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Periodico semestrale - I semestre - Giugno 2013 - Anno XXI – N. 42 – COD ISSN 1971-6680 DIREZIONE CENTRALE ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ, RICERCA, famiglia, ASSOCIAZIONISMO E COOPERAZIONE SERVIZIO ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA 42 QUARANTAdue ORIENTAMENTO IL FALSO MITO DELL’ADOLESCENZA ORIENTAMENTO E SCUOLA LE RAGIONI DELLA TRASFORMAZIONE DEL GRUPPO DI AMICI IN BANDA IL CYBERBULLISMO APPRENDIMENTO AUTO-GUIDATO COME ESPERIENZA DI VIAGGIO GIOVANI E NEW MEDIA A SCUOLA ESPERIENZA DI GRUPPO ED AUTOSTIMA NEI BAMBINI CON ADHD VISSUTI LAVORATIVI DEGLI INSEGNANTI SPAZIO APERTO QUANDO L’ALUNNO DIVENTA INVISIBILE INFORMA LA DEFINIZIONE DEL SISTEMA NAZIONALE SULL’ORIENTAMENTO PERMANENTE LA REDAZIONE DEL CURRICULUM VITAE

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Periodico semestrale - I semestre - Giugno 2013 - Anno XXI – N. 42 – COD ISSN 1971-6680

DIREZIONE CENTRALE ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ, RICERCA,famiglia, ASSOCIAZIONISMO E COOPERAZIONESERVIZIO ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

42QUARANTAdue

ORIENTAMENTO Il fAlsO MITO dEll’AdOlEscENzA

ORIENTAMENTO E scUOlA

lE RAgIONI dEllA TRAsfORMAzIONE dEl gRUppO dI AMIcI IN bANdA

Il cybERbUllIsMO

AppRENdIMENTO AUTO-gUIdATO cOME EspERIENzA dI vIAggIO

gIOvANI E NEw MEdIA A scUOlA

EspERIENzA dI gRUppO Ed AUTOsTIMA NEI bAMbINI cON AdHd

vIssUTI lAvORATIvI dEglI INsEgNANTI

spAzIO ApERTO QUANdO l’AlUNNO dIvENTA

INvIsIbIlE

INfORMA lA dEfINIzIONE dEl sIsTEMA

NAzIONAlE sUll’ORIENTAMENTO pERMANENTE

lA REdAzIONE dEl cURRIcUlUM vITAE

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QUADERNI DI ORIENTAMENTOPeriodico semestrale - I_2013

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QUADERNI DI ORIENTAMENTOPeriodico semestrale

Redazione:34170 GoriziaVia Roma, 7Telefono 0481 386 278Fax 0481 386 413e-mail: [email protected] responsabile:Guido BaggiCoordinamento redazione:Diego LavaroniComitato di redazione:Gabriella Alessandri, Manuela Astori, Rita Giannetti, Diego Lavaroni, Tiziana Zanella,Progetto grafico:Emmanuele Bugatto – TriesteImpaginazione:Ufficio stampa regione FVGImmagini:Archivio fotografico delCentro di catalogazione e restauro dei beni culturali del Friuli Venezia Giulia [Gianni Benedetti]Stampa:La Tipografica srl

N. 42

Il periodico viene realizzato a curadella Direzione centrale istruzione, università, ricerca, famiglia, associazionismo e cooperazionenell’ambito del lavoro d’IstitutoIscr. Tribunale n. 774Registro Periodici del 6.2.1990CODICE ISSN 1971-6680

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QUADERNI DI ORIENTAMENTO 42

IN QUESTO NUMERO

Tino Piazza artista e insegnante Franca Merluzzi ............................................................. 4

Editoriale Redazione .................................................................................... 7

ORIENTAMENTO

Il falso mito dell’adolescenza La creazione di una condizione psicologica inedita per assoggettare i giovani Graziano Graziani ...................................................... 8

ORIENTAMENTO E SCUOLA

Le ragioni della trasformazione del gruppo di amici in banda Alla ricerca dell’adulto perduto Gustavo Pietropolli-Charmet ...........14

Il cyberbullismo Tiziana Pozzoli Prepotenze reali in un mondo virtuale Gianluca Gini ................................................................... 26

Apprendimento auto-guidato come esperienza di viaggio Alcune riflessioni sulla sua collocazione nel territorio dei processi formativi Luciano Arcuri ............................................................... 34

Giovani e new media a scuola Un’indagine on line con studenti di istituti secondari Gabriella Burba di II grado Paolo Tomasin .............................................................. 40

Esperienza di gruppo ed autostima nei bambini con ADHD Guido de Rénoche Un’attività di cooperative learning Silvia Ferro Luigi Bianchin David Polezzi .................................................................... 48

Vissuti lavorativi degli insegnanti Simone Catalano La validità predittiva della competenza emotiva Valentina Di Natale Daniela Macaluso ................................................ 58SpAzIO ApERTO

Quando l’alunno diventa invisibile Paolo Taverna “Non uno di meno” Un percorso co-costruito per contrastare Liviana Zanchettin l’abbandono scolastico Elena Paviotti ................................................................... 68

INFORMA

La definizione del sistema nazionale sull’orientamento permanente Accordo ai sensi dell’Art. 9, comma 2 del Decreto Legislativo 28 agosto 1997, n. 281 Ketty Segatti ....................................................................... 86

La redazione del curriculum vitae come esempio di consulenza breve Un rapido viaggio per unire “i propri punti” Gianluca Vergari ....................................................... 94

LIBRI

Enneagramma e personalità di M. D’Agostini, F. Fabbro Federica Caselli (a cura di) ............... 110

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come un maestro che coltivava il me-stiere riallacciandosi alla manualità della migliore tradizione, ma anche come un artista che attraverso le biennali vene-ziane aveva rielaborato spunti della mo-dernità italiana ed europea. Colleghi e allievi dell’Istituto statale Max Fabiani (allora Scuola d’arte) del capoluogo gori-ziano lo ricordano come un docente che sapeva rapportarsi con i propri studenti in modo coinvolgente e stimolante per la sua capacità di adoperare tecniche e materiali diversi, pur poveri come l’argilla e il polistirolo, ottenendo risultati sem-pre gradevoli, sorprendenti nella loro semplicità.

È impossibile non provare stupore per le sue interpretazioni fantastiche, la sua abilità narrativa e poetica anche nell’ af-frontare temi importanti, religiosi e stori-ci. Egli ideò ed eseguì decorazioni per le scuole, dalle materne alle superiori, per chiese e cappelle, ma anche per i palazzi della Provincia, dell’Archivio di Stato e del

Tino Piazza arTisTa e insegnanTe

Il Centro regionale di catalogazione e restauro dei beni culturali ha realizza-to alcuni progetti che documentano la produzione artistica del XX secolo pren-dendo in esame, innanzitutto, le opere collocate in spazi ed edifici pubblici. Nel rinnovare la collaborazione con i “Qua-derni di Orientamento” si è ritenuto si-gnificativo dedicare questo numero a un artista insegnante, autore di lavori originali legati alla committenza pub-blica. L’autore è Agostino Piazza, ovve-ro Tino Piazza o Tino da Noale, il paese della provincia di Venezia in cui nacque nel 1935. Trasferitosi nel 1956 a Gorizia - dove assunse l’incarico di insegnante di disegno - fu assai attivo in città e nei paesi limitrofi fino alla prematura scom-parsa avvenuta nel 1981.

Nelle biografie pubblicate è descritto

Mossa (GO), collezione privata, Autoritratto, 1952 olio su tela, 57 x 38,5 cm.

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Comune di Gorizia. Vincitore nel 1964 del concorso nazionale, nel Palazzo Attems Santacroce realizzò l’anno successivo un graffito su fondo blu che si snoda per 15 metri lungo lo scalone attiguo alla sala del Consiglio comunale. Con un originale ritmo ondulatorio vi raffigurò le “Storie della contea di Gorizia”, vicende di guer-re e di pace con riferimenti ad Aquileia, Grado, Barbana, Gorizia e Venezia.

Nelle decorazioni murali riservate ai più piccoli narrò fiabe prendendo a sog-getto storie di streghe, burattini, fate, principesse, lupi, draghi, e scene giocose che trovano una corrispondenza solo nei più bei libri illustrati per l’infanzia. Per le scuole rappresentò in ceramica dipinta l’alfabeto figurato come nelle vecchie ta-vole didattiche con animali, personaggi, conchiglie, oggetti resi in modo realistico ed ironico. Anche nell’arte sacra portò il suo candore immaginativo: deliziosa e ingenua appare la Via Crucis del 1969 esposta nella cappella della Fondazione

“Don Giovanni Contavalle” di Gorizia. Modellò i personaggi in modo accurato e inserì le scene entro architetture sempli-ficate con archi e finestre, come fossero case, tema di certo ricorrente nei disegni dei bambini ma che trovano riferimenti nella tradizione pittorica italiana.

Per gli istituti superiori scelse visioni composte da moduli in terracotta, gesso o polistirolo al limite dell’astratto, che si iscrivono nel periodo ritenuto dalla critica il più importante della sua car-riera. Il ciclo dei rilievi plastici si sviluppò in sintonia con le ricerche del Gruppo 2 x GO che vedeva impegnati artisti e operatori culturali italiani e sloveni uniti dalla volontà di superare confini e bar-riere attraverso l’arte.

Il Centro regionale ha catalogato di-pinti e pannelli decorativi, arredi, ore-ficerie e disegni appartenenti alla sua collezione privata e ha reso consulta-bili le schede nel Sistema Informativo Regionale del Patrimonio Culturale del

Mossa (GO), Scuola materna, 1961.

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Mossa (GO), Scuola elementare e materna, La bella addormentata, 1961, bozzetto, graffito e pittura a secco su intonaco, (particolare).

Friuli Venezia Giulia (www.sirpac-fvg.org). Le immagini sono frutto di un’ac-curata campagna fotografica volta a far emergere i dettagli, le diverse tecniche utilizzate, ma anche i rapporti tra forma e colore, gli elementi tattili e le rare-fazioni, le scanalature e i segni grafici.

Oltre alla soddisfazione di aver assi-stito nel 2005 al restauro del graffito del Palazzo comunale di Gorizia condotto con criteri scientifici, è nata una collabo-razione proficua tra il Centro regionale e l’Istituto dove insegnò: alcune ricerche svolte dall’insegnante Eleonora Stinco nell’ambito delle attività didattiche han-no permesso di studiare e restaurare opere che hanno tratto ispirazione da Agostino Piazza. Ma, come dicono i fiori del lino in una fiaba di Hans Christian Andersen, per riprendere una citazione suggerita dai temi preferiti dall’artista,

nessuna storia finisce mai.Nel 2009 il Centro regionale ha messo

a disposizione la sua documentazione in occasione della mostra, organizzata dai Musei provinciali di Gorizia, “Tino Piazza l’artista le storie”. Ora il ricordo di Piazza ritorna in queste pagine e con lui l’aspirazione alla semplicità e all’im-mediatezza della comunicazione visiva, il riconoscimento del valore della crea-tività e dell’arte nella didattica.

Franca MerluzziCentro di catalogazione e restauro dei beni culturali del Friuli Venezia Giulia

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ediTorialeEsiste l’adolescenza? Sembrerebbe

una domanda paradossale soprattutto in considerazione dell’enorme lettera-tura (che contribuiamo anche noi, ad alimentare) che insiste sul tema. Non solo: una schiera di esperti si cimenta in questo campo che secondo Graziano Graziani dovrebbe essere riportato alla giusta dimensione sociale. Adolescenza non è un dato naturale, bensì il prodotto di un processo culturale relativamente recente. Comunque sia, il prof. Gustavo Pietropolli Charmet, che da molti anni lavora su queste problematiche, analizza la trasformazione del gruppo di amici in banda.

Si tratta di un tema attualissimo, la cui risonanza è amplificata dall’uso degli strumenti dell’innovazione tecnologi-ca. Le prepotenze adolescenziali, infatti, sfruttano sempre più i canali della comu-nicazione elettronica. Tiziana Pozzoli e Gianluca Gini approfondiscono la preoc-cupante dimensione del cyberbullismo.

Nella stessa sezione Orientamento e Scuola il prof. Luciano Arcuri riflette sulle potenzialità dell’apprendimento auto-guidato come occasione di crescita, all’interno del processo formativo. Ga-briella Burba e Paolo Tomasin esplorano, col contributo di alcuni istituti secondari, le modalità di utilizzo e gli atteggiamenti degli studenti in relazione all’uso degli strumenti della comunicazione digitale.

L’articolo di Guido De Rènoche, Sil-via Ferro, Luigi Bianchin e David Polez-

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zi, anche in questo numero, si occupa della sindrome ADHD, analizzando la funzione dell’esperienza di gruppo nella costruzione dell’autostima, nei bambini con questo disturbo.

Simone Catalano, Valentina Di Natale, Daniela Macaluso si occupano dei vissuti lavorativi degli insegnanti, con particolar riguardo alla competenza emotiva che può favorire il benessere a scuola e la gestione dei conflitti scolastici.

Nello Spazio Aperto il contributo di Pa-olo Taverna, Liviana Zanchettin e Elena Paviotti illustra un innovativo progetto co-costruito per contrastare l’abbandono scolastico, sviluppato all’interno di un Piano di Zona, strumento di pianificazio-ne delle politiche sociali dell’Ente Locale.

Nella sezione Informa vengono presen-tati la definizione del sistema nazionale sull’orientamento permanente, a firma di Ketty Segatti e la redazione del curricu-lum vitae come esempio di consulenza breve,a cura di Gianluca Vergari.

Inizia, anzi riprende, dopo alcuni anni di sospensione, la collaborazione col Centro di catalogazione e restauro dei beni cul-turali del Friuli Venezia Giulia, che offrirà la sua preziosa consulenza in relazione al materiale iconografico, proponendo di volta in volta l’opera di uno o più artisti di grande caratura, che rappresentano o hanno rappresentato con originalità e passione creativa l’espressione culturale dei maestri della nostra regione.

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ORIENTAMENTO

PreMessa

Per quasi trent’anni ho prestato servizio presso un Centro di Con-sultazione per l’Adolescenza della Regione Toscana: ho parlato a lun-go con alcune centinaia di giovani ed ho partecipato a diversi gruppi di discussione tra ragazzi. Nel corso di tutti questi anni la mia visione del mondo giovanile è profondamente cambiata. Al pari dei tanti “esperti” dell’adolescenza così spesso intervi-stati dai mass media, agli esordi del mio lavoro con i ragazzi ritenevo di trovarmi al cospetto di soggetti ca-ratterizzati da un processo psichico in via di sviluppo e peculiare nella sua dinamicità rispetto alla mente adulta, così come era riportato nei saggi psi-chiatrici e psicoanalitici sull’argomen-to. Oggi non mi trovo più conforme a quei dettami o a quelle teorie, anzi penso che essi siano l’espressione di un duplice interesse, quello della little factory costituita dagli esperti del settore e quello, più generale, di un ordinamento sociale che per la propria sopravvivenza necessita di una fase della vita denominata “adolescenza”. Partendo da una pro-spettiva critica, nel corso dello scritto cercherò di delineare sia la genesi esistenziale di molte forme di disagio giovanile, sia l’artificiosa costruzione dell’adolescenza.

il Falso MiTo

Bassa Padana, anno 1959. Terminata la cerimonia di Cresima e Comunione il parroco ci invitò in sacrestia ed offrì a tutti un bicchierino di grappa. Le teste girarono, ma ci sentimmo improvvisa-mente grandi. Forse, il sacerdote aveva esagerato, tuttavia, con quella cerimo-nia, noi eravamo entrati nella comunità cristiana adulta con tutte le relative re-sponsabilità rispetto ai comandamenti e un grappino poteva anche starci. Queste memorie, mie personali, ci ricordano co-me la Chiesa Cattolica sia rimasta indie-tro nelle sue attribuzione di maturità: ovvero ai tempi in cui l’adolescenza non era stata ancora inventata.

Come è noto tra gli storici (Ariès 1962, Esman 1990), la creazione dell’adole-scenza è un evento relativamente re-cente. Philippe Ariès ci ricorda come nel Medio Evo e per tutto l’Ancienne Regime i bambini andavano a confondersi con gli adulti all’età di sette anni circa: “da quel momento essi entravano di colpo nella grande comunità degli uomini dividendo con i loro amici, giovani o vecchi, i lavori e le gioie di ogni giorno”.

