Quello strano bambino di Cristiana Pivari

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Mi chiamo Edoardo, ho nove anni. Mi piacciono gli elicotteri e anche giocare a calcio, anche se la mia mamma vorrebbe che diventassi un golfista di successo. Avevo una vita normale in una famiglia abbastanza normale finché non è arrivato Davide, uno strano bambino dai pantaloni di velluto, che è diventato subito mio amico, ma mi ha dato anche tanto da pensare perché si era perso e non riusciva più a trovare la strada di casa. Grazie a un lavoro di squadra ce l’abbiamo fatta a farlo tornare a casa sua e ora mi spiace un po’ che se ne sia andato, anche se è giusto così perché non poteva mica rimanere con me per sempre. È una faccenda un po’ magica che parla di libri e di strani foglietti, ma non posso dire altro altrimenti vi rovino la sorpresa. Un’ultima cosa: chiudete il libro dopo che l’avrete letto perché non si sa mai…

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L’Autrice ha inteso donare i proventi

a lei dovuti per questo libro a favore di:

A.I.P.D. Onlus Associazione Italiana Persone Down

http://www.aipd.it/cms/index.php

per promuovere progetti e iniziative rivolte ai

bambini e ragazzi affetti dalla sindrome di Down.

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CRISTIANA PIVARI

Quello strano bambino dai pantaloni di velluto

Romanzo per ragazzi

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Copyright © 2010 CIESSE Edizioni Design di copertina © 2010 Adriano Frisanco

Illustrazioni di Anita Postal

Quello strano bambino dai pantaloni di velluto di Cristiana Pivari

Tutti i diritti sono riservati. È vietata ogni riproduzione, anche parziale. Le richieste per la pubblicazione e/o l’utilizzo della presente opera o di parte di essa, in un contesto che non sia la sola lettura privata, devono essere inviate a: CIESSE Edizioni Servizi editoriali Via Conselvana 151/E 35020 Maserà di Padova (PD) Telefono 049 7897910/8862964 | Fax 049 2108830 E-Mail [email protected] P.E.C. [email protected] ISBN eBook 9788897277316 Collana RAINBOW http://www.ciessedizioni.it NOTE DELL’EDITORE Il presente romanzo è opera di pura fantasia. Ogni riferimento a nomi di persona, luoghi, avvenimenti, indirizzi e-mail, siti web, numeri telefonici, fatti storici, siano essi realmente esistiti o esistenti, è da considerarsi puramente casuale e involontario. Quest’opera è stata pubblicata dalla CIESSE Edizioni senza richiedere alcun contributo economico all’Autore.

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BIOGRAFIA DELL’AUTRICE Cristiana Pivari è nata a Trento dove vive e lavora. Ha vinto qualche premio letterario, è stata finalista in molti altri e i suoi racconti appaiono in diverse antologie. Dopo aver fatto l’attrice per dieci anni ora scrive anche per il teatro e nel 2008 un suo lavoro è stato messo in scena e un altro è stato segnalato in un concorso per testi teatrali. Collabora con alcune riviste femminili e continua a lavorare in un archivio. BIBLIOGRAFIA 2007 – In prima persona singolare (raccolta di racconti vincitrice del premio Elsa Morante per inediti)- Il Filo 2009 – Lo strano ospite – testo teatrale – Collana Teatro trentino 2010 – Crisalide rosa – Absolutely free edizioni Racconti pubblicati in 2006 – I cortili dell’anima – Kairos edizioni 2008 – Lontano dal cuore – Terre di mezzo editore 2009 – Letteraria 2008 – Ferrara edizioni 2009 – Pink Noir delitti per signora – editrice Zona 2009 – C’era una volta – Edizioni Estroverso 2009 – Una piazza, un racconto – Iuppiter edizioni 2009 – Al di là di spazio e tempo – Editrice Veneta 2010 – I sei migliori colpi ’10 – Edizioni Cartacanta Cataloghi di mostre fotografiche 2010 – Dalla vite in poi – Editrice Temi

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Capitano incidenti anche nelle migliori famiglie. (Charles Dickens)

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Uno

Mi chiamo Edoardo, ho nove anni e mi piace giocare a calcio, ma da grande farò il pilota, di elicotteri però, perché gli aerei volano altissimi e non ti fanno osservare bene tutto quello che c'è sotto.

