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questo libro è dedicato alla memoria

diANGELO FINETTI

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I BENI CULTURALI NEL MOLISEIl MedioevoAtti del Convegno

(Campobasso – 18-20 novembre 1999)

a curadi

Gianfranco De Benedittis

ISTITUTO REGIONALE PER GLI STUDI STORICIDEL MOLISE «V. CUOCO»

CAMPOBASSO2004

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Curatore dell’editing:Gianfranco De Benedittis

Segreteria organizzativa: Ivana Cima, Silvana Maglione, Amodio Vairano, Fabio Mastropietro.

Referenze fotografiche: tutte le fotografie sono degli autori ad esclusione di quelle relative alle monetedelle necropoli di Vicenne e Morrione realizzate da Vito Epifani e SergioD’Amico della Soprintendenza Archeologica del Molise. I disegni del contribu-to di Helen Patterson sono di Sally Cann.

L’immagine in copertina è presa dal Regesto di Sant’Angelo in Formis, edizione in facsimi-le, Casa M. D’Auria Ed., Napoli 2002. La miniatura rappresenta Ugo I , conte di Molise, nell’atto di donare la chiesa di S.Benedetto in “dalfiana” a Saffo, abate di S. Angelo in Formis.

La riproduzione di questo libro o di parte di esso e la sua diffusione in qualsiasi formasono possibili, ma solo a seguito di concessione da parte dell’Istituto Regionale per gliStudi Storici del Molise “V. Cuoco”, via Mazzini, 154, 86100 CAMPOBASSO.

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PRESENTAZIONE

Probabilmente, quando s'incominciarono a definire gli aspetti organizzatividel Convegno I Beni Culturali nel Molise: Il Medioevo, neanche noi c’eravamo resiconto dell'importanza che esso avrebbe avuto per la ricostruzione del patrimo-nio storico della nostra Regione. Quando si diede il via all'iniziativa, nell'ormailontano 1999, le difficoltà che si dovettero affrontare furono tali e tante per cuinon avemmo certo il tempo di capirne a pieno il valore per la ricerca storica.

Oggi che gli Atti del Convegno sono ormai organicamente trasformati inquesto ponderoso volume, credo appaia a tutti evidente che esso è una pietramiliare per la conoscenza del Medioevo molisano e, qualunque sarà la sorteriservata all'Istituto Regionale per gli Studi Storici del Molise “V. Cuoco”, rap-presenta una delle testimonianze più valide del ruolo del nostro Istituto per lacrescita culturale della nostra Regione.

In questi tempi di omologazione ed appiattimento generalizzato più che maisi ha un bisogno urgente di una conoscenza vera, approfondita del passato perpoter affrontare il futuro; regioni piccole come la nostra ne hanno un urgentebisogno; non c’è progresso per un territorio se non c’è conoscenza del suo pas-sato.

Oggi si sente spesso negli ambienti politici la necessità di recuperare quantopiù è possibile nel settore turistico quell’occupazione, soprattutto giovanile,nelle regioni ad economia più debole, come il Molise; ebbene tutto ciò può avve-nire se si punta sulle peculiarità del territorio dando largo spazio al turismocolto, al turista che vuole altro dalle spiagge di massa; questo però non puòavvenire se non con una scientifica conoscenza di quanto un territorio offre: chicerca conoscenza non cerca favole, ma certezze.

Questo libro non è certo esaustivo; occorrerebbero tanti altri volumi comequesto, ma certo offre a chi s’interessa dei Beni Culturali del Molise un quadroampio sul medioevo della nostra Regione.

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Il Convegno è stato anche l’occasione per verificare l’efficienza organizzativadell’Istituto: nonostante il gravoso impegno ed un personale numericamenteinferiore alle necessità, il risultato che può essere materialmente verificato attra-verso questo libro ne sta a dimostrare non solo l’efficienza e la professionalità,ma anche il grande attaccamento all’Istituto.

Dott. Antonio Di MariaCommissario dell’Istituto Regionale per gli Studi Storici del Molise “V. Cuoco”

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INTRODUZIONE

Questo lavoro, complesso, duro e, ora che ne siamo al termine, gratificante,s'inserisce in un preciso progetto che ha contraddistinto l'attività dell'IstitutoRegionale per gli Studi Storici del Molise “V. Cuoco” sin dalla presidenza delprof. Paone caratterizzata dalla volontà di far emergere le fonti.

Dopo l’esperienza del primo volume di questa collana dedicata al Medioevo,San Vincenzo al Volturno: dal Chronicon alla Storia, ci siamo resi conto che, per capi-re a pieno i grandi poli della storia, come il monastero di San Vincenzo alVolturno, occorre allargare la ricerca alla regione in cui essi ricadono, esami-nando tutti i mutamenti storici che ne hanno plasmato il territorio.

È questo il principio all’origine di questo volume e da questo punto di par-tenza deriva la scelta di realizzare un incontro interdisciplinare anche al fine disuperare quel sottile diaframma, spesso dettato solo da fattori formali, che nonpermette di usufruire a pieno dei contributi che possono derivare dalla cono-scenza dei risultati ricavabili dalle ricerche degli altri settori.

Da qui l'impostazione del nostro convegno che vuole proporsi come tessutodi base, sicuramente non esaustivo, ma formalmente propositivo, caratterizzatoda un dialogo a 360 gradi tra i vari settori disciplinari.

Certamente il peso delle singole discipline può apparire squilibrato: le ricer-che in alcune branche sono maggiori e propongono risultati più avanzati, maquesta è la ricerca. Ciò nonostante, la valutazione della loro consistenza rappre-senta certamente un metro per individuare le linee di programma per le futurericerche.

Comunque sarà giudicato, questo volume rappresenta un primo modello perquanti riterranno positivo il nostro intento di richiamare all'interno delle singo-le discipline saperi e competenze diversificate a partire dagli storici delle fontiscritte.

Gianfranco De Benedittis

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SEZIONE STORICA

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IL MOLISE NELL’ALTO MEDIOEVO

Jean-Marie MartinCNRS - École Française de Rome

La parola “Molise”, che oggi designa la regione costituita dalle due provincedi Campobasso e di Isernia, è, come si sa, di origine normanna: Moulins-la-Marche (arrondissement di Mortagne-au-Perche, departement dell’Orne) è illuogo di origine della famiglia normanna che, nel secolo XI, conquistò la contealongobarda di Bojano e altre contee minori. Il Molise dunque non esisteva inquanto tale nel periodo del quale parliamo. Nell’Antichità, apparteneva allaregione sannitica, che però era più ampia e che costituì una provincia durante laTarda Antichità.

Certo il Molise presenta caratteri fisici specifici: si tratta di una zona di mon-tagna e di colline, con un tratto breve del litorale adriatico intorno a Termoli. Sicontraddistingue bene dalla regione, pure sannitica ma meno accidentata, diBenevento a sud come dall’Abruzzo a nord.

È proprio durante l’alto Medioevo che la regione cominciò ad individuarsi.In primo luogo, l’odierno Molise fu – in condizioni praticamente ignote – con-quistato dai Longobardi beneventani, mentre l’Abruzzo lo era da quelli diSpoleto. Ora i due ducati, autonomi rispetto al re di Pavia e talvolta alleati fraloro nelle loro imprese contro le zone rimaste imperiali, erano tuttavia assaidiversi. Infatti il ducato di Benevento, lontano dal regno vero e proprio alcunecentinaia di chilometri, in realtà era quasi indipendente: solo la persona del ducalo ricollegava con il regno; ma tutto il fisco era ducale e il re non godeva il mini-mo reddito nel territorio del ducato. Tale differenza si accentuò dopo la conqui-sta carolingia, che integrò il ducato di Spoleto (incluso l’Abruzzo) al regno itali-co mentre il duca di Benevento proclamava l’indipendenza del suo ducato, assu-mendo nel 774 il titolo principesco. È da notare in proposito che, nel precetto del5 maggio 964 con il quale Paldolfo I Capodiferro concesse la contea di Isernia alconte Landolfo1, quando si descrivono i confini della contea, nella parte setten-trionale sono segnalate due colonne marmoree erette sul confine ex antiquitus:supponiamo che sono state erette alla fine del secolo VIII o all’inizio del IX pro-prio sul confine fra regno italico e principato beneventano. Certo questo confine

1. IS VI, cc. 393-394.

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non era intangibile: all’inizio del secolo XI, la contea beneventana di Termoli erasottomessa ai conti abruzzesi di Chieti2; all’invece, durante lo stesso secolo,Normanni talvolta insediati nel Molise - quali i conti di Loritello (Rotello) - con-quistarono l’Abruzzo, che tuttavia conservò durante tutta l’età normanna unagrande originalità rispetto alle altre regioni del regno di Sicilia.

La creazione di un secondo confine politico contribuisce a dare un’identità alfuturo Molise. All’inizio del secolo XI, il catepano Basilio Boioannes edifica laserie di città di confine della Capitanata, portando sul fiume Fortore il limite fraprincipato beneventano e catepanato bizantino d’Italia. Infine, con la decentra-lizzazione del potere principesco sin dalla seconda metà del secolo X, le conteeche costituiranno il futuro Molise si emancipano: torneremo sull’argomento.Comunque, non sorpasseremo il periodo della conquista normanna.

Le fonti.

Le fonti per la storia della regione molisana nell’alto Medioevo non sonoabbondanti; in particolare, oltre alla letteratura storica (Paolo Diacono edErchemperto in primo luogo), le serie di documenti d’archivio sono scarse. Laprima è fornita dal Chronicon Vulturnense. S. Vincenzo infatti è l’unico monaste-ro importante che sia sito in territorio molisano; è inoltre la fondazione mona-stica più antica (chiaramente anteriore al ripristino di Montecassino) del ducatobeneventano. Gli studi recenti - e in particolare le ultime campagne di scavidiretti da Richard Hodges e John Mitchell3 - hanno provato l’eccezionale impor-tanza e ricchezza del monastero prima della distruzione dell’881; già si conosce-va, per il periodo successivo, il suo ruolo di promotore dell’incastellamento nellasua terra durante i secoli X e XI4.

A dire il vero, gli studi recenti hanno innanzi tutto evidenziato i limiti delladocumentazione fornita dal Chronicon Vulturnense, e dunque del suo sfrutta-mento. Il cartulario contiene, sopratutto per i secoli VIII e IX, numerosi docu-menti falsi o falsificati; inoltre le trascrizioni fatte dal compilatore sono incom-plete: per esempio, le sottoscrizioni mancano; si aggiunga ancora che l’edizionedi Vincenzo Federici, certo servibile, è però tutt’altro che soddisfacente. Più pro-fondamente, i documenti trascritti nel Chronicon Vulturnense sono poco precisisul patrimonio e la gestione dell’abbazia durante i secoli VIII e IX; quanto ailivelli dei secoli X e XI, che hanno fornito a Mario Del Treppo il primissimoesempio di incastellamento, Chris Wickham ha in seguito dimostrato, alla lucedell’archeologia, come la politica di incastellamento dell’abbazia fosse molto piùsfumata di quanto si poteva credere secondo i documenti del Chronicon.

2.MARTIN J.-M., La Pouille…, p. 77; FELLER L., Les Abruzzes médiévales…, p. 617.3. Cfr. San Vincenzo al Volturno…; DELOGU P.- DE RUBEIS F. - MARAZZI F. - SENNIS A. - WICKHAM CH.,

San Vincenzo al Volturno…; HODGES R. - MITCHELL J., La Basilica…4. DEL TREPPO M., La vita economica …, pp. 31-110; WICKHAM CH., The terra…, pp. 227-258.

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Tuttavia, il cartulario di S. Vincenzo resta una fonte di prim’ordine per la storiadel Molise, come anche per quella dell’Abruzzo.

Una seconda serie documentaria, meno abbondante, ma importante, è forni-ta dall’archivio dell’abbazia di S. Sofia di Benevento. Il suo fondo pergamenaceoè oggi disperso fra il Museo del Sannio di Benevento, l’archivio Aldobrandini diFrascati e la Biblioteca Vaticana. Contiene, per quanto sembra, un certo numerodi documenti molisani anteriori all’età normanna5; ne parlerà Vincenzo Matera.Quanto al cartulario di S. Sofia (generalmente chiamato Chronicon S. Sophiae, inquanto il volume comincia con gli Annales Beneventani), conserva copie di docu-menti riguardanti il Molise dal secolo VIII alla conquista normanna (e dopo);inoltre il compilatore del Chronicon S. Sophiae è molto più affidabile di quelli delChronicon Vulturnense. L’edizione (che ho curato) permette dunque di sfruttarenuovi dati sulla storia molisana dell’alto Medioevo.

La visione che presentano i documenti di S. Sofia è abbastanza diversa daquella fornita dal Chronicon Vulturnense. Infatti S. Sofia, sita proprio nella capita-le del principato, è stata dotata (innanzi tutto dal principe Arechi II) di beni ubi-cati in diverse zone del principato beneventano, fra le quali il futuro Molise.Inoltre, il nuovo temporale che si è costituito nel secolo X era anche sito in partenel Molise.

Infine i cartulari del monastero di Tremiti, i cui possedimenti erano sparsisul litorale adriatico da Chieti al Gargano, hanno conservato documenti riguar-danti la zona litoranea del Molise, ma non prima del secolo XI. Fuori di questicartulari, la raccolta è debolissima; i documenti di S. Cristina di Sepino noncominciano prima del 1143; Isernia ha conservato il precetto principesco giàcitato del 964, nonché un documento del 943 che cita il nome del primo vesco-vo documentato nella città e un altro del 10326. Però, grazie ai cartulari, la situa-zione non è pessima7.

Non abbiamo cercato di sfruttare sistematicamente i documenti del fondo diMontecassino, che ebbe possedimenti nel Molise tanto durante i secoli VIII e IXquanto dopo la sua ricostruzione alla metà del secolo X, e dei quali parla d’altraparte don Faustino Avagliano. Oltre al fatto che i documenti sono numerosi enon sempre accessibili, abbiamo constatato, attraverso sondaggi fatti neiChronica monasterii Casinensis, che tali documenti aggiungerebbero poco a quelche si può desumere dallo studio di quelli di S. Sofia; infatti, il patrimonio “moli-sano” di Montecassino non era molto esteso durante l’alto Medioevo, mentre neisecoli X e XI, l’abbazia si accontentò di ricevere donazioni e offerte nella regio-ne, senza prendere una parte attiva alle novità del tempo (salvo eccezioni), comeinvece lo fece nella sua terra.

5. Cfr. l’Appendice in P.S.C.S., pp. 305-354.6. IP VIII, p. 242. IS VI, c. 394-395 (1032). Sugli archivi molisani, cfr. per ultimo Sepino, pp. 3-4 e, in

questo volume, il contributo di B. Figliuolo.7. Sulla documentazione meridionale durante l’alto Medioevo, cfr. i Regesti dei documenti dell’Italia

meridionale (570-899) ...

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Fino al secolo IX.

L’odierno territorio molisano comprendeva, nell’Antichità, un certo numerodi città e di altri insediamenti maggiori, anche se nessuno può vantare un’im-portanza di primo ordine: Venafro, Isernia, Trivento, Bojano, Saepinum, Larino,Samnium. Alla fine dell’Antichità erano insediati un certo numero di vescovi:Venafro fu sede vescovile dal 496 al 5958, Isernia molto probabilmente ospitòvescovi paleocristiani9; Larino è documentata come città vescovile dalla fine delsecolo V alla seconda metà del VI10; vescovi di Bojano e di Saepinum erano pre-senti ai concili romani del 501 e del 502; a quest’ultimo partecipava anche Marcodi Samnium11.

Come tutta l’Italia, e in particolare il Meridione, il territorio molisano subiscela gravissima crisi dei secoli VI e VII. Si tratta, al nostro parere, di una crisiinnanzi tutto demografica, portata dalla peste del secolo VI, ma resa più gravedall’invasione longobarda, che contribuisce a distruggere l’amministrazioneantica, e dunque a indebolire le città, che, nel Mezzogiorno, sono generalmentepoco importanti. Però è sopratutto nelle zone di pianura, per ragioni ecologiche,che le città scompaiono definitivamente; nel territorio molisano, la maggiorparte degli insediamenti maggiori sopravvivono.

Certo è scomparso il sito – sconosciuto, per quanto io sappia – di Samnium;ma la situazione di Saepinum è molto più sfumata: sembra che la città fosse anco-ra in vita nella seconda metà del secolo VII, quando il duca di BeneventoRomualdo I stanziò i Bulgari del duca Alzeco a Saepinum, Bojano e Isernia; a loroè ipoteticamente attribuita la necropoli di Vicenne, nel territorio diCampochiaro, nella quale sono stati trovati cavalieri sepolti con i cavalli. CertoSaepinum perdette la sua importanza: dipendeva dal gastaldato di Bojano; tutta-via non fu completamente abbandonata, in quanto nel 1089 è documentata perla prima volta la chiesa di S. Maria di Saepinum, offerta a S. Sofia di Beneventoprima del 110112. Così si può spiegare come gli avanzi della città antica, che finoad oggi ospitano il piccolo insediamento rurale di Altilia, sono abbastanza beneconservati.

Le altre città restarono in vita, ma persero, oltre all’amministrazione munici-pale antica, anche i vescovi: nessuno è più documentato nella regione prima delsecolo X. Il registro di Gregorio Magno fornisce qualche precisazione in propo-sito: la Chiesa venafrana, due chierici della quale vendevano degli arredi sacrigià prima dell’agosto 591, quattro anni più tardi non esisteva più13; ma sulle altresedi non sappiamo nulla. Inoltre nel luglio o agosto 592, l’ex iudex Samnii

8. IP VIII, p. 238 sq.9. Ibid., p. 242 sq.10. IP IX, pp. 173-176.11. Ibid., pp. 199-200. Sepino, p. 9 e 11.12. P.S.C.S., pp. 12-16.13. Gregorii Magni Registrum epistolarum…, I, 66 (agosto 591) e VI, 11 (settembre 595).

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Sisinnius vive in Sicilia senza risorse: è probabile che l’antica provincia sia scom-parsa14.

Si aggiunga che la crisi del secolo VI pose anche fine a un’attività specificadella regione, ben documentata dalla famosa iscrizione di Saepinum: la grandetransumanza fra Abruzzo e Puglia, che non riprese prima della fine del secoloXIII15. Infine la crisi fu abbastanza profonda da sopprimere anche la documen-tazione: dal pontificato di Gregorio Magno alla fondazione di S. Vincenzo alVolturno, durante un secolo, non abbiamo la minima traccia documentaria dellavita nella regione (le rarissime notizie scritte sul secolo VII sono fornite da PaoloDiacono).

Secondo la tradizione, nel 703 Paldone, Tatone e Tasone, tre Beneventani chesi erano monacati a Farfa, fondarono il monastero di S. Vincenzo presso le fontidel Volturno, circa quindici anni prima del ripristino di Montecassino ad operadi Petronace di Brescia.

L’importanza rapidamente acquisita dal nuovo monastero (che reintroduce-va dalla regione romana nel Mezzogiorno il monachesimo benedettino) puòessere valutata da una parte tramite i documenti dei secoli VIII e IX copiati nelsecolo XII nel Chronicon Vulturnense; dall’altra i recenti scavi italo-britannicihanno fra l’altro scoperto la grandissima basilica edificata nel secolo IX. Anchese limitato al monastero e ai necessari servizi, il nuovo insediamento delle fontidel Volturno era ormai un centro di ricchezza, di potere, di organizzazione delterritorio.

Però le notizie fornite dal Chronicon Vulturnense per questo primo e bril-lante periodo della vita dell’abbazia non sono precisissime. In primo luogo icompilatori del Chronicon (come, allo stesso momento, Pietro Diacono aMontecassino) hanno rimaneggiato, addirittura inventato documenti deisecoli VIII e IX, in particolare con lo scopo di fare risalire al periodo dellafondazione del monastero la creazione sistematica di una signoria compatta,in realtà non anteriore alla rifondazione del monastero nel secolo X. Così, adesempio, il più antico precetto ducale del Chronicon, quello di Gisulfo I (689-706)16, che stabiliva il primo nucleo dei possessi dell’abbazia, è stato rima-neggiato.

Inoltre la descrizione dei possedimenti di S. Vincenzo, il più spesso siti nell’o-dierna provincia di Isernia o nella regione campana vicina, è tutt’altro che precisaper una ragione fondamentale: l’organizzazione del paesaggio, l’occupazione delsuolo non lo sono; la popolazione, poco importante, non sembra veramente fissa-ta. I documenti citano territori limitati da fiumi17, la chiesa di S. Maria sul fiume

14. Ibid., II, 50.15. Sulla transumanza antica, cfr. in particolare CORBIER M., Fiscus and patrimonium …, pp. 126-

131. EAD., La transhumance…, pp. 149-176. Sull’assenza della grande transumanza durante l’altoMedioevo: MARTIN J.-M., La Pouille…, pp. 378-381.

16. CV n. 9.17. CV n. 50 (807).

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Sesto con case in muratura, un’altra chiesa di S. Maria anch’essa fiancheggiata daedifici in muratura in località Maczano nel territorio di Venafro18, una curtis nellastessa località e un mulino sul fiume Sesto19, casalia vicino ad Alife e Telese20, lachiesa di S. Maria Oliveto21, la chiesa di S. Maria in località Campiniano nel territo-rio di Venafro22. Fuori dei punti fissi (case a fianco di una chiesa per esempio), siintravede tutta una popolazione di servi e ancille, o ancora di condome (capofami-glia dipendenti che occupano una casa massaricia23), probabilmente sparsi sullestesse terre massaricie che coltivano. Quanto al paesaggio agrario, oltre a terre evigne, è citato un castagneto24 in Patenaria (presso Vairano Patenora, comune, prov.Caserta).

Le terre valorizzate o in corso di valorizzazione, probabilmente già numero-se nelle zone di colline o nei dintorni delle città antiche sopravvissute (Venafro),sono sostituite da terreni incolti nelle zone più alte: è emblematica la presenzadi una Silva Nigra in un sito non precisato25, come di tre vualdora (gualdi) nellazona di Vairano Patenora26.

Le notizie fornite dal Chronicon S. Sophiae non sono molto diverse, anche se,imperniate sulla regione, più orientale, del futuro confine apulo-molisano, descri-vono un paesaggio ancora meno umanizzato. Ma sono del tutto affidabili: il com-pilatore del cartulario di S. Sofia era uno studioso tanto bravo quanto scrupoloso.

La più antica descrizione “molisana” che troviamo nel Chronicon S. Sophiaerisale al 72427, in un precetto del duca Romualdo II che conferma a S. Sofia inPonticello (sita vicino a Benevento, presso il piccolo ponte con il quale la viaTrajana valicava l’odierno rio San Nicola) un territorio sito in località Salito, con-finante con il fiume Sangro e limitato da confini naturali; nessun insediamentoumano è citato; in seguito, questo territorio non è più confermato alla chiesa.

Nel 74228 il duca Godescalco risiede in località Valneo, in waldo Noceto.Supponiamo che il toponimo designi lo stesso territorio che ritroviamo, qualifi-cato gaio Noceto, nel 77429; supponiamo ancora che questo territorio fosse vicinoal Saccione e alla zona di Termoli, oggetto del processo celebrato dal ducadurante il suo soggiorno. Si noti in primo luogo che, nel 742, il gualdo nel qualerisiede il duca è, chiaramente, una zona non coltivata, probabilmente boschiva efungendo da riserva di caccia; se è veramente diventato gaio nel 774, ciò signifi-ca che la sua valorizzazione agricola o pastorale era allora iniziata; infatti la

18. CV n. 35 (815).19. CV n. 37 (817).20. CV n. 38 (ca. 800).21. CV n. 58 (833).22. CV n. 59 (836).23. MARTIN J. M., La Pouille…, pp. 206-209.24. CV n. 69 (766).25. CV n. 36 (815).26. CV n. 38 (ca. 800).27. CSS II, 1.28. CSS III, 30.29. CSS I, 1, [5].

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parola gaio (non correttamente letta nell’edizione ughelliana), che ha la stessa eti-mologia che la parola “cafaggio” adoperata più a nord, e che compare a piùriprese nel Chronicon S. Sophiae, designa un territorio complessivamente incolto,ma che ospita alcune radure di dissodamento30: infatti una chiesa di S. Magno sitrova nel gaio Noceto.

Ma torniamo al processo del 742. Il documento è la notizia del giudizio duca-le in una causa che opponeva Deusdedit, abate di un monastero (forse beneven-tano) di S. Giovanni, e tre gruppi di pastori che pretendevano che un taleWadulfus e il duca Romualdo [II] avessero dato loro due casalia siti in Sapione(vicino al fiume Saccione), Monumentum e Perno (quest’ultimo ubicato a est delfiume): tale zona marittima di basse colline era ancora appena valorizzata dallapastorizia. La zona adriatica del futuro Molise era ancora largamente incolta nelsecolo IX: un documento dell’83331 cita un gualdo in Apulea ad AnglonemMaiorem, fiancheggiato da un altro gualdo (di proprietà della cattedrale diLucera) e dal fiume Fortore; qual che fosse la sua precisa ubicazione, era moltovicino all’odierno Molise. Nell’83932 il principe Radelchi I, forse ricordandosi chelui stesso è stato tesoriere del suo predecessore prima di usurpare il titolo prin-cipesco, concede al suo proprio tesoriere, Toto f. Sindelperti, un gualdo in Canali,che pertinet de actu Silva Nigra, nonché un gualdo in Sappione (vicino al fiumeSaccione), fiancheggiato dal gualdo della chiesa S. Martini in Prata (forse SanMartino in Pensilis ?); aggiunge alla concessione dei servi de actu Silva Nigra;l’anno successivo, il principe concede allo stesso tesoriere un altro gualdo sitonel territorio di Larino33; il documento precisa che l’actus Larinensis fa parte delgastaldato di Quintusdecimus, cioè di Frigento (prov. Avellino).

Tuttavia i gualdi, incolti, non coprono tutto il territorio del Molise adriatico.Abbiamo già citato il gaio Noceto; inoltre nei documenti con i quali Arechi II costitui-sce la dotazione di S. Sofia, nel 774, sono citati altri terreni parzialmente valorizzati,anch’essi qualificati gaio. Tale è il caso del gaio Casa Polluci, vicino al Fortore, che ospi-ta una chiesa di S. Giovanni con vigne34, o ancora il gaio Biferno35: in quest’ultimo ilprincipe offre a S. Sofia la chiesa di S. Angelo in Altissimo (che identifichiamo con ilsito della Morgia San Michele, a 2 km ad ovest di Castellino del Biferno, prov.Campobasso), nonché un territorio lungo due miglia e largo uno (circa 650 ettari) ealcuni condome dello stesso gastaldato. Ancora nel gastaldatus Bifernensis36 il principeconcede all’abbazia beneventana due cortisani con le loro famiglie e una loro sorella,nonché due famiglie si servi vaccari; a Larino, offre ancora cinque case di allevatori dicavalli (case de caballariis) con cavalli e stalloni. Chiaramente il primissimo sviluppomedievale di questa regione orientale del Molise è innanzi tutto basato sulla pastori-

30. Cfr.MARTIN J. M., La Pouille…, pp. 196-199.31. CSS III, 32.32. CSS III, 35.33. CSS III, 36.34. CSS I, 1, [6].35. CSS I, 1, [7].36. CSS I, 1, [26].

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zia, anche se i pastori devono coltivare la terra per nutrirsi. Intorno all’830, l’abate diMontecassino Deusdedit comprò una curtis sita sul Biferno, vicino a Termoli, con terre,vigne, prati, e infine terreni di pascolo che sembrano importanti37.

Infine Arechi II concede a S. Sofia una curtis sita in Campo Senarcunis, che hacomprato da un tale Rotari f. Lunessuni, e tre miglia quadrate (quasi 10 km2) delsuo gaio probabilmente vicino. Ora il sito preciso di Campo Senarcunis ci è indi-cato da un documento falsificato dei secoli XI-XII, sul quale torneremo38: si trat-ta del vallone Camposarcone, a 2 o 3 km a ovest-sud-ovest di San Giovanni inGaldo, molto vicino a Campobasso. In questa zona collinare più occidentale,può darsi che la curtis sia dedicata all’agricoltura, come quelle di S. Vincenzo neidintorni di Isernia e di Venafro. Si aggiunga un ultimo documento interessanteriguardante il Molise nella seconda metà del secolo IX39: nel maggio 878, in unprecetto vergato a Trivento40, il principe Adelchi concede a S. Sofia tutte le tassee i servizi (datio, angaria, laboratio, hoste) che, per mala consuetudo, corrispondeva-no ai gastaldi e agli iudices i servi di S. Sofia “ex finibus Campu Bassi et ex fini-bus Bifernense”. L’argomento è semplice: i servi non devono nessuna tassa néservizio alla res publica. Quanto alle circoscrizioni citate, una è già conosciuta: ilfiume Biferno dà il suo nome a un gaio e a un gastaldato già nel secolo VIII. Piùstrana è la menzione dei fines Campu Bassi; non pensiamo che il castrum diCampobasso, citato nelle pergamene di S. Cristina di Sepino sin dal 121641, giàesistesse nel secolo IX; però il toponimo è già adoperato, molto probabilmenteper designare la zona dove più tardi si ergerà la futura capitale della regione;questa zona dunque era già popolata.

I documenti del Chronicon Vulturnense e del Chronicon S. Sophiae permettonodi farsi del territorio del futuro Molise una idea certo non precisa, ma coerente.Ovviamente le zone di montagna vera e propria restano incolte; invece le zonecollinari, particolarmente importanti nella regione, cominciano a svilupparsisopratutto nella parte occidentale che inoltre ha conservato le cittadine diVenafro e Isernia, un poco meno nella parte centrale, intorno a Bojano eSaepinum; le regioni del Biferno, di Larino e della costiera adriatica, dove pochicontadini si dedicano alla pastorizia in un ambiente boschivo, sembrano piùarretrate.

Quanto all’organizzazione amministrativa, probabilmente non ancora fissa, èpoco documentata. Gastaldi risiedono a Bojano e forse a Isernia42; esiste anche

37. CMC II, 6, pp. 180-181.38. CSS V, 13.39. Non pensiamo che la chiesa di S. Lorenzo “loco qui dicitur Treventus” (CSS I, 1, [49]) sia da

assegnare alla città di Trivento.40. CSS I, 36.41. P.S.C.S., n. 20.42. DEL TREPPO M., La vita economica …, p. 38; POUPARDIN R., Stude sur les institutions ... pp. 34-39

non cita il gastaldato di Isernia; conosce invece quelli del Biferno e di Bojano. Basandosi sul docu-mento citato sopra n. 38, stima, a torto al nostro parere, che le fines Campu Bassi costituiscono ungastaldato; infine il gastaldato di Larino non è altro che quello di Laino in Calabria.

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un gastaldato del Biferno, uno dei rari che non abbiano il nome di una città capo-luogo, senz’altro perché tale città non esisteva. Abbiamo ancora accennato a cir-coscrizioni minori, quali le fines Campu Bassi, l’actus Silva Nigra, l’actus Radano, oancora l’actus Larinensis che dipende dal gastaldato di Quintusdecimus-Frigento.Sappiamo inoltre che il gaio probabilmente vicino a Campo Senarcunis era sitonella subactio del marepais Faroaldus. Infine abbiamo visto che, nel febbraio 742, ilduca Godescalco risiedeva nel gualdo Noceto, probabilmente vicino al litoraleadriatico.

I secoli X e XI.

Come nel resto dell’Italia centro-meridionale, il secolo X costituisce un perio-do di novità se non di rottura. È proprio a proposito dei documenti del ChroniconVulturnense, in maggior parte molisani, che nel 1955 Mario Del Treppo notò perla prima volta l’importanza dei contratti livellari tramite i quali, durante i seco-li X e XI, S. Vincenzo fece edificare castelli, villaggi fortificati, ponendo fine all’e-conomia curtense e creando, nell’ambito della signoria, il nuovo paesaggio rura-le che doveva durare fino al nostro secolo. D’altra parte, quasi un mezzo secoloprima, De Francesco aveva studiato la progressiva nascita delle contee autono-me del Molise fra la metà del secolo X e il primo quarto dell’XI43. Che i due feno-meni siano collegati fra loro è ormai ammesso da tutti, in particolare sin dallapubblicazione del libro di Pierre Toubert sul Lazio e dello studio che ha dedica-to a Montecassino44.

Certo la crisi dei secoli IX-X non è semplice. Il fatto basilare è il prosegui-mento della crescita demografica, già iniziata sin dal secolo VIII probabilmente,ma che si accelera: si tratta dunque in primo luogo di una crisi di crescita. Peròsi deve inoltre tener conto della disorganizzazione portata dalle guerre civili edalla presenza musulmana in Italia meridionale durante la seconda metà delsecolo IX. La sua importanza, a dir il vero, è per noi doppia. Fondamentalmenteha suscitato l’emergenza del nuovo ordine signorile, che permise ai signori didiventare autonomi e di rimaneggiare territori ristretti, in particolare tramitel’incastellamento, che mirava nello stesso tempo a restaurare il controllo e l’or-dine pubblico, e a organizzare il territorio per facilitare la crescita economica.Ma alla fine del secolo IX gli unici signori locali che siano stati in grado di mani-festare la propria autonomia furono i conti di Capua45, che finalmente nel 900presero il potere a Benevento, mantenendo una certa unità nel principato duran-te pochi decenni.

43. Cfr. DE FRANCESCO A., Origini e sviluppo del feudalesimo …34, 1909, pp. 432-460 e 640-671; 35,1910, pp. 70-98 e 273-307.

44. TOUBERT P., Les structures du Latium médiéval…; ID., Pour une histoire de l’environnement …, pp.689-702.

45. CILENTO N., Le origini…

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D’altra parte, le scorrerie musulmane ebbero un’incidenza diretta sulla vitadei grandi monasteri, distruggendo S. Vincenzo al Volturno nell’881 eMontecassino nell’883. La loro azione, in quanto signori, fu dunque ritardata. Lostesso vale, indirettamente, per S. Sofia, che nei secoli VIII e IX era sottomessa aMontecassino; perse quasi tutti i possedimenti che costituivano la sua primitivadotazione; inoltre, poco prima della metà del secolo X, si trasformò, diventandoun’abbazia maschile (mentre prima era femminile) e dichiarandosi - con l’ap-poggio dei principi - indipendente rispetto a Montecassino. S. Vincenzo, comeMontecassino, si decise ad abbandonare i possedimenti periferici (in particolarein Puglia46) per concentrarsi su una signoria compatta, la terra S. Vincentii.Montecassino allora abbandonò alcuni suoi beni molisani: verso il 940, lasciò deipossedimenti della regione di Termoli, tra i fiumi Biferno e Sinarca, con la villade Guilliolisi (Guglionesi), dove nel secolo XI si ergerà un castello47. Per S. Sofia ilproblema era diverso: l’abbazia, sita proprio nella capitale principesca, chiara-mente non poteva vendicare una signoria compatta; ma ricevette offerte fatte dasignori, in particolare nel Molise, creandosi una nuova fortuna fondiaria. Certonon poté prendere parte all’incastellamento, ma ne approfittò.

Le sole notizie (o quasi) che abbiamo sull’incastellamento provengono dagliarchivi e dai cartulari monastici (innanzitutto il Chronicon Vulturnense, ma ancheil cartulario e il fondo pergamenaceo di S. Sofia e i cartulari del monastero delleisole Tremiti), perché solo i monasteri hanno compilato cartulari e talvolta con-servato archivi. Ma non sono gli unici, nemmeno i principali promotori, perchénon sono i soli signori.

Certo le cattedrali sono tutte scomparse nella crisi altomedievale: dal seco-lo VII al X o all’XI, si deve supporre che tutto il territorio molisano fosse sottola giurisdizione diretta del vescovo di Benevento o, nella parte occidentale, diquello di Capua, città che contano fra le pochissime sedi che non scomparve-ro (se non per qualche decennio fra la fine del secolo VI e l’inizio del VII).Donde l’importanza, nel ducato poi principato di Benevento, di un“Eigenkirchenrecht” del tutto specifico, che lasciava ai vescovi il governo dirare chiese48. Si conosce il processo celebrato nel marzo 839 dal principeSicardo a proposito della chiesa di S. Felice di Luogosano (prov. Avellino), chefu attribuita al monastero di S. Maria di Luogosano (sottoposto a S. Vincenzo),a dispetto delle pretese del vescovo di Benevento, che la rivendicava perché sitrattava di una chiesa battesimale49. A Isernia, nel 1004, lo stesso papa GiovanniXVIII riconobbe al conte Landinolfus f. Landolfi Greci, che aveva ripristinato unachiesa di S. Maria sita a fianco del battistero di S. Giovanni, e ai suoi eredi “utdominium et potestatem exerceant ad regendum servitores ipsius ecclesie”,

46. MARTIN J. M., La Pouille…, pp. 295-298.47. CMC I, 56, p. 143.48. FEINE H. E., Studien zum langobardisch-italischen…, pp. 1-105; MARTIN J. M., La Pouille…, pp. 235-

242 e 630-638.49. CV n. 61.

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riservando al vescovo un semplice diritto di correzione sui chierici50.Nel secolo X, prima che Capua diventasse metropoli nel 966 e Benevento nel

969, il vescovo di Benevento si opponeva alla divisione della sua immensa dio-cesi; nel 946-947, papa Agapito II consacrò un vescovo a Trivento e un altro aTermoli, ma fu costretto a scomunicarli di fronte alle proteste del vescovo bene-ventano51; nel 952 i principi Landolfo II e Paldolfo I denunciavano un pseudoepi-scopus di Larino52. A Isernia, un vescovo è citato nel 943 e nel 964 (è allora colle-gato con il conte locale), ma la sede di nuovo scompare fino al 103253. Perciò lenuove sedi (Isernia e Venafro nella provincia ecclesiastica di Capua, Trevico,Larino, Termoli, Guardialfiera, Limosano, Trivento, Bojano in quella diBenevento) non compaiono prima dell’inizio del secolo XI54. Chiaramente le cat-tedrali non hanno preso la minima parte alle novità economiche del secolo X.

Invece i poteri politici laici si emancipano durante i secoli X e XI, e sono pro-babilmente i principali promotori di queste novità. Lo studio classico di A. DeFrancesco ritiene la prima menzione di ogni contea: Venafro nel 954, Isernia nel964, Larino nel 976, Trivento nel 992, Bojano nel 1003, Campomarino nel 1010,Termoli nel 1022, la terra Burrellensium prima del 1050. Si noti che, complessiva-mente, l’emergenza dei nuovi centri di potere si fa da ovest verso est, cioè sen-z’altro dalle regioni più sviluppate verso quelle più arretrate, come l’abbiamointravisto nel periodo precedente. Si capisce meglio così il rapporto dialettico frapopolamento - e dunque, a quest’epoca, incastellamento - e autonomia dellesignorie comitali (ma anche monastiche).

L’autonomia delle nuove signorie è un fatto massiccio e incontrollabile.Tuttavia, sin dal regno di Paldolfo I Capodiferro (961-981), i principi talvoltariconoscono ufficialmente i nuovi poteri signorili55. Per esempio, nel 967,Paldolfo Capodiferro concede a S. Vincenzo al Volturno lo ius munitionis, il dirit-to (normalmente pubblico) di edificare fortificazioni56.

Abbiamo ancora conservato due precetti principeschi a favore del conte diIsernia e di quello di Trivento. Il 5 maggio 96457, Paldolfo Capodiferro concede-va a suo cugino il conte Landolfo figlio di Landenolfo tutta la città di Isernia e icastella, vici ecc. siti nel suo territorio; la richiesta era stata presentata al principedal vescovo Arderico, chiaramente collegato con il conte. Si deve innanzituttonotare che il formulario adoperato è quello della concessione di beni in pienaproprietà, in favore del conte e di tutti i suoi eredi; l’assenza, in particolare, diistituzioni feudali non permette di subordinare il godimento dei diritti comitalial compimento di certi servizi.

50. Regii Neapolitani Archivi Monumenta…, n. 272 (IP VIII, p. 244, n. 1).51. IP IX, p. 188, n. 1.52. Ibid., p. 174.53. IP VIII, p. 242 sq.54. Cfr. IP VIII, p. 238 sq e 242 sq; IP IX, p. 140, 173-176, 187 sq, 191, 192, 193 sq, 197, 199 sq.55. MARTIN J.-M., Éléments…, pp. 553-586: pp. 573-581.56. CV n. 124.57. IS VI, c. 393.

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L’11 agosto 99258 i principi di Benevento Paldolfo II e Landolfo V concesseroal conte Randoisius figlio del conte Berardo la città di Trivento (che egli già ammi-nistrava) con i tre castelli di Anglone, Caccavone e Cantalupo (Agnone, PoggioSannita e un castello che occupava il sito della masseria Cantelupo a sud diBelmonte del Sannio, nella provincia di Isernia) e un territorio fra Trigno eSangro. Il formulario è dello stesso tipo.

Ora, tornando all’incastellamento, possiamo affermare che i conti hannosvolto in proposito un ruolo non meno importante di quello dei monasteri.Sembra, in particolare, che i primi castelli edificati, negli anni 930-940, abbianoavuto promotori laici59. Secondo l’ipotesi di Mario Del Treppo, fu probabilmen-te Paldolfo Capodiferro ad aver spinto i monasteri - e in particolare S. Vincenzo- ad assumere un ruolo attivo in proposito, anche se già avevano cominciato afarlo. Più precisamente, ricollegheremmo volentieri la riconoscenza dell’autono-mia della contea di Isernia nel 964 e la concessione dello ius munitionis a S.Vincenzo nel 967; del resto, in un placito del 981, Ottone II diede ragione almonastero a proposito di castelli contestati fra lui e il conte60.

Il Chronicon Vulturnense attribuisce all’abate Paolo (957-981) la costruzione deiprimi sei castelli del monastero; il movimento prosegue fino alla metà del seco-lo XI per riprendere brevemente al momento della conquista normanna. Lacostruzione di un insediamento generalmente si prepara tramite la conclusionedi un contratto livellario con un gruppo di uomini; nei documenti più antichi,talvolta la scelta del luogo preciso è lasciata ai coloni61; ma capita anche che lafortificazione sia già pronta al momento della conclusione del livello62. I conces-sionari si presentano in gruppi già formati, comprendendo spesso fratelli63

La prospezione archeologica ha permesso di sfumare l’immagine tropposistematica dell’incastellamento fornita dal Chronicon Vulturnense64, e in partico-lare di fare la distinzione fra raggruppamento dei contadini e fortificazione. Lacreazione di insediamenti fortificati in realtà si limitò alla zona più vicina almonastero, dove sorsero Fornelli, Licenosum (più a nord), Castel San Vincenzo,Cerro al Volturno, Scapoli (prov. Isernia); nella parte orientale e meridionaledella terra S. Vincentii, l’incastellamento non fu sistematico; in particolare nonsembra che il monastero abbia ideato una politica di difesa di fronte ai conti diVenafro. Inoltre l’incastellamento può farsi in due tempi diversi: la fondazionedell’insediamento di Santa Maria Oliveto, a nord-est di Venafro, è l’oggetto delpiù antico livello collettivo copiato nel Chronicon, nel 93965; ma diventa castellonon prima della seconda metà del secolo XI. Chiaramente tali considerazioni

58. CSS III, 38.59. Cfr. MARTIN J.-M., Modalités…, p. 90. Cfr. pure CV n. 88 (936), 92 (945).60. CV n. 151.61. CV 109, 110 (972), 167 (989).62. CV 164 (988).63. Ad esempio CV n. 164 (988).64. WICKHAM C., The terra ...65. CV n. 87.

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non diminuiscono l’importanza del fenomeno.S. Sofia di Benevento, come si è detto, non fu promotore di castelli, e il suo

cartulario è meno interessante del Chronicon Vulturnense in proposito. Ma l’ab-bazia sfruttò la situazione nuova facendosi offrire castelli da signori laici, in par-ticolare nel Molise. Il precetto di Corrado II del 26 maggio 103866 confermava aS. Sofia, oltre a chiese e territori, la metà dei castella Sipinum, Sasannorum, deRederi, molto probabilmente concessile dai conti di Bojano, nonché il castellumSerra (Serracapriola, prov. Foggia ?) e un terzo di Civitas da Mare sull’Adriatico(in provincia di Foggia, a ovest della foce del Fortore); ma tali possedimenti, chenon furono più confermati in seguito, probabilmente furono usurpati al momen-to della conquista normanna. I tre primi, comunque, sono l’odierno Sepino(prov. Campobasso), Sassinoro (prov. Benevento) e un insediamento scomparsoche ubichiamo a circa 6 km a nord-nord-ovest di Sepino, in contrada BoscoRedole67; questa notizia ci fa sapere che, nella prima metà del secolo XI, i castel-li, molto probabilmente di fondazione comitale, erano già numerosi nella valledel Tammaro.

In età normanna, S. Sofia ricevette nuovi possedimenti in questa zona, in par-ticolare Castellum Vetus (o Castrum Betere, o Castello Vecclo), un nuovo castelloinsediato sul sito della Saipins sannitica (donde il nome); tale rioccupazione nelMedioevo di un sito inerpicato protostorico, abbandonato in età romana, è unfatto abbastanza frequente68. All’inizio del secolo XII compare anche il castello diRivogualdo (in località Redealto), vicino a Sepino69. Ancora nel Molise, S. Sofiaricevette il castello di Toro (prov. Campobasso); ma il documento del ChroniconS. Sophiae che attribuisce l’offerta a Robertus de Principatu f. qd. Tristayni e la dataal 109270 è una falsificazione: in realtà l’offerta non è anteriore al 112471 e la primaconferma pontificia non risale oltre il 113172. Lo stesso privilegio pontificio con-ferma anche all’abbazia beneventana il castello di Cantalupo nel Sannio (prov.Isernia).

Inoltre S. Sofia possedeva nel territorio molisano chiese, isolate o meno, checonosciamo tramite i precetti imperiali e i privilegi pontifici di conferma gene-rale. Diamone un rapido elenco: la chiesa di S. Stefano di Campomarino nel98173; la chiesa di S. Angelo in Altissimo, già citata nel secolo VIII, e che ricompa-re nel 99974; un territorio di circa 9 km2 in Campo Senarcuni, le chiese della SS.Trinità sul Biferno, di S. Martino di Limosano e di S. Giovanni in monte Tabenna

66. CSS IV, 5.67. P.S.C.S., p. 20.68. Ibid., p. 17-19.69. Ibid., p. 20; vedi CSS VI, 20.70. CSS V, 13. 71. Vedi Benevento, Museo del Sannio, Fondo di S. Sofia, XII, 41.72. CSS V, 11.73. CSS IV, 2.74. CSS IV, 3.

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(Tavenna, prov. Campobasso) nel 102275; le chiese di S. Paolo di Campomarino,di S. Giovanni ad Spuriasino (probabilmente a sud-est di Pietrabbondante, prov.Isernia) e di S. Agnello di Pietra Fenda (a 2 km a sud-est di Trivento) nel 103876;le chiese di S. Croce in valle Luparia (Lupara, prov. Campobasso ?), S. Lorenzo diTrivento, S. Martino di Rederi, S. Maria di Gildone, S. Maria di Saepinum con cin-que chiese dipendenti (S. Maria, S. Giacomo, S. Adiutore, S. Silvestro, S. Giorgio)nel 110077; S. Angelo di Cercepiccola nel 113178. Le pergamene di S. Sofia, dellapubblicazione delle quali sono stato incaricato dal Centro Internazionale diStudi Normanni di Ariano Irpino, possono ancora fornire notizie non trascura-bili sul Molise dal secolo XI in poi: abbiamo già, con Errico Cuozzo, pubblicatoalcuni documenti riguardanti Sepino in appendice alla nostra edizione delle per-gamene di S. Cristina; il fondo di S. Sofia conserva anche, fra l’altro, documentidi S. Agnello di Pietra Fenda dal 1069 al 110679.

Nel secolo XI, una nuova fonte illumina la storia del litorale adriatico delMolise: i cartulari del monastero di S. Maria di Tremiti, pubblicati da ArmandoPetrucci. I possedimenti di quest’abbazia insulare si estendevano lungo il mare,dall’Abruzzo meridionale al Gargano, e dunque in particolare sulla fascia costie-ra del Molise. Il monastero non partecipò direttamente all’incastellamento, maricevette ampi possedimenti offerti dai conti di Termoli, di Campomarino e diLarino nonché da signori minori e da persone private. Si tratta spesso di chiese80.Nel 1016 il conte di Campomarino offre un terreno sul Saccione per edificare unmonastero81. Alcune chiese sono offerte con terreni: nel 1032 il conte di TermoliAttone dona a Tremiti una chiesa sita sul fiume Biferno con 152 modiola di terrae 110 altri in un altro posto, cioè, complessivamente, circa 74 ettari82; nel 1048 ilconte di Larino Tasselgardo offre una chiesa con un terreno di 50 modia (15 etta-ri)83. Nel 1038 il conte di Termoli Trasmundo fa uno scambio di chiese e di terrecon l’abbazia84.

Ma, sin dagli anni 1040 il monastero riceve anche castelli: Tora nella contea diCampomarino nel 104485, Vena de Causa nella contea di Larino, sul Fortore, nel104986, Vetrana o Veterana fra i fiumi Biferno e Sinarca nel 105187, la sesta parte di

75. CSS IV, 4.76. CSS IV, 5.77. CSS V, 5.78. CSS V, 11.79. Cod. Vat. Lat. 13491, 60 e 62-69; Benevento, Museo del Sannio, Fondo di S. Sofia, XII, 25. Frascati,

archivio Aldobrandini, Documenti Stor. Abbadie, I, 31.80. Tremiti 2 (1010), 10 (1024), 11 (1026), 19 (1037), 30 (1042), 36 (1045), 39 (1049), 45 (1052), 55 (1054-

1056), 69 (1060) e 71 (1059-1062), 72 (1060-1062), 74 (1063-1064).81. Tremiti 5.82. Tremiti 13.83. Tremiti 38.84. Tremiti 22.85. Tremiti 33.86. Tremiti 41.87. Tremiti 43.

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Guglionesi anche nel 105188, Campo de Abbatissa (a nord di Guglionesi) nel 105289,la metà di Guglionesi nel 105990, Monte Gulfari nella contea di Termoli anche nel105991. La civitas di Chieuti e il castellare di Petraficta, offerti nel 1057 dai conti diCampomarino92, non compaiono nelle conferme imperiali e pontificie.

Sappiamo inoltre che, nella stessa zona, Montecassino rivendicava ampi pos-sedimenti, fra i quali i castelli di Petra Fracida (Pietra Fracida, sul fiume Trigno,a nord-ovest di Montenero di Bisaccia), Ripamala, Fara, Ripa Ursa, Mons Bellus(Torre Montebello sulla sponda destra del Trigno, vicino alla foce) e Pescloli; frai castelli, quello di Ripa Ursa sarebbe stato fatto edificare da Montecassino93.Questi possedimenti, usurpati dai conti Attone e Pandolfo, furono confermatiall’abbazia nel 1022 dall’imperatore Enrico II94.

A dir il vero, il caso del Molise adriatico ci sembra del tutto specifico. Inprimo luogo, l’incastellamento sembra tardivo in questa zona nella quale, allametà del secolo XI, restano molte chiese isolate (una è sita in un casale95) e vastis-simi terreni probabilmente poco valorizzati - come nella vicina Capitanata.Inoltre la situazione politica è particolarmente complicata. La contea di Termoliè occupata dai conti abruzzesi di Chieti (donde, probabilmente, i problemi conMontecassino)96; un documento è datato con gli anni di Ugo duca e marchese97,uno con quelli del basileus98, tutti gli altri si riferiscono agli anni di regno degliimperatori germanici. La contea, chiaramente limitata a est dal fiume Biferno, inrealtà è stata annessa all’Italia franca, mentre quelle di Campomarino e di Larinoriconoscevano ufficialmente l’autorità dei principi di Benevento. Si aggiunga chela vicinanza della Puglia bizantina può probabilmente spiegare perché due sot-toscrizioni latine di documenti vergati a Campomarino nel 1026 e nel 1042 sonoscritte in caratteri greci99. Infine la penetrazione normanna, venuta dallaCapitanata, si fa sentire già intorno al 1060: in due documenti100, il NormannoOsmundo, signore di Ripalta e di Vena Maior, da una parte e il conte longobardodi Campomarino Roffrit f. qd. Traselgardi dall’altra offrono a Tremiti la stessa chie-sa di S. Andrea di Silpoli, vicino al Saccione; anche se la datazione del secondo

88. Tremiti 44.89. Tremiti 46.90. Tremiti 61-63.91. Tremiti 66.92. Tremiti 56.93. CMC II, 6, p. 179.94. CMC II, 31, p. 224 e II, 52, p. 263. MGH, DD III, 466 (1 febbraio 1022) e 482 (4 gennaio 1023); I

placiti …, n. 310 (febbraio 1022); cfr. FELLER L., Les Abruzzes médiévales …, p. 617 e 695.95. Tremiti 19 (1037).96. Vedi sopra n. 2..97. Tremiti 10 (1024).98. Tremiti 19 (1037); il documento è stato vergato al momento della costruzione delle nuove città

bizantine di Capitanata.99. Tremiti 11 e 30: Εγω Ραηµαρδυς. Εγω Ραηναλδους φειληυς Μαρτινη. Si tratta della stessa per-

sona?100. Tremiti 69 e 71.

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documento non è sicura, si può ragionevolmente supporre che il conte è statocostretto a ratificare l’offerta fatta dal signore di un bene che quest’ultimo nonpossedeva legalmente.

Si noti ancora che, intorno alla metà del secolo XI, i conti non sono più gliunici possessori laici di castelli. Se quelli di Tora, Vena de Causa e Monte Gulfarisono offerti a Tremiti da conti, non è il caso per gli altri, il che significa che unceto di semplici signori sta emergendo. Nel 1051101 il castello di Vetrana è offertoall’abbazia da un tale Gusbertus f. qd. Gualberti, con il consenso della moglieBiliarda f. qd. Bonifilii e del figlio Gualbertus; si dicono soltanto “habitantes intusin castello qui dicitur Vetrana”. Nel 1052102, è Gualbertus f. Gusberti - che suppo-niamo essere il figlio del precedente - a lasciare a Tremiti il suo castello di Campode Abbatissa; spiega che lo possiede perché aveva sposato la figlia di un conte,Purpura f. qd. Malfrit comite, ora defunta; dunque il castello era comitale all’ori-gine; si noti tuttavia che il conte Malfrit era un esponente della famiglia comita-le di Campomarino, mentre il castello è sito nella contea di Termoli. Comunquesappiamo che la famiglia signorile dei Gualbertus-Gusbertus era collegata conuna dinastia comitale.

Infine il castello di Guglionesi è di proprietà di un certo numero di consorti.Nel 1051103, Giso f. Gisoni (che si dice semplicemente “commorantem intus incastello Guillionisi”), con il consenso della moglie, offre all’abbazia di Tremiti lasua sesta parte del castello. Nell’aprile 1059104 Fuscus f. qd. Iohannis, anche lui“abitator in castello Guillinisi”, lascia a Tremiti la sua metà dello stesso castello;però, secondo il diritto longobardo, riserva in favore della sua moglie la pro-prietà del quarto di questa metà. Tre mesi più tardi, dopo la morte di Fuscus, lavedova, Gervisa f. qd. Adelberti, fa vergare due istrumenti105. Nel primo, con il con-senso del suo padre e del suo cognato Rainaldus f. qd. Gisoni (forse il figlio del-l’autore dell’offerta del 1051), vende all’abate di Tremiti il suo murgincap (cioè ilquarto che lei possiede dei beni del suo marito) per il prezzo (enorme) di 100soldi (probabilmente bizantini, o ancora contati 30 denari ciascuno), ma che saràvalutato in moneta di sostituzione (“de tuis rebus apretiatis”), senz’altro perchél’abate non disponeva della somma in contante. Nel secondo documento, Gervisaspiega che conserva per il momento i suoi beni; l’abate li dovrà comprare sol-tanto se lei si sposa una seconda volta. Comunque nel 1061 Guglionesi è elenca-to fra i beni dell’abbazia nella conferma generale fatta da papa Nicola II106: haprobabilmente acquistato il terzo mancante in un modo e in un momento che cisfuggono.

Aggiungiamo che i nomi dei signori di castelli della zona adriatica del Molise

100. Tremiti 69 e 71.101. Tremiti 43.102. Tremiti 46.103. Tremiti 44.104. Tremiti 61.105. Tremiti 62 e 63.106. Tremiti 70.

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ci sembrano, a prima vista, più vicini a quelli dell’Italia franca che non ai nomiin uso nell’aristocrazia beneventana: non saremmo sorpresi che fossero di origi-ne abruzzese.

Siamo del parere che la donazione di sei castelli del Molise adriatico (o deisuoi immediati dintorni) all’abbazia di Tremiti nell’arco di quindici anni (dal1044 al 1059) traduca innanzitutto il radicale indebolimento dei poteri locali inquesta piccola regione, che resta ancora poco sviluppata. Del resto l’incastella-mento, tardivo e incompleto, non è un successo: di tutti i castelli accennati (chesembrano talvolta ristrettissimi), solo Guglionesi (edificato, come si è detto, inuna villa che era appartenuta a Montecassino) esiste ancora oggi.

Conclusione.

Tutto sommato, la storia altomedievale del territorio molisano dispone diuna documentazione discreta. Inoltre la storiografia è di prima qualità, da DeFrancesco a Del Treppo e alle équipe che si occupano oggi di S. Vincenzo.

È proprio questo monastero, sito a nord-ovest del futuro Molise, ad aver,prima con il suo cartulario e in seguito con gli scavi e la prospezione archeo-logica che ha suscitato, fornito il primo modello, ora sfumato ma non abban-donato, dello sviluppo economico dell’Italia centro-meridionale dal secoloVIII all’XI. Le altre fonti si inseriscono bene in questa impostazione: ilChronicon S. Sophiae fornisce complementi importanti per i secoli VIII e IX, icartulari di Tremiti per il secolo XI. Infatti permettono di constatare che l’e-voluzione è dello stesso tipo in tutto il territorio e, in particolare, che l’artico-lazione maggiore definita da Mario Del Treppo resta valida dopo quasi unmezzo secolo.

Ma le diverse fonti consentono anche un’analisi articolata secondo le zone.Lo sviluppo più precoce della zona occidentale, vicino alla Campania e alLazio meridionale, forse risale all’Antichità. Comunque, durante l’altoMedioevo, il Molise orientale costituisce una zona relativamente arretrata; giàdurante i secoli VIII e IX sembra ospitare una popolazione particolarmentescarsa; inoltre non è vicino ai centri politici maggiori come Benevento oCapua. Donde la nascita tardiva delle contee, segno questo di un ritardo com-plessivo; inoltre il Molise adriatico è incastrato fra la Puglia bizantina (gli orli,anch’essi poco popolati, del Tavoliere sono realmente occupati dall’imperoorientale sin dai dintorni dell’anno 1000) e l’Abruzzo franco-longobardo: iconti di Chieti annettono praticamente la contea di Termoli nel secolo XI.L’incastellamento, probabilmente tardivo, ci è noto soltanto al momento delladissoluzione dei poteri comitali.

Un altro segno di uno sviluppo tardivo e incompleto è fornito dal poco chesi conosce della circolazione monetaria. Essa sembra rara, a dispetto della recen-te e importante scoperta di un tesoro di monete carolingie della fine del secoloVIII nell’anfiteatro di Larino, chiaramente collegato ad una spedizione militare

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e non all’economia locale107. Abbiamo visto come l’abate di S. Maria di Tremitinon fosse in grado di versare 100 soldi per comprare l’ottava parte del castellodi Guglionesi; ancora nei secoli XII e XIII il Molise orientale sembra disporre dipochi pezzi e adoperare monete di sostituzione, come anche la regione puglie-se, vicinissima, di Dragonara e Fiorentino108; del resto l’Abruzzo altomedievaleconosceva una situazione simile109. Invece a Sepino nel secolo XII i tarì di Amalfiin circolazione probabilmente bastavano per le transazioni110.

Al momento della conquista normanna, il Molise ancora non aveva la mini-ma unità; ora i conquistatori integrarono l’Abruzzo adriatico alla contea diLoritello, mentre il resto della regione passava sotto il governo dei conti venutida Moulins-la-Marche. A dispetto della sua relativa omogeneità fisica, il territo-rio molisano non era ancora completamente unificato in età normanna.

107. Cfr. DE BENEDITTIS G. - LAFAURIE J., Trésor de monnaies carolingiennes …, pp. 217-243.108. Cfr.MARTIN J. M., Le monete d’argento …, pp. 85-96: p. 94 n. 83. ID., La Pouille…, p. 475.109. Cfr. FELLER L., Les Abruzzes…, pp. 385-386.110. Cfr. P.S.C.S., p. 35.

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SPUNTI DI RIFLESSIONE SUL MONDO MONASTICONEL SUD E NEL NORD D’ITALIA

NEI SECOLI CENTRALI DEL MEDIOEVO

Elisa OcchipintiUniversità degli Studi di Milano

Negli ultimi vent’anni diversi contributi hanno portato importanti elementidi conoscenza della realtà monastica del Mezzogiorno medievale, rinvigorendoun filone di studi che aveva annoverato in passato prevalentemente monografiesu singole fondazioni1.

Nonostante che la maggior parte della documentazione relativa ai monaste-ri sia ancora inedita, si sono registrati tentativi di sintesi su singoli momenti delmonachesimo meridionale, accompagnati allo sforzo di istituire confronti edeventualmente individuare analogie e similitudini con l’ambito centrosettentrio-nale, pur nella consapevolezza della difformità dei contesti2. Un’altra linea diricerca emersa recentemente è quella che tende a una prima descrizione delmonachesimo femminile nel Mezzogiorno, nella varietà degli ordini presenti enei rapporti con le corrispettive fondazioni maschili e con le istituzioni civili3.

Concentrando l’attenzione sul periodo tra XI e XIII secolo, quando la diffu-sione della spiritualità benedettina rinnovata degli ordini cluniacense e cister-cense fece fiorire un gran numero di sedi religiose, è intento di queste brevi noteriflettere su alcune peculiarità del monachesimo latino meridionale – con parti-

1. Grande impulso alle tematiche in questione è stato impresso dalla ricorrenza del XV centenariodella nascita di Benedetto da Norcia (1980), che ha originato una serie di convegni e iniziative cul-turali. Tali iniziative sono andate ad affiancare quel complesso di ricerche che da anni ruota intornoalle campagne di scavi archeologici in diversi punti del Meridione, dove spesso resti di edifici mona-stici hanno contribuito ad illuminare il rapporto tra territorio, insediamento e spiritualità. Da qui èvenuta la preliminare differenziazione tra esperienze cenobitiche ed esperienze di monachesimoitalo-greco, tendenzialmente eremitico, nella prospettiva di individuare l’incidenza precipua di ognisingola sede monastica nel contesto in cui agisce. Cfr. VITOLO G., Il monachesimo latino…, pp. 543-553.

2. Mi riferisco, oltre che al già citato studio di Vitolo, a HOUBEN H., Le istituzioni monastiche…, pp.73-89; ID., Monachesimo e città …, pp. 643-663.

3. Se già si presenta difficoltoso dare un profilo complessivo, ancora più problematico è incentra-re l’attenzione sull’area molisana, anche per la battuta d’arresto del Repertorio riguardante Abruzzoe Molise nell’ambito del Monasticon, a cura del Centro storico benedettino italiano, cfr. FACCHIANO A.,Monachesimo femminile…, pp. 169-191.

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colare attenzione all’area appenninica abruzzese-molisana – per cogliere linee diconvergenza o distanze rispetto alla contemporanea realtà settentrionale, qualesi espresse in primo luogo nell’ambito piemontese e lombardo. Il tutto da unaprospettiva – pressoché obbligata, in quanto imposta dalla tipologia delle fontie quindi dalle ricerche finora condotte – che privilegia l’incidenza delle sedimonastiche nel contesto socio-economico in cui erano inserite, piuttosto che ladimensione spirituale e l’organizzazione interna delle comunità

Il panorama monastico meridionale che si affaccia al secondo millennio ècaratterizzato da alcune illustri abbazie fondate nei secoli altomedievali, tra laquali primeggia Montecassino, considerata culla del messaggio benedettino; sesi restringe poi la visuale al territorio molisano, la scena è senza dubbio domi-nata da San Vincenzo al Volturno, le cui vicende sono state al centro di lunghe eapprofondite indagini di Mario Del Treppo4. In tempi più recenti la portata dellapresenza dell’abbazia vulturnense è stata sottolineata da Chris Wickham, che,indagando i meccanismi del potere, i rapporti tra proprietari e contadini, ledinamiche sociali, ha individuato nell’area abruzzese-molisana, fortementesegnata dalla presenza dell’ente monastico, un esempio eloquente di organizza-zione rurale nel territorio appenninico5.

Fondato in età longobarda, il monastero di San Vincenzo raggiunse prestigionel periodo carolingio, soprattutto a partire dai primi anni del secolo IX, attuan-do con successo la conduzione di beni fondiari all’interno di un ambiente segna-to da forme di insediamento sparso, che anticiperebbero modelli riscontrabiliqualche decennio più tardi anche in contesti assai diversi6. Importanti campagnearcheologiche condotte negli anni scorsi hanno portato vari elementi a confermadella tesi che sia da attribuire all’epoca di Carlo Magno il momento in cui SanVincenzo raggiunse l’apogeo della propria potenza, che comunque si mantenneragguardevole per una lunga fase successiva7. Poi, con la conquista normanna ela progressiva organizzazione del territorio nelle strutture politico-amministra-tive del Regno, una diversa posizione dovette competere anche alle grandi abba-zie che da secoli rivestivano un ruolo di primo piano nella società.

Nelle indagini riguardanti i monasteri assume grande importanza il rapportointercorrente tra la sede della comunità religiosa e l’insediamento circostante,soprattutto in rapporto alla presenza di città: l’eventuale vicinanza di un grandecentro urbano non solo coinvolge l’istituzione, ma tende a sollecitarla ad un ruolo

4. Cfr. DEL TREPPO M., La vita economica…, pp. 31-110; ID., Terra sancti Vincencii …5. Cfr. WICKHAM CH., Studi …; ID., Il problema dell’incastellamento …6. Giancarlo Andenna ha avvicinato il sistema insediativo e di produzione agricola e artigianale

dei rustici del territorio abruzzese-molisano dipendenti da San Vincenzo a quello che si realizzònelle terre del monastero di San Salvatore e Santa Giulia di Brescia, cfr. ANDENNA G., Contro la tesistoriografica…, pp. 349-364.

7. Dell’interesse per il passato delle terre molisane e dell’impegno profuso in importanti campa-gne archeologiche è testimonianza il bel volume San Vincenzo al Volturno: Dal Chronicon alla storia, acura di G. De Benedittis, Isernia 1995, patrocinato dall’Istituto Regionale per gli Studi Storici delMolise “Vincenzo Cuoco”.

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attivo nella vita civile. L’attenzione su questo nesso venne richiamata per la primavolta in maniera decisa da Francesca Bocchi nel 1977, quando, facendo un censi-mento dei monasteri cittadini italiani, sulla base dei dati raccolti cercò di delinea-re un quadro d’insieme e di valutare come l’ubicazione urbana di una sede mona-stica, in ambiti socio-politici diversi, ne incanalasse in maniera differente le vicen-de8. Il tema è stato ripreso più di recente da altri studiosi, che si occupano dellastoria del Mezzogiorno9: almeno per l’età normanno-sveva, mi pare emerga la ten-denza a riscontrare nei monasteri cittadini una forte capacità di incidenza sulpiano spirituale che mancherebbe invece alle fondazioni poste in aree scarsamen-te popolate, il cui operato risulterebbe ben più significativo e aggregante sul pianodella conduzione dei beni terrieri10. Tali considerazioni portano quindi a ritenereche non solo sia rilevante il nesso monastero/città, ma che questo vada inscrittonel più ampio contesto insediativo, così che sia possibile cogliere, relativamentealle fondazioni monastiche, le differenze prodotte dalla collocazione in aree,magari pianeggianti, densamente popolate, o dalla collocazione in aree monta-gnose, poco adatte all’insediamento, e perciò povere di popolazione.

Al di là del contesto ambientale in cui si innestano le vicende di singolimonasteri, vanno poi attentamente considerati il momento e lo scenario politi-co-sociale che fa da sfondo ad esse, per valutare le diverse caratterizzazioni elinee evolutive derivanti dal fatto che un determinato ente si muova nell’ambitodel mondo comunale o che piuttosto sia chiamato a misurarsi con le istituzioninormanno-sveve.

Con l’inizio della fase ascendente del secolo XI, grazie alla felice congiuntu-ra di aumentata produttività, progresso tecnico, migliori condizioni di vita, nellediverse aree italiane si andavano sperimentando e costruendo nuove strutturepolitico-istituzionali, che realizzavano in forme differenti la vigorosa esigenza dirinnovamento spirituale suscitata dal movimento per la riforma ecclesiastica. Ilmessaggio dell’ideale di vita benedettino, reinterpretato dai nuovi ordini, primifra tutti quello cluniacense e quello cistercense, trovò modi precipui di espres-sione a seconda che si proponesse nell’ambito dell’Italia precomunale e comu-nale o che avesse di fronte come principale interlocutore il ceto dirigente dellanascente monarchia normanna.

L’influenza che il movimento di Cluny seppe esercitare e le iniziative da essointraprese nelle aree meridionali sono state oggetto di reiterate riflessioni da

8. Cfr. BOCCHI F., Monasteri…, pp. 265-316.9. VITOLO G., Il monachesimo latino …; HOUBEN H., Monachesimo e città …10. Così Houben a proposito della traslazione delle reliquie di San Nicola di Bari, quando l’abate

Elia appoggiò la contestazione del ceto mercantile cittadino contro l’arcivescovo Ursone, legato ainormanni, cfr. H. HOUBEN, I Benedettini in città…, pp. 269-297.

11. Una sintesi delle problematiche affrontate è in HOUBEN H., Il monachesimo cluniacense…, pp. 341-361.Fatto rilevante è che i cenobi di nuova fondazione vennero affidati a monaci normanni, come è docu-mentato, ad esempio, per San Lorenzo di Aversa e per la SS. Trinità di Venosa; per quanto attiene inveceal tipo di vita religiosa condotta dalle comunità monastiche, peso preponderante ebbe la tradizione.

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parte di diversi studiosi11, anche alla luce delle prerogative e dei poteri sulle isti-tuzioni ecclesiastiche che i sovrani normanni ottennero dal Papato. La conces-sione dell’apostolica legazia da parte di Urbano II, in considerazione del ruolosvolto dagli Altavilla nel riportare la Sicilia nel seno della cristianità, non lascia-va molto spazio all’ideale della “libertas ecclesiae” a cui si ispiravano i clunia-censi; è tuttavia innegabile che la presenza di monaci venuti dalla Francia – inparticolare provenienti da Saint-Évroul – trasmise consuetudini cluniacensi cheandavano ad arricchire la tradizione del monachesimo benedettino meridiona-le.

Quanto al movimento cistercense, la diffusione del suo messaggio nelMezzogiorno ebbe un impulso decisivo dall’intervento di Bernardo di Clairvauxal fine di ricomporre lo scisma tra Innocenzo II e Anacleto II. Nel 1137, quandopiù aspro si era fatto lo scontro tra Innocenzo e la monarchia normanna, princi-pale sostegno di Anacleto, Bernardo si era recato a Montecassino e successiva-mente aveva incontrato a Salerno Ruggero II e i prelati che appoggiavanoAnacleto II, tra cui vi era Amico, abate di San Vincenzo al Volturno e cardinaleprete dei SS. Nereo e Achilleo12. Lo scisma aveva causato profonde lacerazioniall’interno di parecchie comunità monastiche (precise conferme si hanno perMontecassino e per la SS. Trinità di Venosa), ma non ebbe effetti negativi ovun-que, come testimonia l’esempio di Cava dei Tirreni, abbazia particolarmentelegata alla dinastia normanna13. Con il riconoscimento della legittimità del pote-re di Innocenzo II da parte di Ruggero II (1139), si andarono rapidamente rias-sorbendo le tensioni in un quadro sociale che aveva accolto con favore ancheesperienze nuove di vita religiosa, come attestano la fondazione, intorno al 1120,della comunità di Montevergine da parte di Guglielmo da Vercelli14 o, un decen-nio più tardi, di quella di S. Maria di Pulsano ad opera di Giovanni di Matera15.

È probabile che la diffusione dell’ordine cistercense nel Meridione sia statafavorita dalla stima che per i monaci bianchi ebbe Costanza d’Altavilla16 e pro-prio sul finire del XII secolo sorsero le fondazioni di S. Maria di Casanova e diS. Maria d’Arabona, prossime al territorio molisano17. Sembra comunque che inambito meridionale i monasteri cistercensi non abbiano avuto l’incidenza politi-ca e il ruolo di volano nell’economia agraria che fra XII e XIII secolo sepperosvolgere in tutto il Settentrione e con rilevanza particolare nelle aree piemonte-se e lombarda.

Recentemente Rinaldo Comba, pur tra le difficoltà dovute a una documenta-

12. Cfr. HOUBEN H., Le istituzioni monastiche …; pur non avendo preso parte all’elezione diAnacleto, l’abate di San Vincenzo è citato nella lettera che gli elettori dello stesso Anacleto avevanoinviato all’imperatore Lotario III (p. 75).

13. Cfr. HOUBEN H., Una grande abbazia…, pp. 85-107.14. Cfr. ANDENNA G., Guglielmo di Vercelli…, pp. 87-118.15. Cfr. ZERBI P., ‘Vecchio’ e ‘nuovo’ monachesimo…, pp. 3-24; VETERE B., Il filone monastico-eremitico…,

pp. 197-244.16. Cfr. KOLZER T., La monarchia normanno-sveva…, pp. 91-116 (in partic. 107).17. Cfr. PACIOCCO R., I monasteri cistercensi in Abruzzo…, pp. 205-242.

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zione assai lacunosa, ha tracciato un primo quadro d’insieme delle linee guidache presiedettero alla gestione del patrimonio fondiario da parte delle comuni-tà cistercensi insediate nel Sud d’Italia, indicando nell’allevamento, prevalente-mente ovino, il cardine delle loro attività, tanto che molti monasteri ottenneroautorizzazioni regie ad un uso libero dei pascoli. L’applicazione nel settore del-l’allevamento impegnava direttamente gli enti religiosi nel commercio degli ani-mali, tenuto anche conto che gli Statuta dei capitoli generali dell’ordine vietava-no ai monaci il consumo di carne18. L’insieme delle attività connesse con l’alle-vamento – prima fra tutte le produzione e conservazione dei prodotti caseari –imponeva un regolare approvvigionamento di sale; sembrano tuttavia isolati icasi di acquisto e sfruttamento diretto delle saline, come avvenne, ad esempio,all’inizio del Duecento per l’abbazia abruzzese di Casanova19. Nel complesso siha la sensazione che il modo in cui erano gestiti (ma anche si erano formati) ipatrimoni degli enti i quali avevano adottato la regola di Citeaux – alcuni findalla fondazione, altri da un certo momento – non rispettasse i principi fonda-mentali degli Statuta cistercensi che facevano ad esempio divieto di possederemulini, folloni e macchine idrauliche in genere per ricavarne delle rendite, e chevenisse in particolare disatteso il principio secondo cui il sostentamento deimonaci doveva essere assicurato da un impegno diretto del monastero nelle atti-vità agro-pastorali attraverso l’impiego di conversi e salariati, mentre è ripetutevolte testimoniato il ricorso da parte delle abbazie al lavoro di villani sottopostia vincoli di dipendenza personale. Sotto un altro aspetto, quello del possesso dichiese (vietato dagli Statuta), il carattere emergente dei monasteri cistercensi delMezzogiorno si allontana dai principi dell’ordine, secondo una tendenza, tutta-via, avallata dalla stessa autorità pontificia20. In conclusione, si può ritenere chegran parte dei monasteri cistercensi disponesse “di rendite fisse di provenienzaregia e di patrimoni per lo più organizzati secondo modelli tradizionalmentelontani dallo spirito che, secondo gli Statuta del capitolo generale, avrebbe dovu-to caratterizzarne la struttura”21. In ogni caso la presenza cistercense andò pro-gressivamente consolidandosi in tutta l’area meridionale, come attesta la tabellastilata per il secolo XIII da Hubert Houben a proposito dei vescovi provenientida monasteri che appartenevano all’ordine: per il territorio abruzzese-molisanosono citate le diocesi di Forcone-L’Aquila, Penne, Valva, Boiano22. La diffusionedel monachesimo cistercense potrebbe avere avuto un valido supporto nel favo-re manifestato nei confronti dell’ordine da Federico II, se si ricorda che qualchetempo dopo la sua incoronazione regia ad Aquisgrana, nel 1215, il sovranoaveva richiesto l’ammissione alla comunità di preghiera dei monaci bianchi23.

L’esperienza dei nuovi ordini monastici del Mezzogiorno si sviluppò d’altra

18. Cfr. COMBA R., Le scelte economiche…, pp. 117-164 (in partic. 125, 133).19. Cfr. PACIOCCO R., I monasteri cistercensi …, p. 232.20. Cfr. COMBA R., Le scelte economiche…, p. 153.21. Ibid., p. 164.22. Cfr. HOUBEN H., Monachesimo e città…, p. 662.23. Cfr. KOLZER T., La monarchia normanno-sveva…, p. 107.

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parte nel quadro di un ordinamento ecclesiastico, quale quello che si andò con-figurando nel periodo normanno-svevo, segnato da rilevanti peculiarità chetraevano origine sia dal sistema dei rapporti con il Papato, sia dall’intromissio-ne del potere politico nelle nomine vescovili e forse anche di altre cariche reli-giose24, come mostra in modo esemplare, proprio per il Molise, il caso riguar-dante la diocesi di Boiano, descritto da Errico Cuozzo25. Da un documento del1186 sappiamo che il vescovo di Boiano si era recato nel castello di Sepino (basedel potere della famiglia de Mulisio) per chiarire la natura dei diritti che il mona-stero di S. Croce possedeva su alcune terre dipendenti dal castello: alcuni iudicese boni homines dichiararono che il monastero era esente dalla giurisdizione delvescovo di Boiano, competente soltanto per la consacrazione degli altari, l’ordi-nazione dei sacerdoti e per dirimere eventuali controversie tra i chierici. Ilvescovo confermò tale stato di parziale autonomia e confermò anche al mona-stero il possesso della chiesa di S. Giovanni in monte Sepino e quello della chiesadi Sant’Angelo costruita all’interno del centro fortificato sepinese con tutti i pri-vilegi di cui aveva goduto fino a quel momento, a patto che consegnasse alvescovo stesso un quarto della decima ecclesiastica. Se quest’ultimo elementorelativo alla “decima sacramentale” costituisce uno dei pochi esempi di soprav-vivenza nel territorio meridionale di un sistema di tassazione nei termini in cuiera stato introdotto da papa Gelasio I e che in area padana era ancora salda-mente funzionante, il documento nel suo complesso presenta un monasterodetentore di ampi privilegi, concessi, in tempi diversi, da esponenti del ceto diri-gente. Sono indizi tenui, che tuttavia confermano un sistema di istituzioni eccle-siastiche inserite nel contesto dei rapporti feudali.

Quando, sulla scorta della fama della casa-madre e avvalendosi di cospicuedonazioni, il movimento cluniacense cominciò a diffondersi nell’Italia setten-trionale e in primo luogo in quella fascia di territorio tra Bergamo, Brescia, Lodie Pavia26, lo scenario del monachesimo benedettino nell’Italia settentrionale eraper lo più costituito da fondazioni, sia maschili che femminili, sorte in età lon-gobarda, carolingia e ottoniana presso i maggiori centri urbani, ma anche in cen-tri demici di più modesta entità27. In linea generale i monasteri erano stretta-mente legati alle sedi vescovili; esemplare, in questo senso, la situazione mila-nese al tempo dell’arcivescovo Ariberto d’Intimiano, che tra l’altro destinò partedei propri beni e rendite agli enti religiosi, nominando suoi esecutori testamen-tari l’abate di Sant’Ambrogio e la badessa di San Maurizio, rispettivamente lefondazioni maschile e femminile più importanti di Milano28. I legami che univa-no il mondo monastico ai vescovi – il cui ruolo fu spesso determinante, nella fase

24. Cfr. FONSECA C.D., Particolarismo…, pp. 107 ss.25. Cfr. CUOZZO E., Chiesa e società feudale…, pp. 333-356 (in partic. 342-348).26. Sulla diffusione del monachesimo riformato nell’Italia settentrionale si vedano gli atti dei con-

vegni tenuti a Pinerolo nel 1964 e a Pontida nel 1977: Monasteri in alta Italia…e Cluny in Lombardia...27. Cfr. PICASSO G., Presenza benedettina…, pp. 9-23; ID., I monasteri…, pp. 82-84.28. Cfr. VIOLANTE C., L’arcivescovo Ariberto II…, pp. 608-623; sui legami tra vescovi e monasteri, cfr. P.

ZERBI, I monasteri cittadini di Lombardia…, pp. 283-314; ID., Monasteri e riforma a Milano…, 217-251.

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precomunale, al rafforzarsi dei ceti eminenti che aspiravano a partecipare algoverno delle città – favorirono l’intreccio dei rapporti tra le sedi monastiche ele maggiori famiglie cittadine, all’ombra del potere vescovile.

La diffusione delle nuove sedi dei cluniacensi, che mantenevano strettissimilegami con la casa-madre e con la Santa Sede, fece tramontare un modello –quello basato appunto sul legame tra vescovi e monasteri – che aveva resistitoper lungo tempo. Non venne tuttavia intaccato il rapporto vitale tra il mondomonastico e i ceti che avevano dato vita e più marcatamente contribuivano aconsolidare le strutture istituzionali dei comuni29; tale andamento oltre che inLombardia, si può riscontrare anche per quanto riguarda la Liguria30. La fonda-zione di cenobi e priorati cluniacensi venne propiziata soprattutto dagli ordinespiù elevati del ceto feudale: in Piemonte troviamo i conti di Pombia e i marche-si di Occimiano; in Lombardia i conti di Bergamo e, per la stessa città, alcunefamiglie capitaneali come i Mozzi, i da Martinengo e i da Prezzate; i da Carcanoe i da Besate a Milano31. I laici fondatori di monasteri o di ‘celle’ cluniacensi man-tennero spesso stretti rapporti con questi: ad esempio, Alberto da Prezzate sifece monaco nel monastero che aveva fondato a Pontida con i beni di famiglia ene divenne priore32; in altri casi essi conservarono i diritti di avvocazia, che tra-smettevano ai discendenti. Il legame che parecchie famiglie dei ceti feudaliinstaurarono e mantennero a lungo con le fondazioni cluniacensi non si confi-gurava soltanto come adesione ad una proposta coinvolgente sul piano spiri-tuale, ma assunse anche significato sul piano sociale, rinsaldando l’unità dellignaggio grazie al sostegno prestato dal gruppo parentale nel suo complessoattraverso numerosi suoi membri. Il periodo d’oro della diffusione cluniacensenell’area padana coincise, dal punto di vista politico-istituzionale, con l’avviodei comuni cittadini e legò gli enti religiosi al variegato ceto dirigente dei gover-ni comunali.