Il significato sociale dell’adolescenza iniziò a prendere gradatamente corpo solo all’inizio del 1800, quando il gua-dagno economico del singolo e della collettività cominciò a dipendere da lunghi periodi di istruzione. Viceversa, nella società antica, per migliaia di anni,

N

il Falso MiTo dell’adolesCenzaLA CREAZIONE DI UNA CONDIZIONE PSICOLOGICA INEDITA PER ASSOGGETTARE I GIOVANI

Graziano Graziani

ella società antica, per migliaia di anni, la trasmissione culturale e lavorativa avveniva tra le mura di casa per passaggio diretto.Il significato sociale dell’adolescenza iniziò a prendere gradatamente corpo solo all’inizio del 1800, quando il guadagno economico cominciò a dipendere da lunghi periodi di istruzione

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Mossa (GO), Scuola elementare e materna, Fiabe infantili, 1961 decorazione parietale, graffito e pittura a secco su intonaco, particolare.

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la trasmissione culturale e lavorativa av-veniva tra le mura di casa per passaggio diretto: nel caso dei maschi da padre a figlio e per le femmine da madre a figlia.

Si trattava di sistemi sociali stabili ove il transito dall’infanzia all’età adulta era segnato da riti di passaggio che defi-nivano i ruoli. Le cerimonie iniziatiche comprendevano, a seconda delle varie culture, riti religiosi e sociali, quali la cre-sima-comunione, il barmitzvah, compiti di caccia, digiuni, scarificazioni. Questi riti segnavano l’entrata nell’età adulta e non in una fase intermedia quale quella che oggi definiamo adolescenza.

Fu la necessità di una scuola di massa, in coincidenza con la formazione dello Stato moderno, a privare la famiglia di quella funzione pedagogica primaria che da sempre aveva segnato il modello di trasmissione culturale tra generazioni, facendo saltare con la secolarizzazione anche gli antichi riti di passaggio. È in questa fase di modificazione qualitativa e strutturale della famiglia che sarebbe avvenuto il grande esproprio della gio-

ventù. Stando alle parole di Ariès (id.), la cura sollecita dei pubblici poteri avrebbe privato i giovani della libertà di cui pri-ma godevano, della promiscuità con le generazioni con le quali avevano modo di confrontarsi ed ha inflitto il rigore e la disciplina.

Sono proliferati collegi e scuole, ovvero grandi edifici di segregazione e massi-ficazione della gioventù, con l’intento di farla studiare e preparare al futuro. Così, nell’arco degli ultimi due secoli, la riproduzione culturale si è sempre più organizzata sui rigidi binari ministeriali, finalizzati alla educazione morale, pro-fessionale e tecnica, ma non all’educa-zione dell’affetto e dell’amore. Ma, come sappiamo, basta leggere il romanzo della crisi europea, “L’Educazione Sentimenta-le” (Flaubert, 1869), per approfondire il dramma della borghesia che aveva inve-stito tutto sulla famiglia da un lato e sulla laicità dell’istruzione dall’altro. Drammi e lacerazioni trasposti da Dostoevskij in “Adolescenza” (1875), ove i derivati psicologici dell’imposizione pedagogica

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ORIENTAMENTO

e del collegio indurranno il protagonista ad erronee scelte affettive, ad azio-ni impulsive ed all’abbraccio di ideali estremi. Ugualmente, il collegio farà da sfondo a “I turbamenti del giova-ne Torless” (1906) di Musil. Si trattava, tuttavia, di travagli esistenziali limitati a coloro che, tra i giovani, erano desti-nati a diventare classe dirigente. Per la maggior parte dei ragazzi del XIX secolo ben poco era cambiato e le loro dure condizioni trovarono ritratto in “Oliver Twist” (Dickens, 1839).

L’adolescenza, come realtà sociale estesa, non aveva ancora preso pie-namente corpo. E così, in sintonia con il suo reale peso sociale, Freud, pur in-dividuando nell’età post-puberale la tappa finale dello sviluppo, non dedicò all’adolescenza alcun saggio specifico. In ugual modo fecero tutti gli psicoana-listi della prima generazione. Il pianeta

adolescenza apparirà, infatti, nella sua pienezza solo in anni molto più recenti quando, dopo il secondo conflitto mon-diale, le mutate esigenze della società industriale avanzata, richiesero il pieno inserimento di tutta la gioventù nel ci-clo di apprendimento. Fu a partire da quegli anni che emergeranno i feno-meni giovanili incarnati da personaggi come Marlon Brando e James Dean e destinati a sfociare nell’attuale mondo dell’adolescenza. Non è un caso che si datino a quel periodo (1940-1960) i pri-mi lavori psicoanalitici sull’adolescenza ad opera di Anna Freud. Dai suoi pio-nieristici saggi ad oggi, una messe sem-pre più consistente di studi psicologici, operando una sorta di trasposizione dal sociale allo psichico, ha contribuito a materializzare una condizione mentale inesistente, come quella di coloro che la civiltà definisce né bambini, né adulti.

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Mossa (GO), Scuola elementare e materna, Fiabe infantili, 1961 decorazione parietale, graffito e pittura a secco su intonaco, 305 x 535 cm.

alienazione e CiVilTÀ

Nessun rimpianto può esservi per il passato, quando i ragazzini di otto anni andavano tra i campi o in filiera. Mai, nella storia dell’umanità, i giovani hanno usufruito di tanto benessere materiale. Lo testimonia il fatto che è a loro che si rivolge, in maniera privilegiata, la civiltà dei consumi. I giovani sono il primo og-getto di pubblicità, i primi consumatori di musica, di abbigliamento, di editoria, di intrattenimento, di TV, di elettroni-ca, di computer. Tuttavia, all’ipnotica abbondanza di beni fa da corrispettivo l’essere oggetto di controllo da parte di una civiltà che per il proprio sviluppo necessita del loro assoggettamento. Questa negata soggettività non cor-risponde, però, alle capacità potenziali degli adolescenti di agire nel quotidia-no, non consente, cioè, di tracciare una

linea di demarcazione tra adolescenza ed età adulta. Le differenze possono porsi sul piano della legge e del dirit-to, ma arretrano fino ad annullarsi di fronte alle capacità di esprimersi negli affetti, nelle azioni, nella vita sessuale, nell’apprendimento: oggi il 35% dei sedi-cenni ha acquisito le operazioni formali contro una media adulta del 25-33% (Hales R., Yudofsky S., Talbott J., 2004). Non deve destar meraviglia, allora, se gli adulti sono intesi come coloro che essenzialmente hanno il potere. “Agli adolescenti - scrive Meltzer (1980) – ciò non sembra dovuto alle conoscenze o alle capacità, ma al possesso di una or-ganizzazione di tipo aristocratico che ha come scopo principale di preservare il potere contro ogni intrusione”. In realtà si trattò di una cacciata dalla scena del potere dal momento che una volta “gli anni dell’adolescenza coincidevano con

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Mossa (GO), Scuola elementare e materna, Fiabe infantili, 1961 decorazione parietale, graffito e pittura a secco su intonaco, particolare.

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ORIENTAMENTO

l’inizio dell’età adulta” (Shapiro, Hertzig, 1999) ed ai giovani era consentita l’e-spressione delle proprie potenzialità. La repentinità con cui è avvenuta questa metamorfosi non ha, ovviamente, potu-to consentire il suo adeguamento alla natura dell’uomo e dei suoi geni i quali sono stati selezionati nei milioni di anni del pleistocene. Cambiato lo statuto della gioventù è cambiato anche buona parte di ciò per cui i suoi geni erano stati selezionati.

E, mentre per i ragazzi può mancare una memoria storica, per i geni l’adole-scenza rappresenta una sorta di “Esilio dall’Eden” (Fossi, 2005), ovvero tutto ciò che va sotto il primato genetico-biolo-gico non può che soffrire per quanto ha perduto. Sotto questa luce il prodotto secondario dell’adolescenza è la prigio-nia di un organismo biologicamente

maturo entro un “dover essere” privo di incisività ed espressione sociale. Uno stato di prigionia che, per una sorta di ipocrisia diffusa, graverebbe su uomini altri, “individui in via di sviluppo”, mentre invece genera gli stessi disagi di un adul-to in cattività. Inquietante, in proposito, è la misconosciuta sovrapposizione tra antropologia e psicopatologia dell’ado-lescenza ed antropologia e psicopato-logia penitenziaria: costituzione di ban-de, tatuaggi, tentativi di fuga, disturbi del comportamento ed agiti, restrizioni alimentari, tagli auto-provocati, abuso di sostanze, incertezze di genere, de-pressioni, disturbi dissociativi, tentati e riusciti suicidi, etc. Si potrebbe quindi evincere che l’adolescenza in sé non esi-ste se non come terminologia adottata per giovani adulti in gabbia dorata, ma pur sempre in gabbia.

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ConClUsioni

Il mondo contemporaneo, al quale gli stessi ragazzi appartengono, ha biso-gno per il suo progresso ed il suo futuro dell’esistenza di una categoria di po-polazione, i giovani, ai quali è richiesto di abdicare a molti tratti della propria soggettività. Creare però una condizione psicologica a sé (l’adolescenza), attraver-so cui giustificare l’assoggettamento di questa fascia di popolazione, è una ope-razione di malafede nel senso sartriano del termine. Ovviamente, si tratta di uno status temporaneo destinato a svanire con l’ingresso nel “mondo adulto” e così, come gran parte della psicopatologia ge-nerata dal carcere scompare con la mes-sa in libertà, il variegato disagio giovanile termina con l’assunzione sociale della funzione adulta. Tuttavia, quello che è il prodotto dell’alienazione giovanile, ovve-ro la così detta crisi dell’adolescenza, ha talvolta connotati di dolore così intenso e clamoroso tali da richiedere decodifica e aiuto. Quando però medici e psicologi si affacciano sullo scenario della crisi dovrebbero ricordarsi pure come il se-gno del disagio non è intrinsecamente dato, ma nasce dall’incontro tra giovane e operatore.

La sofferenza non esiste in natura co-me nome o malattia, essa si fa malattia nell’impatto diagnostico col medico che è quindi un atto storico. In natura esi-

stono, ad esempio, la tristezza e il mal di gola, non esistono il disturbo depressivo maggiore o la faringite purulenta, termini i quali trasformano la natura in una dia-gnosi che come tale resterà nella storia del soggetto, diversamente da quanto avrebbero fatto tristezza o bruciore di gola. Di fronte ad un giovane, il rischio è, quindi, quello di incanalare una “crisi” di per sé transitoria ed esistenziale verso itinerari di malattia e di cura, con ovvi vantaggi per la little factory degli esperti dell’adolescenza, per “big pharma” e per la “falsa coscienza” collettiva.

D’altro canto fa parte del sapere medi-co (un sapere antecedente la creazione della adolescenza) il fatto che molti gravi quadri psicopatologici hanno origine in questa età, basti pensare che il termine originale dato alla fine del 1800 da Kra-epelin a quelle che poi saranno definite “Schizofrenie” era “Dementia Praecox”, ove “Praecox” stava per “Giovanile”. Di-scernere i disagi prodotti dall’alienazione giovanile dai quadri psicopatologici veri e propri, è ovviamente una funzione che non può essere elusa anche se pone il medico più esperto e sensibile davanti a dubbi e incertezze.

Graziano GrazianiPsichiatra, Neuropsichiatra Infantile, Psicoanalista (S P I ) [email protected]

BiBliograFia

Fossi G., La psicoterapia dinamico-evoluzionistica, Milano, Franco Angeli, 2005.

Meltzer D., Psicopatologia dell’adolescenza, Quaderni di psicoterapia infantile, 1, 15-32, 1978.

Shapiro T., Hertzig M., (1999), Sviluppo normale del bambino e dell’adolescente, in Hales R., Yudofsky S., Talbott J., (Eds.) Psychiatry, Washington D. C., The American Psychiatric Press, 2004.

Ariès P., Padri e figli nell’epoca medioevale e moderna, Bari, Laterza, 1968.

Dulit E., Adolescent thinking à la Piaget: the formal stage, Journal of Youth and Adolescence, 4, 281-301, 1972.

Esman A., Adolescence and Culture, Columbia University Press, New York, 1990.

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ORIENTAMENTO E SCUOLA

le ragioni della TrasForMazione del grUPPo di aMiCi in BandaALLA RICERCA DELL’ADULTO PERDUTOGustavo Pietropolli Charmet1

Raccontare la propria storia e definire i propri pensieri è una cosa fondamentale per i ragazzini violenti,perché è l’unica soluzione per smettere di trasformare in azioni la loro paura

la riCerCa dell’adUlTo

Vorrei immaginare uno sviluppo pos-sibile che emerge da uno dei risultati apparentemente più sorprendenti, della ricerca che stiamo sviluppando e cioè che i ragazzi, una particolare tipologia di ragazzi, quelli che frequentano la scuo-la media, sono alla ricerca degli adulti, e hanno bisogno di adulti competenti, soprattutto quando si avverano delle problematiche relazionali centrate sulla gestione del potere, della visibilità, della popolarità, della violenza, della conflit-tualità, delle invidie. Dobbiamo appro-fondire e chiederci di che tipologia di adulto sono alla ricerca. È una questione di rapporto tra le generazioni o hanno in mente delle caratteristiche peculiari che dovrebbe avere l’adulto, secondo il loro modo di vedere, per essere autorizzato a intervenire e poter auspicabilmente realizzare un intervento efficace? È ne-cessario tener presente l’età di cui par-liamo e le caratteristiche assolutamente peculiari di questa fase dello sviluppo del soggetto che va dall’infanzia, durante la scuola primaria, all’ingresso nell’ado-lescenza, che normalmente definiamo pre-adolescenza.

Dovrebbe essere un’età caratterizzata da un tentativo di svincolo nei confronti degli adulti, del loro potere, delle norme, delle regole e dovrebbe essere un’età

fortemente caratterizzata da una pre-dilezione per istaurare e sottoscrivere, attraverso complicati negoziati e difficili contrattazioni, dei patti con i coetanei al fine di ridurre il potere di influenza degli adulti, sia genitori sia docenti, e della società degli adulti nel suo insieme e in favore di maggior potere e influenza della categoria dei coetanei. Oggi i ragazzi-ni di età compresa tra 11-14 anni sono connotati da una fortissima predilezione per l’appartenenza al gruppo spontaneo dei pari età. Questo ha compromesso la partecipazione di ragazzi di questa fascia di età a una serie di attività, di iniziative e di modalità di associazione che sono da sempre predisposte per loro e che at-tualmente vedono una diminuzione della partecipazione perché, arrivati a quella fase del loro sviluppo in questo conte-sto e per una serie di variabili, i ragazzi-ni preferiscono far parte di un gruppo spontaneo senza supporto istituzionale da parte degli adulti e decidere di orga-nizzare le loro attività spontaneamente.

Questo fenomeno è sotto gli occhi di tutti ed è peculiare di questa gene-razione. Chiunque vive o lavora con dei ragazzi, sia nel ruolo di genitori, sia di docenti, di educatori o di operatori, è ampiamente al corrente che la preco-cità sociale dei pre-adolescenti attuali fa sì che sia molto forte la loro opzione per l’appartenenza a un gruppo, a una compagnia. Notevoli sono i loro sforzi per ottenere il consenso e l’autorizzazione

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degli adulti di riferimento per parteci-pare alle iniziative, alle attività, ai diritti e alla cultura del gruppo spontaneo di pari età, che poi diventerà, durante la frequenza delle scuole superiori, quindi con l’ingresso nella fase adolescenziale e poi nel cuore dell’adolescenza matura, un fenomeno spettacolare: la compagnia, il gruppo, con tutti i rischi e anche i pericoli che una forte dipendenza dalle scelte, dalle iniziative, dai valori, dai rischi che il gruppo propone.

Oggi i ragazzini hanno tendenzialmen-te due famiglie, quella naturale e quella sociale, quest’ultima costruita nel corso del tempo sottoscrivendo patti di ami-cizia, di appartenenza, di condivisione. Questa famigliola sociale, alla quale ap-partengono profondamente, comincia fin dal nido, dalla scuola dell’infanzia, dalla scuola primaria a tempo pieno, dalla scuola secondaria di primo grado, e si trascina lungo l’arco del loro percorso di crescita e di individuazione. Bisogna tenere presente che la nostra organiz-zazione attuale prevede che i ragazzi abbiano al loro fianco per molte ore al giorno i coetanei, con i quali prendo-no decisioni, condividono i sistemi di valutazione della realtà che li circon-

da e poi gli adulti.Sono i coetanei che li accompagnano fin dai primordi del loro ingresso nella società dei bambini, dei ragazzi, che poi correrà parallela alla società degli adulti.

