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QUESTIONI ERMENEUTICHE
NEL DIRITTO1
1 Le pagine elaborate dagli studenti sono state corrette e curate da Giovanna Petrocco e
Beatrice Leucadito.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
2
SEZIONE I – DIRITTO COSTITUZIONALE
ARILLI ELENA
1. Interpretazione dei messaggi legislativi
L’interpretazione è un metodo attraverso il quale l'uomo avvia un'opera
artistica su una testualità che può appartenere a diverse dimensioni del
vivere: il musicista, per esempio, interpreta uno spartito musicale,
rendendolo ascoltabile, l’attore interpreta un copione, rappresentandolo in
scena, l’interprete della legge invece funge da mediatore tra il diritto scritto
e i membri della società e, lavorando sulla testualità giuridica, realizza
un'interpretazione giuridica, definita anche ermeneutica2.
L’interpretazione del giurista può trovare una forma nella sentenza che
chiude il giudizio: in questo caso viene pronunciata oralmente attraverso la
lettura delle motivazioni che ripercorrono il ragionamento seguito dal
magistrato ai fini dell'applicazione della sanzione. Il legislatore infatti
stabilisce solo in modo generale la pena da applicare al caso concreto,
lasciando la possibilità, a coloro che giudicano, di adattarla alla situazione
particolare in modo giusto, dopo aver ascoltato le parti convenute in
giudizio nel contraddittorio.
L'interprete ha dunque il compito di comprendere la volontà del
legislatore e, tenendo conto di circostanze e condizioni particolari, applicare
la legge al caso concreto, operando come un demiurgo3: il dio che secondo
Platone è capace di trasformare il caos in un cosmo ordinato.
Tutti i membri di una società sono sottoposti al rispetto delle leggi che
garantiscono la civile convivenza, esortando ad agire nel rispetto delle
regole attraverso la minaccia della sanzione. La dimensione giuridica si
manifesta ai soggetti di diritto attraverso i testi e la loro interpretazione da
parte del magistrato e del legislatore che traducono in termini pratici la
2 La parola ermeneutica è di etimo greco e rinvia alla hermeneutiké téchne, termine che
allude a una costellazione di significati legati all'attività del tradurre, dell'interpretare che, a
sua volt,a deriva da hermeneúo, verbo che riecheggia Hermes – il nunzio degli dèi. Vd. M.
HEIDEGGER, Essere e tempo, Milano, 2000, secondo il quale il comprendere rappresenta un
modo di essere dell'Esserci (Dasein), la cui esistenza è influenzata da una comprensione
preliminare del mondo. 3 V. FROSINI, Lezioni di teoria dell’interpretazione giuridica, Roma,1991, p. 19.
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lettera della legge, intesa anche come ultima fase del processo legislativo.
Questa è costituita da una formulazione linguistica e una comunicazione
informativa4.
L'attività legislativa è dinamica infatti il suo processo di formazione
prevede un’iniziativa parlamentare e una popolare fino alla redazione di un
testo diviso in articoli, tale da essere comprensibile ai suoi destinatari.
Ai lavori preparatori di un progetto di legge o disegno di legge
partecipano i tecnici del diritto che si presentano come promotori di riforme
legislative, volte a trasformare l’ordinamento giuridico e di conseguenza
l’ordinamento sociale.
Questo è possibile perché si procede all'unione di elementi razionali e
volontaristici: chiarezza e univocità di contenuti5.
Il messaggio legislativo ha come destinatario l'uomo che ha conoscenza
della legge attraverso tre fasi: promulgazione, pubblicazione ed entrata in
vigore, come previsto dall'art 73 della Costituzione.
La legge entra in vigore dopo 15 giorni dalla pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale, che conclude l'iter formativo, in modo tale da renderla
conoscibile ai suoi destinatari. Tuttavia, ai fini della sua corretta
applicazione è necessario l'intervento di tecnici esperti di diritto come i
tributaristi in caso di leggi fiscali.
I primi destinatari della legge sono coloro che devono farla rispettare, i
magistrati che l’applicheranno al caso concreto, integrandone i contenuti.
Si riscontrano diverse forme di interpretazione: interpretazione
legislativa, amministrativa, giudiziale e forense. Per interpretare al meglio
un testo di legge non si devono presentare commenti ma attenersi il più
possibile all'interpretazione autentica del legislatore6.
È importante ricordare l’art 12 delle disposizioni sulla legge in generale
secondo il quale bisogna attribuire alla legge il senso voluto dal legislatore7.
4 Ivi, p 44. 5 Ivi, p 50 «un messaggio legislativo dovrebbe percorrere una sola linea direttiva, come una
freccia diretta al suo bersaglio». 6 S. FRANCESCO D’ASSISI, Regulae, 1926 «a tutti i miei frati,chierici e laici,comando per
obbedienza che non aggiungano spiegazioni alla regola». 7 Secondo Betti l’intenzione del legislatore sta ad indicare il problema pratico del quale la
norma da interpretare rappresenta la soluzione.
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2. Conclusioni interpretative
Di fronte ad un qualsiasi profilo di giurisprudenza costituzionale, il
problema che sorge è quello di esaminare gli atti costituzionale in virtù della
funzione che assolvono.
Semplicemente volgendo lo sguardo alle sentenze costituzionali si deve
considerare la centralità dell'attività interpretativa, con particolare
riferimento alla Corte Costituzionale.
Nella prassi si distinguono sentenze interpretative di rigetto o di
accoglimento del volere del legislatore, che possono dichiarare illegittimo
un determinato significato o dispositivo in esse contenuto.
Perché si necessita di un’attività di interpreazione? Perché l’attività
giurisdizionale e legislativa devono essere sempre conformi alla
Costituzione in modo tale da applicare al caso concreto la norma più idonea
e adeguata ai principi Costituzionali posti a fondamento di ogni fattispecie.
Sebbene si sia giunti con notevole ritardo alla consapevolezza della
specificità dell’interpretazione costituzionale come l’unica via per conoscere
i contenuti e il senso di una norma giuridica, oggi la Costituzione deve
essere considerata un valido strumento d’interpretazione.
È opportuno ricordare anche l’esigenza, oltre che di un’interpretazione
giurisdizionale,anche di un’informatizzazione della giustizia termine con il
quale si indica non la volontà di sostituire un computer alla mente del
legislatore o del giudice quanto la possibilità di avvalersi di un sistema di
archiviazione delle disposizioni, leggi e sentenze, che vengono raccolte in
un database.
Questo sistema non reca pregiudizio all’attività di giudici e legislatori
che devono sostenere le loro idee, argomentandole, cioè usando argomenti a
fondamento.
Quindi, informatizzazione del diritto come archiviazione di dati e atti
giuridici, perché la legalità non può essere il prodotto di un’intelligenza
artificiale statica in contrapposizione ad un diritto sempre in formazione.
Alla base di una norma deve esserci un principio logico-giuridico che si
esprime in una premessa maggiore, intesa come possibilità di scelta tra ciò
che è giusto e ciò che non è giusto a partire dalla quale opera la norma. Basti
pensare ad una premessa maggiore che punisce il razzismo; in questo caso,
tutto il sistema legislativo andrà in quella direzione.
I testi giuridici sono quindi oggetto di interpretazione e di
argomentazione finalizzata ad una funzione. Potremo parlare di ermeneutica
funzionale, come discussa nelle pagine di Romano, critico di Luhmann.
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Come si procede ad interpretazione? L’interprete deve in primis definire
l’oggetto, cioè la nozione di diritto oggettivo, poi procede nell'osservazione
del testo che contiene l’oggetto in esame e ricerca gli argomenti a sostegno
della sua tesi.
Poichè la legge è sottoposta alla Costituzione, regolamenti e direttive
comunitarie, l’ambito di operatività del giudice è molto ampio. Sulla base
dei principi etici e giuridici della Costituzione, il giudice deve dichiarare o
meno l’illegittimità costituzionale di una norma e applicarla al caso
concreto.
Si ricerca il senso della disposizione tenendo conto della relazione delle
parole con la realtà sociale e con il sistema giuridico.
Appare chiaro un richiamo ai principi interpretativi delle preleggi del
codice civile, art 128.
Ma questa interpretazione a gradi (letterale, logica) mal si attaglia al
principio di legalità costituzionale perchè l’interprete ha il compito di
andare oltre questi canoni interpretativi, utilizzando il principio di
ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità che realmente individuano la
norma più adeguata al caso concreto.
VALENTINA CICCARELLI
Tecnicità e burocratizzazione della giustizia
1. L’Io senziente
È possibile avviare un confronto critico tra La dottrina pura del diritto di
Hans Kelsen e il sistema teorizzato da Luhmann nella sua Teoria sistemico
funzionale per sottolinearne le affinità. In entrambi i casi queste costruzioni
teoriche infatti viene messo da parte il logos e dunque l’unicità dell’ Io,
inteso come entità ipotizzante, isolato in una epoché, discussa da Husserl
come una «messa tra parentesi» dell'uomo rispetto alla vita di relazione.
8 Preleggi, libro IV, Titolo VIII, Dell'arbitrato (Artt. 806–840), capo II, Dell'applicazione
della legge in generale. Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che
quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e
dalla intenzione del legislatore. Se una controversia non può essere decisa con una precisa
disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se
il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento
giuridico dello Stato.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
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Ciò che manca nella dottrina pura del diritto è la dimensione concreta,
interpersonale e dialogica che appartiene esclusivamente all’Io rispetto agli
altri esseri viventi per questo Kelsen discute di una purezza, cioè di una
dimensione depurata da tutti quegli aspetti che non si lasciano osservare
concretamente9.
La dottrina pura del diritto consiste in un approccio scientifico al diritto
in quanto tale e questo è possibile solo se si purifica il diritto dagli elementi
che gli sono estranei.
È lo stesso Kelsen, nella prima parte della sua opera Lineamenti di
dottrina pura del diritto, a dire della sua dottrina: «la dottrina pura del
diritto è una teoria del diritto positivo. Del diritto positivo semplicemente,
non di un particolare ordinamento giuridico. È una teoria generale del
diritto, non interpretazione di norme giuridiche particolari, statali o
internazionale. Essa come teoria, vuole conoscere esclusivamente il suo
oggetto. Essa cerca di rispondere alla domanda: che cosa e come è il diritto,
non però alla domanda: come deve essere o deve essere costituito. Essa è
scienza del diritto e non politica del diritto»10
.
Poi Kelsen spiega cosa si intenda per purezza: «se viene indicata come
dottrina pura del diritto, ciò accade perché vorrebbe assicurare una
conoscenza rivolta soltanto al diritto, e perché vorrebbe eliminare da tale
conoscenza tutto ciò che non appartiene al suo oggetto esattamente
determinato come diritto. Essa vuole liberare la scienza del diritto da tutti gli
elementi che le sono estranei. Questo è il principio metodologico
fondamentale e sembra di per se comprensibile a tutti»11
.
Ma passiamo ad analizzare i punti salienti della dottrina pura del diritto
di Kelsen. Egli intende il diritto come un sistema di tipo piramidale nel
quale ogni norma è collegata ad un’altra sulla base di una relazione
gerarchica. Queste si dispongono su diversi livelli gerarchici e al vertice
della piramide che così si viene a costituire, è posta la Grundnorm, la norma
fondamentale, ossia la norma posta a fondamento del rispetto
dell’ordinamento stesso.
La norma fondamentale «Come norma suprema deve essere presupposta,
in quanto non può essere posta da un’autorità, la cui competenza dovrebbe
riposare su una norma ancora più elevata. La sua validità non può essere
9 L. AVITABILE, Lezioni di Teoria dell’interpretazione e informatica giuridica, a.a,
2013\2014. 10 H. KELSEN, Lineamenti di dottrina pura del diritto, Einaudi, Torino 1967, p. 48. 11 Ibidem.
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dedotta da una norma superiore, il fondamento della sua validità non può
più essere discusso»12
.
La norma fondamentale è stata interpretata nel senso che bisogna
obbedire ai padri della costituzione, ossia bisogna obbedire a quella che è la
fattualità vincente, inteso come il fatto che si impone rispetto ad altri fatti ad
altri. Dunque bisogna obbedire ai padri della costituzione vuol dire che uno
o alcuni hanno preso il potere e dettano delle regole che chiedono di essere
eseguite ed applicate secondo il principio meccanico «se A allora B», dove
A è il presupposto e B è la coazione della sanzione.
Quello che emerge dalla dottrina pura del diritto è un Io puro, un Io
depurato da tutte le attività che potrebbero contaminarlo che, essendo
svuotato di parte di quella che è la specificità dell’Io, ossia dell’essere
parlante, diventa una sorta di contenitore vuoto all’interno del quale può
transitare qualsiasi tipo di informazione.
La purezza dell’Io ha a che fare con l’anonimia del chiunque, cioè la
purezza dell’Io fa in modo che ciascun io sia uguale all’altro dal momento
che viene messa in una epochè quella che è la sua attività dialogica13
.
La dottrina pura del diritto celebra la dignità delle norme e non la dignità
dell’uomo, dal momento che la dignità dell’uomo riguarda il suo essere
riconosciuto come entità ipotizzante14
.
Anche nel sistema luhmanniano non c’è attività dialogica perché sarebbe
disfunzionale e non consentirebbe al sistema di procedere velocemente.
Nella prospettiva di Luhmann, il soggetto non esiste autonomamente, ma
vive dentro un sistema e si configura come una funzione deputata al
funzionamento del sistema stesso. Luhmann tralascia di scrivere del
soggetto, per lui il diritto non riguarda il soggetto, infatti quando affronta la
questione del giudice lo sostituisce con il termine tribunale per sottolinearne
l’impersonalità ed evitare l’associazione giudice-soggetto. All’interno della
teoria sistemico funzionale dunque, anche il giudice esercita una funzione, è
calato all’interno di un ruolo nel senso che esegue ciò che gli viene imposto
dal sistema di fare. Ad esempio se il sistema dice di assolvere, il giudice
assolve. Ma non perché sia giusto assolvere in quel caso concreto, ma
perché il sistema, per poter sopravvivere e non scadere nell’ambiente
circostante, gli impone di decidere verso l’assoluzione. È una decisione
funzionale che prescinde dal concetto di giusto o ingiusto15
.
12 ID., La dottrina pura del diritto, Torino, 1966, p. 59. 13 Lezioni. 14 Lezioni. 15 Lezioni.
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In questa prospettiva, il diritto non trova il proprio referente principale
nell’uomo, inteso come soggetto, ma nelle operazioni sistemiche e
contemporaneamente, si assiste allo spostarsi del sapere dagli uomini stessi
ai sistemi16
.
Tutto questo ha delle conseguenze sull'attività giurisdizionale perché di
fatto il giudice può solo eseguire e applicare il dettato normativo senza
interpretarlo, a prescindere da un giudizio sulla qualità dei contenuti. Si
giunge dunque ad una tecnicità e burocratizzazione della giustizia che non
ha nulla a che fare con il riconoscimento dell’Io come soggetto parlante17
.
2. Il Processo di Franz Kafka
In riferimento a questa tecnicità e burocratizzazione della giustizia, che
non ha nulla a che vedere con il riconoscimento dell’Io come soggetto
parlante è rappresentato dal romanzo di Franz Kafka, Il Processo. Tale opera
vede come protagonista un impiegato di banca, Josef K., che una mattina si
sveglia e riceve la visita di due guardie di Stato che lo dichiarano in arresto,
senza tuttavia porlo in stato di detenzione.
K. scopre così di essere imputato in un processo e pensando ad un errore,
decide di intervenire tempestivamente per risolvere quello che ritiene essere
uno spiacevole ma temporaneo malinteso. Ben presto, Joseph K. si rende
conto che il processo intentato nei suoi confronti è effettivamente in corso,
ma continua a non conoscerne i motivi e di conseguenza neppure il suo
avvocato può difenderlo perché non conosce i capi d’imputazione.
Un giorno ad Joseph K. gli viene chiesto dal suo direttore di banca, di
mostrare ad un corrispondente italiano della banca, le bellezze della città di
Praga, così i due si danno appuntamento davanti alla cattedrale della città. In
attesa del cliente della banca, che non si presenterà mai, K. entra nella
cattedrale e qui viene avvicinato da un sacerdote che dall’alto di un piccolo
pulpito disse Io sono il cappellano delle carceri. Ti ho fatto chiamare qui per
parlarti. Lo sai che il tuo processo va male? Forse il tuo processo non andrà
neppure oltre un tribunale di grado inferiore18
. Il sacerdote si appresta poi a
raccontargli una parabola Davanti alla Legge19
in cui si descrive la triste
16 A. ZACCAGNINI, Antropologia giuridica e antropologia funzionale, in rivista
quadrimestrale on-line: www.i-lex.it., Agosto 2010, numero 9. 17 Lezioni. 18 F. KAFKA, Il processo, F.lli Melita, La Spezia, 1988, pp. 200-201. 19 Ivi, cap. IX.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
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vicenda di un uomo di campagna che chiede di essere ammesso alla Legge,
ma viene impedito da un guardiano. L’accesso alla Legge è simboleggiato
da una porta. La porta che conduce alla Legge è sempre aperta poiché di
massima, la Legge dovrebbe essere sempre accessibile a tutti, ma davanti
alla porta sta un guardiano che non consente all’uomo di passare dalla porta,
di entrare nella Legge. Il guardiano resta a sorvegliare la porta aperta
durante tutta la vita dell’uomo e, quando questo muore, chiude la porta e
scompare.
Dunque stando al racconto, il destino dell’uomo è di non aver accesso
alla legge, di restare all’oscuro del dettato normativo. Nel testo di Kafka, il
termine legge è scritto con la maiuscola. Sappiamo che in tedesco tutti i
nomi propri vengono scritti con la maiuscola, ma qui ha un valore aggiunto
perché sembrerebbe quasi che il rapporto sia del custode che dell’uomo che
viene dalla campagna, sia con la legge intesa come personalità e quindi in
rapporto con l’amministrazione della giustizia.
Nucleo centrale della parabola è costituito dal rapporto tra chi serve la
Legge, il guardiano, e chi viene a trovarsi davanti alla Legge per cercare di
conoscerla. Il guardiano non è altro che all’interno di un ruolo, come l’uomo
all’interno della teoria sistemico funzionale di Luhmann: sta nel ruolo e non
lo eccede mai, in modo da consentire alla catena di sistemi di poter
continuare a funzionare. Il guardiano di Kafka è uno strumento della
burocrazia ed è chiamato a custodire la legge così com’è, mentre colui che è
di fronte alla legge è chiamato ad interpretarla e dunque a discuterne i
contenuti. Il rapporto dialettico tra apertura della porta e inflessibilità del
guardiano illustra molto bene la natura del testo normativo nella sua
componente linguistica. Da un lato, infatti, la parola destina la legge alla
condivisione, alla comunicazione, in quanto il linguaggio è un vettore di
comunicazione e di informazione. D’altro canto, pur essendo
intrinsecamente aperta, come la porta del racconto kafkiano, la legge pare
inaccessibile, chiusa nel suo codice specialistico fatto di taciti rimandi e
ferree concatenazioni gerarchiche tra i vari atti normativi, che richiamano
appunto lo Stufenbau, costruzione a gradi, di Kelsen. La legge è aperta
perché fatta di parole, ma inevitabilmente chiusa, inaccessibile al profano in
quanto elemento di un sistema autoreferenziale, parte integrante
dell’ordinamento.
La ragione principale di tale ambivalenza della legge risiede
nell’importanza della sua componente formale.
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Conclusioni
La dottrina pura del diritto di Kelsen e la Teoria sistemico funzionale di
Luhmann possono dunque essere inquadrate nel filone del formalismo
giuridico, generalmente definito da Romano come atteggiamento dell’uomo
indifferente ai contenuti normativi, quando osserva passivamente il diritto in
funzione della sua struttura formale, prescindendo dal contenuto. Nella
dimensione del formalismo giuridico non si presta attenzione ai contenuti
della legge, a ciò che il testo normativo istituisce, ma conta solo che una
legge sia istituita e rispettata senza che vi sia alcuna forma di contestazione,
di interpretazione. Interessa solo la legalità. Luhmann afferma che ogni
forma argomentativa deve essere utilizzata solo a rafforzare la validità del
diritto e non può modificarlo.
La legalità è enunciato normativo, la giustizia non è enunciato normativo,
o meglio non si esaurisce nell’enunciato normativo ma è ciò che sta dietro e
attende di essere ripreso ogni volta che il terzo, nella figura del legislatore o
del giudice, è chiamato ad istituire o ad applicare la legge. Questo vuol dire
che la legge è giusta se c’è un attività interpretativa su di essa e dunque non
viene applicata in maniera meccanica, se A allora B, come vorrebbe la
dottrina pura del diritto di Kelsen. Per Kelsen e Luhmann dunque, bastano
quelle che sono le aspettative normative così come istituite all’interno dei
codici.
All’interno della dottrina pura del diritto così come nel sistema
luhmanniano, la giustizia non entra, è qualcosa che deve rimane fuori, non
esiste perché non si può tangere con mano. Quanto finora detto, ci consente
di parlare di diritto come oggetto di scienza, una scienza giuridica, applicato
come fosse un teorema. In quanto scienza si basa sulla precalcolabilità e non
c’è spazio per l’attività interpretativa20
.
Si afferma in questo modo una scienza del diritto che tende all’eutanasia
del diritto e alla formazione di un tecnico delle norme21
.
20 Lezioni. 21 A. FIORILLO, Il ʻsistema del fondamentalismo funzionaleʻ: riflessioni critiche, a partire
dall’opera di Bruno Romano.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
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TERESA DI RIENZO
1. Costituzione e fondazione del costituzionalismo
La parola «Costituzione» indica un insieme di regole fondamentali che
danno identità ad un ordinamento. Esse conferiscono forma ad uno Stato e
infatti si può affermare che ogni ordinamento statuale ha sin dalla sua origi-
ne una Costituzione, così come un qualunque corpo umano vivente gode di
una propria costituzione, cioè quella serie di caratteri genetici o sviluppati
che ne determinano una fisionomia e una potenzialità.
Hobbes nel Leviatano22
, analizzando la condotta umana, scrive: «Il fine
degli uomini (che per natura amano la libertà e il dominio sugli altri)
nell’introdurre sopra di sé le restrizioni, entro cui li vediamo vivere negli
Stati, è la previsione di ottenere in tal modo la propria conservazione, e una
vita più confortevole; cioè, di uscire dalla miserabile condizione di guerra
che è necessaria conseguenza delle passioni naturali degli uomini, quando
manca un potere che li tenga in soggezione, e li vincoli (…) all’osservanza
delle leggi di natura»23
. Dunque Hobbes nel XVII secolo mostra l’origine
pattizia dello Stato derivante dal fatto che l’uomo lascia guidare dalla legge
della natura per uscire dallo stato di «miserabile condizione di guerra». Le
passioni naturali di cui è schiavo mirano all’interesse individuale che genera
guerra autodistruttiva; al contrario, le leggi naturali consentono di uscire
dallo stato di natura, caratterizzato dal prevalere delle passioni naturali24
,
mediante un patto sociale che porta alla nascita di un potere sovrano capace
di costringere ogni individuo ad obbedire alle leggi della natura, garanzia
della sopravvivenza umana. Hobbes, dunque, spiega che la convivenza paci-
fica deriva dalla presenza di un potere forte, stabile, capace di impedire ogni
prevaricazione.
Non la pensa allo stesso modo Locke il quale, pur condividendo i princi-
pi del giusnaturalismo, non approva l’impostazione della teoria hobbesiana
dello stato naturale e la giustificazione dello stato assoluto. Per Locke infatti
22 Leviatano è il nome di una creatura biblica. Si tratta di un terribile mostro marino dalla
leggendaria forza presentato nell'Antico Testamento. Tale essere viene considerato come
nato dal volere di Dio, nonostante sia spesso associato al Diavolo. 23 Cfr. T. HOBBES, Leviatano, a cura di S. Gabbiadini, M. Manzoni, Milano, 1995. 24 La concezione di Hobbes della natura umana esemplificata dalle frasi Bellum omnium
contra omnes ("la guerra di tutti contro tutti"), e Homo homini lupus ("ogni uomo è lupo
per l'altro uomo").
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
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le leggi naturali coincidono con la ragione; lo stato civile, che garantisce il
rispetto dei principi naturali, non deve sorgere dalla rinuncia degli uomini ai
loro diritti di natura, né la sovranità deve essere concentrata nelle mani di
un’autorità assoluta. Poiché il pieno rispetto dei diritti naturali di ciascuno
non è totalmente garantito ed è sempre possibile qualche violazione, è ne-
cessario che lo stato, nato da un patto consociativo tra i cittadini, tuteli con
la sua legislazione positiva i diritti naturali degli uomini così come ricono-
sca ai cittadini il diritto di partecipare alle diverse funzioni dello stato. Il
modello politico di Locke è quello di uno stato di diritto il cui governo, affi-
dando i differenti poteri a diversi organismi politici, è in grado di preservarsi
da ogni tentazione illiberale; lo stato deve tutelare le libertà e i diritti dei cit-
tadini, pena la perdita della fiducia del popolo e, quindi, del potere e della
pace.
Il modello giusnaturalistico, basato sulla contrapposizione tra uno stato
naturale di conflitti e incertezza e uno stato civile di pace e sicurezza, viene
rovesciato da Jean-Jacques Rousseau che considera il patto stipulato tra gli
uomini per garantirsi reciprocamente diritto e pace, uno strumento di divi-
sione a vantaggio dei ricchi che si riservano in tal modo la direzione del po-
tere economico, politico e sociale. Questo accordo è stato infatti estorto dai
potenti per legittimare subdolamente i loro interessi a danno degli altri citta-
dini che ora sono tornati uguali «perché non sono più nulla». «Non avendo
altra legge che la volontà del padrone (…) le nozioni di bene e giustizia
svaniscono di nuovo: tutto si riporta alla sola legge del più forte e, di conse-
guenza, a un nuovo stato di natura differente da quello da cui abbiamo preso
le mosse, in quanto quello era lo stato di natura nella sua purezza e
quest’ultimo è il prodotto di un eccesso di corruzione»25
.
Secondo Rousseau, l’uomo è innocente (qui si differenzia da Hobbes),
non è egoista e non cerca il proprio utile (qui si differenzia da Locke), dun-
que, non ha bisogno di sottomettersi ad un’autorità estranea ma deve invece
sottomettersi ad una volontà generale ossia aderire a quei principi comuni
che ciascun uomo porta in se stesso. La volontà generale è tale per la sua
qualità, non è la sommatoria di più volontà particolari. Sottomettendosi a
questa volontà, mediante il «contratto sociale» l’uomo realizza la propria li-
bertà26
.
25JEAN-JACQUES ROUSSEAU, Scritti Politici (volume primo: Discorso sulle scienze e sulle
arti, Discorso sull'origine e i fondamenti della diseguaglianza, Discorso sull'economia
politica), Roma-Bari, 1994. 26Cfr. A. BARBERA, Le basi filosofiche del costituzionalismo, Roma-Bari, 2003, p. 18.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
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Da Locke a Rousseau si delineano due dimensioni del costituzionalismo.
Mentre per il primo è prevalente il momento liberale, della «garanzia delle
libertà», per il secondo è prevalente il momento democratico, la garanzia
della partecipazione alla formazione della volontà comune. Inoltre mentre le
rivoluzioni inglesi e americane hanno cercato di limitare il potere assoluto
con la divisione dei poteri, la garanzia dei diritti e l’autonomia delle corti, le
costituzioni giacobine hanno puntato ad esaltare le assemblee e a costruire
gli strumenti di democrazia diretta.
Con l’Illuminismo e la Rivoluzione francese lo sviluppo del costituziona-
lismo si lega strettamente alla formazione dello Stato nazionale e quindi si
connette strettamente ai concetti di «nazione» e di «cittadinanza» e dei dirit-
ti del cittadino a scapito dei diritti dell'uomo27
.
2. Costituzionalismo e globalizzazione
I nuclei fondamentali attorno ai quali si sviluppano le costituzioni ed il
concetto di democrazia costituzionale sono sostanzialmente tre. Innanzi tut-
to vi è l’affermazione della sovranità popolare o nazionale. L’art 3 della Di-
chiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino28
del 1789 ne sancisce il
principio: «Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella nazio-
ne. Nessun corpo, nessun individuo può esercitare un’autorità che non ema-
ni espressamente da essa». L’art. 6, che verte sulla formazione della legge,
funge da complemento al precedente: «La legge è l’espressione della volon-
tà generale. Tutti i cittadini hanno diritto a concorrere personalmente o me-
diante i loro rappresentanti alla sua formazione». Il riconoscimento dei dirit-
ti individuali anteriori all’istituzione dei poteri pubblici, la limitazione delle
prerogative decisionali attraverso il meccanismo della divisione dei poteri,
sono gli altri due elementi che determinano la struttura delle nascenti costi-
tuzioni democratiche. L’art. 16 recita: «Qualsiasi società in cui la garanzia
dei diritti non sia assicurata, e la separazione dei poteri non sia determinata,
non possiede una costituzione».
In questo senso evidentemente la costituzione può essere correttamente
intesa non solo nell’accezione di garanzia dei diritti, ma può essere signifi-
cativamente identificata con la struttura organizzativa di ogni forma di Sta-
to, in quanto definisce il fondamento di legittimità costituzionale di un prin-
27 Ivi, p. 23; inoltre «La nazione, da ambito spaziale, si trasforma in un soggetto politico». 28 Primo documento scritto prodotto dalla Rivoluzione francese e funge da preambolo alla
Costituzione monarchica del 1791.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
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cipio politico.29
La Dichiarazione del 1789 contiene un programma politico
consistente nell’individuare nel legislatore il soggetto che attraverso la legge
sia rivelatore della volontà generale di una nazione ormai sovrana.
Nell’Occidente il costituzionalismo è stato il punto di forza che ha con-
sentito lo sviluppo della democrazia e la vittoria dei totalitarismi che si sono
succeduti nel secolo scorso; ma allo stesso tempo il costituzionalismo tende
a vedere soprattutto nello Stato il nemico delle libertà da tenere sotto con-
trollo e nella società il luogo in cui esse si esercitano. D’altro canto la socie-
tà non è solo il luogo in cui si sviluppano le libertà bensì anche il luogo in
cui – soprattutto quelle economiche – possono tradursi in potere sociale e
opprimere altre libertà. Sulla scia della Costituzione di Weimar del 1919 e
delle anticipazioni della Costituzione giacobina del 1793, accanto alla liber-
tà dallo Stato (diritti civili) e accanto alla libertà nello Stato (i diritti politi-
ci), si sono collocati i diritti sociali (diritto al lavoro, all’istruzione,
all’assistenza) che potremmo parafrasare come libertà attraverso lo Stato.
Essi devono fare i conti con la possibile inerzia dei poteri pubblici, con gli
equilibri finanziari del bilancio pubblico, specialmente in questa fase storica
in cui assistiamo ad una crisi fiscale dello Stato e ad una crisi finanziaria
globale. Se le nuove dimensioni di libertà non affrontate dal costituzionali-
smo classico (dalle cosiddette «libertà informatiche» ai diritti connessi alle
nuove frontiere della biogenetica) possono essere affrontate affinando le
tradizionali tecniche dei diritti di libertà, diversa è invece la dimensione che
riguarda i diritti sociali subordinati alle regole dettate dal sistema economico
e finanziario. Questo fa sì che il diritto che confluisce nel sistema giuridico
è il diritto del più forte. L’economia diventa, dunque, un sistema più com-
plesso e più efficiente e cresce l’influenza che esercita sul diritto e sulla so-
cietà. La particolare rilevanza del mercato e, quindi, il peso dell’economia,
si ripercuote sulla struttura del diritto, interessando in primo luogo la morfo-
logia delle norme giuridiche. In questo senso, si afferma il postulato che de-
finisce le leggi quali beni fungibili prodotti dal sistema e, come tali, valide
solo nel tempo della contingenza. Luhmann definisce il diritto come un
mezzo meccanico posto dai sistemi sociali a garanzia del loro stesso funzio-
namento, rendendo la figura del soggetto irrilevante ai fini della definizione
del concetto di norma, così come del concetto di pretesa giuridica. Scrive
Bruno Romano: «Luhmann descrive i sistemi sociali – dunque anche il dirit-
to – secondo il modello dei sistemi biologici, intesi come sistemi funzionali.
Tratta il funzionamento delle norme; non pensa la questione della giustizia,
29 Cfr. P. GIORDANO, Benjamin Constant. I ‘principi’ del costituzionalismo, Napoli, 2005, p.
28.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
15
che qualifica esclusivamente la storia degli uomini. Nei confini dei sistemi
biologici sono assenti i problemi specifici del concetto di giustizia»30
.
In conclusione possiamo affermare a gran voce che nel postumanesimo,
di pari passo con la perdita della centralità dell’uomo visto come soggetto,
che in Luhmann sfocia nel concetto di osservatore, si affermano le teorie
biologico-macchinali. B. Romano chiarisce che «i diritti fondamentali sono
riferibili alla contingente esteriorità della legge, che appartiene ad un sog-
getto senza io, divenuto un elemento funzionale di una vita sociale imperso-
nale […]. I diritti fondamentali contenuti in una Legge fondamentale, in una
Costituzione, possono violare i diritti dell’uomo»31
. Infatti la Dichiarazione
dei diritti dell’uomo del 1948 in un certo senso si propone come garanzia di
questi diritti al di sopra e anche contro gli Stati.
DONATELLA PETTERUTI
1. Pensiero politico, democrazia, rappresentanza
La parola «politica», deriva dal greco «polis» ossia città e significa
originariamente scienza o arte del governo. Essa è stata sempre oggetto di
interesse non solo della filosofia, ma anche della letteratura, della
storiografia e delle altre scienze, «in connessione o meno con l’etica, il
diritto e il concetto di giustizia, nella sua reale ampiezza»32
. Seneca, nella
sua opera De Clementia si occupa sia dello ius (diritto) che della aequitas
(equità). Egli disegna quella sorta di «virtù ideale che dovrà rendere
l’Imperatore (Nerone) amato dal popolo, per poter anche essere insignito del
nobile titolo di Padre della Patria»33
. Secondo Argiroffi, nel De Clementia,
la giustizia superiore ossia la clemenza moderata del popolo romano,
diviene virtù per eccellenza dell’Imperatore. Inoltre, Argiroffi afferma: «la
virtù ideale del giusto sovrano intesa come mitezza, moderazione, amore per
i sudditi; non potrà mai confliggere con la giustizia, come misura e regola
ponderata ed equilibrata ed in caso contrario diventerebbe: mancanza di
30 B. ROMANO, Sistemi biologici e giustizia. Vita animus anima, Torino, 2009, p. 37. 31 ID., Diritti dell’uomo e diritti fondamentali, vie alternative: Buber e Sartre, Torino, 2009,
p. 21. 32
A. ARGIROFFI, La Filosofia di Lucio Anneo Seneca tra Etica, Diritto e Politica, Torino ,
2012, p. 83. 33 Ivi, p. 84.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
16
misura, sregolatezza e odiosa parzialità»34
. Martin Heidegger afferma che:
«un classico come Seneca è contemporaneo ad ogni presente»35
. Seneca ci
accomuna allo stesso «mondo» infatti sostiene che: «tutti sono vincolati alla
medesima sorte: a chi è nato tocca morire. L’intervallo tra l’uno e l’altro ci
distingue, la fine ci mette alla pari»36
. Il concetto che è alla base del
pensiero di Seneca è che tutti gli uomini sono uguali, solo la virtù può
rendere l’uomo nobile e solo con la volontà si può raggiungere tale virtù.
Essa associata ad un rapporto paterno con il popolo, riesce a garantire la
sicurezza dell’impero a differenza di un atteggiamento dispotico, garantendo
al sovrano la fiducia e la dedizione da parte dei suoi sudditi. La politica,
dunque, è l’attività o l’insieme di attività che lo stato ha come fine per la
realizzazione degli scopi comuni alla collettività. Nel Rinascimento il
trattato di politica più importante fu quello di Machiavelli, che con il suo
«Principe» ha segnato l’inizio dell’arte di governo contemporanea. In
Machiavelli, a differenza di Seneca, gli uomini sono incapaci di evoluzioni e
cambiamenti, tuttavia alcuni di essi si distinguono e riescono a plasmare la
massa. Per Machiavelli, tutto ciò che il sovrano fa per rafforzare lo Stato è
lecito, anche se lontano dalla morale secondo l’adagio, «il fine giustifica i
mezzi». La politica è parte integrante di ogni società che sia disciplinata da
regole, da leggi, da canoni di convivenza dettati dalla ragione o dalla
morale. Essendo di notevole importanza nella società, nei regimi
democratici, ogni cittadino dovrebbe essere partecipe, ma ciò non accade in
particolar modo per l’abitudine a delegare ad altri le proprie responsabilità.
