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Assedio di Messina (1848) Rivoluzione siciliana del 1848 in una stampa d'epoca L'assedio di Messina del 1848 durò dal gennaio al set- tembre di quell'anno e vide contrapposte le forze degli insorti siciliani e quelle dell'esercito borbonico, che dopo una serie di sconfitte riuscirono a vincere la battaglia fi- nale. Più che di un assedio nel senso classico del termine si può parlare di un lunghissimo ciclo operativo milita- re, con una successione ininterrotta di scontri di diversa entità e portata. Fu l'episodio saliente sul piano militare della Rivoluzione siciliana del 1848. 1 Introduzione Pianta seicentesca del porto di Messina 1.1 Il sistema fortificato di controllo di Messina nel 1848 Il porto di Messina è costituito da una penisola che par- tendo dall'estremità sud della città volge verso nord e poi verso ovest a forma di falce. Nel punto di partenza di que- sta piccola penisola era stata costruita, dopo la grande insurrezione di Messina del 1674-78 contro gli Spagno- li, una mastodontica fortezza, nota come Cittadella, for- mata da una costruzione pentagonale protetta da profon- di fossati ed opere avanzate. [1] Inoltre sull'altra estremi- tà della penisola esisteva un'altra fortezza, più piccola, il Forte San Salvatore, fiancheggiato dal Forte Real Basso, posto dinanzi sulla spiaggia cittadina. Questo complesso di fortificazioni sbarrava interamente l'ingresso del por- to. Sul lato opposto, la Cittadella nel punto in cui si col- legava con la terraferma aveva inoltre un arsenale forti- ficato ed un altro forte, il Forte Don Blasco. Si trattava quindi di un vero complesso fortificato, che era imper- niato attorno alla Cittadella, attorniata da tre altri forti e dall'arsenale. Esistevano ancora a sorveglianza della cit- tà di Messina altri tre forti, quelli di Gonzaga, di Rocca Guelfonia e del Castellaccio, che però non facevano si- stema con quelli posti presso il porto. Esistevano inoltre presidi militari presso le carceri e l'ospedale civico. Mes- sina era quindi sorvegliata da ben sette diverse fortezze, di diverse dimensioni, fra cui spiccava la mole dell'enorme Cittadella. 1.2 Le cause dell'ostilità della Sicilia verso il dominio borbonico e l'insurrezione del 1º settembre del 1847 L'ostilità dei Siciliani nei confronti del dominio borbo- nico era dovuto ad un complesso di ragioni, che com- prendevano la soppressione d'ogni forma d'autonomia ed il predominio degli elementi napoletani, la condizione di povertà dell'isola, il duro regime poliziesco e le violazioni degli impegni presi da parte dei governi di Napoli. [2] Lo storico Gaetano Cingari sostiene che la politica borbo- nica nei confronti della Sicilia durante la Restaurazione fu guidata da tre linee guide: l'avversione al costituzio- nalismo, all'autonomismo ed alla nobiltà siciliana. [3] Non si deve poi trascurare il ruolo della tradizione culturale ed intellettuale dell'autonomismo siciliano, che afferma- va una specifica identità regionale in contrasto a quella di Napoli. [4] L'opera del ministro della polizia e capo della gendarme- 1

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Assedio di Messina (1848)

Rivoluzione siciliana del 1848 in una stampa d'epoca

L'assedio di Messina del 1848 durò dal gennaio al set-tembre di quell'anno e vide contrapposte le forze degliinsorti siciliani e quelle dell'esercito borbonico, che dopouna serie di sconfitte riuscirono a vincere la battaglia fi-nale. Più che di un assedio nel senso classico del terminesi può parlare di un lunghissimo ciclo operativo milita-re, con una successione ininterrotta di scontri di diversaentità e portata. Fu l'episodio saliente sul piano militaredella Rivoluzione siciliana del 1848.

1 Introduzione

Pianta seicentesca del porto di Messina

1.1 Il sistema fortificato di controllo diMessina nel 1848

Il porto di Messina è costituito da una penisola che par-tendo dall'estremità sud della città volge verso nord e poiverso ovest a forma di falce. Nel punto di partenza di que-sta piccola penisola era stata costruita, dopo la grandeinsurrezione di Messina del 1674-78 contro gli Spagno-li, una mastodontica fortezza, nota come Cittadella, for-mata da una costruzione pentagonale protetta da profon-di fossati ed opere avanzate.[1] Inoltre sull'altra estremi-tà della penisola esisteva un'altra fortezza, più piccola, ilForte San Salvatore, fiancheggiato dal Forte Real Basso,posto dinanzi sulla spiaggia cittadina. Questo complessodi fortificazioni sbarrava interamente l'ingresso del por-to. Sul lato opposto, la Cittadella nel punto in cui si col-legava con la terraferma aveva inoltre un arsenale forti-ficato ed un altro forte, il Forte Don Blasco. Si trattavaquindi di un vero complesso fortificato, che era imper-niato attorno alla Cittadella, attorniata da tre altri forti edall'arsenale. Esistevano ancora a sorveglianza della cit-tà di Messina altri tre forti, quelli di Gonzaga, di RoccaGuelfonia e del Castellaccio, che però non facevano si-stema con quelli posti presso il porto. Esistevano inoltrepresidi militari presso le carceri e l'ospedale civico. Mes-sina era quindi sorvegliata da ben sette diverse fortezze, didiverse dimensioni, fra cui spiccava la mole dell'enormeCittadella.

1.2 Le cause dell'ostilità della Sicilia versoil dominio borbonico e l'insurrezionedel 1º settembre del 1847

L'ostilità dei Siciliani nei confronti del dominio borbo-nico era dovuto ad un complesso di ragioni, che com-prendevano la soppressione d'ogni forma d'autonomia edil predominio degli elementi napoletani, la condizione dipovertà dell'isola, il duro regime poliziesco e le violazionidegli impegni presi da parte dei governi di Napoli.[2] Lostorico Gaetano Cingari sostiene che la politica borbo-nica nei confronti della Sicilia durante la Restaurazionefu guidata da tre linee guide: l'avversione al costituzio-nalismo, all'autonomismo ed alla nobiltà siciliana.[3] Nonsi deve poi trascurare il ruolo della tradizione culturaleed intellettuale dell'autonomismo siciliano, che afferma-va una specifica identità regionale in contrasto a quella diNapoli.[4]

L'opera del ministro della polizia e capo della gendarme-

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2 2 LA PRIMA FASE. 29 GENNAIO/21 FEBBRAIO

Stampa allegorica del tempo raffigurante la cacciata delle truppenapoletane dalla Sicilia all'inizio della rivolta

ria di Ferdinando II, il cavaliere dell'Ordine di S. Giorgioe marchese Francesco Saverio Del Carretto, contribuì ul-teriormente a destare l'odio dei siciliani nei confronti delgoverno napoletano, poiché questi alle misure polizieschein senso proprio «aggiunse per malvagio animo gli attidella più bestiale ferocia, permettendo, ordinando ucci-sioni inutili, arsioni, stupri, saccheggi, banchetti empii, incui le superstiti fanciulle, disonorate, dovevano celebrarela morte dei propri i parenti e il trionfo della regia autori-tà, rappresentata da un'orda ladra e sanguinaria di sgherrie di birri napolitani. Alle rappresaglie, ai balordi rigoridella censura ed ai polizieschi atti di ferocia, rispose ilpiù intenso odio del popolo Siciliano.»[5]

In questo contesto, Messina era divenuta in Sicilia unodegli epicentri della rete politica clandestina antiborbo-nica, assieme a Palermo ed a Catania ed in collegamentocon gli esuli residenti nella vicina isola di Malta.[6] Giàil 2 marzo 1822 erano fucilati quattro liberali che ave-vano partecipato ad un tentativo insurrezionale a Mes-sina, precisamente il sacerdote Giuseppe Brigandì, Sal-vatore Cesareo, Vincenzo Fucini, Camillo Pisano.Moltialtri siciliani che avevano preso parte al moto erano in-vece condannati al carcere o costretti all'esilio.[7] Un al-tro tentativo insurrezionale a Messina era avvenuto poiil 1º settembre del 1847, ma era stato schiacciato dallatruppa borbonica nel giro d'alcune ore.[8] Gli insorti, ca-peggiati da Giovanni Krymi, Antonio Pracanica e PaoloRestuccia, s’erano riuniti dinanzi alla piazza antistante alDuomo di Messina, con armi improvvisate ed una sor-ta d'uniforme, costituita da un ampio camicione bianco eda un cappello a tese larghe con sopra una coccarda tri-colore. Le truppe borboniche uscirono dalla Cittadella edassalirono i patrioti, con un violento scontro durato molteore e che si concluse con la sconfitta dell'insurrezione.[9]Seguì poi una pesante repressione da parte delle autori-tà borboniche. Alcuni insorti furono condannati a morte,molti altri costretti alla fuga per salvarsi la vita. Inoltre lapolizia torturò duramente l'abate Giovanni Krymi, il sa-cerdote Carmine Allegra, i cappellani Simone Gerardi e

