui fronte, volta allo spettatore, lascia vedere per una grande arcata l'interno d'una rustica osteria al piano terreno, ed una rozza scala che mette al granaio, entro cui, da un balcone, senza imposte, si vede un tettuccio. Nella facciata che guarda la strada è una porta che s'apre per di dentro; il muro poi è così pieno di fessure, che dal di fuori si può facilmente scorgere quanto avviene all'interno. Il resto del teatro rappresenta la deserta parte del Mincio, che nel fondo scorre dietro un parapetto in mezza rovina; al di là del fiume è Mantova. È notte. 11. SCENA E CANZONE. Sulle note di un mesto preludio suonato dagli archi si alza il sipario. Gilda e Rigoletto inquieto sono sulla strada. Sparafucile nell'interno dell'osteria, seduto presso una tavola, sta ripulendo il suo cinturone, senza nulla intendere di quanto accade al di fuori. Rigoletto interroga la figlia sui suoi sentimenti vérso il Duca: ella lo ama sempre. Invano il tempo è passato (trenta giorni sono trascorsi dal rapimento), perché guarisse da questo amore insensato, e invano il padre tenta ancora di dissuaderla: le dimostrerà quanto ella s'inganni; chiede solo di attendere e di osservare: avrà così la prova dell'incostanza del suo spasimante [l'estrema concisione di questo recitativo trascura un passaggio importante della tragedia di Hugo, dal quale si apprende che nel frattempo la giovane era diventata di fatto l'amante ufficiale del sovrano e risiedeva a palazzo, situazione che il buffone fingeva di tollerare onde meglio prepararsi alla vendetta]. Un veloce disegno degli archi sottolinea l'improvviso ingresso nell'osteria del Duca, travestito da semplice ufficiale di cavalleria. Senza indugi e con tono imperioso ordina a Sparafucile una stanza (ma "tua sorella", secondo l'autografo) e del vino. D'un tratto l'atmosfera viene vivamente illuminata da uno scattante ritmo di canzone che l'orchestra annuncia e poi tronca a mezzo come in attesa del canto; subito il Duca riprende il brillante motivo per decantare la volubilità della donna, che per quanto menzognera è pur fonte di felicità amorosa (La donna è mobile). Finita la canzone, il motivo si trascolora in orchestra lungo un breve postludio, nel corso del quale Sparafucile rientra con una bottiglia di vino e due bicchieri che depone sulla tavola; quindi esce sulla via per gli ultimi accordi con Rigoletto, non senza aver prima battuto col pomo della sua lunga spada due colpi al soffitto. 12. QUARTTO. A questo segnale una ridente giovane, in costume di zingara, scende a salti la scala. Il Duca corre ad abbracciarla e subito inizia fra i due una schermaglia amorosa (Un dì, se ben rammentomi) nel corso della quale i due personaggi danno alle loro parole l'apparenza di un sentimento vero; il Duca giunge perfino a dire a Maddalena di volerla sposare. Gilda, che dal di fuori osserva attraverso una fenditura del muro con accanto il padre, sente tutto e non sa trattenere, attraverso brevi interiezioni, una sdegnata sorpresa. Intanto la foga erotica del Duca giunge al culmine di una vera e propria dichiarazione d'amore (Bella figlia dell'amore), che la maliziosa Maddalena, che ben conosce le regole del gioco amoroso, accoglie incredula ridendo. In Gilda cresce la disperazione: quelle stesse parole il Duca aveva rivolto a lei... Ma il padre la esorta a non piangere per un uomo così vile. Quindi ordina alla figlia di prendere denaro, indossare vesti virili e subito partire a cavallo per Verona, dove egli stesso la raggiungerà l'indomani. Gilda esce. 13. SCENA,TERZETTO E TEMPESTA. Mentre il Duca e Maddalena stanno fra loro parlando, ridendo, bevendo, Rigoletto va dietro la casa e ritorna con Sparafucile, cui anticipa dieci scudi, la metà del compenso pattuito; l'appuntamento è per mezzanotte. A Sparafucile, che dichiara di poter da solo gettare il cadavere nel fiume, il gobbo vivacemente ribatte di voler compiere lui stesso quest'ultima operazione; quindi si allontana, mentre il cielo si va oscurando e tuona. Nell'osteria il Duca fa per abbracciare Maddalena, che si scosta nel vedere il fratello rientrare. Sparafucile annuncia prossima la tempesta. Il Duca risolve di fermarsi per la notte, invano sollecitato da Maddalena a partire. Il bravo gli offre la sua stanza e, prendendo un lume, s'avvia per la scala. Il Duca lo segue, non prima d'aver sussurrato una parola all'orecchio di Maddalena che, rimasta per un momento sola, compiange la prossima fine di un sì "grazioso" giovane. Salito nella stanza il Duca depone il cappello, la spada, si stende sul letto, e in breve, canterellando a mezza voce il

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motivo della canzone, si addormenta. Maddalena frattanto siede presso la tavola; Sparafucile beve alla bottiglia lasciata dal Duca. Rimangono tutti e due taciturni per qualche istante e preoccupati da gravi pensieri. Poi Maddalena si mostra turbata dalla bellezza di quel giovane; venti scudi sono pochi per la sua vita. Il fratello con fare brusco le ordina di salire a prendergli la scala. Maddalena sale al granaio, contempla il dormiente, ripara alla meglio il balcone e scende portando seco la spada del Duca. Nel fondo della via compare Gilda in costume virile, con stivali e speroni, e lentamente s'avanza verso l'osteria, mentre Sparafucile continua a bere. Lampi e tuoni si vanno intensificando.Trascinata dall'amore la fanciulla chiede perdono al padre. Quindi si accosta a una fessura del muro per ascoltare. Maddalena, dopo aver posato la spada sulla tavola, si rivolge al fratello che sta frugando in un credenzone: si confessa innamorata di quel giovane, bello come un dio, che pure l'ama, e chiede di non ucciderlo (Somiglia a un Apollo quel giovine). (E intanto Gilda, ciò sentendo, rabbrividisce dal terrore). Ma Sparafucile per tutta risposta le butta un sacco da rammendare: servirà per gettare il cadavere del suo Apollo. Maddalena non si dà per vinta: immaginando che la preoccupazione del fratello siano i soldi del compenso, gli propone di uccidere il gobbo, non appena si ripresenterà col resto del denaro. Ma Sparafucile inorridisce: è una questione d'onore, egli è un sicario e non un bandito! Gilda segue la scena dalla strada, tremante di raccapriccio. Maddalena è decisa a tutto: fa per salire ad avvertire il giovane del pericolo, ma il fratello la trattiene; in fondo gli scudi fanno gola anche a Maddalena. C'è una sola soluzione: se prima di mezzanotte qualcuno busserà alla porta, morirà al posto del predestinato. Ma la tempesta è troppo forte, gli obietta la sorella, perché qualcuno si avventuri per via. Gilda è tentata di sacrificarsi per salvare a un tempo l'amato e il proprio padre. Battono le undici e mezza (cinque tocchi di campana seguiti dopo un istante da un doppio tocco d'altra campana conforme l'uso "romano") Non resta che mezz'ora! Maddalena piange. Il suo pianto decide Gilda al sacrificio supremo. Va alla porta bussando forte. Alla richiesta di Sparafucile la fanciulla, contraffacendo la voce, dice d'essere un mendicante che chiede asilo per la notte. Il bravo risponde di attendere un momento; va a frugare nel credenzone alla ricerca di un pugnale. Va quindi ad appostarsi con il pugnale dietro alla porta. Maddalena apre, poi corre a chiudere la grande arcata di fronte, mentre entra Gilda, dietro cui Sparafucile chiude la porta, e tutto resta sepolto nel silenzio e nel buio. Fuori si sta scatenando la tempesta, accompagnata da continui lampi e tuoni. Alla fine la furia degli eleménti va a poco a poco calando... ultime ffilate di vento, ultime gocce di pioggia... e la tempesta s'allontana su una cadenza sospesa... 14. SCENA E DUETTO FINALE. Dal fondo della scena, nel silenzio più assoluto, si avanza Rigoletto chiuso nel suo mantello. Di lontano ancora qualche lampo e qualche tuono. Da trenta giorni il gobbo ha atteso questo momento, piangendo sotto la maschera del buffone (Della vendetta alfin giunse l'istante). Un lampo illumina sinistramente la stamberga di Sparafucile: l'uscio è chiuso, la mezzanotte non è ancora suonata, occorre dunque attendere qualche istante. Solo, di fronte alla natura sconvolta dalla tempesta, il buffone s'inorgoglisce. Suona la mezzanotte. Rigoletto s'affretta a bussare alla porta. Ne esce Sparafucile: impedendo al gobbo di entrare gli ingiunge di attendere. Il sicario rientra e subito ritorna trascinando un sacco. Rigoletto esulta e chiede un lume. Ma il sicario ha fretta d'intascare il resto della mercede pattuita e di gettare il sacco nel fiume. Rigoletto insorge: vuole essere egli stesso a completare il delitto. Sparafucile indica al gobbo un luogo lontano dove più profondo è il gorgo, lo sollecita a far presto e si congeda. Il rombo lontano del tuono commenta il suo "Buona notte". Ora Rigoletto è solo di fronte a quello che crede essere il cadavere del Duca (Egli è là... Morto!). Si esprime con frasi rotte da una gioia incontenibile; finalmente può chiamare il mondo a testimone della sua impresa: aver, egli buffone, annientato un potente. Si decide alfine a gettare il cadavere nel fiume. Fa per trascinare il sacco quando, d'improvviso, è sorpreso dalla voce lontana del Duca, che nel fondo attraversa la scena cantando spensieratamente il motivo della canzone "La donna è mobile". Il gobbo s'arresta: non crede alle proprie orecchie! È buio, non riesce a vedere chi sta cantando, ma crede di riconoscerne la voce. Quando la canzone giunge alla cadenza l'accento inconfondibile di quella voce gli si rivela appieno. "Egli è desso", il Duca! Impreca in direzione della stamberga, mentre la voce del seduttore si perde negli spazi notturni librandosi su una lunga nota acuta. Di chi è dunque il cadavere nel sacco? Con fare affannoso Rigoletto corre a tagliarlo. Un lampo gli

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rivela le sembianze della figlia. Ma forse è una visione, perché la fanciulla è in viaggio per Verona. Un altro lampo gli reca l'atroce conferma: ai suoi piedi sta non il corpo del seduttore bensì quello del suo unico bene. Si precipita verso la stamberga e picchia disperatamente alla porta senza avere risposta. Accorre verso la figlia. A un suo debole appello s'accorge che si muove: dunque è ancora in vita. Gilda riconosce il padre, gli indica il cuore dove è stata mortalmente colpita, e infine confessa la propria colpa: ha troppo amato il suo seduttore e ora muore per lui (V'ho ingannato). Rigoletto si rende conto che la vendetta è ricaduta su colui stesso che l'aveva progettata. Implora la figlia di non morire; ma la fanciulla, che sente ormai mancare le forze, supplica il padre di perdonare a lei e al Duca. Nel momento dell'estremo trapasso il flauto, che aveva accompagnato il sogno amoroso della fanciulla, si ricongiunge, come per una riacquistata innocenza, alla sua voce, che ora si libra sul moto ascensionale di un canto dolcissimo: dal cielo, vicino alla madre, ella pregherà per lui (Lassù... in cielo). A un certo punto la tonalità si trasfigura e il canto si spegne lentamente, troncato dalla morte. Un lungo terribile silenzio. Rigoletto chiama la figlia, ma invano. La maledizione di Monterone si è compiuta. Strappandosi i capelli, cade sul cadavere della figlia.

Verdi dirige !'Aida all'Opéra di Parigi ("Illustrazione Italiana", 1880)

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Il Trovatore Dramma in quattro parti. Libretto [postumo] di Salvadore Cammarano

[completato da Emanuele Bardare] Prima rappresentazione: Roma,Teatro di Apollo, 19 gennaio 1853

L'argomento deriva dal dramma in prosa e in versi El trovador di Antonio Garda Gutiérrez (Chiclana, Cadice, 1813 - Madrid, 1884), rappresentato con immenso successo a Madrid il l° marzo 1836. Fu proposto da Verdi a Cammarano già nel gennaio del 1851, alla vigilia del Rigoletto. In misura ben maggiore che nelle tre precedenti opere scritte su libretto di Cammarano, Verdi intervenne nella struttura drammatica, mirando soprattutto a salvaguardare il "carattere strano e nuovo" di Azucena, dominato da due grandi passioni:" amor filiale e amor materno". Egli stesso ne stese lo scenario, inviandolo a Cammarano in aprile. Il poeta napoletano lavorò al libretto molto lentamente, sempre tenuto sotto controllo da Verdi, il quale nel frattempo, dopo il successo di Rigoletto, veniva richiesto da numerose proposte di contratti. Firmato nel febbraio del 1852 un impegno con l'Opéra (saranno Les Vépres siciliennes) e sottoscritto nel maggio successivo un contratto con la Fenice (sarà Traviata), il compositore destinava Il trovatore, dopo un fallito tentativo con il S. Carlo di Napoli, all'Apollo di Roma, dove poteva disporre di due primedonne adatte alle parti di Azucena e di Leonora. Intanto il 17 luglio moriva Cammarano, avendo tuttavia pressoché terminato il libretto. L'incarico di apportare gli ultimi ritocchi richiesti dal compositore fu affidato a un suo collaboratore, Emanuele Bardare. Ulteriori ritocchi al libretto, tuttavia non tali da alterare il dramma e il carattere dei personaggi, furono richiesti dalla censura papalina. Come il libretto, anche la composizione subì alcuni rallentamenti. Verdi poté dedicarsi, nonostante i suoi numerosi impegni artistici e familiari, a quella che sarebbe diventata la sua opera più popolare, senza essere assillato da scadenze immediate. Iniziata nella tarda estate del 1851, la composizione fu terminata negli ultimi mesi del 1852, in coincidenza con la composizione di Traviata Alla prima rappresentazione il successo fu trionfale. Altrettanto trionfale e soprattutto rapido il suo cammino sulle scene italiane e straniere. Nel solo 1853 ben 30 teatri diversi rappresentarono 11 trovatore. L'anno dopo la cifra si sarebbe più che raddoppiata: oltre 65 teatri. E oltre 70 i teatri nel 1855. Nella sola sera di S Stefano del 1854 ben 15 teatri italiani rappresentarono contemporaneamente per la prima volta Il trovatore: il che sta a significare che, a meno di due anni dalla prima assoluta, il mercato del lavoro operistico poteva già disporre di almeno quindici tenori in grado di affrontare la parte di Manrico, di altrettanti baritoni per quella del Conte di Luna, di trenta primedonne per le parti di Leonora e di Azucena, e che in pari tempo doveva essere intensificata la produzione di un nuovo, eccentrico strumento musicale introdotto dall'autore nella partitura: l'incudine... Non era più solo un successo. Come già per Emani, era ormai una moda. A marcare la quale concorreva Pasquale Altavilla il famoso comico napoletano - rappresentando al San Carlino di Napoli una sua commedia in tre atti: Na famiglia ntusiasmata pe la museca de lo Trovatore. Ben a ragione, anche se celiando, Verdi poteva scrivere all'amico Opprandino Arrivabene nel maggio del 1862: "Quando tu andrai nelle Indie e nell'interno dell'Africa sentirai il Trovatore': La storia del suo cammino e della sua popolarità è storia scritta sulla punta di lancia di quel famoso "o teco" ovvero quel Do di petto, non scritto dall'autore (ma da lui tacitamente accettato in omaggio alla regola canonica dell'esecuzione variata nella replica di un rondò o di una cabaletta) che ha spesso (troppo spesso) deciso le sorti di una serata. E se per Cesare Pascarella ilTrovatore è "Er pius urtra più su, la musica più mejo", per Barili esso è "il melodramma dogmatico" i cui "quadri sono la Via Crucis del canto italiano ".

PERSONAGGI E PRIMI INTERPRETI IL CONTE DI LUNA baritono Giovanni Guicciardi LEONORA soprano Rosina Penco AZUCENA mezzo-soprano Emilia Goggi MANRICO tenore Carlo Baucardé FERRANDO basso Arcangelo Balderi INES soprano Francesca Quadri Ruiz tenore Giuseppe Bazzoli Un vecchio Zingaro basso Raffaele Marconi

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Un Messo tenore Luigi Fani Compagne di Leonora e Religiose, Familiari del Conte, Uomini d'arme, Zingari e Zingare L'avvenimento ha luogo parte in Biscaglia, parte in Aragona Epoca dell'azione: il principio del secolo XV Nota: Nel racconto di Ferrando sono contenuti gli antecedenti del dramma, risalenti a quindici anni prima ("son tre lustri" dice il Conte nel terzo atto), dai quali si apprende che il vero nome di Manrico, fratello minore del Conte ("secondo nato"), è Garzia. L'azione ha per sfondo una guerra civile fra opposte fazioni, a capo di una delle quali è Urgel, un proscritto, al cui seguito combatte Manrico. Fra la parte prima e la parte seconda trascorrono alcuni mesi, durante i quali Manrico nel corso della battaglia di Pelilla viene gravemente ferito dal Conte di Luna.

RIASSUNTO DELL'AZIONE DRAMMATICA PARTE PRIMA: Il duello

Atrio nel palazzo dell'Aliaferia. Da un lato porta che mette agli appartamenti del Conte di Luna. 1. INTRODUZIONE. Per la prima volta Verdi rinuncia a un'ouverture autonoma. L'introduzione orchestrale crea un clima notturno e misterioso. È infatti notte fonda. Mentre alcuni uomini d'arme passeggiano in fondo, i familiari del Conte di Luna, di guardia al palazzo, sono sdraiati presso la porta e stanno per assopirsi. Ferrando li richiama al loro compito, in attesa dell'arrivo del Conte, che non ha pace, turbato dal canto di un trovatore suo rivale in amore. Essi gli chiedono allora di raccontare ancora, per tenerli svegli, la storia di Garzia, fratello del Conte; e gli si accostano per ascoltare meglio. Anche gli armigeri, desiderosi di ascoltare, si fanno intorno a Ferrando. E questi racconta (Abbietta zingara). Il vecchio Conte di Luna aveva due figli. Una mattina, all'alba, la nutrice che vegliava il secondogenito presso la culla, svegliandosi di soprassalto, scorse un'orrenda zingara guardare il piccolo con occhio torvo. La nutrice gridò; presto i servi accorsi allontanarono la vecchia. La zingara si giustificò dicendo che era entrata per trarre l'oroscopo del piccolo. In realtà ella lo aveva ammaliato. Infatti di lì a poco il bimbo si ammalò. La fattucchiera fu catturata e condannata al rogo. Ma restava in vita la figlia di lei, che ordì una tremenda vendetta: il piccolo scomparve e di lui si trovarono solo i resti carbonizzati nel luogo stesso in cui era stata arsa la madre. Il racconto desta il raccapriccio dei presenti. E che ne fu del vecchio Conte? Narra Ferrando che egli morì; tuttavia convinto che il secondogenito fosse ancora vivo, sul letto di morte fece giurare al figlio rimasto di non cessare mai le indagini. Ancora turbati e animati alla vendetta i famigli chiedono a Ferrando se abbia mai rintracciato la zingara infanticida e se sia in grado di riconoscerla; egli ammette di avere molta voglia di afferrarla e spedirla all'inferno con l'anima perduta della madre; certo la riconoscerebbe. L'anima della vecchia, però, secondo quanto si dice in giro, vaga assumendo qua e là forma di uccello notturno per scomparire all'alba come saetta (Su l'orlo dei tetti). Ferrando aggiunge - mentre sul volto dei presenti si manifesta un superstizioso terrore - che un servo del Conte *morì di paura dopo aver percosso la fronte della zingara che, apparsa intorno alla mezzanotte sotto forma di gufo, lo guardava insistentemente. Giusto in quel momento una campana improvvisamente suona a distesa la mezzanotte.Tutti sono colti dal panico. Gli uomini d'arme accorrono in fondo; i familiari si dirigono verso la porta. Giardini del palazzo. Sulla destra, marmorea scalinata, che mette agli appartamenti. - La notte è inoltrata; dense nubi coprono la luna. 2. SCENA E CAVATINA. Leonora, dama di compagnia della principessa d'Aragona, è richiamata da Ines ai suoi doveri. Ma ella esita: non vorrebbe che passasse un'altra notte senza vedere il suo amato. Ines le chiede incuriosita come s'accese in lei tale pericolosa scintilla d'amore. Leonora racconta d'aver incoronato vincitore di un torneo un guerriero sconosciuto, vestito di nero, il cui scudo era privo di stemma. Poi, scoppiata la guerra civile, egli scomparve. Finché in una dolce notte di luna piena si udirono risuonare nell'aria silenziosa gli accordi di un liuto e la voce di un trovatore che, come uomo che prega, cantava malinconici versi (Tacca la notte placida); in quel canto ella udì pronunciare il suo nome; corse al verone e lo vide: era proprio lui; l'averlo riconosciuto le diede una gioia che solo agli angeli è dato di provare. Ines è commossa dalla storia; tuttavia quell'uomo misterioso le desta inquietudine ed ella mette in guardia Leonora da un pericoloso amore. Ma Leonora è decisa: il suo amore per il Trovatore è indescrivibile e il suo

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destino non può compiersi che al suo fianco (Di tale amor); tra sé Ines spera che ella non abbia a pentirsi mai di un così grande amore. Le due donne entrano negli appartamenti del palazzo. 3. SCENA, ROMANZA E TERZETTO. Il Conte di Luna si avanza: tutto è silenzio; la principessa sta dormendo; ma dalla tremola luce della lampada egli intuisce che Leonora è ancora sveglia. Cieco d'amore fa per avviarsi alla gradinata del palazzo. D'un tratto si ode un canto provenire da lontano (Deserto sulla terra): Solo al mondo, costretto alla guerra da un destino crudele, il trovatore ha una sola speranza: il cuore di una donna che lo ami. E se egli potrà possedere quel cuore, allora sarà il più grande degli uomini". Il Conte riconosce la voce: è quella delTrovatore, che infatti avanza accompagnandosi con il liuto. Lo riconosce anche Leonora, che trepidante accorre,andando ad abbracciare l'uomo che le si para innanzi coperto da un mantello; in quella un improvviso raggio di luna lascia scorgere una persona, di cui la visiera nasconde il volto. Dalla voce del Trovatore, rimasto nell'ombra, che l'accusa d'infedeltà, Leonora s'accorge dell'equivoco: l'uomo che sta abbracciando è il Conte di Luna. Si getta ai piedi del Trovatore agitatissima, scongiurandolo di credere all'errore, perché ella ama lui e solo lui (A te credea rivolgere). Il Trovatore non chiede di più. Ma il Conte è infuriato e vuole sapere il nome del suo rivale. Il Trovatore si svela: è Manrico, un seguace di Urgel e quindi un proscritto. Furioso di gelosia il Conte invoca il sangue del rivale (Di geloso amor sprezzato). Invano Leonora lo supplica di calmarsi, dichiarandosi la sola colpevole e chiedendo d'essere punita. Il duello è inevitabile. Manrico è sicuro che il suo amore lo renderà invincibile e si allontana con il rivale a spada sguainata. Leonora cade priva di sensi.

PARTE SECONDA: La Gitana Un diruto abituro sulle falde d'un monte della Biscaglia. Nel fondo, quasi tutto aperto, arde un gran fuoco. - I primi albori. 4. CORO DI ZINGARI E CANZONE. Azucena siede presso il fuoco, Manrico le sta disteso accanto sopra una coltrice e avviluppato nel suo mantello; ha l'elmo ai piedi e fra le mani la spada, su cui figge lo sguardo. Un banda di zingari, sparsa all'intorno, osserva il dissolversi delle ombre notturne e saluta l'inizio del nuovo giorno apprestandosi al lavoro. Danno di piglio ai loro ferri del mestiere; e al misurato tempestar dei martelli cadenti sulle incudini, or uomini or donne, e tutti in un tempo, elevano un canto di gioia (Chi del gitano i giorni abbella) in onore della zingarella: è lei ad abbellire la vita del gitano. Gli uomini lavorano con lena, mentre le donne versano ad essi, in rozze coppe, del vino, che ai raggi del sole sembra brillare più vivido. D'un tratto Azucena inizia a cantare per suo conto una canzone che attira l'attenzione degli zingari: tutti le si fanno intorno (Stride la vampa). La canzone narra di un rogo cui il popolo s'affretta festoso levando urla di gioia; stretta in catene viene trascinata una donna discinta e scalza; la folla inferocita inveisce contro la vittima, mentre la fiamma, riflettendo i volti orribili della folla, si alza al cielo sinistra. Triste canzone, osservano i gitani. Ma Azucena ribatte che essa è triste quanto funesta è la storia da cui trae argomento. Poi, volgendo il capo verso Manrico, mormora sommessamente un'invocazione dal giovane altre volte già udita, ma per lui ancora misteriosa: "Vendicami! Vendicami!". Intanto un vecchio zingaro esorta i compagni a scendere verso i centri abitati per procurarsi il pane. Gli zingari ripongono sollecitamente nel sacco i loro attrezzi e scendono alla rinfusa giù per la china, ripigliando il loro canto (Chi del gitano), che si perde in lontananza. 5. SCENA E RACCONTO. Rimasto solo con la madre, Manrico le chiede di proseguire il racconto. Azucena gli confida che quella che aveva cantato era la storia di sua madre, incolpata di stregoneria da un conte malvagio che la condannò al rogo in quello stesso luogo dove ora arde il fuoco. Mentre Manrico s'allontana con raccapriccio dalla fiamma, Azucena inizia il suo racconto (Condotta ell'era in ceppi): in quel giorno terribile, mentre la madre in catene veniva portata al supplizio, ella con il figlioletto in braccio cercava invano di farsi strada tra la folla. La madre, vedendola, volle benedirla per l'ultima volta, ma gli sgherri la spinsero via pungendola con le loro armi e insultandola con parole oscene. Alla povera donna orribilmente torturata non restò altro che gridare alla figlia disperata "Vendicami!". Quel grido risuonò nell'animo di Azucena come eco eterna. Fu così che riuscì a rapire il figlio del Conte e a trascinarlo sul luogo del supplizio, dove le fiamme ardevano già pronte. Il bimbo si struggeva nel pianto e lei si sentiva il cuore dilaniato. Quando, d'un tratto, alla mente stravolta dal dolore apparve come in un sogno la scena del

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supplizio;Azucena sentiva risuonare il grido della madre "Vendicami!". Con mano convulsa afferra il bimbo e lo sospinge tra le fiamme. Esce di delirio, mentre scompare la visione della madre, e rinviene: resta solo il fuoco che sta distruggendo la vittima. Gira lo sguardo e in quel punto s'avvede che il figlio del Conte è ancora vivo davanti a lei: quello che aveva bruciato era il suo stesso figlio. Ancora rabbrividisce. E ricade sconvolta sul proprio seggio. Manrico ammutolisce colpito d'orrore e di sorpresa. Momenti di silenzio. 6. SCENA E DtrErro. Manrico, sorpreso dal racconto, chiede dunque di chi è egli figlio; ma Azucena frettolosamente lo rassicura imputando l'errore all'emozione. Egli è suo figlio: non lo ha forse sempre amato di tenero amore? non gli ha forse ridato la vita, quando, accorsa alla notizia della sua morte, gli ha curato amorevolmente le molte ferite subite nella battaglia di Pelilla? Manrico ricorda con nobile orgoglio di essere rimasto il solo, fra le truppe sbandate, a volgere la faccia al nemico e a combattere contro il Conte di Luna. Cadde sì; ma da prode. Azucena chiede al figlio per quale strano sentimento egli poteva aver risparmiato il rivale ormai a terra. Manrico non riesce a spiegarselo; ma nel punto in cui stava per trafiggerlo sentì una voce dal cielo che gli ordinava di non colpire (Mal reggendo all'aspro assalto). Azucena gli fa notare che il rivale tuttavia non udì quella stessa voce quando piombò su di lui ferendolo mortalmente; e dunque, dovesse la sorte fargli incontrare il "maledetto" Conte, che immerga la lama nel suo cuore fino all'elsa. Manrico giura di eseguire. Si sente un prolungato suono di corno: è un messo inviato da Ruiz con un messaggio. Manrico risponde anche lui con un corno che tiene ad armacollo, mentre Azucena, concentrata e quasi inconsapevole di quanto sta succedendo, mormora:"Vendicami!". Il messo entra porgendo un foglio a Manrico, che questi legge ad alta voce: Castellor è stata conquistata; per ordine del principe egli, Manrico, deve andare a vigilarne le difese; inoltre, tratta in inganno dalla notizia della sua morte, Leonora la sera stessa prenderà il velo nel chiostro vicino. A quest'ultima notizia Manrico, concitatissimo, ordina al messo di scendere la collina e di approntargli un cavallo. Azucena si ridesta e, vedendo il figlio in agitazione, tenta di frapporsi. Ma Manrico s'affretta a mettersi l'elmo e ad afferrare il mantello senza dare ascolto alla madre, che vorrebbe trattenerlo per timore del pericolo (Perigliarti ancor languente): le sue ferite appena rimarginate potrebbero riaprirsi; e lo supplica: "Il tuo sangue è sangue mio!". Ma Manrico si mostra irremovibile: terra e cielo insieme non avrebbero forza per fermarlo; un solo indugio e perderà Leonora (Un momento può involarmi il mio ben) ed egli cadrebbe spento di dolore. Si allontana di corsa, invano trattenuto da Azucena. Atrio interno di un luogo di ritiro in vicinanza di Castellor. Alberi nel fondo. - È notte. 7. SCENA ED ARIA. Il Conte di Luna, Ferrando e alcuni seguaci s'inoltrano cautamente, avviluppati nei loro mantelli. Il Conte è soddisfatto d'essere giunto prima dell'inizio del rito. Confida a Ferrando che dopo aver ucciso il rivale riteneva non esserci ostacoli al suo desiderio di possedere Leonora; tuttavia ella è riuscita a opporne uno più grande: l'altare. Ma Leonora dev'essere sua e di nessun altro. La luce del suo sorriso supera quella di una stella (Il balen del suo sorriso) e il suo splendore infonde in lui un coraggio straordinario. L'amore di cui arde le parli in suo favore e possa il suo sguardo placare la tempesta che ha nel cuore. Si ode il rintocco delle campane del chiostro: il rito dunque s'appressa. Il Conte ordina ai suoi uomini di rapire Leonora prima che giunga all'altare. Ferrando tenta di condurlo alla ragione, ma invano: il Conte non vuole ascoltare e lo obbliga ad agire ordinando ai suoi di nascondersi dietro alcuni faggi.Ansioso e guardingo, osserva dalla parte da cui deve giungere Leonora, mentre Ferrando e i seguaci sottovoce si fanno coraggio, apprestandosi al rapimento. Intanto il Conte, in un accesso di furore, invoca il momento fatale: nemmeno Dio può opporsi al suo amore (Per me, ora fatale). Quindi s'allontana a poco a poco e raggiunge i suoi nascondendosi fra gli alberi. 8. FINALE SECONDO. Si ode un coro interno di Religiose: il loro canto è un invito ad abbandonare le vane speranze terrene e a nascondersi con un velo a ogni sguardo umano (Ah!... se l'erròr t'ingombra), allontanandosi dalle cose mondane e volgendosi al cielo. Entra Leonora, con sèguito muliebre, accompagnata da Ines, mentre dal fondo cautamente avanza il Conte con Ferrando e i suoi seguaci. Le amiche di Leonora piangono: non la rivedranno mai più. Ella le conforta: il mondo per lei non ha più nessuna attrattiva; non le resta che rivolgersi a Colui che è l'unico conforto per i sofferenti e che potrà un giorno ricongiungerla tra i beati al suo perduto

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bene. Esortando le amiche ad asciugare le lacrime e ad accompagnarla all'altare, Leonora s'incammina verso il chiostro. Ma improvvisamente il Conte si fa avanti sbarrandole la via e fa per impadronirsi di lei, quando d'un tratto fra lui e la preda appare, quale fantasma uscito di sotterra, Manrico. Lo stupore è generale. Leonora non crede ai suoi occhi, pensa a un sogno o a un incantesimo; il suo cuore non può reggere a tale gioia: non sa più se è lui che è sceso dal cielo o se è lei stessa in cielo con lui (E deggio e posso crederlo?). Il Conte irato chiede a Manrico come mai l'inferno lo abbia rifiutato: se tuttavia vuole vivere, che fugga da lui e da Leonora. Manrico gli risponde che, se pur mortalmente ferito, si è salvato perché soccorso da Dio, che non è mai dalla parte degli empi. Intanto Ferrando cerca invano di placare la furia del Conte. Improvvisamente, al grido di "Urgel viva!", sopraggiunge Ruiz con una schiera di armati in soccorso di Manrico. Questi invita Leonora a seguirlo. Il Conte sguaina la spada per contrastarlo, ma viene accerchiato e disarmato dagli uomini di Ruiz. Ferrando tenta di frenare il Conte, che, ormai reso impotente, è invaso da un furore maniacale. Manrico si allontana con i suoi traendo seco Leonora, mentre il Conte e i suoi sono tenuti a bada. Le donne si rifugiano nel cenobio.

PARTE TERZA: Il figlio della Zingara Accampamento. A destra il padiglione del Conte di Luna, su cui sventola la bandiera in segno di supremo comando; da lungi torreggia Castellor. 9. CORO D'INTRODUZIONE. Uomini d'arme dappertutto; alcuni giuocano, altri puliscono le armi, altri passeggiano; ma tutti sono pronti all'imminente assalto alla rocca di Castellor (Or co' dadi, ma fra poco). E intanto salutano i rinforzi richiesti: un grosso drappello di balestrieri che attraversa il campo. Entra Ferrando per informare che il capitano intende attaccare, appena farà giorno, la rocca da tutte le parti ed è certo che ci sarà un considerevole bottino. Quest'ultima notizia incoraggia i soldati che non vedono l'ora di udire la tromba che li chiama alla battaglia per ottenere ricchezze, vittoria e gloria (Squilli, echeggi la tromba guerriera). A poco a poco si disperdono e il loro canto si perde in lontananza. 10. SCENA E TERZETTO. Il Conte uscito dalla tenda volge uno sguardo bieco a Castellor: è roso dalla gelosia al pensiero che Leonora sia tra le braccia del suo rivale; ma presto, non appena albeggi, correrà a separarli. Si ode un tumulto. Sopraggiunge Ferrando che informa il Conte di quanto ha saputo dal capo della scorta: una zingara è stata vista aggirarsi presso l'accampamento; ritenendola una spia gli esploratori l'hanno raggiunta e catturata. Il tumulto si fa più vicino. Appare una donna con le mani legate, trascinata dagli esploratori e seguita da un codazzo d'altri soldati. Il Conte le chiede dove stesse andando; ella risponde che è abitudine di una zingara spostarsi senza una precisa meta: il cielo è il suo tetto, il mondo la sua patria. Egli allora vuol sapere da dove venga ed ella gli risponde che fino ad allora è vissuta sulle montagne della Biscaglia; a quel nome il Conte e Ferrando hanno un sussulto. La donna prosegue il racconto: ella viveva poveramente, ma contenta del suo stato (Giorni poveri vivea); l'unica sua gioia era un figlio, che però l'ha abbandonata; ed è per trovarlo che ella vaga senza meta: mai una madre provò per un figlio l'amore che ella prova per il suo. Mentre Ferrando la scruta attentamente in volto, il Conte le chiede se sa di un figlio di conti rapito al suo castello; egli è suo fratello e da quindici anni ne va in cerca. Azucena si scolora in volto. Ferrando, notando il malcelato terrore della donna, riconosce in lei la zingara che aveva commesso l'orribile delitto. Invano la povera donna tenta di negare; il Conte è scatenato: finalmente ha messo le mani sulla donna che le uccise il fratello e ordina di stringerle ancor più i legami. La donna urla dalla disperazione e invoca il soccorso di Manrico! All'udire questo nome la furia del Conte non ha più freni. Azucena si dibatte e implora che le allentino i lacci (Deh! rallentate, o barbari) predicendo all'empio figlio di iniquo genitore la punizione che Dio riserva a chi opprime i miseri. Il Conte non bada alle minacce, egli ormai assapora la soddisfazione di poter in un sol colpo punire Manrico con il supplào della madre, così vendicando il proprio fratello. Ferrando e gli altri annunciano l'allestimento di una pira per la condanna della zingara: ma non sarà il rogo l'unico suo supplizio, poiché le fiamme dell'inferno attendono il rogo eterno della sua anima. A un cenno del Conte i soldati trascinano via Azucena. Egli entra nella sua tenda, seguito da Ferrando. Sala adiacente alla Cappella in Castellor, con verone nel fondo. 11. SCENA ED ARIA. Leonora e Manrico stanno per unirsi in matrimonio. Con loro è Ruiz.

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Dall'esterno proviene fragore d'armi che turba Leonora. Manrico non le nasconde il pericolo: Castellor è assediata e all'alba il nemico attaccherà; è tuttavia certo del valore dei suoi uomini, non inferiori al nemico per valore e per coraggio. Affida per breve tempo il comando dei preparativi bellici a Ruiz, che esce. Leonora è oppressa: quale tetra luce risplende sulle loro nozze! Manrico cerca di consolarla: quando saranno marito e moglie egli sarà ancora più coraggioso (Ah, sì, ben mio); ma se il destino avesse scritto la sua fine in battaglia, in quegli ultimi istanti il suo pensiero volerà a lei e la morte sarà solo il precederla in cielo. Il suono dell'organo nella vicina cappella accompagna un breve duettino (L'onda de' suoni mistici), in cui le voci dei due amanti, come rasserenate, s'intrecciano con brevi frasi melodiche. Mentre s'avviano giubilanti al tempio, Ruiz irrompe frettoloso sulla scena per annunciare che la zingara è stata catturata e che il rogo è già pronto. Manrico, accostatosi al verone per guardare, rivela a Leonora che quella zingara è sua madre e subito ordina a Ruiz una sortita per andare a salvarla: quel rogo orrendo sarà spento con il sangue dei suoi carnefici (Di quella pira); era già figlio prima ancora di amarla; corre a salvarla o a morire con lei. Leonora si sente mancare e invoca per sé la morte. Ruiz torna con uomini armati. Manrico grida all'armi, quindi parte precipitoso, seguito da Ruiz e dagli armati, mentre all'interno si ode un fragore d'armi.

PARTE QUARTA: Il supplizio Un'ala del palazzo dell'Aliaferia. All'angolo una torre con finestre assicurate da spranghe di ferro. Notte oscurissima. 12. SCENA, ARIA E MISERERE. Ruiz accompagna Leonora presso la torre dove sono rinchiusi i prigionieri, tra cui Manrico. La donna gli ordina di lasciarla sola: non ha paura e saprà come difendersi; e nel dir questo fissa lo sguardo su una gemma che le fregia la mano destra. Il suo pensiero corre a Manrico, che ignora la sua presenza ai piedi della torre; e immagina che i suoi sospiri salgano su rosee ali a portargli conforto (D'amor sull'ali rosee). Si innesta a questo punto, scandito da una campana che suona a morto, un canto interno (Miserere d'un'alma già vicina). Leonora rabbrividisce nel sentire questa cupa preghiera (Quel suon, quelle preci); d'un tratto dalla torre risuona una voce accompagnata dal liuto: è quella di Manrico; la sua canzone è un addio alla vita (Ah, che la morte ognora): sconta col proprio sangue il suo amore per Leonora. Su di lei in scena ora convergono, con effetto stereofonico, il suono interno della campana, il Miserere da un altro lato interno, la canzone di Manrico dal sommo della torre. .Leonora cerca di reagire allo strazio con trasporto e disperazione: non ci fui mai sulla terra un amore più forte del suo; i loro destini sono ormai uniti: o lei salverà la vita di Manrico anche a prezzo della propria o scenderà nella tomba per sempre (Tu vedrai che amore in terra). 13. SCENA E DUETTO. Si apre una porta; ne escono il Conte e alcuni seguaci. Leonora si trae in disparte e ascolta. Il Conte conferma ai soldati per l'alba l'ordine della doppia esecuzione: la decapitazione per il figlio e il rogo per la madre. Parlando tra sé, si chiede se sta abusando del potere conferitogli dal principe: ma a tanto lo ha trascinato la passione per Leonora, di cui, dopo la presa di Castellor, nulla più ha saputo. Le si rivolge idealmente, quando, come invocata, Leonora esce dal buio e si presenta a lui turbandolo. Chiede grazia per Manrico, umiliandosi ai suoi piedi (Mira, di acerbe lagrime). Le sue preghiere tuttavia non fanno che aumentare la gelosia del Conte: egli vorrebbe piuttosto centuplicare la morte del rivale fra mille atroci spasimi. Fa per andarsene, ma Leonora gli si avvinghia, offrendo un prezzo per ottenere la grazia in favore dell'amato: se stessa. Il Conte crede a un sogno. Ma Leonora insiste, stendendo con dolore la destra per avvalorare la sua promessa: che le sia permesso di entrare nel carcere e far fuggire il suo amato; ella sarà sua per sempre. Il Conte le impone di giurare; poi corre all'uscio della torre; vi si presenta un custode: mentre gli impartisce un ordine sussurrandogli all'orecchio, Leonora di nascosto apre la gemma dell'anello e ne sugge il veleno: il Conte l'avrà, ma morta. Questi torna da Leonora annunciandole che Manrico sarà salvo. Leonora rivolge al cielo gli occhi, cui fanno velo lagrime di gioia, e ringrazia il Signore (Vivrà!... Contende il giubilo): la sua felicità è tale che il suo canto si spezza, scandito dai palpiti del cuore: ora non le resta che attendere la fine e poter dire a Manrico, morendo, che egli è salvo per merito suo.Tutto pervaso dall'inattesa felicità di poter finalmente possedere Leonora, anche il Conte si esprime con un canto spezzato, ripetendo come in delirio:

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"Tu mia! Tu mia!".Alla fine chiede a Leonora di rinnovare il suo giuramento. Quindi entrano insieme nella torre. Orrido carcere. - In un canto finestra con inferriata. Porta nel fondo. Smorto fanale pendente alla volta. 14. FINALE ULTIMO. Azucena giace sopra un rozza giaciglio, al suo fianco è Manrico, che tenta di confortarla. Azucena non riesce a dormire; vorrebbe uscire da quella tomba di vivi, che le toglie l'aria. Manrico si torce le mani per la disperazione. Ma la madre, sorgendo in piedi, gli dice di non preoccuparsi perché i suoi nemici non potranno farle nulla: la morte ha lasciato il segno sulla sua fronte e quando verranno a prenderla ella sarà già cadavere, anzi scheletro. D'improvviso Azucena cade in delirio: sente arrivare i carnefici per trarla al rogo. Implora Manrico di difenderla. Egli la rassicura. Ma ella non bada alle sue parole; è invasa dallo spavento che le incute la visione del rogo. Il rogo! Parola orrenda! Mentre in orchestra risuona il tema di "Stride la vampa", alla mente offuscata di Azucena ritorna la visione atroce della madre, con l'immaginé dei suoi occhi sbarrati mentre le fiamme del rogo lambiscono i suoi capelli. La donna cade tutta convulsa fra le braccia di Manrico, che amorevolmente conducendola al suo giaciglio la invita a dormire per ritrovare nel sonno il riposo e la calma. Oppressa dalla stanchezza,Azucena lentamente si assopisce intonando tra il sonno e la veglia un nostalgico canto cullante (Ai nostri monti) nel quale ella s'illude di tornare col figlio alla loro montagne, dove potrà placidamente dormire al suono del suo liuto. Alla fine Azucena s'addormenta. Manrico resta genuflesso accanto a lei. S'apre una porta: entra Leonora. Manrico non crede ai propri occhi. Ella, con parole rotte dall'emozione, ma in tono sommesso, lo informa d'essere venuta a salvarlo; facendogli fretta gl'indica l'uscita. Ma ella non può seguirlo: deve restare. Manrico è interdetto! Leonora insiste e cerca di trascinarlo verso la porta. A questo punto, vedendo che Leonora si rifiuta di sostenere il suo sguardo, Manrico le chiede a qual prezzo ha potuto ottenere la sua libertà; pensa che ella si sia venduta al rivale tradendo il suo giuramento d'amore (Ha quest'infame l'amor venduto). Leonora, offesa dall'ira cieca e ingiusta di Manrico, si getta ai suoi piedi, supplicandolo di fuggire senza indugio. Inaspettatamente, sulla disputa che va scemando d'intensità, si sovrappone il canto di Azucena semi-assopita (Ai nostri monti). Intanto il veleno già comincia a fare effetto e Leonora non si regge più. A Manrico, che in preda all'ira la maledice, la donna chiede supplicando di non imprecare: questo è il momento dell'ultima preghiera. E cade bocconi. Manrico rabbrividisce e corre a sollevarla. Leonora gli rivela d'avere la morte in seno: la mano è già gelida, ma fuoco orribile è nel suo cuore. E mentre Manrico intuisce il gesto da lei còmpiuto, ella gli chiede di pregare per lei (Pria che d'al- tri vivere). Entra il Conte, arrestandosi sulla soglia, appena in tempo per sentire le ultime paro- le di Leonora. Il veleno ha agito con insospettata rapidità. Leonora stringe la destra di Manrico in segno d'addio, implora la grazia divina e muore. Il Conte, additando Manrico agli armati che sono al suo seguito, ordina che sia condotto immediatamente al ceppo. Partendo fra le guar- die, Manrico rivolge l'estremo addio alla madre addormentata. Improvvisamente Azucena si desta e chiede subito del figlio. Il Conte trionfante trascina la donna verso la finestra per farla assistere all'esecuzione. Ora la zingara può rivelargli: "Egli era tuo fratello!". Mentre il Conte resta impietrito dall'orrore, Azucena, lasciandosi cadere ai piedi della finestra, può finalmente gridare "Sei vendicata, o madre!".

Traviata Libretto fin tre atti] di Francesco Maria Piave

Prima rappresentazione: Venezia,Téatro La Fenice, 6 marzo 1853 L'argomento deriva da La Dame aux camélias, "pièce mélée de chants", di Alexandre Dumas figlio (Parigi, 1824 - Marly-le-Roi, 1895), rappresentata con strepitoso successo al Thé dtre du Vaudeville di Parigi il 2 febbraio 1852, a sua volta ricavata dal romanzo che Dumas stesso aveva pubblicato nel 1848.Verdi aveva sempre dimostrato un particolare rigore nella scelta dei cantanti delle proprie opere, rigore destinato ad acuirsi ulteriormente in occasione della sua quarta opera veneziana. I destini della Traviata saranno così strettamente legati alle vicende della formazione di

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una compagnia di canto accetta al compositore da prevalere sulla scelta del soggetto, scelta decisa in extremis, che in definitiva si rivelerà inadeguata per gli interpreti scritturati alla Fenice. Colpa del maestro o dei cantanti?... Richiesto nel gennaio del 1852 dalla Fenice di un'opera nuova, Verdi firmò il contratto alla fine di aprile, solo dopo aver conosciuto quale compagnia vi era scritturata, impegnandosi a fornire il libretto entro luglio, ma con la riserva di decidere dopo il debutto della primadonna, la Salvini Donatelli, se questa dovesse o meno agire nella sua nuova opera. Quanto alla scelta del soggetto Verdi, intento alla composizione del Trovatore, ne incaricò Piave. La ricerca si trascinò per tutta l'estate, ma senza risultato. Nonostante due successive proroghe accordategli dalla Fenice, in settembre il compositore era ancora alla ricerca di un argomento. Alla fine di quel mese Piave si recava a S. Agata con il soggetto in tasca (forse La forza del destino?); ne stendeva il libretto ed era già in procinto di rientrare a Venezia, quando Verdi improvvisamente s'innamorava di un altro argomento: La dame aux camélias di Dumas figlio. Piave fu quindi obbligato a scrivere un nuovo libretto sull'argomento deciso dal maestro e recante il titolo Amore e morte, più tardi mutato in Traviata. Sembra che Verdi ne abbozzasse le prime note già nel mese di ottobre, mentre stava completando il Trovatore. Intanto la stagione della Fenice, dopo un favorevole avvio, era incappata in alcuni insuccessi. Verdi, trattenuto a Roma per il Trovatore, lo seppe troppo tardi per valersi della clausola del contratto che gli consentiva di far scritturare un'altra primadonna. Con il libretto ancora incompleto e con la musica ancora da terminare, il maestro tentò di sciogliersi dal contratta Impresa e teatro ,tuttavia non cedettero.Verdi si vide così costretto a rispettare gl'impegni presi. Con una settimana di ritardo rispetto ai termini contrattuali, si presentò a Venezia, recando seco la partitura pressoché terminata, con l'animo oppresso da infausti presagi, che purtroppo si avverarono. Verdi giudicò l'esito della prima sera un `asco", commentando:"La colpa è mia o dei cantanti?... Il tempo giudicherà". In realtà vero e proprio "fiasco" non fu, poiché l'opera fu replicata per altre otto sere a teatro affollata Si trattò comunque di un insuccesso, non però imputabile alle "forme opulente" e ancor meno alla voce della Salvini Donatelli, la sola, anzi, a essere applaudita sino alla fine (come attestano le cronache dei giornali e al contrario di quanto sostenuto dai biografi disinformati), bensì al cattivo stato di salute del tenore e alla svogliatezza del baritono. Quanto ai costumi "contemporanei" si tratta di un'altra inesattezza tramandata da biografi disattenti. Per la verità Verdi voleva che i costumi fossero "dei tempi presente ma la Fenice, nell'intento di allontanare nel tempo un argomento 290 Traviata scabroso che metteva in scena una cortigiana, decise diversamente, facendo risalire la vicenda "al 1700 circa". Sarà solo a fine Ottocento che si comincerà a rappresentare Traviata in costumi di metà secolo, divenuti ormai "storici". Nonostante l'esito alla Fenice l'opera avrebbe dovuto essere rappresentata a Roma, ma esigendo la censura papalina consistenti modifiche al libretto, Verdi ne fece ritirare la partitura. La Traviata risorse un anno dopo a Venezia, ma non più alla Fenice bensì al teatro in S Benedetto. Per l'occasione il maestro da Parigi (ove era impegnato nella composizione dei Vespri siciliani) apportò alcune modifiche, in gran parte per adattare l'opera ai nuovi interpreti.Anche di quest'opera il cammino fu rapido sulle scene italiane ed estere, insediandosi stabilmente in repertorio fino ai nostri giorni, tanto da diventare l'opera di Verdi forse la più amata dal pubblico internazionale. Come già Stiffelio e Rigoletto, anche Traviata fu oggetto d'interventi da parte delle censure degli stati italiani del centro-sud, nei cui teatri fino al 1860 fu rappresentata col titolo Violetta

PERSONAGGI E PRIMI INTERPRETI Fenice 1853 S. Benedetto 1854

VIOLETTA VALERY prima donna Fanny Salvini Donatelli Maria Spezia FLORA BERVOIX comprimaria Speranza Giuseppini ANNINA [cameriera di Violetta] seconda donna Carlotta Berini ALFREDO GERMONT primo tenore Lodovico Graziani Giovanni Landi GIORGIO GERMONT, suo padre primo baritono Felice Varesi Filippo Colini GASTONE, visconte di Letorières secondo tenore Angelo Zuliani Barone DUPHOI. baritono Francesco Dragone Marchese D'OBIGNY basso Arnaldo Silvestri

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DOTTORE GRENVIL basso profondo Andrea Bellini GIUSEPPE, servo di Violetta secondo tenore G. Borsato Domestico di Flora corifeo basso G. Tona Commissionario corifeo basso Antonio Manzini Signori e signore amici di Violetta e Flora, Mattadori, Piccadori e Zingare. Servi di Violetta e di Flora, maschere, ecc. ecc. Scena: Parigi e sue vicinanze, nel 1700 circa N. B. Il primo atto succede in agosto, il secondo in gennaio, il terzo in febbraio

RIASSUNTO DELL'AZIONE DRAMMATICA 1. PRELUDIO. Come già il Preludio di Rigoletto, anche questo costituisce la sintesi sonora del dramma che si sta per rappresentare, sintesi che si racchiude nel ritratto musicale della protagonista: Amore e. morte, giusto il titolo primitivo, voluto da Verdi. Si apre infatti con il tema della morte di Violetta (affidato ai soli violini, lo si riudirà all'inizio del terzo atto) per poi sfociare nel coinvolgente tema dell'amore ("Amami Alfredo"), che viene ripetuto dai violoncelli in contrasto con il brillante controcanto dei violini, un richiamo, quest'ultimo, al carattere civettuolo della protagonista a inizio di dramma.

ATTO PRIMO Salotto in casa di Violetta. Nel fondo è la porta che mette ad altra sala; ve ne sono altre due laterali; a sinistra, un caminetto con sopra uno specchio. Nel mezzo è una tavola riccamente imbandita. 2.INTRODUZIONE. [SCENA]. Violetta, seduta sopra un divano, sta conversando col Dottor Grenvil e con alcuni amici, mentre altri vanno a incontrare quelli che sopraggiungono, tra i quali sono il Barone e Flora al braccio del marchese d'Obigny. Gli invitati arrivano in ritardo, ancora eccitati per essersi intrattenuti al gioco da Flora. Violetta accoglie gli ospiti con calore e li invita a bere. Flora e il Marchese le chiedono se il suo stato di salute le consente questi eccessi. Violetta è euforica ed espansiva: gioia e piacere sono per lei ottimo farmaco.Tutti convengono: la gioia raddoppia la vita. Mentre i servi sono affaccendati intorno alla mensa, su una nuova melodia degli archi entra Gastone accompagnato da Alfredo; egli si avvicina a Violetta per presentargli in Alfredo Germont un suo ardente adoratore.Violetta, lusingata, offre la mano al bacio del giovane. Il marchese lo riconosce e cordialmente lo saluta. Tutto è pronto: le tavole sono riccamente imbandite e Violetta invita gli ospiti ad accomodarsi. I posti sono occupati in modo che Violetta si trovi tra Alfredo e Gastone; di fronte a lei siede Flora tra il Marchese e il Barone. Gastone, parlando sommessamente, rivela a Violetta che Alfredo è infatuato di lei e che durante la sua malattia ogni giorno andava alla sua porta per chiedere notizie. Violetta si schermisce, e su insistenza di Gastone si rivolge ad Alfredo, che conferma imbarazzato. Violetta coglie lo spunto per provocare il Barone, che pur conoscendola da un anno non ha mai dimostrato tanta preoccupazione. Il Barone cerca di mascherare la sua gelosia e confida a Flora che il giovane gli è antipatico; Flora invece confessa di provare simpatia per il nuovo venuto. BRINDISI. Gastone si rivolge ad Alfredo, ammutolito per l'emozione; il marchese invita Violetta a scuoterlo. Ella, invocando Ebe, la coppiera degli dei, gli versa da bere.Alfredo le risponde con galanteria.Tutti bevono. Gastone chiede al Barone di proporre un brindisi. Questi però si sottrae all'invito. Gastone si rivolge quindi ad Alfredo, che sulle prime ricusa; ma poi con malizia chiede a Violetta licenza e, tra il giubilo generale, intona un brindisi alla bellezza, alla gioia fugace e, indicando Violetta, all'amore (Libiam ne' lieti calici). Gli risponde Violetta inneggiando al piacere e all'amore, fiore caduco. Mentre tutti si associano al canto, i due scambiano i primi approcci: ella inneggia al tripudio, egli all'amore. VALZER E DUETTO. L'inatteso suono di un'orchestra proveniente dalla vicina sala coglie di sorpresa gli invitati. Violetta li invita alle danze.Tutti felici s'avviano alla porta di mezzo, quando Violetta è colta da improvviso malore. Gli amici la circondano preoccupati; ella prova a fare qualche passo, ma è obbligata a fermarsi e a sedere: un tremito la invade; tuttavia ha la forza di tranquillizzare gli amici invitandoli a passare nell'altra sala.Tutti escono, meno Alfredo, che rimane sul fondo a osservare Violetta. Mentre le danze continuano a risuonare, ella si rialza a fatica, s'avvicina allo specchio per guardarsi e osserva il pallore del proprio volto. In quella

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s'accorge della presenza di Alfredo, che con aria preoccupata le si avvicina rimproverandole la vita che conduce: egli stesso la saprebbe curare, poiché nessuno al mondo la ama quanto lui. Questo interessamento la sorprende: tenta di mascherare la sorpresa celiando sui sentimenti del giovane. Ma questi le rivela di amarla da oltre un anno, allorché la vide per la prima volta (Un dì, felice, eterea): da quel momento visse di "quell'amor ch'è palpito dell'universo", sentimento misterioso che è a un tempo "croce e delizia" al cuore. Violetta, spaventata dall'idea di un sentimento tanto impegnativo, nasconde il proprio turbamento reagendo con civetteria di cortigiana: confessa di non saper amare e consiglia Alfredo di dimenticarla. Ma il giovane insiste. Per un attimo Gastone si presenta sulla porta di mezzo come per sollecitare la presenza di Violetta alle danze, e subito parte. Violetta propone ad Alfredo un patto: quello di rèstare buoni amici. Alfredo accetta. A questo punto Violetta, come trascinata da un impulso interiore, trae dal seno una camelia (fiore da lei prediletto perché privo di profumo), e la porge al giovane dicendogli, con un pizzico di malizia, di riportarla quando sarà appassita. "Domani " chiede speranzoso Alfredo. "Ebben, domani" risponde Violetta. Alfredo prende con trasporto il fiore. Divertita da tanta franchezza Violetta gli chiede di ripeterle che la ama. Alfredo fa per partire, poi torna per baciarle la mano. Infine esce di corsa, non potendo desiderare di più. STRETTA DELL'INTRODUZIONE. Tutti rientrano dalla sala riscaldati dalle danze: è ormai l'alba e occorre rincasare non senza prima ringraziare Violetta per la riuscita della festa (Si ridesta in ciel l'aurora); la godereccia compagnia si avvia al riposo per ritemprare le forze e predisporsi alle molte gioie e ai divertimenti che la città offre. 3. SCENA ED ARIA. Rimasta sola, Violetta appare turbata, le parole di Alfredo sono ancora impresse nella sua memoria e il pensiero di un serio amore le fa temere oscure sventure. Ma ciò che la stupisce è lo strano sentimento di "essere amata amando" che la rende insicura. Il suo cuore si desta all'illusione che possa essere lui l'ideale sognato, amato, atteso, che la richiama a "quell'amor ch'è palpito dell'universo" (Ah fors'è lui che l'anima), un sentimento che pure le si era delineato nell'animo sin da fanciulla, e proprio nei termini evocati da Alfredo: "croce e delizia al cor". Resta concentrata un istante. Poi si scuote: "Follie! follie!". Per una giovane donna che vive in quel "popoloso deserto" che è Parigi, non c'è scampo; l'unica possibilità è di continuare a vivere libera e a gioire freneticamente di nuovi piaceri, fino a morire nei vortici di voluttà (Sempre libera degg'io). Per quanto Violetta cerchi di stordirsi col canto, attraverso scale ed arpeggi rischiosissimi, la voce di Alfredo risuona nella sua anima invitandola a quell'amore "ch'è palpito dell'universo".