La comparsa del monachesimo cistercense nell’Italia settentrionale è connes-sa, come si è visto anche per il Mezzogiorno, alle vicende inerenti allo scisma traInnocenzo II e Anacleto II e all’azione per comporlo svolta da Bernardo diClairvaux33. Tra i sostenitori di Anacleto (e quindi di Corrado di Svevia) vi eral’arcivescovo di Milano Anselmo della Pusterla, che tra la fine del 1134 e l’iniziodell’anno seguente dovette lasciare la città a causa del malcontento suscitatoall’interno della cittadinanza dalla sua condotta nel governo ecclesiastico34: lecapacità di mediazione di Bernardo, unite al suo grande carisma e al sostegnoricevuto da un gruppo di monaci francesi che si erano da qualche tempo stabi-

29. Cfr. OCCHIPINTI E., Monasteri e comuni…, pp. 187-198.30. Cfr. POLONIO V., Monasteri e comuni in Liguria…, pp. 163-185 (in partic. 177).31. Cfr. VIOLANTE C., Per una riconsiderazione…, pp. 521-664 (in partic. 617-619).32. Ibid.33. Per un quadro sintetico si può fare riferimento a MANSELLI R., Fondazioni cisterciensi…, pp. 205-

237; si veda anche ZERBI P., I rapporti di san Bernardo…, pp. 3-109.34. Cfr. ZERBI P., La Chiesa ambrosiana…, pp. 125-230.

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liti presso il Ticino, evitò una svolta traumatica per i milanesi. Il nuovo arcive-scovo Robaldo, proveniente da Alba, vide con favore e aiutò materialmente lostanziamento di una comunità monastica in un’area strategicamente importan-te, perché di confine, tra il contado milanese e quello pavese35: iniziava così lastoria del monastero di Morimondo; nello stesso periodo di tempo, assai vicinaalla città di Milano veniva fondata Chiaravalle Milanese, da cui poi sarebbe deri-vata Chiaravalle della Colomba nel Piacentino36. Frattanto sorgevano inPiemonte Lucedio, Staffarda, Casanova37.

L’ascetico stile di vita dei monaci cistercensi ebbe un impatto forte e positivosulle popolazioni con cui venivano in contatto: si ampliarono rapidamente lecomunità e le molte donazioni pie contribuirono in maniera determinante a darevita, in breve volgere di tempo, a cospicui patrimoni fondiari che vennero purerapidamente messi a frutto. L’ideale di fuga dal mondo, la ricerca del desertumche sta alla base della spiritualità cistercense non ebbe un influsso esclusivo sullefondazioni italiane: se è vero che le loro sedi erano poste in zone disabitate, varilevato tuttavia che esse si trovavano non troppo lontano dai centri cittadini –esemplari in tal senso sono le milanesi Chiaravalle e Morimondo -, legando findal principio le proprie sorti alla realtà politica e socioeconomica delle città. Taletendenza si accentuò via via con l’andare del tempo, così che nel Duecento siriscontrano basi di appoggio delle comunità all’interno delle mura urbane38.

D’altra parte i vasti patrimoni accumulati dalle abbazie attraevano l’interes-se delle famiglie dei ceti dirigenti, che aspiravano a portarli sotto il proprio con-trollo e ad amministrarli, magari attraverso propri membri che godevano di unaposizione eminente all’interno delle comunità monastiche39.

Come tradizionalmente avveniva per i grandi monasteri cittadini, le nuovefondazioni monastiche collocate nel contado limitrofo alla città si configuravanosempre – sia nei rapporti intercittadini che nei rapporti intracittadini – comecentri di potere, attraverso i quali passavano conflitti, tensioni, alleanze, succes-si e sconfitte40; ciò poteva comportare a volte gravi rischi o addirittura condizio-nare pesantemente la sopravvivenza stessa delle comunità: è il caso diMorimondo, coinvolto nei ricorrenti conflitti tra Milano e Pavia, che nel 1237 –in una fase di duro scontro tra le due città – vide oltraggiati e minacciati mem-bri della comunità, distrutti ambienti e arredi del complesso monastico41.

La presenza dei cistercensi nelle campagne padane ebbe poi una rilevanza

35. Cfr. OCCHIPINTI E., Il monastero…, pp. 527-554; anche in altri casi l’arcivescovo Robaldo inter-venne in favore di nuove comunità monastiche che si andavano costituendo, cfr. EAD., Continuità einnovazione ... (in corso di stampa).

36. Cfr. Chiaravalle. Arte e storia di un’abbazia cistercense…; CHIAPPA MAURI L., Paesaggi rurali inLombardia…; EAD., Monasteri ed economia rurale…, pp. 199-218.

37. Cfr. BELLERO M., I cistercensi e il paesaggio rurale…, pp. 337-351; COMBA R., Fra XII e XIII secolo…,pp. 5-39.

38. Ibid.39. Cfr. OCCHIPINTI E., Il monastero …, p. 541; EAD., Fortuna e crisi…, pp. 314-336.40. Cfr. OCCHIPINTI E., Il monastero …, p. 541.41. Cfr. OCCHIPINTI E., Fortuna e crisi…, pp. 322-329.

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Il Medioevo 37

particolare nell’evoluzione agraria. Le cospicue estensioni di terreni da coltiva-re, collocate spesso in ambiente favorevole quale la pianura irrigua a sud diMilano, spinse a sperimentare nuove tecniche agricole come la realizzazione dimarcite, impiegate dai cistercensi sul finire del XII secolo42. L’organizzazione dellavoro agricolo, che all’opera dei conversi affiancava quella dei salariati, spessoingaggiati con contratti collettivi, incise in maniera profonda anche sulle formedi insediamento, con frequenti spostamenti di centri demici in vista di una loromaggiore funzionalità alle esigenze produttive; in tal modo antichi villaggi sisvuotarono per travasarsi poco lontano nel sistema delle grange monastiche.Dunque i patti agrari, i modelli produttivi, le forme dell’abitare seguirono vienuove, che giunsero assai in ritardo nelle zone non direttamente interessatedalla presenza cistercense.

Nelle brevi note che precedono si sono voluti rimarcare alcuni elementi cheinfluirono sulla diffusione del monachesimo benedettino riformato nei diversicontesti del Mezzogiorno e del Settentrione d’Italia, dando luogo a sviluppi edesiti diversi.

L’attiva presenza e la predicazione di Bernardo di Clairvaux, ad esempio, ali-mentarono prospettive differenti nel vario costituirsi di fondazioni ispirate dalmodello cistercense. Il filtro frenante delle rigide strutture della monarchia nor-manno-sveva, attenuando la carica di norme e divieti tipici dell’ordine diCiteaux, condizionò in misura notevole le scelte relative all’organizzazione eco-nomica dei patrimoni monastici, con risvolti decisivi anche dal punto di vistasociale, come mette in luce innanzitutto l’assoggettamento a vincoli di dipen-denza personale dei lavoratori della terra; in tal modo si affermò un orienta-mento volto a mantenere forme tradizionali di rapporto tra i proprietari (laici oecclesiastici) e i contadini loro dipendenti, tradendo lo schema agrario ‘per gran-ge’ proposto dai cistercensi, ai quali venne di fatto impedito di svolgere da que-sto punto di vista un ruolo innovatore. Per altro verso, quando interlocutori deimonaci furono i vescovi delle città padane, impegnati a sostenere le esperienzecomunali, e complessivamente i ceti dirigenti urbani, scaturì una fattiva colla-borazione che da una parte accoglieva nel profondo del tessuto sociale le istan-ze rappresentate dalle nuove comunità monastiche, dall’altra poneva le comuni-tà stesse come punti nevralgici nell’insieme degli equilibri socio-economici.

Un analogo fenomeno di differenziazione è riscontrabile fra le comunità chesi richiamavano a Cluny a seconda dell’area in cui erano collocate. Le fondazio-ni monastiche normanne si mantennero abbastanza isolate dalle popolazioni,che non poterono recepire il senso di una spiritualità rinnovata43; al contrario,forse per un più precoce proporsi del messaggio cluniacense nel clima del movi-mento per la riforma ecclesiastica, le fondazioni settentrionali costituirono dei

42. Cfr. CHIAPPA MAURI R., Paesaggi rurali in Lombardia…, pp. 103-131.43. Cfr. HOUBEN H., Il monachesimo cluniacense…, pp. 358-359, che indica l’unica eccezione nel caso

di Aversa.

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poli di attrazione delle forze più dinamiche della società, così che ne derivaronoimpulsi vitali per la stessa civiltà comunale. Complessivamente si può dire chenel mondo comunale continuò a sussistere, anzi si rafforzò una sorta di rappor-to privilegiato tra istituzioni monastiche e autorità politica, come dimostrano lelunghe serie di sentenze favorevoli ai monasteri – in occasione di controversiecon laici – sistematicamente pronunciate dai consoli di giustizia cittadini44: unoscenario che la azione congiunta della monarchia normanno-sveva e dellaChiesa, che ad essa aveva riconosciuto importanti prerogative, rendeva impos-sibile nel Mezzogiorno.

Consegnato per la stampa nel maggio 2002.

44. Cfr. OCCHIPINTI E., Monasteri e comuni …

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LA CONTEA NORMANNA DI MOLISE

Errico CuozzoIstituto Universitario “Suor Orsola Benincasa” - Napoli

Mi sono occupato per la prima volta della contea normanna del Molise in unarticolo pubblicato sull’ “Archivio Storico per le Province Napoletane” nell’or-mai lontano 1981. Di recente ho pubblicato, in collaborazione con l’amico e col-lega Jean-Marie Martin, l’edizione delle pergamene conservate nella chiesa diSanta Cristina di Sepino, e nella Introduzione sono ritornato sullo stesso argo-mento modificando leggermente alcune mie ipotesi.

La contea di Molise fu istituita nel 1142 da re Ruggiero II d’Altavilla, quan-do riorganizzò tutta la struttura feudale e militare del Regno di Sicilia. In taleoccasione egli creò un organismo nuovo che chiamò con un termine vecchio‘contea’. Si trattava di un organismo feudale, che era costituito da una serie diterrae feudali non necessariamente contigue tra loro, disposte sul territorio ‘amacchia di leopardo’.

I conti erano tutti imparentati con la famiglia degli Altavilla; essi erano tito-lari dei feudi che costituivano la contea, li tenevano in capite de domino rege, cioèdirettamente dal re, li amministravano direttamente (in demanio) o li davano insuffeudo (in servitio). Ogni conte era direttamente responsabile verso il sovranodell’intero servizio militare dovuto dai feudi della sua contea, anche di quellidati in servitio. I conti, infine, godevano, a differenza degli altri feudatari, di alcu-ni privilegi: il conte aveva la possibilità del comando attivo in caso di guerra suimilites forniti ogni anno all’esercito regio dalla propria contea; il conte esercita-va compiti di natura giudiziaria relativi alla bassa e all’alta giustizia.

Nel 1142, dunque, re Ruggiero II d’Altavilla istituì la nuova contea di Molise:essa fu così chiamata dal cognomen toponomasticum del suo primo titolare, unvecchio feudatario della regione, già conte di Boiano, che si chiamava Ugo deMulisio .

Prima del 1142 le fonti non attestano la contea di Molise. Ad essa si fa riferi-mento soltanto in una carta, di dubbia autenticità, dovuta a quell’eccezionalepersonaggio che fu Pietro Diacono, continuatore del Chronicon MonasteriiCasinensis di Leone Ostiense, ed autore abilissimo di falsi documenti redatti perdifendere i privilegi della abbazia cassinese. Il suo Registrum, croce e deliziadegli eruditi, sta per avere la prima edizione critica ad opera di una équipe coor-

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dinata da J.-M. Martin , di cui fa parte anche chi vi parla. Ugo de Mulisio, che divenne titolare della nuova contea che prese il suo cogno-

men, era un importante esponente della feudalità del Mezzogiorno, che si eraopposto con forza a Ruggiero d’Altavilla all’indomani della sua elevazione alladignità regia. Si era schierato con Rainulfo d’Alife e con Roberto, principe diCapua, e con essi aveva accolto e sostenuto l’imperatore Lotario nella sua disce-sa nell’Italia meridionale: si trattava di opporsi all’autorità del nuovo sovrano,e di rivendicare la visione policentrica ed egualitaria del potere esercitato dallesignorie normanne delle origini. Dopo la vittoria definitiva dell’Altavilla, Ugogli si sottomise, gli giurò fedeltà vassallatica, e ne sposò anche la sorella.

Ugo era stato titolare di un’ampia signoria territoriale, che nei documentiviene detta ‘contea di Boiano’. Si trattava (ed è questa la differenza fondamen-tale tra le ‘vecchie contee’ normanne e le ‘nuove contee’ nate dopo la nascita delRegno) di un ampio e compatto territorio di cui era possibile tracciare con pre-cisione il perimetro del confine, posto ai piedi del Matese, che comprendevagrosso modo l’attuale regione Molise. Evelyn Jamison – la grande studiosa del-l’università di Oxford alla quale la storia del Molise medievale deve dei contri-buti fondamentali – tracciò, grazie alla sua eccezionale conoscenza della docu-mentazione, il perimetro della primitiva signoria del conte Ugo. Nel 1142 la‘nuova contea’ di Molise era formata, come ho accennato, da una serie di feudinon necessariamente contigui tra loro, ma sparsi sul territorio a ‘macchia di leo-pardo’.

Che cosa sappiamo della ‘nuova contea’ di Molise?Le informazioni più importanti ci vengono da quel documento fondamenta-

le per la storia dei Normanni nell’Italia meridionale, che è solitamente detto‘catalogus baronum’. Esso fu edito nel 1972 da Evelyn Jamison; questa edizionefu poi accompagnata da un mio Commentario storico-prosopografico, pubblica-to nel 1984.

Il catalogus elenca tutte le contee presenti nelle due province continentali delregno, dette Ducatus Apuliae e Principatus Capuae. Queste erano poste rispettiva-mente ad oriente e ad occidente della linea degli Appennini ed erano separateda un confine che ho altrove ricostruito. Tra le contee elencate vi è anche quelladi Molise.

Purtroppo il testo tradito del catalogus baronum presenta una delle sue lacuneproprio là dove si tratta della contea di Molise. La lacuna riguarda, tra l’altro, ilcapoverso relativo alla menzione iniziale del conte Ugo (o del suo successoreRiccardo de Mandra, il cui nome fu molto probabilmente inserito nella veloce efrettolosa revisione del registro effettuata nella curia palermitana nel 1167), etutti i paragrafi relativi ai feudi ed ai feudatari tenuti in demanio dal conte diMolise nel Principatus Capuae e nel Ducatus Apuliae; sono inoltre assenti 26 feudidi cavaliere tenuti in servitio dal conte nel Principatus Capuae. Noi conosciamo,dunque, soltanto una parte dei feudi tenuti in servitio dal conte nel PrincipatusCapuae, e tutti i feudi comitali in servitio nel Ducatus Apuliae. Le ricerche dellaJamison, e quelle che ho condotto io, hanno cercato di colmare la lacuna del cata-

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logus, e di individuare, attraverso la documentazione edita ed inedita, tutti ifeudi della contea di Molise. Devo confessare che ci siamo riusciti soltanto inparte.

Il conte Ugo di Molise partecipò alla grande ribellione della feudalità conti-nentale contro re Guglielmo I negli anni 1155-6. Conservò, tuttavia, la conteafino alla sua morte, anche se essa non passò ai suoi discendenti.

Evelyn Jamison cercò invano di stabilire con precisione la data della mortedel conte Ugo. Grazie ad uno dei documenti di Santa Cristina di Sepino, da pocoediti, credo di averla individuata. Nel luglio del 1159 Ugo de Molisio , signoredi Sepino, dopo aver donato al monaco Giovanni ed ai suoi successori la chiesadi S. Croce, conferma la ‘cartula libertatis’ per l’anima dei suoi genitori, del conteUgo di Molise, di se stesso e di tutti i suoi parenti. Nel luglio del 1159, dunque,il conte di Molise era ancora vivo. Egli morì dopo qualche mese, molto proba-bilmente in Palermo, dove nel 1160 risiedeva sua moglie Adelaide cuiusdam filieRogerii spurie, que Hugonis Comitis Mollisinii uxor fuerat.

Re Guglielmo I d’Altavilla, dopo la morte di suo cognato Ugo de Mulisio,non provvide a nominare un successore nella contea di Molise: non la soppres-se (non ne riorganizzò, cioè, completamente la struttura demaniale e feudale, néprovvide ad una nuova assegnazione dei feudi), ma la lasciò vacante, ovverofece sopravvivere la organizzazione della contea così come era alla morte delconte, e nominò un suo funzionario di fiducia perché l’amministrasse, il came-rario regio Abdenago Filius Anibal. Costui l’amministrò per sei anni.

Nel 1166, la reggente regina Margherita di Navarra, nella sua opera di paci-ficazione e ‘normalizzazione’ del regno, nominò i titolari delle contee di Molise,Andria, Fondi, Albe, Loreto, Sangro, che da alcuni anni erano vacanti. La conteadi Molise fu data a Riccardo de Mandra, comandante delle truppe mercenarie(familiaris militia) del re. Il nuovo conte tenne la contea fino alla sua morte, avve-nuta nel 1170.

Dopo tale data non si ha più alcuna notizia di un conte di Molise fino al 1183.Evelyn Jamison rintracciò un documento di questo anno, presente nel Cartulariodi Santa Maria del Gualdo, in cui si fa riferimento ad una contessa di Molise dinome Gaitelgrima. La studiosa la identificò nella moglie di Riccardo de Mandra,che avrebbe avuto la reggenza della contea dopo la morte del marito, in attesadella maggiore età del figlio Ruggiero. Di recente Jean-Marie Martin ha confer-mato questa identificazione nella sua edizione del Cartulaire de S. Matteo diSculcola en Capitanate (Registro d’Istrumenti di S. Maria del Gualdo).

A partire dal 1185 possiamo documentare che la contea di Molise era tenutadal conte Ruggiero.

Contrariamente a quanto ipotizzato dalla Jamison e dal Martin , io ritengoche questo personaggio non fosse figlio del conte Riccardo de Mandra e dellacontessa Gaitelgrima, ma figlio del conte Ugo di Molise. Sono portato ad avan-zare l’ipotesi che la vecchia famiglia feudale dei de Mulisio sia rientrata in pos-sesso della contea sulla scorta di una pergamena di Sepino del novembre 1175.Si tratta di una cartula donationis et confirmationis con cui Roberto di Molise,

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signore di Sepino, conferma alla chiesa di S. Croce le donazioni e le esenzioniconcesse da lui stesso e dal padre “ pro redemtione anime nostre et genitoris meiatque genitricis mee atque pro anime comitis Ugonis de Molisio”. Come spiega-re questo riferimento nel 1175 alla vecchia dinastia comitale, se non ipotizzandoche essa avesse riottenuto la contea di Molise? Ma vi è di più. Questa mia ipote-si è confermata dalla presenza in Molise, ancora nel 1206, della contessaAdelaide d’Altavilla, moglie del conte Ugo, e madre del conte Ruggiero: in que-sto anno ‘venuta al fine della sua vita e non lasciando figli, dava 5 cantaia d’ar-gento in oggetti da chiesa al vescovo Rainaldo per la cattedrale di Boiano’.

All’indomani della morte del re Guglielmo II d’Altavilla nel 1189, il conteRuggiero di Molise si schierò subito dalla parte degli Hohenstaufen.Nell’inverno del 1190-1 aprì le trattative con Enrico VI; firmò poi la lettera invia-ta dai regnicoli filoimperiali all’imperatore nel momento della sua incoronazio-ne a Roma il 15 aprile 1191; nel maggio, infine,prestò il giuramento di fedeltà adEnrico entrato nel Regno.

Dopo la partenza dell’imperatore, assalito dal conte di Acerra, fu cacciato daVenafro e fu costretto a passare tra i filotancredini. Mantenne la contea neglianni 1193 e 1194. Nel 1195 la contea di Molise fu concessa dall’imperatore Enricoa Corrado di Lützelinhart, detto Moscaincervello. Costui, per entrarne in pos-sesso, intraprese una campagna militare contro il conte Ruggiero, fino a costrin-gerlo alla resa, dopo aver conquistato Roccamadolfi nel 1196. Il conte, sconfittoed umiliato dalle terribili condizioni impostegli dal vincitore, fu costretto adandare in esilio, dove morì.

Giuditta, figlia del conte Ruggiero, sposò Tommaso di Celano, figlio delconte Pietro, molto probabilmente, a mio parere, nel 1191, quando i rispettivigenitori erano schierati con Enrico VI. Questo matrimonio legittimò le pretesedei de Celano sulla contea di Molise, dopo la morte del Moscaincervello nel 1197.La contea fu concessa, però, a Marcovaldo di Anweiler, marchese di Ancona eRomagna, e conte di Abruzzo, incaricato di controllare gli interessi imperialinell’Italia centrale. Ma a partire dal 1200 Pietro di Celano incominciò sempre piùa consolidare il suo potere nella contea di Molise, fino a costringere Marcovaldo,dopo la presa di Isernia, a ritirarsi in Sicilia.

Nel 1201 Gualtiero di Brienne entrò nel Regno, mandato da Innocenzo III,per scacciare Marcovaldo. Il conte Pietro di Celano gli fu dapprima ostile; poi glisi alleò, ottenendo il possesso definitivo della contea di Molise.

A questo punto credo di dover interrompere la mia esposizione, perché quel-lo che direi riguarderebbe non più la contea normanna di Molise, ma il Molisenell’età di Federico II: sarà questo, lo voglio sperare, l’argomento di un nostroprossimo incontro, organizzato dal dinamico e benemerito Istituto Regionaleper gli Studi Storici del Molise ‘V. Cuoco’. Vi ringrazio per l’attenzione*.

* È qui pubblicata la registrazione, rivista dall’autore, della relazione tenuta a braccio.

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SEZIONEARCHIVISTICA

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IL MOLISENEL “REPERTORIO DELLE FONTI DOCUMENTARIE

EDITE DEL MEDIOEVO ITALIANO”

Francesco MottolaUniversità «G. D’Annunzio» di Chieti e Pescara

Nel 1992 l’Associazione italiana dei paleografi e diplomatisti ha promos-so l’iniziativa di un repertorio che raccogliesse l’intera produzione docu-mentaria edita del medioevo italiano compresa tra il 568 ed il 31 dicembre1500, mentre l’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, presso il quale ècostituita una redazione centrale di coordinamento nazionale, ha assunto laricerca tra i propri compiti istituzionali e pubblicherà l’intera serie formatada venti volumi, uno per regione. Ogni volume avrà la seguente impostazio-ne: premessa redazionale uguale per ogni regione; introduzione, siglario,bibliografia degli scritti di diplomatica, paleografia e archivistica relativi allefonti documentarie della regione; schede; indici: cronologico, degli autori,dei nomi di persona, dei nomi di luogo, delle cose notevoli, degli archivi edelle serie.

Lo scopo dell’iniziativa è di reperire tutte le pubblicazioni (monografie,saggi, articoli, opuscoli per nozze, schede di catalogo, ecc.), dalle origini dellastampa ad oggi, in Italia e all’estero, che presentino, a qualsiasi titolo e in qual-siasi forma, edizioni, trascrizioni, regesti e simili, di testi documentari d’etàmedievale e di pertinenza italiana, quali che ne siano la lingua e la scrittura.Sono considerate pure le epigrafi purché riportino un testo di natura documen-taria. Tali testi devono essere provvisti d’autonomia nell’ambito complessivodella pubblicazione ed essere dotati di un diretto interesse diplomatistico oarchivistico. Sono dunque esclusi gli stralci e le citazioni di documenti contenu-ti nelle note e negli studi a carattere prettamente storico.

Il repertorio è organizzato su base regionale secondo gli attuali confini.All’interno di esso le schede (ciascuna corrispondente ad una pubblicazione)sono ordinate cronologicamente.

Per censire le pubblicazioni, e non i singoli documenti, è stata elaborata unascheda-tipo con vari “campi”; la successione di questi è schematicamente laseguente: cognome e nome dell’autore/i o di eventuali curatori; intera citazionebibliografica; informazioni sul contenuto dell’opera quali, ad esempio, tipo di

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edizione (edizione critica, edizione diplomatica, regesti, …), persone intese insenso diplomatistico, particolarità di rilievo e ogni altra notizia reputata utileper una migliore conoscenza del documento (ad esempio data topica, facsimili,cronotassi, ecc.); segnature archivistiche dei documenti; indicazione bibliografi-ca di eventuali recensioni e segnalazioni dell’opera; collocazione in bibliotechepubbliche per le opere di difficile reperimento; numero dei documenti editi rag-gruppati per cinquantennio in un doppio elenco, uno per le edizioni integrali el’altro per i regesti; elenco delle regioni di riferimento dei documenti. Scopodella scheda è, dunque, descrivere oggettivamente carattere e contenuto dell’o-pera, non recensirla.

Si comprende bene la validità dell’impresa che riunirà l’intera produzionedocumentaria edita del medioevo italiano mettendo a disposizione di tutti unostrumento di lavoro che può diventare, si spera, un insostituibile punto di rife-rimento per le ricerche di natura storica, e non solo.

Il sottoscritto è il responsabile delle regioni Abruzzo e Molise. La prima èstata particolarmente prolifica di documentazione medievale e, in forza di ciò, itempi di ultimazione del lavoro non sono imminenti, mentre la seconda, vale adire il Molise, è prossima a vedere completata la minuziosa ricerca del reperi-mento delle pubblicazioni. All’inizio del lavoro di spoglio bibliografico nacque-ro alcune perplessità stante l’esiguità, come per la Basilicata, della documenta-zione medievale molisana. Il che non significa che non ci sia stata, a suo tempo,una produzione poi dispersa per molteplici cause. Se si eccettuano vari fondiarchivistici tuttora conservati nel territorio regionale recuperati e salvaguardatinegli ultimi decenni1 e altre pergamene conservate sia nel Molise – per fare unsolo esempio S. Cristina di Sepino, recentemente pubblicate2 – sia al di fuori,come quelle confluite nell’archivio dell’archicenobio di Montecassino3, era opi-nione diffusa che la gran massa di documenti editi riguardante il Molise medie-vale fosse contenuta principalmente nel Chronicon Vulturnense edito da VincenzoFederici tra il 1925 ed il 19384; a questo si aggiungevano un paio di volumi risa-lenti alla tradizione erudita regionale del sei-settecento, alcuni scritti prevalen-temente d’occasione e pubblicazioni varie di questo secolo5.

In realtà sono state compilate sinora poco meno di cento schede, pari adaltrettante opere, e non si dispera di poter incrementarne il numero. Un discre-to risultato se si considera quanto appena detto e la dispersione della documen-tazione medievale della regione.

1. Cfr. la relazione di DE BENEDITTIS R., Il recupero del patrimonio…, in questo stesso volume di Atti.2. P.S.C.S. …3. Cfr. la relazione di F. AVAGLIANO, Le pergamene di Montecassino…, in questo stesso volume di Atti

[n.di r.: testo non pervenuto] e qui nota 27.4. CV.5. Per un primo approccio con tali studi si rinvia a COLAPIETRA R., Temi e problemi …; ID., Tesi e

spunti …, 1992, 1, pp. 87-95, e ID., Tesi e spunti …, 1995, 1-2, pp. 39-50, e a D’ANDREA U., Gli studi sto-rici nel Molise …

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Il Medioevo 47

Le sedi di stampa dei documenti si sono rivelate le più svariate: tanto per fareun solo esempio, che riprenderò in seguito, il noto privilegio del 976 dei princi-pi di Capua e Benevento, Pandolfo I e Landolfo III, a Giovanni ordinato abate diS. Elena in Pantasia, dipendenza di S. Eustachio a sua volta soggetto aMontecassino, fu edito insieme con altri sei documenti d’età medievale, nel 1870,nel verbale del consiglio comunale di S. Giuliano di Puglia a sostegno di unavertenza tra il comune frentano e «l’amministrazione pel culto» a proposito dellacitata badia ubicata in quel territorio6.

Il Repertorio ha, dunque, riservato impreviste sorprese, sia di natura storico-archivistica sia più squisitamente diplomatistica: di alcune di esse come deicaratteri delle pubblicazioni reperite si vuole dare qui un’anticipazione, anche sesommaria e forse frettolosa, e tracciare alcune linee di carattere generale in atte-sa dell’uscita del volume, non potendo, in questa sede, affrontare nello specificoi vari problemi, soprattutto di natura diplomatistica. È preliminare conoscere unpo’ più da vicino, anche se in rapida carrellata, le pubblicazioni schedate edinterrogarsi su alcuni dei suoi contenuti.

Se si volesse con un solo, efficace esempio dare la dimensione esatta dellacarenza di edizioni locali di testi documentari e del ritardo con cui esse inizianoa comparire nel panorama della storiografia, non si troverebbe di meglio chericordare la lentezza, rispetto alle altre contermini regioni, con cui compare ilprimo libro stampato nel Molise. Si tratta della nota edizione, impressa nel 1644a Isernia per i tipi di Camillo Cavallo, delle Memorie historiche del Sannio del dot-tore e arciprete della cattedrale d’Isernia Gian Vincenzo Ciarlanti7. Sono nume-rose le citazioni di vari documenti molisani e non, tra cui quelli tratti dai registriAngioini oggi perduti, che attestano un lavorìo di natura erudita avviato nellaregione; però nelle Memorie è presente solo la trascrizione, per di più non com-pleta, del privilegio del 964 di Pandolfo I Capodiferro e Landolfo III principi diCapua e Benevento a Landolfo detto il Greco, conte d’Isernia, di concessionedella città con le sue pertinenze, documento conservato presso il locale archiviocapitolare.

Bisogna attendere ben cento anni per l’uscita, questa volta a Roma, di altreMemorie, nel titolo dichiaratamente storiche, civili ed ecclesiastiche di Larino a

6. Deliberazione del Consiglio Comunale ... Gli altri documenti sono: 1 ciascuno dei re di NapoliGuglielmo II a Pietro abate di S. Elena (a. 1179) e di Giovanna I a Gerardo abate (a. 1369), 1 del 1190di Giordano abate circa gli usi e le consuetudini degli uomini e dei vassalli del castello diMontecalvo, 1 del 1208 di Matteo de Molisio dominus de Castro Laureti circa una vertenza tra il mona-stero e la domus hospitalis di S. Giuliano, 1 del 1251 di Corrado IV imperatore (inserto) e 1 del 1256(sentenza) di Tommaso Gentile maestro giustiziere della R. Curia e Nicola de Tocco giudice dellastessa Curia. Questi documenti erano già conosciuti nella regione perché pubblicati sin dal 1744 daTria (cfr. infra nota 8). Nella Deliberazione sono trascritti altri quattro documenti datati tra il 1550 edil 1869.

7. CIARLANTI G.V., Memorie historiche del Sannio chiamato hoggi Principato Vltra, Contado di Molisi ...Nel 1823 a Campobasso, per i tipi di Onofrio Nuzzi, ne fu fatta una seconda edizione.

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cura del suo vescovo Giovanni Andrea Tria8 con la trascrizione di trenta docu-menti – compresi tre inserti –, alcuni dei quali regi e comitali nonché bolle papa-li e vescovili. Tra l’altro l’opera vuol far conoscere le fondazioni monastiche ubi-cate nel territorio della diocesi e descriverle con l’ausilio di adeguata documen-tazione. Gli orizzonti archivistici si ampliano: le pergamene di Montecassino,anche se per il tramite della Historia di Erasmo Gattula, e dell’arcivescovato diBenevento, i Registri vaticani, i processi della Camera della Sommaria, gli archi-vi della regia Zecca e del Delegato della real Giurisdizione di Napoli sono cono-sciuti ed utilizzati.

Le due opere si distinguono per due caratteristiche che le connotano: lamatrice ecclesiastica della qualità degli autori (rispettivamente arciprete evescovo) e l’utilizzo di documentazione tratta soprattutto dagli archivi capitola-ri locali. Purtroppo esse restano le uniche per il sei-settecento. Tra l’una e l’altrasi inserisce l’Italia Sacra del cistercense Ferdinando Ughelli il quale, con i criterid’edizione ben noti e sui quali non vale la pena soffermarsi, pubblica nove docu-menti inseriti nelle cronotassi dei vescovi delle diocesi molisane9.

Si dovrà arrivare al 1824 per leggere le memorie venafrane del canonico e teo-logo Gabriele Cotugno10 il quale pubblica un solo documento, del 1172, diAlessandro III a Rainaldo vescovo di Venafro. A questa si aggiungono, neglianni settanta e ottanta dello stesso secolo, tre pubblicazioni – due edite aCampobasso dallo stabilimento tipografico dei fratelli Colitti11 – di natura pre-valentemente giudiziaria e statistico-storica, riguardanti la già citata controver-sia che oppose il comune di S. Giuliano di Puglia all’«Amministrazione delFondo pel Culto»12. In esse non si aggiunge nulla di nuovo poiché si riutilizzadocumentazione già pubblicata precedentemente da Tria13.

La fine del secolo vede sì una diversificazione degli interessi ma l’esplorazio-

8. TRIA G.A., Memorie storiche, civili ed ecclesiastiche… La pubblicazione riporta pure il documentoregio del 23 agosto 1135 di Ruggero II ad Alberto abate di S. Maria de Melanico: sul monastero cfr.PIETRANTONIO U., Il Monachesimo Benedettino… , p. 447 n. 69 (le notizie riportate in questo lavoro sonoda prendere con molta cautela, come ha evidenziato PACIOCCO R., I benedettini e l’Abruzzo nel medioe-vo …, pp. 535-547); sul testo v. Rogerii II. regis diplomata latina ..., D 40 (d’ora in poi solo D Ro.II. segui-to dal numero del documento). Per alcune notizie biografiche sul vescovo Tria v. la premessa allaristampa delle Memorie realizzata a Isernia nel 1989 da Cosmo Iannone editore.

9. I volumi che interessano le diocesi del territorio molisano sono il VI (vescovato di Isernia) el’VIII (vescovati di Bojano, Guardialfiera, Larino e Termoli). In volumi comprendenti diocesi vicinesono pubblicati altri documenti: ad esempio quelli emanati dai conti di Loretello nella cronotassi deivescovi di Bovino.

10. COTUGNO G., Memorie istoriche di Venafro…11. Il Repertorio delle fonti vuol dare, pure, un piccolo contributo alla storia della tipografia moli-

sana dell’Ottocento sulla quale stanno indagando, da tempo, CASMIRO L. – DARDONE C. – PALMIERIG., Annali della tipografia Molisana dell’Ottocento…; v. pure DAMIANI P. – ARDUINO A., I periodici moli-sani del XIX e XX secolo…

12. Oltre alla Deliberazione cit. di cui alla nota 6, PAPPONE R., Sul Comune di Sangiuliano di Puglia …,e DE MARCO G., Per l’Amministrazione del Fondo pel Culto contro il Comune di S. Giuliano di Puglia…

13. Cfr. note 6 e 8.

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ne diretta degli archivi capitolari e locali, quale era iniziata tempo prima e costi-tuiva la base soprattutto del lavoro di Tria, sembra ora trascurata. Vanno segna-lati alcuni studi monografici che si occupano del giurista Andrea d’Isernia14, deirapporti tra il papato e la regina Giovanna I di Napoli15 e, soprattutto, diCelestino V in occasione del sesto centenario dell’elevazione al soglio pontificiosulla cui figura fiorisce una varia e diseguale letteratura riguardante purel’Abruzzo16. Sono degne di menzione le Considerazioni sulla città di Larino delbarone Giandomenico Magliano e pubblicate dal nipote Alberto17. Con esse siritorna a stampare a Campobasso presso i citati fratelli Colitti e si trascrive perintero documentazione attinta dai fondi dell’Archivio di Stato di Napoli, come iregistri della Cancelleria Angioina o i processi della Sommaria; i documentisono preceduti da un breve regesto, ma la dipendenza da Tria, per la documen-tazione più antica, riduce l’importanza delle fonti di questo studio.

Il secolo ventesimo inizia con due saggi di Gino Scaramella sulle carte anti-che di Campobasso18. Lo studio si rivela interessante per due motivi: i regestisono in latino ed in italiano con l’indicazione di confini, penalità, notaio, giudi-ce e testi – fatto nuovo nella edizione di fonti documentarie molisane –; il secon-do concerne gli archivi di Campobasso utilizzati, successivamente andati per-duti a causa dell’ultima guerra: si tratta in particolare di un registro di diplomiriguardante la città, già conservato presso il locale municipio, e due registri for-manti il diplomatico della chiesa di S. Giorgio presso la chiesa di S. Leonardo.

Sotto l’aspetto della documentazione dispersa il Repertorio delle fonti si sforza,dunque, di perpetuare, almeno, la memoria di archivi dati per perduti e, perchéno?, provare a recuperarne alcuni come l’archivio privato dell’avv. AlbertoPistilli – dov’è finito? – utilizzato da Scaramella.

L’attenzione nuova che potrebbe essere rivolta alla rilettura di documentiediti, ma perduti, proviene da alcune pergamene della precitata chiesa di S.Giorgio edite nel 1912 da Gasdia19. L’inventario dei beni di Nicola Ferracuto, ungrosso personaggio dell’epoca, stilato in diversi giorni dei mesi di novembre edicembre 1414 fa conoscere l’esistenza di una raccolta libraria abbastanza diver-

14. PALUMBO L., Andrea d’Isernia studio storico-giuridico…15. Si tratta dell’edizione di numerosi documenti attestanti i rapporti tra i papi Clemente VI,

Urbano V e Gregorio XI e la regina Giovanna I di Napoli: tra essi pochi riguardano il Molise. Cfr.CERASOLI F., Clemente VI ..., XXI, 1896, pp. 3-43, 227-264 e 667-707; ID., Urbano V ..., XX, 1895, pp. 72-94, 171-205, 357-394 e 598-645 e ID., Gregorio XI ..., XXIV, 1899, pp. 3-34, 307-328 e 403-427.

16. Bisognerebbe distinguere, ai fini di questa ricerca, l’attività svolta come pontefice da quella,precedente, di “molisano”, di eremita, di abate di S. Maria a Faifoli in diocesi di Benevento, di fon-datore e “capo” della congregazione monastica dei celestini. Solo una piccola parte della documen-tazione può riguardare direttamente il Molise sia per la persona nata nei pressi di Isernia (su tuttala relativa problematica v. GRANO A., I castelli di Pietro… e TULLIO R., La patria di Celestino V ... pp. 221-231) sia per le istituzioni ecclesiastiche o le località del territorio regionale.

17. MAGLIANO G., Considerazioni storiche sulla città di Larino…18. SCARAMELLA G., Alcune antiche carte …, e ID., Un privilegio aragonese a favore di Campobasso…19. GASDIA V. E., Il più facoltoso Campobassano del sec. XV, … Il brano riportato è a pp. 95-96.

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sificata: «librum unum legum incipientem “hoc Edicto permittitur ut sine iure”etcetera, decretalem unam, decretalem aliam, Priscianum minorem, librumunum iuris canonici, librum unum medicinalem, libros decem parvos in paginisbonnutis (sic), librum unum parvum “questionem regalium”, librum unum “desumma dictaminis”, breviarium unum antiquum, librum unum qui incipit “inprincipio creavit Deus” etcetera» oltre ad «arcam unam parvam plenam cartisbonuncibus (sic) et aliis cartis». Dal punto di vista della critica diplomatisticavanno segnalati l’indicazione numerica di tutti i righi di scrittura per ogni per-gamena, lo stato di conservazione, il tipo di scrittura, i caratteri intrinseci edestrinseci anche se questi ultimi ridotti a semplice tentativo di critica più che aduna disamina vera e propria. Questa, insieme con le pubblicazioni di Scaramellagià citate, costituisce un piccolo passo in avanti nell’ambito dei criteri di edizio-ne delle fonti documentarie: non ci si limita più alla pura trascrizione diploma-tica ma si cerca di corredarla con qualche nota di commento e con osservazionidi vario genere.

Seguono altri studi di scarso rilievo sul duomo di Termoli, sulla storia diCaccavone, su di una vertenza tra Venafro e Viticuso, sul feudo di S. Giacomodegli Schiavoni; vanno, però, segnalati quelli di don Mauro Inguanez sulle per-gamene dell’abbazia di S. Benedetto de Iumento albo di Civitanova del Sannio edi S. Spirito del Morrone20 e dei monasteri di Isernia, conservate aMontecassino21. È la prima volta che i documenti vengono studiati e pubblicaticon piena autonomia diplomatistica, vale a dire in una sezione ben individuatae separata della pubblicazione stessa anche se l’edizione, posta in appendice, silimita ad un regesto breve senza indicazione di data topica, notai e giudici, tran-ne quelli che si sottoscrivono in versi. Purtroppo rimane l’unico esempio di que-sto periodo poiché gli studiosi tornano a considerare il documento non nella suaindividualità diplomatistica e a studiarlo come tale ma lo intendono come diausilio e a supporto della ricostruzione prettamente storica. Pertanto non devemeravigliare troppo se esso è inserito nel corpo del saggio o nel discorso e, spes-so, confinato nelle note monco delle parti più importanti per la critica del diplo-matista, vale a dire il protocollo e l’escatocollo. In tal senso vanno valutate, tra lealtre, le ricerche del domenicano Pierro su Cercemaggiore e sul convento di S.Maria della Libera, di Campanelli su Capracotta, di Colozza su Frosolone. Altristudi sulla badia di S. Maria de Strata in agro di Matrice, su S. Maria in aqua vivadi Campobasso, su Agnone francescana o sulle figure di Celestino V e Andread’Isernia riportano, tra gli anni venti e trenta, i documenti, più opportunamen-te, in appendice alla monografia o all’articolo ma senza un’adeguata critica dicarattere diplomatistico.

20. Per una prima informazione v. PIETRANTONIO U., Il Monachesimo Benedettino …, rispettivamen-te p. 409 n. 25 e p. 420 n. 38.

21. INGUANEZ M., Le pergamene della Badia di S. Benedetto de Iumento albo di Civitanova, ..., anchein estratto a sé per lo Stab. Arti Grafiche Lazzeri di Siena con paginazione propria pp. 1-12, e ID.,Carte Medievali d’Isernia, con firme in versi ... pp. 144-150.

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Lo studio critico dei documenti molisani o indirizzati ad istituzioni ecclesia-stiche ubicate nel nostro territorio inizia negli anni venti, e continuerà nei decen-ni successivi, ad opera di tre benemeriti studiosi: Vincenzo Federici, EvelynJamison, Paul Fridolin Kehr ai quali non solo il Mezzogiorno d’Italia, ma l’inte-ro mondo degli studi dovrà essere sempre debitore.

Il primo dà conto tra il 1925 ed il 1938, nell’edizione in tre tomi del ChroniconVulturnense22, di duecentotredici documenti integrali e di altri ottantacinque inregesto, perduti o non trascritti, riguardanti la nota abbazia benedettina ed enti,persone, località della regione e di quelle confinanti. Anche se oggi si avverte l’e-sigenza di una riedizione del Chronicon condotta con metodologia più scaltrita,il lavoro rimane ancora fondamentale per l’indagine sulla documentazione pri-vata.

La seconda ha legato il suo nome allo studio dell’amministrazione norman-na dell’Italia meridionale. In alcune ricerche fondamentali, tuttora valide, sullacontea di Molise nei secoli XII e XIII, sui conti di Molise e Marsia negli stessisecoli, su tre lettere pontificie indirizzate agli ordinari di Capua e Isernia, su S.Maria della Strada, S. Maria della Noce e S. Salvatore di Castiglione23 offre esem-plari edizioni critiche, sistemate in appendice alle monografie.

L’esplorazione sistematica degli archivi regionali era stata avviata qualchedecennio prima da Kehr e dai suoi collaboratori, inviati sin nei più sperdutiarchivi, le cui relazioni erano iniziate a comparire, a fine Ottocento, nelleNachrichten von der König. Gesellschaft der Wissenschaften zu Göttingen e, poi, iregesti della documentazione anteriore a Innocenzo III nella poderosa operadedicata all’Italia Pontificia il cui ottavo volume, edito nel 1935, comprendeva lediocesi di Venafro e di Isernia mentre le altre sei (Larino, Termoli, Guardialfiera,Limosano, Trivento e Bojano) compariranno nel nono volume pubblicato nel1962 da Walther Holtzmann24.

Vengono in tal modo esplorate per la prima volta, o riscoperte dopo le eru-dite ricerche settecentesche di Tria, le raccolte conservate a Isernia e a Larinononché altri archivi capitolari come Bojano. La documentazione medievalemolisana viene così recuperata e studiata criticamente sia per il periodo più anti-co sia per i documenti dei papi, in regesto, sino a Innocenzo III escluso.

Negli anni successivi pochi sono gli studi che pubblicano documentazione

22. Cfr. nota 4. In questa sede è impossibile entrare nel dettaglio della documentazione pubblica-ta nel Chronicon.

23. Rispettivamente The Administration of the County of Molise …, XLIV, 1929, pp. 529-559 e XLV,1930, pp. 1-34 (traduz. in italiano di MASCIA G., L’amministrazione della contea di Molise …, pp. 112-193); I conti di Molise e Marsia nei secoli XII e XIII, in Convegno storico Abruzzese-Molisano…, pp. 73-178;Tre lettere pontificie del principio del secolo XIII …, pp. 73-81; Notes on Santa Maria de la Strada …, pp. 50-51, e The significance of the earlier medieval documents from S. Maria della Noce and S. Salvatore diCastiglione …, I, pp. 51-80.

24. Regesta pontificum romanorum. Italia Pontificia, iubente societate Gottingensi, congessit P. F.KEHR, VIII Regnum Normannorum-Campania, ..., pp. 238-241 e 242-254, e IX Samnium – Apulia –Lucania, ..., pp. 173-200.

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medievale e tutti di scarso rilievo ai fini del nostro discorso.Anche questa volta bisognerà attendere anni e arrivare al 1958 per una vera

edizione critica: si deve ad Armando Petrucci il quale rettifica la data cronica diun documento del XII e non del XI secolo e, l’anno successivo, pubblica i docu-menti di Roberto di «Bansuvilla», II conte di Conversano e III conte diLoretello25.

Dagli anni sessanta inizia un’altalena nel “tipo” di pubblicazioni: a edizionidovute prevalentemente a diplomatisti, o paleografi, di professione, non moli-sani di origine, si alternano monografie e saggi che, pur pubblicando varia docu-mentazione tratta da archivi molisani e non, privilegiano la ricostruzione stori-ca delle vicende di un territorio (Gentile sul Sannio Pentro), di una dinastia(Morra sui conti longobardi e sui signori feudali di Venafro nonché sulla fami-glia Pandone), di un centro (ad es. Gasdia su Campobasso, A. Di Iorio suPietrabbondante, Turco e Mattei su Isernia, Valente e Testa su Venafro), di uno opiù monasteri (E. Di Iorio sulla badia di S. Elena di S. Giuliano di Puglia, LaGamba sui monasteri benedettini), di un monumento (Ciampitti e Viti sulla cat-tedrale d’Isernia), o di un personaggio (Arduino su Giacomo Caldora) oppure diaspetti particolari (Morra sui vescovi venafrani del periodo avignonese).

La ricerca locale che più si è avvicinata, almeno nelle intenzioni dichiarate neltitolo, ad una corretta critica è il volume di Angelo Viti del 197226. Nonostante gliarchivi dei capitoli di Isernia e Larino e quello di Montecassino siano ben cono-sciuti, l’edizione di diciassette documenti in buona parte noti, in appendice, silimita alla pura trascrizione; solo nel corpo dello studio si rintracciano schede dicommento storico con misure della pergamena e definizione della scrittura.Inoltre la particolare struttura del volume con continui rinvii e con notizie diriferimento che obbligano il lettore a spostarsi continuamente da un capitoloall’altro rendono difficile, forse arduo, l’utilizzo delle informazioni, non sempreesatte, facendo risultare ancora meno utile il volume.

Ritornando all’altro “tipo” di pubblicazioni si notano, finalmente, un’atten-zione maggiore ad un corretto approccio con il documento e la cura con cuiviene edito rispettando i più aggiornati metodi di edizione. Viene pure rivolto ildovuto interesse a singoli fondi archivistici o a corpora, piccoli o grandi, riguar-danti determinate istituzioni o personaggi di rilievo. Sono così pubblicate lecarte antiche di S. Spirito d’Isernia conservate a Montecassino27, i documenti deiconti di Loretello nell’archivio capitolare di Bovino28, alcuni documenti degliarchivi capitolari di Isernia e di Troia29 mentre documentazione perduta in ori-

25. PETRUCCI A., Fortune e sfortune di un documento molisano del XII (e non dell’XI) secolo …, pp. 497-511, e ID., Note di diplomatica normanna. I: I documenti di Roberto di Bansuvilla, II Conte di Conversano eIII Conte di Loretello …, pp. 113-140.

26. VITI A., Note di diplomatica ecclesiastica …27. AVAGLIANO F. , Le più antiche carte di S. Spirito d’Isernia nell’Archivio di Montecassino …, pp. 46-

71.28. SALVATI C., I documenti dei conti di Loritello nell’Archivio Capitolare di Bovino …, pp. 189-209.

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ginale viene recuperata mediante la pubblicazione di inventari o elenchi antichicome nel caso dei Regesti fatti compilare ai primi del seicento dal vescovoFulgenzio Gallucci per la diocesi di Bojano30.

Non va taciuto, infine, che documentazione inedita di varia provenienzaarchivistica, anche se inserita come appendice a saggi di carattere storico, iniziaad essere pubblicata nell’«Almanacco del Molise»31.

Nel frattempo l’operosa attività della Sovrintendenza Archivistica per ilMolise, autonoma dal 1993, e dell’Archivio di Stato di Campobasso ha conse-guito eccellenti risultati nell’esplorazione e nella tutela di numerosi archivi dellaregione. I due istituti hanno promosso pure iniziative culturali: di alcune resta-no i cataloghi delle mostre tra cui quello sui documenti della vita comunale ovesi leggono – e la cosa non è frequente in tale genere di pubblicazioni – la defini-zione diplomatistica, in latino, dei documenti più antichi e la presenza del sigil-lo32.

La strada verso la conoscenza approfondita del contenuto degli archivi e l’u-tilizzo scientifico della documentazione era ormai aperta anche grazie all’appor-to dato da studiosi italiani e non e all’uso più corretto, rispetto al passato, dei cri-teri di edizione delle fonti documentarie. In tale direzione si segnalano i recentistudi sulle pergamene della parrocchia di S. Cristina di Sepino e di S. Spiritoconservate a Montecassino33.

Terminata la carrellata, di cui si è fatta menzione all’inizio, conviene ricorda-re qualcuno dei documenti quali li leggiamo nelle pubblicazioni citate ed evi-denziare alcuni aspetti, anche se di carattere generale per i motivi già esposti,meritevoli di essere segnalati.

Oltre a quanto si trova nel Chronicon Vulturnense una certa prevalenza siriscontra nel numero dei documenti pubblici rispetto ai privati, forse perchél’importanza del loro contenuto – concessioni di beni, esenzioni, immunità, pri-vilegi vari – ne ha assicurato una migliore custodia nel tempo.

Il più antico sarebbe il supposto diploma del 639 o 640 di Giovanni (IV?)papa a Landenolfo conte isernino sullo ius della pieve di S. Maria d’Isernia:

Joannes Papa hisce suis litteris plumbatis confirmat Landinolfo Comiti Aeserniensijus in plebem S. Mariae ejusdem civitatis. Landulfus nemque cognomento Graecus, etGemma illius uxor Comites Ysergae intra eandem civitatem, ac juxta Fontem Sancti

29. SALVATI C., Note su alcuni documenti degli archivi capitolari di Isernia e di Troia …, pp. 67-90.30. I Regesti Gallucci …31. La prima annata risale al 1969. Pur trattandosi di una pubblicazione dal valore diseguale –

comprende anche un’agenda e numerose pagine di pubblicità commerciale –, contiene vari articoliutili ai fini di questa ricerca (La Gamba, Viti, Morra, ecc.): per il momento v. DE BENEDITTIS R. –PALMIERI G., Guida ragionata alle 25 edizioni dell’Almanacco del Molise 1969-1993…, e Catalogo storicoNocera…, pp. 84-102.

32. Documenti di vita comunale: Il Molise nei secoli XII-XX. Catalogo della mostra …33. Cfr. qui nota 2 e Le carte di S. Spirito del Morrone, vol. I …

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Joannis Baptistae, nutu Dei gratia Aricis aedificavit Ecclesiam vocabulo S. Mariam,eamque in plebem erectam dotavit suis propriis bonis, quae postea cum diminutionisapprobrium passa esset, a Landenulfo Landolfi filio Ysergae etiam Comite fuit restaura-ta, quapropter Joannes Papa decrevit, ut idem Comes cum suis … dominium in eandemEcclesiam haberet, ibique ad regendum servitores potestatem exerceret, secundumDeum, Ecclesiasticam ordinationem, ut servitium Dei augeatur et crescat.

Decernit etiam, ut Episcopus Ysergae nihilominus de rebus ornamentis ipsius prae-fatae Ecclesiae S. Marie imminuere praesumat, vel inde accipere audeat. Si, quod nonoptamus, in alicujus malae opinionis piaculo servitores ipsius Ecclesiae deprehensi fue-rint ab Episcopo ipsius civitatis, regulariter instituimus corrigendos. Quod si quispiamcontra haec tentare praesumpserit, auctoritate Apostolica decernimus primum quidem,ut sui ordinis gradu privetur, atque nota majoris ultionis mulctetur, partem cum Judatraditore habeat … participatione Corporis et Sanguinis D.N.J.C. privetur … .

Charta haec nostrae diffinitionis firma permaneant … scriptum per manum …Notarii … in mense Octob. Indic. 13. Benevalete.

Chordula alligata hujus originalisDiplomati, serica est auri et rubri

Coloris.

La tradizione fortemente guasta – ci sarebbe pervenuto sotto forma di para-frasi –, il formulario a dir poco sospetto e alcune contraddizioni interne fannofondatamente credere che esso non sia mai uscito dalla cancelleria papale34.

Vengono ripetutamente editi i documenti del 964 di Pandolfo I e Landolfo IIIprincipi di Capua e Benevento a Landolfo detto il Greco, figlio del fu Landenolfofiglio di Atenolfo II principe, conte d’Isernia, di concessione della città con le suepertinenze, e del 976, già citato, degli stessi principi a Giovanni ordinato abatedi S. Elena in Pantasia, le bolle di Lucio III ai vescovi di Larino e di Isernia circai confini delle diocesi, e i capitoli della frataria di Isernia confermati dal vescovoRoberto nel 1289 conosciuti attraverso una copia semplice del sec. XVI.

Dei documenti anteriori all’anno 1000 sono conosciuti quelli dell’878 diAdelchi principe di Benevento al monastero di S. Sofia di Benevento, tramanda-to nel Chronicon di questo, con la prima menzione di Campobasso: «concedimus[…] in monasterio Sancte Sophie omnes illas dationes vel pensiones quascum-que servis predicti monasterii Sancte Sophie ex finibus Campibassi et ex finibusBiffernensibus ad gastaldos vel iudices ex ipsis castellis seu locis persolveredebuerunt per malam consuetudinem […]»35 e del 946 di Agapito II il quale, susollecitazione di Giovanni vescovo di Benevento, scomunica Leone e Benedettovescovi intrusi di Trivento e Termoli.

Molto utilizzati anche i documenti dei detentori delle contee longobarde e

34. Mi sono servito del testo riedito da VITI A., Note di diplomatica ecclesiastica ..., pp. 341-342.35. Mi sono servito di GASDIA V. E., Storia di Campobasso,… I, pp. 213-214, il quale cita: «Cod. Vat.

Latino 4939 folii 27v., 57r. e v. Chronicon Sancte Sophie».

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Il Medioevo 55

degli esponenti della famiglia del conte Borrello, dei de Molisio, dei conti diMolise, Celano e Alba e dei conti di Loretello.

Potrebbero rivelarsi interessanti, dopo un’accurata indagine in sede di diplo-matica speciale per accertare se si tratta di documentazione semipubblica, gliatti del secolo XIII emanati in nome dei vescovi di Termoli, Guardia, Larino eIsernia, anche se il loro numero, veramente esiguo, non lascia speranze per unpositivo risultato.

L’incisiva presenza dell’ordine benedettino soprattutto lungo il MedioSangro e l’Alta Valle del Trigno e la benevolenza ricevuta da conti e principi lon-gobardi prima e dai normanni poi costituirono la base delle loro fortune econo-miche e arricchirono di numerosi privilegi i loro archivi, oggi dispersi in altre,lontane sedi. Per non rifarmi al caso più famoso: S. Vincenzo al Volturno, appa-re esemplificativo quello di S. Pietro Avellana, costruito da s. Domenico da Sorasecondo Alberico da Montecassino, oggetto di particolare attenzione deiBorrello, donato a Montecassino nel sec. XI. Il monastero ebbe alle sue dipen-denze un discreto numero di chiese, ubicate finanche in Abruzzo come S.Comincio nel chietino e S. Maria di Pescocostanzo36. Di esso rimangono un codi-ce intero (cod. Casin. 465), due frammenti di codici smembrati e l’inventariodella biblioteca del 127137 i quali sono rari testimoni della cultura che circolava,pure in Molise, tra monasteri e priorati dell’ordine. Tra questi ultimi emergonodalla documentazione superstite S. Maria de Valle Anglonis olim de Nuce, S. Nicolain Vallesorda, S. Lorenzo di Agnone, S. Eustachio ad arcum di Pietrabbondante,S. Pietro del Tasso di Carovilli, S. Benedetto de Iumento Albo di Civitanova delSannio38.

A questo punto giova ricordare i tre documenti di re Ruggero II (1130, 1132,1135) indirizzati, rispettivamente, agli abati dei monasteri di S. Maria de Nuce indiocesi di Trivento, di Montecassino e di S. Maria de Melanico in diocesi di Larino.Mentre l’ultimo è documento autentico anche se interpolato, gli altri due sonodimostrati falsi da Brühl nella sua edizione critica dei diplomi della cancelleria delsovrano39. A tal riguardo spiace dover constatare che tuttora ci si attardi, nelle pub-blicazioni regionali, a ripetere stancamente il testo di tali privilegi da precedentiedizioni malsicure e a ignorare il lavoro dello studioso tedesco.

36. Per una prima informazione v. PIETRANTONIO U., Il Monachesimo Benedettino ..., p. 457 n. 80.37. Rispettivamente INGUANEZ M., Codicum Casinensium …, pp. 104-105, tav. II/1; ID., Frammenti

di codici abruzzesi …, pp. 272-281: 274-275, e ID., Catalogi codicum Casinensium antiqui …, pp. 68-69.

38. Per una prima informazione v. PIETRANTONIO U., Il Monachesimo Benedettino ..., rispettivamentepp. 390 n. 6, 399 n. 16, 387 n. 2, 439 n. 61, 400 n. 17 e 409 n. 25.

39. Cfr. BRÜHL CR., Diplomi e cancelleria di Ruggero II …, pp. 141 e 159-164 per il doc. del 1130 (DRo.II. †15) (per S. Maria de Nuce v. pure JAMISON E., The significance of the earlier medieval documentsfrom S. Maria della Noce and S. Salvatore di Castiglione ... cit. qui a nota 23), e pp. 140-143 e 160-164 peril doc. del 1132 (D Ro.II. †21), cfr. Archivio Paleografico Italiano, t. XIV, a cura di F. Bartoloni, A. Pratesiet al., ..., fasc. 60, tav. I. Il doc. del 1135 (D Ro.II. 40) era conosciuto nella regione sin dai tempi di Tria:cfr. qui nota 8.

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56 I Beni Culturali nel Molise

L’altro monastero benedettino di una certa importanza, in provincia diCampobasso a differenza degli altri or menzionati ubicati in provincia diIsernia, è S. Maria di Canneto, costruito sull’orlo del letto del fiume Trigno neipressi di una villa romana con necropoli del sec. III d.C. circa, oggi nel territoriodi Roccavivara, mancante di una sicura edizione di documenti nonostante inumerosi studi dedicati alla sua storia40.

Tra la documentazione regia, inoltre, è molto utilizzata quella dei sovraniangioini e aragonesi di Napoli, conosciuta dagli studiosi tramite la lettura diret-ta, prima della distruzione di essa nel corso dell’ultima guerra, o attraverso lamediazione di altri studi.

Circa i falsi il tempo a disposizione non consente un’analisi particolareggia-ta. Tra i conclamati documenti falsi o tra quelli fortemente indiziati si distingueil dossier preparato nel 1330 dal vescovo di Venafro Giovanni de’ Goreo (o deTocco) per rivendicare l’unione della chiesa isernina a quella venafrana; in real-tà i voti della popolazione isernina erano per la realizzazione dell’inverso. Ilvescovo de’ Goreo chiese a Roberto di Leone da Venafro e Matteo da Teramo di«falsificare vari documenti in pergamena, gli uni corroboranti gli altri» con iquali si sarebbe fatto credere al papa Giovanni XXII che l’universitas ed il capi-tolo cattedrale d’Isernia richiedevano l’unione della cattedra di S. Poltino all’al-tra venafrana. Il vescovo si spinse oltre, inoltrando a Roberto re di Napoli ed allamoglie Sancia similari apocrife petizioni supplicandone la regia approvazione.Ma l’arcivescovo di Capua fece in tempo a bloccare il latore dei documenti falsi-ficati, Tommaso Nigri arciprete di Venafro, nel viaggio alla volta di Roma men-tre il re ordinò al reggente della Vicaria un severo giudizio a carico dei falsifica-tori41.

Sotto l’aspetto della cultura in senso lato, oltre alla già citata raccolta di codi-ci messa insieme da Nicola Ferracuto, vale la pena ricordare almeno un esem-pio, molto significativo. Nella Campobasso del 1287 esisteva una scola condottaprivatamente. Ugo de Molisio, signore di Campobasso, nel considerare «grataservitia et accepta que dompnus Benedictus Roggerii de Stulto, vassallus nosterde Campobasso nobis contulit docendo et tenendo Guillelmum filium nostrumbastardum in scola sua», dona due vigne e un pezzo di terra, site in

40. Per una prima informazione v. PIETRANTONIO U., Il Monachesimo Benedettino ..., p. 444 n. 68. Ades. FERRARA V., L’epopea storica di S. Maria di Canneto …, pp. 305-414, non fa altro che riprodurre anchetipograficamente, in anastatica (!), i regesti già pubblicati da Kehr nell’Italia Pontificia e da Leccisottinei Regesti delle pergamene di Montecassino. Lo stesso A., nel voluminoso Canneto sul Trigno,… pp.469, preferisce la ricostruzione delle vicende storiche.

41. Ho riassunto quanto riportato da VITI A., Note di diplomatica ecclesiastica ..., pp. 259-260. L’A.aggiunge: «Nel registro angioino troviamo l’ordinanza di re Roberto, anch’egli in un primo tempocredulo delle lettere inviategli, al Reggente la Curia della Vicaria […]»; in realtà Viti ripete prece-denti citazioni – l’archivio angioino è andato perduto a causa degli ultimi eventi bellici del 1943 – enon fa riferimento a documentazione locale (archivi capitolari di Venafro o di Isernia) o romana(Archivio Segreto Vaticano). Sulla stessa linea anche MATTEI A.M., Isernia: una città ricca di storia, vol.I, …, pp. 239-240 e TESTA G., Venafro nella storia, II, …

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Campobasso, ai fratelli Nicola, Roberto e Benedetto nipoti del predettoBenedetto42.

Il Molise, dunque, quale risulta dalla schedatura sin qui effettuata, sembracaratterizzato da un duplice fenomeno. Assoluta prevalenza della documenta-zione ecclesiastica per cui è lecito parlare quasi di “monopolio” ecclesiastico,vale a dire che la documentazione è in funzione degli enti ecclesiastici quali chene siano gli autori. Ciò è particolare per il Molise – ma pure per il resto dell’Italiameridionale – poiché, a differenza di quanto è avvenuto per altre regioni comequelle del Nord, l’egemonia della tradizione ecclesiastica continua pure per ilbasso medioevo, in un’epoca durante la quale la produzione documentariadiventa, invece, molto più diversificata, specie in ambito laico43. Il secondo feno-meno riguarda la limitata dimensione quantitativa della documentazione: qui ladispersione è stata, evidentemente, molto più accentuata che non in altre regio-ni. Per aprire nuove “piste” bisogna, allora, rifarsi agli archivi locali, quelli nonecclesiastici per intenderci, che possono ancora riservare imprevedibili scoperte.Su questa strada si può mettere in preventivo un salto di qualità della storio-grafia regionale. Bisogna, però, valorizzare adeguatamente la documentazionedel passato remoto e interrogarsi sui vari aspetti della vita quotidiana quale puòessere recuperata dalla lettura dei documenti privati (in particolare testamenti econtratti agrari). I risultati preventivati possono essere raggiunti solo grazie aduna capillare opera di esplorazione archivistica e di promozione culturale,soprattutto nel campo del rinnovamento degli studi storici “locali”: su questastrada l’Archivio di Stato di Campobasso si è incamminato da anni, conseguen-do brillanti risultati44.

42. SCARAMELLA G., Alcune antiche carte di Campobasso … p. 26. Cfr. qui il testo corrispondente allanota 18.

43. Per tali caratteristiche rinvio a CAMMAROSANO P., Italia medievale. Struttura e geografia delle fontiscritte …, in partic. pp. 113 ss..

44. Sulle iniziative culturali promosse dall’Archivio di Stato cfr. D’ANDREA U., Gli studi storici nelMolise ..., pp. 315-324.

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LE PERGAMENE DI BENEVENTORELATIVE AL MOLISE

Vincenzo MateraUniversità degli Studi ”La Sapienza” Roma

Il titolo della relazione che appare nel programma ufficiale è un pochino piùdi quello che farò e un pochino di meno, nel senso che come avrete potuto ascol-tare stamattina, chi studia le pergamene molisane conservate a Benevento inrealtà si deve porre il problema che queste pergamene sono totalmente conser-vate nell’archivio di Santa Sofia di Benevento, archivio che ha subito una serie didivisioni: la maggiore si trova presso il museo del Sannio in Benevento città,un’altra parte è tornata presso la villa Aldobrandini di Frascati (nella sala dellavilla c’è una bellissima panoramica ma non è riscaldata in inverno), infine un’ul-tima parte costituisce due cartelle conservate nella biblioteca apostolica vaticanadi Roma sotto i numeri Vaticano latini 13490-13491. Non ho ultimato lo studiodell’archvio; potrei addurre delle scusanti oggettive a questa mia mancanza, cioèil fatto che il museo del Sannio è stato chiuso per urgenti lavori di restauro; aluglio [n.r. 2000] i lavori erano terminati ma le pergamene non erano ancora tor-nate e che l’archivio Aldobrandini è accessibile solo per appuntamento una mat-tinata a settimana. In realtà non ho avuto tempo perché sto terminando, sotto laguida del prof. Vittorio De Donato e insieme al mio collega Antonio Ciaralli, l’e-dizione delle pergamene della capitolare di Benevento fino al 1200 [n.r. edite nel2003]. Sicuramente nella biblioteca capitolare di Benevento e anche in altre fontiminori come quello di San Vittorino conservato nel museo del Sannio non risul-tano pergamene rogate in Molise.

Il catalogo delle pergamene che ho stilato è così composto: 1 - Boiano: quattro pergamene che si riferiscono ai sec. XI e XII, 2 - Limosano: tre pergamene; 3 - Lupara: una pergamena; 4 - Bosco Redole: una pergamena;5 - Sepino: undici pergamene; 6 - Toro: due pergamene; 7 - Trivento: ventidue pergamene (la presenza più interessante) rogate, cui

vanno aggiunte due rogate nel casale di Sant’Agnello;8 - Venafro: una pergamena.

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In totale sono 49. Tenuto conto che le carte sofiane fino al XVI sec. sono circa340, la percentuale non è piccola ed avvalora la ricostruzione del prof. Martinche si basava sui documenti pubblici trascritti nel chronicon di Santa Sofia. Cisono pergamene pertinenti prettamente il Molise che non sono state rogate inlocalità molisane, ad es. la pergamena del luglio 1059 conservata sotto il nume-ro sei edita in appendice recentemente al saggio di Cuozzo e Martin [n.r. Le per-gamene di S. Cristina di Sepino (1143-1463), Roma 1998].

Entro qualche anno la situazione sarà superata abbondantemente perché lepergamene di Santa Sofia troveranno una loro edizione fino al 1267, però di per-gamene ve n’erano molte: dei documenti precedenti l’anno 1000 trascritti nelchronicon di Santa Sofia sono rimasti solo due originali; dobbiamo concludereche quest’archivio deve essere caduto in desuetudine, che la sua parte più anti-ca sia stata abbandonata.

Quando dico che i documenti dovrebbero essere molti di più mi riferisco allaparte che è rimasta, cioè al periodo cronologico che c’interessa, perché ad es. inun articolo intitolato ”Chiese, feudi dell’abbazia benedettina di Santa Sofia diBenevento del XIV sec.” apparso in Samnium nel 1964 si estraggono una serie dinotizie interessanti (molte non sono note) da volumi conservati in archivio sto-rico provinciale nel museo del Sannio e si riferiscono a diverse platee tra cui l’an-tiqua che è una platea di notizie del XIV sec., che è stata rinvenuta tra i volumidella sua biblioteca personale donati al museo del Sannio ma non ancora perve-nuti in biblioteca oppure alle quattro platee di notizie numerate come undicesi-ma, diciottesima, diciannovesima e ventesima cui attinge molte notizie al cosid-detto repertorium di Santa Sofia, che dovrebbe essere il manoscritto ventuno delfondo documentario dei codici di Santa Sofia stessa nonché la cosiddetta visitadei corpi dell’insigne badia di Santa Sofia del 1694 come manoscritto trentano-ve. Per una serie di motivi non sono mai riuscito a vedere questi manoscritti, l’ar-chivio del museo del Sannio non ha inventariazione più recente dell’esempio del1709; avendo provato a chiedere volumi recanti le segnature, mi sono trovato sultavolo una foto di cabreo delle case urbane cedute in locazione da Santa Sofia nelXVI e XVII sec., per cui temo che, finché non risolveremo questo problema eavremo dei riscontri oggettivi, si troveranno diverse difficoltà.

Lasciatemi tornare all’unica cosa salda che io posseggo e cioè alle 49 perga-mene; tra queste pergamene trovo 35 donazioni o conferme di donazioni; essen-do un fondo documentario monastico non ci lascia sorpresi, ma al numero vasottratta almeno una pergamena rogata nel febbraio 1079 a Trivento che è giun-ta tra le carte sofiane in quanto munimen e comunque attesta una donatio intervi-vos tra zio e nipoti; trovo anche quattro locazioni o concessioni, non tutte opera-te da Santa Sofia, trovo sette memoratoria o cartule di composizione di liti, trovopoi un iudicatum e una permuta. Il numero delle pergamene che ho elencato è48; manca una pergamena di Trivento del 1160 che richiederà per la sua letturalunghissime ore. Non voglio dilungarmi su questo tipo di fondazione religiosa,posso solo accennare al fatto che lo studio delle pergamene della capitolare diBenevento coeve mi dà per esempio per una fondazione come quella di una cat-

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tedrale percentuali e tipologie documentarie completamente diverse, per cui c’èda chiedersi se l’archivio della cattedrale di Benevento non sia servito da archi-vio di deposito di pergamene di privati, perché ci si trovano dentro dei docu-menti para giudiziari pertinenti doti che non hanno denaro, per cui non hannomotivo di essere in un archivio ecclesiastico. Va detto che di queste 49 pergame-ne non tutte sono genuine, sicuramente falsa e neanche abilmente falsificata è lapergamena del 1090 agosto con la quale Robertus confermerebbe a Santa Sofia ladonazione del castrum di Toro, peraltro il gemello di quello ricordato dal prof.Martin del 1092 trascritto nel chronicon di Santa Sofia; rispetto a questo docu-mento non è tanto la paleografia a spaventare, anche se la scrittura riporta al XIIIsec., quanto una serie di errori che l’inabile falsario del documento produce: undocumento che, si ricordi, dovrebbe essere del 1090; l’azione giuridica si svolge-rebbe di fronte a un certo Nicolaus de Campobasso del 1090, il documento stessosarebbe rogato da un Riccardo arciprete di Campobasso che trova il tempo diaffiancare al suo ufficio di arciprete quello di apostolica et imperiale auctoritatenotarius; assistono all’azione giuridica un gruppo di signori di località molisaneche vanno da Gissi a Montecatello ignoti alla prosopografica normanna dell’e-poca, per continuare la sanctio e stabilita in cento libbre d’oro assegnate per metàalla curia di un dominus rex che non ci sarà in Italia meridionale ancora per 40anni; il documento stesso viene definito strumenctum donationis e una secondavolta publicum strumentum. Tutte queste considerazioni fanno totalmente esclu-dere la dipendenza da un documento genuino, il falso deve essere stato costrui-to attraverso una più che labile memoria documentaria e io credo che la giusti-ficazione del falso stesso sia stata la definizione esatta dei confini, questa confi-nazione fa la gioia degli studiosi della topografia molisana, c’è però un proble-ma: c’è da stabilire se questa topografia sia basso-medievale oppure una topo-grafia del XII sec. perché questo documento è imparentato con il falso del 1092trascritto nel chronicon di Santa Sofia e vi è imparentato proprio nella confinatio,il chronicon di Santa Sofia, nella sua parte principale, è stato scritto intorno al1118, per cui il problema è aperto. Da ultimo questo è l’unico documento in cuisi identificano Robertus de Principatu con Robertus filius Prostaini, come abbiamovisto nel ricordo dell’autore dell’azione giuridica. Alla luce di quanto detto sopraquesta identificazione va assolutamente respinta e i due personaggi devono tro-vare due indipendenti esistenze. Colgo l’occasione per confermare l’autenticitàdel documento rogato a Boiano forse nel 1093 o anche nel 1108 con cui lo stessoRobertus filius Prostaini dona il castello di Archipresbitero alla chiesa di SanPietro sita nel medesimo castello; il documento però è gravemente danneggiatoed è secata la prima linea del testo privandoci della lettura dell’anno dell’era diCristo; ci rimane solo l’anno della cifra in dizionale, il documento è in pessimecondizioni e non è possibile restituirne il testo in maniera estensiva. È genuinoil documento del 1110 gennaio di Robertus filius Prostaini rogato a Benevento concui Roberto dona a Santa Sofia San Marco di Campolieto e le restituisce uncampo sito presso le vigne della chiesa di Santa Lucia di Campolieto.

Un altro documento sospetto è dell’ottobre del 1090 ed è stato rogato a

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Trivento, e sospettabile di essere una copia semplice in forma di originale; si trat-ta della donazione da parte di Giovanni di tutti i suoi beni siti in Pietrafitta almonastero Santi Angeli qui de Apruzzi vocatur; è l’unico caso di documentazionecosì risalente in cui Sant’Angelo (= Sant’Agnello; l’intitolazione della chiesa èambigua) venga definito de Apruzzi, dizione piuttosto tarda. Ci sono una serie diconsiderazioni diplomatistiche che fanno pensare a una copia imitativa interpo-lata. Termino questo piccolo excursus su falsi o copie nella documentazione moli-sana conservata nei fondi già sofiani per difendere, in contrasto con i proff.Cuozzo e Martin, l’autenticità del documento con cui Roberto, conte di Boiano,conferma nel novembre 1118 le donazioni a Santa Sofia di Benevento, nel sensoche i professori segnano con dubbio l’originalità del documento stesso; credoche questo sia per le sue caratteristiche paleografiche: il documento è scritto inuna minuscola notarile di derivazione carolina, se si riflette che il documentostesso è stato rogato, scritto da un certo Gentile, il quadro si può ricomporre;diventa una spia interessante del mutato approccio al problema della produzio-ne documentaria e anche della strategia grafica dei normanni. Credo che sipossa dividere approccio alle tematiche documentarie e ai problemi grafici deiNormanni nell’Italia meridionale in due momenti: il primo momento è quellodell’arrivo e dell’insediamento in cui, a parte il caso della cancelleria ducaled’Apulia, in realtà c’è un’osmosi: i signori normanni utilizzano il ceto professio-nale esistente, e il ceto professionale scrive in minuscola documentaria bene-ventana, invece, quando l’insediamento si è rafforzato, mi pare di scorgere indi-zi di un mutato atteggiamento: si iniziano ad importare (l’educazione locale ètutta fatta di notai che scrivono in beneventana) professionisti esterni, tra cuipotrebbe essere questo Gentilis. Per quello che riguarda il formulario delladocumentazione non si possono cogliere sostanziali difficoltà rispetto al tipomeridionale longobardo; peraltro esiste una sostanziale notorietà della docu-mentazione sannita che vede come suo forte polo di attrazione Benevento; que-sto è stato riscontrato in parte per la Capitanata che eppure conserva nel formu-lario alcune differenze. È difficile rispetto ad un campione documentario cosìscarso fare ipotesi, certamente smentite alla dura prova dei fatti; mi azzardo afare qualche considerazione per quanto riguarda Trivento che ci conserva undiscreto numero di pergamene; a Trivento si può constatare un certo grado diconservatorismo nel notariato locale sia nel dettato che nell’ortografia che nellascrittura; una cosa che si nota particolarmente è che a partire dal 1044, che è ildocumento più antico, fino al 1183, che è l’ultimo documento, tutti i locatoriappaiono ben qualificati professionalmente, nel senso che sono tutti quanti iudi-ces et notari; questo vuol dire qualcosa, non so se si riferisce alla scarsezza inTrivento di operatori in grado di scrivere documenti giuridici o se non si riferi-sca a una scuola locale, a una tradizione che continua e che è tutta da valutareanche nell’ottica dell’istituzione di questa figura, assolutamente affascinante cheè il giudice ai contratti. Noto anche nella documentazione molisana una certareticenza ad apporre quei riferimenti espliciti alla lex langobardorum che è nor-male sia nella documentazione Sannio-beneventana che della Capitanata, mi

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riferisco alla procedura di inquisito della donna che cede il possesso anche qua-lora debba dare il suo assenso in quanto proprietaria pro indiviso; peraltro tra ivari casi c’è un esempio di conservatorismo nella documentazione del ceto nota-rile di Trivento, la trovo nel fatto che Trivento conserva gli unici due brevia moli-sani nella documentazione sofiana e questi brevia hanno la particolarità del tuttoarcaizzante di essere non datati come i brevia altomedievali. Il primo potrebbegiustificarsi per motivi interni (la mansione di una delle parti, Dodo abate diSant’Agnello, non è ancora sottoposta a Santa Sofia di Benevento e Dodo lo vedooperare nelle pergamene tra il 1080 e 1100); il problema è che invece il secondodi questi brevia non datati risale al pieno XII sec. in quanto ci è attestata la pre-senza di un Tancredi, preposito sofiano di Sant’Agnello, e ricordo che il primopreposito di Sant’Agnello a noi noto Ogdo si incontra a partire solo dal 1134.Ovviamente devo precisare che, quando a Benevento si incontrano brevia (moltoraramente), sono quasi subito sostituiti dai memoratoria e questi sono regolar-mente datati.

In maniera del tutto fortuita ho potuto rinvenire tra le carte di famiglia dellafamiglia Aldobrandini un documento di Montenero di Bisaccia del 1013 che èmunimen del documento 10 del 1024 marzo stampato da Armando Petrucci nelcodice diplomatico tremitense, con la piccola particolarità che questo documen-to è originale, mentre il documento di cui munì la donazione a San Giacomodelle Tremiti è invece conservato in copia, e riveste particolare importanza per-ché rientra nel novero dei documenti originali pervenuteci di Santa Maria delleTremiti, questo mi avrebbe suggerito anche una possibile soluzione all’enigmadella migrazione a Roma delle carte sofiane poi pervenute in archivioAldobrandini.

N.R. È qui pubblicata la registrazione, non rivista dall’autore, della relazione tenuta a braccio. Salvo inter-venti redazionali di carattere formale, il testo non ha subito modifiche.

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PER UN “CODICE DIPLOMATICO” MOLISANOFINO AL 1350

Bruno FigliuoloUniversità degli Studi di Udine

Allorché, sul finire del 1986, agli albori della mia vicenda accademica,ottenni un contratto di insegnamento per la Storia Economica e Sociale delMedioevo presso la Facoltà di Scienze Economiche e Sociali della neonataUniversità del Molise, avevo ben presente in mente un ammonimento del miomaestro, Mario Del Treppo, così ben noto anche ai cultori di cose storichemolisane, il quale, anni prima, in un memorabile e insuperato saggio, avevastigmatizzata la fretta con la quale tanti docenti si allontanavano dalla sedeuniversitaria loro assegnata, auspicando invece che il professore – come dire? –comandato si trattenesse per un certo lasso di tempo in partibus infidelium,come egli si esprimeva, allo scopo di valorizzare e fecondare la cultura loca-le1.

Personalmente, devo dire di non essermi mai sentito, nei tre anni accademi-ci trascorsi in Molise, relegato in partibus infidelium. Tutt’altro. Trovai immedia-tamente porte aperte ovunque e massima disponibilità in chiunque. Soprattutto,però, incontrai studiosi e funzionari statali preparati e appassionati, i quali ave-vano già in massima parte svolto quel lavoro di inventariazione e di scavo dellebiblioteche e degli archivi comunali, diocesani, parrocchiali e privati regionaliche io temevo invece di dover addirittura impostare. L’aiuto disinteressatamen-te e generosamente prestatomi da un eccellente conoscitore della bibliografia edella documentazione archivistica molisana, Gianfranco De Benedittis, e la pos-sibilità di vedere e soprattutto riprodurre il materiale documentario regionaleraccolto e faticosamente inventariato e fotografato per cura dellaSovrintendenza archivistiva, allora diretta da Renata De Benedittis, hanno enor-memente facilitato il primo approccio di chi scrive allo studio di esso e reso, inprosieguo di tempo – anche per la gentilissima comprensione e l’attenta colla-

1. DEL TREPPO M., Medioevo e Mezzogiorno…, pp. 249-83, il quale auspica (p. 263) «che i docenti chene hanno la responsabilità non abbandonino troppo presto le sedi periferiche cui li assegnerà unconcorso. Non sarebbe di buon auspicio per il futuro degli atenei meridionali, se nella cronotassi deiloro professori dovessero figurare, in luogo di lunghe e meritorie residenze in partibus infidelium, piùo meno brevi e saltuarie visitationes, anche di prestigiosi preposti alla cultura e alla ricerca».

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borazione della nuova sovrintendente, Daniela Di Tommaso – non del tutto uto-pistico l’ampio progetto che egli allora concepì e adesso presenta: vale a dire lapubblicazione di un codice diplomatico molisano, che raccolga tutti i documen-ti di epoca medioevale tuttora inediti (ma, come si dirà, anche con la sporadicariproposizione di talune pergamene già pubblicate da altri) redatti nella circo-scrizione regionale odierna o sin da principio prodotti per istituzioni locali ecustoditi nei relativi fondi archivistici; sia quelli conservati in originale sia quel-li tramandati in copia, dal più antico rinvenuto (che è del 943), fino all’anno13502.