Francesco Impalà,senza però riuscire ad indurli alla dela-zione. Ancora, le autorità borboniche avevano imposto lachiusura di circoli ed associazioni culturali e sottopostoa controllo l'università. Tutto ciò però aveva rafforzatol'opposizione al regime, ormai estesa a tutte le classi so-ciali e che poteva appoggiarsi ad una rete molto diffusa eramificata, costituita da società artigiane, ordini religiosi,monasteri, ambienti accademici ecc.[10]

La subitanea insurrezione scoppiata all'inizio del 1848aveva liberato dal dominio borbonico, molto odiatonell'isola, quasi tutta la Sicilia. Tuttavia, l'esercito napole-tano aveva avuto cura di conservare il dominio della Cit-tadella di Messina, che era di grandi dimensioni, potente-mente fortificata e per la sua collocazione atta a costituireun'autentica testa di ponte per la riconquista della Sici-lia. La Cittadella contava circa 300 cannoni ed una forteguarnigione, al sicuro dietro le mura ed i fossati.Il cosiddetto assedio di Messina durò dal gennaio al set-tembre del 1848 e vide nel corso di questi nove me-si di lotta sette distinte grandi fasi di bombardamentidell'artiglieria borbonica sulla città, oltre a violente batta-glie di fanteria. Si possono distinguere quattro principalifasi di lotta.

2 La prima fase. 29 gennaio/21febbraio

La cittadinanza di Messina così non si rassegnava allasconfitta della rivolta del 1847 e ricostituiva ad inizio digennaio un comitato rivoluzionario, con la collaborazio-ne del patriota Giuseppe La Masa.[11]Il 28 gennaio era poi creato un comitato di pubblica sicu-rezza e di guerra presieduto dall'avvocato Gaetano Pisa-no, che decideva a favore dell'insurrezione per il giornosuccessivo. Nel corso della notte si preparava la solleva-zione ed alle ore nove della mattina del 29 gennaio[12] iMessinesi scendevano in massa per le strade, armati inmodo improvvisato con fucili da caccia, vecchie armi dafuoco come schioppi e tromboni od anche armi bianchequali sciabole, stocchi, coltellacci. Il comitato degli in-sorti provava a trattare con il comandante borbonico, il

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generale Cardamona, che però rifiutava. Il comando bor-bonico, che comprendeva i generali Cardamona, Busaccae Nunziante ed il duca di Bagnoli, aveva ricevuto dal reFerdinando II l'ordine di tenere ad ogni costo Messina,poiché la città rappresentava la testa di ponte indispensa-bile per la riconquista della Sicilia insorta. Gli alti ufficialiborbonici decidevano quindi far bombardare la città coni numerosissimi cannoni e mortai a propria disposizionenelle molte fortezze, a cui si aggiungevano ancora le arti-glierie mobili collocate nel cosiddetto piano di Terrano-va, dinanzi alla Cittadella, e quelle della nave da guerra“Carlo III”. Le prime vittime erano un bambino, ucci-so mentre si trovava in braccio alla madre, ed un'anzianadonna. Approfittando del massiccio bombardamento, letruppe borboniche uscivano dalle fortezze ed attaccavanogli insorti, nel tentativo di riprendere possesso della cit-tà. La loro azione incontrava però la resistenza compattadell'intera cittadinanza, che vedeva assieme uomini, don-ne e persino i bambini combattere contro i napoletani.[13]Si distinsero fra gli altri FrancescoMunafò, Antonio Lan-zetta e Rosa Donato, poi soprannominata “artigliera delpopolo”.[14] Fra i molti combattenti siciliani che doveva-no distinguersi nella lunga battaglia spiccò anche StefanoCrisafulli.[15] Le forze borboniche, contenute e poi con-trattaccate, erano costrette a ritirarsi all'interno dei forti.Il generale Cardamono, furioso, ordinava di proseguireil bombardamento sulla città a puro scopo di rappresa-glia, ma questo non spaventava gli insorti. Messina anzis’illuminava a festa[16] e l'anziano Salvatore Bensaia[17]percorreva le vie della città a testa d'una banda musicaleche suonava marce guerresche. Le forze degli insorti era-no frattanto rafforzate dall'affluire dalla campagna e daipaesi dell'interno di gruppi di volontari, con coccarda tri-colore sul capo e fascia tricolore a tracolla, muniti d'armida fuoco e bianche. Il comitato di pubblica sicurezza deipatrioti assumeva l'organizzazione della lotta ed assiemedell'amministrazione della città e del territorio.[18]Il 30 gennaio il generale Cardamono tentava un contrat-tacco per collegare i reparti borbonici sparsi per la città,ma esso era nettamente respinto. L'attacco dei napoleta-ni, compiuto con fanteria ed artiglieria, s’era mosso dalcampo trincerato detto di Terranova, uscendo dalla portaSaracena, per cercare d'irrompere nel quartiere dei Pizzil-lari. Il caposquadra siciliano Munafò,rimasto lievementeferito nello scontro, ributtò indietro i regi, infliggendo lo-ro anche molte perdite.[19] Il 31 gennaio erano invece gliinsorti a passare all'offensiva, prendendo come obiettivole guarnigioni minori ed i forti più deboli: i presidi na-poletani all'ospedale civico ed alle carceri e quelli posti aRocca Guelfonia ed al Castellaccio s’arrendevano pratica-mente senza combattere. Il giorno seguente, 1º febbraio, isiciliani attaccavano Forte Gonzaga, che s’arrendeva do-po una resistenza quasi nulla. A questo punto rimanevanoin mano alle truppe regie napoletane soltanto la Cittadellaed i forti ad essa collegati. Il comando borbonico tentavaun altro contrattacco e per far ciò ordinava alle truppe difare irruzione nel monastero femminile di Santa Chiara.I borbonici sfondavano un solido muro perimetrale del

convento e vi facevano irruzione, fra lo sgomento dellereligiose. Il monastero era quindi subito adibito a fortezzada parte dei napoletani, che tentavano partendo da questopunto d'effettuare una sortita contro gli insorti. Essa eraperò respinta con energia dai siciliani.[20]Agli insuccessi militari s’aggiungevano quelli politici.L'arcivescovo di Messina, monsignor Francesco di PaolaVilladecani, indignato per la profanazione del santuarioda parte dell'esercito borbonico, lanciava la scomunicasui responsabili. I consoli inglese e francese invece pre-sentavano le loro proteste al comando militare regio peril modo con cui era stata condotta la repressione.[21]S'apriva a quel punto una fase di tregua. Gli insorti rice-vevano alcuni aiuti provenienti da altre parti della Sicilia,mentre il governo borbonico tentava di staccare Messi-na dal resto dell'isola, offrendole uno statuto speciale e lasua proclamazione a capitale dell'isola in sostituzione diPalermo. Il comitato insurrezionale rispondeva però chela città preferiva la distruzione al tradimento.[22]

3 Seconda fase. 22 febbraio/20aprile. La presa di forte RealBasso e del campo fortificato diTerranova. La formazione dei“camiciotti”

3.1 La presa di forte Real Basso e delcampo fortificato di Terranova

Gli insorti controllavano l'intera città vera e propria, maessa non poteva assolutamente dirsi al sicuro essendo so-vrastata dalla Cittadella e dai forti ad essa collegati. Il loroobiettivo doveva essere pertanto la presa o la neutralizza-zione dell'imponente sistema fortificato in mano ai napo-letani. Tale intento appariva difficilissimo. Gli insorgentiavevano circa 4000 uomini con armamento improvvisatoe scarso o nullo addestramento, contro un numero equi-valente di borbonici bene armati ed addestrati. I canno-