Con l'elicottero, invece, ti sembra quasi di vedere le persone nelle case, l’ho scoperto il giorno che il mio papà mi ci ha portato ed è stata un’esperienza bellissima.

Il mio papà non è un pilota, ma ha un amico che lo è e quindi, quando sarò grande, quell’amico mi farà da maestro così poi porterò Davide a fare dei giretti fantastici.

Un'altra cosa che mi piace fare è leggere la sera quando sono a letto, visto che la mamma non vuole che usi il computer troppo spesso e la tivù la guardo poco perché lei dice che alla sera non trasmettono dei programmi adatti ai bambini

Finora ho letto almeno cinquanta libri e non sono pochi, dal momento che so leggere da appena tre anni.

Vi dico come sono fatto così vi fate un'idea: alto come i bambini della mia età, un metro e qualche cosa, capelli rossi come la mamma e gli occhi azzurri come papà. A scuola sono abbastanza bravo e quando ci tornerò andrò in quinta elementare. Ora ci sono le vacanze estive e in luglio sono stato in Sardegna al mare, per tutto il mese, con il papà e la mamma.

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Il mio papà si chiama Enrico è ingegnere e progetta ponti e strade, la mia mamma si chiama Clelia sta in casa e qualche volta suona il piano ed è bravina, direi, sicuramente più di me che lo studio da un anno appena e non è che mi piaccia tantissimo, ma l' ha voluto lei che quando si mette in testa una cosa è tremenda e in quei momenti mi viene da chiamarla Laclelia, così tutto attaccato, che ha un po' il suono di una cosa fastidiosa.

«Edoardo dove ti sei cacciato?», ecco appunto Laclelia che mi chiama dalla cucina e pensa sempre che mi stia mettendo in qualche guaio, altrimenti mi direbbe semplicemente dove sei. Cacciato, che modo di parlare!

«Sono qua, mamma», rispondo quasi subito, ma lei non è ancora contenta e continua:

«Qua dove?».

Neanche avessimo una reggia, ma forse lo fa per abitudine in quanto, quando lei era piccola, abitava in una casa grandissima visto che i miei nonni sono molto ricchi e hanno anche una chiesetta in fondo al parco della loro casa.

«Qua in salotto, mamma», preciso.

E lei: «Cosa ci fai in salotto?».

Adesso cosa le dico? Che sto giocando con Davide o faccio finta di niente e le dico che sono qua che leggo? Se le parlo di Davide, lei s'arrabbia di sicuro e dice che Davide non esiste e ha fatto di tutto per farlo sparire, ma Davide è il mio amico del cuore da due mesi e io non voglio che vada via.

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«Sto leggendo quel libro che mi ha portato papà».

«Ancora di elicotteri eh?». Oh, non è mai contenta e allora tanto vale che le dica la verità, così si abitua una volta per tutte.

«Sto giocando con Davide», ed eccola che piomba in salotto, ma Davide è più veloce di lei e sparisce giusto in tempo.

«Ancora con questo Davide, Edoardo», mi dice, sedendosi sul tappeto vicino a me e alle squadre di soldatini che stavano per dar inizio a una bella battaglia, prima che venisse lei, naturalmente.

«Ora sei grande», continua poi accarezzandomi i capelli, «non puoi insistere con questa storia dell’amico immaginario».

«Ma non è immaginario mamma», rispondo e mi viene da piangere dalla rabbia poiché sarà la centesima volta che glielo dico, «ha gli occhi azzurri e i capelli biondi un po' lunghi e ricci. Si veste strano, ma è il mio migliore amico e se tu non lo vedi è perché lui non vuole farsi vedere da te, ma questo non vuol dire che non esista».