ATTO SECONDO Casa di campagna presso Parigi. Salotto terreno. Nel fondo, in faccia agli spettatori, è un camino, sopra il quale uno specchio e un orologio, fra due porte chiuse da cristalli che mettono a un giardino. Al primo piano due altre porte, una di fronte all'altra. Sedie, tavolini, qualche libro, l'occorrente per scrivere. 4. SCENA ED ARIA. Una vivace introduzione degli archi sottolinea l'entrata di Alfredo in costume di caccia, con fucile a tracolla che subito depone: per lui non v'è diletto senza Violetta; sono ormai tre mesi da che ella ha abbandonato la città e le sue feste per ritirarsi a vivere con lui in campagna. Il giovane è felice e si sente rinato. Da quando Violetta gli ha giurato fedeltà, il suo giovanile ardore ha lasciato il posto a una completa felicità, tale che gli sembra di vivere in cielo (De' miei bollenti spiriti). Entra Annina affannosa. Nel vederla in tenuta da viaggio Alfredo si stupisce e ne chiede il motivo. La donna con malcelato imbarazzo risponde d'essere stata a Parigi su ordine della sua signora per vendere le sue ultime proprietà; e ad Alfredo che le chiede perché avesse finora taciuto, Annina rivela esserle stato imposto il silenzio sulla faccenda; occorrono infatti mille luigi per sanare i debiti della loro dispendiosa vita. Alfredo, sorpreso e imbarazzato, ordina ad Annina di tacere su questo colloquio: andrà egli stesso a Parigi per procurarsi la somma. Annina esce. Il giovane si sente attanagliato dal rimorso per la propria condotta irresponsabile, tutta a carico di Violetta; come svegliandosi da un sonno fanciullesco ora si propone di lavare tanta vergogna (O mio rimorso! oh infamia!). Quindi esce precipitosamente. 5. SCENA E DUETTO. Entra Violetta con alcune carte in mano, seguita da Annina, cui chiede di Alfredo. La domestica l'avverte che il signore è partito per Parigi promettendo di tornare entro

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sera. Giuseppe entra porgendo una lettera a Violetta, che dopo averla letta scoppia a ridere'. Flora ha scoperto il suo rifugio e'la invita a una festa per la sera stessa; ma Violetta non ci andrà, e getta il foglio sul tavolino. Rientra Giuseppe per annunciare l'arrivo di "un signore".Violetta, credendo trattarsi dell'uomo d'affari che attendeva, fa cenno d'introdurlo. Lo sconosciuto entra e si presenta subito come il padre di Alfredo. Violetta sorpresa lo invita a sedersi. Con ruvido tono Germont incolpa subito la donna d'aver ammaliato suo figlio e di esserne la rovina: per amor suo egli sta sperperando il suo patrimonio. Violetta risentita si alza ricordando al vecchio che sta parlando a una signora. Germont è colpito dai suoi modi. Tuttavia non demorde, accusando la donna d'essere beneficiaria dei beni di suo figlio. Violetta risponde con fierezza: fosse vero che Alfredo voglia farle dono dei suoi averi, ella rifiuterebbe. E nel dir questo gli mostra le carte che testimoniano la vendita delle sue proprietà. Dopo avervi dato un rapido sguardo Germont si mostra altamente sorpreso; addolcendo il tono, si rammarica che il passato la accusi! Violetta con trasporto afferma che il passato non esiste più: Dio stesso lo ha cancellato con il suo pentimento. Germont è affascinato dalla nobiltà dei sentimenti della donna. A sua volta Violetta è intenerita dal nuovo tono di voce del padre di Alfredo. Ma questi rivela d'essere venuto a chiederle un sacrificio. Violetta, che aveva presagito l'appressarsi di una sventura, si alza per interromperlo. Ma egli con voce ferma le chiede di salvare l'avvenire dei suoi due figli. A Violetta, sorpresa, Germont rivela che ha una figlia il cui fidanzato, venuto a sapere della convivenza del futuro cognato con una cortigiana, non acconsente più alle nozze (Pura siccome un angelo); implora pertanto Violetta di non mutare in dolore la speranza di una vergine innamorata. Violetta pensa si tratti di una separazione temporanea e, per quanto dolorosa, la accetta. Ma Germont è venuto per chiederle di rinunziare ad Alfredo per sempre. A questa richiesta Violetta reagisce con affannoso impeto (Non sapete quale affetto): non ha amici né parenti, tutto il suo universo è in Alfredo, che le ha giurato eterno amore; inoltre è malata, e vede prossima la fine. Separarsi da Alfredo? Piuttosto la morte! Germont cerca di lusingarla dicendole che è bella e giovane: col tempo potrà rifarsi. Ma ella, quasi offesa, ribadisce che amerà solo Alfredo. Allora Germont le ricorda che l'uomo (e Violetta, oggetto di desiderio, lo sa benissimo) è volubile. Questa verità è come una stilettata mortale nel cuore della giovane. Quando un giorno la bellezza svanirà - continua Germont e subentrerà la noia, quale balsamo potrà avere un amore non benedetto dalle nozze? Che Violetta disperda un sogno fallace, incalza Germont, e diventi piuttosto l'angelo consolatore della famiglia di Alfredo. Violetta, annichilita dal dolore estremo, si arrende: verso la donna caduta, per quanto Iddio indulga con il perdono, l'uomo resterà pur sempre implacabile! Piangendo si volge a Germont: sacrificherà il suo amore, l'unico bene della sua vita, per la felicità di sua figlia (Dite alla giovine). Germont è turbato e commosso: si rende conto della gravità del sacrificio imposto, e non trova altre parole che invitare Violetta a piangere e a farsi coraggio. Segue un istante di silenzio. Poi Violetta chiede come agire. Ai suggerimenti proposti da Germont ella obietta che Alfredo comunque la seguirà. Vi è una sola soluzione, che ella tuttavia non rivela perché Germont si opporrebbe. Il figlio gli sarà reso: che il padre accorra a suo conforto. Va al tavolo per scrivere. Poi ritorna: dovendo affrontare tanto sacrificio chiede che almeno il padre di Alfredo la abbracci come figlia: avrà così più coraggio. Germont acconsente. Prima di accomiatarsi egli chiede cosa possa fare per lei: in lacrime Violetta supplica che almeno dopo la sua morte Alfredo conosca la ragione del suo sacrificio e non maledica la sua memoria (Morrò! la mia memoria); Germont promette; un giorno ella avrà dal cielo il premio di tanto sacrificio. Si abbracciano dicendosi più volte addio. Germont esce per la porta del giardino.

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Verdi e il notaio Carrara nel giardino della villa Paradiso a Busseto

6. SCENA. Violetta, affranta, siede e scrive un biglietto, poi suona il campanello per chiamare Annina cui ordina di consegnare di persona il foglio. La cameriera legge la destinazione e rimane sorpresa. Violetta le ordina silenzio e di partire immediatamente. Poi si rimette a scrivere, ma questa volta ad Alfredo. Il lamento di un clarinetto esprime tutta l'angoscia del suo animo. Deve comunicargli, mentendo, la fine della loro unione. Scrive e suggella il biglietto. D'improvviso giunge Alfredo che, vedendola turbata, chiede a chi stesse scrivendo. Nascondendo la lettera Violetta risponde agitata e confusa. Alfredo si dice preoccupato: ha ricevuto un severo scritto da suo padre; però la rassicura: il padre l'amerà al solo vederla. Ancor più agitata e trattenendo a stento il pianto, Violetta chiede di allontanarsi per non essere sorpresa da lui. Con frasi spezzate dall'emozione promette che si getterà ai suoi piedi; non vivranno più divisi, "perché tu m'ami, Alfredo, non è vero?". Alfredo chiede il motivo del suo pianto. Ma ora Violetta non piange più. Aveva bisogno di uno sfogo. Ora gli sorride. Sarà sempre presso di lui, tra i fiori del giardino, sempre, sempre: "amami Alfredo, quant'io t'amo... Addio". E corre nel giardino. 7. SCENA ED ARIA. Alfredo siede, apre a caso un libro, legge alquanto, quindi si alza, guarda l'ora sull'orologio del camino: ormai è tardi, più non verrà suo padre. Sopraggiunge frettoloso Giuseppe ad avvertire che la signora è partita in calesse e già corre a Parigi. Alfredo ritiene sia andata ad affrettare la vendita dei suoi ultimi averi: ma sa che Annina glielo impedirà. Si vede intanto il padre attraversare in lontananza il giardino.Arriva un messo recante un biglietto consegnatogli da una signora in carrozza.Assalito da una strana emozione,Alfredo apre tremante il messaggio: forse un invito a raggiungerla... Legge: "Alfredo, al giungervi di questo foglio...". Come fulminato lancia un grido di dolore e, volgendosi, si trova di fronte a suo padre, nelle cui braccia s'abbandona. Germont vede quanto soffra suo figlio e mentre questi, disperato, siede presso al tavolino col volto fra le mani, cerca di confortarlo: gli parla della terra natia e delle pace che pur vi godette (Di Provenza il man il suol) e gli ricorda anche le sofferenze patite a causa della sua

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lontananza, invitandolo a tornare presto in seno alla famiglia. Ma Alfredo, al massimo della disperazione, quasi non sente e respinge il padre; sta solo meditando vendetta. Mentre il padre lo affretta a partire, il giovane pensa che il responsabile sia il barone Duphol, sotto la cui protezione Violetta è tornata... Il padre tenta ancora di convincerlo a seguirlo ricordandogli la gratitudine di sua sorella e promettendogli il perdono (No, non udrai rimproveri). Ma Alfredo non intende ragione. Scuotendosi, getta a caso gli occhi sulla tavola: vede la lettera di Flora, la legge: ecco dove Violetta si è recata, alla festa dell'amica! Con il proposito di vendicare l'offesa patita, fugge precipitoso, inseguito dal padre. Galleria nel palazzo di Flora riccamente addobbata e illuminata. Una porta nel fondo e due laterali. A destra più avanti un tavoliere con quanto occorre per il gioco; a sinistra un ricco tavolino con fiori e rinfreschi; varie sedie e un divano. 8. FINALE SECONDO. Flora, il Marchese, il Dottore e altri invitati entrano dalla sinistra discorrendo fra loro. Ci sarà una mascherata, dice Flora, cui sono invitati anche Violetta e Alfredo. Il Marchese informa che i due si sono separati; ella verrà col Barone. CORO DI ZINGARELLE. Si ode un festoso rumore provenire da destra.Tutti corrono a ricevere gli amici. Si presentano molte signore mascherate da zingarelle con in mano dei tamburelli che percuotono a tempo (Noi siamo zingarelle). Alcune di loro leggono la mano a Flora e poi quella del Marchese: non siete un modello di fedeltà, esse gli osservano. Ne nasce una schermaglia amorosa tra Flora e il Marchese. Le zingarelle s'interpongono esortando a dimenticare il passato. I due alla fine si stringono la mano. CORO DI MATTADORI SPAGNUOLI. Entrano vivacemente, capitanati da Gastone, altri signori, a loro volta mascherati da Mattadori e Piccadori spagnoli: dicono di essere venuti a Parigi per godere la festa del bue grasso (Di Madride noi siam mattadori) e danzando raccontano la storia di Piquillo, il gagliardo matador che per amore di una bella ritrosa in un sol giorno uccise ben cinque tori, ottenendo in premio l'abbraccio della giovino; poi si avvicinano alle signore promettendo che i loro cuori sono molto più miti e che a loro basta folleggiare. Gli uomini si tolgono la maschera; chi passeggia e chi si accinge a giocare. - SEGUITO DEL FINALE SECONDO. Improvvisamente entra Alfredo. Cerca di mostrare un fare disinvolto. Gli chiedono di Violetta: non ne sa. Con il suo arrivo si può cominciare a giocare. Gastone si pone a tagliare le carte, Alfredo e altri puntano. Un turbolento motivo orchestrale, scandito su un ritmo ostinato, sottolinea l'ingresso di Violetta al braccio del Barone. Flora va loro incontro (Qui desiata giungi). Violetta, notando l'inopinata presenza di Alfredo, crede di svenire. Anche il Barone nota il giovane e subito impone a Violetta d'ignorarlo. Flora incuriosita fa sedere Violetta presso di sé sul divano per avere notizie. Il Dottore si avvicina ad esse, che sommessamente conversano. Il Marchese si trattiene a parte col Barone. Gastone continua a distribuire le carte e Alfredo seguita a puntare. La fortuna volge in suo favore. Raddoppia la posta di volta in volta: è sempre vincitore. Con l'oro guadagnato, promette, potrà ritornare felice in campagna. Solo? chiede Flora. No, le risponde Alfredo con ira mal contenuta: con una tale che gli è fuggita. Parole e tono irritano il Barone, che con malcelato astio gli si rivolge, invano frenato da Violetta, sfidandolo al gioco. Alfredo, con tono ironico, accetta la sfida. Violetta, sempre seduta sul divano, si sente morire. Entrambi puntano. Vince Alfredo. La posta viene raddoppiata. Alfredo vince ancora. Mentre cresce l'agitazione intorno ai due sfidanti, il gioco viene interrotto da un servo che annuncia pronta la cena.Tutti s'allontanano dalla porta di mezzo. Nell'uscire, parlando piano, il Barone propone la rivincita. Alfredo accetta: al gioco che egli vorrà... La scena rimane vuota per un istante.Torna Violetta affannata: aspetta Alfredo, da lei avvisato con un biglietto di raggiungerla. Sul ritmo agitatissimo dell'orchestra entra Alfredo. Le sue prime parole denunciano in lui un'ira incontrollata (Mi chiamaste? che bramate?).Violetta lo supplica di partire: il luogo è pericoloso e trema al pensiero del Barone. Per Alfredo fra lui e il Barone è ormai una questione mortale: forse Violetta teme di perdere d'un sol colpo l'amante e il protettore? Ma è appunto la morte di Alfredo che ella teme! "Che v'importa della mia morte?" le risponde il giovane in tono sempre più focoso; egli partirà solo se lei lo seguirà. Violetta rifiuta; che Alfredo dimentichi il suo nome infamato; e poi, aggiunge, ha giurato di fuggire da lui. Alfredo incalza con le domande. Alfine Violetta, non reggendo più a quell'interrogatorio straziante, dichiara d'aver giurato a chi ne

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aveva diritto (e pensa al padre del giovane). "Fu Duphol?" esplode Alfredo. Con uno sforzo supremo lei annuisce. Al colmo del dolore e della gelosia Alfredo si precipita furente verso la sala per richiamare l'attenzione degli invitati. Questi rientrano confusamente. Alfredo addita loro Violetta, che abbattuta si appoggia al tavolino: ebbene - egli dice - questa donna che voi tutti conoscete ha dilapidato ogni suo avere per amor mio (Ogni suo aver tal femmina); ed io, cieco e vile, ho potuto accettare questo; ma è tempo di lavare quest'onta: voi tutti siete testimoni che ora qui io l'ho pagata. E nel dir questo getta con furente sprezzo una borsa ai piedi di Violetta, che sviene tra le braccia di Flora e del Dottore. I: ignobile gesto di Alfredo fa inorridire tutti i presenti (Oh, infamia orribile tu commettesti), che invitano il giovane ad allontanarsi. LARGO DEL FINALE SECONDO. Inopinatamente si fa avanti, fra il trambusto generale, il padre di Alfredo: con dignitoso fuoco rimprovera acerbamente il figlio, non riconoscendolo più come tale: è degno di disprezzo chi, pur nell'ira, offende la donna. Alfredo si rende conto della gravità del suo atto: la delusione d'amore e la gelosia lo hanno gravemente provato; non avrà più il perdono di Violetta e, ora che ha sfogato l'ira, nel suo cuore vi è solo un atroce rimorso. Violetta intanto ripresasi, confortata dagli amici, con un filo di voce si volge ad Alfredo: egli non può capire quanto lei lo abbia amato né sapere a quale prezzo si è separata da lui (Alfredo, Alfredo, di questo core); ma verrà un giorno che saprà tutto, e allora che Dio lo salvi dai rimorsi, poiché anche da morta lei continuerà ad amarlo. Mentre tutti sono partecipi del dolore di Violetta e si fanno attorno a lei per confortarla, il Barone s'avvicina risoluto ad Alfredo e parlandogli piano lo sfida a duello. Alla fine Germont parte traendo seco il figlio; Violetta viene condotta in altra stanza dal suo devoto amico il Dottore e da Flora. Gli altri si disperdono.

ATTO TERZO Camera da letto di Violetta. Nel fondo è un letto con cortine mezzo tirate; una finestra chiusa da imposte interne; presso il letto uno sgabello su cui una bottiglia d'acqua, una tazza di cristallo, diverse medicine.A metà della scena una toilette, vicino un canapè; più distante un altro mobile su cui arde un lume da notte; varie sedie e altri mobili. La porta è a sinistra; di fronte v'è un caminetto con fuoco acceso.> 9. SCENA ED ARIA. Violetta dorme sul letto;Annina, seduta presso il caminetto, è pure addormentata. L'orchestra introduce coi soli archi ed estremamente piano la visione della scena: risuonano all'inizio le stesse note che avevano iniziato il Preludio dell'opera e che ora introducono una nuova melodia affidata ai soli violini. Violetta si sveglia e chiede ad Annina di aprire le imposte. Annina esegue e dopo aver guardato nella via annuncia l'arrivo del dottore Grenvil.Violetta tenta di alzarsi per riceverlo, ma ricade in letto; poi, sostenuta da Annina, avanza verso il canapè; il dottore arriva in tempo per sostenerla, le misura il polso chiedendole come si sente. La malattia la fa soffrire molto, ma ella è serena da quando ha ricevuto i conforti religiosi. Il dottore le annuncia che la convalescenza non è lontana. Violetta sa che si tratta di una pietosa bugia e sorride. Grenvil si congeda; accompagnato alla porta da Annina, le rivela che la tisi non accorda a Violetta che poche ore di vita. È giorno di festa; fuori impazza il carnevale. Violetta chiede ad Annina quanti soldi rimangono e ordina che la metà sia data ai poveri. Uscita Annina, trae dal seno una lettera e legge con voce bassa, senza suono. La sua lettura è accompagnata in orchestra da un violino solista che intona "Di quell'amor ch'è palpito dell'universo". La lettera è di Germont: le racconta del duello in cui il Barone restò ferito, ma non in modo grave, e di Alfredo che, partito per un paese straniero, ma ormai messo al corrente del grande sacrificio di Violetta, presto tornerà a chiederle perdono. "Curatevi, meritate un avvenir migliore" è la chiusa di colui che è stato arbitro del suo destino. Ma ormai è tardi! esclama la donna con voce sepolcrale. Si alza a stento e va allo specchio della toilette. Contempla i segni lasciati sul suo viso dalla malattia. Il pallore del volto sfiorito non lascia speranza. Il suono lamentoso di un oboe scandisce un respiro fattosi ormai affannoso.Addio sogni d'amore e di felicità (Addio del passato). Con l'anima stanca, priva del conforto di Alfredo, Violetta alla fine invoca Dio: che Egli sorrida alla traviata col suo perdono e l'accolga nel suo seno.Tutto è finito! 10. BACCANALE. D'improvviso s'odono di lontano voci festanti: accompagnate da corni, pifferi e tamburi, che inneggiano al "Bue grasso" (Largo al quadrupede sir della festa). Le voci si perdono in lontananza.

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11. SCENA E DUETTO. Annina riappare frettolosa; con incontenibile emozione chiede a Violetta lo stato delle sue forze, le raccomanda di star calma. Violetta intuisce una gioia improvvisa. Su un incalzante crescendo orchestrale la musica assume un ritmo sempre più frenetico: è Alfredo! È tornato! Egli appare sulla soglia della porta, pallido per l'emozione. I due amanti si gettano le braccia al collo, si abbracciano freneticamente finalmente ritrovati. Le parole corrono rapide e si sovrappongono in uno stato d'eccitazione crescente. Egli le chiede perdono (Colpevol sono). Ella è solo felice di riaverlo. Ciascuno di loro si proclama colpevole. Ma ora nessuno potrà più separarli. Lasceranno Parigi per andare a vivere insieme lontani dal mondo (Parigi, o cara). Violetta vuole recarsi subito in chiesa a rendere grazie a Dio per il ritorno di Alfredo. Nel muoversi vacilla. È.l'emozione, dice lei. Si abbandona sopra una sedia col capo all'indietro. Alfredo, spaventato, la sorregge. Violetta si sforza per alzarsi: è solo un malore passeggero, ma ora si sente forte. E sorride. Ordina ad Annina di darle gli abiti. Alfredo la implora d'aspettare. Ma Violetta vuole uscire subito. Annina le presenta una veste ch'ella fa per indossare. Ma ne è impedita dalla debolezza. Getta con dispetto la veste e ricade sulla sedia, sotto lo sguardo angosciato di Alfredo, che ordina ad Annina di correre a chiamare il Dottore. Gli dica, aggiunge Violetta, che Alfredo è tornato e che vuole vivere ancora. Annina esce. Violetta si volge ad Alfredo: se il suo ritorno non è bastato a ridarle la vita, nulla potrà ormai salvarla. Improvvisamente ella sorge impetuosa chiedendo a Dio il perché di tanta sofferenza proprio nel momento in cui è vicina a tergere un così lungo pianto (Gran Dio! morir sì giovine); fu dunque una follia aver armato il cuore di costanza? Alfredo sempre più disperato cerca di calmarla e di confortarla aggrappandosi alla speranza.Violetta s'abbatte sul canapè. 12. FINALE ULTIMO. Guidati da Annina giungono il Dottore e Germont. Questi corre da Violetta e la abbraccia, come promesso, quale figlia. Ella è grata per averlo rivisto e si dichiara lieta di morire tra le braccia delle persone a lei più care. Morire? Germont la osserva atterrito: la sua anima è divorata dal rimorso; ora il "malcauto vegliardo" vede tutto il male che le ha fatto. Violetta, intanto, aprendo a stento un ripostiglio della toilette, ne trae un medaglione e lo porge ad Alfredo. Gli dona il proprio ritratto affinché egli possa ricordarla quando sarà morta (Prendi... quest'è l'immagine). Inutilmente i singhiozzi del giovane tentano di impedire il così triste dono. Mostrando quel ritratto alla donna che sposerà egli potrà dirle quanto ella lo abbia amato e come ancora dal cielo continuerà ad amarlo pregando per la loro felicità. Invano Alfredo, al colmo della disperazione, supplica Violetta. I presenti assistono straziati alla scena. A un tratto Violetta, come rianimata, si alza sorridente. "È strano!", ella dice. Rinfrancata da un improvviso vigore, trasale: le si accende per un attimo la speranza di essere tornata a vivere. "Oh gioia!". Così dicendo ricade sul canapè. Il Dottore, dopo averle toccato il polso, ne constata la morte.

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Verdi ritratto da Giovanni Boldini (Parigi, 9 aprile 1886)

I Vespri siciliani

Opera in cinque atti - Parole di Eugène Scribe e Charles Duveyrier Prima rappresentazione: Parigi,Thatre de 1'Opéra, 13 giugno 1855

[traduzione italiana di Eugenio Caimi] L'argomento deriva da un primitivo progetto di Scribe (Parigi, 1791 - 1861), Il duca d'Alba, un libretto scritto nel 1838 per Halévy, passato poi, dopo la rinuncia di questi, a Donizetti, che ne mise in partitura i primi due atti, abbozzandone in spartito gli atti seguenti, senza poterlo terminare (completato da Matteo Salvi, il Duca d'Alba di Donizetti sarà rappresentato postumo a Roma nel 1881). L'argomento fu da Scribe, in accordo con Duveyrier, trasportato dalla Fiandra in Sicilia e inquadrato in un avvenimento storico: la rivolta popòlare che nel 1282 sfociò in una guerra conclusasi con l'espulsione dei Francesi e l'instaurazione del dominio spagnolo in Sicilia. Sul dato storico venivano innestati mito e leggenda: il mito dei Vespri siciliani, divenuto di grande attualità in epoca risorgimentale, e la leggenda del medico Giovanni da Procida che avrebbe organizzato il tumulto del vespro (in realtà si trovava in Spagna all'epoca della rivolta siciliana), personaggio che, sempre in epoca risorgimentale, veniva considerato un precursore di patrioti come Giuseppe Mazzini (era stato oggetto fra l'altro di un dramma di Niccolini e di un'opera di Poniatowski). Il soggetto comunque rischiava di urtare il sentimento di due popoli, il francese e l'italiano, proprio nel momento in cui la Francia di Napoleone III e il Piemonte di Cavour stavano stringendo una salda alleanza in funzione antiaustriaca. Verdi lo sapeva bene scrivendo al direttore dell'Opéra: "Più rifletto a questo soggetto, più mi persuado che è pericoloso. Ferisce i Francesi perché sono massacrati; ferisce gli Italiani perché il signor Scribe alterando il carattere storico di Procida ne fa (secondo il suo sistema favorito) un comune cospiratore con l'inevitabile pugnale alla mano. Mio Dio! nella storia di ogni popolo ci sono virtù e delitti, e noi non siamo peggio degli altri. In ogni caso, io sono Italiano prima di tutto, e costi quel che costi, non mi renderò mai complice di un'ingiuria fatta al mio paese". Era la seconda volta che Verdi saliva le scene dell'Opéra. Ma questa volta la posta era ben più grossa: per l'autore del Rigoletto e del Trovatore

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si trattava di sfidare sul suo terreno quel Meyerbeer che tutta Europa da anni andava legittimando quale successore di Rossini sul trono del teatro musicale, mettendo così a repentaglio non solo il proprio prestigio di artista più acclamato in patria, ma anche l'eredità di una tradizione musicale, quella italiana, considerata ormai ai margini degli sviluppi della cultura europea. Il contratto fu firmato nel febbraio 1852. L'opera era destinata a coincidere con le manifestazioni per l'Esposizione Universale di Parigi. Il soggetto fu fissato e accettato durante il soggiorno di Verdi nella capitale francese (vi era arrivato a metà ottobre del 1853). Il libretto gli fu consegnato completo nel successivo febbraio. I primi quattro atti dei Vespri furono composti tra maggio e settembre del 1854 nel ritiro di Mandres (Seineet-Oise). Ma è solo nell'aprile del 1855 che il compositore potrà annunciare d'aver terminato l'opera, salvo i ballabili. Le prove, iniziate il l° ottobre 1854, furono interrotte dalla repentina scomparsa della primadonna, Sofia Cruvelli: ma si trattò solo di una breve fuga (nel frattempo Verdi accettava di dirigere le prove del suo Trovatore al Teatro Italiano). Riprese in dicembre, le prove, causa la complessità della messinscena e la puntigliosa meticolosità con cui veniva realizzata, si protrassero fino a primavera inoltrata. Poteva ben dire Verdi a un amico:"Un'opera all'Opéra è fatica da ammazzare un toro". I Vespri ebbero successo di pubblico e di critica (fra cui un articolo molto elogiativo di Berlioz). Verdi stesso provvide alla traduzione italiana (peraltro pessima, affidata a Eugenio Caimi) facendo trasportare l' dzione in Portogallo col titolo Giovanna de Guzman (tuttavia a Napoli non se ne accontenteranno e ne forniranno ben due riscritture, rispettivamente per il Teatro Nuovo col titolo Giovanna di Sicilia e per il San Carlo col titolo Batilde diTurenna). In questa versione l'opera fu rappresentata con successo sulle scene italiane e straniere fino al 1859. Dopo l'unità proseguì il cammino col titolo ripristinato in Vespri siciliani, stabilendosi in repertorio (ma con numerosi tagli, fra cui, spesso, i ballabili) per una trentina d'anni, nonostante le difficoltà della messinscena. Dopo un periodo di silenzio, l'opera riapparve sulle scene tedesche a partire dal 1929. Fondamentali per la fortuna attuale dei Vespri i due allestimenti del 1951 rispettivamente al Maggio Musicale Fiorentino e alla Scala.

PERSONAGGI E PRIMI INTERPRETI GUIDO DI MONFORTE, governatore di Sicilia per Carlo d'Angiò, re di Napoli baritono Marc Bonnehée IL SIRE DI BÉTHUNE uffiziale francese basso Coulon IL CONTE VAUDEMONT basso Guignot ARRIGO, giovane siciliano tenore Louis Gueymard GIOVANNI DA PROCIDA, medico siciliano basso Louis-Henri Obin LA DUCHESSA ELENA, sorella del duca Federico d'Austria soprano Sofia Cruvelli NINETTA, sua cameriera contralto Sannier DANIELI, siciliano tenore Boulo TEBALDO, soldato francese tenore Aimès ROBERTO, soldato francese baritono Marié MANFREDO, siciliano tenore Koenig Coro: Siciliani. Siciliane. Soldati francesi Comparse e Corpo di ballo: Soldati francesi, sei Giovinette, quattro Paggi, Maestro di cerimonie, Nobili d'ambo i sessi, quattro Uffiziali, due Penitenti, un Carnefice, Siciliani L'azione è in Palermo, l'epoca il 1282 Nota storica: L'azione del dramma è immaginata all'epoca dell'insurrezione del popolo siciliano contro la dominazione angioina, scoppiata a Palermo nella piazza di S. Spirito, all'ora del vespro del 30 marzo 1282. Il malcontento degli isolani, causato soprattutto dalla forte pressione fiscale e dal trasferimento della capitale da Palermo a Napoli, fu preparato da alcuni fuorusciti siciliani, tra cui Ruggero di Lauda e Giovanni da Procida, rifugiatisi alla corte d'Aragona. L'insurrezione palermitana diede origine alla "guerra del Vespro", che si propagò rapidamente in tutta l'isola, preparando la strada, dopo la fuga degli Angioini, al regno di Federico d'Aragona.

RIASSUNTO DELL'AZIONE DRAMMATICA

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1. SINFONIA. È in due movimenti,Adagio e Allegro. I temi sono ripresi dal corpo dell'opera. L'Adagio è introdotto dal cosiddetto 'ritmo della morte', ripreso dal motivo dei Siciliani umiliati e offesi nel secondo atto ("Il rossor mi coprì"); a esso si sovrappone dapprima una cellula melodica derivata dalla salmodia dei frati nel quarto atto, quindi una distesa melodia a sua volta derivata dall'aria d'apertura di Elena. Su un improvviso rullo di timpani l'orchestra esplode in quella che sarà la musica della rivolta finale; l'energia vitale di questo brano sfocia in un'ampia melodia per gradi congiunti, derivata dal duetto Arrigo - Monforte ("Mentre contemplo quel volto amato"), su cui s'innesta un lungo crescendo. La ripresa è preceduta da uno squarcio per soli archi, a sua volta derivato dall'addio di Elena all'amata Sicilia nel quarto atto, e si conclude con una stretta finale.

ATTO PRIMO Il teatro rappresenta la gran piazza di Palermo. In fondo alcune strade ed i principali edifici della città. A destra dello spettatore il palazzo di Elena. A sinistra l'ingresso a una caserma con fasci d'armi. Dallo stesso lato il palazzo del governatore a cui sí sale per una gradinata. 2. INTRODUZIONE - CORO. Tebaldo e Roberto con parecchi soldati francesi hanno recato una tavola dinanzi alla porta della caserma, vi siedono intorno e bevono. Siciliani e Siciliane attraversano la piazza, formano dei gruppi qua e là, guardando biecamente i soldati francesi. Questi cantano inneggiando alla propria patria e ricordando il premio che loro spetta quali vincitori (A te, ciel natio). I Siciliani mormorano a mezza voce con represso furore: il canto dei soldati suona loro come un insulto; ma non tarderà l'ora della vendetta. Intanto Tebaldo e Roberto brindano alla gloria del loro capitano, fulmine di guerra e prediletto dai soldati. Dalla caserma escono Béthune e Vaudemont; attraversano la piazza passando vicino a Roberto. Béthune gli osserva, ridendo, che è ubriaco. "Sì!" gli risponde Roberto, "d'amore"; tutte le donne sono per il vincitore: basta scegliere. L'amico lo avverte della gelosia dei Siciliani. Ma Roberto, sempre più barcollando, gli replica che non v'è donna che resista alla vista di un cimiero. I soldati francesi riprendono il loro canto, cui risponde sommesso quello dei Siciliani. 3. SCENA E CAVATINA CON CORI. Appare la duchessa Elena vestita a lutto; appoggiata al braccio di Ninetta e seguita da Danieli, attraversa la piazza venendo da sinistra e si dirige verso il proprio palazzo; ha un libro di preghiere tra le mani. È salutata con rispetto dai Siciliani, coi quali si trattiene familiarmente in colloquio. Vaudemont, incuriosito, non nasconde a Béthune la propria ammirazione per la bellezza della duchessa, sorella di Federico, ora ostaggio dei Francesi. Vaudemont ricorda quanto fatale sia stata a Federico l'amicizia con Corradino lo Svevo, di cui condivise la sorte sul patibolo; oggi la duchessa commemora quel dì doloroso. Invocando vendetta sui Francesi, soggiunge Béthune. E non a torto, obietta Vaudemont nonostante il rimprovero del compagno, poiché il loro capitano fu troppo spietato. Béthune saluta rispettosamente Elena e rientra con Vaudemont nella caserma. Danieli ricorda a Elena l'anniversario funesto in cui furono massacrati tanti patrioti siciliani; la donna, pregando a parte, volge il pensiero allo spirito del fratello Federico, ripromettendosi di vendicarlo. Intanto all'improvviso suono di una fanfara Roberto, completamente ubriaco, si alza da tavola chiedendo che un Siciliano sciolga una canzone in gloria della Francia. Vedendo poi Elena, le si avvicina barcollando e con tono minaccioso le rivolge l'invito a cantare. Ninetta con sdegno fa atto di proteggere Elena. Ma la duchessa la trattiene e con tono di sfida, ma con calma, annuisce all'arrogante invito del francese. Roberto e Tebaldo con i soldati hanno di nuovo occupato il posto attorno alla tavola. A poco a poco i Siciliani si avvicinano a loro quasi circondandoli. Elena si avanza sul limitare della scena e con voce repressa, guardando con espressione il popolo che la circonda, incomincia un canto che parla di una nave vicina al naufragio, i cui marinai si affidano a Dio, certi del suo aiuto (In alto mare e battuto dai venti); poi lo invita a osare, confidando nella protezione del cielo (Su coraggio, del mare audaci figli). I Siciliani, a parte e a mezza voce, accolgono l'appello di Elena. Mentre i Francesi sono intenti a bere, non prestando attenzione a quanto succede intorno a loro, Elena rinforza i propri detti rinnovando l'esortazione a osare.Tutti i Siciliani si animano a vicenda. Il tono delle loro voci s'accresce. E quando Elena invoca le armi, i Siciliani coi pugnali sguainati van sopra ai soldati francesi. Ma un uomo appare d'un tratto sulla scalinata del palazzo del governatore. È solo e senza guardie.

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4. SCENA E QUARTETTO. È Monforte. I Siciliani nel vederlo si arrestano spaventati. Elena non trattiene un gesto d'ira. Monforte getta uno sguardo con calma sulla turba e fa un gesto imperioso: tutti fuggono lasciando deserta la piazza; non restano in scena che Monforte, Elena, Ninetta e Danieli. Mentre questi fremono d'ira mal contenuta (D'ira fremo all'aspetto), Monforte, compiaciuto dell'effetto prodotto dalla sua autorità, commenta con disprezzo la viltà dei vinti. 5. SCENA E DUETTO. - FINALE PRIMO. Giunge dal fondo Arrigo; corre verso Elena non accorgendosi di Monforte, che al suo arrivo si arresta e gli si avvicina. Il giovane racconta alla duchessa d'essere stato liberato per decisione dei giudici all'insaputa del crudele governatore. Questi gli si appressa sorridente rammentandogli che proprio alla sua clemenza egli deve la libertà. E mentre Arrigo, invano trattenuto da Elena, dichiara di voler colpire il tiranno, Monforte con sua grande sorpresa si fa riconoscere per il governatore. Ordina a Elena e ai suoi accompagnatori di allontanarsi. Arrigo vorrebbe seguirli, ma s'arresta a un cenno di Monforte. Questi lo interroga sul nome suo e sui suoi genitori (Qual è il tuo nome. I1 giovane afferma di conoscere il suo solo nome,Arrigo, di non aver conosciuto suo padre e d'aver perduto la madre or son dieci mesi: ora spera, guardando il cielo, di raggiungerla. Monforte lo interrompe, si ricorda di lui: è il giovane che fu educato dal duca Federico, da lui fatto giustiziare. Arrigo conferma, dichiarandosi pronto a morire per quel grand'uomo che lo vegliò come un padre (Di giovine audace). Monforte, fra sé, apprezza il fiero coraggio del giovane. Quindi gli propone d'arruolarsi nel suo esercito. Ma Arrigo dichiara con enfasi di non essere un vile e rifiuta. Riacquistando la propria freddezza Monforte avverte il giovane di dimenticare la sua clemenza, e quindi, indicandogli il palazzo di Elena, lo ammonisce a non varcarne mai la soglia.Arrigo ne chiede il motivo. Con tono misterioso Monforte gli ricorda che un amore infausto potrebbe essergli fatale e gli ordina di fuggire. Arrigo afferma con forza che l'ardimento è una sua prerogativa e che non teme le minacce di alcuno: dunque non rispetterà quel divieto. Le sue parole suscitano la vivace reazione di Monforte (Temerario! qual ardire!), che mette in guardia il giovane dal provocare la sua ira e ribadisce il divieto. Per tutta risposta Arrigo si lancia verso il palazzo dicendo: "Per lei non temo morte!". "E morte avrai!" gli risponde Monforte. Arrigo entra deciso nel palazzo di Elena; batte al portone, che gli viene aperto. Monforte lo guarda con commozione, ma senza sdegno.

ATTO SECONDO Una ridente valle presso Palermo.A destra colline fiorite e sparse di cedri e d'aranci; a sinistra la cappella di S. Rosalia; in fondo il mare. 6. PRELUDIO, ARIA E CORO. Il ritmo di barcarola di un preludio strumentale introduce la nuova scena. Due uomini arrivano in una scialuppa e guadagnano la riva; il pescatore che la conduce si allontana. L'uomo sbarcato è Giovanni da Procida. Egli saluta la città e la sua terra adorata giurando di dedicare la propria vita alla sua causa. Nel suo pensiero la esorta ad alzare la fronte a nuovo splendore (O tu, Palermo); ha ramingato per paesi lontani chiedendo aiuto invano; ma ora è tempo di sorgere a vittoria. Manfredo e parecchi compagni di Procida approdano con le barche; altri compagni discendono dalla collina e gli fanno cerchio. A uno di essi Procida chiede di annunziare il suo arrivo ai fidati amici; a un altro chiede di far venire Elena e Arrigo. I due messaggeri partono; gli altri si fanno intorno a Procida; questi afferma che è giunto il momento di agire per ribellarsi all'oppressore (Nell'ombra e nel silenzio); tutti si dichiarano pronti all'azione. Il coro parte. Rimasto solo, Procida s'avanza verso la scena proclamandosi lieto di morire per la salvezza della patria. 7. SCENA E DUETTO. Elena ed Arrigo vengono dalla cappella a sinistra; Procida li scorge e va loro incontro; narra d'aver chiesto aiuti a Bisanzio e alla Spagna, e rispondendo alle richieste dei due giovani confida l'intenzione di Pietro d'Aragona di unirsi a loro con le proprie forze, non prima però che l'intera Sicilia da sola insorga. Arrigo ritiene che il popolo non sia ancora pronto. Occorre comunque, osserva Procida, tentare un colpo audace. Elena propone di trarre pretesto dalla prossima festa di nozze collettiva; il popolo accorrerà numeroso. Procida concorda osservando che una sola scintilla basterà a far divampare un incendio; quindi, dopo aver chiesto ad Arrigo di sostenerlo nell'azione, parte verso destra lasciando soli i due giovani. Elena chiede ad Arrigo quale premio si attende dal suo coraggio. Questi risponde che il premio è nell'omaggio che depone ai suoi

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piedi; non teme il furore del tiranno, ma trema davanti a lei. Nel dichiararle il suo amore non chiede, da umile soldato, che di combattere e di morire per lei (Ah da tue luci angeliche). Elena, commossa e turbata, confessa di palpitare per lui e mentalmente chiede perdono allo spirito del fratello se ora osa aprire il suo cuore ad Arrigo. Quindi al giovane, che quasi incredulo accoglie le sue parole, Elena fa giurare di vendicare il fratello ucciso, ed ella sarà sua. 8. RECITATIVO. Giunge Béthune, seguito da parecchi soldati, latore di una lettera del governatore per Arrigo: è un invito a una festa da ballo. Il giovane rifiuta sdegnato. Béthune trasforma l'invito in un ordine. Per tutta risposta il giovane estrae la spada. Ma a un cenno dell'ufficiale, i soldati lo circondano, lo disarmano e lo trascinano via. Entra in fretta Procida; saputo dell'arresto di Arrigo, dichiara con dolore che ciò è un nuovo ostacolo che si frappone all'azione. Ma Elena, risoluta, afferma che il giovane dovrà tornare libero. 9. FINALE SECONDO. A questo punto, sul ritmo trascinante di una tarantella, giovani d'ambo i sessi discendono dalle colline in abiti festivi al seguito delle dodici fidanzate. Ninetta è fra queste. Da un'altra parte s'avanza Danieli alla testa degli sposi. A poco a poco cominciano le danze. Manfredo e alcuni amici di Procida si avvicinano a Danieli. Questi e Ninetta s'inginocchiano davanti a Elena, chiedendole la benedizione. A un certo punto le danze vengono interrotte da Roberto e da Tebaldo che arrivano attraversando la scena, guidando ciascuno un plotone di soldati. Roberto accenna ai danzatori esitanti di continuare e ordina ai soldati di rompere le fila e di riposarsi. Questi cominciano a prendere parte alle danze, che si fanno sempre più vive e animate. Roberto, situato con Tebaldo a sinistra, vicino a Procida, contempla lo spettacolo con curiosa emozione. Istigato da Procida, che si professa amico sincero dei Francesi, Roberto non cela la propria ammirazione per la bellezza delle donne siciliane. A mezza voce, con marcata intenzione, Procida gli sussurra che ai vincitori tutto è concesso. A questo punto Tebaldo ricorda a Roberto il ratto delle Sabine... La danza, cui si uniscono anche i soldati, va sempre più animandosi. Roberto e Tebaldo vanno a riunirsi ai loro compatrioti. Inneggiando alla guerra e all'amore (Viva la guerra), questi raddoppiano le loro galanti premure verso le giovani siciliane, nonostante le proteste dei loro uomini (Su inermi tu stendi). Ad un tratto, a un segnale di Roberto, ciascuno di essi rapisce la propria ballerina. Soldati che non ballano trascinano seco le altre giovani donzelle. Roberto si impadronisce di Ninetta, che tenta invano di sfuggirgli. Danieli e i giovani siciliani si muovono per riprendere le loro donne; ma i soldati mettono mano alle spade costringendo Danieli e compagni a retrocedere spaventati e tremanti. Manfredo porta la propria mano all'elsa della spada, ma Procida lo arresta e gli fa segno di vegliare con lui alla difesa di Elena, che è fra loro. Intanto parecchi soldati si stanno avvicinando a lei: Procida e Manfredo mettono mano alla spada per difenderla; sta per nascere una zuffa, quando Roberto, additando Elena, ordina ai soldati che sia rispettata e riservata a Procida in premio dei suoi preziosi consigli. I soldati cantano vittoria con maggior forza, facendosi beffe dei Siciliani costretti a cedere alla violenza. Quindi si ritirano conducendo seco le donne. Cessa il ritmo della tarantella. Al tumulto succedono il silenzio e l'avvilimento. Danieli e tutti i Siciliani, a cerchio al centro della scena, esprimono a voce bassa, repressa, su un canto spezzato dall'ira, il rossore per l'onta subita (Il rossor mi coprì). Elena addita loro Procida per il coraggio con il quale l'ha protetta e biasima Danieli che, timoroso, non ha saputo difendere Ninetta. Dal suo canto Procida guarda con disprezzo Danieli e gli altri per non aver saputo opporre resistenza. Il sentimento di tutti, incontenibile e ribollente di furore, cresce di forza fino a raggiungere il culmine, quando, d'un tratto, sulle grida tumultuose si sente innalzarsi, proveniente da lontano, il molle canto di una Barcarola (Del piacer s'avanza l'ora!),I Siciliani corrono alla sponda del mare e vedono avanzarsi una barca splendidamente adorna che costeggia la riva.Vaudemont, ufficiali francesi e nobili dame francesi e siciliane, elegantemente abbigliate, siedono in essa. I battellieri indossano ricche livree: le dame sono adagiate su molli cuscini; alcune tengono alle mani chitarre, altre prendono rinfreschi. Procida chiede dove vadano. Alla festa regale, gli risponde Elena. Procida, risoluto, decide di seguirli sotto mentita veste per poter piombare col proprio pugnale sul tiranno. Manfredo osserva che i Francesi avranno spade. "E noi pugnale e cuore" è la risposta di Procida. E mentre il battello continua la sua marcia, sullo sfondo della Barcarola si rinnova il canto spezzato dei Siciliani offesi: dando sfogo al dolore che brucia loro nel petto, ora si propongono di vendicarsi con le armi in pugno.

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ATTO TERZO Gabinetto nel palazzo di Monforte. 10. PRELUDIO E SCENA. 12 scena è introdotta da un breve preludio, il cui carattere sembra preannunciare la prossima festa. Monforte è seduto a un tavolo; pensa alla donna siciliana da lui rapita ed amata e infine messa a morte perché ella lo odiava. Da quell'unione era nato però un figlio che la donna gli nascose per quindici anni. Trae un foglio dal seno: è l'ultimo messaggio che la donna gli mandò in punto di morte; in esso ella chiede di salvare il prode Arrigo, qualora fosse minacciato di morte: è quegli suo figlio. 11. RECITATIVO E ARIA. Béthune annuncia a Monforte che Arrigo, avendo rifiutato l'invito, è stato tratto a palazzo con la forza. Il governatore gli ordina di condurlo con rispetto alla sua presenza. Rimasto solo, Monforte lamenta il vuoto di una vita trascorsa fra onori e ricchezze senza l'affetto di un figlio (In braccio alle dovizie); ora egli spera di riconquistare con l'amore paterno il figlio Arrigo e sogna un avvenire beato accanto a lui. 12. REcnwrivo E DuErro. Entra Arrigo, preceduto da due Paggi che s'inchinano e si ritirano. Arrigo, entrando, s'accorge che tutti hanno verso di lui segni di cortesia e trova molto strano anche il comportamento di Monforte, da cui si attende solo morte. Ma Monforte lo rassicura: ormai egli è libero di tramare vane insidie. Non teme la morte - gli osserva Arrigo - chi combatte un tiranno. Monforte, guardandolo fissamente, gli risponde che combattere nell'ombra col pugnale è da vile! Quindi gli ricorda come la sua clemenza lo avesse salvato dalla condanna a morte. E fu pietà sincera, la sua (Quando al mio sen per te parlava): non sentì forse Arrigo in quel momento la voce del sangue? e la sua anima non palpitò per un dolore che ora gli suscita il pianto? E nel dir questo porge al giovane la lettera della madre (Mentre contemplo quel volto amato). Arrigo la legge, dapprima con gioia nel riconoscere le cifre materne, ma subito dopo con un fremito d'orrore nello scoprire d'essere figlio del tiranno. Resta immobile, come annichilito; non osa guardare il padre. E mentre questi gli rammenta il proprio potere,Arrigo pensa con dolore che Elena è ormai per lui perduta! Monforte insiste nel richiamare su di sé l'affetto del figlio: con un solo cenno egli potrà ottenere quanto la sua ambizione desidera. E al giovane, che chiede d'essere lasciato solo con il suo destino, Monforte ricorda il proprio nome glorioso. "Nome esecrato!" gli risponde il figlio. Questo rifiuto suona come un insulto mortale alle orecchie di Monforte (Parola fatale.% che tuttavia cerca ancora di trattenerlo e di convincerlo, fino a implorarlo. Ma Arrigo non può accettare: glielo vieta lo spettro della madre assassinata proprio da lui, Monforte, il suo carnefice! E a lei rivolge il pensiero affinché dal cielo gli ridoni forza nel cuore (Ombra diletta che in ciel riposi). Il padre implora ancora il suo affetto. Alla fine fa per abbracciarlo, ma Arrigo si sottrae con impeto dalle braccia di Monforte che tenta di trattenerlo, e fugge. Monforte lo segue con lo sguardo e con atto di dolore si allontana. Magnifica sala nel palazzo del governatore, disposta per una festa da ballo. Gentiluomini e dame francesi e siciliane, con maschere e senza, vanno e vengono. Entra Monforte, preceduto dai suoi paggi e dagli ufficiali del palazzo, e va a collocarsi sopra un seggio elevato, facendo segno a ciascuno di sedersi. Il maestro di cerimonie viene a prendere i suoi ordini e dà il segnale per l'inizio della festa. Davanti alla Corte di Palermo si rappresenta il ballo delle Quattro Stagioni 13. LE QUATTRO STAGIONI. Primo ballabile: L'inverno. Entra il dio Giano che presiede all'anno. Con una chiave d'oro apre la terra e dà vita alle stagioni. Sorge da terra un canestro coperto di ghiaccio, da cui esce la prima stagione dell'anno, l'Inverno. Esso è impersonato da una giovine donna avviluppata entro pellicce; dietro di lei tre giovinette con fardelli. Esse tremano di freddo. Una di loro percuote con un pezzo di ferro una pietra che manda faville: si accende il fuoco. Le giovinette si riscaldano e invitano l'Inverno a venire presso di loro. Ma l'Inverno rifiuta: il miglior mezzo di eccitare il calore è la danza. La ragazza infatti si mette a danzare: dapprima un ballo vivace, quindi un elegante motivo di valzer, infine un ritmo di polka. Secondo ballabile: La primavera. Gli zeffiri svolazzano intorno al canestro di ghiaccio e col loro calore sciolgono i ghiaccioli che ancora circondano il canestro. Da ogni parte sorgono mazzi di fiori, e dal mezzo di questi fiori sorge la Primavera sotto forma di una giovinetta. Ella si

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abbandona a un blando ritmo di valzer, quindi danza una mazurca, infine si scatena in un galop finale. Terzo ballabile: L'estate. I fiori spariscono. Il canestro si ricopre di bionde spighe. L'Estate sotto forma d'una giovinetta sorge dal mezzo dei covoni; coglie le spighe. L'Estate e le sue compagne vogliono ballare, ma fa troppo caldo. D'un tratto giovani Naiadi escono dal canestro con lunghe sciarpe di velo verde, imitando le acque. L'Estate e le sue compagne si rinfrescano alle sorgenti delle Naiadi imitando l'azione del nuoto. Quarto ballabile: L'autunno. Salta fuori un Fauno. Spavento delle giovani bagnanti, che si dileguano inseguite dal Fauno. Si odono suoni giulivi di lontano; il Fauno ascolta attentamente. Il canestro si copre di frutti e di ceppi di vite. Il Fauno gira e rigira intorno al canestro e finisce col salirvi sopra. Egli schiaccia i ceppi di vite e scopre l'Autunno con le sue compagne. Sorpresa: appare una giovinetta che impersona l'Autunno. I suoni del sistro e dei timballi annunziano i Satiri e le Baccanti che danno subito il via a danze molto animate. Un galop finale conclude i ballabili. 14. FINALE TERZO. Alla fine del balletto tutti i sedili, meno quelli che sono sulla predella del trono, vengono portati via. E mentre Monforte, con due dame al fianco, procede verso una delle sale adiacenti, la folla degli invitati eleva su uno sfondo di musica danzante un canto di lode allo splendore delle feste regali (O splendide feste!). Quindi si disperde negli appartamenti del palazzo e nei giardini. La scena rimane vuota per un istante, mentre continua il motivo danzante. Da destra s'avanza Arrigo. Lo seguono Elena e Procida, entrambi mascherati, che si fanno riconoscere dapprima con una parola d'ordine. Quindi si tolgono la maschera. Il giovane è turbato dalla loro presenza e si mostra incerto e timoroso. Alla vista di alcuni Francesi che entrano nella sala, Arrigo ordina agli amici di parlare in tono sommesso.Tutti e tre per non dare nell'occhio cantano sul motivo della danza che echeggia all'interno (O splendide feste!). Le Dame e i Cavalieri entrano dal fondo. Arrigo, Procida ed Elena restano ancora soli per un istante sul davanti della scena, mentre prosegue dai vicini appartamenti il suono della danza. Elena e Procida rivelano ad Arrigo che la rivolta è in atto; compagni fidati si aggirano mascherati: e mentre Elena attacca sul petto di Arrigo un nastro di seta uguale a quello dei congiurati, Procida assicura che le forti braccia dei Siciliani non colpiranno a vuoto e anche Monforte morirà. Il giovane è spaventato e impallidisce, ma simula che ciò è per il timore che qualcuno ascolti. Procida si volge e, vedendo entrare Montone in mezzo a dame francesi e siciliane, si rimette la maschera. Intanto il coro riprende il suo canto di lode alle feste. Elena e Procida si allontanano perdendosi nella folla. Mentre le coppie danzanti passeggiano nelle sale e i rinfreschi vengono d'intorno serviti, Monforte s'avvicina ad Arrigo, solo sul davanti della scena. Questi avvisa il genitore di un pericolo incombente. Monforte è incredulo: si sente sicuro nel proprio palazzo; ma si dichiara intanto felice nel sentire che Arrigo si preoccupi per la sua vita. Arrigo mostra il nastro che distingue i congiurati e sul quale egli stesso ha giurato. Ma con un gesto il padre glielo strappa dal petto, compiacendosi dell'orrore che i tradimenti destano nell'animo di suo figlio: in lui dunque ferve vero sangue francese! Con calore Arrigo insiste nell'esortare il padre a fuggire. Ma invano. Scorgendo gruppi di Siciliani che si stanno avvicinando minacciosi, mette il padre sull'avviso. Procida circonda Monforte con i suoi e a voce bassa ordina l'assalto. Monforte chiama i suoi soldati. Nel tumulto Elena, assetata di vendetta, precede Procida lanciandosi per prima a ferire Montone. Arrigo si getta innanzi a lui, facendogli scudo con il proprio petto. A tal vista Elena s'arresta e con spavento lascia cadere il pugnale. Accorsi alla voce di Montone, i Francesi traendo le spade gli fanno corona. Volgendosi verso Béthune e Vaudemont, Monforte ordina la morte per chiunque abbia un fregio simile a quello di Procida; ma comanda sia salvo Arrigo, che pubblicamente ringrazia per avergli salvato la vita. L'azione s'arresta: i Siciliani tutti esprimono sorpresa e orrore per l'atto di Arrigo; Elena, Procida e Danieli rivolgono il pensiero alla patria perduta e maledicono Arrigo (O patria adorata). Questi si mostra esterrefatto e lacerato dal senso di colpa: ai suoi compagni la gloria, a lui non resta che l'infamia. Al suo fianco Monforte gli esprime gratitudine. Senza dargli ascolto Arrigo si avvicina a Elena, a Procida, agli altri Siciliani, tentando vanamente di spiegare il proprio comportamento e implorando da loro pietà. Ma essi lo respingono sprezzanti dandogli del traditore. Monforte cerca di consolarlo proclamandosi suo difensore. Procida ribadisce il disprezzo verso Arrigo e lo condanna a una doppia infamia. A un gesto di Monforte vengono trascinati via Elena, Procida e i Siciliani. Arrigo

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vuol correre dietro loro, ma Monforte lo trattiene. Procida ed Elena lo respingono con disprezzo, mentre egli tende loro le mani in atto di supplica. Oppresso, annichilito,Arrigo vacilla e cade fra le braccia di Monforte.

ATTO QUARTO Cortile d'una fortezza. A sinistra una stanza che conduce all'alloggio dei prigionieri. A destra un cancello che comunica con l'interno della fortezza. Nel fondo si vede la cresta merlata d'una parte delle mura e la porta d'ingresso custodita da soldati. 15. PRELUDIO, RECITATIVO E ARIA. Un preludio dalla massiccia orchestrazione introduce l'atmosfera drammatica di un carcere; è basato su due temi contrastanti che, procedendo per sequenze serrate, alla fine si placano in una coda sommessa. Su di essa Arrigo si presenta alla porta d'ingresso: i soldati lo lasciano passare; per voler supremo di Monforte gli è concesso di visitare i prigionieri; ordina di farli condurre in sua presenza. Un ufficiale, cui Arrigo aveva mostrato un ordine, s'allontana uscendo dalla porta a sinistra dello spettatore. Guardando verso le prigioni Arrigo pensa agli amici in ceppi. Egli è la cagione delle loro sofferenze e vorrebbe essere fra loro. Ingiuriosa clemenza fu quella che gli ridiede libertà. Più della vita gli è caro l'onore. Ora viene a discolparsi; ma vorranno vederlo e udirne le difese? Proprio nel giorno che l'amore di Elena gli sorrideva, era destinato a perderlo; e ora non potrà avere che disprezzo dalla amata Elena (Giorno di pianto). Gli sembra sentire dei passi. È lei, Elena, che si appresta a maledirlo. Invoca disperatamente perdono: la morte sarà meno crudele del disprezzo della donna amata. 16. GRAN DUETTO. Elena esce dalla prigione a sinistra, condotta dall'Ufficiale, il quale le indica Arrigo. Nel riconoscerlo si raggela. Il giovane le si rivolge supplichevole (Ah volgi il guardo a me sereno) tentando di discolparsi e chiedendo di poter morire ai suoi piedi per essere perdonato. Ma Elena risponde fieramente che non può perdonare.Arrigo protesta che non fu sua colpa, ma un tremendo destino a coprirlo d'onta: infelice egli è, ma non colpevole. Con sdegno Elena gli ricorda che fu egli stesso a fermare la sua mano vendicatrice nel momento che stava per colpire il tiranno. "Il padre mio!" le rivela Arrigo con accento disperato. Sì, un orrendo vincolo lo ha perduto per sempre (Nodo orribile, fatai legame); che doveva fare di fronte a un bivio crudele? Elena ha offerto la propria vita per vendicare il fratello; egli,Arrigo, ha fatto di più: ha dato il suo onore per la vita del padre... Elena è sconcertata dalla rivelazione che non dubita vera; il suo animo si muove a compatimento: ma ora come sciogliersi dal-l'aborrito vincolo? Lo ha infranto l'amore, risponde Arrigo: con l'aver reso la vita al genitore ha pagato il suo debito; ora può tornare all'odio antico disprezzando onori e ricchezze: al padre vuole solo chiedere il dono di vivere o morire con la donna amata. Con crescente emozione Elena confessa ad Arrigo di essere già pronta a perdonare (Arrigo! ah parli a un core); potergli ora dire "t'amo" rende lieta la sua morte; e se la barriera del sangue si è posta fra loro due, chiede tuttavia al giovane di serbarle fede: "Addio,Arrigo, muoio pensando a te". Arrigo si dichiara commosso per il perdono della donna amata ed esprime la speranza di morire con lei (È dolce raggio, celeste dono).