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4 4 TERZA FASE. 17 APRILE/24 AGOSTO

ni erano 77 dalla parte siciliana, 50 dei quali provenientidalla fortezza di Milazzo arresasi poco tempo prima airivoltosi, contro 300 dei regi. A questa già netta disparitàdi mezzi s’aggiungeva poi il problema di riuscire a forza-re la cinta difensiva fortezze poderose. I reparti combat-tenti siciliani erano però sostenuti si può dire dall'interacittà di Messina, moralmente ed all'occorrenza anche neicombattimenti. Inoltre le truppe borboniche avevano datoprova negli scontri precedenti di scarsa volontà combat-tiva, essendosi spesso arrese con facilità, come era avve-nuto per i forti di Rocca Guelfonia, Castellaccio e ForteGonzaga. I comandanti degli insorti, che al momento era-no gli ufficiali Porcelli, Longo, Scalia e Mangano, si po-nevano quale primo obiettivo la conquista di forte RealBasso. Si procedeva perciò a costruire nella notte del 22febbraio una parallela di botti e sacchi riempiti di terra,dietro alla quale si collocavano i cannoni. Al sorgere delsole l'artiglieria siciliana apriva il fuoco sul nemico, cherispondeva da tutte le fortezze. Il duello era decisamentediseguale, poiché il numero di pezzi dei borbonici sover-chiava quello dei siciliani: 300 contro 77. Gli insorti peròresistevano all'intensissimo fuoco e riuscivano ad aprireuna breccia nelle mura di forte Real Basso. Esso era allo-ra attaccato in massa dai siciliani, che colmavano il fos-sato per poi irrompere nella breccia oppure arrampicarsisugli spalti con scale mobili. La guarnigione napoletanas’arrendeva immediatamente e i ribelli si impadronivanodi circa 30 pezzi d'artiglieria di grosso calibro.[23]

Fu grande la determinazione dei combattenti sicilia-ni, come possono provare alcuni esempi. Al momentodell'assalto al forte Real Basso si trovava sul posto an-che la banda musicale dell'Orfanotrofio, ivi recatasi perrincuorare i combattenti.[24] Il figlio di Salvatore Bensa-ia, Giuseppe, cadde durante l'assalto finale al forte RealBasso, colpito mortalmente mentre innalzava la bandieratricolore sugli spalti. La notizia della morte non sgomentòil padre, che dichiarò che, essendo gloriosamente mortoil figlio per la patria, egli non doveva piangere per la suamorte.[25]

Al contempo altri reparti d'insorti attaccavano il cosiddet-to piano di Terranova, che era l'insieme d'opere accesso-rie e secondarie antistante la Cittadella, che comprendevail fortino don Blasco, la porta Saracena, l'arsenale, le loca-li caserme. Nella stessa zona si trovava anche il monaste-ro di Santa Chiara, che era stato occupato dai borbonicie trasformato in fortilizio improvvisato. Questo comples-so d'opere era preso d'assalto e conquistato dai sicilia-ni, costringendo i borbonici a ripiegare all'interno dellagigantesca Cittadella.[26]

3.2 La creazione d'un esercito regolaresiciliano. La nascita dei “camiciotti”

L'artiglieria regia insisteva tuttavia nel bombardamento,che si protraeva dalla mattina del 22 febbraio sino allasera del 24. Questo bombardamento di rappresaglia sul-

la città suscitò anche una condanna da parte del politicoe storico Adolphe Thiers alla Camera francese.[27] Intan-to però i messinesi riuscirono a recuperare 17 cannoninavali dalle macerie dei magazzini dell'arsenale. Frattan-to il generale Cardamona era sostituito dal maresciallo dicampo Paolo Pronio, che riceveva inoltre rinforzi di trup-pe. Un contrattacco borbonico riusciva nel pomeriggiodel 25 febbraio a riprendere forte Don Blasco.[28]

Gli insorti procedevano da parte loro a riorganizzare lapropria struttura di comando. Il comitato rivoluzionarioaveva per presidente il dottor G. Pisano, anche se di fattoil comando degli insorti sul piano militare passava tem-poraneamente ad Ignazio Ribotti, un liberale e patriotacostretto all'esilio del 1831 e che aveva combattuto inSpagna e Portogallo raggiungendo il grado di colonnello. Isiciliani facevano un ultimo tentativo di prendere la Citta-della, ordinando il fuoco alle proprie artiglierie contro laCittadella stessa e forte San Salvatore, con un'azione chesi protraeva per due giorni, il 7 e l'8 marzo. I borbonici re-plicavano sparando coi propri cannoni sulla città. Mentrei danni sulle massicce fortificazioni in cui erano rinserra-ti i regi erano scarsi, erano invece gravi quelli dell'abitatodi Messina. Essendo le munizioni d'artiglieria dei sicilia-ni ormai molto ridotte, gli insorti accettavano la propostadi una tregua d'armi, che venne abitualmente rispettatasino alla terza decade d'aprile, anche se le artiglierie bor-boniche di tanto in tanto riprendevano il fuoco sulla città,provocando danni e vittime e mantenendo la cittadinanzain uno stato di continua apprensione.Questo periodo era impiegato dalle autorità provvisoriesiciliane per cercare di costituire un esercito regolare.I primi reparti costituiti avevano una divisa formata dauna blusa di colore blu scuro, berretto dello stesso colorecon coccarda tricolore, mostrine rosse, pantaloni di colo-re grigio. Il popolo soprannominò ben presto questi mili-tari col nome di “camiciotti” per la blusa che indossavanoe così furono tramandati alla storia. Le unità regolari era-no poi affiancate dalla Guardia nazionale, dagli irregolaridelle squadre provenienti dall'entroterra ed all'occorrenzadal puro e semplice afflusso di cittadini di Messina. Eranoinvece pochi gli ufficiali con valida preparazione tecnica,indispensabile specialmente per il tipo di guerra d'assedioche si svolgeva, in cui il genio e l'artiglieria, le cosiddet-te “armi dotte”, erano basilari. Inoltre il comando degliinsorti aveva problemi organizzativi.[28]

4 Terza fase. 17 aprile/24 agosto

La fragile tregua era interrotta dai borbonici, che il 17aprile sferravano un altro pesante bombardamento sul-la città, tirando dalla Cittadella e da forte san Salvatore.Giungevano frattanto grossi rinforzi di uomini e muni-zioni ai regi, che riprendevano a bombardare il 21 aprile.Quel giorno era il Venerdì Santo della Settimana pasqualeed i cittadini di Messina erano tutti riuniti nelle chiese perle funzioni religiose, confidando in una tregua nei bom-

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bardamenti per la santità del giorno: “La mattina del dì21, solennità del Venerdì Santo, in tutta sicurezza di tre-gua per la santità del giorno, la popolazione si affollò nellechiese e per le vie com’è costumanza, quando tutto a untratto un terribile bombardamento fu cominciato controla città, il quale durò fino a notte avanzata”.[29] Il giorno24 aprile, il Lunedì dell'Angelo di Pasqua, i borbonici in-traprendevano un'offensiva. Sia il 24, sia il 25 aprile i na-poletani bombardavano la città e facevano partire sortitedalla Cittadella verso il piano di Terranova. Gli attacchidi fanteria erano però respinti dai siciliani. Le due partidecidevano quindi di sottoscrivere una tregua.[30]

Dopo questi fatti il sacerdote Giovanni Krymi, cheera stato condannato a morte per la partecipazioneall'insurrezione del 1º settembre 1847 ed era stato poi li-berato dal carcere dalla rivolta d'inizio anno, fece recapi-tare al generale Pronio comandante delle truppe borbo-niche della Cittadella una lettera, trasmessagli per il tra-mite del viceconsole francese. In essa il Krymi esprime-va la propria indignazione come cristiano ed ecclesiasticoper «la rapina e l'eccidio al Monistero ed alla Chiesa de'Benedettini Bianchi» di cui le truppe borboniche s’eranorese responsabili durante la rivolta di Palermo del 1848, esoprattutto per le azioni del Pronio compiute aMessina. Ilsacerdote ricordava che il generale, venuto a combatterein questa città, l'aveva bombardata «ogni dì», ma ciò chespecialmente egli rinfacciava al comandante borbonicoera d'aver bombardato Messina anche nel giorno del Ve-nerdì Santo di Pasqua e d'aver proseguito tale operazionepersino nelle giornate in cui la cittadinanza aveva accetta-to un «armistizio richiestole dal Ministero di Napoli».Perqueste ed altre ragioni il Krymi sfidava formalmente aduello il generale Paolo Pronio. Il messaggio, che com-parve anche sul foglio Il Procida, era intitolato Sfida diGiovanni Krymi al generale del re bombardatore generalePronio.[31]

Anche la tregua sottoscritta in precedenza era però spez-zata dalle truppe borboniche, che il 5 giugno sferravanoun'altra sortita in direzione del piano di Terranova, poiripetuta nella notte. Entrambi gli attacchi s’infrangevanocontro la decisa resistenza siciliana, al che l'artiglieria deiregi riprendeva a sparare sulla città. La lotta proseguiva

anche sul mare: il 15 giugno, nello stretto di Messina, lebarche cannoniere siciliane, comandate dal capitano divascello Vincenzo Miloro, affrontavano e costringevanoalla fuga una fregata a vapore napoletana. Nella notte del17 i borbonici attaccavano ancora una volta nel piano diTerranova ed ancora una volta erano costretti alla ritirata.Allo scontro partecipavano da parte siciliana anche moltivolontari improvvisati forniti di picche e coltelli.Anche se gli insorti continuavano ad avere successi par-ziali, la Cittadella restava inespugnabile e poteva teneresotto tiro con i suoi 300 cannoni la città, che si trovava adistanza di poche centinaia di metri.[30]