Lo spoglio della documentazione, anzitutto, ha permesso di verificare che l’a-rea così delimitata non è poi così povera di testimonianze scritte di epocamedioevale come si pensava in precedenza; e che l’analisi archivistica compiutada Paul Fridolin Kehr circa un secolo fa e recentemente riproposta da ErricoCuozzo e Jean Marie Martin, con qualche aggiornamento desunto dalle peregri-nazioni e dagli ampi spogli documentari di Evelyn Jamison, era imprecisa eapprossimata per difetto3. Il Molise, beninteso, resta regione povera, per quantoriguarda la sopravvivenza di testimonianze scritte di età medioevale, ma nontanto da non costringere chi scrive a progettarne un’edizione che si fermi, pro-prio per la relativa abbondanza del materiale inedito raccolto, appunto al 1350.

Vicende accademiche e concorsuali mi hanno poi allontanato dal Molise,provocando perciò un notevole rallentamento nella marcia del progetto, perparte sua ben presto supportato dalla collaborazione di Rosaria Pilone. Tuttele pergamene da pubblicare, comunque, sono state da tempo raccolte e tra-scritte, sì che il traguardo, dovendo adesso procedere alla sola collazione ditalune di esse sugli originali, appare ormai a portata di mano. Ciò anche invirtù del fatto che il progetto originario ha subito una vigorosa e salutare curadimagrante. La ricerca storica, infatti, anche per ciò che riguarda direttamenteo indirettamente il Molise, nell’ultimo decennio non è certo rimasta ferma.Gianfranco De Benedittis ha pubblicato ha pubblicato i notamenti seicenteschidelle perdute pergamene dell’archivio vescovile di Bojano4; Cuozzo e Martinhanno edito le carte della parrocchia di S. Cristina di Sepino5; lo stesso Martin,Vittorio De Donato ed Enzo Matera hanno ormai ultimata o hanno in fase diavanzata preparazione l’edizione di tutto il diplomatico beneventano di etàaltomedioevale, tanto ricco anche di documentazione redatta in località com-prese nell’odierno Molise; e don Faustino Avagliano promette ora di occupar-si dei documenti medioevali molisani custoditi nel mare magnum dell’archivio

2. In effetti, come si vede, non si tratta a rigore di un vero e proprio codice diplomatico nel sensodiplomatistico del termine, giacché, come si ribadirà meglio più avanti, non saranno qui riproposti,per ragioni di spazio e perché lo si ritiene del tutto superfluo, i documenti editi di cui si sia poi persol’originale né quelle carte pubblicate di recente da studiosi al cui lavoro si ritiene di non poteraggiungere nulla di nuovo sul piano scientifico.

3. P.S.C.S., pp. 3-4.4. I Regesti Gallucci…5. Cf. supra, nota n. 3.

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dell’abbazia di Montecassino6, riprendendo e approfondendo suoi vecchistudi7. Tutti questi contributi hanno, come si è accennato, notevolmente alleg-gerito il carico di lavoro mio e di Pilone, che, in definitiva, una volta esclusa ladocumentazione di produzione beneventana – conservata tra Benevento,Vaticano e Frascati – e cassinese, ha preso in esame quattordici diverse sediarchivistiche, dieci delle quali molisane, due napoletane, una abruzzese e unavaticana.

Presso quest’ultima, nella Biblioteca Apostolica, nel fondo Chigi, si conser-vano numerose pergamene originali provenienti dagli archivi delle abbazie di S.Maria delle Tremiti, di S. Bartolomeo in Carpineto e di Casanova. Tra quelleancora inedite se ne conservano quattro rogate in territorio oggi molisano: per laprecisione, una a Guglionesi (1302)8 e tre a Campomarino (una nel 1165 e due nel1191)9. Queste ultime provengono dall’archivio di S. Bartolomeo in Carpineto, laprima da quello di S. Maria delle Tremiti.

Nell’Archivio di Stato di Napoli, poi, si trova un fascicolo contenente perga-mene di Isernia e Carpinone, giunte a Napoli a seguito della chiusura al culto,in età immediatamente postunitaria, della sede ecclesiastica che le conservava: ilcenobio di S. Maria delle Monache di Isernia. Più in particolare, per il periodoqui trattato, esse sono sei, la più antica delle quali risale al 1085; quattro sono delXIII secolo e l’ultima della prima metà del XIV10. Nella medesima sede sonoanche le carte dell’abbazia di S. Maria della Noce, scomparsa ma localizzata nelterritorio dell’odierno comune molisano di Belmonte del Sannio. Tali carte furo-no studiate e in gran parte edite da Evelyn Jamison; pure, tra esse, ve ne sonodue che andranno accolte nel progetto che qui si presenta: la prima, raccoglie incopia coeva e su unica pergamena il testo di tre indulgenze vescovili concessealla fabbrica dell’abbazia di S. Maria della Noce e comprese tra gli anni 1227 e1240; mentre la seconda, del 1318, rogata a Trivento, è inserta in una pergamenaagnonese del 137011.

Tre altre carte molisane sono poi custodite nella collezione pergamenaceaposseduta dalla Società Napoletana di Storia Patria: l’una, dell’ottobre del 1193,

6. Sui documenti molisani custoditi nell’archivio cassinese e in quelli beneventani, v. ora le comu-nicazioni di V. Matera e F. Avagliano in questo stesso volume.

7. AVAGLIANO F., Le più antiche carte di S. Spirito d’Isernia…, pp. 46-718. Chigi E.VI.184, perg. n. 14.9. Chigi E.VI.182, pergg. nn. 24, 31 e 32, sulle quali cfr. ENZENSBERGER H., Bausteine zur Quellenkunde

der Abruzzen …, pp. 133-90 e pp. 175-76. 10. MAZZOLENI J., Le fonti documentarie…, I, p. 3. Sul cenobio di S. Maria delle Monache, sul suo

archivio e sulla sua storia, v. VITI A., Note di diplomatica ecclesiastica…, pp. 79-83 e 279-309. Più ingenerale, su tutta la documentazione di età medievale custodita nel Grande Archivio partenopeo, v.ora BUONAGURO C. e DONSÌ GENTILE I., I fondi di interesse medievistico…

11. Archivio di Stato di Napoli, Archivio Caracciolo di Santo Bono, Feudi e Università, 18.Belmonte, B, Abbazia di S. Maria della Noce, rispettivamente pergamena n. 7 e n. 8. Sulla fondazio-ne monastica, la sua storia e la sua documentazione, cfr. JAMISON E., The Significance of the EarlierMedieval Documents from S. Maria della Noce and S. Salvatore di Castiglione ... ora ristampato nel suoStudies on the History of Medieval Sicily and South Italy…, pp. 437-66.

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proveniente dal monastero di S. Maria in Grotta, oggi in provincia di Caserta, ea suo tempo edita da Jole Mazzoleni ma con datazione erronea al 1194, senzaindicazione delle misure e degli attergati, redatta «in castello Vetulo», cioèSepino12; una seconda, proveniente dal medesimo fondo e rogata a Castelpetrosonel 121813; e l’ultima, rogata a Larino, risalente al luglio del 1234 e di provenien-za archivistica ignota14.

Tre pergamene molisane probabilmente provenienti dall’archivio dell’abba-zia celestiniana di S. Spirito alla Maiella sono poi oggi custodite pressol’Archivio della Curia Arcivescovile di Chieti. Si tratta di tre donazioni: unarogata a Venafro nel 1288 e due a Trivento, rispettivamente nel 1319 e nel 134215.

Quanto ai fondi ancor oggi custoditi in Molise, Isernia conserva, nel suoArchivio Capitolare, trentasette documenti, che vanno dal 943 al 1349: due del X,uno dell’XI, uno del XII, diciannove del XIII secolo e quattordici della prima metàdel successivo. Solo dodici di tali documenti sono stati editi, taluni più volte eanche in tempi relativamente recenti, ma sempre privi degli attergati e senzaindicazione delle misure della pergamena, sì che tanto più pare opportuno ripub-blicarli nella raccolta che qui si presenta16. Del membranaceo isernino sopravviveanche l’inventario compilato nel 1728 dal canonico Stefano di Leonardo17.

L’Archivio della Curia Vescovile di Trivento, poi, custodisce diciassette per-gamene che vanno dal 1305 al 1346, assai interessanti, giacché raccolgono lecarte superstiti dei priorati di S. Maria della Maiella di Trivento e di Agnone, diobbedienza celestiniana18; e l’Archivio Capitolare di Larino quattro, rispettiva-mente del 976, 1181, 1240 e 129719.

12. Conservata sotto la segnatura 3.AA.I, n. 20, edita in MAZZOLENI J.e SALVATI C., Le Pergamene dellaSocietà Napoletana di Storia Patria …, I, n. XVI, pp. 67-68, sorprendentemente sfuggita a Cuozzo eMartin nella loro ricostruzione della storia dell’insediamento sepinate (P.S.C.S., pp. 7 ss.).

13. Porta oggi la segnatura 3.AA.II.61.14. Custodita sotto la segnatura 2.AA.III.55. Questa (senza però indicazione della data topica, che

pure è invece regolarmente segnalata nell’inedito inventario approntato alla fine dell’Ottocento) e ledue pergamene citt. nelle note precedenti si trovano inventariate in PALMIERI S., Le pergamene dellaSocietà Napoletana di Storia Patria. Inventario…, rispettivamente pp. 36 (dove la data topica è tradotta inCastelvecchio, senza ulteriore indicazione), 39 e 27. Segnalo poi che la pergamena del 1302, gennaio 9,segnata 9.BB.II.2, ivi disinvoltamente e ambiguamente inventariata, a p. 61, come pure rogata pressoun non meglio specificato Castelvecchio, è in effetti calabrese, da localizzare nei pressi di Mileto.

15. BALDUCCI A., Regesto delle pergamene della Curia Arcivescovile di Chieti, vol. I…, n. 68, p. 26, n. 126,p. 44, e n. 172, p. 57.

16. Edite da ultimo in VITI A., note di diplomatica ecclesiastica..., n. II, pp. 91-102 e 343-45; n. III, pp.103-14 e 346-47; n. V, pp. 115-42 e 351-52; n. VIII, pp. 163-70 e 358-61; e nn. X-XVII, pp. 366-84.

17. Ivi, pp. 73-77.18. Su questi cenobi, il primo dei quali fondato da Pietro del Morrone nel 1290, poco prima di

diventare papa, v. ora FIGLIUOLO B., Origini e primi sviluppi dei priorati celestini molisani di S. Maria dellaMaiella a Trivento e Agnone (seconda metà del XIII secolo-1350), in corso di pubblicazione nel «Bullettinodella Deputazione Abruzzese di Storia Patria».

19. L’archivio larinate ha subito notevoli perdite documentarie: basti pensare a quante pergamenevi si conservavano ancora al principio del XVIII secolo: TRIA G. A., Memorie storiche civili ed ecclesia-stiche… Le pergamene superstiti sono per di più in cattivo stato di conservazione, tanto che oggi sene può decifrare solo una minima parte rispetto ai tempi di Tria.

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A Campobasso si trovano poi, presso la Biblioteca del “Sacro Cuore” deipadri cappuccini, tre carte che ci interessano: una del 1251, una seconda del 1282e una terza del 1348, provenienti dall’archivio della chiesa cittadina di S. Maria.Altre ventidue sono oggi custodite nell’Archivio della Curia Arcivescovile, esono ciò che resta di archivi ecclesiastici locali (S. Giorgio, S. Leonardo, S. Maria)qui confluiti a seguito della chiusura al culto delle rispettive chiese: cinque diesse risalgono al XIII secolo e diciassette alla prima metà del XIV. Due, infine,una del 1330 e l’altra del 1336, di provenienza privata, si trovano nella BibliotecaProvinciale del capoluogo molisano.

Un po’ più complessa appare la situazione di Agnone, centro archivistica-mente assai ricco, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo della suadocumentazione superstite. Qui, depositato presso la sede delle “BibliotecheRiunite Comunale e Labanca”, si trova l’archivio storico civico, che contienefondi di diversa provenienza e segnatura. Anzitutto, quattro documenti, tuttidella prima metà del XIV secolo, provenienti dall’archivio del comune cittadino,il cui membranaceo fu regestato nel 1783 da Michele D’Alessio, in un lavoro tut-tora manoscritto, intitolato Summarium ex diplomatibus a praeteritis huius regniregibus benigne obtentis, nel quale si trova anche una breve notazione di un per-duto documento del 1307. Accanto a essi vi sono poi alcuni strumenti notarili,per la precisione quattro, relativi al periodo qui preso in esame (degli anni 1279,1280, 1299 e 1313), di diversa provenienza e già inventariati e custoditi sotto iltitolo comune di Pergamene non comprese nel “Summarium” (con evidente riferi-mento al manoscritto di D’Alessio appena citato), ma ora più opportunamentecollocati nel fondo di cui subito si dirà: i primi tre fra le pergamene agnonesi diS. Chiara e il quarto fra quelle larinati. Perché ancora si conservano, presso labiblioteca civica agnonese, le carte del convento cittadino di S. Chiara, a lorovolta suddivise in pergamene di Larino (vale a dire strumenti notarili rogati aLarino e relativi a beni siti in territorio larinate appartenenti al monastero di S.Chiara di Agnone) e pergamene effettivamente agnonesi. Esse sono rispettiva-mente quattordici (otto del XIII secolo e sei della prima metà del successivo) etredici (cinque delle quali del XIII secolo e otto della prima metà del XIV). Nellaparrocchia di S. Marco, poi, si conserva ancora un documento del 1244, prove-niente dalla chiesa cittadina di S. Biase; e altri due, sembra, duecenteschi, sonocustoditi presso la parrocchia di S. Emidio20.

Una pergamena del 1282, infine, si trova nell’archivio privato della famigliaPignatelli di Monteroduni, nella serie degli atti pubblici, sotto il numero 1: sitratta di una concessione feudale a beneficio di Giovanni di Lagonessa fatta daFilippo I di Savoia, pretendente alla corona imperiale d’Oriente, da Napoli diRomania (Nauplia).

20. Di tali pergamene (che chi scrive non ha ancora potuto vedere) non esiste a tutt’oggi alcunainventariazione né riproduzione, e la comunicazione della loro esistenza è orale, ancorché attendi-bile, giacché fornita dalla funzionaria della Sovrintendenza Archivistica molisana che si occupa diquell’area, la dott. Cristina Melloni, che ringrazio.

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Quanto alla documentazione venafrana, ne è già stata promessa l’edizione daGennaro Morra21, ed essa non sarà quindi trattata da chi scrive. I documenti amia conoscenza anteriori al 1351 custoditi in archivi cittadini sono comunquetre: due (17 febbraio 1328 e 14 febbraio 1335) già nell’Archivio Capitolare diVenafro ma oggi superstiti solo nella trascrizione fattane tra Sette e Ottocento daCosmo De Utris nel suo L’antica Venafro o sian gli Annali di essa22; e il terzo, del 26luglio del 1337, ancora conservato presso l’Archivio Capitolare della città, nelvol. XII delle pergamene23.

In definitiva, riepilogando, è nostra intenzione pubblicare tra breve le cento-trentanove pergamene reperite delle quali non si prevede l’edizione da parte dialtri studiosi; almeno non in lavori già annunciati alla comunità scientifica di cuisi sia venuti a conoscenza. Undici soltanto di esse risultano già precedentemen-te edite. In complesso, il piano prevede la pubblicazione di documenti che risal-gono: tre al X secolo; due all’XI; sei al XII; cinquantatre al XIII e settantacinquealla prima metà del XIV.

Si tratta, come si vede, di un materiale quantitativamente cospicuo, in speciese sommato alle cinquantadue pergamene recentemente edite per lo stessoperiodo da Cuozzo e Martin e alle numerose altre pubblicate nelle sedi piùdisparate nel corso dei secoli o che sono in procinto di essere edite, come quellebeneventane e cassinesi. È qui forse opportuno ricordare, infatti, che noi pubbli-cheremo gli inediti, anche pervenuti in copia o regesto, e gli originali delle serieesaminate, anche quando già editi; ma non prenderemo in considerazione idocumenti custoditi in serie archivistiche completamente trascritte; quelli copia-ti in cartulari editi (per esempio quello di S. Maria delle Tremiti o il ChroniconVulturnense) o quelli perduti ma trascritti in opere a stampa. E dunque Ciarlanti,Tria o Scaramella rimarranno in parte insostituiti, così come anche le edizionianastatiche di documenti (penso, in particolare, a quelle degli Annali antinoria-ni e dei regesti celestiniani di Ludovico Zanotti). Di tutti i documenti molisaniediti, d’altra parte, come si è accennato, ha promesso la segnalazione a FrancescoMottola in un volume di prossima pubblicazione24.

Il Molise, in conclusione, al termine di una lunga e capillare ricognizione,potrà si spera presto contare, forse unica – o tra le prime – regione italiana, su diun corpus documentario magari frammentario ma ricco di alcune centinaia dicarte tutte edite (o quanto meno trascritte a stampa) fino al 1350.

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21. In un’opera in più volumi, in corso di stampa a cura dell’Istituto Regionale per gli Studi Storicidel Molise “V. Cuoco”. Devo l’informazione a Gianfranco De Benedittis, che ringrazio anche perquesto.

22. Manoscritto in sette libri, rilegati in quattro volumi, oggi presso la biblioteca privata DelVecchio di Venafro. Cfr., su di esso, la tesi di laurea di Anna Manuela Tombolini, discussa nell’AnnoAccademico 1997/98 presso l’Università “Federico II” di Napoli, relatore il prof. Giovanni Vitolo.

23. È forse ancora da segnalare, in chiusura, che erroneamente l’inventario da me consultato pres-so la Sovrintendenza Archivistica del Molise segnala che il Liber privilegiorum Aeserniae civitatis,membranaceo del XVI secolo custodito presso la Biblioteca Civica della città, riporta in copia docu-menti dal 1303. Il più antico cronologicamente risale infatti al 1363.

24. Cfr., intanto, la sua comunicazione in questo medesimo volume.

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IL RECUPERO DEL PATRIMONIOPERGAMENACEO MOLISANO

Renata De BenedittisArchivio di Stato di Campobasso

Alcune fonti pergamenacee di maggior rilievo per la storia del Medioevo nelMolise sono state esaminate in questo convegno, con ampi approfondimenti, daillustri esperti di storia medioevale, di diplomatica e di paleografia.

L’analisi e la valutazione di questo patrimonio – purtroppo non molto consi-stente e per questo ancora più prezioso – fanno tornare in mente le condizioni incui esso versava un ventennio fa ed il lavoro svolto dall’Amministrazione archi-vistica per realizzarne il recupero1.

Erano gli anni, successivi all’istituzione del Ministero per i Beni Culturali,che coincidevano con un periodo particolarmente intenso, produttivo e fecondoper gli archivi molisani. L’istituzione del nuovo Ministero aveva determinatouna svolta decisiva nella politica di gestione del patrimonio culturale e comin-ciava anche nel Molise una fase di sensibilizzazione ai problemi della conserva-zione dei beni archivistici; le prime richieste d’interventi di restauro di materia-le pergamenaceo e cartaceo da parte di comuni, di enti ecclesiastici e di privatine erano un chiaro segnale2. Si trattava di collaborazioni particolarmente signi-ficative che avviavano una politica attiva d’interventi in un settore fino ad allo-ra stagnante: i lavori di restauro concordati venivano realizzati con fondi stata-li, ma anche con i primi finanziamenti regionali e, in molti casi, con il materialee le attrezzature del laboratorio di restauro dell’Archivio di Stato diCampobasso. Iniziava, cioè, in quegli anni un programma integrato di recuperodelle fonti pergamenacee molisane in linea con i piani nazionali di censimento,

1. La tutela e la vigilanza sugli archivi non statali del Molise erano affidate, in quegli anni, allaSoprintendenza per l’Abruzzo e il Molise con sede a Pescara. Con tale Istituto l’Archivio di Stato diCampobasso collaborava per l’attuazione dei programmi ispettivi annuali che miravano ad accerta-re la buona gestione di quegli archivi ed a intensificare la ricognizione del loro patrimonio archivi-stico e paleografico.

2. L’istituzione del Ministero per i Beni culturali nel 1975 determinò una svolta nella politica digestione del patrimonio culturale italiano, apportando sostanziali innovazioni nei programmidell’Amministrazione archivistica. Obiettivi prioritari divennero – insieme alla salvaguardia, allatutela ed alla conservazione – la conoscenza e la valorizzazione dei beni archivistici e, di conse-guenza, l’incremento della loro fruizione.

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d’inventariazione e di valorizzazione del patrimonio documentario italiano3. E,al tempo stesso, si avviava un proficuo rapporto di collaborazione tral’Amministrazione archivistica e la Regione Molise con la realizzazione di unprogetto di riordinamento di tutti gli archivi storici comunali, continuato poi dalMinistero per i Beni Culturali. Si ponevano le basi, quindi, per quella intensaattività che nel corso di un ventennio ha portato al recupero ed alla conoscenzadi una parte veramente consistente di archivi non statali4.

Riguardo al patrimonio documentario più antico conservato in molti archiviecclesiastici, le intese via via intercorse con le autorità competenti hanno con-sentito di realizzare un recupero che ha avuto fasi e tappe di avanzamentodiverse e che, in alcuni casi, prosegue ancora oggi.

Il quadro di queste fonti è finalmente ben delineato e, sul piano scientifico, sicominciano a cogliere i frutti dei programmi iniziati alla fine degli AnniSettanta5.

3. Nel 1978 ebbero inizio i lavori di restauro del fondo pergamenaceo conservato nell’Archivioparrocchiale di Sepino. La richiesta di un intervento conservativo, avanzata dal parroco don AntonioArienzale all’Assessorato regionale alla cultura, dette luogo ad una proficua intesa fra le parti ed ilprogetto fu eseguito nel laboratorio di restauro dell’Archivio di Stato da una restauratrice privata,con finanziamenti della Regione Molise.

4. La realizzazione di un innovativo progetto di riordino degli archivi storici comunali - avviato apartire dal 1978 prima con finanziamenti regionali e, in seguito, con impegni di spesa ministeriali -portò all’avvio di un piano di censimenti, di riordinamenti e d’inventariazioni della documentazio-ne storica comunale, ecclesiastica e privata. Il materiale pergamenaceo individuato in occasione diquesti lavori è poco consistente e, per quello che riguarda la documentazione comunale, si concen-tra in gran parte nell’Archivio storico comunale di Agnone. Le cause della scarsa consistenza o dellatotale assenza di fonti pergamenacee negli archivi comunali non derivano - come per gli altri archi-vi non statali - da dispersioni o da conservazione inadeguata, ma piuttosto dalle disposizioni impar-tite il 6 agosto 1847 dal Ministero dell’Interno del Regno Borbonico agli Intendenti provinciali. Contali disposizioni, che attuavano il dettato della legge organica del 12 novembre 1818 in materia diarchivi e del successivo regolamento approvato con decreto del 26 ottobre 1841, si ordinava di farconfluire nel Grande Archivio di Napoli tutti i diplomi e gli strumenti in pergamena appartenentialle amministrazioni locali ed ai Luoghi Pii per garantire la loro conservazione e, al tempo stesso, perassicurare il rilascio di copie redatte da personale esperto, in grado di interpretare correttamente gliantichi documenti. Per motivi diversi, non tutti i comuni eseguirono gli ordini ministeriali, comeAgnone che oggi conserva ancora, con orgoglio, la parte antica dell’Archivio storico comunale. Varicordato, in proposito, che le vicende dell’ultima guerra procurarono gravi danni a molti fondi,anche pergamenacei, conservati nel Grande Archivio di Napoli e nelle sue sedi dipendenti. Il 30 set-tembre 1943, un incendio distrusse tutto il materiale di maggiore rilevanza storica che era stato pre-levato da fondi archivistici diversi e trasportato, per sicurezza, nella Villa Montesano presso SanPaolo Belsito; cfr. in merito TRINCHERA F., Degli archivi napolitani …; ristampa anastatica a curadell’Archivio di Stato di Napoli, Arte tipografica, Napoli, 1995, p. 245; MAZZOLENI J., Le fonti docu-mentarie …, parte I, pp. IX - X.

5. Gli inventari e gli elenchi redatti a cura dell’Archivio di Stato di Campobasso e dellaSoprintendenza archivistica per il Molise costituiscono oggi gli strumenti di ricerca che consento-no la conoscenza e la fruizione di un patrimonio di grande importanza storica, faticosamente recu-perato. Sono disponibili i dati cronologici e quelli relativi alla consistenza delle fonti pergamena-cee conservate nei seguenti archivi: Archivio arcivescovile di Campobasso-Bojano; Archivi dioce-sani di Venafro e Trivento; 9 archivi parrocchiali della Diocesi di Trivento; 1 archivio parrocchialedella Diocesi di Isernia-Venafro; 10 archivi parrocchiali della Diocesi di Campobasso-Bojano;Archivi capitolari delle Cattedrali di Campobasso, di Venafro, di Isernia e di Larino.

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Emblematico è il caso delle pergamene di Santa Cristina di Sepino, in totale127, datate dal XII al XVIII sec., di cui 65 antecedenti al sec. XV. Esse sono stateoggetto, di recente, del pregevole lavoro di trascrizione paleografica e di com-mento critico e diplomatico dei professori Errico Cuozzo e Jean-Marie Martin: sitratta di documenti preziosi che hanno consentito di ricostruire la storia dellaSepino medievale tra il XII ed il XV secolo6.

L’importanza di alcune pergamene d’interesse molisano era stata segnalatada Evelyn Jamison nei suoi lavori sul Molise medievale ma, per alcuni decenni,queste fonti erano rimaste pressoché ignorate dagli esperti del settore7.

È negli Anni ‘80 che si comincia a registrare l’interesse di più studiosi per ilpatrimonio pergamenaceo molisano nel suo complesso. Nel 1981, ad esempio, lamostra “Documenti di vita comunale” – che l’Archivio di Stato di Campobassodedicò ai lavori di riordinamento in corso negli archivi comunali ed in quelliecclesiastici – fu l’occasione per presentare al pubblico alcune pergamene pro-venienti dall’Archivio parrocchiale di Santa Cristina di Sepino e dall’Archiviostorico comunale di Agnone8. Si trattava, naturalmente, di una esemplificazionedella eccezionale rilevanza storica e palegrafica dei due importantissimi fondiche furono illustrati, sotto il profilo storico, dal prof. Gianfranco De Benedittis edal dott. Vincenzo Pellegrini9. Il recente, approfondito studio storico-territorialedei professori Cuozzo e Martin – studio che fa da cornice all’esame critico, paleo-grafico e diplomatico delle pergamene di Santa Cristina – evidenzia anche gliaspetti economici, sociali e religiosi della Sepino medievale e ripercorre le tappedell’evoluzione delle magistrature, del notariato, dell’attività dei giudici, dellosviluppo commerciale, della circolazione della moneta per circa 4 secoli, fino allametà del Quattrocento.

Emergono da questa accurata analisi anche il processo di formazione dellafeudalità nel Molise, l’importanza dell’insediamento normanno nel territoriosepinese, le caratteristiche di governo di alcuni feudatari10. Alle notizie feudali siaggiungono quelle di carattere ecclesiastico che forniscono informazioni di rilie-vo sulla vita religiosa, sul culto, sul clero della Sepino medievale11. Si tratta, quin-di, di un insieme di testimonianze che, sulla base di un rigoroso metodo storico-filologico, sottolineano l’importanza del fondo pergamenaceo di Santa Cristinae lo offrono finalmente alla conoscenza di un vasto pubblico.

Ma se sulle pergamene di Santa Cristina si è concentrata nel tempo l’atten-

6. P.S.C.S.7. JAMISON E., I Conti di Molise e di Marsia …, pp. 81-106. Tra le 15 pergamene trascritte nell’appen-

dice di documenti, l’A. riporta 2 pergamene dell’Archivio capitolare di Bojano del 1194 e del 1195 e2 pergamene dell’Archivio capitolare di Isernia del 1221 e del 1254.

8. Documenti di vita comunale …9. Ivi. Nell’appendice del catalogo, Dai documenti alla storia, si danno notizie su due archivi perga-

menacei in via di sistemazione: DE BENEDITTIS G., Le pergamene di Santa Cristina nell’archivio parroc-chiale di Sepino, pp. 201-202 e PELLEGRINI V., L’archivio storico di Agnone, pp. 203-207.

10. P.S.C.S., pp. 37-53.11. Ivi, pp. 23-37.

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zione di più studiosi, rimangono solo parzialmente esplorati altri fondi perga-menacei di eccezionale rilevanza, da molti anni recuperati sotto il profilo archi-vistico, inventariati sommariamente, restaurati, microfilmati e, quindi, prontiper essere studiati e valorizzati.

È assai confortante la notizia che ci viene data in questo convegno dal prof.Bruno Figliuolo sullo stato di avanzamento dei lavori di un Codice diplomaticodel Molise fino al 1349 e sono di grande importanza le segnalazioni di donFaustino Avagliano sulle pergamene d’interesse molisano conservate nellaAbbazia di Montecassino e le anticipazioni del prof. Francesco Mottola sulRepertorio delle fonti documentarie edite del Medioevo italiano per la parte relativaal Molise.

Ma un’attenta riflessione va fatta sulle stato generale degli studi del settore inambito regionale: malgrado l’impegnativo lavoro di recupero e di censimentocompiuto dall’Amministrazione archivistica e nonostante le facilitazioni chevengono offerte per la consultabilità – quasi tutte le pergamene possono esserestudiate in originale nei diversi luoghi di conservazione ed in microfilm pressol’Archivio di Stato – non si è ancora riusciti a mettere a punto un piano organi-co di ricerca che illustri, divulghi e valorizzi degnamente questo patrimonio. Trai nuclei membranacei recuperati ed individuati negli ultimi decenni andrebbepreso in considerazione, per importanza storica e per consistenza, il già citatofondo antico dell’Archivio storico comunale di Agnone (1231-1767, pezzi 515),nel quale confluiscono l’Archivum illustrissimae civitatis Angloni, costituito daConcessiones, Privilegia e Instrumenta ed una raccolta di 102 strumenti notarili,datati dal 1231 al 1767, relativa ai beni che il Monastero di Santa Lucia di Agnonepossedeva in territorio di Larino12.

Un Summarium manoscritto di fine Settecento raccoglie i regesti in latinodi gran parte delle pergamene dell’Archivio storico comunale ed è, ancoraoggi, un valido strumento di ricerca per gli studiosi13. Ma già dagli inizi degliAnni ‘80, a conclusione del complesso lavoro di riordinamento dell’interoarchivio storico, si dispone di un inventario analitico che, per il materiale per-gamenaceo, ricostruisce l’originario ordinamento in fascicoli, corrispondentealla struttura metodologica del Summarium. Nei fascicoli, divisi per materia, ipezzi sono ordinati cronologicamente ma un buon numero di pergamene, non

12. L’archivio antico di Agnone fu rinvenuto in due armadi lignei situati nella chiesa annessa alMonastero di Santa Chiara. Nel 1902 il Monastero passò al Demanio comunale e successivamente -secondo quanto afferma in un appunto don Nicola Marinelli, all’epoca direttore delle BibliotecheLabanca e Emidiana - gli armadi, per motivi di sicurezza, furono trasportati nella Biblioteca Labanca.Ancora oggi l’archivum è custodito nelle Biblioteche riunite Comunale e Labanca, dirette dal dott.Antonio Arduino. Si è avuto finalmente il trasferimento di queste biblioteche e dell’Archivio storicocomunale nell’ex Convento di San Francesco, ormai ristrutturato; secondo il progettodell’Amministrazione comunale e del dott. Arduino, l’ex convento è divenuto un centro culturalepolivalente che ospita anche un museo ed altre attività culturali.

13. Il Summarium ex diplomatibus a praeteritis huius regni regibus benigne obtentis fu compilato da taleMichele D’Alessio di Castel del Giudice nel 1783.

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regestate nel Summarium, sono elencate in inventario soltanto per anno14. È ditutta evidenza quanto sia necessario, in questo caso, uno studio articolato chepreveda un lavoro di regestazione, di trascrizione e di commento critico deipezzi.

Un altro ricchissimo fondo pergamenaceo, da tempo riordinato, restaurato emicrofilmato, costituito da 671 pergamene datate a partire dal 964, è quello con-servato nell’Archivio capitolare di Isernia15.

Un inventario parziale settecentesco consente di verificare il metodo di ordi-namento, le eventuali dispersioni e le diverse interpretazioni date, nel tempo, adalcune pergamene. Soltanto 13 di esse risultano già pubblicate o semplicementecitate da studiosi come Ciarlanti, Ughelli, Coletti, Jamison, Viti e Salvati16.

Non meno importante è il fondo pergamenaceo dell’Archivio diocesano diTrivento nel quale sono confluite 350 pergamene datate dal 1301 al 1863; anch’es-so è già restaurato e microfilmato17.

Sono poi da ricordare le 156 pergamene, delle chiese dei SS. Giorgio eLeonardo, conservate nell’Archivio arcivescovile di Campobasso-Bojano, datatedal 1267 al 1718 e costituite da decreti, sentenze ed atti notarili relativi a divisio-ni, permute, vendite, locazioni di stabili18. E va sottolineata l’importanza delle 135pergamene dell’Archivio capitolare di Larino, 1181-1924, divise in atti pubblici

14. Va ricordato che il complesso lavoro di riordinamento e d’inventariazione del fondo antico fucurato, agli inizi degli Anni ‘80, dalla dott.ssa Cristina Melloni, allora in servizio presso la Sezionedi Soprintendenza archivistica per il Molise. Alla dott.ssa Melloni si devono anche tutte le notizierelative all’Archivum illustrissimae civitatis Angloni.

15. Il fondo (secc.X-XIX), conservato nell’Archivio storico della Cattedrale di Isernia, è stato rior-dinato dalla nominata dott.ssa Melloni negli anni 1985/86 per conto della Sezione di Soprintendenzaarchivistica per il Molise; ancora oggi, però, manca uno strumento di ricerca analitico di regestazio-ne e di trascrizione delle pergamene. L’obiettivo potrebbe essere realizzato dall’IRESMO, IstitutoRegionale per gli Studi storici del Molise, che ha già inserito, in un piano pluriennale di interventinel settore archivistico, un progetto di “Inventario delle pergamene della Cattedrale di Isernia”.

16. L’inventario settecentesco è riferito solo ad una parte del fondo. Il metodo di ordinamentoadottato dall’archivista del tempo divide per materia le pergamene, raggruppandole in fascicoli chevengono elencati in inventario senza una sequenza cronologica ed in maniera frammentaria. Tra ititoli di maggior rilievo si segnalano: de bullis, de privilegiis, monitoriis et sententis, instrumentorumantiquorum locationum, instrumentorum emptionum, de testamentis, de instrumentis donationum, de instru-mentis locationum, ecc.

17. Nell’Archivio del Capitolo cattedrale di Trivento, inoltre, si conserva un fondo di 42 pergame-ne, datate dal 1431 al 1931. I due fondi pergamenacei triventini sono stati riordinati sommariamen-te nel 1985 dalla dott.ssa Annalisa Carlascio dell’Archivio di Stato di Campobasso; non esiste anco-ra un inventario analitico.

18. Le pergamene delle Chiese dei SS. Giorgio e Leonardo, sono rilegate in due tomi relativi,rispettivamente, agli anni 1267-1717 (Tomo I) e 1324-1718 (Tomo II). Nel primo tomo, insieme a pochidocumenti ufficiali, sono raccolti strumenti notarili di varia natura; il secondo tomo, diviso in sezio-ni, contiene un esiguo numero di decreti e sentenze e strumenti notarili relativi a divisioni, permu-te, vendite, concessioni e locazioni di stabili, prestiti, pagamenti e spettanze. Nell’Archivio arcive-scovile è conservata anche una raccolta di 49 pergamene dell’antica Diocesi di Bojano datate dal 1397al 1830.

19. L’inventario sommario del fondo, curato dalla nominata dott.ssa Carlascio e dalla dott.ssaAnna Fasolino, risale agli anni 1984-85.

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ed atti privati in un ordinamento sommario che risale alla fine degli Anni ‘8019. Aquesti fondi di una certa consistenza si aggiungono altri nuclei pergamenacei,datati in gran parte dal sec. XV o XVI, altrettanto rilevanti sotto il profilo storico-paleografico, conservati in diversi archivi parrocchiali, comunali e di famiglia20. Èquesto, per sommi capi, il quadro del patrimonio pergamenaceo conservato nelMolise, un patrimonio che conta complessivamente oltre 2300 pezzi, datati per lagran parte dal 1300, con un buon numero di pergamene più antiche che partonodal X secolo.

Oltre al recupero materiale ed ai riordinamenti effettuati dagli archivisti, perpreservare queste fonti e per renderle fruibili sono stati determinati altri dueinterventi essenziali: il restauro e la microfilmatura.

Le operazioni di restauro, svolte in gran parte nel laboratorio dell’Archiviodi Stato, hanno rimosso i danni provocati da muffe, piegature ed accartoccia-menti, ristabilendo l’integrità esteriore e quella strutturale dei documenti21. Ma,soprattutto, questi lavori hanno bloccato o, comunque, rallentato il processodegenerativo che era in atto, garantendo la durata nel tempo degli interventi ela resistenza all’attacco di insetti e di microrganismi. Il solo restauro non avreb-be dato, però, il giusto senso alle operazioni di recupero che sono state amplia-te e perfezionate con i lavori di microfilmatura dei diversi fondi pergamenacei.

Nella ricerca storica è determinante disporre di supporti che facilitino laconsultazione di materiale conservato in luoghi diversi, spesso inaccessibili, edoggi il consistente archivio microfotografico dell’Archivio di Stato diCampobasso consente di consultare e di riprodurre documenti di provenienza

20. Si ricordano, tra gli altri, il fondo pergamenaceo del Convento del Sacro Cuore di Campobasso,costituito da 108 pergamene (secc.XIII - XVIII), divise in due tomi; la raccolta di 124 pergamene pro-venienti dalla ex Cattedrale di Venafro (aa.1337-1907); le 75 pergamene dell’archivio privato della fami-glia Pignatelli di Monteroduni (aa.1282 - 1819), divise in atti pubblici ed atti privati in un inventariosommario curato nel 1985 dalla dott.ssa Carlascio. Questi fondi pergamenacei si conservano inmicrofilm nell’Archivio di Stato di Campobasso. Dai censimenti svolti dalla Sezione diSoprintendenza archivistica fino al 1992 e da quelli successivi curati dalla Soprintendenza archivisticaper il Molise, istituita nel 1993, si rileva che in diversi archivi parrocchiali della Diocesi di Campobasso-Bojano e della Diocesi di Isernia-Venafro ed in alcuni archivi privati si conservano nuclei pergamena-cei di diversa consistenza, tutti datati dal XVI sec. Vanno anche ricordate la raccolta di 66 pergamene(aa. 1522-1802), conservata nella Chiesa Cattedrale di Campobasso e quella di 299 pergamene, ricava-te da copertine di protocolli notarili (secc. XV – XVII), conservata nell’Archivio di Stato di Campobasso.

21. A partire dal 1972, nel laboratorio di restauro dell’Archivio di Stato di Campobasso, restaura-tori ed operatori tecnici specializzati, oltre al restauro di serie archivistiche conservate nell’Istituto,hanno realizzato il recupero di un consistente materiale non statale. È stato, naturalmente, privile-giato il materiale pergamenaceo di provenienza ecclesiastica, comunale e privata, secondo una scaladi priorità legata allo stato di conservazione o ad emergenze particolari, come ad esempio il terre-moto del 1984.

22. Da oltre un quindicennio, nel laboratorio di fotoriproduzione dell’Archivio di Stato diCampobasso, accanto all’archivio microfotografico di sicurezza, è in continuo sviluppo un archiviodi microfilm d’integrazione delle serie statali. Le serie pergamenacee microfilmate rivestono un par-ticolare interesse per gli studi sui periodi normanno, svevo, angioino ed aragonese, ma copronoanche il periodo del viceregno spagnolo e di quello austriaco, fino agli anni più recenti del periodoborbonico e dello Stato unitario.

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comunale, ecclesiastica e privata, grazie ad opportune intese con laSoprintendenza archivistica e con gli Enti proprietari22. Esistono, quindi, tutti ipresupposti per lo studio e l’edizione critica di queste fonti.

La storia del medioevo molisano poggia, com’è noto, su alcuni studi fonda-mentali, risalenti in gran parte alla prima metà del Novecento, ai quali si è fattospesso riferimento in questo convegno, come quelli di Armando De Francescosulle origini e lo sviluppo del feudalesimo nel Molise, di Vincenzo Federici sulChronicon Vulturnense, di Evelyn Jamison sui Conti di Molise e di Marsia e sulCatalogus Baronum, di Mario del Treppo sull’Abbazia di San Vincenzo alVolturno, ecc.23.

Vanno anche ricordati alcuni studi specialistici che hanno analizzato, tra-scritto o regestato documenti di grande interesse per la storia del Molise, come,ad esempio, quelli paleografici curati da Tommaso Leccisotti e da FaustinoAvagliano sui preziosi fondi pergamenacei conservati nell’Abbazia diMontecassino o quello di Angelo Viti, sulla diplomatica ecclesiastica nellaContea di Molise, che svolge un accurato studio paleografico e diplomatico sullepergamene più antiche dell’Archivio capitolare di Isernia, inquadrandole nelcontesto storico degli anni presi in considerazione24. Più recente è il lavoro diGianfranco De Benedittis sui Regesti Gallucci, relativi alla raccolta di pergamene,un tempo conservata nell’Archivio diocesano di Bojano, che è andata poidistrutta25. Notevole rilevanza riveste, infine, il volume edito nel 1995dall’Istituto Regionale per gli Studi storici del Molise, San Vincenzo al Volturno dalChronicon alla storia, curato dallo stesso De Benedittis.

Quest’ultimo volume e la già citata pubblicazione Le pergamene di SantaCristina di Errico Cuozzo e Jean-Marie Martin costituiscono i più recenti contri-buti scientifici per la conoscenza del medioevo molisano.

Il primo, con un esame approfondito del manoscritto del Chronicon e con unappropriato ed aggiornato commento critico, mette in risalto l’importanza reli-giosa, ma anche politica e sociale, del monastero di San Vincenzo al Volturno nelIX secolo, periodo del suo massimo sviluppo; il secondo, con una mirabile rico-struzione storica, delinea la vita sociale, amministrativa e politica di Sepino nelperiodo tra l’XI ed il XV secolo26.

Questo quadro d’insieme, tracciato a grandi linee, sullo stato della conoscen-za delle fonti pergamenacee molisane chiarisce quanto sia ancora impegnativoil cammino da compiere per studiare e utilizzare appieno i documenti ancora

23. Tra le pubblicazioni di base per lo studio del medioevo nel Molise si ricordano: DEFRANCESCO A., Origini e sviluppo del feudalesimo …, 1909, nn. 3 e 4, pp. 432 ss., 640 ss.; 1910, nn. 1 e2, pp. 70 ss., 273 ss.; CV; JAMISON E., I Conti di Molise e di Marsia ...; EAD., Catalogus Baronum…; DELTREPPO M., Longobardi, Franchi e Papato in due secoli di storia vulturnense …; ID., La vita economica …,pp. 1-82.

24. ABBAZIA DI MONTECASSINO, I regesti dell’Archivio, voll. I - VIII, a cura di T. Leccisotti …; ID., voll.IX - XI, a cura di T. Leccisotti e F. Avagliano…;. VITI A, Note di diplomatica ecclesiastica…

25. I Regesti Gallucci…26. San Vincenzo al Volturno …

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disponibili.Bisognerà, infatti, prendere in considerazione non soltanto le fonti conserva-

te in ambito regionale, oggetto di questa breve relazione, ma anche quelle, giàindividuate ed in parte studiate dagli esperti del settore, conservate fuori dalMolise, nell’Abbazia di Montecassino, in quella di Santa Sofia di Benevento,nell’Archivio Vaticano, nell’Archivio di Stato di Napoli. Con cauto ottimismo èpossibile prevedere che potrà realizzarsi una svolta decisiva per far progrediregli studi sul Molise medioevale con un’azione combinata di quelle istituzioni che– sia pure con finalità e compiti diversi – sono chiamate alla tutela, alla conser-vazione, alla promozione culturale ed alla ricerca storica.

E la favorevole circostanza che molte delle istituzioni in questione sono oggicoinvolte in questo convegno, insieme ad illustri studiosi del settore, fa guarda-re con speranza al futuro del patrimonio pergamenaceo molisano ed a nuovi,qualificati traguardi di studio.

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SEZIONE ARCHEOLOGICA

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VARIETÀ DI INFLUSSI CULTURALI NELLE NECROPOLI DI CAMPOCHIARO

CONSIDERAZIONI PRELIMINARI

Valeria CegliaSoprintendenza per i Beni Archeologici del Molise

(Tavv. I-II)

La scoperta della necropoli di Campochiaro, avvenuta alla fine degli anni ’80,ha dato un impulso notevole agli studi sull’alto medioevo per quanto riguardala nostra Regione. Fino a quella data le conoscenze su quel periodo storico eranobasate esclusivamente sulle fonti storiche e le testimonianze archeologiche eranolimitate a qualche sporadico ritrovamento collocato cronologicamente e generi-camente in età barbarica1.

La spinta in positivo per gli studi su questo periodo storico è stata data ancheda un intensificarsi dell’attività di scavo archeologico nella Regione e dall’azio-ne di tutela svolta dalla Soprintendenza del Molise, attenta al controllo dellearee soggette a sconvolgimenti per l’intensificarsi di attività edilizie o per losfruttamento del territorio connesso ad attività industriali.

Grazie a tale controllo si è arrivati alla individuazione delle due necropoli diCampochiaro l’una in loc. Vicenne, l’altra in loc. Morrione.

Entrambe sono collocate ai margini del tratturo Pescasseroli-Candela, checostituiva, nell’antichità, una importante via di transito, ricalcata in età romanadal percorso della via Minucia. Le due necropoli sono distanti tra loro circa 800metri e si collocano cronologicamente nello stesso periodo tra il VI e VIII sec d.C.(Tav. I - Fig. 1)

Difatti sia la tipologia delle tombe, in prevalenza fosse terragne con rincalzo diciottoli lungo i bordi, la disposizione per file parallele, l’orientamento est-ovest conil cranio del defunto rivolto sempre verso il sorgere del sole, sia l’organizzazionedel cimitero con tombe raggruppate per gruppi parentali, sia la composizione deicorredi , sia la presenza di sepolture contestuali di cavaliere e cavallo ci portano adun ambito cronologico e culturale databile all’età delle invasioni barbariche.

1. Questo termine viene usato in modo generico per indicare il periodo delle invasioni barbariche.Tale dizione viene confutata da Von Hessen (Sull’espressione Barbarico …, pp. 476-478) in quanto lesepolture, specie quelle dell’Italia meridionale e delle isole, appartengono a popolazioni autoctone equindi non di etnos barbarico.

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Nella necropoli di Morrione, che delle due è quella meglio conservata, ilnucleo delle tombe di età altomedievale si è affiancato a quello di età tardo anti-ca per la presenza di una sepoltura a cappuccina e di una struttura che potreb-be riconoscersi pertinente ad un monumento funerario.

A Vicenne lo stato di conservazione è peggiore in quanto la costruzione diuna strada interpoderale ad ovest e l’esistenza di una cava a sud hanno com-promesso fortemente l’area interessata dalla necropoli. Il settore est è l’unico chenon ha subito interventi distruttivi dell’uomo, ma non è stato usato come luogocimiteriale, difatti i saggi eseguiti non hanno riscontrato la presenza di alcunatomba.

L’area superstite della necropoli è piuttosto ristretta, pur tuttavia sono staterecuperate ben 167 sepolture, diverse delle quali non in buono stato di conser-vazione a causa di un interro piuttosto esiguo e per la presenza di un fossato cheattraversa l’area cimiteriale da nord a sud e che ha intaccato e sconvolto diversetombe.

L’importanza di questo ritrovamento è determinata non solo dal numeroormai ragguardevole delle tombe rimesse in luce (circa 350 tra i due nuclei ed ilnumero è destinato ad aumentare dal momento che lo scavo a Morrione è anco-ra in corso) ma soprattutto dalla presenza di sepolture in cui accanto al cavalie-re è stato seppellito il cavallo. Questo particolare tipo di deposizione sembracostituire una novità nel campo delle conoscenze archeologiche altomedievali inItalia.

A quale abitato facessero riferimento i due sepolcreti tra gli insediamentiurbani noti, non è possibile determinarlo allo stato attuale delle ricerche, inquanto le necropoli si trovano a metà strada tra Sepino e Boiano e distanti daquesti due centri una decina di chilometri. Si può supporre che le popolazioniavessero un insediamento di tipo nomade e che il carro delle migrazioni rap-presentasse per loro la dimora.

Un altro interrogativo si ripropone con insistenza fin dall’epoca della scoper-ta delle necropoli e che è emerso in sede del convegno tenutosi a Boiano all’in-domani del ritrovamento2: quale popolazione era seppellita a Campochiaro?Longobardi, Bulgari o autoctoni?

Cronologicamente siamo in piena epoca longobarda e territorialmenteCampochiaro rientra nel Ducato di Benevento, molti degli elementi della cultu-ra materiale ci riportano a quelli presenti nelle coeve necropoli dell’Italia cen-trale e settentrionale.

La nostra “diversità” nel panorama degli altri ritrovamenti italiani di questaepoca è rappresentata, per la fonte storica, dal passo di Paolo Diacono, in cui siparla della venuta dei Bulgari, sotto la guida del loro capo Alzeco, inviati dalduca di Benevento Romualdo a popolare i territori di Sepino, Boiano e Isernia.3

L’altra anomalia, nel campo archeologico, è costituita dalla presenza nella

2. La Necropoli di Vicenne....3. HL, II. 20.

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necropoli di sepolture contestuali di cavaliere e cavallo, di cui sono state rimes-se in luce ben 19 tombe, che ci riportano ad ambienti culturali orientali. A segui-to di tale scoperta gli studi si stanno focalizzando su questo periodo, approfon-dendo e riesaminando sia le fonti letterarie, sia studi più antichi, sia la culturamateriale al fine di avere certezze e conferme della corrispondenza tra il datostorico e la realtà archeologica.

Infine la popolazione autoctona, sebbene fortemente ridotta per carestie,guerre ed epidemie, pur tuttavia continuava ad abitare i luoghi consueti dalmomento che la ricerca archeologica sta rimettendo in luce diverse tracce dellaloro presenza tra il VI e VII sec. d.C.4. In attesa dei risultati degli studi antropo-logici sugli scheletri, condotti dalla dott.ssa Belcastro e dal dott. Rubini, che ciaiutino a chiarire le problematiche e gli interrogativi che sono stati posti, ilnostro discorso si incentra su una disamina degli aspetti per così dire “esterio-ri“ della necropoli e quindi della sua struttura, del costume degli inumati, i donifunebri deposti, il rituale funerario, sugli elementi particolari delle varie cultureche s’incontrano e interagiscono in questa realtà.

Gli studi condotti sull’Alto Medioevo in Italia parlano di una “articolazioneparticolarmente complessa dovuta alla coesistenza, nello stesso ambiente, digruppi umani differenziati sia etnicamente che socialmente”5. Viene evidenzia-ta anche ”la difficoltà della interpretazione dei materiali archeologici è determi-nata anche dal fatto che ci si trova di fronte ad una struttura di rapporti forte-mente eterogenei, determinati dalla coesistenza di società e culture diverse. Daiprimi tempi delle invasioni barbariche le forme di questa coesistenza si stabili-rono molto variamente subendo col tempo continui cambiamenti e passandoattraverso vari stadi di rapporti reciproci di collisione, concorrenza e parassiti-smo a stadi di tolleranza, simbiosi e processi di assimilazione”. L’approccio allostudio di queste ”sottoculture“ (così come vengono definite dallo studiosopolacco) ha una duplice valenza e deve essere investigata secondo parametriintegrati sia in quanto articolazione peculiare, nell’ambito delle popolazioni ger-maniche gravitanti nell’area merovingia, sia come elemento della complessaunità culturale italiana, così come viene evidenziato dalla Melucco6. Se si passaad analizzare, per grandi linee, alcuni degli aspetti delle necropoli diCampochiaro si nota che anche questa realtà rispecchia a pieno la situazionedegli altri contesti archeologici italiani dell’epoca. La disposizione e l’organizza-zione stessa della necropoli con le tombe disposte per file parallele e con orien-tamento costante ci rimandano ai cimiteri germanici nonchè i raggruppamentiper nuclei familiari che si evidenziano per la tipologia delle fosse e la composi-zione dei corredi. Questo aspetto è più manifesto a Morrione anzicchè a Vicennedove, per conferma di questa consuetudine, si attendono i risultati degli studiantropologici (Tav. I - Fig. 2).

4. DE BENEDITTIS G., Considerazioni…, pp. 331-337.5. TABACZYNSKY S., Cultura e culture…, pp. 25-52.6. MELUCCO A., Il restauro…, pp. 11-75.

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L’elemento principale di rituali estranei alla cultura locale è certamente quel-lo del seppellimento contestuale del cavaliere con il suo cavallo che, come abbia-mo già detto, ci rimanda immediatamente ad ambiti culturali orientali, dove esi-ste una lunga tradizione di sepolture di questo tipo, propria delle popolazionicavalleresche delle steppe euroasiatiche. Come il padrone anche il cavallo veni-va seppellito con la sua bardatura, il morso, i finimenti decorati in bronzo o inargento, la gualdrappa, le staffe. Queste soprattutto, riconosciute del tipo avari-co, danno la conferma in tal senso (Tav. I - Fig. 3).

L’ideologia funeraria, quindi, è parte integrante della cultura di un popolo eche continua ad essere perpetuata anche se geograficamente lontana dal luogodi origine7.

Passando in rassegna a grandi linee alcuni degli elementi di corredo notiamoquesta commistione di influssi culturali. Le cinture, a decorazione multipla,cosiddette per la presenza di numerosi pendenti secondari oltre a quello princi-pale, disposti lungo la circonferenza, veniva usata per appendere il sax. Era latipica cintura da parata realizzata con metalli preziosi o in ferro arricchita dadecorazioni in agemina. Questo tipo di guarnizione era molto diffuso nei terri-tori alemanni e baiuvari tanto da far pensare inizialmente ad una produzione diquelle regioni, portata poi in Italia dai Longobardi. Gli studi successivi hannoevidenziato che si tratta di una tipica produzione mediterranea e quindi hannoipotizzato che i centri di produzione si trovassero proprio in Italia8.

A Campochiaro questo tipo è presente essenzialmente nelle tombe con caval-lo e una sola volta in una tomba singola (T. 27V) contenente un ricco corredo,questo sta a testimoniare la condizione sociale e l’elevato rango del defunto (Fig.4). Per la De Marchi si potrebbe parlare di particolari configurazioni sociali omilitari all’interno delle categorie in cui era suddivisa la nazione longobarda9.

Altro tipo di cintura presente nelle tombe è quella a 5 pezzi comunementechiamata “longobarda”. É costituita da una fibbia di forma triangolare a cui cor-risponde una controplacca della stessa forma, un terminale di cintura principa-le e altre placche secondarie e serviva per sostenere la spada (Tav. I - Fig. 5).Anche questo tipo è diffuso tra le popolazioni autoctone, viene acquisita daiLongobardi e diffusa al di là delle Alpi (prima metà del VII sec. d. C.). Difatti lamancanza di reperti del genere nelle necropoli pannoniche farebbe pensare chefossero state usate dai Longobardi dopo il loro arrivo in Italia. Anche su questotipo di cintura la De Marchi10, nel suo lavoro, annota le diverse opinioni deglistudiosi a riguardo: c’è chi ritiene che i longobardi l’abbiano assimilata a segui-to dei rapporti avuti con le truppe romane di confine nei territori delle provincee che furono portate poi in Italia. Altri invece sostengono che queste cinture

7. GENITO B., Tombe con cavallo…, pp. 335-3388. DE MARCHI P. M. - CINI S. , I Reperti Altomedievali…, p. 150; MELUCCO A., Il restauro…, p. 15; DE

MARCHI P. M., Catalogo dei materiali altomedievali…, p. 51.9. DE MARCHI P. M., Catalogo dei materiali altomedievali…, pp. 50-53.10. DE MARCHI P. M., Catalogo dei materiali altomedievali…, p. 54; AHUMADA SILVA I., La necropoli lon-

gobarda…, pp. 55-99.

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facessero parte della cultura delle popolazioni autoctone e che i Longobardi l’ab-biano assimilate solo dopo la loro venuta in Italia.

Circa i luoghi di produzione Von Hessen sostiene che ce ne siano stati duedifferenti: l’uno doveva essere localizzato nelle regioni dell’Italia settentrionalein cui si è verificata la maggiore quantità e migliore qualità di rinvenimenti; l’al-tra produzione, più periferica, dovuta a botteghe più modeste o frutto dell’atti-vità di singoli artigiani, rivela una fattura più rozza. Non viene considerato ilsud poiché i ritrovamenti erano troppo esigui11.

Per quanto riguarda le armi è testimoniata la presenza di spade lunghe adoppio taglio. Queste sono abbastanza diffuse oltralpe tanto che si riesce adeterminare una cronologia sulla base della lavorazione della damaschinatura esul pomo della impugnatura. Nella nostra realtà le spade presenti, in percen-tuale alle altre armi, sono poche, in tutto otto e di queste una sola damaschina-ta (t. 81 V) con un motivo molto semplice a treccia. Tra tutte va ricordata unaparticolarmente interessante per la presenza di decorazioni in argento sia sulledue estremità dell’impugnatura, sia come rinforzo del fodero sull’imboccatura ealla punta. Si tratta di fasce in argento dell’altezza di dieci centimetri, fermate sulretro da piccoli chiodini, delimitate ai bordi da un motivo perlinato. Nello spa-zio interno si trovano decorazioni rese a sbalzo rappresentanti motivi vegetalianimali o antropomorfi.

Lo scramasax è la sciabola da combattimento ravvicinato a cavallo, origina-ria dell’Europa centrale. Era già usata dai Longobardi dal tempo in cui si trova-vano in Pannonia12. In Italia è abbastanza diffusa a nord13, scarsamente presenteal Centro14, addirittura assente in contesti di cimiteri di Arcisa e Fiesole15, a sudqualche esemplare è attestato a Benevento16. A Campochiaro il loro numero èabbastanza considerevole in quanto sono presenti 20 esemplari a Vicenne e 10 aMorrione. In Europa lo scramasax è uniformemente diffuso dalle aree del baci-no dell’Elba fino ai paesi scandinavi, alla Germania orientale ai territori dei fran-chi, alemanni e baiuvari. Di questa arma è possibile seguire l’evoluzione e quin-di datarla con una certa puntualità. I primi esemplari sono piuttosto corti edhanno dimensioni poco più grandi di quelli di un coltello. Successivamente siallungano e si irrobustiscono fino a raggiungere i 50 cm di lunghezza intornoalla metà del secolo, per poi irrobustirsi ed arrivare alle dimensioni anche di 80cm nella seconda metà del VII. Questa evoluzione, in parte, si riscontra anchenelle nostre necropoli dove l’esemplare più antico è presente nella t. 16 con

11. VON HESSEN O., Secondo contributo…, pp. 76, 79, 99.12. WERNER J., Nomadische Gurtel…, pp. 109-13913. DE MARCHI P. M., Catalogo dei materiali altomedievali…“, pp. 68-70; La Necropoli di S. Stefano in

Pertica...14. Nella necropoli di Nocera Umbra sono nove esemplari presenti (PASQUI PARIBENI A., La necro-

poli…, pp. 137-352), appena sei in quella di Castel Trosino (MENGARELLI R., La necropoli barbarica...,pp. 145-380

15. VON HESSEN O., Primo contributo…, p. 1616. ROTILI M., La necropoli longobarda di Benevento…, pp. 131-133.

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cavallo di Vicenne che ha una lunghezza di 32 cm e si data alla fine del VI sec,fino a raggiungere i 69 cm in quello della t. 140 V, che è lo sramasax di maggio-ri dimensioni, attestandosi cronologicamente alla metà ed oltre del VII sec. (Fig.6)

Le cuspidi di frecce sono di vario tipo e forma, durano a lungo nel tempo percui non è possibile stabilire una cronologia puntuale. Pur tuttavia compaionodegli esemplari quali quelli a tre alette che sono riconosciuti comunemente diorigine avarica. Si inizia, però, ad avanzare l’ipotesi di influssi mediterranei che,in qualche modo, abbiano agito nel tempo sulla originale forma avarica17.

In alcune sepolture con cavallo, per ora solo in tre, era stato deposto anchel’arco. Di esso sono conservati gli elementi in osso che dovevano costituire, alledue estremità, gli irrigidimenti delle parti di legno che sono andate perdute.Questi hanno la forma di una fascia appiattita, una delle estremità è ricurva edappuntita, mentre l’altra opposta presenta un incavo per l’alloggiamento dellacorda. Elementi del tutto simili a questi di Campochiaro sono presenti nei sepol-creti dell’Ungheria18 e Germania, mentre non si conoscono attestazioni in Italiatra i rinvenimenti noti. (Tav. II - Fig. 7)

Lo scudo si trova solo in alcune delle deposizioni con cavallo e sta a significarel’alto rango del defunto. Esso è del tipo germanico, di forma circolare e di piccoledimensioni usato nei combattimenti a cavallo. Misura 60 cm di diametro, è fatto dimateriale deperibile quale legno e pelle; di esso rimangono, in genere, le partimetalliche quali l’umbone posto esternamente in corrispondenza del foro pratica-to per l’impugnatura. Esso era di forma a calotta e sulla sommità poteva avere delledecorazioni in bronzo dorato. Anche per gli scudi si è riconosciuta una produzio-ne italo-longobarda di serie destinata alla esportazione. Recentemente si è avanza-ta l’ipotesi che uno dei centri di produzione o di mercato fosse a Fornovo S.Giovanni o anche a Verona e Cremona19. A Campochiaro sono stati ritrovati solo seiesemplari di cui tre hanno la decorazione a quattro bracci sulla sommità. In gene-re è deposto vicino al cavallo pur facendo parte dell’equipaggiamento di difesa delguerriero. In due soli casi lo troviamo deposto a fianco dell’uomo.

La ceramica presente nelle sepolture è molto standardizzata: soprattuttoollette d’impasto scuro modellate a mano tipiche della realtà locale. La varianteè rappresentata dalla brocchetta lavorata a tornio, a volte decorata a bande.Vasellame di questo tipo si ritrova con frequenza nelle coeve necropoli italianedi Nocera Umbra e Castel Trosino.

L’alternativa al corredo vascolare su esposto è rappresentato dal calice divetro, decorato, presente in alcune tombe. Esso ha origini tardo romane e siritrova in ambiente bizantino e medio-orientale20 e la sua presenza è abbastanza

17. BUORA M. , Le punte di freccia…, pp 59-71.18. Gli antichi Ungari…, p. 57; Necropoli di Zamárdi (L’oro degli Avari…, p. 107, cat. 61); Yaszapáti

- Nagyállás ut (Gli Avari…, p. 115); Germania (MENGHIN W., Die Langobarden, pp. 45-46).19. DE MARCHI P. M., Le schede…, scheda 5, p. 2; scheda 7, p. 1.20. ISING C., Roman Glass…, p. 139.

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Il Medioevo 85

frequente nelle sepolture altomedievali in Italia21. La sua presenza è piuttostoscarsa nella necropoli, a Vicenne si sono ritrovati solo tre esemplari in sepolturecon corredi di un certo interesse, in due tombe maschili che contengono armi emonete d’oro22 ed una femminile che presenta monili in oro, paste vitree edambre. A Morrione il numero degli esemplari è leggermente superiore, ma nonsempre accompagnano corredi ‘ricchi’, anzi in alcuni casi costituiscono l’unicodono funebre (Tav. II - Fig. 8). Le tombe sono raggruppate in un settore bendeterminato della necropoli e sono disposte le une vicino alle altre. Si potrebberiscontrare in esse una consuetudine o un segno di distinzione di un particolaregruppo familiare. In ambito locale un esemplare simile a quelli presenti nelletombe si è rinvenuto a Sepino, nella città ormai in parte abbandonata23 .

Per quel che riguarda il corredo femminile le donne seppellite aCampochiaro non presentano gli elementi tipici di corredo della cultura germa-nica, cioè la coppia di fibule a S che servivano probabilmente per chiudere lablusa o la camicia, né le due grosse fibule a staffa, usate per chiudere la gonna ofissate ad un nastro per appendere borse o amuleti. Nelle nostre necropoli tro-viamo solo fibule circolari o a croce deposte centralmente sul petto, forse perchiudere un mantello24. Esse sono tipiche dell’abito femminile latino, assimilatedalla tradizione romano-bizantina. Sono state acquisite subito dal costume fem-minile, tradizionalmente più favorevole ad accogliere le nuove tendenze dimoda molto più di quello maschile.

Le donne vestivano un abito stretto in vita da una cintura, di cui si trova lasemplice fibbietta in metallo, ad essa erano appesi la borsa, il pettine, la fuse-ruola e il coltellino. Spesso si trovano aghi crinali e spilli vicino al cranio che ser-vivano per tenere raccolti i capelli o per ornare la pettinatura o addirittura pertenere fisso un velo sul capo. I monili che si ritrovano più spesso sono le collanee gli orecchini, poche volte i bracciali, raramente anelli che al contrario sono statideposti in tombe maschili, ma verosimilmente dovevano attestare particolarifunzioni di chi li indossava,come l’anello-sigillo presente nella tomba 33 concavallo di Vicenne25. Le collane sono costituite da vaghi di pasta vitrea di varicolori, arricchiti da pendagli di ambra e d’argento (Tav. II - Fig. 9). Gli orecchini,in bronzo, argento o in oro, a secondo del rango di chi li indossava, erano divaria foggia : dal tipo più semplice, costituito da un solo anellino, a quelli piùcomplessi di forma globulare ornati da una decorazione granulare e definiti di

21. Nella necropoli di Nocera Umbra, (PASQUI PARIBENI A., La necropoli…, figg. 20 e 55) e nellanecropoli di Castel Trosino (MENGARELLI R., La necropoli barbarica…, tav. XI, n. 4); La necropoli di S.Stefano in Pertica…, p. 90.

22. Il corredo della tomba 46 di Vicenne è stato pubblicato in Samnium 1991, p. 351-353. Di recen-te, nella ripulitura dello scheletro, durante le fasi dello studio antropologico a cura della dott.ssaBelcastro del Dipartimento di Biologia evolutiva sperimentale dell’Università di Bologna, si è rinve-nuta una moneta d’oro all’interno del cranio.

23. Museo Archeologico di Saepinum…, p. 3924. La Necropoli di Vicenne…, p. 58, fig 6.25. Samnium 1991, pp. 351 - 353

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86 I Beni Culturali nel Molise

tipo "avarico" per la forte presenza nelle tombe ungheresi (Tav. II - Fig. 10). Inuovi ritrovamenti in zone quali l’Africa settentrionale, Siria e Sardegna fannopensare ad una diversa interpretazione, avanzata dalla Melucco26 in occasionedel convegno di Boiano, che si tratti di prodotti di tradizione iranica e bizantina,trasferiti nei contesti centroeuropei da popoli di provenienza orientale nel corsodei loro spostamenti. Un altro tipo presente è quello cosiddetto a "cestello" cheprende il nome dalla forma dei fili a giorno, saldati al disco anteriore. Questopuò essere decorato a filigrana e recare una perla al centro oppure essere arric-chito da castoni con pietre e paste vitree. Per questo tipo di orecchini è ricono-sciuto che siano stati acquisiti dai Longobardi dopo il loro arrivo in Italia27.

26. MELUCCO A., Tavola rotonda, p. 123.27. MELUCCO A., Oreficerie altomedievali…, pp. 8-19; POSSENTI E., Gli orecchini a cestello...

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LE MONETE DELLE NECROPOLIDI CAMPOCHIARO

E LA MONETAZIONE ANONIMA BENEVENTANANEL VII SECOLO

Ermanno A. ArslanCiviche Raccolte Archeologiche e Numismatiche di Milano

(Tavv. III - VIII)

La necropoli di Campochiaro1 ha restituito a Vicenne, dove lo scavo è stato com-pletato, 167 tombe: 24 avevano monete nel corredo. Undici monete sono in oro,distribuite nelle tombe nn. 12, 46, 71, 73, 81, 84, 85, 86, 115, 129, 152. Quattordicisono in argento, distribuite nelle tombe nn. 61 (tre), 76, 109 (due), 112, 114, 134, 154,167 (quattro2). Quattro in bronzo, nelle tombe nn. 15 (due), 116, 1453.

A Morrione, nel marzo 2000, data alla quale sono aggiornate le informazioni inmio possesso, erano state scavate 184 tombe, delle quali 24 con monete. Diciottomonete sono in oro, nelle tombe nn. 45, 46, 47, 48, 49, 67, 80, 89, 104, 105, 122, 133,134, 137, 138, 139, 143, 178. Undici monete sono in argento, nelle tombe nn. 784, 92,100, 104, 135 (quattro), 166 (due5), 1766. Due monete sono in bronzo, nella tomba n.133. Nel corredo della tomba n. 45 di Morrione due Solidi in oro imperiali sonomontati come orecchini. Nella tomba 33 di Vicenne si ha infine un anello con ripro-duzione di una moneta all’interno del castone. Con questi ultimi esemplari le duenecropoli, di Vicenne e Morrione, hanno restituito complessivamente 63 monete.

1. Per lo scavo della necropoli di Campochiaro, ancora in corso, vds. ampie anticipazioni inSamnium 1991, in particolare pp. 325-365 (testi di G. De Benedittis, V. Ceglia, B. Genito, G. Giusberti,S. Bökönyi, E. A. Arslan). Per le monete ARSLAN E.A., Mutamenti..., pp. 441-443. Una sintetica pre-sentazione in ARSLAN E.A., Le monete di Campochiaro... Ringrazio la collega V. Ceglia, che mi ha affi-dato lo studio delle monete della necropoli, trasmettendomi, in data 22 maggio 1998, le foto dellemonete recuperate negli scavi effettuati fino ad allora. Chi scrive aveva potuto effettuare un esameautoptico delle prime 18 monete recuperate in occasione della preparazione della Mostra sul Sannio(Samnium 1991) organizzata a Milano (ARSLAN E.A., in G. GENITO ...).

2. Una delle monete è in frammenti e illeggibile.3. Nella tabella inviatami è indicata una moneta in bronzo nella tomba 68, che non risulta nella

documentazione in mio possesso.4. La moneta viene indicata nelle tabelle inviatemi come in bronzo.5. Di una delle monete, fortemente lacunosa, mi manca la documentazione fotografica.6. Nella tabella inviatami è indicata una moneta in argento nella tomba 60, che non risulta nella

documentazione in mio possesso.

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88 I Beni Culturali nel Molise

CATALOGO DELLE MONETE DELLE NECROPOLI7

Repubblica Romana (211-208 a.C.); Zecca di Luceria; AE Quadrans di standardsestantale

D/ Sopra ••• Sotto l Testa di Mercurio a d. con petaso alato.R/ In alto roma In es. ••• Prua a d.Bibl.: C 97/6a.

1 gr. 11, 19; diam. mm 25; 200°; 23.10.90; St. 44589; n. 25; Vicenne t. 116.

Repubblica Romana (II-I sec. a.C.); Zecca di Roma o incerta; AE nominaleincerto

D/ Tracce di testa a d.R/ Tracce di prua a d.

2 gr. 2,12; diam. mm 16; 270°; St. 44355; n. 28; Vicenne t. 145.Moneta di incerta lettura.

Roma Imp.; LICINIVS (308-324); Zecca incerta; AV Solido montato ad orecchinoD/ implici nivsavg Testa laur. di Licinio padre a d.R/ Non visibile.Bibl. gen. per il D/: RIC VII, p.375, n. 102 (Zecca di Ticinum: 320-321 d.C.).

3 gr. -; diam. mm 18; -; St. 56025; n. 1; Morrione t. 45.

Roma Imp.; LICINIVS (308-324); Zecca incerta; AV Solido montato ad orecchinoD/ implicin ivspfavg (?) Testa laur. di Licinio padre a d.R/ Non visibile.

4 gr. -; diam. mm 17; -; St. 56025; n. 1; Morrione t. 45

Roma Imp.; Urbs Roma (337-340); Zecca incerta; AE FollisD/ vrbs roma Busto loricato di Roma elmata a s.R/ In es. [...] La lupa capitolina a s. con i due gemelli. Sopra due stelle.

5 gr. 1,09; diam. mm 15,5; 29.10.87; St. 27970; Vicenne t. 15Moneta forata.

Roma Imp.; CONSTANTIVS GALLVS Caesar (351-354); Zecca incerta; AE 2 D/ [dnflclconstantivsnobcaes] (tracce) Busto drappeggiato di Costanzo Gallo a testanuda a d.R/ feltempre paratio In es. [...] L’imperatore armato a s. trafigge cavaliere caduto con ilcavallo.

7. Ringrazio C. Morrisson, che, nel dicembre 1998, ha accettato di leggere tutte le monete dafotografia, con preziosi suggerimenti. Eventuali errori, fraintendimenti, superficialità, sono daattribuire a chi scrive. L’esame delle monete è stato autoptico solo parzialmente e per molti degliesemplari non mi è stato possibile rilevare la posizione dei conii. La trascrizione delle legendeappare solo indicativa, per l’irregolarità della resa grafica delle lettere. Si rimanda alle foto.

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6 gr. 3,63; diam. mm 23; 29.10.87; St. 27971; Vicenne t. 15Moneta forata.

Impero di Bisanzio; TIBERIVS II o MAVRITIVS TIBERIVS (578-582 o 582-602);Zecca di Ravenna o imitazione; AR 1/8 di Siliqua

D/ [...] (legenda non chiara: forse pseudolegenda) Busto a d. con diadema.R/ Croce latina potenziata su due gradini.Bibl. gen.: il tipo (Busto a d./Croce potenziata su due gradini) è presente a S. Antonino diPerti, attribuibile a Focas (602-610), forse con pseudolegenda, con tre esemplari8. Cfr. MIBTiberius II, 22; Mauricius 64. Anche WROTH 1908, p. 124, n. 161 (Tiberio II); p. 156, n. 281(Maurizio Tiberio)

7 gr. 0,39; diam. mm 11; 195°; St. 56067; Morrione t. 176

Impero di Bisanzio (?); CONSTANS II (?) (641-668); Zecca di Roma (?); AVTremissis

D/ pcoii [...] Busto a d. di Costante II con diadema e fibula a disco sulla spalla. C. perl.R/ victor • a vs[..] In es. conob Croce latina potenziata. C. perl.

Bibl.: (lettura Morrisson) stile molto vicino a MIB Pl.25, n. V 123 (es. Museo Naz. Roma,con forse il medesimo D/)

8 gr. 1,40; diam. mm 15; St. 44148; Vicenne t. 85Il tipo appare anomalo, nella legenda (incompleta) e nella resa stilistica del ritratto.

Impero di Bisanzio (?); COSTANS II (641-668); Zecca di Roma (?) (Morrisson);AV Tremissis

D/ dcon stantini Busto drapp. barbarizzato a d. con diadema e fibula a disco sulla spalla. C. lin. R/ victoria avgvi In es. conob Croce latina potenziata. C. lin. Bibl. gen.: MORRISSON 13/It/AV/08 (Atelieres italiens non déterminés); DOC II, II, p. 507, Pl.XXXI, n. 202 (potrebbe anche essere della zecca di Roma).

9 gr. 1,40; diam. mm 15; 0°; St. 56026; n. 2; Morrione t. 45.

Impero di Bisanzio (?); CONSTANTINVS IV (668-685); Zecca di Siracusa (?);(Morrisson); AV Tremissis

D/ [...] savpp (?) Busto a d. con diadema e fibula a disco sulla spalla. C. perl.R/ [...]tori avgvG In es. conob Croce latina potenziata. C. lin. Bibl. gen.: MORRISSON 13/Sy/AV/02 (?); MIB 41 o 42 var.

10 gr. 1,35; diam. mm 14; 0°; St. 56068; n. 23; Morrione t. 143.

Impero di Bisanzio (?); CONSTANTINVS IV (?) (668-685); Zecca italiana: Roma?(Morrisson); AV Tremissis

D/ dnconstan tinysZ Busto a d. con diadema e fibula a disco sulla spalla. C. perl.R/ victoria vgv Z In es. conob Croce latina potenziata. C. lin. Bibl. gen. : DOC II, II, p.561, n. 72 ss. (Italy)

8. In pubblicazione in ARSLAN E.A., Considerazioni..., c.s.

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11 gr. 1,37; diam. mm 12; 350°; St. 56069; n. 17c; Morrione t. 133.

Benevento; emissione anonima (dopo la metà del VII secolo); Zecca diBenevento; AV Tremissis

D/ Busto stilizzato a d. con diadema e fibula a disco sulla spalla. Intorno pseudo legenda. C. lin. R/ Croce latina potenziata. Intorno pseudolegenda semispeculare9.

12 gr. 1,50; diam. mm 14; 0°; St. 56070; n. 18; Morrione t. 134.D/ ivnva vnoivi A d. nulla.R/ vnoiπvavπoihv (semispeculare) In es. nConii R-W’

13 gr. 1,49; diam. mm 12,5; 1987; St. 27996; Vicenne t. 12D/ ivhv• •hiovi A d. nulla. R/ vniohvhotiv In es. n Conii L-P’

14 gr. 1,49; diam. mm 13,5; St. 44135; Vicenne t. 81D/ ivhv vhovi A d. nulla.R/ vmiohvhoihv In es. n (speculare)Conii C-F’

15 gr. 1,48; diam. mm 14; 350°; St. 56071; n. 4; Morrione t. 47D/ vnov vhoivi A d. nulla.R/ vπtonvavnoihv (semispeculare) In es. nConii K-O’

16 gr. 1,4610; diam. mm 12; 220°; n. 7; Morrione t. 67D/ vhi•- -•iaoiv A d. S R/ vπionviviioihv (semispeculare) In es. hConii BW-CC’

17 gr. 1,45; diam. mm 12; 200°; 23.10.90; St. 44517; n. 24; Vicenne t. 115D/ ivnv- -vinvi A d. B R/ vntonvivnothv In es. n (speculare). Conii AB-AG’

18 gr. 1,45; diam. mm 12,5; St. 44416; Vicenne t. 71D/ ivnv- -vnohv A d. BR/ vhiohvavhoviv In es. nConii AC-AH’

19 gr. 1,45; diam. mm 12; 110°; St. 44641; n. 26; Vicenne t. 129D/ iiiii- -[-.]v A d. BR/ vioivvvioivi (semispeculare) In es. •Conii AG-AP’

9. Per le identità di conio cfr. avanti.10. Nell’elenco il peso è di gr. 1,35.

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20 gr. 1,45; diam. mm 11; 0°; St. 56073; n. 20; Morrione t. 137D/ ivnv•- -vnovi A d. B R/ vπohvavhoihv (semispeculare) In es. nConii AE-AL’

21 gr. 1,44; diam. mm 12; 0°; St. 56074; n. 21; Morrione t. 138D/ ivnv• vnovi A d. …R/ vntonvivnotnv (semispeculare) In es. hConii CI-CQ’

22 gr. 1,43; diam. mm 11,5; St. 44941; Vicenne t. 73D/ ivnva- -avhvii A d. BR/ vmiohvavhoihv In es. n (speculare). Conii AL-AR’

23 gr. 1,42; diam. mm 12; 90°; St. 56075; n. 6; Morrione t. 49D/ ivnv•- -vnoiv A d. B R/ vπiohvavhoihv (semispeculare) In es. nConii AO-AV’

24 gr. 1,41; diam. mm 14; St. 44272; Vicenne t. 86D/ vah- -iaoiv A d. SR/ vmiohvivhoihv In es. n Conii BW-CC’

25 gr. 1,40; diam. mm 12; 0°; St. 44735; n. 29; Vicenne t. 152D/ vovii [....]hii A d. BR/ ivhoiiviviioiiv (semispeculare) In es. nConii AU-BC’

26 gr. 1,37; diam. mm 12; 10°; St. 56076; n. 3; Morrione t. 46D/ ivhiv vhovi A d. nulla.R/ vπiohvivhoihv (semispeculare) In es. n (rovescio)Conii B-D’

27 gr. 1,35; diam. mm 13; 100°; St. 56077; n. 14; Morrione t. 104D/ ivhv•- -•viiovi A d. B R/ Legenda poco leggibile in fotografia,semispeculare. In es. ?Conii AP-AX’

28 gr. 1,32; diam. mm 13; St. 44302; Vicenne t. 84D/ vnvi •ia• v A d. RR/ vnionvavnohv In es. n (n speculari) Conii CF-CM’

29 gr. 1,30; diam. mm 11; 180°; St. 56078; n. 9; Morrione t. 80D/ vava•- -•vava A d. BR/ vnovivavnovii (semispeculare) In es. viConii AS-BA’

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92 I Beni Culturali nel Molise

30 gr. 1,24; diam. mm 12; 90°; St. 56079; n. 22; Morrione t. 139D/ iiiiv- -iiv..v A d. BR/ vioivvvioivi (semispeculare) In es. IConii AH-AP’

31 gr. 1,16; diam. mm 11; 0°; St. 54249; Vicenne t. 46D/ Pseudolegenda a globuli. A d. BR/ Pseudolegenda a globuli.Conii AT-BB’

32 gr. 0,78; diam. mm 12; 270°; St. 56080; n. 16; Morrione t. 122D/ πvii•- -•nv•u A d. BR/ vπioπvivoihv (semispeculare) In es. n (rovesciato)Moneta suberata.Conii BS-CA’

Benevento (?); duca anonimo (?); dopo la metà del VII secolo; riproduzione delD/ di AV Tremissis

D/ Busto stilizzato a d. con diadema e fibula a disco sulla spalla. Intorno pseudo-legenda. A d. B

33 St. 30582; Vicenne t. 33Riproduzione all’interno dell’anello.

Benevento; duca anonimo (dalla metà del VII secolo?); Zecca di Benevento; ARFrazione di Siliqua

D/ Busto stilizzato a d. con diadema. Intorno tracce di pseudolegenda. R/ Croce latina su gradino.Bibl. gen.: tipo inedito? Cfr. imitazioni in Italia di Eraclio: MIB III, X17 (ma senza gradino).

34 gr. 0,12; diam. mm 9; 330°; St. 56081; n. 19c; Morrione t. 135cForti lacune sul bordo.