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Boito e Verdi fotografati nell'estate del 1892 a Milano, nel giardino Perego in via Borgonuovo

17. SCENA FINALE E QUARTO. Compare Procida, scortato da soldati; mentre Arrigo si allontana per parlare con alcuni ufficiali presentando loro l'ordine di cui è munito, Procida si avvicina a Elena senza accorgersi di Arrigo e a bassa voce le consegna un messaggio pervenutogli di nascosto. Elena lo apre e lo legge a mezza voce: una nave aragonese carica d'armi sta entrando nel porto pronta ad aiutare i rivoltosi. Con accento disperato Procida impreca contro la sorte che ora lo costringe in carcere: potesse tornare libero per breve momento! Arrigo torna dopo aver allontanato i soldati. Procida lo riconosce e, sdegnato, chiede cosa sia venuto a fare il traditore. Il pentimento ve lo ha condotto, assicura Elena. In quel punto entra Monforte seguito da Béthune e da altri ufficiali. Béthune, indicando Elena e Procida, interroga il governatore sulla loro sorte. Questi ordina per loro un sacerdote e l'esecuzione capitale. Béthune gli fa presente che il popolo freme minaccioso. Monforte ordina che i soldati siano pronti ai posti loro destinati: al primo

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accenno di ribellione seguirà la strage dei rivoltosi. Béthune s'inchina e parte. Arrigo scongiura vivamente il padre di perdonare o di farlo morire con loro. Elena accoglie con gioia le parole del giovane. Ma Procida respinge Arrigo: si sente offeso all'idea di morire con un traditore. Monforte si rivolge al figlio: a te, mio sangue, toccava in sorte un simile oltraggio. Procida è stupefatto:Arrigo figlio di Monforte! E mentre questi non capisce come Arrigo possa preferire la morte alla gloria del regno, la rivelazione getta Procida nel massimo sconforto (Addio, mia patria): ogni speranza di riscatto è morta ormai; gli toccherà morire invendicato. E mentre Monforte insiste nella condanna dei ribelli, Arrigo cerca di confortare Elena, che triste e sconsolata dice addio al fiorente suolo della patria. Si ode provenire dall'interno una salmodia: sono frati che pregano per i condannati a morte (De profundis clamavi). Procida esorta Elena a inginocchiarsi per pregare Dio. Mostrandogli i due inginocchiati Arrigo scongiura Monforte di sospendere l'esecuzione. Ma questi con sdegno ricorda al figlio di essere egli stesso loro complice. Poi con tenerezza dichiara d'essere disposto a concedere il perdono purché egli lo riconosca come padre. E nel dir questo mostra al figlio la folla che è entrata nella fortezza, ribadendo: chiamami "mio padre" e i condannati saranno graziati. Elena supplica Arrigo di non fado. Questi non sa che fare. Intanto il cancello a destra si apre, lasciando vedere la gran sala di giustizia, alla quale si ascende per parecchi gradini e in cui si vedono quattro Penitenti in atto di preghiera e alcuni soldati con torce in mano. Sul primo gradino sta il Carnefice appoggiato alla sua scure. Monforte lo indica ad Arrigo, assalito da crescente terrore. Due Penitenti discendono i gradini e vengono a prendere, l'uno Procida, l'altro Elena. Si ode sempre il coro che canta De profundis, mentre il popolo che è nel cortile della cittadella, dietro i soldati, s'inginocchia e prega; le donne implorano grazia. Elena e Procida, preceduti dai due Penitenti. si dirigono verso la gradinata, dando l'eterno addio alla Sicilia.Arrigo fa per slanciarsi verso Elena per seguirla, ma è trattenuto da Monforte, che si colloca fra loro. Il Carnefice s'impadronisce di Elena; non appena ella tocca la soglia della sala di giustizia Arrigo getta un grido: "Oh padre!". A questo grido Monforte gioisce e ordina al Carnefice di non procedere: Elena e Procida sono perdonati. Circondati dai Penitenti e dai soldati, i due discendono la gradinata e sono condotti vicino a Monforte che ora non si limita a un atto di clemenza, ma impone ad Arrigo di sposare Elena: sia questo suggello d'amicizia fra due popoli rivali. Elena reagisce d'impulso rifiutando; ma Procida a voce bassa le ordina di accettare: lo vogliono la patria e il fratello... Monforte si rivolge al popolo: felice d'aver ritrovato un figlio, concede il perdono a tutti. Nel segno dell'amore - egli dichiara - si apre ora un'era di pace (Risponda ogn'alma al fremito); Elena ed Arrigo sono rapiti nell'estasi di un inesprimibile contento; ma Procida e i Siciliani, a parte, si ripromettono di cambiare tanto giubilo in tremenda vendetta.Alla fine Arrigo chiede al padre che le sue nozze con Elena siano celebrate all'indomani. Anzi, quest'oggi stesso - gli risponde Monforte - all'ora del vespro. La decisione rende Arrigo ed Elena ancor più felici. Solo Procida non partecipa a tanta gioia. Alla fine della ripresa della stretta, dal corpo di guardia vengono recati bicchieri e boccali; i soldati francesi bevono con i Siciliani. Monforte s'incammina tenendo per mano Elena ed Arrigo. Procida resta, circondato dai propri amici.

ATTO QUINTO Ricchi giardini nel palazzo di Monforte in Palermo. In fondo gradinate, per le quali si arriva alla cappella, dí cui si vede la cupola elevarsi al disopra degli alberi. A destra l'ingresso al palazzo. 18. CORO. Si ode tra le quinte un coro di cavalieri (Si celebri alfine tra canti); è un canto di gloria e d'amore che annuncia la fine di tanti dolori; ad esso segue, sulla scena, accompagnato da arpa e nacchere, un coro di giovinette che cantano in onore della bellezza della sposa (Di fulgida stella). I due cori alla fine si sovrappongono. 19. SICILIANA. Elena in veste nuziale scende dalla gradinata del palazzo a destra. Le giovinette le muovono incontro offrendole fiori. Elena le ringrazia (Mercé, dilette amiche) augurandosi che le sue nozze diano serenità alla terra di Sicilia e facciano cessare le vendette. Poi congeda le donne che si allontanano. 20. SCENA E MELODIA. Arrigo discende pensieroso dalla gradinata in fondo e va incontro a Elena, godendo della brezza che lo accarezza in viso e del dolce mormorio del mare (La brezza aleggia intorno); Elena è a lui vicino e promette di amarlo. Alcuni gentiluomini si presentano alla

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porta del palazzo e vengono a cercare Arrigo, che a un gesto di Elena si decide a seguirli. I due giovani si danno un breve addio. Arrigo entra nel palazzo. 21. GRAN SCENA E TERZETTO FINALE. Procida discende dalla gradinata in fondo. Con gioia, ma con voce sommessa, esprime a Elena la gratitudine di tutti i Siciliani: il suo assenso alle nozze ha convinto il nemico che l'orgoglio siciliano è ormai spento; tutte le difese sono state abbandonate e ora non si pensa che ai festeggiamenti; non appena Elena avrà pronunciato il "sì" il suono delle campane sarà il segnale del massacro. La donna esita: proprio nel giorno del matrimonio e contro il giuramento? Procida le chiede come l'amore per il figlio di un tiranno abbia potuto placare in lei l'odio per i Francesi. Ma Arrigo è ormai suo sposo, ed ella intende difenderlo. Vedendo Arrigo avvicinarsi, Procida sfida la donna a correre da lui a denunciarlo. Ma Elena inorridita non può tradire gli amici; dovrebbe forse uccidere lo sposo? Intanto Arrigo si appressa con gioia a lei, che abbassa il capo: sventola il vessillo francese e lo squillo delle trombe risuona di giubilo. Elena, senza rispondergli, medita a parte le parole di Procida: il "sì" nuziale, le campane, il massacro... Oppressa da un sommo dolore ella non sa quale partito prendere. Arrigo s'avvede che la donna trema, impallidisce, e la scongiura di parlare. A bassa voce Procida si rivolge a Elena minacciandola di non rivelare il piano di vendetta. Elena è combattuta nell'animo e supplica lo spirito del fratello di soccorrerla (Sorte fatali); e mentre Procida la esorta all'amor di patria obbedendo al monito del fratello, Arrigo è tormentato dal silenzio della donna e la supplica di guardarlo e di parlare. Dopo aver guardato un istante Procida e Arrigo in silenzio, Elena s'avanza verso il giovane e con voce commossa gli confessa che lo spirito del fratello è una barriera troppo alta tra loro due: ella non può sposarlo. Al grido disperato di Arrigo si contrappone quello infuriato di Procida che vede sfumare la vendetta. Arrigo inveisce contro Elena dichiarandola spergiura (M'ingannasti, o traditrice); non gli resta che maledirla. La donna tenta di spiegargli che il suo amore non è mutato, mentre fra sé pensa che con il suo rifiuto sta salvando Arrigo dal massacro. Procida intanto si scaglia contro di lei, dichiarandola traditrice. Scorgendo la disperazione di Arrigo che vuole allontanarsi, Elena per un attimo vorrebbe spiegargli tutto. Ma Procida a bassa voce la sfida a svelare il piano di vendetta e a tradire gli amici. No, Elena non può tradirli, e in un impeto di passione corre da Arrigo giurandogli che l'ama, ma non può sposarlo. Il giovane tuttavia insiste nel dichiararla spergiura. In quel mentre Monforte con tutti i cavalieri francesi e le dame esce dal palazzo. Arrigo accorre verso di lui per dirgli che Elena, oppressa dal ricordo del fratello, intende infrangere il nodo nuziale. Ma il governatore sa che i due si amano e, accusandosi bonariamente di un ultimo atto di tirannia, unisce le destre dei due amanti. Mentre Procida in piedi sugli scalini del fondo alza la mano per dare il segnale alle campane, invano Elena tenta di sottrarsi al giuramento. Al suono della campana avvisa Monforte di fuggire. Ma questi crede che il popolo esulti di gioia. "Di vendetta!" gli fa eco Procida. Ad un tratto questi, in piedi sugli scalini del fondo e alzando la mano, ordina ai sacri bronzi di echeggiare. Dall'alto della gradinata e da ogni parte accorrono i Siciliani, uomini e donne, con torce, spade e pugnali e s'avventano sui Francesi al grido di "Vendetta! vendetta!". Procida e altri Siciliani si scagliano su Monforte. Cala la tela.

Simon Boccanegra Melodramma in un prologo e tre atti di Francesco Maria Piave

Prima rappresentazione:Venezia,Teatro La Fenice, 12 marzo 1857 Nuova versione [con correzioni e nuove aggiunte di Arrigo Boito] Prima rappresentazione: Milano,Teatro alla Scala, 24 marzo 1881

L'argomento deriva dal dramma di Antonio Garcia Gutiérrez, Simón Boccanegra, rappresentato a Madrid il 17 gennaio 1844. Fu scelto da Verdi per la sua quinta e ultima opera veneziana, il cui contratto era stato firmato nel maggio del 1856 Non si sa come Verdi ne fosse venuto a conoscenza; sembra probabile che Giuseppina Strepponi glielo avesse tradotto dallo spagnolo. A Parigi, dove si trovava sin da agosto, stese il libretto in prosa affidandolo poi a Piave per la versificazione, raccomandandogli grande cura per la messinscena (in specie per i praticabili e gli effetti di luce) nonché, per la parte di Paolo, la scrittura di un "grande comprimario Baritono che sia buon Attore". Stringendo i tempi e trattenuto a Parigi (dove nel frattempo s'era impegnato

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all'Opéra per il Trovatore in francese, cui aggiunse un balletto) il maestro si rivolse anche alla collaborazione del patriota e letterato Giuseppe Montanelli, esule nella capitale francese. Iniziata in settembre, l'opera fu portata a termine a S. Agata in febbraio. Alla prima rappresentazione l'opera ebbe fredda accoglienza, causa non ultima l'oscurità del libretto. Verdi ne battezzò l'esito un "fiasco" al pari di quello della Traviata Il cammino dell'opera ebbe in seguito vicende alterne: al successo di Reggio Emilia, dove Verdi stesso la pose in scena con qualche modifica, corrispose subito dopo l'insuccesso di Firenze. Ancora successo al S. Carlo di Napoli, sotto la direzione di Verdi. Ma ancora un fiasco alla Scala, fiasco che segnò le sorti dell'opera. Eseguita in alcuni teatri del centro-sud d'Italia e in Spagna, l'opera praticamente uscì dal giro all'inizio degli anni 1870. L'editore Ricordi insistette per anni presso l'autore per riportare in vita il Simone. Ma solo nell'autunno del 1880 Verdi cedette alle sue insistenze: a quell'epoca si stava profilando una collaborazione di Boito per l'Otello. E appunto a Boito Verdi volle affidare, quasi per saggiarne il talento, il compito di "raddrizzare"il libretto: rifece diverse parti dello spartito aprendo il pezzo chiuso per dare continuità al discorso musicale, conferì maggiore spessore drammatico al personaggio di Paolo e compose un nuovo finale per il primo atto con la citazione della lettera di Petrarca e la maledizione di Paolo. Rappresentata alla Scala con grande cura, il successo fu indiscusso.Tuttavia non bastò a rendere l'opera popolare. Il suo cammino, lento e stentato, praticamente si esaurì all'inizio degli anni 1890. Dopo quasi quarant'anni di silenzio, ancora una volta per merito della Verdi-Renaissance tedesca il Simone fu riproposto all'attenzione del pubblico e della critica, a partire dall'edizione di Vienna del gennaio 1930 nella versione tedesca di Franz Werfel. Il successo fu tale che divenne ben presto opera di repertorio delle scene tedesche al pari delle opere più popolari di Verdi. In Italia il cammino fu assai più lento (Roma nel 1934, Parma nel 1936, Firenze e Bologna nel 1938). Praticamente, è a partire dal secondo dopoguerra che il Simone si è insediato stabilmente nel repertorio dei teatri italiani. La sua appartenenza al Verdi dei grandi capolavori è ormai oggi fuori discussione.

PERSONAGGI E PRIMI INTERPRETI Venezia 1857 Milano 1881

PROLOGO SIMON BOCCANEGRA, corsaro al servizio della repubblica genovese baritono Leone Giraldoni Victor Maurel JACOPO FIESCO, nobile genovese basso José Echeverria Edoardo de Reszké PAOLO ALBIANI, filatore d'oro baritono Giacomo Vercellini Federico Salvati PIETRO, popolano di Genova baritono Andrea Bellini Giovanni Bianco Marinai, popolo, domestici di Fiesco, ecc.

DRAMMA SIMON BOCCANEGRA, primo Doge di Genova baritono Leone Giraldoni Victor Maurel MARIA BOCCANEGRA, sua figlia, sotto il nome di Amelia soprano Luigia Bendazzi Anna d'Angeri JACOPO FIESCO, sotto il nome d'Andrea basso José Echeverria Edoardo de Reszké GABRIELE ADORNO, gentiluomo genovese tenore Carlo Negrini Francesco Tamagno PAOLO ALBIANI, cortigiano favorito del Doge baritono Giacomo Vercellini Federico Salvati PIETRO, altro cortigiano baritono Andrea Bellini Giovanni Bianco Soldati, marinai, popolo, senatori, corte del Doge, ecc. L'azione è in Genova e sue vicinanze, intorno alla metà del secolo XIV Tra il Prologo e il Dramma passano 25 anni N. B. Nella disposizione scenica della seconda versione dell'opera (1883) l'età dei personaggi principali viene indicata come segue:

Prologo Dramma Simon Boccanegra 25 anni 50 anni Jacopo Fiesco 40 anni 65 ann Paolo Albiani 35 anni 60 anni Pietro 20 anni 45 anni Gabriele Adorno 30 anni Maria Boccanegra 25 anni Nota storica.• Simon Boccanegra fu il primo Doge di Genova. Appartenente a una famiglia illustre (un suo avo, Guglielmo Boccanegra, era stato il primo capitano del popolo della repubblica) e candidato del partito plebeo per il prestigio acquistatosi per aver liberato i mari di Genova

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dall''african pirata" (il termine "corsaro" va inteso nel senso di comandante di bastimento armato per la guerra di corsa). La sua elezione a Doge per volontà popolare, oltre a confermare la vocazione marinara della repubblica, mirava a contrastare l'egemonia del patriziato di parte guelfa. Fu eletto Doge una prima volta nel 1339 sostenuto dai capitani del popolo Raffaele Doria e Galeotto Spinola, entrambi di parte ghibellina; costretto alla rinuncia al dogato nel 1344 ed esiliato a Pisa, fu rieletto nel 1356. La sua morte avvenne il 13 marzo 1363 per avvelenamento nel corso di un banchetto offerto a Sturla dal re di Cipro, Pietro Lusignano; secondo la tradizione egli sarebbe stato avvelenato per mano del nobile genovese Pietro Malocello. Suo successore fu Gabriele Adorno, nobile mercante di parte ghibellina. Nel dramma agisce Paolo Fiesco appartenente a una famiglia di parte guelfa, quella dei Fieschi, che ebbe un ruolo importante nelle vicende della politica della repubblica di Genova tra il XII e il XVI secolo. Nella scena del consiglio viene citato "Rienzi": si tratta di Cola di Rienzo (Roma 1313-1354); sostenuto da Francesco Petrarca, provocò in Roma una ribellione popolare contro il potere aristocratico proclamandosi "tribuno". Inoltre si allude al "romito di Sorga" (località in Valchiusa, nella Provenza) ovvero il cantore di Laura, la "bionda Avignonese": si tratta di Petrarca, che nel 1352, da Avignone, scrisse al Doge Boccanegra scongiurandolo dall'intraprendere una guerra fratricida contro Venezia; in precedenza, nel 1351, analogo appello egli aveva rivolto al Doge di Venezia, Andrea Dandolo; entrambe le lettere, appartenenti alle Familiari, erano ben note a Verdi, che nel 1880 le suggerì a Boito per il nuovo finale del primo atto.

RIASSUNTO DELL'AZIONE DRAMMATICA N.B. Nella versione definitiva l'autore ha sciolto i pezzi chiusi al fine di dare continuità al discorso musicale, eliminando la numerazione dalle singole scene. Per consentire una più agevole lettura del percorso drammatico-musicale si è tuttavia ritenuto di mantenere la scansione delle scene adottando, per la loro numerazione progressiva, la griglia contenuta nell'indice di ogni singolo atto della versione definitiva.

PROLOGO Nel fondo la chiesa di San Lorenzo. A destra il palazzo dei Fieschi, con gran balcone; nel muro, di fianco al balcone, è un'immagine [della Madonna] davanti a cui arde un lanternino; a sinistra altre case. Varie strade conducono alla piazza. È notte. [l] INTRODUZIONE - SCENA - CORO E SCENA. Dopo un preludio orchestrale, affidato prevalentemente agli archi e di tono sommesso, preparatore dell'atmosfera notturna, si apre il sipario: Paolo e Pietro sono in scena, parlano fra loro a mezza voce come continuando un dialogo. Paolo ha un piano per raggiungere il potere; a Pietro che suggerisce il nome Lorenzino l'usuraio alla carica di Primo Abate (ovvero Doge), Paolo contropropone quello di Simon Boccanegra, il corsaro che ha liberato il mare di Genova dai pirati africani. Dopo aver stretto la mano a Paolo, Pietro si allontana. Rimasto solo, Paolo inveisce contro i patrizi: anch'egli, da umile plebeo, vuole acquistare oro e potenza. Sopraggiunge frettoloso Simone; abbracciando Paolo gli chiede perché egli lo abbia chiamato da Savona. Paolo gli propone l'elezione a Primo Abate. Simone è incredulo. Ma Paolo insinua il nome di Maria, la donna amata da Simone. Questi con ansia ne chiede notizie. Additando il palazzo dei Fieschi, Paolo gli risponde che la donna vi è tenuta prigioniera dal padre: tuttavia, egli osserva, quando Simone sarà Doge chi potrà negargliela? Simone si mostra commosso. Paolo lo informa d'aver tutto disposto per la sua elezione; solo chiede in cambio di partecipare al potere. Simone acconsente. In vita e in morte? gli chiede Paolo. "Sia" gli ripete Simone. S'ode gente che s'avvicina. Paolo consiglia a Simone di nascondersi. Questi s'allontana, Paolo si trae in disparte presso il palazzo dei Fieschi. Entrano a poco a poco marinai e artigiani; con loro è Pietro che senza indugi convoca tutti all'alba per eleggere il Doge: tutti contrari alla nomina di un patrizio, tutti favorevoli a Lorenzino. No, è venduto ai Fieschi, ribatte Pietro. E chi altri dunque? Paolo esce allo scoperto e pronuncia il nome di Simon Boccanegra. Il corsaro? Sì, lui. E i Fieschi? Taceranno. Paolo chiama tutti intorno a sé e indicando il palazzo dei Fieschi dice loro con mistero che in quella casa è tenuta segregata un'infelice (L'atra magion vedete), preda, si dice, di visitazioni spettrali, e la sola voce umana che proviene dall'ostello sono i suoi lamenti; ma sono ormai parecchi giorni che la sua figura non appare sul verone: le porte vengono aperte solo al passaggio dell'altero patrizio e di notte un sinistro lume si aggira per le sale.Tutti sono inorriditi

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dal macabro racconto. Ed ecco che dal palazzo si scorge il riverbero di un lume. Impauriti, tutti si fanno il segno della croce e si disperdono in gruppi sparsi. [2] ARIA. Da palazzo esce Jacopo Fiesco: dà l'addio all'altera abitazione ora divenuta il freddo sepolcro della figlia Maria; impreca contro chi la sedusse: a nulla valse la sua protezione; con l'animo lacerato dal dolore, cerca conforto pregando dinanzi all'immagine della Madonna (Il lacerato spirito), mentre si odono lamenti all'interno del palazzo: voci di donne che piangono: "È morta!"; voci di uomini che cantano "Miserere". Durante il postludio varie persone escono dal palazzo attraversando mestamente la piazza e si allontanano. [3] DUETTO. Simone ritorna in scena esultante; ora che il suo nome risuona sulle labbra di tutti il suo pensiero è rivolto a Maria che spera diventi presto sua sposa. Un'ombra s'avvicina. È Fiesco, che sta per entrare in chiesa e che in lui riconosce colui che lo oltraggiò seducendo e abbandonando sua figlia: ora spera che la vendetta del cielo si abbatta su di lui (Qual cieco fato). Simone implora pietà e lo supplica di concedergli il perdono: egli combatté per accumulare gloria, e così meritare la fiducia di Fiesco e sposare Maria. Fiesco freddamente riconosce il valore del corsaro; ma non dimentica le offese e irato scaglia su di lui l'anatema di Dio. Invano Simone implora pace. Pace non sarà - dichiara Fiesco - fino a che uno di noi due non muoia. Simone gli offre il petto chiedendogli di ucciderlo. "Assassinarti?" risponde Fiesco ritraendosi con orgoglio; e gli propone un patto: se egli riuscirà a condurgli la bambina nata dall'unione "impura" con Maria, egli la farà felice e il corsaro otterrà il suo perdono. Ma per Simone la cosa è impossibile: un destino ribelle gli rapì la bimba. Racconta infatti come la piccola fosse cresciuta, mentre egli era lontano, fra gente ostile, vegliata da una donna anziana (Del mar sul lido); un giorno facendo ritorno a casa trovò la porta serrata, la casa muta, la vecchia donna morta e la piccola scomparsa; fu vista vagare piangente per tre giorni; poi più nulla; da allora egli l'ha cercata, ma sempre invano. Gli risponde Fiesco: se Simone non è in grado di esaudire il suo desiderio rendendogli la bimba, non potrà più esservi pace tra loro. E così dicendo volge le spalle a Simone. Questi chiede ancora di parlargli. Ma Fiesco, freddo, senza guardarlo, gli dice addio e s'allontana. Dopo pochi passi si arresta in disparte, nell'ombra, a osservare le mosse di Simone. [4] SCENA E CORO - FINALE. Rimasto solo, Simone impreca contro l'"implacabile" razza dei Fieschi, meravigliandosi che da questi rettili possa essere nata Maria. Ma ora vuole vederla e s'avvia verso l'odiato palazzo. Batte tre colpi, senza ottenere risposta. Vede però che le porte sono dischiuse ed entra risoluto. Nell'ombra Fiesco osserva commentando: entra e troverai una fredda salma. Simone ricompare sul balcone. Tenebra e silenzio. Stacca il lanternino dall'immagine della Madonna e rientra. D'un tratto s'ode un grido: "Maria! Maria!". Simone esce atterrito dal palazzo: "spaventoso, atroce sogno!". Intanto si odono voci interne che acclamano Boccanegra. Voci d'inferno! esclama Simone. Una musica festosa accompagna l'ingresso frettoloso di Paolo, Pietro e alcuni artigiani e marinai che accorrono ad annunciare a Simone la sua elezione a Doge. Ma questi è affranto dal dolore e grida a Paolo: "Una tomba!". "Un trono!" gli risponde Paolo, mentre Fiesco, che ha sentito, smania di rabbia impotente. Entra il popolo tumultuosamente con faci accese acclamando Simone mentre le campane suonano a stormo (Viva Simon).

ATTO PRIMO PARTE PRIMA Giardino dei Grimaldi fuori Genò va.Alla sinistra il palazzo; di fronte il mare. Spunta l'aurora. [5] ARIA. Son passati venticinque anni dall'azione del Prologo. Un preludio orchestrale descrive lo spuntare dell'aurora sul mare increspato. Amelia è in scena; il suo sguardo è rivolto verso il mare e ne ammira la bellezza (Come in quest'ora bruna): il chiarore della luna si unisce al tremolio dell'onda come in un amplesso d'amore. Ma il fascino del mare mattutino non basta a cancellare il ricordo della notte crudele in cui le morì la madre adottiva. Né a dimenticare - ora che è in quel tetro, nobile palazzo, dove l'amore per la prima volta le ha sorriso - l'umile capanna in riva al mare dove fu cresciuta. Ma intanto sorge l'alba, e non s'ode ancora l'amoroso canto che le terge il pianto. [6] DUETTO. Ma ecco in distanza la voce di Gabriele Adorno che canta, accompagnato dall'arpa, una serenata (Cielo di stelle orbato): come cielo senza stelle, come prato senza fiori è un'anima senza amore. Amelia reagisce con eccitazione: è lui! Il canto si fa più vicino: se manca amore, non valgono oro, potere e onore. La donna, sempre più animata, si fa incontro a Gabriele

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abbracciandolo. Ma subito lo rimprovera per il ritardo; il giovane avanza il pretesto di gravi ragioni di stato. A questa risposta Amelia rabbrividisce: egli sta apprestando la morte per tutti e due; ricorda d'averlo visto varie volte in misteriosa conversazione con Andrea, il proprio tutore, insieme a Lorenzino l'usuraio e ad altri. Gabriele la implora di tacere: il nemico è ovunque e ha lunghe orecchie. E poi si tratta di fantasmi. "Fantasmi?" esclama Amelia. E invita il giovane a mirare il mare: là vi torreggia Genova, là comandano i tuoi nemici (Vieni a mirar la cerula); inutile combatterli; ripara il tuo animo nel porto dell'amore. Gabriele è affascinato da Amelia, l'immagine, per lui, di un angelo sceso dal cielo; tuttavia le chiede di non ricercare il motivo del suo odio.Amelia sobbalza: vede un uomo aggirarsi fra le quinte; è quello stesso che come un'ombra ogni giorno le appare. In quel mentre entra un'ancella per annunciarle un messaggero del Doge. Gabriele vuole uscire a vedere chi è, ma Amelia lo trattiene. Entra il messaggero: è Pietro, che esprime alla Grimaldi il desiderio del Doge di visitare il palazzo. Amelia acconsente. Gabriele è stupito dalla presenza del Doge. Amelia gli spiega il motivo: viene a chiedere la sua mano per un suo favorito; sollecita dunque Gabriele ad affrettare le loro nozze: i due giovani si uniscono in un canto per frasi che si sovrappongono, giurandosi amore oltre la morte (Sì, sì, dell'ara il giubilo). Amelia entra nel palazzo. [7] SCENA E DUETTO. Gabriele fa per allontanarsi, ma s'incontra in Fiesco (ora sotto il nome di Andrea). Il giovane chiede il suo consenso alle nozze con Amelia. Fiesco non è ostile a questo matrimonio, ma ritiene doveroso avvertire Gabriele che Amelia è di umili origini. La vera Amelia morì in un convento a Pisa (La figlia dei Grimaldi); quel giorno stesso un'orfana, raccolta nel chiostro, ne ereditò la cella; le fu dato il nome di Amelia Grimaldi onde impedire che l'eredità dei Grimaldi cadesse nelle mani del Doge. Gabriele, udito il racconto, dichiara di amare l'orfana, non l'ereditiera. Fiesco fa inginocchiare il giovane e gli impartisce la sua benedizione (Vieni a me, ti benedico). [8] SCENA E DUETTO. Squilli interni di trombe annunciano l'ingresso del Doge. Gabriele e Fiesco, quest'ultimo mormorando propositi di vendetta, si allontanano. Amelia esce da palazzo con alcune damigelle per andare incontro al Doge; questi entra dal lato opposto, con Paolo e séguito di cacciatori. Il Doge congeda Paolo; nell'allontanarsi col séguito questi fissa languido Amelia mormorando "Oh qual beltà!". Le damigelle si ritirano; restano soli Amelia e il Doge. Gravemente il Doge chiede alla giovine perché i suoi fratelli in esilio non vogliano tornare in patria: forse i Grimaldi sdegnano inchinarsi al Doge? Così dicendo porge ad Amelia un foglio: è l'atto di clemenza che consente ai suoi fratelli di ritornare dall'esilio. A tale atto Amelia sente aprirsi il cuore. Il Doge le chiede poi il perché di una vita così ritirata (Dinne, perché in quest'eremo);Amelia arrossisce nel confessare di amare, ardentemente riamata, un giovane; ma vi è un perfido che mira a lei per impadronirsi delle ricchezze dei Grimaldi. "Paolo!" azzarda il Doge. Amelia, sdegnata, conferma; e poiché il Doge le sembra mosso da un sincero interesse per lei, gli rivela di non essere una Grimaldi. Simone è stupito! Amelia racconta come fosse stata raccolta orfanella e cresciuta presso Pisa da una vecchia (Orfanella il tetto umile). A Pisa? mormora Simone, assalito da un presentimento. Amelia prosegue: in punto di morte la vecchia diede a lei bambina un medaglione con l'immagine della madre, la baciò e la benedisse; quale triste avvenire l'attendeva in quel momento! Simone, sempre più avvinto dal racconto di Amelia, osa appena sperare. Chiede alla giovane se si ricorda d'aver visto qualcuno. Sì, un uomo di mare era solito visitarle. E la vecchia si chiamava forse Giovanna? Sì, risponde ancora Amelia, mentre il ritmo musicale si va eccitando. E il ritratto della madre consegnatole dalla vecchia non somiglia a quello che ora egli le porge? Sono uguali! "Maria!" esclama Simone. "Il mio nome!", risponde stupita la giovane."Sei mia figlia!". In un'esplosione di gioia i due si abbracciano. Simone contempla estatico la figlia, pieno d'emozione per la gioia di averla ritrovata dopo tanti anni di vane ricerche: le promette che lei sarà il vivido raggio della sua corona e che le schiuderà un paradiso di affetti (Figlia! a tal nome pa/pito);Amelia rassicura il padre che sarà sempre al suo fianco, pronta ad asciugargli il pianto nelle ore tristi. Si riabbracciano. Quindi Amelia parte accompagnata dal padre verso la soglia del palazzo. Questi resta estatico a contemplarla mentre lei s'allontana, mormorando dolcemente "O figlia!". E ancora, rimasto solo, come sognando, sospira: "Figlia!".

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[9] DIALOGO. Paolo entra rapidamente e s'avvicina al Doge ansioso di conoscere la risposta di Amelia. Il Doge bruscamente gli dice di riporre ogni speranza nei riguardi della giovane. Questa è la sua volontà! e parte per Genova. La sua volontà? Paolo si adonta: Simone s'è forse scordato che deve a lui il trono? Entra Pietro. Paolo lo informa che Simone gli ha negato Amelia; pertanto gli ordina di rapire la giovane la sera stessa, quando ella è sola sul lido, e di condurla in casa di Lorenzino; e se questi rifiutasse, gli ricordi che Paolo ben conosce le sue trame; quanto a lui, Pietro, sarà riccamente remunerato. Entrambi escono di scena. PARTE SECONDA Sala del Consiglio nel Palazzo degli Abati. [10] SCENA DEL CONSIGLIO. Durante un breve preludio cambia la scena a vista. Il Doge è seduto sul seggio ducale; da un lato, dodici Consiglieri nobili; dall'altro lato, dodici Consiglieri popolani. Seduti a parte quattro Consoli del mare e i Conestabili. Paolo e Pietro stanno sugli ultimi seggi dei popolani. È presente un araldo. Simone informa che il re di Tartaria inviando ricchi doni in segno di pace annuncia libertà di accesso alle navi liguri nel Mar Nero. Ottenuta l'approvazione, passa ad altro più importante argomento: un messaggio di Francesco Petrarca che supplica la pace con Venezia. Paolo non è d'accordo, sostenuto dai Consiglieri che gridano "guerra a Venezia!". Il Doge insorge: questa è guerra fratricida! Genova e Venezia hanno patria comune. [11] SOMMOSSA. Mentre i Consiglieri proclamano esservi una sola patria, Genova, si sente il lontano rumore di un tumulto (coro a bocca chiusa) e si alzano alcune grida. Paolo si lancia sul verone a osservare: le grida provengono dalla piazza dei Fieschi. Lo raggiunge Pietro. È una sommossa, dicono allarmati i Consiglieri alzandosi. L'eco del tumulto si fa più vicino, si sente gridare "morte! morte!". Pure il Doge corre al verone e vede Gabriele Adorno alla guida dei cospiratori inseguito dalla plebe; accanto a lui combatte un guelfo. Fa chiamare l'araldo. Intanto Pietro sussurra a Paolo di fuggire perché scoperto. Vedendo Paolo uscire, il Doge con tono perentorio ordina ai Consoli del mare di sorvegliare le porte: chi fugge è un traditore! Paolo, confuso, s'arresta. La tensione si propaga nell'aula stessa del Senato: i Consiglieri popolani appoggiano la plebe gridando "Morte ai patrizi!". I Consiglieri nobili rispondono sguainando le spade; altrettanto fanno i popolani. Sta per nascere uno scontro armato, mentre da fuori la folla grida con violenza "Morte al Doge!". Simone ordina all'araldo di aprire le porte del palazzo facendo avvertire plebei e patrizi che egli non teme minacce. Indi, con terribile accento, impone ai Consiglieri tutti di rinfoderare le spade. Fuori si urla al saccheggio e al fuoco, quando improvvisamente si sente squillare la tromba dell'araldo che impone il silenzio a tutti. Alcuni istanti di muta attesa. Annunciata dal Doge irrompe in scena la folla dei popolani, uomini, donne e fanciulli: Adorno e Fiesco entrano afferrati dal popolo che, circondando il Doge e i Consiglieri, grida incessantemente "vendetta! vendetta!" per l'uccisione di Lorenzino. S'alza ancora possente la voce del Doge che in tono ironico chiede se è questa la voce del popolo: un uragano da lontano, un grido di donne da presso. Poi rivolto ad Adorno bruscamente gli chiede perché impugni la spada. Questi risponde con baldanza d'aver trucidato Lorenzino per aver egli rapito la Grimaldi; prima di morire rivelò che un uomo potente lo aveva spinto al crimine (e intanto Pietro avverte Paolo che è ormai scoperto). Quindi fissando il Doge con tremenda ironia, come per accusarlo, gli dice di stare tranquillo: Lorenzino morì prima d'aver proferito quel nome. Dopo un istante di silenzio, d'improvviso Adorno si scaglia contro il Doge accusandolo del rapimento. I Consiglieri cercano di trattenerlo, ma il giovane svincolandosi sta per ferire il Doge, quando viene fermato dal subitaneo accorrere di Amelia che s'interpone fra il Doge e lui dicendo a quest'ultimo: "ferisci!". L'arrivo di Amelia provoca stupore in tutti. La giovane, rivolta al padre, lo supplica di non infierire su Gabriele, che nel frattempo i popolani avevano immobilizzato. Simone, addolcito dalla presenza della figlia, cede alla sua richiesta e le chiede come fu rapita e come poté liberarsi. [12] RACCONTO. Amelia racconta: mentre passeggiava al tramonto sul lido (Nell'ora soave), tre sgherri la rapirono e la portarono su una nave soffocando le sue grida; quindi svenne. Quando riprese i sensi si trovò alla presenza di Lorenzino; conoscendone la viltà ella gli disse che il Doge era a conoscenza delle sue trame; egli, spaventato, la lasciò libera.Tutti commentano che Lorenzino ben meritava la morte. Ma - prosegue Amelia - vi è un uomo più nefando, tuttora illeso. E fissando Paolo che sta dietro un gruppo di persone, dice di riconoscerlo dal suo pallore. Cresce

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l'eccitazione generale: tutti sollecitano di conoscerne il nome. I due gruppi dei Consiglieri, popolani e nobili, sono sul punto di affrontarsi, i primi armati di scuri, gli altri di spade, accusandosi reciprocamente d'aver organizzato il rapimento. Con tono possente si leva la voce del Doge:"Fratricidir.Tutti si arrestano. [13] PEZZO D'ASSIEME. Il Doge apostrofa patrizi e plebei accusandoli come eredi di un insanabile odio atavico (Plebe! Patrizi! Popolo); incuranti delle imprese cui li invita il regno dei mari, continuano a lacerarsi fra loro in famiglia: piango su voi, egli esclama, piango su questa terra dove cresce l'ulivo; e con accento appassionato invoca pace e amore. C'è molta commozione intorno a lui; tutti, fissandolo, si sentono calmati dalla sua voce. Anche Amelia invoca pace rivolgendosi a Fiesco, che a parte esprime delusione per il destino di Genova in pugno a un vile corsaro, mentre Gabriele con fervido tono ringrazia il cielo per la salvezza di Amelia. Ma nel canto generale si insinua il dialogo fra Pietro e Paolo; Pietro esorta l'amico, dall'animo invelenito, a fuggire. Il concertato si spegne sul dolcissimo, isolato "pace!" di Amelia. [14] MALEDIZIONE. Ora nella sala la calma sembra tornata. Gabriele offre la propria spada al Doge; ma questi la rifiuta rassicurando il giovane che la sua prigionia durerà una notte, il tempo di scoprire l'intera trama.Tutto sembra finito. D'improvviso, con forza terribile, il Doge chiama Paolo, che sbuca dalla folla allibito. Con altrettanta forza risponde l'orchestra su un unisono suggellato da un possente trillo. Con tremenda maestà e con violenza sempre più formidabile il Doge dichiara di rivolgersi a Paolo quale tribuno del popolo per avere un consiglio (In te risiede l'austero dritto popolar): aiutarlo a smascherare un vile traditore che si annida nel palazzo; egli, il Doge, sa il suo nome, è scritto sul suo volto. Lo chiama pertanto a testimone in faccia al cielo e al Doge stesso: il manigoldo impuro sia maledetto! Quindi, cupo e terribile, con accento di comando, afferrandogli violentemente il braccio destro, gli ingiunge di ripetere l'anatema. Atterrito e tremante, soggiogato dallo sguardo di Simone, Paolo ripete "sia maledetto!".Tutti i presenti, che hanno seguito con meraviglia e raccapriccio la scena, pur non comprendendo a chi il Doge volesse alludere, ripetono "sia maledetto!", dapprima con forza, quindi pianissimo, senza voce. Paolo fugge inorridito.

ATTO SECONDO Stanza del Doge nel Palazzo Ducale in Genova. Porte laterali. Da un poggiolo si vede la città. Un tavolo; un'anfora e una tazza. Annotta. [15] SCENA E RECITATIVO. Paolo, traendo Pietro al poggiolo, gli indica i due capi della rivolta. Gabriele e Fiesco, e ordina di liberarli e portarli al suo cospetto attraverso una porta segreta di cui gli consegna la chiave. Rimasto solo, è ancora scosso: è stato costretto a maledire se stesso, e l'eco dell'anatema gli risuona nell'animo. Reietto dal Senato e da Genova, prima di fuggire vuole vendicarsi del Doge avvelenandolo. Estrae un'ampolla e ne vuota il contenuto nella tazza, dicendo: ora preparo il veleno, poi armo un assassino; la morte del Doge troverà sua via fra tossico e pugnale. [16] SCENA E DUETTO. Entrano Fiesco e Gabriele condotti da Pietro, che si ritira. Paolo si rivolge a Fiesco (Prigioniero in qual loco): conosce il suo odio per Simone e sa tutto circa la parte da lui avuta nella congiura guelfa; con astuzia cerca di convincerlo a uccidere il Doge nel palazzo mentre dorme. Fiesco sdegnosamente rifiuta la proposta di un così vile misfatto. Paolo, stupito del suo rifiuto, seccamente lo rispedisce in carcere. Fiesco parte. Gabriele fa per seguirlo, ma è arrestato da Paolo. [17] SCENA ED ARIA. Anche Gabriele giudica vile la proposta che ha udito fare a Fiesco. Ma Paolo astutamente gli dice che Amelia è a palazzo e che il Doge ne sta godendo... E intanto, a scanso di rischi, corre a chiudere la porta da cui Gabriele è entrato, dicendo al giovane: se non ardisce il colpo già proposto a Fiesco, egli non uscirà vivo da palazzo. E parte frettoloso dalla porta di sinistra, che si chiude dietro. Gabriele ha l'inferno nel cuore. Amelia qui! E il vecchio Simone ne è innamorato! Già gli ha ucciso il padre; ora gli toglie l'amante! In preda a incon- tenibile furia gelosa, su un turbolento disegno cromatico dell'orchestra, impreca contro il Doge: farlo morire mille volte non sarebbe mai abbastanza (Sento avvampar nell'anima).

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Cessato lo sfogo violento, passa dalla furia alla commozione. E piange, chiedendo a Dio pietà per la sua sofferenza e supplicandolo di restituirgli Amelia pura come un angelo; ché se un'ombra di impurità oscurasse il suo candore, meglio non rivederla più (Cielo pietoso, rendila). [18] SCENA E DUETTO. Entra Amelia dalla sinistra ed è stupita nel vedere Gabriele che credeva rinchiuso in cella. Chiede chi lo liberò, ma egli non risponde e a sua volta chiede come mai ella si trovi nella casa di Simone: egli l'ama. Simone, ella risponde, l'ama, sì, ma di santo affetto, che lei ricambia. Gabriele insiste perché ella parli. Ma Amelia di più non vuol dire. Il giovane risponde sdegnando la sua pietà (Parla, in tuo cor virgineo): vuol conoscere la verità; invano Amelia cerca di rassicurarlo sui propri sentimenti. Il dialogo si interrompe: uno squillo di tromba annuncia l'arrivo del Doge. Amelia, agitatissima, supplica il giovane di nascondersi: sta rischiando il patibolo, ed ella morirebbe all'istante (All'ora istessa teco avrò morte); Gabriele, a parte, esprime la decisione di uccidere il Doge. Alla fine Amelia riesce a trascinare il giovane a nascondersi nel poggiolo. [19] SCENA E TERZETTO - FINALE SECONDO. Il Doge entra leggendo un foglio. Amelia lo vede afflitto, ma egli la rassicura. Piuttosto è lui che scorge sul volto della figlia il segno del pianto. Ne intuisce la ragione: l'uomo da lei amato. Chiede di saperne il nome. Il più prode dei Liguri, ella risponde:Adorno."Il mio nemico!" esclama Simone, mostrandole il nome nell'elenco dei cospiratori guelfi. Amelia supplica: morirà con lui se non otterrà il perdono. Simone, disperato, impreca contro il destino che gli fece ritrovare la figlia per poi essergli involata dal nemico. Ma subito si placa e lascia alla giovane una speranza. Quindi la congeda. Lei vuol rimanere al suo fianco. Ma egli insiste. Amelia obbedisce. Rimasto solo Simone riflette: castigare i nemici potrebbe essere segno di paura. Ma intanto gli arde la gola; prende la tazza e beve: perfino l'acqua è amara all'uomo che regna. La sua mente è oppressa, il sonno grava sulle palpebre. Mentre s'addormenta mormora, sul suono acuto dei violini a punta d'arco, il nome di Amelia: ella ama un nemico! Gabriele esce con cautela dal nascondiglio, s'avvicina al Doge e lo contempla; è titubante, ma cerca di farsi animo col pensiero di vendicare l'ombra del padre, ucciso da Simone. Brandisce il pugnale e sta per trafiggerlo quando entra Amelia che s'interpone rapidamente fra i due, sussurrando agitata al giovane: vuoi dunque uccidere un vecchio inerme? non sai che egli è incline alla nostra unione? In quel momento il Doge si sveglia. Amelia chiede al giovane di nascondere il pugnale. Questi rifiuta. Ma Simone intuisce; si dirige verso Gabriele offrendogli il petto e invitandolo a colpirlo slealmente. Il giovane invoca il sangue del padre. Il Doge reagisce con ira: gli chiede chi gli ha aperto la cella, minacciandolo di farlo parlare fra le torture. Amelia chiede pietà. A questo punto nell'animo del Doge prevale l'amore paterno: rivolgendosi a Gabriele gli osserva d'aver ben vendicato suo padre: ora egli stesso vede involarsi la propria figlia. La rivelazione colpisce Gabriele come un fulmine: Simone suo padre!? Divorato dai rimorsi si rivolge ad Amelia implorando perdono, quindi a Simone dichiarandosi un assassino e chiedendo per sé la morte (Perdon, perdon, Amelia). Mentre Amelia supplica lo spirito della madre di proteggerla e di aprire l'animo del genitore alla pietà, Simone, nel chiedersi se perdonare o condannare, decide per il perdono: si plachi l'odio antico e la pace regni fra i Liguri; il suo sepolcro dovrà essere l'altare "d'amistanze italiche". Di lontano giungono voci che gridano all'armi. Amelia corre al poggiolo a osservare. Sono i nemici di Simone, che incitano alla guerra e allo sterminio. Le voci si fanno sempre più vicine. Simone ingiunge a Gabriele di andarsene e di unirsi ai suoi. Ma ormai Gabriele non vuole più combattere contro il Doge. A questa dichiarazione Simone gli ordina di recare alla folla un messaggio di pace. E mentre continua ostinato il grido dei rivoltosi, Simone promette a Gabriele come premio di concedergli Amelia in sposa. Gabriele parte rapidamente. Sull'ultimo grido d'all'armi cala la tela.

ATTO TERZO Interno del Palazzo Ducale. Di prospetto grandi aperture, dalle quali si scorgerà Genova illuminata a festa: in fondo il mare. [20] SCENA E RECITATIVO. Il motivo della rivolta risuona in orchestra, a sipario chiuso, sviluppandosi in un crescendo che culmina con un evviva al Doge. Si apre quindi il sipario. Un capitano dei balestrieri restituisce a Fiesco la spada, annunciandogli la sconfitta dei guelfi. Egli ora è libero; ma per Fiesco è una triste libertà. Mentre sta per partire s'imbatte in Paolo circondato da

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quattro guardie: questi dice a Fiesco d'essere stato condannato al patibolo da Simone perché trovato a combattere con i rivoltosi; ma Simone morrà prima di lui: un veleno lo sta divorando lentamente e forse già lo precede nella tomba. Fiesco è inorridito. Giunge in quell'istante, dall'interno, un canto nuziale. Paolo impreca: Gabriele sposa colei che egli aveva rapito. A tale confessione Fiesco, sdegnato, sguaina la spada per ferirlo; poi si trattiene: la testa del rapitore è ormai consacrata alla scure del boia... Il coro interno continua. Paolo lo ascolta con animo disperato mentre viene trascinato via dalle guardie. Fiesco è inorridito: non è questa la vendetta che sperava nei confronti di Simone. Ma ecco che il Doge sta arrivando. Finalmente è giunta l'ora di trovarsi a fronte. Fiesco si ritira nell'ombra. [21] SCENA E DUETTO. Su un tema dei corni all'unisono entra il capitano con un trombettiere; si recano al verone. Il trombettiere suona tre squilli. Nel silenzio più assoluto il capitano si rivolge al popolo: per ordine del Doge siano spente le luminarie e non si offendano i caduti coi clamori del trionfo. Risuona in orchestra il tema dei corni: il capitano s'allontana seguito dal trombettiere. Su un motivo strascicante degli archi entra Simone: le tempie gli ardono, ha il fuoco nelle vene e sente il bisogno di respirare la brezza del mare. Lentamente si trascina al verone: lo spettacolo del mare lo commuove. Il mare! Quanti ricordi di glorie e di estasi nel rimirarlo. Fosse egli morto nel suo grembo! Sarebbe stato meglio, gli risponde con fermo tono una voce dietro di lui. È la voce di Fiesco, che frattanto gli si è avvicinato. Simone, sorpreso, chiede chi sia l'intruso e, temendo un attentato, chiama le guardie. Fiesco risponde che non vi sono sgherri. Ora stia ad ascoltarlo. Fra le luci della festa per la vittoria - dichiara Fiesco - è scritta la sentenza di morte per Simone (Delle faci festanti al barlume); la sua stella tramonta, la sua porpora cade in brani, e morrà da vincitore tra i fantasmi di coloro che egli ha condannato a morte. Intanto i lumi sulla piazza cominciano a estinguersi. Simone, stordito, crede tuttavia di riconoscere quella voce: forse risorgono dalle tombe i morti? D'un tratto riconosce l'intruso: Fiesco! e subito ringrazia Dio che ha finalmente esaudito il suo desiderio. Ma Fiesco, inesorabile, non gli dà tregua: come fantasma egli gli si presenta per vendicare l'antico oltraggio. Gli risponde Simone che ora un angelo suggella la loro riconciliazione. Fiesco rimane interdetto! Simone gli ricorda quando egli gli offerse il perdono a condizione di condurgli l'orfanella che credeva perduta per sempre: ebbene, quell'orfanella ora gli è resa in Amelia Grimaldi e porta il nome della madre estinta, Maria. Come fulminato da questa rivelazione Fiesco storna il viso e, tormentato dal rimorso, piange. Simone è commosso nel vedere le lacrime solcare il volto dell'inflessibile vecchio (Piango, perché mi parla): egli ora sente nelle parole di Simone la voce del cielo; intanto Simone con grande dolcezza lo invita all'abbraccio e al perdono. Ma la morte si sta avvicinando inesorabile. Fiesco addolorato confida a Simone ch'egli è stato avvelenato da un traditore. Il Doge sente già alitare il soffio dell'eternità... Sta per giungere Amelia. Simone vuole ancora una volta benedire gli sposi. E s'abbandona sopra una sedia. [22] SCENA E QUARTETTO - FINALE. Entrano Amelia e Gabriele, seguiti da dame, gentiluomini, senatori e paggi con torce. I due sposi nel vedere Fiesco sono stupiti! Simone rivela ad Amelia che Fiesco è il padre della donna, Maria, che le dette vita. Amelia gioisce: dunque è finito il funesto odio antico. Simone, con voce grave, commenta: "Tutto finisce, o figlia!". Amelia è impressionata da queste parole. Il padre le dice che un grave dolore sta per colpirla: l'estrema ora è per lui suonata; ma è felice di morire fra le braccia della figlia. Amelia (ora Maria) e Gabriele cadono ai piedi di Simone. Questi sorge e imponendo sul loro capo le mani, solleva gli occhi al cielo e invoca su di loro la benedizione di Dio (Gran Dio, li benedici). Maria e Gabriele supplicano Simone di vivere per loro, mentre Fiesco commenta come il cuore umano sia fonte di interminabile pianto. Simone chiede alla figlia di abbracciarlo. Poi chiama a sé i senatori e chiede loro di esaudire il suo ultimo desiderio: che il serto dogale cinga la fronte di Gabriele Adorno; a Fiesco il compito di eseguire la sua ultima volontà. Con voce quasi spenta vorrebbe ancora parlare, ma non può; stende le mani di nuovo sul capo dei figli, mormora il nome di Maria e spira. Gabriele e Maria s'inginocchiano davanti al suo cadavere. Fiesco si dirige al verone, seguito da senatori e paggi che alzano le faci accese, e annuncia ai genovesi che Gabriele Adorno è il nuovo Doge. "No, Boccanegra!!!", invoca la folla sottostante. "È morto". Una campana suona mestamente.Tutti si inginocchiano.

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Aroldo Libretto in quattro atti di Francesco Maria Piave

Prima rappresentazione: Rimini, Nuovo Teatro Comunale, 16 agosto 1857 L'opera è un rifacimento dello Stiffelio, con l'aggiunta di un quarto atto. L'argomento è ispirato per i primi tre atti a un romanzo di Walter Scott (Edimburgo, 1771 - Abbotsford, 1832), The Betrothed fidanzati, pubblicato nel 1825 e già musicato da Pacini), e per il quarto atto a un altro romanzo di Scott, The Lady of the Lake (La donna del lago, pubblicato nel 1810, e a sua volta musicato da Rossini). Alcuni nomi dei personaggi (Aroldo, Godvino ed Egberto) furono da Piave attinti dal romanzo di Bulwer-Lytton Harold, the Last of the Saxon Kings. La scarsa fortuna incontrata dallo Stiffelio sulle scene teatrali e soprattutto gli ostacoli frapposti dalle censure a un soggetto avente a protagonista un pastore protestante e per tema principale il divorzio (e da esse trasformato in un'insulsa vicenda battezzata col titolo di Guglielmo di Wellingrode) persuasero Verdi, fermamente convinto dei valori drammaturgici e musicali dello Stiffelio, a riscriverlo su argomento che fosse accetto alle autorità politiche preposte alla sorveglianza dei testi teatrali, affidando scelta del soggetto e adattamento del libretto a Piave. Oltre ad aggiungervi un quarto atto, Verdi ritoccò lo strumentale e apportò alcune modifiche volte a conferire una maggiore saldezza al tessuto drammatico e una più compatta organizzazione musicale. L'Aroldo riscosse subito un buon successo di pubblico, tale da consentirgli un cammino abbastanza spedito sulle scene della penisola e su quelle dei teatri italiani all'estero fino all'inizio degli anni 1870. In seguito la sua fortuna decadde abbastanza rapidamente, fino a che l'opera scomparve dai cartelloni. Ignorato fin dalla Verdi-Renaissance tedesca, rAroldo è ricomparso sulle scene con l'allestimento del Maggio Musicale Fiorentino nel 1953. Da allora sono seguite solo sporadiche riprese, svoltesi perlopiù all'estero, in particolare in Germania e in Inghilterra.

PERSONAGGI E PRIMI INTERPRETI AROLDO, cavaliere sassone primo tenore Emilio Pancani MINA, di lui moglie, figlia di prima donna Marcellina Lotti EGBERTO, vecchio cavaliere, vassallo di Kenth primo baritono Gaetano Ferri BRIANO, pio solitario primo basso G. B. Cornago GODVINO, cavaliere di ventura, ospite d'Egberto primo tenore Salvatore Poggiali ENRICO, cugino di Mina secondo tenore Napoleone Senigaglia JORG, servo d'Aroldo che non parla [mimo] N. N. Cavalieri crociati, gentiluomini e dame di Kenth; scudieri, paggi, araldi, cacciatori, Sassoni, paesane scozzesi Scena, pei primi tre atti la dimora d'Egberto presso Kenth; pel quarto le sponde del lago Loomond in Iscozia Epoca il 1200 circa

RIASSUNTO DELL'AZIONE DRAMMATICA 1. SINFONIA. È la stessa dello Stip/io, con alcuni ritocchi. In questa versione è diventata una delle più popolari sinfonie verdiane, grazie in particolare alla melodia dell'Andante affidata alla tromba.