Anche nelle pause fra i bombardamenti veri e propri, ca-devano continuamente colpi d’artiglieria contro i cittadinidi Messina che si mostravano per le vie, sui tetti o che ac-cendevano luci, insomma che mostravano la propria pre-senza: “Dato non era il poter trattare negozii in sulle pub-bliche piazze; scorrere le vie per domestiche bisogne; nonsicuro lo stare per pochi istanti su qualche terrazzo; peri-coloso il porre un lumicino su qualche finestra; insommala vita era in ogni momento funestata, mal sicura ed in-certa. Il Pronio non dava quiete né riposo. Egli stimavaimpresa di valore lo ammazzare qualche povera donna ofanciullo; stimava gloria il conquassare miserabilmente ladimora di qualche popolano, o di qualche ricco cittadino.Furono veramente giorni tristissimi quegli otto mesi fragli strazi di questo bombardamento trapassati.”[32]

Era indispensabile per i siciliani riuscire a conquistare lagrande fortezza, ma questo non si poteva fare con un as-salto all'arma bianca, che si sarebbe infranto dinanzi aifossati, alle mura, alla numerosissima artiglieria: risultavanecessario agire con tecniche d'assedio, ma scarseggiava-no da parte degli insorgenti sia gli uomini qualificati, siai mezzi. Continuavano frattanto gli scontri e dal 15 al 24agosto le artiglierie napoletane tiravano sulla città.[33]

Il morale dei cittadini rimase comunque alto ed acquistòpopolarità fra i messinesi una canzone in cui si parlavacon tono di sfida dei bombardamenti compiuti dalla Cit-tadella sulla città e si rivendicava la libertà dal dominioborbonico: «La Cittatedda 'nfamia / China di cannuneri/ Ci mpizzamu li banneri / E vulemo la libirtà: / La li-birtà! / Spara lu forti i ll'Andria / Spara la culumbrina /Si campava Maria Cristina / Nni dava la libirtà / La li-birtà! / Spara lu forti i ll'Andria/ Spunna lu Sarbature;La bannera di tri culuri / E vulemo la libirtà:/ La libir-tà! / La Cittatedda ‘nfamia / China di cannuneri / N'nabruciatu li quartieri / Ma vulemo la libertà: / La libirtà! /Na palummedda janca / Nnimuzzica lu pedi / Ferdinanducu so mugghieri / 'Ntra Sicilia nun regna cchiù»[La Cit-tadella infame / Piena di cannonieri / Vi appendiamo lanostra bandiera/ E vogliamo la libertà / La libertà / Spa-ra il forte dell'Andria / Spara la colubrina / Se viveva laregina Maria Cristina / Ci dava la libertà / Spara il fortedell'Andria/Spara il forte San Salvatore / La bandiera ditre colori / E vogliamo la libertà / la libertà / La Cittadellainfame/piena di cannonieri /ci ha bruciato i quartieri / ma

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6 5 QUARTA FASE. 25 AGOSTO/7 SETTEMBRE. LA BATTAGLIA FINALE

vogliamo la libertà / la libertà/una colombella bianca / cipizzica il piede/Ferdinando con sua moglie / non regnapiù in Sicilia].[34]

5 Quarta fase. 25 agosto/7 settem-bre. La battaglia finale

5.1 La preparazione della spedizione bor-bonica d'invasione

Ferdinando II aveva provveduto a schiacciare durantel'estate la rivolta della Calabria ed era ora pronto ad inva-dere la Sicilia per sottometterla di nuovo al suo dominio.I preparativi della spedizione iniziavano già a fine agosto.Il suo comandante designato era il principe di Satriano, iltenente generale Carlo Filangieri,[35] figlio di Gaetano Fi-langieri (il celebre autore della Scienza della legislazione),veterano dell'esercito napoleonico (era stato colonnellodi Gioacchino Murat) e senz'altro il migliore fra tutti igenerali borbonici.Il corpo di spedizione comprendeva 18000 uomini di fan-teria, 1500 del personale di marina imbarcato sulle navi,più i 5000 uomini di guarnigione nella Cittadella, per untotale di 24500 uomini impegnati contro Messina, con450 cannoni complessivi. Facevano parte di questa ar-mata i migliori reparti di tutto l'esercito borbonico, ossia imercenari svizzeri. La superiorità di forze era schiaccian-te da parte borbonica, poiché gli insorti potevano contareattorno ai 6000 uomini.

Piero Pieri, il miglior storico militare italiano, riporta inproposito i seguenti calcoli nella sua “Storia militare delRisorgimento”: “Due battaglioni di «camiciotti», 1000uomini complessivi, 400 artiglieri, 300 zappatori del ge-nio e 200 guardie municipali; e inoltre 500 marinai can-nonieri addetti alle batterie fra Messina e il Faro, i qualinon presero parte alla lotta. In totale le formazioni che po-tremmo chiamare regolari assommavano a 2500 uomini,di cui 2000 nei punti attaccati. A queste bisognava ag-giungere 2500 uomini delle squadre; 500 uomini di Guar-dia Nazionale e 500 altri uomini degli equipaggi dellescialuppe e inoltre 2000 elementi delle squadre dislocatilungo la costa da Galati a Forza d'Agrò al sud di Messina,e da Torre Faro a Milazzo. Nell'insieme dunque Messinadisponeva di 6000 uomini armati alla meglio, addestra-ti in modo inuguale e senza un vero capo, contro 25000soldati rappresentanti la parte migliore dell'esercito bor-bonico e con un capo, veterano delle guerre napoleoni-che, d'innegabile valore ed energia.”[36] Fra le 6000 unitàsiciliane, soltanto 5000 erano munite di fucili. Il divarioera grande anche nelle artiglierie, con 112 cannoni pergli insorti, 450 per i borbonici. Cittadini d'ogni catego-ria, ricchi e poveri, ecclesiastici e laici, uomini e donne,giovani e vecchi, concorsero però attivamente a rafforza-re le fortificazioni improvvisate per resistere al previstoattacco dei borbonici.[37] Nonostante l'enorme spropor-zione di uomini e mezzi, nell'ordine di 4 contro 1 a favoredei napoletani, la battaglia finale dell'assedio di Messinafu eccezionalmente accanita.

5.2 La drammatica battaglia finale deigiorni d'inizio settembre

Il primo attacco delle truppe regie si svolse il 3 settem-bre e fu condotto con misure drastiche, poiché i genera-li borbonici avevano dato l'ordine di passare per le armii prigionieri[38] ed i reparti napoletani avanzarono semi-nando strage fra i civili e distruggendo ogni cosa: «il ne-mico progredendo nella sua marcia ammazzava uominiinermi, ardeva case, devastava e rapinava ogni cosa».[39]La resistenza dei siciliani fu comunque estremamenteenergica e costrinse le unità borboniche a ripiegare conun deciso contrattacco alla baionetta, dopo avergli inflit-to perdite per molte centinaia di uomini.[40] L'artiglieriadella Cittadella però prese a bombardare la città conun'intensità prima sconosciuta e continuò a farlo anchenei giorni seguenti, incendiando o riducendo in macerieinteri quartieri.[38] Il fittissimo bombardamento a tappetosulla città si protrasse ininterrottamente per cinque gior-ni e fu compiuto con ogni tipo di proiettili: a palla piena,con bombe, persino mediante razzi incendiari.[41] Mentrel'azione dell'artiglieria borbonica proseguiva di continuosulla città, il Filangieri preparava un altro attacco.[30]

L’operazione consisteva in uno sbarco a sud di Messi-na, preceduto ed accompagnato da un intenso bombarda-mento della squadra navale (i cui cannoni tiravano sullastrada consolare detta del Dromo e su tutto il territorio