«E perché non vuole farsi vedere da me?», chiede e sembra calma, anche se mi ha fatto cento volte questa domanda.

«È una cosa fra noi, voi grandi non dovete entrarci».

E questa è la mia centesima risposta sempre uguale. Certo che i grandi sono un po' duri di testa, quando non vogliono capire, non capiscono e basta.

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«Va bene, ma ora, visto che è sparito e non giocate più, possiamo andare al circolo del golf per iscriverti al primo corso».

«Che colpo basso, mamma. Da te non me l'aspettavo», sussurro sottovoce, ma la mia mamma è fatta così: si fissa sulle cose.

«Sono piccolo per giocare a golf», provo a dirle.

«Non dire sciocchezze, guarda che Tiger Woods ha iniziato quand'era molto più piccolo di te».

«Non so chi sia questo tipo, io non ci voglio andare e basta, hai capito? Io non ci vado», e per essere più convincente do un calcio al tavolino del salotto, facendo cadere tutti e due gli eserciti con la conseguenza che mi rimedio uno scappellotto sulla nuca da parte di mia madre che non sospetta minimamente che mi sono già punito da solo, con una bella ammaccata al pollicione.

«Alluce, si chiama alluce», correggerebbe lei, se mi potesse leggere nel pensiero, non sapendo che io li so tutti i nomi delle dita dei piedi, perché me li ha insegnati Davide. Allora: alluce che è il pollice, poi illice, trillice, pondolo e mellino.

La mamma ha voluto che mi chiamassi Edoardo, come il bisnonno, perché ha detto che nella nostra famiglia si usa così e poi è anche un nome da principe e visto che, secondo lei, siamo una famiglia per bene è giusto che io pratichi uno sport "all'altezza della nostra posizione sociale"e le è venuta 'sta fissa del golf che fa tanto nobile, sempre secondo lei.

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Sì, perché è mezza contessa in quanto mio nonno è figlio di un conte e di una bisnonna che non era contessa e così non è che sia proprio una contessa al cento per cento, ma è come se lo fosse e lo dice sempre a tutti che ora lo sa anche la mia maestra che, quando parla di principi e re, mi guarda e sorride.

Devo assolutamente prendere tempo, almeno fino a stasera quando arriva papà che, magari, la convince dato che lui è uno di quelli che fa la voce calma e ti dice le cose con dolcezza e convince sempre tutti. Lo dice anche la mamma.

«Mamma, non adesso. Devo finire i compiti delle vacanze visto che fra poche settimane inizia la scuola. Non vorrai mica che faccia brutta figura», tento con la scuola che funziona sempre e infatti Laclelia si alza e mi dice:

«Ci andremo domani, allora. Fai i tuoi compiti, ma prima raccogli i soldatini dal tappeto».

Pfui, è andata. Ora vado in camera mia con Davide che dobbiamo parlare di un sacco di cose anche perché io i compiti delle vacanze li ho finiti da una vita.

È la seconda bugia che le dico, lo so che non si deve, ma sono costretto dalle circostanze.

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Due

«Mia madre insiste con la storia del golf, ma io non ci voglio andare».

Davide e io siamo seduti sul letto uno di fronte all'altro: lui è appoggiato alla spalliera e io sono in fondo con le gambe incrociate come gli indiani.

«Puoi provare, poi se non ti piace lasci tutto», dice Davide mentre gioca con un ricciolo dei suoi capelli.

Lui è l'amico giudizioso, quello che ti dà sempre buoni consigli. Ha la mia età, ma sembra più grande di me quando pensa e poi sa sempre tutto e scommetto che sa anche chi è quel tipo che nomina sempre mia madre.

«Tu sai chi è Tiger Woods?», chiedo sapendo già che me lo dirà e se fosse un altro bambino e non Davide, mi starebbe anche antipatico, così saputello, ma è Davide e quindi...