E’ anche vero che l’ambiente politico, sempre più degenerato nella
corruzione, non offre una buona immagine al cittadino onesto che non vede
risolti dalla classe dirigente i problemi più comuni. Ne deriva, che i cittadini
guardano alla politica con sospetto e con sfiducia e disapprovazione. La
politica sembra, ai giorni nostri, ridotta prevalentemente ad uno strumento
per arricchimenti illeciti e per l’esercizio del potere usato soprattutto a scopi
personali e non per il bene della nazione. Naturalmente non si può
generalizzare, accusando di corruzione l’intera classe politica, né la politica
stessa che resta un’attività importantissima. Strettamente connesso alla
politica è il concetto di Stato anch’esso nato nell’antica Grecia, ove si
costituirono le cosiddette città-stato. «Lo Stato non è altro che
l’ordinamento giuridico di una società (il dover-essere di un essere) che si
produce in una necessaria costruzione a gradi, di norme sovra e subordinate,
34 Ivi, p. 86. 35
Ivi, p. 109, inoltre vd. M. HEIDEGGER, Essere e Tempo, Halle, 1927, pp. 12, 14. 36
Ivi, p. 111.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
17
la cui più o meno articolata complessità ne testimonia la collocazione
storica»37
. Tuttavia, secondo De Sanctis, non ogni ordinamento giuridico
viene però designato come Stato, ma ciò avviene solo quando
«l’ordinamento giuridico stesso, per la produzione ed esecuzione di norme
giuridiche provvede ad una divisione del lavoro raggiungendo un certo
grado di accentramento»38
. Negli ultimi anni, si è determinata una crisi della
statualità, poiché gli stati, in particolare quelli europei, risultano incapaci di
affrontare e di risolvere i problemi imposti dalla crisi economica. La
globalizzazione e l’introduzione di nuovi interessi e valori, hanno
determinato che la nozione di rappresentanza sorta nello Stato moderno,
risulta inadeguata alla realtà odierna. Come affermato da M. Fracanzani:
«essa mal si concilia in quanto, la struttura dello stato moderno è stata
edificata sull’elemento della sovranità, categoria plasmata sull’unicità, cioè
sull’impossibilità di riconoscere altro da sé»39
. La rappresentanza politica è
in realtà «anti-politica»40
. In quanto sempre più spesso i rappresentanti eletti
dal popolo, finiscono per curare prima i loro interessi privati e non quelli
della collettività, denigrando le attività di governo in mera amministrazione.
Dunque, «ritorna inevitabile il problema dello spazio che la nostra
Costituzione riserva alla sovranità del popolo italiano»41
, o meglio del corpo
elettorale infatti «Kelsen disconosce il significato giuridico del popolo, ma
ne coglie al contempo una manifestazione quando agisce come corpo
elettorale»42
. Tutte le categorie della società, sono colpevoli per la
situazione che si è venuta a creare all’interno dello Stato, perché troppo
spesso si sono adagiate nell’inerzia sociale. Nella società attuale sono
evidenti le diseguaglianze che contrastano con quanto previsto dalle Carte
Costituzionali. E’ pertanto necessario che l’espletamento delle proprie
mansioni professionali si risolvano nell’obbligo di interpretare la legge
secondo lo spirito del dettato costituzionale, in modo da creare un’effettiva
uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, per costruire un sistema
effettivamente democratico, poiché, in realtà «la democrazia è la
37
F. M. DE SANCTIS, Stato dei Luoghi. Per una Topologia del Pensiero Politico, Napoli,
2005, pp.21-22. 38 Ivi, p.22. 39 G. P. CALABRÒ - P. B. HELZEL, Autorità e Rappresentanza, Napoli, 2011, p.17. 40 Ivi, p.83. 41
M. PLUTINO, Democrazia Rappresentativo-Parlamentare e Sviluppi degli Assetti
Istituzionali Italiani, Napoli, 2012, p. 199. 42 Ivi, p. 203.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
18
conseguenza organizzativa della dignità umana, niente di più e niente di
meno»43
.
2. Globalizzazione nel diritto
Nella seconda metà del secolo scorso, gli scambi commerciali nel mondo
sono aumentati in maniera impressionante, dando un impulso incisivo
all’economia mondiale. Oggi possiamo dire che l’intero Pianeta è diventato
un unico grande mercato mondiale. La libertà e l’incremento degli scambi,
hanno enormemente influenzato il mondo in cui viviamo: idee e culture
viaggiano con le merci, e dallo scambio delle idee trae impulso il progresso.
Le moderne tecnologie informatiche e di comunicazione abbattono barriere
ed ostacoli, fino a ieri, insuperabili. Come affermato da N. Irti: «la
tecnologia non si lascia governare, ma governa e configura i rapporti
intersoggettivi»44
. Grazie agli sviluppi tecnologici, «la natura dell’agire
umano è mutata»45
. Inoltre, continua H. Jonas: «tra il naturale e l’artificiale
non esiste più differenza: il naturale viene assorbito nella sfera
dell’artificiale e al tempo stesso la totalità degli artefatti e le opere
dell’uomo che influiscono su di lui, mediante lui, generano una propria
natura, cioè una necessità con cui la libertà umana deve confrontarsi in un
senso completamente nuovo»46
. Un processo che non è solo economico, ma
che investe ogni giorno di più la dimensione sociale, le identità culturali, gli
assetti politici ed istituzionali. «La circolazione dei beni economici si
scioglie a mano a mano da sostegni linguistici; venditore e compratore non
si conoscono: così, i rapporti raggiungono l’estrema funzionalità
dell’anonimia e del silenzio»47
. La società moderna risulta pertanto
condizionata dai meccanismi del mercato, dalle leggi dell’economia, dal
cosiddetto «sistema finanziario». In questo «sistema globalizzato», «il
43
G..P. CALABRÒ - P. B. HELZEL, Autorità e Rappresentanza, Napoli, 2011, p. 220. 44
B. ROMANO, Globalizzazione e Spazio nel Diritto, estratto dalla Rivista Internazionale di
Filosofia del Diritto Anno LXXVIII, Albano Laziale, 2001, p.17. 45
A. ARGIROFFI - L. AVITABILE, Responsabilità Rischio Diritto e Postmoderno, Torino, 2008,
p.108. 46Ivi, pp.110-111, inoltre vd. H. JONAS, Tecnologia e Responsabilità. Riflessioni sui nuovi
compiti dell’Etica, contenuto in Dalla Fede antica all’uomo tecnologico, trad. it. di G.
BETTINI, Bologna 1991, p. 52. 47
B. ROMANO, Globalizzazione e Spazio nel Diritto, estratto dalla Rivista Internazionale di
Filosofia del Diritto anno LXXVIII, Albano Laziale, 2001, p.15.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
19
diritto si trova ad essere una cosa tra le altre»,48
trasformato in un complesso
di operazioni funzionali. Essendo il diritto un’istituzione, esso è
incompatibile con l’intelligenza artificiale, poiché è di «derivazione divina»;
tuttavia c’è un’altra tesi, secondo la quale il diritto ha derivazione
naturalistica, ossia le regole nascono nella natura e sono immodificabili. Ma
l’uomo è stato capace di mettere in parola il diritto, in quanto esso si è
positivizzato attraverso il «dia-logos» ossia il passaggio della parola negli
uomini, esso è il diritto primo dell’uomo ed è diritto alla parola. In N.
Luhmann, invece, non c’è mai il concetto di dialogo, poiché
l’interpretazione è funzionale e ha a che fare con un «io funzione» e
pertanto è spersonalizzato. Nel pensiero «luhmanniano» non c’è la
giuridicità o la giustizia, ma vi è una formula di contingenza: «è giusto ciò
che accade», non c’è ricerca del giusto e del senso. I sistemi giuridici ed
etici precedenti non sono più adeguati a regolarizzare le nuove situazioni e i
nuovi rapporti derivati dalle nuove capacità dell’uomo che connotano il
progresso tecnologico ed economico. La globalizzazione mette in crisi lo
stesso ordinamento costituzionale, poiché soprattutto per quanto concerne
uno degli elementi necessari per l’esercizio della sovranità dello Stato, ossia
il territorio non può essere più individuato secondo i confini dati
dall’ordinamento giuridico, in quanto il mondo globale costituisce la
negazione della delimitazione fisica di un territorio. Oggi con la
globalizzazione il capitale finanziario, le informazioni e le conoscenze
legate ad un territorio si spostano da un luogo ad un altro cercando di
trovare il luogo o meglio lo Stato più conveniente in cui posizionarsi
sfuggendo al controllo dei poteri pubblici. Connesso al territorio è la
nozione di popolo con cui si individua la comunità di tutti coloro ai quali
l’ordinamento giuridico statale assegna la qualità di cittadino che è
condizione per l’esercizio di diritti ma anche di doveri. Con l’integrazione
europea il rapporto tra lo Stato ed i propri cittadini non è più esclusivo,
poiché con il Trattato di Maastricht del 1992 che ha introdotto l’istituto della
cittadinanza dell’Unione Europea il cui presupposto è costituito dalla
cittadinanza di uno stato membro, i cittadini dell’UE possono vantare una
serie di diritti anche nei confronti di tutti gli stati membri dell’Unione. Il
processo di integrazione si è avuto anche riguardo al flusso di stranieri che
dalle comunità dell’Africa Settentrionale e dal Medio Oriente raggiungono i
territori europei, cercando di custodire e di difendere la loro identità
culturale e religiosa garantendogli tutto un complesso di diritti. Oggi la
Costituzione interna allo Stato non è più sufficiente a garantire una tutela dei
48
A. ARGIROFFI - L. AVITABILE, Responsabilità Rischio Diritto e Postmoderno, cit., p.232.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
20
diritti, è necessaria una «internazionalizzazione dei diritti» in particolare
quelli umani attraverso la loro «positivizzazione», in modo da rendere
concreta l’applicazione del principio di legalità che stabilisce che l’azione
dello Stato deve necessariamente avere un fondamento giuridico e che deve
esplicarsi nel rispetto dei limiti formali fissati dalla legge in conformità della
disciplina sostanziale posta in essere dalla stessa. Questo processo di
integrazione a livello giuridico ha già preso avvio con l’emanazione delle
varie Dichiarazioni Internazionali e Carte di Diritti. Tuttavia non è
sufficiente in quanto la società attuale è caratterizzata dalla complessità
dovuta alla velocizzazione dei dati, in contrapposizione alla semplicità. Il
diritto è stabilizzatore della complessità che contraddistingue la società
attuale. Per far sì che cominci a decrescere la complessità, è necessario che
emergano tutti i sistemi fino a raggiungere un livello di adeguamento. Oggi
il sistema giuridico, il sistema etico e il sistema politico «sono esplicitabili
fenomenologicamente come mere sembianze e apparenze dei fenomeni
tradizionali»49
.
È pertanto necessario porre un freno ad una condotta e ad un modo di
pensare che rischiano di stravolgere la morale dell’uomo e quindi dell’intera
società. Occorre che il mondo non sia più caratterizzato dalla complessità e
dall’ accentramento dei poteri nelle mani di pochi, non rendendo trasparente
il concetto delle norme giuste e ponendo alla base del sistema giuridico la
legge del più forte. È opportuno che il fondamento del sistema giuridico
ritorni ad essere il «diritto-giusto».
FEDERICA ROMANAZZI
1. L’idea di uguaglianza nella società complessa
Uno dei principi su cui si fonda lo Stato di diritto è l'uguaglianza, ossia
«si è tutti uguali nella differenza». L’uguaglianza rappresenta un valore, un
ideale, un criterio di giustizia, è un bene, come la libertà, e deve essere
tutelata giuridicamente.
Ciò che differenzia l’uomo da tutti gli altri esseri viventi non umani è
l’uso della parola, ossia la capacità di esprimere il suo pensiero e, quindi, di
istituire, attraverso l'ipotizzare, il diritto e tutte le procedure necessarie a
questo scopo. Tutti gli uomini scelgono e formano la propria identità
esistenziale nell'esercizio del logos, attraverso il quale ciascuno presenta la
49 Ivi, p.182.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
21
propria specificità ed ha la possibilità di rivendicare il diritto primo a
prendere la parola: è questa la genesi fenomenologica del diritto.
L’istituzione del diritto diventa rilevante perché non può essere il
prodotto della forza del più forte; se così fosse non sarebbe necessaria la
parola perché diventerebbe il diritto della forza sociale, economica,
finanziaria di turno.
Il rispetto del principio di uguaglianza nella differenza è custodita
dall'incidere del diritto.
L’uomo in relazione con gli altri istituisce il diritto nella propria
differenza ipotizzante. Ed è proprio lai differenza uno dei cardini della teoria
di John Rawl: nella struttura della società giusta le inuguaglianze nella
distribuzione dei beni primari (diritti, libertà, reddito, etc.) sono giustificate
quando vanno a beneficiare dei soggetti più svantaggiati; si può discutere in
questo caso di «un’uguaglianza che sa porsi autonomamente i suoi limiti».50
Al diritto non si chiede di “eguagliare” le persone, ma di non trattarle con
disparità, di non discriminarle. Il divieto di discriminazione è il criterio di
cui il diritto si avvale per assicurare pieno rispetto ai profili dell’uguaglianza
che accumunano gli esseri umani. Il diritto che muove verso l’uguaglianza
«non insegna solo il fatto, ma prova a cambiarlo, prova a incidere sulle
strutture economiche, sociali, culturali, piuttosto che sulle strutture
giuridico-formali»51
.
Per poter difendere il concetto di uguaglianza non si devono solo
eliminare le disuguaglianze, ma si deve anche cercare di tutelare la diversità
perchè la differenza è un vero e proprio valore da tutelare.
Nel processo di autosservazione del sistema diritto, il principio di
uguaglianza diviene una tecnica di semplificazione nel trattare la
complessità. Questo principio non si concretizza nella direzione di un fine,
ossia accrescere l’uguaglianza facendo decrescere le condizioni
d’ineguaglianza, ma diventa un meccanismo di concretizzazione della
funzione di diritto, nel suo essere il sistema immunitario dei sistemi sociali.
La forma dell’uguaglianza consiste nel suo operare come norma52
, dove
casi uguali sono trattati in modo uguale e casi disuguali in modo diverso. Si
tratta di un’uguaglianza-funzione che, nel diritto come sistema, opera in
modo che «nessun caso può essere costituito da esso in modo che non è né
50 G. ZANETTI, Eguaglianza, in “le basi filosofiche del costituzionalismo”, a cura di A.
Barbera, Roma-Bari, 2000, p. 64. 51A. D’ALOIA, Discriminazioni, eguaglianza e azioni positive: il “diritto diseguale”,
Reggio Emilia, 2008, p. 201. 52B. ROMANO, Terzietà del diritto e società complessa, Roma, 1997-1998, p. 93.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
22
uguale, né non uguale con riferimento ad altri casi. Davanti al principio di
uguaglianza tutti i casi sono uguali».
Nella complessità postmoderna, il principio di uguaglianza viene
considerato come una regole su come trattare i casi giuridici attraverso la
distinzione tra uguale e non uguale, che opera «come forma e come
norma»53
, secondo la logica immunitaria.
Luhmann sostiene che, la questione dell’uguaglianza, nell’attuale società
complessa «non si muove più nella direzione di una maggiore uguaglianza e
di una minore uguaglianza, ma nella direzione di una più alta complessità,
che offre più vedute per l’uguaglianza e per l’ineguaglianza»54
, sempre per
valorizzare il processo di semplificazione.
L’uguaglianza ha la sua unità in ciò che essa marca: la differenza. Si
tratta infatti di una forma a due versanti, l’uguale ed il disuguale, chi dice
uguaglianza dice anche non-uguaglianza.
2. Uguaglianza come ideale di giustizia
Il principio di uguaglianza può essere espresso in varie formule: può
essere di tipo ontologico e di tipo deontologico.
L’uguaglianza assoluta ontologica afferma che 'tutti gli uomini sono
uguali', mentre l’uguaglianza assoluta di tipo deontologico dice, invece,
come devono essere trattati gli uomini.
Il principio di uguaglianza può anche essere formulato come segue «i
casi uguali devono essere trattati in modo uguale (ed i casi diversi in modo
diverso)»55
.
Secondo Perelman l’eguaglianza di trattamento si riallaccia
«semplicemente all’applicazione corretta di una norma»56
, solo in questo
modo si può realizzare l’idea di giustizia.
La norma, determinando sia le condizioni sia le conseguenze in modo
generale, crea una situazione in cui i soggetti, nella loro individualità, sono
irrilevanti e perciò uguali.
La generalità della norma giuridica garantisce l’eguale trattamento di tutti
quelli che appartengono alla stessa classe individuabile attraverso criteri
53ID., Terzietà del diritto e società complessa, cit., p. 96. 54Ivi, p. 445. 55 P. FERRAGAMO, Le formule dell’uguaglianza, Torino, 2004, p. 38. 56 C. PERELMAN, La giustizia, Torino, 1959, p. 73.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
23
stabiliti dalla norma stessa per cui «nessuno, arbitrariamente o senza
ragioni, possa essere sottoposto a un trattamento diverso»57
.
Solo attribuendo un contenuto specifico a ogni norma si può garantire il
principio di uguaglianza affinché gli uomini possano convivere nella
reciprocità e non nell’assoggettamento, evitando così che il diritto divenga
«la legge della forza del più forte»58
.
Tutti gli esseri umani sono uguali perché dotati i pari dignità e uguale
rispetto. Il principio di uguaglianza è strettamente collegato con l’idea di
giustizia; infatti l’uomo ingiusto è colui che vuole più di quanto gli spetta,
quindi è nemico dell’uguaglianza; mentre l’uomo giusto è colui che rispetta
l’uguaglianza. Le norme di giustizia sono generali e prescrivono un certo
trattamento, rappresentando la base di una società giusta.
L’idea di diritto rimane strettamente legata alle leggi scritte con una
propria e autonoma forma, capace di cambiare in modo continuo attraverso
un’attività interpretativa con la quale il giurista cerca di comprendere e
conoscere meglio la portata della disposizione, rispetto a quelli che sono i
principi generali dell’ordinamento. Il giurista, tramite l’interpretazione,
ricerca il giusto, inteso come riconoscimento di uno stato diritto fondato sul
principio di uguaglianza. L'attività interpretativa produce un’attesa o ansia
di giustizia che può essere attesa o disattesa.
Il diritto quindi nasce per garantire a ciascun individuo e alla società
garanzia, stabilità e progresso attraverso l'istituzione di un diritto che rispetti
il principio di uguaglianza nella misura in cui la norma è nel suo contenuto
giustificabile, poiché «una norma, al tempo stesso, stabilisce
un’unificazione e una differenza, giustificare l’unificazione e la differenza è,
in realtà, giustificare la norma medesima»59
.
Oggi, quasi tutte le costituzioni contengono, in uno dei loro primi
articoli, la proposizione secondo cui 'tutti gli uomini sono uguali davanti alla
legge' e anche la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 10
dicembre 1948, afferma che «tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali
in dignità e diritti».
L’uguaglianza costituisce, dunque, un principio giuridico di rilevante ed è
tanto più garantita quanto più le leggi sono astratte e generali, cioè rivolte a
tutti senza distinzione di sesso, razza, lingua, condizioni sociali e personali,
opinioni politiche e religiose.
57 A. ROSS, On Law and Justice, Londra, 1958, p. 254. 58 B. ROMANO, Filosofia della forma, relazioni e regole, Torino, 2010, p. 67. 59 P. FERRAGAMO, Le formule dell’uguaglianza, cit., p. 80.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
24
Si può concludere affermando che il rispetto e la realizzazione
dell’uguaglianza sono garanzie del pieno sviluppo della persona umana.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
25
SEZIONE II – DIRITTO PRIVATO
GILDA COSTANTINO
1. Il formalismo giuridico nella genesi del diritto privato
La sostanza del diritto sta nella sua forma, intesa dai romani come
l’espressione dell’aspetto esteriore di una cosa, ma anche come il complesso
degli elementi strutturali specifici di un negozio o di un istituto. È a partire
da ciò che si è giunti a parlare di «formalismo giuridico»60
nell’odierno
diritto privato e non solo, poiché ha invaso le più disparate materie
giuridiche. L’espressione ‘formalismo giuridico’, variamente tecnicizzata,
conferisce rilievo in primis a quei comportamenti umani aventi determinate
forme essenziali affinché producano effetti giuridici. Una parte della
dottrina, infatti, ritiene che qualunque atto, rilevante per l’ordinamento,
necessita di una forma anche se non prescritta. Si possono distinguere atti
formali o solenni, in cui la forma è requisito essenziale a pena di nullità
dell’atto, ed atti non formali nei quali la forma è libera. La forma, dunque, è
il mezzo necessario per esprimere la volontà. In un’accezione più ampia
l’espressione «formalismo giuridico» è talvolta utilizzata per definire un
carattere che sarebbe proprio di ogni concreta manifestazione del diritto e
che ne costituirebbe un elemento imprescindibile, cioè l'insieme dei mezzi
tecnici di cui il diritto avrebbe necessità per porsi e realizzarsi, addirittura
per essere (ad. es. prescrizione, decadenza)61
. Ma la concezione formalista,
muovendosi tra scienza e filosofia giuridica, si divulga anzitutto con Kant, il
quale affronta la distinzione fra materia e forma della conoscenza
affermando che «il diritto sarebbe determinabile a priori, formalmente,
risolvendosi nell’esistenza della libertà, quale forma delle relazione tra gli
arbitrii degli individui». Non meno importante, e su tale scia, è il pensiero
Kelseniano. Kelsen definisce la norma giuridica come un giudizio ipotetico,
una struttura logico-formale, che esprime il rapporto specifico, detto
«imputazione» di un fatto condizionante avente una conseguenza
condizionata. La validità delle norme, differente dalla loro efficacia, dipende
60 Cfr. P. RICOEUR, Studi di fenomenologia, Prefazione di L. Avitabile, Torino,2009. 61 B. ROMANO, Filosofia della forma relazioni e regole, Torino, 2010, p.103.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
26
dalla loro riducibilità, e non dal loro contenuto, ad una «norma
fondamentale», la quale funge da presupposto e costituisce l'unità nella
pluralità di tutte le norme che per essa, appunto, formano un ordinamento.
La visione del positivismo giuridico tradizionale, e cioè che le norme siano
un prodotto della realtà empirica, viene rovesciata dal positivismo
kelseniano, in quanto sarebbero processi di produzione del diritto gli eventi
della realtà empirica elevati a tale funzione da una norma giuridica. L'essere
del diritto viene quindi ridotto a pura forma normativa.
2. Il formalismo giuridico e le sue dimensioni
Il formalismo giuridico trova concreta espressione nelle teorizzazioni di
Kelsen ma anche di Luhmann che oscura la vitalità del diritto rendendolo un
quid lontano dall’io dell’uomo e dalla giustizia. Luhmann infatti si distanzia
dalla posizione in base alla quale le norme acquisiscono un particolare
valore esistenziale, che si esprime nel concetto di validità e che si
differenzia dal mondo fattuale62
. In antitesi a tale formalismo B. Romano
definisce il formalismo giuridico come « l’atteggiamento dell’uomo
indifferente ai contenuti normativi quando osserva passivamente il diritto
unicamente in funzione della sua struttura formale prescindendo dal
contenuto». Con l’espressione «atteggiamento dell’uomo» si fa riferimento
a tre dimensioni: quella della forma formata63
, quella della forma in
formazione64
e quella della differenza nomologica65
. Si registra, dunque, una
differenza formologica66
, nomologica e dialogica. Il formalismo giuridico ha
a che fare solo con la differenza formologica perché nella dimensione
dell’io, che è centrale nell’ordinamento giuridico, rappresenta una forma
formata e una forma in formazione, ossia rispettivamente ciò che possiamo
toccare, osservare, quindi ciò che è oggetto della sperimentazione
scientifica, e ciò che è assente alla vista ma presente allo sguardo, perché
mentre la vista si ferma a ciò che possiamo osservare, esso si lascia cogliere
dell’intelletto, attraverso la dimensione dello spirito67
. In tale dimensione
62 N. LUHMANN, Il diritto della società, Torino, 2012, p. 193. 63 L. AVITABILE, Il diritto tra forma e formalismo, Napoli, 2011. 64 B. ROMANO, Filosofia della forma relazioni e regole, cit., p. 104. 65 ID., Senso e differenza nomologica, Roma, 1993, p. 116. 66 ID., Filosofia della forma relazioni e regole, cit., p. 213. 67 ID., Sistemi biologici e giustizia. Vita animus anima, Torino, 2009, p. 52.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
27
l’io68
guarda l’altro e richiama la sua capacità dialogica nell’altro e
attraverso l’altro cogliendo, tutto ciò che non si manifesta all’impatto, ciò
che l’uomo può essere attraverso la costruzione della propria identità
esistenziale, ciò che ha a che fare con le sue idee, le sue ipotesi di senso.
In Luhmann, invece, l’ipotesi di senso ha importanza nella misura in cui ha
importanza l’io nella sua materialità. L’io viene funzionalizzato al servizio
del funzionamento dei diversi sistemi sociali all’interno della teoria
sistemico-sociale di Luhmann. L’attività ipotizzante, l’ordine della
spiritualità dell’io, tutto ciò che è affine alla giustizia, e che quindi non può
essere trascritto nei codici, sta al di sopra della realtà. Ecco perché la legalità
è enunciato normativo, mentre, la giustizia non si esaurisce nell’enunciato
normativo, ma è ciò che sta in alto, che attende di essere ripresa ogni volta
che il terzo, legislatore o giudice, è chiamato ad istituire o ad applicare la
legge69
. La legge, dunque, è applicata nella direzione della giustizia se c’è
un‘attività interpretativa su di essa, ossia se non è applicata in maniera
meccanica come, invece, vorrebbe la dottrina pura di Kelsen o il pensiero
luhmanniano, secondo i quali bastano le aspettativa normative cosi istituite
all’interno dei codici. Per Kelsen la giustizia non è solo una formula di
contingenza: esiste solo la legalità istituita. Per Romano, al contrario, la
relazione qualitativamente giusta è la ripresa dialogica del dettato
normativo. Nel formalismo giuridico ciò non interessa poiché interessa solo
che ci sia una legalità70
. Luhmann afferma che ogni forma argomentativa
deve essere finalizzata a rafforzare la validità del diritto senza modificarlo,
in quanto l’io, anche nell’attività dialogica, interessa solo nella misura del
‘significato’. Ciò che dice il più forte deve essere eseguito, non interpretato,
perché in questi tipi di sistemi domina il più forte, e quindi la differenza
nomologica, costituita da due versanti (significato-significante) si interessa
solo dell’ordine del significato, ossia la legalità. Queste tre dimensioni (l’io
come forma formata, legalità come legge scritta e significato) che sono solo
uno dei versanti delle tre differenze interessano tutte il formalismo giuridico
nella misura in cui questo elimina la specificità del diritto, che trova la sua
esplicazione proprio nella forma in formazione, nel significante che è
attività di ritorno sul diritto, e la giustizia che riguarda le relazioni nel
dettato normativo. Nella prospettiva di Luhmann non importa ciò che la
legge stabilisce, ma che stabilisca e, quindi, garantisca il funzionamento dei
diversi sistemi sociali. In questo senso il diritto è solo la forma stabilita dalle
68 ID., Filosofia della forma relazioni e regole, cit., p.19. 69 Ivi, p.112. 70Lezioni.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
28
procedure. Nell’anti-formalismo si va oltre il dogmatismo e si promuove il
più articolato sistema delle fonti, considerando il diritto come fatto sociale:
il diritto per essere tale è necessario che sia aperto alle istanze sociali. Il
problema del formalismo giuridico è la mancanza di attenzione ai contenuti
della legge, per cui la legge poteva contenere qualsiasi cosa, era «come una
scatola vuota che poteva essere riempita di qualsiasi contenuto»71
, e quindi
anche di contenuti ingiusti. L’ingiusto comporta, inevitabilmente,
l’esclusione dell’altro. Il senso del giusto, mentre, è sovranazionale perché
appartiene all’io dell’uomo di ogni paese, di ogni nazione; è incondizionato
ed universale, è la relazione di riconoscimento dell’io che consente all’uomo
di parlare del giusto e di una selezione qualitativamente giusta dei contenuti
normativi assenti nel formalismo giuridico. Il «giuridico» è qualcosa che
riguarda quotidianamente tutti, e per questo l’opinione dell’uomo comune è
importante tanto quanto quella del giurista, in quanto rinvia ad un
comportamento. L’attenzione così si sposta dalla norma al comportamento,
tendendo ad una teoria dei comportamenti giuridici volta ad individuare la
condotta per eccellenza. Si analizza il rapporto tra diritto e società, o meglio,
il dialogo che costituisce l’oggetto principale di quei sistemi sociali che non
sono «naturali», essendo sistemi biologici, in cui gli esseri viventi si
limitano a reagire istintivamente agli stimoli esterni. È da qui che si muove
la critica di L. Avitabile e di B. Romano, poiché i sistemi giuridici tendono
ad adeguarsi ai sistemi biologici creando degli istinti che attendono delle
risposte. L’istinto cerca di tutelare un certo logos72
, come ad es. un’area
geografica, e non aprendosi agli altri porta all’ingiusto poiché preclude il
dialogo con l’altro io, non c’è un confronto con l’altro. È la parola che
distingue l’uomo dagli animali, che non hanno il diritto, proprio perché il
diritto è un fenomeno dialogico. Con l’io l’uomo ha la capacità di auto
comprendersi73
, ha la capacità di elevarsi dalla fattualità, che nei sistemi
sociali è la pura legalità, ed approdare alla lotta per il giusto. Il diritto è
espressione dialogica che da importanza al contenuto e che va oltre quel
formalismo giuridico secondo cui è tutto già dato. L’io permette una
relazione tra le parti e il diritto è ciò che conferisce una forma specifica a
tale relazione74
. Questa relazione giuridica, che si forma nella differenza
formologica, permette all’io di scegliere e di uscire dall’informe; lascia
all’io la possibilità di decidere se rispettare o violare le norme istituite. Se il
71Ibidem. 72
B. ROMANO, Forma del senso. Legalità e giustizia, cit., p. 197. 73 S. COTTA, Spiegazione e obbligazioni delle norme, Milano, 1981, p. 156. 74 B. ROMANO, Filosofia della forma relazioni e regole, cit., p. 111.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
29
diritto non avesse una forma non si potrebbe parlare di interpretazione del
diritto, una forma non necessariamente scritta, perché essa passa per la
sedimentazione della parola. Ci sono ordinamenti basati su una tradizione
orale (Common Law) e altri dove il diritto ha fonte codicistica (codice di
Hammurabi), ma entrambi sono attraversati dalla parola, una parola che
porta il diritto ovunque e lo rende forma condivisa attraverso
l’interpretazione.
DANIELA DI SOTTO
1. L’individuo, il soggetto, la persona
La figura umana è stata spesso oggetto di interpretazioni75
da parte di
numerosi autori che hanno discusso sulla centralità o meno dell’uomo
all’interno della globalizzazione dei mercati. Il diritto nella sua complessità
viene inteso da Bruno Romano come un fenomeno76
con una molteplicità di
forme, come ad esempio il diritto costituzionale, penale, privato, tributario
etc.
In particolare, il diritto privato è una specifica forma del diritto, che pone
la propria attenzione sul singolo individuo e sulle controversie che nascono
fra i privati. L’individuo ha una propria autonomia contrattuale77
, cioè la
libertà di stipulare o meno un contratto, di stabilirne il contenuto e di
scegliere l’altro contraente; ma questa libertà non è assoluta perché deve
sempre tener conto dei limiti posti dal legislatore.
Questo relazionarsi tra gli uomini, per la soddisfazione dei propri
interessi, si avvicina alla visione dell’io di Bruno Romano secondo il quale
l’io è una soggettività ipotizzante78
quando ha la possibilità di relazionarsi
con gli altri in base al principio di uguaglianza (nomos) e al principio
dialogico (logos)79
. Romano, inoltre, usa il termine io per evitare la
distinzione tra uomo e donna, e lo definisce attraverso tre aggettivi: unitario,
infungibile e non precalcolabile.
75
Lezioni. « É l’attività compiuta dal legislatore e dal giudice che caratterizza fortemente il
sistema sociale e inoltre richiede una certa temporalità e delle risorse sociali. questo
meccanismo si ha solo nel sistema giuridico, perché è l’unico sistema che comunica
attraverso i testi ». 76
Lezioni. 77 Vd. Art. 1322, 2°comma, c.c. 78 B. ROMANO, Filosofia del diritto, Roma-Bari, 2001, p. 40. 79 ID., Filosofia della forma. Relazioni e regole, Torino, 2010, p. 17.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
30
Unitario, vuol dire che l’io non è frammentato sebbene abbia molte
sfaccettature che può esercitare nella sua dimensione sociale ad esempio
può essere allo stesso tempo un uomo economico, un padre di famiglia e
parte di un contratto. È infungibile perchè ciascuno ha una propria
soggettività e non può essere sostituita con quella degli altri. Non
precalcolabile significa che l’uomo è un deinon, cioè è disfunzionale, segue
un iter autonomo che non è preordinato perché le vie da seguire sono
infinite. L’io esercita quindi la propria soggettività in maniera
imprecalcolabile.
Per Romano, dunque, esiste la comunicazione con l’altro in un rapporto
di reciprocità comunicativa80
dove ognuno rappresenta se stesso e riconosce
anche l’altrui soggettività nella doppia contemporaneità, intesa come
capacità di emanciparsi e di distinguersi dalla natura, oltre le operazioni
biologiche81
.
Da questa concezione disfunzionale dell’io di Romano si distingue
nettamente la visione di Luhmann che, nella teoria sistemico-funzionale,
non considera l'individuo, ma i sistemi82
. La complessità della società,
dovuta alla globalizzazione, viene ridotta attraverso i sistemi, che non sono
istituiti ma emergono con l’osservazione di ogni uomo che, in quanto
sistema sociale, partecipa a questa emersione. In ogni sistema ciascuno ha
una propria funzione specifica, «la funzione della funzione è la funzione»83
.
Possiamo distinguerne vari tipi: il sistema di diritto, quello economico,
quello religioso e anche l’uomo è considerato un sistema sociale sotto forma
di ente biologico.
Luhmann non discute di un io, ma di individuo, inteso come ente al pari
degli altri; una materia senza spirito, necessario al mantenimento del
sistema. Si tratta di un sistema autoreferenziale chiuso84
che non necessità
della parola nè del riconoscimento dell'alterità a differenza di Romano per il
quale l’io è un’unità ipotizzante e interpretante aperta ad accogliere la parola
dell’altro in un rapporto di parità.
L’individuo nella teoria sistemico-funzionale è messo da parte, Luhmann
non discute mai di titolarità dei diritti, perché ciò che conta è la riduzione
80 ID., Fiosofia del diritto, cit., p. 110. 81 Ivi, pag. 120. 82
N. LUHMANN, Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale, Bologna, 1984, p. 110. 83
N. LUMANN, Organizzazione e decisione, Milano, 2005. 84 N. LUHMANN, Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale, Bologna, 1984, p. 105.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
31
della complessità e arginare le continue minacce che provengono
dall’ambiente85
. È ambiente tutto ciò che non fa parte del sistema86
.
La teoria sistemico-funzionale si allontani dal nostro sistema civilistico
che si concentra sulla volontà del privato nell’esercizio dei propri diritti,
sulla comunicazione e sulla relazione dalla quale possono scaturire conflitti
di senso: il dialogo, infatti, porta inevitabilmente a confrontare le proprie
idee con quelle altrui.
2. La relazione tra uomo e diritto
L’uomo istituisce il diritto e le procedure necessarie alla sua
applicazione, emancipandosi dal diritto naturale87
al fine di regolare, nel
caso del diritto privato, le controversie che nascono all'interno della
comunità. È proprio questa capacità che lo distingue dagli altri esseri
viventi, come ad esempio gli animali, perché l’uso della parola rappresenta
la massima espressione dell’esercizio della libertà88
nel rispetto del principio
d’uguaglianza, intesa non come uguaglianza seriale, ma come differenza
ipotizzante nel rispetto dell'altro89
.
Il diritto è in continua evoluzione, non è statico ed è supportato dai nuovi
mezzi di comunicazione90
, infatti, anche nel diritto privato, vengono usate
nuove tecnologie, come internet, per la conclusione dei contratti.
La teoria dell'interpretazione, in particolare, si occupa dell'attività
interpretativa del legislatore e del giudice, intesa anche come sintesi di
aspetti tecnici e dello spirito della legge sebbene con la globalizzazione si
lasci sempre meno spazio alla ricerca del senso, privilegiando la funzione
del diritto, così come nella teoria sistemico-funzionale di Luhmann.
In questa architettura, la società è strutturata come un insieme di sistemi
tra cui quello economico e giuridico che con le relative norme, leggi e
contratti, assolve una funzione immunitaria91
, cioè di difesa della
85 L. AVITABILE, Cammini di filosofia del diritto, Torino, 2012, p. 150. 86 B. ROMANO, Filosofia del diritto, cit., pp. 73-74. 87 Lezioni. «La comunità è l’insieme di soggetti che si comprendono e sanno di aver
bisogno l’uno dell’altro per dialogare, perché ognuno è portavoce di un sapere parziale. I
saperi sono trasmessi e circolano». 88
L. AVITABILE, Cammini di filosofia del diritto, cit., p. 140. 89 ID., I doveri del giurista, le critiche della filosofia del diritto, p. 10. 90
Lezioni: «Informatizzare significa che i dati giuridici diventano degli algoritmi, e la
connessione tra questi dati è più veloce, reale ed efficiente». 91 B. ROMANO, Filosofia del diritto, cit., p. 69.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
32
costellazione dei sistemi sociali. Infatti, sotto il profilo dell’efficienza, della
funzionalità e della celerità, il sistema giuridico è considerato il significante
principale, cioè il sistema che incide maggiormente su ogni altro ed opera
attraverso il codice binario diritto/ non diritto.