Abbiamo quindi una forte precocità sociale, una forte appartenenza al grup-po dei coetanei, una grande predilezione per le relazioni orizzontali. Ci sono molte preoccupazioni legate allo sviluppo di questo fenomeno, tra queste ne cito una, legata al fenomeno del bullismo: la maggior parte dei reati commessi da minori, oggi, non sono operati dal singolo ragazzino a orientamento de-linquenziale, ma da piccoli gruppi che occasionalmente si trasformano in ban-de. Si tratta di gruppi che appartengono ad ambienti educativi anche adeguati, che hanno uno stile di vita convenzio-nale, che frequentano la scuola, lo sport, ma che occasionalmente, incontrandosi quella sera, quel giorno, subiscono una drammatica trasformazione dal gruppo dei pari, deputato a organizzare lo sva-go, il tempo libero, l’incontro, le danze, la musica, in banda e vanno alla ricerca della propria vittima o del proprio av-versario, da cui derivano fenomeni di violenza a vari livelli.

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Un adUlTo “CoMPeTenTe”

L’egemonia, l’importanza che ha con-quistato la relazione orizzontale col grup-po, ha degli enormi vantaggi, ma compor-ta naturalmente anche dei rischi. Non c’è dubbio che il legame di gruppo ha in parte eroso il potere decisionale della famiglia e ha in parte contribuito ad attenuare il significato simbolico e istituzionale del-la scuola. Oggi i ragazzi vanno a scuola anche con l’intenzione di incontrarsi con i loro coetanei per continuare a gestire tutti i fenomeni della classe degli affetti, della classe dei sentimenti, delle deci-sioni, della guerra ma anche dell’amore. Quindi da un lato c’è questo fenomeno, ma dall’altro lato c’è il fatto, altrettanto certo, che i ragazzi sono però anche alla ricerca degli adulti. Penso sia giusto at-tribuire alla figura, all’identikit dell’adulto

che i ragazzi cercano, l’aggettivo “com-petente”. È una questione sulla quale ho molto riflettuto e mi sono molto eserci-tato in questi anni, prendendo atto che i livelli di conflittualità, anche violenta, e di contestazione tra questa generazione di ragazzi e la generazione degli adulti si sono molto attenuati.

In Italia la possibilità della co-residen-zialità tra le due generazioni, quella dei figli e quella dei genitori all’interno della famiglia, sotto lo stesso tetto, può prolun-garsi anche oltre i trent’anni; ciò è segno che, all’interno della famiglia, tra le due generazioni, si è arrivati a contrattare il potere, il processo decisionale, l’appar-tenenza, la fruizione degli spazi, il godi-mento della relazione in modo tale da rendere possibile la co-residenzialità che d’altra parte implica anche questioni più ampie, legate all’economia, alla politica, all’organizzazione del mondo del lavoro. Possiamo ipotizzare quindi che quello che

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questa generazione cerca fortemente, da un lato, è il gruppo. Il soggetto vuole stare bene in gruppo, ha bisogno di diven-tare popolare, di diventare visibile, cioè di avere una capacità contrattuale con i propri coetanei in modo da avere molte proposte di amicizia, di essere invitato, di far parte radicalmente della storia di un piccolo gruppo di coetanei, che diven-tano amici e formano una compagnia, e poi con quella prendono un sacco di decisioni, a volte ovviamente rischiose che riguardano la notte, l’uso di sostan-ze, la quantità necessaria di rischio per crescere.

D’altro lato però i ragazzi ricercano adulti competenti, in base al fatto che, e questa è una questione interessante, l’adulto non è più un avversario da batte-re o da imbrogliare. Naturalmente sono linee di tendenza. Ovunque è visibile il fatto che i ragazzi o i ragazzini sono alla ricerca di adulti competenti, e che quan-

do ne trovano uno, che sia un docen-te, un allenatore, un parente, un cugino maggiore non se lo lasciano sfuggire, si attaccano, lo spremono al massimo per ottenere chiarimenti, indicazioni, dialogo, rispecchiamento, riconoscimento, nomi-na, informazioni su come si faccia a uscire dal labirinto della crescita, visto che chi è nato prima ne è già uscito, quindi più o meno sa come venirne fuori.

Vorrei dare un contributo, sulla base delle ricerche effettuate in questi anni, su quali sono le caratteristiche che agli occhi dei ragazzi dovrebbe avere l’adulto per essere ritenuto competente, quindi un interlocutore non solo ricercato, ma che, una volta intercettato, può contri-buire potentemente al processo forma-tivo ed esercitare a pieno titolo la propria azione educativa. Parto dal presupposto che ci troviamo di fronte a una realtà re-lazionale importante, cioè che i ragazzini non hanno più paura degli adulti. Vanno a

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scuola senza aver paura dei docenti e dei loro castighi e senza sentirsi in colpa per il fatto di aver omesso di fare i compiti.

La paura dei ragazzi nei confronti degli adulti e delle istituzioni è enormemente diminuita rispetto alle generazioni pre-cedenti; i castighi hanno smesso di svol-gere una funzione dissuasiva rispetto al pensare, immaginare o anche compiere azioni non gradite o addirittura interdet-te dalla cultura degli adulti. Non hanno paura del castigo, e, elemento molto interessante anche se è un fenomeno più personale, più soggettivo, che ho riscontrato nel corso della mia attivi-tà come psicoanalista di adolescenti in crisi, è che raramente succede che sia il sentimento di colpa nei confronti della famiglia e della scuola, il promotore del disagio o della sofferenza.

Attualmente, si è organizzato un mo-dello educativo di crescita, all’interno della famiglia, nelle istituzioni parafami-liari, nella società, che ha smesso di far sentire i bambini in colpa, e ha smesso di far in modo che i bambini abbiano paura del loro papà o della loro mam-ma e dei castighi che possono proporre, minacciare o anche realizzare. È chiaro che questa esperienza originaria, consu-mata in famiglia, viene poi esportata nei confronti degli altri adulti, e i ragazzini si aspettano che anche gli altri adulti che svolgono una funzione in qualche modo confrontabile con quella dei genitori, di guida, formazione, non siano minacciosi, e quindi non siano avversari da battere o dei nemici da imbrogliare per tenerli a bada, onde evitare che somministrino castighi terribili.

L’attenuazione della paura degli adulti e del sentimento di colpa nei loro con-fronti, mi sembra essere una buona premessa affettiva per affermare che c’è pace tra le due generazioni e se gli adolescenti hanno qualche motivo per mettersi a caccia degli adulti competenti, possono farlo. Non hanno bisogno di mentire all’adulto per ottenere sedutti-vamente il suo consenso, perché la loro richiesta è autentica, non è per averne dei vantaggi; quello che cercano è rela-zione, rispecchiamento, nomina. Cercano

adulti competenti, cioè incorruttibili, dai quali essere pensati, dai quali verificare di essere voluti, adulti che li abbiano in mente e che sentano nei loro confronti una missione educativa, se sono geni-tori, insegnanti o educatori, che abbiano quindi una relazione di particolare inten-sità e una specie di vocazione per quel tipo di mestiere.

l’idenTiKiT del doCenTe ideale

Ho fatto una ricerca per una scuola dove c’erano una cinquantina di docenti. Ho chiesto ai ragazzi le loro preferenze e in base a quale graduatoria o quali carat-teristiche venivano formulate. Mi hanno indicato cinque persone “leggendarie” e allora ho domandato loro cosa avessero questi adulti per essere così apprezzati e ammirati. Non è semplice delineare l’identikit del docente adulto che va per la maggiore, ma certamente ha delle caratteristiche peculiari, anche se dif-ficili da definire univocamente perché il quadro di riferimento è molto complicato e articolato.

I ragazzi erano molto colpiti di incon-trare adulti che abbiano la passione, e che non abbiano solo il contatto con la realtà istituzionale ed economica, ma una relazione di straordinaria intensi-tà con la disciplina che insegnano, col mestiere che fanno, con la relazione che devono riuscire a sviluppare. Insomma adulti un po’ fuori di testa, convinti che se riuscissero a realizzare il loro obietti-vo, cioè fare gruppo, trasmettere il sa-pere, il mondo cambierebbe e i ragazzi sarebbero contenti. Questo affascina i ragazzi: trovare un adulto appassionato del proprio mestiere è una cosa che li sorprende, che fa ritenere loro che vada assolutamente frequentato, e che, con quell’adulto, sarebbe bellissimo riusci-re a stabilire una relazione, perché è un adulto straordinariamente disponibile a pensarli, cioè in qualche modo a iden-tificarsi con le loro ragioni, ma non per dargliele vinte, anzi per riuscire a contra-

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starli nelle loro paure, nei loro timori o nei loro conflitti e aiutarli a trovare la verità.

Analizziamo che tipo di adulto si profila dai dati della ricerca. L’obiettivo dovreb-be essere quello di convocare gli adulti della loro vita, del loro ecosistema di ap-partenenza. La scelta teorica e strategica non è stata quella di fare uno screening per individuare i ragazzi a rischio di bulli-smo e di vittimizzazione, e poi eventual-mente vedere di intervenire con diverse modalità proposte da diversi anni, ma invece quella di studiare il contesto, la cultura, i sistemi di rappresentazione, di qualificazione, di caratterizzazione dei vissuti, in parte verosimilmente riportabili a dei comportamenti, e la presentazione del significato e del senso dei comporta-menti che si stanno analizzando. Emerge che ci vuole l’adulto, per essere effetti-vamente efficaci nel contrastare la pre-varicazione, la violenza, la sopraffazione, la vittimizzazione portata avanti da un bullo, il più delle volte da piccoli gruppi che svolgono una funzione bullistica, sia nel cyberspazio che nella realtà concreta.

In base all’esperienza che ho accumu-lato in questo ambito, proverei a definire le caratteristiche dell’adulto che i ragazzi stanno cercando, quello che, quando viene intercettato, se effettivamente scende in campo, può esercitare la sua funzione ottenendo dei risultati interes-santi. Ai ragazzini piace moltissimo che nella mente di questo adulto che stanno cercando, si realizzi profondamente quel-lo che non c’è il più delle volte nella realtà nella quale vivono. Cercano un adulto che abbia stabilito nella propria mente una buona alleanza tra scuola e famiglia, che è uno dei momenti più complicati nella relazione tra le due istituzioni, quindi un adulto che abbia in mente una visione sistemica della questione.

Nel caso di conflittualità fra i ragazzi, se non c’è una coesione, condivisione dell’obiettivo educativo, non didattico, non formativo, soprattutto nelle emer-genze, e il bullismo è una emergenza, gli adulti vengono convocati per vedere di abbassare il livello di conflittualità e di dolore, trovare un soluzione intelligente, organizzare una pace conveniente fra i

gruppi, i sottogruppi, quelli che si godono lo spettacolo e quelli che ne soffrono, quelli che sono costretti ad esercitare il loro ruolo, la loro parte. Un adulto quindi, che abbia come criterio di riferimento, quello di contribuire, perché dentro di lui c’è una nuova alleanza educativa tra scuola e famiglia; un adulto che abbia nella propria mente la certezza di ciò di cui si sta parlando.

Serve un adulto che abbia una con-cezione gruppale del fenomeno, cioè che dia per scontato che sta parlando con quel determinato ragazzo, con quei determinati ragazzi, che fanno integral-mente parte di relazioni di gruppo; un adulto che è in grado di individuare il gruppo, di ricostruirne la morfologia e a delimitarne i confini. Quindi un adulto competente che lavora con preadole-scenti non può non pensare che l’ado-lescente con cui parla, fa integralmente parte di una rete di relazioni con alcuni suoi coetanei, collocati in una relazione più o meno asimmetrica di potere, di relazione, di fascino, di popolarità, ma che fa parte di questo insieme e ne è in qualche modo il portavoce.

Se si vuole capire e proporre una ri-sposta, una soluzione intelligente, biso-gna tener presente che si tratta di una dimensione gruppale. Ai ragazzi piace imbattersi in adulti che non pensano che loro siano dei soggetti isolati, ma che, al contrario, hanno radici profonde nella realtà della loro generazione, te-stimoniata e documentata dalla realtà dell’appartenenza alla rete dei loro amici, dei loro coetanei. Un adulto competente che ha profondamente in mente che ciò di cui si parla, quindi il bullismo, la violenza, la sopraffazione, l’impossibi-lità dell’identificazione, il nuocere a un altro soltanto perché rappresenta quel-la parte di te che non riesci a pensare, che ti è intollerabile, la difficoltà nella definizione dell’identità di genere, la ti-midezza esagerata, la dipendenza dalla propria madre, dagli adulti che viene criminalizzata e penalizzata nell’altro, solo perché la configura, la esprime, la documenta in un modo tale da istituirsi come possibile vittima di chi, al proprio

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interno, non tollera di dover fare i conti con le proprie dipendenze, con le proprie inibizioni, con le proprie preoccupazioni.

Un adulto che abbia al proprio interno la consapevolezza che si tratta di una dimensione evolutiva, di fenomeni che caratterizzano i bambini, i preadolescenti e gli adolescenti e che quindi, anche se in modo distorto, c’è un tentativo, più o meno disperato e controproducen-te, di realizzare una marcia evolutiva, di risolvere un problema di percorso, di individuazione, di soggettivazione, di va-lorizzazione del Sé, di nascita sociale, di distribuzione dei ruoli e delle funzioni, di organizzare con la prepotenza, o col potere della forza la società dei coetanei. Un adulto competente che sa che in ogni gruppo umano, anche un gruppo classe, anche una squadra di calcio o di pallavo-lo, anche un gruppo di amici, di coetanei legati da sentimenti, da emozioni, da una storia comune, dalla condivisione di valori, è sempre un organismo vivente che è esposto al rischio di pensare con modalità primitive e ha sempre la pos-sibilità di diventare una specie di banda che deve andare a caccia del nemico per esercitare il proprio potere, per delimi-tare i propri confini, per riconoscersi in un progetto. Un adulto competente che non è arrendevole, che non è seducibile rispetto alla violenza che il singolo o che il piccolo gruppo esercita nei confronti delle proprie vittime, ma che è consape-vole che tutto questo può succedere in certi contesti, in cui, quello che manca è proprio l’adulto competente, che per mo-tivi organizzativi, non per una strategia educativa, è come se avesse lasciato uno spazio, antropologico, a volte logistico, non presidiato dalla cultura e dalla com-petenza degli adulti. È come se la mafia del bullo nascesse nei territori dove lo stato non riesce a far valere il diritto e il ricorso alla prepotenza o la protezione dei bulli, da parte di quelli più deboli o di quelli che hanno paura di incappare nelle rappresaglie e nelle estorsioni del bullo, dipendesse dal fatto che non c’è la magistratura, non c’è la polizia, non c’è lo Stato.

È chiaro che viene invocato il ritorno

dell’adulto competente, il ritorno di una magistratura che indaghi, che riconosca, che sappia dirimere le questioni, che eviti che si ricorra alla vendetta privata come modo per risolvere un conflitto, o che eviti che si ricorra al piccolo gruppo dei bulli per ottenere giustizia e rispetto alle prevaricazioni ordite da un altro gruppo. Quindi l’adulto arriva perché i ragazzi ritengono che se è competente, sa or-ganizzare una sanzione per coloro che hanno trasgredite le regole fondamentali della solidarietà, della convivenza, del benessere a scuola, della formazione del gruppo, del rispetto della libertà e dell’autonomia dell’altro.

L’adulto competente sa organizzare una sanzione che non sia mortificante, ma che sia funzionale alla stimolazione della crescita, e raccogliendo l’intenzio-ne del comportamento, che è quella di crescere, di esercitare un’azione trasfor-mativa sul mondo, la prende e offre la possibilità di realizzarla con delle mo-dalità che non siano violente, prevari-catrici, incapaci di identificarsi col diritto dell’altro; e raccoglie anche il dolore, la mortificazione della vittima e lo fa di-ventare una risorsa, un’esperienza che va opportunamente elaborata, pensata, valorizzata, perché c’è dentro il dolore della mortificazione subita, ma anche la speranza, e allora può diventare uno strumento di conoscenza importante per il processo creativo ed evolutivo.