ATTO PRIMO Salotto nella dimora d'Egberto. Gran finestra nel mezzo della quale si vedranno i merli del castello. Vi sono porte laterali, tavola coll'occorrente per scrivere, sedie, ecc. La stanza è vuota. 2. CORO D'INTRODUZIONE. La scena si apre con un canto bacchico per sole voci virili, proveniente da una sala interna, che indica la fine di un banchetto e con il quale i compagni di Aroldo gli danno il benvenuto; reduce dalla Palestina dove ha combattuto valorosamente contro i Saraceni, ora egli potrà godere della compagnia della sua sposa Mina. 3. SCENA E PREGHIERA. Su un concitato preludio orchestrale Mina piomba in scena agitata: fuggita dal convito, ella è dilaniata dal rimorso per aver tradito il marito durante la sua assenza; al colmo della disperazione si rivolge a Dio supplicando di salvarla (Salvami tu gran Dio!). 4. SCENA E CAVATINA. Sul tema principale della Sinfonia fanno il loro ingresso Aroldo e Briano. Aroldo nota un'insolita tristezza nel volto di Mina e ne chiede il motivo. Mina allude ai pericoli da lui corsi in battaglia; ed egli conferma: senza l'aiuto di Briano, un solitario che lo raccolse ad Ascalona, curandolo da una brutta ferita, egli sarebbe morto; visitando i luoghi santi

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hanno giurato sulla tomba di Gesù di non separarsi più. Mina accoglie Briano come angelo protettore della casa. Briano commosso esce. Rimasti soli, Aroldo racconta a Mina - sulla melodia della tromba udita nella Sinfonia - come in battaglia il suo cuore non smettesse mai di pensare a lei e, quando cadde ferito, come questo pensiero servisse a lenire il suo dolore (Sotto il sol di Siria). Mina, sempre più oppressa dal rimorso piange.Aroldo s'accorge del suo sconforto, ne chiede invano il motivo; quindi cerca di consolarla ricordandole la ricorrenza del loro matrimonio: dal cielo la madre sua li benedirà. Così dicendo le prende la mano; ma vede che è priva dell'anello nuziale. Mina sussulta sconcertata senza trovare risposta. L'animo di Aroldo s'infiamma; con ira crescente ingiunge alla sposa di parlare: quell'anello, egli dice, è stato l'estremo dono di sua madre; il perderlo sarebbe sventura fatale per entrambi (Non sai che la sua perdita); Mina con l'animo accasciato non sa rispondere. Il dialogo viene interrotto da uno squillo interno della banda. Entra frettolosamente Briano per avvisare Aroldo che gli amici lo attendono. Aroldo avverte Mina che tornerà tosto. 5. SCENA E DUETTO. Mina, disperata, si abbandona sopra una sedia col volto fra le mani. Entra Egberto cautamente e inosservato, e contempla la figlia. Nutre sospetti sulla sua condotta e pensa che Godvino ne sia responsabile. Intanto Mina, scuotendosi come mossa da un impeto, prende la penna e scrive per rivelare tutto allo sposo. Egberto s'impadronisce improvvisamente del foglio ritenendo che sia diretto a Godvino e legge: "Aroldo! di voi non son più degna!". I suoi dubbi sono dunque confermati. L'anziano padre avverte la figlia che il contenuto della lettera potrebbe far morire Aroldo di disperazione. Con voce rotta dall'emozione Mina gli grida che non può più oltre tacere la verità. Allora - le risponde il padre con crescente collera - a una spergiura è più facile svelare la propria colpa che dare morte: non le basta l'infamia, ora vuol essere anche vile (Dite che il fallo a tergere); no, Mina dovrà salvare lo sposo subendo immeritatamente il suo amore e distruggendo il foglio. Mina si oppone con energia. Egberto è profondamente addolorato: proprio a lui doveva toccare l'onta di scoprire in sua figlia un'adultera confessa (Ed io pure innanzi agli uomini)! Invano Mina, in preda al pianto, sostiene d'essere stata complice di un intrigo contro la propria volontà. Egberto le ordina di cessare il pianto e le impone di seppellire la sua colpa nel silenzio (Or meco venite, il pianto non vale): nessuno deve sospettare. Mina si sottomette alla volontà del genitore; ma sa d'aver perduto per sempre l'amore dello sposo. Escono entrambi a sinistra. Fuga di sale illuminate a gran festa. Nella prima vi sono mobili dell'epoca, sopra uno dei quali è un libro chiuso da fermaglio con chiave. 6. FINALE PRIMO. Dame e cavalieri s'incontrano e si dirigono da diverse parti: per un istante non li si vedrà che nelle sale in fondo. Godvino entra. cautamente da destra; dice di non vedere Mina da alcuni giorni: ormai lei lo sfugge.Trae di tasca una chiave e uno scritto, tenendo sempre le spalle volte alla destra, pone il biglietto - un messaggio per Mina - nel libro. Nel frattempo Briano entra inosservato da destra. Godvino richiude a chiave il fermaglio del libro e quindi si confonde tra nuovi invitati che entrano e sono raggiunti dai primi. Briano ha osserva tutta la scena; ma non sa riconoscere il personaggio: un amico di Aroldo? Nel suo animo cresce il sospetto di una trama contro di lui. Intanto tutti gli invitati vengono sul davanti della scena intonando un coro di letizia per il ritorno a casa di Aroldo (Li. bello, di guerra). Alla fine del coro entra in scena Enrico abbigliato come Godvino; stende la destra a Briano non ottenendo altra risposta che un freddo inchino. Briano infatti sospetta di lui. Vede Enrico fermarsi a caso presso la tavola, prendere il libro e, trovatolo chiuso, lasciarlo per andare a confondersi fra gli invitati. Per Briano il sospetto diventa certezza. Si dirige frettolosamente verso Aroldo, che entra in quel punto, e mentre Egberto e Mina si intrattengono con gli invitati, lo trae sul davanti della scena indicandogli il libro: esso contiene un misterioso messaggio. Aroldo chiede chi può averlo introdotto e Briano risponde che potrebbe essere stato Enrico. Intanto attorno ad Aroldo, che resta cupamente concentrato, si accalca la folla degli invitati per festeggiare il suo ritorno (Per te, della croce possente): le sue gesta saranno a lungo ricordate nelle contrade del Kenth. Poi Egberto chiede che qualcuno narri le gesta del re Riccardo.Tutti si rivolgono ad Aroldo perché sia lui a raccontare. Dapprima si oppone; ma pungolato dalla richiesta di Enrico, il sospetto adultero, acconsente, ma per narrare una storia diversa: in Palestina vi fu un infame che tradì l'onore del suo ospite (Vi fu in

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Palestina); egli venne scoperto mentre fissava un appuntamento con la moglie di lui per mezzo di una lettera inserita in un libro; un vecchio amico dell'ospite svelò la tresca. Ma simile storia sta scritta in un libro. E così dicendo prende il libro che è sulla tavola. S'accorge che è chiuso dal fermaglio. Elena candidamente dice che ne ha Mina la chiave. Volgendosi a lei Aroldo le chiede di aprire il fermaglio. Mina, pietrificata, esita. Notando il suo terrore Amido con ira crescente le ripete il comando. I: azione improvvisamente s'arresta su un concertato in cui tutti esprimono la propria agitazione (Oh qual m'invade ed agita): tutti sono come paralizzati dal mistero, fatale e terribile, rinchiuSo nel libro. Alla fine Aroldo decide di forzare il fermaglio. Dal libro cade un foglio. Egberto si precipita a raccoglierlo impedendo ad Aroldo di leggerlo. Questi gli impone di renderglielo; ma il vecchio si oppone con forza e riduce il foglio in brani. Al colmo dell'ira Aroldo si scaglia contro di lui (Chi ti salva, o sciagurato). Mina si frappone fra i due invocando su di sé l'ira del marito. Mentre gli ospiti esprimono turbamento alla vista di Aroldo lacerato da un diabolico sospetto, Egberto s'avvicina a Godvino sfidandolo a duello nel recinto dei sepolcri; questi raccoglie la sfida con sfrontatezza.

ATTO SECONDO Antico cimitero nel castello di Kenth. Nel centro è una croce con gradini; a destra la porta d'un tempio internamente illuminato, a cui si ascende per grandiosa scalea; a sinistra più in fondo si vede il castello. La luna fiocamente rischiara le tombe qua e là ombreggiate da secolari cipressi. Una tra quelle è recente. 7. SCENA ED ARIA. La scena si apre su un preludio strumentale dal carattere lugubre, percorso da ritmi tempestosi. Dal fondo entra Mina, agitatissima, come trascinata da una forza invisibile: su ogni tomba le sembra di vedere scolpito il proprio delitto; s'aggira barcollando tra i sepolcri fino a trovarsi di fronte a quello della madre. Mina si rivolge in preghiera a lei che vede i suoi affanni (Ah! dagli scanni eterei), e offre le proprie lacrime al trono di Dio; se questo non bastasse, anche la madre dovrà unirsi al suo pianto, così Iddio non potrà negarle il perdono. Improvvisamente Mina si trova appresso Godvino. Lo implora di allontanarsi dal sacro luogo. Egli le dichiara di amarla; ma la donna gli risponde che se gli è rimasta una stilla d'onore le restituisca piuttosto l'anello. Godvino rifiuta: è accorso per difenderla. Mina, inorridita, sente un fremito provenire dalla tomba (Ah dal sen di quella tomba): è lo spirito irato della madre che la sta accusando; disperatamente grida a Godvino di fuggire subito. 8. SCENA, DUETTO E QUARTETTO. Godvino freddamente risponde che vuol restare. Mina allora gli dichiara che dirà tutto ad Aroldo. Dal fondo a sinistra si avanza Egberto, avvolto in un mantello sotto il quale cela due spade. Ha sentito le ultime parole di Mina: con tono severo impone a Mina di partire; ella obbedisce. Quindi, rimasto solo con il seduttore, getta il mantello presentando le spade e sfidandolo a un duello mortale (Scegli... Un duello?). Il giovane rifiuta di battersi con un vecchio. Egberto inveisce su di lui accusandolo d'infamia e di viltà; e, non bastasse questa accusa a fargli accettare la sfida, Egberto gli rivela di conoscere la sua vera identità: egli non è un nobile, bensì un trovatello, figlio di padre ignoto. A tale rivelazione Godvino s'infuria e si precipita a scegliere una delle due spade che Egberto gli presenta; entrambi esplodono in minacce di morte (Nessun demone, niun Dio). Quindi si battono accanitamente. Dal tempio appare Aroldo, richiamato dal rumore delle armi. Scende dalla gradinata e nel riconoscere i due contendenti ordina loro di abbassare le armi: il luogo sacro non sia profanato. Ma poiché i due insistono nel duellare recandosi altrove,Aroldo dichiara di parlare in nome di Dio: giù le armi, l'offesa sia dimenticata e che il fratello perdoni al fratello. Così dicendo s'appressa al più giovane dei duellanti, Godvino, lo disarma e gli stringe la mano. A tale atto Egberto non si trattiene e grida al seduttore: la mano che stringi è quella dell'uomo che hai tradito! Aroldo, allibito, chiede spiegazioni. Sopraggiunge Mina dal fondo a sinistra, e si precipita dal marito a chiedere grazia per Godvino. Il gesto di Mina fa cadere il velo dagli occhi di Aroldo: ora egli sa chi è il seduttore! Chiede alla sposa di discolparsi (Che ho mentito almen mi dite); non vorrebbe credere alla sua infedeltà, ma il suo silenzio conferma la colpa; Mina con l'animo straziato invoca per sé la morte; Egberto, con inalterato sdegno, rinnova a Raffaele propositi di vendetta, propositi che il seduttore accoglie con spavalderia. 9. PREGIIIERA - FINALE SECONDO. Egberto avverte Aroldo che non è Mina che egli deve punire. Aroldo comprende che il vero colpevole è Godvino; fuori di sé dal furore strappa di mano

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la spada ad Egberto e si slancia furente contro il seduttore. D'improvviso dal tempio si ode provenire, accompagnato dall'organo, un canto religioso che invita al perdono (Non punirmi, Signor, nel tuo furore). Ad Aroldo cade la spada di mano; in quel mentre lo raggiunge Briano, che gli rammenta che quei canti sono un richiamo alla pietà. Aroldo come in delirio invoca che l'ira gli dia tregua e si plachi l'ardore del sangue (Me disperato abbruciano); e disperatamente chiede d'essere lasciato solo. Mentre riprende il canto dei fedeli nel tempio, Briano, avvicinandosi ad Aroldo, gli ricorda con solennità il suo giuramento di crociato. Aroldo, confuso e stordito, si lascia convincere e s'inginocchia per un momento. Poi sorgendo impetuosamente si rivolge a Mina, negandole il perdono e maledincedola. La donna cade ai suoi piedi. Con forza Briano, indicandogli la croce, gli ricorda che da essa Gesù perdonò gli uomini. La croce! Aroldo s'avvia barcollando verso di essa e cade svenuto sui gradini.

ATTO TERZO Anticamera nella dimora d'Egberto che mette a vari appartamenti. Sopra la tavola è l'occorrente per scrivere. Una porta a sinistra conduce alla stanza di Aroldo. 10. SCENA ED ARIA. Dopo un tempestoso preludio Egberto entra pensoso e fremente leggendo uno scritto con il quale Godvino chiede a Mina di seguirlo. Dunque il seduttore cerca di sfuggire alla vendetta; prende in mano la spada, che gloriosa per tanti anni aveva cinto al fianco, e la getta a terra come immeritevole di cingerla, gridando al disonore. E che è mai la vita senza onore? Fa per portarsi al labbro un anello dal quale suggere un veleno mortale; ma s'arresta al pensiero di Aroldo e della figlia; e scoppia in pianto pensando alla figlia che lo ha coperto di vergogna (Mina, pensai che un angelo): ella ha così cancellato tutte le gioie che la vita riserva a un padre. Siede commosso e scrive un biglietto d'estremo addio ad Aroldo. Suggella il foglio, poi riprende l'anello per suggerne il veleno; ma si arresta al sopraggiungere di Briano che, nel recarsi nella stanza di Aroldo, lo informa che il fuggitivo Godvino è stato raggiunto e ben presto sarà in questa dimora. Briano esce. Sorpreso dalla notizia, Egberto esplode in una gioia terribile: il ritorno del seduttore gli offre ora la possibilità di portare a compimento la sua vendetta (Oh gioia inesprimibile). Esce precipitosamente a destra. 11. SCENA E DUETTO. Aroldo entra dalla sinistra e, cercando di dominare il furore che gli sconvolge il cuore, siede in attesa di Godvino. Il seduttore arriva e subito dichiara ad Aroldo di non opporsi alla sua vendetta. Ma questi gli pone una strana domanda: "Che farebbe se Mina fosse libera?". Godvino non sa rispondere a una domanda che considera assurda. Aroldo chiama il suo servo Jorg e gli ordina di far venire Mina; poi obbliga Godvino a entrare in una stanza laterale perché ascolti non visto il colloquio: così Aroldo saprà se al seduttore sia più cara una colpevole libertà o l'avvenire della donna, di cui ha macchiato l'onore. Si avanza Mina dalla sinistra con aria rassegnata. Aroldo l'avvisa che sta per partire. Ella è sorpresa. Le nostre vie devono ormai percorrere direzioni opposte, le dice Aroldo: egli rassegnandosi, ella stretta all'uomo che ama (Opposto è il calle). Così dicendo le presenta un foglio con su scritto l'atto di divorzio che egli ha già firmato. Mina nella massima disperazione implora di non essere cacciata e scoppia a piangere. Ma per Aroldo le lacrime della sposa non cancellano un disonore cui non sa rassegnarsi. D'improvviso Mina toglie di mano allo sposo l'atto di divorzio e corre al tavolo a firmarlo; quindi, nel rendergli il foglio, si dichiara libera: ora Aroldo può ascoltarla. Questi, sbalordito, fa per partire; ma lei lo arresta: non è allo sposo che intende rivolgersi, bensì al giudice (Non allo sposo, al giudice). E vedendo che Aroldo insiste nel lasciarla, si getta ai suoi piedi implorando d'essere giudicata. Sulla lamentosa melodia di un corno inglese, Mina confessa di aver peccato con il cuore; ma la sua anima è pura; moglie d'altro uomo come potrebbe ella redimersi? e non capisce Aroldo che ella ama lui e solo lui? Godvino l'ha sedotta, ingannata e tradita. A questo punto Aroldo sente d'avere il diritto di uccidere il seduttore. Fa per andare verso la stanza, quando sulla porta compare il vecchio Egberto, con la spada insanguinata in mano, mentre da altra porta sopraggiunge Briano. Egberto annuncia che Godvino non è più: chi poteva rivelare il disonore, ora è spento. Egberto esce. Briano invita Aroldo a cercare la pace nel tempio. Sconvolto dalla rapidità degli avvenimenti, Aroldo acconsente: vuole lasciare la casa maledetta che è stata testimone di disonore e di delitto, ammonendo che quanto successo rimanga d'esempio ai seduttori perché Dio li fulminerà (Ah sì, voliamo al tempio); Mina, oppressa dal senso di colpa per un errore involontario che tanta

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disgrazia causò, invoca la clemenza di Dio. Aroldo è trascinato altrove da Briano; Mina siede tramortita.

ATTO QUARTO Profonda valle in Scozia. La riva del lago Loomond si vede in prospettiva. Monti praticabili a destra e a sinistra, dov'è un pineto presso cui una modesta casa. Cade il sole. 12. CORO D'INTRODUZIONE. Si odono lontani suoni di cornamuse e di corni che si appressano. Quindi si sentono dalle montagne voci interne di pastori che salutano il tramonto (Cade il giorno). Altre voci rispondono da altre parti delle montagne: sono cacciatori. Ancora altre voci da lontano: sono mietitrici che si recano a valle annunciando la notte. Tutti scendono dalle montagne da diverse parti e s'incontrano sulla scena ringraziando Dio per una bella giornata come questa (Sulle roccie più scoscese). A poco a poco tutti escono di scena e le voci si perdono in lontananza. 13. SCENA E PREGHIERA A VOCI SOLE. Briano e Aroldo in eguale costume di Solitari appaiono da una vetta a destra e scendono avviandosi alla capanna. Guardando dalla parte da cui si udivano i felici canti Aroldo esprime il proprio tormento. La campana di un vicino villaggio suona l'Ave Maria invitando alla preghiera. Mentre sta sorgendo la luna, Aroldo e Briano s'inginocchiano e pregano insieme; al loro canto, privo di accompagnamento, si unisce, proveniente dal villaggio e dalle montagne, quello del coro in lontananza (Angiol di Dio). 14. BURRASCA. È notte. La luna viene coperta da grosse nubi; si alza un vento impetuoso che sconvolge il lago; scoppiano fulmini e si rovescia la pioggia. Una barca sta per naufragare, scossa dall'uragano. Voci lontane gridano "Al lago! Al lago!" Gente accorre da tutte le parti per prestare soccorso. Mentre l'uragano scoppia in tutta la sua forza, alcuni gettano una fune e tirano con vigore; altri pregano per la salvezza dei barcaioli. Alla fine, dopo vari sforzi, appare, tirata dalla fune, una barca mezza infranta, con la vela squarciata: vi sono Mina ed Egberto con due barcaioli. La tempesta si va calmando, e i due viaggiatori scendono finalmente a terra, mentre la gente canta lode al Signore per la loro salvezza. 15. SCENA, TERZETTO E QUARTETTO FINALE. Le gente consiglia i due di bussare alla porta della capanna; vi troveranno ospitalità. Il coro esce di scena. Mina appare affranta. Egberto la conforta indicando la casa. La donna chiede perdono al padre costretto a fuggire dopo aver per causa sua ucciso Godvino. Il padre la rincuora e la invita a sedere su di una roccia; poi va a bussare alla porta per chiedere asilo. Sulla soglia compare Aroldo, che dà il benvenuto all'ospite. Mina riconosce la voce dello sposo e corre subito a gettarsi ai suoi piedi. Aroldo riconosce i due viandanti; si rivolge alla donna e con vibrante accento le dice di fuggire: per colpa sua ha dovuto sottrarsi al disonore abbandonando tutto ciò che amava, e ora che vive in pace nella solitudine ella arriva a schiudergli un nuovo inferno; che fugga e che non lo costringa a maledirla ancora. Egberto tenta di calmare la sua furia narrandogli che ha dovuto fuggire per evitare la pena di morte in conseguenza dell'uccisione di Godvino (La patria legge vindice); Mina ha voluto seguirlo nell'esilio, affrontando per amor suo ogni peripezia; se Aroldo non può più chiamarla moglie, ella è pur sempre sua figlia; con tono impetuoso chiede che come tale ella sia dunque rispettata. Mina, abbattuta, cerca di calmare il padre invitandolo a ripartire subito: non si sente degna d'essere ospitata in quella casa; quindi, rivolta ad Aroldo, riconosce la propria colpa; e tuttavia lo supplica vivamente di ascoltare la sua ultima preghiera; su un motivo lamentoso del violoncello e del corno inglese, Mina gli chiede di accordargli una speranza (Allora che gli anni): cioè quella - quando gli anni le avranno domato il cuore e i suoi capelli saranno imbiancati dal dolore, quando gli occhi saranno muti di pianto e l'ultima ora sarà vicina di morire perdonata. Aroldo ed Egberto sono presi da grande commozione. Briano apparendo sulla porta della casa rammenta la legge divina "chi è senza peccato scagli la prima pietra". A queste parole Aroldo non riesce a frenare il pianto (Le lagrime frenar non so). Alla fine, come ispirato, pronuncia finalmente la parola del perdono. I due sposi si abbracciano. La legge dell'amore ha trionfato.

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Un ballo in maschera Melodramma in tre atti [versi di Antonio Somma]

Prima rappresentazione: Roma,Teatro di Apollo, 17 febbraio 1859 L'argomento deriva dal libretto di Eugène Scribe, Gustave III ou Le Bal masqué, musicato da Auber (Parigi, Opéra, 1833). Sul medesimo argomento pure Mercadante aveva composto un'opera, Il Reggente, su libretto di Salvadore Cammarano (Torino, Teatro Regio, 1843). La vicenda è ispirata a un fatto di sangue avvenuto alla corte di Svezia il 29 marzo 1792: l'assassinio del re Gustavo III. L'opera di Verdi nacque da un contratto che il compositore aveva firmato con il S. Carlo nel maggio del 1856; sua intenzione era di musicare il Re Lear di Shakespeare su libretto del drammaturgo Antonio Somma; ma non essendovi a Napoli compagnia adatta, preferì orientarsi sul dramma di Scribe, "grandioso e vasto", anche se a parer suo presentava "i modi convenzionali di tutte le opere per musica", cosa - egli osservava - "che mi è sempre spiaciuta, ma che ora trovo insoffribile". Il dramma tuttavia presentava aspetti (gli oroscopi della maga, il sorteggio dei nomi dei congiurati, il regicidio in scena) che ben potevano procurare noie serie da parte della censura borbonica. E infatti i guai non sarebbero mancati. Nel settembre del 1857, dopo averne tracciato il 'programma, Verdi ne affidava la versificazione a Somma. La Vendetta in domino (questo il titolo originale dell'opera) fu composta durante l'autunno del 1857. Frattanto era intervenuta la censura, imponendo di mutare il re in duca e di trasportare l'azione in paese e in epoca in cui si credeva alle superstizioni. Il compositore si assoggettò alle modifiche, pur di non rinunciare al dramma. Con la partitura pressoché completata Verdi sbarcava a Napoli il 15 gennaio. Il giorno prima del suo arrivo un grave fatto era intanto avvenuto a Parigi, destinato a porre in vivo allarme i governi d'Europa: Felice Orsini aveva attentato con una bomba alla vita di Napoleone III. L'avvenimento irrigidiva ulteriormente l'atteggiamento della censura napoletana, la quale respinse il libretto con la richiesta di ulteriori, drastici cambiamenti, a cominciare dal titolo. L'impresario del S. Carlo, deciso a far rappresentare l'opera a tutti i costi onde salvaguardare i propri interessi, affidava il libretto a un oscuro rimatore perché lo modificasse secondo le imposizioni della censura. La nuova, 'mostruosa' versione della Vendetta in domino, trasformata in Adelia degli Adimari, otteneva l'immediata approvazione della censura. Ma Verdi si rifiutò nel modo più categorico di adattare la musica della Vendetta al testo dell'Adelia e chiese d'essere sciolto dall'impegno. Per tutta risposta l'impresa tradusse in giudizio il maestro domandando i danni da "liquidarsi per via specifica, coll'arresto personale". Senza perdere un minuto di tempo il compositore, una volta vagliata la possibilità di rappresentare l'opera fuori del regno di Napoli, raccolse materiale per la difesa legale sottoponendo il testo dell'Adelia a una serrata disamina, postillando ogni modifica di situazioni, di caratteri, di versi, di parole al libretto originale della Vendetta in domino con una nutrita serie di osservazioni che dimostravano all'evidenza la coscienza dell'artista e la sua consapevolezza di drammaturgo. Il processo fu evitato. Si addivenne a una transazione che consentiva al compositore di far rappresentare la Vendetta altrove, tuttavia con l'impegno da parte sua di tornare a Napoli l'autunno successivo a rappresentarvi il Simon Boccanegra. Verdi si accordava con l'impresario Jacovacci per far rappresentare l'opera a Roma, cioè alle porte di Napoli. Tuttavia anche con la censura papalina le cose non andarono speditamente: questa propose nuove osservazioni e nuove modifiche (fra cui l'eliminazione della scena dell'urna) al punto che Somma, al colmo dell'irritazione, rinunciò a firmare il libretto. Con insolita pazienza Verdi si dispose a transigere sull'epoca, sul luogo, sul sovrano assoluto e sul titolo pur di salvaguardare gli elementi ritenuti essenziali al dramma: il pronostico dell'indovina, l'adulterio, la congiura, il sorteggio, il ballo in maschera, l'uccisione in scena. Trasportata l'azione in America, trasformata l'indovina da zingara in donna di colore, declassato il protagonista da re a semplice governatore di Boston, l'opera andò finalmente in scena ottenendo un grande successo ed entrando subito in repertorio, così da formare con Emani, Rigoletto, Trovatore e Traviata quella cinquina di opere (cui più tardi si aggiungerà Aida) ininterrottamente presenti sulle scene di tutto il mondo sino ai nostri giorni. In epoca moderna, in molti allestimenti (a partire quanto meno da quello di Copenaghen nel 1935) sono stati ripristinati al protagonista il nome e la dignità del dramma originale, Gustavo III, così riportando la vicenda allo splendore della corte svedese alla fine del Settecento e soprattutto

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restituendole quell'eleganza tanto efficacemente espressa dalla musica di Verdi. Con Un ballo in maschera Verdi dichiarò finalmente conclusi, a far inizio dal Nabucco, "sedici anni di galera".

PERSONAGGI E PRIMI INTERPRETI RICCARDO, conte di Warwich governatore di Boston tenore Gaetano Fraschini RENATO, creolo, suo segretario e sposo di baritono Leone Giraldoni AMELIA soprano Eugenia Julienne-Déjean ULRICA, indovina di razza nera contralto Zelinda Sbriscia OSCAR, paggio soprano Pamela Scotti SILVANO, marinaio basso Stefano Santucci SAMUEL basso Cesare Bossi Tom, nemici del conte basso Giovanni Bernardoni Un giudice [tenore] Giuseppe Bazzoli Un servo d'Amelia tenore Luigi Fossi Deputati, uffiziali, marinai, guardie. Uomini, donne e fanciulli del popolo, gentiluomini, aderenti di Samuel e Tom, servi, maschere e coppie danzanti La scena è a Boston e nei dintorni L'azione nella fine del secolo XVII [29 marzo 1792] Nota storica: Gustavo III, nato a Stoccolma nel 1746 (sua madre, sorella di Federico II di Prussia, si chiamava Luisa Ulrica) salì al trono nel 1771; intese fare della corte svedese una seconda Versailles; fondò l'Opera Reale e fu anche autore e attore drammatico; despota illuminato, promosse numerose riforme costituzionali (limitazione dei poteri della dieta, libertà di stampa e di religione, abolizione della tortura, ecc.) che lo resero inviso alla nobiltà svedese. Il 29 marzo 1792, durante un ballo in maschera, fu ucciso con un colpo di pistola da un gentiluomo di corte, Anckarstroem, che morì sul patibolo senza rivelare i nomi dei complici né il motivo del suo gesto.

RIASSUNTO DELL'AZIONE DRAMMATICA

1. PRELUDIO. Si basa sul materiale della scena d'apertura: il tenia del coro "Posa in pace"; il Leimotiv della congiura, esposto in stile fugato; la melodia di Riccardo (che avrà anch'essa nel corso del dramma funzione di reminiscenza) "La rivedrà nell'estasi".

ATTO PRIMO Una sala nella casa del governatore. In fondo l'ingresso delle sue stanze. È il mattino. 2. INTRODUZIONE. a) CORO. Deputati, gentiluomini, popolani, ufficiali, tutti in attesa del conte Riccardo; sul dinanzi Samuel, Tom e loro aderenti. Tutti cantano in lode dell'amato conte, ma sottovoce, onde non svegliarlo prima che abbia dormito il giusto sonno. Al canto non si associano Samuel,Tom e i loro accoliti, che invece - sul tema della congiura - meditano di trarre vendetta delle ingiustizie patite dal conte. b) SCENA E SORTITA. Oscar annuncia l'ingresso del conte. Questi entra salutando gli astanti e ricevendo dai deputati le suppliche dei sudditi cui promette giustizia: non è bello il potere, egli dice, se non reca conforto agli afflitti. Oscar gli porge un foglio contenente la lista degli invitati a una festa da ballo in maschera. Leggendola Riccardo scorge il nome di Amelia, moglie dell'amico e segretario Renato, della quale è segretamente innamorato; e non sa trattenere l'emozione al pensiero di rivederla (La rivedrà nell'estasi); i due gruppi corali accompagnano il suo canto commentando con sentimenti contrastanti: da un lato ufficiali e gentiluomini ritengono che Riccardo sia assorto nel pensiero del bene comune; i congiurati sommessamente concordano sul fatto che questo non è il momento di attentare alla vita del sovrano. c) SCENA E CANTABILE. Il conte prega Oscar e gli astanti di uscire restando in attesa; nel frattempo sopraggiunge Renato, che vedendolo assorto e triste ne chiede la ragione. Riccardo ammette un dolore segreto, ma quando Renato chiede di saperne la causa, reagisce con terrore: teme che l'amico gli abbia letto nel pensiero. Invece Renato fa riferimento a una cospirazione contro di lui; conosce i nomi dei congiurati e vorrebbe svelarli. Ma il conte gli impone di tacere: non vuole contaminarsi nel sangue; del resto lo protegge l'amore dei sudditi. L'amico esorta Riccardo a non sottovalutare i nemici (Alla vita che t'arride): che ne sarebbe dell'avvenire della patria senza di lui? l'odio è più desto dell'amore nel colpire le vittime.

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d) SCENA E BALLATA. Oscar annuncia l'ingresso del primo giudice che offre alcuni dispacci da firmare, fra i quali il bando a una donna. Sorpreso, chiede chi ella sia. È una negra di nome Ulrica, che nel suo abbietto antro esercita il mestiere di indovina: va condannata all'esilio, sentenzia severamente il giudice. Il conte si rivolge a Oscar per sapere che ne pensi. Il paggio la difende con allegria accennando a quanti, donne e soldati, si rivolgono a lei per conoscere il futuro (Volta la terrea fronte): in accordo con Lucifero, la maga svolge la sua professione. Di fronte al giudice che insiste nel condannarla, Oscar supplica di assolverla. D'un tratto il conte ha un'ispirazione, e fa richiamare tutti. e) STRETTA DELL'INTRODUZIONE. Egli invita tutti a visitare l'antro di Ulrica, ma sotto altro vestito. Renato ritiene l'idea imprudente; qualcuno potrebbe riconoscerlo. Ma Riccardo è ormai deciso e ordina gli si appresti un costume da pescatore. Samuel e Tom sogghignano nel vedere la preoccupazione di Renato; ma intanto pensano che questa può essere l'occasione per agire. Riccardo vuole dunque divertirsi alle spese dei creduli clienti dell'indovina (Ogni cura si doni al diletto); e mentre il paggio esprime per suo conto il desiderio d'interrogare la maga, Renato si propone di vegliare sulla vita dell'amico. Riccardo dà a tutti l'appuntamento nell'antro dell'oracolo alle tre. L'abituro dell'indovina. A sinistra un camino; il fuoco è acceso, e la caldaia magica fuma sopra un treppiede; dallo stesso lato l'uscio d'un oscuro recesso. Sul fianco a destra una scala che gira e si perde sotto la volta, e all'estremità della stessa, sul davanti, una piccola porta segreta. Nel fondo l'entrata della porta maggiore con ampia finestra da lato. - In mezzo una rozza tavola e pendenti dal tetto e dalle pareti strumenti ed arredi analoghi al luogo. 3. INVOCAZIONE. Tre fragorosi accordi introducono un breve preludio che descrive l'atmosfera dell'antro, fatta di mistero e di terrore. Uomini, donne e fanciulli del popolo assistono muti ai sortilegi di Ulrica, timorosi di turbare l'incantesimo. L'indovina sta compiendo una cerimonia: come ispirata, ella invoca la potenza sotterranea del signore delle tenebre con triplice rituale (Re dell'abisso affrettati): per tre volte l'upupa sospirò, per tre volte la salamandra sibilò, per tre volte il gemito delle tombe parlò. 4. SCENA. Entra Riccardo vestito da pescatore; avanzandosi tra la folla e non scorgendo alcuno dei suoi, dichiara d'essere giunto per primo; ma donne e fanciulli lo respingono dandogli del villano. Egli s'allontana ridendo, mentre la scena si oscura ancor più. D'un tratto Ulrica, esaltata, grida di essere alla presenza del "Re dell'abisso" (È lui!, è lui! ne' palpiti): questi reca nella sinistra la face del futuro; nulla può ora nascondersi allo sguardo della maga. Batte il piede al suolo e sparisce sotterra imponendo il silenzio.Tutti applaudono al prodigio. 5. SCENA. Si fa largo, rompendo la calca, Silvano; si dichiara servo del conte e marinaio (Su, fatemi largo); per quindici anni ha sfidato la sorte per lui, ma senza ottenere adeguata ricompensa. Ricompare l'indovina; Silvano le chiede quale premio lo attende per il sangue versato al servizio del conte. Mentre, a parte, Riccardo osserva che il marinaio parla da leale soldato, l'indovina gli chiede la mano. La osserva, poi pronostica che presto avrà oro e grado. Riccardo scrive in fretta un foglio di nomina e non visto lo introduce nella tasca del servo insieme a una borsa d'oro, così da rendere veritiera la profezia. Frugandosi in tasca per ricompensare la maga, Silvano inaspettatamente vi trova l'oro e la nomina.Tutti gli astanti applaudono la grande sibilla. In mezzo alla gioia generale s'ode picchiare alla piccola porta segreta; Ulrica va ad aprire e v'entra un servo. Un servo d'Amelia! mormora Riccardo altamente sorpreso. Sommessamente a Ulrica, ma inteso da Riccardo, il servo annuncia che la sua padrona chiede di essere ammessa per interrogare l'indovina su un "arcano parere". Ulrica chiede agli astanti di lasciarla sola fingendo come pretesto un nuovo abboccamento con il re dell'abisso. Tutti escono, meno Riccardo che si nasconde per assistere al colloquio. 6. SCENA E TERZETTO. Amelia entra agitatissima; chiede di poter dimenticare un grande amore. Ulrica le consiglia un'erba magica, che va però spiccata di propria mano nel fitto della notte in luogo funereo. Amelia chiede dove. La maga le dice di andare a notte fonda a occidente della città, nel campo abominato dove vengono impiccati i condannati a morte (Della città all'occaso): lì troverà l'erba magica. Amelia è spaventata, ma promette di trovare la forza di recarvisi la notte stessa e rivolge una supplica a Dio perché la sua passione amorosa venga sopita (Consentimi, o

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Signore); e mentre Ulrica la sprona a osare per trovare il rimedio, Riccardo, che ha udito tutto, si ripromette di seguire Amelia fin nell'abisso. Dall'interno la folla dei popolani, spingendo alla porta, chiama a gran voce Ulrica. Questa congeda tosto Amelia, che fugge per la porta segreta. 7. SCENA E CANZONE. Ulrica apre l'entrata maggiore; entrano Samuel, Tom e loro accoliti, Oscar, gentiluomini e ufficiali travestiti bizzarramente, ai quali s'unisce Riccardo. Rivolgendosi rapidamente alla maga questi le chiede di predirgli il futuro; da coraggioso marinaio che sfida la rabbia dei venti e il mare in tempesta, chiede di sapere se la donna che ama gli è fedele (Di' tu se fedele il flutto m'aspetta); sa sfidare impavido cielo e inferno e nulla potrà mai sviarlo dal mare; quale che sia la profezia, nella sua anima non entra terrore. 8. SCENA E QUINTETTO. Ulrica lo mette in guardia dallo sfidare così apertamente il destino: l'audacia potrebbe mutarsi in pianto. Riccardo le offre la palma della mano. L'indovina l'esamina, poi con tono solenne afferma essere la mano di un importante uomo d'armi. Improvvisamente si stacca da lui e interrompe il vaticinio. Riccardo le chiede di proseguire; ma Ulrica rifiuta. Il conte, sostenuto dagli amici spazientiti, insiste e alla fine le impone di terminare il vaticinio. "Ebbene, presto morrai" sentenzia Ulrica. Sul campo di battaglia? le chiede Riccardo."No - ella risponde con forza - per mano di un amico. Così è scritto lassù".Tutti sono inorriditi. Un istante di silenzio. Poi Riccardo, guardandosi attorno, irride siffatta profezia e si prende gioco dell'altrui credulità (È scherzo od è follia); intanto Ulrica, accortasi che Samuel eTom non osano ridere, passa davanti a loro intuendo dal loro volto truci pensieri; i due cospiratori fissano Ulrica con imbarazzo: pensano che attraverso il demonio ella riesca a sapere tutto; dal canto loro Oscar e il coro esprimono una forte preoccupazione per la sentenza della maga. 9. SCENA ED INNO - FINALE I. Riccardo sollecita l'indovina a terminare il vaticinio: chi sarà dunque l'uccisore? Chi per primo ti stringerà la mano!, ella gli risponde. Con fare sempre divertito Riccardo offre la mano ai circostanti, ma nessuno osa toccarla. Dunque, egli commenta, l'oracolo è bugiardo. In quel punto Renato appare all'entrata. Il conte accorre a lui stringendogli la mano. E mentre Samuel eTom traggono un sospiro di sollievo, ora tutti ripetono a Ulrica che il suo oracolo mentiva: così è infatti, dichiara Riccardo, poiché la mano che stringe è quella del suo più fidato amico. Renato lo chiama per nome, così svelando a Ulrica la sua vera identità. Il conte le fa osservare che lei stessa non aveva neppure vaticinato d'essere stata condannata al bando; nondimeno egli revoca la condanna e la ricompensa con una borsa di danaro. Ulrica s'inchina alla magnanimità del sovrano; tuttavia lo avverte: tra i tuoi seguaci c'è un traditore, anzi "più di uno, forse..." All'interno si odono voci di popolani che inneggiano a Riccardo. Alla soglia dell'abituro appare Silvano, circondato da una folla di marinai, uomini e donne. Additando il conte, Silvano invita la folla, che subitamente entra in scena, a inginocchiarsi di fronte all'amico e al padre, esortandola a intonare un inno in sua lode (O figlio d'Inghilterra). Tutti si associano al canto. Di fronte a tanto plauso Riccardo si chiede come possa nutrire sospetti; al suo fianco Renato non è tanto sicuro: anche nei trionfi può nascondersi il crimine. E mentre Samuel,Tom e i loro seguaci esprimono disprezzo per la servile adulazione della folla, Ulrica è intimamente convinta della verità del suo oroscopo: Riccardo lo ha deriso, tuttavia egli in breve morrà.

ATTO SECONDO Campo solitario nei dintorni di Boston, ai piedi d'un colle scosceso. A sinistra, in basso, biancheggiano due pilastri; la luna leggermente velata illumina alcuni punti della scena. 10. PRELUDIO, SCENA ED ARIA. La musica tempestosa del preludio sottolinea l'atmosfera funesta dell'"orrido campo" dove vengono giustiziati i condannati a morte. Sulla melodia del terzetto ("Consentimi, o Signore") eseguita dal flauto e poi ripresa dagli archi Amelia appare alla sommità del colle; s'inginocchia e prega. Quando si alza, l'orchestra riesplode con rinnovata furia. A poco a poco ella discende dal colle, atterrita da quanto la circonda. La turbolenza dell'orchestra va intanto diminuendo fino a estinguersi. Segue un attimo di silenzio. Ella vede le colonne infami (Ecco l'orrido campo), scorge l'erba verdeggiare al loro piede e il cuore le si gela dal terrore. Perfino il rumore dei suoi passi la fa raccapricciare. Ma, a rischio di morire, ella è decisa a fare il suo dovere. Fa per avviarsi a cogliere l'erba magica, quando un pensiero la trattiene: una volta sradicata la sua passione (Ma dall'arido stelo divulsa) cosa più le resterà?... Una forza invisibile per un attimo la fa arretrare; ma subito si fa coraggio: deve annientare la sua passione. Suona la

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mezzanotte. D'improvviso, colta da un'allucinazione, le sembra di vedere una testa spuntare di sotterra e fissarla con occhi iniettati d'ira. Ipnotizzata dalla visione, balbetta. Alla fine s'inginocchia implorando misericordia a Dio. 11. DUETTO. Appare improvvisamente Riccardo, che rapidamente le si avvicina. Su una furibonda agitazione degli archi Amelia lo supplica di lasciarla e di salvare il suo nome. Ma egli rifiuta: troppo grande è il suo affetto per lei. Amelia torna a supplicarlo ricordandogli d'essere la sposa del suo migliore amico, l'uomo che darebbe la vita per lui. Su una commossa melodia Riccardo risponde con un crescendo di passione e di tenerezza (Non sai tu che se l'anima mia): il rimorso che lo lacera non ha potere di far tacere l'immenso amore che nutre per lei; quante notti insonni passate pensando ad Amelia! Ha lottato con forza contro questa passione, ma ormai senza di lei non può vivere. Amelia vacilla, chiede soccorso al cielo; poi rivolgendosi a Riccardo lo prega di lasciarla: ella è d'altri. Ma Riccardo incalza la donna: le chiede solo un detto. La resistenza di Amelia a questo punto s'infrange; su un'intensa melodia dei violoncelli, ella pronuncia il detto: sì, lo ama, ma chiede d'essere difesa dal suo stesso cuore. La melodia si fa incandescente: Riccardo si sente trasportato da uno stato di felicità indescrivibile. Alla fine, fuori di sé, prorompe annientando rimorsi e pensieri d'amicizia: tutto sia estinto fuorché l'amore (Oh qual soave brivido), cui consacra tutto se stesso. Amelia sente ingigantire quella passione che pure sperava di spegnere in quel luogo: potesse almeno addormentarsi nella morte. La luna si fa intanto sempre più luminosa. 12. SCENA E TERZETTO. Amelia in ascolto avverte che qualcuno si sta appressando. Fatti pochi passi Riccardo vede venirgli incontro Renato. Amelia atterrita abbassa subito il velo sul volto. Entrando in fretta Renato dichiara d'essere accorso per salvare il conte dai congiurati celati sul colle; serrato nel mantello questi lo hanno preso per uno di loro; ma egli li ha sentiti parlare: hanno intenzione di uccidere il conte. Copre Riccardo con il suo mantello e gli addita un viottolo attraverso cui fuggire. Riccardo vorrebbe portare con sé Amelia. Ma Renato lo sconsiglia, sarebbe troppo pericoloso. E mentre Renato va sul fondo per vedere se i congiurati avanzano, Riccardo insiste: piuttosto che lasciarla sola con Renato preferirebbe morire; ma ella minaccia di scoprirsi il volto, facendosi così riconoscere dal consorte. Riccardo esita; Amelia rinnova l'ordine con la mano. Al ricomparire di Renato, Riccardo gli va incontro. L'agitazione dell'orchestra si placa. Riccardo si fa solennemente promettere da Renato di scortare sino alla città la dama velata senza cercare di conoscerne l'identità. Renato giura. Amelia agitatissima ricorda sottovoce a Riccardo che i congiurati stanno per accerchiarlo (Odi tu come fremono cupi): già avverte i segnali di morte e lo supplica di fuggire tosto. Staccandosi dal fondo dove stava esplorando anche Renato si rivolge a Riccardo: sente già ormai vicina "l'orma dei passi spietati"; la sua salvezza significa la vita del popolo. Riccardo è dilaniato dal rimorso: fosse innocente avrebbe potuto sfidare i traditori a viso aperto; ma ora egli stesso ha tradito l'amico ed è costretto a una colpevole fuga. Esce rapidamente. 13. SCENA, CORO E QUARTETTO - FINALE SECONDO. Renato invita la donna velata a seguirlo. Sentendola tremare la rassicura. Intanto dalle alture compaiono Samuel e Tom con seguito di congiurati. Si avvicinano lentamente. Stanno per avventarsi sull'uomo, quando Renato li ferma facendosi riconoscere. Furenti per il mancato attentato, mutano atteggiamento: con tono beffardo si mostrano curiosi di scoprire il volto della donna che accompagna il segretario del conte in un luogo così segreto, ciò mentre alcuni loro seguaci accendono delle fiaccole. Con la mano sull'elsa della spada Renato li mette in guardia.Tom non teme le sue minacce e va per strappare il velo alla donna. Renato snuda la spada. Amelia, fuori di sé, s'interpone fra i contendenti e lascia cadere il velo, restando immobile, rivelata a tutti dai raggi della luna, ormai in tutto il suo splendore. Renato è colpito nel vedere sua moglie. Ma anche i congiurati sono molto sorpresi: un uomo che ha un appuntamento notturno con la sua consorte!... E sghignazzano (Ve' se di notte qui colla sposa): chissà che commenti per la città! Renato, con lo sguardo fisso al viottolo per dove fuggì Riccardo, esprime con rabbia tutta l'amarezza: ha salvato la vita all'amico, e questi lo ha tradito violandogli la moglie. Amelia è disperata: nessuno potrà mai consolarla. I congiurati continuano a sghignazzare: la tragedia s'è trasformata in commedia. D'un tratto Renato si avvicina a Samuel e aTom e con tono risoluto li convoca per il mattino seguente nella propria abitazione. Essi chiedono il motivo; ma Renato replica che lo sapranno solo quando verranno. I congiurati accettano l'invito, quindi si allontanano lentamente per vie diverse sempre sghignazzando.

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Rimasto solo con Amelia, Renato le dice fremente che non vuole mancare alla parola data e che la condurrà in città; ma nelle sue parole la donna avverte un suono di morte.

Verdi fotografato nell'estate del 1892, nel giardino Perego di Via Borgonuovo a Milano

ATTO TERZO

Una stanza da studio nell'abitazione di Renato. Sopra un caminetto di fianco due vasi di bronzo, dirimpetto a cui la biblioteca. Nel, fondo vi è un magnifico ritratto del conte Riccardo in piedi, e nel mezzo della scena una tavola. 14. SCENA ED ARIA. La scena si apre su un'introduzione strumentale in cui l'orchestra spiega tutta la forza. Renato entra violentemente trascinando Amelia. Deposta la spada e chiusa la porta, le si rivolge con veemenza: scuse e preghiere sono inutili; ella dovrà morire (A tal colpa è nulla il pianto). Amelia tenta vanamente di convincerlo: solo un indizio la accusa; può dunque bastare un sospetto per causare la sua morte? Ma Renato insiste nel voler il suo sangue. Ella ammette: è vero, ha amato quell'uomo per un istante; ma non ha macchiato il nome del marito; Dio ne è testimone. Renato snuda la spada: è tardi ormai. Allora Amelia lo supplica di concederle almeno una grazia: sarà questa la sua ultima parola. S'inginocchia presso il consorte e chiede, prima di morire, di rivedere e stringere al petto il proprio figlio (Morrò, ma prima in grazia); sarà lui a chiudere gli occhi alla madre che più non vedrà. 15. SCENA ED ARIA. Senza guardarla Renato le addita un uscio: vada pure a rivedere il figlio e a nascondere la sua vergogna.Amelia parte. Non è su lei che egli dovrà infierire. Ben altro sangue deve lavare l'onta. Fissa il ritratto del conte e puntandogli contro l'indice accusatore esclama: "il sangue tuo!". Sì, sarà nel suo cuore sleale che immergerà il pugnale. E doveva essere proprio lui, Riccardo, ad avvelenargli la vita nuziale e a ricompensare col tradimento la sua fedele amicizia (Eri tu che macchiavi)! La melodia di un flauto lo riporta col pensiero alle dolcezze perdute, alle

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memorie di un amore indicibile. Ma ormai nel suo cuore non rimane altro che odio e desiderio di vendetta. 16. CONGIURA -TERZETTO - QuARTErro. Il tema musicale dei congiurati annuncia l'ingresso di Samuel e Tom. Renato li avverte subito che sa della loro intenzione di uccidere Riccardo e mostra loro alcune carte che provano l'intento. Samuel e Tom fremono al pensiero che tutto sia riferito al conte. Ma Renato li tranquillizza: anch'egli vuol partecipare alla congiura e, per dar prova della sua risoluzione, getta le carte nel caminetto offrendo suo figlio in ostaggio. Nonostante questi atti, i due congiurati restano increduli. Ma Renato insiste: "Son vostro, per la vita dell'unico figlio!". Ogni dubbio svanisce. Tutti e tre si uniscono in un canto che ha il carattere di un giuramento: quello di stare uniti per trarre vendetta (Dunque l'onta di tutti sol una). Renato supplica i nuovi amici d'una grazia: vuol essere egli stesso a uccidere il conte di sua mano; ma anche Samuel e Tom hanno forti motivi per farlo a titolo personale: Samuel fu privato dal conte dell'avito castello; aTom il conte uccise il fratello. Renato propone allora un sorteggio.Va a prendere un vaso sul camino e lo colloca sulla tavola; Samuel scrive tre nomi su tre biglietti e li getta nel vaso. Il cupo rumoreggiare dell'orchestra, dominata da folate d'archi e dalla tromba, accompagna queste azioni e bruscamente s'arresta all'inopinata entrata di Amelia, venuta ad annunciare che vi è Oscar, latore di un invito del conte. Renato ordina che il paggio attenda. Intanto l'ingresso di Amelia gli suggerisce immediatamente l'idea di far sorteggiare proprio a lei il nome di chi le ucciderà l'amante: ordina ad Amelia di trattenersi. Amelia è impressionata, assalita da una grande pena. Dopo aver rassicurato Samuel e Tom, Renato trae Amelia verso la tavola e le indica il vaso contenente i tre nomi: la sua innocente mano ne estragga un solo biglietto. La donna trema. Fulminandola con lo sguardo la costringe a eseguire il suo comando. Amelia si avvicina lentamente e tremante al tavolo, mentre Renato continua a fulminarla con lo sguardo. Finalmente con mano tremante estrae un biglietto che suo marito passa a Samuel. Un istante di silenzio. Renato chiede chi sia l'eletto. Samuel con dolore pronuncia il suo nome: Renato!. Questi urla di gioia; il destino lo ha voluto. Amelia intuisce immediatamente che qui si vuole la morte del conte. Intanto i tre esultano riprendendo all'unisono il canto "Dunque l'onta" con nuove parole: il conte finalmente sconterà i delitti da lui perpetrati (Sconterà dell'America il pianto). 17. SCENA E QUINTETTO. Renato ordina che si faccia entrare Oscar. Questi si presenta accompagnato in orchestra da un elegante ritmo danzante e subito si rivolge ad Amelia invitandola con lo sposo alla festa che si terrà la sera stessa. Amelia subito rifiuta. Ma assicurato da Oscar che il conte sarà presente e che si tratterà di un ballo in maschera, Renato, dopo una rapida consultazione con i due cospiratori, accetta l'invito. E lo accettano anche Samuel e Tom. Oscar si slancia con entusiasmo a descrivere Io splendore della festa imminente con le sue musiche e le sue bellezze (Di che fulgon che musiche); intanto Amelia si dispera per aver estratto proprio lei il nome dell'uccisore; e mentre Renato s'immagina di vedere fra le danze il traditore immerso nel proprio sangue, Samuel e Tom pensano che una vendetta in domino sia la soluzione migliore. Amelia si chiede se possa salvare Riccardo con l'aiuto di Ulrica. Frattanto Renato, Samuel e Tom in disparte si consultano rapidamente e sottovoce sul costume da indossare onde riconoscersi l'un l'altro: sarà un domino azzurro con sciarpe attorte sul fianco sinistro da un nastro vermiglio; quanto alla parola d'ordine essa sarà "Morte!". Sontuoso gabinetto del conte. Tavolo con l'occorrente per scrivere; nel fondo un gran cortinaggio che scoprirà la festa da ballo. 18. FINALE TERZO. a) SCENA E ROMANZA RICCARDO. Sul tema amoroso già udito nel primo atto, "La rivedrà nell'estasi", Riccardo è seduto al tavolo, preoccupato e ansioso: spera che Amelia sia ritornata incolume al proprio tetto (Forse la soglia attinse). Ma intanto si rende conto che onore e dovere hanno spalancato un incolmabile abisso. Ha di fronte il decreto che nomina Renato a un nuovo incarico in Inghilterra; la sua sposa lo seguirà: così un oceano li separerà. Scrive, ma al momento di apporre la firma lascia cadere la penna esitando. Alla fine, risoluto a segnare il proprio sacrificio, sottoscrive il foglio e lo ripone in seno. Pur costretto a perdere l'amata, egli terrà sempre chiusa

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nel suo cuore la sua memoria (Ma se m'è forza perderti); immerso in un cupo dolore, viene assalito da un funesto presagio: il rivederla sarebbe la sua ultima ora fatale. b) FESTA DA BALLO E CORO. Improvvisamente risuona all'interno una musica di danza. Riccardo sente che Amelia è alla festa; vorrebbe rivederla, poterle parlare... Entra Oscar con un foglio in mano consegnatogli da una "ignota donna". Riccardo legge: vi è scritto che durante il ballo qualcuno attenterà alla sua vita. Sulle prime indeciso, Riccardo ritiene che nessuno deve sospettare ch'egli ha paura: decide dunque di partecipare alla festa. Oscar parte. Rimasto solo, vivamente prorompe: sì, rivedere Amelia ancora una volta in tutta la sua bellezza. S'aprono i cortinaggi. Vasta e ricca sala da ballo, splendidamente illuminata e parata a festa. Liete musiche preludiano alle danze; e già all'aprirsi delle cortine una moltitudine d'invitati empie la scena. Il maggior numero è in maschera, alcuni in domino, altri in costume di gala a viso scoperto; fra le coppie danzanti alcune giovani creole. Chi va in traccia, chi evita, chi ossequia e chi persegue. Il servizio è fatto dai neri, e tutto spira magnificenza ed ilarità. Tutti elevano un canto di gioia (Fervono amori e danze), accompagnato dalla banda interna. Fanno apparizione Samuel e Tom coi loro seguaci in domino azzurro col cinto vermiglio; li segue Renato, nello stesso costume. Si riconoscono reciprocamente con la parola d'ordine "morte". Renato teme che il conte non venga alla festa; i due cospiratori fremono d'impotenza. Renato consiglia loro di parlare sommesso. I tre si disperdono nella folla; ma Renato viene inseguito da Oscar anch'egli mascherato. Il paggio gli si avvicina sempre più dicendo di riconoscerlo giacché si nasconde male. Renato fa per scansarlo, ma Oscar lo chiama per nome. Infastidito Renato gli spicca la maschera e, riconoscendolo, lo rimprovera di essere alla festa mentre il conte dorme. Oscar gli rivela che il conte è già presente; ma, nonostante le amichevoli insistenze di Renato, si rifiuta di rivelargli il travestimento. c) CANZONE OSCAR. Perché sapere quale veste ha il conte (Saper vorreste di che si veste), quando si sa che ciò è un segreto? Oscar lo sa, ma non lo dirà a nessuno. Sul finire della canzone gruppi di maschere e coppie danzanti attraversano il davanti della scena e separano il paggio da Renato. d) CORO E SCENA. Maschere e coppie danzanti riprendono il canto (Fervono amori e danze), quindi risalgono la scena e si perdono-nel fondo. Renato raggiunge nuovamente Oscar facendogli sapere che ha assolutamente bisogno di parlare al conte di cose importanti e gravi; riterrebbe responsabile il paggio se ciò gli venisse impedito. Dopo aver alquanto esitato, Oscar si arrende e svela in un orecchio a Renato che Riccardo veste un domino nero con un nastro rosa sul petto. Renato vorrebbe sapere di più, ma il paggio si dilegua rapidamente tra la folla, mentre il coro riprende e conclude il canto. e) SCENA E DUETTINO AMELIA E RICCARDO. Mentre un'orchestra d'archi sulla scena intona una danza a ritmo di mazurca, Riccardo in domino nero col nastro rosa s'avanza pensieroso; alle sue spalle si accosta Amelia in domino bianco. Sottovoce, per non essere riconosciuta,Amelia implora Riccardo di fuggire. Questi le chiede se è lei l'autrice della lettera. Amelia lo avverte che la morte gli è vicina. Ma Riccardo dichiara di non temerla; vuole invece sapere il nome della donna che tanto si preoccupa della sua vita. Ella non può e non vuole rivelarsi, ma i suoi singhiozzi svelano la sua voce naturale. Riccardo le risponde con trasporto: invano ti nascondi Amelia! La donna con disperazione dichiara il suo amore per Riccardo, ma lo supplica di fuggire e di recarsi in salvo (T'amo, sì, t'amo, e in lagrime). Ma Riccardo, inebriato da quella dimostrazione di amore, non teme più nulla: l'amore che ha per lei è più forte della morte. Dunque mi vuoi morta d'affanno e di vergogna? chiede Amelia. Riccardo le risponde annunciandole che all'indomani con Renato ritornerà in patria, in Inghilterra. Così dicendole si stacca da lei; ma dopo pochi passi torna a lei dicendole addio con tutta l'anima. Sull'ultimo addio piomba il pugnale di Renato, che inosservato si lancia fra i due amanti, trafiggendo Riccardo al petto. Amelia grida al soccorso. Accorre subito Oscar, e da tutte le parti entrano dame, ufficiali e guardie; sul fondo si vedono apparire anche Samuel e Tom. Oscar addita il feritore; tutti lo circondano e gli strappano la maschera. Renato! Tutti sono inorriditi e vogliono la morte dell'assassino. Ma Riccardo ordina che Renato sia lasciato; a questi fa cenno di accostarsi, mentre trae dal seno il dispaccio. Il suono della mazurka si va intanto spegnendo.

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t) SCENA FINALE. Riccardo in punto di morte giura che Amelia è pura e innocente (Io che amai la tua consorte); consegna a Renato il decreto di nomina a nuovo incarico in Inghilterra, dichiarando d'aver sì amato Amelia, ma nel rispetto del suo candore e del nome di Renato. Questi comprende d'essersi lasciato trasportare da un esecrabile sentimento di vendetta, generato da un infausto errore. Amelia, al colmo della disperazione, è oppressa dal timore nel vedere l'amato morente e lo sposo colpevole di omicidio. Riccardo assolve tutti col proprio perdono.Tutti sono profondamente commossi (Cor sì grande e generoso); anche Samuel e Tom, che occupano sempre il fondo della scena, esprimono pentimento. Riccardo dà il suo ultimo addio a tutti i presenti e alla diletta America. Fa un ultimo sforzo, grida "miei figli... per sem...". La voce gli manca e muore.

La forza del destino Opera in quattro atti. Libretto di Francesco Maria Piave (1862)

Prima rappresentazione: S. Pietroburgo,Teatro Imperiale, 10 novembre 1862 Nuova versione [con modifiche e aggiunte di Antonio Ghislanzoni] Prima rappresentazione: Milano,Teatro alla Scala, 27 febbraio 1869

L'argomento deriva dal dramma Don Alvaro, o La fuerza del sino del drammaturgo spagnolo Angel Saavedra, duque de Rivas (Cordova 1791 - Madrid 1865); rappresentato con successo a Madrid nel marzo del 1835, esso segna l'avvio del teatro romantico spagnolo. Una traduzione italiana fu pubblicata a Milano nel 1850. Sembra che già al tempo di Traviata Verdi si fosse interessato a questo dramma. L'occasione per musicarlo gli venne nel gennaio del 1861 da un invito a scrivere un'opera nuova per il Teatro Imperiale di Pietroburgo, invito tanto prestigioso sul piano artistico quanto remunerativo dal lato economico, pervenutogli negli stessi giorni in cui accoglieva, benché riluttante, la richiesta del conte di Cavour di presentarsi candidato alle elezioni del primo Parlamento italiano. Verdi accetta, proponendo come soggetto il Ruy Blas di Victor Hugo, che tuttavia incontra l'opposizione delle autorità russe. In giugno, alla firma del contratto, Verdi si decide per la Fuerza del sino, dramma da lui giudicato "potente, singolare, e vastissimo" e 'fuori del comune". Ne stende scene e dialoghi, e ne arricchisce l'intreccio, ispirandosi per la scena dell'accampamento nel terzo atto e per la predica di Melitone ad alcune parti del Wallensteins Lager di Schiller - dramma il cui "misto di comico e di terribile (ad uso Shakespeare)" già lo aveva affascinato al tempo della collaborazione con Cammarano, nel 1849 - e affida la stesura del libretto a Piave, nel frattempo trasferitosi da Venezia a Milano con l'incarico di direttore di scena al Teatro alla Scala. In settembre inizia la composizione. A fine novembre, alla vigilia della partenza per la Russia, essa è pressoché completata, salvo la strumentazione. Ma il viaggio si rivela inutile: la cantante destinata alla parte di Leonora è seriamente ammalata. Non disponendo il teatro di Pietroburgo di un'adeguata sostituta e non volendo Verdi arrischiare l'opera con una interprete di secondo piano, viene deciso di comune accordo di rinviare l'opera alla stagione successiva. Il 19 febbraio del nuovo anno, dopo una visita a Mosca, Verdi parte alla volta di Parigi, dove definisce l'ingaggio del soprano Caroline Barbot, destinata alla parte di Leonora. Quindi - dopo essersi recato a Londra per presentare a quella Esposizione Internazionale una musica d'occasione espressamente commissionatagli: l'inno delle Nazioni, su testo del giovane Arrigo Boito rientra in Italia, assumendo l'impegno di porre in scena la Forza anche a Madrid, nella patria del duca de Rivas. In settembre Verdi ritorna finalmente a Pietroburgo. L'opera va in scena la sera del 10 novembre incontrando generale consenso, ma senza sollevare soverchi entusiasmi. A Madrid, dove la Forza va in scena il 21 febbraio 1863 con alcune modifiche per essere adattata alla voce dell'intramontabile Gaetano Fraschini, l'accoglienza è invece assai migliore, anche se il duca de Rivas non cela la propria insoddisfazione. L'opera viene quindi eseguita in alcuni teatri italiani e, grazie al solerte ex-allievo Emanuele Muzio, anche negli Stati Uniti, ma senza incontrare il gradimento del pubblico e i consensi della critica. Di fatto la Forza stenta a "girare". Lo scarso successo che l'opera va incontrando costringe il compositore a rivederla, cambiando soprattutto il finale con le sue tre morti violente in scena. Nella versione pietroburghese l'azione si concludeva infatti, come nel dramma originale, con il suicidio di don Alvaro. Dopo aver a lungo cercato una soluzione (nel frattempo Piave, colpito da apoplessia, giaceva inerte in un ospedale milanese), alla fine accoglie la proposta di Antonio Ghislanzoni per uno scioglimento "alla Manzoni", ispirato,

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attraverso la redenzione del protagonista, a cristiana rassegnazione. Oltre a rifare il finale dell'opera, sostituisce al Preludio una Sinfonia e apporta numerose modifiche, mutando l'ordine di alcune scene, in particolare nel terzo atto. Nella nuova versione l'opera va in scena alla Scala il 27 febbraio 1869: è l'occasione che consente a Verdi di rimettere piede, dopo oltre vent'anni, nel teatro dei suoi esordi. Il successo della nuova versione consente alla Forza di affermarsi gradualmente, attraverso esecuzioni sorvegliate da Verdi, e quindi di inserirsi stabilmente in repertorio sulle scene italiane dei teatri italiani in patria e all'estero. Una versione francese, nella riduzione di Nuitter e Du Lode, viene eseguita ad Anversa nel 1882 e quindi replicata a Bruxelles. Nei teatri tedeschi la Forza del destino rimane tuttavia sconosciuta fino alla memorabile esecuzione avvenuta a Dresda nel 1925 nella traduzione di Franz Werfel, esecuzione da cui prende praticamente avvio la Verdi-Renaissance (nel solo biennio 1926-1927 ben oltre trenta teatri di lingua tedesca pongono in scena per la prima volta la Forza del destino) contribuendo a conferire in via definitiva a quest'opera -"caotica in superficie, logica e coerente nel profondo", come ha scritto Julian Budden - il posto che le spetta fra le grandi creazioni verdiane.