Benevento; duca anonimo a nome di Eraclio (dopo la metà del VII secolo?);Zecca di Benevento; AR Frazione di Siliqua

D/ Busto stilizzato a d. con diadema Intorno tracce di pseudolegenda. C. lin. R/ Monogramma di Eraclio. Sopra + Sotto •11

35 gr. 0,28; diam. mm 12; St. 44536; Vicenne t. 109aR/ Monogramma reso specularmente.Conii E-F’

36 gr. 0,28; diam. mm 11; 30°; St. 54251; Vicenne t. 154Conii C-D’

37 gr. 0,27; diam. mm 11; 45°; St. 44536; Morrione t. 166D/ Testa a s. (?)Conii C-D’

11. Per le identità di conio cfr. avanti.

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Il Medioevo 93

38 gr. 0,26; diam. mm 11; 0°; St. 56083; n. 11; Morrione t. 92D/ Tracce di legenda.Conii A-B’

39 gr. 0,25; diam. mm 12; St. 33943; Vicenne t. 7612

Manca foto.

40 gr. 0,24; diam. mm 10; St. 44159; Vicenne t. 112Conii O-P’

41 gr. 0,24; diam. mm 9; 270°; Inv.St. 44721; n. 30a; Vicenne t. 167aConii D-E’

42 gr. 0,24; diam. mm 9; 30°; St. 56084; n. 12; Morrione t. 100D/ Busto a d. barbarizzato.Conii F-G’

43 gr. 0,23; diam. mm 11; 250°; St. 56085; 19d; Morrione t. 135dD/ [...] [...]nvConii B-C’

44 gr. 0,23; diam. mm 11; 0°; St. 56086; n. 19b; Morrione t. 135bD/ [...] Conii H-I’

45 gr. 0,23; diam. mm 10; 0°; St. 56087; n. 19a; Morrione t. 135aD/ [...]Conii I-K’. Moneta lacunosa.

46 gr. 0,21; diam. mm 10; 0°; St. 54252; Vicenne t. 167cConii B-C’

47 gr. 0,20; diam. mm 11; St. 44444; Vicenne t. 61bConii M-N’

48 gr. 0,19; diam. mm 10; St. 44444; Vicenne t. 61aConii L-M’

49 gr. 0,18; diam. mm 10; 10°; St. 56088; n. 13; Morrione t. 104Conii A-A’. Piccole lacune.

50 gr. 0,17; diam. mm 12; St. 44151; Vicenne t. 109bConii non riconoscibili. Moneta lacunosa.

51 gr. 0,17; diam. mm 9; 0°; St. 44349; n. 27; Vicenne t. 134Conii G-H’. Moneta completa.

52 gr. 0,15; diam. mm 9 max; St. 44500; Vicenne t. 114Conii P-Q’. Moneta fortemente lacunosa.

12. Se ne ha un disegno in Samnium 1991, p. 363, n. 70. [N.R.: Inclusa tra le immagini in fase di stampa].

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53 gr. 0,15; diam. mm 9; 180°; Inv.St. 44722; n. 30b; Vicenne t. 167bConii K-L’. Moneta completa. Nella tomba è anche altra moneta AR in frammentiilleggibile.

54 gr. 0,15; diam. mm 10; St. 44444; Vicenne t. 61cConii N-O’. Moneta lacunosa.

Impero di Bisanzio; IVSTINIANVS II (685-695); Zecca di Roma; AV TremissisD/ dnivstini anspeav Busto drappeggiato frontale di Giustiniano II, con diademacon croce e globo crucigero nella d.R/ victr[a] avgu In es. conob Croce latina potenziata. C.lin. Bibl. gen.: MORRISSON p. 414 (zecca di Roma, tipo 1) o 15/It/AV/02 (Atelier italien; busto diGiustiniano più anziano: lettura Morrisson); DOC II, II, p.608, nn. (81)-(83) (zecche incerteitaliane). Cfr. moneta del Br.M. illustrata da LAFFRANCHI 1940, Pl.V, nn. 17-18.

55 gr. 1,46; diam. mm 15; 0°; St. 56089; n. 15; Morrione t. 105

Impero di Bisanzio; LEONTIVS II (695-autunno 698); Zecca di Roma; AVTremissis

D/ dleo npev Busto frontale di Leonzio, con diadema con croce. Con veste a losangheoblique puntinate. Nella s. globo crucigero. Nella d. akakia.R/ victv <vg• Croce latina potenziata. In es. conob C. perl.Bibl. gen. : WROTH 1908, p. 372: emissioni di Leone III (Zecca di Roma?); MORRISSON, p. 420 (cita TOLSTOI 1912-1914, p. 882, n. 37); DOC II, II, p.620, n. (21); cfr. Milano, Coll. Priv.:LAFFRANCHI 1940, Pl.V, n. 21-22.

56 gr. 1,41; diam. mm 14; 0°; St. 56090; n. 5; Morrione t. 48

Impero di Bisanzio; LEONTIVS II (695-autunno 698); Zecca di Ravenna; AR 1/8Siliqua

D/ [...] le Busto frontale di Leonzio con mitria e veste a losanghe oblique puntinate eglobo crucigero nella d.R/ Croce greca accantonata da quattro stelle a cinque punte. Sotto L C. lin. Bibl. gen. : LAFFRANCHI 1940, p. 47, n. 38 (1/2 Siliqua); MORRISSON p. 421 (cita SABATIER 1862, 6e TOLSTOI 1912-1914, 45 [Leone III]: un esemplare a Copenhagen); MIB 31.

57 gr. 0,26; diam. mm 12; 0°; St. 56091; n. 8; Morrione t. 78Il tipo appare ufficiale.

Impero di Bisanzio; TIBERIVS III (698-705); Zecca di Roma; AV TremissisD/ dtiberi yspea Busto frontale. Con lancia obliqua.R/ victra aygo Croce latina potenziata. In es. [conob] (tracce) C. perl.Bibl. gen.: WROTH 1908, p. 351, n. 27 (Italia centrale o meridionale); MIB 62 (Roma);MORRISSON 17/Ro/AV/03 (identica legenda).

58 gr. 1,05; diam. mm 14; 0°; St. 56092; Morrione t. 178D/ dtib[...]

Impero di Bisanzio; IVSTINIANVS II (secondo regno: 708-709); Zecca diSiracusa (Morrisson); AV Semis

94 I Beni Culturali nel Molise

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Il Medioevo 95

D/ divsti nianvpp Busto drapp. a d. di Costante II, con diadema.R/ victoria avguQ Croce latina potenziata su globo. Alla fine della legenda Z (VIIindizione = 708-709?). C. lin. Bibl. gen.: MORRISSON 15/Sy/AV/01 (Costante II; con K); DOC II, II, p. 594, n. 48 (GiustinianoII; Siracusa: con punto finale al R/); MIB 19.

59 gr. 1,70; diam. mm 14; 0°; St. 56093; n. 10; Morrione t. 89

AE D/ e R/ Illeggibili.

60 gr. 1,41; diam. mm 14; ?; St. 56094; n. 17a; Morrione t. 133aD/ Tracce di testa a d.Moneta forata e utilizzata come pendente.

61 gr. 0,91; diam. mm 15; ?; St. 56095; n. 17b; Morrione t. 133bD/ Tracce di testa a d.Moneta forata e utilizzata come pendente.

La documentazione in mio possesso presenta alcune lacune. Mancano la fotodell’argento a nome di Eraclio della tomba 76 di Vicenne e dell’argento illeggi-bile della tomba 167 sempre di Vicenne. Di un argento nella tomba n. 166 diMorrione mi manca tutta la documentazione. Queste ultime due monete nonsono inserite nel Catalogo.

Organizzando le monete per tomba, con sintetiche indicazioni relative all’i-numato e al corredo13, il quadro è il seguente:

t. 12 Vicenne (maschio adolescente, con anello ferro, coltello, fibbia AE, vaso fittile) =Tremissis AV Long. con nulla a d. (L-P’).

t. 15 Vicenne (femmina bambina di 9 anni, con anello orn. AE, collana con vaghi inpasta vitrea e ambra, fibbia AE, orecchini AR, croce AE sormontata da colomba) = 2 Follesdi IV sec. forati.

t. 33 Vicenne (maschio adulto, morto in combattimento, con cavallo, con anello ferro,anello AE, cintura AE, coltello, elementi briglie AE, elementi fodero, fibbia AE, fibbiaferro, elementi orn. AE, tre punte di freccia, punta di lancia, morso, ribattini, scramasax,staffe AE, vaso14) = Anello con riproduzione di Tremissis AV Long. con B a d. (AT-BB’).

t. 46 Vicenne (maschio adulto, con bicchiere vetro, cintura AE, coltello, elementi fode-ro, fibbia AE, punta di freccia, ossa animali, ribattini, scramasax)15 = Tremissis AV Long.con B a d. (AT-BB’).

13. I dati sono desunti dallo schema tabellare affidatomi dalla Collega V. Ceglia e dalle annota-zioni, in massima parte inedite, dei colleghi Maria Grazia Belcastro (per Vicenne) e Mauro Rubini(per Morrione), che ringrazio. In molti casi le indicazioni sono relative a materiali non ancora restau-rati o studiati. Esse sono quindi solo indicative, con possibili discrepanze con quanto proposto inbibliografia o attualmente verificabile.

14. GENITO B., Tombe con cavallo..., pp. 335-338, 347-351; GIUSBERTI G., Lo scheletro..., pp. 339-341;BÖKÖNYI S., Two more..., pp. 342-343; ARSLAN E.A., Monete ..., pp. 344-345; ARSLAN E.A., L’anello...

15. GENITO B., Schede..., pp. 351-353.

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96 I Beni Culturali nel Molise

t. 61 Vicenne (maschio adulto, con fibbia in ferro) = tre AR Long. Eraclio (M-N’/L-M’/N-O’)

t. 71 Vicenne (maschio adulto, con anello orn. AE, borchie AE, cintura AE, due coltel-li, elementi orn. AE, framm. ferro, elementi fodero, fibbia AE, punta di freccia, punta dilancia, scramasax, ribattini) = Tremissis AV Long. con B a d. (AC-AM’)

t. 73 Vicenne (maschio adulto, con cavallo, anello AE, anello orn. ferro, quattro chio-di, cintura AE, coltello, elementi briglie, elementi orn. AE, fibbia AE, fibbia ferro, cate-nella ferro, frammenti ferro, punta lancia, morso, osso lavorato, scramasax, speroni AE,staffe) = Tremissis AV Long. con B a d. (AL-AR’)

t. 76 Vicenne (femmina adolescente, con bicchiere vetro, chiodo, collana, coltello, ele-menti orn. AE, fibbia AE, catenella Fe, due vasi16)= AR Long. Eraclio (manca foto)

t. 81 Vicenne (maschio adulto, con cavallo, anello ferro, anello orn. , borchie AE, bor-chie finim., cintura agemin., coltello, elementi orn. ferro e AE, elementi fodero, fibbiaferro, fibbia AE, punta di freccia, morso, orecchini AR, osso lavorato, scramasax, spatha,staffe) = Tremissis AV Long. con nulla a d. (C-F’)

t. 84 Vicenne (femmina adulta, con collana, coltello, framm.ferro, orecchini AR, petti-ne, spillone AE, vaso fittile) = Tremissis AV Long. con R a d. (CF-CM’)

t. 85 Vicenne (maschio adulto, con cavallo, con anello ferro, borchie AE, borchie finim.AE, numerosi chiodi, cintura agemin. , cintura AE, elementi briglie, elementi orn. ferro eAE, fibbia AE, fibbia ferro, frammenti ferro, punta lancia, morso, osso lavorato, ribattiniAE, spatha, staffe, vaso17) = Tremissis AV Biz. Costante II/Roma (?)

t. 86 Vicenne (tomba sconvolta; maschio adulto, con ago ferro, cintura AE, due coltel-li, elemento orn. ferro, fibbia ferro, punta freccia) = Tremissis AV Long. con S a d. (BW-CC’).

t. 109 Vicenne (maschio adulto, con ago ferro, anello orn. ferro, cinque chiodi, cintu-ra agemin., coltello, elem. orn. AE, fibbia ferro, sette punte di freccia, gancio ferro, ossaanimali, vaso fittile) = due AR Long. Eraclio (E-F’).

t. 112 Vicenne (individuo adulto; senza corredo) = AR Long. Eraclio (O-P’).t. 114 Vicenne (femmina adulta, con anello dig. AE, anello orn. AE, bracciale, collana,

coltello, elem.orn. AE, fibbia ferro, spiedo ferro, framm.ferro, fusaiola, orecch. AR, petti-ne, piede bicch.) = AR Long. Eraclio (P-Q’).

t. 115 Vicenne (maschio adulto, con bracciale ferro, due chiodi, puntale cintura AE conscene di caccia, coltello, elem. orn. AE, fibbia AE, ossa animali18) = Tremissis AV Long. conB a d. (AB-AG’).

t. 116 Vicenne (femmina adulta, con ossa animali, pettine, due vasi fittili) = AE Luceriat. 129 Vicenne (femmina adulta, con anello orn., bicchiere vetro, collana, coltello, fib-

bia AE, framm. ferro, orecchini AV) = Tremissis AV Long. con B a d. (AG-AB’)t. 134 Vicenne (individuo adulto, con coltello, framm. ferro, pettine osso, due vasi) =

AR Long. Eraclio (G-H’).t. 145 Vicenne (maschio adulto, con coltello, elem. orn. AE, cintura, fibbia ferro,

framm. ferro) = AE Roma Rep.t. 152 Vicenne (maschio adulto, con anello orn. AE, bicchiere vetro, cintura multipla

agemin., cintura AE, coltello, elem. orn. ferro, elem. fodero, fibbia AE, framm. ferro, ossaanimali, pettine, scramasax, vaso) = Tremissis AV Long. con B a d. (AU-BC’).

16. GENITO B., Tombe con cavallo..., pp. 353-354.17. CEGLIA V., Campochiaro (Cb)..., pp. 216-221.18. CEGLIA V., Campochiaro (Cb)..., pp. 215-216.

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t. 154 Vicenne (maschio bambino 9-10 anni, con coltellino, cuspide freccia, ossa ani-mali) = AR Long. Eraclio (C-D’).

t. 167 Vicenne (maschio adulto, con brocchetta AR, framm. ferro, spillone ferro) = treAR long. Eraclio (D-E’/B-C’/K-L’)., AR ill.

t. 45 Morrione (femmina adulta 46-50 anni, con orecchini AV, fusaiola terracotta,framm. ferro) = nei due orecchini AV Licinio; Tremissis AV Biz. Costantino IV.

t. 46 Morrione (maschio adulto 48-52 anni, con coltellino, fibbia ferro, punta di lancia,spatha, vaso fittile) = Tremissis AV Long. con nulla a d. (B-D’).

t. 47 Morrione (femmina adulta 48-52 anni, con collana, framm.ferro, orecchini AR,vaso fittile) = Tremissis AV Long. con nulla a d. (K-O’).

t. 48 Morrione (maschio adulto 42-46 anni, fibbietta AE, 2 puntali AE dei calzari) =Tremissis AV Biz. Leonzio/Roma.

t. 49 Morrione (femmina adulta 45-50 anni, con chiodo) = Tremissis AV Long. con B ad. (AO-AV’).

t. 67 Morrione (femmina adulta 42-46 anni, con cinque chiodi, collana con pochivaghi, fibbia ferro, punta selce, coltellino) = Tremissis AV Long. con S a d. (BW-CC’).

t. 78 Morrione (maschio adulto 48-52 anni, con fibbia AE, puntale cintura AE) = ARBiz. Leonzio/Ravenna.

t. 80 Morrione (femmina adulta, con fibbia AE, orecchini AV, fibula AE) = Tremissis AVLong. con B a d. (AS-BA’).

t. 89 Morrione (maschio adulto 42-46 anni, con bicchiere vetro, due chiodi, fibbiaferro, pettine) = Semis AV Biz. Giustiniano II/II regno/Siracusa.

t. 92 Morrione (maschio adulto 42-48 anni, con cintura AE, punta freccia, coltello,elem.fodero, fibbia AE, pettine, ribattini AE, vaso fittile, ossa animali) = AR Long. Eraclio(A-B’).

t. 100 Morrione (maschio adulto 30-35, con punta di freccia, coltellino, ossa animali,selce, olletta, pettine) = AR Long. Eraclio (F-G’).

t. 104 Morrione (femmina bambina, con cinque chiodi, collana, fibbia AE, orecchiniAR, pettine, vaso) = Tremissis AV Long. con B a d. (AP-AX’); AR Long. Eraclio (A-A’).

t. 105 Morrione (maschio adulto, 42-46 anni, con tre chiodi, cintura agemin. , coltello,fibbia AE, fibbia ferro, framm. ferro, ribattini, scramasax) = Tremissis AV Biz. GiustinianoII/I regno/Roma

t. 122 Morrione (tomba bisoma con due individui adulti, maschio e femmina). A) Trevaghi di collana, moneta AV = Tremissis AV Long. con B a d. suberato (BS-CA’). B) Fibbia,framm. ferro.

t. 133 Morrione (femmina adulta, con collana, coltello, elem. orn. AE, fibbia ferro,fusaiola, orecchini AE, olletta) = Tremissis AV Biz. Costantino IV; due AE ill. forati.

t. 134 Morrione (maschio adulto, con cavallo, con anello ferro, borchie AE, cinturaagemin., collana, coltello, elem. briglie, elem. orn. ferro e AE, fibbia ferro, quattro puntedi freccia, gancio ferro, morso, staffe, vaso) = Tremissis AV Long. con nulla a d. (R-W’).

t. 135 Morrione (femmina adulta, con anello orn. AE, cinque chiodi, collana, coltello,fibbia AE, orecchini AR, piombo, flauto osso, vaso) = AR Long. con +; tre AR Long. Eraclio(B-C’/H-I’/I-K’).

t. 137 Morrione (femmina adulta, con ago ferro, coltello, elem. orn. AE, fibbia AE, spil-lone AE, orecchini AV, numerosi vaghi collana, catenina AE, fusaiola, olletta) = TremissisAV Long. con B a d. (AE-AL’).

t. 138 Morrione (maschio adulto, con sei chiodi, cintura agemin. , coltello, punta lan-cia, ossa animali, osso lavorato, scramasax, vaso) = Tremissis AV Long. con C rovescio ad. (CI-CQ’).

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98 I Beni Culturali nel Molise

t. 139 Morrione (individuo adulto, con coltello in ferro, ossa animali) = Tremissis AVLong. con B a d. (AH-AP’).

t. 143 Morrione (maschio adulto, con calice vetro, sette chiodi, cintura AE, coltello, fib-bia AE, fibbia ferro, due punte freccia, selce, brocchetta) = Tremissis AV Biz. CostantinoIV/Siracusa

t. 166 Morrione (femmina adulta, con tre vaghi collana, fibbia AE, vaso) = AR Long.Eraclio (C-D’) e altra in AR

t. 176 Morrione (individuo adulto, con brocchetta, fibbia ferro) = AR Biz.VII sec. conCroce potenziata (su due gradini)

t. 178 Morrione (individuo adulto, con bracciale ferro, sei chiodi, fibbia ferro) =Tremissis AV Biz. Tiberio III (698-705)

Le monete di più antica emissione proposte nella necropoli sono un Quadransbronzeo di standard sestantale della Repubblica Romana (211-208 a.C.), dellaZecca di Luceria, nella t. 116 di Vicenne, e un nominale bronzeo non riconoscibi-le, pure della Repubblica Romana, nella t. 145 di Vicenne.

Le due monete appaiono di difficile collocazione nel contesto della necropo-li. È certamente improbabile che siano elementi di corredo19: il Quadrans, infatti,non può essere rimasto in circolazione fino al VII sec.20 ed è forse da considera-re come elemento inquinante nella tomba di età longobarda, forse portato con ilterreno di riempimento. Testimonia comunque la presenza nel medesimo luogo,o vicino, di una necropoli o di un insediamento di età romana repubblicana, alquale è forse pure da riferire l’altra moneta.

Non se ne può però escludere un recupero casuale, nel VII secolo, con un uti-lizzo improprio, come oggetti di ornamento o amuleti. Le due monete nonappaiono però forate, per un utilizzo come pendaglio o vago di collana. L’ipotesiquindi della giacitura secondaria appare la più probabile.

Indirettamente appare interessante segnalare la collocazione del bronzo diLuceria, che evidentemente circolava, in età romana repubblicana, anche nellazona.

Del tutto normale per una necropoli di età longobarda invece appare la pre-senza delle due coppie di monete in bronzo tardo-romane, fortemente usurate,presenti nella t. 15 di Vicenne e 133 di Morrione, romane imperiali di IV secolo.Tutte forate, sono da considerare come vaghi di collana o pendenti, con funzio-ne decorativa o come amuleto, senza alcun residuo significato monetario. I tipi,

19. Mi mancano però i dati di scavo, che potrebbero essere determinanti.20. Appartiene a classi uscite di mercato già in età romana repubblicana, se non altro per l’alto

standard ponderale.21. Il fenomeno viene esaminato nell’ambito della problematica generale della moneta in tomba e del

cd. “Obolo di Caronte” (D’ANGELA C., L’obolo ...; Caronte..., pp. 282-285; Trouvailles monétaires de tombes ...)o in quello della resistenza in circolazione della moneta romana nel medioevo (SACCOCCI A., Monete roma-ne in contesti archeologici medievali ...). Cenni sulla “moneta forata” in COCCHI ERCOLANI E., I Longobardi inEmilia ..., p. 79, con bibl. sul tema.

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per la t. 15, con la urbs roma e di Costanzo Gallo, appaiono del tutto comuni. La presenza di monete utilizzate in questi termini (alla moneta montata a

gioiello, in anelli, pendenti, orecchini, collane, si accenna più avanti) apparemolto frequente nelle necropoli di età longobarda ed ha già suscitato l’interessedella critica21. Solitamente si tratta di monete tardo romane, ma talvolta anche piùantiche, spesso del tutto illeggibili, come ad Arzignano (VI)22, a Cividale (UD)23, aFirmiano (UD)24, a Garbagnate (CO)25, a Goito (MN)26, a Legnago (VR)27, a Leno(BS)28, a Comacchio, S.Maria in Pado Vetere29, a Parma, via Pellico30, a Caravaggio(BG)31, a Romano di Lombardia (BG)32, a Pre di Ledro (TN)33, a Fiesole (FI)34, aCastel Trosino (AP)35, a Bolsena (VT)36, e in innumerevoli altri siti37.

Gli esemplari sono collocati in tombe anche modeste, talvolta come unico ele-mento di corredo. Si tratta quindi di un elemento dell’ornamentazione persona-le, non indicativo di un particolare censo o collocazione sociale.

Per alcuni esemplari, come per l’As repubblicano di Parma, forse anche perl’As di Campochiaro (n. 2) e per le monete fino al III sec., è da ipotizzare, se nonuna giacitura secondaria, un recupero casuale in età altomedievale con unaomologazione alla moneta accettata in circolazione ed un utilizzo finale nonmonetale in tomba. Si tratta infatti di monete sicuramente uscite di mercato giàin età tardo-romana.

Per gli altri materiali, tardo-romani, è probabile un mantenimento in circo-

22. Nella necropoli longobarda, in loc. Altura, si avevano quattro esemplari forati. VERGER P., Schede..., p. 430.23. BROZZI M., Ripostigli ..., passim, con altri ritrovamenti nell’area.24. RIEMER E., Romanische ..., p. 305, tomba n. 17.25. CALDERINI C., Schede ..., p. 1123.26. In loc. Sacca, Necropoli della Mussolina, 1992, si hanno monete romane nelle necropoli longobarde,

forate. MENOTTI E.M., Goito ..., pp. 84-85.27. In località Minerba, nella necropoli longobarda, si avevano due monete in bronzo romane forate.

VERGER P., Schede..., p. 441.28. In loc. Campo Marchione, nella necropoli longobarda, con 181 tombe, si avevano monete in bronzo

forate, tutte tardo-antiche. BREDA A., Leno (BS)..., pp. 93-95.29. RIEMER E., Romanische..., p. 348.30. Nella necropoli longobarda erano quattro monete forate: un As Romano repubblicano di standard

unciale (C 56/2); un Sesterzio di Gordiano III (RIC IV, 3, p. 47, n. 285); un Antoniniano di Aureliano o diProbo; una Frazione radiata di Massimiano (RIC VI, p. 360, 88 b: zecca di Roma). CATARSI DALL’AGLIO M.,Testimonianze..., p. 12; COCCHI ERCOLANI E., I Longobardi..., p. 53.

31. Monete forate in necropoli longobarda: un Antoniniano di Filippo Arabo, un Follis di CostantinoI/Siscia, un AE3 di Costante. DE MARCHI P.M., Catalogo dei materiali altomedievali..., pp. 102-103;CHIARAVALLE M., Considerazioni..., p. 162.

32. Presente un bronzo di Marco Aurelio forato in tomba altomedievale. CALDERINI C., Schede..., p. 1116, 33.Un bronzo forato nella necropoli longobarda. AMANTE SIMONI C., Lastrinie..., p. 47 (dell’estratto).

34. RIEMER E., Romanische ..., p. 373 ss.: anche moneta costantiniana forata (t. 24).35. La Necropoli altomedievale ..., p. 209: una moneta forata in bronzo nella tomba 80.36. RIEMER E., Romanische ..., p. 389, t. 4.37. Può essere molto utile uno spoglio sistematico non solo della bibliografia specifica relativa a

necropoli altomedievali, ma anche dei numerosi volumi già editi del RME Ve. Un elenco molto com-pleto in RIEMER E., Romanische ..., anche con la documentazione di area bizantina.

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100 I Beni Culturali nel Molise

lazione ininterrotto, per le transazioni economiche al livello inferiore. Tale funzione è stata ormai fondamentalmente accettata per la moneta

bronzea romana circolante nei livelli di VI secolo e, probabilmente, anche peri livelli più tardi, in ambiti con cultura monetaria bizantina, con circolazionetrimetallica, come a Roma o in Liguria38.

Per gli ambiti culturali longobardi l’ipotesi di una circolazione di bronzo piùantico appare, per il VII e VIII secolo, meno sicura.

Mentre sono ancora insufficienti le verifiche in stratigrafie urbane, chiara-mente le più affidabili per le informazioni sulla circolazione monetaria, colpiscel’assenza – finora – della coeva moneta bizantina usata come vago o pendente.Moneta invece presente – sia forata che intatta – anche negli ambiti urbani, siapure con una casistica estremamente ridotta. Prescindendo dalla fascia costieraadriatica del Veneto39, dall’ambito ravennate e romano40, e dalle estreme regionimeridionali (Puglia, Basilicata, Calabria), di tradizione bizantina, dove si hannoproblematiche differenti, nel mondo longobardo settentrionale, oltre al Follis diCostante II di Brescia-Santa Giulia41, ricordo il Follis di Eraclio (di Cyzicus) diBassano del Grappa42, e soprattutto i due mezzi Folles di Verona (Tribunale), dicui uno di Leone III43, ed altre poche monete44.

Per l’Italia centro-meridionale longobarda (Abruzzo, Molise, Campania) talerealtà perde visibilità negli scavi editi. Soprattutto in questa area, corrisponden-te al nucleo centrale dei Ducati di Spoleto e Benevento, alla luce dei dati propo-sti dalla necropoli di Campochiaro, sembrerebbe possibile riconoscere una cir-colazione che non utilizza la moneta in rame. Per le transazioni inferiori eranoin uso i piccolissimi nominali in argento che vedremo, mentre gli esemplari inbronzo (tutti più antichi) venivano usati come vaghi o pendenti.

Del tutto straordinario – forse legato al rituale funerario – appare il caso dellafrazione di Siliqua argentea longobarda, del tipo con il monogramma diPertarito45, trovata infissa nella malta della parete all’interno di una tomba fem-minile a Campione (CO)46.

38. Problematica sviluppata da chi scrive in ARSLAN E.A., Considerazioni .... Per Roma cfr. SAGUÌ L.-ROVELLI A., Residualità..., pp.186-195 (ROVELLI).

39. Le province attuali di Venezia, Padova, Rovigo, Treviso, per le quali la problematica apparediversa.

40. Per l’emissione e la circolazione del rame in ambito romano: ROVELLI A., Emissione...41. ARSLAN E.A., Le monete, Santa Giulia..., Cat. n. 572.42. GORINI G., La circolazione..., p. 194.43. ARZONE A., Nota ..., pp.199-207.44. Elenco in ARSLAN E.A., La circolazione monetaria (secoli V-VIII)..., pp. 514-517; ARSLAN E.A.

Considerazioni ..., (con situazione anche della Liguria bizantina. Aggiornamento in ARSLAN E.A.,Problemi di circolazione... Aggiungo Gazzo (VR), con un Follis di Eraclio (ringrazio per l’informa-zione F. Biondani), Isola del Giglio (GR), con un Follis di Eraclio/Costantinopoli (notizia di MarioGalasso dell’1.11.1999, che ringrazio).

45. LAFAURIE J., Trésor ..., p. 123 ss.: le emissioni sarebbero di Cuniperto e di Ariperto II; LAFAURIEJ., Les monnaies ..., pp. 93-96. Vds. per ultimo ARSLAN E.A., Problemi di circolazione..., p. 296.

46. Nella chiesa longobarda di S. Zenone, in tomba. ARSLAN E.A., Mutamenti, p. 444.

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Come vaghi e pendenti, ma nell’abbigliamento e nell’ornamentazione di per-sone di prestigio, venivano anche utilizzate monete in oro, più raramente inargento, di solito con lussuose montature. Anche in questo caso è da escludereuna valenza monetaria per oggetti che sono da intendersi come strumenti diostentazione di ricchezza e simboli di status.

Se ne ha un esempio nella parure di orecchini della tomba 45 di Morrione, cheutilizza due monete in oro di Licinio I, di difficile classificazione in quanto ilRovescio è nascosto.

La tradizione dell’uso di monete in oro montate ad orecchino o a pendente èdi molto precedente all’età longobarda, con numerosissimi esempi noti di etàromana imperiale47. Cito, per tutti, la moneta in oro di Salonino, montata a pen-dente, della necropoli dell’Università Cattolica48.

Accanto all’ovvio significato decorativo di pendenti e orecchini con monete inoro, vi è comunque sempre il significato economico, legato al valore del metallo (ealla qualità artistica del gioiello), o il significato come amuleto, frequentementelegato alla moneta. Ma, anche, vi può essere – in età romana – un significato ideo-logico, come indicazione di lealismo nei confronti dei detentori del potere effigia-ti nelle monete. Sarebbero quindi – in determinati casi – manifestazioni di propa-ganda filo-imperatoria, almeno nei casi in cui il gioiello utilizzava monete coneffigi di viventi o di figure imperiali con intatta valenza ideologica.

Probabilmente il significato dovrebbe essere verificato di volta in volta.Chiaramente ideologico sembra nel caso dei molti gioielli che montano aureidegli usurpatori dell’Impero Gallico, o del pendente della Cattolica di Milano, odel pendente di Niedenstein-Kirchberg (D-Schwalm-Eder-Kreis)49, con un solidodi Magnenzio, od infine del multiplo in oro con l’effigie di Teodorico frontale50,ritrovata a Morro d’Alba/Senigallia, montata come fibula a disco. Ciò anche se aImola due Solidi di V secolo51 sono trasformati in fibule a disco, con ardiglionein argento, analogamente al multiplo di Teodorico, ma senza alcuna possibilitàdi interpretazione ideologica.

Il “gioiello monetale” rappresenta comunque una vera e propria moda in ambi-to franco, ostrogoto e della prima fase longobarda, anche con collane e bracciali, per

47. METZGER C., Les bijoux ...; CALLU J.P., Bijoux ...; ZADOKS JITTA A., Monete gioiello ...; BRENOT C. -METZGER R.C., Trouvailles ... Per il tesoro di Beaurains, in Francia, con monete da Adriano a Postumo,montate come gioielli, BASTIEN P., Le trésor... Cfr. anche, con bibliografia, COCCHI ERCOLANI E., I lon-gobardi in Emilia ... Per il significato di questi gioielli nell’abbigliamento BRUHN J.-A., Coins ..., con lasplendida serie di gioielli con monete o multipli aurei romani nella Dumbarton Oaks Coll. aWashington. Per gli anelli veniva utilizzato anche l’argento: cfr. l’AR di Valentiniano III di Nissoria(EN) (RIEMER E., Romanische ..., p. 451, con bibl.).

48. PERASSI C., La testimonianza della moneta ..., p. 147 (foto) e p. 187 (scheda): tipo RIC V, 1, p.125, n. 17, della zecca di Roma.

49. Die Franken - Les Francs, Katalog der Ausstellung, II, 1996, p. 918: V.5.24.d.50. ARSLAN E.A., La monetazione dei Goti ..., AV 3 (con bibl. sull’emissione).51. MAIOLI M.G., Imola ..., p. 19 e pp. 23-24, nella tomba 185, di età gota con solidi di Onorio e

Valentiniano III, con ardiglione in argento. COCCHI ERCOLANI E., Considerazoni ..., pp. 39-42. Dellazecca di Ravenna, del 408 e 425. Sviluppa sintetiche considerazioni sul “gioiello monetale”.

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i quali il significato ornamentale appare fuori di discussione. Questi gioielli talvolta,per la presenza di sole monete di zecca romana o bizantina, come a Koeln52 e a CastelTrosino53, venivano forse prodotti in area bizantina per il mercato germanico.

In altri casi invece l’impiego di imitazioni indica una fabbricazione locale,come a Nocera Umbra54 o a Cividale55.

La produzione di “gioielli monetali” prosegue, in ambito longobardo, anchenel VII-VIII secolo.

Del VII secolo è la fibula di Canosa (BA), che utilizza un solido in oro diZenone56. Della fine del VII o dell’inizio dell’VIII l’anello di Magnano in Riviera(UD), in oro, che utilizza per castone una moneta di Costantino IV (668-680)57.Ma si utilizzano anche monete più antiche, romano imperiali, come a Cividale,nella cd. tomba di Gisulfo, con un Aureo di Tiberio per un anello58.

Oppure si riproducono, o vengono impressi, tipi monetari coevi, come sullafaccia posteriore del disco dell’orecchino di Senise59. Molto tempo più tardi sitrova l’impronta di un solido di Leone III (714-741) su una croce da Benevento,ora a Norimberga60.

Gli orecchini di Morrione, con l’immagine di Licinio I, non possono avere –nel VII secolo – alcun significato ideologico: rappresentano solo un mezzo diostentazione della ricchezza, con una chiara valenza estetica. Non è facile peròcollocarli nel tempo. Potrebbe anche trattarsi di gioielli prodotti nel IV secolo econservati in uso (o in termini di tesaurizzazione) fino alla deposizione con il cor-redo della tomba. In questo caso il significato ideologico originario, forse antico-stantiniano, della scelta dell’imperatore diventerebbe nuovamente possibile.

52. MUELLER-WILLE M., Koenigtum..., p. 216: collana con 7 solidi su una collana. Un altro solido èsu altra collana.

53. WERNER J., Nomadische Gurtel ..., pp. 13 e 74 ss.: nella tomba 7 è una collana con sei monete (sol.Anastasio/Teodorico, tre sol. Giustiniano I, Costantinopoli, sol. Giustiniano I, zecca it. , sol. Tib.II, RV);nella tomba 115a è una collana con cinque monete (sol. Giustino II, zecca it. ; sol. Giustiniano I, RV; sol.Tiberio II, Costant.; sol. Giustiniano/Atalarico; sol. Giustiniano I, Costant.); nella tomba 115 b è una col-lana con quattro monete (tre Tremisses di Maurizio Tib., RV; un Tremissis di Tiberio II, RV).

54. ALFOELDI A., Le monete ..., pp. 73-78: sette Tremisses barbarizzati, a nome di Giustiniano, tuttidagli stessi conii.

55. Nel 1821-2 venne recuperata una collana di 16 Tremisses, tutti barbarizzati (uno per Teodosio I,uno per Giustino e Giustiniano, 14 per Giustiniano), con quattro 1/4 di Siliqua barbarizzati e un 1/8di Siliqua barbarizzato (Archivio). BERNARDI G.-DRIOLI G., Le monete ..., p. 20 ss.

56. D’ANGELA C. - VOLPE G., Aspetti storici ..., pp. 306-307.57. BROZZI M., Ripostigli ..., pp. 414-419; BROZZI M., I Longobardi ..., p. 464, X.128a.58. BROZZI M., I Longobardi, p. 470, X.191c; GORINI G., Moneta e scambi ..., pp. 178-181.59. CARDUCCI C., Oreficerie ..., p. 246, n. 866; MELUCCO VACCARO A., Oreficerie ..., p. 15: l’impronta è di

una moneta di Costante II (641-668); CORRADO M., Manufatti ...: si tratta del Rovescio di un Solido diCostantino IV Pogonato (668-685). Per chi scrive, dalla fotografia, sembrerebbe l’impronta del Rovesciodi un solido di Costante II, con Costantino IV, Eraclio e Tiberio (659-668), della zecca di Siracusa (tipoDOC II, II, p. 489, (161a)-161f, del 659-661 ca.). Cfr. anche ARSLAN E.A., Catalogo, n. 63. Una splendidaimmagine degli orecchini e dell’impronta sul retro di uno di essi è in GALASSO E., I gioielli ..., pp. 134-135.

60. MENGHIN W., Il materiale gotico ..., p. 28, n. 25, Tav. 17, 2. Per il caso analogo, ma ben più antico (coniida tipo del Tremissis di Giustino II), della croce da Novara, sempre a Norimberga, cfr. ibidem Tav. 17, 1.

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Il Medioevo 103

Se invece i due orecchini vennero prodotti successivamente ci si deve riferireal ritrovamento in età altomedievale di un probabile ripostiglio di monete in oro,tra le quali è stato possibile isolare due esemplari del medesimo imperatore. Laselezione testimonia comunque la capacità di leggere ed interpretare la moneta,rivelando una precisa intenzionalità.

La tomba n. 33 di Vicenne, una delle numerose con cavallo nella necropoli,ha restituito infine un documento eccezionale, chiaramente non monetale, macollegato alla problematica dell’attribuzione dei Tremisses anonimi semiglobula-ri presenti nello scavo, che vedremo più avanti.

Si tratta di un anello in oro61, di struttura altomedievale, con collocata nelcastone una gemma romana, con la rappresentazione di simboli relativiall’Annona: il moggio con le spighe e i papaveri e, sopra, la bilancia. Le bilancesono attributi dell’Annona e simboleggiano l’equità distributiva. La gemma, inpietra dura (corniola?), potrebbe essere dell’età di Claudio e richiederebbe un’a-nalisi specifica, non opportuna in questa sede.

Ma l’aspetto di maggiore interesse sta nella parte posteriore del castone, a con-tatto con il dito, dove si ha una riproduzione del D/ delle medesime monete aureebeneventane (Tremisses semiglobulari) presenti nella necropoli.

L’immagine è subcircolare, in cerchio perlinato, ottenuta a sbalzo su lamina (contecnica presumibilmente analoga a quella della produzione delle crocette), con unaresa semplificata ma chiara, su un diametro lievemente superiore a quello consue-to delle monete. Il busto corazzato è a d.; la testa è diademata. A s. si ha una pseu-dolegenda, mentre a d. si ha, molto chiara, la B delle monete (cfr. tombe di Vicennenn. 46, 71, 73, 115, 129, 152; di Morrione nn. 49, 80, 104, 122, 137, 139).

L’aspetto di maggiore interesse dell’anello è certamente rappresentato dallapresenza di questa immagine sul retro del castone. Essa ci porta a due deduzio-ni fondamentali. In primo luogo l’utilizzo del tipo di una classe monetale, con lesue ovvie valenze, espressione della maiestas del principe (in questo caso delDuca, o del re), indica la volontà di riferirsi ad una persona ben precisa, appun-to nelle monete riconosciuta (o presente).

In secondo luogo la collocazione, nascosta ma in posizione privilegiata, pra-ticamente contro il corpo e proprio nel luogo che simbolicamente rappresentavala dignità del possessore nella comunità (l’anello sigillare, attraverso il quale siesercitava il potere, sia proprio che in delega), indica come il possessore ricono-scesse l’esistenza di legami specialissimi tra lui e il personaggio effigiato nellamoneta. L’anello porta quindi il segno della fedeltà del morto al Duca (o al re),con valenze tanto forti da giustificarne la non comunicazione agli altri.

Il portatore dell’anello appare interlocutore diretto di una suprema autorità(quale quella che poteva emettere monete), dalla quale non solo ha ricevuto ladignità tradotta in atto dall’anello sigillare, ma anche è stato beneficiato in ter-mini tali da stabilire legami a carattere eccezionale. Per questo diretto rapporto,

61. Per ultimi ARSLAN E.A., L’anello ..., con bibl. precedente; CORRADO M., Manufatti ...

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104 I Beni Culturali nel Molise

in una società fortemente gerarchizzata come quella del tempo, egli si pone pureal vertice della comunità che utilizza la necropoli. In altre parole potrebbe esse-re il “capo”, o qualcuno vicinissimo al potere.

A questo proposito appare a mio avviso indispensabile ritornare a quantonarrato da Paolo Diacono62 nel noto passo su Alzecone, capo Bulgaro che vienefatto entrare in Italia da Grimoaldo (sembrerebbe dopo il 662) e che viene da luiaffidato, con i suoi uomini, al figlio Romualdo, duca di Benevento, che lo nomi-na gastaldo e gli affida territori spopolati (di Sepino, Bojano e Isernia), tra i qualiproprio quello dove ora si scava la necropoli. Le coincidenze sono impressio-nanti, specialmente sul piano cronologico: le monete si distribuiscono appuntonei medesimi anni che hanno visto l’insediamento dei bulgari, dei quali sipotrebbero avere nella necropoli le tombe della prima generazione. Con il lorocapo, con l’anello di gastaldo? L’ipotesi appare non poco suggestiva ma deveessere scartata, vista l’età del morto accompagnato dall’anello, sui venti anni o dipoco superiore63. Ma potrebbe essere il figlio del capo?

L’anello, la cui struttura è identica ad un esemplare del complesso di Senise64,già comunque segnalato e discusso in altra sede65, non verrà quindi trattato – senon in questi brevi cenni – in questo Convegno, focalizzato sulla moneta intomba nella necropoli di Campochiaro Vicenne e Morrione, così come non trat-terò la problematica generale degli anelli longobardi66.

Nelle 351 tombe scavate al 2000, 44 avevano, come oggetti di corredo, mone-te in argento e oro, bizantine o longobarde67. Solo la tomba 104 di Morrione asso-ciava oro longobardo e argento pure longobardo. In nessun corredo si associa-vano monete longobarde e bizantine.

Sulle 54 monete recuperate (esclusi gli esemplari più antichi, quelli forati e idue orecchini), 10 sono bizantine (un Semis, sette Tremisses, due in argento) e per-mettono di ancorare a date precise di emissione questa classe di materiale. Unaè di Tiberio II o Maurizio Tiberio (in argento; n. 7; 578-582 o 582-602; della zeccadi Ravenna o imitazione). Due sono di Costante II (Tremisses nn. 8-9; 641-668;ambedue della zecca di Roma); due di Costantino IV (Tremisses nn. 10-11; 668-685; delle zecche di Siracusa e di Roma); una di Giustiniano II, primo regno(Tremissis n. 55; 685-695; della zecca di Roma); due – un Tremissis in oro e unamoneta in argento – di Leonzio II (nn. 56-57; 695-698; della zecca di Roma e di

62. HL, V, 29.63. GIUSBERTI G., Lo scheletro ..., pp. 339-341.64. Sembrerebbe uscire dalla medesima officina, che utilizzava pietre dure incise romane e che era

solita riprodurre monete bizantine o longobarde. Per la tomba in Senise (PZ), località Sala: DERINALDIS S., Senise ..., p. 329; BREGLIA L., Catalogo ..., n. 998, tav. XLII; SIVIERO R., Gli ori ..., n. 534, tav.CCLV a-b, CCLVII; CARDUCCI C., Oreficerie ..., p. 247, n. 868; SALVATORE M., Antichità ..., p. 951;CORRADO M., Manufatti ..., con completa segnalazione ed esaustiva discussione di altri gioielli cheutilizzano monete o impronte di monete.

65. ARSLAN E.A., Monete ...; ARSLAN E.A., Emissioni monetarie ...; ARSLAN E.A, L’anello...66. Vds. sempre VON HESSEN O., Anelli a sigillo ...; VON HESSEN O., Considerazioni ...; KURZE W.,

Sieghelringe ... 67. La tomba n. 33 di Vicenne aveva poi l’anello in oro riproduzione di un Tremissis.

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Ravenna); una di Tiberio III (Tremissis n. 58; 698-705; della zecca di Roma); unadi Giustiniano II, secondo regno (Semis n. 59; 708-709; zecca di Siracusa).

La sequenza degli imperatori è quindi continua, dal 641/668 (se non dal 578-582 o 582-602) al 708/709, e permette una datazione approssimativa, con un sicu-ro terminus post quem, per la sigillatura dei corredi che contengono monete.

Colpisce il dominio del Tremissis: tutti Tremisses sono pure le monete in orolongobarde presenti nella necropoli. Evidentemente è il nominale privilegiatonella circolazione delle aree longobarde in Italia centro meridionale, insieme conqualche Semis, che però mal si doveva distinguere dai Tremisses, in una circola-zione a carattere economico molto debole, nella quale scarsa attenzione venivadata al nominale. Ci si poneva così – se la circolazione monetaria effettiva pres-so il gruppo che inumava i propri morti a Campochiaro era omologa alla strut-tura del nucleo recuperato nei corredi delle necropoli – in consonanza con ilresto del territorio longobardo, nel quale il Tremissis era rimasto l’unica monetaaurea corrente68, e in contrappunto con i territori bizantini del Sud, nei quali, inbase ai ritrovamenti, il Solido rappresentava la moneta privilegiata69. E nellostesso tempo ci si poneva in contrapposizione con la successiva monetazione diBenevento nell’VIII secolo, nella quale la produzione di Solidi è sempre moltosostenuta, accanto ai Tremisses70. Quasi nulla però ci è dato sapere sulla naturadello stock monetario circolante nel ducato/principato durante tutto l’altome-dioevo (VIII-IX secolo), per la scarsità di indicazioni di provenienza71.

68. Il caso di Trezzo d’Adda, con un Solidus di Focas nella tomba n. 1 ed uno di Eraclio ed EraclioCostantino nella tomba n. 5, appare isolato ed indica un utilizzo delle monete come simbolo di sta-tus (BELLONI G.G., Solido aureo ..., pp. 23-24, 96-98).

69. Non sappiamo però quanto incidano nelle nostre statistiche i materiali recuperati nel Sud daripostigli e non da contesti funerari, che spesso (come per l’As nell’età romana imperiale) specializ-zavano i nominali per l’utilizzo nei corredi. Per la situazione nel territorio rimasto bizantino nel-l’attuale Calabria cfr. ARSLAN E.A., Catalogo..., tabella nell’introduzione, con una maggiore presenzastatistica del Solidus sul Tremissis.

70. Per una prima valutazione quantitativa (in termini di numero di conii utilizzati) delle emis-sioni beneventane: ARSLAN E.A., Sequenze dei conii ..., grafici.

71. Limitandosi alle emissioni beneventane e salernitane, oltre i ritrovamenti appunto diCampochiaro ed il cd. “Ripostiglio di Napoli”, ricordo solo i ritrovamenti di argenti con mono-gramma di Eraclio, sui quali si tornerà più avanti, di Altavilla Silentina (SA; tre esemplari), CagnanoVarano (FG), Pratola Serra (SA) (per tutti VOLPE M.T., Le monete ...), Grumento (PZ) (BOTTINI P.,L’altomedioevo...), Roma (cfr. avanti: ringrazio A. Rovelli per la segnalazione di tre esemplari). A S.Vincenzo al Volturno (IS) sono segnalati un Tremissis beneventano di VIII secolo (ancora da esami-nare), tre Denari di Sicone e un Denario di Guiamario di Salerno; a Conza (SA) (BONUCCI C.,Alcunemonete ..., p. 15) era un Denaro di Ademario di Salerno. A Venosa erano un Solido di Grimoaldo III(visto come Tremissis di Costantinopoli), come principe da solo, e un Denaro di Siconolfo (SALVATOREM.R., Le monete ..., c.136-c.137). All’esterno del Ducato ho nel mio archivio: un Solido di Arichi IIPrinc. (774-787) e un Tremissis di Arichi II Principe nel Ripostiglio del Reno (CANALI L., Tesoretto ...ARSLAN E.A., Zecche ..., p. 117); due Tremisses di Romualdo II a Cividale (BERNARDI G. -DRIOLI G., Lemonete ...); un Tremissis di Arichi II a Nitra (da tomba; ora a Bratislava, Slovacchia); a Traù (o dintor-ni) un Solido di Grimoaldo/Carlo Magno (DELONGA V., Kasnoant ..., p. 102, n. 28, Pl.XV, n. 28). Si hanotizia di un ripostiglio genericamente indicato come “dall’Italia”, ritrovato (e disperso) nel 1872, dimonete beneventane con il Solido e il Tremissis di Godescalco con il nome di Leone III (SAMBON G.,Repertorio ..., pp. 68-69, nn. 394-395: il solido alla B.N. di Parigi; il Tremissis nella Coll. Boyne. 5).

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Si definisce così una struttura dello stock circolante dell’area, per il VII seco-lo, abbastanza inaspettato. Anche la presenza di una percentuale molto alta dimoneta aurea bizantina (il 18,5 % di tutta la moneta, ma il 27,6 % della solamoneta in oro), indica un mercato fuori controllo da parte delle autorità emit-tenti locali. Probabilmente la successiva riforma delle emissioni a Benevento, checoincide sostanzialmente con l’esaurirsi della necropoli, avrà portato ad unamaggiore protezione per le emissioni locali.

La maggior parte delle monete auree bizantine sono di zecca romana (o si pre-sume che lo siano, in una situazione di scarsa conoscenza dei materiali72). Ciò appa-re giustificato dalla vicinanza della zecca e forse da condizionamenti economici.Inizia così a definirsi il mercato nel quale si muove la moneta romana, che con lafine del sesto secolo sembra non spostarsi più lungo le rotte tirreniche73.

L’area viene però raggiunta anche dalla moneta aurea di Siracusa, che proprioin quest’epoca mostra la massima capacità di penetrazione sul mercato74, e dallamoneta di Ravenna, con il rarissimo esemplare in argento di Leonzio II (n. 57). Essasi rivela così veramente centrale nella penisola, aperta a tutti i condizionamenti,anche se attestata in una cultura bimetallica (oro e argento) tipicamente germanica.

I TREMISSES BENEVENTANI ANONIMI

Un lontano riferimento alle emissioni ravennati si ha anche nel tipo diTremissis longobardo presente con 21 esemplari (il 72,4 % delle monete d’oro)nella necropoli ed imitato nel retro del castone della tomba n. 33. Esso ha al D/un busto a d. e al R/ la croce latina potenziata.

Per lo studio di questo tipo, nel quale riconosco emissioni anonime beneven-tane di Tremisses nel VII secolo, ho isolato un campione statistico casuale, com-prendente tutte le monete di Campochiaro e del ripostiglio cd. “di Napoli”,materiali di collezioni pubbliche e private, materiali da vendite ed aste75. Talecampione è rappresentato da 144 esemplari76.

72. I ritrovamenti localizzati con sicurezza sono scarsissimi. Cfr. MORRISSON C., Catalogue ..., pas-sim; DOC II, II, pp. 49-51; DOC III, I pp. 87 ss.; 105; MEC 1, pp. 259-266, nn. 1030-1084; ROVELLI A.,La circolazione ..., pp. 79-91; ROVELLI A.., Le monete ...; ROVELLI A., Emissione ...

73. La moneta della zecca di Roma appare per ora assente, per i tre metalli, nell’intera area nord-tirrenica (ARSLAN E.A., Considerazioni ...). Appare segnalata invece a S.Vincenzo al Volturno e nell’a-gro romano (ringrazio per le segnalazioni A. Rovelli, che ha in corso lo studio dei ritrovamenti).

74. MORRISSON C., La Sicile ...; per il Bruttium cfr. ARSLAN E.A., Catalogo ...75. Al 2.7.2000, sono stati spogliati 6365 listini, cataloghi di aste e di vendite con fotografie. La

ricerca è ancora in corso e giungerà alla pubblicazione delle sequenza completa dei conii, per laquale in questa sede si danno solo indicazioni preliminari.

76. La cattiva qualità delle foto (nei cataloghi d’asta) o dei calchi, e i frequenti ritocchi nelle foto-grafie, con la mancata indicazione dei pesi (o l’indicazione di pesi solo al decimo di grammo eimprecisi), rende molto difficile la ricostruzione delle sequenze per i R/, mentre il riconoscimento deiD/ appare più sicuro. Alcune identità possono non essere state riconosciute o essere state ricono-sciute erroneamente. Non si esclude poi che alcune delle monete siano ripetute nelle sequenze, chevanno considerate con molto prudenza relativamente soprattutto ai R/.

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Il Medioevo 107

Le caratteristiche di questo complesso di monete appaiono molto costanti: a) il diametro appare molto ridotto, di 11/14 mm., tanto da giustificare la

definizione di monete “semiglobulari”, dato il forte spessore.b) il busto del D/ è sempre a d.c) il busto del D/ è trapezoidale, definito da tre tratti a linea continua, con fibu-

la a disco nell’angolo sinistro, a cerchiolino singolo. La fibula manca solo in duecasi degenerati77. All’interno si hanno tre tratti puntinati. Infine all’interno si ha unsecondo busto trapezoidale, con quadrettatura, su due registri. In pochi casi su treregistri78. In un caso all’interno si hanno due cerchi79. Orizzontalmente il busto èsuddiviso, sui diversi registri, in tre, quattro o cinque alveoli. La partizione è inmolti alveoli soprattutto nei tipi con lettera R o S o SC. In certi casi conii ben con-servati indicano una partizione interna a tratti più sottili (Vicenne t. 129).

d) il naso e il sopracciglio della testa del D/ sono uniti, con spigolo.e) l’occhio della testa del D/ è reso con un globetto.f) il mento e le labbra della testa del D/ sono resi con tre globetti in sequenza

verticale.g) l’orecchio della testa del D/ è a ferro di cavallo.h) il diadema della testa del D/ è a doppio tratto semilunato con due globetti

sopra la testa e due dietro la nuca. Esso divide la capigliatura, resa a tratti paralleli.i) la legenda del D/ è sempre pseudoepigrafica, con terminazione superiore (ai

lati della testa) con due cunei allungati (assenti nei tipi senza lettera o segno al D/nel campo).

k) al D/ a destra del busto si hanno una o due lettere o nulla80.l) la croce del R/ è tendenzialmente greca, potenziata.m) la legenda del R/ è pseudoepigrafica di tipo speculare con anomalie (segni

segreti?)81. Sui due lati si hanno sempre due lettere O.

77. VARESI, Monete e Medaglie, I, 1998, n. 49, con B; Ratto 1956, n. 392, con B.78. Anche Campochiaro, Morrione, t. 104. Medesimo D/ di WROTH W., Catalogue of the Coins ..., XIX,

n. 15. Con B.79. Boutin, Coll. n. K., 1983, n. 956, con B.80. Nella necropoli 5 Tremisses non hanno lettera al D/ a destra del busto; 12 hanno la lettera B; una

ha la lettera C speculare; 1 la lettera R; 2 la lettera S.81. La legenda si organizza specularmente dai due lati, risalendo dal basso. La legenda speculare

appare costantemente nella monetazione longobarda del Regno a nome di Maurizio Tiberio di IItipo (ARSLAN E.A., Le monete di Ostrogoti ..., nn. 13-21), con la presenza costante di un’anomalia inognuno dei conii. Il sistema appare un voluto stravolgimento di una legenda bizantina che non inte-ressava all’autorità emittente, con esiti decorativi e con un utilizzo, mediante le anomalie, per indi-cazioni probabilmente di zecca. Ciò ha portato nel passato anche a letture equivoche, come per il cd.Tremissis di Rothari a Brescia, in realtà un Tremissis a nome di marinvsmon con legenda speculare alRovescio, che recuperava in parte le lettere della parola victoria rovesciate. Quindi con [ai]rot[civ] chevenne letto come rot[hari]). Cfr. ARSLAN E.A., Le monete di Ostrogoti ..., p. 12.

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108 I Beni Culturali nel Molise

SEQUENZE DEI CONII RICOSTRUITE AL 21.12.200082

Conii di D/ Conii di R/

A (-) MEC 1, 31483 A’“ * WROTH 1911, XIX, 23 “ *“ Sotheby’s, Brand Coll. I, 1982, 9384 B’ *“ Brno, Gab.Num. C’ *

B (-) Oxford, Ashmolean M.85 D’“ Campochiaro, Morrione, t. 46 “ “ Kunst und Muenzen, 18, 1978, 1282 “ “ Paris, Cab. Méd., Ital. 856 “ * “ Ratto 1956, 397 E’“ * Firenze, Gab. Num. “ “ Hess Nachf.-Luzern, 28.4.1936, 2106 “ C (-) Trento, Castello Buonconsiglio “ “ * Wien, Muenzkab. (n. 24) “ * “ Campochiaro, Vicenne, t. 81 F’ *

D (-) Kunst u. Muenzen, 18, 1978, 1281 G’

E (-) Paris, Cab. Méd., Ital.857 H’“ Venezia, Correr, Coll. Papadopoli I’

F (-) WROTH 1911, XIX. 25 K’“ Frankfurter Muenzhand. GmbH, Auk. 132, 1989, 113 ““ Ratto 1956, 399 “ (?)

G (-) Auctiones A.G., Basel, 7-1977, 87486 L’“ Muenzen u. Med. A.G. 461, 1983, 43 M’“ Ratto 1956, 398 “ H (B) MEC 1, 31687 “

I (-) Ratto 24, 26.11.1960, 18688 N’

K (-) Campochiaro, Morrione, t. 47 O’

L (-) Campochiaro, Vicenne, t. 12 P’

82. I numeri tra parentesi si riferiscono ai codici nel mio archivio privato. Ringrazio quanti, Museie privati, mi hanno inviato foto e calchi di monete.

83. Spink, 18 Jul.1956.84. Hess Nachf., 14.6.1922, 235.85. ODDY 1972, n. 343.86. Muenzen u. Med. A.G., 376, 1976, 31; Kricheldorf, XXXII, 1977, 470;

Schweiz. Balkverein 16, 1986, 792; Schweiz. Kreditanstalt 7, 1987, 1115.86. Muenzen u.Med. A.G., 376, 1976, 31; Kricheldorf, XXXII, 1977, 470; Schweiz.Balkverein 16,

1986, 792; Schweiz.Kreditanstalt 7, 1987, 1115.87. Spink, 18 Jul.1956; ODDY 1972, 354.88. Kricheldorf, Auktion XIII, 1963, 439; Ars et Nummus 4-1964, 167.

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Il Medioevo 109

M (-) Varesi, 1977, dicembre, 7 Q’

N (-) Ars et Nummus 5/6-1979, 471 R’

O (-) New York, A.n. S., 0.9.1588 S’

P (-) Berlin, Muenzkab. U’

Q (-) Oxford, Ashmolean M. V’“ Vaticano, Gab. Num. “

R (-) Campochiaro, Morrione, t. 134 W’

S (-) Wien, Muenzkab. (n. 3) T’“ Muenzen u.Med.A.G. 295-1968, 23 “

T (-) Boutin, Coll. n. K., 1938, 957 Y’

U (-) Numart It. 5-1978, 480 Z’

V (-) Rauch, Wien, 35, 1985, 6098 AA’

W (-) MEC 1, 31389 AB’

X (-) Leu A.G., Garrett Coll. II, 1984, 559 AC’

Y (-) New York, A.n. S., 56.25.29 AD’

Z (B) MEC 1, 31790 AE’“ Rip.cd. “da Napoli”, n. 6 (Roma, Coll. Reale)91 “AA (B) Ars et Nummus, 4/5, 1966, 3392 “

AB (B) New York, A.n. S., 0.9.1581 AF’“ New York, A.n. S., 47.3.124 ““ WROTH 1911, XIX, 16 ““ Ratto, 5/6 maggio 1959, 151 ““ Roma, Coll. Reale (n. 9) AG’“ Campochiaro, Vicenne, t. 115 “

AC (B) Rip.cd. “da Napoli”, n. 5 (Roma, Coll. Reale)93 AH’“ Mainz, R.-G.Zentralmuseum, 0.16567 ““ ODDY 1972, n. 353 (London, Br.M.) ““ Santamaria, Signorelli, 21.3.1955, 467 ““ Campochiaro, Vicenne, t. 71 “AD (B) Paris, Cab. Méd., Ital.853 AI’

89. “Fund at Sheffield 1914-8”. ODDY 1972, 347.90. Spink, 18 jul. 1956; ODDY 1972, 357.91. ARSLAN E.A., Il ripostiglio...92. Rinaldi, febbr. 1957, 4; Rinaldi, sett. /ott. 1957, 47; Kunst u.M,, 7/9.12.1967, 41793. ARSLAN E.A,

Il ripostiglio...93. ARSLAN E.A., Il ripostiglio...

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110 I Beni Culturali nel Molise

AD (B) Muenzen u. Med. A.G., 384-1976, 90 AI’“ WROTH 1911, XIX, 17 AK’“ Copenhagen, Nat. Mus. (n. 104) ““ Wien, Muenzkab. (n. 23) AL’AE (B) Campochiaro, Morrione, t. 137 ““ Ratto, 24/26.11.1960, 185 AM’

AF (B) WROTH 1911, XIX, 14 AN’“ Wien, Muenzkab. (n. 25) ““ Hannover, Kestner.Museum 1112 AO’“ Milano, Gab. Num., M.0.9.18616 ““ Ratto 1970-4, 50 “ “ Ratto 1956, 389 ““ Magnaguti, o. 80 “(?)

AG (B) De Falco 83-1969, 64 AP’“ Brescia, Musei Civici (n. 21) ““ Campochiaro, Vicenne, t. 129 “AH (B) Campochiaro, Morrione, t. 139 “AI (N?) ODDY 1972, 350 (London, Br.M.) “

AK (B) Paris, Cab. Méd., Ital. 860 AQ’

AK (B) Glendining, 3/5.12.1929, 814 AQ’

AL (B) ODDY 1972, 356 (London, Br.M.) AR’“ Siena (BONFIOLI 1984, 57) ““ Campochiaro, Vicenne, t. 73 “

AM (B) Wien, Muenzkab. (n. 21) AS’“ Sotheby’s, Brand Coll.I, 1982, 95 AT’

AN (B) Kress, 114, 1960, 1033 AU’“ Bruxelles, Bibl.R.Alb.I (n. 25) ““ Kricheldorf Nachf., Auk.XLII, 11.3.92, 369 “

AO (B) Santamaria, Coll.Martinori 1913, 2593 AV’“ Campochiaro, Morrione, t. 49 “

AP (B) WROTH 1911, XIX, 15 AW’“ Campochiaro, Morrione, t. 104 AX’

AQ (B) ODDY 1972, 359 (London, Br.M.) AY’

AR (B) Kunst u.M., 18, 1978, 1283 AZ’

AS (B) Campochiaro, Morrione, t. 80 BA’

AT (B) Campochiaro, Vicenne, t. 46 BB’

AU (B) Campochiaro, Vicenne, t. 152 BC’

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Il Medioevo 111

AV (B) Venezia, Correr, Coll.Papadopoli (n. V85) BD’

AW (B) Bologna, Mus.Arch., Coll.Palagi (n. 26) BE’

AX (B) WROTH 1911, XIX, 18 BF’

AY (B) Bank Leu, Zuerich, 32, 1932, 496 BG’

AZ (B) Varesi, Monete e Med.I, 1998, n. 4994 BH’

BA (B) Ratto 1956, 39395 BI’

BB (B) Kunst u.M., LiSt. 51, 1982, 50 (o 49?) BK’

BC (B) Kunst u.M.LiSt. 61, 1987, 73796 BL’

BD (B) Leu A.G., Garrett Coll.II, 1984, 56097 BM’

BE (B) Kunst u.M., 45, 1981, 21 BN’

BF (B) Kunst u.M., 38, 1979, 13 BO’

BG (B) Vaticano, Gab.Num. (n. 48) BP’

BH (B) Kunst u.M., LiSt. 35, 1978, 15 BQ’

BI (B) Ars et Nummus 12-1977, 688 BR’

BK (B) Cividale, Mus.Naz.98 BS’

BL (B) Ars et Nummus 4/6-1977, 678 BT’

BM (B) Ratto 1956, 39099 BU’

BN (B) Berlin, Muenzkab. (n. 16) BV’

BO (B) Sternberg. Auk.VIII-1978, 996 BW’

BP (B) Poutin, Coll.n. K., 1983, 956 BX’

BQ (B) WROTH 1911, XIX, 19 BY’

BR (B) Ratto 1956, 392 BZ’

BS (B) Campochiaro, Morrione, t. 122 CA’BT (A) Peus, Kat. 298, 1979, 534 CB’

94. Kunst u.M., LiSt. 51, 1982, 5195. Ratto 1971-1, 2396. Kunst u.M.LiSt. 49, 1982, 6397. Dupriez 115 bis, 68898. Ars et Nummus 12-1976, 896;99. Ratto 1930, 2383 (?)

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112 I Beni Culturali nel Molise

BU (SC) Firenze, Gab.Num. (n. 4) CC’“ Ratto 1957, 321100 ““ Paris, Cab.Méd., Ital.855 “BV (S) Hannover, Kestner.Museum, 1111 ““ Ratto, 5/6.5.1959, 152 “BW (S) Dupriez 115 bis, 686 ““ Campochiaro, Vicenne, t. 86 ““ Campochiaro, Morrione, t. 67 “BX (B) Berlino, Muenzkab. (n. 11) “

BY (S) Kunst u.Muenzen, LiSt. 51, 1982, 52 CD’

BZ (S) Ratto 1956, 394101 CE’

CA (S spec.) Kunst u.M., LiSt. 51, 1982, 53 CF’

CB (S) Titano, Asta 4, 1979, 252 CG’

CC (S spec.) WROTH 1911, XIX, 21102 CH

CD (SC) Sternberg, Zuerich, XIII, 1983, 1175103 CI’

CE (SC) Ars et Nummus, Asta 1966 (6), 370 CK’

CF (R) Pavia, Musei Civici (n. 26) CL’“ Campochiaro, Vicenne, t. 84 CM’“ Dupriez 115 bis, 685 ““ Sotheby’s, Brand Coll. I, 1982, 94 ““ Ratto 1956, 391 CN’

CG (stella) WROTH 1911, XIX, 20 CO’

CH (stella) Berlin, Muenzkab. (n. 11) CP’

CI (C speculare) Campochiaro, Morrione, t. 138 CQ’

CK (segno non chiaro) Deutsches Bundesbank n. 191104 CR’CL (id. segno non chiaro) Paris, Cab. Méd., Ital. 858 “

Tipi anomali

CM (-)(L sul petto) Kunst u.M., LiSt. 51, 1982, 54 CS’

CN (-)(S coricato sul petto) Ars et Nummus 4/6-1977, 679 CT’

CO (-)(busto a s.) Kunst u.M., 7/9.12.1967, 418105 CU’

100. Ratto 1956, 395; Schweizer.Kreditanstalt, 7, 1987, 1116.101. Hess Nachf., 14.6.1922, 236.102. Oddy 1972, 362.103. Kunst u.M., 50, 1982, 630.104. Kress 116, 28.10.1960, 1347.

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Il Medioevo 113

È da segnalare come i gruppi individuati dal simbolo/lettera sul D/ (o dal-l’assenza di questo) sono talvolta associati in sequenza. I conii di D/ G (senzanulla a d.) e H (con lettera B) sono collegati dal conio di R/ M’. I conii di D/ AH(con lettera B) e AI (con N ?) sono collegati dal conio di R/ AP’. I conii di D/ BU(con lettere SC), BV (con lettera S), BW (con lettera S), BX (con lettera B) sono col-legati dal conio di R/ CC’.

Le sequenze vedono sempre una sola coppia attiva, senza incroci di conii: nonsembra quindi esserci archivio dei conii, in un’officina di dimensioni modeste.

Sono presenti però esemplari suberati, con l’indicazione quindi di unanotevole sofisticazione nella produzione.

Nel campione, di 144 esemplari, si hanno 86 conii riconosciuti di D/ e 91 diR/. Secondo le equazioni di Carter106 il numero presunto di conii di D/ utilizzatoper realizzare l’emissione rappresentata nella documentazione è di 172,3 ± 15,81.Il numero dei conii di R/ è di 198,88 ± 19,61. I volumi di emissione sono statiquindi considerevoli, su tempi piuttosto lunghi.

Gli esemplari con la lettera B nel campo al D/ tendono ad avere il diametropiù ridotto. Si spiega così la proporzione numerica molto bilanciata tra conii diD/ e di R/, solo leggermente a favore dei secondi: si hanno 45 conii di D/ e 49 diRovescio. Il tipo senza nulla a d. tende invece ad aver un diametro più largo:quindi il rapporto è a favore dei R/: si hanno 23 conii di D/ e 28 di R/. Questotipo, stilisticamente omogeneo al precedente (con lettera B), appare lievementepiù pesante. Il peso medio della serie senza lettera nel campo del D/ e di 1,42 gr.,quella della serie con lettera B è di 1,38 gr. È ancora più basso per il tipo con lalettera R. Molto dispersi sembrano i pesi dei tipi, più rari, con lettere diverse. Ledifferenze non appaiono tanto sensibili da far pensare al riferimento a Solidibizantini di standard ponderale diverso da quello da 24 silique. La caduta delpeso può essere attribuita al progressivo calo del valore intrinseco, sia in termi-ni di peso che di titolo.

Accettando il principio della progressiva caduta dei pesi nella serie, nonsempre corretto (ma valido, sembrerebbe, in questa fase per la contempora-nea moneta longobarda del regno), sembrerebbe possibile indicare come piùantiche le monete senza lettera (periodo di Arechi [590-640] o immediata-mente successivo, fino a Grimoaldo re a Pavia, nel 662), seguite dalle monetecon la lettera B (b[eneventum]?)forse da riferire al periodo di Grimoaldo re(662-671).

L’ultima fase sarebbe quella di Romualdo, con la lettera R nel campo (671-687), forse iniziale del Duca. Tali ipotesi appaiono abbastanza sicure per lacronologia. Molto meno per lo scioglimento delle lettere nel campo del D/, siaper l’utilizzo secondo un principio variabile (in un caso iniziale di zecca, in

105. Ratto, 2, 1968, 59.106. CARTER G.F., A simplified method ...

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114 I Beni Culturali nel Molise

un altro iniziale del Duca), sia per la rara presenza di altre lettere, che nonpossono essere sciolte facilmente, come la S, la SC e la C speculare. Potrebbeesserci una soluzione in s[poletium], che rimane però indimostrabile, anche sesuggestiva.

Gli unici ritrovamenti certi sono quelli di Campochiaro. Poi si hanno ilRipostiglio cd. di Napoli e una segnalazione a Sheffield (GB) di tipo con nulla alD/107. Colpisce l’assenza della classe dal terreno di Roma.

Queste monete sono macroscopicamente diverse, nella forma fisica, nei tipi,nelle legende, nei nominali stessi, dalle emissioni beneventane con iniziali delduca, che sembrano iniziare con Gisulfo I (689-706)108. Tale fenomeno non stupi-sce se si considera la parallela evoluzione delle emissioni nella Langobardia-Regno, dove il re Cuniperto (688-700) attua una radicale riforma109 che modificacompletamente caratteri fisici, tipi, qualità della lega, tecnica di coniazione dellemonete, passando da prodotti molto scadenti a prodotti di alta qualità e valoreintrinseco.

Cuniperto, figlio di Pertarito, era stato inviato a Benevento da Grimoaldo,duca di Benevento, quando questi usurpò il trono. Grimoaldo, alla sua morte,restituì il trono a Pertarito, che richiamò Cuniperto. Appare credibile che nelregno e nel ducato sia stata organizzata una riforma monetaria sotto certi aspet-ti parallela, pur negli esiti ben distinti, negli stessi anni, dal Duca Gisulfo e daCuniperto, che avevano vissuto insieme nella corte ducale.

I TREMISSES CON R/ CON CROCE POTENZIATA IN LEGENDA DI CLASSINON PRESENTI A CAMPOCHIARO

Sono presenti, in collezioni pubbliche o sul mercato, senza provenienze sicu-re, esemplari di Tremisses “barbarizzati”, con al D/ busto a d. o a s. in legendafonetica o pseudoepigrafica e al R/ croce potenziata in legenda pseudoepigrafi-ca, con caratteristiche distinte dalle classi presenti a Campochiaro.

Tale produzione, estremamente discontinua, come scelte stilistiche, qualitàdell’incisione, pesi, individua un universo statisticamente misurabile (le sequen-ze ricostruibili non appaiono rare) ma non attribuibile, per ora, ad aree precise.Forse solo è possibile escludere, per molti tipi, l’area beneventana. Essa nonappare presente nelle necropoli di Campochiaro.

Una prima classe si individua per la possibilità di lettura della legenda sulD/, che propone, più o meno stravolto, il nome di imperatori bizantini.

107. Conii W/AB’. MEC 1, n. 313.108. Per il solido MEC 1, n. 1086.109. ARSLAN E.A., Una riforma ...

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Il Medioevo 115

Sembrerebbe possibile riconoscere, talvolta con un certo sforzo di interpretazio-ne, Tiberio Costantino, Maurizio Tiberio, Eraclio, Costante II110. La resa del bustosul D/, costantemente a d., appare abbastanza vicina a quella dei prototipi.Sembrano assenti gli imperatori successivi, fatto che appare molto indicativo eche indica la probabile copertura del mercato longobardo, dalla seconda metàdel VII secolo, con le emissioni ufficiali del regno e del ducato di Benevento.

Una seconda classe, con R/ nel quale ci si avvicina talvolta a soluzioni cheabbiamo visto nelle monete beneventane (la doppia O a lato della croce poten-ziata), non appare più coerente con le emissioni imperiali nella resa del busto, ad. o a s., nel quale si passa da una resa del paludamentum abbastanza fedele, aduna forte geometrizzazione. La legenda appare pseudoepigrafica111.

Una terza classe vede il busto sul D/ cercare soluzioni trapezoidali, con deco-razione interna spesso molto elaborata. La legenda è costantemente pseudoepi-grafica. La resa appare talvolta complessivamente vicina a quella dei Tremissesbeneventani di Campochiaro112.

Una quarta classe, molto diversificata, appare talvolta raggiungere il massi-mo della barbarizzazione, spesso accentuata da una scarsa maestria nell’incisio-ne, confusa e “sbavata”113.

Non appare per ora opportuno cercare di fissare sul territorio tali emissioni,tutte apparentemente “irregolari”. Se ne può escludere (sia pure con prudenza)una produzione nell’ambito del Regno (nulla però sappiamo dei ducati periferici).Così come è possibile escludere l’ambito formalmente dipendente da Bisanzio (iprodotti delle zecche di Roma, Ravenna e anche Napoli sono ormai ben noti).Qualche emissione potrebbe forse essere riportata alla Tuscia e per la secondametà del VII secolo non si possono neppure escludere l’ambito ligure e quello spo-letino. Nulla sappiamo però, per la prima metà del VII secolo, di una possibile atti-vità della zecca di Benevento, con prodotti che preparavano le emissioni docu-mentate nelle necropoli di Campochiaro. Le associazioni nel ripostiglio cd. “daNapoli 1896”114 di esemplari “anomali” con esemplari del tipo di Campochiaropotrebbero infatti fornire qualche elemento in questo senso. In effetti alcuni coniisembrano preparare le classi ora note attraverso i ritrovamenti di Campochiaro.

Ad eccezione del Ripostiglio “da Napoli 1896”, che però è genericamente diorigine dall’Italia centro-meridionale, non ci soccorre mai la prova del ritrova-mento sicuro di alcun esemplare, anche se appare sospetta la concentrazione dialcune classi in alcuni medaglieri, come a Firenze.

Conviene quindi parlare di emissioni irregolari di area italiana longobarda(anche se alcuni esemplari possono essere riportati ad ambiente transalpino),

110. Cfr. MEC 1, nn. 307-311. Muenzen u. Med .A.G. 447, 1982, n. 60.111. Cfr. MEC 1., n. 312.112. Cfr. WROTH W., Catalogue of the Coins ..., XIX, nn. 3, 5, 22., 24. ARSLAN E.A., Le monete di Ostrogoti ..., n. 80

(identico conio di D/ in WROTH W., Catalogue of the Coins ..., XXI, n. 4).113. Oxford, Ashmolean: ODDY 1972, n. 342. WROTH W., Catalogue of the coins ..., XIX, n. 3.114. ARSLAN E.A., Il ripostiglio ...

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116 I Beni Culturali nel Molise

con una collocazione nella prima metà del VII per le classi con peso pieno (gr.1,5 ca o poco meno) e una collocazione nella seconda metà del secolo per le emis-sioni a peso ridotto (gr. 1,3 o meno).

LE FRAZIONI IN ARGENTO BENEVENTANE CON MONOGRAMMA DI ERACLIO

La datazione tra la metà e l’ultimo decennio del VII secolo dei Tremisses appa-re molto opportuna anche per la notevole serie di “frazioni di Siliqua” presentenella necropoli, che ad essi appare stilisticamente legata.

Il tipo è costantemente (ad eccezione di un esemplare) con al D/ il busto diEraclio, molto simile a quello dei Tremisses, e al R/ il suo monogramma.

Anche le caratteristiche di queste emissioni appaiono molto costanti:

a) Il diametro, in rapporto ai pesi, non appare molto ridotto ed è di mm 9-11. Lospessore del tondello appare quindi ridottissimo, con frequenti perdite di metallo.Si spiega così anche, in terreni più acidi, la scomparsa probabile di queste monete.

b) il busto del D/ è sempre a d. Sembra fare eccezione il conio di D/ C (se lalettura è esatta).

c) il busto del D/ è formato da tre trapezi, uno dentro l’altro, definiti da tretratti, a linea formata da globetti. Non resta traccia della fibula a disco nell’an-golo sinistro. I trapezi, nei tipi degenerati, si riducono a due o a semplici lineearcuate di punti. All’interno, sul petto, si hanno segni di difficile lettura, spessoridotti a serie di punti.

d) il naso e il sopracciglio della testa del D/ sono uniti, con spigolo, come neiTremisses.

e) l’occhio della testa del D/ è reso con un globetto, come nei Tremisses.f) il mento e le labbra della testa del D/ sono resi con tre globetti in sequenza

verticale, come nei Tremisses.g) l’orecchio della testa del D/ è a ferro di cavallo, come nei Tremisses. Nei tipi

degenerati è confuso.h) il diadema della testa del D/ è a doppio tratto semilunato con due globet-

ti sopra la testa (quasi sempre fuori conio) e due dietro la nuca. Esso divide lacapigliatura, resa a tratti paralleli. Come nei Tremisses.

i) la legenda del D/ è sempre pseudoepigrafica, ridotta a sequenze di punti.k) il monogramma del R/ è sempre molto chiaro. La croce superiore si tra-

sforma, nei tipi degenerati, in quattro punti in croce. La lettera inferiore in unpunto isolato. In un caso il monogramma è reso specularmente (conio F’).

l) la cornice di D/ e R/ appare costituita da punti e spesso copre i margini deitipi.

Il tipo appare stilisticamente collegato a quello dei Tremisses, opera dei mede-simi incisori, nella medesima zecca. Alcuni conii di D/ (D-E-F-H-K-L-M-P) indi-cano una forte “barbarizzazione” del tipo nel tempo, con un progressivo stra-

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Il Medioevo 117

volgimento dell’immagine, con ulteriori analogie con i conii dei Tremisses.La moneta, isolata o in gruppo, è presente nelle tombe di Vicenne nn. 61 (tre

esemplari), 76 (un esemplare), 109 (due esemplari), 112, 114, 134, 154 (un esem-plare ciascuna), 167 (tre esemplari; inoltre si ha un argento illeggibile), e nelletombe di Morrione nn. 92, 100, 166 (un esemplare ciascuna) e 135 (tre esempla-ri, oltre al tipo inedito con Busto/Croce greca potenziata su gradino). Infine nellatomba 104 di Morrione il tipo argenteo con il monogramma di Eraclio è associa-to al Tremissis globulare con B.

In tutto quindi sono 20 esemplari, con un peso tra gr. 0,28 e gr. 0,15. Il pesomedio è di gr. 0,216.

Un istogramma dei pesi, con intervallo di due centigrammi, non ostante lapopolazione ridotta, fornisce una prima indicazione, con un picco a gr. 0,23-0,24.Il peso teorico non può quindi essere inferiore. La forte dispersione dei pesi piùbassi, che abbatte anche la media, è dovuta alle frequenti lacune nei tondelli.

0,27/28 = **0,25/26 = **0,23/24 = ******0,21/22 = 0,19/20 = **0,17/18 = ***0,15/16 = ***

Esso appare essere stato emesso con volumi consistenti, proprio in base all’al-to numero di conii riconoscibili a Campochiaro, dove le monete disponibili perla costruzione della sequenza dei conii sono 18115:

A Campochiaro, Morrione, tomba 104 A’“ Campochiaro, Morrione, tomba 92 B’B Campochiaro, Vicenne, tomba 167c C’“ Campochiaro, Morrione, tomba 135d “C Campochiaro, Morrione, tomba 166 D’“ Campochiaro, Vicenne, tomba 154 “D Campochiaro, Vicenne, tomba 167a E’E Campochiaro, Vicenne, tomba 109a F’F Campochiaro, Morrione, tomba 100 G’G Campochiaro, Vicenne, tomba 134 H’H Campochiaro, Morrione, tomba 135b I’I Campochiaro, Morrione, tomba 135a K’

115. Non è utilizzabile la foto dell’esemplare di Vicenne t. 109b. Manca la foto dell’esemplare diVicenne t. 76.

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118 I Beni Culturali nel Molise

K Campochiaro, Vicenne, tomba 167b L’L Campochiaro, Vicenne, tomba 61a M’M Campochiaro, Vicenne, tomba 61b N’N Campochiaro, Vicenne, tomba 61c O’O Campochiaro, Vicenne, tomba 112 P’P Campochiaro, Vicenne, tomba 114 Q’

In base a questi pochi dati, certamente inaffidabili ma indicativi di una tendenza,i conii presunti di D/ ricavabili con le equazioni di Carter116 sarebbero 69,28 ± 33,92.

Il tipo, che è stato individuato da alcuni come imitazione di area italiana117, magià Vittorio Emanuele ne sospettava l’emissione longobarda118, deriva da prototipobizantino, tradizionalmente ritenuto ravennate119, ma mai rinvenuto (che si sappia)in Ravenna e nel suo territorio. È presente invece a Roma, in tre esemplari che sem-brano essere di emissione ufficiale. Si può quindi proporne un’emissione romana120.

Mentre nella letteratura più antica non si hanno indicazioni affidabili circaluoghi di rinvenimento, scavi e segnalazioni recenti hanno permesso di indivi-duare una prima rete distributiva di queste emissioni, rada ma significativa.Conosco, finora, i ritrovamenti di Altavilla Silentina (SA; tre esemplari), PratolaSerra (SA), Cagnano Varano (FG)121, Grumento (PZ)122. Dei tre esemplari diRoma, probabilmente di emissione ufficiale, già si è detto.