«È un giocatore bravissimo che ha iniziato a giocare a otto anni dopo aver seguito suo padre sui campi da golf da quando era piccolissimo», risponde pronto.

Una volta gli ho anche chiesto come fa a sapere tutto e lui mi ha risposto:

«Non ne ho idea, lo so e basta».

È molto comodo avere un amico così, in quanto s'imparano un sacco di cose e non c'è nemmeno bisogno di andare in internet, che poi Laclelia non me lo fa usare quasi mai, con lui basta chiedere e così mi potrà dare una mano anche a scuola.

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Io non gli voglio bene per la sua intelligenza, però, ma perché è un bambino buono, anche se spesso è triste e non me ne ha ancora detto il motivo anche se gliel' ho chiesto un sacco di volte.

La prima volta che l' ho incontrato era appena finita la scuola e io stavo gironzolando nel giardino dei nonni, quelli che hanno la chiesetta nel parco. Il papà doveva lavorare e la mamma aveva qualcosa da fare e mi avevano scaricato lì.

Quel giorno, dopo colazione, ero uscito in giardino dopo aver ascoltato le raccomandazioni della nonna, ma non avevo neanche un gioco con me e a un certo punto mi sono seduto sotto un albero qualsiasi e mi sono messo a pensare.

Pensavo che mi sarebbe piaciuto avere un fratello, anche una sorella se bisogna proprio, che così avrei potuto giocare con loro o anche litigarci. In fondo mi basterebbe poter parlare con qualcuno che sia alla mia altezza e che abbia i miei problemi perché sono sempre in mezzo ai grandi e loro tante cose le hanno già passate da un pezzo e non si ricordano bene come hanno risolto i loro problemi e allora vanno in ansia e, quando non ne possono più, ti portano dallo psicologo.

Pensavo a tutte queste cose quando, a un certo punto, ho sentito una voce che diceva:

«Ti sei seduto su di un formicaio».

Figurarsi io. Ho fatto un salto che non vi dico e la voce adesso rideva, ma non vedevo nessuno.

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La prima cosa che ho pensato è stata: «Non dico niente alla mamma, altrimenti mi porta subito dallo psicologo», ma per fortuna, in quel momento, l’ho visto: un bambino della mia età con dei buffi pantaloni di velluto rosso fermati al ginocchio, una camicetta bianca con pizzi, calzettoni bianchi e scarpe da bambina. Anzi, a dire la verità, sulle prime mi era sembrato proprio una bambina, per via dei riccioli biondi lunghi, ma la voce era quella di un maschio e poi mi aveva dato la mano dicendo: «Sono Davide, vuoi essere mio amico?».

Lì per lì, la faccenda mi era sembrata un pochino strana visto che non era carnevale e quel bambino sembrava in maschera, infatti lui, che ha fatto capire subito che era intelligente, mi ha detto: «Non ho neanche un paio di jeans, mi dispiace. È l'unico abbigliamento che possiedo, ti prego di non prendermi in giro».

Uno che ti dice così ti è simpatico per forza e allora gli ho detto che non importava com'era vestito e che io ero Edoardo.

Abbiamo iniziato a parlare e gli ho anche chiesto se voleva che gli prestassi dei jeans, ma non ha voluto e mi ha raccontato che per lui era importante avere un amico e che non ne aveva mai avuti perché i suoi genitori lo tenevano sempre rinchiuso in casa.

A dirla tutta, all'inizio, ho pensato che fosse un po' matto e per forza i genitori lo tenevano rinchiuso, ma poi per qualcosa che non so spiegare mi sono fidato di lui e ora siamo amici inseparabili da due mesi e il

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bello è che lui sa sempre dove trovarmi e arriva con una specie di teletrasporto.

«Mi spieghi cosa stai facendo seduto in fondo al letto a guardare il muro?». La mia mamma è arrivata in punta di piede, senza nemmeno bussare e per fortuna che Davide ha buone orecchie, così è sparito giusto in tempo.