PERSONAGGI E PRIMI INTERPRETI S. Pietroburgo 1862 Milano 1869

Il Marchese di CALATRAVA basso Meo Giuseppe Vecchi Donna LEONORA / suoi figli soprano Caroline Barbot Teresa Stolz Don CARLOS di Vargas / suoi figli baritono Francesco Graziani Luigi Colonnese Don ALVARO tenore Enrico Tamberlick Mario Tiberini PREZIOSILLA, giovane zingara mezzo soprano Constance Nantier-Didiée Ida Benza PADRE GUARDIANO francescano basso G.Francesco Angelini Marcello Junca FRA MELITONE francescano baritono Achille De Bassini Giacomo Rota CURRA, cameriera di Leonora comprimaria Osea Legramanti Ester Neri Un ALCADE basso Marini Luigi Alessandrini Mastro TRABUCCO, mulattiere, poi rivendugliolo tenore Geremia Bettini Antonio Tasso Un Chirurgo, militare spagnolo tenore Alessandro Polonini Vincenzo Paraboschi Coristi : Mulattieri; Paesani spagnoli e italiani; Soldati spagnoli e italiani d'ogni arma; Ordinanze relative; Reclute italiane; Frati Francescani; Poveri questuanti Coriste : Paesane e Vivandiere spagnole ed italiane; Povere questuanti Ballo : Paesani, Paesane e Vivandiere spagnole ed italiane; Soldati spagnoli ed italiani Comparse : Oste, Ostessa; Servi d'osteria; Mulattieri, Soldati italiani e spagnoli d'ogni arma; Tamburini; Trombe; Paesani, Paesane e Fanciulli delle due nazioni; Saltimbanco; Venditori d'ogni specie Scena : Spagna e Italia Epoca :Verso la metà del secolo XVIII [più esattamente al tempo della guerra di successione austriaca (1740-1748) svoltasi fra Inglesi, Austriaci e Savoiardi da un lato, Spagnoli e Napoletani dall'altro] N. B. Nelle Ordinazioni di scena preparate da Piave per la rappresentazione di S. Pietroburgo l'età dei protagonisti all'inizio dell'opera viene indicata come segue: il marchese di Calatrava sui 65 anni; Leonora sui 20 anni; don Alvaro 25 anni circa; don Carlo 22 anni circa, il Padre Guardiano 70 anni, Fra Mefitone 40 anni, Preziosilla circa 20 anni. Inoltre nelle medesime si avverte: "Tra il primo e il secondo atto passano circa 18 mesi. Tra il secondo e il terzo alcuni anni; e tra il terzo ed il quarto atto oltre un lustro". Infine si precisa, a proposito di Melitone, che è un "laico zoccolante" (ovvero "converso", vale a dire un religioso incaricato, nelle comunità monastiche, di servizi profani e di attività manuali). Nel dramma si accenna all'"Ordine di Calatrava": si tratta del più antico e uno dei più prestigiosi ordini cavallereschi di Spagna; istituito nel 1158, fu abolito nel 1931.

RIASSUNTO DELL'AZIONE DRAMMATICA 1. SINFONIA. È introdotta dal tema del destino (tre note ribattute), tosto seguito dal motivo della maledizione (motivo, pure ripetuto tre tolte, che, associato al personaggio di Leonora, costituisce il tema-cardine dell'opera), e si sviluppa attraverso l'elaborazione sinfonica di alcuni temi fra i principali dell'opera, ostinatamente contrastati dal motivo ritmico della maledizione: in particolare la melodia di don Alvaro "Le minacce, i fieri accenti" nel quarto atto, l'invocazione di Leonora

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"Deh, non m'abbandonar", il suo canto "Tua grazia, o Dio, sorride" e la preghiera dei frati "Venite, adoremus" nel secondo atto.

ATTO PRIMO Siviglia Una sala tappezzata di damasco con ritratti di famiglia ed armi gentilizie, addobbata nello stile del secolo 18°, però in cattivo stato. Di fronte due finestre; quella a sinistra chiusa, l'altra a destra aperta e praticabile, dalla quale si vede un cielo purissimo, illuminato dalla luna, e cime d'alberi. Tra le finestre è un grande armadio chiuso, contenente vesti, biancherie, ecc. ecc. Ognuna delle pareti laterali ha due porte. La prima a destra dello spettatore è la comune; la seconda mette alla stanza di Curra. A sinistra in fondo è l'appartamento del Marchese, più presso al proscenio quello di Leonora. A mezza scena, alquanto a sinistra, è un tavolino coperto da tappeto di damasco, e sopra il medesimo una chitarra, vasi di fiori, due candelabri d'argento accesi con paralumi, sola luce che schiarirà la sala. Un seggiolone presso il tavolino; un mobile con sopra un orologio fra le due porte a destra; altro mobile sopra il quale è il ritratto, tutta figura, del Marchese, appoggiato alla parete di sinistra. La sala sarà parapettata. 2.INTRODUZIONE - SCENA. La meticolosa descrizione della scena (una casa di campagna dove il marchese ha condotto da alcuni giorni la figlia per allontanarla da don Alvaro) ci informa che il marchese di Calatrava, per quanto orgoglioso del proprio lignaggio, vive in ristrettezze economiche. La scena si apre sulle tre note ribattute del tema del destino. È notte: con un lume in mano il marchese si sta congedando dalla figlia Leonora. Scorgendo il verone aperto, va a chiuderlo. Quindi ritorna dalla figlia, scossa da una forte angoscia interiore, e la esorta teneramente a confidare in lui. Leonora, piangente, non osa rivelare la causa del suo tormento. Come vede il padre uscire, si getta con effusione fra le sue braccia. Calatrava la bacia, riprende il lume e va nelle sue stanze. 3. RECITATIVO E ROMANZA. Uscito Calatrava, Curra, la fedele cameriera di Leonora, si accinge ai preparativi della fuga della giovane con don Alvaro: riapre il verone e toglie dall'armadio un sacco da notte in cui ripone biancheria e vesti. Ma Leonora è tuttavia combattuta fra la devozione per il padre e l'amore per Alvaro. Al padre avrebbe confessato tutto, se non avesse temuto di mettere a repentaglio la vita dell'amato. Per Alvaro ora tutto ella abbandona (Me pellegrina ed orfana): troppo lo ama; tuttavia immagina la desolazione di una vita raminga con lui e, dicendo addio alla sua patria, è consapevole che il suo dolore non avrà mai termine. 4. SCENA E DUETTO. La scuote da questo autocompatimento Curra, che la invita ad affrettarsi a fare i bagagli. È mezzanotte. Si ode uno scalpitio di cavalli. Don Alvaro - senza mantello, con giustacuore a maniche larghe, e sopra una giubbetta da majo (indumento tipico del giovane popolano, avventuroso, che disprezza il lavoro e confida nel proprio ingegno), reticella sul capo, stivali, speroni - entra dal verone festante di gioia e si getta tra le braccia di Leonora (Ah per sempre, o mio bell'angelo): mille inciampi hanno ostacolato la sua corsa; ora finalmentz l'affanno si tramuta in letizia. Ordina a Curra di gettare le vesti dal verone. Leonora subito la arresta. Ma Alvaro le fa presente che tutto è ormai pronto e un sacerdote li attende per benedire la loro unione (Pronti i destrieri): quando il sole, "nume dell'India", illuminerà il nuovo giorno, essi saranno già sposi. Tuttavia Leonora esita: pur amando fortemente Alvaro, vorrebbe rivedere il padre un'ultima volta, rimandando la fuga all'indomani. L'animo confuso, ella paria con affanno, a frasi spezzate: il súo cuore è gonfio di gioia, ma il pianto soffoca le sue parole. Alvaro è turbato. Dopo una lunga pausa, con tono solenne dichiara sciolto il giuramento d'amore. Ma Leonora, impetuosamente, lo interrompe per dichiarargli tutto il suo amore (Seguirti fino agli ultimi): è de-cisa a seguire l'amato ai confini della terra e dividere la sua sorte quale che essa sia. Alvaro accoglie con entusiasmo le sue parole. 5. SCENA - FINALE PRIMO. I due amanti s'avvicinano al verone per fuggire, quando a un tratto si sente un aprire e chiudere di porte. Stanno salendo le scale, avverte Curra. Alvaro invita Leonora a partire subito. Ma è tardi; Leonora gli indica la sua stanza, ove nascondersi. Alvaro dichiara tuttavia di voler restare ed estrae la pistola: è per difendere lei, egli dice, ed eventualmente per rivolgerla contro se stesso. Fa appena in tempo a riporla. Dopo vari colpi si apre con strepito la porta di fondo, mentre in orchestra si scatena il tema del destino: il marchese di Calatrava entra infuriato, brandendo una spada, seguito da due servi con lumi. Vedendo Alvaro, un meticcio dalle

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incerte origini indiane, il suo furore è al culmine. Leonora accorre presso il padre; ma questi la respinge dicendole che non è più sua figlia. Invano Alvaro gli offre il proprio petto, dichiarandosi il solo colpevole. Calatrava rifiuta di colpire un uomo di "abbietta origine" e ordina ai servi di arrestarlo. Estraendo nuovamente la pistola, Alvaro li fa retrocedere e insiste perché sia il marchese a ucciderlo. Quindi giura sulla purezza di Leonora, assumendo su di sé tutta la colpa, colpa che intende pagare con la propria vita, rendendosi inerme: consegna la pistola al marchese gettandola a terra. L'arma nel percuotere il suolo scarica il colpo e ferisce mortalmente il marchese. Alvaro, colto dalla disperazione, impreca alla sorte. Leonora accorre presso il padre, ma questi la respinge e la maledice. Risuona in orchestra il tema del destino. I servi portano il marchese nelle sue stanze, mentre don Alvaro trae seco verso il verone la sventurata Leonora.

ATTO SECONDO Villaggio di Hornachuelos [nella Sierra Morena, in Andalusia, presso ardoba] e vicinanze. Grande cucina d'una osteria a pian terreno. A sinistra è la porta d'ingresso che dà sulla via; di fronte a una finestra ed un credenzone con piatti, ecc. ecc. A destra in fondo un gran focolare ardente con varie pentole; più vicino al boccascena breve scaletta che mette a una stanza, la cui porta è praticabile. - Da un lato gran tavola apparecchiata con sopra una lucerna accesa. Sopra altra tavola vino, bicchieri, fiaschi, una bottiglia d'acquavite. 6. CORO - BALLABILE. La scena si apre con le tre perentorie percosse udite all'inizio della Sinfonia. Oste e ostessa sono affaccendati a preparare la cena. L'Alcade è seduto presso il fuoco, uno Studente presso la tavola; vi sono alcuni mulattieri, fra i quali Mastro Trabuco seduto sul suo basto. Alcuni contadini e contadine ballano una seguidilla. Mulattieri e altri contadini danno inizio a un canto che invita a bere un bicchiere di vino per ritemprare le forze. 7. SCENA. L'ostessa mette sulla tavola una grande zuppiera. L'Alcade, sedendosi alla mensa, annuncia che la cena è pronta. Tutti prendono posto a tavola, mentre una coppia sul fondo continua a ballare. Anche lo Studente - fra sé irritato per aver finora invano ricercato la sorella e il suo seduttore - siede a tavola. Viene richiesto all'Alcade di benedire la cena. Questi rivolge la richiesta allo Studente, che accetta di buon grado. Intanto, dalla porta socchiusa della stanza a destra, appare timidamente Leonora: vede lo Studente e riconosce in lui suo fratello, don Carlos di Vargas, che sa essere all'ostinata ricerca di lei e di Alvaro. Subito si ritira, chiudendo la porta in fretta. Tutti mangiano, lodando il cibo (Tu das epulis accumbere Divum: concedi che io sieda al banchetto dei numi), tranne Trabuco che, seduto al solito posto, non mangia. Lo Studente con la scusa d'invitarlo a tavola lo interroga con insistenza su una certa "personcina" con lui giunta. 8. RECITATIVO E CANZONE. Ma viene interrotto dall'ingresso di Preziosilla, che entra saltellando.Tutti accorrono presso di lei per farsi leggere la mano. Ma prima ella inneggia alla guerra con una canzone (Al suon del tamburo); nell'invitare gli uomini ad accorrere tutti in Italia a combattere contro i Tedeschi,"flagel d'Italia eterno", esalta la vita del soldato:"È bella la guerra!". Quindi, volgendosi all'uno e all'altro, predice la fortuna a chi andrà a combattere. Anche lo Studente le presenta la mano. Ella gliela osserva e gli predice sventura; poi, fissandolo a lungo in volto, gli dice con fare civettuolo che egli non è uno studente; quindi riprende la canzone accompagnata dal coro. 9. PREGHIERA. Di lontano giungono le voci di un corteo di pellegrini che si recano al giubileo. Tutti si alzano e si scoprono. Le voci si avvicinano: si vede quindi il corteo passare lentamente sul fondo. L'Alcade invita a pregare con loro: tutti, lasciando la mensa, si inginocchiano ed elevano una preghiera (Su noi, prostrati e supplici). Dalla porta socchiusa di destra riappare Leonora agitatissima. Mentre tutti cantano in preghiera, Leonora, non vista, supplica Dio di salvarla dall'ira del fratello. Quindi rientra rapidamente nella stanza chiudendone la porta. 10. SCENA. Terminata la preghiera, tutti riprendono i loro posti e brindano alla salute della compagnia. Lo Studente incalza Trabuco con domande circa la persona che egli ha accompagnato all'osteria: se maschio o femmina, se stava sul mulo seduta o a cavalcioni, perché non ha barba, perché non mangia... Alla fine Trabuco, spazientito, prende il suo basto e se ne va brontolando contro gli studenti e il loro latinorum, seguito dalle risate dei presenti. 11. BALLATA. Lo Studente propone di tracciare per scherzo due baffetti neri sul volto dell'incognito ospite. Ma l'Alcade, che ha il compito di proteggere i viaggiatori, si oppone, e chiede

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piuttosto allo Studente chi egli sia e da dove venga. Lo Studente inizia a raccontare una truce storia (Son Pereda, son ricco d'onore): dice di chiamarsi Pereda e d'essere prossimo a conseguire il dottorato; aveva interrotto gli studi per seguire un amico, Vargas, e aiutarlo a compiere la sua vendetta: la sorella di Vargas e il suo amante straniero gli avevano trucidato il padre. Li inseguì fino a Cadice, dove apprese che la sorella era morta e che solo il suo amante era riuscito a fuggire. Partito Vargas per l'America alla ricerca del seduttore, Pereda poté così tornare ai suoi studi. 12. SCENA CORO E RIPRESA DELLA DANZA. Preziosilla, con fine malizia, fa capire al sedicente Pereda che non crede affatto alla sua storia. Ma è interrotta dall'Alcade che, dopo aver guardato l'orologio, annuncia a tutti che è ora di partire. I presenti si danno la buona notte. Sul fondo riprende intanto la danza, mentre a sua volta lo Studente riprende il racconto di Pereda contrastato dagli sberleffi dell'incredula Preziosilla. La scena si chiude sull'allegro canto dei mulattieri che invitano all'allegria e al riposo. Una piccola spianata sul declivio di scoscesa montagna. A destra precipizi e rupi; di fronte, la facciata della chiesa della Madonna degli Angeli; a sinistra, la porta del Convento, in mezzo alla quale una finestrella; da un lato, la corda del campanello. Sopra vi è una piccola tettoia sporgente. Al di là della chiesa, alti monti col villaggio di Hornachuelos. La porta della chiesa è chiusa, ma larga, sopra d'essa una finestra semicircolare lascerà vedere la luce interna. A mezza scena, un po' a sinistra, sopra quattro gradini, s'erge una rozza croce di pietra corrosa dal tempo. La scena sarà illuminata da luna chiarissima. 13. ARIA. Leonora, in abiti maschili, con pastrano a larghe maniche, largo cappello e stivali, giunge ansante in quello che spera sia il suo asilo estremo e ringrazia Dio: è scossa dal terrore d'essere scoperta dal fratello, messosi sulle sue tracce; poi rivolge il pensiero al fuggiasco Alvaro: dal racconto del falso Studente ella ha appreso che egli è vivo; in quella orrenda notte in cui cadde il padre ella lo aveva tuttavia seguito, ma egli la lasciò sola, fuggendo da lei inorridito. Oppressa dall'angoscia, Leonora cade in ginocchio e prega la Vergine di perdonare il suo peccato (Madre, pietosa Vergine) e di aiutarla a cancellare il ricordo dell'amante nella solitudine della clausura, dove desidera espiare la propria colpa. All'interno si sente risuonare, accompagnato dall'organo, il canto dei frati che intonano il salmo d'inizio dell'ufficio mattutino (Venite, adoremus),I1 canto rafforza nell'animo di Leonora, benché tremante di paura, la decisione di essere accolta dal "pio frate" in quelle solitudini e invoca con appassionato accento il soccorso del Signore. 14. SCENA. Va a suonare il campanello del convento. Si apre la finestrella della porta e ne esce la luce di una lanterna che riverbera sul volto di Leonora. Una voce risuona dall'interno: è quella di fra Melitone che chiede:"chi siete?". Leonora domanda subito del Padre Guardiano; il frate è restio alla richiesta; ma subito ella, supplice, dice d'essere mandata da padre Cleto per cosa urgente. Al nome di "quel sant'uomo", Melitone cede: risponde che va ad annunciarla e chiude la finestrella. Rimasta sola, Leonora, assillata dal dubbio d'essere accolta, invoca ancora l'assistenza della Vergine. 15. SCENA E DUETTO. Giunge alfine, accompagnato da Melitone, il Padre Guardiano, che chiede allo sconosciuto pellegrino il suo nome. Leonora risponde che è un segreto. Il Padre Guardiano ordina a Melitone di allontanarsi, cosa che il frate fa brontolando contro il suo tono "da Superiore". Rimasti soli, il pellegrino rivela d'essere in realtà una donna: infelice e reietta, chiede d'essere salvata dall'inferno; padre Cleto inviò una lettera a tale proposito... Padre Cleto? Nel sentire questo nome il Padre Guardiano riconosce nella donna Leonora di Vargas! Con tono solenne egli la invita a pregare ai piedi della croce. Leonora s'inginocchia, bacia la croce, quindi torna meno agitata da lui (Più tranquilla l'alma sento): la sua anima è ora più serena e più non vede l'ombra insanguinata del padre che la perseguita e la maledice. Chiede pertanto d'essere accolta fra le rupi dove altra donna già visse, come le rivelò padre Cleto. 11 padre Guardiano la invita a riflettere (Guai per chi si lascia illudere): ella potrebbe pentirsi di una decisione presa nel delirio d'un momento; ma Leonora, rasserenata e non più perseguitata dai ricordi in quel luogo, conferma il suo voto. Padre Guardiano, dopo averla interrogata sulle sorti del fratello e dell'amante, le consiglia di ritirarsi in un chiostro. Un chiostro? Leonora si dispera: se non fosse accolta non le resterebbe che andare raminga per luoghi ostili, gridando aiuto; ma una voce del cielo le ha detto di salvarsi all'ombra di quella croce. Così dicendo corre ad abbracciare la croce. Questo gesto è per il Padre Guardiano un segno della volontà del cielo (A te sia gloria, o Dio clemente). Dopo aver

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chiesto conferma del voto, il religioso, ormai convinto, accoglie la richiesta di Leonora; fra le rupi vi è una spelonca: ivi ella vivrà; egli solo conoscerà la sua vera identità e sarà egli stesso a portarle il cibo presso una fonte ogni sette giorni. Quindi chiama Melitone e gli ordina di radunare tutti i frati innanzi all'altare maggiore del tempio. Melitone rientra. Il Padre Guardiano informa Leonora che prima di recarsi all'eremo, ella dovrà fare la Comunione e vestire il saio (Sull'alba il piede all'eremo); la donna ringrazia il Signore: già sente rinascere in sé una nuova vita. Entrambi entrano nella stanza del portinaio. 16. FINALE SECONDO. La porta della chiesa si apre; in fondo si vede l'altare illuminato. L'organo suona. Due lunghe file di frati con ceri ardenti avanzano lentamente. Più tardi entra il Padre Guardiano che precede Leonora in abito da frate, con il cappuccio in testa. I frati gli si schierano intorno; Leonora si prostra innanzi a lui. Stendendo le mani sul suo capo il Padre Guardiano benedice il nome del Signore; quindi annuncia ai confratelli che un pellegrino, venuto a espiare la colpa, viene accolto nella sacra spelonca (Il santo speco noi le schiudiamo): a tutti fa giurare solennemente che nessuno s'appressi a quell'asilo o tenti di scoprire l'identità di colui che vi ha ricetto; sia maledetto chi osi infrangere il divieto. Tutti i frati giurano. Quindi si rivolge a Leonora: l'avverte che d'ora in poi ella non vedrà più alcun vivente; se pericolo sovrasti o sia giunto l'ultimo giorno di vita, ella suoni la campana della spelonca per ricevere l'ultimo conforto. Infine tutti invocano sal pellegrino la protezione della Vergine (La Vergine degli Angeli). Baciata la mano al Padre Guardiano, Leonora si avvia da sola verso l'eremo. Il Padre Guardiano stende le braccia verso di lei e la benedice.

ATTO TERZO In Italia presso Velletri. Bosco. Notte oscurissima. 17. SCENA E ROMANZA. Si sentono voci interne provenire da destra: sono soldati che giocano a carte (Attenti al gioco). Poi le voci cessano. Un lungo preludio strumentale caratterizzato da una dolente melodia affidata a un clarinetto accompagna l'ingresso di don Alvaro che, in uniforme di capitano spagnolo dei Granatieri del re, si avanza lentamente dal fondo.Tristemente, ma con forza, egli ricorda il suo passato infelice: nato in un carcere, fu educato nel deserto; or vive perché tutti ignorano la sua regale stirpe. Il padre, sposando "l'ultima degli Incas", sognò di cingere la corona di quel popolo; ma i suoi trovarono invece la scure di un boia. Alfine il suo pensiero si rivolge a Leonora (Oh tu che in seno agli angeli), che egli crede morta: esule e senza nome, egli non desidera che morire e implora l'amata affinché dal cielo soccorra le sue pene. 18. SCENA E DUETTINO. Si odono provenire dall'interno grida di minaccia e d'aiuto. Alvaro accorre rapido; si sente un cozzare di spade; alcuni ufficiali attraversano la scena fuggendo in disordine. Alvaro ritorna in scena con don Carlo ferito. Gli chiede, sorpreso, perché si sia abbassato accettando di giocare in una bisca. Carlo si giustifica dicendo d'essere nuovo del posto, essendo giunto al campo il giorno prima, e comunque ringrazia con calore l'amico per avergli salvato la vita. I due si presentano l'un l'altro, ma entrambi nascondendo, per motivi diversi, la loro identità: Carlo come don Felice de Bornos, aiutante del generale; Alvaro come don Federico Herreros, capitano dei Granatieri. Carlo già conosce Herreros di fama, come "gloria dell'esercito": ora si dichiara onorato ed entusiasta di far con lui amicizia. I due si stringono le destre, giurandosi amicizia eterna (Amici in vita, in morte). 19. SCENA E BATTAGLIA. Uno squillo di trombe: dall'interno a sinistra giungono grida d'allarmi. Sta per iniziare la battaglia. Alvaro e Carlo accorrono al combattimento con il proposito di emularsi a vicenda sul campo d'onore. Si cambia subito la scena. È il mattino. Salotto nell'abitazione di un ufficiale superiore dell'esercito spagnolo in Italia non lungi da Velletri. Nel fondo vi sono due porte: quella a sinistra mette a una stanza da letto, l'altra è la comune. A sinistra presso il proscenio è una finestra. Si sente il rumore della vicina battaglia. Un chirurgo militare e alcune ordinanze entrano dalla comune e si dirigono alla finestra per osservare la mischia; il chirurgo guarda con il cannocchiale: vede Herreros avanzare contro i Tedeschi, cadere quindi ferito e poi rialzarsi per guidare i suoi, che stavano ripiegando, al

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contrattacco; i Tedeschi fuggono! Dall'interno risuonano grida di vittoria. Intanto il chirurgo vede che trasportano nel salotto il capitano ferito. 20. SCENA E DUETTINO. Don Alvaro ferito e svenuto è portato in una lettiga da quattro granatieri. Da un lato è il chirurgo, dall'altro Don Carlo coperto di polvere e assai afflitto. Un soldato depone una valigia sopra un tavolino. La lettiga viene collocata quasi nel mezzo della scena. Il chirurgo è preoccupato per la pallottola che ha colpito il capitano al petto. Alvaro rinviene. Don Carlo incoraggia il ferito: le cure del chirurgo lo salveranno e in premio riceverà l'Ordine di Calatrava. Alvaro, nel sentire quel nome, ha un trasalimento che non sfugge a Carlo. Il ferito chiede d'essere lasciato solo con l'amico. Mentre il chirurgo si ritrae al fondo, Alvaro fa cenno a Carlo d'appressarsi. Gli chiede di giqrare che esaudirà un suo voto (Solenne in quest'ora). Dopo che Carlo, commosso, ha giurato, si fa da lui cercare una chiave che tiene celata in seno. Indicandogli la valigia sul tavolino, gli dice che con quella chiave dovrà aprirla per trarne un plico sigillato; affida quel plico al suo onore: vi è in esso un mistero che morrà con lui; se dovesse morire, esso sia tosto bruciato. Carlo ripete il giuramento e con grande emozione abbraccia l'amico. Quindi il chirurgo e le ordinanze trasportano il ferito nella stanza da letto. 21. SCENA ED ARIA. Rimasto solo, Carlo riflette sul destino dell'eroico amico. Questi tuttavia tremò all'udire il nome di Calatrava... D'improvviso un lampo balena nella sua mente: e s'egli fosse il seduttore? Con la chiave in mano apre convulso la valigia e ne estrae un plico suggellato. Fa per aprirlo. Ma subito s'arresta: ha giurato all'amico e inoltre gli deve la vita... Ma se fosse quell'indiano maledetto?... È solo, nessuno le vede. Risoluto fa per aprire il plico; ma ha orrore di compiere un atto così vile e lo getta a terra, allontanandosene con raccapriccio: è venuto a lavare in guerra l'onore della famiglia (Urna fatale); non vuole macchiarlo di una nuova onta; il giuramento è sacro all'uomo d'onore: vada dunque disperso ogni cattivo pensiero. Ma il dubbio lo tormenta: e se la valigia contenesse altra prova? Torna a frugare nella valigia e vi trova un astuccio; nota che è privo di suggello e decide di aprirlo: vi è il ritratto di Leonora! Dunque è don Alvaro il ferito! Con esaltazione s'augura che egli viva perché poi possa esser da lui trucidato. Giusto in quel punto entra il chirurgo, annunciando lieta notizia: il capitano è salvo! La gioia di Carlo è incontenibile (Egli è salvo! oh gioia immensa): potrà finalmente vendicarsi sull'infame che gli ha sedotto la sorella e ucciso il padre; spera che Leonora abbia seguito Alvaro al campo, così da poter d'un solo colpo trucidare i due amanti, consacrandoli al dio dell'inferno. Quindi parte rapidamente. Accampamento militare presso Velletri. Sul davanti a sinistra è una bottega da rigattiere; a destra altra, ove si vendono cibi, bevande, frutta. All'ingiro tende militari, baracche di rivenduglioli, ecc. ecc. 22. RONDA. È notte. Una pattuglia entra cautamente in scena a esplorare il campo. In tono sommesso avverte che tutto è tranquillo: tutti sono immersi in un sonno profondo; ma fra poco suonerà la sveglia. Lentamente la pattuglia s'allontana. 23. SCENA E DUETTO. Spunta l'alba lentamente. Entra don Alvaro pensoso, con l'animo angustiato da una lotta interiore: invano ha invocato finora pace e oblio. Una voce lo chiama.Alvaro s'avvicina: riconosce don Carlo e con affetto lo ringrazia per le cure prodigategli. Questi gli chiede se ora egli è in grado di sostenere un duello. Alvaro chiede contro chi: Carlo gli rivela di conoscerlo ormai come don Alvaro l'Indiano. Alvaro capisce che con gesto sleale il segreto dell'urna è stato violato. Non il plico ha parlato, gli dice Carlo, ma il ritratto; nel rivelargli d'essere il fratello di Leonora, sfida Alvaro a duello. Questi risponde di non temere minacce, ma non vuole usare violenza contro un amico. Quindi, con calma, tenta di persuadere Carlo che non fu lui bensì il destino a causare la morte del padre e che inoltre non fu lui a sedurre la sorella: entrambi dal cielo vedono la sua innocenza; e a Carlo, che gli chiede di Leonora, racconta d'esser caduto, nella notte fatale, gravemente ferito; guarito, per un anno si mise in traccia di lei, ma invano: seppe che era morta. Menzogna! gli ribatte Carlo: Leonora fu ospite di un'anziana parente; ma quando egli aveva finalmente rintracciato il suo rifugio, ella era già fuggita. Dunque Leonora vive! Nella massima agitazione Alvaro non sa trattenere la sua gioia; e, preso dall'entusiasmo di potersi ora stringere a lei in matrimonio (No, d'un imen il vincolo), invita Carlo a cercarla insieme, vantando la propria illustre origine. Ma Carlo gli dà dello stolto e riafferma il desiderio di vendicare l'onta, trucidando entrambi.A questo punto Alvaro reagisce violentemente e sfida Carlo a duello (Morte! ov'io non cada esanime). Scambiandosi minacce di morte, i due sguainano le spade

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e si battono furiosamente. Accorre repentina la pattuglia del campo a separarli. Carlo cerca invano di liberarsi e viene trascinato via mentre continua a inveire contro il "carnefice" di suo padre. Alvaro, abbattuto, si chiede ora che fare. D'un tratto getta la spada e dichiara di rifugiarsi in un convento ove cercare pace e oblio. 24. CORO E STROFE. Spunta il sole. Il rullo dei tamburi e lo squillo delle trombe danno il segnale del risveglio. Soldati spagnoli e italiani escono dalle tende ripulendo le armi e le uniformi. Ragazzi militari giocano a dadi sui tamburi: le vivandiere vendono liquori, frutta e pane. I soldati lodano le gioie della vita militare (Lorché pifferi e tamburi). Altri soldati rispondono all'interno al loro canto; quindi corrono festosamente in scena. Preziosilla, in alto nella sua baracca, li incita a essere valorosi in guerra e li invita ad avvicinarsi a lei per conoscere il loro futuro (Venite all'indovina). I soldati le rispondono festosi. 25. SCENA ED ARIETTA (SORTITA DEL RIVENDUGLIOLO). Le vivandiere versano vino ai soldati, che brindano ai due eserciti, italiano e spagnolo, al loro eroe don Federico Herreros e al suo amico don Felice de Bornos. La scena è animatissima. L'attenzione è attirata da Trabuco rivendugliolo, che dalla bottega a sinistra viene avanti con una cassetta al collo dove sono esposti oggetti di scarso valore (A buon mercato chi vuol comprare). È subito attorniato dai militari che cercano di vendergli monili, anelli, orologi; il rivendugliolo, dopo averli dichiarati "robaccia" al fine di tirare sul prezzo, trova il modo di aggiustarsi con i soldati. Poi questi, stufi dell'imbroglione, lo cacciano via. Contento per gli affari fatti, Trabuco si avvia ad altro lato del campo, riprendendo il suo imbonimento. 26. CORO. Arrivano i contadini questuanti, conducendo per mano dei ragazzi. Sono affamati e afflitti e vanno cercando un po' di pane giacché la guerra ha devastato i campi (Pane, pan per carità). Avanzano infine delle giovanissime reclute, piangenti per aver abbandonato le loro madri. Le vivandiere si accostano gaiamente a loro offrendo da bere. Preziosilla, entrando fra i nuovi arrivati, ne prende alcuni per il braccio, burlescamente li scuote dai loro piagnucolii (Che vergogna, che vergogna!) e li incoraggia ad approfittare delle gioie della vita militare, cercando tra le tante la ragazza che potrà consolarli; si avvicinano anche le vivandiere, invitando le reclute a non piangere e promettendo loro di consolarle e amarle quali sorelle. 27. CORO - TARANTELLA. A un tratto le vivandiere prendono risolutamente le reclute per il braccio e s'incomincia una vivacissima danza generale, una tarantella, accompagnata dal coro (Nella guerra è la follia). Ben presto la confusione e lo schiamazzo giungono al colmo. Alla fine entra fra' Melitone che, preso nel vortice della danza, è per un momento costretto a ballare con le vivandiere. 28. PREDICA. Riuscito finalmente a fermarsi, Melitone comincia a predicare (Toh, toh!... Poffare il mondo!): scuro in volto, rimprovera i soldati di comportarsi come Turchi, di preferire le bottiglie alle battaglie, di trescare con Venere e Bacco anziché vestire cenere e sacco, di trasformare i tabernacoli di Cristo in ricettacoli del tristo, di calpestare le feste, di bestemmiare... I soldati italiani gli danno contro; ma quelli spagnoli difendono il loro compatriota, incitandolo a proseguire. E infatti Melitone prosegue imperterrito nella predica. Alla fine, mentre i soldati spagnoli lo invitano a scappare, i soldati italiani cominciano a serrarlo intorno, cercando di picchiarlo; ma il frate se la svigna, continuando a declamare. 29. RATAPLAN. Preziosilla, entrando in scena, invita i soldati che inseguono Melitone a lasciar perdere; ma questi non sembrano ascoltarla. Allora prende a caso un tamburo e, imitata da qualche tamburino, lo suona, riportando la calma tra i presenti. I soldati accorrono tosto a circondarla seguiti da tutta la turba. Al suono del tamburo e accompagnata dal coro, Preziosilla canta un inno che incoraggia alla vittoria (Rataplan, plan, plan).

ATTO QUARTO Vicinanze di Hornachuelos. Interno del Convento della Madonna degli Angeli. Meschino porticato circonda una corti-cella con aranci, oleandri, gelsomini.Alla sinistra dello spettatore è la porta che mette alla via; a destra altra porta sopra la quale si legge Clausura. 30. CORO ED ARIA BUFFA. Il Padre Guardiano passeggia con atteggiamento grave leggendo il breviario. Entrano molti pezzenti di ogni età con rozze scodelle in mano, pignatte o piatti; stufi

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d'aspettare, chiedono la carità. Fra Melitone viene dalla destra, coperto il ventre di un ampio grembiule bianco; aiutato da un altro laico, porta una grande caldaia a due manici, che viene deposta al centro. Il laico riparte. I pezzenti si spingono fra loro per avere la minestra. Melitone li tiene a bada (Che? siete all'osteria?) e comincia a distribuire la minestra col ramaiolo: chi ne vuole tre porzioni, chi quattro perché ha sei figli... Melitone comincia a innervosirsi, accennando alla "spaventosa" fecondità dei pezzenti: quella gente ha troppi figli, meglio sarebbe se recitassero rosari. Il Padre Guardiano con calma lo invita alla pazienza. Ma Melitone non riesce a trattenersi e agita il ramaiolo quando qualcuno, presentando le scodelle, chiede ancora di quel "fondaccio". Per giunta i pezzenti gli fanno notare che ben maggiore carità usava loro il padre Raffaele (sotto il cui nome, come si vedrà, si nasconde don Alvaro). Al sentire quel nome Melitone comincia a perdere la pazienza, invano moderato dal Padre Guardiano, che gli ricorda che la carità è un dovere. Ma Melitone non sa trattenersi e reagisce dando dei "bricconi" ai pezzenti, che continuano a rinfacciargli la bontà di padre Raffaele, un vero angelo, un santo...Alla fine, spazientito, dà un calcio alla caldaia, che rotola per terra (17 resto a voi, prendetevi) e si mette a inveire contro i pezzenti che insistono nel decantare la generosità di padre Raffaele. Poi si toglie indispettito il grembiule e, percuotendo con esso i pezzenti confusamente, li scaccia; quindi chiude la porta, restando adirato e stanco. 31. SCENA E DUETTO. Asciugandosi il`sudore con un fazzoletto bianco che ha cavato da un manica, Melitone si riprende dalla fatica e dall'ira. Il Padre Guardiano lo redarguisce, invitandolo all'umiltà; né soffra nel vedersi preferito il padre Raffaele. Melitone protesta la sua amicizia per lui; tuttavia osserva che questo padre ha degli strani atteggiamenti e racconta al Padre Guardiano che una volta, per avergli detto scherzando che sembrava un mulatto, reagì malamente, e che un'altra volta, durante una tempesta, quando il campanile fu colpito da un fulmine, avendogli gridato che gli pareva un "indian selvaggio", n'ebbe per risposta un urlo agghiacciante; ricordando che un tempo il demonio abitò nel convento in abito da frate, Melitone si chiede se il padre Raffaele non sia un suo parente... Il Padre Guardiano giudica temerario un tale giudizio e piuttosto osserva al frate che l'astinenza e la penitenza hanno turbato l'animo di padre Raffaele (Del mondo i disinganni); ma Melitone pensa che astinenza e penitenza gli hanno invece guastato il capo. 32. SCENA. Si sente suonare con forza il campanello alla porta. Melitone va ad aprire, mentre il Padre Guardiano esce di scena. Alla porta si presenta don Carlo avviluppato in un grande mantello. Entra francamente e con tono altero e deciso chiede di padre Raffaele. Melitone gli precisa che con tal nome ve ne sono due: uno grasso e sordo, l'altro scarno e con certi occhi! Quale dei due? "Quel dell'inferno" gli risponde don Carlo. Melitone non ha dubbi: si tratta di quello scarno... Promette al forestiero, che tace il proprio nome, di annunciarlo; e subito esce dileggiando fra sé la boria di un cavaliere tanto "male in arnese". 33. SCENA E DUETTO. Rimasto solo e in attesa, Carlo dichiara il proprio inesauribile odio e la sete di vendetta: invano Alvaro si è nascosto al mondo; solo il suo sangue può lavare l'oltraggio recato al suo onore; e quel sangue Carlo giura di versarlo. Si presenta il padre Raffele, sotto il cui saio si cela don Alvaro. Subito Carlo si fa riconoscere: da cinque anni è sulle sue tracce; ora è giunto il momento di cancellare l'infamia (Col sangue sol cancellasi); fattosi monaco, il seduttore non ha armi; ebbene, egli, Carlo, ha portato due spade: all'avversario la scelta. Ma Alvaro rifiuta l'offerta di un'arma: il saio che veste dice che egli è penitente; prega dunque Carlo di andarsene. Questi gli dà del codardo. A questo insulto Alvaro trasale e subito insorge; ma tosto si frena, invocando il Signore: le-parole crudeli non lo scuotono (Le minacce, i fieri accenti); piuttosto implora perdono, invitando il "fratello" a rassegnarsi al volere del destino. Ma Carlo non vuole essere contaminato da tal nome e accusa Alvaro di avergli sedotto e abbandonato la sorella. Alvaro protesta e in nome della sua veste sacra giura di aver amato e di amare ancora Leonora e di non averla mai disonorata. Carlo è tuttavia implacabile e insiste perché Alvaro impugni l'arma per scendere a duello con lui. Per convincere Carlo, Alvaro compie un atto da lui mai fatto: s'inginocchia ai suoi piedi. Ma Carlo dichiara che tale atto conferma la sua vile origine. Questi balza in piedi furente, perde il controllo di sé, afferra la spada e sta per raccogliere la provocazione, quando di nuovo la voce della coscienza prende il sopravvento: getta la spada e invita Carlo a partire. Ma questo è troppo per Carlo, che gli dà del vigliacco, consacrandolo al disonore con uno

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schiaffo. Questo produce finalmente l'effetto tanto desiderato. Invaso da un'ira furente, Alvaro raccoglie la spada (Ah, segnasti la tua morte'); chiedendo l'uno il sangue dell'altro, i due si precipitano fuori dal convento per ingaggiare un duello mortale. Valle fra rupi inaccessibili, attraversata da un ruscello. Nel fondo, a sinistra dello spettatore, è una grotta con porta praticabile, e sopra una campana che si potrà suonare dall'interno. 34. MELODIA. È il tramonto; la scena si va oscurando lentamente, mentre appare una splendida luna. In orchestra risuona il tema del destino; alla fine si ode una voce interna che invoca "Pace!".All'ingresso della spelonca si presenta Leonora, pallida, sfigurata, agitatissima (Pace, mio Dio!). La sua sofferenza è acuta sin dal primo giorno. Invano invoca pace! Ama ancora intensamente Alvaro, né riesce a dimenticare la sua immagine. Lo ama ancora, pur sapendo che non lo rivedrà mai più. Mentre in orchestra riaffiora il tema del destino, Leonora invoca la morte, che solo potrà darle calma, poiché finora invano ha sperato pace. Va verso un sasso, ove sono alcune provviste deposte dal Padre Guardiano; all'atto di raccoglierle sente un trambusto interno... Nessuna anima viva può profanare quel luogo! Leonora scaglia la maledizione su chiunque osi avvicinarsi; quindi torna rapidamente nella grotta e vi si rinchiude. 35. SCENA E TERZETTO FINALE. Si ode dentro la scena un cozzare di spade. Poi dall'interno una voce chiede aiuto: è la voce di Carlo morente che invoca un confessore. Alvaro entra con la spada sguainata, stravolto per aver ancora versato il sangue dei Vargas. Getta la spada e corre alla grotta, batte la porta e chiede un confessore per un uomo che muore. Una voce risponde che non può. Egli batte con più forza. Al terzo richiamo Leonora suona la campana, invocando aiuto. Poi si presenta sulla porta, ricordando la maledizione che grava sui temerari che osano appressarsi a quel luogo. Una donna! Alvaro è sorpreso: ne riconosce la voce. A sua volta Leonora riconosce Alvaro, redivivo, e s'avanza verso di lui come per abbracciarlo. Ma subito questi si scosta da lei, gridando che le sue mani grondano sangue: accennando al bosco, avverte Leonora che vi giace un uomo ferito a morte; tutto ha fatto per evitare il duello, ma invano; quell'uomo è suo fratello! Leonora con un grido corre precipitosamente verso il bosco. Sepolcrali accordi dell'orchestra scandiscono le riflessioni di Alvaro sul suo destino avverso: ritrova Leonora viva proprio nel momento in cui egli le ha trucidato il fratello... Un grido acuto proviene dall'interno; annunciata dai violenti scossoni dell'orchestra, Leonora ferita entra sostenuta dal Padre Guardiano: pur nell'ora estrema, ella dice, il fratello non ha saputo perdonare e s'è vendicato trafiggendola a morte. Alvaro impreca ferocemente contro la volontà di Dio. Ma il Padre Guardiano con tono solenne lo invita a umiliarsi a Colui che è giusto e santo (Non imprecare, umiliati): che la furia dell'ira non gli faccia proferire parole sacrileghe. Intanto Leonora con dolcissimo accento esorta Alvaro a piangere e a pregare, promettendogli dal cielo il perdono di Dio. A quell'accento egli non sa resistere: si getta ai piedi di Leonora dichiarandosi redento e perdonato dal cielo. Leonora, ormai morente, assicura Alvaro di non essere perduta per lui, ma soltanto di precederlo in cielo (Lieta poss'io precederti): là cesserà ogni guerra e santo l'amore sarà. E mentre il Padre Guardiano eleva lode a Dio per la redenzione di Alvaro, questi, pur commosso dalle parole di Leonora, si sente condannato a vivere: proprio lui, il vero colpevole, resterà impunito. Leonora si sente mancare. Gli ultimi rantoli. Poi ella muore. Il Padre Guardiano la benedice: "Salita a Dio!". Sulla cadenza finale della melodia di Leonora, affidata al suono etereo dell'arpa e degli archi in tremolo, cala assai lentamente la tela.

Don Carlos (Don Carlo) Opera in 5 atti - Parole di Joseph Méry e Camille du Lode

(traduzione italiana di Achille de Lauzières, revisione di Angelo Zanardini) Prima rappresentazione: Parigi, Opéra, 11 marzo 1867

Nuova versione in 4 atti: Milano,Teatrò alla Scala, 10 gennaio 1884 [Versione in 5 atti: Modena,Teatro Comunale, 26 dicembre 1886]

L'argomento, elaborato da Joseph Méry, è ispirato in gran parte alla tragedia in versi di Schiller Don Carlos, Infant von Spanien,pubblicato nel 1787 e rappresentato in Amburgo nel 1797 (il medesimo soggetto era stato proposto a Verdi dai librettisti Royer e Vaéz al tempo del Rigoletto). Le trattative per una nuova opera da rappresentarsi all'Opéra di Parigi, iniziatesi nel luglio del 1865 con una visita dell'editore Escudier a S.Agata, si erano concluse in dicembre dopo un viaggio

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del maestro nella capitale francese. Il libretto fu affidato a Méry, che chiamò a collaborarvi Camille Du Lode. L'opera ebbe un lungo periodo di gestazione, inconsueto per un compositore come Verdi, solitamente rapido nell'affrontare la composizione di un'opera dopo una fase di meditazione e di elaborazione. Il primo atto viene finito nel marzo del 1866, il secondo in maggio, il terzo atto ai primi di giugno, il quarto atto ai primi di luglio. Morto nel frattempo Méry, il libretto veniva completato da Du Lode. In agosto, mentre iniziano le prove, Verdi si trasferisce a Cauterets (Pirenei) per comporre il quinto atto. A settembre rientra a Parigi; a dicembre l'opera era formalmente terminata, salvo il ballo. Nell'inverno del 1867 compone il ballo e apporta modifiche radicali alla partitura. Intanto l'ufficio di censura esprime parere contrario su alcuni punti di scena considerati dal punto di vista religioso, imponendone la revisione; ma Verdi nulla muta di quanto già fatto. L'opera va in scena l' 1 1 marzo. L'esito è buono nel complesso; ma pubblico e critici sono in parte disorientati dalle novità stilistiche e l'accusa di `tvagnerismo' trapela da più di una critica. L'opera inizia il suo cammino sulle scene internazionali, spesso con numerosi tagli. In Italia va in scena per la prima volta al Comunale di Bologna sotto la direzione & Angelo Mariani il 26 ottobre 1867. Nel dicembre del 1872 Verdi stesso pone in scena l'opera al S. Carlo di Napoli e per l'occasione apporta alcune modifiche, in particolare al duetto Filippo - Posa su nuovi versi di Ghislanzoni. Ma ormai Don Carlo viene rappresentato, ove l'autore o direttori di sua fiducia non sono presenti, largamente amputato, con il taglio, in particolare dell'intero primo atto, del ballo, della sommossa. Di fronte a queste manomissioni Verdi riflette sulla convenienza di ridurre lo spartito alle dimensioni consuete dell'opera italiana in quattro atti - anche al fine di conferire maggiore organicità al "mosaico" - onde renderne più agevole la diffusione sulle scene e soprattutto per non lasciare l'opera alla mercé dei "maestri scorticatori". Nella primavera del 1882 Verdi procede a una radicale revisione del Don Carlo sulla base del testo francese, modificato dietro sua richiesta da Du Lode. Vengono eliminati il primo atto, la scena iniziale del terzo atto e la scena finale dell'opera (in cui Filippo e il Grande Inquisitore sottopongono a processo Carlo accusandolo di incesto, di eresia e di ribellione). Vengono musicati ex novo molti squarci e intere scene, fra cui il duetto Carlo - Posa (giunto, dopo una rilettura del testo schilleriano, alla sua quarta e definitiva stesura), gran parte della scena Filippo - Elisabetta nel quarto atto, il successivo quartetto, la scena della sommossa, l'ultimo duetto Elisabetta - Carlo e il finale dell'opera. Inoltre Verdi aggiunge un preludio al terzo atto, divenuto secondo, in sostituzione del duettino e del ballo. Così ridotto, il dramma viene spostato dal versante psicologico - imperniato sul triangolo Elisabetta, Carlo, Filippo - verso quello «politico", con un nuovo baricentro che converge maggiormente sulla figura di Filippo e, contro le stesse intenzioni dell'autore, su quella di Posa. Con l'eliminazione dell'atto di Fontainebleau, l'epilogo suona come appendice; e l'impressione di una vicenda che si conclude in pratica con la morte di Posa risulta accentuata. Ma proprio in questo squilibrio risiede la compiuta incompiutezza del dramma e la sua ragion d'essere. La nuova versione va in scena con buon successo alla Scala il 10 gennaio 1884 Due anni dopo l'opera perviene alla sua ultima e apparentemente definitiva versione: restano inalterate tutte le parti nuove e tutte quelle ritoccate per la versione di Napoli e successivamente per l'edizione in quattro atti, ma viene ripristinato l'atto di Fontainebleau (e con esso la collocazione originaria dell'aria di sortita di Carlo). In questa versione, senza ballabili, l'opera va in scena il 26 dicembre 1886 al Comunale di Modena, senza destare particolare-clamore. La storia delle versioni del Don Carlo si riapre a oltre un secolo di distanza dopo la scoperta da parte di alcuni studiosi delle scene omesse alla vigilia della prima assoluta parigina, in particolare il coro d'introduzione e il concertato che segue la morte di Posa. Con il ripristino di queste due importanti scene l'opera è stata eseguita nel 1973 alla Fenice di Venezia e nel 1977 alla Scala di Milano.

PERSONAGGI E PRIMI INTERPRETI Parigi 1867 Milano 1884

DON CARLO, infante di Spagna tenore Jean Morère Francesco Tamagno FILIPPO II, re di Spagna basso Louis-Henri Obin Alessandro Silvestri RODRIGO, marchese di Posa baritono Jean-Baptiste Faure Paolo Lhérie IL GRANDE INQUISITORE, basso J. David Francesco Navarrini cieco, nonagenario

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Un MONACO basso Armand Castelmary Leopoldo Cromberg ELISABETTA di Valois soprano Marie-Constance Sasse Abigaille Bruschi Chiatti La principessa EBOLI mezzosoprano Pauline Gueymard-Lauters Giuseppina Pasqua TEBALDO, paggio di Elisabetta soprano Leonia Levielly Amelia Garten [Una voce dal cielo] soprano La CONTESSA D'AREMBERG [mima] Dominique Angelina Pirola Il CONTE DI LERMA tenore Gaspard Angelo Fiorentini Un araldo reale tenore Mermant Angelo Fiorentini Deputati fiamminghi, inquisitori, signori e dame della corte di Francia e di Spagna, boscaioli [e loro mogli, cacciatori], popolo, paggi, guardie di Enrico Il e di Filippo Il; frati, famigliari del Sant'Uffizio; soldati; magistrati; deputati delle province dell'Impero Spagnolo, ecc. Scena: l'azione ha luogo in Francia (1° atto) e in Spagna (2°, 3°, 4° e 5° atto) Epoca: Verso il 1560 Nota storica: Unico figlio maschio di Filippo II e di Maria di Portogallo ed erede designato al trono di Spagna, don Carlos venne imprigionato nelle sue stanze all'Alcazar di Madrid fra il 18 e il 19 gennaio 1568; vi morì ventitreenne il 24 luglio di quell'anno in circostanze oscure. Sembra che sin da bambino avesse manifestato segni di squilibrio mentale; dal 1865 era stato coinvolto dai ribelli delle Fiandre in complotti contro il padre. Filippo II (Valladolid 21.5.1527 - Escorial 13.9.1598), figlio di Carlo V, sposò Elisabetta di Valois, figlia di Enrico II di Francia e di Caterina de Medici, nel 1559 in terze nozze (in precedenza aveva sposato Maria Emanuela di Portogallo nel 1543, quindi Maria Tudor nel 1554; nel 1570 avrebbe poi sposato Anna d'Austria) a suggello della pace segnata in quell'anno a Cateau-Cambrésis con la Francia, da lui sconfitta il 10 agosto 1557 nella battaglia di S. Quintino. Elisabetta morì il 3 novembre 1868, pochi mesi dopo la scomparsa del figliastro Carlos; la sua morte precoce fece nascere l'insinuazione di una vendetta di Filippo II causata da gelosia nei confronti di Carlos. Nel dramma parte dell'azione si svolge nel convento di S. Giusto e viene inoltre citato l'Escorial. Il convento di S. Giusto (San Jerónimo de Yuste) fu l'estremo ritiro di Carlo V (1500-1558) il quale, dopo aver rinunciato alla dignità imperiale (1556), vi vestì il saio e vi morì. L'Escorial è un palazzo-monastero nella cittadina omonima fatto costruire su pianta quadrilatera (a immagine della graticola di S. Lorenzo) da Filippo II (1563-1584) a celebrazione della battaglia di S. Quintino, da destinarsi a dimora del re di Spagna. Nel dramma si accenna inoltre alla rivolta delle Fiandre: il movimento indipendentista protestante dei paesi fiamminghi si era manifestato con ribellioni già al tempo di Carlo V; particolarmente violenta fu l'insurrezione del 1566, soffocata nel sangue dal duca d'Alba.

RIASSUNTO DELL'AZIONE DRAMMATICA N.B. Il riassunto si basa sull'edizione in 5 atti reintegrata di due scene da Verdi espunte alla vigilia della prima rappresentazione: il coro d'introduzione nel primo atto (n. 1) e il concertato dopo la morte di Posa (n. 25). Non viene invece contemplato il giudizio dell'Inquisizione nella scena finale, anche se recentemente ripristinato in alcune rappresentazioni, e ciò in base al giudizio dello stesso Verdi dopo la revisione in quattro atti:"Non vi stupisca veder tolto il Coro Finale degli Inquisitori. Non erano che note. Il Dramma non aveva bisogno né di quelle note, né di quelle parole. Al contrario" .