Dal sistema giuridico poi, si distingue il sistema economico92
con il
codice binario capacità di pagare/di non pagare che assolve alla funzione dei
pagamenti per ricevere qualcosa in cambio attraverso il linguaggio numerico
del denaro, che al contrario della parola, non esige interpretazione.
L’interpretazione del diritto, invece, viene compiuta dal legislatore e dal
giudice attraverso tre operazioni: osservazione, designazione e distinzione
dell’oggetto da analizzare.
Il legislatore è un osservatore di primo grado93
e osserva tutto il materiale
che proviene dagli altri sistemi sociali, ordinando il materiale osservato in
base al codice binario.
Il giudice, invece, è un osservatore di secondo grado94
e interpreta
nuovamente il materiale già osservato e trattato dal legislatore, producendo
le sentenze.
Romano critica Luhmann quando sostiene che il sistema economico è
superiore agli altri grazie alla forza del denaro e al linguaggio dei numeri
che non esige di essere interpretato95
. Tuttavia, tutta la realtà non può essere
ridotta ad un conteggio numerico, come vorrebbe Luhmann, perché l’io non
è solo materia ma anche spirito.
Ed è proprio nella dimensione dello spirito che si avvia l'opera
interpretativa che consiste nell’utilizzo di argomenti e motivazioni a
sostegno di una determinata tesi, un esempio è la motivazione della sentenza
in un processo civile. L’argomentazione giuridica è composta dalla
premessa maggiore, dalla premessa minore e dalla conclusione: la premessa
maggiore è istituita dal legislatore e dal giudice che sono le istituzioni,
disciplinate a loro volta dalle norme, essi creano il testo della legge che poi
viene interpretato. Il legislatore dovrà tenere conto della premessa maggiore
perché è una scelta della comunità per la collettività stessa.
Gli uomini, infatti, secondo Luhmann, hanno proprie aspettative96
cognitive che nascono dal vissuto di ognuno e arrivano al legislatore che,
92 L. AVITABILE, Cammini di filosofia del diritto, Torino, cit., p. 145. 93 Ivi, p. 158. 94 Ibidem. 95 B. ROMANO, Filosofia del diritto, cit., p. 18. 96 Lezioni: «L’aspettativa è l’attesa di una decisione da parte dell’individuo, che da
comune (cognitiva) può diventare specifica (normativa)».
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
33
dopo aver valutato secondo cognizione, cioè guardando sia i vantaggi che
gli svantaggi che ne derivano, la trasforma in aspettativa normativa, cioè in
una norma, strutturata giuridicamente sulla base di una pretesa giuridica. In
questa struttura le aspettative che riescono ad affermarsi sono quelle più
forti mentre secondo Romano le aspettative cognitive per essere trasformate
dal legislatore in normative devono essere valutate con coscienza, cioè con
riferimento al giusto e al principio d’uguaglianza.
Luhmann non discute mai di giustizia, perché è giusto ciò che accade, è
una formula di contingenza97
che non ha nulla a che vedere con la relazione
di riconoscimento nè con l'ortonomia98
che evoca il movimento circolare
della parola e dell'ascolto nella relazione tra due o più dialoganti. Nella
teoria sistemico funzionale si oscura la genesi fenomenologica del diritto e
si apre una prospettiva meramente fattuale99
dove l’io è solo un anello della
procedimentalizzazione del sistema che soprattutto nel diritto privato ha
ache fare con decadenze e prescrizioni.
Si può concludere affermando che quella di Luhmann non è
un'impostazione lontana dalla teoria di Hans Kelsen, che si è occupato del
diritto come una specifica tecnica sociale100
, elaborando la Teoria pura del
diritto: «la dottrina pura del diritto è una teoria del diritto positivo. Del
diritto positivo semplicemente, non di un particolare ordinamento giuridico.
È teoria generale del diritto, non interpretazione di norme giuridiche
particolari, statali o internazionali. Essa, come teoria, vuole conoscere
esclusivamente e unicamente il suo oggetto. Essa cerca di rispondere alla
domanda: che cosa e come è il diritto, non però alla domanda: come esso
deve essere o deve essere costituito. Essa è scienza del diritto, non già
politica del diritto»101
. Kelsen costruisce un ordinamento giuridico a gradi,
ponendo al vertice la Grundnorm, o norma fondamentale alla quale deve
essere conforme ogni altra norma.
AGNESE FLORA
1. Aspettative cognitive e normative nei sistemi sociali e l’importanza
della logica
97 N. LUHMANN, Stato di diritto e sistema sociale, cit., 1971. 98 B. ROMANO, Filosofia del diritto, cit., p. 43. 99 Ivi, p. 30. 100 Cfr. H. KELSEN, Teoria generale del diritto e dello stato, Milano, 2000. 101 ID.. Lineamenti di dottrina pura del diritto, cit., p. 48.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
34
Le aspettative sono attese che nascono nel momento in cui ci si pone di
fronte al decisore, cioè il soggetto si pone in uno «status attendista»102
.
Nell’ambito delle aspettative è possibile distinguere tra le aspettative
normative e le aspettative cognitive. Le aspettative normative sono delle
attese particolari che non significa eccentriche ma piuttosto si può discutere
di una ‘specificità’ dell’aspettativa che si definisce normativa103
. Le
aspettative del vissuto quotidiano, e anche di quello non immediatamente
abitudinario, vengono definite invece aspettative cognitive perché fanno
parte della cognizione, a volte superficiale, a volte approfondita, che ha il
soggetto. L’aspettativa cognitiva nonostante sia così facilmente,
abitudinariamente calcolabile, può andare in contro ad una delusione.
Nell’ambito cognitivo (quindi della conoscenza, non della coscienza)
l’essere delusi significa che durante l'attesa, quindi l’evento, non concretizza
il desiderio dell’individuo ma si scontra con esso deludendo l’aspettativa.
L’aspettativa ancora cognitiva diventa normativa quando il legislatore
trasforma l’attesa in un’aspettativa normativa cioè la normativizza come
attesa104
. L’individuo si aspetta cognitivamente che il legislatore legiferi e,
una volta legiferato, si aspetta normativamente che venga applicata la legge
quindi, esce da un’attesa cognitiva per entrare in un attesa normativa. Ma
qual è la differenza tra l’aspettativa cognitiva e l’aspettativa normativa? La
differenza è essenziale perché si tratta della vita stessa del diritto in quanto
l’aspettativa cognitiva è strutturata secondo la pretesa giuridica (si può
pretendere giuridicamente quindi non soltanto cognitivamente). Al di là
dell’ermeneutica meramente funzionale la pretesa giuridica è ciò che
permette al soggetto di diritto di rivolgersi al terzo giudice e di pretendere
giuridicamente, sotto il profilo di una ermeneutica non funzionale, il
riconoscimento dei propri diritti; sotto il profilo dell’ermeneutica funzionale
è una di quelle tante attività che emergono dall’ordinamento. La pretesa
giuridica è una delle operazioni del sistema giuridico ed è il soggetto che
l’attiva. Se per alcune ragioni le aspettative normative vengono disturbate o
poste in dubbio, sempre tutto secondo il lessico e il comportamento
normativo, perché all’interno del sistema giuridico ogni attore ha un
comportamento solo normativo, allora la logica indica ciò che nel caso di
una sua modifica dovrebbe essere ancora modificato. La trasformazione
102Lezioni. 103 J. HABERMAS, Fatti e norme, Milano, 1996, p. 26. 104 Ivi, «Normativizzare significa che c’è una copertura ossia c’è una norma per quanto
riguarda quell’attesa».
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
35
dell’aspettative da aspettative cognitive ad aspettative normative non si può
costringere in modo logico, non c’è nulla di logico nel trasformare
un’aspettativa cognitiva in normativa, cioè emergono queste aspettative,
fanno pressione sul legislatore ed è il legislatore che le pone in essere, ad
esempio la legge sull’aborto, sul divorzio, la legge contro l’omofobia. Se
fosse tutto logico secondo una logica di stampo o esistenziale o di stampo
purista (quindi strettamente logico)alcune cose non dovrebbero accadere e
quindi alcune aspettative non dovrebbero diventare mai aspettative
normative eppure lo diventano105
. Dai fatti puri non si possono dedurre le
norme, i fatti devono essere sollecitati e devono avere sempre la mediazione
del legislatore altrimenti, si ha la negazione della mediazione del legislatore.
Se i fatti sono sollecitati, allora, si può riconoscere attraverso l’applicazione
della logica quali sono le conseguenze delle modificazioni normative. «La
logica mette a disposizione una rete di connessioni date alcune premesse».
La logica è a favore di una modifica normativa ma ci fa vedere anche quali
sono le conseguenze quando si modifica una legge106
. Con l’aiuto della
logica si può vedere sia ciò che è influenzato da essa ma anche ciò che non è
influenzato da essa; può anche essere che attraverso la logica si accettino,
date le premesse sistemico funzionali,delle condizioni di ingiustizia. In
Luhamann questo muoversi logicamente fa si che ci sia una affermazione,
attraverso la logica, dell’ingiustizia; date alcune premesse ci si muove
logicamente attraverso delle motivazioni c.d. logiche che si danno. Non si
guarda, dunque alla svolta antropologica, cioè al risvolto antropologico.
L’argomentazione che utilizza il legislatore per fare questo, quindi, la
trasformazione delle aspettative cognitive in aspettative normative, è
strettamente logica perché per discriminare è necessario applicare la
logica107
. La logica pura permette all’uomo di applicare il principio
discriminatore per eccellenza. Con ciò non significa che la logica è il
nemico ma che il diritto non si fonda soltanto su di essa, è chiaro però che il
diritto ha bisogno della logica; il primo movimento logico del diritto si ha
nel momento in cui il diritto viene scritto, viene pensato e in questo
passaggio è tutta logica ma questa logica non può essere una logica ingiusta
perché la forma del diritto deve tener conto dei contenuti del diritto. Mentre
per l’aspettativa normativa è centrale il comportamento conforme quindi, le
operazioni funzionali degli individui o sono conformi al diritto o non lo
105 N. LUHMANN, Il diritto della società, Torino, 2012, p. 162. 106 Lezioni. « Il cambiamento normativo è una forma a due versanti cioè da una parte il
cambiamento normativo, la possibilità di modificare, e dall’altro la non modificabilità». 107 N. LUHMANN, Il diritto della società, cit., p. 167.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
36
sono, dunque non c’è una terza via, cioè o si commette un reato e si ha una
condotta difforme dal diritto oppure no, nell’aspettativa cognitiva è centrale
l’apprendimento, che non è una decisione ma un automatismo per attivare
l’appagamento dei contenuti. L’aspettativa cognitiva non è generalizzata, è
una norma astratta invece, quella normativa è generale e astratta, allora la
funzione del diritto è quella di stabilizzare le aspettative normative,
esattamente come tutto il diritto si erge a stabilizzare la complessità e tutto
questo va oltre il diritto e regola il conflitto. Per Luhmann troppe aspettative
generano un’intromissione della complessità, quindi il legislatore stabilizza
le aspettative normative, le trasforma da cognitive a normative però già
nelle normative non entrano tutte, e allora solo il diritto differenzia tra
aspettative cognitive e normative, non c’è un altro meccanismo108
.
2. La formulazione dei concetti e le aspettative normative.
Nella teoria generale dei sistemi emerge la questione dei principi
generali, il rinvio ai quali non è altro che il consolidamento della propria
auto-commutazione in quanto gli argomenti si rafforzano, si consolidano
attraverso appunto il rinvio ad essi. Fondamento di ogni argomento è il
concetto che deve avere in sè una precisa direzione di senso che, nel caso
dell’ermeneutica funzionale, deve essere logica109
.
I concetti che il legislatore propone nell’argomentare non sono ancora
istruzioni e Luhmann le definisce «pietre di paragone»110
per le costruzioni
giuridiche inserite nei programmi condizionali di ciascun sistema e quindi
anche del sistema giuridico. I programmi condizionali sono flussi di
operazioni che entrano in un sistema perché provengono da un altro sistema,
entrano ed escono, sono flussi di operazioni, attraversando i sistemi111
. I
concetti insieme agli argomenti sono inseriti nel flusso dei programmi
condizionali e sono l’oggetto della comunicazione. Nel diritto
l’arricchimento illecito è un concetto perché rinvia immediatamente a
qualcosa di non tangibile o concretizzabile come il concetto di
responsabilità patrimoniale112
. L’indebito arricchimento, la responsabilità
patrimoniale, l’azione indebita, sono pietre di paragone perché il legislatore
differenzia l’ingiustificato arricchimento e ciò che non è illecito pur
108Lezioni. 109
B. ROMANO, Senso e differenza nomologica, Roma, 1993, p. 220. 110 N. LUHMANN, Il diritto della società, cit., p. 360. 111 ID., Sistemi sociali, Bologna,1991, p.198. 112 Art. 2041 c.c.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
37
costituendo un arricchimento. L’andare oltre questo dipende dalle condizioni
che regolano la posizione del concetto cioè se l’illecito arricchimento
costituisce l’a priori di una società e allora, come concetto ha una posizione
all’interno dei sistemi sociali113
. La decisione non è solo in capo al giudice
ma anche in capo al legislatore che deve decidere se un’aspettativa cognitiva
deve essere trasformata in aspettativa normativa. Al legislatore spetta però
anche il potere di decidere quali sono le sorti della costellazione dei sistemi
sociali e il potere di decidere se un inadempimento, quindi qualcosa che non
ha nulla a che vedere con il giusto e la questione della ricerca del giusto,
può trasformarsi in norma114
. Il legislatore, dunque, non si trova ad essere
semplicemente una camera di commutazione delle aspettative da cognitive
in normative: le aspettative che hanno possibilità di ingresso nei parlamenti
e che poi usciranno dai parlamenti sotto forma di aspettativa normativa sono
quelle che, secondo una selezione, emergono in maniera più forte. Basti
pensare alle lobby ossia gruppi di pressione che spingono il legislatore a
legiferare in una direzione piuttosto che in un'altra. Il legislatore, in questa
prospettiva, non seleziona con coscienza ma semplicemente cognitivamente
quindi con cognizione che significa selezionare apprendendo, attraverso la
tecnicità normativa, quali sono i vantaggi e gli svantaggi nel trasformare
un'aspettativa cognitiva in aspettativa cognitiva; selezionare con coscienza,
invece, significa mettere in primo piano la ricerca del giusto in quella
aspettativa cognitiva attraverso il principio dell’uguaglianza nella
differenza115
. Dunque si può affermare che la contingenza spinge il
legislatore ad adattarsi alle esigenze della c.d. elite finanziaria, sebbene nel
nord Europa ci siano dei Parlamenti che hanno particolare consapevolezza
della possibilità che il diritto diventi un’arma distruttiva ad esempio di posti
di lavoro, dei tessuti sociali, se non è in grado di istituire un’alternativa al
potere della finanza che tutto pervade. Nel momento in cui queste
aspettative diventano normative acquistano un potere che modifica le
condotte degli individui perchè performativizza le condotte degli individui.
113 Lezioni. 114 N. LUHMANN, Il diritto della società, cit., p.242. 115Lezioni.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
38
MARIKA DOMENICA MASTRANGELO
1. Cosa si intende per rischio
Sono questioni ermeneutiche quelle che implicano la comprensione del
testo, in quanto la parola ermeneutica deriva dal greco ρμηνευτική, che
significa comprendere e rinvia a due dimensioni: i saperi tecnici, che si
avvalgono di una conoscenza linguistica e una comprensione dello spirito
del testo che, nella dimensione giuridica, si traduce nella questione del senso
del diritto.
Il diritto nasce al fine di garantire certezza alle relazioni intersoggettive,
ma se due individui affermano entrambi di avere ragione, ecco che la
certezza è violata; in altri termini lo scopo del processo è quello di
ripristinare la certezza giuridica. Se il giudice fosse uno dei soggetti
protagonisti dell’incertezza, il processo di composizione della certezza non
potrebbe mai realizzarsi. Il giudice è pertanto un soggetto terzo, nel senso
che è estraneo all’incertezza e alla causa, e non deve trovarsi in situazione di
amicizia o di grave inimicizia con una delle parti. Un giudice, nel momento
in cui interpreta, si relaziona con l’oggetto dell’interpretazione, con il fatto
umano che si è verificato, con la norma che va a regolare quel fatto, e
partecipando con la soggettività all’interpretazione di quell’oggetto, incide
profondamente sulla vita del soggetto su cui la decisione ricade.
L’interpretazione delle norme è sicuramente alla base del diritto, in
quanto, cerca di andare oltre il significato letterale delle parole della noma
per poterla applicare alle diverse situazioni concrete per cui è stata creata.
Perchhè ciò accada applicare, secondo l’art. 12 delle preleggi, è necessario
individuare il senso palese del testo e, attraverso l’interpretazione letterale,
ricercare l’intenzione del legislatore ovvero effettuare una interpretazione
logica. Il diritto, rispetto agli altri oggetti che possono essere interpretati, ha
una particolarità assoluta: la sua interpretazione comporta una decisione che
trasforma la vita dell’uomo.
Il giudice decide chi ha torto o ragione e diventa colui che formalmente si
assume il rischio di decidere in una direzione piuttosto che in un’altra. Ma
cosa si deve intendere con il concetto di rischio?
L’etimo della parola rischio è incerto, è un termine nautico che emerge
nel tardo Medioevo che deriva dall’antico italiano risicare che significa
‘osare’. «Le culture antiche avevano sviluppato tecniche di elaborazione del
tutto differenti e non avevano necessità di un termine per ciò che noi oggi
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
39
chiamiamo rischio. Certamente il problema dell’incertezza del futuro esiste
da sempre, ma allora ci si affidava prevalentemente alla prassi della
divinizzazione che, se non poteva garantire una certezza affidabile, poteva
comunque garantire che la propria decisione non suscitasse l’ira degli dei o
di altre potenze divine e fosse invece protetta dal contatto con le misteriose
forze del destino»116
.
La consapevolezza del rischio permette all’uomo di liberarsi dalla figura
degli dei e di gestire l’incidente, ovvero il rischio diventa realtà. L’uomo
sembra chiedersi quale sia la soluzione al pericolo ed è importante
considerare il rischio come elemento usuale dell’esistenza umana, che deve
essere sottoposto ad un monitoraggio costante, che lo rende gestibile. Il
rischio è imprevedibile ma se non possiamo prevedere i rischi possiamo
almeno cercare di proteggerci dai loro effetti.
In genere ogni società ha un proprio corredo di misure che consente ai
suoi membri di far fronte all’imprevisto. Ci sono comunque due modi di
difendersi dal rischio: cercare di prevenirlo oppure ripararne i danni117
. La
prima forma di difesa è non intendere il rischio solo come incertezza
drammatica derivante dal futuro, in quanto non necessariamente rischio
significa distruzione, ma bensì possibilità di distruzione e quindi bisogna
arginare il rischio con valutazione, calcolo, considerazione, monitorazione
di esso in modo attento e non necessariamente bisogna guardare ad un
tempo futuro con sfiducia. Quello del rischio è un concetto connesso con le
aspettative umane e la loro capacità di predizione e intervento in situazioni
non note ed incerte. Indica un potenziale effetto su un bene che può derivare
da determinati processi in corso o da determinati eventi futuri. Per Luhmann
«il rischio è riferito a decisioni che accettano la possibilità che si abbiano
conseguenze negative»118
, le conseguenze si presentano sotto forma di danni
che non coinvolgono solo chi ha preso la decisione ma anche chi sopporta
gli effetti della decisione presa. «La tesi di Luhmann ruota intorno ad una
domanda essenziale: quali sono le istituzioni in grado di poter risolvere il
problema del rischio?»119
Di chi sono le responsabilità della risoluzione di
esso? Qualsiasi intervento di stampo giuridico, sociale, politico può influire
solo sulla decisione non su tutti i soggetti coinvolti in essa; colui che decide
116 N. LUHMANN, Sociologia del rischio, Milano, 1996, pp. 16-20. 117 C. PASQUINELLI, Riti purezza e sistemi di caste, Roma, 2000, p. 99. 118 N. LUHMANN, Das Recht der Gesellschaft, Frankfurt am Main, 1993, Capitolo 3. Vd.
anche A. ARGIROFFI - L. AVITABILE, Responsabilità, rischio, diritto e postmoderno, cit., p.
229. 119 Ivi, p. 233.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
40
è padrone della situazione mentre colui che è coinvolto si trova in una
situazione di dipendenza. È necessario tener presente che, nel momento in
cui il rischio diventa reale, incide sulle future decisioni giuridiche e
politiche, per cui il diritto deve continuamente confrontarsi con il rischio
stesso per migliorare le future condizioni di vita degli uomini.
Per discutere del rischio in chiave post-moderna bisogna considerare la
prospettiva costruita da Luhmann secondo il quale tutti i sistemi sociali,
emergenti con il solo scopo di sopravvivere e destinati ad una continua
concatenazione meccanica120
, sono tanto più in grado di stabilizzarsi, quanto
più sono capaci di replicare in modo pertinente alle sfide provenienti
dall’ambiente. Inoltre un sistema è in grado di resistere alla pressione
dell’ambiente, in stretto rapporto all’indice della sua complessità interna:
quanto più la propria
organizzazione interna è complessa, tanto più essa è in grado di tenere testa
alla crescente complessità e mobilità ambientale. Tutti i sistemi sociali si
situano in un ambiente (Umwelt) complesso e multidimensionale, con il
quale devono fare i conti per sopravvivere, infatti l’ambiente è decisamente
più complesso del sistema, ha variabili imprevedibili; in definitiva è
ambiente tutto ciò che non fa parte del sistema. Quest’ultimo per poter
sopravvivere, deve sviluppare una complessità sua al fine di ridurre quella
dell’ambiente; l’ambiente impone esigenze e il sistema deve sviluppare
strategie per far fronte ad esse.
I sistemi non vengono costruiti ma emergono per osservazione da parte di
coloro che partecipano al sistema, l’osservazione è un’operazione che
implica altri momenti, si osserva ma allo stesso tempo si distingue e si
designa l’oggetto da osservare. L’osservazione deve essere bidirezionale,
mai univoca, poiché nell’assunzione di un unico punto di vista si attribuisce
al sistema una capacità, uno scopo, che il sistema non ha, in quanto non è
dotato di un volere, ma produce ogni singolo elemento in connessione con
gli altri sistemi e con l’ambiente121
.
Ogni sistema inoltre funziona con un codice binario ed è appunto questa
binarietà a rompere il paradosso: una questione diventa paradossale quando
si immobilizza, quando non c’è più la bipolarità, quando non c’è il polo
opposto; così il sistema giuridico funziona con dicotomia giusto/ingiusto, il
sistema scientifico con la dicotomia vero/falso, quello politico con la
dicotomia potere/non potere. È necessario che ci sia contrapposto al diritto il
non diritto, solo in questo modo possiamo avere il sistema giuridico.
120 Ivi, p. 234. 121
L. AVITABILE, Sistemi e diritto, p. 19. [http: //www.docente.unicas.it].
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
41
Luhmann sostiene che ognuno di noi è un sistema autopoietico, cioè che
ridefinisce continuamente se stesso ed al proprio interno si sostiene e si
riproduce, che non entra in riferimento con altri sistemi. «Le operazioni del
sistema comunicazione, sono come tutte le operazioni di tutti i sistemi,
operazioni cieche, perché permangono nel continuare la differenziazione
funzionale del loro sistema, non ricevendo alcuna luce di unità/verità nel
loro scorrere, né avendo un fine»122
. Ma se ognuno di noi è un sistema
chiuso in se stesso come è possibile la comunicazione? Secondo Luhmann
perché ciò sia possibile è necessario che ci sia un collegamento tra i sistemi;
l’individuo è discusso come ente differenziario, che ha il compito di operare
delle differenziazioni e operazioni e appunto, operazione principale affinché
i sistemi possano sussistere è la comunicazione.
2. Sistema diritto – sistema economia
Il sistema diritto emerge con una sua funzione immunologica ed è
garante dell’immunità dei sistemi sociali: il diritto tenderà a rendere immuni
i sistemi sociali da quella forza distruttiva dei sistemi stessi. Nella
costruzione di Luhmann, il diritto non ha alcuna connessione con la verità di
agire, non assolve alla custodia del giusto e del vero ma svolge la sua
funzione di sistema immunitario123
. Il diritto in qualità di sistema basa la sua
esistenza sulle aspettative che si trasformano da cognitive in normative, in
virtù dell’operato del legislatore che funge da selettore e decisore, quindi da
produttore di rischi124
. Il legislatore è quindi chiamato a convertire alcune
aspettative che arrivano dai vari sistemi sociali in norme e a rispondere alle
esigenze immediate, attuali e contingenti dei sistemi. Come ogni altro
sistema, anche quello giuridico concretizza il suo codice binario in
diritto/non diritto e tutti i materiali che provengono dagli altri sistemi sociali
vanno a posizionarsi nel diritto o nel non diritto.
Luhmann afferma che tutti i sistemi sociali vengono collocati sullo stesso
piano, posti l’uno verso l’altro in un rapporto di simmetria, mentre per
Romano il sistema economico è gerarchicamente sovraordinato a qualsiasi
altro ed è facilitato in questa sovraordinazione dal linguaggio dei numeri che
chiede solo di essere eseguito, è veloce, è celere, è immediato e non ha
bisogno di nessuna interpretazione a differenza del linguaggio degli uomini
122
B. ROMANO, Filosofia e diritto dopo Luhmann, Roma, 1996, p. 256. 123 Ivi, p.168. 124
A. ARGIROFFI - L. AVITABILE, Responsabilità, rischio, diritto e postmoderno, cit., p. 242.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
42
che è cifrato che esige di essere interpretato, lasciando spazio ad un dire che
è sempre anche un dirsi.
Ambiente interno al sistema giuridico sono i parlamenti e i tribunali,
mentre quello interno al sistema economico sono i mercati: «ambiente
economico interno dei sistemi partecipanti al sistema economico, che per
ciascuno è un altro e nello stesso tempo è per tutti lo stesso»125
emerge per
differenziazione, come tutti gli altri sistemi; il sistema economia osserva se
stesso, differenzia il mercato come proprio ambiente e l’osservazione del
mercato è resa possibile soltanto dal medium prezzo. Il denaro è il medium
simbolicamente generalizzato, è il mezzo di comunicazione e l’economia fa
si che sia il mezzo
prioritario: infatti prima della parola viene il denaro. Nel diritto la parola
non è il corrispettivo di denaro quanto della scrittura. Il denaro viene
definito medium generalizzato poiché è immediato, invasivo, rapido, ogni
soggetto ne è in possesso; la parola è data, il denaro no, bisogna entrarne in
possesso. Non c’è un sistema che non subisca la passività del medium
simbolicamente generalizzato, è il mezzo di comunicazione che collega tutti
esattamente come la parola. Il denaro, non soltanto è un medium
simbolicamente generalizzato ma ha anche un ambiente sistemico interno
differenziato attraverso l’istituzione dei mercati (le borse, il mercato del
denaro).
Per Luhmann il denaro è un’autoreferenza istituita126
.
L’atto costitutivo del sistema economia è dato dall’atto del pagare
(Zahlung)127
, che si concretizza in uno schema a due versanti
pagamento/non pagamento ognuno dei quali ha bisogno del denaro come
valore di scambio: per questo ogni operazione economica è connessa al
denaro in quanto mezzo di pagamento128
. Nel mercato, il prezzo rappresenta
il corrispettivo pagabile in un determinato momento, in un determinato
mercato, per un tale bene; un prezzo riferito al passato o al futuro non trova
validità nel mercato: il futuro non può essere pagato nel presente della
contingenza e il passato, in quanto tale, non produce più i suoi effetti. Il
diritto invece non si riconosce in una misura temporale, una norma è valida
125 N. LUHMANN, Die Wirtschaft der Gesellschaft, cit., p. 95. 126 Ivi, p. 16. Vd. anche A. ARGIROFFI - L. AVITABILE, Responsabilità, rischio, diritto e
postmoderno, cit., p. 248. 127 N. LUHMANN, Die Wirtschaft der Gesellschaft, cit., p. 52. 128 Ivi, p. 18.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
43
per ogni epoca futura, essa non muta mai; se il diritto muta, significa che
una norma viene sostituita con un’altra129
.
Nonostante Luhmann descriva tanti sistemi eterarchici, posti tutti sullo
stesso piano, oggi si tende a collocare quello economico su un piano più
alto. L’eterarchia dei sistemi fa si che l’uomo abbia una funzione secondaria,
fa solo funzionare ciò che il sistema esige; il sistema è un complesso di
volontà dettate da chi è più forte, ed oggi è il sistema economico ad avere
più forza e detta le regole per tutti gli altri sistemi.
Programmazione e codificazione sono le due attività svolte
rispettivamente dal sistema economico e dal sistema giuridico; in sostanza il
sistema economia detta i contenuti delle norme al legislatore, detta la
modalità di decisione al giudice stesso: si subisce all’interno di un sistema
così strutturato un vero e proprio snaturamento della terzietà giuridica. In
questo modo il sistema diritto viene privato della sua funzione principale:
spetta al diritto decidere quali sono le aspettative sociali che meritano di
essere trasformate in normative e quali devono restare cognitive, spetta al
legislatore selezionare le aspettative130
.
A causa dell’influenza che esercita il mercato sul diritto si può discutere
di una funzione del mercato nel diritto, ovvero è il mercato ad incidere sui
contenuti di quelle aspettative cognitive divenute poi normative131
.
CLAUDIA MAZZAROPPI
1. In claris non fit interpretatio
Da quando si inizia a discutere di diritto ci si rende conto che si tratta di
una dimensione particolarmente legata all’uomo e alla ricerca del giusto132
.
Cosa significa riconoscere i propri diritti? Nell’eterna lotta tra schiavi e pa-
droni, lo schiavo rivendica il diritto di essere uomo, il passo della libertà è
un passo successivo, perché riconoscere l’altro, in quanto uomo, implica ri-
conoscerne anche la libertà; lo schiavo vuole il disconoscimento della sua
cosalità cioè non vuole essere più una cosa, non vuole più essere assoggetta-
129 A. KOJEVE, Linee di una fenomenologia del diritto, Milano, 1989, p. 102. 130 A. ARGIROFFI - L. AVITABILE, Responsabilità, rischio, diritto e postmoderno, cit., p. 244-
245. 131
L. AVITABILE, Sistemi e diritto, cit., p. 26. 132 Lezioni.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
44
to: «l’animale non ha un sé, non può dire ‘io’»133
. Questo tuttavia non signi-
fica che non ci siano dei diritti attribuibili agli animali: l’animale ha comun-
que dei diritti ma non ha la capacità né di istituire delle leggi né di istituire
un tribunale che gli garantisca diritti. L’uomo, invece, è libero di scegliere,
anche di scegliere il male, nel suo proiettarsi nel futuro, mantenendosi però
sempre nella possibilità di costruire un avvenire in cui redimersi, scegliendo
il bene. Questo fa dell’uomo un soggetto imputabile, perché dotato di volon-
tà ed intenzioni, non semplicemente soggiogato dai propri istinti. È l’uomo
in quanto uomo a sentire il bisogno di istituire e costituire un testo che duri,
che permanga nel tempo, contenente le leggi da se stesso e per se stesso
prodotte nell’incontro con l’altro e nell’apertura al terzo giudice, attraverso
la trialità del logos e la terzietà del nomos134
, nel riconoscimento che non
esclude. Se il diritto non è riproducibile in laboratorio significa che il pen-
siero che istituisce il diritto, cioè l’uomo, nella complessità delle sue caratte-
ristiche extrabiologiche, non è una macchina riproducibile dalla scienza in
laboratorio135
. Così Kierkegaard sostiene che «l’uomo non è ‘soggetto-
oggetto’, non è un io oggettivabile in un me»136
. La parola che non è sem-
plicemente un suono, è più del verso degli animali, nasce con lo spirito
dell’uomo. Perciò, Romano, rielaborando il pensiero di Heidegger, giunge
alla conclusione: «la domanda sul linguaggio è la domanda sull’uomo, come
la domanda sull’uomo è la domanda sul linguaggio»137
. Il diritto si occupa
della libertà che non può essere riprodotta in laboratorio, si occupa
dell’imputabilità che non è semplicemente il nesso causa-effetto, il nesso di
imputabilità non è come il nesso di imputazione. La nostra idea di diritto è
fortemente legata al diritto positivo, in quanto rappresentazione di uno ius
positum138
, un diritto in continua formazione che deve essere sempre ag-
giornato e positivizzato, configurando un fenomeno giuridico che deve esse-
re inteso come ciò che appare e si manifesta in società. Il diritto implica
l’uomo e l’uomo implica il diritto139
, non esiste diritto senza interpretazione,
così come molto probabilmente non c’è interpretazione senza ricerca del
giusto, intesa quale riconoscimento di una legalità e di uno Stato di diritto
133
M. HEIDEGGER, Introduzione all’estetica, Roma, 2008, p. 49. 134
B. ROMANO, La legge del testo. Coalescenza di logos e nomos, Torino, 1999, p.19 ss. 135
Ibidem. 136
S. KIERKEGAARD, Briciole di filosofia e Postilla non scientifica, Bologna, 1962, pp. 309-
316. 137
B. ROMANO, La legge del testo. Coalescenza di logos e nomos, cit., p. 9. 138Lezioni. 139 L. DI SANTO, Diritto e tempo nella riflessione filosofico-giuridica di Bruno Romano, i-
lex, 9, 2010.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
45
fondato sul principio di uguaglianza. Si può affermare che «in claris non fit
interpretatio»140
(nelle questioni chiare non si faccia luogo a interpretazio-
ne). Il diritto deve avere e mantenere una propria e autonoma forma che
grazie all’attività interpretativa è in grado di cambiare continuamente; una
forma che non deve essere intesa quale «macchina automatica self-service:
si inserisce un testo e se ne ottiene una interpretazione»141
, ma come un’arte
nella quale il giurista cerca di comprendere e conoscere meglio la portata
della disposizione, secondo i principi generali dell’ordinamento.