Un adulto competente dovrebbe ave-re, e il più della volte ha, la capacità di essere straordinariamente interessato all’azione educativa individualizzata di un piccolo gruppo e di un contesto; quin-di viene riconosciuto dagli adolescenti come l’interlocutore necessario, il vero contrasto all’eventualità che dei ragazzini prepotenti si sostituiscano agli adulti, ed esercitino un loro potere che non ha le finalità che può avere invece l’adulto competente, che interviene nel campo, riorganizza la distribuzione del potere, eroga sanzioni che siano funzionali alla crescita, che inibiscano o che impedi-scano di avere accesso agli strumenti che sono assolutamente indispensabili alla crescita.

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Gorizia, Scuola materna “Rosa Agazzi”, Fiabe infantili, 1964 decorazione parietale, graffito e pittura a secco su intonaco, particolare.

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il rUolo della FaMiglia

Questa ricerca non ha investito le rap-presentazioni dei genitori, della famiglia. Sul piano della ricerca la scelta è legitti-ma, ma sul quello dell’intervento la fa-miglia assume notevole importanza: se i ragazzini, si trovano in difficoltà, quando gli strumenti convenzionali della vita di gruppo non sono sufficienti ad elaborare pacificamente il conflitto, convocano gli adulti e fra questi adulti ci sono il padre e la madre. La funzione auspicabile del padre nei confronti del proprio figlio che si scopre essere abitualmente vittima di uno o più coetanei, è un compito molto arduo, molto difficile. Quando si inter-

viene, l’intervento educativo da parte della famiglia è davvero indispensabile, necessario, e sarebbe utilissimo che av-venisse in concertazione con l’intervento educativo che nel frattempo i docenti portano avanti a scuola. Il momento del-la rottura del patto, è quello in cui si deve rinserrare l’alleanza educativa fra scuola e famiglia, la condivisione, la rilettura degli eventi in corso, la condivisione del modo di rappresentarsi e di proporre il significato degli eventi ai ragazzi.

Il padre della vittima ha un compito difficile perché i ragazzini vittimizzati non ne parlano con gli adulti di riferi-mento ma il più delle volte chiudono nel riserbo, nel dolore soffocato, in un urlo silenzioso senza parole, il dolore terribile della umiliazione e della mortificazione Gorizia, Scuola materna

“Rosa Agazzi”, Fiabe infantili, 1964 decorazione parietale, graffito e pittura a secco su intonaco, particolare.

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sociale, in un momento della loro cresci-ta in cui il fatto di valere, e di non essere umiliati e mortificati, ma di essere valo-rizzati, è ovviamente fondamentale. L’es-sere mortificati al cospetto dell’occhio dei coetanei, che è il giudice supremo a quell’età, infligge un dolore narcisistico legato alla mortificazione che non dà accesso alla parola. Si preferisce allo-ra rispondere “così così” , “abbastanza bene” alla domanda “come è andata a scuola?” perché è difficile dire il dolore della mortificazione, dell’umiliazione, so-prattutto quando l’umiliazione è ovvia-mente consumata al cospetto degli altri coetanei e ha anche una connotazione fisica, cioè di violazione dell’integrità. Quando il padre viene a sapere che sta succedendo tutto questo, e ha il compi-to di elaborare la vergogna, l’umiliazione e la mortificazione che sperimenta il figlio, illudendosi che si possa risolvere attraverso la vendetta, iscrivendolo ad un corso di difesa personale e facendole pagare occhio per occhio, dente per den-te, non siamo nell’area delle proposte educative paterne, se il padre propone di trasformare la vittima in un bullo.

Elaborare la vergogna significa met-tere in risalto proprio quegli elementi del carattere, della personalità, che su una scena sociale primitiva, quella della relazione con i propri coetanei, possono comportare il rischio della vittimizzazio-ne e della denigrazione, quelle caratteri-stiche umane fondamentali, straordina-riamente importanti e privilegiate per-ché si possa addivenire alla formazione di una persona grande, adulta, capace, buona, in grado di identificarsi col dolore del mondo e trovare una soluzione cre-ativa. A volte è difficile valorizzare quegli aspetti che per altri coetanei sono in-tollerabili, e sono quindi all’origine della vittimizzazione, ma agli occhi del padre invece, possono diventare gli elementi dell’orgoglio, che satura la perdita di autostima che la vittimizzazione com-porta, ridà dignità e valore, e consente di ritornare sulla scena sociale con un’au-tostima diversa. Basta non aver paura di ritornare a trovarsi in una situazione di umiliazione e mortificazione sociale,

perché le cose cambino un po’. Invece la mamma del bullo, cosa deve fare del suo ragazzino prepotente? Qual è l’in-tervento auspicabile?

L’esperienza di lavoro con i genitori dei bulli e delle vittime, sempre tenendo presente che stiamo parlando di eventi che si consumano dentro un ambito di condivisione, e che le mamme dei bulli e le mamme delle vittime sentono profondamente di essere davvero nella stessa barca, evidenzia che hanno tutti e due un problema educativo che non si risolve con la denuncia dell’uno nei confronti dell’altro, ma anzi con un sur-plus di competenza e azione educativa, stringendo ancora di più il legame tra adulti, incontrandosi tra mamme, papà e docenti, non per litigare e denunciarsi reciprocamente, ma per inventare cre-ativamente una soluzione educativa al problema che si è venuto a creare tra i loro ragazzi, tutti quanti in difficoltà, chi perché è la vittima, chi perché è il bul-lo, chi perché fa l’osservatore e si gode la scena senza riuscire a sviluppare un sentimento etico che lo rende capace di intervenire e risolvere col potere dei coetanei.

La madre del bullo ha un compito complicato, il cui obiettivo deve essere accompagnare il proprio figlio nella fa-miglia della vittima a raccontare chi è, e perché. Raccontare la propria storia e definire i propri pensieri è una cosa fon-damentale per i ragazzini violenti, perché è l’unica soluzione per smettere di tra-sformare in azioni la loro paura, facendo paura agli altri, è quella di trasformare le azioni in racconto. E chi più della mam-ma della propria vittima è interessata a sentire raccontare la storia della propria vita da parte del bullo che ha infierito sul proprio figlio? Riuscire a concorda-re assieme un processo che non può sfuggire a questa rete, ritorna nel lavoro dell’adulto competente. Il docente, nella classe dove si sono verificati gli eventi e continuano a perdurare segretamente fenomeni di prevaricazione degli uni nei confronti degli altri, si focalizzerà sulla gruppalità, sul sistema, su dei ragazzi in età evolutiva, cercando di aiutarli a

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sviluppare la capacità di indentificarsi con le ragioni dei propri avversari per organizzare una pace conveniente.

In questa prospettiva l’adulto compe-tente sia in classe, sia in famiglia, non fa altro che organizzare un’educazione alla pace, che non può che nascere dal-la prospettiva di identificarsi davvero con le ragioni del proprio avversario, riconoscendo che non è la distruzione dell’avversario o solo la sua punizione ciò che consente di riportare la pace in famiglia e nel gruppo, ma una vera e so-stanziale democratica identificazione in correlazione di tutti. Queste sono parole retoriche e utopiche, però l’educazione è questo: educazione significa aiutare i

ragazzi a sviluppare capacità critiche, co-gnitive, competenze sociali. Ma quando parliamo di bullismo, stiamo parlando del crollo, del deficit della capacità di identificazione col dolore delle proprie vittime, ed è questo allora l’obiettivo, quello di aumentare la capacità di iden-tificarsi col dolore della vittima, da parte degli osservatori, da parte dei bulli, da parte di tutti i genitori della scuola, da parte del docente che dirige il traffico.

Gustavo Pietropolli CharmetPsicoanalista e psichiatragià Docente di Psicologia DinamicaUniversità “Bicocca” di Milano

Gorizia, Scuola materna “Rosa Agazzi”, Fiabe infantili, 1964 decorazione parietale, graffito e pittura a secco su intonaco, particolare.

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BiBliograFia

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Pietropolli Charmet G., Cosa farò da grande? Il futuro come lo vedono i nostri figli, Laterza, Bari, 2012.

Pietropolli Charmet G., La paura di essere brutti. Gli adolescenti e il corpo, Raffaello Cortina, Milano, 2013.

Scaparro F., Pietropolli Charmet G., Belletà. Adolescenza temuta, adolescenza sognata, Bollati Boringhieri, Torino, 1993.

noTe

1 Questo articolo è la trascrizione dell’intervento che il prof. Pietropolli Charmet ha tenuto al convegno ”Bulli e vittime: una lettura del

fenomeno nelle scuole del territorio”, svoltosi il 1 dicembre 2012 a Maniago, organizzato dall’Ambito Distrettuale Nord 6.4

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ORIENTAMENTO E SCUOLA

il CYBerBUllisMoPREPOTENZE REALI IN UN MONDO VIRTUALE

Tiziana Pozzoli, Gianluca Gini

Le prepotenze elettroniche possono essere attuate mediante diversi canali, dai messaggi via cellulare ai video su internet o su cellulare, dai social network alle chat-room

inTrodUzione

Il numero di bambini e adolescenti che utilizzano Internet è in rapida cre-scita. In un’indagine condotta nel 2012, l’Istat ha confermato una crescente dif-fusione di personal computer nelle fa-miglie italiane; il 55.5% possiede infatti un accesso Internet e la percentuale cresce al 79% se nelle famiglie è presen-te un minorenne. A questo fenomeno si associa una sempre maggiore diffu-sione di telefoni cellulari e smartphones tra gli adolescenti, che consentono una connettività praticamente illimitata.

I ragazzi possono compiere numerose attività su Internet, dal gioco, alla ricerca di informazioni, allo studio, al contatto sociale con i propri amici e conoscenti. Le nuove tecnologie, quindi, offrono a chi ne fa uso grandi opportunità, spe-cialmente da un punto di vista comu-nicativo e relazionale, ma nello stesso tempo espongono i giovani utenti a nuovi rischi. Infatti, insieme al ricono-scimento dei numerosi benefici asso-ciati all’utilizzo di questa tecnologia è cresciuta l’attenzione e la sensibilità per i possibili rischi, messi in luce sia dalla letteratura scientifica che dai casi di cronaca, che possono essere associa-ti ad un utilizzo improprio di Internet. Tra questi, il cyberbullismo, o bullismo elettronico, ha attirato l’attenzione di ricercatori, educatori e genitori.

Il cyberbullismo è infatti una for-

ma relativamente recente di bullismo che si sta rapidamente diffondendo tra i ragazzi e che consiste nell’uso di internet o del telefono cellulare per commettere prepotenze ai danni dei coetanei. Le modalità attraverso cui le nuove tecnologie possono essere usate per prevaricare sono molteplici: l’uso di messaggi ingiuriosi o minac-ciosi inviati attraverso il telefono cel-lulare, la realizzazione e diffusione di fotografie e video a danno delle vittime attraverso cellulari e internet, l’invio di e-mail o istant messaging minatori od offensivi, la prevaricazione attuata nelle chat-room attraverso offese, calunnie o isolamento dalla conversazione. Oltre a queste tipologie di cyberbullismo, con il crescente successo dei social network (es. Facebook, Twitter) si è assistito di recente anche alla creazione di gruppi mirati a prevaricare i compagni.

Il cyberbullismo rappresenta per molti versi un fenomeno relativamente nuovo e i ricercatori non hanno ancora rag-giunto un consenso su diversi aspet-ti di questo problema, a partire dalla sua definizione. Peter Smith e colleghi (2008), ad esempio, hanno definito il bullismo elettronico come un atto ag-gressivo intenzionale, messo in atto da un individuo o da un gruppo di individui usando varie forme di contatto elettro-nico, ripetuto nel tempo, nei confronti di una vittima che non può facilmente difendersi. Willard (2004), focalizzandosi

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Gorizia, Palazzo Attems Santa Croce – Municipio, scalone Sala consiliare, Storie della Contea di Gorizia, 1965 decorazione parietale, graffito e pittura a secco su intonaco, particolare.

soprattutto sulla dimensione sociale del problema, ha descritto il cyberbullismo come una serie di azioni crudeli attuate mediante l’invio o la pubblicazione di materiale nocivo, attraverso l’utilizzo di Internet o di altre tecnologie digitali. Più di recente, il cyberbullismo è sta-to definito da Tokunaga (2010) come un comportamento attuato mediante mezzi elettronici o digitali da parte di un individuo o di un gruppo che con-siste nella comunicazione ripetuta di messaggi ostili o aggressivi destinati a infliggere danno o disagio ad altre persone.

CaraTTerisTiCHe del CYBerBUllisMo

Il cyberbullismo presenta alcune caratteristiche peculiari. Infatti, men-tre per alcuni aspetti è paragonabile al bullismo tradizionale, esistono del-le caratteristiche distintive da tenere in considerazione quando si parla di questo fenomeno specifico. Per quanto riguarda il bullismo tradizio-nale, tre sono le caratteristiche che permettono di identificarlo e, con-temporaneamente, distinguerlo da

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forme di comportamento aggressivo che non rientrano in questa catego-ria: l’intenzionalità, la persistenza nel tempo e l’asimmetria di potere tra il bullo e la vittima (per un approfondi-mento si veda Caravita e Gini, 2010).

Per quanto riguarda l’intenzionalità, sappiamo che alla base delle prepo-tenze vi è il desiderio deliberato di controllare gli altri, di provocare un danno fisico o psicologico alla vittima e, in ultima istanza, di acquisire una posizione dominante nel gruppo. Per questo, il bullismo viene descritto come una forma di aggressione pro-attiva, diretta ad ottenere uno scopo, un obiettivo di tipo strumentale-per-sonale e distinta, pertanto, da azioni aggressive provocate e quindi reatti-ve. Tuttavia, mentre nel bullismo tra-dizionale è relativamente immediato leggere l’intenzionalità nelle azioni del bullo, nel cyberbullismo questo aspetto risulta meno chiaro. Infatti, la distanza interposta dalla tecnologia, rende meno visibili o meno salienti le conseguenze negative provocate dall’atto di cyberbullismo, limita la risposta di condivisione empatica del dolore dell’altro e nel contempo può rendere meno consapevole il cyber-bullo del reale peso del proprio comportamento di prevaricazione. Come sottolineato da Menesini e Nocentini (2009), la natura indiretta del cyberbullismo rende più difficile la valutazione dell’intenzionalità o della natura reattiva dell’attacco.

La ripetizione nel tempo delle pre-potenze è considerata unanimemen-te uno dei criteri per distinguere il bullismo da altre forme di comporta-mento aggressivo. Un vivace dibatti-to è però nato quando si è cercato di comprendere se tale aspetto potesse essere considerato fondamentale anche nella definizione del bullismo elettronico, come è possibile riscon-trare anche nelle diverse definizioni riportate nel paragrafo preceden-te. Se pensiamo alle caratteristiche della comunicazione virtuale, anche un solo messaggio, un video o una

foto divulgati a molte persone at-traverso Internet o telefoni cellulari possono arrecare un profondo danno alla vittima, indipendentemente dalla ripetizione dell’atto. Infatti, questo materiale può essere visto e inviato da molte persone in tempi diversi e rimane disponibile nel cyberspazio per lungo tempo, dilatando ipoteti-camente all’infinito l’offesa subita. Per questo, secondo alcuni ricerca-tori (es., Kowalski, Limber e Agatston, 2008), la reiterazione delle condotte è poco rilevante nel caso del cyber-bullismo, dato che già la possibilità che un pubblico molto vasto visioni il materiale può essere considerata co-me un indice di ripetizione, in quanto una singola azione può oltrepassare, grazie alle tecnologie, ogni limite di spazio e tempo.

Oltre alla dimensione temporale, il cyberbullismo si distingue dal bulli-smo tradizionale anche per la dimen-sione contestuale. Gli attacchi, infat-ti, non si limitano più esclusivamente al contesto scolastico per terminare, almeno temporaneamente, una volta usciti dal contesto stesso. Nel caso del bullismo elettronico, la vittima può continuare a ricevere messaggi o e-mail dovunque si trovi, anche nei momenti e nei luoghi in cui i prepo-tenti non sono fisicamente presenti, e questo rende molto più difficile, alle volte impossibile, sfuggire da questi attacchi (Tokunaga, 2010).