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5.3 La violenza sui vinti: massacri, stupri, incendi e saccheggi 7

limitrofo),[42] che avrebbe coinciso con il bombardamen-to diretto dai forti e con un'azione di fanteria dalla Citta-della. Le truppe siciliane cercavano d'impedire l'avanzataal nemico sbarcato, di molto superiore di numero e mez-zi, concentrando la propria difesa su di una serie di lineedifensive. I “camiciotti” ed i volontari prendevano posi-zione successivamente presso i villaggi di Contessa, poidi Gazzi, poi di borgo san Clemente, da dove venivanoscacciati soltanto dopo molte ore di battaglia ed in segui-to a combattimenti svoltisi casa per casa. I due villaggidi Contessa e di Gazzi ed il borgo san Clemente finiva-no praticamente distrutti dall'esercito borbonico: le ca-se scampate al bombardamento venivano incendiate daisoldati tramite bombe incendiarie al fosforo, mentre i ci-vili erano fucilati sul posto. Dopo aver perso queste trelinee di resistenza, i siciliani prendevano posizione die-tro la fiumara Zaera, che era rafforzata da improvvisa-ti trinceramenti che si appoggiavano ad edifici robusti.I napoletani attaccavano nuovamente usando l'artiglieriaa propria disposizione per schiacciare gli insorti, tirandodalla Cittadella, dal mare con la flotta e con le artiglieriemobili. L'attacco borbonico procedeva ora da due dire-zione: dalla Cittadella verso il piano di Terranova e dal-la testa di ponte dello sbarco in direzione della fiumaraZaera. L'offensiva però sostanzialmente si arenava davan-ti alla difesa estremamente tenace opposta dai siciliani ele truppe regie giungevano a ripiegare in preda al pani-co ed al disordine, al punto che fra di loro si parlava direimbarcarsi e fuggire. Il Filangieri, vedendo i suoi repar-ti così demoralizzati e pronti alla fuga, ordinava alla flottad'allontanarsi, per togliere alla truppa ogni idea di possi-bile ritirata. Il comandante borbonico era comunque as-sai preoccupato e trascorreva la notte insonne vegliandoin mezzo ai suoi uomini. Frattanto, a Messina la popola-zione era ancora decisa a battersi e si trovavano anche re-ligiosi e donne che incitavano gli uomini al combattimen-to. Buona parte della città però era stata arsa o distruttadall'incessante bombardamento, che aveva ucciso o co-stretto alla fuga moltissimi degli abitanti. La mattina se-guente del 7 settembre riprendeva l'offensiva borbonica,con lo stessomodus operandi del giorno precedente: mas-sicci bombardamenti d'artiglieria; incendi appiccati agliedifici mediante bombe incendiarie al fosforo adoperatedai soldati; azioni di fanteria che procedevano a rastrel-lare il terreno uccidendo chiunque trovassero. L'azionedifensiva dei siciliani contendeva il terreno palmo a pal-mo, ma il continuo affluire di truppe nemiche, diversevolte superiori di numero, determinava la caduta ad unoad uno di tutti i capisaldi, che erano comunque difesi sinoalla fine.[30]

Fu incendiato dai soldati borbonici anche l'ospizio di Col-lereale, con massacro dei malati[43] che vi si trovavano:“Furono gli infermi, i ciechi, ed i paralitici dell'ospizioCollereale a colpi di baionetta scacciati, ed impigliando-si fra le schiere borboniche, rimasero tutti sceleratamen-te ammazzati. Furono arse e distrutte tutte le dimore delborgo San Clemente posto poco prima di giungere al tor-rente della Zaera. Da ogni parte non udivansi che lamenti

e gemiti, da ogni parte non vedevansi che cadaveri muti-lati, donne o fanciulli, soldati o cittadini, feriti ed agoniz-zanti in ogni strana attitudine o imagine di morte.”[44]Il massacro degli ospiti dell'Ospizio Collereale, in cui vi-vevano ciechi e paralitici, fu dovuto anche allo stato diubriachezza in cui si trovava la maggior parte dei soldatiborbonici: “Cacciati a colpi di baionetta dal loro Ospizio,molti ciechi e paralitici, sorreggendosi e guidandosi l'unl'altro, cercavano a tentoni un rifugio, uno scampo: maimpigliatisi nelle file napolitane, eran tutti codardamentetrucidati: i soldati napolitani, e più li svizzeri, durante lanotte erano stati eccitati con vino ed acquavite, e la piùparte di loro erano in uno stato di ubriachezza feroce”.[45]

Il combattimento proseguì con scontri corpo a corpo chesi svolsero casa per casa, finché l'ultimo importante pun-to di difesa degli insorti, il convento della Maddalena, fuaccerchiato e distrutto. Anche membri del clero preseroparte alla difesa del monastero assalito dai napoletani.[46]I “camiciotti” superstiti[47] che lo difendevano preferi-rono suicidarsi che cadere vivi nelle mani dei napoleta-ni, gettandosi dentro ad un pozzo.[48] Si conoscono i no-mi di sette di loro: Antonino Bagnato, Carmelo Bomba-ra, Giuseppe Piamonte, Giovanni Sollima,Diego Mauce-li, Pasquale Danisi e Nicola Ruggeri.[49] Anche la cadutadel monastero della Maddalena non segnò la fine delladurissima battaglia, poiché gli insorti si difesero ancoranel quartiere retrostante, dove i mercenari svizzeri proce-dettero incendiando sistematicamente tutti gli edifici. Latruppa borbonica non risparmiò neppure l'Ospedale citta-dino, a cui diede fuoco, bruciandovi dentro molti malati eferiti che vi erano degenti: “Appiccarono il foco al grandeOspitale, e vi arser dentro malati e feriti assai”.[50] Pre-so o per meglio dire distrutto il quartiere che si trovavafra via Imperiale e via Porta Imperiale, i reparti borboniciche avanzavano dal mezzogiorno, ossia dalla testa di pon-te navale, si congiungevano con quelli che provenivanodalla Cittadella.

5.3 La violenza sui vinti: massacri, stupri,incendi e saccheggi

A questo punto, nella sera del 7 settembre, la battaglia po-teva dirsi praticamente finita. Il Filangieri però non osavafar addentrare le sue truppe nell'insieme di vicoli che al-lora componevano il centro storico di Messina: malgradole forze regolari siciliane fosse state sterminate o costrettealla fuga, il bombardamento dei borbonici continuò sullacittà indifesa, ossia sulla parte che non era stata ancoraoccupata dai regi, per altre sette ore.[51] Frattanto i mi-litari dell'esercito borbonico si davano al saccheggio edalle violenze sugli abitanti: “Li Svizzeri ed i Napolitaninon marciavano che preceduti dalli incendii, seguìti dal-le rapine, da' saccheggi, dalli assassinamenti, dalli stupri[…]. Donne violate nelle chiese, ove speravano sicurezza,e poi trucidate, sacerdoti ammazzati sulli altari, fanciul-le tagliate a pezzi, vecchi ed infermi sgozzati ne' propriiletti, famiglie intere gittate dalle finestre o arse dentro le

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8 6 CONCLUSIONE

proprie case, i Monti di prestito saccheggiati, i vasi sacriinvolati”.[52]

Furono numerosi nel corso delle giornate del settembre1848 i casi di civili che vennero uccisi intenzionalmen-te dalle truppe borboniche, che in alcuni casi violentaro-no donne rifugiatesi nelle chiese prima d'assassinarle, uc-cisero tutti i bambini e trucidarono malati nei loro letti,come avvenne ad esempio per l'anziano contadino Fran-cesco Bombace, ottuagenario, e per la figlia di LetterioRusso, che venne decapitata ed a cui furono amputatii seni.[53] Furono saccheggiate e distrutte anche alcuneabitazioni di stranieri che vivevano a Messina, tanto cheil console inglese Barker riferendo l'accaduto al suo go-verno scriveva che molti sudditi inglesi ivi residenti era-no ridotti in rovina e che era stato ferito a colpi di scia-bola persino un diplomatico, il console di Grecia e Ba-viera M. G. M. Rillian, malgrado si trovasse in unifor-me, prima che anche la sua dimora fosse saccheggiata edincendiata.[54] Le truppe borboniche non risparmiaronodal saccheggio neppure gli edifici religiosi. Ad esempio,la chiesa di san Domenico, ricca di opere d'arte, fu primasaccheggiata dei suoi oggetti sacri, poi incendiata e total-mente distrutta.[55] Furono incalcolabili le perdite di viteumane. Un ufficiale borbonico scriveva al fratello, subitodopo la presa di Messina, affermando che i reparti napo-letani avevano riconquistato la città con un fuoco intensis-simo e «calpestando cadaveri in ogni passo che si avanza-va per lo spazio di circa due miglia» per poi commentare«Che orrore! Che incendio!».[56] Anche l'ammiraglio in-glese Parker condannò l'operato dei borbonici ed in parti-colare il bombardamento terroristico protratto sulla cittàanche dopo la fine d'ogni resistenza per ben otto ore: «Lapiù grande ferocia fu mostrata dai napoletani, la cui furiafu incessante per otto ore, dopo che ogni resistenza eracessata».[57]

Messina fu anche travagliata dall'operato di criminali co-muni inviati da re Ferdinando II in Sicilia contro gli insor-ti e che dopo aver tormentato per mesi i Siciliani con azio-ni brigantesche (delitti, violenze, furti ecc.) si diedero almomento della caduta della città al suo saccheggio, giun-gendo con piccole imbarcazioni dalla Calabria per farebottino.[58]