«Meditazione, mamma, la maestra ha detto che fra un compito e l'altro bisogna fermarsi a meditare». Come mi vengono? Che saranno pure bugie, ma sono delle gran belle bugie.

«Edoardo non prendermi in giro», dice Laclelia, «piuttosto vestiti che devo andare in città per una commissione e, visto che ci siamo, ti compero quello che ti serve per la scuola.»

La mia mamma, in fondo non è male. Se le beve tutte e non sta lì tanto a indagare.

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Tre

Mio padre Enrico, l'ingegnere, appare all'ora di cena e io penso che sia meglio sbrigare subito 'sta faccenda del golf.

«Papà io non ci voglio andare alla scuola di golf, semmai vado alla scuola di calcio, se proprio devo andare a scuola anche per fare uno sport», dico appena ci sediamo a tavola.

«Che succede famiglia? Cos'è questa storia del golf?», chiede lui.

«La mamma vuole iscrivermi al golf, ma io preferisco il calcio», ripeto paziente.

«Che c'è di male?», ribatte mio padre.

«Che c'è di male?» chiede Laclelia che in certi momenti è proprio insopportabile e questo è uno di quelli, «non ti mettere anche tu. Il calcio...non esiste uno sport più volgare. Ventidue uomini che corrono dietro a un pallone e che sudano come bestie. Per non parlare poi della promiscuità in quegli spogliatoi puzzolenti».

«Venti, i portieri stanno fermi in porta», borbotto e si vede benissimo che mio padre sta per scoppiare a ridere, ma si trattiene e continua a indagare.

«Se a lui piace perché impedirglielo? Hai provato col tennis e non gli piaceva, e sudava anche lì mi pare».

«Ora vuole che faccia come la tigre che ha iniziato da piccola a giocare a golf», ri-borbotto.

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«Si gioca a golf anche allo zoo?», chiede mio padre, ma la mamma non raccoglie la battuta e non ride neanche un po'.

«Non dirmi che non conosci Tiger Woods, il campione di golf? Ha iniziato a giocare che era ancora piccolo e ora guarda dov'è arrivato. L'altro giorno ha vinto l'Arnald Palmer Invitational stracciando l'avversario», e lo dice neanche le avesse messe in buca lei, le palle.

«Sai per caso anche il nome dell'avversario e il suo numero di scarpe?», tenta di alleggerire Enrico l'ingegnere, ma la mamma non raccoglie la provocazione e continua imperterrita a dire la sua.

«Voglio fare di lui una personcina a modo. È un delitto volersi occupare dell'educazione di un figlio?», sembra tirare su col naso come a voler piangere, ma è la sua solita tattica e papà non ci casca.

«Vuoi dire che se uno gioca a calcio, non è una persona a modo?», chiede.

«Non volevo dire questo, ma se gioca a golf è più a modo», ribatte la mamma.

«Più alla moda, forse. Non si giudica una persona dallo sport che pratica, cara la mia Clelia e sentiamo cosa sarebbe questa storia della scuola di calcio», dice rivolgendosi a me che ora vedo la luce in fondo al tunnel, ma c'è pur sempre d'attraversarlo 'sto tunnel.

«Il mio professore di ginnastica dice che sono un buon attaccante e siccome la mia scuola organizza questi corsi di calcio, mi ha chiesto se volevo andarci», spiego tutto in un fiato.

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«Sì, saranno quelle cose che fanno per togliere i ragazzi dalla strada, bella iniziativa non c'è che dire, ma nostro figlio non sta su una strada: vive in una casa confortevole e ha un giardino a disposizione e inoltre per lui si prepara un futuro da golfista di successo», e scuote il campanellino per chiamare Liù, che è la nostra cameriera filippina di cui non ho ancora parlato.

«Quanto tempo ti porterebbe via questo corso di calcio?», mi chiede mio padre.