2. Reine Rechtslehre
«La dottrina pura del diritto è una teoria del diritto positivo. Del diritto
positivo semplicemente, non di un particolare ordinamento giuridico. È
teoria generale del diritto, non interpretazione di norme giuridiche
particolari, statali o internazionali. Essa, come teoria, vuole conoscere
esclusivamente e unicamente il suo oggetto. Essa cerca di rispondere alla
domanda: che cosa e come è il diritto; non però alla domanda: come esso
deve essere o deve essere costituito. Essa è scienza del diritto, non già
politica del diritto»142
. Nell’ambito della teoria generale, Kelsen afferma che
il diritto deve essere considerato un sistema di norme che, come ogni
sistema normativo può essere dinamico, statico o misto; il sistema
normativo statico è quello in cui una norma è collegata ad ogni altra
secondo un rapporto di derivazione statico, di deducibilità logica, come ad
esempio le norme di diritto naturale; nel sistema normativo dinamico vi
sono una pluralità di catene di norme che fanno capo alla norma
fondamentale. Un esempio di sistema normativo misto, discusso da Kelsen,
sono i Dieci Comandamenti, che fanno parte di un sistema statico in quanto
dalle norme generali dei Dieci Comandamenti possono essere inferite altre
norme più particolari, dinamico in quanto una norma dei Dieci
Comandamenti conferisce ai genitori un potere sui figli e in quanto la
validità dipende dalla validità della norma secondo cui si deve obbedire a
Dio143
. Il diritto è un ordinamento che assegna ad ogni membro i suoi doveri
140 Le Interpretazioni nel (del) diritto, Atti della Giornata di studi , 30 ottobre 2013,
Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale. 10M.L. DE RISI, Principi generali e argomentazione giuridica in Interpretazioni del
funzionalismo giuridico (a cura di L. Avitabile), Napoli, 2010, p. 103. 142 H. KELSEN, Lineamenti di dottrina pura del diritto, cit., p. 48. 143 Ivi, p. 222.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
46
e quindi la sua posizione nella comunità per mezzo di una tecnica specifica,
e cioè disponendo un atto coercitivo, una sanzione diretta contro quel
membro della comunità che non adempia al suo dovere: «Se ignoriamo
questo elemento non siamo in grado di differenziare l’ordinamento giuridico
da altri ordinamenti sociali»144
. Il giurista-filosofo intende il diritto come un
sistema di tipo piramidale nel quale ogni norma è collegata ad un’altra
secondo una relazione gerarchica. Queste norme vengono disposte su
diversi piani, gradi o livelli gerarchici e, al vertice della piramide, c'è la
Grundnorm che «come norma suprema deve essere presupposta, in quanto
non può essere posta da un’autorità, la cui competenza dovrebbe riposare su
una norma ancora più elevata. La sua validità non può essere dedotta da una
norma superiore, il fondamento della sua validità non può più essere
discusso»145
. Si può considerare la norma fondamentale come suprema,
dunque, solo definendola come presupposta e non posta; infatti se fosse
stata posta da un’autorità questa sarebbe dovuta essere legittimata da
un’altra norma andando a creare un regresso ad infinitum146
. Kelsen afferma
che una norma esiste in quanto è valida, conseguentemente assume carattere
vincolante e deve essere osservata. Rientrano nel sistema giuridico, ai fini
dei criteri di individuazione delle norme, quelle prodotte nel rispetto del
diritto formale e del diritto positivo, sia le norme che conferiscono il potere,
indicando i modi attraverso i quali può essere esercitato. Kelsen elabora una
«dottrina pura del diritto» (Reine Rechtslehre), cioè libera da ogni
commistione con nozioni morali, politiche o sociologiche, cercando di
garantire il carattere obiettivo della scienza del diritto. La teoria pura del
diritto è una teoria formale che identifica il diritto con le norme, intese come
strutture qualificative dei comportamenti, e fonda l'autonomia del giuridico
su un sistema normativo che spiega se stesso in quanto regola la sua propria
creazione147
«... l'ordinamento giuridico è un sistema di norme generali ed
individuali, collegate le une con le altre dal fatto che la produzione di ogni
norma appartenente a questo sistema è determinata da un'altra norma del
sistema e, in ultima analisi, dalla sua norma fondamentale»148
. Perché
questo sia possibile, è sufficiente che le norme superiori del sistema
determinino gli organi autorizzati ad applicarle, anche se possono lasciare
indeterminato il contenuto della norma da produrre. La teoria generale del
144
ID., Teoria generale del diritto e dello stato, cit., p. 28. 145 ID., La dottrina pura del diritto, Torino, 1966, p. 59. 146 Ivi, p. 218-219. 147 ID., Lineamenti di dottrina pura del diritto, cit. 148
Ibidem.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
47
diritto non dice quindi cosa bisogna statuire, ma come bisogna farlo,
affinché la norma prodotta appartenga ad un dato ordinamento giuridico e
quindi sia giuridica. Per Kelsen, la norma è dover essere, è necessità
contrapposta all'essere, è esistente in quanto valida e, in quanto tale,
vincolante. Inoltre separa il mondo dell’essere (Sein) dal mondo del dover
essere (Sollen)149
: la validità e quindi l’esistenza delle norme, appartiene
alla categoria del dover essere perchè solo in questo modo è possibile
evitare una catena normativa infinita e ancorare alla norma fondamentale la
validità di tutte le altre. La norma fondamentale, discussa da Kelsen, diventa
nella critica di Romano un «motore immobile di ogni movimento
normativo, una norma che non esige alcun ulteriore fondamento»150
. «Il
fatto che una norma sia valida vuol dire qualche cosa di diverso dall’essere
effettivamente applicata ed osservata, sebbene vi possa essere un certo
rapporto tra validità ed efficacia»151
. Per Kelsen validità ed efficacia si
riferiscono a fenomeni del tutto diversi: «la validità è una qualità del diritto;
la cosiddetta efficacia è una qualità del comportamento effettivo degli
uomini e non del diritto stesso»152
. Validità del diritto significa che gli
uomini devono comportarsi secondo quanto prescrivono le norme
giuridiche: obbedire e applicare le norme giuridiche. L'efficacia del diritto
invece ha a che fare con l'atteggiamento dovuto secondo diritto. In altri
termini, la norma è valida ed esistente se appartiene ad un dato ordinamento
giuridico; tale norma è giuridica però solo ed esclusivamente se mira a
regolare il comportamento umano attraverso l’esercizio di un atto
coercitivo, applicando cioè le sanzioni.
149 ID., Teoria generale del diritto e dello Stato, cit. 150 A. FIORILLO, Il diritto tra forma e formalismo attraverso la lettura del normativismo
giuridico in Hans Kelsen in Il diritto tra forma e formalismo, a cura di L. Avitabile, Napoli,
2011. 151 H. KELSEN, Teoria generale del Diritto e dello Stato, cit., p.39. 152Ivi, p. 40.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
48
ROBERTA ROCCIA
1. Sistemi, fenomenologia e società complessa nell’ermeneutica
funzionale di Luhmann
Nell’interpretazione funzionale di Luhmann ovvero nell’ermeneutica
funzionale si riscontrano almeno tre concetti che è opportuno ricordare: il
sistema, la fenomenologia e la società complessa. Per sistema s’intende un
sistema sociale come il sistema giuridico, religioso e politico, mentre
quando si discute di società complessa si intende quella in cui la
disorganizzazione apparente è tale che per arrivare da un punto all’altro
sono necessari più passaggi intermedi153
; la fenomenologia invece è lo
studio di fenomeni e trova la sua radice in Husserl che discute del diritto
come fenomeno istituito dall'uomo. La fenomenologia formale mette tra
parentesi, cioè sospende, il giudizio ovvero mette in epokè154
il mondo della
vita di relazione come nella teoria sistemico-funzionale di Luhmann che
archivia il logos sebbene Luhmann non cancelli il concetto di uomo perché
è necessario al funzionamento della catena di sistemi sociali: si può
affermare che venga appresentato e non rappresentato. Rappresentato
significa che si ha un’idea e questa viene rappresentata, appresentare155
vuol
dire appresentare un simbolo, quindi utilizzarlo simbolicamente e
logicamente. Rispetto alla prevalente sociologia contemporanea che pone
l’individuo al centro del problema sociologico, Luhmann riporta
l’attenzione e focalizza la sua teoria attorno al sistema sociale, partendo
dalla premessa che gli elementi primari ed unici di un qualsiasi sistema
sociale non sono gli agenti principali, ovvero gli uomini, ma gli effetti della
comunicazione, ovvero comunicazioni che producono altra comunicazione.
Senza comunicazione non esiste nessuna forma di sistema sociale, anzi la
chiusura operativa del sistema sociale è operata proprio sul concetto di
comunicazione. Un sistema sociale (sistema chiuso) è in grado di costituirsi,
ricostituirsi, ma soprattutto di autogestirsi mediante una perenne
comunicazione.
L’idea di comunicazione di Luhmann differisce dalla concezione
tradizionale di comunicazione per due motivi principali: il primo è quello
secondo cui la comunicazione deve essere intesa come un tipo di azione,
153Lezioni. 154
E. HUSSERL, Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica, (a cura di
Enrico Filippini), tr. Giulio Alliney, Torino: Einaudi, 1950. 155
ID., Meditazioni Cartesiane, tr. Filippo Costa, Milano, 1970.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
49
come un discorso che presuppone un atto o un sistema che comunica ma
non dà alcuna informazione su ciò che viene comunicato e su chi
comprende, accetta o rifiuta il contenuto della comunicazione. Volendo
formare un concetto di comunicazione che includa colui che comprende,
anzi che in effetti parta proprio da colui che comprende, quest’ultimo dovrà
avere la possibilità di distinguere chi comunica e cosa viene comunicato,
colui che comprende deve poter distinguere l’intenzione e il contenuto della
comunicazione. Quindi la comunicazione incomincia da colui che
comprende e non da colui che agisce. La seconda modificazione rispetto al
concetto tradizionale di comunicazione riguarda l’esigenza di non
interpretare la comunicazione come un trasferimento del sapere, delle
informazioni da una posizione all’altra perché questo passaggio presuppone
sempre una comunanza; essa non è solo una comunanza del codice, ma è
anche una comunanza dell’ambito selettivo da cui la comunicazione muove
per scegliere e selezionare l’informazione. In conclusione i due presupposti
strettamente connessi al concetto tradizionale della comunicazione che
Luhmann intende superare sono la teoria dell’azione e la teoria del
passaggio dell’informazione e al loro posto introduce un piano di realtà
emergente, nuovo, in cui ci sono operazioni che continuamente combinano
informazioni, che sollevano la domanda se il soggetto debba accettare o
rifiutare le offerte di senso che ne derivano. La teoria della comunicazione è
collegata alla teoria della complessità, ma mentre la complessità è legata
alla struttura, la comunicazione è legata alle operazioni. Per la teoria della
complessità è decisiva l’impossibilità di collegare ogni operazione a tutte le
altre, anche se si procede con un ordine di grandezza piccolo; non è mai
possibile collegare contemporaneamente tutto con tutto e questo implica che
ogni relazione deriva da una selezione. Quando si dice qualcosa a qualcuno
viene selezionato “qualcosa” e “qualcuno” e si seleziona anche colui che è
interessato a dire quel qualcosa, quindi il concetto di comunicazione
soddisfa e attua un criterio selettivo ineludibile nei sistemi complessi, sia
sociali che di altro tipo. La società è diventata complessa con l’avvento della
globalizzazione a causa della velocizzazione dei dati. La complessità è
aumentata perche è aumentata la velocità data dalla globalizzazione
informatica in quanto l’informatizzazione ha permesso che un dato arrivasse
da un punto all’altro in tempo reale. Altro fattore che ha determinato
l’aumento della complessità è l’accentramento di alcuni poteri nelle mani di
pochi che rendono complessa la questione del diritto e della giustizia in
quanto il fatto che alcuni poteri siano accentrati nelle mani di pochi non
rende trasparente il concetto delle cosiddette norme giuste. La società
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
50
complessa è caratterizzata dall’avere i tempi lunghi, infatti questi ultimi
sono tipici della complessità perché c’è un margine di azioni che necessita
di essi per attraversare il mondo labirintico della società complessa, quindi
per esercitare la burocrazia c’è bisogno di non trasparenza, i dati ci sono
però non c’è trasparenza sulle procedure, quindi la poca chiarezza di ciò che
si fa nella società complessa diventa un alimentatore della complessità. Il
diritto è uno stabilizzatore della complessità. Il diritto non è che serve ad
eliminare la complessità ma emerge il sistema, i sistemi emergono per far
decrescere la complessità. La funzione dei sistemi è di far decrescere la
complessità però è con la proliferazione dei sistemi che la complessità stessa
aumenta, quindi la complessità decresce e accresce, accresce fino al
cosiddetto livello di adeguamento. I compiti della complessità sono due
ovvero adeguamento e stabilizzazione, cioè si deve stabilizzare questa
complessità e si stabilizza fino a un certo punto. La complessità non può
essere annullata altrimenti non ci sarebbe nessun sistema, ma nemmeno può
esserci un livello troppo elevato di complessità in quanto esso sarebbe
talmente alto da implodere e non sarebbero più raggiungibili alcuni
elementi. Visto che l’uomo ha bisogno di ragionare su questi elementi
perché si trova nel flusso delle operazioni allora è necessario che l’uomo
abbia un livello di complessità stabile ovvero che si può definire
sopportabile per qualsiasi società. La complessità è fuori dal calcolo, essa
non è oggetto di una logica formale, essa è agli antipodi della capacità
tecnica. Secondo Luhmann la logica da applicare alla complessità è la logica
funzionale perché la società complessa ha una sua funzione che è quella di
sopravvivere, come tutti i sistemi sociali, quindi la funzione della funzione è
funzionare156
. Due sono i momenti che ogni giorno rendono recuperabile
questa tesi: la funzione e la contingenza. Non bisogna guardare al passato e
al futuro ma solo al presente, è il presente che è qui ed ora, noi possiamo
parlare del futuro ma non c’è, l’unico futuro è il presente quindi abbiamo un
presente del futuro e un presente del passato perché neppure il passato
esiste, perché il passato è presente nella nostra memoria ma Luhmann
afferma che siamo qui ed ora quindi qui ed ora è la contingenza. Per la
fenomenologia funzionale il sistema è un fenomeno formale sistematico che
riduce la complessità; diceva Heidegger157
che il fenomeno è un qualcosa
che appare, che ha un senso e un fondamento, ma in questo caso è un
fenomeno che si dà, che non ha un senso in quanto esso nasce per far
decrescere la complessità. Esso sistematizza la complessità, la riduce ad un
156
Lezioni. 157 M. HEIDEGGER, Essere e tempo, cit., § 31.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
51
livello e poi pian piano la incrementa per poi ridurla di nuovo, è questo il
gioco funzionale. Il senso dei sistemi non è un senso che ha al centro l’uomo
ovvero non si cerca il senso, per esempio per quanto riguarda il diritto non
c’è la ricerca del giusto e della verità. La ricerca della verità inizia
nell’istituzione del diritto, il giudice si trova ad applicare le norme del
legislatore però è dotato di quella parte discrezionale che gli permette di
esprimere il proprio giudizio negativo su una qualsiasi norma che è stato
costretto ad applicare. Tutto questo nella teoria di Luhmann viene cancellato
in quanto il giudice è un esecutore ma non è un esecutore del legislatore, è
l’esecutore di un funzionamento generale del fondamentalismo funzionale158
perché il giudice di secondo grado interpreterà la norma soltanto
funzionalmente alla costellazione dei sistemi sociali. I diritti fondamentali
sono per Luhmann istituzioni, cioè un complesso di reali aspettative di
comportamento attualizzate nel contesto di un ruolo sociale e che contano
sul consenso sociale. I diritti fondamentali non possono essere considerati
come diritti umani eterni, validi in qualsiasi luogo e tempo ma sono
Istituzioni Sociali che si affermano e si sviluppano in una specifica fase
dell’evoluzione sociale e affrontano esigenze e problematiche che si
presentano in questa o altre fasi. I diritti sono una realtà complessa nella
quale confluiscono questioni vitali poste all’esterno del sistema, sono
istituzioni perché hanno origine nell’ambiente dei sistemi sociali; nei diritti
si realizza una sorta di equilibrio tra tecnica di controllo, prestazioni
funzionali, forme giuridiche, fatti sociali, consenso morale ed aspettative
delle aree primarie vitali per quelle che Luhmann chiama persone. Ipotesi
principale della ricerca di Luhmann è che i diritti fondamentali si siano
affermati nelle società più complesse e basate su una differenziazione di tipo
funzionale. Secondo Luhmann, il diritto nell'età moderna si è reso
normativamente autonomo, acquisendo in tal modo una capacità di
cambiamento prima sconosciuta. Tuttavia Luhmann trascura il concetto di
giustizia come fonte di definizione del diritto, concetto vero in generale,
anche nell'età moderna, e che egli stesso riconosce nel momento in cui lega
la validità del diritto al consenso, e quindi, almeno indirettamente, a un
vantaggio distributivo159
. A ciò si aggiunge il fatto che proprio lo sviluppo
del diritto, nell'età moderna, è caratterizzato dal crescente riconoscimento
dei principi di giustizia, come la democrazia, i diritti di libertà, la
dimensione sociale dello Stato e la difesa dell'ambiente. La capacità di
trasformazione, riconosciuta al diritto, non è assoluta, ma va a collocarsi
158Lezioni. 159
Cfr. N. LUHMANN, Procedimenti giuridici e legittimazione sociale, Milano, 1995.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
52
entro l'ambito circoscritto dai suddetti principi di giustizia.
Successivamente, infatti, Luhmann ha riconosciuto che nei sistemi giuridici
della società moderna esiste uno spazio per la giustizia; se, da un lato, egli
congeda il concetto tradizionale di giustizia, dall'altro, però, lo sostituisce
con una concezione teorico-sistemica160
. Di fronte all'estrema complessità
della società moderna, il sistema giuridico, per essere ancora efficiente,
dovrebbe aumentare anche la propria complessità, ad esempio la sua
articolazione interna e la capacità di elaborare informazioni; l'aumento della
complessità troverebbe, tuttavia, il proprio limite nelle esigenze di
funzionalità interne al diritto. Secondo Luhmann si può discutere di giustizia
solo nel senso di una “complessità adeguata” e afferma che nei sistemi la
giustizia è una formula di contingenza che può essere definita anche formula
di adeguamento. Nella società complessa ogni operatore decide partendo da
premesse decisionali, però questa riduzione a formula di adeguamento della
giustizia emerge dalla relazione del sistema giuridico con gli altri sistemi
sociali, allora la società complessa è formata da questi sistemi sociali.
Essendo la giustizia una formula di adeguamento, secondo Luhmann le
norme devono essere viste come una forma di funzione stabilizzatrice che
perciò guadagna una specifica qualità giuridica, cioè viene differenziata
come sistema giuridico. Da Socrate in poi la verità è la ricerca del giusto ma
in Luhmann questi concetti non trovano spazio sia perché essi fanno parte
del capitale simbolico, ovvero sono delegati ad un archivio simbolico, sia
perché il concetto di giustizia cosi come inteso da Luhmann è unità e per
quest’ultimo è rilevante che la forma abbia due versanti, ovvero se si parla
di giustizia si deve anche parlare del suo opposto quindi giustizia-non
giustizia però quando dici giustizia-non giustizia hai contingenzato questa
definizione di giustizia. “Giustizia” e “non giustizia” sono i due poli del
codice penale che vengono trasformati in “diritto” e “non diritto”, “legale” e
“non legale”, e questo semplifica molto la complessità perché significa che
tutti i materiali vengono dalla costellazione dei sistemi e una volta immessi
nel sistema diritto è facile ascriverli o a un polo o a un altro, cioè tutto ciò
che è diritto viene ascritto al polo diritto e tutto ciò che non è diritto al polo
non diritto. Il sistema giuridico acquista le forme dell’adeguamento
funzionale, non da solo ma attraverso le operazioni di tutti gli altri sistemi. Il
sistema giuridico non nasce, già esiste, si accomuna con qualunque sistema,
elementi più o meno similari che vanno a colmare quel sistema.
Nell’osservazione manca la vecchia ragione giuridica, la quale viene
archiviata, non è più l’humanitas ad assumere su di se decisioni pubbliche
160 N. LUHMANN, Ausdifferenzierung des Rechts, Francoforte, 1981.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
53
ma si assiste ad un umanizzazione biologica in quanto Luhmann ritiene che
l’uomo non è un’entità biologica: l’uomo esiste e come tutti gli esseri
biologici adotta formule di adeguamento, tutti gli esseri biologici si
adeguano con una serie di evoluzioni e cosi il diritto subisce la sua
evoluzione sotto forma di adeguamento. Non è necessaria la ragione
giuridica, l’humanitas e nemmeno la critica che si potrebbe fare ad alcune
procedure giuridiche ma sono importanti lo sfruttamento e la costruzione di
alcuni semplici elementi funzionali. Luhmann non prende l’apparato
strutturale di tutto il funzionalismo classico ma piccoli elementi funzionali
che in accordo tra loro non devono tralasciare nel sistema giuridico alcuni
elementi essenziali quali la temporalità, la possibilità e la varietà. Luhmann
è un attento osservatore della società complessa e i sistemi che emergono
dalla società complessa hanno delle condotte che s’identificano con il suo
pensiero nel senso che quest’ultimo analizza queste condotte dall’interno e
afferma che le condotte degli uomini sono non condotte e sono delle
operazioni funzionali. Nel sistema diritto la complessità si ha con il
passaggio da aspettative cognitive ad aspettative normative.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
54
VANESSA TISEO
1. Cosa si intende per interpretazione e in cosa consiste teoria
dell’interpretazione?
La teoria dell’interpretazione è necessaria ai fini della comprensione del
diritto ed è il metodo d’indagine161
che dovrebbe persuadere il giurista, «le
domande che guidano il cammino filosofico-giuridico sono: qual è
l’attenzione che rivolge il giurista alla complessa dimensione
dell’interpretazione che non può esaurirsi nelle tipologie interpretative?
Qual è il dovere del giurista oggi? Riesce a mantenere la sua imparzialità di
fronte alle declinazioni del formalismo giuridico che, da ultimo, si è raffor-
zato in formalismo finanziario?»162
; queste alcune delle domande fonda-
mentali per capire in cosa consista la teoria dell’interpretazione, ovvero il
giurista deve porsi domande sempre continue sul significato delle disposi-
zioni codicistiche, non affidandosi soltanto ai classici e ben conosciuti me-
todi interpretativi, ma andando oltre ciò che nella nostra società complessa,
o per meglio dire post complessa, governa tutto, ovvero il «formalismo fi-
nanziario»163
.
Il nostro ordinamento rivolge attenzione a questo argomento al punto tale
da inserire una norma specifica all’interno delle preleggi del codice civile;
l’articolo 12 recita: «nell’applicare a legge non si può ad essa attribuire altro
senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la
connessione di esse e dalla intenzione del legislatore».
In questa prospettiva, l’unica via per comprendere «il significato proprio
delle parole» è interpretare e non soltanto utilizzando modalità tecniche che
rinviano ai concetti di interpretazione letterale, autentica, giudiziale, dottri-
nale, e via dicendo, ma anche e soprattutto quella sistematica o logica che
rinvia «all’interpretazione del legislatore», il quale utilizza il cosiddetto
«linguaggio interpretante», ovvero quell’attività ermeneutica che muove da
161 M. FRACANZANI, Adolfo Ravà. Fra tecnica del diritto ed etica dello Stato, Napoli, 1998,
p. 13 e ss. 162 L. AVITABILE, Perché la filosofia del diritto oggi, Napoli, 2011, p. 38. 163 B. ROMANO, Filosofia della forma relazioni e regole, cit., p. 193 e ss.; inoltre «Il danaro
manifesta la più alta capacità sformante; riduce ogni forma in un numero, esprimente un
prezzo, che indifferentemente può numerare tutto, privando anche l’uomo della peculiarità
della sua forma. Nel mercato è reso vendibile ed acquistabile tutto». Ivi, p. 194; inoltre «La
privatizzazione del diritto si chiarisce riferendola al formalismo finanziario, costruito con il
trasmutare in modo estremo la forma del diritto nel formalismo giuridico». Ivi, p. 200.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
55
sistema normativo vigente e arriva a cristallizzare164
la finalità della norma
giuridica e che infine non può e non deve essere assolutamente associato a
quello utilizzato dalle «intelligenze artificiali»165
.
Queste ultime sono le protagoniste indiscusse del nostro odierno mondo,
caratterizzato dalla globalizzazione, ovviamente producendo e risvolti posi-
tivi e risvolti negativi. L’interpretazione degli operatori del diritto è dinami-
ca, mutevole, sempre diversa, mentre quella delle intelligenze artificiali è
statica, seriale, ripetitiva. Interpretare è un termine di derivazione latina, in-
terpretatio, e significa capire, decifrare ciò che non è chiaro, giudicare, va-
lutare, attribuire un particolare significato a qualcosa e più tecnicamente
stabilire il significato delle disposizioni codicistiche e applicare il tutto al
caso concreto.
Emilio Betti, uno dei teorici dell’ermeneutica, afferma che il diritto civile
è il punto di partenza per arrivare ad affermare quei canoni ermeneutici fon-
damentali166
che sono stati poi resi idonei a fondare l’interpretazione anche
in altri rami del diritto; in conclusione quindi tali canoni sarebbero entrati a
far parte della teoria generale dell’interpretazione.
Betti definisce il cosiddetto stare dinamico167
intendendolo come quel
rapporto che intercorre tra l’oggetto della conoscenza e l’interprete; infatti
Carla Danani, in un volume che ha pubblica riguardo al pensiero di Betti,
afferma: «L’alterità da conoscere, pur non essendo per l’interprete una e-
straneità, non gli appartiene, essa gode di una propria relativa autonomia che
si dà in una distanza rispetto a tutte le altre realtà del mondo: conoscere è,
allora, cercare di percorrere questa distanza.». Oltre all’osservazione e alla
conoscenza del dato oggettivo e quindi nel caso del diritto privato, del dato
tecnico (che può essere inteso come testo giuridico o caso concreto da risol-
vere e via dicendo), è necessario esaminare anche, e non secondariamente,
lo spirito delle leggi, inteso come tutto ciò che non è immediatamente com-
merciabile, immediatamente materializzabile168
, immediatamente consuma-
bile.
164 Termine utilizzato in senso lao e a-tecnico, ivi p. 58. «La forma delle norme giuridiche
non è la forma delle leggi dei sistemi biologici; non è una forma già data, ma è una forma in
formazione, istituita dal pensiero e dalla volontà degli uomini, che nell’attività legislativa
selezionano dei contenuti e li fissano nella forma definita di un enunciato normativo». 165 Ivi, p. 51. 166 E. BETTI, Le categorie civilistiche dell’interpretazione, Milano, 1948, p. 13. 167 C. DANANI, La questione dell’oggettività nell’ermeneutica di Emilio Betti, Milano, 1998,
p. 132. 168 B. ROMANO, Filosofia della forma relazioni e regole, cit., p. 29 «La forma del senso ha
la qualità immateriale dello spirito, non è la forma di una realtà materiale».
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
56
Inevitabilmente la questione dello spirito è strettamente legata alla que-
stione del senso, che nel nostro mondo post complesso169
sta sempre più
perdendo il suo grande significato; nell’epoca del post- si preferisce soffer-
marsi sulla funzione del diritto.
Bruno Romano, professore ordinario di filosofia del diritto, ha pubblicato
molte opere nelle quali tratta approfonditamente il legame tra diritto, senso
e διά-λογος; l’io del singolo è una parte che nella sua individualità incontra
altre parti, ogni io ha una forma differente ed è per questo che Romano parla
di uguaglianza nella differenza; le parti si relazionano attraverso il linguag-
gio, e ogni volta che si relazionano si arricchiscono di concetti sempre nuo-
vi, così si crea il διά-λογος che consiste in un « reciproco rinviarsi»170
, che
non è certamente scevro di incomprensioni, disaccordi, malintesi e via di-
cendo. Spiega Bruno Romano: «Le parti formano la relazione, che, a sua
volta, incide sul formarsi delle parti. Le parti e la relazione sono in un rinvio
di reciproca formazione della differenza delle loro forme»171
.
L’uomo inteso come detentore del diritto primo alla parola e quindi sog-
getto del dire è titolare dell’opera interpretativa; il diritto, a sua volta è testo
della società, perché si forma anch’esso attraverso il dialogo172
- il diritto è
strutturato come linguaggio173
. Quindi cosa si intende per interpretazione?
Ci risponde in maniera concreta ed efficace Bruno Romano: «Una interpre-
tazione non è né arbitraria, né necessaria è rischiata dalla libertà ed è riferita
al diritto se rispetta il principio dialogico (logos) legato al principio di ugua-
glianza (nomos)».
2. Ermeneutica funzionale: protagonista indiscussa della nostra società
post – complessa
169 L. AVITABILE, Perché la filosofia del diritto oggi, cit., p. 36 « Questo non significa che la
ricerca del senso della ragione giuridica abbia imboccato l’era del declino, al contrario,
proprio dove appare sempre più manifesta l’inutilità della ricerca del giusto e dunque della
misura della legalità e del diritto positivo, si concretizza la conquista della ragione giuridica
su eventuali istanze di follia che hanno come segno la prevaricazione. Non è esistita, per
altro un epoca storica in cui la ricerca del senso del diritto sia scomparsa del tutto». 170 B. ROMANO, Filosofia della forma relazione e regole, cit., p. 19 « L’io delle parti e le
relazioni interpersonali costituiscono il loro reciproco rinviarsi e dunque si sottraggono ad
una conoscenza che possa isolare, purificare, il versante delle parti, confinandolo da quello
delle relazioni». 171 Ivi, p. 19. 172 L. AVITABILE, Perché la filosofia del diritto oggi, cit., p. 44. 173 B. ROMANO, Il diritto strutturato come il discorso, cit. p. 27 e ss.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
57
Il termine ermeneutica deriva dal greco έρμηνευτική τέχνη, ovvero arte
dell’interpretazione che, affiancato alla parola funzionale acquisisce un si-
gnificato ulteriore, indicando ciò che meglio si riassume nella teoria siste-
mico – funzionale di Luhmann.
Quella in cui viviamo è un società articolata e globalizzata che si proietta
in un reticolato labirintico composto da altrettante società, il minimo comu-
ne denominatore che accomuna tutte queste società è proprio il diritto. Ogni
società è organizzata per sistemi, nei quali confluiscono tutti gli elementi
che li caratterizzano, ad esempio nella nostra società avremo il sistema dirit-
to (al cui interno troveremo tutto ciò che riguarda le leggi, i contratti, e via
dicendo), il sistema religione, il sistema economico, ecc. La sistematizza-
zione di cui poc’anzi discusso è figlia della complessità, un complessità tale
da sentire la necessità di una «semplificazione»; il diritto è uno stabilizzato-
re della complessità.
Gli elementi principali di un qualsiasi sistema non sono gli agenti e cioè
gli uomini, ma sono gli effetti derivanti dalla comunicazione174
; l’uomo in-
fatti per Luhmann viene «archiviato», perché questo non può essere consi-
derato come un sistema autoreferenziale ed autopoieutico ma piuttosto come
un sistema psicologico175
, molto più complesso degli altri e quindi non co-
me i sistemi sociali che devono soltanto agire nei limiti delle funzioni per
cui sono stati creati.
Ogni sistema sociale emerge grazie ad una sorta di «selezione naturale»,
infatti si rimanda al concetto di contingenza, della forza più potente in quel
momento preciso: la contingenza emerge di volta in volta ed è una forza del
più forte che emerge e si differenzia da tutti gli altri; la contingenza si im-
pone con la sua forza ed è proprio la contingenza che «colora» i vari siste-
mi176
. Ogni sistema è quindi in grado di costituirsi ed autogestirsi attraverso
l’autoreferenzialità e l’autopoiesi177
; con tali termini si intende la capacità di
ogni sistema di costituire da se gli elementi di cui è composto e che tali ele-
menti comunichino in continuazione tra di loro, avendo così la possibilità di
ridefinirsi e riprodursi continuamente per assolvere la funzione a cui è desti-
nato ogni sistema. Infine è importante, ma non meno interessante precisare
che ogni sistema effettua una duplice attività: autosservazione ed eterosser-
174 Vd paragrafo 1. 175 Principio di inclusione teorizzato da Habermas e Luhmann. 176 Lezioni. 177 G. TEUBNER, Recht als autopoietisches System, Francoforte, 1989, p. 89-90.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
58
vazione che gli permettono di sopravvivere e di con – vivere accanto agli al-
tri sistemi.
Detto ciò è più facile comprendere come l’interpretazione di cui si è di-
squisito nel precedente paragrafo (interpretazione giuridica), non ha nulla a
che vedere con l’interpretazione funzionale; quest’ultima infatti, vede ad e-
sempio, in ruolo del giudice quale quello, unico ed inequivocabile, di agire
in base a ciò che la legge gli prescrive178
. Ciò che accade per
l’interpretazione giuridica è differente, questa ha a che fare con a relazione
di riconoscimento che è costituita dall’esserci di un io e di un tu che istaura-
no un dialogo, e quindi nel caso del giudice, questi ha il compito di partire
dai fatti accaduti e di arrivare ad una sentenza in cui motivi le proprie scelte
fatte in base ad un ragionamento, ovviamente attenendosi alla legge, ma
comunicando contestualmente con i soggetti del processo.
Ciò ovviamente non è tanto diverso da quello che accade nel diritto pri-
vato, se si pensa che alla base ci sono una serie di norme che puntano al ri-
conoscimento di rapporti giuridici che inevitabilmente intercorrono tra due o
più soggetti; basti ricordare la norma che disciplina il contratto nel codice
civile: «Il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o
estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale.179
». Si intuisce im-
mediatamente che deve esistere un rapporto necessariamente plurilaterale o
quantomeno bilaterale affinché possa sorgere un contratto, anche se rara-
mente troviamo contratti considerati unilaterali (ad esempio il contratto con
obbligazioni a carico del solo proponente) che potrebbero facilmente contra-
stare la tesi appena affermata; così non dovrebbe essere se si pensa che esi-
stono ampie dispute a riguardo, e quindi più voci in dottrina li considerano
addirittura non esistenti poiché in contrasto con l’articolo 1321 c.c.
È chiaro quindi che anche se immersi in una società complessa non pos-
sono mancare elementi che ricordano l'idea di un io ipotizzante, interpretan-
te, che si relaziona con altri io, tramite il dialogo; non si può pensare che
l’uomo «serve solo a far funzionare», si avrebbe la morte intellettuale e il
fallimento di tanti secoli di lotte per la libertà (di parola, di riconoscimento
degli uomini in quanto tali e via discorrendo).
È sempre essenziale ricordare che «il discorso giuridico ha come trama
essenziale le leggi del linguaggio mediante la coesistenza sociale, che è in-
nanzitutto relazione interpersonale, dimensionata secondo l’originalità del
singolo uomo che ritrova se stesso nella responsabilità della scelta compiuta
178 Lezioni.« Il giudice è un terzo incluso ed escluso». 179 Art. 1321 c.c.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
59
e nella preparazione attuale avviata alla scelta che si concretizzerà nel futu-
ro»180
.
180 L. AVITABILE, Perché la filosofia del diritto oggi, cit., p. 41.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
60
SEZIONE III – DIRITTO ECCLESIASTICO
G. CAMPOPIANO
1. L’interpretazione giuridica e le norme nel diritto della Chiesa
La promulgazione del codice di diritto canonico del 1917 e in seguito
quella del 1983 hanno portato ad «una visione tendenzialmente statica
dell’ordinamento giuridico della Chiesa»181
, quindi «non più per la via e la
ricerca e dell’individuazione del giusto nel caso concreto […], ricerca nella
quale resta massimamente esaltata l’opera dell’interprete e della
giurisprudenza; ma per determinazione autoritativa e con provvedimento
astratto di ciò che è giusto»182
. Il giudice diviene così un esecutore del
legislatore con la conseguenza «dell’appiattimento della ricerca del
giusto»183
che priva la giuridicità della sua specificità primaria: la terzietà,
che ha la finalità di garantire il compimento del diritto proprio attraverso
l’attività interpretativa e creativa del ‘terzo giudice’.
«Il diritto non è pertanto l’insieme delle norme, vigenti in un luogo e
poste in un tempo, né l’unità di tutte le norme di tutti i tempi e di tutti i
luoghi, ma opera secondo la struttura del linguaggio, quindi nell’esistere del
parlante che si compie come il trascendimento delle singole forme storiche
degli enunciati istituiti, esigendo la ripresa continua ‘del che si istituisca’
differenziato dall’istituito»184
. Invece così come previsto nel canone 17185
, il
significato testuale è la regola ermeneutica principale agli altri criteri
considerati sussidiari solo nel caso in cui il testo non sia chiaro, pertanto
181 G. LO CASTRO, L’interpretazione del diritto e il diritto della Chiesa, Stato, Chiesa e
pluralismo confessionale, Rivista telematica, giugno 2010. 182 Ibidem. 183 N. LUHMANN, Il diritto della società, a cura di L. Avitabile, cit., p.XXI. 184 B. ROMANO, Filosofia del diritto, Bari, 2002, p. 158. 185 Canone 17: «Le leggi ecclesiastiche sono da intendersi secondo il significato proprio
delle parole considerato nel testo e nel contesto; che se rimanessero dubbie e oscure si deve
ricorrere ai luoghi paralleli, se ce ne sono, al fine e alle circostanze della legge e
all’intendimento del legislatore».
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
61
l’attività interpretativa viene ad essere una mera comprensione del testo186
.
Non è facile però dare piena applicazione al canone 17, quando ci troviamo
di fronte ai problemi sorti per effetto del fenomeno del multiculturalismo,
che hanno evidenziato la necessità di ripensare e riformulare le singole
norme, ispirate da quei principi supremi dell’ordinamento, in modo che
siano più vicine a quella che è la realtà storica187
.
Il papa Benedetto XVI nel discorso alla Rota romana del 21 gennaio
2012, afferma che «la legge umana viene valorizzata in quanto espressione
di giustizia, anzitutto per quanto essa dichiara come diritto divino, ma anche
per quello che essa introduce come legittima determinazione del diritto
umano»188
. Il legiferare dell’autorità ecclesiastica non proviene, quindi,
dalla volontà arbitraria del legislatore, ma dall’«opera di riconoscimento di
una più elevata ed effettiva dimensione giuridica operante nella storia»189
. «Per la interpretazione del codex del 1917 con il motu proprio Cum iuris
canonici del 15 settembre 1917 fu istituita una commissione col compito di
rispondere ai dubbi che si presentassero nell’applicazione del codice, con
valore di interpretazione autentica e con la facoltà, di cui mai si è avvalsa, di
inserire nuovi canoni o mutare quelli esistenti ogni qualvolta le Sagre
Congregazioni emanassero nuove disposizioni difformi da quelle del vigente
codice. Per quel che riguarda il nuovo codice del 2 gennaio 1984, è stata
istituita la Pontificia commissione per l’interpretazione autentica del codice
di diritto canonico».
La norma così individuata non ha una funzione stabilizzatrice, come nella
teoria sistemico funzionale di Luhmann, dove una delle funzioni primarie
del diritto è quella di stabilizzare le aspettative normative e le complessità,
come avviene quando il sistema diritto si basa sulla logica immunitaria, per
cui l’ermeneutica è finalizzata alla conservazione; ma la ricerca del bene
comune deve essere manifestata dal «desiderio di giustizia» (iussum quia
iustum) con la «partecipazione all’attività creativa delle possibili norme da
istituire […]. Nel bene comune e nella solidarietà trovano la genesi del loro
186 E. BAURA, La realtà disciplinata quale criterio interpretativo giuridico della legge.
Il discorso di Benedetto XVI alla Rota romana, 21 gennaio
2012,http://bibliotecaeconomica.net, 23/12/2013. 187 E. ANCONA, Via Iudici. Contributi tomistici alla metodologia del diritto, Terni, 2012,
p.43. 188 E. BAURA, La realtà disciplinata quale criterio interpretativo giuridico della legge.