ATTO PRIMO La foresta di Fontainebleau. L'inverno. A destra un grande masso forma una specie di antro. Nel fondo in lontananza il palazzo reale. 1. INTRODUZIONE - CORO DI CACCIATORI. Alcuni boscaioli sono occupati a tagliare delle querce; altri attraversano la scena portando fascine, dei pezzi di legno e degli strumenti di lavoro; le loro mogli e i loro bambini si scaldano attorno a un grande fuoco acceso sotto il grande masso. I boscaioli lamentano il lungo freddo invernale e protestano per il pane caro (L'inverno è lungo!); le loro donne protestano per la guerra che tiene lontani i loro figli. I due cori si uniscono poi per tornare a lamentare il freddo e la fame. Infine un Corifeo invita gli uomini a tornare al lavoro: la pace ridonerà giorni migliori.All'improvviso si odono dall'interno, da destra e da sinistra, fanfare di caccia e voci di cacciatori che incitano all'inseguimento della preda. All'udirle i boscaioli esprimono invidia per la sorte felice dei re. Entra Elisabetta di Valois a cavallo, condotta dal paggio Tebaldo e seguita da valletti e battistrada. I boscaioli e le loro mogli le si appressano: la figlia del re appare a loro bella non meno che buona. Ella arresta il suo cavallo in mezzo ai boscaioli chiedendo loro di che hanno bisogno. Questi conducono alla sua presenza una contadina in lutto: per lei, che ha perduto due figli in guerra, chiedono soccorso. Elisabetta le dona una catena d'oro; poi, rivolgendosi ai boscaioli, dichiara che la guerra presto finirà: un messo del re di Spagna è stato inviato dal re Enrico, suo padre, per firmare la pace. Il coro ringrazia augurando alla principessa

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uno sposo che assicuri la pace ai lavoratori. Elisabetta sorride, saluta i boscaioli e riprende il cammino col suo seguito al suono delle fanfare. In questo momento appare a sinistra don Carlo che va a nascondersi fra gli alberi. Mentre riprendono all'interno le voci dei cacciatori all'inseguimento della preda, i boscaioli guardano Elisabetta che s'allontana, riprendono i loro utensili, si rimettono in cammino e si disperdono per i sentieri del fondo. 2. SCENA E ROMANZA. Carlo, rimasto solo, balza fuori dall'oscurità: saluta la foresta che ha visto passare la sorridente Elisabetta; sfidando le ire del padre Filippo, ha lasciato Madrid confondendosi nel corteo dell'ambasciatore reale per poter conoscere in incognito la futura sposa; ora l'ha vista (IO la vidi e al suo sorriso) e il suo cuore si schiude alla gioia e alla speranza. 3. SCENA. Carlo vuol correre sulle tracce di Elisabetta; ma si arresta incerto e ascolta: s'ode in lontananza un suono di corni; i cacciatori sono ormai lontani. Il giorno è tramontato e nel cielo azzurro brilla la prima stella; come trovare la via del castello reale attraverso la foresta? Ad un tratto all'interno la voce di Tebaldo chiama a sé i paggi reali e i boscaioli; quindi egli appare in scena; al suo braccio s'appoggia Elisabetta. Entrambi scendono a piedi per un sentiero. Carlo, felicemente sorpreso al giungere di Elisabetta, si ritira in disparte. 4. SCENA E DUETTO.Tebaldo è terrorizzato non trovando più la via del ritorno; la notte è buia e fa freddo; tuttavia egli esorta la principessa a procedere, ma ella è stanca. A questo punto Carlo appare e, inchinandosi a Elisabetta, le si presenta come spagnolo al seguito del corteo che accompagna l'ambasciatore di Spagna, il conte di Lerma. Intanto Tebaldo, andato sul fondo, vede da lontano la reggia di Fontainebleau; vuole accorrervi per ricondurvi la principessa. Con tono autorevole Elisabetta gli ordina d'affrettarsi al castello senza timore e, indicando Carlo, dichiara d'aver fede nell'onore spagnolo. Tebaldo s'inchina ed esce. Carlo, la mano sulla spada, si pone fieramente alla destra di Elisabetta. Questa alza gli occhi su Carlo: i loro sguardi s'incontrano, e Carlo, come d'istinto, s'inchina. Elisabetta si pone a sedere sopra un masso di roccia guardando Carlo che rompe alcuni ramoscelli sparsi a terra e ravviva il fuoco; quindi gli chiede se la pace potrà esser conclusa. Carlo le conferma che entro sera saranno stipulate le sue nozze col figlio del re di Spagna. Elisabetta subito gli chiede di lui (Ah! Favelliam di lui): ha timore d'andare lontano, esule dalla Francia, senza essere sicura del suo amore. Il giovane la rassicura: don Carlo già arde d'amore per lei. L'animo di Elisabetta si apre alla speranza. Ma d'un tratto il cuore le balza in seno:"chi siete mai?" chiede al giovane. Questi le risponde offrendole uno scrigno consegnatogli dall'Infante di Spagna: vi è rinchiuso il suo ritratto. Elisabetta, sorpresa e tremante d'emozione, apre lo scrigno, guarda il ritratto e riconosce nel giovane l'Infante. Questi cade ai suoi piedi dichiarandole il proprio amore. Elisabetta si sente trasportata da una felicità suprema (Di quale amor). S'ode un colpo di cannone. Le terrazze illuminate di Fontainebleau brillano in lontananza. È il segnale della pace firmata. Per i due giovani l'orrore della foresta è sparito: ora si appresta per loro un avvenire felice (Ah non temer - ritorna in te). Tebaldo entra vivamente con alcuni paggi che portano fiaccole e s'avanza verso Elisabetta; le si prostra e, baciandole l'orlo della veste, chiede, in cambio della notizia che sta per darle, di poter restare sempre al suo servizio. Quale notizia? chiede Elisabetta. Il paggio la saluta come sposa del re Filippo. Impetuosamente Elisabetta protesta d'essere destinata all'Infante. Tebaldo ribadisce: re Enrico l'ha destinata al monarca di Spagna. Elisabetta è sconvolta (L'ora fatale è suonata!): su un ritmo di marcia che sembra l'avvicinarsi inesorabile di un crudele destino ella dichiara che, pur di sottrarsi a una simile catena, sfiderebbe la morte; Carlo si sente gelare il cuore: vede aprirsi un abisso davanti a sé. 5. CORO, SCENA E FINALE PRIMO. Mentre Elisabetta e Carlo, prostrati dal dolore, restano come immobili, un coro interno, lontanissimo, che si avvicina a poco a poco sul ritmo di marcia, inneggia alla pace e alle nozze della bella Elisabetta con il re di Spagna. Entra infine il conte di Lerma, accompagnato dalla contessa d'Aremberg, da dame della regina, cortigiani, paggi e valletti che portano fiaccole e una lettiga, e seguito da gente del popolo. Lerma reca l'annuncio ufficiale delle nozze della figlia del re di Francia con il monarca di Spagna quale suggello d'amicizia fra i due stati e garanzia di pace; tuttavia Filippo lascia a Elisabetta facoltà di accettare. Elisabetta appare titubante; ma le donne del popolo la implorano di accettare. Con voce flebile e con la morte nel cuore la principessa pronuncia il fatale "sì", così sacrificando gli affetti privati alla pace fra i popoli. Tutti esultano elevando un canto di giubilo, mentre Elisabetta e Carlo esprimono a parte il

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dolore per un amore che non troveranno mai più. Infine Elisabetta, condotta dal conte di Lerma, entra nella lettiga. Carlo resta desolato, col capo tra le mani, appoggiato alla roccia dove Elisabetta era seduta. Il corteo si mette in cammino e con grida di gioia si allontana a poco a poco. Solo, affranto dal dolore, Carlo rimpiange un bel sogno durato un istante e svanito nel nulla.

ATTO SECONDO PARTE PRIMA. Il chiostro del convento di San Giusto.A destra una cappella illuminata. Vi si vede attraverso un cancello dorato la tomba di Carlo V A sinistra una porta che conduce all'esterno. in fondo la porta interna del chiostro. Giardino con cipressi. È l'alba. 6. CORO ED ARIA. La scena è introdotta da u- na lugubre melodia intonata da quattro corni. Un Frate è prostrato davanti alla tomba di Carlo V. Dalla cappella si ode provenire un coro di monaci (Carlo, sommo imperatore) che pregano per Carlo V, il potente imperatore che ora non è più che muta cenere. Sul loro canto si eleva, vigorosa, la voce del Frate, che commenta le parole del coro: l'orgoglioso imperatore volle regnare sul mondo dimenticando che solo Dio è grande; da lui si implori misericordia. Il giorno spunta lentamente. Carlo, pallido ed esterrefatto, erra sotto le volte del chiostro. Si arresta per ascoltare e si scopre il capo. S'ode suonare una campana. I monaci escono dalla cappella, attraversano la scena e si sperdono nei corridoi del chiostro. 7. SCENA. Carlo cerca di trovare pace presso la tomba di Carlo V, ma invano: l'immagine di colei che gli fu rapita erra con lui nel chiostro. Il Frate si alza dalla preghiera e gli si avvicina ammonendo: i dolori della terra ti seguono dovunque; solo in cielo è la pace. Carlo arretra: è questa la voce dell'imperatore? si dice che egli appaia ancora nel chiostro. Il Frate gli passa lentamente davanti e sparisce nel chiostro ripetendo da lontano il suo ammonimento. Carlo è atterrito... 8. SCENA E DUETTO. Entra rapidamente don Rodrigo, marchese di Posa. Carlo si getta impetuosamente fra le braccia dell'amico, il suo angelo consolatore. Rodrigo lo informa che i fiamminghi lo invocano come loro salvatore (L'ora suonò; te chiama il popolo fiammingo); ma nota il pallore di Carlo e i segni del dolore sul suo volto; con trasporto invita l'amico a svelarne il motivo. Carlo confessa d'amare d'un colpevole amore Elisabetta. "Tua madre!" esclama allibito Rodrigo, che per un attimo s'allontana dall'amico. Ma poi ritorna e nel confermargli la propria amicizia lo invita a ottenere dal re di partire per la Fiandra: impari in mezzo a gente oppressa a diventare un re. Carlo acconsente. S'ode il suono d'una campana: è il segnale che Filippo e la regina stanno per giungere nel chiostro. Il pensiero di rivedere Elisabetta fa vacillare Carlo; ma Rodrigo lo conforta esortandolo a invocare dal cielo la virtù dei forti. Insieme giurano a Dio di vivere e di morire insieme (Dio, che nell'alma infondere). Appare Filippo in mezzo ai frati dando la mano a Elisabetta; lo seguono paggi, recanti su un cuscino il libro di preghiere, e alcuni gentiluomini. Rodrigo si allontana da Carlo, che s'inchina davanti al re cupo e sospettoso, cercando di frenare la propria emozione. Elisabetta nel vederlo trasale, ma procede con il re verso la cappella. Giunto davanti alla tomba del padre, Filippo lascia la mano di Elisabetta e s'inginocchia per un istante, scoprendosi il capo; quindi si rialza e prosegue il suo cammino a fianco della regina, mentre all'interno riprende il canto dei frati (Carlo, sommo imperatore), seguito da quello del misterioso monaco che proclama la grandezza di Dio e la sua misericordia. Carlo quasi non lo ascolta, ossessionato dalla perdita di Elisabetta; ma Rodrigo lo chiama a sé e insieme ripetono il giuramento. PARTE SECONDA. Un sito ridente alla porte del chiostro di San Giusto. Una fontana; sedili di zolle; gruppi di alberi d'aranci, di pini e di lentischi. All'orizzonte le montagne azzurre dell'Estremadura. In fondo a destra, la porta del Convento; vi si ascende per qualche gradino. 9. CORO E SCENA. Dame della regina e paggi sono in scena; le dame siedono sulle zolle intorno alla fontana; i paggi sono in piedi accanto a loro; un paggio sta accordando una mandolina. Le dame intonano un coro di lode alla frescura del luogo (Sotto ai folti, immensi abeti). Sopra un interludio entra Tebaldo con la principessa d'Eboli, cui fa notare la bellezza del giardino. Riprende quindi il coro delle dame, cui si unisce anche il paggio.

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10. CANZONE DEL VELO. Dopo aver osservato che fra le mura del chiostro solo la regina può entrare, la principessa d'Eboli esprime il desiderio, visto che il sole non è ancora tramontato, di cantare un canzone; si fa recare la mandolina e suggerisce di cantare la "canzone del velo", propizia all'amore (Nel giardin del bello). La canzone, d'argomento moresco, narra la storia di re Mohammed che fa la corte a una bella almèa velata nei giardini del palazzo e finisce per scoprire che ella è sua moglie.Tebaldo e il coro intonano il ritornello invitando a tessere i veli finché è giorno. 11. SCENA,TERZETTO DIALOGATO - ROMANZA DI RODRIGO. Entra la regina uscendo dal convento, accompagnata dalla contessa d'Aremberg. Tutti si inchinano. Eboli osserva la mestizia del suo volto. Elisabetta si siede presso la fontana accennando alla lieta canzone appena terminata. Sul fondo appare Rodrigo;Tebaldo s'avanza verso di lui, gli parla un momento a voce bassa, poi torna dalla regina per annunziarle la presenza del marchese di Posa. Questi s'inchina a Elisabetta scoprendosi il capo e dichiarandosi latore di un messaggio consegnatogli a Parigi dalla regina madre; mentre fa scivolare nelle mani di Elisabetta un biglietto scongiurandola sottovoce di leggerlo, le consegna il messaggio ostentandone di fronte alle dame il sigillo regale. Elisabetta rimane un momento confusa, immobile. Intanto Posa si accinge a conversare con Eboli per lasciare sola la regina; Eboli è tutta ansiosa di avere notizie sulle ultime mode di Parigi (Che mai si fa nel suoi francese); Posa fa in modo di trasformare le sue risposte in complimenti alla bellezza della stessa Eboli. Intanto Elisabetta guarda il biglietto senza aver il coraggio di aprirlo: le sembra di tradire l'onore del re; infine, facendosi forza, lo legge: è uno scritto di Carlo; in esso egli la implora, in nome del passato, di affidarsi a Posa. Elisabetta ringrazia il marchese e lo invita a chiederle un favore. Posa accetta, ma non per sé. Intuendo quale possa essere la sua richiesta, Elisabetta è colta da una forte agitazione interiore. E infatti Posa perora per Carlo (Carlo ch'è sol il nostro amore): il giovane sta languendo nel dolore; rivedere la regina ridarebbe vigore al suo cuore. Ciò udendo Eboli si sovviene d'aver visto una volta Carlo tremare presso la madre: nutrirebbe egli amore per lei stessa, Eboli? Rodrigo prosegue dicendo che il cuore del re è chiuso a Carlo; una parola d'affetto basterebbe ad alleviare la sua triste solitudine. Con dignità e risoluzione Elisabetta dichiara a Tebaldo di essere pronta a rivedere il figlio. Posa parla sommesso a Tebaldo che entra nel convento; quindi prende la mano di Eboli e s'allontana con lei parlando sottovoce. 12. GRAN SCENA E DUETTO. Don Carlo si mostra condotto da Tebaldo. S'avvicina lentamente a Elisabetta e s'inchina a lei senza alzare lo sguardo. Elisabetta, contenendo a fatica la propria emozione, fa cenno a Carlo di avvicinarsi. Intanto Rodrigo ed Eboli scambiano dei cenni con le dame e finiscono con l'allontanarsi disperdendosi fra gli alberi. La contessa d'Aremberg e le sue dame restano sole in piedi, a distanza, impacciate del contegno che debbono tenere; col pretesto di cogliere qualche fiore a poco a poco anch'esse si allontanano. Presentato da un dolente motivo dei legni Carlo, tentando di dominare la tempesta che ha nel cuore, implora la regina, dapprima con controllata calma, quindi con improvvisa vivacità, di un favore (Io vengo a domandar): l'atmosfera in cui vive è per lui soffocante; che ella interceda presso il re perché Io faccia andare nelle Fiandre. "Mio figlio!" gli risponde Elisabetta commossa. Ma questo appellativo fa infuriare Carlo. Elisabetta fa per allontanarsi; ma Carlo supplichevole l'arresta: chiede pietà per la propria infelicità. Controllando la propria emozione Elisabetta gli risponde che se il re le darà ascolto egli potrà partire per le Fiandre già l'indomani; quindi, facendogli un cenno d'addio, fa per uscire. Carlo resta come interdetto dal contegno di Elisabetta: non una parola di rimpianto per chi sta per andare in esilio (Ciel! non un sol detto)! Invano egli ha pianto e pregato per poi rivolgersi a un cuore di marmo. A queste parole Elisabetta si scuote, offesa (Perché accusar): si dichiara ben lungi dall'essere indifferente; ma ha il senso del dovere, e solo a questo ella risponde di fronte a Dio, sua unica speranza. Carlo non sembra ascoltarla, perduto nei sogni del passato; in soliloquio, con voce morente, si sente trasportato in cielo nel riudire la voce di lei (Perduto ben!). Elisabetta non riesce a trattenere l'emozione: dando l'addio all'amore di Carlo confessa che, vivendo accanto a lui, le si sarebbe schiuso il paradiso (Clemente Iddio). All'udire queste parole Carlo, con accento esaltato e come in trance, esprime il desiderio di morire ai piedi della donna amata, e così dicendo cade in deliquio al suolo. Elisabetta, commossa, si china su di lui per cercare di rianimarlo; teme davvero che l'uomo che il cielo le aveva destinato stia per morire. Carlo è ormai in delirio nell'udire parole

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d'amore (Qual voce a me dal ciel) e nel vedere accanto a sé la donna adorata così come la vide nella foresta di Fontainebleau. A poco a poco rinviene e impreca contro il cielo che non gli dà la morte. D'improvviso si rivolge con veemenza a Elisabetta prendendola fra le braccia (Sotto il mio pié si dischiuda la terra) e dichiarandole "Io t'amo". Elisabetta si scosta con violenza inveendo con sarcasmo contro Carlo: corra pure a svenare il padre e condurre all'altare la madre!... Il giovane retrocede atterrito e fugge disperato gridando "Maledetto io son!". Elisabetta cade in ginocchio ringraziando Dio per aver vegliato su loro. 13. SCENA. D'improvviso Tebaldo entra precipitosamente: "Il re!". Filippo si avanza; tutte le dame e i paggi entrano affannati; con essi anche Eboli e Posa. Ma è troppo tardi: il re ha visto la regina sola; e ciò è contro la sua legge. Chiede irato quale dama d'onore aveva il compito d'essere con lei, conforme l'etichetta di corte. Dal gruppo delle dame esce tremante la contessa d'Aremberg che s'inchina al re. Con tono imperioso questi ordina alla contessa di ritornare all'indomani in Francia, suscitando lo stupore generale. Mentre la contessa si ritira scoppiando in lagrime, tutti guardano la regina: appare evidente che il *re ha voluto offenderla. 14. ROMANZA. Sulla melodia introduttiva del corno inglese Elisabetta s'appressa alla contessa d'Aremberg per confortarla: bandita dalla Spagna ella non è bandita dal cuore della regina (Non pianger, mia compagna); e mentre tutti esprimono parole di conforto, Filippo a parte dubita della sincerità della consorte. Elisabetta dà alla contessa un anello che valga almeno a riparare l'oltraggio di cui la regina ancora arrossisce e la prega di salutare il bel suolo di Francia, dove ha passato i giorni felici della giovinezza. Quindi si separa piangendo dalla contessa, ed esce sorreggendosi a Eboli.Tutti la seguono. 15. SCENA E DUETTO. Anche Posa si accinge a partire. Ma Filippo imperiosamente gli ordina di restare. Posa pone un ginocchio a terra scoprendosi il capo; poi s'avvicina al Re e si copre il capo senz'alcun impaccio. Filippo gli chiede perché, solo fra i Grandi di Spagna, il marchese non abbia chiesto d'essere ammesso alla sua presenza; egli sa ricompensare i propri fedeli e sa anche che Posa lo ha servito con fedeltà e con valore in battaglia. Posa risponde d'essere pago di vivere nel rispetto della legge. A queste parole il re rammenta a Posa di perdonare talvolta l'audacia; non sempre.Tuttavia si chiede come mai un soldato valoroso come il marchese possa starsene inerte. Questi si dichiara pronto a combattere con la propria spada in difesa della Spagna. Tuttavia il re insiste: cosa può egli fare per lui? Il marchese nulla chiede per sé, ma per altri..."Per altri?" chiede sorpreso il re. Posa gli rivolge un appello per la libertà delle Fiandre (O signor, di Fiandra arrivo); ne è appena tornato dopo aver visto gli orrori che devastano quel bel paese messo a ferro e fuoco: fiumi di sangue vi scorrono, orfanelli che chiedono la carità, vedove che piangono i mariti massacrati; ora egli ringrazia Dio per essergli stato consentito di narrare al re la cruda agonia di quella terra. Filippo gli ribatte che solo eliminando nel sangue gli innovatori è riuscito ad assicurare pace e prosperità al proprio regno. Posa inorridito chiede cosa si possa costruire seminando morte. Gli risponde Filippo che artigiani e contadini sono fedeli al re senza lamentarsi; e solo il re è in grado di donare la pace alle Fiandre. "La pace dei sepolcri!" gli grida Posa, ammonendo il re: la storia non abbia a eternare il nome di Filippo come quello di Nerone... E rinnova un appello per la libertà delle Fiandre, dove ogni prete è un carnefice, ogni soldato un bandito (Quest'è la pace che voi date al mondo?); ed esorta infine il re a elevarsi al di sopra di ogni altro re rinnovando il mondo quale nuovo redentore e ridonando la libertà alle Fiandre. "O strano sognator", gli mormora Filippo: un sognatore che non conosce il cuore degli uomini come Filippo lo conosce. Mutando tono Filippo rassicura il marchese: il re nulla ha inteso; ma si guardi dal Grande Inquisitore! Infine, vedendo che Posa nulla chiede per sé, gli esprime il desiderio di volerlo accanto. Posa rifiuta. "Sei troppo altier" gli osserva Filippo; e bruscamente passa a un argomento che sta in cima ai suoi pensieri (Del capo mio che grava la corona), lasciandosi andare all'angoscia che opprime la sua anima di genitore disgraziato e di sposo infelice: sospetta una relazione fra la regina e il figlio. E a Posa che con impeto prende le difese di Carlo, Filippo con esplosione di dolore dichiara che nessun bene al mondo vale quanto Carlo gli ha tolto. Rodrigo, spaventato, lo guarda senza rispondere. In un impeto di sincerità Filippo gli affida il compito di scandagliare gli animi della regina e di Carlo; nel solo uomo al mondo che egli considera leale, Filippo ripone il proprio cuore.A parte, con trasporto di gioia, Posa esprime il proprio entusiasmo perché

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finalmente gli si è aperto l'animo del re (Inaspettata aurora in ciel appar0. Al momento di accomiatarsi il re si volge bruscamente a Posa rinnovandogli l'avvertimento di guardarsi dal Grande Inquisitore! Quindi gli tende la mano; Rodrigo piega il ginocchio e gliela bacia.

ATTO TERZO PARTE PRIMA. I giardini della regina a Madrid. Un boschetto chiuso. In fondo sotto un arco di verzura una statua con una fontana. Notte chiara. 16. INTRODUZIONE [E CORO] [nella versione con il Ballo]. Un lungo coro interno magnifica lo splendore notturno dei giardini illuminati (Quanti fior e quante stelle). Mentre dame e gentiluomini passano per recarsi al ballo della regina, entrano Elisabetta ed Eboli. Elisabetta doveva assistere al balletto in suo onore; ma è stanca, e pensando che il giorno dopo dovrà partecipare alla incoronazione di Filippo, desidera passare la notte in preghiera. Ella invita quindi Eboli a indossare la sua maschera e la sua collana e a prenderne il posto: nessuno s'accorgerà della sostituzione di persona. Mentre all'interno il coro continua a inneggiare alle bellezze della notte, la vanitosa Eboli non resiste alla gioia di essere regina per una notte (e intimamente immagina che Carlo riconoscendola diventerà ancor più pazzo di lei). Fa quindi un cenno a un paggio che passa e gli consegna un biglietto che ella scrive in fretta, poi esce seguita dalle dame della regina. 17. BALLO DELLA REGINA: "LA PEREGRINA". Una grotta magica, fatta di madreperla, di coralli e di madrepore, dove le più meravigliose Perle dell'Oceano Indiano sono nascoste a ogni sguardo profano, custodite dalle Onde gelose. La Perla Nera si sta ammirando pigramente in uno specchio che le porgono le Onde; la Perla Rosa sta intrecciando ghirlande di fiori marini nei propri capelli; una Perla Bianca è addormentata nella sua conchiglia. Tutt'a un tratto un raggio di luce accecante precipita dal cielo nella dimora delle perle. Un Genio/Pescatore discende in questa grotta vietata ai mortali. Abbagliato da tante magnificenze, egli crede di sognare. Le Perle spaventate fuggono nelle loro conchiglie che si rinchiudono. Le Onde invano vogliono allontanare l'audace che osa violare il loro misterioso regno. Esse sentono che il loro potere cede davanti a quello dello sconosciuto, e fuggono. Il Genio si ritrova solo e deluso nella grotta abbandonata. Tutte le perle sono scomparse... No... La Perla Bianca sta ancora dormendo, distesa nella sua conchiglia ancora aperta. Il Genio la vede e l'ammira; poi, attirato dalla sua bellezza, le si avvicina e finisce per deporre un bacio sulla sua fronte. A questo bacio la Perla Bianca si sveglia. Vuole fuggire... fa per rinchiudersi nella sua prigione di madreperla. La melodia di un violino solista accompagna i tentativi del Genio per blandirla e calmare i suoi timori. La Perla Bianca lascia alfine che il Genio l'ammiri; questi la prende fra le braccia-e inizia a ballare un valzer. La Perla Bianca, che era rimasta atterrita dall'avvicinarsi del pescatore, riprende gradualmente coraggio. Nel frattempo le altre perle, curiose e gelose, assistono a questo spettacolo dalle loro conchiglie semiaperte, per poi slanciarsi a difendere la loro sorella troppo accondiscendente, finché il Genio, stordito da tante meraviglie, non sa più a chi dare il premio. Intanto le Onde hanno avvertito il dio Korail, guardiano geloso dei tesori del mare. Questi arriva con tutta un'armata. Alla sua vista le perle tremano. Il Genio, malgrado le sue preghiere, sta per essere imprigionato per sempre negli abissi del mare sotto la sorveglianza di mostri terribili. Inutilmente le perle supplicano. Il dio Korail è inesorabile. Al suono dell'inno spagnolo il Genio si trasforma, e diventa un paggio con le insegne e i colori di Filippo II. Il dio Korail e le perle s'inchinano davanti a colui che è protetto dal potere di padrone della metà del mondo. Il Genio informa allora il dio Korail che egli viene a cercare per il suo padrone la più bella perla dell'universo. Il dio Korail fa comparire davanti al Genio tutte le meraviglie del suo impero (Finale, in tempo di galop). Il Genio non sa quale perla scegliere. D'altronde nessuna perla è degna di Filippo. Alla fine il dio Korail decide di fondere in una sola perla la bellezza di tutte. A un suo comando, le perle obbedienti si spogliano dei loro vezzi e li riuniscono in una conchiglia d'oro, d'onde esce poco dopo la "Peregrina", il più bel gioiello della corona di Spagna, personificato dalla regina, paragonabile solo a quello di Cleopatra. È lei la perla meravigliosa destinata al re di Spagna. La conchiglia si trasforma in un carro scintillante sul quale appare Eboli con il mantello e la maschera di Elisabetta. Risuona l'inno spagnolo.Tutti

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s'inginocchiano davanti a lei per renderle omaggio. Anche le dame e i gentiluomini che assistono alla festa s'inchinano per rendere omaggio alla loro sovrana. 16-17 bis. PRELUDIO [nella versione senza Ballo]. Quasi interamente affidato agli archi con sordina, inizia con il tema della romanza di Carlo nel primo atto "Io la vidi" e si sviluppa attraverso progressioni armoniche che creano un'atmosfera quasi trasognata. 18. SCENA, DUETTO E TERZETTO. Entra Carlo leggendo un biglietto: è un appuntamento per mezzanotte ai giardini della regina. Il giovane, immaginando un incontro con Elisabetta, è ebbro d'amore e d'impazienza. Quando vede Elisabetta (in realtà Eboli mascherata da regina) è sopraffatto da un flusso di emozioni incontenibili (Sei tu, bell'adorata): dichiara tutto il suo amore, e la donna, nel vedersi amata da Carlo, corrisponde con enfasi alle parole del giovane togliendosi la maschera. Carlo è atterrito: non è la regina! Il subitaneo mutamento nell'atteggiamento di Carlo non sfugge a Eboli, la quale lo attribuisce a un eccesso di prudenza; lei sa che il giovane è attorniato dai pericoli (V'è ignoto forse) e ha udito Filippo e Posa parlare in tono sinistro nei suoi confronti. Carlo si mostra sorpreso da quest'ultima rivelazione. Ma Eboli, inquieta, insiste: lei lo ama e lei può salvarlo. Carlo loda l'angelica bontà della principessa dicendole:"abbiamo fatto un sogno strano". Un sogno? D'un lampo Eboli capisce che in realtà Carlo ama Elisabetta! Il grido di pietà di Carlo fa piombare in scena Posa che, intuendo la situazione, subito si slancia in sua difesa dichiarando a Eboli che il giovane sta parlando in uno stato di delirio. Ma Eboli è ormai una furia scatenata e per quanto terribile si mostri Posa nei suoi confronti ella lo sfida: sa bene che il marchese è "l'intimo" del Re, ma lei è una nemica formidabile e potente: il destino di Carlo è ora in sua mano (Al mio furor sfuggite invano); come tigre ferita dichiara di voler vendicarsi. E mentre Posa invoca Dio protettore degli innocenti, Carlo a parte si dispera per aver macchiato l'onore della regina. Intanto la furia di Eboli non si placa: ella giunge a esprimere il proprio disprezzo nei confronti della regina, questa `nuova santa' al cui cospetto aveva pur finora tremato, che ha saputo mascherare l'amore sotto il manto della virtù. A quest'insulto Posa, snudando il pugnale, fa per scagliarsi contro la principessa; ma Carlo lo trattiene. Benché Eboli lo sfidi a ferirla, Posa getta tuttavia il pugnale dichiarando che Dio lo ispirerà. Eboli, al colmo dell'ira, si scaglia contro Carlo (Trema per te, falso figliuolo) minacciandolo di una tremenda vendetta. E mentre l'Infante esprime a parte la propria disperazione, Posa ingiunge a Epoli di tacere, pena la punizione divina. La principessa esce furibonda. Rimasti soli, Posa chiede a Carlo di affidargli eventuali scritti compromettenti. Carlo, memore della rivelazione di Eboli, tituba. Posa, stupito, chiede come egli possa dubitare dell'amico. L'Infante alla fine si ricrede: ripone ogni fiducia nell'amico e gli affida i fogli importanti che ha presso di sé. I due amici, riconciliati, si gettano nelle braccia l'uno dell'altro, mentre in orchestra risuona il tema del giuramento. PARTE SECONDA. Una gran piazza innanzi a Nostra Signora d'Atocha.A destra la Chiesa, cui conduce una grande scalea.A sinistra un palazzo. In fondo altra scalinata che scende a una piazza inferiore in mezzo alla quale si eleva un rogo di cui si vede la cima. Grandi edifici e colline lontane formano l'orizzonte. 19. GRAN FINALE. Le campane suonano a stormo. La calca, appena contenuta dagli alabardieri, invade la scena plaudendo al più grande dei re, orgoglio della Spagna (Spuntato ecco il dì d'esultanza). A un certo punto il ritmo di una lugubre marcia funebre annuncia l'ingresso di frati che attraversano la scena conducendo i condannati del Sant'Uffizio al rogo (Il dì spuntò, dì del terrore). Dopo che si sono allontanati discendendo nella piazza sottostante, riprende il coro d'esultanza della folla. Al suono di una marcia eseguita da una banda interna esce da palazzo il corteo regale comprendente le Corporazioni dello Stato, la Corte, i Deputati delle province dell'impero, i Grandi di Spagna, fra i quali Rodrigo.Appare la regina fra le Dame di corte e attorniata da paggi;Tehaldo sorregge il manto di Elisabetta. Il coro riprende il canto di festa. Un araldo ordina siano schiuse le porte del tempio. Queste vengono spalancate e lasciano vedere Filippo con la corona sul capo che incede sotto un baldacchino, in mezzo a frati. I Signori s'inchinano, il popolo si prostra, i Grandi si scoprono il capo. Filippo s'impegna a vendicare Dio punendo i rei col ferro e col fuoco.A queste parole tutti s'inchinano in silenzio. Filippo scende i gradini della chiesa e va a prendere la mano d'Elisabetta per continuare il suo cammino. Ma all'improvviso si presentano sei deputati fiamminghi, vestiti a bruno, condotti da Carlo, che si

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gettano ai piedi di Filippo. Elisabetta e Posa son sorpresi. Carlo li presenta al padre: sono messaggeri del Brabante e di Fiandra. A una voce i deputati implorano protezione e invocano clemenza e pace per il loro popolo (Sire, l'ora estrema). Con forza Filippo respinge le richieste di coloro che egli considera ribelli (A Dio voi foste infidi) e ordina alle guardie di allontanarli. Sei monaci dell'Inquisizione aggiungono parole di condanna nei confronti dei deputati. Ma Carlo, Elisabetta, Posa e tutto il popolo appoggiano la loro richiesta. Il re vuol passare oltre, ma Carlo si pone innanzi a lui (Sire, egli è tempo ch'io viva): è stanco di un'esistenza oscura a corte; se un giorno dovrà regnare occorrerà che ne sia degno. Chiede quindi il governo del Brabante e della Fiandra. Per Filippo la richiesta è insensata: sarebbe come dare la spada in mano a chi un giorno lo assassinerà. Ma l'Infante insiste, e in un accesso di esaltazione, fra lo stupore generale, snuda la spada proclamandosi salvatore del popolo fiammingo. Filippo ordina agli uomini della corte di disarmarlo. Ma Carlo li tiene sotto minaccia con la punta dell'arma. Nonostante Filippo insista, i Grandi indietreggiano non osando disarmare l'Infante. D'un tratto Posa s'avanza con calma verso Carlo chiedendogli di consegnargli l'arma. Carlo è sbalordito: lui, Rodrigo! Come ipnotizzato, mentre risuona in orchestra il tema del giuramento, porge la sua spada all'amico, che inchinandosi la consegna al re. Questi lo nomina duca seduta stante; quindi dà la mano a Elisabetta e riprende il cammino, seguito dalla corte, per prendere posto nella tribuna a loro riservata per l'auto-da-fé. Mentre di lontano si scorge il chiarore dei roghi, riprende il canto d'esultanza della folla. E riprende anche la marcia funebre, sulla quale ora si eleva, accompagnata dall'arpa, una voce dal cielo, voce di pietà e di conforto per le povere anime degli eretici prossime a godere la pace del Signore. Mentre si alzano sempre più alte le fiamme dei roghi, i deputati fiamminghi, abbattuti, si chiedono perché Dio stesso non spenga quelle fiamme, accese nel suo nome.

ATTO QUARTO PARTE PRIMA. Il gabinetto del re a Madrid. 20. INTRODUZIONE E SCENA [E ROMANZA]. Dopo pesanti acciaccature che, come all'inizio dell'opera, trasmettono l'angoscia che sta nel cuore del dramma, si sviluppa un'ampia melodia per violoncello avvolta da un ossessivo motivo circolare dei violini. Filippo è assorto in profonda meditazione, appoggiato a un tavolo ingombro di carte, ove due doppieri finiscono di consumarsi. L'alba rischiara già le invetriate delle finestre. Come in una sorta di dormiveglia rivede il primo incontro con Elisabetta (Ella giammai m'amò) e ne ricorda lo sguardo triste nel contemplare i suoi capelli bianchi. D'un tratto si scuote e s'avvede che un nuovo giorno sta per iniziare. Il sonno è ormai sparito dai suoi occhi, ed egli vede la vita consumarsi lentamente, in totale solitudine, fino al giorno dell'eterno riposo (Dormirò sol nel manto mio regal). E solo sarà anche in quel tetro avello che è l'Escuriale. Oh, potesse la corona dargli il potere divino di leggere nel cuore degli uomini, discernere i traditori, sempre pronti a minacciargli trono e onore... L'ultimo pensiero corre a Elisabetta, che mai lo ha amato. 21. SCENA [E DUETTO]. Il conte di Lerma annuncia l'ingresso del Grande Inquisitore, che, nonagenario e cieco, entra sostenuto da due frati domenicani. Filippo lo ha fatto espressamente chiamare per confessargli un dubbio: Carlo gli si è ribellato, rivolgendogli contro la spada. Va dunque punito con mezzo estremo. Ma può un cristiano inviare a morte il proprio figlio e far tacere i propri sentimenti? Gli risponde l'Inquisitore: la pace dell'impero val bene la vita di un ribelle; quanto agli scrupoli d'un cristiano si ricordi il re che per riscattare l'umanità Dio stesso sacrificò il proprio figlio; tutto si dOrà far tacere per esaltare la fede. Il re fa per congedare l'Inquisitore. Ma questi, restando immobile, dichiara d'aver ben altro da dire al re: mai finora l'eresia era penetrata in Spagna; ora vi è che vuol minare l'edificio divino; e questi è l'amico del re; il tradimento di Carlo è ben poca cosa al confronto; ed egli, l'Inquisitore, che ha sempre levato la sua mano possente sui traditori, dimenticando fin la propria fede, può ora lasciar tranquilli un ribelle e lo stesso re? Filippo tenta di giustificare la sua amicizia con Posa: nel deserto che lo circonda ha invano finora cercato un uomo fedele e leale; ora lo ha trovato. Perché un uomo? gli ribatte l'Inquisitore; e perché dunque Filippo ha il nome di re se qualcuno gli è a pari? Invano il re tenta d'infrangere il santo giogo della Chiesa sull'umanità; che egli ritorni al suo dovere: la Chiesa sa perdonare. In cambio del perdono l'Inquisitore chiede la testa di Posa. Giammai! grida Filippo.

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Esplode l'ira dell'Inquisitore, che minaccia di trascinare il re davanti al tribunale dell'Inquisizione; e a Filippo ormai implorante clemenza il frate evoca l'ombra del profeta Samuele: due re egli ha dato alla Spagna, e ora Filippo vuole distruggere la sua opera? per quale mai altra ragione l'Inquisitore si trova di fronte al re se non per portarlo sulla retta via? Filippo, annichilito, chiede pace e oblio. "Forse" è l'ultima, fredda risposta dell'Inquisitore ormai allontanatosi. Filippo rassegnato è costretto a riflettere amaramente: il trono dovrà sempre piegare di fronte all'altare. 22. SCENA E QUARTETTO. Entra Elisabetta precipitosamente in preda all'ira gettandosi ai piedi di Filippo (Giustizia! Sire!) e chiedendo riparazione: le è stato sottratto lo scrigno contenente gli oggetti a lei più cari. Il re si alza lentamente, prende uno scrigno dal tavolo e glielo presenta ordinandole di aprirlo. Elisabetta ricusa con un cenno. Di fronte al suo rifiuto il re forza lo scrigno e vi trova il ritratto di Carlo. Fra i gioielli della regina? egli chiede sorpreso. Elisabetta annuisce ricordando a Filippo il suo precedente fidanzamento con l'Infante; ma ora è sposa fedele e immacolata del re e con crescente indignazione ella si sorprende che il re dubiti del suo onore! Filippo, cercando di dominarsi, avverte la regina: la propria apparente debolezza può tramutarsi in furore; quindi in un accesso d'ira accusa Elisabetta di tradimento giurando al cielo di lavare l'onta nel sangue."pietà mi fate" è la risposta di Elisabetta alle minacce del consorte. Al colmo dell'ira Filippo la dichiara adultera. L'offesa è atroce: Elisabetta cade svenuta. Filippo aprendo le porte del fondo chiede subito soccorso per la regina. Accorre Eboli, spaventata nel vedere la regina svenuta e a un tempo atterrita di fronte all'effetto delle sue macchinazioni. Accorre anche Posa, che rimprovera il re d'essere il solo nel suo vasto impero a non saper dominare i propri sentimenti. Filippo è assalito dal rimorso e maledice i propri sospetti (Ah! sii maledetto, sospetto fatale): la fierezza della regina gli dice che ella non è spergiura. Anche Eboli è rosa dal rimorso: ora è consapevole d'aver commesso un'azione delittuosa col trafugare lo scrigno della regina. Mentre Elisabetta sta rinvenendo, lamentando la propria solitudine in un paese straniero, per Posa è arrivato il momento della verità: deve sacrificarsi per Carlo. Dopo breve esitazione il re esce; il marchese lo segue con un gesto risoluto. 23. SCENA ED ARIA. Eboli si getta ai piedi di Elisabetta; torturata dal rimorso confessa alla regina d'essere stata lei a rubare lo scrigno, a ciò spinta da cieca gelosia: era innamorata di Carlo e Carlo l'ha disprezzata. Ma l'amore di Eboli per Carlo non è una colpa agli occhi di Elisabetta, che, quasi distrattamente, invita la principessa a rialzarsi. Eboli resta in ginocchio: deve confessare un'altra colpa; con voce soffocata e con frasi spezzate lascia intendere d'essere stata sedotta dal re. La rivelazione colpisce come un fulmine Elisabetta, che si copre il volto con le mani e si scosta; questa colpa per lei non è perdonabile: freddamente ordina a Eboli di consegnarle la croce di dama di corte e di allontanarsi all'alba scegliendo fra l'esilio e il convento. Uscita Elisabetta, Eboli si rialza disperata per non poter più rivedere la regina e maledice la propria bellezza e la propria vanità (O don fatale); ora non le resta che trascorrere il resto della vita in un chiostro celando al mondo il proprio tormento. D'un tratto si ricorda di Carlo, condannato a morte; per fortuna le resta ancora un giorno per tentare di salvarlo. PARTE SECONDA. La prigione di don Carlo. Un oscuro sotterraneo, nel quale sono state gettate in fretta alcune suppellettili della corte. In fondo un cancello di ferro che separa la prigione da una corte che la domina e nella quale si vedono le guardie andare e venire. Una scalinata vi conduce dai piani superiori dell'edificio. 24. SCENA ED ARIA DI POSA. Don Carlo è seduto col capo fra le mani, assorto in pensieri. Appare al di là del cancello Rodrigo; parla sottovoce ad alcuni ufficiali che subito si allontanano. Contempla Carlo con tristezza. Questi si accorge della presenza dell'amico, e gli stringe la mano come dimenticando d'essere stato da lui disarmato di fronte al re; l'amore per Elisabetta gli ha tolto vigore e nulla può fare per la libertà della Fiandra. Rodrigo esprime a Carlo tutto il proprio affetto dichiarandogli d'averlo salvato; quindi con emozione gli dà l'e- Don Carlo 361 stremo addio. Carlo resta immobile guardando Rodrigo con stupore. Per Rodrigo è arrivato l'ultimo giorno (Per me giunto è il dì supremo); vedendo Carlo lagrimare gli fa coraggio: è lieto di morire per lui. Carlo non è più il rivale del re; il fiero agitatore delle Fiandre è lui, Rodrigo; infatti i fogli consegnatigli da Carlo sono stati trovati in suo possesso: ciò sarà per lui una condanna a

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morte. Intanto, non visti da Carlo e da Posa, due uomini scendono la scalinata della prigione; uno di essi è vestito dell'abito del Sant'Uffizio; l'altro è armato d'un archibugio; si fermano un momento e si indicano Carlo e Rodrigo. Questi intanto supplica l'amico di serbarsi per la Fiandra; suo destino è regnare; il destino di Rodrigo è di morire per lui. In questo istante l'uomo armato d'archibugio mira Rodrigo e fa fuoco su di lui. Mortalmente ferito Rodrigo cade fra le braccia di Carlo smarrito: la vendetta del re non poteva tardare! Su un lamentoso motivo delle trombe Rodrigo avverte Carlo che Elisabetta lo attende l'indomani nel convento di S. Giusto: tutto ella sa. Quindi dichiara di essere felice di conservare alla Spagna, con il proprio sacrificio, la vita di Carlo (Io morrò, ma lieto in core). Risuona il motivo del giuramento: con un ultimo sforzo Rodrigo supplica Carlo di salvare la Fiandra. La morte spezza sulle sue labbra l'ultimo addio. Carlo cade disperato sul corpo di Rodrigo. 25. FINALE. Entra Filippo, col suo seguito di Grandi di Spagna, per rendere a Carlo la spada e con essa la libertà: il vero traditore è stato scoperto e ha subìto la sua sorte. E tende le braccia al figlio in segno di riconciliazione. Chino sul cadavere di Posa, Carlo inveisce contro il padre dichiarandogli di non ritenersi più suo figlio. Il re fa per partire, ma Carlo lo arresta con violenza e con accenti veementi esprime tutto il proprio furore per la morte dell'amico: un sacro giuramento li univa ed è per Carlo che Rodrigo ha sacrificato la propria vita. Infine, in un accesso di furore, accusa Filippo d'essere un re di assassinio e di spavento, e mostrando il cadavere dell'amico dichiara che il suo regno sarà presso di lui. E si getta nuovamente sul corpo di Rodrigo. Su un'ampia, dolente melodia (che poi Verdi riutilizzerà nel "Lacrymosa" della Messa da Requiem) Filippo esprime il proprio sconforto per la perdita di un vero eroe, il solo "uomo" da lui finora incontrato (Chi rende a me quest'uom); si rende conto d'aver distrutto un dono del cielo, ora darebbe qualsiasi cosa per riportarlo in vita. I Grandi partecipano al dolore del re, mentre Carlo piange sul cadavere di Rodrigo, pregandolo di infondergli il suo spirito eroico e la sua divina fiamma. 26. [SOMMOSSA]. Improvvisamente si ode suonare a stormo e dall'interno provenire voci di rivolta (Perir dovrà chi d'arrestarci attenta!). Entra il conte di Lerma annunciando che il popolo in rivolta vuole l'Infante. Nonostante l'esitazione dei Grandi di Spagna, Filippo con autorità ordina si schiudano le porte. Il popolo si precipita eccitato in scena continuando a gridare minacce contro il re. Appare per un istante Eboli mascherata che fa fuggire Carlo. Ma è proprio l'Infante che, in risposta a una richiesta di Filippo, i ribelli vogliono. D'un tratto si sente tuonare la voce del Grande Inquisitore che grida al sacrilegio. A quel suono il popolo indietreggia spaventato. Il Grande Inquisitore avanza ordinando a tutti di prostrarsi dinanzi al re "che Dio protegge".Tutti lentamente si prosternano invocando la pietà del Signore, mentre i Grandi di Spagna inneggiano al re.

ATTO QUINTO Il chiostro del convento di San Giusto come nell'atto secondo. È notte, rischiarata dalla luna. 27. SCENA ED ARIA. La scena si apre con un preludio orchestrale che inizia col tema dei monaci del secondo atto, affidato agli ottoni, e che si sviluppa esprimendo la gelida grandezza del monastero in contrasto con l'angoscia interiore di Elisabetta, che lentamente, assorta nei suoi pensieri, entra dirigendosi verso la tomba di Carlo V, ove s'inginocchia in preghiera. Si rivolge allo spirito dell'imperatore, che abdicando al trono e ritirandosi in convento per vestire il saio, ben conosceva l'inutilità delle cose terrene (Tu che le vanità) e lo supplica di portare il suo pianto al trono del Signore. Poi il suo pensiero corre a Carlo, che sta per arrivare; ella ha giurato a Posa di vegliare sul figliastro: il suo futuro sarà tracciato dal destino; per lei, Elisabetta, la vita è invece giunta al tramonto. E intanto pensa al nobile suolo di Francia; e, sulla melodia del duetto d'amore del primo atto, ricorda Fontainebleau e il giuramento d'eterno amore. Ma quest'eternità non durò che un giorno! In progressioni ascendenti Elisabetta invita gli uccelli e le fontane a cantare a voce spiegata le memorie del suo amore con Carlo. Ma ora addio sogni di gioventù, addio a tutto, in attesa della morte. Infine si rivolge ancora allo spirito di Carlo V: "porta il mio pianto al trono del Signore". 28. SCENA E DUETTO D'ADDIO. Appare Carlo. Sta per partire per le Fiandre. Elisabetta gli chiede solo d'essere dimenticata (Un detto, un sol). Carlo acconsente, anche se un amore infranto

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uccide prima della morte. Ma Elisabetta gli ricorda il sacrificio di Rodrigo. Carlo promette che nelle Fiandre erigerà un monumento a Posa quale non ebbe alcun monarca. Svanito il sogno d'amore (Vago sogno m'arrise), ora egli Vede davanti a sé, in mezzo a un rogo che leva fiamme al cielo, un popolo oppresso stendergli le mani come a un salvatore. O vincitore o morto sarà almeno premiato dal plauso o dal pianto della donna amata. Elisabetta, come se lo spirito di Posa fosse ormai in lei, conforta l'Infante esortandolo a compiere un'azione eroica col salvare un popolo che muore (Sì, l'eroismo è questo). Spronato dalle parole di Elisabetta, Carlo dichiara che se un giorno prima nessun potere umano avrebbe potuto separarlo da Elisabetta, ora l'onore ha vinto sull'amore. Ma un senso di profonda tristezza invade gli animi; stringendo al seno la mano di lei, Carlo s'accorge che ella è in lacrime. Così le donne sanno piangere per gli eroi, gli risponde Elisabetta. Ella è sicura che s'incontreranno nuovamente in un mondo migliore (Ma lassù ci vedremo) e nel grembo del Signore troveranno quel bene che in terra sempre sfugge; Carlo fa eco alle sue parole. Alla fine si danno l'estremo addio come madre e figlio. 29. FINALE. Appaiono d'improvviso Filippo, il Grande Inquisitore appoggiato a due Domenicani, otto Inquisitori, familiari del Sant'Uffizio, frati e due plotoni di alabardieri e di guardie. Filippo afferra subito Elisabetta per il braccio affermando d'aver adempiuto al proprio dovere; ora l'Inquisizione faccia il suo. Additando Carlo, il Grande Inquisitore ordina di arrestarlo. L'Infante, per difendersi, snuda la spada indietreggiando verso la tomba di Carlo V. Ad un tratto s'apre il cancello e un Frate appare: è l'ombra di Carlo V con il manto e la corona regali. Le sue parole riecheggiano quelle del misterioso frate che nel secondo atto s'aggirava nel chiostro. Il Grande Inquisitore e i suoi familiari ne riconoscono la voce: è quella (li Carlo V! Filippo atterrito si scopre il capo e cade in ginocchio. Elisabetta ringrazia il cielo, mentre il Frate trascina nel chiostro Carlo smarrito.

Aida Opera in 4 atti e 7 quadri - Parole di Antonio Ghislanzoni

Prima rappresentazione: Il Cairo,Teatro dell'Opera, 24 dicembre 1871 Prima rappresentazione europea: Milano,Teatro alla Scala, 8 febbraio 1872

L'argomento si basa su un "programma" approntato da Auguste Manette Bey (Boulognesur-Men 1821 - Il Cairo, 1881; il famoso egittologo francese, fondatore del museo archeologico di Bulaq presso il Cairo), probabilmente ispirato da qualche racconto tramandato da papiri dissepolti presso le rive del Nilo. Risale ai festeggiamenti dell'autunno del 1869 per l'apertura del canale di Suez il proposito del Viceré d'Egitto ovvero Khedivé d'invitare un importante compositore europeo (Verdi in primis, Gounod o Wagner in alternativa) a scrivere un'opera ambientata nell' antico Egitto. L'incarico fu affidato a Manette Bey, il quale a sua volta si rivolse, per scelta del compositore, all'esperto Camille Du Lode. Questi parlò subito della proposta a Verdi, il quale, non volendo affrontare un viaggio via mare, oppose un rifiuta Tuttavia nel maggio del 1870, rassicurato sulla possibilità di restare in Italia, sul luogo delle prove e sulla scelta degli interpreti, si fa mandare il "programma" di Manette. L'impressione è positiva, tanto che già il 2 giugno fissa i termini del contratto sulla base di un compenso di ben 150.000 franchi. Coadiuvato dalla moglie, traduce in italiano il programma"; quindi fa venire a gran velocità Du Lode a S.Agata per concertare con lui alcune modifiche allo scenario e definire in tutti i dettagli il libretto in prosa. In meno di tre settimane il libretto di Aida, salvo i versi, è pronta 1125 giugno il compositore informa l'ignaro Giulio Ricordi dell'impegno contratto con il teatro del Cairo e lo prega di interpellare Antonio Ghislanzoni per la versificazione del libretto. Ghislanzoni accetta. Il 9 agosto Verdi inizia la composizione e la termina a metà novembre. Nel gennaio del 1871 porta a termine la strumentazione. La première al Cairo, prevista per febbraio, viene rinviata a causa della guerra franco-prussiana, dell'assedio di Parigi (dove scene e costumi venivano fatti eseguire dalle maestranze dell'Opéra sotto la sorveglianza diretta di Manette), dei disordini della Comune e della feroce repressione seguitane, alla fine del dicembre 1871. Verdi stesso sovrintende alla prima rappresentazione italiana alla Scala nel successivo febbraio; per l'occasione compone una Sinfonia in sostituzione del Preludio; ma dopo la prova fattane in orchestra la ritira giudicandola

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"un'insulsaggine". L'opera ottiene grande successo sia al Cairo che alla Scala. Verdi sorveglia attentamente il cammino di Aida sovrintendendo di persona alle rappresentazioni del Regio di Parma (20 aprile 1872), del San Carlo di Napoli (30 marzo 1873), della Staatsoper di Vienna (19 giugno 1875), del Thé atre Italien di Parigi (22 aprile 1876), fino alla 'storica' messinscena dell'Opéra del 22 marzo 1880, per la quale attua un ampliamento dei ballabili del terzo atta Il cammino dell'opera sulle scene internazionali è trionfale e, nonostante gli alti costi dell'allestimento, assai spedita Oggi Aida è certamente tra le opere più popolari e più eseguite dell'interno repertorio melodrammatico; nonostante la sua naturale destinazione sia, come per ogni opera, il teatro chiuso, gli aspetti spettacolari ne hanno tuttavia agevolato, a detrimento dei significati musicali, la diffusione negli spazi all'aperto, a far inizio quanto meno da un allestimento fatto a Bayon, in Francia, nell'autunno del 1901.

PERSONAGGI E PRIMI INTERPRETI Il Cairo Milano

IL RE basso Tommaso Costa Paride Povoleri AMNERIS, sua figlia mezzosoprano Eleonora Grossi Maria Waldmann AIDA, schiava etiope soprano Antonietta Pozzoni Teresa Stolz RADAMES, capitano delle Guardie tenore Pietro Mongini Giuseppe Fancelli RAMFIS, capo dei Sacerdoti basso Paolo Medini Ormondo Maini AMONASRO re d'Etiopia e padre di Aida baritono Francesco Steller Francesco Pandolfini GRANDE SACERDOTESSA soprano M. Allievi N. N. Un MESSAGGERO tenore Luigi Stecchi-Bottardi Luigi Vistarini Sacerdoti, Sacerdotesse, Ministri, Capitani, Soldati, Funzionari, Schiavi e Prigionieri etiopi, Popolo egizio, ecc. ecc. L'azione ha luogo a Menfi e a Tebe, all'epoca della potenza dei Faraoni [presumibilmente all'epoca del cosiddetto Medio Regno, durante il quale l'Egitto raggiunse il massimo della potenza militare ed economica, e in particolare al tempo del faraone Sesostri III, che regnò fra il 1878 e il 1841 a.C.] Nota: Menfi è una delle maggiori città dell'antico Egitto, già residenza dei Faraoni dell'Antico Regno, poco a sud del Cairo. Tebe è l'altra importante città dell'antico Egitto; sorgeva a sud nei pressi di Luxor. Al tempo dell'antico Egitto gli Etiopi abitavano la Nubia, regione oggi corrispondente al Sudan orientale, territorio nemmeno allora ricco di quelle "foreste imbalsamate" cui si allude nel libretto e che rimandano piuttosto al territorio dell'Etiopia moderna. Iside è una divinità solare, sorella e moglie del dio Osiride, signore del regno dei morti, impersonato dalla luna. Vulcano è il nome latino del dio egizio Fthà (a Menfi esistono tuttora le rovine di un tempio a lui dedicato). Ammone è il dio creatore, signore dell'universo, padre del Faraone (il suo culto nacque proprio in Tebe). Nàpata è una località del Sudan, antica capitale della Nubia.

RIASSUNTO DELL'AZIONE DRAMMATICA 1. PRELUDIO. Come già in Rigoletto e in Traviata, anche questa pagina strumentale introduttiva costituisce la sintesi sonora del dramma che si sta per rappresentare; due temi dominano, fra loro in contrasto: la dolcissima melodia cromatica ascendente di Aida affidata ai violini e il tema fugato dei Sacerdoti.

ATTO PRIMO SCENA PRIMA. Sala del Palazzo del Re a Menfi. A destra e a sinistra una colonnata con statue e arbusti in fiore. Grande porta nel fondo, da cui appariscono i templi, i palazzi di Menfi e le Piramidi. 2. [SCENA]. Ramfis e Radamès sono in scena conversando fra loro, in faccia l'un dell'altro; il Gran Sacerdote informa il capitano che sta per rinnovarsi la guerra degli Etiopi contro l'Egitto; se ne attende conferma da un messaggero. Ma intanto la sacra Iside, da lui consultata, ha già nominato il supremo condottiero delle falangi egizie (e ciò dicendo Ramphis fissa il capitano con intenzione). 3. ROMANZA. Radamès, rimasto solo, accarezza la speranza di poter essere lui il capo designato dalla dea (Se quel guerrier io fossi). Coprendosi di onore in battaglia potrà tornare a Menfi vincitore per offrire la sua vittoria alla sua amata Aida, regina dei suoi pensieri (Celeste Aida), splendore della sua stessa vita, degna di un trono vicino al sole. Aida 365

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4. DUETTO E TERZETTO. Sulle ultime battute entra in scena Amneris, la figlia del Faraone, invaghita di Radamès: attenta osservatrice, ella coglie subito l'espressione di gioia che illumina il volto dell'amato: felice la donna, ella gli osserva, che sa destare tanta luce nei suoi occhi (Quale insolita fiamma). La sua gioia, le risponde Radamès, è nel bearsi in un sogno: quello di poter comandare le schiere egizie. Amneris, che intimamente sospetta che il capitano arda d'amore per altra donna, si fa più insinuante e con grande intenzione, sorridendo maliziosamente, gli chiede se mai un sogno più soave egli non abbia in Mentì Radamès, schermendosi, s'allontana da Amneris: teme che la principessa possa intuire l'amore che nutre per una schiava (Forse l'arcano amore). Entra Aida. Amneris scruta il volto di Radamès che nel vedere Aida trasale. Dopo un breve silenzio, con rapido mutamento di fisionomia e col sorriso sulle labbra, ella s'avvicina alla schiava chiamandola sorella e la blandisce con l'intenzione di farsi rivelare il motivo dell'ansia che è sul suo volto (Vieni, o diletta, appressati). Le voci di guerra preoccupano Aida che teme per i propri cari, ma anche per la corte egiziana; e abbassa lo sguardo cercando di dissimulare il proprio turbamento. Amneris, guardando Aida, è rosa da profonda gelosia; a sua volta Radamès nota con spavento sul volto della principessa lo sdegno e il sospetto, mentre Aida, a parte, esprime la propria sofferenza per un amore sventurato. 5. SCENA E CONCERTATO. Un breve istante di silenzio, ed ecco che risuona una musica marziale: preceduto dai Sacerdoti e dalle sue guardie e seguito da Ramfis, dai Ministri e dai Capitani, entra il Re: egli annuncia che gravi notizie provengono dai confini d'Etiopia. Fa quindi entrare un messaggero che conferma tali notizie: gli Etiopi hanno invaso le terre d'Egitto devastando campi e ardendo messi, e ora già marciano su Tebe sotto la guida dell'indomabile Amonasro.Tutti i presenti si uniscono compatti al grido di guerra lanciato dal Re contro l'invasore. Quindi, accostandosi a Radamès, il Re annuncia, fra la sorpresa generale, che la sacra Iside lo ha designato a supremo condottiero. Radamès esulta dalla gioia. Il Re lo invita a recarsi subito nel tempio di Vulcano per essere consacrato duce delle schiere egizie; quindi, rivolto ai presenti, incita tutti alla difesa della patria e intona l'inno di guerra (Su del Nilo al sacro lido). Mentre Ramfis e i Sacerdoti ammoniscono che solo i numi reggono gli eventi, tutti rispondono all'appello del Re; anche Radamès è eccitato da ardore guerriero. Intanto Amneris reca una bandiera a Radamès e gliela consegna incitandolo alla vittoria, mentre Aida, a parte, è lacerata dall'angoscia: per chi piangere? per chi pregare? Alla fine Amneris augura a Radamès di ritornare vincitore; tutti compatti, Aida compresa, ripetono l'augurio. Quindi tutti escono di scena mentre risuona in orchestra l'inno di guerra; rimane solo Aida. 6. SCENA E ROMANZA. Come allucinata, ella replica l'appello di vittoria lanciato dal Re e dal popolo a Radamès (Ritorna vincitor!). Vorrebbe che l'uomo amato tornasse vittorioso; ma il prezzo è alto, perché sarebbe vincitore di suo padre e del suo popolo, che verrebbero così condotti schiavi in Egitto. Aida è combattuta da grandi sentimenti: amore per il padre e amore per Radamès. Per l'uno e per l'altro vorrebbe pregare; ma la preghiera diverrebbe bestemmia. La sua mente è perduta. Alla fine invoca pietà ai numi per tante sofferenze e accasciandosi al suolo esprime il desiderio che il fatale, tremendo amore, le spezzi il cuore e la faccia morire. SCENA SECONDA. Interno del Tempio di Vulcano a Menfi. Una luce misteriosa scende dall'alto. Una lunga fila di colonne, l'una all'altra addossate, si perde fra le tenebre. Statue di varie divinità. Nel mezzo della scena, sopra un palco coperto da tappeti, sorge l'altare del nume sormontato da emblemi sacri. Dai tripodi d'oro si innalza il fumo degli incensi. 7. GRAN SCENA DELLA CONSACRAZIONE E FINALE PRIMO. Ramfis e i Sacerdoti sono in scena, assolutamente immobili, le mani sul petto non incrociate. Intorno ai tripodi stanno le danzatrici con in mano larghi ventagli di penne bianche. Dall'interno arriva un suono di arpe che accompagna il canto della Grande Sacerdotessa (Possente, possente Fthà): è un'invocazione al dio della guerra. Risponde al canto la salmodia dei Sacerdoti (Tu che dal nulla hai tratto). Segue la Danza sacra delle Sacerdotesse al suono di tre flauti in orchestra; alla ripresa del motivo viene introdotto Radamès senza armi, accompagnato da quattro Sacerdotesse. Egli va all'altare e sul suo capo viene steso un velo d'argento. Volgendosi al nume Ramfis officia la consacrazione di Radamès a duce dell'esercito egizio (Nume, custode e vindice). Radamès viene vestito delle armi sacre,

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mentre le Sacerdotesse riprendono la mistica danza. Il rito termina con l'invocazione all'immenso Fthà.