«Il martedì e il giovedì dalle 15 alle 17».

«Vedi che non puoi, neanche volendo?», s'intromette subito la mamma, «martedì alle quattro hai la lezione di pianoforte e giovedì alle tre hai yosekan budo. Dunque non se ne parla proprio» e infilza l'arrosto come se l'avesse cacciato lei.

Mi sento perduto. Non ci avevo pensato che c'erano anche quegli impegni lì da portare avanti. Ora sicuramente mio padre, che è un buon padre, ma ha anche un alto senso del dovere, dirà che non si può fare per via degli “impegni precedentemente presi” che è la frase che usa sempre quando qualcuno gli propone qualcosa e lui non può andarci. Io rinuncerei volentieri alla lezione di piano, cosa da signorine, che a me piacerebbe suonare la batteria, ma Laclelia ha detto che la batteria non è fine e allora vorrei essere stato scambiato in culla, così magari finivo in quelle case popolari dove in cortile si gioca a calcio e in cantina si suona la batteria, come a casa di Claudio dove mi sono divertito tantissimo quella volta che ci

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sono andato. E poi lui ha anche un sacco di fratelli che gli tengono compagnia.

«Se non può frequentare la scuola di calcio, può però giocarci a questo benedetto calcio e lasciar perdere il golf, per un po' di tempo, quando sarà più grande deciderà lui che sport praticare», sta dicendo mio padre.

«Dagliele sempre tutte vinte, ok. Aspetteremo un altro anno per il golf, però la scuola di calcio se la scorda e chiuso l'argomento».

Ecco si è arresa anche questa volta, il mio papà è un grande!

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Quattro

Ora vi parlo un po’ di Liù. Suo marito è morto e lei è rimasta con due figli piccoli. Quando viene da noi glieli tiene sua sorella e poi la domenica la lasciamo stare a casa. Viene dalle Filippine che è un posto lontanissimo, al di là dell'Oceano ed è pieno di isolette. Liù abitava su di un' isoletta con la sua famiglia, poi suo marito è venuto in Italia, perché là erano molto poveri, e ha trovato un posto da giardiniere, ma poi è morto e lei si deve arrangiare con i bambini.

È quasi piccola come me ed è molto gentile e sorride sempre, non si direbbe che ha la vita così dura e mia madre sorride poco e non deve neanche lavorare, poiché ci pensa papà.

«Così niente golf.» mi dice Davide che è apparso in questo momento, un attimo dopo che Liù è uscita dalla mia stanza dove era venuta per mettermi nel cassetto delle cose stirate. Le prime volte mi faceva impressione trovarmelo davanti all'improvviso, come se fosse un mago, ma ora ci ho fatto l'abitudine.

«Niente golf per ora. Mio padre è stato grande e la mamma ha detto che si farà il prossimo anno. Si vedrà, dico io. Ma tu come lo sai?».

«Basta guardarti, ieri sera eri uno straccio. Ora sembri sollevato. Ti conosco bene io.», e fa la faccia furba e gli vengono gli occhietti sottili e quando fa così non sembra nemmeno tanto triste.

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«Il papà ha detto che posso giocare a calcio, ma non mi ha ancora detto dove, visto che qua intorno non ci sono posti adatti», affermo.

«Potresti andare dal tuo amico Claudio, quello che ha tanti fratelli», mi suggerisce Davide e io non sto lì a chiedergli come mai lo conosce.

«È vero, dopo chiedo alla mamma se mi accompagna là, magari domani. Vuoi venire anche tu?»,

«Non so, magari faccio un salto a vedere che succede. Non conosco bene il calcio», e si siede per terra con un libro che non gli ho mai visto sulle ginocchia.

«E quello?», chiedo indicandolo.

«Ah questo», fa lui, «l' ho trovato nel corridoio della cantina dei tuoi nonni. Strano posto per tenerci un libro, ma deve essere interessante».

Ora come faccio a dirgli che non bisogna prendere le cose che non sono tue? Magari si offende.