Molti abitanti di Messina cercarono scampo imbarcan-dosi e fuggendo via mare oppure accalcandosi sulle navifrancesi ed inglesi che si trovavano nelle vicinanze. “Dalprimo trarre delle artiglierie una moltitudine di barchemercantili, da trasporto, e pescherecce uscirono dal por-to di Messina piene di pacifici abitatori, i quali concorre-vano a calca sui navigli inglesi e francesi come in luogodi salute.”[59] Il numero dei cittadini fuggiaschi fu tale daspingere i comandanti delle forze navali di Francia ed In-ghilterra che assistevano alla battaglia a scrivere al gene-rale borbonico Filangieri di concedere una tregua, poichéle loro imbarcazioni erano ormai impossibilitate ad acco-gliere altre famiglie che fuggivano dal saccheggio, cosic-ché lo pregavano in nome di Dio d'arrestare le operazionimilitari.”[60]

Ferdinando II a causa del bombardamento di Messina fusoprannominato “re bomba”

6 Conclusione

6.1 Le conseguenze della lunga battagliasulla città: perdite umane e materiali

La sconfitta degli insorti a Messina segnò praticamentele sorti della rivolta siciliana del 1848, con esiti politi-ci di grande portata. È impossibile calcolare il numerodi morti avutosi nel corso della durissima battaglia, du-rata per nove mesi e conclusasi con una serie di com-battimenti d'eccezionale violenza.[61] Commenta il Pieri:“In verità la difesa di Messina era stata veramente epi-ca; per tre volte la spedizione accuratamente preparata econ forze tanto soverchianti era stata sul punto di risol-versi in un fallimento. La città era semidistrutta; eppureil bombardamento non l'aveva domata e i difensori s’era-no battuti fino all'estremo; cosicché si può ben dire che,malgrado l'insufficienza e la mancanza di capi, la città nonsi era arresa. Essa la sera del 7 settembre era tutta un in-cendio e ancora i vincitori paventavano nuove disperatesorprese.”[62]

Il bombardamento e gli incendi appiccati suscitarono leproteste dei diplomatici stranieri presenti a Messina, pre-cisamente dei consoli del Belgio, della Danimarca, dellaFrancia, del Regno Unito, dei Paesi Bassi, della Russia,della Svizzera.[63]

La stessa Relazione delle operazioni militari di Messinanel settembre 1848, pubblicata a Napoli nel 1849 a cu-

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6.2 La repressione borbonica posteriore alla rivolta ed i suoi esiti 9

ra dello stato maggiore borbonico, ammette che il bom-bardamento ebbe effetti devastanti su Messina.Essa cosìdescrive gli effetti del fuoco dell'artiglieria regia controla città nelle giornate della battaglia finale: “Comincia-ta l'alba del giorno 4 il bombardamento […] ricominciòcolla stessa rabia del giorno precedente; il fuoco ripiglia-to all'alzarsi del Sole, fu intermesso soltanto a notte buia.La condizione della Città, mercé questo rinnovato attaccoera oltremodo misera e compassionevole. […] non altrosi scorgeva che fumo e caligine, non altro si udiva che fra-gore e scoppio di artiglierie; qual danno, e quanta ruinaabbia subìta Messina posta in mezzo a tanto conflitto, èpiù agevole immaginarlo che dirlo; i quartieri che si trova-vano più vicini alle batterie che scambiavano il loro fuoconon presentavano più che mucchi di rovine”.[64]

Il giorno seguente il bombardamento sarebbe stato anco-ra più violento e distruttivo: “Più orrenda e più sanguino-sa delle due già descritte fu la giornata del 5; il fuoco sicominciò innanzi l'alba; […] Coll'inoltrarsi del giorno ilbombardamento si faceva più attivo; il fuoco dei Forti, undopo l'altro incominciato sulle colline, e simultaneamentedai vari punti della Cittadella, era sì violento e continuo,che non lasciava unmomento di riposo: esso cagionava unfumo densissimo che involveva tutto in densa caligine, ela Città pareva bruciasse interamente; durante questo tri-sto spettacolo fino a sera le case venivano scosse dallemolteplici detonazioni, e gli abitanti fuggivano da esse,sì perché incendiate, sì perché cadute in rovina.”[65] Almomento poi della conclusione del lunghissimo assedio,“l'interno della Città pareva fosse un vulcano; dense nubidi fumo nerissimo, si elevavano da tutte le parti”. [66]

In una sua lettera privata, un ufficiale di linea borboni-co, che aveva combattuto a Messina, riferiva l'esito del-la battaglia dicendo che vi erano «feriti immensi, mortinon so numerarteli, sì da noi che da loro», mentre la cittàappariva quasi interamente distrutta, con poche abitazio-ni ancora integre: «ho inorridito nel vedere la bellissimaMessina ridotta tutta uno sfabricinio, appena poche caserimaste per essere stata abbattuta da tre giorni di continuofuoco di cannoni e bocche della cittadella […] Pianti diquei poveri rimasti rovina del paese che formavano unadesolazione e afflizione».[56]

Il 12 settembre 1848, quindi subito dopo la sconfittadell’insurrezione e nell’immediatezza della restaurazioneborbonica, il sindaco designato della città di Messina,il marchese Cassibile, notoriamente simpatizzante dellamonarchia borbonica, scriveva che esistevano poche abi-tazioni che potessero essere adibite ad alloggio militareper le truppe occupanti, essendo state le altre incendia-te o distrutte.[67] La gravità delle perdite umane e mate-riali venne riconosciuta e denunciata anche da osservato-ri stranieri. Un giornalista del “Times”, inviato a Messi-na, riferiva in un suo articolo del 13 ottobre 1848 che lacittà era stata in gran parte distrutta, non solo dai bom-bardamenti, ma in buona misura dagli incendi appiccatidai soldati napoletani. Le distruzioni avevano colpito du-ramente anche le ville ed i giardini, che secondo questo

giornalista avevano praticamente cessato d'esistere, e nonavevano risparmiato neppure le chiese.[68] Furono gra-vissimi i danni e le distruzioni anche al patrimonio ar-tistico, culturale e storico di Messina, finendo arsi il pa-lazzo del Comune, l'Arcivescovado, le chiese di san Do-menico, di san Nicola, dello Spirito Santo, di sant'Uno,di sant'Uomobono, dei Dispersi, il monastero e la gran-de chiesa dei Benedettini. Il monastero della Maddalenaconteneva anche un museo, fondato nel 1610 ed una ric-chissima biblioteca con codici con miniature e documen-ti di grande valore, che andarono per la maggior partedistrutti:[69] «Il monastero fu dato alle fiamme con fu-ria barbarica e distrutto irreparabilmente. L'aspetto piùdrammatico di quell'incendio fu la distruzione, quasi to-tale, della biblioteca e di altre opere d'arte. In tal modola città di Messina, già martoriata da lutti e rovine, dovétollerare anche il brutale incendio dell'elemento culturalepresente, in gran copia, nel monastero benedettino.»[70]Le suore del santuario di Montalto, già sede dell'anticomonastero cistercense di S. Maria dell'Alto, furono co-strette alla fuga dal bombardamento, perdendo così al-meno parte degli oggetti preziosi del proprio monasteroe parte dell'archivio: l'edificio venne incendiato.[71]

6.2 La repressione borbonica posteriorealla rivolta ed i suoi esiti

Il governo borbonico non recuperò mai pienamente la suaautorità in Sicilia dopo la repressione della rivoluzione del1848. Esso dovette affidarsi all'alleanza con il mondo delcrimine (il capo della polizia borbonica dal 1849 al 1860,Salvatore Maniscalco, si serviva dei criminali di profes-sione contro i rivoluzionari) ed alla repressione poliziescadel dissenso politico, che però crebbe.[72]

Alla sconfitta militare dell'insurrezione seguì una dura re-pressione borbonica. AMessina fu imposto un periodo distato d'assedio che durò per oltre tre anni. Inoltre il gene-rale Filangieri impose con un suo decreto che la localeuniversità messinese potesse essere frequentata soltantoda studenti della provincia, in pratica isolandola. Furonoanche chiusi importanti centri di cultura come il “Circolodella borsa” ed il “Gabinetto letterario”. Molti personaggiillustri ed intellettuali di Messina, coinvolti nella granderivolta, furono costretti alla fuga ed all'esilio. Chi rimasefu sovente perseguitato.[73]

La Cittadella continuò a fornire al potere borbonico unostrumento di dominio e controllo su Messina, sia con laminaccia latente dei suoi cannoni e della sua guarnigione,sia come carcere per i prigionieri politici. Questa enor-me fortezza proseguì a rappresentare un pericolo incom-bente sulla città con la sua artiglieria, tanto che anco-ra agli inizi del 1860 il comandante militare borbonicodella piazzaforte ammonì la popolazione che egli avreb-be bombardato Messina alla prima agitazione. Il sindacomessinese, barone Felice Silipigni, osò protestare controqueste minacce e fu perciò rimosso dal suo incarico diret-