Il discorso di Benedetto XVI alla Rota romana del 21 gennaio
2012,http://bibliotecaeconomica.net, 23/12/2013. 189 G. LO CASTRO, L’interpretazione del diritto e il diritto della Chiesa, Stato, Chiesa e
pluralismo confessionale, Rivista telematica, www.statoechiese.it, giugno 2010.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
62
senso i contenuti delle norme istituite, che pertanto appartengono alla
legalità giusta se non costituiscono una violazione del bene comune e della
solidarietà».
I fenomeni evolutivi che si manifestano nella società difficilmente
troveranno legittimità al di fuori del diritto codificato se esso rimarrà chiuso
nei suoi atti normativi, né sarà il rispetto delle norme a garantire la
correttezza giuridica, ma si potrà affermare il Diritto e la Giustizia solo
attraverso l’interpretazione,
che non può prescindere dal preparare
un’argomentazione, orientata verso la comunicazione, per mezzo
dell’attività dialogica.
Pertanto, l’ermeneutica raccoglie in sé sia il concetto di interpretazione
sia quello di argomentazione, che consentono di comprendere lo ‘spirito
delle leggi’. Si ha così l’affermazione della ‘legge del testo’ contraria a
quello che nella dottrina pura del diritto di Kelsen con il ‘testo della legge’,
pone al centro la dignità delle norme e non l’uomo quale soggetto
ipotizzante. Il ‘testo della legge’ quando rimane privo della ‘legge del testo’
( che ha a che fare con la comunicazione intersoggettiva e con i conflitti di
senso) diventa un mero messaggio informazionale, che chiede di essere
eseguito; dunque, il linguaggio del diritto deve svolgersi sempre
nell’attraversarsi reciproco della ‘legge del testo’, cioè dal dialogo, e del
‘testo della legge’, cioè dalla legge scritta190
.
2. L’interpretazione della legge nel diritto ecclesiastico e la libertà
religiosa
Con la stipulazione dei Patti lateranensi, il diritto ecclesiastico è venuto a
delinearsi come sistema chiuso, caratterizzato dalla laicità dell’oggetto,
anche se risulta dipendente «dall’evolversi delle concezioni generali del
190 B. ROMANO, Filosofia del diritto, cit., p. 177: « Nella genesi del testo, dunque nella
legge del testo (‘logos’), l’altro viene pertanto incontrato come ‘chi’ di una condizione
comunicativa perché triale, nella reciprocità del prendere e destinare la parola,
mantenendosi in un luogo terzo, che costituisce lo spazio dove ogni parlante può esercitare
il diritto primo: riprendere una sua parola iniziante garantita dal testo della legge
(‘nomos’)».
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
63
diritto legate al fluire delle situazioni ideologiche e politiche»191
per cui oggi
è necessario che sia interpretato secondo i principi di libertà religiosa. I papi
Gregorio XVI e Pio IX consideravano il diritto alla libertà di religione come
la negazione della vera religione, poiché essi non potevano immaginare una
vera Chiesa che non fosse sostenuta dallo Stato e dalla politica; invece la
Chiesa del XIX secolo ritiene che lo Stato non abbia la competenza di
farsi garante del valore sociale della vera religione e non può non
riconoscere alle altre religioni il diritto di esistere.
Il primo Concilio che si sia espresso sulla questione della libertà di
religione è stato il Concilio Vaticano II, che come precisato da Benedetto
XVI «con il decreto sulla libertà religiosa ha riconosciuto e fatto suo un
principio essenziale dello stato moderno». Una Chiesa, quindi che non
pretende più di voler imporre Cristo per mezzo del potere temporale e che
per questo riconosce allo Stato moderno la sua laicità politica. L’apertura del
diritto ecclesiastico all’evolversi delle situazioni storico-evolutive pone però
il problema dei vincoli a cui l’interprete deve attenersi data la natura delle
norme, che hanno il loro presupposto nel diritto divino o nel diritto naturale.
Le controversie in materia religiosa rientrano tra quei casi difficili a cui il
giudice deve dare una giusta soluzione, quando i principi supremi
dell’ordinamento vengono messi in discussione per effetto del
multiculturalismo. Per risolvere questi casi non ci si può attenere solo al
diritto interno altrimenti si impedirebbe di riconoscere quelle tradizioni e
culture che meritano di essere rispettate. Con l’argomentazione, proposta da
Tommaso d’Aquino, si possono però trovare dialetticamente le soluzioni
compatibili ai principi comuni. Anche secondo il papa Benedetto XVI il
procedimento argomentativo deve essere quella risorsa che ci permette di
conoscere «la verità intera che consente sia l’esame critico dell’esistente sia
l’apertura alla diversità» per risolvere «il problema della soluzione giusta».
L’argomentazione deve essere però un «esercizio interpretativo sui
materiali culturali dell’istituire ipotesi di senso», cioè «un dire
creativamente ciò che non può essere anticipato» e che non sa dove ci porta.
L’interpretazione, quindi, avviene attraverso l’attività dialogica, che
appartiene esclusivamente all’Io in quanto entità parlante, e non in maniera
meccanica, come vorrebbe la dottrina pura del diritto di Kelsen, o Luhmann.
La giustizia non può essere contenuta all’interno di un codice, perché essa
191 E. VITALI, «Legislatio libertatis» e prospettazioni sociologiche nella recente dottrina
ecclesiastica; in DE, 1980, I, p.30.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
64
viene ripresa ogni qualvolta si istituisce o si interpreta il dettato normativo.
L’uguaglianza che è alla base dell’attività dialogica consente che nessuno
prevarichi l’altro, che l’Io e il tu abbiano la stessa possibilità di prendere la
parola, in una relazione di riconoscimento, che è intersoggettiva, dove cioè
l’Io e il tu si riconoscano uguali nella loro differenza ipotizzante. Un diritto
fenomenologicamente inteso è quello basato sul riconoscimento del rispetto
dell’altro che fonda una relazione giusta, quindi un’interpretazione giusta,
un’ermeneutica non funzionale capace di astrarre dall’uomo.
Nell’ermeneutica non funzionale si chiariscono i testi giuridici alla luce di
ciò che è sotteso alla formazione, quindi alla genesi fenomenologica del
diritto.
Al contrario l’ermeneutica funzionale di Luhmann è già predeterminata
nell’interpretazione, dovendo il sistema giuridico difendere gli altri sistemi;
pertanto, essendo basata sulla logica immunitaria, è finalizzata alla sua
conservazione. Essa esprime la contingenza più forte in quel momento,
dunque l’argomentazione viene utilizzata per una comprensione
ermeneutica funzionale dei testi, per cui la giustizia diviene una formula di
adeguamento dell’attività decisionale e la questione del senso non è più
legata al principio di uguaglianza nella differenza, quindi casi uguali
verranno trattati in modo uguale e casi diseguali in modo diseguale ( è fatto
salvo il principio dell’uguaglianza formale, che è una formula a due
versanti: uguale e non uguale).
Affinché si possa applicare il principio di uguaglianza nella differenza è
necessario che la premessa maggiore, messa a fondamento dello Stato di
diritto, dalla quale far partire l’istituzione delle norme, non sia
discriminatoria o discriminante, come pure che il giurista sappia esercitare
la tecnica giuridica normativa ponendola sempre a supporto di
un’ermeneutica non funzionale, fatta di ricerca delle intenzioni e delle
motivazioni, come dice Heidegger di «ciò che per lo più non si manifesta e
che rispetto a ciò che per lo più si manifesta ne rappresenta il senso e il
fondamento».
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
65
CONTE CLEMENTE
1. La concezione religiosa nel pensiero filosofico
Da millenni filosofia e religione sono in rapporto di reciproca alleanza e
di ostile opposizione. Molti filosofi si sono interrogati sulla natura e
sull’essenza di questo connubio. Filosofia e religione non possono essere
confrontate tra loro come due punti fissi in quanto si trovano in un continuo
processo di trasformazione storica e acquistano in ogni tempo il loro
significato solo in relazione a una verità eterna che la rispettiva veste storica
a un tempo occulta e le trasmette; vi sono – quindi – alcuni tratti che
caratterizzano la differenza tra filosofia e religione: la religione è il culto che
lega una particolare comunità di uomini che la praticano; è strettamente
connessa a un mito; la sua essenza appartiene al rapporto che si instaura tra
gli uomini e la Trascendenza: questo rapporto si presenta nel mondo nella
forma del sacro, completamente separato da ogni realtà profana. Di
conseguenza, se il sacro non esiste o viene rifiutato, svanisce il tratto
caratteristico della religione. La filosofia, invece, non conosce alcun culto,
alcuna comunità diretta da preti, alcuna santità che nel mondo sia in grado
di distinguersi da ogni altra realtà del mondo. La filosofia ha presente
ovunque e in ogni tempo ciò che la religione localizza in qualche luogo. Nel
singolo essa si sviluppa in singole relazioni umane, che non sono
sociologicamente condizionate e non necessitano della garanzia di una
comunità. La filosofia non ha riti e non dispone di miti intesi come
originariamente reali. A trasmetterla, onde consentirne l’appropriazione, è
una libera tradizione che di volta in volta si trasforma. Anche se appartiene
all’uomo in quanto uomo, essa si rivolge solo al singolo. Possiamo, a questo
punto, affermare che la religione tende ad incarnarsi mentre la filosofia
tende solo ad una certezza efficace.
2. La teoria di Niklas Luhmann
Uno dei massimi rappresentanti che ha analizzato la funzione della
religione nella struttura sociale è Niklas Luhmann. Secondo il pensiero di
Luhmann, i vari sottosistemi sociali come l’economia, la politica, l’arte, la
scienza, la morale, la famiglia e la stessa religione, si rendono sempre più
autonomi gli uni dagli altri, sviluppando dinamiche di funzionamento
autoreferenziali, con propri codici simbolici non più dipendenti dalla
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
66
legittimazione religiosa. La religione, quindi, non è più il fulcro
dell’integrazione sociale, ma molto più semplicemente uno dei fattori che,
insieme ad altri, interagisce in una rete complessa di relazioni la quale non
riconosce più autorità superiori ad altre, ma solamente funzioni più o meno
efficaci al fine dell’integrazione. Tuttavia non va dimenticato che accanto
alla più o meno marcata marginalizzazione della religione, l’esito della
differenziazione funzionale è anche la specializzazione della religione
all’interno della sfera propriamente religiosa: abbandonando
progressivamente, volente o nolente, tutte quelle funzioni non propriamente
religiose che nel corso dei secoli aveva accumulato, essa si concentra sugli
aspetti che più le sono propri. A strutturare la società, in definitiva, non è più
la religione: a contendersi il suo posto sono lo Stato e il mercato e
all’interno di queste due nuove realtà la religione deve ricomprendersi
partendo da posizioni non più di monopolio o di privilegio. Il diritto, per
Luhmann, si inserisce in questo frangente come un sistema sociale nel quale
si realizza la generalizzazione congruente delle aspettative normative di
comportamento. La congruenza garantisce la funzionalità del diritto sul
piano sociale, temporale, materiale. La generalizzazione immunizza il diritto
dai rischi di continua problematizzazione. Strutturato nella forma di
programma condizionale, il diritto assicura solo la certezza che si avrà una
decisione: resta incerto quale. La possibilità del diritto legalizza la
possibilità di trasformazione delle norme, stabilizza, cioè, la capacità di
apprendimento da parte del sistema. La norma però viene intesa come
indisponibile all’apprendimento. Luhmann colloca l’analisi della funzione
del diritto ad un livello d’ordine superiore rispetto a quello al quale quella
funzione era collocata nel pensiero sociologico classico. La differenziazione
funzionale non significa dunque scomparsa della religione ma una sua
profonda e radicale ridefinizione.
Per Luhmann l’uomo c’è ma viene considerato come un’entità biologica
e adotta formule di adeguamento. In questo modo il diritto subisce
l’evoluzione con appunto l’adeguamento, lo sfruttamento e la costruzione di
piccoli elementi funzionali che, in accordo con il sistema giuridico, non
devono tralasciare elementi essenziali come la temporalità, la possibilità e la
varietà (della complessità). I sistemi, per Luhmann, riducono la
complessità; difatti, il giudice per Luhmann è l’esecutore del
fondamentalismo funzionale: interpreta la norma solo alla luce della
costellazione dei sistemi sociali.
Tornando al punto di vista religioso, secondo Luhmann, la religione,
come sopra enunciato, deve essere inserita nell’ambito di un sistema
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
67
parziale avente la funzione di raffigurare l’indeterminabile; più nello
specifico il fenomeno religioso viene inserito nell’ambito del rapporto
sistema-ambiente, in quanto egli sostiene che: «la religione prende ciò che è
sovrannaturale dall’esterno trasformando la complessità indeterminata in
complessità determinata»192
. L’approccio alla religione nella società
moderna per Luhmann è prettamente sociologico e il lavoro è da lui svolto
in una prospettiva evolutiva in base al principio della differenziazione che,
lungo un processo storico, da segmentaria o stratificata diventa
primariamente funzionale. In forza di tale differenziazione ogni ambito
funzionale acquista una maggiore stabilità propria e una maggiore
autonomia.
Luhmann, sostiene,inoltre, che nelle società moderne, caratterizzate da
una separazione tra chiesa e Stato, il ruolo della religione civile è svolto
dalla credenza in valori fondamentali (Grundwerte) che si collocano in una
sfera trascendente rispetto al sistema politico: la religione secondo Luhmann
non va confusa con una “religione civile” intesa come una sorta di
tabuizzazione dei valori fondamentali della cultura liberale. Quest’ultima
non è assolutamente idonea ad esprimere un’autentica coscienza religiosa,
poiché, in quanto tale, non è in grado di esprimere il soprannaturale, ossia
ciò che soltanto la religione, in quanto teologia della rivelazione, può
esprimere.
Il codice del sistema religioso, dal punto di vista sistemico luhmanniano
è trascendenza/immanenza. La religione manifesta in questo senso la non
esaustività e la contingenza del mondo, rappresenta l’irrappresentabile, il
trascendente, attraverso determinate formule di contingenza, la più
importante delle quali è Dio. In Luhmann la religione svolge la sua
funzione sociale tenendo vivo in primo luogo non il senso della solidarietà,
dell’accoglienza o dei valori civili bensì il senso di Dio, della trascendenza e
della chiesa, ma senza tener conto di quella «genesi della vita interiore che
sollecita l’uomo a prendere posizione, a interrogarsi nella continua
ristrutturazione della sua identità esistenziale»193
. Per Luhmann la funzione
della religione è quella di essere un medium della comunicazione che come
gli altri media, semplifica, ovvero costringe in un senso determinato un
senso indeterminato, riducendo così la contingenza e aiutando gli individui a
rendere più tollerabile il mondo. In questo la religione funziona come gli
altri media della comunicazione, ovvero la sua capacità di riduzione della
192 N. LUHMANN, Funktion der Religion, Frankfurt, 1977. 193 B. ROMANO, Sistemi biologici e giustizia.Vita animus anima, cit. p. 103.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
68
complessità e conseguentemente di tranquillizzare, non sono specifiche
della religione; ciò che è specifico è il dominio della sua semplificazione.
Quando tra gli spazi dell’interpretazione religiosa soggettiva e gli spazi
dell’interpretazione religiosa ufficiale, gestiti da chiese o sette, si raggiunge
un punto di equilibrio che permette di mantenere sotto controllo la sfera di
determinate emozioni, allora il sistema della religione riesce a svolgere
quella sua funzione di riduzione della complessità riducendo il disordine
delle pulsioni individuali attratte dal sacro entro l’ordine di una credenza
stabilita e razionalizzata194
.
La religione, in conclusione, risponde - dunque - a domande di senso
soggettivo a cui nessun altro sistema può rispondere; essa nella fattispecie,
secondo Acquaviva e Pace, elaborando un complesso sistema di segni,
permette di pensare che la società sia fondata su un sistema di valori, che la
vita abbia una specifica direzione, che il mondo abbia un’armonia
intrinseca, riconducendo tutto questo alla nozione unica di Dio. La religione
permette, in altri termini, di ricondurre ad unità il mondo diviso e
ultracomplesso e la società differenziata.
CLAUDIA PANTANO
Questioni ermeneutiche nel diritto ecclesiastico
1. Attività interpretativa e ricerca del giusto
Il problema dell’interpretazione del diritto si presenta come uno dei più
complessi fra quelli con i quali la scienza giuridica contemporanea e lo
stesso uomo devono confrontarsi.
Interpretare significa in primo luogo comprendere il testo, capirne il
significato e rispetto al testo legislativo l’interpretazione si propone come
conoscenza tecnica, linguistica delle norme, ma non può essere limitata alla
sola testualità in quanto deve tendere alla ricerca dello spirito della norma,
della ratio legis, che può essere ricostruito solo attraverso l’interpretazione.
L’attività interpretativa contribuisce alla formazione del diritto vivente: così
se l’attività legislativa è fondamentale, essenziale per la creazione della
norma, all’attività interpretativa se pur in modo differente, non può essere
194 ACQUAVIVA-PACE, Sociologia delle religioni, Roma,1998 p. 48.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
69
riconosciuta un’importanza minore. I due momenti sono quindi fortemente
legati e collegati tra loro, in un rapporto di cooperazione tra il legislatore e
l’interprete195
.
Hans-Georg Gadamer, che può essere considerato uno dei fondatori
dell’ermeneutica contemporanea grazie alla sua opera più significativa,
Verità e metodo, afferma che chi si pone davanti ad un testo cercando di
comprenderlo entra nel circolo ermeneutico ed entra nel movimento storico
della comprensione che egli chiama “fusione di orizzonti”: l’orizzonte dello
studioso, formatosi entro la tradizione e la pre-comprensione del presente, e
l’orizzonte del testo da comprendere che porta con sé tutte le comprensioni
e tradizioni che ha vissuto. Per Gadamer l’ermeneutica contemporanea non
consiste solo nella comprensione del testo, ma esso deve essere arricchito
con le problematiche trascurate dall’autore stesso del testo, che vengono
portate alla luce grazie al lavoro continuo dei diversi interpreti, che sempre
aggiungono quesiti e risposte diverse ai diversi significati che scaturiscono
dal testo in relazione al presente. Il testo deve essere considerato come un
“recipiente” di significati che dialogano continuamente con il presente
rappresentato dall’interprete e quindi non può mai presentare una sola verità
oggettiva196
.
È interessante evidenziare come rispetto a queste due figure, la visione
gadameriana sia distante dalle posizioni di Luhmann. Nel sistema diritto
Luhmann definisce il legislatore osservatore di primo grado; ha il compito
di selezionare e scegliere le aspettative cognitive meritevoli di tutela, cioè le
aspettative che provengono dalla collettività (valori, pretese, bisogni della
società, interessi della società), e trasformarle in aspettative normative,
sintetizzandole quindi in norme. A questo punto interviene l’interprete, il
giudice definito osservatore di secondo grado: osserva il prodotto del
legislatore cioè la norma, e adatta la fattispecie astratta a quella concreta197
.
Mentre per Gadamer l’interprete-giudice è fortemente legato alla propria
realtà perché considera l’avventura del capire un processo ininterrotto, una
linea continua di effetti che la tradizione tramanda all’interprete e quando
giunge a lui, la tradizione incontra anche i suoi impegni culturali, storici ed
esistenziali e si traduce nel suo proprio orizzonte di senso198
, per Luhmann
invece il giudice è un mero tecnico delle norme, il cui compito è osservare i
195 G. LO CASTRO, Stato, Chiesa e pluralismo confessionale, Rivista telematica, Giugno
2010. 196 http://www.padrebergamaschi.com/Filosofia/gadamer.html 197 Lezioni. 198 G. PALOMBELLA, Conoscenza del diritto e democrazia, II parte.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
70
testi e interpretarli, non vi è un rapporto diretto con la realtà perché questa è
già stata osservata dall’osservatore di primo grado.
L’ermeneutica contemporanea può essere suddivisa in: teoria
ermeneutica-esegetica ovvero ermeneutica intesa come interpretazione del
testo, interpretazione testuale; filosofia ermeneutica che non tende alla
conoscenza e ricognizione oggettiva del significato inteso dall’autore, ma
alla spiegazione dell’esserci dell’uomo nella sua determinazione temporale
e storica; l’ermeneutica critica nella quale la critica è guidata dal principio
della ragione.
Interessante è il pensiero di Emilio Betti che riconosce nel processo
interpretativo quattro momenti: il momento filologico (linguistico)
riguardante cioè la grammatica e il testo; il momento critico; il momento
psicologico che è volto a svolgere un’indagine sulla posizione dell’autore
nel testo; il momento tecnico.
Betti inoltre tra i vari tipi di interpretazione pone la cosiddetta
interpretazione in funzione normativa nella quale include non solo il diritto,
ma anche la teologia. Mentre però, il diritto seguirebbe le regole della
hermeneutica iuris, la teologia e il diritto canonico seguirebbero quelle della
hermeneutica fidei.
Sia il diritto che la teologia si trovano dinanzi a testi vincolanti che
devono essere interpretati tenendo conto non solo del problema
dell’intendere, ma anche del problema dell’intendere per l’agire ovvero
dell’esigenza pratica di essere osservati. Betti quindi evidenzia l’importanza
di uno spirito contemplativo legato ad uno spirito pratico. Inoltre non esiste
più contrapposizione per Betti tra soggetto che comprende e l’oggetto
compreso, in quanto entrambi fanno parte dell’unico processo storico in cui
l’uomo è destinato a comprendere se stesso199
.
L’interpretazione deve essere volta a mettere in relazione la scienza
ecclesiastica con tutti gli altri settori della scienza giuridica e delle scienze
umane, evitando di porsi su posizioni dogmatiche, assolute e cristallizzate
che finiscono per sottrarsi a qualsiasi analisi storico-evolutiva, quasi fossero
da ritenersi immutabili200
.
La norma stessa non deve essere concepita come qualcosa di assoluto,
perché il diritto vigente è qualcosa di provvisorio legato ad una realtà
sempre in evoluzione e ciò giustifica, garantisce e esige il divenire del
199 MONS. ANTONI STANKIEWICZ, L’ermeneutica del diritto canonico e la creatività
giuridica nell’interpretazione giudiziale. 200 M. TEDESCHI, Sulla scienza del diritto ecclesiastico, Milano, 2007, p. 144.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
71
diritto che mira al giusto, senza che però possa mai pretendere di averlo
raggiunto201
.
Il vero diritto è inseparabile dalla giustizia. Il principio vale ovviamente
anche per la legge canonica, nel senso che essa non può essere rinchiusa in
un sistema normativo meramente umano, ma deve essere collegata a un
ordine giusto della Chiesa, in cui vige una legge superiore.
Solo attraverso l’attività interpretativa è possibile individuare le iniquità e
evidenziare ciò che in una legge non viene riconosciuto come giusto.
Nella Teoria sistemico-funzionale di Luhmann non c’è alcuna ricerca del
giusto, non c’è alcuna ricerca del senso, tutto è funzione, lo stesso
interprete, il giudice è chiamato ad agire funzionalmente, svolge solo un
ruolo. La giustizia è una forma di contingenza, tutto viaggia sull’onda della
contingenza cioè “è giusto ciò che accade”; non c’è buono o non buono,
giusto o non giusto. La comprensione del testo è finalizzata alla funzione202
.
Bruno Romano critica le posizioni che negano l’esistenza del male, nella
prospettiva che il male è negazione della dimensione giuridica.
Egli ritiene che «il male comincia a formarsi quando si nega all’altro
l’ascolto, ascolto che libera l’io e il tu dalla chiusura e rende possibile la
costituzione-affermazione della propria identità esistenziale». Proprio
dall’apertura verso l’altro, dal dialogo nasce il diritto, diritto che coincide
con «il bene nel senso che il bene è sempre nella sua interpretazione, non a
partire dalla norma preordinata, ma come risposta, ripresa e conferma di
una tendenzialità costitutiva della coesistenza inter-umana».
La giustizia è collocata sul piano della possibilità dell’uomo di dialogare
con l’altro, l’Io mette in gioco se stesso nella relazione di riconoscimento.
Il giusto è il riconoscimento dell’altro, al contrario l’esclusione, cioè il
“negare il riconoscimento dell’altro come soggetto del domandare e del
rispondere” è il non giusto203
.
2. Attività dell’interprete come attività creativa
Quando si pone in evidenza che l’apertura del diritto ecclesiastico alle
altre scienze si attua attraverso il momento interpretativo, e ci interroga su
201 G. LO CASTRO, Stato, Chiesa e pluralismo confessionale, Rivista telematica, Giugno
2010. 202 L. AVITABILE, Lezione di teoria dell’interpretazione e informatica giuridica, 28/10/2013
e 04/11/2013. 203 B. ROMANO, Filosofia del diritto, cit., p. 117.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
72
quali siano i limiti dell’interprete rispetto alle norma di diritto ecclesiastico
sorge il problema se l’attività interpretativa possa essere considerata e
definita attività creativa.
È opportuno partire dal presupposto che ritenere l’atto interpretativo
come avente natura creativa rischia di rendere impossibile conciliare la
storicità dei valori e la pretesa assolutezza che può essere difesa solo se i
valori sono indipendenti dal soggetto che li afferma.
Un primo limite posto alla discrezionalità dell’interprete è sicuramente
dato dalla continuità rispetto al testo normativo interpretato, ma questo
limite comunque non impedirebbe di pensare tale attività come creativa
anche perché l’interpretazione non può ridursi ad una mera proclamazione
del diritto che deve essere spiegato dall’interprete204
. In particolar modo le
norme di diritto ecclesiastico offrono all’interprete una varietà di modelli e
rendono quindi necessario modi diversi di intendere il diritto e di
interpretare le sue norme; si «richiede all’interprete una sensibilità e duttilità
particolare frutto di una formazione e di un’esperienza composita ma anche
della tensione ideale che la sorregge». L’interpretazione non può essere
considerata una mera operazione tecnica, anche perché l’ecclesiasticista non
ha in genere una formazione esclusivamente tecnico-giuridica, ma anche
storica e comparatistica, volta in direzione sia statuale che confessionale e di
conseguenza qualora si trovasse di fronte ad interpretazioni provenienti da
altri settori, potrebbe ritenerle parziali, insufficienti, tali da non cogliere il
significato intrinseco delle norme. Quindi «quest’esperienza particolare può
costituire un arricchimento per il teorico generale».
Si sono confrontati diversi orientamenti sul tema del riconoscere o meno
natura creativa al momento interpretativo.
C’è chi ha parlato di ‘atto inventivo’ dell’interprete come vera e propria
espressione di arte, l’arte del diritto, che non può sottostare a rigide regole
tecniche e nella quale si manifesta la creatività dell’interprete. Altri, invece
sono più vicini al dato oggettivo, cioè pur riconoscendo all’interprete
un’attività creativa, la riconducono alla proposizione normativa così
considerata:
«per il suo carattere precettivo, deve poter contare sul potere suggestivo
della parola, cioè sul suo contenuto irrazionale, che conserva il riflesso della
sua storicità, e nel tempo stesso lascia un alone indefinito, che consente
l’esplicarsi della libertà di apprezzamento dell’interprete».
Un’altra corrente di pensiero distingue nel diritto ‘il dato’ (complesso di
rapporti, fatti materiali, economici, politici, religiosi e il ‘costruito’
204 G. LO CASTRO, Stato, Chiesa e pluralismo confessionale, cit.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
73
(complesso di regole e norme), il primo oggetto della scienza, l’altro della
tecnica ritenendo che l’interprete aggiungerebbe qualcosa al “costruito”
andando oltre la legge per guardare alle esigenze obiettive e soggettive205
.
Vi è chi infine concepisce l’interpretazione «come costante momento di
mediazione tra il corpus iuris dato e la mutevole realtà»206
e ribadisce che la
legge non è mai qualcosa di dato, ma sempre qualcosa che deve essere
interpretato e applicato; l’interpretazione non è mai una dichiarazione o
riconoscimento, ma atto costitutivo di decisione e di creazione del diritto
che non significa arbitrio dell’interprete, ma commisurazione e
conformazione della normatività del testo legislativo alla intrinseca e
originaria prescrittibilità di vita da regolare207
. L’interprete in questa
ricostruzione fa sicuramente valere le sue convinzioni, tradizioni, ma
l’arbitrarietà della sua opera trova un limite nel criterio di continuità che
lega con la norma il risultato dell’interpretazione e sull’osservanza di tal
criterio veglia la communis opinio.
Tutti questi orientamenti hanno in comune la preoccupazione di
salvaguardare la realtà e l’autonomia oggettiva del diritto che non esclude
però il riconoscimento dei fattori innovativi dell’interpretazione in
ricostruzioni che mirano all’equilibrio tra oggettività del diritto e
soggettività della sua interpretazione.
A tutte questi tesi si contrappone quella della preminenza dell’oggettività
della norma secondo la quale avrebbe maggiore importanza il carattere
dichiarativo o meramente esplicativo dell’interpretazione, idea che ha dato
vita al positivismo dottrinario. Se le precedenti concezioni l’interpretazione
è concepita come storia, il positivismo dottrinario agisce e si muove per
mettere al riparo il diritto dalla storia; il positivismo dottrinario è sinonimo
di conservazione del dato, non riesce a spiegare e convogliare nella storia il
divenire della società giuridica, è quindi espressione si antistoricismo208
.
205 Ibidem. 206 T. ASCARELLI, Problemi, cit., p. 71. 207 V. SCALISI, Fonti, teoria, metodo. Alla ricerca della “regola giuridica”nell’epoca della
postmodernità, Milano, p. 132. 208 G. LO CASTRO, Stato, Chiesa e pluralismo confessionale, cit.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
74
SEZIONE IV – DIRITTO PENALE
ANTONIO D’ANNOLFO
1. La scuola ermeneutica e la sua influenza nel Diritto penale
L'ermeneutica giuridica, o anche interpretativismo giuridico209
, è una
scuola di pensiero della filosofia del diritto manifestatasi in modo influente
nel XX secolo. Originariamente tale concetto, ripreso dal termine
«hermeneuein», riconduceva ad una riflessione sulla metodologia
dell'interpretazione della norma giuridica; con l’evolversi poi della società e
delle condizioni socio-culturali e socio-economiche, essa ha ampliato il
proprio campo di interesse, diventando una corrente filosofica di margine
più generale, comprendente ogni ambito giuridico «dalla sfera civile a
quella penale». L'attenzione, dunque , non è più posta sulla legge in sé, ma
sulla giurisprudenza , ossia sulla concreta applicazione delle norme e sulla
loro interpretazione; quindi «sulla conoscenza dello spirito del testo e sulla
conoscenza tecnica della norma». In tal modo si pongono le basi per il
superamento della struttura tradizionale dell'interpretazione statica ed
obbiettiva tesa a ripercorrere il procedimento mentale che il legislatore
realizza in fase di delegificazione. Si necessita, pertanto, di un nuovo
metodo di lavoro attraverso il quale si sposti l’attenzione sull'attività
interpretativa e applicativa; il compito di tale processo è chiarire e stabilire
il significato delle disposizioni e degli enunciati nei quali si articola il testo
di un atto normativo in virtù della loro applicazione in casi concreti. Una
ulteriore considerazione è che, il metodo teleologico o finalistico,
nonostante gli indubbi traguardi e vantaggi a cui ha portato la sua
applicazione, solleva non poche perplessità se si considera che la c.d. ratio
legis (o scopo della norma di volta in volta interpretata) non è un dogma,
come risulta dal testo redatto dal legislatore, ma necessita di continue
reinterpretazioni. La conseguenza è che i risultati progressivi o
attualizzatori, a cui tale procedimento può pervenire, rischiano di far filtrare
le preferenze ideologiche dell'interprete della norma più di altri criteri
interpretativi, aprendo così la strada all'inclusione di nuovi e diversi fatti
tipici non previsti, di per sé, dal legislatore, né tantomeno considerati, tali da
indurre una interpretazione distante dalle reali intenzioni dello stesso.
209 H. G. GADAMER, L’ universalità del problema ermeneutico, Bologna, 1968, p. 15.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
75
Occorre, dunque, circoscrivere un’area di interesse entro cui attuare il
procedimento sopra descritto e fissare dei punti, ovvero delle regole entro le
quali stabilizzare il processo ermeneutico dell’interprete nei confronti della
legge, evitando così che la disposizione emanata dal legislatore venga
«ampliata» dal «di più» proprio di chi applica la norma. L'interpretazione
assume un ruolo delicato nel diritto penale, in vista delle possibili ricadute
sul principio di legalità. A tal proposito diversi sono i criteri elaborati dalla
dottrina per soccorrere all'incertezza che deriva dalla formulazione dell'art.
12 delle preleggi; questo , infatti , non stabilisce se debba prevalere il
significato stesso delle parole adottate dal legislatore o la sua intenzione
quando i risultati siano contrastanti.
2. La terzietà giuridica nel diritto penale
Riprendendo il discorso sul diritto penale e sulle questioni ermeneutiche
ad esso correlate, bisogna porre l’accento sul discorso inerente la terzietà
giuridica e la sua importanza nell’ ambito di questo studio, andando , quindi,
ad elaborare il discorso strutturandolo in base ai punti di vista presi in
osservazione: ermeneutico-filosofico, dottrinale-penalistico e ermeneutico-
penalistico210
. A tale scopo è doveroso definire cosa si intende parlando di
terzietà giuridica211
e come essa si componga: «la terzietà» rappresenta il
luogo del reciproco riconoscersi nell’ambito della formazione dell’ identità
esistenziale mediante l’alterità. Essa si esplica, infatti, nelle tre figure che la
compongono come unità: quella del «terzo-legislatore» ; quella del «terzo-
giudice» e quella del «terzo-polizia». Questi tre personaggi emblematici
della terzietà hanno una loro specificazione temporale; il venir meno di una
di tali figure causa il venir meno dell’incidere giuridico ed ortonomo delle
altre due; quindi la terzietà giuridica nella sua unità è condizione e misura
del relazionarsi giuridico in quanto tale” 212
. “Tali soggetti risultano, o
meglio «devono» risultare come delle «figure imparziali e disinteressate» e
dunque non monetizzabili nel mercato del «self-service normativo»213
.
210 B.ROMANO, Scienza giuridica senza giurista: il Nichilismo « perfetto», Torino 2006, p.
188. 211 (ID.), Ragione giuridica e Terzietà nella relazione. Una introduzione alla filosofia del
diritto, Roma, 1998, p. 86. 212B.ROMANO, Scienza giuridica senza giurista: il Nichilismo « perfetto», Torino 2006, p.
191. 213 P. LEGENDRE, Sur la question dogmatique en Occident, Parigi 1999, p. 67.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
76
Viene, pertanto, descritta la terzietà giuridica come una caratteristica
peculiare e caratterizzante del legislatore, del giudice e di tutto l’organo
giudiziario comprensivo dell’intero apparato-tribunale e della polizia-
giudiziaria. Diviene opportuno ricordare come la Costituzione, ovvero la
fonte primaria, risulti essere il primo testo ad esplicitare i principi inerenti la
terzietà giuridica e la sua «giustezza» in tema di processi. Nel suo art. 111 ,
infatti, vengono introdotti i suoi principi cardine:
- la giurisdizione si applica mediante il giusto processo regolato dalla
legge;
- la locuzione «giusto processo» si riferisce ad un concetto ideale di
Giustizia, che preesiste rispetto alla legge e che è direttamente collegato a
quei diritti inviolabili di tutte le persone coinvolte nel processo, che lo Stato
in base all’art. 2 Cost. si impegna a riconoscere;
- il soggetto ,che subirà gli effetti di un provvedimento giurisdizionale,
deve essere messo in grado di esporre le sue difese prima che il provvedi-
mento sia emanato;
- si sancisce inoltre la «parità delle parti»;
- il processo deve svolgersi davanti ad un giudice «terzo e imparzia-
le». L’imparzialità concerne la funzione esercitata nel processo ed impone
che non vi siano legami tra il giudice e le parti. La terzietà invece concerne
lo status del giudicante stesso. Questo , infatti, non deve cumulare altre
funzioni ne ricoprire altri ruoli all’interno del medesimo procedimento, cosi
da non far scaturire in se un «pregiudizio» tale da non permettere una corret-
ta ed equa interpretazione e applicazione della norma redatta dal legislatore.
La fondamentale importanza rivestita dalla imparzialità del giudice
nell’ambito della tutela giurisdizionale dell’individuo è contrassegnata
dall’esplicito riconoscimento contenuto negli strumenti normativi più signi-
ficativi in tema di salvaguardia dei diritti naturali dell’uomo: e cioè negli
artt. 6, numero 1, 14 e 10, rispettivamente, della Convenzione europea dei di
diritti dell’uomo, del Patto internazionale sui diritti civili e politici e della
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. In tutte e tre le norme con
identiche parole si afferma che: «Toute personne a droit à ce que sa cause
soit entendue [...] par un tribunal indépendent et impartial».