Ad evidenza i ritrovamenti, anche se ridotti numericamente, individuanoun’area corrispondente al Ducato di Benevento. L’assenza, per ora, di ritrova-menti altrove può inoltre indicare una certa difficoltà ad entrare nei mercatiesterni, anche se futuri ritrovamenti potrebbero correggere questa ipotesi.

Con questo tipo quindi individuiamo una delle emissioni “anonime” argen-tee della seconda metà del VII secolo a Benevento. Il progressivo degradarsidella qualità dell’immagine, nei tipi stilisticamente “degenerati”, indica la lunga

116. CARTER G.F., A simplified method ...117. MIB III, X15-X16.118. Nel cartellino dell’esemplare (gr. 0,17; diam. mm 11; 9) della sua Collezione (Cassaforte 15;

cassetto 2652), Vittorio Emanuele III scriveva: “Majorana 40 (o 10?). 1933 (attribuita a Rothari)”. Lamoneta non è entrata nel CNI.

119. WROTH W., Catalogue of the Imperial Byzantine ..., p. 247, n. 450; per MORRISSON C., Catalogue ...,10/Rv/AR/17 (0,35) è un quarto di Siliqua; DOC II, 1, p. 370, n. 279 (120 Nummi?); MIB III, 155.BERNAREGGI E., Moneta ..., p. 96, cita WROTH W., Catalogue of the Imperial Byzantine ....

120. Gli esemplari erano alla Crypta Balbi. Ho in archivio due pesi, gr. 0,28 e 0,17, del tutto coeren-ti con i pesi degli esemplari di Campochiaro. Devo la segnalazione e il suggerimento alla collegaAlessia Rovelli, che ha in pubblicazione il complesso.

121. Elenco dei ritrovamenti in ARSLAN E.A., La circolazione monetaria (secoli V-VIII) ...; ARSLAN E.A.,Il ripostiglio ..., p. 247. Per tutti Altavilla e Pratola Serra VOLPE M.T., Le monete ... (li classifica comebizantini); per Cagnano Varano GUZZETTA G., le monete da Cagnano Varano ... e GUZZETTA G., Le mone-te, Gli Scavi ... (lo riconosce come longobardo).

122. BOTTINI P., L’altomedioevo ... (lo classifica come bizantino).

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Il Medioevo 119

durata delle emissioni, presumibilmente dalla metà alla fine del VII secolo oall’inizio dell’VIII, fino all’esaurimento delle necropoli di Campochiaro. Cioèfino al regno di Romualdo, se non oltre.

Il tipo appare indicato in bibliografia come 1/4 o 1/8 di Siliqua, intesa comenominale monetario in argento e non come misura ponderale.

Per stabilire un rapporto tra le due definizioni è opportuno ricordare – sempli-ficando – come il Solido, moneta in oro, di gr. 4,55, 1/72 della libra di gr. 327,45,pesasse 24 silique (intese come peso), ciascuna di gr. 0,189. Se la siliqua-moneta eral’equivalente in argento del peso della Siliqua intesa come ventiquattresimo delSolido in oro, e intendendo il rapporto AV/AR ad 1:12 (in realtà è una variabile neltempo), essa avrebbe il peso di gr. 2,275 (1/72 di libra)123. Intendendo la siliqua-moneta come l’equivalente in argento della siliqua-peso in oro, equivalente ad 1/24del Solido in oro, a sua volta 1/72 della libra (gr. 327,45), considerando il rapportoAV/AR=1/12, si avrebbero sempre silique-monete di gr. 2,275 (1/144 di libra). Lamezza Siliqua dovrebbe essere quindi tagliata su gr. 1,14, corrispondente al pesodello Scripulum124, il quarto su gr. 0,56, l’ottavo su gr. 0,28125. In occidente l’ottavodella cd. Siliqua in argento appare presente nelle emissioni già con Odoacre126, pro-babilmente a Ravenna, e viene emesso dai re ostrogoti, per continuare in Ravenna,ripresa nel 539 dai Bizantini, con tutti gli imperatori successivi.

Sul quarto e sull’ottavo sembrano attestarsi le prime emissioni argentee di arealongobarda, della seconda metà del VI sec., recentemente rivendicate a Cividale127,imitazioni delle emissioni ravennati a nome di Giustiniano e Giustino (quarti conal R/ il Chrismon a T in ghirl. con a lato due stelle; ottavi senza stelle)128.

Le emissioni a nome di Eraclio della Crypta di Balbo a Roma bene possonoessere individuate come ottavi di Siliqua, e ottavi di Siliqua quindi sono le emis-sioni beneventane. La forbice tra valore intrinseco e valore nominale non sem-bra sensibile: possiamo quindi ipotizzare una circolazione a carattere non fidu-ciario, con possibilità di cambio con la moneta in oro. Un Tremissis doveva quin-di essere cambiabile con 64 ottavi di Siliqua, equivalenti a 17,92 gr. di argento129.

123. MEC 1, p. 9. Per il rapporto con le emissioni in rame ricordiamo che, se le emissioni raven-nati bizantine di VI secolo con il segno di valore CN equivalgono a 250 Nummi in rame, la Siliqua -almeno in questa fase - equivarrebbe a 500 Nummi e il Solido a 12.000 Nummi.

124. In MEC 1, p. 263 il Denaro in argento di papa Adriano viene visto con peso teorico di unoScripulum (gr. 1,14). L’ipotesi di un rapporto con i valori ponderali assoluti è anche nel riconosci-mento nell’argento papale-imperiale di Gregorio III (731-741), di gr. 0,35 ca., di una doppia Siliqua.

125. Si avrebbe però, dall’età giustinanea, una Siliqua “pesante”: cfr. ARSLAN E.A., Considerazioni ...126. BRENOT C., Deux monnaies ..., moneta in argento a nome di Anastasio, con monogramma sciol-

to con il nome di Odoacre, capovolto specularmente. Sopra +. Pesa gr. 0,16 e viene visto come unaSiliqua (come peso), di gr. 0,187 teorici. È il tipo segnalato dal DE LAGOY R. MARQUIS, Recherche ... aSaint-Rémy de Provence. L’emissione viene collocata a dopo l’11 aprile 491 e prima del 5 marzo 493.Zecca di Ravenna.

127. CALLEGHER B., Tra Bizantini e Longobardi ...128. Tale problematica viene sviluppata in ARSLAN E.A., Considerazioni ...129. Un diverso rapporto AV:AR evidentemente modifica il peso teorico della Siliqua e delle sue

frazioni.

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120 I Beni Culturali nel Molise

L’ipotesi di un sistema di emissione di ottavi di Siliqua nell’Italia altome-dievale barbarica, con il mantenimento di un sistema ponderale e di nomina-li tardo-romani e proto-bizantini, appare più probabile rispetto all’ipotesidella progressiva perdita di valore intrinseco (sia come peso che come titolodel metallo) di una unità più pesante tardo-romana (la Siliqua?), con il man-tenimento del valore nominale. Ciò in una improbabile situazione di circola-zione fiduciaria.

L’ottavo di Siliqua con monogramma di Eraclio non è l’unico nominale argen-teo longobardo presente nelle necropoli di Campochiaro. La tomba 135 diMorrione propone infatti un esemplare con al D/ un busto a d. del tutto simile aquello del tipo con monogramma e al R/ una croce greca potenziata su un gra-dino. Il peso è di gr. 0,12. Non ostante le forti lacune ai margini non si ha diffi-coltà a riconoscere nella moneta un nominale inferiore rispetto a quello conmonogramma: forse un sedicesimo di Siliqua, con peso teorico di gr. 0,14. Al D/si hanno tracce di legenda, mentre il R/ è anepigrafe.

Il tipo non appare derivare da prototipo bizantino noto. Si ha documentatosolo il tipo con la croce su più gradini130. Emissioni di questo tipo sono state stu-diate da chi scrive tra le monete di S.Antonino di Perti in Liguria, tutte prece-denti alla metà del VII secolo e tutte riferite ad uno standard ponderale netta-mente più pesante. Questi tipi sembrano individuare l’ottavo di Siliqua131. Lamoneta di Campochiaro-Morrione, un sedicesimo di Siliqua, rimane quindi ununicum, indizio di una complessità finora non sospettata delle emissioni longo-barde di imitazione a Benevento.

La documentazione di Campochiaro, che si riferisce ad emissioni distribuitenel corso della seconda metà del VII secolo, si può mettere in rapporto con ladocumentazione relativa alle emissioni in argento nel Regno, che si sviluppa contempi e in termini diversi.

Dopo una prima fase, che vede l’imitazione dei tipi bizantini ravennati da unquarto e da un ottavo di Siliqua con al Rovescio il Chrismon, con due stelle osenza stelle132, si hanno, sempre nel corso del VI secolo, emissioni con mono-grammi in ghirlanda, di duchi o di re longobardi. Il più recente – scoperto a LuMonferrato – è forse da riferire a Grimoaldo133.

Alla seconda metà del VII secolo sono da attribuire le emissioni delle cd. “sili-que” di Pertarito, in realtà ottavi di Siliqua, con medie ponderali perfettamente

130. Ricordo l’ottavo di Siliqua di Maurizio Tiberio a Ravenna con Croce pot. su gradini in ghirl.,del 583/4-602 (MIB 64). Con Eraclio si ha a Roma l’ottavo con Croce potenziata in ghirl. (MIB III, 156;DOC II, 1, p. 371, n. 281).

131. ARSLAN E.A., Considerazioni ...132. Discuto tutta questa problematica in ARSLAN E.A., S.Antonino (c.s.).133. In pubblicazione in Misc. di Studi in memoria di Ottone d’Assia, con un’analisi di tutta la mone-

tazione longobarda a monogramma.

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Il Medioevo 121

omologhe a quelle delle monete con monogramma di Eraclio di Campochiaro.Tali monete, con al R/ un monogramma che è possibile sciogliere in per(e)x134, ebbe-ro probabilmente emissioni di lunga durata, forse fino a Cuniperto ed oltre135. Esseinfatti si degradano stilisticamente ben di più delle monete argentee beneventane,perdendo il tipo del D/, sul quale alla fine affiora sempre incuso il R/.

La documentazione in nostro possesso per le “silique” di Pertarito, un temponote solo dall’imponente ripostiglio (disperso) di Biella 1833136, è oggi completa-ta dalle notizie di Pecetto di Valenza Po (AL)137, Campione d’Italia (CO)138,Brescia139, Rovereto (TN), in un corredo funerario, con quattro esemplari140. Fuorid’Italia si ha il piccolo ripostiglio (sei esemplari) di Linguizzetta in Corsica141.

L’esame di questi dati modifica sensibilmente il quadro che possiamo rico-struire per la struttura della circolazione in tutta Italia tra metà del VI secolo eprima metà del VII. Se l’Italia meridionale bizantina rimane attestata su unmodello di circolazione aurea e bronzea, senza testimonianze di monete inargento, il resto della penisola, Italia centro-settentrionale bizantina,Langobardia-Regno, Ducato di Benevento, ci rivela un modello con una certaomogeneità, che insiste sull’emissione e sulla circolazione dell’ottavo di Siliqua(leggera) in argento. Nella Langobardia-Regno la prima fase (seconda metà VIsecolo) vede la mancanza di una politica di emissione: la moneta argentea, nellaquale è presente anche il quarto di siliqua, appare in zecche irregolari o, forse,gestite dai duchi, analogamente alla moneta aurea. Solo nel VII secolo il poterecentrale sembra avere il controllo delle emissioni argentee, che perdono visibili-tà all’inizio dell’VIII secolo. La monetazione argentea del Regno, che pure sem-bra aver avuto buoni volumi di emissione (per l’alto numero dei conii docu-mentati), non appare interessare per la tesaurizzazione, con l’unica eccezionedel ripostiglio finale di Biella. I ritrovamenti di Rovereto e Linguizzetta sembra-no gruzzoli funerari e non nuclei tesaurizzati.

L’Italia bizantina centro settentrionale si propone con una continuità di emis-sione assoluta, sia a Roma, sia a Ravenna, sia nell’area tirrenica settentrionale.Delle tre zecche che sembra possibile individuare, solo Ravenna sembra capacedi penetrare nei mercati esterni. Troviamo la sua moneta nell’Italia padana e,come si è visto, anche a Campochiaro. La zecca tirrenica settentrionale cessa leemissioni con la conquista longobarda (643), quella di Ravenna nel corso della

134. MEC 1, nn. 328-331; LAFAURIE J., Trésor ..., p. 123 ss.: le emissioni sarebbero di Cunicpert e diAriperto II; LAFAURIE J., Les monnaies ..., pp. 93-96. Cfr. per ultimo ARSLAN E.A., Problemi di circolazio-ne ..., pp. 289-307; p. 296.

135. L’ipotesi è di LAFAURIE J., Les monnaies ..., pp. 93-96.136. Per ultimo, con bibliografia, ARSLAN E.A., Problemi di circolazione ..., p. 296. Gli argenti erano

forse oltre 1600, con “una dozzina” di Tremisses di Liutprando.137. ARSLAN E.A., Problemi di circolazione ..., p. 296. Ritrovamento isolato.138. Nella chiesa longobarda di S. Zenone, in tomba. ARSLAN E.A., Mutamenti ..., p. 444.139. ARSLAN E.A., Problemi di circolazione ..., p. 296; ID, Le monete, Santa Giulia, p. 392, n. 574.140. In Corso Bettini 60 (?): ARSLAN E.A., Mutamenti ..., p. 444.141. LAFAURIE J., Trésor ...,; ID 1990.

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122 I Beni Culturali nel Molise

prima metà dell’VIII, quella di Roma prosegue fino alla riforma carolingia allafine del secolo VIII142.

Il territorio del Ducato di Benevento, come quello del Ducato di Spoleto, non ciha dato – per la monetazione in argento – testimonianze relative alle fasi precedentialle monete con monogramma di Eraclio. Ciò è certamente dovuto all’insufficientedocumentazione. Non è concepibile infatti che, nella fase tra l’età gota e la metà delVII secolo, siano venuti a cadere i presupposti per la presenza della moneta inargento nella circolazione dell’area. Possiamo ipotizzare la presenza di monetaemessa da Roma o da Ravenna, che servì da prototipo per le emissioni a nome diEraclio. E forse di altro che ancora non c'è stato restituito dagli scavi o dai ritrova-menti fortuiti. Non sappiamo poi se i tipi documentati dalle necropoli diCampochiaro siano stati gli ultimi o se nell’VIII secolo le emissioni siano prosegui-te, parallelamente a quelle di Roma. Sappiamo solo che la zecca di Benevento siadeguò, con i denari di Grimoaldo III (788-806)143, molto per tempo, alla riforma diCarlo, sincronicamente con le emissioni papali di denari di Adriano I (772-795)144,pur senza rinunciare all’emissione di moneta in oro, con Solidi e Tremisses. Il Ducatosi poneva così come cerniera tra i due mercati monetari, quello dell’oro, dell’Imperodi Bisanzio e del mondo islamico, e quello dell’argento, dell’Impero carolingio.

LE MONETE DELLE NECROPOLI E LA CIRCOLAZIONE

La presenza nelle necropoli di Campochiaro di moneta aurea ed argenteaemessa dalle zecche di Benevento, Roma, Siracusa e Ravenna, sembrerebbe per-mettere una ricostruzione della struttura dello stock monetario disponibile pres-so il gruppo umano che le utilizzò nella seconda metà del VII-inizi VIII secolo,se non nella totalità del territorio del Ducato di Benevento. Testimoniando unmodello economico con una monetarizzazione abbastanza avanzata, nella qualesembra solo assente la moneta in rame.

Una simile ricostruzione è probabilmente scorretta e non solo per la man-canza di documentazione da altri centri del Ducato, in particolare dal contestourbano di Benevento.

I cavalieri di Campochiaro, probabilmente i Bulgari di Alzecone, non dimo-strano infatti di possedere una cultura monetaria, in termini economici, depo-nendo monete – sempre di valore abbastanza o molto alto – nelle loro tombe. Lamoneta in tomba a Vicenne e Morrione non sembra collegata alla tradizione delcd. “Obolo di Caronte”145, che di norma è rappresentato da una sola o da pochis-sime monete, sempre di basso valore nominale, né alla tradizione della provvi-

142. ROVELLI A., Emissione ...: cita per il rip. del Tevere 31 AR tra 651 e 772.143. SAMBON G., Repertorio ..., pp. 70-71, nn. 428-430; CNI XVIII, p. 156, n. 19; ARSLAN E.A., Le monete

di Ostrogoti ..., n. 99; MEC 1, n. 1100.144. MEC 1, nn. 1031-2.145. Caronte...

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Il Medioevo 123

gione per l’aldilà, inteso come un ribaltamento del mondo dei vivi, nel quale sihanno le medesime necessità.

Essa sembra invece proporsi come simbolo di status e come mezzo di osten-tazione, analogamente a quanto vediamo documentato – raramente – anche inambito longobardo, come a Trezzo sull’Adda.

Se ne giustificava quindi il ritiro dalla circolazione, che non doveva averecarattere economico e che era alimentata in termini probabilmente diversi daquanto avveniva in Benevento stessa.

Non vi è dubbio infatti che il Ducato pagasse i gruppi che presidiavano lefrontiere in moneta, in oro e argento, e che i medesimi gruppi avessero una fun-zione militare ben precisa, come viene dimostrato dai numerosi inumati mortiin combattimento. I cavalieri di Campochiaro quindi si rifornivano di moneta,come di altri oggetti preziosi, razziandola oltre confine, nei territori bizantini.Probabilmente non la usavano per le transazioni economiche, ma in termini ditesaurizzazione di metallo e di ostentazione, sia da vivi che da morti.

Nel resto del Ducato la moneta aveva invece significato economico e venivadestinata a funzioni funerarie solo raramente. Non è escluso che vi fosse pure uncontrollo della massa monetaria circolante, con forme di protezione delle emis-sioni locali, per ovvie ragioni di convenienza economica.

* I dati relativi a queste monete sono inclusi nel Saggio di Repertorio dei Ritrovamenti diMoneta Vandala, Ostrogota, Bizantina, Longobarda in Italia peninsulare, Sardegna,Canton Ticino, Istria Croata (con esclusione della Sicilia). Chiunque volesse prenderne visionepuò riceverlo richiedendolo ai seguenti indirizzi: [email protected] oppure [email protected].

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Fig. 1. Le sequenze dei conii (A-F).

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Fig. 2. Le sequenze dei conii (G-S).

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Fig. 3. Le sequenze dei conii (T-AC).

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Fig. 4. Le sequenze dei conii (AD-AK).

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Fig. 5. Le sequenze dei conii (AL-AU).

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Fig. 6. Le sequenze dei conii (AV-BG).

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Fig. 7. Le sequenze dei conii (BH-BT).

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Fig. 8. Le sequenze dei conii (BU-CE).

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Fig. 9. Le sequenze dei conii (A-F).

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LA POPOLAZIONE ALTOMEDIEVALEDI VICENNE-CAMPOCHIARO

STUDIO ANTROPOLOGICO

Maria Giovanna Belcastro – Fiorenzo FacchiniUniversità degli Studi di Bologna

La scoperta della necropoli altomedievale di Vicenne-Campochiaro, fin dalleprime segnalazioni del 1987, ha rappresentato per il suo ambito cronologico e perla presenza di materiali attribuibili all’ambito culturale “asiatico”, oltre che germa-nico e locale, un singolare e importante ritrovamento dell’Italia centromeridionale1.Il seppellimento contemporaneo dell’uomo e del cavallo in 12 sepolture costituisceun esempio di rituale “asiatico” che rimanda ad analoghe testimonianze dell’etàdel ferro dalla Siberia alla Mongolia, dalla Transcaucasica fino all’Ungheria2.Questo rito si ritrova nell’Età delle Migrazioni (IV-X sec.) in popoli d’origine cen-troasiatica come gli Unni, gli Avari, i Mongoli e i Magiari. Inoltre la presenza dellestaffe, tipologicamente avare, elemento innovativo dell’evoluzione strategico - mili-tare, pone il problema della anticipazione dell’uso e della diffusione di questo ele-mento in Europa, finora attestata fin dall’VIII secolo3. Questi elementi hanno fattoipotizzare la presenza all’interno della comunità di Vicenne di “un gruppo etnica-mente diverso”4. Il primo problema che si pone all’interpretazione antropologicadella necropoli è quello relativo all’identificazione della composizione etnica dellapopolazione di Vicenne, dato il contesto pluriculturale accertato.

Altri importanti aspetti da esaminare sono quelli legati ai comportamenti e allostile di vita della popolazione in esame nell’ambito di quelle altomedievali. La tran-sizione tardo-antica/altomedievale è, infatti, interessata da profondi mutamentisocio-economici e culturali, legati alla disgregazione del mondo “classico” e allacomparsa delle civiltà germaniche e “barbariche” originarie dell’Europa centro-orientale. Questi eventi hanno influito sulle popolazioni europee dal punto di vistademografico, dello stato di salute, delle attività e dei comportamenti abituali.

Sulla linea degli studi bioarcheologici intrapresi sui reperti scheletrici di

1. GENITO B., Materiali e problemi ...; CEGLIA V. - GENITO B., La necropoli altomedievale ...2. KURYLËV V.P. - PAVLINSKAYA L.R. - SIMAKOV G.N., Harness ...; PAVLINSKAYA L.R., The Scythians ... ...3. GENITO B., Tombe con cavallo ...4. GENITO B., Tombe con cavallo ...

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134 I Beni Culturali nel Molise

Vicenne5 si inserisce questo studio i cui obiettivi sono l’analisi etnico-antropologicae lo studio degli indicatori scheletrici ricollegabili all’attività e allo stile di vita (com-portamenti e abitudini alimentari, attività lavorative, belliche, ecc.) della popola-zione rappresentata nella necropoli.

Il campione esaminato

Delle 167 sepolture rinvenute nel cimitero di Vicenne in successive campagne discavo fin dal 19876 (Fig. 1), il materiale di cui si dispone per lo studio antropologicosi riferisce a 130 scheletri, tra cui sono stati riconosciuti, come già detto, 13 cavalieri(tt. 16, 29, 33, 66, 73, 79, 85, 81, 109, 110, 141, 150, 155), a 10 dei quali si riferiscono lenostre osservazioni antropologiche (tt. 16, 66, 73, 79, 85, 81, 109, 141, 150, 155)7.

Metodi

Nell’analisi antropologica sono stati identificati età e sesso degli inumati8. Perl’età sono state considerate le seguenti classi: subadulti: entro 20 anni (infanti: < 3anni, bambini: 4-12 anni, adolescenti: 13-20 anni) e adulti (giovani-AG: 21-35 anni,maturi-AM: 36-50 anni, vecchi-AV: >50 anni, adulti-A: età non determinata).

È stato quindi valutato lo stato di conservazione di ciascuno scheletro attri-buendo ad alcuni segmenti – cranio, scapola, clavicola, omero, radio, ulna, ossocoxale, femore, tibia, fibula – un valore (0: assenza dell’osso; 1: completo o pres-soché completo; 2: privo di frammenti o delle estremità articolari per le ossa lun-ghe; 3 e 4: codifiche utilizzate solo per le ossa lunghe che indicano l’assenza del-l’estremità rispettivamente prossimale e distale; 5: frammenti) e calcolando unindice dello stato di conservazione, come somma del valore attribuito al singoloosso (escuso il valore 5 relativo ai frammenti) per ciascun individuo. Più alto è ilvalore che assume l’indice, migliore è lo stato di conservazione dello scheletro.

Particolare importanza per definire le caratteristiche etniche e tipologiche di unapopolazione assumono la forma cranica e la statura, calcolata per ciascun individuocome valore medio dei valori staturali desunti dalla misura di lunghezza delle ossalunghe degli arti9. Sono stati inoltre rilevati alcuni caratteri discontinui del cranio(persistenza della sutura metopica, ossa soprannumerarie lambdoidee), di cui alcuniritenuti buoni indicatori di rapporti di parentela per la riconosciuta base ereditaria10.

5. GIUSBERTI G., Lo scheletro ...; FACCHINI F. - BELCASTRO M.G., Reperti antropologici ...; BELCASTRO M.G. -FACCHINI F, Aspetti bioarcheologici ...; BELCASTRO M.G. - FACCHINI F, Osteoarthritis ...; BELCASTRO M.G. -FACCHINI F. - FULCHERI E., Dismorfosi ...

6. CEGLIA V. - GENITO B., La necropoli altomedievale ...7. Gli inumati delle tt. 29 e 33, studiate solo per alcuni aspetti antropologici (GIUSBERTI G., Lo sche-

letro ...) sono conservati presso la Soprintendenza Archeologica e per i Beni Ambientali ArchitettoniciArtistici e Storici del Molise – Campobasso. Gli scheletri dei cavalieri delle tt. 79 e 85 sono pervenu-ti commisti con resti di altri due inumati, mentre la t. 110 non risulta a noi pervenuta.

8. Cfr. FEREMBACH D. - SCHWIDETZKY I. - STLOUKAL M., Raccomandazioni ...; Standards ...9. Sec. MANOUVRIER L, La détermination ...; sec. PEARSON K., On the reconstruction ...10. SJØVOLD T., A report ...

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Infine sono state rilevate alcune patologie scheletriche (malattie infettive,metaboliche e legate a particolari condizioni alimentari e dietetiche, di svi-luppo, lesioni di origine traumatica, ecc.)11 in parte già riferite12, che possonofornire indicazioni sullo stile di vita, sullo stato nutrizionale e sul comporta-mento.

RisultatiStato di conservazione del materiale scheletrico

Come indicato in Fig. 2 quasi il 30% delle ossa è pressoché completo, e traqueste soprattutto il cranio e le ossa degli arti inferiori. Il campione dei cavalie-ri esaminato è complessivamente in cattivo stato di conservazione. Le tombe 79e 85 conservano i resti di almeno quattro individui (due maschi e due per i qualinon è stato possibile identificare il sesso). Solo i cavalieri delle tt. 109, 141, 150,155 sono in buono stato di conservazione.

Età e sesso

========================== M F sesso n.i. Totale

Adulti giovani (AG) 21 17 3 41 (41,8%)Adulti maturi (AM) 9 6 - 15 (15,3%)Adulti vecchi (AV) 11 10 1 22 (22,4%)Adulti (età non determinata) (A) 6 95 20 (20,4%)adulti 47 (47,9%) 42 (42,8%) 9 (9,2%) 98 (75,4%)_______________________________________________________________________________________Infanti - - 2 2 (6,2%)Bambini - - 27 27 (84,4%)Adolescenti 2 1 - 3 (9,4%)subadulti 2 1 29 32 (24,6%)_______________________________________________________________________________________Totale 49 (37,7%) 43 (33,1%) 38 (29,2%) 130

Tab. 1 - Distribuzione degli inumati della necropoli di Vicenne per età e sesso.

Il valore di 1,12 di sex ratio (M/F) si avvicina a quello calcolato da Kiszely13 per lenecropoli coeve del territorio italiano. Si osserva elevata mortalità di giovani adulti(circa 42%) e di subadulti (circa 25%), soprattutto tra i bambini (4-12 anni). In parti-colare 23 bambini sono morti tra 4 e 8 anni. Considerando che questi dati si riferi-scono al materiale scheletrico a noi pervenuto e che vi sono almeno nove tombesenza resti umani, ma attribuibili a bambini14, la mortalità degli individui in cresci-ta supera il 30%. Va inoltre rilevato che in base alla presenza di 10 donne in età avan-

Il Medioevo 135

11. Cfr. ORTNER D.J. - PUTSCHAR W.G.J., Identification ...12. FACCHINI F. - BELCASTRO M.G., Reperti antropologici ...; BELCASTRO M.G. -FACCHINI F, Aspetti bioar-

cheologici ...; BELCASTRO M.G. - FACCHINI F., Osteoarthritis ...; BELCASTRO M.G. - FACCHINI F. - NERI R. -MARIOTTI V., Skeletal ...; BELCASTRO M.G. - FACCHINI F. - FULCHERI E., Dismorfosi ...

13. KISZELY I., The anthropology ...14. CEGLIA V., com. pers.

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zata, di 17 giovani donne in età fertile e di 32 subadulti (in media circa due bambi-ni per donna), pur non avendo indicazioni della grandezza del nucleo abitativo, sipuò supporre che nella necropoli non siano rappresentate più di due generazioni.

In relazione allo stato di conservazione (Fig. 3), si rileva la difficoltà di attribu-zione del sesso e dell’età negli individui in cattivo stato di conservazione. I maschisono relativamente meglio conservati delle femmine e gli individui giovani megliodi quelli vecchi. Fenomeni osteoporotici, tipici dell’invecchiamento, rendono evi-dentemente le ossa più fragili e più soggette ai processi di alterazione abiotica e bio-tica dell’osso post mortem (condizioni fisico-chimiche del terreno, temperatura,clima, azione delle radici degli alberi, presenza o meno di un’eventuale cassa o pro-tezione del defunto, maggiore o minore resistenza individuale del tessuto osseo,ecc.) e pìù esposte ai possibili danni arrecati durante le operazioni di recupero. Perquanto riguarda gli infanti, difficoltà nel riconoscimento delle ossa e fattori tafono-mici inducono a sottostimare la popolazione in crescita nei contesti di scavo.

Analisi etnico-antropologica

Forma del cranio_____________________________________________________________________________________Dolicomorfe M F sesso n.i Totaleellissoide 9 6 - 15ovoide 13 11 - 24stenopentagonoide 1 - 1 2stretta 2 - - 2totale 25 17 1 43_____________________________________________________________________________________Eurimorfe M F sesso n.i Totalesub-sferoide 1 1 - 2sfenoide 5 3 - 8euripentagonoide - - - -larga 2 - - 2totale 8 4 - 12_____________________________________________________________________________________Totale 33 21 1 55

Tab. 2 - Distribuzione della forma cranica degli inumati della necropoli di Vicenne.

Per quanto riguarda la forma del cranio15 si osserva una netta prevalenzadi forme strette (circa 78%), in particolare di quelle ovoidi. La forma ellissoi-de si presenta sia a frontale stretto sia largo. Tra le forme larghe prevale quel-la sfenoide sia nei maschi (tt. 46, 79/85, 109, 140, 155) sia nelle femmine (tt. 10,55, 118) (Fig. 4). La forma del cranio nei bambini è stretta (9/9 oss.). Il valoremedio dell’indice cranico orizzontale è di mesocrania (n = 35; x = 75,9) conampia variabilità (ds = ± 6,8; v-V = 61,9 – 88,0). Brachicrania si osserva peralmeno quattro cavalieri (tt. 16, 109, 150 e 155). I cavalieri delle tt. 29, 33, 66 e141 sono invece dolicocrani (Tab. 3). I cavalieri delle tt. 66 e 109 hanno i valo-ri, rispettivamente più bassi (65,4) di dolicocrania e più alti (85,3) di brachi-

136 I Beni Culturali nel Molise

15. FRASSETTO F., La méthode ...

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crania del campione maschile. Tra le femmine si osservano i valori più bassi(t. 25: 61,9) e più alti (t. 97: 88,0) dell’indice. Il valore medio dell’indice verti-co-longitudinale (al basion) indica crani di media altezza (ortocrania) (n = 16;x = 74,0 ± 3,41). Il valore più elevato di ispicrania si osserva nell’inumato dellat. 52. Si rilevano ortocrania nei cavalieri delle tt. 16, 33, 109, 150 e camecraniain quello della t. 155. Il valore medio del rapporto tra le larghezze della fron-te e della testa (indice fronto-parietale traverso) è di metriometopia (n = 38; x= 68,6 ± 3,8). I cavalieri delle tt. 109 e 141 hanno frontale stretto rispetto allalarghezza del cranio (64,7). Dalle poche osservazioni metriche sullo scheletrofacciale (indice facciale superiore), si rileva faccia relativamente bassa neicavalieri delle tt. 109 e 150 e nell’inumato della t.52 e alta nella donna della t.97. In base all’indice nasale, il naso è relativamente largo nei cavalieri delle tt.109 e 150 e stretto in quelli delle tt. 16, 29 e 33. Ancora camerrinia si osservain altri tre inumati delle tt. 142 (femmina), 30 e 117 (maschi).

Statura

La statura dei maschi (32 individui) è compresa tra 161 e 184 cm16 e tra 159 e 180cm17, mentre nelle femmine (28 individui) tra 149 e 167 cm18 e tra 147 e 168 cm19 .Classificando la statura come bassa (<158 cm), media (tra 158 e 168 cm), alta (>168 cm)e tenendo conto che la statura femminile è mediamente inferiore a quella maschile dicirca 10 cm, nel campione in esame si osservano i seguenti valori20:

Statura M F_____________________________________________________________________________________________bassa - (2 individui)

<150 cm (tt. 11, 14)media (18 individui) (13 individui)

tra 161 e 163 cm (tt. 29, 46, 61, 141) 153 cm (tt. 42, 97)tra 164 e 165 cm (tt. 63, 109, 115) tra 155 e 156 cm (tt. 5, 31, 60, 87, 101, 113)di 166 (tt. 27, 54*, 57, 70, 89, 100, 121) tra 157 e 158 cm (tt. 23, 35, 59, 78,128)tra 167 e 168 cm (tt., 16, 66, 112, 140)

alta (16 individui) (13 individui)tra 169 e 170 cm (tt. 33, 38, 64, 130, 150) di 159 cm (tt. 17, 139)tra 171 e 172 cm (tt. 67, 80, 144) tra 160 e 161 cm (tt. 2, 4, 20, 40, 99)tra 173 e 174 cm (tt. 28, 86*, 175) tra 162 e 164 cm (tt. 6, 18,133)tra 175 e 176 cm (tt. 22, 26) tra 165 e 167 cm (tt. 30, 43, 98)179 cm (t. 163)tra 183 e 184 cm (tt. 52, 145)

(*) Sec. Perarson

Tab. 4 - Distribuzione della statura degli inumati della necropoli di Vicenne.

Il Medioevo 137

16. MANOUVRIER L., La détermination ...17. PEARSON K., On the reconstruction ...18. MANOUVRIER L., La détermination ...19. PEARSON K., On the reconstruction ...20. MANOUVRIER L., La détermination ...

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Non si osservano maschi e femmine a statura, rispettivamente bassa emolto alta e la maggior parte degli individui di entrambi i sessi presenta sta-ture medie e medio - alte. In 42 casi (27 maschi e 15 femmine) è stato possibi-le associare la forma cranica alla statura. I maschi presentano prevalentemen-te cranio stretto sia negli inumati di statura media che elevata. Gli individuidi statura più elevata (>175 cm) presentano forme craniche strette, anche sel’inumato della t.52 è caratterizzato da brachicrania e statura elevata. Le fem-mine per le quali è stato possibile associare la forma del cranio alla staturasono tutte dolicomorfe, ad eccezione dell’inumata della t. 97 a cranio largo estatura medio-bassa.

Caratteri discontinui del cranio

Per quanto riguarda la persistenza della sutura metopica è presente in circail 15% del campione adulto, in circa il 29% degli adulti giovani e 6% di quellimaturi e vecchi. Inoltre i maschi hanno frequenze più elevate (circa 20%) rispet-to alle femmine (6%). I wormiani lambdoidei sono molto frequenti nel campio-ne adulto (circa 62%) con valori più elevati negli adulti giovani (72%) rispetto aquelli maturi e vecchi (57%). Frequenze più elevate si osservano nei maschi(68%) rispetto alle femmine (47%). La minore frequenza del metopismo e deiwormiani lambdoidei negli individui in età avanzata è da porre in relazione conla tendenza all’obliterazione delle suture craniche nel corso dell’invecchiamen-to. Inoltre, in due individui giovani adulti di sesso maschile (tt. 1, 26), si rileva-no, oltre a wormiani lambdoidei, os japonicum (Fig. 5). La presenza di questocarattere in due individui della stessa necropoli potrebbe forse indicare rappor-ti di parentela.

Analisi dello stato di salute, stile di vita e comportamento

Tenendo conto di preliminari osservazioni di alcuni indicatori scheletricidello stato di salute della popolazione di Vicenne si rilevano cribra orbitalia sianegli individui adulti (22%), con valori più elevati nelle femmine (28%) rispettoai maschi (17%), sia nei subadulti (7/9: 6 bambini tra 5 e 8 anni, 1 adolescente)(Fig. 6). I cribra orbitalia e cranii sono interpretati come indicatori scheletrici dianemia sia d’origine alimentare sia a base genetica (cfr. Ortner e Putschar, 1981).È stata rilevata anche ipoplasia lineare dello smalto dentario, indicatore di tem-poraneo arresto dei normali processi di formazione dello smalto dei denti, nellamaggior parte (97%) degli inumati. Questa patologia è connessa ad alterazionidella crescita per carenze nutrizionali, insorgenza di malattie infettive, ecc.,soprattutto nei primi anni di vita.

La periostite, lesione relativa ad una reazione infiammatoria subperiostaledell’osso (Fig. 7), i cui fattori eziologici vengono ricondotti ad eventi traumatici

138 I Beni Culturali nel Molise

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o a malattie infettive21, è presente sulla tibia (55%) e sul femore (26%) degli indi-vidui adulti. Il 64% degli individui adulti di sesso maschile è il 56% di quelli disesso femminile sono affetti da periostite.

La più bassa frequenza della periostite con l’età (AG 73% e AM+AV 54%)potrebbe essere messa in relazione ad una minore reattività dell’osso agli stimo-li esterni (traumatici e infettivi), durante l’invecchiamento, o ad una risoluzionedella malattia con l’età.

Sono state considerate alcune patologie scheletriche di origine microtraumatica(traumi ripetuti e di lieve intensità) e macrotraumatiche (eventi traumatici improv-visi e di notevole intensità) accidentali e intenzionali da porre in relazione allo stiledi vita e al comportamento (abitudini alimentari, stato di salute, attività lavorativa,divisione del lavoro in funzione del sesso e del rango sociale, ecc.). I dati relativialle malattie degenerative articolari e allo sviluppo delle aree di inserzioni dimuscoli e legamenti (entesi)22 indicano un evidente aumento di queste patologiecon l’invecchiamento e una maggiore frequenza nei maschi, soprattutto a caricodegli arti inferiori, oltre ad evidente destrismo per quelli superiori. In alcuni gio-vani adulti maschi (tt. 52, 57) e femmine (tt. 20, 59), si osserva osteoartrite sia a cari-co degli arti superiori che inferiori, probabilmente in relazione ad eventi traumati-ci, particolari posture ed attività lavorative, ecc.. Le degenerazioni articolari a cari-co degli arti inferiori (in particolare l’articolazione del ginocchio) soprattutto neimaschi, potrebbero essere messe in relazione all’uso del cavallo, pratica attestatanelle popolazioni medievali e in particolare nella popolazione di Vicenne. Si èanche osservata sublussazione, a volte, bilaterale, della spalla di alcuni cavalieri (tt.66, 109, 150, non rilevabile negli altri) (Fig. 8) e degenerazione delle articolazioni delgomito (radio e ulna) del cavaliere della t. 109, poco frequenti nel resto del cam-pione maschile. Questi aspetti potrebbero essere messi in relazione all’uso reitera-to dello scudo e della spada durante le attività belliche. Infine il maggiore svilup-po nelle femmine rispetto maschi di alcune inserzioni muscolari degli arti superio-ri, e in particolare del muscolo deltoide, potrebbe essere il risultato di eventi micro-traumatici generati durante le attività domestiche quotidiane23

Si segnalano, inoltre, la frattura del cranio dovuta a un colpo mortale infertoall’adolescente della t. 54 (Fig. 9), le fratture dell’ulna sinistra nell’atto di blocca-re con il braccio, a mo’ di scudo, un colpo diretto al capo - frattura da parata24 -(Fig. 10) e sull’omero destro dell’inumato della t. 57 (maschio, AG). Esiti di trau-ma cranico si rilevano anche negli individui delle tt. 100 (maschio?) e 165(maschio), entrambi in età avanzata. La spondilolisi (frattura dell’arco vertebra-le) dell’ultima vertebra lombare in due giovani donne (tt. 30, 133) potrebbe esse-re interpretata come risultato di sforzi gravosi a carico della colonna vertebrale25.

Il Medioevo 139

21. Cfr. LARSEN A.L., Bioarchaeology ...22. BELCASTRO M.G. - FACCHINI F., Osteoarthritis ...;BELCASTRO M.G. - FACCHINI F. - FULCHERI E., Dismorfosi ...23. BELCASTRO M.G. - FACCHINI F. - FULCHERI E., Dismorfosi ....24. Cfr. LARSEN A.L., Bioarchaeology ...25. ARRIAZA B.T., Spondylolysis ...; cfr. LARSEN A.L., Bioachaeology ..., CAPASSO L. - KENENDY K.A.R. -

WILCZAK C.A., Atlas ...

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Si ricorda anche la frattura mortale del cranio del cavaliere della t. 33, probabil-mente in seguito ad un duello o ad un’esecuzione capitale26. Questo inumato dal-l’esame dei materiali di corredo poteva rappresentare una figura centrale e dipotere all’interno della necropoli27.

Discussione

Lo studio antropologico della necropoli altomedievale di Vicenne-Campochiaro permette di fare alcune importanti considerazioni riguardo allastruttura biologica e sociale della popolazione inumata.

Il problema principale posto alla nostra attenzione dagli archeologi è relati-vo al contesto pluriculturale della necropoli e, quindi, al riconoscimento di even-tuali caratteristiche biologiche degli inumati, in particolare dei cavalieri, che per-mettano di identificare un “gruppo etnicamente diverso” all’interno dellacomunità di Vicenne28. Pur essendo l’ambito cronologico e culturale della necro-poli ricco di elementi longobardi, la presenza delle sepolture contestuali delcavallo e del cavaliere rimanda anche ad altre culture – “… è più credibile averpotuto conservare la propria ideologia funeraria … piuttosto che aver adottatoun’ideologia funeraria completamente diversa dalla propria”29 –. Le testimo-nianze emerse dallo studio dei materiali della necropoli, troverebbero confermanelle fonti storiografiche (Paolo Diacono) che indicano la piana tra Sepino eBojano – loca deserta – come area concessa dal duca di Benevento ai Bulgari nel66830.

Attraverso l’analisi etnico-antropologica si è osservata una notevole variabi-lità biologica ed eterogeneità tipologica sia nel campione totale che in quello deicavalieri per quanto riguarda la forma del cranio, la statura e la struttura corpo-rea.

Tra le osservazioni effettuate vengono riportati alcuni esempi. In particolarel’inumato della t. 52, il più alto della popolazione di Vicenne, presenta formacranica relativamente larga, struttura corporea molto robusta. Questa tipologiaè simile a quella descritta da Kiszely31 (brachicrano curvoccipitale nordico), fre-quente nei cimiteri longobardi della Pannonia, del Rugiland e anche in Italia,immutata durante le migrazioni ed in genere associata ai guerrieri della classemedia. Le degenerazioni articolari da noi osservate, soprattutto a carico degliarti inferiori, potrebbero confermare per questo inumato un ruolo militare.Questo giovane è inoltre deposto in prossimità di altri due maschi (tt. 3, 67) che

140 I Beni Culturali nel Molise

26. GIUSBERTI G., Lo scheletro ...27. ARSLAN E.A., Monete ... 28. GENITO B., Tombe con cavallo ...29. GENITO B., Tombe con cavallo ...30. DE BENEDITTIS G., Crisi e rinascita ...31. KISZELY I., The anthropology ...

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presentano la stessa forma del cranio (Fig. 11) e struttura corporea simile.L’inumato della t. 28 a statura medio-alta (174 cm) e cranio nettamente ellissoi-de e stretto (Fig. 12), con evidente arco sopraciliare (“torus”-like32) (protonordi-ca), è molto frequente nei cimiteri longobardi e nelle tombe dell’età del ferro edel periodo delle Migrazioni della Scandinavia33. Gli inumati di sesso maschiledelle tt. 46 (161 cm) (Fig. 4), 109 (164 cm) (cavaliere), 89 (166 cm) e 140 (168 cm)e di sesso femminile della t. 97 (153 cm), presentano invece cranio largo e statu-ra bassa o medio-bassa. Per quanto riguarda il gruppo dei cavalieri (Tab. 3), sonopresenti sia individui a cranio largo (tt. 16, 79/85, 109, 150, 155) sia stretto (tt. 29,33, 66, 81, 141) (Fig. 13). I cavalieri per i quali è stato possibile stimare la staturanon sono alti: i valori sono compresi tra 162 (tt. 29, 141) e 169 (tt. 33, 150) cm34

(Tab. 3). La netta brachicrania, il naso relativamente basso e la statura medio-bassa del cavaliere della t. 109 e la netta dolicocrania e statura medio-alta delcavaliere della t. 66, rendono difficile ipotizzare che i cavalieri rappresentino ungruppo etnicamente omogeneo. Non è, comunque, possibile escludere, proprioin base alle caratteristiche di alcuni cavalieri la presenza all’interno della popo-lazione di elementi tipologici forse lontani (asiatico-mongolico?), peraltro osser-vabili anche in altri individui (t. 118) della necropoli.

Riferendosi al contesto cronologico della necropoli e alla presenza di culturamateriale germanica, locale e asiatica, pur nella complessità interpretativa37, varicordato che la necropoli è interessata dal punto di vista biologico da una note-vole variabilità. Dati antropologici forniti dallo studio di necropoli germanichedella Pannonia, del Rugiland e dell’Italia38 confermano questa variabilità.Kiszely39 (1979) identifica almeno 15 frequenti tipologie, ed altre derivate daincroci con altre popolazioni, negli inumati dei cimiteri della Pannonia e delRugiland, indicando una grande variabilità nelle popolazioni longobarde ancheprima del loro arrivo in Italia. Inoltre l’arrivo dei Longobardi in Italia nel 568 èaccompagnato dalla migrazione di altri gruppi quali Gepidi, Svesi, Sarmati,Sassoni, ecc.40. Nel VII-VIII secolo, fase già avanzata della presenza deiLongobardi in Italia, si era già verificata una notevole interazione traLongobardi e popolazioni locali, come peraltro confermato anche dai datiarcheologici. Va ricordato che non è riconosciuta nessuna normativa specificatesa a perpetuare alcuna divisione etnica, né nelle leggi di Rotari, né in quellesuccessive, non essendovi nessun divieto di matrimoni misti41. La variabilità,

Il Medioevo 141

32. KISZELY I., The anthropology ...33. KISZELY I., The anthropology ...34. Sec. MANOUVRIER L., La détermination ...35. PALFI G.Y., Maladies ...36. YORDANOV A. - DIMITROVA A., Symbolic ...37. GENITO B., Tombe con cavallo ...38. KISZELY I., The anthropology ...; BORGOGNONI TARLI - MAZZOTTA C., Physical Anthropology ...39. KISZELY I., The anthropology ...40. MELUCCO VACCARO A., I Longobadi ...; CAPITANI O., La migrazione magiara ...41. AZZARRA C., Le migrazioni barbariche ...

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quindi, osservata per le popolazioni germaniche longobarde di alcune necropo-li europee e italiane, sembra confermata anche in quella di Vicenne, alla qualepotrebbero avere contributo mescolanze con elementi locali, oltre che centro-asiatici.

Per quanto riguarda l’identificazione, all’interno della popolazione in esame,del gruppo dei cavalieri come “gruppo etnicamente diverso”, non sembrerebbesostenibile dall’analisi antropologica.

L’associazione di una manifestazione culturale ad uno specifico ethnos diven-ta, comunque, difficile da riconoscere nelle popolazioni del passato sulla basedei contenuti simbolici dei rituali funerari, soprattutto tenendo conto che le dif-ferenze culturali tra popolazioni locali ed immigrate possono attenuarsi in rela-zione al tempo di convivenza e di acculturazione, oltre che a fattori spesso a noisconosciuti. È riconosciuto anche in altri contesti archeologici come la tipologiadei corredi possa essere legata soprattutto alla classe sociale, più che rappresen-tare un indicatore etnico, come emerge dalla presenza, per esempio, nelle tombebizantine di elementi personali di corredo tipologicamente longobardi42.

Gli elementi demografici e patologici scheletrici osservati, forniscono alcuneindicazioni sulla qualità e stile di vita e comportamento della popolazione inesame nell’ambito di quelle altomedievali. Il valore di mortalità infantile delcampione in esame (oltre il 30% considerando i nostri dati e quelli archeologici)rientra in quelli stimati per le popolazioni altomedievali italiane43. Nei cimiteriungheresi nel X-XI secolo il tasso di mortalità è pari al 40%44. Tra gli adulti diVicenne, la mortalità colpisce soprattutto gli individui giovani di entrambi isessi.

I dati demografici, la presenza di ipoplasia dentaria a carico dei denti defini-tivi della maggior parte degli inumati in esame e la elevata frequenza di cribraorbitalia, potrebbero attestare mediocri condizioni di vita di questa popolazione.

La transizione tardo-antica/altomedievale è interessata da profondi muta-menti socio-economici, e culturali. I fattori legati a questi cambiamenti, qualiinvasioni, guerre, epidemie, carestie e sottoalimentazione, sono ritenuti le causeprincipali dell’insorgenza di molte malattie sia da insufficiente apporto dieteti-co e nutrizionale sia infettive45. Questi fattori potrebbero avere influito sullacomposizione demografica, sullo stato di salute, sulle attività e sui comporta-menti abituali delle popolazioni europee.

Le lesioni di origine traumatica esaminate colpiscono sia il campione maschi-le, anche mortalmente, sia quello femminile. Tuttavia il tipo di lesioni indiche-rebbe eventi traumatici di diversa origine. In particolare nel campione maschilee nei cavalieri si rilevano lesioni legate ad attività bellica e a scambi violenti (tt.33, 54, 57, 165, ecc.), mentre quelle legate all’attività lavorativa domestica e all’e-

142 I Beni Culturali nel Molise

42. NEGROPONZI, com. pers.43. DEL PANTA L. - LIVI BACCI M. - PINTI G. - SONNINO E., La popolazione italiana ...44. FUMAGALLI V., L’alba del mediterraneo ...45. Cfr. KIPLE K.F., The Cambridge Word History ...

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tà avanzata, sembrano colpire soprattutto il campione femminile (t. 30, 133, 14,ecc.). Nel sesso femminile si osserva anche un maggiore sviluppo del muscolodeltoide, soprattutto sull’arto superiore sinistro, la cui funzione è di allontanarequesto dal tronco. Questo indicherebbe un notevole sforzo dell’arto superioresinistro in abduzione, come nell’atto di sostenere in braccio il bambino per averedi conseguenza l’arto destro libero di svolgere altre funzioni.

Inoltre la sublussazione dell’articolazione scapolo-omerale di alcuni cavalie-ri potrebbe essere legata all’uso della spada dello scudo, rinvenuto come corre-do funerario di alcuni inumati (tt. 16, 66, 102)46. La sublussazione e l’osteoartritedella spalla sono state anche osservate rispettivamente in altre serie, celtiche 47 emedievali48.

Queste considerazioni inducono a ritenere che la popolazione fosse interes-sata da eventi violenti e bellici di tipo militare, oltre che da una possibile distri-buzione del lavoro in base al sesso.

Esaminando infine i caratteri antropologici, in relazione alla distribuzionedegli inumati nella necropoli possono essere fatte alcune considerazioni sull’e-ventuale scelta di particolari aree del cimitero in funzione del sesso, dei rappor-ti di parentela, del ruolo sociale, ecc. È riconosciuta, almeno per i cimiteri lon-gobardi della Pannonia e del Rugiland, una tipica disposizione delle sepoltureche riproporrebbe la fara, e quindi la posizione sociale ed etnica degli inumati,essendo sepolti nell’area centrale del cimitero gli arimanni e i ceti sociali elevatie ai margini la popolazione autoctona e individui con ruoli sociali inferiori49.

Pur non essendo attualmente documentato il nucleo abitativo cui questanecropoli si riferisce50, e tenendo conto delle incertezze della datazione delle sin-gole tombe, in base al numero e alla distribuzione degli inumati, per sesso ed età,non sarebbero rappresentate, come già detto, più di due generazioni, confer-mando l’ipotesi che il cimitero si riferisca a strutture insediative seminomadi51.Lo studio della vicina area cimiteriale di Morrione, appartenente allo stessoorizzonte culturale, pur escludendosi l’ipotesi di un unico complesso sepolcralecon Vicenne52, potrebbe chiarire i rapporti tra le popolazioni inumate in questearee.

Per quanto riguarda la distribuzione delle tombe in relazione all’età e alsesso, non si rileverebbe una particolare disposizione, come già emerso anchedalle analisi archeologiche53.

Tuttavia in alcune aree si potrebbe riconoscere una disposizione forse noncasuale delle sepolture. Oltre alla disposizione di un gruppo di cavalieri nell’a-

Il Medioevo 143

46. GENITO B., Materiali e problemi ...; CEGLIA V. - GENITO B., La necropoli altomedievale ...47. MARIOTTI V., Skeletal markers ...48. FAHLSTRÖM G., The glenohumeral joint ...49. Kiszely I., The anthropology ...50. CEGLIA V. - GENITO B., La necropoli altomedievale ...51. DE BENEDITTIS G., Di alcuni materiali altomedievali provenienti dal Molise ...52. CEGLIA V. - GENITO B., La necropoli altomedievale ...53. CEGLIA V. - GENITO B., La necropoli altomedievale ...

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rea centro-settentrionale della necropoli, lungo il margine settentrionale dell’a-rea cimiteriale (Fig. 1) sono deposti il cavaliere della t. 109, che tipologicamenterichiama caratteristiche asiatiche, l’adolescente della t. 118 (femmina), che pre-senta le caratteristiche più accentuate del cranio di forma sfenoide all’interno delgruppo di Vicenne e un giovane uomo (t. 112), con caratteristiche morfometri-che peculiari da mettere in relazione forse ad anomalie di sviluppo54. Alcune diqueste caratteristiche e l’interpretazione in chiave etnico-culturale, potrebberoindicare un gruppo di individui peculiari all’interno della necropoli. Si ricorda,inoltre, che l’individuo della t. 57, morto giovane, il cui scheletro mostra gli esitidi una grave scoliosi e di molteplici eventi traumatici non letali, deposto in unaposizione marginale del cimitero (Fig. 1), potrebbe forse avere avuto un ruolosociale subalterno (servile?).

Esaminando la distribuzione di alcuni caratteri discontinui rilevati sul cra-nio, due inumati di sesso maschile e della stessa fascia di età (tt. 1 e 26), sepol-ti tra loro distanti, presentano entrambi wormiani lambdoidei e os japonicum,indicativi di probabili rapporti di parentela. La frequenza di quest’ultimocarattere, generalmente simmetrico, varia dal 33% al 6% con valori elevatinelle popolazioni attuali giapponesi, Ainu ed Eskimo dell’Alaska e delle isoleAleutine55. Inoltre in alcuni casi, per la presenza di individui di entrambi isessi e di infanti deposti vicini, caratterizzati dalla presenza di metopismo e/owormiani lambdoidei (tt. 20, 21, 22 – tt. 1, 3, 6, 51, 52, 53, 67), sembra potersiriconoscere qualche gruppo familiare. In particolare gli inumati delle sepol-ture tt. 20, 21 e 22 (Fig. 1) si riferiscono ad una femmina (t. 20), corredata dalcoltello da tessitore55, strumento simbolico probabilmente posseduto dallamoglie dell’arimanno56 ad un bambino di 4-5 anni (t. 21) e ad un maschio (t.22) a statura elevata (175 cm), struttura corporea robusta e cranio dolicomor-fo, che possiede corredo vitreo, come l’inumato della t.46, la cui posizionesociale sembra strettamente legata a quella dell’individuo centrale dellanecropoli (t. 33)58. L’interpretazione dei caratteri discontinui è, tuttavia, anco-ra molto discussa59 . Infatti, oltre ad indicare possibili rapporti di parentela,questi caratteri potrebbero essere messi in relazione ad alterazioni morfoge-netiche (di sviluppo). In particolare l’inumato della t.112 presenta, oltre ametopismo e wormiani lambdoidei e sagittali, una serie di modificazioni del-l’assetto cranio-facciale e dello scheletro postcraniale riconducibili ad anoma-lie di sviluppo della vita intrauterina60. Alcuni caratteri discontinui del cranio,infatti, potrebbero essere interpretati come indicatori di risposte dinamiche

144 I Beni Culturali nel Molise

54. BELCASTRO M.G. - FACCHINI F. - NERI R. - MARIOTTI V., Skeletal ...55. HAUSER G. - DE STEFANO G.F., Epigenitc Variants ...56. CEGLIA V. - GENITO B., La necropoli altomedievale ...57. BONA I., I Longobardi ...58.58. CEGLIA V. - GENITO B., La necropoli altomedievale ...; ARSLAN E.A., com. pers.)59. Cfr. Manzi G. - Vienna A., Cranial no-metric traits ...60. BELCASTRO M.G. - FACCHINI F. - NERI R. - MARIOTTI V., Skeletal ...

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ad alterazioni di sviluppo, con conseguente moderato sviluppo osseo, arrestodella morfogenesi e ritenzione di caratteri infantili. Questo non escluderebbein ogni modo una base ereditaria nella risposta a fattori ambientali, sia duran-te la vita prenatale sia postnatale. Cambiamenti socioeconomici e culturaliche si riflettono sulle condizioni generali di vita, verificatisi, come già detto,nella transizione tardoantica/altomedievale, potrebbero essere tenuti in con-siderazione per spiegare alcune caratteristiche biologiche della popolazionedi Vicenne.

Considerazioni conclusive

La necropoli di Vicenne rappresenta un importante ritrovamento per lepotenzialità interpretative di tipo bioarcheologico, offrendo importanti elemen-ti riguardo alla composizione etnica della popolazione rappresentata e alla suacultura, in un contesto cronologico di transizione tra il mondo tardo antico ealtomedievale.

Un campione scheletrico non può evidentemente essere completamenteidentificato con la popolazione vivente cui questo si riferisce, ma può, comun-que, offrire utili e importanti informazioni per la comprensione dell’intero com-plesso sepolcrale. In tal senso, i dati antropologici possono rappresentare un’im-

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Fig. 1 – Pianta della necropli di Vicenne.

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portante fonte d’informazione, oltre a quelle generalmente ritenute tali, narrati-ve, documentarie e archeologiche.

L’analisi antropologica della necropoli, ancora in corso per molti aspetti, for-nisce vari elementi circa la composizione etnica e lo stile di vita della popolazio-ne.

Viene evidenziata una notevole eterogeneità etnica sia nell’intero campionesia nei cavalieri. Questi ultimi non rappresenterebbero un gruppo etnicamenteomogeneo e diverso dal resto della necropoli, anche se alcune caratteristiche bio-logiche evocano la presenza di tipologie di tipo asiatico, peraltro evidenti anchein altri inumati. Questo suggerisce incroci tra popolazione locale, germanica ed’origine orientale e rende difficile, se non impossibile, associare specifici ele-menti culturali ad una particolare etnia. Si potrebbe, quindi, ipotizzare, non soloun contesto pluriculturale ma anche plurietnico.

La popolazione scheletrica di Vicenne conserverebbe, inoltre, tracce dellostile di vita e della profonda crisi sociale, economica e culturale della transizio-ne tardoantica/altomedievale. Da alcuni indicatori antropologici, quali la morta-lità infantile e degli adulti giovani, le malattie riscontrate, le diverse caratteristi-che biologiche interpretate in relazione all’attività lavorativa e all’uso del caval-lo, i segni di violenza, talvolta mortale, e la variabilità tipologica, emerge il qua-dro di una società complessa e articolata caratterizzata da non facili condizionidi vita.

Il presente contributo è stato presentato al Convegno su "I Beni Culturali del Molise - IlMedioevo" tenutosi a Campobasso nel novembre del 1999, e ha visto la prima revisioneper la successiva stampa nel maggio 2003. Gli Autori desiderano sottolineare che le infor-mazioni in esso contenute si riferiscono allo stato della ricerca nel 1999. Lo studio antro-pologico dei materiali scheletrici umani della necropoli di Vicenne-Campochiaro è pro-seguito in questi anni ed è ancora in corso e, come tutti i lavori di ricerca, ha visto revi-sioni, approfondimenti ed ampliamenti dello studio precedente, utilizzazione di nuoviapprocci metodologici e nuove scoperte. Si ritiene utile, pertanto, allegare una bibliogra-fia aggiornata che può arricchire e completare la lettura del presente lavoro.

BELCASTRO M.G. - MARIOTTI V. - FACCHINI F. - DUTOUR O., Traits Pathognomonic of Leprosyin a Skeleton (T.144) from The Early Medieval Necropolis of Vicenne-Campochiaro (Molise, Italy),International Journal of Osteoarchaeology (in c.s.)

BELCASTRO M.G. - BONFIGLIOLI B. - FACCHINI F., Unusual wear dental patterns in the horse-men of the medieval necropolis of Vicenne-Campochiaro (Molise Italy). In Proceedings of the

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Il Medioevo 147

XIIIth European Meeting of the Paleopathology Association, Chieti Italy 18th-23rdSeptember 2000, pp. 31-35.

BELCASTRO M.G. - FACCHINI F. - MARIOTTI V., Skeletal evidence in the shoulder of the weaponuse in osteoarchaeological materials, XII Congresso della Società Spagnola di Antropologia,10-13 luglio 2001, Bellaterra, Barcelona, Spagna.

BELCASTRO M.G. - FACCHINI F. - MARIOTTI V., La Bioarcheologia: i resti scheletrici umani nel-l'interpretazione dello stile di vita delle antiche popolazioni, Bollettino dell'A.N.I.N.S. LeScienze Naturali nella Scuola. Anno X, n. 19, 2002, pp. 17-27.

BELCASTRO M.G. - FACCHINI F., Anthropological and cultural features of a skeletal sample of horse-men from the medieval necropolis of Vicenne-Campochiaro (Molise Italy). CollegiumAntropologicum, 25, 2001a, pp. 387-401.

BELCASTRO M.G. - BONFIGLIOLI B. - MARIOTTI V., Il popolamento del territorio di Campochiaroin epoca altomedievale. I dati antropologici della necropoli di Vicenne. XVI CongressoInternazionale di Studi sull'Alto Medioevo: " I Longobardi dei Ducati di Benevento eSpoleto", Spoleto 20-23 ottobre 2002, Benevento 24-27 ottobre 2002. (in c.s.).

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Fig. 2 – Stato di conservazione delle ossa nel campione della necropoli di Vicenne

Fig. 4 – Crani di forma sfenoide degli inumati delle tt. 46 (M, AG) (a sinistra) e 118 (F, adolescente) (a destra) (norma superio-re).

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Fig. 3 – Stato di conservazione dei singoli individui in base al sesso (in alto) e all’età (in basso). In ordinata è riportato un genericoindice calcolato come somma dei valori attribuiti alle singole ossa (esclusi il valore 5 relativo ai frammenti).

Fig. 10 – Frattura del terzo distale dell’ulna sinistra dell’inumato della t. 57 (M, AG).

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Fig. 5 – Os japonicum sullo zigomaticodestro dell’inumato della t. 1 (M, AG).

Fig. 12 – Cranio dell’inumato della t. 28(M, AM) (norma superiore).

Fig. 8 – Anomala morfologia della testadell’omero sinistro del cavaliere della t.109 (M, AM) (in alto) e di entrambi gliomeri del cavaliere della t. 66 (M, AM)(in basso) per sublussazione dell’arti-colazione scapolo-omerale.

Fig. 7 – Periostitesulla tibia destrae sinistra dell’i-numato della t. 18(F, AG).

Fig. 13 – Cranio del cavaliere della t. 66(M, AM) (norma superiore).

Fig. 6 – Cribra sul tetto delle orbite dell’i-numato della t. 134 (bambino).

Fig. 9 – Frattura ad esito letale del craniodell’inumato della t. 54 (M, adolescente)(norma superiore).

Fig. 11 – Crani degli inumati della t. 52 (M, AG) (in alto) e 67 (M, AG) (inbasso) (norma superiore a sinistra; norma laterale destra a destra).

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IL POPOLAMENTO DEL MOLISEDURANTE L’ALTO MEDIOEVO:

PROBLEMATICHE ANTROPOLOGICHE

Mauro RubiniSoprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio

Tracciare un profilo generale introduttivo al periodo altomedievale presentanon poche difficoltà legate a problematiche di varia natura. L’arcipelago cultu-rale e biologico che si presenta all’indomani della caduta dell’impero romanod’occidente rappresenta un complesso mosaico i cui tasselli non sempre s’inca-strano come dovrebbero. La migrazione dei popoli già avviatasi in periodi pre-cedenti, portò a contatto genti diverse per cultura e società, ma anche e soprat-tutto per costituzione genetica.

L’estrema eterogeneità biologica prodotta dal fenomeno della romanità, graziead un effetto centripeto, aveva aperto grandi flussi biologici provenienti dall’inte-ro bacino mediterraneo e dall’Europa centro meridionale. Il risultato fu la costitu-zione di quella società cosmopolita che dapprima orbitò attorno ad un unico polorappresentato dall’urbe ma che successivamente, in particolar modo nell’Italia cen-trale, si modificò di nuovo incistandosi in piccoli centri più o meno autonomi rap-presentati dal sistema delle grandi ville romane. Qui probabilmente riemerse quelfenomeno di endogamia che aveva caratterizzato il popolamento dell’Italia duran-te il primo millennio a.C. A tale situazione di nuova chiusura del substrato biolo-gico intervenne in aiuto la cosiddetta migrazione dei popoli.

Solo di recente, grazie ad una collettiva crescita di interessi interdisciplinari,sono venuti alla ribalta i grandi temi di quest’orizzonte cronologico molto con-troverso e affascinante. In particolare si stanno rivelando di grande importanzauna serie di rinvenimenti databili al VI e VII sec. d.C. che grazie a nuovi e piùaccurati metodi di indagine hanno permesso di aprire nuove vie interpretativeattraverso la sinergia di varie scienze.

Per molto tempo tale orizzonte cronologico è stato sottovalutato nella suainterezza considerandone solo aspetti di più immediato impatto quali quelli sto-rici e/o storico-artistici trascurandone altri di fondamentale importanza. La com-plessità di tale periodo è legata a molteplici fattori spesso difficilmente assem-blabili tra loro. Relativamente alla penisola italiana, la perdita di importanzapolitico-economico-militare della regione centrale, laddove durante la romanità

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si era costituito l’epicentro di tale fenomeno, subito dopo la caduta dell’imperoromano d’occidente, e sicuramente già prima, provocò un ritardo sia nello svi-luppo di parametri culturali che soprattutto biologici. Di fatto, l’Italia settentrio-nale anche grazie ad un precoce contatto con popolazioni «barbariche» ebbemodo di far sedimentare meglio non solo gli aspetti culturali ma anche quellibiologici.

A tal riguardo il lungo percorso intrapreso dai popoli centro ed est europeiper giungere in Italia fece in modo di trasformare questi gruppi umani in unvero e proprio flusso eterogeneo biodinamico le cui componenti probabilmenterisultarono in gran parte estranee al substrato genetico dell’Italia durante il VI eVII secolo d.C.

Mentre al nord, forse a causa dei motivi citati, l’elemento «barbarico» assun-se connotati ben distinti e di grande rilevanza, nel centro Italia si verificò unasorta di equilibrio tra gruppi autoctoni e alloctoni. Per tale causa spesso in regio-ni come Umbria, Marche, Molise, Abruzzo e Lazio si rinvengono oltre a necro-poli con connotati ben distinti per etnia e cultura quali ad esempio CastelTrosino e La Selvicciola (Longobardi), Vicenne e Campochiaro (Protobulgari oAvari), Ladispoli (Ostrogoti) altre in cui l’elemento autoctono e alloctono simescolano come in Castro dei Volsci oppure risultano esclusivamente autocto-ne come Cotilia, Terracina, Casalpiano, Farfa.

Nel nostro studio abbiamo scelto come parametro guida soprattutto per unaanalisi popolazionistica le popolazioni Longobarde poiché durante il VI-VII secolod.C. queste furono se non le più importanti sicuramente tra le più rappresentate inItalia. Il grande interesse che la Paleoantropologia riversa sul periodo altomedie-vale è dovuto al fatto che durante questo periodo con ogni probabilità si definì inte-so in maniera moderna il popolamento dell’Italia peninsulare.

Le serie scheletriche

Le due serie scheletriche oggetto di studio provengono dal Molise (Fig.1) erisultano entrambe in buone condizioni e numericamente consistenti. Il campio-ne di Campochiaro risulta costituito da 102 individui mentre Casalpiano da 79.

La diagnosi di sesso presentata nel seguente prospetto riassuntivo è stataeffettuata secondo il metodo proposto da Ferembach1 e Acsadi e Nemeskeri2 ,sulle caratteristiche morfologiche del cranio e del bacino, mentre la stima di etàalla morte attraverso il metodo combinato sempre di Acsadi e Nemeskeri3 per gliadulti e sullo sviluppo cronologico della dentizione e dello scheletro per infantie subadulti secondo Maglietta4.

152 I Beni Culturali nel Molise

1. FEREMBACH D. - SCHWIDETZKY I. - STLOUKAL M., Raccomandazioni ...2. ACSÀDI G. - NEMESKÉRI J., History of human life ...3. ACSÀDI G. - NEMESKÉRI J., History of human life ...4. MAGLIETTA V., Valori normali ...

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Il Medioevo 153

Campochiaro

TOMBA SESSO ETÀ

2 M 42 465 0 16 0 17 44 468 F 30 359 F 34 38

10 M 45 5012 M 46 4813 M 42 4614 F 48 5214a 2 315 F 48 5216 F 18 2218 0 119 12 1420 M 50 6021 M 50 5523 2 324 4 626 F 48 5229 M 45 5031 M 48 5533 M >2035 M 30 3536 M 45 5037 6 838 M 30 3539 M 44 4640 F 42 4841 M 40 4442 F 42 4643 M 30 3544 0 145 F 46 5046 M 48 5247 F 48 5248 M 42 4649 F 45 5050 F 32 3651 0 152 10 1253 M 45 5054 M 38 4055 M 30 3256 M 30 3557 F 30 3558 F 48 5259 F 38 4260 6 961 F 44 4862 M 40 45

TOMBA SESSO ETÀ

63 10 1264 M 45 5065 F 30 3566 F 30 3567 F 42 4668 F 42 4669 F 42 4670 M 20 2572 M 45 5073 F 45 5074 0 175 F 30 3576 M 45 5077 F 46 4878 M 48 5279 0 180 F81 M 44 5882 0 184 4 685 F 14 1686 F 42 4687 M 60 7088 F 48 5288a M 48 5289 M 42 4690 M 45 5091 M 48 5292 M 42 4893 3 694 F 25 3095 M 42 4697 9 1198 2 399 F 48 52100 M 30 35101 F 48 52102 M 45 50103 M 48 52105 M 42 46106 M 45 50107 M 42 46108 M 50 55109 F 42 46110 F 45 50111 F 28 34112 F 48 52113 F 48 52T B F 45 50T B1 0 1D M 30 35

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154 I Beni Culturali nel Molise

TOMBA SESSO ETÀ

MTE5A M 40 45MTE5B F 15 16MTE5C M 20 25MTE5D M 25 30MTE5E M 35 40MTE6 M 35 40MTE7 M 30 35MTE8 M 30 35MTE9 M 35 38MTE10 10 12MTE10A M 20 25MTE12 M 20 25MTE13 M 40 45MTE14 F 27 33MTE28A M 40 45MTE28B M 35 40MTE28C M 30 35MTE28D M 35 40MTE1 M 35 40MTE2A F 50 55MTE2B M 25 30MTE3A M 25 30MTE3B 4 6MTE4A F 18 20MTE4B M 20 25MTE15A F 20 25MTE15B M 30 35MTE16 M 18 21MTE17A M 25 30MTE17B F 20 25MTE18 F 30 35MTE19 F 30 35MTE20 10 12MTE21 M 25 30MTE22 M 18 20MTE23 F 20 25MTE25 8 10MTE26A M 20 25MTE26B F 23 28MTE27 F 20 25

TOMBA SESSO ETÀ

MTE28 M 35 40MTE29 M 40 45MTE30 F 25 30MTE31A M 35 40MTE31B F 20 25MTE32 F 25 30MTE34 0 1MTE35 M 30 35MTE36 F 50 55MTE37 M 35 40MTE38 M 25 30MTE39 F 30 35MTE40 M 25 30MTE45 F 40 45MTE47 0 1MTB1A M 25 30MTB1B 0 1MTB1C M 30 35MTB2 F 25 30MTB3 F 20 25MTB5 0 1MTB6 M 30 35MTB6B F 25 30MTB10 6 8MTB11 M 25 30MTB12 12 14MTB13 F 25 30MTC1 F 25 30MTC2A M 30 35MTC2B F 18 20MTC4 M 30 35MTC5 M 28 33MTC6A F 40 45MTC6B M 28 33MTC7 M 30 35MTC9A F 28 33MTC9B M 25 30MTC12 M 35 40MTC13 M 40 45

Casalpiano

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Il Medioevo 155

Complessivo stato di salute

Attraverso lo studio di alcuni indicatori scheletrici e dentali di stress (Fig. 2)è stata condotta una ricerca parallela tra quelle che potrebbero risultare espres-sioni delle condizioni generali di salute di una comunità definita culturalmenteautoctona (Casalpiano) e una alloctona (Campochiaro), entrambe coeve e stan-ziate nel medesimo areale. Si è rivelato interessante osservare l’interazione conquest’ultimo fattore che quasi certamente ha prodotto le stesse pressioniambientali, producendo, però, risposte adattative diverse.

Relativamente a fenomeni degenerativi scheletrici quali ad esempio le pato-logie artrosiche, come visibile in figura 2, risultano molto elevate e manifestanouna maggiore incidenza nel campione autoctono di Casalpiano. A prima vista ivalori sembrerebbero quelli di una comunità composta da individui longevi,cosa questa che non risulta ad un primo riscontro demografico evidenziandosolo un esiguo numero sia di maschi che di femmine oltrepassare la soglia dei45 anni. Come noto l’artrosi è principalmente legata a tre fattori5:

a) normale processo di invecchiamento cartilagineo;b) errate dinamiche articolari;c) carichi di lavoro pesanti.Se osserviamo le percentuali di incidenza di questa patologia nella porzione

di popolazione di entrambi i siti definita giovane, con età inferiore a circa 30anni, di ambo i sessi (in parentesi in fig. 2), osserviamo come più della metà deicolpiti appartenga ad una età in cui si può tranquillamente escludere il fattorea). Dei due rimanenti fattori possiamo escludere b) dal campione di Casalpianoin cui traumi pregressi e/o patologie in grado di produrre errate dinamiche arti-colari (zoppia, limitazione nella rotazione degli arti, ecc.) presentano una inci-denza irrilevante (circa 1,5%); mentre nel campione di Campochiaro la presenzadi traumi più o meno rilevanti si propone con una incidenza attorno al 20%,soprattutto a carico del sesso maschile, producendo una sospetta causa di origi-ne di patologie artrosiche specie a carico degli arti inferiori. Il terzo fattore c) èindicato come una delle cause principalmente indotte da attività agricole6 la cuidurezza, specie in antico, sarebbe in grado di infliggere stigmate degenerativeanche in età piuttosto giovane soprattutto a carico della colonna vertebrale edegli arti superiori. Quindi, da tale analisi sembrerebbe che la comunità diCasalpiano praticasse una forte attività agricola mentre forse questa era a soloappannaggio femminile in quella di Campochiaro. Essendo state rinvenute inquest’ultima necropoli numerose sepolture con cavallo (Fig. 3) abbiamo ritenu-to interessante valutare un ulteriore parametro patologico connesso secondoalcuni autori7, ad una attività equestre: l’ernia di Schmorley. Questa è un’erniaintervertebrale dovuta a sollecitazioni verticali della colonna, così come ad

5. ASCENZI A. - MOTTURA V., Anatomia Patologica ...6. ROBBINS R. - COTRAN M., Le Basi Patologiche ...7. KENNEDY K.A.R., Skeletal markers ...; FORNACIARI, comunicazione personale.

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156 I Beni Culturali nel Molise

esempio battere la sella. Assai più indicativamente questa compare in modoassoluto nel solo sesso maschile di Campochiaro (circa il 15%) confermando sep-pur in maniera relativa la presenza di una probabile attività cavalleresca.

Un altro importante indicatore ai fini di una corretta valutazione del com-plessivo stato di salute di una popolazione ma anche dell’interazione di questacon l’ambiente circostante è rappresentato dall’iperostosi porotica: questa è rap-presentata dalle cribra orbitalia (Fig. 4) e cranii (Fig. 5) rilevate secondo i suggeri-menti di Hengen8 e Nathan e Haas9 e considerata tale solo in presenza di entram-bi10. La loro origine è attualmente controversa e dibattuta tra carenze alimentaripatite e /o eventi patologici legati al carico infettante dell’ambiente11.

Nel nostro caso la cribra orbitalia si manifesta con una discreta percentuale diincidenza elevandosi nel campione femminile di Casalpiano. Generalmente ilsesso femminile di entrambi i campioni risulta il più colpito. In due casi infanti-li questa associata a cribra cranii di cui almeno in uno risulta associata a osteo-porosi diffusa dello scheletro postcraniale, la diagnosi differenziale sembrereb-be indicare una talassemia major.

Sull’origine di tali risultati possiamo ipotizzare che in caso di assunzioni ali-mentari inadeguate si potrebbe, attraverso essi, evidenziare una discriminazio-ne nell’accesso alle fonti alimentari soprattutto sotto il profilo di assunzionediversificata di cibi poco nobili da parte del sesso femminile. Di contro se lacausa della presenza di tali stimmate fosse legata al carico infettante dell’am-biente l’ipotesi potrebbe essere quella che il sesso femminile fosse maggiormen-te esposto all’azione di agenti patogeni.

In entrambi i casi anche volendo subordinare nell’uno o nell’altro caso l’inci-denza così elevata nelle femmine di cribra queste risultano particolarmente piùcolpite rispetto ai maschi. Tale considerazione concorda in linea generale con leosservazioni effettuate relativamente alla maggiore presenza di fenomeni dege-nerativi artrosici rilevati sui due campioni.

L’ipoplasia dentale dello smalto, altro indicatore dentale di stress, eviden-zia valori di comparsa molto elevati in entrambi i sessi ed i campioni, alli-neandosi però in questo a quanto espresso dalla quasi totalità delle popola-zioni antiche del bacino mediterraneo. Tale indicatore dovuto alla mancataapposizione di smalto durante l’accrescimento del dente, evidenzia carenze,secondo alcuni autori12, di natura patologica e/o alimentare in un periodo divita compreso tra 0 e 6 anni. L’età di insorgenza calcolata con il metodo diMassler13 con revisione di Swarstedt14 sembra coincidere con il periodo di svez-

8. HENGEN O.P., Cribra orbitalia ... 9. NATHAN H. - HAAS N., On the presence of cribra orbitalia ...10. FORNACIARI G. - BROGI M.G. - BALDUCCI E., Patologia dentaria ...11. STUART-MACADAM P., Porothic hyperostosis ...12. EL NAIJAR M.Y. - DE SANTI M.V. - OZBERK L., Prevalence ...; GOODMAN A.H. - ARMELAGOS G.J. -

ROSE J.C., Indicators of stress ...; PERZIGIAN A.J. - TENCH P.A. - BRAUN D.J., Prehistoric Healt ...13. MASSLER M. - SCHOUR I. - PONCHER H.G., Development pattern of the child ...14. SWARSTEDT T., Odontological Aspects ...

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zamento di un individuo ossia con quel periodo in cui a causa del cambio dialimentazione da quella lattea materna riccamente completa a quella liberamaggiormente legata a quelle che sono le risorse del gruppo. Inoltre va consi-derato che in antico così come attualmente in alcune popolazioni africane,sudamericane e oceaniche il prolungamento dell’allattamento risulta legatoalla natura della popolazione: in gruppi nomadi questo si protrae sino al 3°-4°anno di vita a causa dell’impossibilità di una completa autonomia deambula-toria e nutritiva; nelle popolazioni radicalmente sedentarie l’allattamento cessasolitamente, in assenza di particolari cause quali ad esempio le carestie, intor-no al 1°-2° anno di vita.

I nostri risultati indicano (Fig. 6) per Campochiaro una età di insorgenza dicirca 3.8 anni, mentre per il sito di Casalpiano 2.2 anni. Questo ulteriore datopotrebbe rafforzare le ipotesi di lavoro proposte in precedenza in cui si eviden-zia la natura fortemente agricola dell’insediamento di Casalpiano (e quindi stan-ziale) in antitesi a quella che sembrerebbe una popolazione probabilmenteavviata ad una stanzialità ma con ancora forti recrudescenze di un modello lega-to ad esigenze legate a problemi di spostamento.

Del resto ulteriore conferma la troviamo dalla ricostruzione della paleodietain cui si evidenzia (Fig. 6) una assunzione di prodotti spiccatamente di naturacerealicolo vegetariana per Casalpiano mentre pur costituendo una discreta basealimentare questi vengono integrati da consistenti apporti proteici determinan-do una dieta di tipo misto nella comunità di Campochiaro.

Nonostante ciò un ulteriore parametro diretto per la valutazione del com-plessivo stato di salute quale la statura , mostra valori elevati per entrambi i siti,anche se questo rialzo staturale sembrerebbe tipico del periodo alto-medievale15

e forse legato al grande rimescolamento genetico avvenuto sul territorio italianoe più in generale nel bacino mediterraneo sull’onda della così detta “migrazionedei popoli”.

Demografia

L’analisi demografica dei campioni oggetto di studio ha posto in evidenzaalcune problematiche soprattutto di natura generale. La sottostima della morta-lità neo e perinatale in entrambi i campioni (circa il 15% a fronte di un valoresoglia di circa 30-35%) risulta in paleoantropologia una delle principali cause didifficoltà nella corretta interpretazione demografica di una serie scheletrica. Talefatto legato soprattutto a fattori quali: estrema fragilità delle ossa infantili e pro-babile differenziazione delle aree inumative; produce spesso la necessità diricorrere ad artefatti per poter quantomeno rendere attendibili i risultati proiet-tati della porzione adulta e subadulta.

Il Medioevo 157

15 RUBINI M., La Necropoli ....

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Nonostante questo frequente inconveniente i risultati prodotti sembranoessere sufficientemente attendibili. Il rapporto tra porzione di popolazione pro-duttiva e quella non produttiva si sviluppa a favore dei primi, mostrando così inentrambi i campioni un trend riproduttivo in essere.

Nel gruppo di Casalpiano la mortalità fino al 45° anno di vita risulta bendistribuita nelle varie classi di età utilizzate (intervalli quinquennali) eviden-ziando una ripartizione di fattori letali non connessi specificamente ad un inter-vallo di età (Fig. 7). Anche nel confronto con alcune serie coeve (Longobardi-nord; Pauciuri-sud; Castro dei Volsci-centro) tale andamento sta ad indicare unavita in cui i fattori di rischio si distribuiscono omogeneamente senza evidenzia-re strappi. Ciò nonostante la massima mortalità si ha negli intervalli 25-29 e 30-34 anni che non a caso coincidono con l’apice di massima estrinsecazione delpotenziale sia fisico che lavorativo. Tale esito ripropone ancora una volta l’ipo-tesi di una comunità agricola con forti radici stanziali che farebbe ulteriormentesupporre di trovarci dinanzi ad un gruppo non di nuova costituzione biologicama piuttosto di consolidato impianto.