La terza caratteristica centrale nella definizione di bullismo è quella della differenza di forza fisica o psi-cologica tra chi compie prepotenze e la vittima, che subisce la situazione e non riesce a difendersi. Anche nel cyberbullismo viene evidenziata una differenza di potere fra l’aggresso-re e la vittima, ma mettendo in luce aspetti peculiari. Patchin e Hinduja (2006), ad esempio, parlano di dif-ferenze relative alle conoscenze in-formatiche, che consentirebbero, ad esempio, al bullo di decidere e con-trollare gli argomenti di discussione nei forum, di pubblicare messaggi de-

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nigranti o escludere qualcuno dall’ac-cesso a un sito. Altri autori, invece, intendono lo squilibrio di potere co-me l’incapacità o la difficoltà per la vittima di fermare determinati atti di bullismo (Rauskauskas e Stolz, 2007).

Un’altra caratteristica peculiare del cyberbullismo che permette di distinguerlo da altri fenomeni di ag-gressione e dal bullismo tradizionale (Kowalski e colleghi, 2008) è la mag-giore difficoltà di identificazione del possibile aggressore o aggressori. In altre parole, le modalità attraverso cui il cyberbullismo viene attuato rendono molto difficile per la vitti-ma conoscere l’identità e il nume-ro degli autori di tali prepotenze e, ancor più, poterli denunciare (pen-siamo, ad esempio, alla difficoltà di rintracciare la fonte originaria di un sms offensivo diffuso ai danni di un compagno e inviato di cellulare in cellulare). Queste caratteristiche del cyberbullismo aumentano inevi-tabilmente i vissuti di insicurezza e i sentimenti di impotenza di chi ne è vittima. Numerose ricerche han-no evidenziato come un’alta per-centuale di cybervittime (dal 40 al 60%) non conosce l’identità del suo aggressore, specialmente quando le prepotenze avvengono solo tramite internet (Yabarra e Mitchell, 2004). La percentuale si abbassa al 22% per quanto riguarda invece le ag-gressioni elettroniche agite attra-verso i cellulari.

La dimensione dell’anonimato, o comunque di un certo grado di in-visibilità, è interessante anche se analizzata dal punto di vista di chi attua prepotenze. Infatti, questa caratteristica, aggiunta alla distanza fisica che la tecnologia interpone tra il prevaricatore e la vittima, può far sì che anche ragazzi che esitereb-bero ad aggredire in contesti reali trovino il coraggio di farlo nell’am-biente virtuale, ad esempio nascon-dendosi dietro un nickname (Yabarra e Mitchell, 2004). I dati presenta-ti nello studio di Smith e colleghi

(2008) vanno a sostegno di questa ipotesi, mostrando come il 25% dei ragazzi classificabili come cyber-bulli non erano bulli anche a scuola. Vi sono quindi ragazzi che pur non prevaricando nelle interazioni faccia a faccia si rendono autori di preva-ricazioni attraverso le tecnologie.

Un ultimo aspetto importante da tenere in considerazione riguarda “il pubblico”. I ricercatori che si oc-cupano di bullismo sono concordi nel descriverlo come un fenomeno di gruppo, in cui anche chi osserva assume un ruolo importante per il mantenimento o l’interruzione delle prepotenze a seconda dei compor-tamenti che gli spettatori decidono di adottare (sostenere o aiutare il bullo, difendere la vittima, osservare passivamente senza fare nulla; Cara-vita e Gini, 2010). Nel cyberbullismo il pubblico di cui dispone il bullo è potenzialmente molto più vasto, ba-sti pensare quante condivisioni può raggiungere un video caricato su un sito o su un social network. Stesso discorso vale per un messaggio o un video inviato tramite cellulare, che può passare di telefono in telefono raggiungendo anche persone al di fuori del contesto di cui il bullo e la vittima fanno parte.

Questa peculiarità, ossia l’ampli-ficazione dell’audience, ci spinge a interrogarci su quale sia il ruolo che gli utenti delle tecnologie assumono rispetto al verificarsi, anche quando non ne sono direttamente coinvolti come bulli o vittime. Un ragazzo che riceve e ritrasmette un’immagine di prepotenza o che visita un sito in cui sono presenti filmati di cyberbul-lismo può essere considerato uno spettatore passivo dell’accaduto o si configura piuttosto come so-stenitore o aiutante del bullo? La possibilità di individuare anche in questo ambito ruoli differenti di par-tecipazione al bullismo rappresenta una delle frontiere di approfondi-mento di questo fenomeno ancora poco esplorato.

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le diVerse ForMe di CYBerBUllisMo

Come abbiamo precedentemente accennato, le prepotenze elettroniche possono essere attuate mediante di-versi canali, dai messaggi via cellulare ai video su internet o su cellulare, dai social network alle chat-room. In questa sezione vogliamo approfondire le diverse tipologie che possono essere attuate per mezzo di questi canali:l Flaming: un flame (termine inglese

che significa “fiamma”) è un messag-gio deliberatamente ostile e provo-catorio, scritto in modo violento e volgare, inviato da un utente a uno o più individui allo scopo di suscitare conflitti verbali all’interno della rete tra due o più utenti.

l On-line harassment: molestie attuate attraverso l’invio ripetuto di messag-gi offensivi per e-mail o messaggio.

l Cyber sexual harassment: la vitti-ma viene molestata per mezzo di materiale (video, foto, messaggi) a contenuto sessuale o pornografico.

l Cyberstalking: invio ripetuto di messaggi che includono esplicite minacce fisiche, al punto che la vit-tima arriva a temere per la propria incolumità.

l Denigrazione: invio di messaggi o pubblicazione all’interno di comuni-tà virtuali quali forum di discussione, newsgroup, blog o siti Internet di pettegolezzi e commenti crudeli, calunniosi, offensivi, denigratori allo

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scopo di danneggiare la reputazione o i rapporti sociali della vittima

l Outing estorto: il cyber-bullo entra prima in confidenza con la vittima, scambiando con essa informazioni intime e/o private, e una volta otte-nuta la sua fiducia e le informazioni, le diffonde tramite mezzi elettroni-ci (es., pubblicazione su social net-work, blog, condivisione di foto e messaggi via cellulare).

l Impersonificazione: in questa forma di cyberbullismo, il bullo si crea un’i-dentità fittizia. Può farlo allo scopo di entrare in contatto con la vitti-ma e ottenere informazioni private che userà contro di lei. Oppure può creare, ad esempio sui vari social network, profili-utente fasulli con il

nome della vittima, mandando poi messaggi offensivi a terzi a nome suo. Infine, qualora il cyberbullo riesca a venire in possesso della password della vittima, può utiliz-zarla per poi cambiarla e negare l’accesso alla vittima al suo stesso profilo, continuando ad utilizzarlo per screditarla.

l Esclusione: estromissione inten-zionale di una persona dal proprio gruppo di amici, da una chat o da un gioco online.

l Happy slapping: (tradotto in: schiaffo allegro): la vittima viene colpita da un compagno, videoripresa da un altro, dopo di che il filmato viene fatto circolare tramite telefonini o in rete.

Gorizia, Palazzo Attems Santa Croce – Municipio, scalone Sala consiliare, Storie della Contea di Gorizia, 1965 decorazione parietale, graffito e pittura a secco su intonaco, particolare.

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gli inTerVenTi

Nel corso degli anni, la ricerca psico-logica ha elaborato numerose proposte volte a prevenire e ridurre il fenomeno del bullismo. La gran parte di queste proposte, pur nelle loro differenze spe-cifiche, sono accomunate dall’idea che la natura multidimensionale del bulli-smo richieda interventi a diversi livelli, anziché interventi focalizzati solo sulla relazione disfunzionale bullo-vittima. In particolare, viene rimarcata la necessità di progettare interventi secondo un ap-proccio ecologico e sistemico in grado di attivare cambiamenti nel clima generale della scuola, nelle norme e nei valori del gruppo, invece di focalizzarsi esclusiva-mente sui bambini bulli e vittime.

A fianco dei tradizionali interventi uti-lizzabili nei confronti del fenomeno del bullismo (si veda Gini e Pozzoli, 2011), il fenomeno richiede alcune strategie specifiche, che possono essere così sche-maticamente riassunte:

l favorire l’acquisizione di consape-volezza: ancora oggi molti ragaz-zi e adulti non sono pienamente consapevoli dei potenziali pericoli connessi all’uso delle nuove tecno-logie della comunicazione. Il primo passo importante è l’aumento della conoscenza di come funzionano questi media e dei possibili com-portamenti a rischio;

l fornire agli studenti e agli adulti le conoscenze per riconoscere i com-portamenti di cyberbullismo, non-ché sulle loro possibili implicazioni legali;

l fornire ai genitori e agli educatori le conoscenze su come monitorare l’attività dei ragazzi su internet;

l creare politiche e procedure mirate alla prevenzione del cyberbullismo all’interno di un più generale pro-getto antibullismo;

l creare le condizioni affinché gli studenti possano denunciare gli episodi di cyberbullismo che subi-scono o di cui sono a conoscenza (la maggior parte degli episodi non viene denunciata);

l concordare con studenti e genitori regole chiare riguardo all’uso del-le tecnologie (cellulare, internet) a scuola;

l prevedere specifiche conseguenze disciplinari per coloro che fanno un uso scorretto delle tecnologie a scuola per prevaricare gli altri compagni;

l prevedere un percorso di sostegno per le vittime, che tenga conto del loro livello di disagio psicologico (paura, ansia, solitudine, ecc.) e del grado di isolamento o, viceversa, supporto nel gruppo dei coetanei.

Tiziana PozzoliDipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione Università degli Studi di PadovaGianluca GiniDipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione Università degli Studi di Padova

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BiBliograFia

Caravita, S., Gini, G., L’(im)moralità del bullismo, Milano, Unicopli, 2010.

Gini, G., Pozzoli, T., Gli interventi antibullismo, Roma, Carocci, 2011.

Kowalski, R. M., Limber, S. P., & Agatston, P. W., Cyberbullying: Bullying in the digital age. Oxford, UK, Blackwell, 2008.

Menesini, E., & Nocentini, A., Cyberbullying definition and measurement: Some critical considerations, Journal of psychology, 217, 230-232, 2009.

Patchin, J. W., & Hinduja, S., Bullies move beyond the schoolyard: A preliminary look at cyberbullying. Youth Violence and Juvenile Justice, 4, 148-169, 2006.

Smith, P. K., Mahdavi, J., Carvalho, M., Fisher, S., Russell, S., & Tippett, N., Cyberbullying: Its nature and impact in secondary school pupils. Journal of Child Psychology and Psychiatry, 49, 376-385, 2008.

Tokunaga, R. S., Following you home from school: A critical review and synthesis of research on cyberbullying victimization. Computers in Human Behavior, 26, 277-287, 2010.

Raskauskas, J., & Stoltz, A. D., Involvement in traditional and electronic bullying among adolescents. Developmental Psychology, 43, 564-575, 2007.

Willard N., ‘An educator’s guide to cyberbullying and cyberthreats’, 2004. http://miketullylaw.com/library/cbcteducator.pdf

Gorizia, Palazzo Attems Santa Croce – Municipio, scalone Sala consiliare, Storie della Contea di Gorizia, 1965 decorazione parietale, graffito e pittura a secco su intonaco, particolare.

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aPPrendiMenTo aUTo-gUidaTo CoMe esPerienza di ViaggioALCUNE RIFLESSIONI SULLA SUA COLLOCAZIONE NEL TERRITORIO DEI PROCESSI FORMATIVI

Luciano Arcuri

Possiamo concepire l’apprendimento auto-guidato come una forma attiva di apprendimento nel quale gli allievi diventano sempre più competenti nel progettare il loro ambiente di apprendimento

inTrodUzione

La tematica dell’apprendimento au-to-guidato è affrontata a partire dalla sperimentazione proposta da Sugata Mitra nel contesto di interventi mirati a proporre l’uso di Internet in realtà scola-stiche prevalentemente caratterizzate da sottosviluppo e carenze strutturali. Le riflessioni si allargano successiva-mente ad una più generale analisi del fenomeno, ponendosi alcune doman-de di fondo a proposito delle modalità, delle competenze, dei processi coinvolti nell’apprendimento auto-guidato.

Proponendo un modello basato sull’a-nalisi delle funzioni in azione nelle varie fasi del processo di apprendimento, si individuano tre diversi scenari che ri-mandano all’esperienza del viaggio e che possono costituire una plausibile metafora dei ruoli, delle competenze, e degli strumenti operanti nelle pratiche educative e formative.

da doVe siaMo ParTiTi

Tutto è cominciato con una giornata di studio1 destinata ad affrontare il tema “Bambini, adolescenti e media: ricerche, proposte e applicazioni”. In occasione di quell’evento avevo avuto il compito di condividere con gli intervenuti alcune

riflessioni a proposito del ruolo di Internet nel dare corso a processi di auto-appren-dimento fondati su strategie capaci di nutrire e motivare la curiosità dei ragazzi. Mi era parso interessante affrontare que-sto impegno uscendo dalla tradizionale modalità di presentazione di un testo accompagnato da alcune diapositive nel formato di powerpoint: grazie proprio ad Internet ci eravamo collegati al sito www.ted.com, una piattaforma statunitense che contiene centinaia di contributi video registrati prodotti da TED ideas worth spreading e destinati a presentare delle brevi conferenze realizzate da esperti oratori sui più diversi temi dell’attualità politica, economica, scientifica e culturale.

In quel contesto avevo scelto una con-ferenza proposta da un esperto di edu-cazione di origine indiana, Sugata Mitra (2010), che si rivolgeva al pubblico di TED affrontando un tema dal titolo “The Child-driven education”. Il video iniziava con la seguente affermazione: ci sono po-sti sulla terra, in ogni nazione, dove per varie ragioni, buone scuole non possono essere costruite e dove buoni insegnanti non possono e non vogliono andare. In sostanza, Sugata Mitra sosteneva che in ogni paese della terra, e in particolar modo in quelli sottosviluppati, esistevano località in cui un buon insegnante non si sarebbe recato, dando corpo ad un problema paradossale: i bravi insegnanti non vogliono andare proprio in quei posti dove sarebbero più necessari.

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Mossa (GO), collezione privata, Farfalle, 1968 olio su tela, 50 x 60 cm.

Un CoMPUTer liBeraMenTe UTilizzaBile: l’inizio dell’ aUTo-aPPrendiMenTo

Era questo il motivo per cui Sugata Mi-tra aveva iniziato nel 1999 a proporre una sperimentazione molto semplice proprio a Nuova Delhi: in un quartiere emarginato della città aveva inserito in un muro un computer che rimaneva perennemen-te acceso e collegato ad Internet. Erano sufficienti quattro ore perché bambini e adolescenti, che erano casualmente tran-sitati in quel luogo e che non avevano mai visto o utilizzato un computer, fossero in grado di navigare in rete, di sfruttare le potenzialità delle più semplici risorse software operanti nel computer. Rinfran-cato da questi risultati, il pedagogista

indiano aveva proposto a dei bambini un computer con un’interfaccia vocale scaricabile gratuitamente da Windows, che consentiva loro di dialogare e spe-rimentare la loro competenza nell’uso della lingua inglese. Anche in questo caso i bambini lasciati completamente soli nella gestione dello strumento e respon-sabili nell’individuazione delle strategie di apprendimento da impiegare avevano dimostrato di acquisire in breve tempo le competenze linguistiche più sofisticate. Con consumata abilità divulgativa Sugata Mitra si addentrava in una panoramica di interventi basati sull’auto apprendimento che dimostravano, trasversalmente alle latitudini e alle zone di influenza lingui-stica e culturale, la spontaneità con cui il processo analizzato prendeva corpo.

Al di là delle singole esperienze realiz-zate, quello che emergeva era una con-cezione dell’istruzione come un sistema capace di auto-organizzarsi, entro il quale

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i processi di apprendimento diventavano un fenomeno emergente. Lo scenario di cui il pubblico di TED era testimone era quello di un uso intelligente della tecno-logia in grado di fornire le basi per una pedagogia definibile come “digitale”, ca-pace di tollerare l’errore, minimamente invasiva, connessa e auto-organizzata (Milojkovic, 1984).