Eppure nella nostra Carta costituzionale l'indagine in ordine ai riscontri
normativi del principio del "giusto processo" appare non molto agevole. Ciò
spiega perché la Corte abbia considerato validamente evocati vari parametri
costituzionali (e tra questi principalmente gli artt. 3 e 24 della Costituzione,
congiuntamente richiamati, ma anche l’art. 101, comma 2, e l’art. 25, com-
ma 1) per definire tale principio, il quale comporta che «il giudizio si formi
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
77
in base al razionale apprezzamento delle prove raccolte ed acquisite e non
debba subire l'influenza di valutazioni sul merito dell'imputazione già in
precedenza espresse dal medesimo giudice». Nella giurisprudenza comuni-
taria risulta, invece, costantemente affermato che se da un lato l'imparzialità
del giudice si presume fino a prova contraria, dall'altro deve tenersi conto, in
relazione all'aspetto oggettivo, anche della semplice "apparenza" di parziali-
tà, in quanto il giudice, oltre ad essere imparziale, deve anche apparire tale.
In definitiva, l'art. 34 del codice di procedura penale deve essere visto come
una norma di salvaguardia per il giudice, che non è costretto a far violenza a
sé stesso ed a comprimere i condizionamenti dovuti alla sua pregressa parte-
cipazione al procedimento, essendo in tal caso legittimato a sottrarsi al pro-
prio dovere di giudicare. L'istituto della incompatibilità è dunque preordina-
to alla garanzia di un giudizio imparziale, che non sia né possa apparire
condizionato da precedenti valutazioni sulla responsabilità penale dell'impu-
tato manifestate dallo stesso giudice in altre fasi dello stesso processo tali da
poter pregiudicare la neutralità del suo giudizio.
È questo il fulcro attorno al quale ruota il presente elaborato: si intende,
perlopiù, criticare il lavoro interpretativo ( ritenuto a tratti erroneo ) attuato
da chi è preposto a tale scopo,. Molto spesso, infatti, ci si imbatte in casi in
cui non avrebbe senso il «giudizio giuridico» ; il quale viene derubato della
sua terzietà e quindi contaminato dalla pregiudizio che non rende obbiettivo
colui che è chiamato a comprendere e ad attuare la norma. Si svuota ,
pertanto , il diritto della sua essenzialità ,della sua base garantistica; lo si
renderebbe vuoto e si priverebbe il contraddittorio della sua funzione-
cardine: auspicare e garantire l’eguaglianza delle parti in dibattimento. Si ha
quindi, come precedentemente specificato, il bisogna di delimitare un
«campo di intervento» entro il quale possa attuarsi l’interpretazione
ermeneutica-giuridica.
3. L’ interpretazione ermeneutica della terzietà giuridica giustificata
dalla tesi di Pareyson
In una successiva sentenza 1996 la Corte costituzionale, al fine di evitare
«straripamenti ermeneutici», ha delimitato i confini entro i quali può
rilevare la forza della interpretazione e determinarsi l’incompatibilità per il
giudice. Questo procedimento si attua mediante una «quadruplice
precisazione»:
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
78
- deve trattarsi di una pluralità di interventi valutativi che abbiano ad
oggetto la medesima res iudicanda;
- deve trattarsi non di una semplice «conoscenza» di atti anteriormente
compiuti e riguardanti il processo, ma di valutazione di essi al fine di una
decisione;
- deve trattarsi di un valutazione degli atti compiuta dal giudice allo
specifico fine di un giudizio, e cioè di decisioni sul merito della causa, com-
portanti apprezzamenti non formali ma contenutistici degli elementi di accu-
sa;
- tali valutazioni devono essere riferite a fasi diverse del processo.
Delimitati i limiti entro i quali poter attuare una corretta e proficua inter-
pretazione ermeneutica, allora si potrà giustificare tale azione e quindi ac-
cettare tutti i benefici che può arrecare nell’ambito giuridico. A tal proposito
si cita la tesi seguita da Pareyson. esso paragona il diritto ad un’opera d’arte:
«l’opera non vive che nelle sue proprie esecuzioni»214
; l’autore afferma cer-
tamente che «la vita delle norme ( terzo-legislatore ) è nella loro interpreta-
zione (terzo-giudice) e nel conseguente concretizzarsi (terzo-polizia)». Co-
me l’opera d’arte , dunque, anche la norma del legislatore risulterà essere
«congenitamente incompiuta» cosi da richiamare continuamente molteplici
interpretazioni215
; così da rendere l’inesauribilità del diritto che ne regola il
singolo caso. Secondo Pareyson , infatti, « l’opera d’arte suscita, desta, sti-
mola infinite interpretazioni»; allo stesso modo ogni singolo caso esaminato
dal giurista comporta una interpretazione diversa della norma.
La legge, infatti, deve sempre attenersi alla ratio con la quale è stata ideata,
al suo fine ultimo; è opportuno, dunque, tenere sempre in considerazione le
caratteristiche peculiari della terzietà giuridica che devono essere proprie di
chiunque sia chiamato a giudicare, a «dibattere in aula» o semplicemente a
far «rispettare la legge» cercando di non escludere l’ inevitabilità della de-
cisione e la certezza del diritto che deve essere perseguita mediante la ricer-
ca «del giusto nel legale»216
.
GIANLUCA LO GIUDICE
214 L. PAREYSON, Estetica. Teoria della formatività, Milano 1988, p. 234. 215 Ivi, p. 235. 216 B. ROMANO, Scienza giuridica senza giurista: il Nichilismo «Perfetto », Torino 2006, p.
212.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
79
1. La concezione dell’uomo nell’interpretazione del diritto penale
Nella teoria sistemico-funzionale di Niklas Luhmann, l’uomo inteso
come io pensante, capace di scelte, pensate, volute, decise è relegato ad un
simbolo, viene messo in «epoque» direbbe Kelsen217
.
Per Luhmann l’uomo è una bandiera al servizio del sistema, non importa
quale sistema, che sia giuridico, economico, sociale, l’importante è che il
sistema globalmente inteso funzioni, ed è essenziale che l’uomo sia
funzionale ad esso. Viene ipotizzato un io «frammentato».
In Romano l’io è inteso come un soggetto ipotizzante, ha una soggettività
piena. L’essere io è cosi quando può confrontarsi con gli altri su un piano di
uguaglianza, senza prevaricazioni, con gli altri dialoganti. È infungibile e
non è «precalcolabile» nell’anticipazione. È appunto disfunzionale. Nella
teoria sistemico funzionale invece, l’uomo è tutt’altro: è un individuo inteso
come ente, non è un io pieno, è soltanto materia senza spirito. L’uomo è un
individuo, è uno nessuno e centomila, come lo descriverebbe Pirandello. È
un uomo topologico: egli è il risultato del luogo dove abita, frutto della
contingenza, della legge del più forte. Poiché c’è contingenza c’è la
negazione della possibilità, della libera scelta. Non potendo liberamente
scegliere l’uomo può compiere solo quelle scelte che il sistema gli permette,
quelle che sono funzionali al sistema.
In questa visione del mondo, e del diritto, non c’è bisogno di
interpretazione. Nella concezione luhmaniana il diritto non è dato dal «dia-
logos» con gli altri, non c’è interpretatio perché non serve;
nell’interpretazione funzionale è necessario che l’io non interpreti, o meglio,
che interpreti oggettivamente. Anche la giustizia è una forma di
contingenza. Ma può l’uomo permettere che la sua essenza sia rinchiusa in
uno schema? L’uomo è altro. Non è un algoritmo matematico, è
imprevedibile. Per quanto possano essere fatte delle medie, economiche,
statistiche, egli si rifiuta di rientrare in delle categorie.
L’uomo è l’«io patico»218
, si lascia attraversare dal pathos delle emozioni
e decide con volontà. Questo decidere con volontà fa si che l’uomo sia
217 Kelsen fautore della Teoria pura del diritto, nei suoi studi è molto vicino a Luhmann.
Nella sua teoria viene messo da parte il logos, l’io è confinato come tra due parentesi nel
mondo delle relazioni interpersonali. In Kelsen la dimensione dialogica manca; viene
depurata da tutte quelle dimensioni che non si lasciano osservare. L’io puro è colui che
essendo svuotato di quello che è proprio dell’io diviene un ente senziente, una scatola
vuota. 218B. ROMANO, Due studi su forma e purezza del diritto, Torino, 2008, p. 63.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
80
imputabile giuridicamente. Come potrebbero spiegarsi secondo la teoria di
Luhmann gli elementi psicologici del reato? Non si potrebbe perché si parla
di intenzioni, previsioni, di qualcosa di incalcolabile; di qualcosa che sfugge
agli schemi del sistema. Dice Romano che «il pathos si manifesta nello
scegliere, dunque nel volere imprimere una specifica direzione di senso
all’esistere…l’atto del volere non è determinato dalla conoscenza, ma nasce
con l’esercizio della libertà, dunque con l’io patico e non con l’io
gnosico»219
. Volendo fare un esempio nella teoria sistemico funzionale
l’omicidio verrebbe punito nella misura in cui il sistema decide che deve
essere punito, in quanto reca danno al sistema. Ma l’interpretazione, nel
senso nobile del termine è qualcosa di molto più profondo: è andare dietro i
fatti ictu oculi. E’ ricercare le motivazioni, le ragioni, lo stato psicologico
che ha portato a quell’azione. Sono presenti nei vari paesi cosiddetti
civilizzati vari gradi di giudizio proprio perché è permesso agli operatori del
diritto di interpretare.
Nel diritto penale acquista quindi, grande importanza la figura dell’io. Di
quell’io capace di scelte consapevoli, di essere imputabile agli occhi della
giustizia. Si è imputabili perché capaci di discernimento, di decidere, di
valutare, e quindi poi compiere atti che possono transitare nell’esistenza
degli altri220
procurando delle volte danni. La colpa, intesa come elemento
psicologico del reato, è ascrivibile solo all’uomo; solo un io pensante,
ipotizzante è imputabile221
. Imputabile perché libero di determinarsi e
quindi di compiere scelte consapevoli. Si potrebbe rimproverare che delle
volte non tutte le scelte sono consapevoli, in quanto frutto di una
contingenza dei fatti, degli accadimenti che privano l’io del libero arbitrio.
Ma comunque si può ritenere che siano sempre le scelte che l’uomo ha
compiuto, scelte libere ed autonome, che lo hanno portato, se del caso, al
posto sbagliato al momento sbagliato. E se comunque così dovesse essere,
se dovesse essere che l’uomo, privato in quel momento specifico della
facoltà, della possibilità di una scelta diversa, viene investito della «colpa»
di un atto sicuramente illecito, ma inevitabile o essenziale ai fini della
salvezza, ecco che vengono introdotte nel quadro del diritto penale le
«scriminanti», particolari situazioni in presenza delle quali, un fatto, che
altrimenti sarebbe reato, tale non è perché la legge lo impone o lo
consente222
. Ed è il giudice, terzo ed imparziale a dover interpretare per il
219 Ivi, p. 98. 220 ID., Filosofia della forma relazioni e regole, Torino, 2010, p. 88 ss. 221 ID., Diritti dell’uomo e diritti fondamentali, Torino, 2009, p. 154 ss. 222F. MANTOVANI, Diritto penale, Padova, 2009, p. 235.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
81
caso concreto la legge astratta, a dover sentenziare, per mezzo
dell’interpretazione, su ciò che è giusto ancor prima che legale223
. Scrive
Romano che solo l’«io persona» risponde davanti al terzo giudice. L’«io
puro» teorizzato da Kelsen non risponde di nulla perché non ha un io
incarnato, rimane sempre innocente, come le cose, i vegetale, gli animali e
le macchine224
. Per «io persona» non si intende l’uomo italiano, l’uomo
caucasico, l’occidentale o l’orientale, ma l’uomo globalmente inteso. Ogni
essere umano è umano in quanto io. Ciò che è privo di io appartiene al non
umano. Proprio questa uniformità dell’io fa si che all’essere umano siano
imputabili dei diritti universali valevoli per chiunque e per tutti. Siano
creati, o meglio ritrovati dei diritti dell’uomo. Dico ritrovati perché si crea
qualcosa che non esiste e a mio avviso ogni uomo in quanto tale è titolare di
diritti strettamente collegati al suo essere uomo, alla sua dignità di essere
umano. Proprio per questo Romano scrive che i diritti dell’uomo, universali
ed incondizionati, mai si lasciano enunciare compiutamente in un definito
sistema giudiziario225
. Per Luhmann «i diritti fondamentali non garantiscono
ne libertà ne dignità»226
e forse non ha tutti i torti; non ha tutti i torti perché
sono i diritti dell’uomo ad essere consacrati come baluardo dalle
prevaricazioni di un tu tirannico, disprezzante di una relazione di
riconoscimento reciproca, e non i diritti fondamentali, enunciati,
positivizzati in una Legge fondamentale227
, che per quanto solenne è pur
sempre frutto dell’attività umana.
2. Il diritto dopo l’uomo
Quanto si è voluto dimostrare nel paragrafo precedente, è la visione, si
potrebbe dire antropocentrica nell’interpretazione del diritto penale. Un
diritto attraversato in tutte le sue sfaccettature da un io quasi ingombrante
che veste e riveste, in modi differenti le norme penalistiche. L’uomo, difeso
o incolpato dalla giurisdizione penale è il sole attorno al quale ruotano le
varie disposizioni del diritto.
Con l’evoluzione dell’uomo stiamo assistendo anche ad un’evoluzione
del diritto: un’evoluzione che ha portato, secondo molti, ad un
223B. ROMANO, RIFD, Note sulla terzietà giuridica, 2006, p. 5. 224
ID., Diritti dell’uomo e diritti fondamentali, Torino, 2009, p. 180. 225Ivi, p. 23. 226 N. LUHMANN, i diritti fondamentali come istituzione, Bari, 2002, p. 124. 227B. ROMANO, Diritti dell’uomo e diritti fondamentali, cit., p. 20 ss.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
82
accrescimento oltre misura delle norme che compongono il diritto penale,
alla cosiddetta ipertrofia normativa.
La valanga di leggi che investe un po’ tutti i paesi tecnologicamente
avanzati ha un unico comun denominatore: l’intelligenza artificiale. È infatti
con il progresso tecnologico che il legislatore è riuscito a moltiplicare in
maniera esponenziale il volume di leggi e leggine. E questo, si potrebbe
dire, è un risultato scontato: un conto è affidare a qualche oscuro scriba il
compito di scrivere e trascrivere, cancellare e correggere un testo normativo;
un conto è poter modificare con un click una legge e aggiungere mille
emendamenti.
La globalizzazione dei mercati ha portato e continua a portare verso una
globalizzazione sempre più accentuata di tutti i sistemi di cui l’uomo fa
parte, spostando l’accento dall’uomo ai sistemi.
Scrive Romano che « nella direzione ove il postumanesimo qualifica con
coerenza la globalizzazione, viene meno la misura antropocentrica dei diritti
dell’uomo, radicata nell’umanesimo, perché si persegue invece l’univocità
del fondamentalismo funzionale…»228
.
Vengono quindi meno nel cyber spazio, le due dimensioni dove l’io e il
tu si incontrano per la loro relazione di riconoscimento, c’è una
trasformazione dello spazio e del tempo. « Lo spazio cessa di essere il
medio-terzo ove i parlanti si incontrano e comunicano nel luogo del
coesistere secondo l’ordine giuridico, che proprio nella trialità-terzietà ha la
sua genesi ed il suo operare; i messaggi vengono ora scambiati in un non-
luogo, nel luogo dei dati digitalizzati.»229
Da un lato quindi, l’evoluzione ci potrebbe portare ad un annullamento
dell’identità, tramutando la humanitas in una massa indistinta di individui,
ma da un altro lato, ed esattamente agli antipodi, la fame di giustizia non
sempre giusta, ci può portare ad una esaltazione di qualche individuo
singolarmente inteso. Si può fare riferimento, perché motivo di acceso
dibattito, all’idea di introdurre nel codice penale il reato di femminicidio. E
bene si, di una norma che colpisca e punisca in modo diverso l’uccisione di
una donna. Ma non è pur sempre un omicidio? Non c’è ugualmente la stessa
lesione personale che l’attuale reato di omicidio prevede indistintamente per
tutti? Sicuramente nella società odierna c’è bisogno di un mezzo di tutela
più forte per i più deboli; ma per i più deboli, senza distinzione di sesso,
razza, ideologia politica o professione religiosa. Dico questo per sfatare
228
ID., Diritto dell’uomo e diritti della senzienza. Postumanesimo e globalizzazione, Roma,
2002-2003, p. 63. 229Ivi, p. 64 ss.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
83
l’idea di incorrere nella creazione di un «diritto parallelo»230
, come
teorizzava Jakobs, dato dal deprecabile sistema della legislazione
dell’emergenza, ove sotto la spinta emotiva della pubblica opinione, il
legislatore interviene per correre al riparo da determinate fattispecie
delittuose, non sempre giuste, non sempre in armonia con le altre norme,
non sempre costituzionalmente legittime.
Concludendo, nonostante l ‘evoluzione ci porti a distogliere lo sguardo
dalle questioni davvero importanti, non dovremmo dimenticare il punto
cardinale intorno al quale abbiamo creato il nostro mondo e il nostro diritto:
l’uomo!
LONGO FRANCESCO
1. La pena tra società e giustizia
L’opera teorica del sociologo Niklas Luhmann (Luneburg, 8 dicembre
1927 – Oerlinghausen, 6 novembre 1998) s’inserisce sul tema della
complessità che ha coinvolto diverse discipline e ancora oggi rappresenta
un fertile campo interdisciplinare di ricerche231
. Nello specifico Luhmann,
in Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale, definisce la
complessità come «un insieme di elementi tra loro connessi che, a causa di
230 La «teoria del diritto penale del nemico» ipotizzata da Jakobs, prende vita nel contesto
della guerra al terrorismo di matrice islamico-fondamentalista. Guardando alle misure con
cui gli Stati Uniti interrogavano coloro che sospettavano essere terroristi, con metodi che
prevedevano una deprivazione totale dei diritti, Jakobs, non vide una violazione del diritto
stesso, ma la creazione di un altro diritto penale: il diritto penale del nemico. Un diritto che,
sul piano dei diritti, esibisce un livello di garanzia diverso dal diritto «normale», poiché
rivolto ad una categoria diversa di soggetti: coloro che, di volta in volta, vengono
identificati come nemici all’interno di una società. 231 T. TINTI, La “sfida della complessità” verso il Duemila, in Rivista Novecento n.12,
1998, pp. 7-12: «Sono stati gli studiosi di cibernetica (Wiener, Weaver, Ashby, von
Foerster) e di teoria dell’informazione (von Neumann, Shannon, Marcus, Simon) i primi ad
occuparsi di complessità; ad essi poi si sono aggiunti, nel corso degli anni, pensatori
provenienti da tutte le discipline, tanto che possiamo definire la teoria della complessità
come lo studio interdisciplinare dei sistemi complessi e dei fenomeni emergenti ad essi
associati. Infatti, all’elaborazione della teoria della complessità stanno
contribuendo, in egual misura, filosofi e scienziati che celebrano il riavvicinamento delle
rispettive forme di sapere: qualcuno (Brickmann) parla della nascita di una “ terza
cultura ”, alternativa tanto alla cultura strettamente umanistica quanto a quella
scientifico-tecnologica».
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
84
limitazioni intrinseche nella capacità di collegamento tra gli elementi, risulta
impossibile collegare ogni elemento in qualsiasi momento con ciascuno
degli altri elementi»232
. Quindi un sistema può essere definito complesso se
è formato da così tanti elementi che è possibile ricostruire le loro relazioni
reciproche solo selettivamente attraverso un processo di riduzione.
L’ambiente per le sue innumerevoli variabili rappresenta la forma di
maggior complessità. Al suo interno si possono distinguere altri sistemi
complessi, tra cui il sistema sociale: «si può parlare di sistema sociale
soltanto quando e nella misura in cui è possibile distinguere il sistema dal
suo ambiente […]. Ciò che opera o vale nell’ambiente del sistema, cessa di
operare o di valere automaticamente anche entro il sistema»233
. La maggior
complessità dell’ambiente impone al sistema sociale la necessità di
sviluppare adeguate strategie per ridurre la complessità ambientale. Ecco
perché il sistema sociale nel suo sforzo di adattamento alle variabili
ambientali è in un continuo evolversi. I vari stadi evolutivi sono
caratterizzati da crescenti forme di complessità pertanto la società stessa è
obbligata a sviluppare forme sempre più complesse, pensiamo a riguardo
allo sviluppo tecnologico nei diversi ambiti della vita sociale: economia,
comunicazione, diritto. Il sistema giuridico rappresenta un sottosistema di
quello sociale e si differenzia dagli altri sotto-sistemi per le seguenti
caratteristiche:
- Differenziazione: la costituzione avviene seguendo l’opposizione dei
valori del proprio codice specifico (diritto non diritto)
- Schematizzazione binaria: il codice specifico esclude una terza non
possibilità
- Normatività: capacità di stabilizzazione contro fattuale
dell’aspettative di comportamento
- Prassi decisionale universalistica: i conflitti vengono risolti median-
te argomentazioni coerenti rispetto alle classificazioni concettuali del siste-
ma stesso.
Seguendo l’impostazione teorica di Luhmann è evidente che il sistema
giuridico sia sottoposto anch’esso a un processo evolutivo a iniziare dalla
comunicazione: «per ‘sistema del diritto’ non intendiamo solo l’insieme
delle norme giuridiche (e tanto meno: solo le conoscenze sulle norme
giuridiche), ma il sistema sociale dell’esperienza interna e dell’agire, che si
orienta consapevolmente al diritto e si differenzia così dalla consueta vita
232 N. Luhmann, Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale, Bologna, 2001, p. 33. 233 ID., Illuminismo sociologico, cit., p. 180.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
85
sociale quotidiana»234
. Luhmann attribuisce alla comunicazione un ruolo
decisivo, infatti è solo attraverso essa che un sistema riesce a selezionare le
informazioni disponibili e ad attuare un processo di riduzione della
complessità. Comunicare implica il profilarsi di un circuito informativo
inter-personale che combina ed opera un insieme di processi interpretativi
finalizzati alla produzione di senso. Il sociologo arriva pertanto ad affermare
che «la società consiste solo di comunicazione e non di uomini235
perché gli
agenti principali del sistema sono gli effetti della comunicazione, ovvero
comunicazioni che producono a sua volta altra comunicazione in un
continuo processo ricorsivo»236
. I sottosistemi funzionali tra cui il diritto
stesso (accanto all’economia, scienza, arte e politica, non sono altro che
forme di comunicazione che si differenziano l’uno dall’altro). Ecco quindi
che il diritto si apre in modo completo alla dimensione ermeneutica perché
essendo comunicazione è suscettibile di fraintendimenti e interpretazione:
«certo la manifestazione formale della norma, il diritto inteso come diritto
posto – positivo – non può escludere la struttura del linguaggio e di
conseguenza quella dell’interpretazione che, a sua volta, implica la dinamica
relazionale e razionale […] ogni chiarimento presenta la sua plurivocità
direzionale che impegna l’argomentazione giuridica nel suo muovere
dall’uomo in quanto soggetto e dunque dall’istituzione della parola»237
.
L’ermeneutica agisce all’interno del sistema giuridico come strumento di
correzione nella misura in cui è offerta al giurista la possibilità di correggere
ciò che veniva precedentemente affermato sul piano normativo pertanto è
centrale la distinzione teorica tra fatti e norme: «i primi, espressione di
esigenze sociali assimilate dal sistema nella fase dell’apertura informativa,
vengono trattati dal sistema giuridico come fattispecie normative nello
stadio di chiusura operativa, mediante ulteriori, preesistenti norme»238
.
Pertanto anche la giustizia e il ruolo da essa svolto nel contesto del sistema
sociale, sono pervasi dall’approccio funzionalistico su cui si basa la teoria
dei sistemi; quindi la teoria di Luhmann è esente da concezioni gerarchiche
o norme superiori che stabiliscono in modo universale il concetto di
234 ID., La differenziazione del diritto, Bologna, 1990, p. 330. 235 ID., Teoria della società, Milano, 1992, p. 61. 236 Il diritto non vale per il fatto che, nell’esperienza interna del diritto, vi sia la coscienza di
una fondazione storica del diritto, di un atto passato di produzione del diritto, ma solo per il
fatto che il diritto venga esperito come valido in base a questa decisione, come scelto
rispetto ad altre possibilità e quindi come trasformabile. ID., La positività del diritto, in: La
differenziazione del diritto, Bologna, 1990, p. 103. 237 L. AVITABILE, Cammini di filosofia del diritto, Torino, pp. 254-255. 238 B. ROMANO, Filosofia e diritto dopo Luhmann, Roma, 1996, pp. 177-78.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
86
giustizia. Di conseguenza la giustizia non si basa su fondamenti metafisici
di carattere morale ma trae al sua essenza nella relazione con la società.
A questo punto occorre definire quali sono le modalità con cui il diritto
penale può essere articolato all’interno del sistema sociale.
Il diritto penale rappresenta il fulcro del sistema giuridico, infatti esso
deve punire comportamenti illeciti e allo stesso tempo prevenire la
possibilità di reati futuri. Quindi esso è scaturito da un’esigenza funzionale,
infatti mira alla riduzione della complessità delle aspettative: «il diritto
interviene nel conflitto considerando prospettive di produzione e riduzione
della complessità non praticabili dai soggetti coinvolti e conduce alla
generalizzazione delle aspettative tramite la coerenza delle statuizioni. La
generalizzazione e l’istituzionalizzazione delle aspettative, come processo di
formazione, riguardano l’aspetto più antico e comune a tutti i sistemi
decisionali, ossia la generalità delle azioni e degli attori sociali rappresentati
come collettività»239
. Il sistema giuridico nella teoria di Luhmann ha come
principale finalità quella di immunizzare il sistema sociale da
comportamenti che ne possano intaccare le relazioni. Se ne deduce che il
diritto penale rappresenta il nucleo fondante del sistema giuridico. Seguendo
questa logica funzionale e allo stesso tempo immunitaria, il diritto penale
punisce alcuni reati come l’omicidio o il furto non perché siano la negazione
di diritti universali degli uomini ma perché intaccano gli uomini nel loro
essere portatori di funzioni sociali minacciando quindi la realizzazione di
procedure di differenziazione e quindi deragliando il sistema sociale verso il
non essere: l’ambiente.
Oltre a punire il diritto penale deve mirare alla generalizzazione e
stabilizzazione delle aspettative, in questo senso esso acquista la forma di un
anticipazione di eventuali decisioni di conflitti che, come possibilità
vengono tenute presenti e nel caso di conflitto sono applicate con certezza.
Quindi il diritto penale, nella teoria dei sistemi si pone in un rapporto di
relazione con la libertà di manifestazione di un conflitto, anzi esso non solo
legifera sui possibili conflitti ma allo stesso tempo riproduce traendone
nuovi stimoli evolutivi. Attraverso l’attività giuridica si riduce la possibilità
di errore nella definizione delle aspettative concrete cosicché il riscontro di
difformità tra il comportamento e l’aspettativa sono da attribuirsi
esclusivamente all’individuo che ha violato le relative norme. Le norme
penali tendono a stabilizzare alcune aspettative di comportamento mirando a
prevenire forme di agire deviante. Ecco che quindi uno degli aspetti
239 A. MACERATINI, Procedura come norma, Riflessioni filosofico - giuridiche su Niklas
Luhmann, Torino, p.112.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
87
principali che denotano il diritto penale è la sua struttura articolata sia in una
dimensione materiale che temporale: rispetto alla dimensione materiale la
formazione mira alla sicurezza degli effetti: «si vogliono cambiare
probabilità reali di un comportamento e per questo si utilizza il diritto, più
che altro nel senso di un meccanismo sanzionatorio»240
. Sul piano temporale
invece il diritto penale oltre a sanzionare atti accaduti nel tempo si rivolge
anche al futuro guidando il comportamento prima che si concretizzino atti
illegittimi: «si promulgano leggi o si concludono contratti al fine di
influenzare il comportamento di determinate persone e di dare ad esso
un’altra direzione»241
.
È innegabile che aldilà dei suoi limiti242
la teoria sistemico funzionale del
diritto di Luhmann sia un importante strumento di analisi delle dinamiche
sociali e giuridiche del nostro sistema della società contemporanea. In
particolare l’analisi di Luhmann risulta essere molto fertile nell’individuare
le dinamiche tra il sistema giuridico e quello economico capitalistico: «il
mercato, il denaro, l’economia monetaria, trasferendosi, sotto forma di
aspettative economiche cognitive, nel diritto, rendono evanescente, fino a
farlo scomparire, l’istituire connesso alla questione della legittimazione»243
.
Diventa cosi indispensabile lo studio e l’approfondimento della relazione tra
l’universo sociale e la pratica legislativa affinché il diritto non venga
assorbito completamente dal sistema economico. La filosofia del diritto
acquisisce un ruolo sempre più centrale per la tutela delle libertà individuali
e sociali.
240 N. LUHMANN, La differenziazione del diritto, cit., p. 82. 241 Ibidem, p. 81. 242 Il filosofo del diritto Bruno Romano ha mostrato il limite della visione del diritto come
sistema sociale autopoietico ispirata dal parallelismo con i sistemi biologici. In particolare
Romano nota che Luhmann: “restringe la discussione sull’esser – soggetto, fin dal suo
presentarsi, in quella dell’aver-competenza, ovvero del funzionamento delle
differenziazioni, cancellando la questione della soggettività in quanto disassoggettamento
formazione di un’ipotesi di un mondo in una creazione di senso […] la storia delle
istituzioni giuridiche non si confonde con l’evoluzione dei sistemi biologici, perché non
attiene alle fasi impersonali dei processi vitali, ma riguarda la formazione senso di
un’epoca”. B. Romano, Sistemi biologici e giustizia, cit., p. 42. 243 L. AVITABILE, Cammini di filosofia del diritto, cit., p. 125.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
88
ANNALISA MEROLLE
1. Metodologia argomentativa, dal sillogismo di Aristotele alla teoria
sitemico-funzionale di Luhmann: differenze
L’argomentazione giuridica è un concetto molto vasto ma anche
complesso, oggetto di studi e di discussioni giuridico-filosofiche con
risultati diversi e a volte, contrapposti. Argomentare significa compiere una
scelta che però bisogna sempre e comunque motivare ed è nella natura
dell’uomo renderla plausibile. L’argomento non può essere banalmente
ripartito in buono o cattivo, convincente o meno convincente ma solo come
funzionale o non funzionale così com’è affermato da Luhmann (sociologo e
filosofo tedesco fautore della teoria sistemico-funzionale); anche gli
argomenti meno convincenti sono pur sempre argomenti. L’argomentazione
giuridica è relazionata al diritto e pone in essere la validità di quest’ultimo,
ora nessuna argomentazione può modificare il diritto vigente. L’argomento
non può modificare la legge, è un non potere e costituisce l’esecuzione che
si dirige nel non modificare gli argomenti. Validità ed argomentazione
dunque sono strettamente connesse poiché sono operazioni di uno stesso
destino, comunicano tra loro mediante ciò che Luhmann definisce
“accoppiamenti strutturali” ossia abbinamenti di struttura, necessari per
semplificare la complessità del sistema giuridico formato da una pluralità di
strutture che comunicano mediante testi244
. I testi sono mezzi di
comunicazione, “nascono” ma il destino non è immediatamente
determinabile. Solo in questo modo, non conoscendo il destino, può essere
sostituita l’esigenza ideale che casi uguali siano trattati in modo uguale, il
cosiddetto astrattismo puro. I testi di legge interferiscono quando rinviano
alla validità e hanno un significato particolare, inoltre sono capaci di auto-
osservazione245
. Quando si parla di argomentazione si pensa
immediatamente alla matrice logica di aristotelica memoria. Aristotele nella
sua celebre opera Organon, elabora il sillogismo (dal greco syllogismos,
formato da syn insieme e logismos calcolo quindi ragionamento
concatenato),246
una sorta di argomentazione logica in cui, poste due
premesse, ne consegue una conclusione, diversa dalle premesse e
necessaria. In sintesi il sillogismo è basato su una triplice terminologia:
premessa maggiore, premessa minore e conclusione (es. premessa
244
ID., Interpretazioni del funzionalismo giuridico, Napoli, 2010, p.118. 245 Lezione. 246 Enciclopedia Universo, Novara, 1974, p. 229.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
89
maggiore: tutti gli uomini sono mortali, premessa minore: tutti i greci sono
uomini, conclusione: dunque tutti i greci sono mortali). Il sillogismo è
considerato valido se questo è logicamente valido, tale validità non dipende
da ciò che è stato affermato bensì dalla sua composizione, di conseguenza il
sillogismo è valido, anche se le frasi che lo compongono non si dimostrano
veritiere (es. premessa maggiore: ogni animale vola, premessa minore:
l’asino è un animale, conclusione: dunque l’asino vola). In età romana,
l’oratore ed eclettico filosofo Cicerone, figura politica di spicco di
quell’epoca e Quintiliano, oratore e maestro di retorica, nella costruzione
del loro pensiero ripresero il sistema aristotelico, sviluppandolo
ulteriormente senza però modificarlo. In particolare per Cicerone
l’argomentazione era legata all’arte dell’oratoria intesa in senso deduttivo e
non considerava rilevante l’interpretazione. Per Luhmann invece,
nell’argomentazione non si applica il sillogismo ma ‹‹tutto viene
concentrato dall’interprete negli exempla a partire dai quali la norma appare
come il prodotto finale di una serie di argomenti, un’adeguatio priva del
momento interpretativo-qualitativo che comporterebbe tempo e costi
sociali››247
. L’argomentazione giuridica, secondo la teoria sistemico-
funzionale, va spiegata dunque mediante concetti, è intesa a statuto
funzionale e si basa essenzialmente sulla combinazione di una serie di
concetti contrapposti: operazione/osservazione, auto-osservazione/etero-
osservazione e infine controverso/incontroverso. L’argomentazione
giuridica è dunque una combinazione di due versanti di quella forma, è
un’operazione e ha a che fare con l’osservazione. Riguardo all’osservazione
apprezzabile è la diversa posizione del legislatore e del giudice nella
ricostruzione del pensiero luhmanniano. Il giudice è considerato da
Luhmann osservatore di secondo grado, mentre il legislatore osservatore di
primo grado poiché si muove osservando tutto ciò che gli deriva da altri
sistemi, tratta i materiali e in seguito li seleziona. Il giudice opera in un
secondo momento in conformità al materiale elaborato in precedenza dal
legislatore (per questo è definito osservatore di secondo grado). Le fasi del
suo lavoro possono essere riassunte nel seguente modo: osserva e seleziona
qual è l’articolo da trattare, distingue il materiale e infine designa (attività
svolte in ogni momento), procedimenti questi previsti nell’osservazione
stessa. Il giudice quindi non può modificare la legge, ma si limita ad
applicarla248
. Da tale analisi si evince che vi è un diverso approccio
all’argomentazione tra Aristotele e Luhmann. Mentre nel primo rilevante è il
247 Ivi, p.135. 248 Lezioni.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
90
sillogismo, nel secondo l’argomentazione si basa su concetti che definisce
pietre di paragone per le costruzioni giuridiche diventando oggetti di
comunicazione (es. illecito, responsabilità penale, non sono istruzioni per il
legislatore bensì pietre di paragone). Ovviamente, anche se
l’argomentazione luhmanniana non si fonda sulla combinazione di una
premessa maggiore, una premessa minore e una conclusione secondo i
criteri dell’argomentazione logica aristotelica, la logica per Luhmann è
importante perché ogni elemento può trovare la catalogazione in una delle
due alternative, quindi la logica ha bisogno di premesse come ad esempio il
dato A segue il dato B. Riprendendo l’illustrazione del concetto di
argomentazione in Luhmann, (argomentare significa scegliere e la scelta
deve essere motivata), si deduce che questa visione è chiaramente legata
all’attività giurisdizionale poiché il giudice è costituzionalmente obbligato a
motivare le proprie decisioni249
, a differenza invece del legislatore che non è
tenuto a dare nessuna motivazione alla legge da lui elaborata. Le decisioni
del giudice, infatti, devono essere motivate in modo adeguato, con
argomenti attinenti al caso concreto ed effettivi; il giudice inoltre deve
cercare, secondo le sue competenze, di spiegare quali sono le “buone
ragioni” su cui si fonda la decisione e queste, com’è giusto che sia, devono
essere “buone” non solo agli occhi del giudice ma anche a quelli che si
trovino a valutare ex post il fondamento. Infine per una completezza di
analisi, bisogna esaminare la diversa finalità delle decisioni giudiziali nel
sistema di civil law e nel sistema di common law250
. Nel primo i giudici
applicano la legge attraverso la sua corretta interpretazione, pronunciano
sentenze vincolanti tra le parti in causa con efficacia limitata sia dal punto di
vista soggettivo che oggettivo. I limiti soggettivi sono legati al fatto che la
sentenza non è valida nei confronti dei soggetti che sono rimasti estranei al
processo, dal punto di vista oggettivo invece la sentenza definisce solo
quella determinata lite e non altre. Nel secondo invece il diritto è creato
dallo stesso giudice mediante l’emanazione di sentenze. Negli ordinamenti
di common law, quindi, la sentenza crea il diritto, poiché la regola dettata
dal giudice in un caso concreto deve poi valere per tutte le successive
controversie aventi lo stesso ambito oggettivo (principio dello stare decisis
o del precedente giurisprudenziale), anche se con soggetti diversi. La
decisione del giudice quindi, assume per i giudici cui saranno sottoposti casi
analoghi, lo stesso valore di una norma generale e astratta. Nei paesi di
249 Costituzione italiana, articolo 111 comma 6 , “Tutti i provvedimenti giurisdizionali
devono essere motivati”. 250 V. VARANO – V. BARSOTTI, La tradizione giuridica occidentale, Torino, 2010.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
91
common law dunque il precedente giurisprudenziale è la principale fonte
normativa, mentre la legge, con le sue norme precostituite ed astratte ricopre
un ruolo eccezionale.