Campochiaro di contro evidenzia un andamento “a strappi” con definiti pic-chi di mortalità sempre tra i 25 e i 35 anni per poi appiattirsi nei successivi inter-valli. Questo andamento tende ad isolare i fattori di rischio in una fascia di etàche come detto rappresenta il periodo di vita in cui un individuo esprime almeglio la propria potenzialità. Se dovessimo in qualche modo attendere alleinformazioni derivanti dai corredi funerari rappresentati soprattutto da armi eaccessori da combattimento dovremmo pensare ad un popolo guerriero cosa peraltro che calzerebbe bene anche con la percentuale di massima mortalità.

Ma tale elemento funerario (corredo di armi) in una contestualizzazione crono-logica rappresenta anche una forma arcaica di sepoltura, peraltro ormai superatain Italia (la massima rappresentazione si ha durante il I millennio a.C. prima dellaromanità) e non rientrante più nel retaggio culturale corrente delle popolazioniautoctone. Questo inciso tanto per puntualizzare come benché durante il I millen-nio a.C. si inumasse con le armi, le genti frequentemente non rappresentavanopopoli guerrieri ma data la forte natura agricola di tutti gli insediamenti preroma-ni, tutt’altro. Quindi sulla scorta di questa osservazione l’altra possibilità è che nonsi tratti di un popolo guerriero e che i picchi di mortalità siano casuali.

Il popolamento dell’Italia peninsulare durante il VI e VII sec. d.C.

Per poter comprendere meglio il popolamento dell’alto medioevo abbiamocostruito un dendrogramma, basato su dati morfometrici del cranio ( lunghez-za, larghezza e altezza del cranio, altezza e larghezza della faccia) e dello sche-letro (diametri e lunghezze fisiologiche femorali, omerali e tibiali) rilevati secon-do Martin e Saller16, attraverso l’utilizzo di una analisi multivariata, quale la

158 I Beni Culturali nel Molise

16. MARTIN R. - SALLER R., Lerbuch der Anthropologie ...

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distanza euclidea al quadrato definita come la sommatoria della distanza al qua-drato tra tutte le variabili di due differenti gruppi, secondo la seguente formula:

D(x,y) = Si ( xi - yi )2

Per evitare che l’unità di misura delle variabili influisca sulla loro distanza,queste vengono standardizzate (divise per la deviazione standard) prima dell’a-nalisi di modo che si lavori sugli scarti standardizzati. I risultati evidenziati infigura 8 pur se di complessa decodifica potrebbero in realtà contribuire in modorilevante alla comprensione del popolamento alto medievale peninsulare.

I Longobardi sembrano essere contraddistinti da una certa omogeneità inter-na interessante tutti i distretti geografici. È interessante notare come l’elementoautoctono sopravviva in almeno un sito per nord, centro e sud. Difatti siaCasalpiano che Cotilia (RI) che Mont Blanc (Aosta) clusterizzano singolarmentenon evidenziando, sembrerebbe, probabili commistioni biologiche. Di contromolte popolazioni sia del nord che del centro e del sud sembrano avere interre-lazioni genetiche con popolazioni longobarde, anche se questo quadro sembradistribuirsi su base territoriale. Singolare è la composizione del 1° cluster in cuisono racchiuse 5 popolazioni eterotopiche. Tale risultato potrebbe essere legatoa problemi di limiti dell’analisi applicata, ma potrebbe essere connessa anche aduna reale complessità della costituzione del substrato biologico dovuta a impor-tanti interazioni. Di contro come detto si evidenzia una relativa caratterizzazio-ne territoriale probabilmente non ancora tale da poter essere definita modernama sicuramente tendente ad una forma di regionalizzazione come quella che inparticolare al centro nord si registrò sino agli albori del XX secolo. Con riferi-mento al Molise questo in particolare per i siti studiati evidenzia una compo-nente biologica autoctona associata ad una struttura più complessa biologica-mente con evidenti presenze alloctone come il sito di Campochiaro.Quest’ultimo risultato potrebbe supportare i presupposti culturali che indivi-duano tale collettività come appartenente ad uno orizzonte geografico culturaleavaro o protobulgaro.

Conclusioni

Attraverso i risultati ottenuti dal presente studio abbiamo tentato di interpre-tare alcuni parametri popolazionistici dell’Italia peninsulare durante l’altomedioevo. I modelli economici di sussistenza sembrerebbero ancora non comple-tamente omogeneizzati tra i gruppi umani considerati. La causa di ciò potrebberisultare una ancora relativamente breve permanenza sul territorio di gruppimigrati. Tale evenienza potrebbe non aver favorito completamente l’estrinsecazio-ne della pressione dei fattori ambientali e quindi lo sviluppo delle migliori rispo-ste adattative come ad esempio nelle strutture più marcatamente autoctone.

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160 I Beni Culturali nel Molise

All’evidenza di un rigido modello agricolo come quello espresso dal sito diCasalpiano, sia economicamente che patologicamente, si contrappone unmodello, quale quello di Campochiaro che appare in via di trasformazione adat-tativa. Questa situazione si riflette anche biologicamente a livello di substratogenetico, mostrando il sito autoctono ben inserito nel contesto dei siti autoctoniaccertati, mentre l’altro evidenzia ancora una sua incerta collocazione dal pano-rama biologico dell’Italia peninsulare.

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Fig. 5. Cribra orbitalia.

Fig. 7. Grafico sulla mortalità in varie necropoli coeve.

Fig. 6. Confronto tra diete e stature nei due campioni molisani.

Fig. 4. Cribra cranii.

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Fig. 8. Dendrogrammaraffigurante i risultatidella Distanza EuclideaQuadra. La lettera inparentesi indica l’arealepeninsulare italiano diappartenenza del sito: N = settentrione; C = centro; S = meridione.

Fig. 2. Valori percentuali degli indicatori di stress considerati.

Fig. 1. La regionedelle due necropoli.

Fig. 3. Uno dei cavalli nellanecropoli di Campochiaro.

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COMPLESSI SEPOLCRALIINSERITI NEL TESSUTO URBANO

E ANNESSI A CHIESE RURALINELL’ALTO MEDIOEVO

Cristiana TerzaniSoprintendenza per i Beni Archeologici del Molise

Il Complesso monumentale di Casalpiano a Morrone del Sannio

Il complesso di Casalpiano, nel comune di Morrone del Sannio, riveste note-vole rilevanza per la conoscenza della storia di un'area interna, in prossimità deltracciato tratturale, costituendo un polo di aggregazione delle attività agricoledel circondario in diverse fasi cronologiche: per la presenza di una villa romanadi ampie proporzioni, di una vasta necropoli alto medievale e di un importantenucleo benedettino. Quest'ultimo aspetto è testimoniato dalla presenza di uncomplesso di strutture architettoniche, databile tra l'XI e il XIV secolo: il ruderedi un edificio ecclesiastico dall'abside monumentale; l'altra chiesa romanica di S.Maria di Casalpiano, costruita forse su una preesistente1.

Non è mia intenzione rileggere in questa occasione le vicende insediative delsito di Casalpiano attraverso gli edifici monumentali, dalla presenza benedetti-na, attestata dall'inizio dell'XI secolo (1017), quando i presbiteri Pietro e Martinooffrono all'Abate Atenulfo di Montecassino, con altre proprietà, le chiese di S.Apollinare e S. Maria in Casale Plano2.

L'esistenza di un progetto della Comunità Montana per il consolidamentodegli edifici monumentali ha dato l'avvio all'esplorazione archeologica, in unsettore limitato dell'area, per tutelare opportunamente le preesistenze.

Gli scavi condotti all'interno della badia, negli ambienti annessi e in unafascia perimetrale all'esterno nella parte retrostante della chiesa, hanno consen-tito di portare in luce alcuni vani della pars dominica della villa, con pavimentiin opus signinum, esistente da età tardo repubblicana. Sono leggibili ricostruzio-

1. S. Maria in Casalpiano…, pp. 26-30, 81 sgg.2. CMC, II, 32 CDM S, p. 648, 30. Agosto-ottobre 1017: "Nec non et Petrus et Martinus presbiteri

similiter obtulerunt beato Benedicto ecclesiam sancte Marie et sancti Apollinaris in eadem sancteMarie ibidem in Morrone, loco vocabulo Casale planum, cum omnibus ad se pertinentibus". BLOCHH., Monte Cassino in the Middle Ages... II, p. 276 n. 69 e 636: "S(an)c(t)a Maria in Casali/ Planu cu(m)o(mn) ib(us) per/ tinentiis suis"

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164 I Beni Culturali nel Molise

ni nell'impianto romano, tra cui la realizzazione di età imperiale di un ambien-te termale. L'insediameno ebbe lunga vita, perdurando almeno fino al V secolo3.

Si evidenziava quindi un'area cimiteriale, con notevole densità di sepolture(fig. 1).

L'impianto delle tombe nella fase di abbandono ha in parte sfruttato gliambienti della villa, le cui strutture dovevano essere crollate ma con i muri par-zialmente in vista, cui le sepolture a volte si adeguano, addossandovisi, o chetagliano; talvolta poggiano sui pavimenti in signino, o hanno creato incassi nelpiano pavimentale, con differenze di quota non sostanziali.

Si sono esplorate 76 sepolture, disposte fittamente anche all'interno dellabadia (parte Est) e dei vani annessi alla chiesa, che, nella struttura attuale, sisovrappongono tagliando in alcuni casi le tombe, mentre sembrano tendenzial-mente allineate lungo il muro perimetrale dell'altro grande edificio ecclesiastico,ora allo stato di rudere. Non si sono rinvenute al di là di un muro di confine,messo in luce con gli scavi verso il limite meridionale.

Un primo segnacolo delle sepolture – accumuli di pietrame o frammenti late-rizi – non è spesso sicuramente identificabile, per la presenza in tutta l'area deimateriali di crollo della villa. Un conglomerato con andamento curvilineo èintorno alla tomba E 12; la tomba E 50 è circondata, a livello superficiale, dascheggioni con disposizione semicircolare; la tomba E 52 è compresa tra unmuro della villa e un rozzo conglomerato di pietrame. L'orientamento è sostan-zialmente uniforme: nella maggioranza dei casi con il capo rivolto verso il cala-re del sole (W o W-SW). La disposizione ortogonale (N-S), attestata per 4 tombe,è spiegabile con l'allineamento a strutture murarie o la probabile recenziorità:una sepoltura taglia in parte l'abside della chiesa più antica.

Le tombe, a fossa rettangolare, presentano una copertura di lastre informi dicalcare (da 6 a 1), con sovrapposti o interposti frammenti e scaglie di pezzaturaridotta. La fossa è delimitata con spezzoni di lastre verticali; blocchetti lavoratiall'interno, anche in più filari legati con malta, cui possono essere sovrappostiframmenti di lastre di piatto; meno frequenti sono rivestimenti di muratura dipezzame di pietrame e malta, in un caso con una sovrapposizione di laterizi; ouna delimitazione discontinua di scaglie e lastre (per esempio solo dalla partedel cranio). Sembra di poter escludere una interpretazione cronologica per levarie tecniche di rivestimento della fossa, riscontrandosi in alcuni casi tipologiediverse su vari lati della stessa tomba. Si distingue la tomba E 49, coperta contegoloni obliqui "alla cappuccina". L'assenza di chiodi fa escludere l'uso di casselignee. Il fondo in alcuni casi è rivestito con un massetto di malta, talvolta conpiccole scaglie di pietra o laterizi; in due tombe da tegoloni; cinque sepolturepoggiano sui pavimenti della villa.

Gli inumati sono distesi, con il cranio a volte poggiato sulla regione tempo-rale, con uno o entrambe le braccia ripiegate sul busto o sul bacino. Sono atte-

3. S. Maria in Casalpiano…, pp. 15 sgg., 39-74; DE BENEDITTIS G. - TERZANI C., I mosaici della villaromana di Casalpiano ... pp. 105-110.

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state deposizioni plurime: una con bambino presso la tibia dello scheletro adul-to (tomba E 3); ma anche ossuari o tombe riutilizzate con uno scheletro articola-to e altre ossa ammucchiate ai lati o verso il fondo.

Di regola le deposizioni non presentano un vero e proprio corredo: ottotombe hanno restituito oggetti pertinenti all'abbigliamento personale o di orna-mento, collocati per lo più come erano indossati (alcune fibbie per il peso si tro-vano sul fondo), ma anche all'esterno della copertura. In tre casi si ha suppellet-tile vascolare, non associata ad altri oggetti; in cinque sono reperti monetali. Ireperti provengono tutti da tombe di adulti. Le deposizioni che hanno restituitooggetti sembrano ubicate prevalentemente nel settore Nord dell'area esplorata,che è anche quello più densamente occupato da sepolture. Considerando piùantiche le tombe con corredo, non sembra comunque opportuno avanzare ipo-tesi di stratigrafia orizzontale sullo sviluppo del sepolcreto, anche vista l'am-piezza limitata degli scavi.

La ceramica è presente in tombe sia maschili che femminili: in un caso(tomba E 32) sono associati due vasetti, deposti tra alcune pietre all'esterno dellasepoltura a Sud; in un'altra tomba un boccale era all'interno, presso il craniodella deposizione.

Il boccale (inv. 47995, h 16 diam. 9 cm) con corpo ovoidale e ventre basso,collo cilindrico, orlo espanso verticale, ansa a nastro dalla base del collo allamassima espansione, di argilla depurata nocciola è decorato a bande rosse nellaparte superiore del corpo con fasci di linee parallele oblique, tra cui sono trian-goli campiti con linee di orientamento opposto, eseguiti con imprecisione; unalinea longitudinale e tratti trasversali sull'ansa (fig. 2).

L'altro boccaletto rinvenuto nella necropoli, già pubblicato in notizie pre-liminari dello scavo4, presenta analoghi schemi decorativi, ripartiti in duefasce orizzontali. Caratteristica della produzione dell'Italia meridionale(Puglia, necropoli del materano, Campania)5, attestata negli scavi di Luni6, inambito bizantino (agorà di Atene)7, la forma è presente anche a CastelTrosino8 e Nocera Umbra9, ingubbiata o decorata a solchi orizzontali, con cro-nologia al VI-VII secolo. I motivi decorativi sono attestati negli strati di

4. Samnium 1991 …, p. 354, f 72, tav. 9 f p. 364. S. Maria in Casalpiano…, p. 72, n. 33.5. SALVATORE M. R., Un sepolcreto altomedievale in agro di Rutigliano …, pp. 128-129, fig. Ia (tomba 1).

EAD., La ceramica altomedievale nell'Italia meridionale …, p. 50, tav. I, 8. BRACCO E., Venusio (Matera).Tombe di età barbarica..., p. 168, fig. 1; IANNELLI D’ANDRIA M. A. , Appunti sulla ceramica medievale cam-pana …, p. 720, fig. 2, n. 3 (da Ariano Irpino: trattato a stralucido); PATITUCCI UGGERI S., Il sepolcretodi Vittoria …, p. 125 fig. 7 (tomba 13 n. 1) e p. 129 fig. 10 (tomba 16 n. 2, con reperti monetali datatitra l'811 e l'820).

6. BLAKE H., Ricerche su Luni Medievale. Le classi del materiale …, p. 6457. ROBINSON H. S., Pottery of the Roman Period …, p. 84, tav. 33: XIII strato (VI secolo).8. MENGARELLI R., La necropoli barbarica …, coll. 145-380; BALDASSARRE I., Le ceramiche delle necropoli

longobarde …, p. 156 n. 32 (tomba 31), p. 157 n. 35 (tomba 34), p. 161 n. 46 (tomba 128); La necropolialtomedievale di Castel Trosino …, pp. 310-311, figg. 253-254.

9. PASQUI A. - PARIBENI R., Necropoli barbarica di Nocera Umbra …, coll. 137-352, col. 347 fig. 197BALDASSARRE I., Le ceramiche delle necropoli longobarde …, p. 145 n. 8 (tomba 56 con monete dell'etàdi Alboino), p. 147 n. 13 (tomba 77), p. 149 n. 21 (tomba 118)

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166 I Beni Culturali nel Molise

abbandono del teatro di Sepino10 dal V sec. d.C., in materiali ceramici dal tea-tro di Venafro11.

La tazzina monoansata (inv. 47994, h 8 diam. 8,8 cm) ha orlo delineato all'e-sterno da solcatura, parete quasi verticale, piccolo piede a disco; di argilla aranciodepurata, è decorata in rosso scuro con due o tre bande parallele alternativamen-te verticali o oblique, fiancheggiate da serie di tratti orizzontali, stilizzazione dimotivi fitomorfi? (fig. 2). Mancano puntuali confronti12: una tazza emisferica, conbase piatta, dal teatro di Venafro ne richiama la forma13. La decorazione, come peri boccali già descritti, può rientrare nella classe di ceramica dipinta "a tratto minu-to" con carattere stilistico geometrico, più antica, così definita da B. Genito14 nellaclassificazione dei reperti ceramici del teatro di Venafro (V-X sec.).

Forma peculiare è anche il vasetto (dalla tomba E 49 inv. 53818, h 9, diam. 7,8)con versatoio, orlo svasato, corpo globulare decorato con coppie di bande diver-genti15 (fig. 5).

Le monete sono mal leggibili; in buono stato di conservazione è un tremissisd'oro di Giustino II (565-568 d.C.)16.

Le fibbie di cintura, sia in bronzo che in ferro, di forma circolare17 e in un solocaso quadrangolare18, con ardiglione che si connette tramite una estremità ripie-gata ad anello, in alcuni esemplari presentano una semplice decorazione incisa.Sono tipiche dell'abbigliamento maschile e provengono tutte da tre tombe, di cui

10. CAPPELLETTI M., Il teatro di Sepino …, p. 87 fig. 1.11. GENITO B., Ceramica dipinta dal teatro romano di Venafro …, figg. p. 33, 35.12. STAFFA A. R. , Scavi nel centro storico di Pescara, 1 …, p. 336, fig. 68 n. 162 (riferibile al periodo

III: secoli VII-VIII).13. GENITO B., Ceramica dipinta dal teatro romano di Venafro …, p. 32 fig. 5.14. ID., pp. 21-36.15. Richiama la forma dei vasi cosiddetti "a sacchetto", privi del beccuccio: cfr. VON HESSEN O., A

proposito della ceramica longobarda in Italia …, p. 92 tav. 8.16. Samnium 1991 …, p. 354 f 75, p. 364 tav. 9f.17. Dalla tomba E26 (fig. 4): 1) Fibbia in bronzo (inv. 48014, diam. 5,5, sp. 0,5) di forma rotonda,

a sezione circolare, ardiglione agganciato tramite parte ripiegata ad anello, con estremità decorateda tratti verticali e piccolo triangolo inciso. 2) Fibbia in bronzo (inv. 48015, diam. 5,3, sp. 0,5). Similealla precedente. Dalla tomba E28 ( (fig.4): 3) Fibbia in bronzo (inv. 48013, diam. 3, sp. 0,3) di formarotonda, a sezione circolare; ardiglione piatto agganciato con un'estremità ripiegata ad anello. 4)Fibbia in ferro (inv. 48008 , diam. 5, sp. 1,2), superficie corrosa. Forma circolare, ad anello piatto, conardiglione piatto. 5) Fibbia in ferro (inv. 48007, diam. 5, sp. 1,2), superficie corrosa. Piatta, di formacircolare: ardiglione piatto che si connette tramite una estremità ripiegata, assottigliato all'altra estre-mità. 6) Fibbia in ferro (inv. 48005 , diam. 1,5, sp. 0,1), superficie corrosa. Ad anello piatto, con ardi-glione piatto. Cfr. VON HESSEN O., Die Langobardische Funde aus dem Graberfeld von Testona …, tav. 34,n. 258 (in ferro), tav. 37 n. 329 (in bronzo), con datazione al VI-VII secolo. HANULIAK M., Graberfelderder Slawischen population Im 10. Jahrhundert Im Gebiet der Westslowakei …, pp. 290-308, tavv. I n. 12, Xn. 23, con cronologia al X secolo.

18. Dalla tomba E26 (fig.4): 1) Fibbia in ferro (inv. 48006, diam. 5, sp. 0,7) piatta, di forma qua-drangolare; ardiglione piatto agganciato tramite una estremità ripiegata ad anello, assottigliatoall'altra estremità. Cfr. MENGARELLI R., La necropoli barbarica …, col. 330, fig. 239 n. 1 (dalla tomba 192di Castel Trosino). VON HESSEN O., Die Langobardische Funde aus dem Graberfeld von Testona…, tav. 34n. 257. HANULIAK M., Graberfelder der Slawischen population Im 10. Jahrhundert Im Gebiet derWestslowakei …, tav. IV n. 18.

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Il Medioevo 167

due polisome (fig. 4).Due bracciali in bronzo, semplici cerchi decorati con gruppi di tratti incisi19

erano in prossimità della copertura di una tomba maschile (tomba E 16): fig. 4.Sono ornamenti tipicamente femminili le fibule ad anello aperto con capi ripie-gati a volute. L'anello, a sezione piatta, è decorato con serie di minuti cerchiellie con cerchi concentrici incisi20 (fig. 4). Le fibule con capi a volute, diffuse ecomuni in contesti di VI-VII secolo nell'Italia centro meridionale21, sono atte-state nel Molise a Campochiaro, Vicenne e in una tomba da Vastogirardi22.Caratteristiche dei contesti archeologici romani e bizantini, furono prestointrodotte nel costume dei Longobardi.

Presso la fibula della tomba E 39 era un vago ad anello in bronzo; nella stes-sa sepoltura si rinvenivano altri vaghi: due sferici ed uno cilindrico in pastavitrea, uno circolare in malachite e uno conico in osso (inv. 47996, fig. 4). Pressoil cranio era un orecchino (inv. 48011, diam. 2,5 sp. 0,2) di verga di bronzo, adanello aperto, piatto, decorato esternamente da serie di doppi cerchi concentriciincisi, lacunoso di un'estremità (fig. 4)23.

Da una sepoltura maschile provengono quattro vaghi in osso.Pur se non associabili a singole sepolture, si rinvenivano negli scavi dell'area

anche un piccolo pettine in osso con doppia fila di denti sui lati brevi e uno spe-cillo (o nettaorecchie) in bronzo, con un'estremità ripiegata e deorazione adanelli e fascia di sfaccettature triangolari (fig. 4), oggetti consueti, come quelliprecedentemente elencati, in sepolcreti di questa fase. Lo specillo è documenta-to, in argento con analoga decorazione, a Castel Trosino ed è anche nella tomba33 di Vicenne24, di VII secolo.

La tipologia delle sepolture con pareti murate o rivestite da lastre, di tradizione

19. Cfr. SALVATORE M. R., Materiali tardo-romani ed altomedievali della Basilicata …, p. 96 fig. 5 (daPicciano). Samnium 1991 …, p. 354, f 73-74, p. 364 tav. 9f.

20. Dalla tomba E 39 (fig.4): 1) Fibula in bronzo (inv. 48012, diam. 3, sp. 0,2). Anello piatto, aper-to con i capi ripiegati a volute, decorato con serie di cerchielli incisi; ardiglione sottile ed appuntitoche si connette con estremità ripiegata ad anello. Samnium 1991 …, p. 354, f 71, p. 364 tav. 9f.

21. BRACCO E., Bosco Salice (Pisticci) …, p. 129 fig. 1. CARLETTI C. - SALVATORE M. R., Ruvo di Puglia(contr. Pantanella) …, pp.8-9, fig. 3 a-c (tomba 2), pp. 10-11, fig. 6b (dalla tomba 4 datata al VI-VIIsecolo). SALVATORE M. R., Un sepolcreto altomedievale in agro di Rutigliano …, pp. 133-134, fig. 4 b, c(tomba 7) e pp. 139-140, fig. 7 c (Rutigliano, tomba 7). SALVATORE M.R., Materiali tardo-romani ed alto-medievali della Basilicata ..., pp. 95-96, fig. 2. La necropoli altomedievale di Castel Trosino…, p. 145 n. 90:VI-VII sec.

22. Per la necropoli di Vicenne cfr. Samnium 1991 …, p. 347, f 5, p. 356 tav. 1f (dalla tomba 33); p.353, f 63-65, p. 363 tav. 8f (dalla tomba 76), con cronologia al VII sec.. CAPINI S., Vastogirardi. Sepolturealtomedioevali …, p. 126, fig. 19 (da tomba 4 datata VI-VII sec.).

23. Simili oggetti sono attestati, tra l'altro, a Castel Trosino in argento: cfr. MENGARELLI R., Lanecropoli barbarica …, col. 234, fig. 87 n. 1 (dalla tomba 35). Vedi anche VON HESSEN O., DieLangobardische Funde aus dem Graberfeld von Testona …, tav. 2 nn. 18-20.

24. MENGARELLI R., La necropoli barbarica …, col. 199, fig. 36 (dalla tomba G n. 2); col. 225, fig.73 n. 1 (dalla tomba 11). Scavi di Luni II …, tav. 310 n. 1. k474; Samnium. 1991 …, p. 347, f 4, p. 356tav. 1f.

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168 I Beni Culturali nel Molise

tardo romana, è ben documentata in sepolcreti di VI-VII secolo nelle Marche25, nelLazio26, in Puglia27, Basilicata28 e in altre località dell'Italia centro meridionale29.

Dall'esame del materiale si ricava l'impressione di un livello tecnico piutto-sto modesto e di una continuità con la tradizione precedente, una produzionetipica delle popolazioni italiche. Come per altri piccoli sepolcreti già scavati inquesta regione – Sepino30, Larino31, Vastogirardi32 – o del vicino Abruzzo (val diVomano)33 la cultura materiale è caratterizzata da elementi non peculiari di unambito etnico longobardo o "barbarico" ma riferibili ad un generico patrimonioculturale alto medioevale34.

Difficoltà nel ricostruire l'arco cronologico in cui è stato in uso il comples-so sepolcrale e la composizione sociale del gruppo inumato si incontrano siaper il fatto che l'area è stata esplorata solo parzialmente, sia per la presenzadi molte tombe prive di oggetti, che hanno restituito la sola deposizione. Nonvi sono comunque sepolcri che si segnalino per la tipologia costruttiva o laricchezza di corredo, rimandando a forme di asimmetria sociale. Dalla sostan-ziale povertà e dalla composizione dei corredi sembra di poter ricavare il datodi una popolazione residente, dedita all'agricoltura, con alto grado di auto-sufficienza.

Nell'articolato processo di trsformazione tra tardo antico ed alto medioe-vo importanza centrale assume la progressiva diffusione del cristianesimo.Nel complesso cimiteriale di Casalpiano non si sono rinvenute croci o ogget-ti con riferimenti precisi alla cristianizzazione. Tuttavia gli scavi hanno evi-denziato la presenza di una primitiva aula absidata, di cui resta, allo stato dirudere, la sola abside; materiali di spolio sono stati reimpiegati in alcunesepolture. È fenomeno diffuso nel V-VIII secolo l'inserimento di piccoli edifi-ci di culto, che sorgono spesso contestualmente con l'area sepolcrale. Lesepolture sono accentrate intorno alla chiesa e in particolare all'area absidale35.

25. MENGARELLI R., La necropoli barbarica …, coll. 145-380; PAROLI L., La necropoli di Castel Trosino: unriesame critico …, pp. 197-325.

26. PERKINS B.W., Sepolture e Pozzi d'acqua …, pp. 664-670; MENEGHINI R. - SANTANGELI VALENZIANIR., Sepolture intramuranee e paesaggio urbano a Roma tra V e VII secolo …, pp. 89-111; PAROLI L. , Ostianella tarda antichità e nell'alto medioevo …, pp. 153-175.

27. GERVASIO M., Scavi di Canne …, pp. 428-491. CARLETTI C. - SALVATORE M. R., Ruvo di Puglia (contr.Pantanella)…, pp. 9-19. SALVATORE M. R., Un sepolcreto altomedievale in agro di Rutigliano…, pp. 127-160.

28. BRACCO E., Bosco Salice (Pisticci) …, pp. 128-130. ID., Calle (Tricarico) …, pp. 132-136. ROTILI M.,Matera …, pp. 136-137. BRACCO E., Matera …, pp. 140-167; ID, "Venusio (Matera)"…, pp. 168-179; ID,Timmari (Matera) …, pp. 179-181.

29. MAETZKE G., Grosseto …, pp. 66-88.30. MATTEINI CHIARI M., Sepolcreto dell'area forense di Sepino …, pp.89-94.31. DE TATA P. , Sepolture dall'anfiteatro di Larinum …, pp. 94-96.32. CAPINI S. , Vastogirardi. Sepolture altomedioevali …, pp. 120-127.33. STAFFA A.R. - MOSCETTA M.P., Contributo per una carta archeologica… STAFFA A.R., Contributo per

una ricostruzione …, pp. 189-267.34. VON HESSEN O., Sull'espressione 'Barbarico'…, pp. 485-486; BERNACHIA R., Occupazione del vicino

territorio abruzzese …, pp. 93-123.

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Il Medioevo 169

Forme di continuità di precedenti insediamenti nel popolamento rurale, sia puredevastato per incursioni e vicende belliche, la diffusa presenza monastica stabilitasispesso su siti di tradizione antica, sono fenomeni noti e analizzati in territori vicini36.

Le unità stratigrafiche, in quanto interessate dalle vicende costruttive degli edi-fici, sono risultate poco affidabili, con presenza contestuale di materiale di variefasi. La mancanza di riferimenti stratigrafici priva il materiale ceramico di dati utiliper la sua piena comprensione. Si è tuttavia osservato che la ceramica invetriata, laprotomaiolica e la maiolica rinascimentale si trovano nelle prime unità stratigrafi-che esplorate in prossimità dell'edificio ecclesiastico, ma non nei saggi effettuati insettori non compromessi nè dall'impianto di sepolture nè da attività costruttive(quadrati F4, L2), dove nelle US 1 e 2 è presente con la sigillata la ceramica dipinta,con colore uniforme o a bande rosso-brune, con varietà di forme.

Vi è una continuità insediativa nella villa, anche in età tardoantica, attestatadal ritrovamento di forme di sigillata africana37 – Hayes 61, 86, 99-103 – (fig. 3),attribuibili al V-VI secolo e di produzioni di ceramiche da fuoco tarde.

Il Molise rientrava fino al tardoantico in un vasto panorama di scambi nelMediterraneo: i tipi vascolari in uso indicano l'importazione di vino e di olio, diceramica pregiata dall'Africa, che arrivavano anche in zone interne. Tali prodottidi importazione di lusso compaiono in centri abitati come Saepinum38 e in villaecome S. Maria di Canneto, S. Fabiano, S. Martino in Pensilis, S. Giacomo degliSchiavoni, S. Maria della Strada39. Si tratta di insediamenti sostanzialmente auto-sufficienti, in cui all'agricoltura si affiancano attività artigianali, come la produzio-ne della ceramica, di lucerne, la tessitura. Per le fasi successive, di transizione all'al-to medioevo, di abbandono della villa, la presenza di anfore40 è indizio di una con-trazione del commercio, ma non di un completo venir meno delle importazioni.

35. Dialogi, IV, 52: nel dialogo tra il diacono Pietro e Gregorio Magno si discute se la sepoltura in chie-sa o "ad sanctos" giovi alla salvezza dell'anima, in MENEGHINI R. - SANTANGELI VALENZIANI R., Sepoltureintramuranee e paesaggio urbano a Roma tra V e VII secolo …

36. Per le Marche: La necropoli altomedievale di Castel Trosino ...; per l'Abruzzo: STAFFA A.R., Abruzzo fratarda antichità ed alto medioevo …, pp. 838 sgg.; cfr. anche IANNELLI D’ANDRIA M.A., Appunti sulla ceramicamedievale campana …, pp. 713-718.

37. Scavi badia, Q. A2 US1: inv. 46811 orlo di coppa in terra sigillata africana, forma HAYES 8A (80-160 d.C.);Scavi badia, Q. A2 US3: inv. 46865 orlo di scodella in terra sigillata africana D, forma HAYES 61A, cfr. Atlantedelle forme ceramiche…, pp. 83-84, tav. XXXV, 2 (325-450); Scavi badia, Q. A4 US2: inv. 46938 e Q. B5 US2: inv.47064 orli di scodella in terra sigillata africana D, forma HAYES 61B (400-450); Scavi badia, Q. A2 US1: inv.46803 orlo di scodella in terra sigillata africana D2, forma HAYES 99-103 (VI-inizi VII secolo); Q. L2 US2: inv.47578 orlo di scodella in terra sigillata africana D, forma HAYES 86 (tardo V-inizi VI secolo).

38. BERGAMINI M., La sigillata africana …, pp. 89-109; CAPPELLETTI M., Il teatro di Sepino …, pp. 87-89.39. DE BENEDITTIS G., Crisi e rinascita …, pp. 325-328, con citazioni bibliografiche.40. Analoghi materiali provengono da scavi nel centro storico di Pescara, riferibili ai periodi II (sec. V-

VI) e III (sec: VII-VIII): - Scavi badia, Q. A1 US4: inv. 46766 , vedi STAFFA A.R., Scavi nel centro storico diPescara 1 ..., p. 322, fig. 63 n.90, p. 329: saggio nel Bagno Borbonico II US234 (sec. VI-VII); cfr. anche TheSchola Praeconum I …, pp. 53-101, fig. 12: grosso contenitore che caratterizza i contesti di VI-VII secolo invari siti mediterranei; - Q. L2 US1: inv. 47524, vedi A. R. STAFFA, Scavi nel centro storico di Pescara, 1 …, p.322, fig. 63 n. 87, p. 329: contenitori cilindrici di tarda età imperiale (saggio a piazza Unione III US160-163, sec. VII-VIII); cfr. anche Ostia IV: Le terme del Nuotatore, Scavo dell'ambiente XVI e dell'area XXV ..., fig.168: anfora africana, della Tunisia, Bizacena.

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170 I Beni Culturali nel Molise

Per la ceramica comune, nelle sue tipologie da fuoco e da mensa, si segnalasia una continuità di forme dall'età romana, che imitazioni locali di tipologieriferibili a produzioni africane (fig. 6). La maggior parte dei recipienti, di buonlivello produttivo, è costituita da forme chiuse: olle, brocche, forme biansate; gli orlisono svasati o estroflessi, con varie articolazioni, i corpi espansi, i fondi piani. Leforme aperte sono tegami, catini con larghi diametri, orli a fascia, a tesa, a listello,testi con orli indistinti o ingrossati. I confronti rimandano a contesti tardoantichi ealtomedievali dell'Italia centrale41.

La ceramica dipinta, con copertura di colore bruno rossastro sull'interasuperficie del vaso, attestata a Casalpiano da due orli, è una produzione diprima età altomedievale, già studiata da Iannelli d'Andria in Campania42.Imitazione della sigillata, che sostituisce progressivamente, è diffusa in tutti i sititardo romani dell'Italia meridionale.

La ceramica dipinta a bande, in varie tonalità di rosso o bruno, comprendeforme chiuse – boccali, brocche monoansate, anforette con orli verticali, svasati oestroflessi con varie articolazioni, su cui è impostata l'ansa – e, più rare, ancheforme aperte – bacili con orli a tesa modanati (figg. 7-8). La frammentarietà deireperti impedisce di ricostruire interamente le forme43 e la sintassi decorativa. Imotivi trovano confronti con la ceramica dipinta a fasce larghe, con tratti ad ampie

41. Scavi badia, Q. A2 US2: inv. 46820 orlo di olla in ceramica da cucina africana, cfr. STAFFA A. R., Scavinel centro storico di Pescara, 1 …, p. 347 n. 213, fig. 79: saggio nel Bagno Borbonico I US94 (sec. VII-VIII);BIERBRAUER V., La ceramica grezza …, p. 70, tav. IV n. 2, forma III h; The Schola Praeconum I …, p. 74 n. 102,fig. 8 (V secolo). - Scavi badia Q. B6 US2: inv. 47158 orlo di pentola in ceramica comune da fuoco, cfr.STAFFA A. R., Scavi nel centro storico di Pescara, 1 …, p. 344 n. 200, fig. 78: saggio nel Bagno Borbonico IUS43 (VII-VIII secolo); MERCANDO L., Marche. Rinvenimenti di insediamenti rurali …, p. 108 fig. 19 o: daCone di Arcevia con materiale databile al VI secolo; Archeologia Urbana a Roma: il progetto della CryptaBalbi, 3 ... p. 63, tav. II n. 4, forma III a3. - Scavi badia Q. A3 US3: inv. 46915 orlo di olla in ceramica comu-ne da fuoco, cfr. STAFFA A.R., Scavi nel centro storico di Pescara, 1 …, p. 323 n. 42, fig. 59: saggio area dipiazza Unione III US160-163 (V-VI secolo); CUCINI C., L'insediamento altomedievale del Podere Aione…, p.507 tav. II n. 40; Ostia I. Le Terme del Nuotatore ..., fig. 391, 389. - Q. E4 US1: inv. 47272 orlo di olla in cera-mica comune da fuoco, cfr. STAFFA A. R., Scavi nel centro storico di Pescara, 1 …, p. 324 n. 49, fig. 60: sag-gio area di piazza Unione III US160-163 (V-VI secolo); WHITEHOUSE D., The medieval pottery from S. Cornelia…, p. 133, fig. 4 n. 36. - Scavi badia Q. A3 US4: inv. 46930 orlo di casseruola in ceramica comune dafuoco, cfr. STAFFA A. R., Scavi nel centro storico di Pescara, 1 …, p. 319 n. 29b, fig. 58: saggio nel BagnoBorbonico II US176 (sec. V-VI); BIERBRAUER V. , La ceramica grezza …, p. 59 tav. I n. 7, forma If.

42. IANNELLI D’ANDRIA M. A., Appunti sulla ceramica medievale campana …, pp. 724-725.43. Ceramica dipinta a bande: - Scavi badia Q. A2 US2 (inv. 46817) orlo di brocca; - Q. A3 US1 (inv.

46889) orlo di bacino; - Q. A4 US1 (inv. 46935) orlo di bacino; - Q. A4 US2 (inv. 46940) orlo di forma chiu-sa; - Q. B5 US1 (inv. 47041 e 47044) orli di anforetta, (inv. 47042) orlo di brocca; - Q. B5 US2 (inv. 47070)orlo di brocca; - Q. E2 US2 (inv. 47211) orlo di brocca; - Q. E4 US1 (inv. 47277) orlo di brocca e (inv. 47279)orlo di brocca, cfr. IANNELLI D’ANDRIA M. A., Appunti sulla ceramica medievale campana …, fig. 3 n. 2a:decorata "a stralucido" da Agropoli, datata al V-VI sec.; - Q. F2 US1 (inv. 47398) orlo di brocca, (inv.47399) ansa; - Q. L2 US1 (inv. 47511) orlo e (inv. 47514-47515) orli di brocca, (inv. 47508) ansa a nastro; -Q. L2 US2 (inv. 47609) orlo di brocca, cfr. HODGES R. - BARKER G. - WADE K., Excavations at D85 (SantaMaria in Civita) …, p. 87, fig. 10, 10 (sec. V-IX); (inv. 47611) orlo di brocca, cfr. LLOYD J. - CANN S., LateRoman and Early Medieval Pottery from Molise…, p. 429, fig. 2 n. 4; (inv. 47612) orlo di brocca e (inv. 47613)orlo di brocca, cfr. HODGES R. - PATTERSON H., San Vincenzo al Volturno …, fig. 5 n. 25: da Colle Castellano(VII-X sec.); (inv. 47616) orlo di anforetta; (inv. 47620, 47624) anse a nastro.

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pennellate, spesso sgocciolature, diffusa nell'Italia centro meridionale ed in Sicilia.Di origine bizantina, è databile dal V al IX-X secolo, con attardamenti44. Il tipo didecorazione è documentato anche a S. Vincenzo al Volturno, prevalentemente informe aperte, mentre un accostamento morfologico si ha piuttosto con forme chiu-se (databili alla fine dell'VIII-IX secolo) di varia provenienza, anche da altri siti dellavalle del Volturno: la ceramica attestata a Colle Castellano (VII/VIII-X sec.), è pre-sumibilmente prodotta nella zona, verso il confine meridionale della "terra SanVicenti"45. I boccaletti restituiti dalle sepolture rimandano per gli schemi decorativi,oltre ai già citati confronti in ambito locale, anche a materiali della Campania(terme di via Carminiello a Napoli, S. Maria Capua Vetere), classificati da Iannellid'Andria46 nel VI-VII secolo e a ceramiche abruzzesi – i gruppi A,C,D di Crecchio,nell'entroterra di Ortona – di fine VI-VII secolo, pubblicate da Staffa47.

Gli autori citati traggono la conclusione dell'esistenza di centri di produzionearticolati, collocati nell'ambito di aree che continuavano a conservare contatti com-merciali e politici. La continuità della struttura artigianale romana su un livelloindustriale, sia pure ridotta, viene proposta per le aree a maggiore densità di popo-lamento, tale da consentire una economia di mercato. La citata produzione in areaabruzzese, come quella della valle del Biferno nel Basso Molise48 sembra collegarsi,nella prima fase delle ceramiche tardo antiche ed alto medioevali decorate a bande,a particolari circostanze storiche, con la presenza bizantina nella fascia costiera. Lacircolazione tarda di prodotti ceramici è peculiare dei territori che rimasero sotto ilcontrollo bizantino, originando anche imitazioni in aree più interne.

Le vicende del sito di Casalpiano, che mostra comunque una continuitàinsediativa fino al medioevo, rientrano in fenomeni più generalizzati. Dallericognizioni di superficie effettuate nella media e bassa valle del Bifernodall'Università di Sheffield si è riscontrata una concentrazione di ritrovamen-ti presso Sicalenum (Casacalenda) e Larinum, il maggior centro urbano e mer-cato, con contatti con il Sannio, l'Apulia, l'Abruzzo. L'associazione tra sigilla-te tarde di importazione e la ceramica dipinta, che è presente anche nelloscavo della villa di Matrice, è segnalata in molti siti. In insediamenti ancoravitali agli inizi del V secolo si ha l'evidenza di commerci a lunga distanza, chedivengono molto limitati dal tardo V e VI secolo. Si verifica un declino degliinsediamenti rurali, un generale abbandono dei siti tardo romani.

44. PATITUCCI UGGERI S., La ceramica medievale pugliese…: nel castello di Lucera la ceramica decora-ta a fasce larghe precede stratigraficamente quella dipinta a linee sottili; SALVATORE M.R., La cerami-ca altomedievale nell'Italia meridionale …, pp. 47-66.; ARTHUR P. - WHITEHOUSE D., La ceramica dell'Italiameridionale …, pp. 39-46; PAROLI L., Reperti residui di età medievale …, pp. 204-205.

45. HODGES R. - PATTERSON H., San Vincenzo al Volturno …, pp. 13-26.46. IANNELLI D’ANDRIA M.A., Appunti sulla ceramica medievale campana …, pp. 725-729. Schemi

decorativi con triangoli contrapposti si riscontrano anche in ambito longobardo. Cfr. VON HESSENO., Die langobardische Keramik aus Italien…, p. 36, tav. 6 nn. 27 e 75.

47. STAFFA A. R., Scavi nel centro storico di Pescara, 1…, pp. 337-348.48. LLOYD J. - CANN S., Late Roman and Early Medieval Pottery from Molise …, pp. 425-436; BARKER

G., A Mediterranean Valley …, pp. 232 sgg.

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172 I Beni Culturali nel Molise

Nell'accentuato particolarismo di produzioni locali, a uso interno, caratteri-stico per queste fasi, si ipotizza, come Hodges49 per S. Maria in Civita, l'esisten-za di una economia anche parzialmente "commercializzata".

Il sepolcreto dell'area sacra dell'Episcopio di Isernia

Il foro della città di Aesernia sembra doversi identificare nell'attuale piazzadel Mercato (Andrea d'Isernia), dove era ubicata un'importante area sacra.Interventi di scavo eseguiti da A. Zevi50 consentivano di ricostruire interamentela pianta del tempio su cui è sorta la cattedrale. Il monumento, la cui tipologiasi accosta ad edifici sacri dell'area romano laziale, si data al III sec. a.C.: per l'im-ponenza e la posizione centrale, scenografica con l'accesso verso la parte meri-dionale ed esterna della città, doveva costituire il principale luogo di culto dellacolonia latina, il Capitolium.

L'esplorazione archeologica documentava la sovrapposizione di basilichecristiane, costruite sul podio templare con analogo e poi opposto orientamentofin dall'alto medioevo.

In tale fase, di transizione tra il tardo antico e l'alto medioevo, si può far ini-ziare l'uso sepolcrale dell'area. Le tombe sono addossate o sovrapposte agli edi-fici preesistenti; appare riutilizzato materiale di crollo o di spoliazione deimonumenti classici per sistemazioni a destinazione funeraria. Rispetto ai livellidi frequentazione di strade ed edifici templari nella prima età imperiale, le quotedi seppellimento dell'area cimiteriale fanno ipotizzare un riempimento coninterri di una certa consistenza, corrispondente a fasi di abbandono del sito.

Il sepolcreto si estendeva all'interno dell'attuale cattedrale, in parte oblitera-to dall'apertura di cripte e sepolture di fasi successive e nell'area adiacente, ilcortile dell'attuale Episcopio51. La relazione riguarda quest'ultimo settore, dovesono state esplorate 17 tombe.

In alcuni casi le sepolture presentavano una delimitazione di conglomeratodi pietrame e laterizi o erano segnalate da un massetto di malta superficiale. Siosserva l'uso (rituale?) dell'accensione di fuochi tra le sepolture: a N del coper-chio della tomba 15 (quadrato B7) si evidenziava una chiazza allungata di mate-riale combusto; un'analoga traccia era nell'angolo Sud del quadrato A6 (cm 45 x70); un'area di concotto bruciato (cm 66 x 52) era a Ovest della copertura dellatomba n. 14 nel quadrato AA6.

La copertura delle tombe è di lastroni squadrati (da uno a quattro), allineatidi piatto, in gran parte di spolio, talvolta rincalzati con scaglie di pietra e fram-menti laterizi o cementati con malta. La fossa è foderata da lastroni di taglio

49. HODGES R. - BARKER G. - WADE K., Excavations at D85 (Santa Maria in Civita) …, pp. 70-124.50. ZEVI A., Isernia. Lo scavo del tempio della colonia latina …, pp. 101-104.51. Si interveniva in un'area già in parte compromessa da sterri con mezzo meccanico. TERZANI C.,

Isernia …, p. 450; EAD., Isernia: Scavi nel cortile del palazzo vescovile …, pp. 95-97 e EAD., La colonia lati-na di Aesernia …, pp. 111-112 e 225-228.

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Il Medioevo 173

(alcuni con epigrafi, di reimpiego) cementati, o da muratura di laterizi a voltealternati a pietrame, o di uno o più ordini di blocchetti cementati con malta; èattestato anche un allineamento di scaglie rozzamente squadrate, con malta. Ilfondo in alcuni casi presenta un rivestimento di malta.

Hanno una struttura particolare: la tomba n. 10, coperta con un tegolone dipiatto; la tomba n. 15, con cassa murata e coperchio di tufo a profilo curvilineo,rincalzato da scaglie di pietra, fondo rivestito con tre tegoloni allineati; la tomban. 14, un sarcofago parallelepipedo, rozzamente squadrato, di tufo con coper-chio a profilo convesso e acroteri laterali. L'assenza di chiodi fa escludere l'usodi casse lignee.

L'orientamento prevalente è NW-SE (in un caso W-E), con il capo verso il tra-monto del sole, ma è attestato (in cinque casi) quello ortogonale, condizionato dallapresenza del podio del tempio italico, lungo cui si allineano alcune sepolture.

Tre tombe possono definirsi ossuari. Tra quelle con sepolture articolate il 50%sono plurime, con il riutilizzo della cassa: un inumato articolato e uno o due conle ossa ammucchiate ai margini o all'estremità della fossa; in un caso due depo-sizioni sono distese l'una sull'altra. Gli inumati sono supini, a volte con il craniopoggiato sulla regione temporale, con uno o entrambe le braccia ripiegate sulbusto o sul bacino.

Le tombe all'interno non presentano oggetti di corredo, nè di ornamento oabbigliamento conservatisi. In alcuni casi sulle lastre di copertura o in prossimità,all'esterno, si sono rinvenuti frammenti di lamina in bronzo (tomba 8) o monete dibronzo mal leggibili (tombe 6, 7, 10). La sola tomba n. 3, infantile, aveva all'ester-no, al limite del conglomerato che la contornava a NE un'olla con corpo sferico(diam. 34 cm) decorato a larghe bande rosse, frammentaria, deposta verticalmen-te. Con analoga provenienza, si è ricostruita in parte una forma ansata (inv. 54154),priva dell'orlo, in argilla depurata chiara; presenta una decorazione dipinta inrosso scuro a zone di fitte bande oblique parallele, contrapposte, e a reticolo sottol'ansa, che risparmia la parte inferiore del corpo. I motivi decorativi rientrano traquelli resi "a tratto minuto", classificati da Genito52 nel teatro di Venafro tra laceramica dipinta più antica, datata dal V al X secolo; presenta analogie con il grup-po A di Crecchio, inquadrato da Staffa53 al VI-VII secolo (fig. 9).

La scarsezza dei dati non consente di precisare l'attribuzione del sepolcretose non a un generico contesto alto medievale, con l'ausilio del materiale rinve-nuto negli scavi dell'area54.

La presenza di seppellimenti plurimi è frequente nelle aree sepolcrali di

52. GENITO B. , Ceramica dipinta dal teatro romano di Venafro …, p. 35 dis. 8.53. STAFFA A. R., Scavi nel centro storico di Pescara, 1…, p. 340 fig. 75 n. 173.54. Sotto la pavimentazione moderna del cortile era conservata un'unità stratigrafica, corri-

spondente alla fase di utilizzo sepolcrale dell'area. Ha restituito una percentuale predominante diceramica comune e da fuoco, con forme chiuse, anche ansate, a labbri estroflessi, talvolta ingros-sati o "a mandorla", bacili ansati con orli a tesa piatta o convessa, ciotole con orlo indistinto,coperchi; una ceramica più fine, in forme prevalentemente chiuse ansate, dipinte con bande,punti, sgocciolature a vernice rossa o bruna, o con decorazione incisa di ampie linee ondulate.

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popolazione romana, piuttosto che longobarda. Si segnala il rapporto tra letombe terragne e le sepolture contenute nei sarcofagi, indizio di una probabiledifferenziazione di censo.

Dal VI-VII secolo si diffondono le aree cimiteriali all'interno dell'abitato, conmaggiore frequenza all'interno delle chiese o nello spazio circostante. Di talefenomeno, riscontrabile anche a Isernia, sfugge la diffusione topografica, cosìcome poco si può dire sull'estensione di tali aree sepolcrali, esistenti in città,alternandosi a isolati e edifici abitati, riutilizzando materiali di vicini monu-menti ormai in disuso.

La continuità tra la città romana e quella medioevale è garantita dalla sostan-ziale sopravvivenza del tessuto urbanistico, con una probabile contrazione del-l'abitato55 e un ridimensionamento della cinta di mura che lo fortifica. Ne è indi-zio il possibile iniziale utilizzo come chiesa paleocristiana delle strutture dellostesso tempio56; nonchè l'orientamento di una chiesa con abside, ricostruita vero-similmente nella fase altomedievale, analogo a quello del tempio e oppostorispetto a quello dell'attuale cattedrale. Si viene organizzando un primo poloamministrativo religioso nel piccolo nucleo urbano nella parte alta della cittàromana, attorno al Foro e al tempio della colonia.

L'orgnizzazione territoriale ecclesiastica, con varie sedi vescovili nell'ambitodel Molise, è attestata dal V-VI secolo in atti di concili e lettere papali57. Se rima-ne da confermare la presenza al concilio di Papa Simmaco (501) di un vescovodi Isernia58; il primo vescovo storicamente attestato muore durante il sismadell'847-84859 .

Da segnalare anche il rinvenimento di un'epigrafe, riferibile alle prime fasidel cristianesimo a Isernia, che attende una verifica e una puntuale datazio-ne60.Complesso monumentale di S. Maria delle Monache

Al limite inferiore del centro storico di Isernia sono il convento benedettinodi S. Maria delle Monache e l'annessa chiesa di S. Maria Assunta, sorti in luogofortificato, a ridosso delle mura ellenistico-romane.

Gli scavi eseguiti nel corso del restauro monumentale hanno consentito di

55. TERZANI C., La città. Le mura …, pp. 32-64; sul ruolo determinante che gli edifici di culto cri-stiani e in particolare la Sede episcopale hanno avuto nel processo che porta dalla città antica allacittà medievale cfr. PANI ERMINI L. et al., L'edificio battesimale nel tessuto della città …, pp. 231-265.

56. Come ipotizzato da A. Zevi nella relazione tenuta in occasione della riapertura della cattedra-le al culto al termine dei lavori.

57. DE BENEDITTIS F., Geografia ecclesiastica …, pp. 20-24.58. Secondo la proposta di De Benedittis di leggere, variante riportata in alcuni codici, "Marcus

episcopus ecclesiae Sterninae" in luogo di "Samninae"; DE BENEDITTIS G., Crisi e rinascita …, pp. 325-328. I vescovi citati da Ughelli (IS, VI, col. 368) dalla seconda metà del V secolo non sono suffragatida altre fonti documentarie.

59. CMC, p. 82)60. Il territorio e la città ..., pp. 107-108 n. 17.

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riportare in luce anche un'ampia area cimiteriale, con deposizioni in piena terra,delimitate da circoli formati da conglomerati di pietrame e malta o in urne rive-stite da lastre di pietra o ricavate in un massetto di calce61.

Recentemente è stata esplorata archeologicamente anche la chiesa, dove sisono messe in luce, oltre a cripte post medioevali, altre 15 sepolture (fig. 10), ditipologia simile a quelle descritte per l'area dell'Episcopio. In particolare siosserva l'uso di laterizi, oltre alle lastre in pietra, sia per la copertura che per ilrivestimento del fondo di alcune fosse. La tomba n. 5, infantile, è un piccolo sar-cofago parallelepipedo in travertino, coperto con due frammenti laterizi di piat-to. Come già si è evidenziato anche nell'area sepolcrale dell'Episcopio, a ridossodella tomba n. 4, a SE, è una zona con grossi ciottoli e materiale combusto.

Orientate prevalentemente NW-SE, le tombe sono per il 50% infantili, conpresenza anche di ossuari.

Una sola sepoltura (n. 5) ha restituito orecchini a cerchio aperto, con decora-zione di gruppi di trattini incisi (inv. 54156, diam. 1,5-1,8) e una fibula in bronzo(inv. 54157, diam. 2,2), del tipo ad anello aperto con terminazioni a volute62.

Se è incerta una determinazione cronologica dell'uso cimiteriale, essendostata l'area ampiamente rimaneggiata da sistemazioni successive, è da riferirsialmeno ai primi secoli di vita del convento, attestato dall'VIII secolo per le dona-zioni di un grande proprietario di origine longobarda, come risulta dalla docu-mentazione monastica63.

*Si ringrazia G. De Benedittis, che ha eseguito, in collaborazione con la Soprintendenza, nella fase prelimina-re gli scavi archeologici e lo studio dei reperti di Casalpiano. La schedatura scientifica e la documentazione gra-fica del materiale archeologico è stata eseguita dal Consorzio BES di Roma. La planimetria dell'area di scavo èdi F. D'Alessandro. La documentazione dei corredi tombali è di G. Massimo, che ha curato la redazione grafi-ca di tutte le illustrazioni inserite. Le riprese fotografiche sono di C. Terzani (dagli Archivi dellaSoprintendenza Archeologica e per i B.A.A.A.S. del Molise).

61. Di tali interventi si sono date notizie preliminari: TERZANI C., Isernia. S. Maria delle Monache…,pp. 196-198. EAD., Isernia: Complesso monumentale di S. Maria delle Monache …, pp. 103-105.

62. Per gli orecchini con una estremità ingrossata cfr. La necropoli di S. Stefano "in Pertica": ..., pp.81-83, fig. 61 (dalla tomba 31 datata alla seconda metà del VI - prima metà del VII secolo). Vedi sopranote nn. 20-22 per la fibula.

63. CV, I, p. 322.

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Fig. 10. Isernia – Santa Maria delle Monache: particolare dello scavo nella navata centrale della chiesa.

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Fig. 1. Le tombe dell’area archeologica di Casalpiano.

Fig. 3. Casalpiano: forme della ceramica sigillata.

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Fig. 2. Boccale e tazzina monoansata rinvenuti negli scavi di Casalpiano.

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Fig. 4. Casalpiano: elementi del corredo delle tombe (fibbie, vaghi, orecchini, specillo, piccolo pettine e altro materiale).

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Fig. 6. La ceramica comune rinvenuta a Casalpiano.

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Fig. 7. Casalpiano: la ceramica dipinta a bande.

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Fig. 8. Casalpiano: la ceramica dipinta a bande.

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Fig. 9. Isernia - area dell’Episcopio: olla con decorazione a bande.

Fig. 5. Casalpiano: vasetto con versatoio decorato a bande.

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SAEPINUM TRA EVO ANTICO E MEDIOEVONUOVE PRELIMINARI ACQUISIZIONI

DAL CANTIERE DI SCAVO DI SAN PIETRODI CANTONI DI SEPINO

Maurizio Matteini ChiariUniversità degli Studi di Perugia

Se, molto condensando e molto banalizzando, subiamo la tentazione di defi-nire la tarda antichità e l’altomedioevo in una chiave intellettuale, culturale e fat-tuale di relazioni di raffronto e di contraddizione con la storia pregressa, conquello che appare, nella sintesi dei grandi avvenimenti e delle grandi situazionidell’ecumene, come un ordine delle cose e delle genti certo, costituito, discipli-nato e organico a se stesso, allora ogni minimo accenno di scansione, di cesura,di collassamento e di rovina può costituire di per sé un segnale, una primaavvertibile scheggia di evento vissuto che ha già comportato trasformazioni esovvertimenti e che ha già indotto ad una rinnovata visione della propria dimen-sione individuale e collettiva. Non importa, poi, entro quale orizzonte, se parti-cellare o generale. Non è una questione dimensionale e neppure formale. Maneanche è una questione temporale o territoriale. È una categoria. Diviene unasensibilità sociale diffusa quanto verosimilmente inconsapevole.

Nella realtà minuta e periferica (ma non troppo) di Saepinum questo incontrocon il “medioevo”, inteso come subrepente e subliminale occasione di alterazio-ne delle norme consuetudinarie di convivenza comunitaria e del dettato ammi-nistrativo imperante, sembra apparire precocissimamente. Di fatto non c’è sov-vertimento sociale, non c’è cambiamento delle regole formali sulle quali si fondal’assetto municipale. L’impianto urbanistico, sclerotizzato all’interno delle vec-chie mura augustee, è, a sua volta, solo invecchiato, continua ad invecchiare, macon grande ed evidente dignità. Le arterie principali e le strade di quartiere riba-discono il tessuto abitativo della fase d’impianto. Non mancano neppure gliinterventi1 di grande impegno edilizio che rigenerano, ridisegnandole, le pro-spettive e gli stessi fondali architettonici dell’area forense e dei suoi immediati

1. A riguardo GAGGIOTTI M., Saepinum. Modi ..., p. 259 e Tav. II. Ma anche, assai prima, MuseoDocumentario dell’Altilia, sezione di Porta Benevento, pannello “L’area forense”, redatto dallo scrivente.

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dintorni. L’azione, la pratica evergetistica concedono, difatti, molte (o, almeno,alcune) occasioni di aggiornamento formale, di dilatazione dei volumi del quar-tiere pubblico, perché questo possa sempre mantenere intatto il proprio ruolooriginario e la propria demandata funzione di massima rappresentanza e dimassima rappresentatività dell’intero corpo comunitario. Insomma per i primidue, forse tre, secoli dell’Impero l’immagine di Saepinum (certo, per la parte sca-vata) è quella di una città, così come verosimilmente è per tantissime altre (senon addirittura per tutte) sparse per le regioni italiane, che rispetta e che perpe-tua un saldo ordine sociale. Lo stesso rescritto imperiale (del 168 d.C.), non-ostante tutto, costituisce un monito a non disattendere, ad ottemperare all’auto-rità costituita, alla gerarchia.

Il secolo ancora successivo, il quarto, è segnato da eventi calamitosi (il piùdisastroso dei quali fu certo il terremoto del 346 che investì il Samnium e laCampania), ma la nozione archeologica che si ha della contestuale attività edili-zia cittadina sembra, invece, improntata al risarcimento e al restauro per farfronte alla vecchiezza, alla vetustà di strutture ormai obsolete e, nel migliore deicasi, fatiscenti. Si interviene2 per mancata manutenzione piuttosto che per trau-matica rovina. È dichiarato dal dettato di più iscrizioni che indicano nella eleva-ta gerarchia, soprattutto in Fabius Maximus, ma anche in Flavius Uranius, entram-bi rectores provinciali, la matrice, l’ispirazione dell’intervento e nei patroni loca-li i curatores, il braccio operativo.

Dunque è in questo collasso delle strutture pubbliche come tali, come volu-mi, come edifici, è nella loro decrepitezza il segno evidente di una mutazioneavvenuta. Lentamente avvenuta, nel fluire delle generazioni, per insensibili pas-saggi intermedi. L’evento catastrofico si scolpisce nella memoria della genera-zione presente, ma trapassa alle successive spentamente se non vi è e se nonrimane l’evidenza della rovina diffusa, e, comunque, costituisce un’accelerazio-ne di quelli che si sono riconosciuti come processi spontanei, biologici, fisiologi-ci di destrutturazione urbana. In queste circostanze il restauro, il rifacimentosono, sembrano sempre mirati. Si vuole restituire funzionalità alle strutture pub-bliche per quello che rappresentano per la comunità presente ed anche questaselezione è un indizio rilevante, costituisce di per sé uno spaccato di vita citta-dina: in primo luogo, e reiteratamente a Saepinum, si interviene sulla basilica e sultribunal, ma subito dopo, altrettanto reiteratamente, si citano interventi alle ther-mae e, quindi, forse, alla stessa cinta muraria che evidentemente stava ricomin-ciando a ritornare utile nel suo originario dispositivo funzionale e difensivo. Delresto è difficile pensare che solo questi fossero gli edifici che necessitassero diurgenti riparazioni. Di consolidamenti e di ristrutturazioni dovevano aver biso-gno certamente anche altre strutture, analogamente datate e costruite con analo-ghe tecniche edificatorie, pubbliche quanto forse private. Si tratta evidentemen-te di una scelta, non cogente, non obbligata, ma certo stilata sul consenso della

2. GAGGIOTTI M., Le iscrizioni della basilica ..., pp. 145-169.

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comunità, su ciò che la comunità riteneva più utile, o più dilettevole, più socia-lizzante, a sé e per sé in quel momento della propria storia.

Non pare, dunque, casuale, perché rientra a pieno diritto in questa logica ditrapasso e di distacco progressivo dalle istituzioni e perché segna di fatto la loroincapacità di esprimere e di far fronte alle istanze collettive, reali, della comuni-tà, il risultato, l’esito di un impegnativo e difficile intervento di scavo eseguitoad Altilia nel corso delle ultime estati dalla Soprintendenza Archeologica e per iBeni Architettonici Artistici ed Ambientali del Molise e segnatamente dalla col-lega e amica Valeria Ceglia all’interno del condotto principale della rete fogna-ria della città antica. Alla liberalità della Dottoressa Ceglia devo, dobbiamo(comprendo così anche alcuni colleghi, alcuni miei laureati ed alcuni miei lau-reandi) l’opportunità, propostaci, di studiare i moltissimi materiali rinvenutiall’interno del condotto stesso. Lo studio è agli inizi ed i risultati sono tutt’altroche definitivi, ma una cosa (allo scavo) è apparsa subito certa: la rete fognariadella città, progettata e realizzata nella sua neppure troppo ramificata configu-razione in fase d’impianto del primitivo assetto municipale, era totalmenteingombra fino al cervello del condotto di consistenti e induriti depositi di terrapressata, di concrezioni e di frantumi di materiali. Non una novità: era quelloche la scavatrice si aspettava; era, forse, anche la motivazione scientifica e fun-zionale dello scavo in sé. La novità, che credo nessuno si sarebbe aspettato, sta,invece, o meglio sembra stare (per quello che a tutt’oggi sappiamo, e non è mol-tissimo, da una preliminare e generale autopsia del rinvenuto e dallo studioappena iniziato di alcune delle “classi” di oggetti presenti) nei tempi. E nellemodalità. Non una moneta delle tantissime raccolte sembra superare, sembraoltrepassare il IV secolo3. Se si tiene conto della facilità con la quale si è da sem-pre soliti perdere monete, se si tiene conto di come queste facilissimamente siconvogliano, per loro dimensioni, forma e peso, nei tombini e nelle fogne, que-sto dato cronologico appare come decisamente singolare e riassume in sé ununico significato e cioè la totale mancanza di manutenzione della rete fognariaa partire dal secondo venticinquennio, o dalla metà, del IV secolo e, di conse-guenza, la sua pressoché totale inefficienza a partire dagli stessi anni. Il datosembra, ora, confermato dallo studio della stessa terra sigillata africana che parerisultare presente all’interno del condotto solo nelle forme di più alta datazione(pressoché esclusivamente africana A e C), riducendosi, sembra, a pochi esem-plari (55 su 869) la terra sigillata africana D4, pure ben attestata e documentataa Saepinum dalla generalità degli scavi di superficie occorsi all’interno dell’areaurbana5.

Quali fossero le nefaste conseguenze di tutto ciò non sappiamo. Certo la vita-lità del centro dovette non poco soffrirne, ma non si riconobbe (evidentemente)

3. Forse, su 145 pezzi conteggiati, con una sola eccezione. Una preliminare, sia pure sommaria espeditiva, ricognizione del materiale si deve ad Angelo Finetti e a Fiorenzo Catalli.

4. Ora GIAMPAOLI G., Lo scavo del condotto ..., p. 478.5. CIPICIANI M.L., La sigillata italica ...

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nello spurgo del condotto principale dell’intera rete fognaria un intervento prio-ritario e comunitariamente qualificante. Non se ne fece mai niente6.

Può finalmente spiegarsi così o, almeno, sembra raccordarsi a questo stato dicose, un tardo intervento di ripulitura di un ramo laterale di sinistra del con-dotto principale proposto dallo scavo del lato corto sud orientale del foro nel19767. L’intervento comportò, in antico, con evidenza, la rimozione delle lastre incopertura, lo svuotamento del cavo fognario, la successiva ricomposizione(peraltro realizzata con qualche manifesta e maldestra fretta) degli stessi ele-menti lapidei di protezione, riconoscibili talora anche come materiali di spoglio.

Solo un cenno alle probabili modalità che determinarono l’occlusione dellafognatura: la motivazione va forse ricercata nel crollo generalizzato di una seriedi lastroni di copertura riscontrato dallo scavo nel tratto terminale extraurbanodel condotto a poche decine di metri dalla confluenza con il Fosso della Fota, cuisi era demandato in origine il compito di disperdere nel Tammaro i liquami e leacque di rifiuto della città.

Perché tutto ciò? Perché cogliere il trapasso da uno status antico di cittadi-nanza, uno status rapportato, cioè, a comuni e omologati valori comunitari, iden-tificativi di un etnico e di un autonomo potere locale (ovviamente nel quadropiù generale di una consolidata struttura statale sovracittadina e sovraregiona-le) ad uno status personale e collettivo affrancato, nuovo e distintivo, nella mani-festa ingerenza e disorganicità di occupazione delle aree pubbliche (foro, teatro,forse tra VII e più verosimilmente VIII secolo) ormai destinate a sepolcreto, nellasua eclatante evidenza, è troppo facile. Ma soprattutto è constatazione tardiva.

6. L’intervento di spurgo doveva oggettivamente risultare assai complesso, difficile e dispendio-so. L’assenza, constatata dallo scavo, di pozzi d’ispezione non consentiva probabilmente neppure diavere una qualche esatta cognizione preliminare della situazione del condotto, della natura delleostruzioni e della stessa collocazione e dimensione dei tratti occlusi. A maggior ragione nell’impos-sibilità di risalire la fogna. Unica soluzione operativa possibile doveva essere l’apertura cadenzata ditrincee sulla verticale del condotto (con evidenti gravi disagi alla percorrenza carrabile e pedonale)tesa, attraverso la preliminare temporanea rimozione degli elementi di copertura, a rendere possi-bile la ricognizione del cavo e l’asportazione dei depositi.

Non è del tutto impossibile, per quanto non appaia facile il sostenerlo, che questo stato di cosepossa essere conseguente all’evento sismico del 346 d.C., vista anche la situazione di crollo e di ribal-tamento di alcuni degli elementi di copertura del tratto extramuraneo della fogna, come documen-tato dallo scavo. Questi ultimi, difatti, erano disposti in piano e solo semplicemente in appoggiosulla cresta delle pareti, configurando un elementare sistema trilitico continuo.

In questa sede, per la stessa preliminarietà dell’autopsia, non si è potuto tenere conto della esat-ta provenienza dei materiali, peraltro non sempre rapportabile a puntuali e segnalate sezioni dispurgo del condotto. Si tenga, anche, da subito in conto l’eventualità di possibili successive intru-sioni di reperti in ragione sia dei recenti interventi di parziale svuotamento di alcuni tratti e rami delcondotto principale (che hanno talora restituito anche una temporanea, quanto precaria e limitata,funzionalità alla stessa fogna. Cfr. GAGGIOTTI M., La fontana ..., p. 15) sia (e sembra, questo, forse moti-vo di un qualche maggiore peso) della pregressa e antica rovina di lastroni di copertura (con evi-denza, come testé detto, riscontrati in fase di scavo) che possono, soprattutto nel tratto extraurbanodel condotto non altrimenti foderato, aver convogliato all’interno del cavo fognario materiale adesso originariamente estraneo.

7. MATTEINI CHIARI M., Il foro ..., p. 123 e fig. 87.

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È tardiva connotazione di un fenomeno di dissoluzione che è presente più che ingerme nello stesso corpo sociale sepinate da molto tempo e da molte generazioni.Del resto le tombe si scavano nello spesso deposito di terra che si è generato, stra-to dopo strato, stagione dopo stagione, sugli spezzoni monchi della cosiddettatorre Nord in rovina, a ridosso immediato del disegno anulare dell’ambulacro delteatro8 ovvero si scavano nello spessore dei crolli e delle stesse pavimentazionidegli edifici che prospettano l’area forense9. A dimostrazione che la città non è piùtale da molto tempo. Per la rovina delle sedi pubbliche e per la disaffezione ormaidichiarata, conclamata ad ogni sorta di eredità derivata dal peraltro sempre piùassottigliato patrimonio genetico e culturale della originaria comunità deiSaepinates. L’area racchiusa entro ciò che resta delle mura è già tornata, a suo modo,ad essere non città, è tornata ad essere territorio aperto, senza più vincoli costritti-vi, che siano volumi perimetrali o che siano norme sociali unanimemente ricono-sciute e praticate, per quanto formali. Del resto l’esiguità numerica delle sepolture(per lo più, sintomaticamente, bambini o adolescenti)10 e la differente e articolatadistribuzione areale dei sepolcreti suggeriscono una forse contestuale rarefattaoccupazione di superfici, per quanto ravvicinate, distintive, scorporate da un asset-to organizzativo unitario e accorpato. Se continuità con il passato vi è, questa è rap-portabile solo alla ribadita occupazione di un’area: è dato esclusivamente topogra-fico11. Il lento processo di affermazione urbana a partire dalla media e tarda etàrepubblicana, in questi ultimi anni documentato dallo scavo portato in profonditàin Altilia12, consolidatosi poi nella prestigiosa definizione e forma urbanistica muni-cipale di prima età imperiale, è ora definitivamente spezzato e concluso. L’etnico,Saepinas, a lungo costretto nella dimensione poleonimica municipale, è ora liberodi recuperare l’originaria estensione e dimensione territoriale13. A maggior ragio-ne perché la comunità a sua volta tende a recuperare spazi e superfici in quota,ricerca sedi più sicure, si fraziona o si concentra in comparti che l’assetto terri-toriale del municipio, tutto (per quanto se ne sa) baricentrato sulle ramificazio-ni vallive e sugli assi viari longitudinale e trasversali di raccordo interregionale,aveva di fatto considerato marginali, impervie e improduttive, rivolgendosi,ora, difatti, soprattutto al versante settentrionale ed orientale del Matese nel trat-to che prospetta la valle del Tammaro. Ma anche questo processo di diaspora,

8. CIANFARANI V., Sepino. Teatro ..., pp. 97-106. Ma, anche, CAPPELLETTI M., Il teatro ..., pp. 161-162 e fig.118.

9. MATTEINI CHIARI M., Sepolcreto altomedievale ... , pp. 89-94.10. Ibidem, p. 92.11. Non si condivide, pertanto, l’opinione, che sembra portare a conclusioni assai divergenti,

espressa in DE BENEDITTIS G., Di alcuni materiali altomedievali provenienti dal Molise ..., p. 107: “ Ciò chetuttavia ci preme evidenziare, non è tanto la datazione di questa necropoli [del teatro], quanto lacontinuità dell’abitato della Saepinum romana anche in epoca altomedioevale”.

12. AMBROSETTI G., Testimonianze preaugustee ..., pp. 14-20; MATTEINI CHIARI M., Il territorio ..., ID., Lacittà ...; ID., Il periodo preromano ...; ID., Il foro. Il lato Nord orientale ...; GAGGIOTTI M., La fase ellenistica...,pp. 35-45; MATTEINI CHIARI M., Saepinum ..., p. 217; ora anche MATTEINI CHIARI M., Il santuario italico..., pp. 280-291.

13. Ora MATTEINI CHIARI M., Il santuario italico ..., p. 281.

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pur così archeologicamente e topograficamente evidente e rilevante soprattuttonella sua fase più avanzata, si realizza secondo cadenze generazionali serrate,ma non immediate, non drammaticamente emergenziali né comporta la deserti-ficazione, l’abbandono generalizzato dell’area della città vecchia e, più in gene-rale, dello stesso fondovalle. Il recupero, condizionato, di un habitat preferenzia-le di versante da parte di schegge di comunità non autorizza a pensare ad unosvuotamento del resto del territorio. E si pensi anche, semmai, ad una densità dipopolazione assolutamente contratta, numericamente contenuta in valori asso-luti ed anche in valori relativi rispetto al floruit municipale.

L’evidenza archeologica del materiale mobile di scavo restituito dall’areaurbana aiuta poi a (ri)delineare e in qualche modo a scandire questo processo.Sì, perché, come detto, la capacità di ricezione della comunità sepinate si man-tiene inalterata, intatta a lungo e soprattutto la ben documentata opportunitàeconomica dell’acquisto, e dello scambio commerciale, continua ad attestare unacomposizione sociale a suo modo ancora salda e riconoscibile in età assai avan-zata proprio perché verosimilmente ne fanno parte, e ne sono ancora la compo-nente fondamentale, ceti sociali elevati ancora capaci di una qualche imprendi-torialità e dotati di una qualche residua disponibilità economica14. Della sigillataafricana C e D si è già accennato. Il piccolo museo di Altilia, che voglio qui ricor-dare perché da tempo ordinato, ma ancora interdetto al pubblico [dal 2002 nonè più così!], mostra, tra i tanti possibili, alcuni esemplari qualificanti di scodellein C3 (la forma Hayes 53A) e in D1 e D2 (rispettivamente le forme 59/61 e 67)databili tra la seconda metà del IV secolo e i decenni iniziali del V15. Ancora piùavanzata è la cronologia delle tante lucerne tardo imperiali (conteggiate, al 1998,in numero di 133 corrispondenti significativamente al 25,7 % del totale dei rin-venimenti di lucerne)16. Soffermandoci sulle sole lucerne africane, tra le tardoimperiali quelle che presentano la cronologia più bassa, queste sono in tutto 27esemplari per una percentuale di presenza comunque rilevante uguale al 5,2%del totale dei rinvenimenti. Esclusi 2 frammenti d’incerta attribuzione, 18 sonole lucerne databili tra la fine del IV ed il VI secolo; 7, dunque significativamen-te meno, sono le lucerne invece databili tra gli inizi del V ed il VII secolo; 3, infi-ne, appaiono prodotti d’imitazione.

Del resto negli anni 501 e 502 sottoscrive la partecipazione al concilio convo-cato da papa Simmaco un vescovo di Saepinum, Proculeiano. E sembra argo-mento, alla pari dell’oggettiva evidenza della documentazione archeologica pro-posta, importante per definire un ambito cittadino, ancorché urbanisticamente

14. Difatti netta e rilevante è la concentrazione di manufatti d’importazione riscontrati all’internodell’area delineata dall’antica cerchia muraria: CIPICIANI M.L., La sigillata italica .... Questo dato sem-bra valere ancor più nel raffronto con i risultati della ricognizione del territorio sepinate (il cui stu-dio, sistematico e destinato alla stampa, è in avanzato stato di preparazione), che solo raramente e intermini numerici assolutamente modesti ha restituito materiali analoghi.

15. CIPICIANI M.L., La sigillata italica ...16. Ora D’ALASCIO G., Le lucerne di Saepinum ..., p. 45.

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in graduale, progressivo, inarrestabile degrado, ancora in qualche modo vitalenelle forme esteriori del vivere in comunità.

Ma che la città ha forse da tempo perduto la sua invasiva funzione di capo-luogo municipale tuttofare, accentratore esclusivo di ogni istanza e manifesta-zione politico amministrativa, culturale e religiosa nell’ambito del territorio diesercizio della propria giurisdizione (che per Saepinum è comunque immagineun po’ giustapposta, convenzionale e stereotipata), sembra, ora, rappresentatoanche dagli esiti parziali (per quanto parziali) dello scavo del santuario italico diSan Pietro di Cantoni di Sepino, a mezza via e a mezza quota tra Altilia eTerravecchia (Fig. 1).

Come talora capita (è capitato anche nel corso dello scavo della necropoliromana esterna a Porta Benevento17, sugli esiti inaspettati del quale, dai rispetti-vi punti di vista, molto più efficacemente di me riferiranno a breve – ma non diquesto solo parleranno – gli amici Manuela Bernardi e Angelo Finetti)18, l’inda-gine iniziamente programmata per riportare alla luce una struttura templareindividuata all’interno del santuario antico di età ellenistica ha proposto ben evi-dente una più tarda rioccupazione del sito e dello stesso podio rigenerato e recu-perato alla sua originaria destinazione cultuale in una rinnovata formulazioneedilizia e architettonica ecclesiale (Fig. 2).

Il fenomeno rientra in una casistica nota ed ampiamente documentata. Inquesta sede, però, ci si limiterà a presentare una succinta descrizione delle strut-ture rinvenute evitando, un po’ miopemente forse, ma credo correttamente, ogniriferimento di relazione a situazioni diverse, esterne. Proprio per la parzialità deirisultati a tutt’oggi conseguiti. Nell’elaborare a suo tempo una strategia di con-duzione dello scavo di lungo termine, difatti, lo scoprimento generalizzato dellasuperficie del podio fu programmata, e rimane prevista, nell’ambito temporaledelle due prossime campagne estive 2000 e 2001.

Del resto piace affidare la sintesi del dato oggettivo di rinvenimento, cosìcome si è presentato allo scavatore almeno per ciò che concerne i suoi aspettirecenziori, a questa odierna circostanza19.

17. MATTEINI CHIARI M., Necropoli romana ..., pp. 134-135.18. Infra, pp. 199-209 e 210-214, rispettivamente.19. Già altri e, in primo luogo DE BENEDITTIS G., Saepinum: città e teritorio ..., pp. 7-30, hanno svol-

to del tutto esaurientemente, sotto il profilo storico, il tema della situazione locale sepinate, urba-na e territoriale, di trapasso tra Antichità e Medioevo, mettendo bene a frutto un’imponente docu-mentazione letteraria ed archivistica. Ancora DE BENEDITTIS G., Il periodo medievale ..., pp. 218-223.È tuttavia mancato, e manca tuttora a riguardo, il contributo scritto, dirimente e risolutivo, del-l’archeologia e dell’indagine topografica di superficie. Rare eccezioni rimangono COLONNA G.,Saepinum ..., pp. 80-107; SCERRATO 1981, pp. 109-122 e, in anni più recenti, DE BENEDITTIS G. Di alcu-ni materiali altomedievali provenienti dal Molise ...., pp. 104-107 e MATTEINI CHIARI M., Sepolcreto alto-medievale ..., pp. 89-94. Si veda, per contro, la (peraltro ben meritata e ben diversa) fortuna docu-mentaria sotto il profilo archeologico di un’area contigua alla sepinate, quella di Vicenne diCampochiaro: CEGLIA, supra, pp. 79-86, con letteratura.

L’occasione presente vuole, dunque, del tutto preliminarmente segnalare, e sottoporre all’at-tenzione degli studiosi, l’esistenza di un nuovo cantiere di scavo, quello appunto di San Pietro di

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Il podio misura non meno di m 3 di altezza per la parte attualmente a vista. Illato corto misura m 16,50; quello lungo m. 20,80 in una proporzione di 4:5 e con unaperfetta corrispondenza di 60 x 75 piedi oschi secondo un modulo progettuale di15 piedi. Nonostante la sua redazione non appaia costruttivamente unitaria per tra-sformazioni e manomissioni subite già forse in antico, la struttura, quale ci è per-venuta, è sostanzialmente rispettosa della sua originaria dimensione. L’impiantodel complesso ecclesiale appare, invece, sovradimensionato rispetto alla definizio-ne perimetrale dello stesso podio. L’abside, l’unica abside (Fig. 3) disegnata in assecon la navata centrale è, difatti, fondata all’esterno e risulta in appoggio su grandimacigni rocciosi scompostamente franati e accatastati a ridosso della parete difondo del podio stesso. L’alzato perimetrale si conserva solo in parte lungo la fron-te, che replica l’originario orientamento ad Est del tempio, si conserva lungo il latomeridionale per l’intera sua estensione, e, ancora parzialmente, lungo il lato occi-dentale di fondo. Il muro presenta caratteristiche diverse di costruzione: sulla fron-te ai conci in opera quadrata a vista dall’esterno (Figg. 4-5) si replica, all’interno, conun secondo più sottile paramento (che non esclude elementi di reimpiego) di bloc-chetti di pezzatura medio-grande appena sagomati commessi con malta abbon-dante. Malta è, altresì, gettata a colmare l’intercapedine. Più lineare e più organicala composizione continua, senza aperture, a cortina cieca, del muro meridionale(Fig. 6), più sottile e delineato da un doppio paramento realizzato per ordinatesovrapposizioni di filari tendenzialmente orizzontali di blocchetti, la cui sagoma-tura talora è anche la risultante di frazionamenti da blocchi di spoglio. La pareteinterna è neutralizzata da un rivestimento di una pellicola d’intonaco monocromogiallognolo (per quanto, forse, in origine bianco). Analogo rivestimento è docu-mentato anche all’esterno, ad esempio, ancora in aderenza alla parete, lungo untratto del lato posteriore.