La conferenza di Sugata Mitra rap-presentava una interessante, anche se “limitata”, apertura al mondo dell’auto-apprendimento, inteso dall’oratore preva-lentemente come una risorsa spendibile entro uno scenario di difficoltà eccezio-nale, quello rappresentato dal mondo dei poveri, delle periferie senza risorse, dei paesi con insufficienti strutture sco-lastiche. Ma l’auto-apprendimento è un processo e una pratica rinvenibile nei contesti più diversi e capace di coinvol-gere gli attori sociali più eterogenei.

doVe si siTUa l’aPPrendiMenTo aUTo-gUidaTo?

Vale la pena, allora, di uscire dall’af-fascinante ma circoscritta descrizione proposta dallo scienziato dell’educa-zione indiano e tentare una ragionata e più generale analisi del fenomeno, ponendosi alcune domande di fondo. Quante forme di apprendimento auto-guidato possiamo distinguere? Quali diverse abilità sono ascrivibili ad allievi e ad insegnanti o consiglieri coinvolti nel processo? Quali sono gli elementi che garantiscono il successo negli ambienti di apprendimento? Quali sono le abilità e gli atteggiamenti da spendere negli specifici ambienti di apprendimento auto-guidato? Per rispondere almeno ad alcune di queste domande sembra innanzitutto opportuno rendere esplicito un approccio concettuale che intendia-mo seguire nel dare ragione dei processi interpretativi che consentono agli indivi-dui di sentirsi parte del tessuto sociale. Nella vita quotidiana, non sempre gli

individui hanno a disposizione una realtà definita da una struttura di informazio-ni pronta per essere impiegata (Hong, Morris, Chiu e Benet-Martínez, 2000).

Il più delle volte essi, proprio per dare senso alle esperienze di cui sono inter-preti o testimoni, devono impegnarsi in processi costruttivi e ricostruttivi. L’operazione non si esaurisce sul pia-no individuale: solitamente esiste un gruppo di riferimento, che ha la fun-zione di co-determinare e confermare la prospettiva da cui muove l’individuo. Questa spinta alla condivisione ha un importante esito: un rafforzamento del senso di identità, la ricerca di altre per-sone e l’attivazione di un processo di confronto sociale con queste. Se questa impostazione è plausibile, si può allo-ra ipotizzare che l’apprendimento è un processo sociale, interattivo, grazie al quale le persone costruiscono significati collettivi e sviluppano una prospettiva condivisa della situazione. Declinato sul versante del processo che stiamo affrontando, possiamo allora affermare che l’apprendimento, anche e forse so-prattutto nel caso di quello auto-diretto, è un processo sociale e interattivo. In termini più espliciti, l’apprendimento è quel processo grazie al quale le persone costruiscono significati collettivi, svilup-pano e danno forma alla loro prospettiva della situazione.

Nell’educazione e, più in generale, nella vita quotidiana ciò si traduce in un processo di inculturazione, ossia nel progressivo inserimento nel sistema di valori e prescrizioni comportamenta-li di una comunità di pratiche. In defi-nitiva, l’apprendimento è un processo contestuale e costruttivo, basato sul confronto e sull’interazione con altre prospettive.

Veniamo allora all’apprendimento auto-guidato: possiamo concepirlo co-me una forma attiva di apprendimento nel quale gli allievi diventano sempre più competenti nel progettare il loro ambiente di apprendimento. In questo contesto i processi di autoregolazione diventano un elemento cruciale del mo-dello adottato.

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le FUnzioni dell’aPPrendiMenTo

Il modo più sistematico con cui ana-lizzare i meccanismi dell’apprendimento auto-guidato pare essere quello sugge-rito da Simons (1989) il quale propone, quali elementi costitutivi del modello, l’insieme delle funzioni che devono es-sere rese operative nelle diverse fasi del processo di apprendimento: prima che questo avvenga, durante il suo svolgi-mento e dopo la sua conclusione, ad opera dell’allievo da solo o con il con-tributo e il supporto di altri. Alle tre fasi così definite possiamo dare un nome: la preparazione, l’esecuzione e la chiusura. Un individuo capace di apprendere in modo auto-diretto deve essere in grado di predisporre in maniera indipendente lo scenario del processo di apprendimen-to, in maniera indipendente deve dare corso alle funzioni esecutive, e sempre in maniera indipendente deve riuscire a chiudere il processo.

Sempre in relazione al modello pro-posto da Simons le tre fasi appena ci-tate possono essere scomposte in tre componenti: la cognitiva, l’affettiva e la metacognitiva.

Tanto per dare un’idea delle funzioni che devono essere attivate nella fase preparatoria del processo di apprendi-mento possiamo, a titolo di esempio, citare la mobilitazione delle conoscenze e le abilità possedute per gestire il nuovo compito, e in questo caso ci riferiamo alla componente cognitiva. Ma possia-mo citare il sentirsi impegnato in una sorta di sfida, e in questo caso facciamo riferimento alla componente affettiva. E infine possiamo citare la scelta di una strategia di apprendimento, e in que-sto caso rimandiamo alla componente metacognitiva della funzione attivata. Rimandiamo al lavoro di Simons per una classificazione e descrizione delle funzioni attivate nelle fasi esecutiva e di chiusura.

Ci pare interessante soffermarci, in-vece, sui modi diversi con cui le funzio-ni dell’apprendimento possono essere

organizzate, eseguite e controllate. Nel caso di un processo di apprendimento guidato sarà l’insegnante, il genitore, il manager, il counselor a prendersi cura e a mettere in azione le funzioni oppor-tune, mentre all’allievo verrà chiesto di eseguire dei compiti secondo le indica-zioni ricevute. Nel caso invece di un ap-prendimento auto-guidato sarà l’allievo a prendersi in carico in maniera consa-pevole le funzioni richieste. Infine, una situazione relativamente frequente sarà quella in cui si realizzerà una divisione dei compiti, in cui cioè allievo e insegnan-te avranno accesso e responsabilità di gestione di funzioni separate. Un altro possibile scenario è quello proposto da una modalità di apprendimento che pos-siamo definire esperienziale, quando le fasi di controllo e di esecuzione delle funzioni del processo di apprendimento si realizzano in maniera inconsapevole, nel corso delle esperienze di vita e di la-voro quotidiane, senza una attribuzione esplicita di responsabilità a specifiche persone (Vann, 1996).

l’aPPrendiMenTo e la MeTaFora del Viaggio

Per dare un senso più pregnante alla distinzione appena proposta forse vale la pena ricorrere ad una metafora: quella del viaggio. Le tre diverse forme di ap-prendimento possono essere comparate a tre modi con cui le persone possono intraprendere una esperienza di viag-gio: ci riferiamo al travelling, ossia allo spostamento tradizionale con finalità turistiche, al trekking, ossia il muoversi a piedi o in bicicletta alla ricerca attiva e auto responsabilizzante di nuovi sce-nari, e infine all’exploring, l’esperienza di viaggio non dettata tanto dalla ricerca del piacere per la scoperta di nuovi am-bienti, quanto dal bisogno di individuare territori sconosciuti, capaci di costitui-re un opportuno ambiente per iniziare una nuova esperienza di vita. Vediamo,

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ORIENTAMENTO E SCUOLA

allora, in che modo le tre metafore del viaggio possono funzionare per alludere a tre diverse forme di apprendimento. L’organizzazione di un travelling è a ca-rico di una guida, ossia di un esperto che conosce le modalità e gli strumenti più opportuni per effettuare il percorso. La persona che incarna questo ruolo deve essere consapevole dei desideri e dei bisogni dei viaggiatori, deve mettere in atto tutte le strategie per dare corso alle diverse fasi del viaggio, alla loro scan-sione temporale, ad un controllo siste-matico dei comportamenti individuali che devono sempre essere ricondotti a pratiche di tipo collettivo. In termini di esperienza educativa, l’apprendimento guidato, il docente o il trainer si fa carico di tutte le decisioni più importanti, gli obiettivi da raggiungere, le strategie da mettere in atto, i risultati da ottenere e gli strumenti con cui eseguire il monito-raggio e la valutazione delle prestazioni realizzate.

Nel caso invece del viaggio impostato sul trekking i partecipanti non hanno definito fin da subito un progetto pre-ciso. Si tratta di un gruppo che ha preso accordi molto blandi a proposito della data di partenza ma che assume de-cisioni sulla direzione del viaggio e sui ritmi da rispettare in forma molto fles-sibile e possibilista. Non esiste un capo comitiva, così come l’obbedienza non è una virtù. Il riferimento al modello di apprendimento strutturalmente analogo riguarda l’apprendimento esperienziale, in cui non sono identificabili un leader, degli obiettivi fissati per essere raggiunti e strumenti di controllo. Sono piuttosto le circostanze, le motivazioni personali

del singolo viaggiatore, la scoperta, la sperimentazione, a determinare il corso dell’esperienza di apprendimento e il suo eventuale successo.

Tra il travelling e il trekking abbiamo precedentemente collocato l’exploring: si tratta, in questo caso, di una espe-rienza di viaggio non basata sulla ricer-ca del divertimento ma sulla necessità di trovare un territorio dove progettare una nuova esperienza di vita. Uscen-do dall’immagine metaforica, a questa esperienza corrisponde l’apprendimento basato sull’azione (Revans, 1982) in cui docente e discente incarnano un ruolo più attivo ed esplicito nell’individuare gli obiettivi delle pratiche di apprendimento e intervengono in maniera dinamica in accordo con i bisogni di conoscenza e di formazione che emergono dalle lo-ro azioni e dalle concrete circostanze di lavoro e di vita.

I tre modi di effettuare il viaggio nei territori dell’apprendimento si manife-stano nelle situazioni scolastiche, così come nel mondo del lavoro, ma anche nelle condizioni di vita quotidiana. Nel contesto del mondo del lavoro proba-bilmente prevale l’apprendimento espe-rienziale, a scuola sarà l’apprendimento guidato a risultare prevalente, ma sono sempre più frequenti cambiamenti di tendenza. A queste novità sarà sempre più opportuno, nel futuro, riservare at-tenzione.

Luciano ArcuriProfessore Emerito di Psicologia sociale Università degli studi di Padova

noTe

1 Il seminario, organizzato dalla Provincia di Treviso, si è svolto il 15 Dicembre 2012.

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QUADERNI DI ORIENTAMENTO 42

Mossa (GO), collezione privata, San Pietro e San Tommaso, 1978, decorazione parietale, terracotta (modellatura a colombino), 27,5 x 28 x 12 cm.

BiBliograFia

Hong, Y. , Morris, M.W. , Chiu, C. e Benet-Martínez, V., Multicultural minds: A dynamic constructivist approach to culture and cognition, American Psychologist, Vol 55(7), 709-720, 2000.

Milojkovic, J.D., Children learning computer programming: Cognitive and motivational consequences, Dissertation Abstracts International, 45(1-B), 385, 1984.

Mitra, S., sito web: http://www.ted.com/talks/sugata_mitra_

the_child_driven_education.html, 2010.

Revans, R., Action learning, Chartwell-Bratt, Bromley, 1982.

Simons, P.R.J., Leren leren: naar een nieuwe didactische aanpak. In P.R.J. Simons, & J.G.G., Zuylen (Red.), Handboek huiswerkdidactiek en geïntegreerd studievaardigheidsonderwijs (pp. 46-59). Heerlen, MesoConsult, 1989.

Vann, B. A., Learning Self-Direction in a Social and Experiential Context, Human Resource Development Quarterly 7, no. 2. 121-130, 1996.

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ORIENTAMENTO E SCUOLA

gioVani e neW Media a sCUolaUN’INDAGINE ON LINE CON STUDENTI DI ISTITUTI SECONDARI DI II GRADO

Gabriella Burba, Paolo Tomasin

Nell’ambito del progetto “Ragazzi digitali. Per un uso consapevole dei nuovi media”, realizzato dall’associazione “La Viarte onlus” in collaborazione con alcuni Istituti secondari della provincia di Udine, sono stati indagati, tramite un questionario on line, frequenza, modalità di utilizzo ed atteggiamenti degli studenti nei confronti degli strumenti della comunicazione digitale

PresenTazione del ProgeTTo

I problemi connessi alla rivoluzione digitale, con particolare riferimento ai giovani e al digital divide, continuano a costituire tema di analisi, ricerche, proposte di intervento, all’interno e all’esterno della scuola. Sia l’Unione Europea che istituzioni nazionali han-no condotto, anche in tempi recenti, numerose indagini sull’utilizzo dei new media da parte di bambini e adolescen-ti.1 Molti risultati, reperibili on line, si riferiscono a ricerche condotte in al-tre regioni italiane, mentre mancano dati specifici sul Friuli Venezia Giulia. Inoltre la maggior parte delle indagini, focalizzata soprattutto su comporta-menti a rischio come il cyber-bullismo, non contempla una sezione specifica sull’utilizzo di internet a scuola a fini didattici e orientanti.

Impegnato da anni in ricerche sull’e-ducazione,2 il Centro Studi dell’asso-ciazione “La Viarte onlus”3 ha scelto di indagare tale tematica partecipando al bando dei progetti speciali della Re-gione Friuli Venezia Giulia per l’anno scolastico 2011/12 su due degli ambiti previsti:

l la valorizzazione e lo sviluppo delle competenze formali e non formali comunque acquisite;

l lo sviluppo della progettualità in di-mensione laboratoriale, anche con riferimento alle tecnologie dell’in-formazione e della comunicazione applicate alla didattica.

Le istituzioni scolastiche formalmente partner del progetto “Ragazzi digitali. Per un uso consapevole dei nuovi media” sono state: ISIS “Arturo Malignani” di Udine, ISIS di Latisana e Istituto Sale-siano “G. Bearzi” di Udine. Il percorso, di durata annuale, prevedeva come focus principale un’attività di formazione ri-volta a studenti, insegnanti e genitori delle scuole coinvolte tramite una serie di interventi finalizzati a promuovere una maggiore consapevolezza sulle oppor-tunità e i rischi dei nuovi strumenti di comunicazione digitale e sulle loro po-tenzialità nella didattica. In particolare con gli studenti sono state utilizzate me-todologie di peer education e cooperative learning che hanno avuto come esito la realizzazione di prodotti didattici relati-vi ad alcune discipline e uno spot sulla Digital generation.4

I risultati del progetto sono stati og-getto di ampia diffusione, sia tramite i due convegni conclusivi organizzati con gli Istituti scolastici aderenti, sia attraver-so siti internet, pubblicazioni su quoti-diani e riviste, tre trasmissioni specifiche sull’argomento a Telefriuli.5

In considerazione delle finalità del Centro Studi, che contemplano, oltre

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QUADERNI DI ORIENTAMENTO 42

Gorizia, Convitto Suore della Provvidenza, Annunciazione, 1963 decorazione parietale, affresco, 230 x 315 cm.

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ORIENTAMENTO E SCUOLA

alla formazione, attività di ricerca sul campo, dopo un’analisi di molteplici in-dagini svolte da diversi enti, il gruppo di progetto ha previsto di premettere agli interventi educativi una rilevazione tra-mite questionario on line sul rapporto dei giovani con i nuovi media, da proporre, con la collaborazione degli insegnanti, a studenti frequentanti le classi dalla prima alla quarta di Istituti secondari di secondo grado della provincia di Udine. Per ampliare il campione, il questionario è stato somministrato anche in scuo-le esterne al progetto, per un totale di 1.349 rispondenti.

il QUesTionario

Il questionario on line, composto da 39 domande, molte delle quali riprese da ricerche analoghe in modo da permet-tere una comparazione dei risultati, era suddiviso nelle seguenti sezioni:

1. disponibilità di nuove tecnologie, con riferimento alla dotazione sia familiare che personale;

2. modalità di accesso, uso e frequenza, con domande specifiche sui tempi, le attività svolte, i social network, gli eventuali rischi;

3. aspetti educativi, con l’obiettivo di verificare atteggiamenti ed even-tuali regole poste dai genitori e va-lutazione di una serie di problemi da parte degli studenti;

4. internet a scuola, con domande fi-nalizzate ad indagare sia l’opinione degli studenti sull’opportunità di affrontare il tema delle nuove tec-nologie in classe sia le modalità, gli scopi, le ricadute dell’utilizzo effettivo di internet a scuola;

5. valutazioni personali, riferite ad al-ternative fra opportunità e rischi, con un’ultima domanda (il con-sueto gioco della torre) volta ad

individuare la scelta prioritaria dei ragazzi;

6. dati anagrafici, comprendenti Istitu-to, indirizzo di studio, classe, sesso, provincia di residenza, residenza in comuni capoluogo o meno, titoli di studio del padre e della madre.