ATTO SECONDO SCENA PRIMA. Una sala nell'appartamento di Amneris. INTRODUZIONE 8. SCENA, CORO DI DONNE E DANZA DEGLI SCHIAVI MORI. Amneris è circondata dalle schiave, che l'abbigliano per la festa trionfale, mentre dai tripodi si eleva il profumo degli aromi. Altre schiave levano un canto in onore del vincitore degli Etiopi (Chi mai fra gl'inni e i plausi). Amneris inebriata attende d'incontrare l'uomo che ama. Intanto giovani schiavi mori danzano agitando ventagli di piume (Danza di piccoli schiavi more). Amneris ripete il suo invito amoroso. D'un tratto ella scorge Aida avanzarsi verso di lei reggendo su un cuscino la corona destinata a cingere il capo del vincitore; a un suo cenno le schiave si ritirano. Nel rivederla un dubbio atroce le si ridesta in seno: per scioglierlo si propone di sondare il cuore della schiava. 9. SCENA E DUETTO. Con simulata amorevolezza Amneris si rivolge ad Aida (Fu la sorte del-l'armi), cercando di consolarla per la sconfitta subita dagli Etiopi; ella intende aiutarla a essere felice. Ma ad Aida la felicità non è concessa: lontana dal suolo natio non conosce la sorte del padre e dei fratelli. Amneris la compiange e la incoraggia: il tempo sanerà i mali e le angosce del suo cuore, e più che il tempo l'amore. A questa parola Aida si turba (Amore, amore!). Il suo turbamento non sfugge ad Amneris che la scruta fissamente: nel dichiararle la propria amicizia la principessa le si rivolge con insinuante accento per chiederle se forse non provi un dolce affetto per qualcuno che combatté a danno della sua patria; infine, per provare la reazione della giovane etiope, Amneris mente raccontandole che il condottiero egizio è caduto in battaglia. A questa notizia Aida ha un sobbalzo. Finalmente Amneris può leggerle nel cuore ed estorcerle il segreto della sua passione col rivelarle l'inganno: Radamès vive! Aida con esaltazione s'inginocchia ringraziando i numi.Amneris non ha più dubbi: la schiava ama Radamès. Ma anche lei, la figlia dei Faraoni, lo ama. A queste parole Aida insorge con alterezza affrontando la rivale per dichiararsi anche lei figlia di re; ma subito si reprime e chiede pietà (Tu sei felice): Amneris è felice e possente; invece a lei schiava non resta che l'amore per Radamès. Con parole animate da odio e vendetta Amneris s'accanisce sulla rivale minacciandola di morte. Improvvisamente si sentono suoni interni: è l'esercito egizio che ritorna vincitore. Imperiosamente Amneris ordina ad Aida di apprestarsi ad assistere al trionfo di Radamès, lei sul trono accanto al Re, la schiava prostrata nella polvere. Aida, annichilita, non può che chiedere pietà: ormai non le resta che spegnere il suo amore nella tomba. Ma Amneris continua a infierire sulla rivale sfidandola a lottare con lei. Alla fine la principessa esce. Rimasta sola, Aida invoca disperata i numi (sulla melodia finale della Romanza del primo atto, "Numi, pietà"), e lentamente, con passo stentato, s'incammina verso la scena, là dove era uscita Amneris. SCENA SECONDA. Uno degli ingressi della città di Tebe. Sul davanti un gruppo di palme. A destra il tempio di Ammone, a sinistra un trono sormontato da un baldacchino di porpora. - Nel fondo una porta trionfale. 10. GRAN FINALE SECONDO. Gli squilli di una banda interna annunciano il rito del trionfo decretato in onore di Radamès, vincitore degli Etiopi; risponde l'orchestra con un tema marziale. La scena si sta ingombrando di popolo. Entrano i Sacerdoti guidati da Ramfis. Un crescendo di sonorità sottolinea l'entrata del Re, che va a sedere sul trono. Al suo apparire un'esplosione di giubilo si leva dalla folla (Gloria all'Egitto, ad Iside); il Re è seguito dai Ministri, dai Sacerdoti, Capitani, Ministri, Flabellieri, Porta insegne, ecc. All'attacco del coro delle donne (S'intrecci il loto al lauro) entra Amneris seguita da Aida, da ancelle e da schiavi mori. Amneris prende posto alla sinistra del Re. Su un tema fugato i Sacerdoti invitano a rendere grazie agli dei.Tre trombe egizie entrano attaccando una marcia alla testa delle truppe vittoriose che sfilano dinanzi al Re; al cambio di tonalità altri tre trombettieri avanzano in scena in tempo di marcia alla testa di un altro corpo di militari che sfilano. Subito inizia il Ballabile: entra un drappello di danzatrici che recano i tesori dei vinti e svolgono una danza caratteristica intorno agli idoli conquistati al nemico. Terminato il ballabile, il coro riprende il canto (Vieni, o guerriero vindice) mentre altre truppe entrano con carri di guerra, insegne, vasi sacri, statue di dei.Al culmine del tripudio popolare entra Radamès sotto

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un baldacchino portato da dodici ufficiali. Il Re scende dal trono per abbracciarlo salutandolo come "salvator della patria"; quindi invita la figlia a porgergli la corona trionfale. Radamès s'inchina ad Amneris.Alla richiesta del Re che gli domanda quale compenso desideri per la vittoria riportata, Radamès chiede che intanto i prigionieri siano tratti dinanzi a lui. Entrano fra le guardie i prigionieri, ultimo Amonasro travestito da ufficiale etiope.Tra la sorpresa generale Aida subito lo riconosce e si lancia verso di lui abbracciandolo; rapidamente e sottovoce Amonasro impone alla figlia di non rivelare chi egli sia. Il Re gli ordina d'appressarsi. Sì, dice Amonasro, sono il padre di Aida: accennando alla divisa che lo veste (Quest'assisa ch'io vesto) dichiara fieramente d'aver lottato per la sua patria; la fortuna è stata avversa al suo popolo ed egli stesso ha visto il suo re cadere al suolo trafitto; se l'amor della patria è delitto, siamo tutti colpevoli! Poi con accento supplichevole invoca clemenza (Ma tu Re, tu signore possente); Aida e i prigionieri ripetono la sua invocazione. Contro di loro si ergono Ramfis e i Sacerdoti che esortano il Re a compiere il volere dei numi distruggendo quei feroci nemici. Mentre il popolo risponde ai Sacerdoti invitandoli a placare il loro sdegno, alla gelosa Amneris non sfuggono gli sguardi innamorati che Radamès volge ad Aida: egli infatti la vede ancora più bella attraverso il dolore che le si dipinge sul volto. Forte della promessa ricevuta dal Re si fa avanti Radamès chiedendo libertà per i prigionieri etiopi. Ramfis avverte il giovane eroe che essi hanno la vendetta nel cuore e che, una volta liberi, riprenderanno nuovamente le armi. Ma Radamès obietta che, morto Amonasro, non resta più speranza ai vinti. Ramfis chiede che quale garanzia di pace, almeno il padre di Aida resti in ostaggio insieme alla figlia. Il Re acconsente alla proposta del Gran Sacerdote; quindi rivolgendosi a Radamès gli concede come premio della vittoria la mano della propria figlia Amneris: un giorno con lei egli regnerà sull'Egitto. Amneris, con tono di sfida verso la schiava, esulta inebriata. Il coro riprende l'inno di ringraziamento agli dei (Gloria all'Egitto, ad Iside). Intanto, fra il tripudio generale, Amonasro sottovoce infonde coraggio alla figlia: l'alba della rivincita è prossima. Ma ad Aida non resta che piangere per un amore ormai senza speranza. Dal suo canto Radamès è colpito come una folgore dal fidanzamento con la figlia del Re: per lui il regno dell'Egitto non vale il cuore di Aida. Ma gli affetti privati sembrano travolti dall'esultanza generale, siglata dagli squilli della marcia trionfale.

ATTO TERZO Le rive del Nilo. Rocce di granito fra cui crescono dei palmizi. Sul vertice delle rocce il tempio d'Iside per metà nascosto tra le fronde. È notte stellata. Splendore di luna. 11. INTRODUZIONE, PREGHIERA CORO, ROMANZA AIDA. L'arpeggiare degli archi e la melodia d'un flauto esprimono l'atmosfera di una notte lunare che illumina le acque increspate del Nilo. Dall'interno del tempio proviene il canto di una Sacerdotessa cui risponde quello dei Sacerdoti invocanti il soccorso di Iside. Una barca approda alla riva; ne scendono Amneris, Ramfis, due donne coperte da fitto velo e quattro guardie. Il Gran Sacerdote accompagna Amneris al tempio dove, alla vigilia delle nozze, ella pregherà fino all'alba affinché Radamès le doni tutto il suo cuore; Ramfis le starà a fianco. La porta del tempio si chiude dietro di loro mentre risuona nuovamente il canto della Sacerdotessa e dei Sacerdoti. La scena rimane deserta. Il tema di Aida intonato dal flauto, sul ritmo inquieto delle viole, annuncia l'ingresso della protagonista che entra cautamente; è in quel luogo che Radamès le ha dato appuntamento: forse per darle l'ultimo addio? se così, ella cercherà la sua tomba fra i vortici del Nilo. Il suono di un oboe risuona in orchestra: il pensiero di Aida corre con acuto rimpianto alla patria (O cieli azzurri), alle sue rive profumate, ai verdi colli che più non rivedrà. 12. DUETTO. Improvvisamente appare Amonasro che l'ha seguita furtivamente. Egli ha cose importanti da dirle; sa che Aida ama Radamès e che Amneris è sua rivale. Ma se sua figlia lo vorrà, saprà vincerla e così rivedere la patria con le sue foreste, le sue valli, i suoi templi, a fianco dell'uomo che ama (Rivedrai le foreste imbalsamate). Ad Aida sembra di sognare: un'ora sola di tale felicità e poi morire... Amonasro prosegue rammentandole tuttavia gli orrori perpetrati dagli Egizi: le case e i templi profanati, le vergini rapite, i fanciulli trucidati. Aida ricorda bene: quei lutti sono ancora nel suo cuore. Con fare concitato il padre le annuncia che il popolo etiope è pronto a nuova guerra; ma è necessario sapere attraverso quale cammino passerà l'esercito nemico. Chi può scoprirlo? chiede Aida. Tu stessa, le risponde il padre. Egli sa che Radamès arriverà tra poco e

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impone alla figlia di carpirne con astuzia il segreto militare. Aida rifiuta con orrore l'ignobile proposta. Al suo rifiuto Amonasro insorge con sdegnata ferocia chiamando le truppe egizie a fare scempio del suo popolo (Su dunque! sorgete). Aida, atterrita e supplichevole, implora il padre. Ma questi la respinge, e in un crescendo d'ira le dipinge il quadro orrendo delle devastazioni che il nemico è nuovamente in procinto di arrecare e le indica gli estinti che la additano: per tua colpa, Aida, la patria muore. Quindi, afferrando improvvisamente per un braccio la figlia terrorizzata, le evoca lo spirito della madre che la maledice. Aida non regge a tanta angoscia e implora pietà. Ma il padre la respinge con tale violenza da gettarla a terra gridandole: non sei mia figlia, sei solo una schiava dei Faraoni! Aida, prostrata al suolo, annichilita, supplica il padre di non maledirla (Padre!... a costoro... schiava... non sono): ella saprà esser degna della sua patria. Amonasro, a poco a poco calmatosi, guarda la figlia e con accento solenne le rammenta che solo per lei un popolo vinto e straziato può risorgere. Spiando a destra vede giungere Radamès: sprona sottovoce la figlia e corre a nascondersi fra i palmizi. 13. DUETTO [E TERZETTO] . Entra Radamès animato dal proposito di rassicurare Aida. Ma questa subito lo arresta ricordandogli le sue prossimo nozze con Amneris. Radamès protesta che è l'amore a condurlo a lei e giura ai numi che presto sarà sua. Aida lo mette in guardia: ama l'eroe, non lo spergiuro; e poi come potrà egli sottrarsi al volere del Re e all'ira dei Sacerdoti? Su un ritmo guerriero intonato dalle trombe Radamès informa l'amata che gli Etiopi stanno di nuovo invadendo l'Egitto (Nel fiero anelito di nuova guerra): egli stesso sarà ancora duce delle schiere egizie e sarà ancora vincitore; come premio della vittoria il Re non potrà negargli la mano di Aida. Ma chi potrà salvarli dalla furia vendicativa di Amneris? gli risponde Aida. No, se Radamès veramente la ama, non c'è altra via di scampo per loro che la fuga. Con la più viva espansione, ma con voce insinuante, la giovane cerca di convincere l'amato: tra le foreste imbalsamate della sua patria potranno vivere in estasi (Là... tra foreste vergini). L'animo di Radamès vacilla: come abbandonare la terra dove ha raccolto tanta gloria? come scordare il cielo che ha visto nascere il loro amore? Aida insiste ancora con amorosa dolcezza. Vedendolo indeciso, cambia tono accusandolo di non amarla: che egli vada dunque sposo ad Amneris. Giammai! grida Radamès impetuoso. In tal caso, ella risponde, la morte scenderà su lei stessa e su suo padre. A queste parole Radamès, con appassionata risoluzione, accetta di fuggire (Sì, fuggiam da queste mura): in questa terra regna solo la sventura, ma nel deserto sterminato le stelle brilleranno più limpide sul loro amore. Aida accoglie con tutto l'entusiasmo dell'amore la decisione di Radamès: le valli fiorite della sua patria saranno a loro talamo. S'allontanano entrambi rapidamente; ma ad un tratto Aida s'arresta per chiedere attraverso quale via potranno evitare le schiere degli armati. Radamès la rassicura: il sentiero scelto per piombare sul nemico sarà sgombro sino all'indomani. E quel sentiero? Le gole di Nàpata.Amonasro, che ha sentito, esce giubilante dal suo nascondiglio: su quel sentiero si schiereranno i suoi! Spaventosamente sorpreso, Radamès resta come inebetito (Tu!... Amonasro!...); con agitazione crescente, a frasi mozze, troncate dall'angoscia, quasi non crede ai propri occhi gridando "non è ver, no, non è ver!".Aida gli si avvicina nel tentativo di calmarlo, mentre Amonasro lo incoraggia: il giovane non è colpevole; tutto &Avvenuto per volere del fato. Ma Radamès non li ascolta: con accento straziante si dichiara disonorato per sempre avendo tradito la patria per amore di Aida. Amonasro fa per trascinare il giovane oltre il Nilo, assicurandolo che così coronerà il suo sogno d'amore. Radamès si svincola. Improvvisamente, uscendo dal tempio, Amneris li scorge e grida subito al tradimento. Amonasro fa per avventarsi su lei con il pugnale sguainato. Ma Radamès si frappone impedendogli di trafiggerla; quindi spronaAida e suo padre a fuggire senza indugio. Il ritmo musicale si fa sempre più frenetico. Amonasro trascina via la figlia. Ramfis, accorso al grido di Amneris, ordina alle guardie di inseguirli. Radamès si consegna a Ramfis porgendogli la propria spada.

ATTO QUARTO SCENA PRIMA. Sala nel Palazzo del Re. Alla sinistra una gran porta che mette alla sala sotterranea delle sentenze. - Andito a destra che conduce alla prigione di Radamès. 14. SCENA E DUETTO. Il tema della gelosia di Amneris risuona frenetico in orchestra. La figlia dei Faraoni è mestamente atteggiata davanti alla porta del sotterraneo: l'aborrita rivale è riuscita a

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sfuggirle. E intanto sa che Radamès sarà condannato a morte come traditore per aver svelato un segreto militare. Ma per lei un tradimento ben maggiore fu il suo: quello di voler fuggire con Aida. E tuttavia ella ama Radamès di un amore sempre più struggente. Nella speranza di poterlo ancora salvare ordina alle guardie di condurlo in sua presenza. Radamès arriva scortato da due guardie.Amneris cerca di convincerlo a discolparsi (Già i sacerdoti adunasi): ella stessa dal trono intercederà per lui per ottenergli la grazia. Il giovane capitano rifiuta: con accento altero risponde che davanti agli uomini e agli dei non si sente né vile né colpevole; sebbene il segreto gli sia stato carpito con l'inganno, il suo onore è rimasto immacolato. Amneris insiste con calore (Morire!... ah!... tu dei vivere!): quante angosce terribili sofferte per lui! quante notti insonni trascorse nel pianto! Patria, trono, vita, tutto ella darebbe per lui. Ma Radamès non chiede ormai che di morire e accusa Amneris di avergli rapito e forse ucciso Aida. No, replica Amneris, Aida vive; solo Amonasro cadde fra le orde fuggitive degli Etiopi; della schiava più alcuna notizia. Radamès gioisce nell'apprendere che Aida è viva e si augura che ella ignori la sua sventura. Con veemente accento Amneris chiede al giovane di giurare di non rivedere più Aida e di rinunciare a lei per sempre. Ma Radamès è irremovibile: la sua vita senza Aida non ha più senso ed è già pronto a morire. Amneris si scaglia impetuosa contro di lui (Chi ti salva, o sciagurato): chi mai potrà salvarlo dalla morte? il suo stesso amore è ormai divenuto furore vendicativo. Con animo sereno Radamès dichiara essere la morte per lui un bene supremo; ormai non teme il castigo degli uomini, ma solo la pietà di Amneris. Ella cade desolata su un sedile, mentre Radamès parte fra le guardie. La sonorità in orchestra, a commento dello strazio della giovane Faraona, raggiunge uno stadio quasi parossistico. Poi un improvviso, breve silenzio. 15. SCENA DEI. GIUDIZIO. Il tema della casta sacerdotale, dapprima intonato sul suono cupo dei contrabbassi, annuncia che i "ministri del nume" stanno per arrivare. Agitata da atroce tormento Amneris maledice la propria gelosia, che la condanna a eterno lutto. Dal sotterraneo giunge il canto, a cappella, dei Sacerdoti che invocano il nume (Spia° del Nume). Mentre s'intensifica il loro canto, cui s'aggiunge il suono interno di ottoni, Radamès fra le guardie attraversa la scena e scende nel sotterraneo. M vederlo Amneris non riesce a trattenere un grido. Inizia il processo. Per tre volte Radamès viene chiamato a discolparsi (Radamès, tu rivelasti); tre le accuse: aver rivelato i segreti della patria allo straniero; aver disertato alla vigilia del combattimento; aver violato la propria fede, spergiuro alla patria e al Re. A ogni accusa Radamès tace: pel suo silenzio viene dichiarato colpevole. E a ogni sentenza Amneris disperata invoca pietà. Si sentono i Sacerdoti scagliarsi contro Radamès dichiarandolo traditore e condannandolo a essere sepolto vivo sotto l'ara del nume sdegnato. A lui vivo la tomba! Con grido disperato Amneris inveisce contro coloro che si chiamano "ministri del cielo". I Sacerdoti escono lentamente dal sotterraneo mormorando "traditor!". Amneris subito li investe con furia irrefrenabile (Sacerdoti, compiste un delitto) accusandoli d'essere tigri infami assetate di sangue che oltraggiano i numi condannando a morte un innocente. I Sacerdoti le rispondono con tono implacabile: "È traditor! morrà". Infine la giovane, col cuore in tumulto, si scaglia impetuosa contro Ramfis, che chiude il corteo dei Sacerdoti, ricordandogli che Radamès era l'uomo a lei destinato; il suo sangue ricadrà sui suoi giudici. Ramfis e i Sacerdoti s'allontanano lentamente, continuando a ripetere, quasi meccanicamente:"È traditor!". Al colmo dell'ira e della disperazione,Amneris urla il suo anatema sull'"empia razza" dei Sacerdoti e invoca su loro la vendetta del cielo. SCENA SECONDA. La scena è divisa in due piani. Il piano superiore rappresenta l'interno del tempio di Vulcano splendente d'oro e di luce; il piano inferiore un sotterraneo. Lunghe file d'arcate si perdono nell'oscurità. Statue colossali d'Osiride colle mani incrociate sostengono i pilastri della volta. 16. SCENA E DUETTO - FINALE ULTIMO. Radamès è nel sotterraneo sui gradini della scala per cui è disceso. Al di sopra, due Sacerdoti intenti a chiudere la pietra del sotterraneo. Il pensiero del condannato corre ad Aida: si augura che ella viva felice e ignori la sua sorte. Ad un tratto gli sembra di udire un gemito e crede di vedere una forma disegnarsi e muoversi nell'ombra. È Aida! Ella gli narra d'essere penetrata furtiva, immaginando la sua condanna, nella tomba destinatagli, spintavi dal desiderio di morire fra le braccia dell'uomo amato. Radamès è colto dall'angoscia (Morir! sì pura e bella): per averla amata ora egli la uccide! No! ella non deve morire. Ma Aida

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ormai vaneggia (Vedi?... di morte l'angelo): le sembra di vedere l'angelo della morte appressarsi luminoso per condurli nel regno della gioia eterna e il cielo dischiudersi all'estasi di un amore immortale. Si ode il canto delle Sacerdotesse nel tempio che invocano i numi. Per Radamès questo canto è il tripudio dei Sacerdoti. Per Aida è il loro inno di morte. Il giovane tenta invano di smuovere la pietra che chiude la tomba.Tutto è ormai finito sulla terra per loro. Radamès si rassegna e con la desolazione nel cuore si riavvicina ad Aida. È il momento dei supremi addii (O terra, addio): i due amanti vedono il cielo schiudersi e le loro anime volare al raggio del giorno eterno. Appare nel tempio Amneris in abito di lutto che va a prostrarsi sulla pietra tombale invocando la pace eterna per Radamès. Aida cade dolcemente fra le braccia di Radamès, mentre continuano a risuonare nel tempio il canto delle Sacerdotesse e la prece di Amneris. La tela cala sul suono acuto dei violini, suono che sembra perdersi nell'infinito, così come dall'infinito quel suono sembrava provenire a inizio di dramma.

Otello Dramma lirico in quattro atti. Versi di Arrigo Boito

Prima rappresentazione: Milano,Teatro alla Scala, 5 febbraio 1887 Il dramma deriva dalla tragedia Othello di Shakespeare, composta intorno al 1604, a sua volta ispirata a una novella in versi del letterato ferrarese Gian Battista Giraldi Cintio, tratta dai suoi Ecatommiti (1565). L'argomento era già stato musicato da Rossini su libretto del marchese Berlo (1816): il suo Otello aveva avuto grande successo, restando a lungo nel repertorio dei teatri dell'Ottocento; ancora lo si rappresentava quando Verdi decise di affrontare il medesimo argomento. L'atto di nascita dell'Otello verdiano risale all'estate del 1879. La vicenda era tuttavia destinata a durare poco meno di otto anni. Si tratta di un lungo percorso, che sta a significare l'estrema prudenza del compositore nel ritentare la via del teatro e soprattutto la sua grande cautela nel ritentarla attraverso la collaborazione di un artista quale Boito, i rapporti con il quale, oltre tutto, erano stati in passato segnati da dissidi e da incomprensioni. Queste le tappe essenziali. Nel giugno di 1879 Verdi accetta l'invito a dirigere la sua Messa da requiem alla Scala a beneficio dei danneggiati dalle inondazioni. L'esecuzione avviene il 30 giugno. Il giorno seguente all'Ilótel de Milan ha luogo un pranzo cui partecipano Verdi e Giulio Ricordi con le rispettive consorti. È l'occasione tanto attesa dall'editore per informare il compositore che Boito sta scrivendo per lui un libretto dall'Otello di Shakespeare. Verdi, che con l'Aida riteneva ormai conclusa la sua carriera teatrale, agisce tuttavia con infinita prudenza. Lascia a Giuseppina l'incarico di tenere a bada il focoso Giulio onde procurarsi tutto il tempo per riflettere. In novembre Boito spedisce il libretto al compositore. Questi lo legge e, nel corso di una visita a Milano, gli esprime il proprio gradimento facendone l'acquisto, ma senza impegnarsi in alcun modo a musicarlo. Dopo aver sperimentato con soddisfazione la collaborazione di Boito in occasione della revisione del Simon Bocca-negra (1881), Verdi si lascia tentare dall'Otello. Ma è solo dopo l'andata in scena del nuovo Don Carlo alla Scala (1884) che comincia a tracciare le prime note. La composizione procede molto lentamente fino all'aprile del 1885, per poi subire un arresto di alcuni mesi. Il libretto ormai non corrispondeva che in minima parte al testo consegnato da Boito quattro anni prima, in quanto era stato interamente ristrutturato da Verdi. Nell'autunno del 1885 Verdi riprende il lavoro. E a questo punto la composizione procede, se non spedita, almeno senza interruzioni. Ai primi di gennaio del 1886 il quarto atto appare ultimato. Il compositore si dedica poi alla revisione degli altri tre atti. Affronta quindi la strumentazione, iniziando dal quarto atto. Finalmente, il giorno di Ognissanti può annunciare a Boito: "È finito!". La prima rappresentazione alla Scala fu un autentico avvenimento culturale: a parte i rifacimenti del Simon Boccanegra e del Don Carlo, erano passati quindici anni da quando il maestro s'era presentato per l'ultima volta al pubblico con un'opera nuova. Il successo fu pieno e incondizionato, sì da consentire a questa penultima fatica verdiana d'insediarsi stabilmente nel repertorio teatrale internazionale.

PERSONAGGI E PRIMI INTERPRETI OTELLO, moro, generale dell'armata veneta tenore Francesco Tamagno JAGO, alfiere baritono Victor Maurel

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CASSIO, capo di squadra tenore Giovanni Paroli RODERIGO, gentiluomo veneziano tenore Vincenzo Fornari LODOVICO, ambasciatore della Repubblica Veneta basso Francesco Navarrini MONTANO, predecessore d'Otello basso Napoleone Limonta nel governo dell'isola di Cipro Un araldo basso Angelo Lagomarsino DESDEMONA, moglie d'Otello soprano Romilda Pantaleoni EMILIA, moglie di Jago mezzosoprano Ginevra Petrovich Soldati e marinai della Repubblica Veneta. Gentildonne e gentiluomini veneziani, popolani ciprioti d'ambo i sessi. Uomini d'arme Greci, Dalmati,Albanesi.Vanciulli dell'isola. Un taverniere. Quattro servi di taverna. Bassa ciurma Scena: una città di mare nell'isola di Cipro Epoca: La fine del secolo XV [sulla base della novella di Giraldi Cinthio, Boito aveva stabilito la data intorno al 1520-1525; ma aveva suggerito al disegnatore dei costumi, Alfredo Edel, di ispirarsi alla pittura veneziana di fine Quattrocento, in particolare a Carpaccio e a Gentile Bellini]

RIASSUNTO DELL'AZIONE DRAMMATICA N.B. L'opera non contempla pezzi chiusi; tuttavia per maggiore chiarezza espOsitiva è stata adottata la griglia ovvero l'Indice delle scene quale appare sulla prima edizione dello spartito per canto e pianoforte.

ATTO PRIMO L'esterno del castello. Una taverna con pergolato. Gli spalti nel fondo e il mare. È sera. Lampi, tuoni, uragano. 1. URAGANO. Su un fortissimo accordo dissonante di tutta l'orchestra si spalanca immediatamente il sipario. Sul fondo della scena il mare appare sconvolto da un violento uragano; la nave su cui è Otello, di ritorno da una vittoria conseguita sui Mussulmani, è in balia dei violenti marosi. Cassio e Montano osservano la scena dagli spalti. Tutto il popolo segue angosciato e prega Iddio che salvi la vita del prode condottiero e dei marinai (Dio, fulgor della bufera!). Nella folla Jago e Roderigo, a parte, sperano che la nave del duce s'infranga sugli scogli. Ma qualcuno grida "È salvo!". Alla fine la nave, nonostante l'artimone infranto, giunge in porto; e il popolo e i soldati s'affrettano ad agevolarne l'approdo. Dalla scala della spiaggia finalmente Otello sale sullo spalto; seguito da marinai e soldati annuncia la vittoria sui Mussulmani (Esultate!). Quindi entra nel castello, seguito da Cassio, da Montano e dai soldati. Intanto, mentre la bufera si va calmando, il popolo festeggia la vittoria (Vittoria! Sterminio!). Nel fondo è un andirivieni della ciurma che sale dalla scala della spiaggia ed entra nel castello portando armi e bagagli, mentre dei popolani escono da dietro la rocca portando rami da ardere presso lo spalto; alcuni soldati con fiaccole illuminano la via percorsa da questa gente. Nel frattempo Jago osserva Roderigo che sa invaghito di Desdemona e che ora si sta rodendo dalla gelosia: vedendo in lui lo strumento per dar sfogo al proprio astio, gli si avvicina; gli si professa amico sincero e lo invita alla pazienza assicurandolo che Desdemona presto s'annoierà di Otello: giura che quella donna alfine sarà sua. Anch'egli, Jago, ha motivo di odiare il Moro, e lo rivela indicandogli l'azzimato Cassio, il quale, nel frattempo rientrato per unirsi a un crocchio di alcuni soldati, si sta avvicinando a un gruppo di ragazze sotto il pergolato: è lui che gli ha usurpato il grado di capitano, relegandolo al rango di alfiere. Frattanto alcuni del popolo formano da un lato una catasta di legna; la folla s'accalca intorno turbolenta e curiosajago ha un piano per vendicarsi dell'affronto del Moro; si allontana verso il fondo continuando a conversare con Roderigo, mentre i soldati si affollano alle tavole della taverna. Intanto continua il passaggio della bassa ciurma dal fondo, mentre dalla catasta cominciano ad alzarsi dei globi di fumo sempre più denso. 2. CORO. Improvvisamente il fuoco divampa: il popolo esplode di gioia (Fuoco di gioia!). Durante il canto i tavernieri appendono al pergolato dell'osteria alcune lanterne veneziane di vari colori che illuminano gaiamente la scena; i soldati si siedono alle tavole dell'osteria, mentre il fuoco si spegne a poco a poco. La bufera è ormai cessata. 3. BRINDISI. Jago, Roderigo e Cassio sono coli parecchi uomini d'arme, parte in piedi e parte seduti, intorno alla tavola dove c'è del vino. Di scatto Jago invita Roderigo e Cassio a bere e avvicina a questi il boccale; ma Cassio dapprima rifiuta avendo già bevuto troppo. Jago insiste perché si beva alle nozze di Otello e Desdemona. Il capitano accetta rivolgendo un complimento alla bellezza della sposa. Jago approfitta di queste parole per mettere in guardia Roderigo da Cassio: l'"astuto seduttore" è un ostacolo verso la conquista di Desdemona; quindi, sempre più

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incalzante, lo sprona a ubriacarlo. Infine, ad alta voce, ordina del vino ai tavernieri, riempie i bicchieri e scioglie un brindisi (Innaffia l'ugola!). Cassio gli risponde cantando le lodi del vino. Jago continua il brindisi, ogni tanto incitando sottovoce Roderigo a far bere Cassio. Sempre più inebriato dal vino Cassio non riesce a ricordare le parole e balbetta, suscitando l'ilarità dei presenti. Mentre tutti ridono di Cassio, in disparte Jago sobilla Roderigo, esortandolo a trascinare Cassio "a contesa", sì da turbare la prima notte d'amore di Otello. 4. [SCENA]. Entra Montano per ordinare al capitano di andare di guardia ai baluardi. Cassio si avvia barcollando. Montano si stupisce di vederlo in tali condizioni; Jago, mentendo, gli dice che ogni sera Cassio si ubriaca. Montano si ripromette di riferire la cosa a Otello. Intanto la vista di Cassio che si muove vacillando suscita le risate dei presenti. Nell'udirle Cassio improvvisamente s'adira e subito s'avventa contro Roderigo che lo deride con atto di sfida. Montano s'interpone per separare i due contendenti, ma il capitano lo respinge minacciandolo; quindi snuda la spada contro Montano stesso e lo affronta in duello. Durante il furibondo assalto Jago sussurra in disparte a Roderigo di spargere tumulto gridando "Sommossa!"; quindi si rivolge ai duellanti esortandoli a fare pace. Montano intanto già gronda sangue.Tutti invocano tregua. M culmine del tumulto improvvisamente appare Otello, seguito da gente con fiaccole, e ordina di abbassare immediatamente le spade. I contendenti s'arrestano; Montano, ferito, s'appoggia a un soldato. Otello chiede il motivo di tanto disordine rivolgendosi ali—onesto" Jago. Questi, con parole tronche e con maniere dimesse, dichiarandosi addolorato per l'accaduto, non sa spiegarsi tanta furia improvvisa. Otello si rivolge a Cassio, che balbettando chiede grazia; quindi a Montano. Vedendolo ferito Otello s'adira. In quel mentre sulla soglia del castello appare Desdemona. Otello nel vederla viene assalito da un moto di furore contro il responsabile che ha turbato il sonno della sua sposa. Di scatto si volge contro Cassio: "Non sei più capitano!". Cassio lascia cadere la spada, che viene raccolta da Jago, il quale, mal celando un moto di gioia, la consegna a un ufficiale. Otello ordina a Jago di andare in città a ricomporre la pace e impone a tutti di rientrare nelle proprie case. La scena si svuota. È ormai notte e il cielo appare quasi sereno; si vedono alcune stelle, fra cui Venere, e sul lembo dell'orizzonte il riflesso cerulo della luna nascente. Otello e Desdemona restano soli. Otello va sul fondo onde assicurarsi che tutti siano partiti; indi ritorna presso Desdemona, che amorosamente lo contempla, e la stringe dolcemente al petto. I sussulti dell'orchestra vanno pian piano riducendosi al suono di un solo violoncello. 5. [DUETTO]. Nel silenzio della notte l'amoroso amplesso è un balsamo per Otello: tuoni pure la guerra se dopo l'ira immensa viene questo immenso amore (Già nella notte densa). Desdemona, commossa, ricorda il tempo in cui ascoltava estatica Otello che nel narrarle le sue imprese di guerra le parlava dei fulgidi deserti della sua terra e degli spasimi sofferti in schiavitù. Otello ricorda quei momenti, e ricorda le lagrime di Desdemona all'udire i suoi racconti. Ella lo amava per le sue sventure. E lui l'amava per la sua pietà. La gioia che Otello sente nell'anima è tale che teme possa essere l'ultima. Ma Desdemona lo rasserena: l'amore non muti col mutare degli anni. Sia questa preghiera esaudita dal cielo. Al colmo dell'emozione, Otello sente mancarsi le forze e s'appoggia a un rialzo degli spalti. Desdemona si china su di lui. Otello la bacia. Quindi, rialzandosi, fissa il cielo, ormai del tutto rasserenato, e indicando la stella di Venere invita Desdemona a rientrare. Abbracciati, gli sposi si avviano lentamente verso il castello.

ATTO SECONDO Una sala terrena del castello. Una invetriata la divide da un grande giardino. Un verone. 6. [SCENA]. Jago al di qua dal verone. Cassio al di là. Jago consola Cassio deposto dall'incarico di capitano e lo invita a chiedere a Desdemona di intercedere presso Otello. Ella è molto amata dal Moro e di animo gentile; il suo intervento in suo favore gli varrebbe presto il rientro nei ranghi. In Cassio si riaccende la speranza e, seguendo le indicazioni di Jago, va nel giardino dove a quell'ora Desdemona è solita passeggiare con le sue dame, tra cui Emilia, la sposa di Jago. Cassio si allontana. 7. [MONOLOGO]. Jago lo segue con l'occhio gongolando del suo feroce piano. Quindi, allontanatosi dal verone, cambia ad un tratto fisionomia e accento e s'abbandona a una folle esaltazione della ferocia caina che lo anima (Credo in un Dio crudel): vuole il male per il male perché a tale compito si sente destinato. Il cinico crescendo delle sue riflessioni sulla vile natura

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dell'uomo, nato dal fango e nel fango destinato a tornare, annichila ogni valore: tutto nell'uomo è bugiardo. Infine la morte è il nulla e una favola è il Cielo. Si vede passare nel giardino Desdemona con Emilia; Jago si slancia al verone dove nel frattempo si è appostato Cassio. Jago lo sprona a incontrare Desdemona per supplicare la grazia. Cassio un po' intimidito va verso Desdemona, la saluta e le si accosta. L'alfiere resta sempre al verone, ma un poco discosto, osservando il dipanarsi della sua trama: e mentre Desdemona e Cassio passeggiano conversando insieme, invoca l'aiuto di Satana affinché favorisca il suo piano: Otello dovrà cadere nella rete. Fa per avviarsi all'uscio del lato destro, ma s'arresta subitamente; il caso si adopera in suo favore: sta arrivando Otello. Va subito a collocarsi al verone di sinistra, guardando fissamente verso il giardino, dove sono Desdemona e Cassio. 8. [SCENA]. Simulando di non aver visto Otello che gli si avvicina di calmo umore, finge di parlare tra sé: "Ciò m'accora" mormora, sospendendo la frase con intenzione. La trappola è scattata. Otello chiede ragione di quella frase allusiva, ma Jago finge di voler sviare il discorso. Otello chiede se a parlare con la sua sposa sia Cassio; ma l'alfiere, con timidezza e rispetto apparenti, rimane ambiguo e interroga invece il Moro sui rapporti tra Desdemona e Cassio prima del matrimonio... Otello calmo chiede il motivo di tale inchiesta. Ma Jago risponde con altre domande. Finché i dubbi che egli insinua cominciano a tormentare Otello, il quale in un improvviso accesso d'ira incalza l'alfiere affinché si esprima senza velami. Jago rifiuta recisamente, quindi avvicinandosi al Moro gli sussurra - giusto nel momento in cui sta iniettando il veleno del sospetto più feroce - di guardarsi dalla gelosia, idra fosca che avvelena se stessa... Un grido d'angoscia scuote le fibre di Otello, che tuttavia non vuol cedere al dubbio; vuole indagare per avere la prova e, solo dopo la prova, amore e gelosia andranno dispersi insieme. A tali accenti Jago si fa più ardito: sottilmente consiglia al proprio duce di vigilare su Desdemona e di ascoltare con attenzione le sue parole: solo così potrà capire dov'è la verità. 9. CORO. Si vede ricomparire Desdemona nel giardino: è circondata da donne dell'isola, da fanciulli e da marinai ciprioti e albanesi, che si avanzano offrendole fiori e altri doni; alcuni s'accompagnano cantando sulla guzla, altri su piccole arpe ad armacollo (Dove guardi splendono raggi); tutti tessono le lodi di Desdemona ed ella risponde amabilmente, mentre alcuni fanciulli spargono fiori di giglio cantando e i marinai le offrono monili di corallo e di perle. Durante il coro Otello osserva insieme a Jago. Otello si sente riconquistato dalla gentilezza della sua sposa, ma Jago sa che riuscirà a distruggere quell'amore... Finito il coro, Desdemona bacia la testa di alcuni fanciulli, mentre alcune donne le baciano il lembo della veste; ella porge una borsa ai marinai. 10. [QUARTETT]. Mentre il coro si allontana, Desdemona, seguita da Emilia, entra nella sala avanzando verso Otello. Ingenuamente intercede per Cassio, della cui sorte ha pietà. Ma Otello legge in quelle parole la conferma dei sospetti insinuati da Jago. La sposa, vedendolo animarsi e sudare, trae dal vestito un fazzoletto con l'intenzione di tergere il sudore della sua fronte. Ma le attenzioni di Desdemona non fanno che inasprire l'ira di Otello, che bruscamente getta in terra il fazzoletto. Emilia subito lo raccoglie con deferenza. Desdemona è dolorosamente sorpresa, non sapendo spiegarsi un così repentino cambiamento d'umore nello sposo, e gli chiede umilmente perdono (Dammi la dolce e lieta parola) pregandolo di guardarla in volto: in lei parla solo amore. Ma Otello, tormentato dal dubbio, non l'ascolta; a parte esprime l'umiliazione dell'uomo di scura pelle che sta invecchiando e vede rovinare nel fango il suo sogno d'amore. Intanto Jago, sottovoce, impone a Emilia di consegnargli il fazzoletto; Emilia, che ormai ben conosce il livido carattere del marito, sospetta nella sua richiesta una frode e rifiuta con decisione; con ira crescente l'alfiere le afferra violentemente il braccio e infine con un colpo di mano riesce a carpirle il fazzoletto imponendole di tacere, pena la vita. D'improvviso Otello ordina a tutti di uscire. Desdemona, affranta, ed Emilia, turbata, escono. 11. [DUETTO]. Jago finge di uscire, ma si arresta sul fondo. Otello, accasciato su un sedile, è ormai irretito dai fantasmi della gelosia che lo convincono a poco a poco della colpevolezza di Desdemona. Jago intanto ha già trovato un modo di fare di quel fazzoletto la prova per le sue macchinazioni. Si avvicina a Otello consigliandolo con tono bonario a non pensarci più. Ma Otello insorge violentemente contro di lui: Jago gli ha tolto la pace insinuando il sospetto, quel sospetto

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che è ben peggio dell'ingiuria. Cedendo all'angoscia si esprime con parole d'ira e di rimpianto; vede il mondo ormai crollare intorno a sé: addio sogni di gloria, addio vittorie, addio trionfi! (Ora e per sempre addio). L'alfiere tenta di calmarlo. Ma l'ira del Moro è ormai incontenibile: vuole la prova sicura del tradimento. Con forza tremenda si scaglia sull'alfiere, che tenta di sfuggirgli, scuotendolo violentemente; infine lo afferra per la gola e lo atterra. Rialzandosi rapidamente con mossa serpentina e fingendosi offeso, Jago dichiara di non essere più alfiere e, chiamando a testimone il mondo che l'onestà è pericolo, fa per andarsene. Ma Otello, come placato, gli ordina di rimanere: forse Jago è onesto. O forse è onesta Desdemona, e Jago è disonesto?... Lacerato dal dubbio il Moro reagisce con impeto e chiede la prova certa del tradimento. A questo punto Jago ritorna presso Otello: vuole vedere forse Desdemona e Cassio avvinti insieme? Difficile impresa. Come dunque raggiungere la certezza? Una congettura potrebbe condurre la ragione alla verità. E avvicinandosi molto a Otello, sottovoce, con tono misterioso, gli racconta di un sogno...: narra d'aver dormito una notte accanto a Cassio (Era la notte, Cassio dormìa) e d'averlo sentito pronunciare nel sonno il nome di Desdemona e quindi imprecare il destino che l'ha consegnata al Moro. Otello ascolta con ansia e con vergogna: il sogno gli basta per rivelare un fatto. Ma v'è un altro indizio, gli sussurra Jago: un fazzoletto più sottile di un velo e trapunto a fiori. È il fazzoletto, dichiara Otello, che egli diede a Desdemona quale primo pegno d'amore. Ebbene, quel fazzoletto Jago lo ha visto in mano di Cassio... La misura è colma. Otello, come colpito da un fulmine, balza in piedi in preda a un'ira parossistica invocando sangue; quindi s'inginocchia e, levando la mano al cielo, con solenne accento giura vendetta mortale (Sì, pel ciel marmoreo). Fa per alzarsi; ma Jago lo trattiene inginocchiato e s'inginocchia anche lui giurando di votarsi alla causa di Otello.

Verdi a Montecatini: seduta alla sua destra Teresa Stolz (ca. 1898)

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Verdi con alcuni ospiti nel giardino di S. Agata. In piedi da sinistra: Teresa Stolz, Umberto Campanari e Giulio Ricordi. Seduti: Maria Filomena

Verdi in Carrara, Barberina Strepponi cognata del maestro, Verdi e Giuditta Ricordi

ATTO TERZO

La gran sala del castello. A destra, un vasto peristilio a colonne. Questo peristilio è annesso a una sala di minori proporzioni; nel fondo della sala un verone. 12. [SCENA] . Otello e Jago sono in scena in atteggiamento di persone che continuano un discorso, mentre in orchestra risuona il tema della gelosia. Un araldo dal peristilio annuncia l'arrivo della galea che conduce a Cipro gli ambasciatori veneziani. Otello gli fa cenno di allontanarsi; ora ha altro di cui preoccuparsi: JagQ gli sta illustrando come predisporre una trappola per far sì che Cassio si tradisca. Il Moro accetta il suo piano. L'alfiere s'allontana; ma subito ritorna da Otello per sussurrargli all'orecchio "Il fazzoletto...". Otello trasalisce e grida imperiosamente a Jago di uscire. 13. [DUETTO]. Desdemona entra dalla porta di sinistra; restando sulla soglia saluta lo sposo con tono sereno (Dio ti giocondi, o sposo). Questi le va incontro e, prendendole la mano, le si rivolge sforzandosi di tenere un atteggiamento affettuoso. Desdemona rinfrancata dalla sua gentilezza ricomincia a parlargli di Cassio. Otello subito si agita; fingendo un improvviso malessere chiede alla sposa di fasciargli la fronte. Desdemona trae un fazzoletto. Ma Otello vuole vedere quello stesso che egli le donò e la terrorizza, dicendole che fu un dono di una maga e che perderlo sarebbe una grave sventura. Desdemona è impressionata non dal racconto bensì dalla voce di Otello, che minaccioso le chiede se ha perduto il fazzoletto e con tono alterato le ordina di rintracciarlo. Desdemona è atterrita. Poi, d'un tratto, la sua fisionomia si muta: l'ira tremenda di Otello non avendo motivo d'essere, un sorriso le spunta sulle labbra e si rivolge allo sposo credendo che sia tutto uno scherzo da parte sua per stornare la richiesta di perdono per Cassio. Otello rimane un momento stupefatto a guardarla; ma subito torna a chiederle del fazzoletto, crescendo di tono fino a un grido minaccioso di richiesta. Desdemona ne ha spavento. Alfine il Moro, esasperato, prendendola a forza sotto il mento e alla spalla la obbliga a guardarlo e a confessare la sua colpa. Desdemona proclama a gran voce la sua fedeltà. Quindi, esterrefatta, fissando il marito negli occhi, piange (Mi guarda! il volto e l'anima ti svelo): sono le sue prime lagrime. Ma Otello non presta fede alle sue parole e al suo pianto: il diavolo stesso ora la crederebbe un angelo. Invano Desdemona invoca giustizia dallo sposo; poi, nel veder che anche Otello piange, accusa se stessa di essere la causa del suo pianto e gli chiede qual è il suo peccato. Otello con voce sorda la accusa del più nero delitto, quindi in un accesso d'ira la apostrofa "vil cortigiana"! D'un tratto, mutando l'ira nella più terribile calma dell'ironia, prende galantemente Desdemona per mano e, conducendola alla porta, le chiede dolcemente perdono per aver ritenuto la sposa d'Otello - e qui la sua voce

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prorompe in un urlo incontenibile - una "vil cortigiana"!... Sforza, con una inflessione del braccio, Desdemona a uscire. Poi ritorna verso il centro della scena nel massimo grado dell'abbattimento. 14. [MONOLOGO]. Cade accasciato, oppresso dal dolore, sul sedile, ove rimane immobile, le braccia cadenti sulle ginocchia, il volto quasi piangente. Lentamente, come balbettando, si rivolge a Dio: Egli avrebbe potuto scagliare su di lui tutti i mali della miseria e della vergogna (Dio! mi potevi scagliar); ne avrebbe portato la croce serenamente, rassegnato al volere divino; ma gli è stato spento quel sole il cui raggio lo aveva reso lieto e vivo. Ormai non v'è più posto per la clemenza; con furore selvaggio Otello grida alla dannazione: che Desdemona prima confessi il delitto e quindi muoia! 15. [TERZETTO]. Improvvisamente entra Jago per avvertire Otello che Cassio sta arrivando. Il Moro appare inorridito. L'alfiere lo conduce rapidamente al verone, quindi corre al fondo del peristilio per andare incontro a Cassio, che esita a entrarejago gli si rivolge con fare galante chiamandolo capitano. Questi riteneva di ritrovare Desdemona per sapere da lei se la grazia fu accolta. Jago lo tranquillizza su questo punto; ma intanto, conducendo Cassio lontano dal punto in cui è nascosto Otello, lo interroga sulle sue avventure femminili e in particolare sulla bella del momento, Bianca, ma in modo che a Otello giungano solo le frasi che confermino il sospetto. Il dialogo fra i due si svolge con gaiezza e vivacità, con parole allusive, frasi sospese, alternate a risatine. Otello non ode le parole, ma sente le risate, che per lui suonano a scherno. Il dialogo continua: Cassio ora vagheggia altre donne e racconta a Jago di un'avventura galante; le parole si odono solo a tratti. Infine Cassio narra a Jago, che gli raccomanda di parlare sommesso, uno strano fazzoletto rinvenuto nella sua dimora. Le parole si perdono. Otello vede, ma non sente. Cassio mostra il fazzoletto:un velo trapunto; come vorrebbe sapere da chi proviene! Jago finge meraviglia. E intanto fa cenno a Otello di avvicinarsi. Quindi prende il fazzoletto e, inchinandosi a Cassio scherzosamente per complimentarlo, passa le mani dietro la schiena, affinché Otello possa osservare il fazzoletto. "È quello!" grida Otello: ora ha la prova del tradimento! Jago intanto guarda sorridendo il fazzoletto e con galanteria lo paragona a una ragnatela dove il cuore s'impiglia e muore. Anche Cassio ammira il vago tessuto, più lieve d'un fiocco di neve. Uno squillo interno di trombe, seguito da un colpo di cannone, annuncia l'approdo della trireme veneziana. Jago suggerisce a Cassio di uscire in fretta per non scontrarsi con Otello. Cassio parte velocemente. 16. [SCENA]. Otello esce dal nascondiglio: ora non ha altro pensiero che quello di uccidere Desdemona. Mentre di fuori risuonano altri squilli di trombe accompagnati da grida esultanti di popolo che inneggiano al Leone di San Marco, il Moro ordina a Jago di procurargli subito del veleno. Ma questi suggerisce altro mezzo: val meglio soffocare la sposa là dove ha peccato, nel suo letto. Questa giustizia piace a Otello, che seduta stante promuove Jago a capitano. Questi ringrazia; prima di uscire consiglia al Moro che, per non destare sospetti, anche Desdemona si mostri ad accogliere gli ambasciatori. Otello si avvia sul fondo per riceverli. 17. FINALE. Il tumulto è sempre più vicino e gli squilli s'infittiscono fino a esplodere in un generale evviva del coro. Entrano Lodovico, l'Araldo, dignitari della Repubblica Veneta, gentiluomini e dame, soldati. Con loro Jago, Roderigo e Desdemona insieme a Emilia. Lodovico consegna a Otello un messaggio del Doge. Otello ne bacia il suggello in segno di omaggio, lo apre e lo legge. Intanto Lodovico s'avvicina a Desdemona per salutarla. Desdemona ringrazia; poi, a parte, esprime a Emilia, che ha notato la mestizia che le sta sul volto, grande preoccupazione per Otello e per sé. Si fa dappresso anche Jago; Lodovico lo saluta; ma subito nota l'assenza di Cassio; Jago accenna a un cruccio di Otello nei suoi confronti. Ancora una volta Desdemona dolcemente interviene in suo favore: spera che Cassio, per il quale nutre sincero affetto, torni presto in grazia. Jago, con perfida intenzione, ripete le parole di Desdemona. Intanto Otello, pur leggendo il messaggio dogale, non ha perso una parola di Desdemona. Ad un tratto, febbrilmente, ma sottovoce, ingiunge alla sposa di tacere. Questa fa per scusarsi. Ma Otello non riuscendo a trattenere l'ira si avventa contro di lei: "Demonio, taci!" e fa per alzare la mano per percuoterla. Ma Ludovico s'interpone risolutamente arrestando il gesto di Otello, gesto che desta orrore in tutti i presenti. Repentinamente Otello, con tono imperioso, ordina all'Araldo di condurgli Cassio e sottovoce a Jago, che preoccupato s'è rapidamente accostato a lui, chiede di scrutare le mosse di

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Desdemona. Intanto Lodovico, dolorosamente sorpreso dall'atto violento compiuto da colui che tutti considerano guerriero indomito, compiange la sposa. Giunge Cassio. Ad alta voce, cercando di dominarsi, Otello comunica il messaggio: il Doge lo richiama a Venezia e nomina Cassio suo successore in Cipro.A tale notizia Jago non nasconde un moto di rabbia furiosa. Otello continua rendendo note le sue decisioni (ma di quando in quando, rapidamente e con fare convulso, si rivolge minaccioso a Desdemona che gli sta vicino piangente): la parola dogale è legge; pertanto lascia le navi e il castello in potere del nuovo duce. Rivolgendosi infine a Lodovico e a Desdemona annuncia la partenza per l'indomani. Improvvisamente colto da un accesso d'ira afferra furiosamente Desdemona e la getta a terra. L'orrore è generale. Emilia e Lodovico si precipitano a sollevare Desdemona. Oppressa dal dolore la donna sente la morte nell'anima e l'agonia nel cuore (A terral... sì... nel livido fango): sulla sua vita s'è ormai spento il sole.Tutti attoniti compiangono la sorte della donna che a terra piange e presagiscono sventure. E mentre Otello, accasciato sul sedile, appare come paralizzato, incapace di muoversi e di parlare, Cassio esprime sconcerto per gli eventi inopinati: si sente sollevato dall'onda di un uragano. A sua volta Roderigo si mostra disperato ché non vedrà più la sua amata. In questo quadro immobile è il solo Jago a muoversi, intento a soffiare nuovo veleno nella mente di Otello e contemporaneamente a alimentare il discredito generale contro di lui. Si avvicina al Moro incitandolo a vendicarsi senza ulteriore indugio; a Cassio penserà egli stesso. Poi abbandona Otello e si dirige verso Roderigo: ironizza sulla prossima perdita della donna e gli suggerisce di uccidere Cassio al fine di prolungare il soggiorno del Moro. Improvvisamente Otello si erge in preda a una subitanea e incontrollabile ira e si rivolge alla folla ordinando a tutti di fuggire: chi non fugge è ribelle contro di lui. Jago lo scusa agli astanti: Otello è colto da pazzia... Ludovico fa per allontanare Desdemona; ma questa invece accorre verso lo sposo. Otello, guardandola terribile, la maledice.Tutti fuggono terrorizzati. Solo Jago rimane: vuole osservare il delirio crescente che s'impadronisce di Otello. Questi, al massimo grado del furore e sconvolto dalla gelosia, confessa di non poter fuggire se stesso; convulsamente delirando crede di vedere Desdemona e Cassio avvinti; indietreggia barcollando come per sfuggire a tale vista. Mentre fanfare e grida d'evviva giungono da fuori, urla più volte:"il fazzoletto, il fazzoletto"; ma la voce gli si strozza in gola, sente soffocarsi, sviene e cade al suolo come morto. Fuori il popolo continua ad acclamare Otello e il Leone di Venezia. Jago osserva con soddisfazione l'opera del suo maleficio. Ritto e con gesto d'orrendo trionfo indica il corpo inerte d'Otello:"Ecco il Leone!"...

ATTI) QUARTO La camera di Desdemona. Letto, inginocchiatoio, tavolo, specchio, sedie. Una lampada arde appesa davanti all'immagine della Madonna che sta al di sopra dell'inginocchiatoio. Porta a destra. È notte. Un lume acceso sul tavolo. 18. CANZONE. Desdemona è in scena in compagnia di Emilia. Otello le ha ordinato di coricarsi nella sua camera e di attenderlo. Prega Emilia di prepararle la veste nuziale e, colta da un funesto presagio, le chiede di seppellirla, se dovesse morire prima di lei, con quella veste. Emilia, preoccupata, la invita a scacciare queste idee. Sedendo macchinalmente davanti allo specchio per farsi pettinare da Emilia, Desdemona è assalita dal ricordo di un'ancella di sua madre: si chiamava Barbara e amava un uomo che poi la abbandonò. Soleva cantare una canzone: la canzone del salice. Piena la memoria di quella cantilena, Desdemona la intona (Piangea cantando nell'erma landa): è la storia di una fanciulla abbandonata che piange invocando la morte, la testa inghirlandata dai rami di un salice. D'un tratto, vedendo al proprio dito l'anello, Desdemona chiede a Emilia di riporlo e conclude la canzone: "Egli era nato per la sua gloria, io per amar...". D'improvviso s'interrompe: le sembra d'udire un lamento e battere alla porta.Tranquillizzata da Emilia, riprende a cantare la fine della canzone. È ora di coricarsi. Congeda Emilia. Gli occhi le bruciano: presagio di pianto. Emilia si volge per partire, poi ritorna e Desdemona l'abbraccia con un disperato addio. 19. AVE MARIA. Rimasta sola, Desdemona va all'inginocchiatoio e prega la Vergine. Accompagnata dai soli archi, mormora il testo sacro della preghiera (Ave Maria); ma poi il sentimento religioso è sopraffatto da quello umano ed ella si rivolge alla Vergine con parole sue, pregando commossa per il peccatore e per l'innocente, per il debole e per il potente, per chi piega la fronte sotto l'oltraggio. Quindi appoggia la fronte sull'inginocchiatoio in atteggiamento pregante,

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come chi ripete mentalmente un'orazione: non s'odono che le prime e le ultime parole della preghiera: "Ave Maria.... nell'ora della morte. Amen". Poi si alza, va a coricarsi e s'addormenta. 20. [DUETTO]. Improvvisamente il suono dell'orchestra sprofonda su una cupa melodia intonata dai soli contrabbassi: da una porta segreta appare Otello. Nella destra ha una scimitarra. Rimane immobile per qualche istante. Richiude la porta. Quindi depone la scimitarra sul tavolo e s'arresta davanti alla face, titubante se spegnerla o no. Guarda Desdemona. Spegne la face. La scena resta rischiarata dal solo lume dell'inginocchiatoio. Spinto da un impeto di furore Otello s'avvicina al letto; ma là s'arresta. Contempla lungamente Desdemona che dorme: quanti ricordi, quanti sentimenti invadono il suo animo! Si china per baciarla tre volte. All'ultimo bacio Desdemona si desta. Egli le chiede se ella ha già pregato giacché ha ormai deciso di ucciderla. Invano ella invoca il cielo a testimone della propria fedeltà: Otello la accusa d'amare Cassio; prova ne sia il fazzoletto che ella gli ha donato. Desdemona nega, giurando che non è vero. Ma ai disperati dinieghi dell'atterrita sposa Otello si esalta sempre di più e la incalza con furore crescente. Desdemona balza dal letto e invoca la testimonianza di Cassio. Ma Cassio è morto, le dice Otello con terribile freddezza. Cassio morto! Desdemona è disperata. Tenta di sfuggire allo sposo che la insegue. Questi alfine l'afferra, la getta violentemente sul letto e, stringendole le mani al collo, la soffoca. Poi ne contempla il corpo inerte. 21. [SCENA]. S'ode bussare forte alla porta. È Emilia che chiede a gran voce di entrare. Otello le apre. La donna accorre per annunciare che Roderigo è stato ucciso da Cassio. Otello le chiede subito di Cassio: ella risponde che Cassio vive! Intanto s'ode provenire dal letto la voce di Desdemona morente che proclama la propria innocenza. Emilia accorre presso di lei: con parole stentate Desdemona accusa se stessa. E muore. Ma Otello subito interviene: egli stesso l'ha uccisa in quanto amante di Cassio, come Jago potrà testimoniare. Sentendo il nome del marito Emilia capisce tutto: si svincola dalla stretta di Otello e va a chiamare soccorsi. 22. [FINALE]. Arrivano Lodovico, Cassio, Jago. Emilia chiede ragione a Jago. Otello interviene e parla del fazzoletto. Emilia allora intuisce e, ignorando le minacce di Jago, rivela come il fazzoletto le fosse stato sottratto a forza da costui. In quel mentre sopraggiunge Montano, il quale riporta la confessione di Roderigo morente che svela le nefandezze di Jago. Otello fa per avventarsi sull'alfiere, ma questi, lentamente indietreggiando e facendo mostra di parlare, improvvisamente fugge rapido, inseguito da alcuni. Otello si lancia ad afferrare la spada. Lodovico cerca di impedirglielo. Ma Otello lo ferma; nessuno abbia da temere da lui, anche se armato (Niun mi tema): è giunto ormai alla fine del suo cammino. Lascia cadere la spada, come annichilito; quindi va presso il letto e contempla Desdemona, pallida e muta, bella e casta, nata sotto maligna stella. Improvvisamente estrae furtivo dalle vesti un pugnale e si colpisce al cuore, invano trattenuto dagli astanti. Infine si avvicina alla sposa ingiustamente uccisa: tre volte la baciò prima di soffocarla; ora, all'ombra della morte, tre volte ancora vuole baciarla. Ma le forze lo tradiscono: riesce solo a baciare la mano, cadente penzoloni dal letto. Al terzo bacio la voce si spegne, ed è in un singhiozzo affannoso che egli pronuncia l'ultima sillaba, troncata dalla morte. Rotola dai gradini e rimane irrigidito ai piedi del letto.