In particolare l’andamento accentuatamente concavo di alcuni tratti del muromeridionale evidenzia la risposta plastica della struttura alla pressione del ter-reno progressivamente scivolato dall’alto e depositatosi a contatto con il para-mento esterno. Nel tratto mediano il muro ha diversamente risposto alle solleci-tazioni ed alla spinta del terreno di monte fratturandosi e rovinando in crolloall’interno della struttura (Fig. 7). Stesso vettore di caduta, da Sud a Nord, damonte a valle, presentano almeno due colonne calcaree lisce di spoglio visibil-

Cantoni di Sepino, per ora pressoché esclusivamente conosciuto, ma pur sempre parzialissimamen-te, per ciò che concerne le più antiche fasi di insediamento e di frequentazione: MATTEINI CHIARI M.,Sepino. Lo scavo del tempio ... pp. 23-29, tavv. IX-X; MITENS K.- MATTEINI CHIARI M., San Pietro di Cantoni...., pp. 310-312; MATTEINI CHIARI M., Saepinum ..., p. 217; D’ALASCIO G. Le lucerne degli scavi del san-tuario ..., pp. 205-283; MATTEINI CHIARI M.,Le lucerne degli scavi del santuario ...; ora anche MATTEINICHIARI M., Il santuario italico ..., pp. 280-291; MATTEINI CHIARI M. - CIPICIANI M.L.- FATTORE D. - TERENZIG., Un deposito ceramico, pp. 93-172; CATALLI F.- FINETTI A. - MATTEINI CHIARI M., Rinvenimenti moneta-li ... Per un tardivo risveglio di un’archeologia militante che quasi mai è riuscita nel passato con tem-pestività a trasformare in documento fruibile i segni e le risultanze conseguite con l’azione di scavo.Ogni approfondimento, dei molti possibili anche da subito, ed ogni ricerca di esterna relazione sonodunque solo rinviati alla più estesa leggibilità del cantiere.

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mente in reimpiego su plinti rettangolari incassati a livello dello stilobate (Figg.8-9) che costituiscono un importante elemento di conoscenza per definire l’in-terna articolazione planimetrica del complesso. La navata centrale sembra, dun-que, affiancata da due navate laterali di luce più ridotta, verosimilmente ribas-sate e scandite dal ricorso regolare (se il dato, come pare verosimile, si puòestendere) di altre colonne. Il presbiterio sembra ridisegnare le dimensioni nonanguste dell’unica cella del tempio italico ricavata sull’asse mediano longitudi-nale dell’edificio. Le rare scansioni murarie interne sembrano perimetrare unvano in corrispondenza della navatella meridionale, sul fianco del presbiterio.Sulla fronte si addossano due avancorpi spartiti simmetricamente, specular-mente sull’asse mediano longitudinale del podio (Figg. 10-11). Al centro, rispar-miata e definita da tozze murature per lo più composte da eterogenei elementidi spoglio, è ricavata la rampa di raccordo tra stilobate e piano di campagna. Idue avancorpi, con sicurezza quello meridionale meglio conservato, a loro voltasi schiudono in un’apertura (Figg. 12-13) che li mette in comunicazione con unampio atrio, una corte scoperta definita a terra da un acciottolato minuto e bencommesso (Fig. 14) perimetrato da grandi blocchi che presentano lavorazioneanaloga a quella dei blocchi antichi del podio (Figg. 15-16) e, dunque, forse dispoglio in reimpiego. La corte appare decentrata rispetto alla fronte, in un sin-golare equilibrio compositivo e planimetrico delineato a cavallo tra la portad’ingresso della chiesa, ricavata al centro dei due avancorpi, e l’accesso all’avan-corpo meridionale, sinistro. Un sottile cordolo murario (Fig. 17) solo in parterimesso allo scoperto lungo il margine meridionale della trincea di scavo puòforse costituire la linea di facciata (o di fondale?) di un portico, probabilmente inorigine replicato e prolungato anche sulla fronte e sull’opposto lato settentrio-nale, insomma a suo modo avvolgente e conchiuso. Del resto la rilevante quan-tità di tegole di copertura in rovina rinvenute al di sopra di US 55, in US 34, 36e 37, non associate a materiali d’alzato suggerisce più la presenza di una strut-tura porticata lungo questo settore che quella di un vero e proprio diaframmamurario, che peraltro sembrerebbe dichiaratamente privo di un qualsivogliadispositivo di fondazione. Lungo il versante di monte, verosimilmente protettoda interventi di drenaggio mediante la realizzazione di vespai di pietre in pro-fondità, si distribuiscono alcune tombe20 tutte analogamente orientate da OvestSud Ovest a Est Nord Est (Figg. 18-20), in un tratto di terreno fortemente accli-ve e incombente dall’alto sul volume residuo dell’edificio ecclesiale. La ripetiti-vità del disegno, dell’orientamento, delle soluzioni struttive adottate nella reda-zione delle tombe suggeriscono una loro sostanziale contemporaneità e predi-cano una contestualità organica con il complesso adiacente, delineando, al con-tempo, a risparmio, gli stessi percorsi d’avvicinamento e di servizio interni all’a-rea di culto. Sul retro, in uno scodellato tratto di terreno lasciato sgombro dal-

20. Gli scheletri sono stati oggetto di studio da parte di Mauro Rubini, che si coglie l’occasione diringraziare.

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l’irta scogliera di rocce affioranti, venne posizionato il calcinaio del cantiere.Quanto detto sembra configurare, peraltro con molte ovvie necessità di veri-

fica e di approfondimento, un complesso che appare nella evidente semplicità didisegno planimetrico, talora anche ripetitivo di soluzioni adottate già in anticonell’articolazione interna dello stilobate, sostanzialmente coerente e rapportabi-le forse ad un’unica fase progettuale e realizzativa d’impianto. Con rare giuntee rari interventi di riqualificazione e di trasformazione, almeno per ciò cheriguarda il corpo edificato della chiesa.

Ma come si data tutto ciò? Intanto occorre indubbiamente rivolgersi ai reper-ti di scavo. La vitalità dell’area di San Pietro di Cantoni in età imperiale (cosìcome nella tarda età repubblicana) sembra pressoché nulla. Il santuario delpagus italico sembra da tempo in abbandono e la frequentazione del luogo èrarefatta ed è segnata sul campo ad esempio dal rinvenimento di appena 10monete addirittura ripartite in tre secoli dal I al III d.C. (il dato risale al 1998)21.La stessa ceramica (sigillata italica, sigillata africana A) è scarsissimamentedocumentata. E, in tutti i casi, i reperti appaiono come residui, alla stregua dellatanta vernice nera, all’interno di US di dichiarata recenziore formazione.

Succede, invece, che la conta (fatta dal qui presente Angelo Finetti) dellemonete di IV, di V, di VI secolo cresca secondo formule esponenziali in terminirelativi e in termini assoluti. I reperti monetali di questo periodo assommano a110 esemplari (circa un terzo del totale del rinvenuto) ripartiti equamente tra IV(33 pezzi), V (37), VI (34) secolo22. È un segnale che non può essere sottaciuto esottovalutato. Significa che nell’area dell’antico santuario qualcosa è cambiato,che qualcosa sta cambiando. C’è, ci deve essere una qualche nuova ragione chedetermina la ripresa di un flusso, regolare, costante, forse massivo, di frequen-tazione. Il contrasto numerico con i secoli immediatamente precedenti è cosìrimarcato che non può invocarsi alcuna casualità. Di più si è annotata e docu-mentata una straordinaria coerenza tra reperti monetali e lucerne, soprattuttocon quelle di più tarda datazione, appunto le africane, già richiamate per lasituazione di Saepinum. Coerenza che si esprime attraverso l’analogo incremen-to numerico di queste ultime (in questo caso ancora più di un terzo del totale delrinvenuto, ma è dato, rispetto alle monete, ovviamente più scontato) in terminirelativi e in termini assoluti. Ma è soprattutto l’analoga giacitura, l’associazionein strato (US 34, 36, 37) che ridetermina il senso e la forza di questa coerenza.Che è anche e soprattutto cronologica. Le lucerne, semmai, sopravanzano dipoco, possono oltrepassare di poco gli inizi del VII secolo23.

Ma a riguardo ricorrono due altre particolarità che non possono analoga-mente accantonarsi: la prima è che ben 26 esemplari su 41 (il dato risale al 1997)sono lucerne d’imitazione africana. È una singolarità pressoché sconosciuta,

21. CATALLI F.- FINETTI A. - MATTEINI CHIARI M., Rinvenimenti monetali ...22. Ibidem.23. D’ALASCIO G. Le lucerne degli scavi del santuario ..., p. 225.

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come ricordato, alla contemporanea realtà urbana della vicinissima Saepinum24,che, invece, nonostante tutto, mostra un evidente e univoco gradimento del pro-dotto originale, con un’unica eccezione conosciuta. Insomma quanto detto puòforse indurre ad ipotizzare una produzione esclusiva, di circolazione limitata erivolta prevalentemente alla stessa area di rinvenimento e di circolazione, quel-la del santuario antico.

Ma tutto ciò ha un senso se contestualmente ricollochiamo all’interno di que-st’area la novità dell’edificio ecclesiale e se peroriamo anche motivazioni di ceri-moniale e di servizio.

La seconda particolarità suggerita dall’esame delle lucerne è che 2 di quellerestituite dallo scavo presentano nette sbavature di malta (che ne rivelano unsuccessivo utilizzo come inerti) e che una terza è stata ritrovata in situ nello spes-sore di US 3, il muro lungo meridionale della chiesa. Sono tutte e tre compresetra I e II secolo d.C.25 e costituiscono, dunque, un importante indice ante quem dicostruzione della muratura.

Se è vero quanto indotto dallo studio di due classi di materiali archeologicitra le più parlanti (ma è dato evidentemente da verificare su più larga scala, sucui può discutersi), la fortuna successiva della chiesa sembra effimera e nonduratura. La nuova stagione di vita sembra chiudersi pressoché qui, senza trau-mi resi manifesti dallo scavo e senza evidenti successive riprese.

La storia finale dell’area e del culto in essa esercitato sembra ora dettata dalloscalare sfumato ma sempre troppo perentorio delle presenze da frequentazionianche importanti (si senta a riguardo il contributo prossimo di Angelo Finetti26)e soprattutto dalla forza inequivocabile, che pesa come un macigno su questastoria, delle molte assenze. Ma questo quadro lascia non poco insoddisfattiappunto per la sua troppa perentorietà. Risulta molto schematico e facile.

Ogni contributo dei tanti possibili, su cui già ieri in sede di Convegno moltosi è detto, ogni indirizzo per un’interpretazione integrata del nudo dato discavo, presente o assente che sia, sarà, dunque, gratificante e gradito.

24. Ancora D’ALASCIO G. Le lucerne degli scavi del santuario ..., pp. 49-50.25. D’ALASCIO G., Le lucerne degli scavi del santuario ..., pp. 230-231, 238-239, 250-251; MATTEINI

CHIARI M., Le lucerne degli Scavi del santuario ..., pp. 215-216.26. Infra, pp. 207-212.

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Fig. 1

Fig. 2

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Fig. 4

Fig. 3 Fig. 5

Fig. 6 Fig. 7

Fig. 8 Fig. 9

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Fig. 12

Fig. 11

Fig. 13

Fig. 15Fig. 14

Fig. 16 Fig. 17

Fig. 10

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Fig. 19

Fig. 18 Fig. 20

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LA PROTOMAIOLICA DA SAEPINUM (ALTILIA)PRIMI RISULTATI

Manuela BernardiUniversità degli Studi di Perugia

(Tavv. IX - X)

La ricerca di cui si presentano i primi risultati è attualmente in corso pressola Cattedra di Urbanistica del mondo classico (Dipartimento di Scienze Storichedell’Antichità) dell’Università degli Studi di Perugia e riguarda le protomaioli-che rinvenute durante le indagini archeologiche, dirette dal Prof. MatteiniChiari, effettuate negli anni 1981 e 1982 in due saggi (A e B) praticati presso laporta Benevento dell’antica Saepinum.

Presentando il lavoro in itinere è bene precisare che ci si limiterà a trattare unnucleo di reperti provenienti dal saggio B dal quale è stato possibile ricavare unaprima rassegna di forme e decorazioni pertinenti a manufatti con caratteristichetecniche piuttosto omogenee. I dati tecnici descritti derivano dall’esame autopti-co, non essendo stata ancora eseguita una campionatura da sottoporre ad anali-si archeometriche.

Gli impasti

Gli impasti sono raggruppabili in due tipi: Tipo 1: colore variabile dal beige-rosato all’arancio chiaro, con frattura piut-

tosto irregolare, tessitura fine con frequenti vacuoli e rari inclusi micacei (bian-chi opachi), riscontrabile generalmente nelle forme aperte.

Tipo 2: colore variabile dal beige-chiaro, al rosato all’arancio chiaro, con tes-situra fine e minore incidenza di vacuoli, inclusi quasi assenti, attestato preva-lentemente nelle forme chiuse. Il colore descritto esclude naturalmente gli anne-rimenti dovuti a cottura difettosa.

I rivestimenti

Si ritiene che nella totalità degli esemplari sia stato utilizzato smalto stanni-fero, che interessa, nelle forme aperte, la superficie interna (l’esterno è nudo), e

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nelle forme chiuse la superficie esterna e, in un sottile strato, anche quella interna.

I colori

I colori utilizzati nelle decorazioni del materiale esaminato sono il bruno, ilverde ed il giallo, che sono presenti comunque nella quasi totalità dell’interocomplesso ceramico. Il manganese è utilizzato per tracciare i contorni di foglie,fiori o altri motivi complessi o teorie di linee e fasce, con un grado variabile didiluizione, ottenendo toni digradanti dal marrone scuro/nero al marrone chiaro.Il verde ramina varia dal verde deciso ad un verde pallido con toni leggermen-te azzurrati. Anche il giallo è usato con diversi gradi di diluizione e non rag-giunge mai toni eccessivamente vivaci. Il verde ed il giallo sono utilizzati per lecampiture delle decorazioni in precedenza tracciate in bruno, per piccoli motiviriempi-vuoto e per linee o fasce.

Le forme1

Il panorama morfologico non è molto vario. Le forme chiuse sono attestate innumero minore rispetto a quelle aperte, dato che si riscontra nella maggior partedelle produzioni di protomaiolica. Tra le forme chiuse prevale il boccale c.d. aclessidra con largo fondo piano, corpo a tronco di cono e collo svasato (Tav. I, n.1). Questo tipo di boccale è presente nella produzione molisana, tra i reperti diTerravecchia e Campobasso2. Un riscontro meno preciso si può individuarenella produzione di Lucera3, dove però i boccali hanno il corpo con pareti piùarcuate. Il nostro tipo 1 comprende un boccale che presenta difetti evidenti diseconda cottura e pertanto può essere assegnato alla produzione locale.

La seconda forma chiusa (Tav. I, n. 2), della quale lo stato di conservazionenon ci dà modo di conoscere la forma del fondo, è un frammento di collo e spal-la, ma vi si può notare una variante interessante, una filettatura molto netta chedivide le due parti strutturali della forma. Impasto e superfici sono completa-mente anneriti. Si tratta di uno scarto di seconda cottura.

La fiaschetta rappresenta un unicum in questo contesto (Figg. 1a, 1b).Seppure in protomaiolica, trova riscontro con una forma analoga in maiolicaarcaica orvietana4.

Passando alle forme aperte, che presentano tutte il piede ad anello, nellamaggior parte attraversato da fori di sospensione praticati a crudo, la ciotola

1. Nelle tavole sono indicate con un triangolo le forme di cui sono testimoniati scarti di fornace.2. SCERRATO U. -VENTRONE VASSALLO G., La maiolica della Diocesi di Bojano ..., p. 9 e fig. Ib.3. WHITEHOUSE D. La ceramica da tavola ... , tav. CLXXXVI, n. 37 e PATITUCCI UGGERI S., La proto-

maiolica: un nuovo bilancio ..., p. 20, fig. 2, n. 37.4. La ceramica orvietana ..., p. 49, n. XIII.

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emisferica, della quale è accertato sinora solo il bordo arrotondato (Tav. I, n. 4) èpresente in varie misure. Anche questa forma fa parte del repertorio locale, inquanto un esemplare (Tav. 1, n. 3) presenta vistosi difetti nella cottura dellosmalto, con crateri e alterazione dei colori, tali da poterlo definire come unoscarto. In ambito locale troviamo questa forma a Terravecchia5 e, nelle produ-zioni pugliesi, a Lucera e Fiorentino6.

Le ciotole carenate hanno una maggiore articolazione, con varianti che inte-ressano la carenatura, situata nella parte mediana del corpo (Tav. II, nn. 11 - 14)o leggermente più un basso (Tav. II, nn. 6 -10). Il bordo può essere piatto (Tav.II, nn. 7, 8 e 14), arrotondato (Tav. II, nn. 10 e 13), leggermente appuntito (Tav. II,nn. 9 e 11) o con una piccola angolatura interna defluente (Tav. II, n. 12), asso-ciata ad un piede più alto.

Le forme prodotte localmente sono la n. 10 e la n. 11 (con visibili difetti inseconda cottura).

Anche le ciotole carenate trovano riscontri nella produzione delle aree cir-convicine, come Terravecchia7, Bojano e Campobasso8. Queste ultime presenta-no il bordo arrotondato ed appuntito ( Tav. II, nn. 9 - 10).

Alcune analogie sono riscontrabili tra i materiali di Lucera (Tav. II, n. 8)9

Brindisi (Tav. II, n. 13)10, Fiorentino (Tav. II, n. 10)11. La forma n. 10 è anche con-frontabile con un esemplare napoletano12 datato ai primissimi anni del Trecentoe con un bacino pisano, ritenuto di produzione brindisina13.

Le decorazioni

Forme chiuse

Motivi geometrici:- Fasce verticali di linee rette ed ondulate (Fig. 2)- Fasce verticali costituite da tratteggi in bruno e tratti a spina di pesce desi-

nenti in un punto (solo bruno e verde, Fig. 3)- Embricature (Fig. 4, frammento in basso)Motivi vegetali - Fiori e volute (Fig. 1a)

5. COLONNA G., Saepinum ..., fig. 7, tavv. 2-3.6. PATITUCCI UGGERI S., La protomaiolica: un nuovo bilancio ..., p. 21, fig. 1, n. 46 e fig. 3.7. COLONNA G., Saepinum ..., fig. 7.8. SCERRATO U. -VENTRONE VASSALLO G., La maiolica della Diocesi di Bojano ..., fig. 1, c, e.9. PATITUCCI UGGERI S., La protomaiolica: un nuovo bilancio ..., fig. 1, n. 46.10. Ibidem, p. 25, fig. 6, F2.11. Ibidem, p. 23, fig. 5, n. 69.12. Ibidem, p. 38, fig. 14.13. BERTI G., Le ‘protomaioliche’ in Toscana ..., p. 91, fig. 1, A2.

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Motivi araldici - Scudo araldico (Fig. 1b)

Forme aperte

Decorazioni geometriche– Cerchio centrale con anelli concentrici, decorazione associata a ciotole care-

nate ed emisferiche. Si tratta di una decorazione largamente attestata nelle pro-duzioni di Bojano, Terravecchia e Campobasso14 (Figg. 5 - 7)

– Poligono festonato ugualmente presente nell’ambito della diocesi diBojano15 (Fig. 8)

– Punti in manganese al centro, linee rette ed ondulate (Fig. 9)– Tratti in bruno che definiscono un cerchio centrale, confrontabile con una

decorazione di Fiorentino16 (Fig. 10)– Corda in bruno, usata come motivo secondario, e presente nelle produzio-

ni molisane 17 (Fig. 11)– Occhielli (Fig. 12, frammento centrale in basso)

Decorazioni vegetali– Fiori centrali che definiscono un cerchio e anelli concentrici (Fig. 13) – Foglie che si dipartono da motivi geometrici (Fig. 4, frammento in alto a

sinistra)– Foglie con i vertici uniti al centro (Fig. 14)– Fiori trilobati affrontati alternati a foglie ovali (fusi e fiori), confrontabile

con la decorazione che si trova anche su esemplari napoletani18 (Fig. 15)– Fiori lobati che si dipartono da croce centrale, motivi in uso anche a

Terravecchia19 e a Napoli20 (Fig. 12, frammento a destra)– Fiori lobati su stelo associati a tratteggi e volute (Fig. 16), decorazione che

può essere confrontata con una presente in una forma aperta da Lucera21

Motivi zoomorfi– Uccelli - con motivi secondari: chevrons (Fig. 17) confrontabili con un esem-

plare Brindisino22, corda e anelli concentrici (Fig. 18).

14. SCERRATO U. -VENTRONE VASSALLO G., La maiolica della Diocesi di Bojano ..., p. 10, fig. IId.15. Ibidem, fig. IIIa.16. LAGANARA FABIANO 1997, p. 137.17. COLONNA G., Saepinum ..., tav. LXXI, n. 1; SCERRATO U. -VENTRONE VASSALLO G., La maiolica della

Diocesi di Bojano ..., fig. 16 a e g.18. PATITUCCI UGGERI S., La protomaiolica: un nuovo bilancio ..., fig. 17, n. 487.19. COLONNA 1962, tav. LXXII, n. 2.20. PATITUCCI UGGERI S., 1997, fig. 18, nn. 423-425.21. Ibidem, p. 19, n. 45, fig. 1.22. PATITUCCI UGGERI S., La protomaiolica: un nuovo bilancio ..., p. 30, fig. 10.

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Il Medioevo 203

Motivi araldici– Scudo crociato con semicerchi desinenti da ogni lato, in solo manganese

(Fig. 19).- Monogramma R, forse attribuibile a Roberto I d’Angiò (1309-1343)23 (Fig.

20, frammento a sinistra).- Fiori desinenti da uno scudo araldico (Fig. 20, frammento a destra)

Conclusioni

La stratigrafia di provenienza di questi materiali è di scarsa complessità. Imateriali associati sono costituiti da ceramica acroma, ceramica a bande rosse escarse presenze di invetriata. Il materiale numismatico medievale provenientedall’area annovera monete coniate dalla fine del XII (ma in corso anche nel XIII)alla prima metà del XIV, mentre segnala un’assenza di monete più tarde24.Questo non può che confermare una datazione della protomaiolica tra XIII eprimi decenni del XIV secolo, in accordo con le cronologie desunte dai confron-ti. Per quanto riguarda il sito di Saepinum, attuale Altilia, possiamo affermare, acompletamento del quadro fornito nel 1986 da Scerrato-Ventrone Vassallo sulleproduzioni della diocesi di Bojano25, che sono prodotti localmente i boccali aclessidra, la ciotola emisferica e la ciotola carenata con bordo piatto o arroton-dato ( Tav. I, nn. 1 - 3 e Tav. II, nn. 10 e 11). Fanno parte della tradizione locale ledecorazioni a loro associate, in particolare il motivo a corda, i fiori formanti ilcerchio, le fasce di linee rette ed ondulate e, per le forme chiuse, le fasce vertica-li di linee rette ed ondulate.

Il quadro sembra interessante in un momento in cui lo studio della proto-maiolica in Italia si sta arricchendo di nuovi dati sui centri di produzione.L’abbondanza di scarti da Saepinum-Altilia, Terravecchia, Bojano e Campobasso,oltre alla peculiarità di alcune forme e motivi decorativi comuni a tutti i centricitati, può suggerire una riflessione sul ruolo produttivo di questa area, chetrova i maggiori contatti culturali nelle tradizioni morfo-decorative delle cera-miche pugliesi (Lucera, Brindisi e Fiorentino) e campane (Napoli).

Il completamento della ricerca dal punto di vista tipologico e l’esecuzione dianalisi archeometriche permetteranno una più chiara definizione del rapportotra produzione locale e manufatti circolanti da altri centri contemporaneamenteattivi.

23. SCERRATO U. - VENTRONE VASSALLO G., La maiolica della Diocesi di Bojano ..., fig. 2f, da materialedi fornace da Campobasso.

24. Cfr. il contributo di FINETTI in questo stesso volume.25. Sebbene non offrano immediati e calzanti confronti con i reperti in esame, per un quadro più

completo dei ritrovamenti nella diocesi, cfr. i contributi: SCERRATO U., Ricerche di archeologia medieva-le ... sui primi saggi di scavo a Terravecchia; GENITO B., Campobasso ..., in merito al rinvenimento discarti di fornace a Campobasso e CAMPANELLA G., La ceramica R.M.R. ..., per quanto riguarda alcunimateriali rinvenuti nella Cattedrale di Bojano.

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SCHEDE

Forme chiuse

1) Boccale a fondo piano, corpo tronco-conico, collo svasato. Decorato con fasce ver-ticali di linee rette ed ondulate. Colori non ben distinguibili. Superficie annerita. Impasto2. Scarto di fornace.

H. 14; diam. base 10,7. Inv. 18447, tav. I, n. 1; fig. 2

2) Frammento di collo e spalla di boccale. Collo alto e svasato, filettatura tra collo espalla. Impasto e superficie completamente annerita. Impasto 2. Scarto di fornace.

H. 13 Inv. 55145,Tav. I, n. 2

3) Boccale parzialmente ricostruito con fondo piano, corpo con pareti scarsamentericurve e collo svasato. Bocca non conservata. Decorato con fasce verticali di gruppi ditratti paralleli in bruno tra due linee in verde. Visibile una linea verticale in verde fian-cheggiata da tratti a spina di pesce desinenti con un punto in manganese. Sulla parte infe-riore del corpo una fascia orizzontale in bruno denso definisce l’area decorata. All’internouna sottile patina di smalto bianco.

Impasto 2. H. 14. Inv. 18486, Fig. 3

4) Fiaschetta con corpo formato da due dischi raccordati da una fascia, beccucciopotorio tubolare e due piccole anse.

Decorata su di una faccia con steli ricurvi e fiori lobati in giallo, con foglie in verdepiuttosto scuro e denso, sull’altro con uno scudo araldico campito in verde, con al centrofasce orizzontali gialle bordate in bruno. Il verde ramina è evidentemente sgocciolato aldi fuori del contorno dello scudo. Sulla fascia di raccordo si ripropone lo stesso schemadecorativo vegetale usato per una delle due facce. Impasto 2.

Diam. 14. Inv. 18416, Figg. 1a e 1b

5) Frammento di parete e collo di boccale del quale si individua una decorazionesquamata sulla spalla. Le squame sono campite in verde e giallo. Visibili linee di manga-nese ai lati dell’attacco dell’ansa, probabilmente a sezione ovale.

H.4; larghezza 10. Inv. 18430, Fig. 4

Forme aperte

6) Ciotola emisferica parzialmente ricomposta decorata con motivo centrale costitui-to da quattro fiori a tre petali posti in cerchio e campiti alternatamente in giallo everde/azzurro, entro un cerchio delimitato da linee concentriche in bruno, giallo everde/azzurro.

In prossimità del bordo motivo a corda morbida. Alcune zone hanno superfici mal-cotte e smalto di colore azzurrino. Impasto 1. Probabile scarto di fornace.

Diam. piede 7,4. Inv. 10518, Tav. I, n. 3, Fig. 13

7) Ciotola emisferica con piede ad anello con due fori di sospensione. Decorazione

204 I Beni Culturali nel Molise

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interna costituita da un cerchio centrale campito in verde e da una serie di fasce concen-triche in giallo, bruno e verde, alternate, con colori abbastanza diluiti. Esterno nudo.Impasto 1. Restaurata ed integrata.

H.6,5; diam. 16; diam. piede 5,5. Inv. 10491, Tav. I, n. 4, Fig. 5

8) Ciotola emisferica con piede ad anello e due fori di sospensione. Decorata con steliinterrotti da tratti paralleli in manganese desinenti con fiore lobato in giallo e foglie ricur-ve verdi, non ben distinguibili per la cattiva conservazione. Piccoli fiori riempi-vuoto inverde. Colori: bruno, verde e giallo. Esterno nudo. Impasto 1 con effetto “sandwich”.

Diam. piede 7,6. Inv. 18461, Tav. I, n. 5, Fig. 16

9) Ciotola carenata, con piede ad anello e due fori di sospensione. Decorata con cer-chio centrale campito in verde e circondato da linee concentriche in bruno e verde. Lineeconcentriche in bruno in prossimità dell’orlo. Impasto 1. Restaurata ed integrata.

H. 4; diam. piede 6. Inv. 18415, Tav. II, n. 6, Fig. 7

10) Ciotola carenata con piede ad anello e due fori di sospensione. Decorata all’inter-no con due fiori trilobati affrontati in verde, alternate a due foglie ovali in giallo. Esternonudo. Impasto 1.

H. 6, diam. piede 5,5. Inv. 18432, Tav. II, n. 7, Fig. 15

11) Ciotola carenata con smalto bianco che fuoriesce leggermente. Al centro decora-zione in bruno, con uno scudo crociato all’esterno del quale è dipinto un semicerchio perogni lato. Impasto 1.

H. 5.5; diam. piede 5. Inv. 18437, Tav. II, n. 8, Fig. 19

12) Ciotola carenata, con piede ad anello e due fori di sospensione. Decorazione costi-tuita da un cerchio centrale campito in verde e da una serie di fasce concentriche in gial-lo, bruno e verde, alternate, con colori abbastanza diluiti. Impasto 1.

H. 6,8; diam. 16. Inv. 18414, Tav. II, n. 9

13) Ciotola carenata con piede a disco. Superficie smaltata combusta. Scarto di forna-ce. Impasto 1.

H. 6,5; diam. 15; diam piede 8. Inv. 10489, Tav. II, n. 10

14) Frammento di ciotola carenata con piede ad anello, orlo assottigliato e decora-zione centrale costituita da un cerchio e fascia campita in verde. In prossimità dellacarenatura una serie di linee in bruno, una fascia gialla e, vicino al bordo, un motivo a“corda” in bruno mal eseguito. Un frammento sembra annerito. Frammentaria, soloparzialmente ricomposta. Smalto con evidenti difetti di cottura. Esterno nudo. Impasto1.

H. 8, diam. 18; diam. piede 8,2. Inv. 10498, tav. II, n. 11, Fig. 11

15) Ciotola carenata con piede ad anello piuttosto alto ed orlo piatto, decorata con unmotivo centrale a fasce concentriche in verde, giallo e bruno intervallate da due motivi inmanganese formati da linee curve spezzate, con la convessità in direzione del centro,unite per i vertici. Linee concentriche anche in prossimità dell’orlo. Impasto 1. Restaurataed integrata.

H. 7; diam. 8,5; diam. piede 6,2. Inv. 10496, tav. II, n. 12, Fig. 8

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206 I Beni Culturali nel Molise

16) Ciotola carenata con piede ad anello e fori di sospensione, orlo assottigliato.Decorazione interna costituita da un cerchio centrale in verde circondato da linee inbruno e fascia gialla. In prossimità dell’orlo linee in bruno ed una larga fascia in verde. Ilverde non è diluito come in molti altri esemplari, ha una tonalità più decisa. Esternonudo. Impasto 1. Parzialmente ricomposta.

H. 8; diam. 16; diam. piede 7,2. Inv. 18413, tav. II, n. 13, fig. 6

17) Ciotola carenata con piede ad anello. Decorata all’interno con linee concentricherette e ondulate. Al centro quattro piccoli petali in bruno attorno ad un punto. In prossi-mità dell’orlo fasce e motivi a spirale. Colori: verde, bruno e giallo. Esterno nudo.Impasto 1.

H. 8,2; diam. 21,4; diam. piede 6,6. Inv. 18427, tav. II, n. 14, fig. 9

18) Ciotola carenata, decorata con festonature sull’orlo, un motivo a corda in bruno,linee concentriche ed un elemento zoomorfo non ben visibile (volatile). Colori: bruno,verde, giallo. Impasto grigio, con evidente difetto di cottura. Esterno nudo. Scarto di for-nace.

Diam. 18. Inv. 18433, Fig. 18

19) Frammento di fondo di ciotola con piede ad anello e due fori di sospensione. Delladecorazione centrale è visibile un motivo floreale con al centro un rombo e ai lati fiori atre petali campiti in verde e in giallo pallido. Il motivo è entro cerchio delimitato da unafascia di linee in bruno, una banda in verde con tratti orizzontali in bruno. Esterno nudo.Impasto 2.

Diam. piede 8,2. Inv. 18430, Fig. 4

20) Frammento di fondo di forma aperta con motivo centrale non identificabile. Il cer-chio al centro è delimitato da un motivo a linee concentriche ed una fascia in verde contratti in bruno. Impasto 1.

Diam. piede 6. Inv. 18409, Fig. 4

21) Fondo di ciotola con piede ad anello, in cui sono praticati due fori di sospensione.Il centro è bianco, segue una serie di tratti o punti in bruno posti a cerchio, linee concen-triche in bruno, giallo e una fascia in verde. Il verde ed il giallo non sono diluiti. Sono soloparzialmente visibili dei tratti in bruno ricurvi, con la convessità rivolta verso il centro.Esterno nudo. Impasto 1.

Diametro piede 7. Inv. 18426, Fig. 10

22) Frammento di fondo di ciotola, con piede ad anello. Decorazione centrale quadri-partita da doppia linea in manganese. Negli spazi foglie a due lobi alternate in verde egiallo, entro cerchio verde e linee in manganese. Esterno nudo. Impasto 1

Diam. piede 6,5. Inv. 18431, Fig. 12

23) Frammento di forma aperta, con piede ad anello non molto rilevato e fori disospensione. Della decorazione è visibile un motivo ad “occhio” in giallo-marroncinocon linee in verde e bruno. Esterno nudo. Impasto 1.

Diametro piede 7,5. Inv. 10515, Fig. 12

24) Frammento di forma aperta con motivo ad occhiello campito all’interno in gial-

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lo/marroncino. Visibili altri elementi vegetali-stilizzati non riconoscibili. Esterno nudo.Impasto 1

Larghezza 6,5. Inv. 18438, Fig. 12

25) Frammento di forma aperta con piede ad anello e decorazione geometrica nonidentificabile in bruno, verde e giallo. Esterno nudo. Impasto 1.

Diam. piede 6,5. Inv. 19439, Fig. 12

26) Forma aperta parzialmente ricostruita con piede ad anello e due fori di sospen-sione. Decorata con un motivo centrale costituito da quattro fiori a tre petali con il verti-ce inferiore unito al centro e campiti alternatamente in giallo e verde non diluito. Il moti-vo è entro cerchio. Sulla parete si intravedono semicerchi tracciati con una fine pennella-ta in bruno manganese. Superficie erosa e con numerosi crateri. Esterno nudo. Impasto 1,grigiastro.

Diametro piede 10. Inv. 18463, Fig. 14

27) Ciotola parzialmente ricostruita con decorazione costituita da “chevrons” in pros-simità dell’orlo e al centro una figura di volatile, solo parzialmente leggibile, con ala ocorpo campito con embricatura. Sono visibili dei tratti in verde sugli chevrons. Superficiedeteriorata, non si esclude l’uso del giallo. Esterno nudo. Impasto 1.

Diam. 22. Inv. 18434, fig. 17

28) Fondo di ciotola con piede ad anello. Decorata all’interno con un motivo non bencomprensibile: uno scudo araldico non bene eseguito da cui si dipartono tre foglie ovalicampite in bruno e tre foglie trilobate in verde. Non si nota presenza di giallo. Impasto 1.

Diam. piede 5,5. Inv. 10511, Fig. 20

29) Ciotola con piede ad anello con foro di sospensione. All’interno, al centro, ilmonogramma R, circondato da linee concentriche rette ed ondulate. Colori: verde, brunoe giallo. Esterno nudo. Impasto 1.

Diam. piede 6,8. Inv. 18440, Fig. 20

Il Medioevo 207

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Tav. I. Boccali (nn. 1 e 2) e ciotole emisferiche (nn. 3-5). I triangoli contrassegnano le forme di cui sono testimoniati scarti di fornace.

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Tav. II. Ciotole carenate.

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ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLACIRCOLAZIONE DELLA MONETA PICCOLA

IN TERRITORIO MOLISANOTRA XIII E XIV SECOLO ALLA LUCE

DEI RECENTI RINVENIMENTI

Angelo FinettiUniversità degli Studi di Siena

(Tav. XII)

Le monete tardomedievali restituite in questi ultimi anni dagli scavi di Altiliae di San Pietro di Cantoni non sono molte, tuttavia la varietà dei tipi e le zeccherappresentate invitano a riesaminare i rinvenimenti di materiali analoghi effet-tuati finora nel territorio. In particolare quelli pertinenti alla seconda metà - finedel XIII secolo, fase che precede ed in parte accompagna la stabilizzazione dellamoneta piccola nel Regno in piena età angioina.

Cominciamo dai tipi più antichi. Da San Pietro di Cantoni vengono i due tarìd’oro salernitani di duchi longobardi (Fig. 1), coniati intorno al 10001 ad imitazionedei tarì del califfo della dinastia fatimida al-Mu’izz Ledin (953 – 975). Il rinveni-mento dei due pezzi, probabile residuo di un ripostiglio disperso in antico, rap-presenta oggi il primo raccordo tra l’area di produzione ed il cospicuo nucleo diOrdona, in Puglia2. Sempre di San Pietro sono i due oboli di Melgueil (Fig. 2) delXII - XIII secolo, ben documentati in Italia meridionale soprattutto nel ripostiglio diAllife che attualmente è in corso di studio da parte di Ermanno Arslan3.

1. Per la datazione dei tipi, attribuiti in passato alla seconda metà del sec. X (cfr., ad es. CAPPELLIR., Studio sulle monete ..., p. 8), cfr. il recente lavoro di TRAVAINI L., La monetazione ... , pp. 158-159.

(N.R.: Angelo Finetti non ha potuto vedere il terzo tarì longobardo identico ai primi due (g. 1,01; mm 19)rinvenuto nel 2001, a conferma della sua intuizione di un probabile gruzzolo disperso).

2. GOURNET R., Le trésor ..., pp. 155-171; BALOG P. et al., Nuovi contributi ..., pp. 123-128; TRAVAINI L.,La monetazione ..., p. 159.

3. Il ripostiglio di Allife è composto da 635 esemplari tra i quali figurano 43 oboli di Melgueil.Ringrazio vivamente Ermanno Arslan che mi ha fornito i dati qui riferiti. La presenza dei denariMelgurienses è stata spesso segnalata nelle regioni meridionali: v. Otranto (TRAVAGLINI A., Le monete... , pp. 241-248) e TRAVAINI L., Romesinas ..., p. 119. Il fatto che si tratti di un tipo “immobilizzato” nonconsente, al momento, una definizione cronologica più precisa. Debbono, tuttavia, aver circolatomolto a lungo se si trovano ancora citati nella tariffa del Balducci Pegolotti, redatta prima del 1340:“Margugliesi a once 7 den. 8” (PAGNINI DEL VENTURA G.P., Della Decima ...,p. 293; BALDUCCI PEGOLOTTIF., La pratica della mercatura …, pp. 81, 158, 290, e GRIERSON PH., The coin ..., pp. 485-492).

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Il Medioevo 211

I materiali più tardi, appartenenti al XIII e XIV secolo, vengono da due loca-lità poco distanti: gli scavi di Altilia, condotti dal Prof. Matteini Chiari nel 1976,e di Terravecchia di Sepino, pubblicati dal Prof. Colonna nel 1962.

Di entrambi colpisce l’elevata percentuale di moneta forestiera, già notata aTerravecchia dal Colonna che scriveva: «La frequenza di valuta straniera (otto mone-te su quattordici) specie in un centro montano e appartato quale Terravecchia, appareinaspettata e rimarchevole. Essa è in stretta relazione, come mostra la cronologia delleemissioni, con la fioritura economica che accompagnò il primo affermarsi della dinastiaangioina nel regno di Napoli. Il Molise sembra allora beneficiare di riflesso dei commer-ci adriatici che collegavano la Padania ai domini franchi della Grecia. Che la testimo-nianza sepinate non sia dovuta a puro caso è dimostrato dalla circostanza che valutaanconetana e dell’oriente latino era presente, benché non ne fosse nota l’esatta prove-nienza, nel Medagliere del Museo Provinciale di Campobasso, andato disperso durantela guerra. Una brillante ed autorevole conferma a tale interpretazione è venuta da unascoperta casuale effettuata nel 1956 a Campobasso stessa: si tratta di un grosso depositomonetale che, stando al campione inviatomi dall’ispettore dott. Renato Brancoforte, spet-ta alla zecca ravennate del XIII – XIV secolo»4.

Aggiungendo i reperti di Altilia a quelli di Terravecchia, il divario tra mone-ta locale e forestiera si fa ancora più marcato; su 21 esemplari in circolazione trail XIII e i primi del XIV secolo, i tipi locali sono rappresentati soltanto da seidenari: uno di Enrico VI5 (Fig. 3), due di Federico II (Fig. 7) e tre di CarloD’Angiò (Fig. 8). Dato l’impegno profuso da Federico II prima, e poi da Carlod’Angiò per imporre una moneta unitaria in tutto il Regno6, il netto predominiodi specie forestiere anche nel tardo XIII secolo suscita un certo interesse, soprat-tutto se si tratta, in buona parte, di monete adriatiche e centro – italiane.

Lucia Travaini ha evidenziato l’ampia e costante diffusione della moneta stra-niera nel Regno tra il XII ed il XIII secolo7; quella francese e dell’Oriente latino èdocumentata anche nel nostro campione con gli oboli di Melgueil, il denaro diArles, il tornese di Tours (Fig. 6) ed i tornesi di Tebe di Beozia e di Lepanto (Figg.9 e 12).

I denari lucchesi di Altilia (Fig. 4), sebbene appartenenti ad un genere cheaveva circolato a lungo in Oriente tra XI e XII secolo, per essere del tipo più

4. COLONNA G., Saepinum ..., pp. 101-103. Il Colonna si riferisce, evidentemente, ai tipi dell’OrienteLatino di Chiarenza e Tebe, al tornese di Campobasso ed al denaro anconetano che figurano nel cata-logo di SOGLIANO A., Catalogo ..., nn. 864-869 p. 116 e n. 856 p. 114.

5. Enrico VI di Svevia (1194-1197) reintrodusse in Italia meridionale il sistema del denaro argen-teo, probabilmente sul piede genovese. Cfr. in proposito D’ANGELO F., Le emissioni ..., pp. 25-30 e suirapporti tra Genova e la Sicilia in tema di moneta cfr. TRAVAINI L.,Genova ..., pp. 187-194.

6. TRAVAINI L., Romesinas …, p. 121 e segg.; EAD., «Provisini ..., pp. 212-213.7. TRAVAINI L., Romesinas …, pp. 113-134. L’Italia meridionale costituiva una sorta di ponte per

l’Oriente cristiano ed è quindi naturale che lungo le sue strade si fermasse buona parte della mone-ta trasferita dai soldati e pellegrini che si imbarcavano nei porti pugliesi (cfr. EAD., Provisini ..., p. 219,ed EAD., Deniers ..., pp. 421-451).

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212 I Beni Culturali nel Molise

tardo8 possono essere associati cronologicamente ai denari anconetani (Fig. 5)dato che negli anni 30 del Duecento, in Italia centrale, i denari lucchesi circola-vano allo stesso valore degli anconetani e ravennati, monete che nacquero giàmodellate sull’intrinseco del lucchese, dominante in tutta l’area romagnola emarchigiana sino alla fine del XII secolo9. Recenti indagini sul corso della mone-ta in Abruzzo nel XIII e XIV secolo segnalano un’estensione del dominio delletre monete in questa regione10 ma le evidenze di Altilia ci consentono di propor-re un allargamento dell’area di interesse ancora più a Sud. Ravennate edAnconitano rimasero a lungo, grazie a convenzioni strette tra le due città, almedesimo intrinseco e le loro flessioni, allo scadere del Duecento, sono perfet-tamente sincrone come provano i valori riferiti dalle tariffe del BalducciPegolotti e di Lippo di Fede del Sega11.

I denari di Ravenna non figurano tra i reperti degli scavi ma sono nel “gros-so deposito monetale” rinvenuto a Campobasso e citato dal Colonna. Le tre spe-cie, dunque, circolavano anche in territorio molisano. Il legame con l’Abruzzo,almeno in questa fase, diventa più evidente se osserviamo le altre due monetedi area centro italiana: il denaro provisino del Senato romano (Fig. 10) ed ildenaro aretino (Fig. 11) “con le lunette” provenienti da Altilia.

Il provisino di Roma con il pettine intersecante la leggenda12 è del tipo suc-cessivo ai senatoriati di Carlo D’Angiò che segue, dal 1280 al 1285, la riduzionedi titolo dei denari anconetani e ravennati; passa cioè, secondo il BalducciPegolotti, prima a 2 once ed 8 denari di fino degli “ancontani e ravignani vecchi”a 2 once e un denaro, in linea, cioè, con gli anconitani, ravignani e chiarentaninuovi rammentati da Lippo di Fede. I chiarentani sono i tornesi d’Acaia coniati aChiarenza, così distinti dai tornesi di Francia, chiamati nella medesima tariffatorneselli, di titolo molto superiore (3 once per libbra).

Il denaro aretino (o cortonese) tra gli anni 70 del Duecento ed il primo ven-tennio del trecento risulta, in Italia centrale, costantemente agganciato all’anco-

8. I denari lucchesi di Altilia sono del tipo novus et brunus emesso tra il 1181/2 – 1200 (MATZKE M.,Vom Ottolinus ... p. 173. tav. 4, nn. 55/56. Si tratta di un tipo che figura anche in ripostigli occultati acavallo tra il XIII ed il XIV secolo. V., al riguardo, CAMPANELLI A., Nuovi dati ..., pp. 389-396.

9. Tale unitarietà si riferisce alle aree medioadriatiche e l’Umbria dove evidenze archeologiche,ripostigli e fonti sembrano collimare nell’indicare le tre monete al medesimo tasso di cambio, manon alla Toscana. Gli studi sull’argomento sono ancora in piena evoluzione e rimandiamo, per bre-vità, a quelli più noti: CASTELLANI G., Numismatica..., pp. 237-277; PANVINI ROSATI F., Monetazione e cir-colazione ..., pp. 1133-1143; ASHTOR E., Il commercio anconetano ..., pp. 9-71; TRAVAINI L.,”Le aree mone-tarie italiane ..., p. 361-389. In Umbria questa parità del corso veniva estesa, intorno agli anni 30 delDuecento, ai denari pisani e senesi (FINETTI A., La zecca ..., pp. 21 e 22).

10. Relativamente alle acquisizioni più recenti, cfr. il ripostiglio di Città S. Angelo (Pescara) dovefigurano, tra le monete fino ad ora identificate, 270 denari lucchesi, 1042 anconetani e 447 ravenna-ti: CAMPANELLI A., Nuovi datI ... . Nello stesso volume figura il contributo di MACRIPÒ A., Moneta ...,pp. 381-388. Altre presenze di moneta anconitana in Abruzzo sono testimoniate dal recente contri-buto di SPAGNUOLO D., Altipiani ..., p. 59, nota 61 e SALADINO L., Corfinio ..., pp. 501-502.

11. BALDUCCI PEGOLOTTI F., La pratica …, pp. 293-294 ; F. DE LA RONCIÈRE, Un changeur ..., p. 294.12. Cfr. FINETTI A., I provisini romani ..., pp. 188-189.

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Il Medioevo 213

nitano e al ravennate in un rapporto di 5 a 313 e la stabilità del cambio ne con-sentiva, evidentemente, un corso parallelo.

Ci troviamo così di fronte a generi diversi legati da uno stretto vincolo valu-tario che riconduce, in ogni caso, al sistema dell’anconitano la cui presenza nelterritorio ha tutta l’aria di perdurare fino agli albori del XIV secolo, nonostantela politica di chiusura alle specie forestiere messa in campo da Carlo d’Angiò.

Fu senza dubbio l’Abruzzo il mediatore delle specie centro - italiane che quigiungevano, evidentemente, attraverso i percorsi tratturali, ma questo legamesembra interrompersi definitivamente nel corso del XIV secolo. Mentre, infatti,nell’Aquilano la moneta di Roma continuerà ad esercitare una influenza tale daindurre Ludovico II d’Angiò ad emettere bolognini, cinquine e denari provisinial tipo romano14, tra i reperti trecenteschi di Terrevecchia figurano soltantomonete ufficiali del Regno: il gigliato di Roberto (Fig. 13) ed i due denari angioi-ni della zecca di Napoli.

13. Cfr. FINETTI A., La zecca …, p. 43.14. Cfr. C.N.I. XVIII, p. 15 e segg.

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ELENCO DEI TIPI MONETALI SUDDIVISI PER PERIODO

Sec. XI (inizi)tarì salernitano di principi longobardi San Pietro di Cantonitarì salernitano di principi longobardi San Pietro di Cantoni

Fine XII secolo (ma in circolazione nel XIII)denaro lucchese Altiliadenaro lucchese Altiliadenaro di Enrico e Costanza (1191 – 1197) Altilia

Secc. XII - XIIIobolo di Melgueil San Pietro di Cantoniobolo di Melgueil San Pietro di Cantoni

Sec. XIII denaro anconetano Altiliadenaro anconetano Altiliadenaro anconetano Terravecchiadenaro anconetano Terravecchiadenaro anconetano Terravecchiadenaro di Federico II Terravecchiadenaro di Federico II Terravecchiabolognino grosso (pieno XIII) Terravecchiadenaro di Arles (seconda metà XIII) Altilia denaro di Tours (Luigi IX) (sec. metà XIII) Terravecchia denaro di Carlo d’Angiò (seconda metà XIII) Altilia denaro di Carlo d’Angiò (seconda metà XIII) Altiliadenaro di Carlo d’Angiò (seconda metà XIII) Terravecchiadenaro cortonese di Arezzo (seconda metà XIII) Terravecchiadenaro aragonese di Messina (fine XIII) Altilia denaro del Senato Romano (fine XIII) Altiliadenaro tornese di Tebe (fine XIII) Terravecchia

Sec. XIV - metà/seconda metàdenaro tornese di Lepanto Terravecchiagigliato di Roberto d’Angiò Terravecchiadenaro di Giovanna I d’Angiò Terravecchiadenaro angioino non identificato Terravecchia

214 I Beni Culturali nel Molise

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BIZANTINI E LONGOBARDI FRA ABRUZZO E MOLISE

(SECC. VI-VII)

Andrea R. StaffaSoprintendenza per i Beni Archeologici dell’Abruzzo

(Tav. XIII)

Introduzione

Le ricerche condotte negli ultimi anni in Abruzzo hanno restituito unvasto panorama di dati archeologici sulle fasi più tarde dell’assetto anticodell’area (secoli VI-VII), contribuendo in particolare ad una prima ricostru-zione complessiva e geograficamente diffusa delle vicende storiche connesseall’invasione longobarda fra gli ultimi decenni del VI e la metà del VII seco-lo (Fig. 1).

Determinante in proposito è stata la possibilità di datare con una certa preci-sione non solo i materiali ceramici d’importazioni, ma soprattutto le più umiliproduzioni di ceramica da fuoco e da mensa attestate localmente, conseguitagrazie alla disponibilità di attendibili sequenze stratigrafiche di riferimento allecui sedi di edizione si rinvia per un esame di dettaglio1.

Vale comunque la pena di riepilogare in questa sede quelli che appaiono oggigli elementi più significativi per l’inquadramento cronologico dei contesti edegli accadimenti di seguito descritti.

Diffuse con notevole capillarità appaiono anzitutto le produzioni più tardedella sigillata africana, databili fra la seconda metà del V ed il VII secolo:

– Seconda metà V - 525C5: Scodella HAYES 82B (TORTORELLA 1997, fig. 1, nn. 1-4; Crecchio); scodella H. 84 (T. 1997, fig. 1,

n. 3; Crecchio).– Seconda metà V / 530-50D: Scodelle, piatti e coppe HAYES 87A-C (T. 1997, fig. 1, n. 8, fig. 2, nn. 9-10; Pescara, Castrum

Truentinum, Crecchio, Spoltore-Cavaticchi, Nocciano-Casali), 88 (T. 1997, fig. 2, n. 11; molto rara), 90 T.1997, fig. 1, n. 66; molto rara), 93B, 91/28 (T. 1997, fig. 3, n. 20; imitaz. a Casette Santini), H. 99A (T. 1997,fig. 3, n. 23; Pescara), 91B (T. 1997, fig. 3, n. 19; Crecchio).

1. Si rinvia in proposito a Dall’Egitto Copto ..., STAFFA A.R. - ODOARDI R., Le produzioni ceramiche inAbruzzo ...; STAFFA A.R., Le produzioni ceramiche in Abruzzo ...; STAFFA A.R., Scavi medievali in Abruzzo ...ODOARDI R., Le lucerne ...; ODOARDI R., Ceramiche ...

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216 I Beni Culturali nel Molise

– Inizi/metà VI secoloD: Coppe HAYES 94B (T. 1997, fig. 4, n. 32); Variante Pescara a H. 87A/H. 99 (Pescara, S, Vito

Chietino, Nocciano-Casali, Crecchio).– VI sec.D: Scodella HAYES 104A (T. 1997, fig. 4, n. 36; forma guida; Pescara, Crecchio); vaso a listello H.

91B-C (T. 1997, fig. 3, nn. 19/21; forma guida; Crecchio, Pianella-Micone e Piano Leone, Spoltore-Pescarina, Loreto Aprutino-Cordano).

– Inizi VI sec. / 570-80D: Scodelle HAYES 103A-B (T. 1997, fig. 4, nn. 38-39; Pescara, Crecchio); 104B (T. 1997, fig. 5, n. 40),

vaso a listello H.91C (Pescara); coppe H.99B (T. 1997, fig. 5, n. 42; Pescara), 80B/99 (T. 1997, fig. 5, n.43; Pescara); H. 101 (T. 1997, fig. 5, n. 45; Montesilvano-Tesoro, Civitaquana-Rigo).

– Metà VI sec. / 625-650D: Scodelle HAYES 104C (T. 1997, fig. 4, n. 44; Pianella-Astignano), coppa 99C (T. 1997, fig. 5, n. 48).– 580 / VII sec.D: Vaso a listello HAYES 91D (T. 1997, fig. 5, n. 49; Pescara, Castrum Truentinum, Crecchio); nuovi

recipienti, scodelle H. 106 (T. 1997, fig. 6, n. 54; Pescara, Spoltore-Pescarina), 105 (T. 1997, fig. 6, n. 55;Pescara, Crecchio, Spoltore-Cucchitte).

– 610-620 / 680-700D: coppa HAYES 110-Atl LII, 18-19 (Pescara); scodella H. 107 (T. 1997, fig. 6, n. 56; Pescara).Altri riferimenti per la fine VI-VII secolo sono le lucerne di importazione africana, fra

cui secondo C. Pavolini il ben noto “gruppo di esemplari rinvenuto a Crecchio pressoChieti … l’unico nucleo utilizzabile a me noto … per la seconda metà del VI e la primametà del VII secolo”2, ed altri materiali coevi da Castrum Truentinum, Nocciano-Casali eVal Pescara, Pescara, S. Vito Chietino3.

Per questo aspetto Pavolini ha significativamente accostato “l’Abruzzocostiero alle realtà dell’Italia meridionale più aperte ai commerci conl’Africa”4.

Non meno importante come elemento di riferimento cronologico appare laceramica dipinta denominata tipo Crecchio, databile fra gli ultimi due decenni delVI e la prima metà del VII secolo (Figg. 2-3), classe che trova confronti con mate-riali d’area egiziana e la cui presenza è stata recentemente segnalata in stratigrafied’età bizantina da Gortina (Creta)5; si torna a sottolineare che questa produzione èben distinguibile dalla ceramica dipinta a suo tempo rinvenuta a S. Giacomo degliSchiavoni e studiata da P. Robert, databile ad epoca alquanto più antica6.

2. PAVOLINI C., Le lucerne in Italia ..., p. 127-128.3. Cfr. in proposito ODOARDI R., Cermiche...; SIENA E. -TROIANO D. -VERROCCHIO V., Ceramiche ....4. PAVOLINI C., Le lucerne in Italia ..., p. 128.5. Su questa produzione e sulla sua diffusione cfr. STAFFA A.R. , in Dall’Egitto Copto ..., pp. 45-49,

e da ultimo ID., Le produzioni ceramiche in Abruzzo ..., pp. 452-457, con due tavole a colori, tavv. I-IIalle pp. 454-455; devo la segnalazione della presenza in stratigrafie bizantine scavate dalla ScuolaArcheologica Italiana d’Atene a Gortina, nell’isola di Creta alla collega ed amica Paola Rendini dellaSoprintendenza archeologica della Toscana, che ringrazio cordialmente; vedi in proposito DELLOPREITE A., Ceramica bizantina ...

6. ROBERTS P., The late pottery ..., contesto della prima metà del V secolo d.C.; anche il panorama di rife-rimento delle sigillate africane presenti nelle due cisterne di Crecchio (Dall’Egitto Copto ..., pp. 31-32,ODOARDI R., Ceramiche ..., pp. 648-652) e S. Giacomo degli Schiavoni (ROBERTS P., The late pottery ..., p. 277)appare nettamente diversificato.

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Accanto alla ceramica tipo Crecchio appare sinora diffusa fra Pescara e la ValPescara un’altra produzione di ceramica dipinta, la c.d. Ceramica tipo ValPescara (Fig. 4)7, che trova confronti puntuali con la c.d. Venafro Type, produ-zione dipinta “a tratto minuto” rinvenuta in particolare presso il teatro romanodi Venafro, particolarmente i gruppi II-III, ed in altri siti del Molise (Valle delBiferno, S. Vincenzo al Volturno) e della Campania settentrionale8.

Deve infine sottolinearsi la presenza di una produzione di ceramica grezzada fuoco che trova numerosi confronti con materiali di tradizione egeo-orienta-le da vari siti dell’Egeo e dell’Adriatico e con reperti da Otranto che testimonia-no ad esempio di una continuità sino all’VIII-IX secolo del caratteristico tipo del-l’olla carenata con orlo estroflesso e fondo umbonato, sovente con decorazionead onde e rigature9.

La ricostruzione del confronto fra Bizantini e Longobardi in Abruzzo

Nel confronto di questi dati con le fonti storiche ed i dati archeologici relati-vi ad una serie di vari piccoli sepolcreti databili proprio fra ultimi decenni delVI e VII secolo, è andato progressivamente sviluppandosi un primo quadro diriferimento sulle vicende del confronto fra Bizantini e Longobardi e sulle tra-sformazioni da tali vicende indotte nel quadro insediativo, argomenti che sonostati già ampiamente trattati in varie sedi a cui si rinvia per i vari riferimentiarcheologici e storici di dettaglio10.

È andata anzitutto definendosi la realtà di una persistenza di collegamenti viaricontrollati dai Bizantini fra Tirreno ed Adriatico lungo i tracciati della via ClaudiaValeria e della c.d. Via degli Abruzzi (via Minucia, ‘Οδοs Σαµν ου di Procopio diCesarea11) sin verso la fine del VI secolo (Fig. 1), collegamenti che interessavanoanche il Molise, ed il cui controllo bizantino sino ad un’epoca così tarda vennesostanzialmente ad articolare topograficamente e a diversificare cronologicamente

7. STAFFA A.R., Le produzioni ceramiche in Abruzzo ..., pp. 457-461, fig. 14a; il materiale presentato inquesta sede proviene dalla due grandi ville di Nocciano loc. Casali e Pianella loc. Colle di Guido,occupate sino agli inizi del VII secolo, per cui cfr. rispettivamente STAFFA A.R., Scavi medievali inAbruzzo ..., pp. 65-71, e STAFFA A.R. - SIENA E. - TROIANO D. - VERROCCHIO V., Progetto Valle del Pescara:terzo rapporto ..., pp. 303-304.

8. GENITO B., Ceramica dipinta ..., pp. 708-711, figg. 2-3, con bibliografia precedente relativa agli altririnvenimento molisani e campani citata alla nota 14.

9. STAFFA A.R., Le produzioni ceramiche in Abruzzo ..., pp. 463-471, con bibliografia precedente, par-ticolarmente tipico l’esemplare fig. 20, n. 71, ma con ogni evidenza dovevano essere carenati a confondo umbonato anche molti altri fra gli esemplari delle serie 67/70, 72 (figg. 19-20); la classe è stataoggetto, con la sua ampia diffusione in ambito adriatico di studi specifici condotti da S. Gelichi (cfr.GELICHI S., Ceramiche “tipo Classe”...).

10. Dall’Egitto Copto ...; STAFFA A.R. Riassetto urbano ..., ID., Una terra di frontiera ...,ID., Un quadro diriferimento ..., ID., I Longobardi in Abruzzo ..., ID., Le città dell’Abruzzo antico ...

11. L’ipotesi, che pare plausibile, è proposta in DE BENEDITTIS G., Crisi e rinascita ..., p. 327.

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218 I Beni Culturali nel Molise

la penetrazione longobarda nei vari ambiti della regione a nord ed a sud di essi.A nord Castrum Truentinum alla foce del Tronto (Fig. 1, n. 1) dovette infatti cade-

re in mano longobarda dopo Ascoli e Fermo già verso il 580 mentre il CastrumAprutiense, l’antica Interamnia (Teramo, n. 11), era probabilmente ancora controllatadai Bizantini verso il 598 e così forse anche Castrum Novum (n. 7); il porto di Aternumera poi destinato a restare sotto controllo bizantino sin verso la metà del VII secolo,come hanno chiaramente evidenziato gli scavi archeologici ivi condotti12.

Al definirsi negli ultimi decenni del VI secolo di sia pur temporanee fasce difrontiera fra territori ancora controllati dai Bizantini e territori ormai conquistatidai Longobardi dovette poi collegarsi la crisi evidente ed aggravata di abitati con-quistati rapidamente nelle fasi della prima e più devastante conquista o rimastisituati in zone di confine13: eloquente in proposito appare la perdita di ruolo di queicentri che erano ubicati subito a nord di Pescara, Hatria, Angulum, e Colle Fioranodi Loreto Aprutino (Fig. 1, n. 16, n. 35), con ogni evidenza avvenuta nell’ambito delconsolidarsi di una frontiera che vedeva i Bizantini consolidatisi a Pescara e nel suoimmediato retroterra probabilmente sin verso il 650/60 ed i Longobardi ormai pro-babilmente presenti a Penne (n. 32), a Città S. Angelo (n. 39), e probabilmente nelcastrum di nuova fondazione di Lauretum (Loreto Aprutino, n. 34), destinati adassumere presto un ruolo importante a detrimento dei centri vicini14.

Agli anni successivi al 580 e precedenti il 595 appare riferibile la penetrazio-ne longobarda nell’Amiternino e poi nella Marsica, probabilmente lungo ledirettrici della via Salaria e della Forca di Corno, con il conseguente venir menodella presenza bizantina lungo la valle dell’Aniene (Kastron Bikobaria di GiorgioCiprio) ed il tracciato della via Claudia-Valeria (Fig. 1).

Allo spostamento delle ultime difese bizantine dal sito difficilmente difendi-bile della antica Carsioli (Fig. 1, n. 24) ad una posizione d’altura lungo l’asse dellavia Valeria (n. 25) ed alle coeve oscillazioni della frontiera fra ducato romano educato di Spoleto, fra alta Valle dell’Aniene e Valle del Turano, dovette proba-bilmente correlarsi anche la definitiva crisi dell’antica città15, mentre nelle areeinterne della regione oggi corrispondenti all’Aquilano devastanti risultavano leconseguenze su centri quali Amiternum, Aufinum, Aveia, Alba Fucens, Peltuinum,

12. STAFFA A.R., Scavi nel Centro Storico di Pescara ...; questa ricostruzione, proposta sulla base diforti elementi archeologici, rende evidentemente ormai desueta l’ipotesi fatta in passato di un’ar-rivo a Benevento del primo duca Zottone da Pescara lungo la Claudia Valeria, la Piana delleCinque Miglia ed Isernia (FONSECA C.D., Longobardia minore ..., p. 129), ipotesi ancora adombratain DE BENEDITTIS G., Crisi e rinascita ..., p. 325, mentre ben maggiore rilevanza deve essere data allapresenza di mercenari longobardi nel Mezzogiorno d’Italia ben prima dell’inizio dell’invasionevera e propria (FONSECA C.D., Longobardia minore ..., p. 128, DE BENEDITTIS G., Crisi e rinascita ..., p.325, che sottolinea giustamente come questi gruppi dovevano essere “probabilmente consapevolie partecipi della struttura amministrativa romana”).

13. Cfr. DELOGU P., Longobardi e Romani ..., pp. 158 ss.; ID., La fine del mondo antico ..., p. 15; BROGIOLOG.P., Conclusione ..., pp. 239-246.

14. STAFFA A.R., Una terra di frontiera ..., pp. 203-206.15. STAFFA A.R., Una terra di frontiera ..., p. 194.

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Il Medioevo 219

e Marruvium16, entrati presto in una crisi devastante unitamente alle loro dioce-si, a seguito dei ”metodi della conquista, brutali ed immediati”17.

Dinamiche di progressivo stravolgimento dell’assetto antico delle cittàappaiono infatti evidenti nell’inserimento di sepolture in settori abbandonati deltessuto urbano sia nelle aree interne (Amiternum, Marruvium-Anfiteatro, nn. 17,22), che nell’Abruzzo adriatico (Castrum Truentinum, Castrum Novum, Penne-Duomo, Teramo-S. Anna, Chieti-Anfiteatro, nn. 1, 7, 32, 11, 98)18.

Diversa dovette essere la sorte di quei centri urbani della costa abruzzese cheerano rimasti sotto controllo bizantino anche dopo gli ultimi decenni del VIsecolo: Aternum, Hortona, Anxanum, Histonium erano infatti destinati a conserva-re in età altomedievale – anche dopo la ben più tarda conquista longobarda,(metà VII secolo)19 un assetto ancora in qualche modo ispirato a quello antico,pur in presenza di consistenti fenomeni di ristrutturazione a cui si collega alme-no nel caso di Lanciano (n. 82) anche la presenza di sepolture in ambito urbano(largo S Giovanni)20. Testimonianza di queste cruciali fasi di tardo VI e VII seco-

16. Cfr. in proposito STAFFA A.R., Abruzzo fra tarda antichità ..., pp. 792-93, 827-29; ID., Una terra difrontiera ..., pp. 193-194.

17. Citazione da FONSECA C.D., Longobardia minore ..., pp. 160-61; cfr. per l’area toscana le eloquentidescrizioni dalle lettere di Gregorio Magno proposte in KURZE W. - CITTER C., La Toscana ..., che tro-vano paralleli in episodi raccontati dallo stesso papa per le aree interne della Valeria (vedi supra). Lacrisi dell’assetto religioso, percepibile in maniera evidente anche in centri quali Amiternum (S.Vittorino dell’Aquila, fig.1. n. 17), Aprutium (Teramo, n. 11), e Marruvium (Marsi, S. Benedetto dei M.;n. 22) le cui diocesi sopravvivono alle vicende della conquista (STAFFA A.R., Una terra di frontiera ...,pp. 193-94, 190-92), si traduce infatti nel venir meno di varie sedi vescovili (Aufinum, CastrumTruentinum, Sulmo, fig. 1, nn. 18, 1, 27) , mentre in taluni casi sembrano ricostruibili spostamenti conogni evidenza avvenuti sotto la pressione degli eventi militari e delle devastazioni: Aveia dall’ ori-ginaria sede urbana (n. 19) a quella del vicus antico di Forcona (n. 20), con ogni evidenza potenziatonell’altomedioevo; Marruvium-Marsi (n. 22), spostatasi in epoca imprecisata dalla sua sede origina-ria (STAFFA A.R., Una terra di frontiera ..., pp. 201, 193-94, con bibliografia precedente). Essendosi giu-stamente notato come nell’Abruzzo altomedievale “c’est la géographie ecclésiastique, celle de dio-cèses, qui donne à la région son ossature administrative, à l’interieur de laquelle l’organization civi-le se coule” (FELLER L., Paisages ..., p. 220), appare evidente che nelle traumatiche modifiche del qua-dro religioso accompagnatesi agli accadimenti della conquista longobarda ed ai conseguenti scon-volgimenti erano i prodromi anche di consistenti trasformazioni nell’assetto amministrativo del ter-ritorio.

18. Per un quadro complessivo ed analitico cfr. da ultimo STAFFA A.R., Sepolture urbane ...19. STAFFA A.R., Forme di abitato ..., pp. 316-333; ID., Una terra di frontiera ..., pp. 201-205, 209-214. Il

fenomeno è attestato anche altrove in area romano-bizantina, cfr. DELOGU P., La fine del mondo antico..., p. 13. In tali ambiti urbani dovettero forse coerentemente svolgersi le conseguenze di quelle cheerano state le scelte del potere centrale fra IV e V secolo, confisca dei terreni di proprietà dei muni-cipi, povertà e dunque incapacità d’intervento delle amministrazioni locali (cfr. STAFFA A.R., Abruzzotra tarda antichità ..., p. 790), intervento crescente di funzionari imperiali nella gestione finanziaria(cfr. in proposito HALDON J., Quelques remarques ..., p. 72).

20. Oltre ad Hortona, vera e propria capitale bizantina d’Abruzzo rimasta nonostante la conquistalongobarda e sino alla conquista franca (802) vero e proprio capoluogo di un sistema difensivo bendistinto da quello orbitante su Chieti (STAFFA A.R., I Longobardi in Abruzzo ..., p. 154) vedi i casi diHistonium (Vasto), il cui assetto d’età bizantina andò sostanzialmente conservandosi sino all’XI secolo(STAFFA A.R., Una terra di frontiera ..., pp. 210-211; ID., Scavi a Martinsicuro ..., pp. 110-131), Aternum in

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lo sono due gruppi di sepolture, il cui censimento sistematico è stato sinora por-tato avanti particolarmente nelle aree adriatiche della regione21.

Si tratta anzitutto di un gruppo di semplici sepolture terragne o a cassonecaratterizzate da un corredo costituito da uno o due vasi della caratteristicaCeramica bizantina c.d. tipo Crecchio (Fig. 5)22.

Queste sepolture appaiono distribuite prevalentemente lungo la costa, nellearee rimaste più a lungo sotto controllo bizantino (nn. 1-2, 4-9: Moscufo, Penne,Giuliano Teatino, Crecchio-loc. S. Polo, Frisa, Guastameroli, S. Vito Chietino,Lanciano, Vasto), o lungo quegli itinerari che avevano collegato sino verso la finedel VI secolo i territori bizantini dell’ Adriatico e del Tirreno (n. 3: CastelvecchioSubequo, lungo la Claudia Valeria).

Appare dunque probabile che si trattasse delle inumazioni di gruppi di indi-vidui attivi nell’ambito delle aree rimaste sotto controllo bizantino, forse milita-ri afferenti a milizie mobili di difesa e relative famiglie; non è al proposito adesempio da escludersi che presso il latifondo orbitante sulla grande villa roma-no-bizantina di Casino Vezzani-Vassarella di Crecchio (Fig. 1, n. 80), forse ormaidivenuto demaniale (Agri limitanei)23, fossero stati insediati dei soldati limitaneidi probabile origine egiziana che avevano il compito di difendere lo strategicoentroterra di Ortona, vera capitale bizantina d’Abruzzo24.

Attribuibile allo stesso ambito culturale appare un piccolo gruppo di fibu-le e fibbie rinvenute presso la villa romano-bizantina di Casino Vezzani-Vassarella di Crecchio (Fig. 6) un anello frammentario di fibbia in bronzo chetrova confronti in materiali attribuiti al primo altomedioevo, in particolare lefibbie c.d. “Bizantine” (n. 1); due fibbie in bronzo con decorazione a tacche,una delle quali priva di ardiglione ed ambedue della connessa piastra quan-drangolare, confrontabili con oggetti abbastanza simili da sepolture femmini-li delle necropoli di Rutigliano, S. Giovanni di Cividale, e Trento-piazza

21. STAFFA A.R., I Longobardi in Abruzzo... , pp. 120-150.22. Vedi in proposito da ultimo STAFFA A.R., I Longobardi in Abruzzo ..., pp. 147-148.23. Sul più generale fenomeno degli agri limitanei cfr. RAVEGNANI G., Castelli ..., pp. 150-157.24. Quest’attendibile ipotesi è stata fatta sulla base della presenza presso la villa romano-bizanti-

na di Crecchio di alcuni reperti “diagnostici”: il bacile c.d. copto (Dall’Egitto Copto ..., pp. 40-41); lagià citata ceramica tipo Crecchio con i suoi confronti con materiali dal sito di Kellia, documentataanche da due scarti di produzione in probabile connessione con una fornace di origine ben più anti-ca esistente presso la villa stessa (Ibid., p. 53, fig. 86), dove erano forse andati ad operare ceramisti diorigine egiziana; ed infine la cathedra lignea confrontabile con materiali copti del Museo del Cairo(Ibid., p. 54, figg. 87-88), che si abbina alla presenza di altri reperti lignei e di materiale ligneo semi-lavorato e pronto per essere intagliato, il che sembrerebbe suggerire la presenza in loco anche di arti-giani competenti in questo settore.

Vi si è recentemente aggiunto il riconoscimento di una statuina da una sepoltura coeva nella vici-na valle dell’Arielli (Ibid., p. 60, fig. 105) e di un altro analogo frammento di provenienza genericadal territorio di Crecchio (Ibid., p. 61, fig. 107) come “ushabti”, cioè statuine funerarie di origine egi-ziana (CAPRIOTTI-VITTOZZI G., Ushabti ...), attestate anche da altri esemplari nelle vicine Marche(Carassai, Treia, Sassoferrato, Cupra Marittima, S. Benedetto del Tronto).

Il corredo dalla valle dell’Aielli risulta costituito, oltre che dell’Ushabti, anche di una lucerna(Dall’Egitto Copto ..., p. 60, fig. 103).

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Il Medioevo 221

Duomo (nn. 2-3); ed infine una fibuletta in bronzo raffigurante una colombao un pavone, che trova confronti in un’ ampia classe di fibule zoomorfe dif-fuse nel mondo tardoantico anche nell’ambito dei corredi di necropoli di per-tinenza longobarda, mentre in Abruzzo è sinora attestata solo a Crecchio (n. 4)25.

Accanto a questo primo gruppo di inumazioni dai caratteri culturali forte-mente omogenei sono attestate numerose piccole necropoli di probabile tradi-zione autoctona, o di possibile attribuzione longobarda, di cultura ben differen-ziata e comunque caratterizzate da un vasto patrimonio di usi e costumi tar-doantichi in cui non mancano talora elementi che possono essere attribuiti conmaggiore probabilità ad inumati di stirpe germanica26.

Fra gli elementi di corredo presenti in questi sepolcreti (Fig. 7) sonoparticolarmente diffuse le fibule ad anello (es. nn. 8, 9, 10, da Penne, LoretoAprutino, Brittoli, Ortona, Cupello, S. Buono, Teramo), ma sono attestate anchefibbie con ardiglione (es. n. 7, da Martinsicuro, Penne), spilloni in argento (es. n.3, da Notaresco, Rosciano), armille in bronzo sinora quasi sempre pervenuteci inpessimo stato di conservazione (Martinsicuro, Pescocostanzo, Lanciano), orec-chini a globetti in argento (nn. 1-2, da Notaresco) e a poliedro sempre in argen-to (Rosciano)27.

Si tratta in genere di elementi prevalentemente riferibili all’abbigliamento edall’ornamento personale dei defunti, con una significativa caratterizzazione insenso personale dei corredi, ed una progressiva ormai accentuata riduzione diquegli elementi che avevano contraddistinto nei secoli precedenti corredi di tiporituale; il fenomeno appare ben evidente nei corredi di qualche articolazione dalpiccolo sepolcreto di Notaresco-S. Lucia, ove ad eccezione di un balsamario invetro sono presenti orecchini e spilloni in argento, un pendaglietto di collana edi resti di una collana in vaghi di pasta vitrea (fig. 7, nn, 4, 1-2, 3, 6, 5)28.

Ancora diffusi appaiono al contrario i reperti ceramici nella necropoli diPescocostanzo, ove tuttavia alcuni di tali elementi potrebbero già essereanch’essi riferibili al corredo personale dei defunti (cfr. presenza di vasi dafuoco)29.

Ad un ambito più marcatamente riconoscibile come longobardo appaionoattribuibili due importanti sepolcreti con ogni evidenza collegabili alla necro-poli di Castel Trosino e correlabili alle fasi del confronto fra Bizantini eLongobardi fra Teramano ed alta valle del Tronto, le necropoli presso l’anticachiesa pievana di S. Lorenzo a Civitella del Tronto (Fig. 1, n. 4a) e nella loca-

25. Per la documentazione grafica ed i confronti proposti per questi reperti cfr. STAFFA A.R., ILongobardi in Abruzzo ..., p. 149, fig. 24.

26. Cfr. in proposito Dall’Egitto Copto ...; STAFFA A.R., I Longobardi in Abruzzo ..., pp. 123-144; ID.,Sepolture urbane ..., pp. 161-178.

27. Si rinvia alla dettagliata panoramica edita in STAFFA A.R., I Longobardi in Abruzzo ...28. GIZZI E., Tombe altomedievali ..., pp. 123-144; STAFFA A.R., I Longobardi in Abruzzo ..., pp. 127-128.29. STAFFA A.R., I Longobardi in Abruzzo ..., pp. 137-141; non può al proposito ecludersi la possibile

contemporanea presenza di inumati di discendenza sia autoctona che germanica, specie nell’ambitodi necropoli ubicate in aree già occupate dai Longobardi (es. Notaresco, Pescocostanzo).

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lità Colle Chiovetti di S. Egidio alla Vibrata (n. 4b), i cui reperti sono andatipurtroppo dispersi.

Fra essi ricordiamo oggetti di rilevante importanza quali “una borchia d’oroa decorazioni filigranate del genere di quelle longobarde apparse nella necropo-li di Castel Trosino” da S. Egidio alla Vibrata30, “un bacile di rame, due anellid’oro”, alcune monete d’oro di probabile pertinenza bizantina, alcuni pendentidi collana in oro ed altri reperti di nobile consistenza da Civitella del Tronto31.

Significativa testimonianza di probabile appartenza etnica appare la presen-za anche di pettini in osso lavorato con tipica decorazione a cerchi concentrici elinee parallele (Figg. 8-9; da Rosciano, Corfinio, Loreto Aprutino), fra cui devericordarsi l’eccezionale esemplare ad una sola fila di denti, manico e decorazio-ne ad archetti dalla basilica paleocristiana di Colle Fiorano a Loreto Aprutino(Fig. 9)32, che trova confronti con un gruppo di pettini non comuni presenteanche a Castel Trosino e documentato per tutto il VII secolo in contesti di evi-dente pertinenza germanica33.

Non appare al proposito casuale il rinvenimento nell’ambito della stessanecropoli di Colle Fiorano di un elemento di guarnizione di cintura in ferro acinque pezzi longobarda con decorazione in agemina34, nonché la presenza nellaCollezione Casamarte oggi esposta presso l’Antiquarium di Loreto Aprutino diuna fibula a cavallino e di altre fibule ad anello e a soggetto animalistico, conogni evidenza provenienti da un altro sepolcreto ubicato anch’esso nel com-prensorio di Colle Fiorano, quello di S. Maria delle Grazie-Cappuccini35.

Ben diciannove inumazioni da questo secondo gruppo di sepolcreti, in parti-colare dalle necropoli di Martinsicuro (Fig. 1, n. 1), S. Giovanni in Venere aFossacesia (n. 85), Archi - loc. S. Angelo (n. 108), S. Benedetto dei Marsi (n. 22),ed una sepoltura dal piccolo sepolcreto di S. Vito Chietino-Murata Bassa (n.83)36, sono state sottoposte nel 1999 ad articolate analisi sia paleobiologiche37 siasoprattutto genetiche, con particolare attenzione centrata sul patrimonio eredi-tario del DNA mitocondriale38; sono state nel contempo condotte analisi analo-

30. A.S.A.A., Nota del 9/8/1907 del direttore del Museo Archeologico Nazionale delle Marche allaDirezione Generale AA.BB.AA., edita in STAFFA A.R., L’Abruzzo fra tarda antichità ..., p. 815.

31. Sui due sepolcreti e gli oggetti di corredo dalle loro sepolture cfr. STAFFA A.R., L’Abruzzo fra tarda anti-chità ..., pp. 814-815; ID., Un quadro di riferimento ..., pp. 105-109; , ID., I Longobardi in Abruzzo ..., pp. 121-122.

32. BROGIOLO G.P. - GELICHI S., in Loreto Aprutino, pp. 70-71, fig. 163.33. PAROLI L., La necropoli di Castel Trosino ..., p. 103, con bibliografia precedente citata alla nota 36;

un esemplare con analoga rara decorazione ad archetti è segnalato in SICHLER S., Zwischen alamanni-schen ..., pp. 219-224, pp. 221-222, fig. 4.

34. BROGIOLO G.P. - GELICHI S., in Loreto Aprutino ..., p. 71.35. STAFFA A.R., in Loreto Aprutino ..., pp. 74-78, figg. 179/182.36. Cfr. una descrizione dei sepolcreti in STAFFA A.R., I Longobardi in Abruzzo ..., pp. 33-42.37. CAPASSO L. et al., Paleobiologia dei Longobardi in Abruzzo ...38. MARIANI-COSTANTINI R. et al.,Genetica di scheletri umani ...; tutti gli individui scheletrici sotto-

posti ad esame hanno infatti dato risultato positivo per la presenza di DNA mitocondriale analiz-zabile a livello di sequenza (Ibid., p. 120); si rinvia ovviamente a questo importante contributo perun esame tecnico delle problematiche delle analisi.

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ghe su un campione di ben 50 individui viventi dall’area di Tocco da Casauria,nell’alta valle del Pescara, sul quel versante settentrionale della Maiella ove lefonti storiche ed i dati toponomastici sembrano suggerire un consistente stan-ziamento longobardo a partire dalla fine del VI secolo.

Riprendendo per illustrare l’interesse della ricerca le parole di R. Mariani-Costantini “i risultati delle indagini genetiche indicano una forte discontinuitànella linea dell’eredità materna tra gli individui riferibili ai contesti archeologi-ci” esaminati “e gli individui attuali. Nonostante l’elevato grado di eterogeneitàè sorprendente notare che solo una variante nucleotidica presente nel campionedi popolazione antica, corrispondente al nucleotide 16362 di HVRI, era rappre-sentata nel campione attuale. Tuttavia la sequenza di riferimento di Anderson etAl. (1981) aveva una frequenza del tutto simile nella popolazione antica ed inquella attuale, analogamente a quanto riscontrabile in diverse popolazioni euro-pee attuali. La spiccata eterogeneità delle sequenze mitocondriali osservate nelcampione di popolazione attuale suggerisce che nel popolamento umano attua-le abruzzese non vi sia alcuna evidenza di “effetto fondatore”. In altre parole ilpopolamento attuale è compatibile con la stratificazione di apporti geneticimaterni di origine diversa, il che non esclude ovviamente un possibile apportodi origine longobarda. Ai fini della ricostruzione del popolamento umanoabruzzese il dato sorpendente e significativo emerge dallo studio del campioneantico. Infatti, individui scheletrici provenienti da siti archeologici distinti, equindi non riferibili a tombe familiari, mostrano una notevole convergenza alivello della sequenza mitocondriale, particolarmente per quel che riguarda lacondivisisone di varianti di sequenza del tutto differenti da quelle rappresenta-te eterogeneamente nel campione di popolazione attuale. I suddetti individuischeletrici potrebbero quindi essere riferibili ad un nucleo di popolamentocomune, con “effetto fondatore” materno e discendenza materna ancestralmen-te comune. Un effetto fondatore sarebbe compatibile con l’effettiva origine “lon-gobarda” degli scheletri studiati39.