Com’era prevedibile, i risultati, per quanto riguarda sia le dotazioni tecno-logiche sia le modalità di utilizzo e gli atteggiamenti, appaiono mediamente in linea con le tendenze rilevate in al-tri contesti italiani. È però ingannevole tracciare un profilo unico degli studenti in rapporto alle ICT: variabili quali il sesso, l’età, il titolo di studio dei genitori con-tinuano a discriminare e, in alcuni casi, lo fanno in modo molto deciso. Peraltro solo un quarto dei giovani intervistati è raffigurabile come iper-connesso, ovvero che impiega in più momenti della gior-nata e con grande intensità di tempo le nuove tecnologie.

Della notevole e interessante quantità di dati a disposizione, verranno presenta-ti in modo più analitico quelli riguardanti il rapporto fra internet e scuola, meno indagato in altre ricerche e più stretta-mente correlato alle finalità generali di un progetto condotto in collaborazione con le scuole, con approccio educativo e didattico.

inTerneT a sCUola

L’analisi dell’utilizzo di internet a scuola dischiude diverse e articolate problema-tiche, solo in parte affrontate dall’indagi-ne. Comprendere se gli studenti dentro le mura scolastiche sospendono la natura di nativi digitali6 è stata una chiave di let-tura con cui interpretare alcuni dei risul-tati del questionario. Ebbene, quasi i due terzi degli studenti interpellati dichiarano di avere la possibilità di collegarsi a in-ternet durante le ore di lezione. Si tratta ovviamente delle connessioni fornite dal-la scuola, effettuate in laboratorio o aula computer, non certo quelle accessibili

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QUADERNI DI ORIENTAMENTO 42

attraverso cellulari, blackberry e I-phone personali. Il motivo principale per cui si utilizza internet in classe è quello della ricerca di informazioni sul web (è indicato da due terzi degli studenti); la seconda ragione è per apprendere l’uso delle ICT. Poco più di un terzo degli studenti impie-

ga internet per studiare, orientarsi, ese-guire test ed esercizi online; circa il dieci per cento ammette di connettersi anche per chattare e giocare, e poco meno so-no quanti scaricano, magari all’insaputa dell’insegnante, musica, film, immagini varie. (Grafico N. 1)

0% 10% 20% 30% 40%50% 60% 70% 80% 90% 100%

Ricercare informazioni sul web

Studiare informatica/apprendimento uso

Studiare navigando sui siti

Orientamento scolastico

Test scolastici/esercizi di matematica

Mandare o ricevere email

Utilizzare messaggi istantanei, chat

Giocare online

Scaricare musica, video, immagini

Partecipare a gruppi di discussione

SI NO Raramente

Grafico N. 1: risposte percentuali alla domanda “Per quali motivi utilizzate Internet in classe?”

Gli insegnanti, per definizione migranti digitali, sono nella metà dei casi sempre presenti al momento della connessione degli studenti; per un quarto lo sono il più delle volte, mentre per il restante quar-to gli studenti sono lasciati pressoché da soli. A casa propria, la percentuale di coloro che navigano sempre da soli sale al 63% del totale.

Il ruolo giocato nei processi di appren-dimento dalle nuove tecnologie è un se-condo aspetto indagato. Per gli studenti i nuovi media servono soprattutto a repe-rire informazioni, quindi ad aumentare il bagaglio informativo. Al secondo posto per numero di risposte, però, compare la frase “permettono di imparare cose che a scuola non vengono proposte”, lasciando intravedere un giudizio ne-gativo sull’istruzione offerta a scuola,

ovvero che è limitata, che non insegna tutto ciò che è importante sapere. Al terzo posto troviamo invece che i new media aiutano a fare i compiti e quindi, aggiungiamo qui in sede interpretati-va, che sono utili e complementari all’i-struzione scolastica tradizionale. Tutte le valutazioni negative dei nuovi media sull’apprendimento, sottraggono tempo allo studio, limitano le capacità di lettu-ra e scrittura, trasmettono una visione semplificata della realtà, ecc., ricevono un’adesione inferiore al 40% degli stu-denti. Il 30% è convinto addirittura che le nuove tecnologie facilitino i rapporti con insegnanti e compagni. La maggior parte degli intervistati esprime dunque una visione positiva delle ICT nel fornire un supporto ai processi di apprendimen-to (Grafico N. 2).

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ORIENTAMENTO E SCUOLA

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90%100%

Sono utili per raccogliere informazioni

Permettono di imparare cose che a scuola non vengono proposte

Aiutano a svolgere i compiti scolastici

Sono pericolosi, perché sottraggono tempo allo studio

Fanno diminuire le abilità di lettura e scrittura

Sono dannosi perché trasmettono una visionesempli�cata della realtà

Ostacolano lo sviluppo della creatività

Fanno perdere l'allenamento della memoria

Facilitano i rapporti con insegnanti e compagni

SI NOGrafico N. 2: risposte percentuali alla domanda “Per quanto riguarda l’apprendimento, i nuovi media….”

Una terza problematica che si è cer-cato di rilevare è sapere se e quanto la scuola regoli l’utilizzo delle nuove tecnologie e fornisca agli studenti in-formazioni sulle norme esistenti, in particolare quelle rivolte a tutelare la sicurezza sul web. Dalle risposte degli studenti emerge che quasi l’80% di loro ha ricevuto informazioni sull’impiego del cellulare; due terzi sono quanti di-

chiarano di aver ricevuto informazioni sull’uso di internet a scuola; la metà è stata informata sulle sanzioni ammini-strative e penali connesse alla diffusio-ne di immagini altrui, sui reati di ingiuria e diffamazione, su pubblicazione osce-ne; ancora meno sono coloro infine che hanno ricevuto disposizioni sulle norme relative alla privacy o al copyright sul materiale scaricato (Grafico N. 3).

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QUADERNI DI ORIENTAMENTO 42

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%

Norme sull'utilizzo dei cellulari a scuola

Norme sull'utilizzo di Internet a scuola

Sanzioni amm.ve e penali per la di�usioni di immaginialltrui, reati di ingiuria e di�amazione, pubblicazioni

oscene

Norme a tutela dei dati personali (privacy) su Internet

Norme che regolano il copyright per materiale scaricato

SI NO Grafico N. 3: risposte percentuali alla domanda “A scuola ti sono state date informazioni su ..”

Sintetizzando, si potrebbe affermare che le scuole sono più attente ad evita-re che il comportamento digitale degli studenti interferisca con la didattica che a fornire una deontologia dell’u-so di internet. D’altra parte i risultati mostrano che anche a casa propria gli studenti devono fare i conti con poche regole stabilite dai genitori.

Ma la scuola deve parlare e interes-sarsi di nuove tecnologie? A questa domanda il 15% degli studenti risponde

chiaramente di no, in quanto è convinto che se ne parli già a sufficienza fuori dalle mura scolastiche. Questo gruppo si affianca a quanti (sono oltre il 17%) negano il diritto di cittadinanza alle ICT a scuola perché qualificato come argomento non pertinente. La mag-gioranza dei due terzi, invece, la pensa diversamente e riconosce alla scuola un ruolo sia per insegnare un più corretto uso delle nuove tecnologie che un loro impiego a fini didattici.

Mossa (GO), collezione privata, Favole, 1967 pastelli a olio e a cera su carta, particolare.

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ORIENTAMENTO E SCUOLA

ConClUsioni

L’indagine tramite questionario ha costituito solo una prima parte di un progetto più ampio, finalizzato non alla mera conoscenza del rapporto fra stu-denti e tecnologie dell’informazione, ma alla realizzazione di interventi educativi volti allo sviluppo di consapevolezza e approccio critico nell’utilizzo dei new media. I risultati sono stati perciò resti-tuiti agli studenti, come prima tappa di un percorso che prevedeva moduli for-mativi specifici sui macro temi analizzati.

Sono state così raccolte molte osser-vazioni di tipo qualitativo, che hanno evi-denziato una notevole eterogeneità di atteggiamenti nei confronti delle oppor-tunità e dei rischi connessi alla diffusio-ne delle ICT. In particolare sono emerse rilevanti differenze nella consapevolezza e nella capacità critica fra gruppi di ra-gazzi, cui erano già stati proposti spe-cifici percorsi di approfondimento da parte degli insegnanti, e altri che non avevano affrontato il problema in clas-se. Si conferma perciò l’esigenza che, nell’ambito delle sue finalità educative, la scuola affronti la sfida rappresentata dai nuovi strumenti di informazione e comunicazione. In base ai risultati della nostra ricerca, si tratta di un compito che, per la maggior parte dei ragazzi, non viene svolto dalle famiglie: a navi-gare in internet circa il 62% ha impara-to da solo (e poco più del 7% a scuola), naviga sempre da solo il 63% e il 94% ritiene che i genitori siano per niente o poco preoccupati per quanto riguarda l’utilizzo di internet da parte dei figli.

Obiettivo prioritario del sistema di istruzione non è quello di sviluppare nei ragazzi abilità tecnologiche, che i cosid-detti nativi digitali apprendono preco-cemente in contesti informali, ma edu-carli ad un utilizzo consapevole, critico e finalizzato. Nel linguaggio di Magat-ti7 si tratta di recuperare, un orizzonte educativo, un processo di significazione tramite il legein, il logos, parola e relazio-ne, in una società dominata dalla logica del teukein, che pretende di generare una verità basata sulla sola forza dei

fatti e dell’utile: “…ritenere che spetti a ogni singolo uomo il compito di ‘dare si-gnificato’ comporta un atto di fede nelle straordinarie capacità dell’essere umano di orientarsi nei confronti del mondo e della storia. Cosa che, nella realtà, non potrebbe avvenire se non sulla base dell’e-ducazione che riceviamo…”. 9

Tutte le competenze di cittadinanza proposte dal D.M. 139/2007 sono coe-renti con la prospettiva del legein, verbo che indica l’attività del raccogliere: parti-colarmente significativa a tale proposito appare quella definita come “Individuare collegamenti e relazioni”, fondamentale nel processo di significazione della realtà e quindi nell’orientamento.

Per approfondire la conoscenza delle immagini e dei significati di cui gli stu-denti sono portatori nei confronti del mondo in cui vivono, per comprendere la loro percezione del presente e le aspet-tative sul futuro, nell’anno scolastico in corso “La Viarte onlus” sta conducendo, in continuità con il precedente, un altro progetto speciale dal titolo “Cittadini digitali. Orientamento alla cittadinanza attiva e al lavoro.” Le risposte al nuovo questionario on line permetteranno di capire meglio quali interventi di orienta-mento sono proposti dalle scuole, quali privilegiano i ragazzi e se le modalità di utilizzo dei nuovi media siano congruenti con il traguardo formativo della cittadi-nanza attiva.

Gabriella Burba, Sociologa, membro del Comitato Scientifico del Centro Studi “La Viarte”, collabora con USR FVG e Istituti scolastici nella formazione su competenze e orientamento

Paolo TomasinSociologo, membro del Comitato Scientifico del Centro Studi “La Viarte”, collaboratore di e-labora, dottore di ricerca in Information System and Organizations, docente a contratto presso Università di Trieste e IUSVE di Mestre

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QUADERNI DI ORIENTAMENTO 42

siTograFia

Indagine Conoscitiva sulla Condizione dell’Infanzia e dell’Adolescenza di Telefono Azzurro ed Eurispes

http://www.azzurro.it/materials/a6558f88bf9c7f60e4b6592272f0ead5/fck_files/file/cs_inda-gine_2011.pdf

http://www.azzurro.it/index.php/it/pubblicazioni/rapporti-nazionali-infanzia “Il mondo della scuola e le nuove tecnologie tra realtà e futuro” ricerca ADICONSUMhttp://www.loescher.it/download/Ricerca2010.pdf “La Rete siamo noi”, il rapporto tra adolescenti e nuovi media (ricerca e materiali

formativi della Provincia di Bologna)http://www.provincia.bologna.it/probo/Engine/RAServePG.php/P/1315910010300/

M/309510010310/T/La-Rete-siamo-noi-il-rapporto-tra-adolescenti-e-nuovi-mediaPermissivi o Compiaciuti? I genitori e le nuove tecnologie (CORECOM Lombardia)http://www.portaleragazzi.it/index.php/new-media-mainmenu-459/editoriali-mainme-

nu-361/1472-permissimi-o-compiaciuti-i-genitori-e-le-nuove-tecnologie Rassegna bibliografica sui nuovi media del Centro Nazionale di Documentazione

e analisi per l’infanzia e l’adolescenzahttp://www.minori.it/rassegna-bibliografica-4-2009 Educazione ai nuovi media: risorse per insegnantihttp://ec.europa.eu/italia/documents/attualita/informazione/educazione_nuovi_media.pdf Genitori, Ragazzi e New Mediahttp://www.issm.it/index.php/component/content/article/39-news-dal-issm/259-bibliogra-

fia-e-slides-conferenza-24-febbraio.html

noTe

1 Tra le più interessanti si segnala EU Kids Online i cui risultati sono riportati nel volume curato da Giovanna Mascheroni dal titolo “I ragazzi e la rete”. Editrice La scuola, Brescia, 2012.

2 Pubblicate le ricerche: “L’autorità in educazione” a cura di L. Benvenuti, V. Salerno, C. Vecchiet, Nuova Cultura Roma 2009. “Educazione formato famiglia. Modelli educativi delle famiglie della Bassa Friulana” a cura di L. Benvenuti, V. Salerno, C. Vecchiet, Nuova Cultura Roma 2010. In corso di pubblicazione: “Famiglie in rete. Per una educazione ai legami comunitari” a cura di L. Benvenuti, V. Salerno, C. Vecchiet, Nuova Cultura Roma.

3 Santa Maria La Longa (Ud). Cfr. ttp://www.laviarte.com/identit

4 Reperibile al link http://www.ragazzinrete.it/

5 Una presentazione completa del progetto, con testo e risultati dei questionari, è reperibile sul sito

http://www.orientamentoirreer.it/

6 Un’approfondita analisi di questa definizione, da molti peraltro criticata, è presentata nel volume di P. Ferri, Nativi digitali” Bruno Mondadori, 2011.

7 M. Magatti:, Libertà immaginaria. Le illusioni del capitalismo tecno-nichilista, Feltrinelli, Milano, 2009.

8 Ibidem, p. 22

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ORIENTAMENTO E SCUOLA

esPerienza di grUPPo ed aUTosTiMa nei BaMBini Con adHdUN’ATTIVITÀ DI COOPERATIVE LEARNING Guido de Rénoche, Silvia Ferro, Luigi Bianchin, David Polezzi

Il lavoro di gruppo con i bambini affetti da ADHD, rappresenta una delle possibili modalità di approccio terapeutico scegliendo come modalità privilegiata quella del “cooperative learning”, poiché essa fornisce al bambino la possibilità di interagire in maniera adeguata e positiva con i coetanei

l’aUTosTiMa

L’autostima è un termine usato in psi-cologia per indicare la valutazione com-plessiva di una persona e la fiducia che dimostra di avere nelle sue capacità. Il concetto di autostima è stato discusso per lungo tempo e la sua storia e le sue caratteristiche si evolvono con l’ampliarsi delle conoscenze scientifiche. Per prima cosa occorre fare una distinzione tra auto-stima e concetto di sé; questi due termini vengono spesso usati, infatti, come sino-nimi e intesi come intercambiabili, anche se in realtà non lo sono perché identifi-cano due concetti correlati tra loro, ma, al tempo stesso, distinti.

Il concetto di sé è l’insieme degli ele-menti a cui una persona si riferisce per descriversi. Burns (1979) lo definisce come “un’immagine composita di ciò che pen-siamo di essere, ciò che pensiamo di poter realizzare, ciò che pensiamo che gli altri pensino di noi e ciò che vorremmo essere”. Per esempio, un bambino può considerare se stesso come un bravo studente, come l’amico di qualcuno, come un nuotatore. Il concetto di sé è piuttosto variabile e si modifica in base all’età dell’individuo e ai suoi interessi, influenzandone successi-vamente i comportamenti.

L’autostima è invece “una valutazione circa le informazioni contenute nel concetto di sé e deriva dai sentimenti del bambino nei confronti di se stesso inteso in senso globale” (Pope, 1992). Un bambino po-

trebbe essere un bravo sportivo ed un mediocre studente. Se tale bambino at-tribuisce molta importanza alla scuola ed una importanza minimale allo sport avrà, come conseguenza, una ridotta sti-ma di sé. L’autostima risulta dunque una combinazione fra la realtà che una per-sona vive e la valutazione che la persona stessa fornisce di tale realtà. Altri autori (Branden,1969) hanno inoltre riscontrato che l’autostima può essere espressa in sette ambiti principali: conoscenza di sé; il sé e gli altri; accettazione di sé; autono-mia; espressione di sé; fiducia in se stessi; consapevolezza.