2. Metodologie argomentative nel diritto penale, ragionamento logico-
deduttivo aristotelico applicato alle controversie giudiziarie
«L’ermeneutica nel diritto penale è intesa come operazione mentale con
la quale si ricerca e si spiega il significato della legge»251
. Senza questo
processo di chiarificazione ovviamente non è possibile applicare la norma al
caso concreto, discorso questo generale e legato all’interpretazione in senso
tecnico. I metodi d’interpretazione sono sostanzialmente due: il metodo
logico-costruttivo e il metodo finalistico (il primo attribuisce alla lettera
della legge un valore preponderante in confronto alla ratio, il secondo, al
contrario, pur riconoscendo che la lettera della legge costituisce un limite
che l’interprete non può in nessun caso superare, attribuisce un peso
prevalente allo scopo della norma)252
. Tornando al tema centrale, in altre
parole all’argomentazione giuridica, bisogna chiedersi se possa esistere
un’argomentazione meramente tecnica nell’ambito penale. Ovviamente per
un’interpretazione globale e univoca il giurista, oltre ad avere una
conoscenza tecnica propria della sua formazione, deve avere anche quella
spirituale. La tecnica, infatti, è si necessaria per la comprensione, è da
supporto all’ermeneutica del testo per la comprensione della premessa
maggiore, ma non è sufficiente. Il sillogismo, nodo centrale della
speculazione logica aristotelica può essere applicato anche alle decisioni
giudiziali in quanto la premessa maggiore si identifica nella premessa
giudiziaria frutto dell’interpretazione normativa, la premessa minore nella
premessa fattuale consistente in un’opera di ricostruzione del fatto storico
compiuta dal giudice ed infine la conclusione che è data dalla sentenza
corrispondente alla norma con cui l’organo decisionale pone fine alla
controversia. L’argomentazione quindi, in questo contesto, è intesa come
fase del confronto o della contrapposizione e, ovviamente, la fase centrale e
fondante è la conclusione nella quale vengono stabiliti i risultati della
discussione. La controversia dunque si conclude, come si evince dall’analisi
precedente, con un atto meglio definito sentenza, del quale si può predicare
la validità, se il procedimento si è svolto in modo giusto, ma non la verità
assoluta. La conclusione giudiziale quindi è frutto della combinazione di
251 F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Milano, 2003, p. 88. 252 Ivi, p .91.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
92
premesse che a volte sono più complesse del semplice esempio di Kelsen:
tutti i ladri devono essere puniti, Schulze è un ladro quindi la conclusione è
che Schulze debba essere punito253
. Si riscontrano quindi problemi di
diversa natura nell’applicazione del sillogismo giudiziale dovuti alla
complessità degli elementi che, ad esempio, vanno a confluire nella
premessa minore o nella premessa maggiore perché non sono operazioni
meramente meccaniche o univoche. Sostanzialmente nella logica giuridica,
due ostacoli si frappongono a questo fine: la presenza di casi oggettivamente
difficoltosi e il fatto evidente che qualunque ragionamento rifletta
necessariamente un intervento interiore dell’anima, poiché la definizione
delle premesse non è oggetto di semplice rilevazione di dati esistenti siano
essi fatti o norme, ma è il risultato di un complicato ragionamento sulle fonti
del diritto e sulle fattispecie concrete, ragionamento che necessariamente
coinvolge la personalità del giudice. Per questo motivo è di rilevante e ovvia
importanza non solo il dato logico ma anche quello legato strettamente alla
personalità del giudice. Il sillogismo pertanto, può essere applicato per la
risoluzione di un processo dimostrando in tal caso che quest’ultimo ha una
logica, sebbene non sia la logica della verità, perché riferendosi alle norme e
ai doveri giuridici non si può parlare di verità bensì di validità e di esigenza
specifica nell’ordinamento. Il nucleo centrale del procedimento logico-
deduttivo (sillogismo giudiziario) dunque è la ricerca del giusto, il processo
penale svolgendosi nel tempo elemento questo di rilevante importanza, è
destinato a concludersi cercando di raggiungere il fine ultimo: la giustizia.
«La giustizia è una virtù reattiva e secondaria perché ha bisogno
dell’ineguaglianza eccitante per scatenarsi; è cosi che il reato mette in
movimento la macchina giudiziaria»254
espressione questa significativa e
attinente che ritroviamo nel pensiero di Jankélévitch. Si va dunque alla
ricerca del giusto, ma per Luhmann la giustizia non esiste perché non la si
può toccare, per lo stesso infatti i valori sono sempre contingenti, hanno a
che vedere con ciò che appare ovvero è giusto ciò che appare ciò che si
vede255
. Il diritto per Luhmann è un fatto, per questo ritiene che sussista
solo il piano della legalità e non quello della giustizia, infatti concepisce il
diritto come un sistema autopoietico, ossia un sistema autoreferenziale e
autonomo che resta normativamente chiuso. Rifacendosi al concetto di
autopoiesi elaborato nell’ambito della biologia, Luhmann definisce il diritto
come un sistema di comunicazione basato sul codice binario legale/illegale
253 H. KELSEN, Teoria generale delle norme, Torino, 1985. 254 L. AVITABILE , Il terzo giudice tra gratuità e funzione, Torino 1999, p.55. 255 Lezioni.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
93
e in grado di elaborare segnali provenienti dall’ambiente esterno nei termini
del proprio modello normativo autonomo restando immune da qualsiasi
influenza normativa esterna. Il sistema giuridico è dunque in grado di
elaborare elementi provenienti dai sistemi della morale, della politica e
dell’economia, selezionandoli nei termini del proprio codice legale/illegale e
in tal modo restando indipendente da essi. In conclusione il concetto di
giustizia in Luhmann diventa una serie di enunciati simili all’articolazione
logica dei numeri e nel sistema da lui concepito la sfera del legale è separata
dal giusto.
FEDERICA MORGILLO
1. Efficacia della forza nel diritto e le sue manifestazioni
La disputa sul rapporto tra diritto e forza è uno dei temi maggiormente
discussi e spinosi della riflessione filosofico-giuridica. Nella relazione giu-
ridica, ogni qualvolta si riconosce una decisione come diritto, riscontriamo
l’elemento della forza, necessaria per garantire l’effettività di pretese che
tale relazione di volta in volta impone, esprimendo il condizionamento che
qualcuno subisce contro la sua volontà. «Il diritto, quale fondamentale stru-
mento di convivenza tra gli uomini, si pone, per meglio raggiungere lo sco-
po, al di fuori e al di sopra degli stessi, al fine di potere, per un verso, indi-
care il corretto comportamento da assumere, e per altro verso, far passare la
condotta così prescritta come obbligatoria, come vincolante. È attraverso tali
imperativi che il diritto si propone di influenzare la volontà umana, di con-
dizionare, in un certo senso, le valutazioni degli individui spingendoli nella
direzione da esso stesso prescritta e voluta»256
. E sembra necessario aggiun-
gere che il concetto di forza di cui si parla, non fa riferimento solo alla forza
fisica, ma rinvia a un’idea di forza intesa come capacità di condizionamento
e in alcuni casi di impedimento, della libera autodeterminazione del sogget-
to. Tuttavia uno dei primi autori che evidenzia un fondamentale punto di
contatto tra la forza e il diritto è Kelsen, il quale pone l’accento sulle norme
sanzionatorie, considerandole primarie in quanto mettono in luce
l’organizzazione, la regolazione giuridica della forza dello Stato o
dell’ordinamento giuridico, e, sulla scia di tale considerazioni, afferma che
l’ordinamento è effettivo in quanto la sua normatività è sanzionata dalla for-
256 M. D’EPISCOPO- E. RUSSO, Forme della violenza, violenza della forma, Napoli, 2007, p
.330.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
94
za. Kelsen definisce il diritto come «la tecnica sociale che consiste
nell’ottenere la desiderata condotta sociale degli uomini mediante la minac-
cia di una misura coercitiva da applicare in caso di condotta contraria» 257
.
In Kelsen dunque, la coazione diventa l’oggetto specifico del diritto, il dirit-
to è razionalizzazione del potere coattivo, finendo con il considerare prima-
rie le norme giuridiche che attribuiscono agli organi supremi il potere coat-
tivo. In base al normativismo di Kelsen, che analizza il sistema giuridico
come ordinamento di norme, la cui validità è riconducibile a un’unica nor-
ma fondamentale, presupposta da un atto di volontà, che conferisce unità al-
la pluralità di norme poste ed esistenti nell’ordinamento, sarebbe proprio la
norma fondamentale, la Grundnorm, , quella che unicamente regola la san-
zione e che conferisce poteri coattivi necessari per il funzionamento
dell’ordinamento giuridico. La forza dunque, è elemento fondamentale del
fenomeno giuridico, in quanto è ad essa che il diritto si indirizza. «Kelsen
legge la forza come momento strutturale importante per la configurazione
del giuridico ed opera una vera e propria rivoluzione copernicana in merito,
che culmina e si chiarisce nell’affermazione che il diritto è organizzazione
della forza» 258
. Sembrerebbe, quindi, che la forza abbia bisogno del diritto
per regolamentarsi e di conseguenza, affinchè una norma possa definirsi
giuridica, deve regolare i comportamenti degli uomini, prescrivendo delle
sanzioni che è necessario attivare nei casi in cui essi trasgrediscano le regole
predisposte. Sul concetto di forza tuttavia, si è a lungo dibattuto. Tradizio-
nalmente la scienza giuridica assegna alla forza un ruolo strumentale, se-
condario rispetto al diritto: il diritto va attuato in primis dai consociati spon-
taneamente e, solo quando ciò non si verificasse, sarebbe necessario ricorre-
re all’elemento coercitivo della forza per ottenere il comportamento, lo stes-
so risultato richiesto dalla norma violata. Una impostazione simile è condi-
visa da Jhering, secondo cui «il diritto non è quanto di più elevato esista al
mondo, non è fine a se stesso, ma è soltanto un mezzo diretto a un fine, e il
suo fine ultimo è l’esistenza della società»259
. Jhering accoglie l’idea della
estraneità della forza rispetto all’ambito prettamente giuridico, pensando ad
essa come strumento necessario per l’attuazione del diritto, privilegiando il
momento sanzionatorio della norma giuridica. Sul versante del realismo giu-
ridico emergono autori come Alf Ross e Karl Olivecrona che, se in un primo
tempo si pongono parzialmente a sostegno delle teorie di Kelsen, relativa-
257 F. VIOLA- G. ZACCARIA, Le ragioni del diritto, Bologna, 2003, p. 25. 258 M. D’EPISCOPO- E. RUSSO, Forme della violenza, violenza della forma, Napoli, 2007,
p. 332. 259 R. V. JHERING, Lo scopo nel diritto, Torino, 1972, cap. VIII.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
95
mente all’influenza della forza sul diritto, poco più tardi se ne distaccano,
impostando una indagine di carattere introspettivo- psicologica: l’effettività
dei comportamenti ˗ dei giudici, nella prospettiva di Alf Ross ʻ e
l’obbedienza al diritto, troverebbero fondamento in ragioni morali e in un
sentimento di obbligatorietà dei consociati nei confronti delle istituzioni e
delle regole da esse poste, derivante dalla pressione psicologica esercitata
dalla macchina del diritto per mezzo della coercizione. In ogni caso il dirit-
to non sembra poter prescindere dall’elemento della forza, essa è pur sempre
strumentale alla organizzazione e alla sopravvivenza della società, in quanto
il diritto è strumento di controllo sociale. Tale concezione si rinviene in N.
Bobbio che adotta una visione più distaccata, sostenendo che le conclusioni
a cui i filosofi menzionati giungono sarebbero troppo condizionate da una
eccessiva dipendenza del diritto alla forza, e, per usare una sua espressione,
«il diritto è un insieme di norme ad efficacia rafforzata: pur non essendo
mera coercizione, regolamenta il potere coattivo, specificando non soltanto
le condizioni del suo esercizio e le autorità competenti ad applicarlo, ma
anche le procedure di accertamento della violazione e di esecuzione della
sanzione, nonché la natura della sanzione e la sua entità»260
. Operando inve-
ce una trasposizione del diritto sul piano della modernità, notiamo
l’emergere di nuove trasformazioni del diritto e di nuove dimensioni di ef-
fettività e di forza. Oggi sembra che la forza innervi le stesse norme di con-
dotta, le norme regolamentative della convivenza sociale, divenendo una in-
fluenza orientativa nella vita delle persone, influendo sulle stesse, restrin-
gendo la spontaneità delle scelte umane, manifestandosi quindi, più che nel
momento sanzionatorio, nel disciplinamento più o meno consensuale dei
comportamenti. In questa prospettiva emergono forme di influenza molte-
plici e differenziate. Nell’ epoca moderna , in una società oramai globalizza-
ta e post-complessa, l’indebolimento della sovranità dello Stato, inteso come
potere sovrano tra sovrani, dove si delineava una forma di potere che ricor-
reva sempre meno alla forza, sviluppando modelli di gestione che coinvol-
gevano i poteri dei consociati, apre la strada ad oggi a relazioni di potere a-
simmetriche, caratterizzate da diseguaglianze di posizione e di forza, e ad
una effettività basata sul calcolo della convenienza. Nascono così gruppi so-
ciali attivi di potere, che accentuano sempre di più uno spaccato sociale e
che, avanzando pretese, pongono il diritto al servizio di una tecnica giuridi-
ca. Si delinea così una forma contrattuale , che pone il diritto «al servizio di
poteri attivi, suggerendo forme di accordi, di arbitrati, di autoobligazioni, e
così via, dunque, un diritto come strumento tecnico nel senso più radicale
260 N. BOBBIO, Teoria dell’ordinamento giuridico, Torino, 1993, pp. 166-169.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
96
del termine»261
. La forza della forma contrattuale che viene assunta nelle
transazioni giuridiche si manifesta solo nella capacità di aggregarsi con altre
forze aventi interessi simili, per divenire a una condizione di maggior forza
contrattuale. Con il delinearsi di tali rapporti, si delineano così «sanzioni di
nuovo tipo, in una costellazione giuridica in cui si entra volontariamen-
te»262
, per ragioni di convenienza, in cui si valorizza la trattativa, rendendo
poco significativo l’uso manifesto della forza e della coercizione fisica, e il
rischio è quello di essere esclusi dai vantaggi economici e non, dell’accordo.
Tuttavia non è affatto tramontata la concezione della forza come «potere di
influire sulle vite delle persone al punto di schiacciarne l’esistenza, di pie-
garne la fisicità, di scatenarne la sofferenza» 263
, in quanto soltanto in parte
avviene nella forma esclusivamente fisica, repressiva e sanzionatoria.
2. Il concetto di giustizia nel diritto
Nel dibattito filosofico- giuridico, tuttavia, nonostante i vari tentativi, non
si riscontra una voce unanime riguardo la capacità di comprendere fino in
fondo il rapporto tra diritto e forza. Tali tentativi hanno messo tuttavia in
luce una duplice natura del diritto, un diritto certamente legato al concetto di
forza e di autorità, necessarie per instaurare un mondo sociale ordinato, in
cui vengono stabilizzate le aspettative dei singoli e siano individuate proce-
dure uniformi per conseguire tali obiettivi comuni, ma nello stesso tempo un
diritto che non può non presentare come morali le ragioni a cui le azioni
dell’uomo devono tendere e che giustificano l’esistenza del diritto stesso in
tutte le società umane. Tale considerazione non deve erroneamente portare
alla conclusione che diritto e morale siano necessariamente connessi, ma
che morali sono le ragioni per cui il diritto esiste. La principale di queste , è
senz’altro la giustizia. «Si presume e si pretende che l’ordine giuridico sia e
debba essere giusto»264
. Lo scopo del diritto è quello di coordinare le azioni
dell’uomo non in qualsiasi modo, ma nel modo della giustizia. Ciò che im-
porta per il diritto è che le singole azioni sociali siano giuste , il diritto mira
a far sì che il giusto si faccia in modo giusto. Per questo la giustizia va di-
stinta dalla giustezza che indica la conformità di un’azione alla sua regola
interna e di conseguenza, se da un lato vi possono essere azioni corrette ma
261 A. CATANIA, Forme della violenza , violenza della forma, Napoli, 2007, p. 17. 262 Ivi, p. 19. 263 Ivi, p. 20. 264 F. VIOLA- G. ZACCARIA, Le ragioni del diritto, BOLOGNA, 2003, p. 65.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
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ingiuste, la giustizia non può mai rinviare alla giustezza quindi alla mera
conformità ad una regola, in quanto essa è il fine dell’agire. «Ogni azione
deve essere ben fatta(giustezza) e deve essere bene che sia fatta(giustizia)
»265
. Il concetto di giustizia in primis, rinvia al concetto di alterità: essa ri-
guarda le relazioni che intratteniamo con l’altro, inteso nel senso di separato
ed estraneo da me, ma come me, ha diritto al riconoscimento. La giustizia
consiste nel vivere l’uno con l’altro, il cui compito principale è quello di or-
dinare l’uomo nei suoi rapporti con gli altri. Tommaso D’Aquino a tal pro-
posito, sosteneva Iustitia in communicatione consistit. In secondo luogo la
giustizia va rapportata al principio di uguaglianza che può essere considera-
ta la regola generale della stessa, ma spesso l’applicazione di tal principio
comporta una serie di difficoltà connesse ai criteri in base ai quali giustifica-
re un trattamento simile per gli eguali, e un trattamento diseguale per i di-
versi. C’è un problema di giustizia nella determinazione e nell’applicazione
stessa di tale regola, in base alla quale giustificare questo trattamento diffe-
rente, racchiuso nel principio di uguaglianza in senso formale. Bisogna con-
siderare innanzitutto, che «l’eguaglianza, prima di essere una regola, è un
valore, e un fine da raggiungere, perché di fatto gli uomini non sono egua-
li»266
. E allora appare giusto che tutti gli uomini abbiano una eguaglianza
nelle opportunità iniziali e nei punti di partenza, che può essere realizzata
attraverso interventi sociali a sostegno dei più deboli. Quando poi si richiede
non soltanto l’uguaglianza nei punti di partenza, ma anche quella finale, ne-
cessaria perché tutti conseguano i beni essenziali della vita, allora l’aspetto
sostanziale dell’eguaglianza è ancor più evidente. La giustizia riguarda en-
trambi gli aspetti dell’eguaglianza, sia quella formale che sostanziale, non
potendosi ridurre a una mera dimensione formale. In terzo luogo la giustizia
dell’azione va commisurata col criterio della ragionevolezza, l’azione quan-
do è compiuta, va giustificata, in base a ragioni valide per tutti, nei confronti
di coloro che sono coinvolti dalla stessa e dalle sue conseguenze. Potremmo
definire giusta un’azione quando sia accettata o disapprovata dagli altri che
ne sono toccati, quando sia rispettosa dell’altro, riconoscendogli ciò che gli
spetta alla luce di un’eguaglianza proporzionale, diventando in tal modo, ra-
gionevole. Inoltre si è ritenuto che la giustizia sia innanzitutto un sentimen-
to, che manchi di una qualsiasi base oggettiva, data l’impossibilità di una
condivisione universale dei suoi contenuti. Lo stesso Kelsen accoglie tale
concezione, definendo la giustizia un ideale irrazionale. Nella sua opera La
dottrina pura del diritto, dove tende di purificare il diritto da qualsiasi ele-
265 Ivi, p. 66. 266 Ivi, p. 68.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
98
mento empirico e concetto, quale la morale, la politica, la sociologia, la psi-
cologia, asservendolo dunque, ad una funzione tendenzialmente scientifica,
Kelsen ritiene che la giustizia sia un aspetto fondamentale dell’ordinamento
giuridico, che essa esprima un valore assoluto, il cui concetto non può de-
terminarsi dall’esame della dottrina pura del diritto, e nemmeno dalla cono-
scenza razionale. Egli definisce la giustizia come la dimensione morale del
diritto, e la rappresenta come un ordinamento superiore e diverso dal diritto
positivo che va al di là della realtà, incapace di essere afferrata concettual-
mente dall’uomo. Egli si rende conto tuttavia, di non aver fornito una rispo-
sta esaustiva, è per questo motivo che ritiene che definire la giustizia in sen-
so assoluto sarebbe pretenzioso, irrazionale e questo rimane a suo dire, un
sogno, e ciò è dimostrato dalla storia dello spirito umano che da millenni,
cerca inutilmente di risolvere tale problema. L’assoluto è al di là della ra-
gione umana, soltanto la religione o la metafisica possono fornirci questa
giustificazione, perché soltanto queste sono capaci di trascendere la realtà e
l’esperienza sensibile, cogliendone gli aspetti più autentici e fondamentali.
Coloro che non accettano una soluzione metafisica al problema della giusti-
zia e sperano di poterla ricavare in via scientifico-razionale si «illudono» so-
stiene Kelsen. Ed è per questo motivo che propone un concetto di giustizia
in senso relativo, l’unica possibile, cioè «quella sotto la cui tutela può pro-
sperare la scienza, e con la scienza, la verità e la sincerità. E’ la giustizia
della libertà, la giustizia della pace, la giustizia della democrazia, la giustizia
della tolleranza»267
. Le difficoltà che si incontrano nel tentativo di oggetti-
vizzare i criteri di giustizia, spiega l’evoluzione dell’idea di giustizia nelle
società umane, si passa da una dimensione privata come quella della vendet-
ta a quella pubblica della giustizia. Nei popoli primitivi il dovere di vendetta
era sacro e diveniva un vero e proprio rito, la cui omissione diventava più
grave dell’ingiustizia subita, e consisteva dunque, nell’opporsi e nel combat-
tere la violenza che distruggeva la possibilità della convivenza sociale. La
vendetta vede in ogni offesa questo male generale e per questo è spropor-
zionata nella reazione e finisce per opporre violenza a violenza, innescando
ritorsioni infinite. Nel passaggio dal carattere privato della vendetta a quello
pubblico della giustizia, vi è un diverso modo di intendere il dovere di giu-
stizia, affidando a soggetti pubblici l’incarico di punire l’offensore per la vi-
olazione del diritto, riparare l’offeso per il torto subito, restaurando il pacifi-
co rapporto di convivenza sociale. Questo nuovo tipo di intendere la giusti-
zia deve svolgersi, per raggiungere i fini appena citati, nel necessario con-
267 H. KELSEN, Che cos’è la giustizia? in Problemi sulla giustizia, a cura di A. Catania,
Salerno , 1997.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
99
traddittorio delle parti, alla presenza di un giudice terzo e imparziale. Men-
tre la giustizia è una difesa del singolo, la vendetta è funzionale al gruppo
sociale nel suo complesso, è una «selvaggia reazione contro il male
dell’ingiustizia» 268
. Bruno Romano sostiene che «chi avverte una lesione
del suo desiderio di giustizia può pervenire al convincimento di farsi giusti-
zia da solo»269
, che è quel che accade quando si mette in atto una vendetta.
Secondo Bruno Romano «la vendetta può essere veloce, non ha i tempi del
processo giuridico; è qualificata da una dimensione che rimane nel privato
delle intenzioni e degli atti di una persona o di un gruppo di persone. Non
avvia il confronto pubblico per la ricerca della giustizia nella legalità; non è
concepita come un bene comune, ma come un affare privato, disponibile da
un singolo o da un gruppo» 270
. La vendetta porterebbe a una rimozione del
dialogo, ed a un’affermazione del monologo, poiché la verità diventerebbe
in possesso di una persona o di un gruppo di persone e non si formerebbe
nella ricerca dei dialoganti. Essa imprigionerebbe l’Io nella possibilità di
interrogarsi sul futuro, ogni persona parlerebbe rimanendo chiusa
nell’autosufficienza del suo linguaggio, inaccessibile agli altri. Il dialogo in-
vece è tendenzialmente senza confini, ha una dimensione non privatizzante,
e consente alle persone che dialogano di esteriorizzare la propria interiorità,
riconoscendo anche quella dell’altro dialogante, senza perdere la propria.
Una relazione giusta, una legalità giusta ha una struttura ortonoma, e non
autonoma ed eteronoma. L’ortonomia per Bruno Romano, «è radicata nel
logos, che si svolge nella relazionalità del dialogo; non attiene alla presunta
autosufficienza dell’ Io o del Tu, ma alla loro condizione coesistenzia-
le…»271
, essa è una dimensione specifica dell’Io nel suo relazionarsi con il
Tu, nel rispetto del principio di eguaglianza, che alimenta il desiderio di
giustizia e la continua ricerca di senso. Emerge ancora in Romano, una dif-
ferenza tra la giustizia e legalità, prendendo atto che ogni sistema legale che
succede nel tempo, è frutto delle scelte e della responsabilità delle persone
che, in un dato momento storico, esercitano il potere legislativo. «La giusti-
zia non è confinabile negli enunciati del legislatore, e nella cronologia delle
epoche, come sapere parziale, necessita di essere definito nella forme defini-
te di una legalità»272
, ma non si esaurisce in un determinato sistema legale,
lo eccede, con l’inesauribile desiderio di giustizia. La giustizia non confina
268 F. VIOLA- G. ZACCARIA, Le ragioni del diritto, BOLOGNA, 2003, p. 71. 269 B.ROMANO, Forma del senso. Legalità e giustizia, TORINO, 2012, p. 171. 270 Ibidem. 271Ivi, p. 191. 272 Ivi, p. 20.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
100
nella legalità, ma si impegna nella ricerca del giusto nel legale. La legalità è
legittimata dalla giustizia; la giustizia non è prodotta dalla legalità, che può
essere lo strumento anche delle violenze esercitate sui diritti incondizionati
delle donne e degli uomini. Il diritto non si può fissare in un tempo, in un
determinato presente, in quanto riguarda l’Io che dialoga con il Tu in una
condizione temporale che non è solo quella di un presente, ma anche quella
di un impegno per il futuro. L’homo legalis dunque, è colui che con o senza
dialogo, istituisce una forma che potrebbe essere riempita di qualsiasi con-
tenuto, e non si preoccupa di trovare il senso. L’homo justus invece, è colui
che ricerca la giustizia in una legalità giusta, è colui che dialoga con il Tu,
nell’interminabile desiderio di giustizia, e nel rispetto del principio di ugua-
glianza. Per giungere al termine di questi dibattiti dunque, dall’esame com-
plessivo delle teorie incentrate sulla questione della giustizia nel diritto, ri-
sulta con chiarezza come Kelsen, nell’esame del suo sistema giuridico quale
ordinamento di norme a struttura piramidale, si sia soffermato sul problema
della validità e dell’efficacia delle norme sotto il profilo formale, trascuran-
do il problema della giustizia, considerandola un ideale irrazionale, non giu-
stificabile sul piano della scienza, sul quale invece, al contrario, Bruno Ro-
mano ha riposto la sua attenzione. Come si è avuto già modo di constatare,
per Kelsen è la norma fondamentale che conferisce validità ed unità alla
pluralità di norme esistenti nell’ordinamento, la cui validità è riconducibile
ad essa in modo autoreferenziale, secondo una coerenza logico-formale.
Bruno Romano sostiene che la norma fondamentale di Kelsen sia «una sorta
di motore immobile di ogni movimento normativo, una norma che non esige
alcun ulteriore fondamento. E’ la norma iniziante gli indizi di tutti gli altri
percorsi normativi. Non ha in quanto tale contenuti specifici, ma costituisce
un modello vuoto, che essendo il prodotto del fatto vincente, conferisce qua-
lificazione giuridica ad ogni direzione di un qualsiasi processo normativo
che presuppone e produce altre norme»273
. In questo modo si omette la con-
sapevolezza che «le norme non sono istituite da norme per servire altre
norme, nella loro funzionalità sistematica, ma sono istituite da uomini
nell’esercitare la qualità dialogica del relazionarsi»274
. Il diritto quindi, non
può essere ridotto ad un insieme di norme gerarchizzate e aventi qualsiasi
contenuto, come esplicitato da Kelsen, poiché la specificità della forma del
diritto deve essere in grado di garantire la reciprocità del riconoscimento tra
gli uomini. «Il diritto diviene la legge della forza del più forte se non rispetta
la genesi di quella forma in formazione delle condotte che nasce dall’attività
273 B. ROMANO, Due studi su forma e purezza del diritto, Torino, 2008, pp. 93-94. 274 Ivi, p. 94-95.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
101
relazionale di ricerca della forma immateriale del senso»275
. Pertanto,
l’essere imputabili di diritti universali e incondizionati non è «oggetto di una
coscienza pura, perché non si tratta di una forma logico-cognitiva, che
nell’essere già data, spegne il darsi originale dell’esistenza. Si tratta di una
forma in formazione secondo scelte che non consistono nell’eseguire la
forma della scelta, ma nel rischiare personalmente e nella storia i contenuti
di uno scegliere vissuto come scegliersi e solo in quanto tale giuridicamente
imputabile»276
. L’imputabilità è pertanto, riconducibile alle singole volontà,
non è oggetto di una conoscenza pura.
3. Libertà, imputabilità e responsabilità in diritto penale
Nel diritto penale l’imputabilità è una condizione personale del reo e
costituisce il presupposto per l’applicazione all’autore del fatto, della
pena. L’imputabilità sussiste quando il soggetto, al momento della
commissione del fatto, possieda sia la capacità di intendere, ossia rendersi
conto della realtà e delle sue azioni, sia la capacità di volere, intesa come
capacità di autodeterminarsi sulla base di dati presupposti percettivi. Esiste
quindi un legame tra imputabilità e capacità di autodeterminazione
dell’uomo, intesa come libertà di volere, come capacità di operare delle
scelte assolute e libere. L'imputabilità costituisce la prima condizione per
esprimere la disapprovazione soggettiva del fatto tipico ed antigiuridico
commesso dall'agente, e solo riguardo ad un soggetto dotato di capacità di
autodeterminazione può parlarsi di riprovevolezza o disapprovazione, in
quanto disapprovazione e rimprovero non avrebbero senso se rivolti a
soggetti del tutto privi della possibilità di agire. Se l’imputabilità trova
fondamento nel principio della libertà dell’uomo, ci si è domandato quale
sia il contenuto di tale libertà. Attualmente il paradigma che ha preso il
sopravvento è quello definito di relativo indeterminismo, secondo questo
orientamento ciò che rileva sono i processi psicologici di motivazione alla
condotta, indipendentemente da un giudizio di responsabilità eticamente
fondata sulla capacità di distinguere il bene dal male. L'imputabilità penale
deve essere intesa come «attitudine del soggetto a valutare il significato e gli
effetti della propria condotta, ad autodeterminarsi nella selezione dei
molteplici motivi»277. È questo l'orientamento suggerito dallo stesso codice
275 ID, Filosofia della forma. Relazioni e regole, Torino, 2010, p. 67. 276
ID, Due studi su forma e purezza del diritto, Torino, 2008, p. 75. 277 Cass. 11 febbraio 1982, in Riv. Pen., 1983, p. 338.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
102
Rocco per il quale, perché sussista la imputabilità morale, occorre la facoltà
di scelta. In tal senso il libero arbitrio inteso quale capacità di discernere, di
selezionare i motivi e di inibirsi, acquista un significato più vivo. Mentre
nella imputabilità la volontà è considerata al momento della possibilità,
nella effettiva responsabilità penale la volontà è considerata al momento
della sua attuazione. Per individuare la differenza tra imputabilità e
responsabilità occorre far riferimento al concetto di sanzione: la
responsabilità è la sanzione conseguente all’illecito commesso e la sua
funzione è quella di risarcire il danno o di riparare il torto recato ad altri.
Risulta chiaro che l'imputabilità sia il presupposto logico e giuridico della
responsabilità penale, e che l'espressione capacità di intendere e di volere
rappresenta il fondamento, sotto il profilo psicologico, della responsabilità
penale. Il principio di responsabilità ha come premessa la libertà dell’autore
del fatto delittuoso, di "volere" ciò che l'intelletto ha reputato doversi fare,
di comportarsi coerentemente con tale scelta, di optare per la condotta che
pare più ragionevole, e se non ci fosse tale principio non avrebbe senso la
sanzione, la riprovazione sociale, l’idea di colpa, il concetto di devianza,
quello di giustizia e di diritto. L’individuo è libero, quindi è responsabile e
deve rispondere dei propri atti, ne consegue la responsabilità morale e
ovviamente quella giuridica. Il principio della personalità della
responsabilità penale, sancito nell’articolo 27 della Costituzione italiana, va
inteso nel senso che «l’applicazione della pena presuppone l’attribuibilità
psicologica del singolo fatto di reato alla volontà antidoverosa del
soggetto»278. Il principio di colpevolezza è uno dei principi cardine del
nostro sistema penale, esso rappresenta il terzo elemento costitutivo
fondamentale del reato insieme alla antigiuridicità ed alla tipicità, ossia è
necessario che il soggetto, non solo abbia commesso con dolo o colpa il
fatto lesivo di un interesse protetto, e che la sua azione risulti non
giustificata da alcuna esimente, ma è necessario che tutto il comportamento
significhi una ribellione contro la forza imperativa della norma. E’ possibile
individuare un concetto dommatico unitario di colpevolezza, perché in ogni
caso l’agente agisce in modo diverso da come l’ordinamento voleva che
agisse, ed è in tale atteggiamento antidoveroso che si individua l’elemento
comune al dolo e alla colpa. Tale concezione è definibile normativa, che
tiene conto e dia rilevanza, non solo al dolo o alla colpa, ma anche alle
circostanze che accompagnano l’azione, ai motivi che spingono al reato e,
infine, all’imputabilità. A tale concezione si contrappone un’altra, definibile
psicologica, per la quale la colpevolezza, quale rapporto tra autore ed evento
278 G. FIANDACA-E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 1989, p. 268.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
103
criminoso, si risolve nell’elemento psicologico del reato, dolo o colpa,
presentandosi come due entità diverse, per la diversità della relazione
psichica tra l’agente e il fatto: nel dolo si vuole la conseguenza lesiva
dell’azione od omissione, nella colpa, no. Sul rapporto tra imputabilità e
colpevolezza la giurisprudenza è stata oscillante. In un primo tempo la Corte
Suprema ha affermato che l’imputabilità sia un presupposto della
colpevolezza, in quanto solo chi è capace di intendere e di volere può porre
in essere una condotta penalmente rilevante, in mancanza non si può
procedere al giudizio di colpevolezza. Successivamente la posizione della
Suprema Corte è andata nella direzione opposta, affermando che
l’imputabilità non è presupposto della colpevolezza, occorrendo accertare,
anche in caso di imputato infermo di mente, se il fatto commesso sia doloso,
colposo, o preterintenzionale, sempre riguardo allo stato di mente
dell’agente. Concludendo , il giudizio di imputabilità riguarda l’irrogazione
della pena, mentre la colpevolezza si riassume in due passaggi
fondamentali: l'attribuibilità del fatto-reato e la riprovazione che ne deriva,
la quale legittima la soggezione a pena. Infatti fra quelle azioni che, in
quanto coscienti e volontarie, sono attribuibili all'agente, potranno essergli
imputate solo quelle commesse in uno stato di capacità di intendere e di
volere, derivando quindi, la non punibilità del soggetto insano e non maturo,
in quanto non rimproverabile.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
104
SEZIONE V – DIRITTO TRIBUTARIO
ANTONIETTA COPPOLA
Analisi sull’interpretazione nella visione di Bruno Romano, Nicklas
Luhmann e nel diritto tributario
1. L’interpretazione del diritto
Nel diritto l’interpretazione è l’attività volta a chiarire e stabilire il
significato delle disposizioni, ossia degli enunciati nei quali si articola il
testo di una norma, in vista della loro applicazione nei casi concreti. L’opera
interpretativa è essenziale alla vita stessa della norma giuridica poiché essa
esiste attraverso la sua interpretazione, tuttavia occorre previamente
soffermarsi sul presupposto della interpretazione stessa, quale il fenomeno
del diritto. Il diritto può essere inteso come il complesso sistematico delle
norme giuridiche che regolano la vita dei membri di una collettività in un
determinato momento storico. Esso è un fenomeno umano che si estranea
dai sistemi biologici dei soggetti non umani la cui vita è basata sulla mera
esecuzione di un programma già dato, di un codice biologico.