Arrivano ora le conclusioni veramente fondamentali di Mariani-Costantini:“sulla base dei risultati disponibili appare ipotizzabile che la popolazione anti-ca derivi sostanzialmente da due linee materne, di cui una rappresentativa dellasequenza di riferimento europeo” e dunque riconoscibile come caratteristicadelle popolazioni autoctone, e “l’altra di una sequenza variante ai nucleotidi16093, 16298 e forse 16327”; un siffatto patrimonio genetico trova attualmenteconfronti solo in gruppi di popolazione dell’Asia centrale40, il che non appareaffatto casuale se si considera che fra i nuclei di altre popolazioni inglobate daiLongobardi al momento dell’invasione italiana erano popoli di origine asiaticacome Avari e Bulgari41.

39. MARIANI-COSTANTINI R. et al.,Genetica di scheletri umani ..., pp. 124-125.40. ID., p. 125.41. HL, I, 27; V, 29.

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Comprese in questo campione, assumendo come punto di riferimento persicurezza solo la contemporanea presenza di varianti nei nucleotidi 16093, 16298(con sostituzione della citosina alla timina), sono le tombe nn. 6, 8, 9 di Archi, letombe nn. 4, 9 di Fossacesia, le tombe nn. 5-6 di Martinsicuro; le tombe n. 8 diArchi, n. 4 di Fossacesia, e la n. 5 di Martinsicuro presentano perdipiù anche lavariante al nucleotide 16327 (con sostituzione della timina alla citosina).

Le più antiche appaiono con evidenza le inumazioni di Martinsicuro, ove letombe nn. 5-6 (femminile e maschile, età 10-20, 35-45) facevano parte del sepol-creto insediatosi verso la fine del VI secolo nell’ambito dei resti del quartierecommerciale ormai abbandonato, sepolcreto privo di importanti elementi di cor-redo a parte una semplice armilla proprio dalla tomba 5 ed una fibbia sporadi-ca con ardiglione42; questo gruppo di sepolture era stato originariamente attri-buito in via d’ipotesi ad un un nucleo di popolazione autoctona, e la sua perti-nenza andrebbe dunque rivista, venendo così a confermare la cronologia del-l’occupazione di Castrum Truentinum e dalla bassa Valle del Tronto in preceden-za indicata.

Alle fasi di VI-VIII secolo appare databile la tomba n. 4 di Fossacesia, anch’es-sa maschile, con ogni evidenza connessa al primitivo luogo di culto di S.Giovanni, mentre databile fra VIII e IX secolo appare il nucleo più antico delsepolcreto in cui sono comprese le tombe nn. 6, 8, 9 di Archi (6: femminile, età25-30; 8: maschile, età 25-30), anch’esso connesso ad un luogo di culto, la chiesadi S. Angelo.

La tomba n. 9 da Fossacesia (femminile, età 20-30), databile fra fine X e XIIsecolo, appare infine successiva alla fondazione dell’abbazia di S. Giovanni inVenere del 972, confermando se ve ne fosse ancora bisogno l’importante ruolosvolto dall’aristocrazia locale di origine longobarda nella fondazione dell’im-portante complesso monastico43.

Analizzando i caratteri cranici di questo gruppo di sepolture emergono iseguenti elementi:

– sostanziale assenza della sutura metopica, presente solo nella t. 6 daMartinsicuro, elemento che potrebbe apparire distintivo in quanto risulta al con-trario ben diffuso nel resto del campione antico preso in esame44;

– attestazione di una certa rilevanza della incisura mediale sopraorbitaria

42. STAFFA A.R., I Longobardi in Abruzzo ..., pp. 123-124, fig. 3; è confrontabile anche con materialidalla necropoli di Castel Trosino, cfr. MENGARELLI R., La necropoli barbarica ..., col. 207, fig. 48, e daAscoli Piceno, cfr. PROFUMO M.C., Le Marche in età longobarda ..., p. 167, fig. 128

43. In merito a questa sepoltura i risultati delle analisi paleobiologiche creano qualche problema,in quanto vi risultano ricompresi ben tre individui (tomba 9, ind. A, B, C, cfr. CAPASSO L. et al.,Paleobiologia dei Longobardi in Abruzzo ..., tabelle alle pp. 82-88), mentre in realtà la documentazionearcheologica relativa allo scavo documenta la presenza di un solo inumato, e per di più in connes-sione anatomica, sia pur privo di alcune ossa (STAFFA A.R., I Longobardi in Abruzzo ..., p. 38), e ad unsolo individuo fanno riferimento anche le analisi genetiche (MARIANI-COSTANTINI R. et al.,Genetica discheletri umani ..., tabella a p. 121).

44. CAPASSO L. et al., Paleobiologia dei Longobardi in Abruzzo ..., p. 79.

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(ampia nella t. 9, A-C da Fossacesia e nella t. 8 da Archi, tipo prevalente anchenel resto del campione preso in esame45; acuta nella t. 6 da Martinsicuro);

– attestazione di una certa rilevanza dell’apertura orbitaria quadrata (t. 6 daMartinsicuro; tt. 6, 8 da Archi), peraltro largamente prevalente nell’intero campione;

– attestazione di una certa rilevanza della configurazione dei seni frontali aventaglio (t. 6 da Martinsicuro; t. 9, A-C da Fossacesia; t. 8 da Archi);

– diffusa presenza infine del forame mentoniero singolo (t. 4 daMartinsicuro; t. 9, B-C da Fossacesia; tt. 6, 8 da Archi), mentre non appaionorilevanti i dati relativi ai seni nasali46.

Scarsamente significativi sinora appaiono infine i dati relativi agli aspettiorbitari ed al connesso uso delle misure e degli indici orbitari, una volta rap-portati al limitato gruppo di sepolture caratterizzate dalle succitate variantigeneriche, panorama che non appare in alcun modo per il momento ampliabilesulla base di valutazioni derivanti dall’esame dell’intero campione47, tanto chepossibili interpretazioni dovranno per forza di cose attendere l’allargamento delcampione preso in esame.

La persistenza dei Bizantini nel Molise sino alla fine del VI secolo

Strettamente connessa alla vicende abruzzesi sin qui riepilogate appare frala seconda metà del VI e la prima metà del VII secolo anche la situazione delMolise, come appare ricostruibile sulla base delle numerose ricerche archeo-logiche condotte negli ultimi anni, fra cui soprattutto importanti quelle di V.Ceglia, G. De Benedittis, la British School at Rome, e l’attività del grande can-tiere archeologico di S. Vincenzo al Volturno (Fig. 10)48.

In considerazione della già ricordata presenza bizantina lungo la ClaudiaValeria, la via degli Abruzzi ed a Venafro sino al 595 non appare casuale che nelgià citato elenco dei castra menzionati da Giorgio Ciprio compaia anche un

45. Ibidem.46. Come elemento che deve comunque indurre ad una certa cautela si noti che “i caratteri mag-

giormente rappresentati nella popolazione moderna risultano essere: la sutura metopica assente,l’incisura sopraorbitaria ampia, il forame mentoniero singolo, ed i seni frontali a ventaglio” (CAPASSOL. et. al., Paleobiologia dei Longobardi in Abruzzo ..., p. 79), anche se “l’incisura mediale sopraorbitariadi tipo ampio, pur rimanendo la più frequente, sembra non caratterizzare in modo così evidente lapopolazione attuale” (ibid.).

47. Eccessivamente ottimiste in proposito appaiono le valutazioni di Gallenga e Ciancetta inGALLENGA P.E. - CIANCETTA C., Studio antropometrico-oculistico ..., p. 113; nella definizione del titolo delloro contributo, Studio antropometrico-oculistico su campione di soggetti “longobardi”, si devono pertan-to sottolineare le virgolette, in quanto gli autori non hanno tenuto conto nell’esame del materialedella ben più prudente valutazione sul carattere dei vari sepolcreti presi in esame, fatta circolaredallo scrivente con apposita informativa fra i partecipanti al progetto coordinato dal Museo delleGenti d’Abruzzo (cfr. STAFFA A.R., I Longobardi in Abruzzo ..., pp. 28-31).

48. Una prima sintesi sulle considerazioni presentate in questa sede è stata già pubblicata inSTAFFA A.R., Una terra di frontiera ..., pp. 196-201.

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Kástron Sámnion49, evidente testimonianza della persistenza di presidi bizantinianche nel Sannio sino alla fine del VI secolo.

L’ubicazione di tale piazzaforte ha dato luogo ad un serrato dibattito, in quan-to una città antiquitate consumpta Samnium, a qua tota provincia nominatur è menzio-nata anche da Paolo Diacono50, mentre nel territorio di Isernia era compreso anchel’insediamento antico esistente sul sito dell’abbazia di S. Vincenzo al Volturno (fig.10, n. 123)51, che risulta ubicata prima della metà del IX secolo in finibus Samnie52, poisino alla metà del X secolo in partibus Samnie territorio beneventano o in loco Samnie53,ed infine verso la fine del X secolo in Castello Samnie54.

A. La Regina ha tuttavia evidenziato come nelle fonti di VI-VII secolo il topo-nimo derivi da un Sampnium che compare nel Catalogum provinciarum Italiae,probabile corruzione paleografica da Saepinum, ben ricostruendo anche la tras-lazione del topos della città in rovina da Floro a Iordanes ed infine in PaoloDiacono55.

Che a Saepinum (fig. 10, n. 124a) i Bizantini avessero rioccupato precedentistrutture di difesa gote appare anzitutto suggerito dal rinvenimento avvenuto inpassato di una fibula in bronzo ad anello aperto con iscrizione, relativa ad unAoderada riconosciuto come comandante militare goto (Fig. 11), forse passato poial servizio dei Bizantini non diversamente da quel Pizza, che nel fondamentaleInverno 538-539 si era trasferito sotto il comando imperiale con le sue truppe elarga parte dei presidi del Sannio marittimo orbitante sul Sangro56.

Significativa appare anche la consistente rioccupazione tardoantica e postan-tica dell’area del primitivo abitato sannita sul colle di Terravecchia (Fig. 10, n.124b): il sito, ubicato in posizione d’altura difesa da una possente cinta fortifica-

49. GIORGIO CIPRIO, p. 52, n. 565.50. HL, II, 20; HL, II, 9.51. Vi sono state infatti rinvenute alcune epigrafi con la menzione di seviri aesernienses (PANTONI

A., Le chiese e gli edifici ..., pp. 128-141), cfr. DE BENEDITTIS G., Considerazioni ..., p. 27, nota 29.Trattasi probabilmente di un vicus fra età repubblicana e prima età imperiale, e di una villa nellatarda antichità (cfr. HODGES R., Excavations at S. Vincenzo ..., pp. 491-92).

52. CV, I, 154,4; I, 296,22; I, 141,9, oppure in Samnii Provincia. 53. Vedi citazioni del CV in DE BENEDITTIS G., Considerazioni ..., p. 28, nota 33. 54. CV, II, 242,18, 304,24, 307,21 310,7, III, 84,3). Vedi in proposito PETROCCIA D., Il problema ...,

PATTERSON J.R., A city ... Cfr. tuttavia LA REGINA A., Dalle guerre sannitiche ... (p. 34), che identifica ilCastellum Sampnie con S. Vincenzo al Volturno e Rocchetta.

55. LA REGINA A., Dalle guerre sannitiche ..., pp. 33-34, riferimenti a Catalogus Provinciarum Italiae,MGH, SRL, 189; FLORO, I, 11,8; IORDANES, Rom., 144, MGH.

56. Cfr. COARELLI F. - LA REGINA A., Abruzzo-Molise ..., p. 228; Samnium 1991, p. 355, f. 84; la fibula pre-senta puntualissimi confronti con altri quattro analoghi esemplari rinvenuti nel Sannio, in Apulia ed inLucania, che presentano una dedica Lupu biva, relativa ad un Lupus riconosciuto come comandante mili-tare bizantino che doveva aver prestato servizio sotto Belisario o Narsete. La coincidenza di strutturedifensive gote e bizantine a Saepinum potrebbe trovare origine nel passaggio di comandanti militari gotia servire con i Bizantini, analogamente a quel Pizza che verso il 538-39 passava con Belisario portandocon sè una buona metà del “Sannio marittimo fino al fiume che corre in mezzo a quella regione”, pro-babilmente il Sangro (PROCOPIO, Bellum Goticum, V, XV, 1; DE BENEDITTIS G., Considerazioni ..., p. 26).Un'altra fibula gota proviene da Campomarino (DE BENEDITTIS G., Il territorio di Rotello..., 42-43, fig. 3).

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ta italica in opera poligonale, si prestava ad essere difeso ben più efficacementedel municipio d’età romana nella pianura sottostante57, e potrebbe dunque esse-re riconosciuto in via d’ipotesi come sede del castrum d’età bizantina58.

Una situazione analoga è forse ipotizzabile anche a Bovianum (Fig. 10, n. 125),ove l’abitato era ubicato in basso lungo la strada Isernia-Benevento, mentre l’a-cropoli era situata in posizione strategica sulla soprastante altura nota con ilsignificativo nome di Civita, e vi si conservarono consistenti strutture difensiveanche in età medievale 59.

Un siffatto riassetto difensivo del popolamento nell’area dovette tradursi nel-l’esito finale della crisi dell’ assetto romano dei due centri, crisi con ogni eviden-za già avviatasi agli inizi della tarda antichità60, anche se appare difficile che lapresenza bizantina nell’area si fosse comunque protratta molto oltre il 590-595,in quanto proprio da questa zona e dalle alte valli del Biferno e del Trigno dovet-te progressivamente svilupparsi la penetrazione longobarda nell’interno delChietino e nelle aree costiere del Molise 61.

57. Per l'abitato di Terravecchia cfr. COARELLI F. - LA REGINA A., pp. 226-28; vi sono attestate ben trechiese, S. Martino, S. Nicola, e S. Vito, a testimonianza della persistenza di forme di popolamentonell'area anche in età altomedievale.

Si noti inoltre che in età medievale fra Abruzzo e Molise il toponimo Terra Vecchia sta ad indica-re attendibilmente in varie situazioni quello che era stato l'assetto del relativo centro urbano fratarda antichità ed altomedioevo. Si notino infatti Terravecchia ad indicare l'ormai quasi dirutoCastrum S. Flaviani, l' antico Castrum Novum (PALMA N., Storia della città ...., I, p. 66); Terra vecchia adindicare l'area dell'abitato antico nei pressi della pieve altomedievale di S. Stefano a Civita d'Antino(STAFFA A.R., Una terra di frontiera ..., p. 195); Terra vecchia ad indicare l'area dell'abitato bizantino adOrtona (I Bizantini in Abruzzo ..., p. 17); Lanciano Vecchia a circoscrivere l'area del municipio roma-no come fortificato dai Bizantini nel VI secolo a a Lanciano (I Bizantini in Abruzzo ..., p. 19).

Il fenomeno è diffuso anche in ambito rurale, ove l'aggettivo "vecchio sembra definire fasi alto-medievali di riassetto in situ o quasi in situ di preesistenti abitati antichi (STAFFA A.R., Abruzzo tratarda antichità ..., pp. 841-42, vari esempi dal Teramano, Cellino Vecchio, Castilenti Vecchia, S.Egidio Vecchio, ed anche Mutignano Vecchio nei pressi di Atri).

58. Un progressivo spostamento degli equilibri dell'insediamento d'età imperiale verso l'anticosito italico ben più agevolmente difendibile sembrerebbe forse addirittura risalire ad epoco tar-doantica, ed essere dunque precedente gli ultimi decenni del VI secolo, come segnalato proprio inquesta sede da M. Matteini-Chiari; segno di ciò potrebbe infatti risultare la progressiva nettissimaripresa d'importanza dell'area dell'antico tempio italico di Cantoni, ubicata proprio fra Saepinume la Terravecchia che, dopo un semiabbandono fra I e III secolo d.C., ritorna ad essere intensa-mente frequentata dal IV e soprattutto fra V e VI secolo d.C., come testimoniano chiaramente irinvenimenti numismatici; significativa a S. Pietro di Cantoni appare anche la presenza di lucer-ne africane ed imitazioni dal IV agli inizi del VII secolo, con una decisa prevalenza delle imitazionisugli originali (26 su 40), a differenza di Saepinum ove prevalgono gli originali, probabilmente diepoca più antica.

59. COARELLI F. - LA REGINA A., Abruzzo-Molise ..., p. 193, 196: DE BENEDITTIS G., Bovianum ed il suoterritorio ...

60. Ne appaiono una significativa testimonianza gli scavi condotti dalla collega V. Ceglia nell’am-bito dei collettori fognari di Saepinum, scavi che hanno restituito numerosissimi reperti databili frafine III ed inizi IV secolo d.C., che testimoniano come fosse già andata in crisi all’epoca la stessa retefognaria della città.

61. STAFFA A.R., Una terra di frontiera ..., pp. 196-200.

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I bizantini dovettero sino al 595 conservare il controllo, oltre che di Venafro,anche di Isernia (Fig. 10, n. 122)62, in considerazione della posizione strategicadella città sul tracciato della summenzionata via degli Abruzzi proprio in dire-zione di Venafro e della costa tirrenica, alla diramazione di altri itinerari versola costa adriatica lungo la valle del Trigno, e verso il meridione passando daBoiano.

Non appare al proposito casuale il recente rinvenimento avvenuto nell’am-bito della necropoli altomedievale presso la Cattedrale di Isernia, segnalato daCristina Terzani proprio in occasione del convegno (vedi in questa sede), di unframmento di fiasca in ceramica tipo Crecchio della caratteristica forma IX,nelle varianti “a” oppure “c”, che trova puntualissimi confronti con materialidalla villa romano-bizantina di Casino Vezzani-Vassarella di Crecchio (Fig.12), e sembra segnalare la presenza anche nel Molise interno delle caratteristi-che inumazioni con corredo di questa classe ceramica così diffusanell’Abruzzo costiero.

A presidi bizantini dell’itinerario che proprio dalla piana di Bojano lungo lavalle del Biferno discendeva verso il mare ed alle vicende connesse alla lorooccupazione da parte longobarda appaiono con ogni evidenza riferibili le fasipiu tarde di occupazione di due abitati romani a Castropignano (Fig.10, n. 126),e a Casalpiano di Morrone del Sannio (n. 135)63.

Nel primo caso un abitato fortificato sul sito di una grande villa romana, cheassocia significativamente ben prima dell’incastellamento il termine castrum ed ilprediale Pinianum, appare interessato da forme di occupazione longobarda tradot-tesi anzitutto nella presenza nel corredo di una sepoltura di due orecchini a cestel-lo con ogni evidenza databili fra primo e secondo trentennio del VII secolo64 e poinell’acquisizione dello stesso Castrum per evidenti esigenze difensive nel demaniodei duchi di Benevento65, non diversamente dal citato e non lontano caso abruzze-se dell’antico castrum bizantino noto come Kastron Reunia-Rahone presso Vasto,(vedi infra); non appare poi casuale che in ambedue i casi i duchi di Benevento fon-dino all’interno dei castra due monasteri, dotandoli con ogni evidenza con i beni

62. Anche questo centro urbano doveva aver conservato notevole vitalità anche nella prima metàdel VI secolo.

63. DE BENEDITTIS G., Crisi e rinascita ..., p. 354, figg. 71-75; BLOCH H., Montecassino ..., pp. 276-77. Ilcomplesso appare sede di un esteso latifondo tardoantico, a cui si correla l’epigrafe di una AniciusGaionas (CIL, IX, 746), con ogni evidenza liberto o cliente dell’illustre famiglia senatoriale degli Anicii.

64. DE BENEDITTIS G., Considerazioni ..., p. 104, li data fra fine del VI e primi decenni del VII secolo;per il tipo rinvia a VON HESSEN O., in I Longobardi, 1990, p. 205, fig. IV.89; da ultimo cfr. POSSENTI E.,Gli orecchini a cestello ..., pp. 41, 94, n. 91, tav. XXXV, nn. 3-4; si noti che gli orecchini a cestello sonoportati dalle donne longobarde solo dopo il loro arrivo in Italia e sono derivati da tipi tardoantichidiffusi fra la popolazione romana.

65. CV, II, 16, 10-15 menziona Castrum Pinianum nei cui pressi era infatti ubicato, anche qui nondiversamente dal monastero di S. Stefano di Rahone a Vasto, un cenobio forse fondato dagli stessiduchi (come S. Stefano) e poi donato all’abbazia volturnense con i suoi beni dalla duchessaTeodorada e dal duca Gisolfo suo figlio.

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acquisiti sul posto durante le stravolgenti vicende della conquista66.Appare dunque probabile che anche a Castropignano preesistessero al castrum

longobardo stutture difensive d’epoca bizantina ubicate a presidio dello strategicotracciato della strada di fondovalle Biferno e degli accessi all’Adriatico, poi occu-pate da gruppi di Longobardi che discendevano la valle dopo la caduta di Bojano.

Anche nel caso di Casalpiano forme di occupazione altomedievale interessanoun esteso complesso antico, ubicato su un’ampia area pianeggiante di media colli-na, sviluppatosi dall’età repubblicana e probabile sede di un grande latifondo tar-doantico, presso cui risulta probabilmente attestato epigraficamente anche un liber-to della celebre famiglia senatoriale tardoantica degli Anicii67; alle fasi più tarde dioccupazione del complesso appaiono riferibili numerose sepolture che vanno adinvadere la parte principale della villa in probabile connessione con i resti di un edi-ficio di culto absidato, secondo gli scavatori dopo la Guerra Gotica68, e che indicanocomunque non l’abbandono ma la persistenza sul sito di un popolamento con ognievidenza autoctono, fortemente vessato sia patologicamente che nutrizionalmente69.

Fra gli elementi di corredo sono segnalati un gran numero di fibule ad anel-lo aperto e chiuso, confrontabili in zona con reperti da Vastogirardi (n. 137) e daCupello (Fig. 1, n. 96)70, e con numerosi altri analoghi oggetti dall’Abruzzosegnalati in precedenza (Fig. 7), un tremissis d’oro di Giustino II71, e soprattuttoun’olletta monoansata appartenente alla caratteristica produzione d’età bizanti-na denominata Ceramica tipo Crecchio, così ben diffusa nel vicino Abruzzo72,

66. L’importanza strategica di questi insediamenti monastici per la sicurezza del ducato era statagià a suo tempo sottolineata, proprio con riferimento al caso di Castropignano, in DE BENEDITTIS G.Crisi e rinascita ..., p. 327, nota 21; sulle problematiche del progressivo passaggio di tanti beni prove-nienti dalle classi dirigenti longobarde locali ai grandi centri monastici fra VIII e IX secolo, e sull’u-tilità di uno studio di tali beni monastici per ricostruire le vicende della conquista e successivo stan-ziamento del popolo germanico cfr. STAFFA A.R., I Longobardi in Abruzzo ..., pp. 152-159, con biblio-grafia precedente e particolarmente con l’eloquente caso dei beni dell’abbazia di Montecassino nelvicino Chietino (pp. 152-155), cfr. anche KURZE W. - CITTER C., La Toscana ... per la Toscana, e da ulti-mo STAFFA A.R. -PANNUZI S., Una fonte per la ricostruzione ... per il Teramano.

67. CIL, IX, 746, M. Anicius Gaionas.68. Vedi da ultimo TERZANI C., in questa sede; sono state sinora scavate ben 76 sepolture, andate-

si ad insediare all’interno del complesso termale della villa e nelle sue adiacenze; nei corredi sonoattestate in gran numero fibule ad anello aperto o chiuso, simili a tanti esemplari dall’Abruzzosegnalati in questa sede (vedi fig. 7).

69. Questo è apparso evidente dai risultati delle analisi antropologiche sul sepolcreto, presentate inquesta sede da RUBINI M. Su Casalpiano vedi da ultimo DE BENEDITTIS G., Il territorio di Rotello ...., p. 42.

70. Samnium 1991, p. 354, f. 71, e relativi confronti proposti; più che un anello di fibbia sembra tut-tavia una fibula ad anello, per cui vedi un puntualissimo confronto anche per la linea mediana zigri-nata in I Bizantini in Abruzzo..., p. 25, fig. 22

Per il reperto da Vastogirardi cfr. CAPINI S., Vastogirardi, sepolture altomedievali ...., pp. 126-127. 71. Samnium 1991, p. 354, f. 75. 72. Samnium 1991, p. 354, f. 72, cfr. per la decorazione STAFFA A.R., Le produzioni ceramiche in Abruzzo

..., decoro A6, tipo IIIa; oltre all’esamplare qui proposto (fig. 3) un altro confronto puntuale anche per iltipo di orlo è con un altro analogo esemplare da una sepoltura del territorio di Lanciano conservato pres-so il Museo Archeologico Nazionale di Chieti (STAFFA A.R., Abruzzo fra tarda antichità ..., p. 822, nota 311).

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230 I Beni Culturali nel Molise

tanto che si può presentare in questa sede un puntuale confronto dalla villaromano-bizantina di Crecchio (Fig. 13).

Se a ciò si aggiunge il fatto che nell’ambito dell’abitato, sopravvissuto anchein età altomedioevale, sono attestate due chiese fra cui quella dal significativotitolo di S. Apollinare di Casalpiano73 titolo attestato lungo la costa abruzzesepresso l’analogo castrum anch’esso risalente ad età bizantina di Collebono a suddi Vasto ed in un altro insediamento lungo la Flaminia adriatica a sud diHortona74, appare probabile che il sito fosse stato oggetto di forme di occupazio-ne bizantina correlabili non diversamente da Castropignano all’esigenza di pre-sidiare la media valle del Biferno.

Appare dunque probabile che nonostante la caduta di Venafro, di Saepinum,del Kastron Samnion presso Sepino, e di Isernia verso il 595 i Bizantini avesserotentato per qualche tempo anche in Molise di sbarrare l’accesso dei Longobardidi Benevento alla costa, mediante forme di controllo delle principali valli fluvia-li; il popolo germanico dovette comunque dilagare nella zona degli AltopianiMaggiori d’Abruzzo per poi avviare una lenta discesa delle valli abruzzesi emolisane che conducevano all’Adriatico, in particolare attraverso la Forca diPalena e la valle dell’Aventino e le altre valli del Sangro75, del Trigno e delBiferno, con una lenta compressione dei Bizantini nei centri fortificati dellacosta (Pescara, Ortona, Lanciano, Vasto, Larino).

Appare anche probabile che in questa fase i confini del ducato di Beneventofossero stati espansi attraverso la zona di Pacentro ed il Guado di S. Leonardosino al fiume Pescara in corrispondenza delle Gole di Popoli, mentre sin qui pro-seguiva da nord anche la penetrazione dei Longobardi di Spoleto lungo il trac-ciato della via Claudia Nova da Amiternum sino alla confluenza fra Tirino edAterno (Fig. 1).

In Abruzzo la presenza bizantina dovette così progressivamente ridursi, anchein conseguenza degli avvenimenti molisani, alla costa chietina ed alla bassa ValPescara, mentre andava avviandosi anche il progressivo stanziamento longobardonelle aree interne del Pescarese ed anche in parte della bassa valle del Pescara.

Un’analoga progressiva riduzione della presenza bizantina solo ai centriurbani anche dell’adiacente costa chietina e molisana e a pochi lembi di territo-rio fra essi articolati appare ricostruibile per tutta la prima metà del VII secolo;tale presenza venne probabilmente a concludersi in occasione del fallito tentati-

73. DE BENEDITTIS G., La necropoli di Casalpiano ..., p. 346; BLOCH C., Montecassino ..., pp. 276-77. 74. Cfr. STAFFA A.R., Abruzzo: strutture portuali ...; ID., La via Flaminia ...75. Appare curiosa proprio nella media valle del Sangro la presenza in un punto strategico a con-

trollo della viabilità che discendeva la valle dell’abitato di probabile toponomastica bizantina diArke, poi Archi, ove è attestato il luogo di culto dal significativo titolo di S. Angelo presso cui è statascavata la necropoli già presa in esame (FAUSTOFERRI A. - TULIPANI L., Un insediamento altomedievale ...;STAFFA A.R., I Longobardi in Abruzzo ..., pp. 38-40); nella zona è attestata anche la presenza di una Fara(STAFFA A.R., I Longobardi in Abruzzo ..., p. 153), e la chiesa risulta anch’essa passata nel 1053 (nondiversamente di citati monasteri di Castropignano e S. Stefano in Rahone) fra le proprietà di un altromonastero, quello di S. Stefano in Rivo Maris a Casalbordino.

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vo di riconquista dell’Italia meridionale da parte di Costante II (657-672), cometestimonia eloquentemente Paolo Diacono nel riferire che le truppe del Re lon-gobardo Grimoaldo, accorse in aiuto del figlio duca Romualdo assediato daiBizantini a Benevento, erano andate ad attestarsi proprio sul fiume Sangro nellaloro marcia di avvicinamento alla capitale del ducato con ogni evidenza percor-sa lungo il tracciato dell’ antica via litoranea76; deve dunque supporsi che fosseormai avvenuta la definitiva occupazione degli ultimi centri urbani ancora con-trollati dai Bizantini nella zona, proprio su quell’asse viario orbitanti.

Con la seconda metà del VII secolo l’intera area degli attuali Abruzzo eMolise appare ormai “normalizzata” e divisa fra i due ducati longobardi diSpoleto e Benevento, in un momento in cui doveva essere ormai avviata datempo la progressiva romanizzazione di quei gruppi di Longobardi, pochi eprobabilmente sparsi, che erano giunti nell’area.

Le conseguenze dell’invasione longobarda in Molise

Segno della devastante crisi del quadro insediativo dell’area indotta dallevicende della conquista appare anzitutto il sostanziale venir meno delle nume-rose diocesi attestate nel Sannio fra V e VI secolo (Aufidena, Allifae, Bovianum,Saepinum, Telesia, Aesernia)77, tanto che alla fine del VI secolo Gregorio Magno eracostretto ad incaricare un defensor di prendersi cura del patrimonio ecclesiaticonel Sannio, con un atto che appare chiara testimonianza dell’ormai avvenutovenir meno della presenza imperiale nella zona78.

Esemplificative di quanto andava accadendo appaiono le singolari vicendedella diocesi tardoantica di Aufidena, ubicata sul sito del municipium tardore-pubblicano ed imperiale di Aufidena oggi noto come Castel di Sangro ed indica-to come Aufidiana Civitas ancora negli anni 494-95 (Fig. 1, n. 30)79; la diocesidovette infatti tornare in un momento imprecisabile fra fine V e VI secolo sul sitodell’antico abitato italico connesso alla celebre necropoli (n. 31), tanto da ricon-durvi il toponimo80, per poi spostarsi ulteriormente a Terventum (Trivento) inMolise, ove appare già stabilita nel X secolo81.

76. HL, V, 7-8. Sulle conseguenze dell’invasione di Costante II in Molise cfr. DE BENEDITTIS G., Ilterritorio di Rotello ..., pp. 43-44.

77. Sulle prime cinque cfr. LANZONI F., Le diocesi d’Italia ..., I, pp. 377-79; per Aesernia cfr. DEBENEDITTIS G., Crisi e rinascita ..., p. 327, che riferisce a questo centro la menzione di un Marcus epi-scopus ecclesiae Samninae presente fra i vescovi del concilio di papa Simmaco, ricordando anche lasicura menzione di un vescovo nell’843.

78. Gregorii Magni Registrum Epistularum ..., IX, 43, 198; DUCHESNE L., Les eveches d’Italie ..., p. 92; cfr.DE BENEDITTIS G., Considerazioni ...., pp. 26-27, nota 24; vedi anche ID., Il territorio di Rotello ..., p. 42.

79. Regesta pontificum ... IV, p. 265; LANZONI F., Le diocesi d’Italia ..., I, p. 378; BALZANO V., La diocesi..., , pp. 463-69.

80. COARELLI F. - LA REGINA A., Abruzzo-Molise ..., pp. 260-61; STAFFA A.R., Le città dell’Abruzzo anti-co ..., pp. 163-214; COARELLI F. - LA REGINA A., Abruzzo-Molise ..., pp. 262-63.

81. LANZONI F., Le diocesi d’Italia ..., I, p. 379.

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Non diversamente dall’Abruzzo le tracce archeologiche di questi accadimen-ti si sono rivelate ben evidenti nel corso di recenti scavi condotti in ambito urba-no, anzitutto quelle dirette da M. Matteini-Chiari all’interno della città diSaepinum (Fig. 10, n. 124), forse non casualmente in relazione al fatto che l’inse-diamento era stato sede di uno strategico presidio bizantino e doveva dunqueessere stato probabilmente interessato da episodi di confronto militare.

Nell’area forense sono state infatti scavate ben 29 sepolture realizzate per lopiù a cassone con materiali di spoglio, quasi tutte prive di corredo, e tuttaviariferibili ad un periodo in cui l’area doveva essere stata soggetta ad “unasostanziale alterazione della funzione e della originaria destinazione delle areepubbliche e degli edifici a questa connessi”82.

Nei pressi di una delle sepolture è stato rinvenuto un importante elementoche permette di inquadrare cronologicamente il fenomeno, presentando tutte lesepolture scavate per lo più il medesimo orientamento: trattasi di una fibula acroce in bronzo a bracci uguali, lavorata a punzone e decorata a cerchi concen-trici, confrontabile con un esemplare simile dalla necropoli di Vicenne databilenell’ambito del VII secolo83.

Povere sepolture a cassone di analoga cronologia anch’esse realizzate conmateriali di spoglio sono state scavate nel 1950 e recentemente anche all’internodel teatro84.

Nel corredo di alcune di queste sepolture, situate fra la cavea ed il muro di cintadel monumento, erano due ollette in ceramica da fuoco ed una brocca dipinta abande rosse, con ogni evidenza databili fra la fine del VI ed il VII secolo85.

Dagli strati di abbandono del complesso è stato inoltre recuperato un fram-mento di ceramica dipinta a bande che sembrerebbe presentare sulla base delladocumentazione disponibile qualche punto di contatto con la ceramica tipoCrecchio86.

Fra fine del VI e VII secolo gli edifici esistenti nell’area forense erano ormaiper lo più abbandonati ed in buona parte anche demoliti per il riutilizzo deimateriali in essi impiegati87.

82. MATTEINI-CHIARI M., Sepolcreto altomedievale ..., p. 90. Delle 6 tombe scavate agli inzi degli anni‘80 non sono disponibili dati antropologici.

83. MATTEINI-CHIARI M., Sepolcreto dell’area forense di Sepino ..., p. 94; GENITO B., Materiali e problemi..., p. 57, fig. 6.

84. CIANFARANI V., Sepino. Teatro ...; CAPPELLETTI M., Il teatro di Sepino ..., p. 89; Samnium 1991, p. 355,f. 84: tombe “inserite tra i detriti accumulatisi con il crollo delle mura”.

85. Trattasi delle sepolture scavate nel 1950, cfr. CIANFARANI V., Sepino. Teatro ..., nn. 8, 9, 11; DEBENEDITTIS G., Di alcuni materiali altomedievali provenienti dal Molise ..., pp. 106-107, figg. 14-15. Le dueollette (fig. 14) sembrano confrontabili con analoghe olle da fuoco databili fra tardo VI e VII secolo(cfr. Dall’Egitto Copto ..., p. 51, fig. 80, nn.VIII, XIV; STAFFA A.R., Scavi nel Centro Storico di Pescara, 1 ...,pp. 344, 347, fig. 78, n. 195, fig. 79, nn. 207-08).

86. CAPPELLETTI M., Il teatro di Sepino ..., p. 87, fig. 1. I materiali associati, sigillate e vasellame afri-cano da cucina (fig. 2) sembrerebbero tuttavia più antichi, e non databili oltre il V secolo d.C.

87. ID., p. 91; trattasi di una situazione del tutto simile a quella rivelata dai recenti scavi a CastrumTruentinum (STAFFA A.R., Scavi a Martinsicuro ..., 1995; ID., Scavi a Martinsicuro ..., 1996).

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Nel resto della città si riutilizzavano in qualche modo le Tabernae, le case d’a-bitazione lungo il decumano ed alcuni edifici pubblici sul lato nord-est del Foro,chiudendone le ampie soglie in una situazione caratterizzata da rovine e ruderiper ogni dove88.

Nel tornare su questi scavi in occasione del presente convegno M. Matteini-Chiari ha giustamente sottolineato che in questo momento di crisi “la città nonè più tale da tempo”, essendosi a suo tempo probabilmente spostate sul sitodella Terravecchia le strutture del potere civile e militare bizantino (ormai coin-cidenti), per poi venir del tutto meno.

Ad indicare che quello era stato il sito di un’importante municipium anticorestava ormai solo la grama sopravvivenza di qualche forma di popolamento sulsito: i dati antropologici della necropoli del Foro sono al proposito rivelatori,segnalando che la popolazione ancora residente all’interno dell’antico centrourbano “sembra sopravvivere a se stessa con estrema fatica; il tasso di mortalitàinfantile e giovanile è elevatissimo”: 2/3 degli individui del piccolo campione“sono già estinti a 20 anni. La speranza di vita è certo fortemente minacciata”89.

Unitamente al venir meno della diocesi tali dati sono la più eloquente testi-monianza delle conseguenze devastanti della conquista longobarda, che eradestinata a provocare ben presto il definitivo abbandono del sito antico90.

Alle più tarde vicende del dilagare dei Longobardi nelle aree costiere dellaregione, probabilmente nei primi decenni del VII secolo, appare correlabileanche la crisi del centro urbano di Larinum (Fig. 10, n. 127), di cui si conservacome unico consistente monumento sopravvissuto in consistente alzato sino adoggi proprio l’anfiteatro, probabilmente riutilizzato con funzioni difensive sindal VI-VII secolo non diversamente dal vicino anfiteatro di Histonium.

Alla persistenza del popolamento sul sito – anzi probabilmente proprioall’interno del monumento – si collega la presenza di quattro sepolture a casso-ne ricavate in fosse scavate nei pavimenti dell’ambulacro del secondo ordine delcomplesso91; fra gli oggetti presenti nei corredi si segnalano due orecchini acestello, una fibula in bronzo raffigurante un pavone , ed altri reperti quali spil-loni e più semplici orecchini in bronzo, nel loro complesso poco più antichi diquelli rinvenuti nelle analoghe sepolture rinvenute nell’area forense e presso ilTeatro di Sepino92.

88. MATTEINI-CHIARI M., Sepolcreto dell’area forense di Sepino ..., p. 93.89. MATTEINI-CHIARI M., Sepolcreto dell’area forense di Sepino ..., p. 92.90. Dal IX secolo la popolazione andò raccogliendosi su un vicino colle, ove le fonti attestano l’e-

sistenza del medievale Castellum Sepini; per le vicende altomedievali e medievali del sito cfr. LAREGINA A., in COARELLI F. - LA REGINA A., Abruzzo-Molise ..., pp. 215-16.

91. DE TATA P., Sepolture altomedievali dall’anfiteatro di Larino ... 92. EAD., Sepolture altomedievali dall’anfiteatro di Larino ..., pp. 94-103, per i confronti proposti per gli

oggetti nota 1; Samnium 1991, p. 354, ff. 76-81. Gli orecchini a cestello, riferibili al tipo Possenti 2b,sembrerebbero databili nella seconda metà avanzata del VI secolo (POSSENTI E., Gli orecchini a cestel-lo ..., pp. 72-73, n. 39, tav. XII, nn. 3-4), anche se non possono escludersi attardamenti.

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Come hanno dimostrato gli studi più recenti di G. De Benedittis l'abitato diLarinum fra VII e IX va comunque conservandosi, anche nell'assetto longobardodell'antica provincia del Sannio, come importante punto di riferimento ammini-strativo per il territorio circostante, non diversamente dal caso della vicinaHistonium nel Chietino; sono infatti evidenti il riutilizzo a scopo difensivo dell'an-fiteatro, l'esistenza di strutture religiose di riferimento, e probabilmente l'impian-to di abitazioni in materiali deperibili in una situazione caratterizzata dalla rovinadella maggior parte del tessuto murato antico dell'insediamento antico93.

Il trasferimento dell'abitato dal sito antico nella zona di S. Leonardo a quel-lo attuale in posizione meglio difendibile è fenomeno che appare piuttosto rife-ribile ai secoli finali dell'altomedioevo.

Nei pressi dell’abitato è infine menzionato nell’840 un Uualdum SacriPalatii94, forse la traccia dello stanziamento nella zona di gruppi di armati lon-gobardi95.

Gli effetti dell’invasione longobarda dovettero essere devastanti anche sulquadro insediativo rurale, tanto che dalle ricognizioni condotte lungo il Bifernodalla British Schol at Rome non sembrano sinora emergere abitati che sovravvi-vano oltre il V-VI secolo96.

È stata inoltre fatta l’attendibile ipotesi che gli abitati di tardo VI-VIII secolonon vengano identificati con le ricognizioni in quanto coincidenti con i villaggiconservatisi sino ad oggi, e che una siffatta drastica trasformazione del panora-ma insediativo sia stata provocata proprio dallo sviluppo su siti d’altura di abi-tati fortificati realizzati o nel tardo VI secolo per far fronte all’invasione longo-barda, o verso il 660 per contrastare l’avanzata bizantina verso nord nell’ambitodella spedizione italiana di Costante II97.

Trattasi in ogni caso di chiare conseguenze di un’oscillazione di lungomomento della frontiera fra ducato di Benevento e territori bizantini dellaPuglia che non dovette mancare di produrre conseguenze devastanti e perma-nenti anche sul popolamento delle campagne98.

93. DE BENEDITTIS G., Il territorio di Rotello ..., pp. 44-51. 94. IS, X, col. 470; SABATINI F., Riflessi linguistici ..., p. 180. 95. Sull’importanza dei Gualdi per la possibile focalizzazione di forme di stanziamento militare

longobardo vedi vari esempi dal vicino Abruzzo in STAFFA A.R., I Longobardi in Abruzzo ..., pp. 151-152.

96. LLOYD J. - CANN S., Late Roman ..., p. 434; HODGES R. - BARKER G. - WADE K., Excavations at D85..., p. 111; anche la cronologia dell’abitato noto come D85 - S.Maria in Civita, originariamente pre-sentato come un sito del tardo VI-VII secolo (HODGES R. - BARKER G. - WADE K., Excavations at D85...), è stata in seguito spostata al tardo VIII-IX secolo.

97. HODGES R. - BARKER G. - WADE K., Excavations at D85 ..., p. 111; BROWN T.S., Settlement ... pp. 323-38.98. Per quanto riguarda la vicina Puglia settentrionale le recenti ricerche di J.M. Martin e G. Noye

(MARTIN J.M. - NOYE G., Les villes de l’Italie byzantine ..., p. 45) sembrerebbero invece negare impor-tanza agli eventi bellici nella destrutturazione dell’organizzazione insediativa ed economica tar-doantica, e tuttavia il problema va forse riesaminato sulla base di nuovi dati archeologici, cfr. in pro-posito D’ANGELA C. - VOLPE G., Aspetti storici ... 1992, pp. 316-17.

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Ad un’analoga evidente devastazione del quadro insediativo rurale fra fineVI ed inizi VII secolo appare collegabile nel territorio di Isernia anche l’abban-dono della villa esistente sul sito di S. Vincenzo al Volturno, anche se nella per-sistenza dell’uso del sepolcreto ivi esistente sembra intuirsi non diversamenteda Casalpiano la sopravvivenza sia pur stentata di una comunità con le sue cre-denze ed i suoi rituali99.

A forma parcellizzate di stanziamento longobardo nelle campagne potrebbe-ro essere riferibili, non diversamente da vari esempi abruzzesi in precedenzasegnalati, anche due piccoli sepolcreti venuti sinora alla luce nel Molise centro-settentrionale.

Una piccola necropoli d’incerta pertinenza è stato anzitutto localizzata lungo lostrategico tracciato antico poi ripreso dal tratturo Celano-Foggia, in contradaMonte di Mezzo di Vastogirardi (Fig. 10, n. 136): si tratta di cinque sepolture a fossacaratterizzate dalla presenza di un unico elemento di corredo, una fibula ad anelloconfrontabile con materiali dalla necropoli di Casalpiano di Morrone del Sannio econ un reperto da un sepolcreto simile scavato a Cupello alla foce del Trigno100.

Ad analoghe forme di occupazione anche della zona dell’antico municipiumdi Fagifulae (Limosano) appaiono riferibili anche alcune sepolture rinvenute a S.Maria a Faifoli presso Montagano (fig. 10, n. 137), fra i cui elementi di corredo èsegnalata la presenza di orecchini a globetti databili nel VII secolo101.

Delle devastanti vicende che avevano coinvolto il Sannio fra la fine del VI ed ilVII secolo secolo appare infine ulteriore e significativa testimonianza il celebre passodi Paolo Diacono relativo all’insediamento nella zona di Sepino, Boiano ed Iserniadei Bulgari del duca Alzecone (a. 668): Quas Romualdus gratanter excipiens, eisdem spa-tiosa ad habitandum loca, quae usque ad illud tempu deserta erant contribuit, scilicetSepinum, Bovianum, et Iserniam, et alias cum suis territoriis civitates, ipsumque Alzeconemmutato dignitatis nomine, de duce gastaldium vocitari praecipit (Hist. Lang., V, 29).

Proprio a questo importante passo di Paolo Diacono è stato plausibilmentecollegato il più importante rinvenimento archeologico d’età longobarda sinoraavvenuto in Molise, quello della grande necropoli scavata dalla collega V. Ceglianelle località Vicenne e Morione di Campochiaro (Fig. 10, n. 128), necropoli che

99. HODGES R., Excavations at S. Vincenzo ..., p. 492: “the data indicated that the villa system hadcollapsed, but the spiritual significance of the place continued to be maintained by a local com-munity”.Assolutamente analoga appare la situazione anche per molti siti fra Val Vibrata e Valledel Salinello, nel Teramano, ove la persistenza del popolamento va legandosi alle superstiti strut-ture religiose (STAFFA A.R., Contributo per una ricostruzione ...).

100. CAPINI S., Vastogirardi, sepoture altomedievali ..., pp. 120-27: rinvenimento avvenuto nel 1988al km 11 della S.P. Carovillense, fra Carovilli e S. Pietro Avellana, km 11 recupero 1988, 5 sepol-ture a fossa coperte da lastre di pietra, una sola delle quali (t. 4) con un elemento di corredo, fibu-la ad anello in bronzo confrontabile con reperti da Casalpiano (Samnium 1991, p. 354, f. 71), eCupello (Dall’Egitto Copto ..., p. 26, fig. 22; STAFFA A.R., La città altomedievale ..., p. 143, fig. 23).

101. Samnium 1991, p. 355, fig. 82-83; DE BENEDITTIS G., Fagifulae, Samnium 1991, p. 260 e ID.,Fagifulae, Repertorio ..., pp. 12-.13; POSSENTI E., Gli orecchini a cestello ..., p. 93, databili fra primo esecondo trentennio del VII secolo.

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va ormai imponendosi, per numero di sepolture scavate (350 alla data del conve-gno), ricchezza dei corredi ed articolazione delle problematiche archeologiche, sto-riche ed antropologiche connesse come un contesto cui attribuire un’importanzanon inferiore a quella delle celebri necropoli di Castel Trosino e Nocera Umbra.

Tale importanza risulta confermata anche dalla quantità e dalla ricchezza deirinvenimenti numismatici, che fanno ormai della necropoli il principale contestomonetario del VII secolo sinora rinvenuto in Italia102.

Il sepolcreto, ubicato nella piana fra Sepino e Boiano lungo la strada che col-legava Isernia a Benevento da un lato ed alla Puglia dall’altro lungo un itinera-rio poi ripreso dal Tratturo103, appare organizzato in due nuclei principali nellelocalità Vicenne (167 tombe) e Morione (tot. 183 tombe).

A Morione è anzitutto segnalata la presenza di una fase tardoantica delsepolcreto caratterizzata dalla presenza di sepolture alla cappuccina, che sem-brano indicare la preesistenza nella zona di forma di abitato antico sinora nonindividuate; la seconda fase di questo primo nucleo del sepolcreto appare ormairiferibile ad età altomedievale e risulta caratterizzata da semplici fosse terragnemolto ben conservate, alcune delle quali bisome104.

A Vicenne la necropoli appare organizzata in una serie di piccoli nuclei ubi-cati proprio lungo l’itinerario antico e non era sembrata originariamente riferi-bile all’occupazione di alcuno degli abitati romani preesistenti nella zona105,anche se al proposito non può ormai non tenersi conto della presenza a Morionedella citata prima fase tardoantica di sepolture.

Appare pertanto plausibile che il sepolcreto, più che attribuibile “a modelliinsediativi di tipo nomade”106, possa essere riferito proprio ad un abitato semi-stanziale di gruppi di armati longobardi stanziati sulla piana nei pressi di qual-che abitato preesistente, come sembrano confermare anche i dati delle analisipaleoantropologiche107, con evidenti funzioni di presidio della strategica stradache tramite Campobasso giungeva sino a Foggia ed alla Puglia rimasta sottocontrollo bizantino.

Le inumazioni di Vicenne sono disposte con regolarità secondo il modellotradizionale “merovingio” per file parallele108, con raggruppamenti probabil-mente organizzati per nuclei familiari109.

L’inquadramento cronologico complessivo della necropoli era stato in ori-gine prudente, essendosi in primo luogo supposta una datazione nella prima

102. Cfr. ARSLAN A., in questa sede.103. CEGLIA V. - GENITO B., La necropoli altomedievale ..., p. 329. 104. Cfr. CEGLIA V., in questa sede.105. DE BENEDITTIS G., Considerazioni ..., p. 107. 106. Ipotesi ripresa anche in CEGLIA V. - GENITO B., La necropoli altomedievale ..., p. 331. 107. Cfr. BELCASTRO M.G., in questa sede, relativamente alla complessità della popolazione sepolta,

comprendente ad esempio un’elevata frequenza di morti infantili (30/40 %), e ben 15 donne in età fer-tile (25/30 anni), complessità che sembra con ogni evidenza suggerire una popolazione semistanziale.

108. DELOGU P., Conclusioni ..., p. 425.109. Cfr. CEGLIA V., in questa sede.

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metà del VII secolo per l’alta percentuale di tombe dotate di corredo110, e poiuna datazione più bassa verso la fine dello stesso secolo, per la presenza diorecchini in argento a globuli di quella cronologia e di un tremissis d’oro111; laplanimetria generale delle inumazioni sinora individuate sembra tuttaviasuggerire l’esistenza di un’articolata stratigrafia orizzontale112, tanto che anchesulla base dei più recenti rinvenimenti113 appare ormai accertato un uso dellanecropoli in un lungo arco cronologico relativo a tutto il VII secolo114, comeconfermano anche i rinvenimenti numismatici, che attestano la presenza,accanto al dominante tremissis d’oro longobardo, di monete bizantine di suc-cessori di Costante II, inquadrabili fra seconda metà del VII ed i primi decen-ni dell’VIII secolo115.

Di particolare interesse sono subito apparsi i collegamenti fra alcune dellesepolture scavate ed un ampio panorama culturale che trova riferimentinell’Asia centrale, come è risultato evidente per la presenza in alcuni corredidi caratteristici orecchini a globetti116, per i singolari usi funerari attestati inalcune tombe maschili, in cui guerrieri armati risultavano sepolti con il lorocavallo117, ed infine per la presenza in alcuni corredi sempre di cavalieri da

110. GENITO B., La necropoli altomedievale ..., p. 52.111. GENITO B., La necropoli altomedievale ..., p. 54-55, figg. 3-4, confrontabili con esemplari di VII

secolo anche avanzato dall’Austra (vedi i confronti citati alla nota 15, riferibili forse ad un ambi-to “avaro” e comunque probabilmente d’importazione (ID, p. 55, nota 16). Una datazione generi-ca nell’ambito del VII secolo è proposta in CEGLIA V. - GENITO B., La necropoli altomedievale ..., p.333.

112. Cfr. CEGLIA V., Lo scavo della necropoli di Vicenne ..., p. 48; CEGLIA V. - GENITO B., La necropoli alto-medievale ..., p. 330, fig. 2.

113. Cfr. CEGLIA V., in questa sede.114. Vi sono attestati anche elementi relativi ad un vasto patrimonio culturale, fra cui una fib-

bia in bronzo fuso con ardiglione di un tipo “bizantino”, e ben quattro coppie di orecchini in oro(GENITO B., La necropoli altomedievale ..., p. 57, fig. 5, pp. 65-67, figg. 19-22); per un panorama deglioggetti rinvenuti, molti dei quali “all’interno della tradizione classica dei rinvenimenti longobar-di di VII secolo”; cfr. ID., p. 57-59.

Per una panoramica su vari oggetti delle necropoli, ancora non edita complessivamente, cfr.Samnium 1991, pp. 347-354, ff. 1-70.

115. Cfr. ARSLAN E. in questa sede.116. VON HESSEN O., Discussione ..., p. 121 sottolinea la presenza degli orecchini con i globetti, sino-

ra sconosciuti in Italia, e “tipici di ambiente avaro e bizantino dell’Europa orientale”. Non si era tut-tavia rilevata la presenza di un’altra coppia di simili orecchini a globetto, rinvenuta in un piccolosepolcreto a S. Lucia di Notaresco nella Val Vomano (GIZZI E., Tombe altomedievali ..., pp. 263-65, fig.157).

117. GENITO B., Materiali e problemi ..., p. 56-57, tomba 16: “un contesto culturale prettamente ger-manico presenterebbe alcuni aspetti strutturali (il seppellimento del cavallo) e tipologici (staffe edorecchini) di lontana origine asiatica”; BÖKÖNYI S., Analisi archeozoologica ...

Per i problemi del corredo della tomba 16 (CEGLIA V., Lo scavo della necropoli di Vicenne ..., pp. 44-48), che si era supposta manomessa, cfr. VON HESSEN O., Discussione ..., pp.120-121 e MELUCCO-VACCARO A., Discussione ..., 121-124. Perplessità e dubbi in proposito sono stati tuttavia “azzerati”dalla grande quantità di nuovi dati dagli scavi successivi (GENITO B., Tombe con cavallo ..., p. 335).Altre sepolture con cavallo sono state infatti scavate anche in seguito, in totale sino al 1991 ben dieci(GENITO Tombe con cavallo ...,, BÖKÖNYI S., Two more ...).

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Morione di staffe di tipo avarico, tanto che è stata sin da allora proposta l’i-potesi di qualche relazione del singolare sepolcreto proprio con il sumenzio-nato stanziamento nella piana di Sepino e Bojano dei Bulgari di Alzecone nel668118; significativa in proposito appare anche la presenza di vari volti brachi-cefali e di individui caratterizzati nel loro complesso da forme larghe, qualead esempio il cavaliere (comunque di alta statura: cm 170) della tomba 52 diVicenne, nonché l’attestazione di esempi di trapanazione cultuale del cranio(tt. 115, 2), presenti anche fra le popolazioni magiare di origine asiatica deiCarpazi119.

Accanto ad una prevalente presenza di forme strette ed all’attestazione mag-gioritaria fra i cavalieri di individui dolicomorfi di alta statura (tt. 16, 26, 33) sonoinoltre vari fra gli oggetti di corredo rinvenuti quelli che ricollegano d’altra parte ilsepolcreto ad un più ampio quadro di riferimento culturale ed etnico120, fra cuisoprattutto alcune cinture in ferro a cinque pezzi con decorazione in agemina edaltri oggetti di più che probabile pertinenza longobarda tradizionale121.

Fra le armi appare attestata la spada lunga a doppio taglio (es. t. 102 daMorione con decorazione in argento in corrispondenza di impugnatura e fode-ro), la spada corta ben attestata nel nord-Italia ma abbastanza rara nel centro-sud (Vicenne: 26 es.; Morione: 10 es.), frecce anch’esse di probabile origineavarica, scudi, in genere attestati solo in sepolture di cavalieri e neanche intutte (6 su 19).

È attestata in tombe maschili anche la presenza di corredo vascolare, in gene-re in alternativa ad un calice vitreo di tradizione tardoantica.

Singolare il caso dell’inumato della tomba 33, morto a seguito di un fenden-te di spada sul cranio122, nel cui corredo era un anello d’oro con verga tonda chesi salda con due globetti ad un grande castone riccamente decorato con una pie-tra dura romana; a tal proposito si era in passato supposto che il portatore del-l’anello fosse “interlocutore diretto di suprema autorità quale quella che potevaemettere monete..., in altre parole …il capo”123, ipotesi oggi rivista in considera-

118. GENITO B., Materiali e problemi ..., p. 57, nota 22. Cfr. in proposito MELUCCO-VACCARO A.,Discussione ..., pp. 123-24, con un rinvio a tre piani interpretativi, quello “asiatico”, quello germani-co e quello locale, avvaloratosi con il proseguimento degli scavi (CEGLIA V. - GENITO B., La necropolialtomedievale ..., p. 334). Altre sepolture con cavallo sono state rinvenute anche nelle campagne discavo successive, in totale ben dieci (CEGLIA V. - GENITO B., La necropoli altomedievale ..., p. 334; GENITOB., Tombe con cavallo ..., pp. 335-38).

119. BELCASTRO M.G., in questa sede.120. GENITO B., Tombe con cavallo ..., p. 335. Sono ad esempio presenti a Vicenne anche elementi di

derivazione orientale, come una fibbia in bronzo fuso con ardiglione di tipo bizantino (GENITO B.,La necropoli altomedievale ..., p. 57).

121. Per un inquadramento di molti degli oggetti rinvenuti nelle prime fasi dello scavo, “all’in-terno della tradizione classica dei rinvenimenti longobardi di VII secolo”, cfr. GENITO B., La necro-poli altomedievale ..., p. 57-59.

122. GIUSBERTI G., Lo scheletro ...123. ARSLAN E.A., Monete ..., p. 345.

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zione della giovane età del defunto (20 anni c.) riconoscendolo plausibilmentecome “il figlio del capo”124.

Nei corredi femminili appaiono diffuse fibule a disco o a croce, tipiche delcostume femminile tardoromano, semplici bracciali in bronzo, orecchini in oroed argento anch’essi di tradizione avarica, orecchini a cestello, collane in pastavitrea con pendenti in ambra e argento, pettini in osso, fuseruole, coltellini, aghicrinali in genere posti sul cranio, mentre gli anelli – come sopra esemplificato –sono presenti solo nei corredi maschili.

Che si trattasse infine di un nucleo di popolazione dominante non emergesolo dalla ricchezza ed articolazione dei corredi presenti nelle sepolture, maanche dalla qualità dell’alimentazione attestata nelle sistematiche analisipaleoantropologiche condotte ad esempio sul nucleo di inumati da Morione: sitrattava infatti di un’ alimentazione mista caratterizzata da forti apporti proteiciprobabilmente legati alla pastorizia, ben diversa da quella del povero nucleo dipopolazione autoctona ancora precariamente superstite presso il sito della sopraricordata villa di Casalpiano, limitata a cereali e vegetali con limitati apportiproteici125.

Appare dunque più che probabile che lo stanziamento longobardo diVicenne presentasse carattere militare e difensivo a controllo della strategicapiana di Boiano126, in evidente connessione con le vicende dell’avventura ita-liana di Costante II (657-72) e con l’avvertita necessità di stabilire forti presi-dii a difesa del ducato di Benevento ormai ristabilito nei suoi confini prece-denti127.

In una siffatta logica difensiva ben potrebbe rientrare anche l’attestazionetoponomastica della presenza di numerose fare nella provincia di Campobassosino all’Adriatico, Fara di Cigno presso S. Martino in Pensilis (Fig. 10, n. 129),Fara presso Lupara (n. 130), Fara presso Bagnoli del Trigno (n. 131), La Farapresso Carpinone (n. 132), Colle Fara presso Toro (n. 133), Fara pressoGambatesa (n. 134)128.

Di lì a poco la situazione venne a consolidarsi anche in quest’area con il defi-nitivo venir meno della minaccia bizantina, e la conseguente conquista longo-barda dei porti di Brindisi e Taranto, anche se le sepolture di Campochiaro atte-

124. Cfr. ARSLAN E., in questa sede.125. Cfr. RUBINI M., in questa sede.126. Cfr. il caso dell’inumato della tomba 33, morto a seguito di un fendente di spada sul cranio

(GIUSBERTI G., Lo scheletro ...). 127. In merito al cavallo sepolto nella tomba 16 di Vicenne di Campochiaro A. Melucco-Vaccaro

(MELUCCO-VACCARO A., Discussione ..., p. 124) richiama il suggestivo e sanguinario rito dell’arborsacra, menzionato nella vita del vescovo Barbato di Benevento proprio in merito all’incursione diCostante II, ed “al pericolo quasi mortale che questa aveva rappresentato per l’egemonia longobar-da nell’Italia meridionale”. Su queste vicende vedi da ultimo DE BENEDITTIS G., Il territorio di Rotello..., pp. 43-44.

L’ipotesi è ripresa anche da DE BENEDITTIS G., Crisi e rinascita ..., p. 327.128. SABATINI F., Riflessi linguistici ..., pp. 151-52.

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stano la sopravvivenza del presidio sin nei primi decenni dell’VIII secolo129.

Conclusioni

Numerose sono dunque le problematiche storiche che avvicinano fra VI e VIIsecolo le vicende dei territori antichi del Piceno meridionale e del Sannio oggicompresi fra Abruzzo e Molise, con la sostanziale sopravvivenza sin in epocamolto tarda (fine VI secolo) e ben successiva a quanto sinora ritenuto di presidibizantini anche nelle aree interne oltre che in quelle costiere delle due regioni,con il venir meno alla fine del secolo dei collegamenti viari ancora superstiti inqueste aree fra Adriatico e Tirreno, ed il successivo lento ritiro delle forze impe-riali ridottesi nei primi decenni di VII secolo a controllare soli pochi centri dellacosta (Aternum, Hortona, Anxanum, Histonium, Larinum), sino al definitivo venirmeno di ogni presenza bizantina nella zona dopo la metà del VII secolo.

Oltre ai livelli archeologici che documentano con grande evidenza l’inseri-mento di tanti contesti di queste aree in ampi circuiti commerciali ancora orien-tati vero l’Africa e l’oriente, ancora attivi in quest’epoca solo nei territori rimastisotto controllo bizantino130, significativa appare la presenza in ambedue gliambiti della caratteristiche sepolture con ceramica tipo Crecchio, attestate sullacosta abruzzese con particolare concentrazione nell’entroterra di Ortona, veracapitale dell’Abruzzo bizantino, ed in Molise ad Isernia, Casalpiano di Morronedel Sannio, e forse Larino, specie considerando i crescenti collegamenti di que-sta produzione con l’area bizantina che vanno emergendo anche dalla recenteedizione di numerosi materiali d’età bizantina da Gortina.

Comune alle due regioni e sovente attestato nell’ambito di piccoli sepolcreti spar-si appare anche un vasto panorama di oggetti di corredo di tradizione tardoroma-na, fra cui soprattutto fibule ad anello e a soggetto animalistico, presenti talora inassociazione ad oggetti di maggior pregio e di probabile pertinenza bizantina.

Elementi di corredo di più marcata caratterizzazione etnica appaiono poi ipreziosi pettini in osso lavorato dall’Abruzzo, e gli orecchini a cestello presentia Notaresco in Abruzzo ed in vari siti molisani (Sepino, Larino, Castropignano),anch’essi per lo più provenienti da piccoli sepolcreti con ogni evidenza perti-nenti a forme di stanziamento parcellizzato.

Questi oggetti non servono comunque a segnalare con certezza l’etnia dell’i-

129. HL, VI, 1; DELOGU P., La fine del mondo antico ..., p. 21. Come già sottolineato in STAFFA A.R.,Una terra di frontiera p. 201 le successive problematiche della frontiera in Molise fra ducato diBenevento e territori bizantini restano ancora da approfondire, in quanto nel IX secolo sono i duchidi Spoleto a contrastare in due occasioni alcune scorrerie saracene a Boiano e Sepino (ERCH, 27, 79;DE BENEDITTIS G., Considerazioni ..., p. 27, nota 27), mentre altri documenti sembrano suggerire che inquell’epoca i suddetti centri dipendessero nuovamente dal Catepanato pugliese (DE BENEDITTIS G.,Considerazioni ..., p. 27, nota 27).

130. Su questi traffici cfr. da ultimo STAFFA A.R., Abruzzo: strutture portuali ...

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numato, ma vengono bensì a dare testimonianza del ruolo preminente svolto dalui stesso e dal suo gruppo familiare nell’organizzazione sociale del periodo131;“le variazioni nelle componenti del corredo, attraverso il ricorso ad oggetti piùo meno sontuosi, in stile germanico o bizantino” rappresentano inoltre nelle illu-minanti parole di C. La Rocca “la spia più efficace di quanto mutevoli e sogget-ti ai modelli elaborati in sede locale fossero gli strumenti con cui lo status eraaffermato e percepito”132.

Un ruolo preminente poteva ormai esser ben difficilmente essere svolto inqueste aree da individui che non appartenessero alla classe dirigente locale inse-diatasi con la conquista longobarda, sia che si trattasse di grandi presidii difen-sivi come quello di Campochiaro che di stanziamenti minori andati a rioccupa-re ville ed altri abitati antichi sparsi nelle campagne.

Come giustamente sottolineato al proposito recentemente da Paolo Delogu“estensione e rappresentatività” di un modello tradizionale di ricostruzione dellasocietà longobarda attraverso l’assetto delle sue grandi necropoli sinora note133

“sono seriamente messe in discussione dai risultati delle ricerche e degli studirecenti: le grandi necropoli a righe non si presentano più come la forma predomi-nante delle sepolture di età longobarda in Italia. Accanto ad esse cresce l’identifi-cazione di piccoli gruppi di sepolture ed anche di sepolture singole disseminatenelle campagne: la frequenza con cui queste piccole necropoli appaiono è fra i risul-tati più interessanti dei censimenti compiuti in Piemonte, Toscana, Abruzzi e nelBresciano. L’insediamento degli invasori potè dunque avvenire fin dall’inizio inmodi differenziati, cioè non solo per grossi nuclei militari nello posizioni forti delterritorio, ma anche per gruppi più ristretti e persino in forme rarefatte nelle cam-pagne, forse ricalcando la distribuzione della proprietà fondiaria romana”134.

Il forte stanziamento militare dei Bulgari di Alzecone testimoniato da PaoloDiacono, e l’eccezionale necropoli di Campochiaro, ad esso plausibilmente col-legata, erano con ogni evidenza così diversi per entità di popolazione, panora-ma culturale, articolazione e ricchezza dei corredi funerari dalle forme minori

131. Già sottolineato in LA ROCCA C., Segni di distinzione ..., p. 37: “gli elementi del corredo funebre nonerano stabiliti rigidamente per sottolineare l’appartenenza etnica, ma scelti di volta in volta per ostenta-re il prestigio sociale negoziato localmente”; cfr. anche STAFFA A.R., I Longobardi in Abruzzo ..., p. 45.

132. LA ROCCA C., Segni di distinzione ..., p. 37.133. Esemplificativo in proposito appare l’esempio proposto in DELOGU P. Conclusioni ..., p. 425:

“È il tipo rappresentato al meglio dalla necropoli di Nocera Umbra con la sua altissima percen-tuale di tombe con corredo e la singolare frequenza di deposizioni maschili con le armi. In que-sta configurazione l’evoluzione culturale è indicata dal progressivo abbandono di alcuni elemen-ti del costume tradizionale – che si può ritenere utilizzato dalla generazione degli invasori – e dal-l’adozione non sistematica di elementi del costume romano; dalla progressiva riduzione dellaconsistenza dei depositi funerari; dai mutamenti di gusto attestati nella decorazione degli ogget-ti di corredo. Un’evoluzione comunque attribuita sempre all’iniziativa del gruppo germanico nelquale non vi sono elementi romani, salvo forse qualche donna associata ad esso per via di matri-monio”.

134. ID., p. 425-426.

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dell’insediamento longobardo e dalle altre piccole necropoli attestate sia inAbruzzo che in Molise, che il fenomeno era stato probabilmente percepito comefuori dal comune da parte degli stessi contemporanei, tanto che il ricordo ne fùconservato consegnandone memoria alla tradizione storica.

Tuttavia le significative testimonianze relative alla presenza nel gruppo etni-co longobardo sepolto a Campochiaro di apporti dall’Asia probabilmente con-nessi alla presenza di gruppi di Avari e Bulgari, evidenti nei singolari usi fune-rari ed in vari oggetti di corredo, trovano oggi un prezioso riferimento nei primieccezionali risultati delle ricerche genetiche avviate sul DNA mitocondriale diun gruppo di inumati di fine VI-VII secolo provenienti proprio da quel panora-ma di piccoli sepolcreti abruzzesi che erano apparsi in origine così diversi daCampochiaro per consistenza, qualità e ricchezza delle sepolture.

Si tratta dunque di un’ulteriore conferma di come l’innovativo quadro inter-pretativo recentemente proposto da P. Delogu e sopra riepilogato venga ad apri-re particolarmente in queste aree dell’Italia centro-meridionale nuove stimolan-ti prospettive di ricerca per una migliore ricostruzione delle fasi più antichedella società longobarda.

Non mancano inoltre nel panorama dei dati presentati in questa sede ulterioriinteressanti spunti di ricerca relativi soprattutto alle cruciali fasi di passaggio fraVII ed VIII secolo, ancora testimoniate a Campochiaro dalla presenza di sepolturein cui si continuava a seppellire con corredo pur in un’epoca così tarda135.

L’uso di seppellire gli inumati con ricco corredo di armi e gioielli documen-ta evidentemente come quanto meno sino alla metà del VII secolo “ i Longobardiaffidassero al momento della sepoltura e delle cerimonie ad essa collegate ungrande valore simbolico e celebrativo, volto ad assicurare ai discendenti le pre-rogative sociali del defunto espresse e definite attraverso il suo corredo”, supe-rando in un contesto generale di notevole instabilità “quel momento di poten-ziale crisi per il gruppo parentale” che er stato rappresentato dalla sua morte136;un significato del genere appariva anche più giustificato in aree sostanzialmen-te eccentriche come quelle del ducato di Benevento, in cui gruppi sparsi e dilimitata entità dovevano ribadire il loro potere ed il loro controllo su zone popo-late da una popolazione di stirpe locale ampiamente prevalente.

Il progressivo venir meno dei corredi, fenomeno che sembrerebbe più tardo inqueste aree eccentriche della Langobardia minor, appare indubbiamente legato a quelprocesso di “cristianizzazione della morte”137, che era destinato a vedere in brevetempo l’abbandono dell’uso di seppellire i defunti con corredo legato all’adozione da

135. Si noti infatti la presenza in alcune sepolture di solidi bizantini degli imperatori Leonzio II(695-698), Giustiniano II (II regno: 703-709), cfr. ARSLAN E. in questa sede.

136. LA ROCCA C., Segni di distinzione ..., p. 37. La deposizione di tali elementi di corredo persona-le, probabilmente ormai sottratta alle originarie motivazioni pagane, venne ancora per qualchetempo protraendosi in quanto legata ad una concezione che considerava taluni oggetti indissolubil-mente legati alla persona dell'inumato, anche dopo la morte.

137. PAROLI L., La necropoli di Castel Trosino ..., 1997, p. 111.

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parte dei Longobardi di tipologie funerarie di maggior impegno monumentalerispetto alle semplici fosse antropomorfe, e di pratiche funerarie tardoromane138.

Tali mutamenti nei rituali della morte erano indubbiamente “connessi con imodi della trasmissione del potere e della rilevanza sociale nella società deivivi”139, e quindi con l’affermazione di nuovi modelli culturali e strumenti piùsofisticati per la riaffermazione del potere e dello status sociale dei gruppi dietnia longobarda dominanti localmente.

Pur non disponendo in zona di documenti così particolari e significativicome le numerose donazioni pro anima e post obitum dell’Italia settentrionale lon-gobarda140 appare evidente che proprio nel progressivo consolidamento dei rap-porti con le gerarchie ecclesiastiche locali erano anche qui i prodromi di profon-di mutamenti dei rituali funerari e delle correlate manifestazioni di status delpopolo germanico.

Nell’ambito di tali dinamiche sin dagli inizi dell’VIII secolo le elites longo-barde locali vennero infatti spostando l’attenzione, nelle loro esigenze di affer-mazione sociale, dalle fasi della morte e dell’esibizione di corredi in occasionedell’interramento del defunto, «all’investimento del futuro in carriere laiche ecarriere ecclesiastiche», carriere che andavano sviluppandosi ed arricchendosinell’ambito di sempre più stretti rapporti con le elites ecclesiastiche e monasti-che141, rapporti che ad esempio nel Teramano appaiono ben consolidati già nellescarse fonti di VIII-prima metà IX secolo disponibili142.

L’ evidente mancanza di corredo nelle sepolture ad esempio del piccolosepolcreto abruzzese di Archi, comunque attribuibili ad un’epoca notevolmentepiù tarda (secc. VIII-IX), era ormai un elemento insignificante a fronte della rile-vanza sociale dell’appartenenza al gruppo familiare di tradizione longobardaqui seppellito del luogo di culto dedicato all’Angelo143.

Anche a S. Serotino di Colle Fiorano (Loreto Aprutino) ad una prima fase di

138. EAD., p. 111; nel significativo caso di Castel Trosino segnala la realizzazione di sepolcri mura-ti e la deposizione di più individui nella stessa tomba; cfr. anche STAFFA A.R., I Longobardi in Abruzzo..., p. 46, per alcuni esempi dall’Abruzzo.

139. LA ROCCA C., Segni di distinzione ..., p. 37.140. EAD., pp. 33-36.141. Un processo di osmosi del genere non poteva restare privo di conseguenze a livello territoriale

ed insediativo, sia nell’ambito della progressiva definizione di strutture religiose d’inquadramentosparse nel territorio, che dell’inevitabile riassestamento del complessivo quadro fondiario, in termini digrandi proprietà inquadrate o meno nel sistema delle curtes e di gruppi di beni allodiali di proprietà diuomini liberi. Per un’ampia disamina della questione dal punto di vista storico cfr. da ultimo FELLER L.,Paisages ..., pp. 224-230. Gli stretti rapporti che vanno emergendo dai dati archeologici fra il quadroinsediativo tardoantico-altomedievale del Teramano e la presenza monastica (STAFFA A.R. - PANNUZI S.,Una fonte per la ricostruzione ...) risultano ormai più comprensibili proprio alla luce dell’ulteriore evolu-zione delle primitive dinamiche di affermazione sociale che i Longobardi avevano portato con se inItalia ed in Abruzzo.

142. Cfr. in proposito l’ampia disamina della società longobarda del VII-IX secolo condotta nelTeramano nell’ambito di un’analisi sistematica delle più antiche presenze monastiche, in STAFFA A.R.- PANNUZI S., Una fonte per la ricostruzione ...

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sepolture caratterizzate in taluni casi da preziosi oggetti di corredo già menziona-ti, quali un eccezionale pettine in osso ad una sola fila di denti ed una cintura a cin-que pezzi con decorazione in agemina, segue una seconda fase di inumazioni insemplice fossa antropomorfa marginata da grandi pietre ormai prive di corredo,probabilmente databili dalla fine del VII secolo all’età carolingia144, epoca quest’ul-tima in cui qualche proprietario appartenente alle classi dirigenti longobardedovette manifestare il suo status ed il suo preminente ruolo sociale nella societàlocale del tempo provvedendo al rinnovo dell’arredo liturgico del luogo di culto.

Comuni appaiono nel loro complesso interventi di realizzazione, ricostruzio-ne o restauro di luoghi di culto anche di notevole dignità nell’ambito di altri frai sepolcreti presi in esame (Scannella Superiore di Loreto Aprutino; S. Clementea Casauria; S. Apollinare e S. Maria, sopravvissute anche nell’altomedioevo aCasalpiano; S. Maria a Faifoli presso Montagano), in quanto proprio in tali inter-venti trovavano prestigio sia il committente che il suo gruppo familiare, riba-dendo il loro status sociale e potere economico, non diversamente da come ave-vano fatto in passato i loro antenati manifestando con ricchi corredi potere e ric-chezza in occasione dei riti funerari145.

Pur in assenza di collegamenti con contesti funerari noti analoghi appaiononel Teramano i casi della grande abbazia di S. Maria di Propezzano, risalenteagli inizi dell’VIII secolo, e degli altri monasteri di S. Giovanni ad Insulam nellavalle del Mavone, S. Maria de Musiano a Cellino Attanasio, S. Angelo a Maranonella val Tordino, per tradizione il più antico insediamento monastico delTeramano, e S. Pietro di Campovalano a Campli (Fig. 1, n. 6); il caso simile di S.Clemente a Vomano di Notaresco (Fig. 1, n. 12)146 appare al contrario ubicato inuna zona interessata da evidenti forme di stanziamento longobardo e da bendue sepolcreti nelle località Veniglia e S. Lucia (nn. 13-14)147.

Non meno significativa appare fra Abruzzo e Molise la diretta fondazione daparte dei duchi di Benevento di due importanti monasteri presso gli antichicastra bizantini poi occupati dai Longobardi di Kastron Reunia presso Vasto eCastropignano nella media valle del Biferno (Fig. 10, nn. 93, 126), monasteri chevennero dotati – non diversamente dai succitati monasteri del Teramano – conbeni evidentemente acquisiti in loco dai duchi al momento della conquista, e che

143. STAFFA A.R., I Longobardi in Abruzzo ..., p. 46.144. BROGIOLO G.P. - GELICHI S., in Loreto Aprutino ..., p. 69: sono stati infatti rinvenuti vari fram-

menti di plutei e transenne databili nei primi decenni del IX secolo.145. Anche a Casalpiano infine erano probabilmente passate sotto il patronato di qualche fami-

glia locale longobarda ormai proprietaria della villa le due chiese di S. Apollinare e S. Maria diCasalpiano, entrate a far parte per donazione del patrimonio dell’abbazia di Montecassino solomolto più tardi, nel 1017 (BLOCH H., Montecassino ..., pp. 276-277; DE BENEDITTIS G., Crisi e rinasci-ta ..., p. 346), donate da parte dei due presbiteri Pietro e Martino, che le detenevano o per appar-tenenza familiare, o per concessione in patronato da parte di qualche famiglia locale di tradizio-ne longobarda.

146. STAFFA A.R. - PANNUZI S., Una fonte per la ricostruzione ..., pp. 299-338.147. STAFFA A.R., I Longobardi in Abruzzo ..., pp. 127-128.

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erano destinati a garantire un fedele ed importante presidio anche difensivo diambiti territoriali di notevole importanza per gli equilibri del ducato148.

Che le istituzioni ecclesiastiche fossero ormai ben in grado di indirizzare“mutamento dell’aristocrazia e delle forme di tramissione della proprietà nellasocietà longobarda”, in quanto si presentavano evidentemente “quale strumen-to di rafforzamento patrimoniale dell’aristocrazia stessa”149, appare evidenteanche dall’uso che iniziarono a fare gli stessi duchi di Benevento della presenzamonastica, non solo con i due significativi casi sopracitati di Rahone eCastropignano, ma soprattutto con le due fondamentali fondazioni di S.Vincenzo al Volturno, creata fra fine del VII ed inizi dell’VIII secolo da tre nobi-li beneventani (Paldo, Tato, Taso) forse addirittura imparentati con la casa duca-le, e dotata di ricchi beni provenienti direttamente dal demanio ducale, e poi conquella risalente ai primi decenni dell’VIII secolo dell’importante abbazia cassi-nese di S. Michele a Barrea (Vallis Regia)150.

Che dunque ancora agli inizi dell’VIII secolo nei componenti del gruppo stan-ziato a Vicenne sopravvivesse l’avvertita necessità di deporre il defunto riccamen-te abbigliato in una tomba (che veniva poi interrata e spariva dal paesaggio) affin-chè il suo nucleo familiare potesse proclamare nell’occasione la continuità del suostatus rivendicando la preminenza del defunto all’interno del suo ambito sociale151,appare probabilmente un segno dell’attardamento culturale di un compatto nucleodi coloni ancora fortemente ed intenzionalmente attaccati alle loro tradizioni, tantoche, come ricorda Paolo Diacono, ancora alla sua epoca “benchè ormai parlinoanche il latino, non hanno perduto l’uso della loro lingua”152.

Alla stessa epoca, e probabilmente già ormai da qualche tempo, a ben altri,più evidenti e corposi riti ed interventi sul territorio era andato dedicandosil’impegno delle classi dirigenti longobarde nel manifestare e rafforzare la realtàdel loro potere sociale e del loro controllo sul territorio.

148. Specie il castrum di Rahone doveva controllare nell’VIII secolo la strategica Via Tarentina, l’an-tico tracciato costiero della via Flaminia adriatica che collegava Ancona a Brindisi e poi sino aTaranto, al crocevia fra i due tratti di questo itinerario nel territorio dell’antica Histonium, ancoradenominati in fonti dell’VIII secolo relativi al monastero di S. Stefano in Rahone strata maior e strata(minor) (cfr. in proposito STAFFA A.R., La via Flaminia ...).

149. LA ROCCA C., Segni di distinzione ..., p. 33.150. Su S. Vincenzo al Volturno appare inutile riepilogare la ben nota ed abbondantissima

bibliografia; per le fonti documentarie e le vicende storiche del fondamentale documento puòvedersi S. Vincenzo al Volturno ...; su S. Michele a Barrea vedi FALLA CASTELFRANCHI M.- MANCINIR., Il culto di S. Michele ..., pp. 507-513.

151. Derivo quest’immagine, particolarmente efficace, da LA ROCCA C., Segni di distinzione ..., p. 37.152. HL, V, 29.

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Fig. 1. L’Abruzzo tra la fine del VI e la metà del VII sec.

Fig. 6. Fibule e fibbie rinvenute presso la villa romano-bizantina di CasinoVezzani-Vassarella di Crecchio.

Fig. 11. Fibula in bronzo ad anello aperto con iscrizioneda Saepinum.

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Fig. 2. Tipologia della Ceramica dipinta d'età bizantina detta tipo Crecchio (ultimi decenni VI-prima metà VII secolo).

Fig. 3. Tavola riassuntiva schematica dei principali decori della Ceramica tipoCrecchio. Fig. 4. La c.d. Ceramica tipo Val Pescara.

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Fig. 10. Il Molise ed i castra e castella bizantini.

Fig. 5. Le sepolture di tardo VI-VII sec. lungo la costa adriatica.

Fig. 7. orecchini a globetti in argento (1-2), spilloni d’argento (3),vago in pasta vitrea (5), pendaglietto di collana (6), fibbie conardiglione (7), fibule ad anello (8,9,10) ed altri materiali prove-nienti da vari sepolcreti altomedievali abruzzesi.

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