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10 7 NOTE

tamente su ordine di re Francesco II di Borbone.[74] Laprigione interna alla Cittadella, il bagno penale di San-ta Teresa, era famigerata per la sua durezza, che con-duceva a morte i detenuti. Alcuni fra i protagonisti del-la rivoluzione siciliana scomparvero fra le mura di que-sta prigione. Ad esempio, il sacerdote Giovanni Krymi,fra i maggiori esponenti della rivolta di Messina, fu im-prigionato per ordine del generale Filangieri all'internodel carcere di Santa Teresa di Riva, in cui finì per mori-re a causa delle spaventose condizioni di detenzione:[75]«fu trasportato nella cittadella di Messina, rintanato da'militari, che imperavano per l'assediata [posta in statod'assedio N.d.C.] città, nel bagno di Santa Teresa, orribi-le caverna che infracidiva la tempra più robusta d'uomo.Ivi, dal 1849 al 1854, patì le sevizie e la fame, peggioche morte: ivi spirò».[76] Francesco Bagnasco, fratello delpiù celebre Rosario ed autore del famoso cartello di “sfi-da” (apparso sui muri di Palermo la mattina del 9 genna-io per invitare la popolazione ad insorgere per il 12 del-lo stesso mese), fu rinchiuso nella Cittadella di Messinanel 1849 e vi perì poco più tardi, si sospetta in segui-to ad un avvelenamento.[77] Furono assai numerosi i si-ciliani che finirono rinchiusi nelle carceri della fortezza.Ad esempio, scriveva il patriota catanese Pietro Maranoa Rosolino Pilo nel dicembre del 1849: «La belva napo-letana inferocisce sempre più. Il giorno 8 di questo mesein Catania furono arrestati trentatré onesti cittadini, e lanotte stessa furono condotti, insieme con altri prigionieripolitici che erano nel carcere di Catania, nella Cittadelladi Messina».[78]

Il lungo e durissimo assedio di Messina del 1848, congli enormi danni inflitti alla città e le gravi perdite invite umane, lasciò una traccia duratura anche nella me-moria collettiva, come si palesò nel 1861, quando i re-sidui reparti borbonici che ancora controllavano la Cit-tadella s’arresero all'esercito italiano. Allora si manifestòcon chiarezza l'odio della popolazione nei confronti del-le truppe napoletane del disciolto esercito borbonico, alpunto che il generale Cialdini fece fatica a trattenere imessinesi che avrebbero voluto distruggere la fortezza emassacrare i prigionieri. Si ebbe anche un tentativo dilinciaggio di prigionieri da parte d'una folla di cittadinidi Messina.[79]

7 Note[1] Franz Riccobono; Adolfo Berdar; Cesare La Fauci, La

real cittadella di Messina, prefazione di Rodo Santoro,Messina, EDAS, 1988

[2] “Archivio storico siciliano”, pubblicazione periodica del-la Società Siciliana per la Storia Patria, nuova serie, annoXXVI, Palermo 1901, pp. 116 sgg.

[3] Gaetano Cingari, Gli ultimi Borboni: dalla Restaurazioneall’Unità, in Storia della Sicilia, VIII, Napoli 1977, p. 5.

[4] Rosario Romeo, Il Risorgimento in Sicilia, Bari 1950, pp.257-290.

[5] Socrate Chiaramonte, “Il pro gramma del'48 e i partiti po-litici in Sicilia”, in “Archivio storico siciliano”, n. 3., annoXXVI, 1901, p. 117.

[6] C. Naselli, Il Quarantotto a Catania: la preparazione, gliavvenimenti, in «Archivio Storico per la Sicilia orientale»,serie IV, a. II e III, 1949-1950.

[7] L. Tomeucci, Messina nel Risorgimento, Milano 1963, pp.14-15.

[8] Luigi Tomeucci, La verità sul moto del 1º settembre 1847,in Messana, Messina 1953, vol. II

[9] A. Caglià-Ferro, Monografia sui fatti del 1º settembre1847 in Messina, Messina 1890; L. Tomeucci, Messinanel Risorgimento, Milano 1963, pp. 44-74.

[10] Ernesto Consolo-Nino Checco,Messina nei moti del 1847-1848, in Il Risorgimento: rivista di storia del Risorgimentoe storia contemporanea, a. 51 (1999) n. 1, pp. 4-5, 24-25.

[11] Cfr. la voce su Giuseppe La Masa nel Di-zionario Biografico dell'Enciclopedia Treccani:http://www.treccani.it/enciclopedia/giuseppe-la-masa_(Dizionario_Biografico)/

[12] 29 GENNAIO 1848: MESSINA INSORGE - Messina-WebTv - La tua WebTv

[13] Piero Pieri, Storia militare del Risorgimento, Torino 1962,pp. 485-486.

[14] Francesco Guardione, “Antonio Lanzetta e Rosa Donatonella rivoluzione del 1848 in Messina”, Messina 1893.

[15] G. Falzone, Il problema della Sicilia nel 1848 attraversonuove fonti inedite, Palermo, 1951.

[16] Documenti della rivoluzione siciliana del 1847-1849 inrapporto all’Italia illustrati da G. La Masa, Torino 1850,p. 108.

[17] Su questa figura cfr. la voce a lui dedicata nel "Dizionariodel Risorgimento Nazionale": http://www.dizionariorosi.it/schedaPersona.php?id=1574

[18] Piero Pieri, Storia militare del Risorgimento, Torino 1962,pp. 487 sgg.

[19] Documenti della rivoluzione siciliana del 1847-1849 inrapporto all’Italia illustrati da G. La Masa, Torino 1850,p. 109.

[20] Piero Pieri, Storia militare del Risorgimento, Torino 1962,pp. 487-488.

[21] Ernesto Consolo-Nino Checco,Messina nei moti del 1847-1848, in Il Risorgimento: rivista di storia del Risorgimentoe storia contemporanea, a. 51 (1999) n.1, p. 27.

[22] Piero Pieri, Storia militare del Risorgimento, Torino 1962,pp. 488-489.

[23] Piero Pieri, Storia militare del Risorgimento, Torino 1962,pp. 489-491.

[24] G.Oliva, Annali della Città di Messina, Messina 1882,Vol.VII.

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[25] Augusto Elia, “Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al1900”, vol. I, Roma 1904.

[26] G. Oliva, Annali della città di Messina, Diario, Vol. VII,Messina, Reale Accademia Peloritana, 1939, pp. 308. sgg.

[27] Ernesto Consolo-Nino Checco,Messina nei moti del 1847-1848, in Il Risorgimento: rivista di storia del Risorgimentoe storia contemporanea, a. 51 (1999) n.1, p. 34.

[28] Piero Pieri, Storia militare del Risorgimento, Torino 1962,pp. 489-493.

[29] Giuseppe La Farina, Storia della rivoluzione sicilianae delle sue relazioni coi governi italiani e stranieri.1848-1849, Milano 1860, p. 319.

[30] Piero Pieri, Storia militare del Risorgimento, Torino 1962,pp. 494 sgg.

[31] Francesca Maria Lo Faro, Giovanni Krymi (Crimi), nelDizionario Biografico degli Italiani - Volume 62 (2004),dell'Enciclopedia Treccani; http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-krymi_(Dizionario_Biografico)/.La versione digitale del messaggio di sfida è reperi-bile nel sito del Museo del Risorgimento di Messina:http://www.museorisorgimentomessina.it/images/gabinettodilettura/043.jpg

[32] Carlo Gemelli, “Storia della siciliana rivoluzione del 1848-49”, Bologna 1867, vol. II, pp. 17-18.

[33] Piero Pieri, Storia militare del Risorgimento, Torino 1962,p. 498.

[34] L. Tomeucci, Messina nel Risorgimento, Milano 1963, p.199.

[35] Filangieri Fieschi Ravaschieri, Il generale Carlo Filangie-ri, Milano, 1902, pp. 179 sgg.

[36] Piero Pieri, Storia militare del Risorgimento, Torino 1962,p. 500.

[37] Carlo Gemelli, “Storia della siciliana rivoluzione del 1848-49”, Bologna 1867, vol. II, p. 58.

[38] Piero Pieri, Storia militare del Risorgimento, Torino 1962,p. 503.

[39] Carlo Gemelli, “Storia della siciliana rivoluzione del 1848-49”, Bologna 1867, vol. II, p. 61.

[40] Ibidem.

[41] Documenti della rivoluzione siciliana del 1847-1849 inrapporto all’Italia illustrati da G. La Masa, Torino 1850,p. 343.