I non umani sono soggetti esclusivamente a leggi trovate che derivano
dalla natura e non da leggi istituite, l’essere umano invece dotato della
libertà, del « libero arbitrio» , adotta delle condotte che sono vere e proprie
affermazioni di volontà che non dipendono da un mero istinto animale. Il
diritto istituito regola la coesistenza tra soggetti disciplinando eventuali
conflitti, in modo da non abbandonare le relazioni alla violenza della legge
del più forte, proprio come avviene nel mondo animale279
.
Secondo l’impostazione di Bruno Romano l’opera dell’interpretazione
non è data da una seria di automatismi, poiché vi è presente la personalità
dell’interprete, «nell’opera dell’interprete vi è il momento essenziale della
decisone, l’interpretazione non avviene a sua insaputa,non è un evento che
gli accade, così come invece si può dire per tutti gli eventi riferibili alle cose
e agli animali, dotati di conoscenza ma privi degli atti della coscienza», la
decisione è un atto della coscienza, è manifestazione di volontà non un fatto
biologico280
. Importante è soffermarsi su tre figure fondamentali del
279 Lezioni.
280 B. ROMANO, Nichilismo finanziario e nichilismo giuridico. Conoscenza e coscienza,
Torino, 2012, p. 82.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
105
fenomeno diritto, relativamente alla terzietà abbiamo il terzo-legislatore che
istituisce le norme; il terzo-giudice che le concretizza del giudizio e il terzo-
polizia. Una norma posta dal legislatore viene applicata a una situazione
concreta proprio attraverso l’interpretazione che si pone all’origine
dell’attività giudiziaria del terzo-giudice281
.
Tra l’attività del legislatore e quella del giudice vi è una differenza di
qualificazioni temporali, la prima è già avvenuta (nel passato), la seconda
riprende l’attività del legislatore, l’interprete retrocede ma allo stesso tempo
avanza poiché guarda al futuro attraverso una nuova formazione del senso.
In tal modo si ha una creazione di senso nel passaggio dalla generalità e
astrattezza delle norme, alla particolarità e concretezza del caso concreto
trattato e deciso dal giudice. Dalla conoscenza della norma il giurista passa
ad interpretarla con un atto di coscienza che è ricerca di senso e solo tramite
l’atto di coscienza riesce ad applicare la norma al caso concreto
oltrepassando la conoscenza e comprendendo la condotta umana,che nasce
da un’ipotesi maturata dal pensiero dell’io, con volontà e libertà282
.
L’interpretazione si costituisce quando la persona, impegnando la
formazione della sua personalità, rischia un’ipotesi, che non è una
ripetizione esecutiva di un programma,ma si annuncia come una creazione
ed un avanzare, esercitati nella simultaneità del retroagire di un io in dialogo
con un tu283
. Proprio perché la condotta umana è pensata e voluta con libertà
dall’io, quest’ultimo è imputabile e responsabile per la sua condotta. Le
cose,gli animali e le macchine non rischiano poiché non si fanno domande
sul senso, ma ‘funzionano’ secondo le loro specifiche modalità di essere,
non sono capaci di avviare delle ipotesi, comparate dai dialoganti nelle loro
relazioni comunicative, ambientate nel contesto polisenso delle parole. In
definitiva possiamo dire che appartiene all’opera dell’interprete il rischio di
un’ipotesi di senso, mentre alla conoscenza scientificamente acquisita e
verificata, non è riferibile alcun rischio e però neppure alcun senso
esistenziale.
Secondo l’impostazione di Nicklas Luhmann, l’interpretazione è la
preparazione di un’argomentazione dopo l’osservazione. Infatti in un primo
momento, il giurista si limita ad un’interpretazione fatta di lettura e
attribuzione di senso, per poi esternarla ad opera di un’argomentazione
preparata e comunicata in modo articolato e convincente, in modo da
281 Lezioni. 282 B. ROMANO, Nichilismo finanziario e nichilismo giuridico. Conoscenza e coscienza,
Torino, 2012, p.86 283 Ivi. p. 92.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
106
determinare che l’argomento supportato sia valido. L’interpretazione può
essere letterale o logica.
Si ha la prima quando alla lettura della norma si attribuisce a ogni parola
il significato preciso che scaturisce dalla presenza di quella parola in tale
contesto, giungendo alla comprensione letterale della norma giuridica. Si ha
invece, interpretazione logica con l’analisi della disposizione in base alla
ratio da cui tale norma è scaturita,guardando al risultato pratico della norma.
L’interpretazione si distingue anche in base a chi la compie
in:autentica,compiuta dal potere legislativo;giudiziale, posta in essere dal
giudice in un caso concreto; dottrinale, propria dei giuristi284
.
In conclusione l’interpretazione consente di addentrarsi e ragionare sul
testo, viene considerata da Luhmann come una lettura propria della realtà
ed è propria di chiunque285
. Per quanto riguarda l’informatica giuridica,
ossia l’informatica applicata al diritto, questa non è solo un mezzo a
disposizione degli operatori ma è un fenomeno che incide profondamente
nel diritto stesso. A differenza di quanto si potrebbe pensare l’informatica
giuridica non è la scienza che studia i problemi giuridici legati
all’informatica e le applicazioni informatiche per il diritto:in questo caso si
parla di diritto dell’informatica.
L’informatica giuridica invece può essere intesa come la disciplina che
utilizza i calcolatori elettronici nel campo del diritto, è l’informat izzazione
dei dati giuridici. I primi studiosi della materia hanno distinto tra
informatica giuridica documentale (o documentaria) e informatica giuridica
metadocumentale (o intelligenza artificiale nel diritto)286
,in particolare con il
termine intelligenza artificiale si intende l’abilità di un computer di svolgere
funzioni e ragionamenti tipici della mente umana.
Ritornando ai tre elementi principali dello stato di diritto quali il
legislatore,il giudice,la polizia ci si pone il quesito se essi possano essere
sostituiti da un’intelligenza che non sia umana e che sia quindi artificiale,la
risposta da dare a questo quesito è sicuramente negativa. Caratteristiche
essenziali di un’intelligenza artificiale sono la serialità e ripetitività, proprio
per questi caratteri essa non può sostituire il linguaggio del legislatore che è
un linguaggio interpretante.
Il legislatore si trova a lavorare con parametri interpretativi che devono
essere argomentati e trattati ogni volta in modo diverso; l’intelligenza
umana non può essere sostituita, per quanto riguarda il diritto,
284 Lezioni. 285 Lezioni. 286 http://it.wikipedia.org/wiki/informatica_giuridica
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
107
dall’intelligenza artificiale perché i caratteri interpretativi relativi alla
libertà, alla responsabilità, all’imputabilità variano di volta in volta in
relazione al caso concreto. In definitiva l’informatica giuridica è funzionale
soltanto per quanto riguarda l’archiviazione della documentazione e può
servire anche per quanto riguarda il collegamento veloce attraverso le
banche dati, attraverso le strade informatiche287
.
2. L’interpretazione delle leggi tributarie
Non esistono criteri interpretativi peculiari al diritto tributario, esso ha
bisogno continuamente di essere interpretato e di essere creato. Il diritto
tributario per la sua dimensione è in continuo confronto con altri settori
dell’ordinamento, nell’esigenza di assicurare la coerenza dell’ordinamento
laddove non esiste una nozione ad hoc per il diritto tributario,il tributarista
attinge a nozioni di altro settore dell’ordinamento. Si è sempre sostenuto in
passato che le norme tributarie siano norme eccezionali e che ad esse si
potrebbe applicare un canone interpretativo che è quello che ritroviamo
nell’articolo 14 delle Preleggi; Le norme tributarie, essendo norme
eccezionali al pari delle norme penali, non possono essere oggetto di
interpretazione di carattere analogico. Anche le norme tributarie si prestano
ad essere interpretate secondo i comuni canoni,i comuni criteri
dell’ermeneutica giuridica. Nel diritto tributario abbiamo anche dei criteri
che lo stesso legislatore affida all’interprete per interpretare le norme
tributarie. In questo settore l’interpretazione può essere fatta dal legislatore
dal giudice e dall’amministrazione finanziaria cioè dell’agenzia delle
entrate,quindi abbiamo anche interpretazioni della pubblica
amministrazione.
Il legislatore tributario è attento a fornire all’interprete dei canoni
interpretativi che troviamo in una legge generale dell’ordinamento tributario
che è la legge del 2000 n 212 meglio nota come lo Statuto dei diritti del
contribuente, l’art.1 autoqualifica le norme di questa legge a dettare principi
generali in attuazione di norme costituzionali, quale articolo 3, principio di
uguaglianza, articolo 53, principio di capacità contributiva e articolo 97,
principio di imparzialità dell’amministrazione. Nello statuto troviamo
nell’articolo 1 (secondo comma) la dispone che l’adozione di norme
interpretative in materia tributaria, può essere disposta soltanto in
circostanze straordinarie, la ratio di questa norma è che il legislatore
287 Lezioni.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
108
tributario è titolare del potere impositivo. Questo viene affermato dalla
giurisprudenza della Corte di Cassazione in una sentenza che è divenuta
storica nel panorama del diritto vivente, la suprema corte ha stigmatizzato il
ruolo bifronte della amministrazione che da una parte è titolare del potere
impositivo di accertare e riscuotere e dall’altra parte assume i panni del
legislatore spacciando delle norme d’interpretazione che hanno il solo scopo
di avvantaggiare l’amministrazione finanziaria (Cassazione. 2006. 25506
tributaria in materia fiscale gli interventi interpretativi sono sempre pro fisco
in quanto dettati da ragioni di cassa nell’intendo di realizzare maggiori
entrate,non sono ispirati all’esigenza di realizzare la certezza del diritto ma
soltanto attenti a uno degli interessi delle parti in causa)288
. Data la
complessità ed estensione della legislazione tributaria quando vengono
emanate nuove norme, queste si inseriscono con aggiunte, sostituzioni a
testi normativi preesistenti: l’interprete deve dunque mettere a confronto più
testi, per verificare quale sia quello finale.
CORTELLESSA DOMENICO
1. Trattazione di alcuni aspetti relativi all’interpretazione giuridica
Viviamo in una società fortemente caratterizzata, almeno per quella c.d.
occidentale, da quello che viene definito stato di diritto. Ma il nostro studio
non si può circoscrivere, relegare solo ed esclusivamente ad una sola parte
della società esso infatti, per una trattazione completa, obbligatoriamente
deve riguardare ed essere diretto all’intero genere umano poiché gli
argomenti che andrò a trattare non riguardano solo un certo numero di
individui ma l’individuo per così come noi lo caratterizziamo e lo
consideriamo a qualsiasi latitudine o longitudine. Vedete già in questa breve
introduzione io ho usato alcuni termini che , più avanti meritano di essere
trattati e più approfonditi poichè essi saranno proprio l’oggetto del presente
lavoro. Temi come il diritto, la società, l’organizzazione politica,territorio
sono argomenti che vanno trattati, argomentati nell’intento di dare una veste
di discussione e di conoscenza dello studio che fino ad ora ci ha impegnato,
come studenti, in un corso di laurea in giurisprudenza. In un corso di studio
relativo alla giurisprudenza risulta quanto mai indispensabile parlare sì
diritto dato che è proprio lo studio di questo e la sua applicazione alla vita
288 Giornata di studi del 30 ottobre 2013. Le interpretazioni del (nel) diritto. Intervento di
G.Cipolla
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
109
pratica quotidiana, nello scorrere del tempo con tutte le sue problematiche
nel suo evolversi e nel suo divenire ma non basta esso, infatti va inquadrato
totalmente nel suo essere come viene concepito e caratterizzato dagli
studiosi di esso che, nel tempo, hanno dedicato gran parte della loro
applicazione allo studio di questo ideale. Allora possiamo vedere, come per
il sociologo, filosofo tedesco, Niklas Luhmann esso è solo un sistema, il
sistema diritto in cui sono le norme e lo stretto collegamento fra di esse che
fanno funzionare il sistema. Ad ogni buon conto, partendo dagli elementi
acquisiti e se teniamo conto del brocardo latino “ Ubi societas ibi ius “
possiamo dire che il collante che tiene l’organizzazione sociale in equilibrio,
secondo una forza stabilizzatrice nel senso che tiene stabili, nella
contingenza la qualità dei rapporti fra gli individui è proprio il diritto. Una
forza immunitaria, secondo la teoria sistemico-funzionale, di N. Luhmann,
che tiene i sistemi in perfetto equilibrio fra di loro. Ma questo diritto come
viene declinato, chi lo ha istituito,è venuto per forza naturale o è stata una
scelta più o meno consapevole dell’uomo che, come essere sociale, nel suo
aggregarsi si è dato delle regole di vita comportamentali? E
l’argomentazione giuridica, l’interpretazione, l’ermeneutica cosa c’entrano?
Come si è detto, nel corso delle lezioni è un concetto molto vasto, se ne è
occupato, già nel passato, lo stesso Cicerone che vedeva questa non in una
formulazione esclusivamente tecnica.
2. Argomentazione giuridica e interpretazione
Argomentare significa supportare delle tesi, si motivano delle tesi per
arrivare a delle conclusioni sulla base di una premessa che noi definiamo
maggiore. Abbiamo quindi una premessa maggiore, una premessa minore e
delle conclusioni. Tra premessa maggiore, premessa minora e conclusioni
scorre un filo logico. Secondo una visione di Kelsen filosofo tedesco, sono
proprio questi presupposti per la realizzazione del così detto, stato di diritto.
Una legge fondamentale che costituisce la premessa maggiore,cui far
riferimento, in tutte le altre premesse, che noi definiamo , minori e le
conclusioni cui si arriva dopo un’attenta interpretazione della norma che noi
definiamo legge fondamentale, stato di diritto, carta costituzionale od altro.
Tutte le norme, cui il legislatore attiene, vanno limate,conformate alla norma
fondamentale. L’argomentazione muove il simbolo del diritto, ci dice se
esso è ancora valido , se è attuale, se risponde alle aspettative. Ma
l’argomentazione non può in alcun modo modificare il diritto, non ha questo
potere. Il potere di modificare il diritto ce l’ha solo il legislatore che opera
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
110
attraverso le procedure. Ma, attenzione,e qui sta l’azione ermeneutica del
legislatore nel senso che egli si fa carico di interpretare e quindi attraverso
un’azione di pura ermeneutica, delle istanze che emergono in quella precisa
contingenza e quindi andando più in là della mera lettura di un testo
tecnicamente interpretato, di una premessa maggiore , poiché se è vero che
una lettura tecnica è indispensabile per una comprensione sufficiente, non lo
è per una comprensione piena. Ermeneutica è un termine che deriva dalla
parola greca, ermeneuin, che significa conoscere. Il legislatore, che è anche
un osservatore, nella sua azione deve andare oltre nella sua attività
interpretativa e cercare di andare quanto più a fondo possibile, per far si che
la norma, che si accinge a predisporre si sposi perfettamente con lo spirito
della legge cui il testo è rimandato. Il legislatore o il padre costituzionalista
nelle previsioni normative fondamentali, ha tenuto conto della realtà
contingente,è andato alla ricerca del giusto, nel senso di prevedere norme
che fossero rispondenti alle esigenze della popolazione che egli
rappresentava, che si fondassero precipuamente su valori ineludibili, che
rientrassero nelle aspettative emergenti da una certa situazione, che fosse di
tipo ideologico, religioso,liberista ecc.. Una premessa maggiore su cui si
fonda un ordinamento giuridico che assume su di sé la responsabilità della
qualità relazionale tra gli individui. A questo punto è altresì necessario fare
un’altra considerazione, Per primo non dobbiamo confondere il termine
costituzionalismo con il termine statalismo visto che siamo abituati a
pensare che alla Costituzione sono interessati solo ed esclusivamente
individui stanziali su di un territorio, dimenticandoci degli apolidi o delle
popolazioni nomadi, Significa che questi non abitando un territorio sono
fuori dal diritto? Il diritto è una cosa nobile che investe ed afferisce tutte gli
individui nella loro integrità ed interezza indipendentemente da qualsiasi
condizione. Resta solo da vedere che quando diciamo che il legislatore è
sempre alla ricerca del giusto,in quale contesto egli si trova ad operare e qui
entra in ballo la legalità. Il frutto del legislatore, la norma, rappresenta la
legalità, ma non sempre questa si identifica con il giusto. E poi quello che
può essere giusto per l’uno , può non essere giusto per un altro. E’ giusta
una condanna a morte? E’ giusta la sciarìa?Se ad un certo momento, le
esigenze contingentali dovessero prevedere l’istituzione di una norma che
urta violentemente con alcuni valori, che noi definiamo essenziali,
ineludibili, quella norma si approva ed è tutto legale, legittimo.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
111
3. Ruolo del legislatore,ruolo del giudice
Il ruolo del legislatore, che noi abbiamo definito di primo livello ,
congiuntamente al ruolo del giudice, di secondo livello, si sostanziano dal
fatto, almeno per il primo, che essi sono degli osservatori. Al legislatore si
presentano fatti che emergono dalla contingenza, che è intesa come una
forma di palude stagnante, piatta, ma che all’occorrenza si trasforma in una
base da cui emergono delle aspettative, dette cognitive,e di cui si fa carico
per trasformarle in aspettative normative, cioè in norme. E, come
emergono? Da una forza. Tanto sono più forti tanto più si impongono
all’attenzione del legislatore, che non può fare a meno di provvedere
normativamente. Hobbes diceva dalla violenza, ma possiamo parlare di
violenza? Allora diciamo emerge per una sorte di selezione
naturale,quell’aspettativa che riesce a catalizzare di più l’attenzione del
legislatore che, ricordiamo è sempre alla ricerca di ciò che è più giusto per
risolvere il problema che gli si è presentato, nell’unico ed esclusivo
interesse per la popolazione che rappresenta. Il legislatore quindi si fa
interprete, interprete a due versanti, da un lato ha la Carta Costituzionale, sui
cui principi non si può derogare, dall’atro interpreta le istanze che gli
pervengono dalla contingenza. ma a questo punto resta da chiederci che
cos’è la contingenza o meglio come viene concepita da più correnti di
pensiero tra cui, quella fattuale che considera la contingenza come il
concorrere, caratterizzandola, dei fatti che accadono e che sono presenti nel
quotidiano. Quelli cioè, che appaiono, che si vedono ,che si possono
toccare. Quella fenomenologica che non si limita solo a vedere ma anche ad
osservare. C’è differenza tra il vedere e l’osservare, da ciò che appare e ciò
che non appare ma che egualmente c’è. E’ quello che non si vede, che non si
tocca ma se ne colgono egualmente i messaggi come flussi di senso. In
questi casi parliamo di doppia contingenza tra ciò che si vede e ciò che non
si vede ma che possiamo egualmente toccare con il tatto del nostro spirito.
In questa scuola di pensiero,che tra l’altro, io sposo pienamente, troviamo
anche la prof. ssa Luisa Avitabile che condivide il pensiero del filosofo prof.
Bruno Romano dell’Università della Sapienza di Roma. Dicevo mi trova
pienamente d’accordo in quanto io stesso sostengo che ciò che appare
davanti a noi, non è tutta la realtà, E’ come sue noi ci trovassimo di fronte ad
una grande scena teatrale, tutto ciò che si rappresenta non è proprio tutto,
ma esiste un’altra realtà a noi all’apparenza nascosta e sta a noi carpirla,
analizzarla,studiarla. E come? Attraverso la relazione, il dialogo. Ciascuno
si pone nei confronti dell’altro e, attraverso un flusso di senso,attività
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
112
dialogante, di sensazioni, di momenti che si colgono, si concretizza il
risultato e quello che si ottiene non è una norma fredda e sciatta, non è una
sentenza che è semplicemente il frutto di un calcolo matematico, ma è il
risultato di una combinazione tra lo stretto dettato e il condensato spirituale
della norma, che pure esprime passando attraverso l’io di chi è chiamato ad
interpretarla ed ad applicarla. Quindi Il giudice si fa interprete della
testualità giuridica nell’applicazione di questa nel caso concreto. Come si
vede tutti questi passaggi sono collegati da un filo logico. E questo
collegamento come avviene? Avviene attraverso la comunicazione. La
comunicazione in questione si concretizza attraverso i testi. La norma è un
testo,anche il legislatore è un testo,non la persona fisica, ma la testualità
giuridica che rappresenta. Ancora la sentenza è un testo che si completa
attraverso le motivazioni, la Carta fondamentale è un testo, qualsiasi atto
pubblico o privato è un testo ma che abbia rilevanza giuridica. Una semplice
lettera di auguri è si un testo ma, non avendo rilevanza giuridica, non è
presa in considerazione dall’ordinamento giuridico.
4. Terzietà, imparzialità,giustiziabilità
Nel nostro ordinamento giuridico, così come per altri sistemi giuridici
sviluppatesi in momenti temporali e spaziali diversi, ma con minimi comuni
denominatori uguali, condivisi e rappresentati da quei valori,
universalmente riconosciuti, che afferiscono la persona umana e che non
possono essere in alcun modo intaccati, messi in discussione. trova
collocazione il diritto. Per questo alto valore, che non è rappresentato solo
da norme scritte, va considerato il principio di terzietà ed imparzialità da
parte di chi è chiamato a legiferare in prima istanza ed giudicare in seconda
istanza, secondo il principio della separazione dei poteri di montesquieana
memoria. Terzietà si riferisce ad una persona che viene dopo una prima ed
un seconda e che, rispetto a queste è terza, equidistante tra di loro ma poste
su un medesimo piano. Abbiamo visto per questo il ruolo e la funzione che
investe il legislatore ma, una domanda: il legislatore è sempre terzo ed
imparziale? Non accade che dall’alto del suo potere finisce, a volte, a cedere
alle pressioni di tipo economico-finanziario ed alle pressioni che gli
pervengono da questo mondo in nome di una contingenza in cui i valori che
egli dovrebbe rappresentare,tutelare e difendere, vengono sacrificati
sull’altare di un potere economico finanziario che,per sua stessa natura, data
la globalalità del o dei sistemi, investe tutti gli individui che, non per loro
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
113
libera scelta, sono obbligati, più o meno consapevolmente, a compiere delle
scelte che essi credono autonome ma che, in effetti sono pilotate da queste
grandi forze prepotentemente invalse al non dialogo, in barba a quell’io che
è proprio di ognuno di noi e che proprio con la formula del dialogo, si
relaziona con gli altri sopra un piano di uguaglianza nella differenza. L’io
ipotizzante in tutto questo non trova spazio. La nostra scuola, che fa capo a
quella del filosofo, prof. Bruno Romano ed altri tra cui la prof.ssa Luisa
Avitabile è nettamente contraria a ciò, poichè le decisioni che vengono prese
risultano essere a vantaggio di pochi ed a svantaggio di molti. Che sia il
mondo della finanza, il mondo del consumismo il mondo dello status simbol
(Vedi oggi l’uso smodato del telefonino e tutte le sue varianti, non fai in
tempo ad aggiornarti con un modello che questo è già soppiantato da un
altro più bello, con altre caratteristiche che invogliano a comprare, ad
operare scelte indotte per stare al passo con i tempi). L’io, unità ipotizzante
di ciascuno di noi, non si è relazionato con altri io e nemmeno quello del
legislatore per cui la scelta di quest’ultimo risulta essere una scelta non
ponderata o ponderata male non essendo stata questa una scelta condivisa in
cui ciascuno avrebbe messo del suo. Tutto questo avviene secondo una
parvenza di giustizia in nome, e questa è la giustificazione,motivazione, di
più generali interessi diffusi. Per questo il nostro ordinamento, nell’intento
di dare garanzia del diritto a tutti, prevede anche la giustiziabilità delle
leggi. La Corte Costituzionale organo indipendente, a ciò deputato, che
opera svolgendo un ruolo ed una funzione garantista attraverso un’azione di
interpretazione, di ermeneutica. La Corte scava, penetra, vaglia, studia il
testo dall’alto della sua competenza oltremodo tecnica. I giudici
costituzionali sono professionisti capaci, preparati, sono giuristi che hanno
speso la loro vita per lo studio e l’applicazione del diritto. E qui sta la
tecnicalità dell’interprete del diritto che, congiuntamente alle sue
conoscenze ed alla sua formazione individuale, nella sua coscienza,del suo
io, tenuto conto di quella premessa maggiore, è chiamato a pronunciarsi. Ed
è così anche per il giudice interprete di secondo livello. Egli, allo stesso
modo è chiamato ad applicare il diritto ma non lo fa secondo la luhmanniana
maniera o secondo la teoria di Kelsen, altro filosofo tedesco, a questi molto
affine, egli diventa interprete di una norma che sta lì ma che gli serve come
base,come paradigma, ma da questa si eleva mettendo in discussione il
proprio io, unicamente inteso, non frazionabile, non frammentabile,non solo
funzionale come un contenitore vuoto che si lascia riempire di norme che
poi applica in maniera fredda e distaccata, ma disposto ad ascoltare l’altro,a
coglierne gli spunti più intimi e reconditi per giungere ad una decisione la
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
114
più giusta possibile e la più soddisfacente nel plurimo interesse delle parti
coinvolte. Egli è visto non come un ente biologico funzionale,topologico,
non attiene freddamente alla sua funzione, perché egli ha comunque una
funzione visto che alla fine è chiamato a pronunciarsi, a decidere, ma questo
lo fa mettendo in discussione il proprio io ipotizzante con altri io, comparsi
sulla scena del dibattimento. Il giudice svolge un’attività ermeneutica pura,
classicamente intesa, in cui nel relazionarsi con gli altri,vede il caso
concreto non da un puro fatto, fenomeno della contingenza, ma da un punto
di vista fenomenologico. In cosa consiste questa differenzazione lo abbiamo
già visto. Tutto questo non è previsto nella concezione del diritto, nel
pensiero, nell’analisi di Niklas Luhmann, filosofo, sociologo tedesco. che si
avvicina molto alla teoria pura del diritto (positivismo giuridico) di Kelsen.
Egli infatti vede il ruolo del giudice relegato alla sua funzione. Tutto è
funzione, tutto è funzionalizzato,i sistemi devono funzionare,nell’intricata
struttura organizzativa dello Stato e della società. L’individuo è una persona
topologica, svolge la sua funzione occupando un ruolo che magari non ha
scelto ma che comunque da esso non può distaccarsi. Ruolo e funzione
fanno parte di un grande sistema che è la società. La società complessa che
in ragione dei ruoli, funzionali e collegamenti strutturali, si regge e che, per
questi è resa meno complessa. Ciascuno è chiamato a svolgere la sua
funzione senza tanti come e perché; non gli è concesso di derogare perché,
se lo facesse, diventerebbe disfunzionale. Non esistono secondo questa
concezione, i tre gradi di giudizio, non se ne ravvisa la necessità in quanto è
tutto precalcolato. Questo non è condiviso, secondo il nostro modo di vedere
e di concepire il diritto in quanto l’io, unità ipotizzante non è, né può essere
precalcolato, egli si pone sullo stesso piano del tu con cui intraprende
un’attività dialogica il cui risultato sarà un testo giusto che, nella sua
applicazione successiva darà frutti indirizzati al giusto. Il giudice, così come
nella precedente visione, è semplicemente un funzionario applicatore di cui,
francamente, se ne potrebbe fare a meno,basta applicare la norma. Nel
nostro caso, secondo il nostro modo di concepire il diritto, non solo il
giudice, ma lo stesso vale anche per il legislatore, non è un freddo
calcolatore ma, esistendo tre gradi di giudizio, si è inteso, con questi, dare al
cittadino la massima garanzia di giustizia, del diritto, affidando a tre
specifiche valutazioni, il medesimo caso. In ultimo grado quindi la Suprema
Corte di Cassazione, attraverso la sua azione nomofilattica, decide e nel
decidere interpreta, se il caso concreto è stato deciso secondo giustizia e non
inficiato da elementi che attengono alla irragionevolezza,alla illogicità, nel
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
115
qual caso rinvia ad altro giudice non entrando essa, se non in rari casi, nel
merito delle questioni.
.
KATHARINE ANN ROLLO
Brevi riflessioni su Niklas Luhmann e Bruno Romano
1. Complessità e diritto
Nickas Luhmann argomenta di una riduzione a statuto sistemico
funzionale in cui l'uomo scompare invaso dal fondamentalismo
funzionale289
.
Per Luhmann far parlare la cosa stessa significa in realtà osservare il
sistema, di conseguenza far parlare al solo scopo descrittivo, il sistema
giuridico lungo la selezione delle complessità che si palesa nell'emersione di
funzioni, di equivalenti funzionali; 'far parlare la cosa stessa' equivale in
Luhmann porre in primo piano la rilevanza della Sache, laddove il termine
cosa indica la purezza di una programmazione epurata dal chi.
Nella riflessione sistemico-funzionale della società complessa il diritto si
trova ad essere una cosa tra le altre, trasformato secondo la declinazione
della «Sache in System»290
, in un complesso circolare di operazioni
funzionali, dove il funzionalismo è sinonimo di efficiency.
Ogni singolo sistema è interconnesso con la globalità degli altri sistemi
esercitando anche delle pulsioni su se stesso; ciascun sistema costituisce la
ratio di ogni altro sistema, perché funge «contemporaneamente da specchio
nel senso che ogni sistema si riflette specularmente nell'altro.
[…] ed anche da polo contrapposto»291
poiché possiede e si evolve
secondo caratteristiche che sono proprie e che si riferiscono agli altri sistemi
solo come procedura organizzativa complementare, ma non come funzione.
Bisogna operare una «osservazione bidirezionale»292
non univoca perché
osservando il sistema dall'interno, la visibilità dei meccanismi permette di
giustificare le reazioni esterne; osservando, inoltre, il sistema dall'esterno è
289 L'espressione è di B. ROMANO, Fondamentalismo funzionale e nichilismo giuridico,
Torino, 2004. 290A. AGIROFFI – L. AVITABILE, Responsabilità, Rischio, Diritto e Postmoderno, Torino,
2007, cit., p.232. 291Ivi, p.236. 292
ID, Responsabilità, Rischio, Diritto e Postmoderno, Torino, 2007, cit., p.237.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
116
possibile soffermarsi soprattutto sui meccanismi intercorrenti tra sistema ed
ambiente, dimensioni rilevanti e reciprocamente dipendenti. Luhmann
infatti definisce il sistema come «un modo ben determinato di risolvere il
problema dell'identità, ricorrendo ad una distinzione tra un dentro e un
fuori».
Il singolo sistema emerge con l'atto cognitivo «costituito
dall'osservazione messa in atto da un osservatore che osserva se stesso e
attiva una differenziazione emergente secondo un a procedura sistemica che
si ramifica in designazione e distinzione»293
.
Nel sistema-diritto la dinamica delle osservazioni è rappresentata dal
giudice, osservatore dei materiali gia osservati dal legislatore (osservatore di
primo grado); entrambi si assumono la responsabilità delle decisioni che
comportano un determinato numero di rischi considerato che vanno ad
incidere sul futuro.
Il tempo è, infatti, alla base della costruzione del sistema-diritto.
Luhmann affermando la standardizzazione del sistema pone al centro del
suo pensiero la funzione della società che si estende fino ad essere parte
dell'aspettativa, la quale rivela la questione temporale propria del senso delle
comunicazioni, e quindi elemento dell'aspetto temporale del diritto.
Da ciò discende che la funzione della funzione è la funzione, non l'uomo.
In conclusione quindi la peculiarità del diritto è che esso rende certa
l'aspettativa per evitare rischi, fungendo da sistema immunitario del
complesso dei sistemi sociali, trasformando in normative le aspettative
cognitive.
In questo contesto la «meccanizzazione della società»294
rimanda alla
centralizzazione dell'umanità, dove, oggi, «ognuno riceve comandi che
provengono da i non luoghi della finanza che alleva ed addestra ogni altra
entità umana attraverso l'introduzione a comportamenti che degenerano
nell'automatismo morale»295
. Gli spazi della finanza si sostituiscono
all'agorà, per antonomasia luogo di scambio comunicativo-relazionale. In
questa condizione la spiritualità dell'uomo rimane oscurata dietro
l'apparenza della corporeità e gli atti della coscienza diventano meri
fenomeni organici al servizio del corpo. In questa dimensione compare solo
il 'Sé'296
che mai accede alla questione del senso intraprendendo così la
293A. AGIROFFI – L. AVITABILE, Responsabilità, Rischio, Diritto e Postmoderno, cit., p. 236. 294 Cfr. F. NIETZSCHE, Umano troppo umano, Torino, 2006. 295
B. ROMANO, Nichilismo finanziario e nichilismo giuridico. Conoscenza e coscienza,
Torino, 2012, p.10. 296F. NIETZSCHE, Così parlò Zarathustra, Milano, 1993, p. 25.
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
117
strada del nichilismo giuridico, perché non accetta mai che l'uomo abbia a
che fare con il linguaggio e lo declina in una funzione. Nel contesto del
nichilismo finanziario l'uomo si profila come un post-uomo/consumatore. Si
assiste così alla trasformazione del mondo umano in un mercato
globalizzato, che registra il potere della finanza, prototipo di super-uomo297
,
ove «la persona è consumata come una funzione come un elemento
depersonalizzato dalla complessa architettura tecno-finanziaria»298
L’analisi rivela una contraddizione interna al pensiero luhmanniano
sopratutto per il sistema-diritto interpretato come sistema sociale
autopoietico299
. In tale contesto, diviene centrale il senso della critica di
Romano alla qualificazione del diritto come sistema autopoietico, per la
ragione che, con i tratti in cui si presenta, essa reagisce ad un configurazione
del diritto che annienta la natura dell’uomo stesso. Secondo Romano,
Luhmann «restringe la discussione sull’esser – soggetto, fin dal suo
presentarsi, in quella dell’aver-competenza, ovvero del funzionamento delle
differenziazioni, cancellando la questione della soggettività in quanto
disassoggettamento formazione di un’ipotesi di mondo in una creazione di
senso»300
. «La storia delle istituzioni giuridiche non si confonde con
l’evoluzione dei sistemi biologici, perché non attiene alle fasi impersonali
dei processi vitali, ma riguarda la formazione senso di un’epoca»301
– si
dirige inarrestabile verso la negazione della possibilità stessa di declinare il
diritto secondo le leggi della biologia. A differenza di quanto implicato dalla
visione sistemica di Luhmann, dunque, l’uomo non può essere considerato
come mera informazione sistemica. È a questa strada che si rivolge l’invito
di Romano al giurista di accogliere le riflessioni di una filosofia della forma,
idonea a superare il 'formalismo giuridico'302
L’uomo, infatti, della regola
297ID., La volontà di potenza, Milano, 2006. 298B. ROMANO, Nichilismo finanziario e nichilismo giuridico. Conoscenza e
coscienza,Torino, 2012, cit., p.1. 299http://it.wikipedia.org/wiki/Autopoiesi, «un sistema autopoietico è un sistema che
ridefinisce continuamente se stesso ed al proprio interno si sostiene e si riproduce. Un
sistema autopoietico può quindi essere rappresentato come una rete di processi di creazione,
trasformazione e distruzione di componenti che, interagendo fra loro, sostengono e
rigenerano in continuazione lo stesso sistema. Inoltre il sistema si autodefinisce, di fatto,
ovvero il dominio di esistenza di un sistema autopoietico coincide con il dominio
topologico delle sue componenti». 300B. ROMANO, Filosofia e diritto dopo Luhmann, Roma, 1996, p. 84. 301ID., Sistemi biologici e giustizia. Vita animus anima, Torino, 2009, cit., p. 42. 302B. ROMANO Filosofia della forma. Relazioni e regole, Torino, 2010, p.203 « Le due
direzioni del formalismo, quello giuridico (norme non misurate dall'io, forma già formata e
forma in formazione) e quello finanziario (operazioni non misurate dall'economia reale,
QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO
118
«non ne ha una disponibilità integrale, non la conosce come già data, ma ne
rischia la formulazione nella ricerca della verità intesa come qualità della
relazione – inter – personale, che si svolge nel domandare e nel rispondere,
pronunciando parole che ricevono una interpretazione ed avviano significati
rivolti alla formazione del futuro scelto nella comunicazione»303
. Le sfide
che la complessità pone al diritto, dunque, nella prospettiva di Romano, non
possono essere risolte nel senso della costruzione di un sistema giuridico
biologicamente orientato. Al contrario, il diritto si trova radicato nelle
operazioni dell’uomo e della sua dimensione oltre che biologica, anche
costituita dall’io, dal se stesso. Perché, «l’uomo si presenta con una
responsabilità che lo rende giuridicamente imputabile nell’essere, sia pure
nell’ordine della finitudine, la libera causa della sua identità esistenziale,
ricercata dialogicamente nella personale creazione di senso»304
.
nascente dal lavoro), entrano nel mondo mediante l'esercizio del linguaggio degli uomini;
circolano e si concretizzano come contenuti della comunicazione interpersonale. Ogni
forma dell'opera comunicativa è creata da un singolo io per essere destinata
all'interpretazione dell'io di altri singoli. Si conferma che anche io formalismo giuridico ed
il formalismo finanziario operano, certo negativamente, nella pluralità essenziale dei singoli
autori della parola: si possono concretizzare solo mediante un linguaggio dialogico». 303 B. ROMANO, Sistemi biologici e giustizia. Vita animus anima., cit., p.143. 304Ivi, p.46.