Davide, che ho il sospetto che legga nel pensiero, mi guarda e dice:

«L' ho preso in prestito, quando l' ho finito lo riporto al suo posto e nessuno si accorgerà di nulla. Sapessi quanta polvere c'era sopra, segno che erano secoli che qualcuno non lo prendeva in mano».

«Di cosa parla?», mi viene da chiedergli.

«Filosofia, è di un certo Rousseau», e s'immerge istantaneamente nella lettura.

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Filosofia. Parola già sentita, ma non so bene cosa significhi. Una volta ho sentito la mamma che diceva alla sua amica Britta “prendila con filosofia” e quella volta avevo pensato che fosse il nome di un'altra amica. Ma avevo solo sette anni e non capivo nulla. Ora almeno so che la filosofia è una materia come la matematica, un passo alla volta, poi un giorno quando avrà tempo Davide mi spiegherà bene di cosa si tratta.

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Cinque

Stranamente, la mamma non ha fatto storie e questo pomeriggio mi accompagna a casa di Claudio. Ho inventato la scusa che lo devo aiutare a finire inglese, che non è del tutto una bugia poiché Claudio è negato per le lingue e io sono piuttosto bravo e quindi se gli do una mano non può fargli che bene.

Nel cortile della casa dove abita ci saranno un centinaio di bambini, qualcuno in meno, ma non ne ho mai visti così tanti tutti insieme, se non durante la ricreazione nella mia scuola. Ora Laclelia non sembra molto convinta di lasciarmi là, ma io la tranquillizzo:

«Va' pure mamma, li conosco quasi tutti e poi guarda sta arrivando Claudio». E infatti ecco il mio amico in carne e ossa, più carne a dir il vero, che mi sta venendo incontro sorridente. Che bel carattere ha, lui sorride sempre, al contrario di Davide che lo fa raramente. Ma voglio bene a tutti e due, anche se sono due amici diversi. Davide è saggio e mi insegna un sacco di cose, con Claudio gioco tanto e le cose gliele insegno io.

Oggi si fa una partita a calcio, scala A, dove abita Claudio, contro scala B, dove abitano altri bambini e io, naturalmente, gioco nella squadra della scala A e mi sento come un giocatore estero. Sono bravino e Claudio mi dice che io farò l'attaccante. Ma Eugenio, un ragazzo alto e ripetente, vuole fare l'attaccante anche lui e, siccome siamo solo in sei in squadra, visto

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che tutti gli altri stanno facendo qualcos'altro, succede che si litiga.

«Io sono più bravo di quel damerino», dice a Claudio e si riferisce a me, «corro più veloce, lui con quelle gambette dove vuoi che vada?»

«Ha uno scatto migliore del tuo», gli risponde Claudio che è anche un po' il capo di tutti, «e io scelgo lui. Tu stai in difesa.»

Eugenio sembra arrendersi, ma poi, quando gli passo vicino mi fa lo sgambetto e cado a terra come un cretino e, purtroppo, mi sbuccio il ginocchio ed esce tanto sangue e Claudio mi porta sopra da sua madre per medicarmi la ferita.

E’ lì che la vedo e non sapevo neanche che Claudio avesse una sorella più piccola, anche perché è un problema sapere quanti sono i suoi fratelli, ne sbuca sempre qualcuno da qualche parte. Io ne avevo già contati sei, con Mariella a questo punto sono sette. Spero siano finiti dal momento che l'appartamento di Claudio non è molto grande. Mariella sta scrivendo qualcosa su di un quaderno e si vede che non ha una sua stanza, se deve fare i compiti in cucina sul tavolo che per la metà è occupato dalla madre di tutti quei figli che sta facendo una torta. Le fa buonissime.

Come mi vede, però, interrompe tutto e va di corsa in bagno a prendere l'alcol e il cotone per disinfettarmi la ferita e Mariella non alza nemmeno la testa da quello che sta facendo.