[42] Documenti della rivoluzione siciliana del 1847-1849 inrapporto all’Italia illustrati da G. La Masa, Torino 1850,p. 344.

[43] Ernesto Consolo-Nino Checco,Messina nei moti del 1847-1848, in Il Risorgimento: rivista di storia del Risorgimentoe storia contemporanea, a. 51 (1999) n.1, p. 39.

[44] Carlo Gemelli, Storia della siciliana rivoluzione del 1848-49, Bologna 1867, p. 76

[45] Giuseppe La Farina, Storia della rivoluzione sicilianae delle sue relazioni coi governi italiani e stranieri.1848-1849, Milano 1860, pp. 354-355.

[46] Gianni Oliva. Annali della città di Messina. Continuazioneall'opera di C. D. Gallo .... Messina. 1892-1954, vol. IV,pp. 80 sgg.

[47] Sulle fasi finali della battaglia ed il sacrificio dei camiciotticonsultare anche L. Tomeucci, Messina nel Risorgimento,Milano 1963, pp. 473-485.

[48] Il “pozzo dei camiciotti” è ancora oggi esistentea Messina: http://www.infomessina.it/index.php?option=com_content&view=article&id=12466:prima-commemorazione-delleroico-sacrificio-dei-camiciotti&catid=77:commemorazioni&Itemid=2

[49] http://www.larderiaweb.it/joomla/la-storia-di-messina-dal-1847-al-1854.html.

[50] Giuseppe La Farina, Storia della rivoluzione sicilianae delle sue relazioni coi governi italiani e stranieri.1848-1849, Milano 1860, p. 356.

[51] Luigi Tomeucci, Le cinque giornate di Messina nel ’48,Ferrara, Messina, 1953.

[52] Giuseppe La Farina, Storia della rivoluzione sicilianae delle sue relazioni coi governi italiani e stranieri.1848-1849, Milano 1860, p. 357.

[53] P. Calvi, Memorie storiche e critiche della rivoluzionesiciliana del 1848, Londra, 1861, pp. 24 sgg.

[54] P. Calvi, Memorie storiche e critiche della rivoluzionesiciliana del 1848, Londra, 1861, p. 26.

[55] “Archivo storico messinese. Atti della società storicamessinese”, anno I, Messina 1900, p. 66.

[56] Notiziario delle cose avvenute l’anno 1848 nella guerrasiciliana, a cura di F. Azzolino, Napoli 1848.

[57] L. Tomeucci, Messina nel Risorgimento, Milano 1963, p.486.

[58] Carlo Gemelli, “Storia della siciliana rivoluzione del1848-49”, Bologna 1867, vol. II, pp. 35-36;http://www.comune.messina.it/turismo/storia-e-tradizioni/cenni-storici/il-periodo-borbonico.aspx

[59] Raffaele Santoro, Storia dei precipui rivolgimenti politiciaccaduti nel regno delle Due Sicilie nel 1848-1849, Napoli1850, p. 263.

[60] Raffaele Santoro, Storia dei precipui rivolgimenti politiciaccaduti nel regno delle Due Sicilie nel 1848-1849, Napoli1850, pp. 261 sgg.

[61] Si calcola che le sole perdite di parte borbonica e nellesole giornate finali del 3-7 settembre ammontino a 3000uomini fra morti e feriti. Andrea Frediani, "101 battaglieche hanno fatto l'Italia Unita", Roma, Newton ComptonEditori 2011, pp.130-136.

[62] Piero Pieri, Storia militare del Risorgimento, Torino 1962,p. 518.

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12 8 BIBLIOGRAFIA

[63] P. Calvi, Memorie storiche e critiche della rivoluzionesiciliana del 1848, Londra, 1861, p. 23.

[64] Relazione delle operazioni militari di Messina nel settembre1848, Napoli 1849, a cura dello stato maggiore borbonico,p. 8.

[65] Ibidem, pp. 9-10.

[66] Ibidem, p. 37.

[67] P. Calvi, Memorie storiche e critiche della rivoluzionesiciliana del 1848, Londra, 1851, tomo III, p. 24.

[68] http://ospitiweb.indire.it/~{}memm0002/Messinastoria/commenti.html.

[69] Carlo Gemelli, “Storia della siciliana rivoluzione del 1848-49”, Bologna 1867, vol. II, p. 65; http://ospitiweb.indire.it/~{}memm0002/Messinastoria/maddalena.html

[70] Achille Bonifacio, Il monastero benedettino di S. PlacidoCalonerò e la sua biblioteca, in Archivio storico messinese,III Serie - Vol. XXV – XXVI, Anni 1975 −1976 - Vol.34° dalla fondazione, a cura della Società Messinese diStoria Patria, Messina 1976, p. 106.

[71] Rosaria Stracuzzi, “Il tabulario di S. Maria dell’Altodi Messina (1245-1718)”, pp. 7-8, in “Archivio storicomessinese”, vol. 89°−90° dalla fondazione.

[72] Lucy Riall, La Sicilia e l’unificazione italiana. Politicaliberale e potere locale (1815-1866), Torino 2004, pp.74-76.

[73] Ernesto Consolo-Nino Checco,Messina nei moti del 1847-1848, in Il Risorgimento:rivista di storia del Risorgimentoe storia contemporanea, a. 51 (1999) n.1, pp. 40-41.

[74] G. Oliva, Annali della città di Messina. Continuazione al-l’opera di Caio Domenico Gallo, Messina 1895; ristampaBologna 1980, vol.VIII, p. 68.

[75] Francesca Maria Lo Faro, Giovanni Krymi (Crimi), nelDizionario Biografico degli Italiani - Volume 62 (2004),dell'Enciclopedia Treccani; http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-krymi_(Dizionario_Biografico)/

[76] F. Guardione, Giovanni Krymy, in «Rassegna storica delRisorgimento», anno II, fascicolo III, 1915, p. 619.

[77] Francesco Brancato, “Rosario Bagnasco”, in Dizio-nario Biografico degli Italiani - Volume 5 (1963),dell’Enciclopedia Italiana Treccani.

[78] E. Casanova, Il Comitato centrale siciliano diPalermo(1849-1852), in «Rassegna storica delRisorgimento», anno XII, fascicolo II, 1925, pp.310-311.

[79] Alessandro Barbero, “I prigionieri dei Savoia. La vera sto-ria della congiura di Fenestrelle”, Roma-Bari 2012, pp.133-134.

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14 9 FONTI PER TESTO E IMMAGINI; AUTORI; LICENZE

9 Fonti per testo e immagini; autori; licenze

9.1 Testo• Assedio di Messina (1848) Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Assedio_di_Messina_(1848)?oldid=78523167 Contributori: Ary29, Lin-

neus, Eumolpo, AttoRenato, Bramfab, BetaBot, Mitku81, Pracchia-78, Civa61, Bottuzzu, Bbruno, Eugenio Nicola Scarcella, FrescoBot,AttoBot, Ivanomi, Filidan, Shivanarayana, Rinascimento, Botcrux, РобоСтася, Robot NURS, Goletta e Anonimo: 11

9.2 Immagini• File:Capitello_modanatura_mo_01.svg Fonte: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/9/95/Capitello_modanatura_mo_01.

svg Licenza: CC0 Contributori: ? Artista originale: ?• File:Carlo_Filangieri_1852.jpg Fonte: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/2e/Carlo_Filangieri_1852.jpg Li-

cenza: Public domain Contributori: http://www.culturaitalia.it/opencms/opencms/system/modules/com.culturaitalia_stage.liberologico/templates/viewItem.jsp?language=it&case=&id=oai%3Arisorgimento.it%3A167840 Artista originale: scono-sciuto<a href='//www.wikidata.org/wiki/Q4233718' title='wikidata:Q4233718'><img alt='wikidata:Q4233718' src='https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/f/ff/Wikidata-logo.svg/20px-Wikidata-logo.svg.png' width='20' height='11'srcset='https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/f/ff/Wikidata-logo.svg/30px-Wikidata-logo.svg.png 1.5x,https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/f/ff/Wikidata-logo.svg/40px-Wikidata-logo.svg.png 2x' data-file-width='1050'data-file-height='590' /></a>

• File:Fernando_II_de_las_Dos_Sicilias_2.jpg Fonte: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/25/Fernando_II_de_las_Dos_Sicilias_2.jpg Licenza: Public domain Contributori:http://www.ambientece.arti.beniculturali.it/guida_reggia/Xenglish/guida/Main/3123g.htmArtista originale: Giuseppe Bonolis

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• File:Messina_Palazzata_Simone_Gullì3432.jpg Fonte: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/2b/Messina_Palazzata_Simone_Gull%C3%AC3432.jpg Licenza: Public domain Contributori: Accascina Artista originale: ?

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9.3 Licenza dell'opera• Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0