Falstaff Commedia lirica in tre atti di Arrigo Boito

Prima rappresentazione: Milano,Teatro alla Scala, 9 febbraio 1893 Il libretto di Arrigo Boito è la geniale risultante di un'operazione volta a disegnare la figura del panciuto Sir John Falstaff - sempre in bilico fra cialtroneria irritante e fine ironia in un abile gioco dialettico tra oziosità e intraprendenza, tra gioco e realtà, tra farsa e dramma - traendo spunto, per l'azione drammatica, dalla commedia Le allegre comari di Windsor (1598) di Shakespeare e, per i risvolti psicologici del protagonista, dalla prima e dalla seconda parte dell'Enrico IV (1597-98), ancora di Shakespeare, dove Sir John è presente come vecchio e fedele compagno di tante avventure del Principe di Galles, dal quale, una volta questi divenuto re d'Inghilterra, sarà ripudiato. In precedenza già due importanti compositori avevano tradotto in musica la commedia shakespeariana delle Allegre comari: Antonio Salieri nel 1799 (Falstaff ossia Le Tre burle) e

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l'austriaco Otto Nicolai nel 1849 (Die lustige Weiber von Windsor). Da molti anni Verdi desiderava musicare un'opera comica. La notizia di un possibile Falstaff, su libretto di Ghislanzoni, subito smentita da Verdi, aveva cominciato a trapelare all'indomani del Don Carlos. Tutto accadde a partire dal giugno 1889 allorché al teatro Manzoni di Milano il maestro assistette insieme a Boito a una recita della Pamela nubile di Goldoni con Eleonora Duse. E fu recita "galeotta", poiché sembra che in tale occasione Verdi manifestasse a Boito l'antico desiderio di scrivere un'opera comica e il rincrescimento per non aver potuto trovare argomento idoneo nel teatro di Goldoni. Da un racconto posteriore di Giulio Ricordi si apprende che Boito "nulla disse; ma lasciato il maestro e tornato a casa, in quarantotto ore mise insieme di suo capo la tela di un libretto, che portò subito a Verdi" ormai in partenza per Montecatini. Dalla località termale Verdi immediatamente rispose esprimendo il proprio entusiasmo:"non si poteva far meglio di quello che avete fatto Voi", poi aggiungendo: "Voi nel tracciare Falstaff avete mai pensato alla cifra enorme de' miei anni? [..J Pure pen- siamoci Che gioja poter dir al Pubblica: Siamo quà ancora!!!". La collaborazione iniziò in gran segreto. Ma alla fine del novembre 1890 la notizia che Verdi stava scrivendo un'opera comica divenne di dominio pubblico e lasciò stupefatti critici e cronisti. Tuttavia ad amici, conoscenti, intervistatori Verdi ripeté insistentemente che scriveva per suo proprio divertimento: "semplicemente per passare il tempo, senza idee preconcette, senza progetti, ripeto, per passare il tempo! Nient'altro!". Uno dei primi brani che Verdi compose fu la fuga finale. Tuttavia la composizione procedette con lunghe pause; scriveva a Boito: "Il Pancione è sulla strada che conduce alla pazzia. Vi sono dei giorni che non si muove, dorme ed è di cattivo umore; altre volte grida, corre salta, fa il diavolo a quattro... Io lo lascio un po' sbizzarrire". Dietro le forti insistenze di Ricordi sarà solo nell'estate del 1892 che comincerà a prendere corpo la possibilità di rappresentare il Falstaff alla Scala. Fu un avvenimento di portata internazionale. Assenza di pezzi chiusi e struttura aperta al dialogo sbalordirono critici e disorientarono pubblici. L'opera sembrava ai più una frattura con quanto fatto da Verdi fino ad allora. In realtà il Falstaff sta come un ponte gettato fra il passato e l'avvenire. Per tanti aspetti esso costituisce la metafora del teatro verdiano, la metafora di una cultura che ai contemporanei appariva ormai superata, datata. Tutto declina. Mondo ladro! Mondo rubaldo. Reo mondo... Non c'è più virtù... Un intero patrimonio di idee e di concetti, su cui era fondato il teatro verdiano (e non solo verdiano) e sul quale si erano educate generazioni di italiani, viene rimesso in discussione, trasformato in oggetto di burla: l'eroismo, il dovere, l'onore, la gelosia, la patria potestà... Falstaff appare come l'ultimo superstite di un'aristocrazia decaduta, costretto a vivere in una sordida osteria, fra borghesucci, mercanti, mezzani e ubriaconi, in mezzo a una società estranea ai nobili ideali di un tempo, che ha voltato le spalle ai suoi eroi, agli Emani come ai Trovatori. E tuttavia Falstaff non la disprezza del tutto questa società; sa anzi viverci come un pesce nell'acqua, e, da audace e destro cavaliere quale era stato in gioventù alla corte di Enrico IV, cerca di ricavarne, ora che sta vivendo una piacente estate di San Martino, tutto il tornaconto possibile... Sviar l'onore, usare stratagemmi ed equivoci, destreggiar, bordeggiare... Esce beffato e scornato dalle sue imprese. Ma non demorde mai, con inguaribile ottimismo; e da ogni impresa rinasce pronto per nuove avventure. Irriconoscibile, almeno apparentemente, in quest'opera il Verdi dalle melodie lunghe e di ampio respiro, il Verdi dalle frasi turgide e dal canto incandescente. E tuttavia il Falstaff è forse l'opera del compositore più ricca di idee musicali, vocali e strumentali, melodie che egli spande con la generosità di un milionario, e che con l'eleganza di un aristocratico lascia sul suo cammino a volte senza svilupparle, a volte senza concluderle, come sospese nel tempo, per essere consegnate al nuovo secolo attraverso il canto di Nannetta e Fenton. Bocca baciata non perde ventura. Anzi rinnova come fa la luna...

PERSONAGGI E PRIMI INTERPRETI Sir JoHN FALSTAFF baritono Victor Maurel FORD, marito d'Alice baritono Antonio Pini-Corsi FENTON tenore Edoardo Garbin Dr CAJUS tenore Giovanni Paroli BARDOLFO }tenore Paolo Pelagalli-Rossetti

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seguaci di Falstaff PISTOIA basso Vittorio Arimondi Mrs ALICE FORD soprano Emma Zilli NANNETrA, figlia d'Alice soprano Adelina Stehle Mrs QUICKLY mezzosoprano Giuseppina Pasqua Mrs MEG PAGE mezzosoprano Virginia Guerrini L'oste della Giarrettiera [mimo] Attilio Pulcini Robin, paggio di Falstaff [mimo] N. N. Un paggetto di Ford [mima] N. N. Borghesi e popolani, servi di Ford, mascherata di folletti, di fate, di streghe, ecc. Scena: Windsor Epoca: regno di Enrico IV d'Inghilterra La presente commedia è tolta da Le Allegre Comari di Windsor e da parecchi passi dell'Enrico IV riguardanti il personaggio di Falstaff.

RIASSUNTO DELL'AZIONE DRAMMATICA ATTO PRIMO

PARTE PRIMA L'interno dell'Osteria della Giarrettiera. Una tavola. Un gran seggiolone. Una panca. Sulla tavola i resti d'un desinare, parecchie bottiglie e un bicchiere. Calamaio, penne, carta, una candela accesa. Una scopa appoggiata al muro. Uscio nel fondo, porta a sinistra. Falstaff è occupato a riscaldare la cera di due lettere alla fiamma della candela, poi le suggella con un anello. Quindi spegne il lume e si mette a bere comodamente sdraiato sul seggiolone. Il Dr Cajus entra dalla porta di sinistra gridando minaccioso il nome di Falstaff che, senza badare alle sue vociferazioni, chiama l'oste che si avvicina. Il Dr Cajus lo chiama allora con più foga e lo accusa di aver malmenato i suoi servi. Falstaff intanto, senza dargli retta, ordina un'altra bottiglia di Xeres all'oste che esce per eseguire. Ma il Dr Cajus continua a strillare accusando Sir John d'essere penetrato nella sua casa e d'aver "fiaccato" la sua giumenta. Falstaff, con flemma, conferma d'averlo fatto apposta. Il Dr Cajus ripiglia la sfuriata contro i suoi scagnozzi Bardolfo e Pistola, da lui accusati d'averlo ubriacato e quindi derubato. Questi negano spudoratamente e quando tutto sta per degenerare in rissa Falstaff si erge a giudice: interrogati i suoi servitori, li assolve accusando il Dr Cajus d'essersi sognato tutto tra i fumi del vino. Con il ritorno alla tonalità di Mi minore, la stessa che aveva introdotto l'arrivo del dottore, Falstaff congeda il suo ospite che, prima di uscire, si ripromette per il futuro di frequentare solo gente onesta e sobria. Bardolfo e Pistola lo accompagnano buffonescamente all'uscio e lo canzonano salmodiando un Amen in contrattempo. Proprio per questo motivo Falstaff li zittisce, ammonendoli che la vera arte sta in questa massima: "rubar con garbo e a tempo". Quindi esamina il conto che l'oste gli ha portato insieme alla bottiglia di Xeres, e lanciando la borsa a Bardolfo, lo esorta a frugare per trarne qualche spicciolo. Ma nella borsa c'è ben poco e Bardolfo la getta sul tavolo. Falstaff si alza e accusa i due beoni Bardolfo e Pistola della sua rovina. Sir John ironizza così sul naso "ardentissimo, fungo porporino" di Bardolfo, rosso per il troppo vino, poi al colmo dell'irritazione ordina un'altra bottiglia di vino. Guai se Falstaff dovesse dimagrire, non sarebbe più lui; la sua pancia è il suo regno, afferma Sir John, nel suo addome squillano migliaia di lingue che annunciano il suo nome. Ma è tempo d'assottigliar l'ingegno e, su un tempo di Allegro, Falstaff inizia a raccontare a Bardolfo e Pistola il suo intento di conquistare il cuore della bella Alice Ford. La magnificenza della donna e soprattutto la ricchezza di suo marito fanno di lei un'ambita preda. Falstaff è convinto che la donna si sia già invaghita di lui, a causa di certi sguardi e di certi sorrisi ch'ella gli fece incontrandolo un giorno per via. Ma Falstaff non si ferma qui: è interessato anche a un'altra donna "e questa ha nome Margherita"; lei pure è dei suoi "pregi invaghita". Si tratta di Meg Page, anche lei bella e ricca signora. Queste due dame saranno la sua miniera d'oro. In fondo, dice di sé Falstaff pavoneggiandosi, egli è "ancora una piacente estate di San Martino"...A questo punto affida ai due compari due lettere "infuocate" da recapitare alle signore Alice e Meg. Ma inopinatamente Pistola ricusa con dignità di fare da ruffiano. Bardolfo s'associa al rifiuto del compare ricusandosi d'aiutare Sir John in questo intrigo; e ciò a motivo dell'onore. Falstaff affida allora le lettere al paggio Robin; quindi, rivolto a Bardolfo e Pistola si domanda come proprio due "cloache d'ignominia" del loro

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stampo possano appellarsi all'onore (L'onore! Ladri!): quante volte un gentiluomo 'qual è egli stesso, sì egli stesso, ha dovuto sviar l'onore e usare stratagemmi per sopravvivere. L'onore! Forse riempie la pancia? fa da chirurgo? No, è solo una parola in cui "c'è dell'aria che vola". L'onore non lo sentono i morti e non vive tra i vivi perché continuamente "gonfiato dalle lusinghe e corrotto dall'orgoglio". Così Sir John scaccia i suoi scagnozzi. Prende in mano la scopa e insegue Bardolfo e Pistola che scansano i colpi correndo qua e là e riparandosi dietro la tavola. Alla fine Bardolfo riesce a fuggire dalla porta a sinistra; Pistola fugge dall'uscio del fondo, non senza essersi buscato qualche colpo di granata, e Falstaff lo insegue. PARTE SECONDA Giardino. A sinistra la casa di Ford. Gruppi d'alberi nel centro della scena. Meg e Quickly s'avviano verso la casa di Ford e sulla soglia s'imbattono in Alice e Nannetta che stanno per uscire. Le quattro comari si scambiano i saluti e dopo le reciproche promesse di mantenere il segreto Alice e Meg si scambiano le prime confidenze. Entrambe hanno ricevuto la lettera di uno spasimante. Ma ecco che leggendo le due lettere le donne si accorgono subito dell'inganno di Falstaff: le lettere infatti sono esattamente uguali. Si fanno tutte in gruppo attorno alle due lettere, confrontandole e maneggiandole con curiosità. Le quattro donne sono divertite, ma nel contempo infastidite ,dal comportamento irrispettoso di Falstaff. Bisogna punire il mostro, burlarsi di lui per vendicarsi. A questo punto inizia un cicaleccio (Quell'otre! quel tino) in cui le quattro comari, tutte insieme sovrapponendosi ciascuna con proprie parole, meditano vendetta per l'affronto ricevuto dal pingue "vagheggino". Mentre s'allontanano a sinistra, entra da destra Mr Ford affiancato da Bardolfo e da Pistola e seguito dal Dr Cajus e da Fenton. Tutti in gruppo si rivolgono a Ford contemporaneamente, borbottando a bassa voce (È un ribaldo, un furbo, un ladro), sì che Ford non riesce a capire una parola. Stizzito chiede che gli si parli uno alla volta. Pistola e Bardolfo lo mettono in guardia sulle intenzioni dell'"enorme" Falstaff: questi vuole soffiargli moglie e scrigno; stia dunque attento a non farsi incoronare la testa con un paio di cornal... Brutta parola! esclama Ford, che si propone di sorvegliare moglie e messere. Rientrano intanto le donne. Gli uomini le vedono. È un intrecciarsi di "è lei", "è lui". Prudentemente tutti si ritirano, le donne a sinistra, gli uomini a destra. Restano solo Nannetta e Fenton. Questi fra i cespugli la chiama sottovoce. Con cautela Nannetta s'avvicina. I due innamorati hanno un istante d'intimità (Labbra di foco!): ne approfittano per baciarsi e abbracciarsi rapidamente. Ma sta arrivando gente. I due giovani si staccano mentre rientrano le donne. Fenton s'allontana nascondendosi dietro gli alberi in fondo e cantando un proverbio: "Bocca baciata non perde ventura", cui risponde Nannetta: "Anzi rinnova come fa la luna". Le donne sono ormai decise a punire Falstaff e organizzano un complotto: anziché rispondergli con una lettera, Quickly andrà da Sir John a portargli un'ambasciata, combinerà un appuntamento tra lui e Alice, lo lusingheranno e poi si prenderanno beffa di lui (Lo tufferem nell'acqua, lo arrostirem nel fuoco). Quickly si accorge della presenza di Fenton e avverte le comari che si allontanano rapidamente; Nannetta resta e Fenton le torna accanto. Il loro amore ritorna nuovamente in primo piano. Fenton si slancia per baciarla, Nannetta si copre il viso con una mano che Fenton bacia e vorrebbe ribaciare; ma la donna la solleva ancora più su e Fenton tenta invano di raggiungerla con le labbra. I due amanti continuano ad amoreggiare sino al sopraggiungere degli uomini. Si staccano cantando "Bocca baciata". Nannetta fugge da destra, mentre Fenton si riunisce agli uomini. Ford chiede a Bardolfo e Pistola dove alloggi Sir John, quindi decide d'andare a trovarlo facendosi da loro annunciare sotto falso nome. L'accordo viene siglato da una stretta di mano. Ma ecco tutti di nuovo in scena, uomini e donne, per il nonetto (Del tuo barbaro diagnostico) in cui in un grande intreccio polifonico e poliritmico si sovrappongono le impressioni e le sensazioni di ogni singolo personaggio; sul cicaleccio generale si leva solitario l'amoroso canto di Fenton. Alla fine gli uomini escono. Restano le comari che si congedano, impazienti di realizzare al più presto la burla progettata ai danni di Falstaff. L'orchestra imita il gonfiarsi dell'epa e la sua terribile esplosione, al termine della quale Alice intona un motivo in Mi maggiore (Ma il viso mio su lui risplenderà) al quale rispondono le amiche ("come una stella sull'immensità"). Scoppio di risate, e la scena si chiude sullo stesso tema iniziale in versione accelerata.

ATTO SECONDO

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PARTE PRIMA L'interno dell'Osteria della Giarrettiera, come nell'atto primo. Falstaff è sempre adagiato nel suo gran seggiolone al suo solito posto bevendo il suo Xeres. Bardolfo e Pistola entrano dal fondo, cantando insieme e, battendosi il petto in segno di pentimento, chiedono perdono al loro padrone (Siam pentiti e contriti). Bardolfo annuncia la visita di una donna. Falstaff ordina di farla entrare. Bardolfo esce e ritorna subito accompagnato da Mrs Quickly che, dopo un lusinghiero inchino (Reverenza!), chiede di poter parlare a Sir John in gran segreto. Falstaff congeda immediatamente Bardolfo e Pistola, che tuttavia rimangono sul fondo a spiare. Quickly comunica a Falstaff che Alice ha ricevuto la sua lettera e che lo ringrazia; inoltre gli fa saper' che suo marito "esce sempre dalle due alle tre". Mentre l'ignaro Sir John già pensa all'imminente incontro con Alice, la furba Quickly gli porge anche i saluti di Meg, il cui marito esce però assai di rado. Falstaff sente vicino il trionfo e rimane invischiato nelle lusinghe di Mrs Quickly che lo definisce "un gran seduttore". Ella gli assicura inoltre che nessuna delle due donne è a conoscenza della doppia tresca. Falstaff, soddisfatto, premia con una moneta la comare, che si congeda con una nuova "Reverenza!". Uscita Quickly, esplode la gioia di Sir John e il suo ottimismo si risveglia sul ritmo di marcia di una malinconica ballata (Va, vecchio John). Ma ecco che una nuova visita viene annunciata. Si tratta di Mr Ford, il quale, travestito da tale Mastro Fontana, tenta di avvicinare lo smargiasso per carpirne gli intenti. Ford-Fontana entra preceduto da Bardolfo che si ferma all'uscio e s'inchina al suo passaggio, e seguìto da Pistola, il quale tiene una damigiana che depone sul tavolo. Ford a sua volta tiene un sacchetto in mano. Bardolfo e Pistola restano sul fondo a spiare; il loro chiacchiericcio indispettisce Falstaff, che bruscamente li caccia. Il visitatore s'inchina a Falstaff (Signore, v'assista il cielo!) e con fare complimentoso spiega il motivo della sua visita. A Windsor c'è una dama, sposa d'un tale Ford; si chiama Alice. Falstaff rizza le orecchie! Or bene, Fontana ama questa donna, ma invano l'ha corteggiata, invano ha speso tesori per lei: è rimasto sulle scale a bocca asciutta, cantando un madrigale... Ah! "l'amor che non ci dà mai tregue", canterella Sir John.Tuttavia Fontana si ostina a voler conquistare Alice, ma questa volta tramite l'aiuto di Sir John, in cambio di una borsa d'oro. Strana richiesta, gli osserva Falstaff. Fontana gli spiega che solo un "uom di mondo", arguto e prode come Sir John, è in grado di espugnare la virtù di Alice. Una volta espugnata, si sa, da fallo nasce fallo... Falstaff accetta con entusiasmo il sacco di monete offertogli da Fontana e lo rassicura che il suo desiderio sarà certamente soddisfatto:Alice sarà sua, dal momento che da lì a poco,"dalle due alle tre", sarà in casa della dama in assenza di suo marito. Ford-Fontana resta interdetto e con tono grave chiede a Sir John se conosce il marito di Alice. Falstaff si scatena sciorinando una girandola di coloriti epiteti all'indirizzo di quel "tanghero":"Vedrai! Te lo cornifico netto!". Ma è tardi, l'appuntamento preme. Sir John chiede licenza per andare a "farsi bello". Lasciato solo, Ford è ancora sbalordito per la notizia dell'incontro segreto (A' sogno? o realtà?...): già sente la gente mormorare con scherno alle sue spalle e nella testa sempre rintrona quella brutta parola: le corna! Solo i babbei possono aver fede nella loro moglie, dacché donna vuol dire inganno. Ma i due non gli sfuggiranno, no, e saprà ben vendicare l'affronto: lodata sempre sia la gelosia! Intanto, mentre in orchestra il tema della gelosia si trasfigura in un galante motivo di danza, Falstaff rientra addobbato a festa, con farsetto nuovo, cappello e bastone, bello e pronto per l'appuntamento con Alice. Chiede gentilmente a Fontana di accompagnarlo un tratto. Giunti presso la soglia i due fanno i convenevoli per cedere la precedenza del passo; finalmente Falstaff prende Fontana sotto braccio e i due passano insieme. Il sipario si chiude sul ridente motivo che aveva introdotto la ballata del "vecchio John". PARTE SECONDA Una sala nella casa di Ford. Porta a destra, porta a sinistra e un'altra porta verso l'angolo di destra nel fondo che esce sulla scala. Un'altra scala nell'angolo di fondo a sinistra. Dal gran finestrone spalancato si vede il giardino. Un paravento chiuso sta appoggiato alla parete di sinistra, accanto a un vasto camino. Armadio addossato alla parete di destra. Un tavolino, una cassapanca. Lungo le pareti, un seggiolone e qualche scranna. Sul seggiolone un liuto. Sul tavolo, dei fiori. Alice entra con Meg proponendo una tassa sugli uomini grassi e insieme vanno incontro ridendo a Quickly. Entra anche Nannetta, che se ne resta triste in disparte, mentre le comari si fanno intorno a Quickly di ritorno dall'osteria della Giarrettiera. Ella racconta così l'incontro appena avvenuto

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col panciuto Sir John che bèffeggia imitandolo ed è certa che egli è caduto in pieno nella trappola. Intanto però Nannetta si strugge per la decisione del padre di volerla dare in moglie all'anziano e pedante Dr Cajus; ma viene sùbito rassicurata dalla madre e dalle altre due comari: non sposerà mai quel "bisavolo". Riprendono così gli ultimi preparativi perché il tranello sia pronto: tra le altre cose viene preparata una grossa cesta per il bucato; Alice corre a prendere una sedia e la mette presso al tavolo, Nannetta corre a pigliare il liuto e lo appoggia sul tavolo. Quindi Nannetta e Meg corrono a prendere il paravento, lo aprono dopo averlo collocato tra la cesta e il camino. A questo punto le signore si preparano ad alzare la "risata sonora" (Gaie comari di Windsor). Ma ecco Falstaff che sta per arrivare. Alice viene sùbito lasciata sola mentre pizzica qualche accordo sul liuto. Falstaff entra con vivacità e vedendola suonare si mette a canterellare (Alfin t'ho colto) per poi lanciarsi in una serie di goffi complimenti. Dopo averle manifestato il suo amore si difende dai pungenti riferimenti che la donna fa sulla sua "vulnerabil polpa" (Quand'ero paggio). Alice finge di temere il suo inganno: crede che Sir John ami Meg. Falstaff protesta: gli è in uggia la sua faccia, e intanto tenta insistentemente di abbracciarla. Improvvisamente i due sono interrotti dall'arrivo di Quickly che agitatissima annuncia l'arrivo della signora Meg, decisa a entrare per parlare con la padrona di casa. Falstaff dapprima impreca, poi si rimpiatta dietro il paravento. A questo punto Quickly fa cenno a Meg che sta dietro l'uscio di destra: Meg entra fingendo d'essere agitatissima, mentre Quickly esce nuovamente di scena. Meg annuncia l'arrivo di Mr Ford scalpitante e infuriato. Egli infatti cerca un uomo che Alice nasconde in casa. Ma subito rientra Quickly spaventatissima gridando più di prima, avvertendo che mastro Ford sta arrivando "strepitante, dandosi dei pugni in testa, scoppiando in minacce ed urla". Questa volta però non è uno scherzo e, mentre le donne parlano, Ford con un gran numero di persone che lo seguono sta già varcando la soglia. Eccolo infatti, lo si sente già urlare. La musica diventa un turbine di note incalzanti. Falstaff, udendo la voce di Ford, si appiattisce ancora di più al paravento dopo un goffo tentativo di fuga. Alice con mossa rapidissima lo chiude nel paravento, in modo che non è più veduto. Ford dal fondo, gridando a chi lo segue, ordina di chiudere le porte, sbarrare le scale e iniziare la caccia al "cinghiale". Entrano correndo Cajus e Fenton prima, Bardolfo e Pistola poi. Questi ultimi si dirigono verso la stanza attigua coi bastoni levati, Cajus ha il compito di rovistare le casse e per questo prende un mazzo di chiavi da Ford ed esce dall'uscio di sinistra. Ma ecco Alice che affronta il marito. Ford l'accusa di nascondere un uomo e crede ch'egli possa celarsi nella cesta del bucato. Dà un calcio alla cesta e ne estrae furiosamente la biancheria, frugando e cercando dentro e disseminando la biancheria sul pavimento. Non avendo trovato niente, esce dalla porta a sinistra correndo e gridando. Le donne rimangono un attimo sole e questo è il momento giusto per trovare una soluzione. Meg propone di nascondere l'uomo nella cesta, ma Alice sostiene che il panciuto Sir non entrerebbe li dentro. Falstaff sbalordito ode le parole di Alice da dietro il paravento e corre verso la cesta. Alice intanto esce per chiamare i servi. Meg, vedendo spuntare Sir John, finge sorpresa! Falstaff non trova di meglio da dire se non che lui ama solo lei e la prega di salvarlo; intanto s'accovaccia con grande sforzo nella cesta. Con gran fretta Meg e Quickly ricacciano la biancheria nel cesto ricoprendo Falstaff completamente. Intanto Nannetta e Fenton entrano cautamente da sinistra. I due innamorati vogliono restare soli. Nannetta prende per mano Fenton e Io conduce dietro al paravento per trovare un angolo di tranquillità in mezzo a tutto quel trambusto. Mentre i due si nascondono ecco rientrare Ford con Cajus, e Bardolfo con Pistola. Nessuno lo ha visto, nessuno lo ha trovato. Gli uomini continuano a scalpitare e a cercare, chi nell'armadio, chi nelle casse, chi in giardino. Ma ecco, durante un attimo di silenzio, lo scoccare d'un bacio da dietro il paravento. Ford si avvia pian piano e cautamente al paravento, seguito dai suoi, e organizza una strategia per rovesciarlo e cogliere l'adultero in flagrante (Se t'agguanto, se ti piglio). Dal canto loro Quickly e Meg fingono flemmaticamente d'attendere ai panni della cesta; ma Falstaff è irrequieto e si dimena per la posizione e il troppo caldo; le due donne si danno gran pena per tenerlo sotto i panni. Sul mormorio generale si leva il canto amoroso dei due giovani, Nannetta e Fenton. Ford aspetta il momento buono per intervenire, dà quindi il segnale dell'attacco, ma è forte la sua sorpresa e quella del Dr Cajus, quando al posto di Alice e Falstaff vengono sorpresi ad amoreggiare Nannetta e Fenton. Ford non perde occasione per ripetere a Fenton per l'ennesima volta che sua figlia non fa per lui. Fenton fugge. Mentre Bardolfo trascina

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tutti per le scale, dove crede di aver visto il suo padrone, Alice può finalmente compiere la beffa finale. Scampanellando chiama quattro servi che vengono incaricati da Nannetta di rovesciare la pesante cesta dalla finestra giù nell'acqua del fossato. Presto fatto, "patatrac!" e Falstaff rotola giù nel guazzo dei panni sporchi, con gran baccano e risa. Ford e gli altri uomini rientrano; Alice piglia il marito per un braccio e lo conduce alla finestra. Ford vede e ride: capisce che si è trattato di una burla.

ATTO TERZO PARTE PRIMA A destra l'esterno dell'Osteria della Giarrettiera con l'insegna e il motto:"HONNY SOIT QUI MALY PENSE". Una panca di fianco al portone. È l'ora del tramonto. Falstaff seduto sulla panca sta meditando. Poi si scuote, dà un gran pugno sulla panca e, rivolto verso l'interno dell'osteria, chiama il taverniere, che prende l'ordinazione e rientra. Falstaff, umiliato e offeso, brontola col mondo intero (Mondo ladro, mondo rubaldo): un "audace e destro Cavaliere" della sua stazza è stato portato in un paniere e gettato nell'acqua. Il suo umore è dominato dal pessimismo: "non c'è più virtù, tutto declina " Ritorna l'oste portando su un vassoio un gran bicchiere di vino caldo, lo mette sulla panca e rientra nell'osteria. Falstaff beve sorseggiando ed assaporando. Si sbottona il panciotto, si sdraia, ribeve a sorsate rianimandosi a poco a poco grazie al buon vino (Ber del vin dolce): esso scaccia le tetre fole, infonde ottimismo, risveglia nel cervello il "fabbro dei trilli" e alla fine "il trillo invade il mondo!". Ma ecco che in quel punto gli si presenta Quickly con un'ennesima "Reverenza!". Falstaff, infuriato, la manda al diavolo. Ma la comare insiste per parlargli: ha un nuovo messaggio di Alice. Falstaff ricorda ancora il patimento d'esser rimasto chiuso in una cesta prima e d'esser finito in acqua poi, e non vuol più saperne. Intanto da dietro una casa sbucano Alice, Meg, Nannetta, Mr Ford, Dr Cajus, Fenton: or l'uno or l'altro spiano, non visti da Falstaff. Quickly insiste ancora: Alice non ha alcuna colpa per l'accaduto e porge a Falstaff una missiva che estrae dalla tasca. Falstaff legge. Intanto Alice, Meg, Nannetta, Mr Ford e il Dr Cajus continuano ad assistere alla scena ben nascosti: tutti sono certi che Sir John cadrà nuovamente nella trappola. Falstaff legge la lettera ad alta voce. È un appuntamento per mezzanotte al Parco Reale presso la quercia di Herne ove Falstaff dovrà presentarsi travestito da Cacciatore Nero. Per spiegare il motivo di tale misterioso appuntamento Quickly inizia a raccontare la fantomatica leggenda del Cacciatore Nero che un giorno si sarebbe impiccato presso la quercia di Herne (Quando il rintocco della mezzanotte). Falstaff, rabbonito, prende la donna per un braccio e la invita all'interno dell'osteria per continuare il colloquio. Mentre i due entrano, ecco arrivare Alice che avanza misteriosa, seguita dagli altri, ripigliando il racconto del Cacciatore Nero che si dice risorga dalla sepoltura per riapparire a mezzanotte. Meg e Nannetta sono impressionate dal racconto. Ma Alice, riprendendo la voce naturale, assicura che sono fandonie; e ripigliando nuovamente il racconto lo conclude in parodia accennando alle corna lunghe, lunghe, del Cacciatore Nero. Dopo aver rimproverato il marito per la sua maniacale gelosia, Alice concerta con le comari i preparativi per la burla a Falstaff. Si assegnano i ruoli per la prossima mascherata; Nannetta sarà la Regina delle Fate, Meg la Ninfa silvana e Quickly una befana; Alice avrà con sé folletti e spiritelli. Sta venendo sera: è ora di rincasare. Alice, Nannetta e Fenton si avviano per uscire da sinistra, Meg da destra. Le loro voci si perdono dietro le quinte scambiandosi le ultime raccomandazioni: le lanterne, le maschere, le raganelle... In quel punto Quickly esce dall'osteria e, scorti Ford e il Dr Cajus intenti a parlare, rimane a origliare sulla soglia. Ford rassicura il dottore, la mano di Nannetta spetta a lui e quella stessa notte, dopo la mascherata, lui stesso benedirà gli sposi; Cajus sarà vestito da frate. Quickly però ha assistito alla conversazione e si ripromette di sabotare questa improbabile unione. Esce. La scena rimane vuota. Di lontano si sentono la voce di Quickly, che raccomanda a Nannetta di preparare la canzone della Fata, e le risposte di Nannetta e di Alice. PARTE SECONDA Il parco di Windsor. Nel centro la grande quercia di Herne. Nel fondo l'argine di un fosso. Fronde foltissime. Arbusti in fiore. È notte. Si odono gli appelli lontani dei guardaboschi. Il parco a poco a poco si rischiarerà ai raggi della luna.

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Si ode molto lontano il suono di un corno solitario. Entra Fenton: pervaso dall'estasi amorosa, esprime la magia del canto (sonetto Dal labbro il canto) che vibrando nei silenzi notturni trova risposta in un altro canto e a questo s'unisce come in un bacio:"Bocca baciata non perde ventura". Di lontano avvicinandosi Nannetta risponde al suo canto. La fanciulla entra in costume di Regina delle Fate. Fenton fa per slanciarsi verso di lei, ma Alice, non mascherata, con una cappa al braccio e una maschera in mano, lo trattiene. È seguita da Quickly con cuffia e manto grigio da befana, un bastone e un brutto ceffo di maschera. Alice divide i due innamorati e obbliga Fenton a indossare la cappa nera da frate. Questi chiede dubbioso il motivo di tale travestimento, ma viene subito rassicurato da Nannetta e da Alice che gli porge anche la maschera. Mrs Quickly, intanto, ha già deciso chi vestirà da sposa al posto di Nannetta: "Un gaio, ladron nasuto, che abborre il Dottor Cajo", alludendo a Bardolfo.Accorre Meg dal fondo, vestita con dei veli verdi e mascherata, per avvertire che ha nascosto i folletti lungo il fosso. Sta arrivando il "pezzo grosso".Tutte fuggono con Fenton da sinistra. Dal fondo a destra, quando suona il primo colpo di mezzanotte, entra Falstaff con due corna di cervo in testa e avviluppato in un ampio mantello. Si odono i dodici rintocchi. Per ciascun rintocco una diversa armonia in orchestra. Falstaff li conta a uno a uno. Quindi invoca la protezione dei numi. Ma ecco Alice che, comparendo dal fondo, si contrappone con leggiadria alla corposa figura di Falstaff, il quale si offre impaziente alla donna come "suo servo, cervo impazzito". Alice, continuando a sottrarsi al suo abbraccio, gli rivela la presenza di Meg nei dintorni. Falstaff è doppiamente felice ed eccitato tanto da gridare "Venga anche lei! Squartatemi come un camoscio a mensa, sbranatemi". Qualcosa d'inaspettato scombina però i piani del panciuto cavaliere. Si ode un gran trambusto e la voce di Meg, entrata senza maschera, che chiede aiuto: "vien la tregenda!". Alice urla spaventata ed esorta Falstaff a fuggire; lei esce da destra rapidissimamente mentre Falstaff s'appiattisce al tronco della quercia. Il suono acuto dei violini introduce un'atmosfera magica... Si ode la voce di Nannetta che chiama le Fate: la luna è sorta. Quindi ella appare nel fondo tra le fronde. Voci lontane di Fate fanno eco alla sua voce. Falstaff si getta colla faccia contro terra, lungo disteso per non guardare le Fate: "chi le guarda è morto". Appare Nannetta vestita da Regina delle Fate; con lei sbucano cautamente Alice e alcune ragazzette vestite da Fate bianche e da Fate azzurre. Tutte s'inoltrano lentamente, con grande precauzione, indicando Falstaff che se ne sta sempre immobile con la faccia a terra. Nannetta indica alle Fate il loro posto, mentre Alice parte rapidamente da sinistra. Le piccole Fate si dispongono in cerchio intorno alla loro Regina; le Fate più grandi formano gruppo a sinistra. Nannetta invoca gli spiriti della foresta e invita le Fate a danzare e a coglier fiori (Sul fil d'un soffio etesio); esse eseguono muovendosi in una danzetta lenta e molle. Infine tutte le fate con la Regina mentre cantano si avviano lentamente verso la grande quercia. Intanto dal fondo a sinistra sbucano: Alice mascherata, Meg da Ninfa verde con la maschera, Mrs. Quickly da befana, mascherata. Sono precedute da Bardolfo vestito con una cappa rossa senza maschera, col cappuccio abbassato sul volto e da Pistola, da satiro. Seguono il Dr Cajus, in cappa grigia, senza maschera; Fenton in cappa nera, con la maschera; Ford, senza cappa né maschera. Parecchi borghesi in costumi fantastici chiudono il corteo e vanno a formare gruppo a destra. Nel fondo altri mascherati portano lanterne di varie fogge. Bardolfo è il primo a imbattersi nel corpo di Falstaff e ferma tutti con un gesto. Il gruppo si avvicina e gli intima di alzarsi; ma Sir John non ci riesce e chiede una gru che lo aiuti a sollevarsi. Le donne lo definiscono impuro e la compagnia inizia a beffeggiarlo. Intanto Nannetta deve nascondersi alla vista di Cajus che già la cerca. Mentre Nannetta, Fenton e Quickly scompaiono dietro le fronde, Bardolfo continua i gesti di scongiuro sul corpo di Falstaff invocando spiritelli e farfarelli. Accorrono dal fondo velocissimi alcuni ragazzi vestiti da folletti e si scagliano su Falstaff; altri folletti, spiritelli, diavoli sbucano da varie parti. Alcuni scuotono crepitacoli, alcuni hanno in mano dei vimini; molti portano delle piccole lanterne rosse. Alcuni fanno ruzzolare Falstaff sul davanti della scena, altri gli pizzicano le braccia e le guance; altri lo fustigano coi vimini sulla pancia e lo pungono con le ortiche (Pizzica, pizzica, pizzica, stuzzica). I più piccoli iniziano a ballargli intorno e a montargli sulla schiena facendo sgambetti. Falstaff vorrebbe difendersi, ma non può muoversi. Finalmente, mentre Quickly ritorna in scena, in quattro riescono a sollevarlo e lo mettono in ginocchio. Ciascuno dei presenti gli si rivolge insultandolo con variopinti epiteti, rinfacciandogli vizi e difetti e imponendogli, a una voce, di pentirsi. Pistola e

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Bardolfò a turno, preso il bastone a Quickly, lo colpiscono. Falstaff, umiliato, non può che rassegnarsi al pentimento. Bardolfo lo insulta così da vicino che il suo panciuto padrone riesce a sentirgli l'alito d'acquavite. Ma la compagnia non è ancora paga della punizione finora inflitta: le tre comari iniziano una salmodia (che riecheggia il canto dei sacerdoti in Aida e l'"Hostias" della Messa da Requiem) cui si alternano gli insulti degli uomini e i pizzicotti dei Folletti (Domino fallo casto). Falstaff subisce, però pregando che sia salvo il suo "addomine". Terminata la salmodia tutti riprendono a tormentarlo. Nella foga del dire a Bardolfo casca il cappuccio. Falstaff lo riconosce subito e, incalzandolo violentemente, lo investe con una sequela di insulti. Infine, sbollita l'ira, chiede un poco di pausa. Intanto il Dr Cajus ricomincia a cercare Nannetta ed esce; dalla parte opposta Quickly invita Bardolfo ad allontanarsi perché si copra col velo bianco da sposa; insieme si nascondono fra gli alberi. Finalmente gli 'aguzzini' si tolgono a uno a uno la maschera rivelando la propria identità. Falstaff è ammutolito; ma quando vede Ford lo saluta giovialmente chiamandolo "Signor Fontana"... Alice gli rivela essere egli Ford, suo marito. A questo punto il gabbato Falstaff si rende conto "d'esser stato un somaro"; tuttavia tiene a precisare che è la sua arguzia a creare l'arguzia degli altri: "son io che vi fa scaltri". Finalmente Ford propone di concludere la mascherata con gli sponsali della Regina delle Fate. Il Dr Cajus, con la maschera sul volto, e Bardolfo, vestito da Regina delle Fate, col viso coperto da un velo, s'avanzano lentamente, al suono di un tenero minuetto, tenendosi per mano. Gli sposi si collocano nel centro circondati dalle Fate.Alice informa che un'altra coppia di amanti chiede d'essere ammessa al rito nuziale; così dicendo presenta Nannetta e Fenton, entrati da pochi istanti, Nannetta tutta coperta da un velo celeste, Fent9n con la maschera e la cappa. I folletti e Alice si avvicinano con le lanterne. Ford è davanti alle due coppie; Alice prende in braccio il più piccolo dei ragazzetti che sarà mascherato da spiritello, e farà in modo che la lanterna che tiene in mano illumini in pieno la faccia di Bardolfo appena questi resterà senza il velo che lo nasconde. Un altro spiritello guidato da Meg illuminerà Nannetta e Fenton. Ford dà la sua benedizione alle due coppie: "Apoteosi!". Al suo comando Fenton e il Dr Cajus si tolgono la maschera. Nannetta si toglie il velo e Quickly toglie il velo a Bardolfo: tutti rimangono a viso scoperto. Scoppia una risata generale. Ford e il Dr Cajus sono interdetti! Falstaff si prende una breve rivincita e ride dei due "scornati". Ma Alice gli ricorda che lui può tranquillamente considerarsi il terzo "scornato". Quindi ella mostra al marito i due giovani sposi. Nannetta chiede perdono al padre. Ford ammette la propria sconfitta e benedice la coppia. Ma Sir John ha ancora qualcosa da dare al suo pubblico e propone di terminar la scena con un coro. Poi, aggiunge Ford, tutti a cena. Si tratta in realtà non di un coro, ma di una vera e propria fuga. Una fuga "buffa" (Tutto nel mondo è burla) che si conclude con la sentenza finale: Tutti gabbati!

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Verdi alla 'prima' del Falstaff alla Scala (1893)

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Verdi e Francesco Tamagno a Montecatini

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Verdi fotografato alla scrivania nel Grand Hate! de Milan (gennaio 1900)

Verdi fuori del teatro Negli anni di gioventù trascorsi a Busseto Verdi compose una congerie di musiche profane e sacre. Si ricordano fra queste: una sinfonia intitolata La capricciosa, composta, sembra, all'età di 13 anni; una sinfonia per il Barbiere di Siviglia di Rossini composta nel 1828; la cantata I deliri di Saul in otto movimenti per baritono e orchestra, pure risalente al 1828; Le lamentazioni di Geremia per baritono, composte nel 1831; e inoltre, come egli stesso ebbe a dichiarare a un biogratb,"Marcie per bande a centinaia; forse altrettante brevi Sinfonie che servivano per chiesa, pel teatro e per accademie: cinque o sei tra Concerti e Variazioni per pianoforte molte Serinate, Cantate,Arie, moltissimi Duetti,Terzetti e diver- si pezzi da chiesa, fra cui non ricordo che uno Stabat Mater". Nei tre anni di studio trascorsi a Milano compose due sinfonie e la cantata Il Cinque Maggio, eseguita in casa del conte Borromeo. Ritornato in patria scrisse "Marcie, Sinfonie, pezzi vocali etc., una Messa intiera, un Vespero intiero, tre o quattro Tantum ergo [...], i Cori delle Tragedie di Manzoni". Alcune musiche furono poi riutilizzate dal compositore in qualcuna delle sue prime opere (ad esempio la Sinfonia di Un giorno di regno, la marcia funebre che nel Nabucco accompagna Fenena al supplizio). Delle composizioni giovanili tutto è andato distrutto per volontà testamentaria dell'autore. Fra le

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pochissime composizioni fortuitamente salvatesi: un Tantum ergo, alcuni duetti vocali sacri e pochi pezzi per banda (fra cui un Valzer utilizzato da Luchino Visconti per il film Il gattopardo). Un album intitolato Sei Romanze, per voce e pianoforte, è la prima opera pubblicata da Verdi: uscì a Milano nell'autunno del 1838 edito da Canti, e comprende le seguenti liriche: Non t'accostare all'urna; More, Elisa, lo stanco poeta; In solitaria stanza (contiene un motivo che Verdi riutilizzerà per la cavatina di Leonora nel Trovatore); Nell'orror di notte oscura; Perduta ho la pace; Beh, pietosa, oh Addolorata (vi è come l'abbozzo di due idee melodiche che Verdi svilupperà in Nabucco). Nel 1839 seguono tre melodie pubblicate separatamente: L'esule (più propriamente: recitativo e aria), La seduzione (vi è anticipato il motivo iniziale del coro "O Signore, dal tetto natìo") e il Notturno "Guarda che bianca luna" per soprano, tenore e basso con flauto obbligato. Nel 1845, ma questa volta per l'editore Lucca, pubblicò un secondo album di Sei Romanze, contenente: Il tramonto; La zingara; Ad una stella; Lo spazzacamino; Il mistero; Brindisi. Fra le melodie da camera seguono Il poveretto, composto nel 1847, L'abandonnée, pubblicata nel 1849, La preghiera del poeta, risalente al 1858, Il brigidin composto nel 1863 e lo Stornello composto nel 1869 come contributo per l'Album a beneficio della famiglia di Piave. Oltre a queste romanze sono da ricordare due fogli d'album per voce e pianoforte: Chi i bei dì m'adduce ancora, risalente al 6 maggio 1842, e Fiorellin che sorge appena, composto il 19 novembre 1850, e soprattutto Pietà Signor, paginetta d'intensa espressione musicale, composta nel dicembre del 1894 per una pubblicazione benefica. Verdi non accettò mai .di comporre musica d'occasione: "Abborro da questi pezzi isolati, i quali, parlando artisticamente, si fanno senza scopo e senza sapere il perché" scrisse un giorno a un amico, ribadendo alla contessa Maffei: "Piuttosto dodici opere che quella sorta di musica che non è musica, vera negazione dell'arte". Ma fece due eccezioni, entrambe per eventi di natura patriottica e politica: per Mazzini, che gli si era rivolto nelle calde giornate della rivoluzione del Quarantotto onde ottenere un inno su versi di Mameli, compose Suona la tromba, e per l'Esposizione Internazionale di Londra del 1862 compose sui versi del giovane Boito la cantata Inno delle nazioni, utilizzandovi i tre inni nazionali di Francia, Inghilterra e Italia; si tratta di due composizioni di scarso valore artistico, la cui importanza non va oltre la circostanza per la quale furono scritte. L'unico suo contributo alla musica strumentale fu il Quartetto per archi in Mi minore. Ben maggiore impegno egli profuse nelle composizioni corali su testo religioso e sacro, tutte risalenti all'ultimo ventennio della sua instancabile attività, a far inizio dal Pater noster per coro a cinque parti, abbinato all'Ave Maria per voce sola e archi, entrambi su testo da lui ritenuto "volgarizzato da Dante", eseguiti per la prima volta alla Scala il 18 aprile 1880, ma risalenti a epwa di poco anteriore.

QUARTETTO IN MI MINORE PER ARCHI Prima esecuzione: Napoli,Alhergo delle Crocelle, 1° aprile 1873 (in forma privata)

La composizione risale all'inverno del 1873.Trovandosi a Napoli per dirigere Don Carlo e Aida ed essendo sospese le prove di Aida per la malattia della protagonista,Teresa Stolz, si trovò costretto a un ozio forzato che pensò bene di occupare scrivendo - proprio lui che non amava questo genere di composizioni - un Quartetto per archi. La prima esecuzione ebbe luogo in forma strettamente privata nell'appartamento del compositore all'Albergo delle Crocelle il 1° aprile 1873. Una seconda esecuzione, ancora in forma molto privata, fu fatta nella primavera del 1876 a Parigi nell'appartamento del compositore. Fu solo nell'estate del 1876 che Verdi, pur mostrando di non attribuire grande importanza al suo Quartetto, consentì di darlo alle stampe. Nell'autunno di quell'anno il Florentiner Quartett lo inserì nel proprio repertorio per eseguirlo nel corso di una lunga tournée. che si sarebbe protratta fino alla primavera del 1877 in Germania,Austria-Ungheria, Svizzera e Olanda, sfiorando appena l'Italia. La prima esecuzione pubblica avvenne a Breslau il 2 novembre 1876; la prima esecuzione italiana a Trieste il successivo 24 novembre, seguita il 4 dicembre da quella avvenuta al conservatorio di Milano. Nell'aprile del 1877 fu eseguito a Londra, dietro consenso dell'autore, da un'orchestra di ottanta archi. È in quattro

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movimenti: Allegro, Andantino, Prestissimo, Scherzo Fuga (Allegro assai mosso). Dai critici che non sanno dimenticare che Verdi fu compositore eminentemente, se non esclusivamente, teatrale, è stato osservato che i temi hanno carattere vocale e che la condotta delle parti ha sapore d'orchestra. In realtà esso presenta, a ben esaminarlo, i caratteri peculiari del vero e proprio quartetto per archi: scritto con assoluta nitidezza nel movimento polifonico delle parti, in particolare nei due movimenti più elaborati, il primo e l'ultimo, esso costituisce forse il maggior contributo di un musicista italiano del secondo Ottocento) a questo genere strumentale.

LA MESSA DA REQUIEM Prima esecuzione: Milano, chiesa di S. Marco, 22 maggio 1874

La genesi musicale della Messa risale a quella "Messa da morto" che alla scomparsa di Rossini nel novembre 1868 Verdi aveva proposto di far comporre dai "più distinti maestri italiani" per onorarne la memoria (progetto rimasto inattuato sul piano esecutivo), Il legame fra le due Messe trova una spiegazione ove si tenga presente che il brano composto da Verdi per la Messa per Rossini, e cioè il "Libera me Domine", contiene nel testo latino la ripresa di due momenti importanti dell'ufficio funebre: il "Requiem" e il "Dies irae". Ma più che l'occasione contingente (la morte di Alessandro Manzoni, avvenuta il 22 maggio 1873, cui la Messa da Requiem di fatto fu dedicata) occorre tener presente il particolare momento creativo del compositore. Dopo l'Aida egli considerava ormai conclusa la propria carriera. La Messa doveva costituire, nelle sue intenzioni, l'estremo suggello della sua attività di musicista, quasi una sorta di summa della sua arte. Ancor prima che a un omaggio al grande romanziere italiano essa rispondeva di fatto a un'imperiosa esigenza interiore. Dopo un'intera vita dedicata a scrutare il cuore dell'uomo attraverso i conflitti offerti dalla scena teatrale, l'azione essenziale di espiazione per i defunti racchiusa nel testo liturgico della Messa da Requiem finiva per costituire per Verdi l'occasione drammatica più pura, totalmente liberata dagli elementi fittizi della scena, insomma il libretto ideale. Nell'accento epico di tante pagine della sua Messa, dal "Kyrie" al "Libera me Domine", si riflette quella visione drammatica dei destini umani che era stata vissuta ed espressa attraverso le vicende di Foscari, di Luisa, di Violetta, di Azucena, di Leonora, di Filippo, di Aida...Tuttavia quel sapore "terrestre» che promana dall'intonazione della Messa non deriva tanto da questo o qitel particolare accento melodrammatico quanto piuttosto dalla materialità stessa dell'esistenza umana espressa attraverso il canto, sul quale sostanzialmente s'incardina l'intera struttura compositiva, con una più acuita intensità dei conflitti suggeriti e provocati dal testo liturgico, a ulteriore conferma di come il concetto del sacro in Verdi sia profondamente radicato in una visione affatto laica della società umana.Tutto il suo teatro, popolato di infelici, di perseguitati, di diversi, di vittime sacrificali, sembra rianimarsi attraverso le inquiete pagine della Messa in una dimensione ora compititamente religiosa. Il gesto teatrale viene interamente assorbito dalla rappresentazione musicale del terrore dell'uomo serrato in un inesorabile confronto con la propria natura, della sua ribellione di fronte alla morte, del suo sgomento alla soglia dell'eterno ignoto, attraverso un percorso in cui l'accento epico s'alterna a quello elegiaco, il terrore allo sconforto, la preghiera allo scatto iracondo, il grido della disperazione a quell'andito alla vita che è il "Libera me Domine". Il "pessimismo cosmico" di Verdi - "cifra determinante del suo pensiero", come ha osservato Massimo Mila - trova nel testo liturgico l'occasione per liberare tutte le proprie energie con una intensità che si traduce Oso facto in un'affermazione di vitalità indomita e inesauribile, quasi a contrastare e a negare il dissolversi dell'esistenza umana.

I PEZZI SACRI Prima esecuzione: Parigi, Conservatorio, 7 aprile 1898

I Pezzi sacri comprendono quattro preghiere, due per coro "a cappella" e due per coro e orchestra, che si alternano secondo una successione che non rispecchia l'ordine cronologico della loro composizione. La prima preghiera, le due Ave Maria armonizzate a 4 voci miste sole su scala enigmatica, risale al 1889; dopo un'esecuzione in forma privata al Conservatorio di Parma,

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avvenuta quasi all'insaputa dell'autore, fu ritoccata nel 1897 per essere stampata insieme _agli altri tre pezzi solo dietro le insistenti richieste dell'editore Giulio Ricordi. Le Laudi alla Vergine Maria per coro femminile a 4 voci su testo dal Paradiso di Dante (terzo pezzo della serie) sono di alcuni anni anteriori: risalgono agli anni di composizione dell'Otello. Infine la seconda e la quarta preghiera, Stabat Mater a 4 voci miste con orchestra e Te Deum per doppio coro a 4 voci miste con orchestra, furono composte rispettivamente nel 1897 e nel 1895, e rappresentano l'estrema fatica artistica del maestro. Le Ave Maria su scala enigmatica sono la testimonianza da parte dell'artista vegliardo di uno sperimentalismo che non conosce soste e che sul finire della vita sembra procedere ancor più incalzante. Esse non vanno infatti considerate come una fredda esibizione di quel sommo magistero che aveva sempre consentito a Verdi di "piegare la nota" all'effetto desiderato. Quel senso di astrazione sonora che da esse promana e che ce le fa apparire così moderne è pur sempre manifestazione di quella coerenza di pensiero che era stata alla base della visione dei suoni del musicista, tale da consentirgli di legare le concatenazioni armoniche suggerita da una scala refrattaria entro una logica ferrea, la stessa logica, in fondo, che aveva governato tutta la sua opera di musicista dall'Oberto al Falstalf, e che affondava le sue radici nell'antica armonistica modale. "Torniamo all'antico, e sarà un progresso": l'ambigua affermazione, che tanti equivoci ha suscitato e ancora suscita, trova in questa preghiera la sua spiegazione postuma. Quella trasfigurazione del pensiero musicale che caratterizza le Ave Maria su scala enigmatica la si ritrova nella sobrietà melodica della successiva preghiera "a cappella", le Laudi alla Vergine: lo spiegamento del canto attraverso il movimento delle parti per gradi congiunti alternato a passaggi in cui le voci si muovono per accordi, tecnica rivelatrice di una profonda conoscenza del contrappunto palestriniano, si traduce in un'espressione di delicata religiosità, che sorprende chiunque conosca Verdi solo attraverso le sue opere teatrali. Abitualmente esse vengono eseguite fra lo Stabat Mater e il Te Deum, come una pausa di distensione e di raccoglimento fra i due pezzi forti della serie. Lo Stabat Mater rivela tutta l'autonomia artistica,e a un tempo l'energia creativa del vecchio compositore, che riesce non solo a sottrarsi alla monotonia dell'ottonario latino, ma anche a evitare lo spezzettamento strofico suggerito dagli otto episodi del testo onde mantenere quella costante fluidità discorsiva che conferisce saldezza formale all'intero brano e maggiore intensità espressiva ai concetti della preghiera. L'economia dei mezzi si fa quasi assoluta. Il canto si muove sempre per gradi congiunti alternandosi a passaggi su una nota ribattuta, mentre la melodia si riduce a brevi cellule, quasi degli accenni, eco di stagioni ormai lontane. Ma la sobrietà stessa conferisce agli accenti del testo, attraverso il continuo movimento di modulazioni anche in tonalità lontane, il senso di una nuova drammaticità. Verso la conclusione l'espressione trattenuta si amplia a ventaglio con il crescendo della supplica finale "Fac ut animae donetur Paradisi gloria", per poi subito raccogliersi in un subitaneo pianissimo sottolineato dal movimento discendente, a spirale, della melodia: quasi una sorta di pendant al finale dell'ultima preghiera. Nel Te Deum la melodia gregoriana enunciata all'inizio alimenta il discorso musicale, in tutta la sua varietà espressiva, dell'intera composizione. Ha ben osservato Massimo Mila in proposito: "Tutta l'evoluzione di Verdi era stata un progresso verso l'economia dei mezzi. Il Te Deum è in questo senso davvero un traguardo: la sua tematicità è quasi assoluta, si potrebbe dire che tutta la composizione tiene praticamente entro quel giro di cinque note, con pochissime, inevitabili appendici oratorie richieste dal testo". Il pensiero musicale ancora una volta aderisce totalmente ai concetti verbali. E in tale adesione il compositore ritrova tutta l'energia espressiva della voce umana, piegandola agli squilli di gloria come alla preghiera sommessa, ai toni dello sgomento come agli accenti del pianto. Il pessimismo di Verdi si schiude in una supplica estrema: la triplice invocazione (numero fatale) "In te speravi, Domine", eseguita da "una voce sola", una voce che Verdi voleva "il più lontano possibile - ricorda Depanis, che con Toscanini si recò dal maestro per riceverne i consigli in vista della prima esecuzione italiana dei Pezzi sacri a Torino -, nascosta al pubblico, quasi una voce dell'al di là, voce di sgomento e di supplicazione". È l'umanità che ha paura dell'inferno, fu il commento del vecchio maestro. Dopo l'ultima disperata invocazione la luce lentamente si spegne. La chiusa è sommessa, divaricata sulle due estremità del suono: il sospiro di

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un mi acuto dei violini, l'eco cupa del mi dei bassi. Come un'anima che esala... come un corpo che sprofonda... È l'ultima voce di Verdi. La voce che aveva intonato inni di guerra, cantato passioni, gridato vendetta, pianto miserie e gioie perdute, scagliato maledizioni... La stessa voce che aveva dato l'addio alla scena della vita con l'irridente "Tutti gabbati"... Ora solo voce di sgomento e di supplicazione...

MARCELLO CONATI