La valutazione sugli eventi e sulle com-petenze reali della persona dipendono da ciò che viene definito sé ideale, cioè da un sé teorico che rispecchia tutto ciò che la persona vorrebbe essere. La discrepanza tra il sé ideale e il sé percepito (reale) può indurre a fornire una valutazione negativa di sé, finendo con l’alimentare una bas-sa autostima. È importante distinguere tra autostima generale, intesa come “la misura in cui il soggetto crede di essere capace, significativo, degno di successo e valore”(Coopersmith, 1969), e l’autostima in ambiti specifici, che rappresenta invece (Harter 1999):

l le caratteristiche che rispecchiano il senso individuale di adeguatezza in ambiti particolari, quali la propria competenza cognitiva (per esem-pio: “sono intelligente”);

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QUADERNI DI ORIENTAMENTO 42

l la competenza sociale (ad esempio: “gli amici mi vogliono bene”);

l la competenza fisica (ad esempio: “sono bravo negli sport”).

In tale modo una persona può ma-nifestare una scarsa autostima di sé in alcuni aspetti, mentre in altri ambiti la propria percezione può risultare mi-gliore. La valutazione di ogni aspetto influisce perciò sull’autostima generale, sebbene non si possa affermare “tout court” che alla somma delle autosti-me specifiche corrisponda l’autostima generale. Ma cosa significa avere una bassa o elevata autostima?

Una persona con una buona stima di sé considera se stesso competente ed efficace nella maggior parte delle situazioni (o in quelle ritenute mag-giormente importanti) ed attribuisce i fallimenti alla difficoltà del compito, a cause situazionali transitorie o al caso. Al contrario, una persona con ridotta autostima tende ad attribuire gli insuc-cessi alla propria mancanza di abilità

o comunque a cause interne e stabili. È intuitivo comprendere, capire, come una persona che si considera poco abile tema di non riuscire in un compito, si impegni poco (perché è sicura di non riuscire) o tenda a scegliere obiettivi molto bassi e facilmente raggiungibili (De Beni, Moè, 2000).

Molti studiosi (James, Mead, Cooley, citati in Pope et al., 1992) sostengono che avere un’autostima positiva è un elemento fondamentale per un buon adattamento socio-emozionale. “Un’au-tostima sana è sempre stata considerata particolarmente importante nei bambini, perché è in età infantile che si gettano le basi delle percezioni che si hanno di sé nel corso della vita. La competenza socio-emozionale che deriva da un’auto-valutazione positiva può essere una forza che aiuterà a evitare al bambino gravi problemi futuri” (Pope, 1992). In accordo con questa visione, il DSM- IV (American Psychiatric Association, 2000) annovera la bassa autostima fra le problematiche associate a vari disturbi, come il deficit di attenzione con iperattività.

Mossa (GO), collezione privata, Orfeo ed Euridice, 1966-67 china su carta, 34 x 34 cm.

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aUTosTiMa e adHd

Le caratteristiche principali del “Disturbo da Deficit di Attenzione e/o Iperattività” (ADHD utilizzando l’acronimo anglosas-sone per Attention Deficit Hyperactivity Disorder) sono state descritte in un prece-dente lavoro, al quale si rinvia (De Rénoche, Maragno, Bianchin, 2012). Gli aspetti clinici che caratterizzano questo disturbo neu-ropsichiatrico infantile, influenzano signi-ficativamente il rendimento scolastico del bambino (difficoltà a seguire l’insegnante, frequenti errori di distrazione, …), il com-portamento a scuola e a casa (interventi a sproposito, intromissione nei discorsi degli adulti, ...) ed il funzionamento sociale (tendenza all’esclusione da parte dei pari). Dovendo fronteggiare frequenti e continui insuccessi scolastici e rimproveri da parte di genitori e insegnanti, questi bambini tendono ad avere una immagine negativa di sé, con il rischio di sviluppare una ridotta autostima.

Vari studi hanno mostrato una possibile correlazione fra ridotta autostima e ADHD (Sawyer, Whaites, Rey, et al., 2002; Edbom, Lichtenstein, Granlund, et al., 2006; Alston e Romney, 1992; Treuting e Hinshaw, 2001), ma non vi è ancora completo accordo su come essa si possa sviluppare. Solitamente, la problematica dell’ADHD comporta una compromissione funzionale a più livelli (so-ciale, scolastico e comportamentale), per cui il bambino sperimenta le conseguenze negative delle proprie difficoltà in base ai ritorni forniti dall’ambiente, favorendo una “internalizzazione” progressiva e duratura nel tempo degli insuccessi e conseguente riduzione della percezione positiva di sé.

Altri autori (Hoza, Pelham, Dobbs, et al., 2002) avrebbero ipotizzato, invece, che i bambini con ADHD potrebbero giungere a sviluppare una sorta di sopravalutazione delle proprie capacità (positive illusory bias) in alcune competenze compito-specifiche (ad esempio, a livello scolastico, sociale o comportamentale), verosimilmente come tentativo cosciente o derivante da errata valutazione di “auto-proteggersi” nei con-fronti degli insuccessi sperimentati quoti-dianamente nei vari ambiti di vita (Diener e Milich, 1997).

MisUrare l’aUTosTiMa

Data l’importanza che l’autostima rive-ste nella cognizione di sé, in letteratura sono stati proposti vari strumenti per la misurazione della stessa. Tra questi, vanno ricordati:

l la Scala di Rosenberg (1965);l il Questionario dell’Autostima di

Coopersmith (1967); l la Piers-Harris Children’s Self-con-

cept Scale (1976); l l’Harter Perceived Competence Scale

(1985) ;l l’Implicit Association Test- IAT (1998).

Per la presente ricerca si è scelto di utilizzare la Scala di Rosenberg, data la sua rapidità di somministrazione ed il ri-scontro dell’utilizzo di tale strumento nei soggetti con ADHD (Dittman, 2008). La Scala di Rosenberg è composta da dieci item valutati su una scala Likert a quat-tro punti, da “Del tutto vero” a “Del tutto falso”. Il bambino deve segnare con una crocetta la risposta che per lui è più vera. Una volta che la scala è stata compila-ta, viene attribuito un punteggio come di seguito illustrato: “del tutto vero = 3 punti”; “vero = 2 punti”; “falso = 1 punto”; “del tutto falso = zero punti”. La misura-zione ottenuta potrebbe non riflettere in maniera fedele ciò che il bambino pensa di se stesso, in quanto possono essere presenti due distorsioni:

l una dissimulazione consapevole, con l’obiettivo di indurre una im-pressione favorevole in chi sta re-gistrando le risposte;

l un auto-inganno inconsapevole, ri-sposte auto-descrittive non coerenti con le convinzioni più profonde e spontanee.

Inoltre, un punteggio alto non neces-sariamente riflette una reale valutazione positiva del proprio sé, ma può esserci “un’autostima difensiva”, artificiosamen-te alta, che ha la funzione di protegge-re il sé dalla reale valutazione (Lobel & Teiber, 1994).

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QUADERNI DI ORIENTAMENTO 42

iPoTesi

Il lavoro di gruppo con i bambini affetti da ADHD, sia esso eseguito in ambito scolastico o in ambito clinico, rappresen-ta una delle possibili modalità di approc-cio terapeutico. Dopo una revisione del-la letteratura in questo ambito (Cohen 1999, Comoglio 1996, Corbo 2002, Di Nubila 2008, Felisatti 2008, Marzocchi 2003, Mc Ginnis 1986), si è progettato un intervento con un gruppo di bambini di scuola primaria con ADHD in cui ve-nisse verificata la possibilità di modifi-care l’autostima dei soggetti. Secondo Mead (citato in Pomponi, 2006), infatti, l’interazione adeguata con i coetanei può rimandare un’immagine positiva al bambino ed aiutarlo a migliorare la valutazione di sé.

Per raggiungere questo obiettivo, sono state rielaborate, integrate ed adattate alle specifiche caratteristiche del deficit attentivo con iperattività, le proposte educativo-didattiche di Plummer (2002, 2007) e Pope (1992), scegliendo come modalità privilegiata quella del “coope-rative learning”, poiché essa fornisce al bambino la possibilità di interagire in maniera adeguata e positiva con i co-etanei.

La Scala di Rosenberg (1965) è sta-ta somministrata sia prima che dopo il ciclo di 8 incontri basati sul percorso di gruppo. Si è ipotizzato che, a seguito dell’interazione reciproca tra bambini secondo le tecniche poi descritte più compiutamente, il punteggio alla Scala di Rosenberg subisse un incremento.

Campione

Il gruppo era formato da cinque bam-bini (tre maschi e due femmine) apparte-nenti alle classi 4° e 5° primaria affetti da ADHD. Si è scelto di includere soggetti dotati di un’accettabile maturità psicoaf-fettiva, valutata su base clinica e testale.

perCorso di gruppo

Il conduttore degli incontri1 aveva svol-to in precedenza un adeguato percorso

di approfondimento clinico delle carat-teristiche dei bambini e di condivisione del progetto a livello teorico con gli spe-cialisti; si è deciso inoltre di utilizzare una supervisione costante dell’intervento attraverso la videoregistrazione e osser-vazione tramite specchio unidirezionale degli incontri, in modo tale da poter co-gliere, ed eventualmente modificare, le dinamiche relazionali che si sviluppavano all’interno del gruppo di bambini.

Si è deciso di utilizzare la tecnica del cooperative learning, approccio ormai consolidato nell’ambito pedagogico. Si tratta di una metodologia che focaliz-za la sua attenzione sull’importanza del gruppo dei pari nel processo di appren-dimento e si realizza nella pratica della conduzione della classe in piccoli gruppi, in cui gli studenti lavorano insieme su un compito. Ogni incontro aveva la durata di un’ora circa, per un totale di 8 incontri, più uno finale di restituzione dei risultati ai genitori.

Il primo incontro si focalizzava sulla co-noscenza di sé: ogni bambino si presen-tava agli altri, attraverso alcune rappre-sentazioni grafiche in forma di gioco. Alla fine di ogni incontro veniva consegnata ai bambini una pergamena che registrava le sensazioni e gli apprendimenti, per fare una riflessione individuale e di gruppo su quanto fatto durante il gioco. Il secondo incontro trattava del sé e gli altri: l’attività principale della giornata era il gioco dello “scultore”, nel quale i bambini imperso-navano uno scultore. L’”artista” invitava gli altri membri del gruppo a “creare” la figura di un animale, di volta in volta di-verso, sulla base delle indicazioni verbali o delle dimostrazioni dirette. Questa attività aveva l’obiettivo di sviluppare anche il rispetto e la fiducia negli altri.

Il terzo incontro, con tema-guida re-lativo all’accettazione di sé, consisteva nello scrivere tre cose su se stessi, sotto-lineando le capacità in tre azioni a livello pubblico (cartellone, lettura). Nel gioco successivo, “nomi importanti”, i bambini disposti in cerchio si passavano un go-mitolo e dovevano dire il proprio nome seguito da un aggettivo che iniziasse con la lettera del nome e che esprimesse una

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qualità. Il quarto incontro verteva sull’au-tonomia e la seduta entrava nel vivo con il primo gioco dei “movimenti in cerchio”; i bambini si disponevano in cerchio: uno di loro iniziava a fare un movimento con il proprio corpo e tutti gli altri, uno alla volta, dovevano replicarlo. Il secondo gioco, “corri come il vento”, coinvolgeva la sfera immaginativa: i bambini dovevano immedesimarsi in una tribù della giun-gla, con un capo villaggio responsabile di controllare tutti gli abitanti. L’ultima attività, il “pupazzo di neve”, permette-va un maggiore rilassamento motorio ed al contempo una simbolizzazione di controllo corporeo, attraverso l’idea di assumere la forma di un pupazzo di neve che reagisce alle diverse temperature .

Il quinto incontro parlava dell’espres-sione di sé: il primo gioco, intitolato “se le emozioni fossero colori”, consisteva nel mettere i bambini in cerchio; ogni bambino doveva associare al sentimen-to sperimentato in quel momento un colore, motivandone la scelta. Nel se-condo gioco, i bambini, uno alla volta ma sempre rimanendo in cerchio, do-vevano esprimere le loro emozioni con il corpo, replicando il movimento altrui.

Nel terzo gioco, “questo sono io”, i bam-bini nominavano dieci aggettivi usati per descrivere una persona; le parole veniva-no trascritte su un foglietto che veniva poi inserito in una busta. Si passava poi a elencare una serie di azioni possibili, procedendo poi come per gli aggettivi. A turno, in seguito, i bambini pescava-no un foglietto con le azioni e uno con l’aggettivo e mimavano il movimento con lo stato d’animo suggerito. Gli altri, osservando, cercavano di indovinare.

Il sesto incontro aveva come elemen-to fondante la fiducia in se stessi: il pri-mo gioco (“mi fido di te”) consisteva nel formare una coppia e un trio, in cui ci si lasciava guidare da chi teneva gli occhi aperti. Successivamente si riproponeva lo “scultore”, vista la richiesta di tutti i bambini di poterlo ripetere, per rinfor-zare l’idea della consapevolezza della fiducia reciproca. Nel settimo e nell’ul-timo incontro si è sviluppato il tema dell’autoconsapevolezza: il primo gioco della giornata era “l’equilibrio musica-le”, che consisteva in un gioco motorio abbinato ad un sottofondo musicale. Successivamente, ne “l’orso che dorme”, un bambino veniva fatto sedere bendato

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su una sedia, sotto la quale era stato posizionato un campanello che doveva essere preso da uno degli altri bambini, in una sorta di reciproco controllo di chi dovesse compiere l’azione. Il secondo gioco, “dipingere i palmi”, poneva due bambini uno di fronte all’altro: uno era bendato e doveva porgere il palmo della mano all’altro; quest’ultimo scriveva un numero o una lettera dell’alfabeto che doveva essere indovinata dal bambino bendato.

strategie utilizzate durante il perCorso di gruppo

Durante gli incontri sono state utiliz-zate alcune basi psicoeducative speci-fiche, in considerazione delle specificità cliniche e delle dinamiche relazionali dei bambini con ADHD, quali:

l organizzare lo spazio in zone tema-tiche per permettere al bambino di orientarsi e muoversi in autonomia;

l utilizzare uno strumento (gomito-lo) per chiedere la parola, in modo tale da evitare una sovrapposizio-

ne contemporanea a livello verbale da parte dei soggetti;

l fornire compiti alternativi, nel caso di un completamento anticipato del proprio compito in rapporto al tempo concesso (predisposizione di un momento riempitivo dell’at-tesa, ad es. con un disegno);

l suddividere il compito in attività più brevi, con giochi di breve du-rata alternati alla discussione;

l fornire indicazioni chiare, brevi e, possibilmente, accompagnate da esemplificazioni visive o verbali; dopo aver fornito le informazioni necessarie fare degli esempi;

l spiegare punto per punto il com-pito, per permettere di focalizzare l’attenzione solo su una piccola parte; in caso di richiesta/compiti più prolungati, fornire un’indica-zione alla volta, oppure scrivere i passaggi per renderli sempre fruibili nel caso di disattenzione o facile distraibilità;

Mossa (GO), collezione privata, Favole, 1966-67 pastelli a olio e a cera su carta, particolare.

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ORIENTAMENTO E SCUOLA

l coinvolgere il bambino in attività interessanti che lo incuriosissero e gli permettessero di far emergere le capacità in maniera adeguata alle sue competenze; utilizzare i giochi, lavori di gruppo e le discussioni;

l nelle situazioni di calo attentivo e/o maggiore irrequitezza motoria, non sanzionare il bambino, ma conce-dere qualche minuto per scaricare lo stress accumulato, fornendo il permesso, in caso di richiesta di-retta, di svincolarsi dal compito per

rilassarsi; alternare fasi di gioco ad altre di discussione in cui venisse rinforzata la capacità di dialogo e di autoriflessione reciproca.

risultati

La Scala di Rosenberg sull’autostima è stata somministrata sia prima che do-po l’intervento di gruppo, evidenziando come in 4 bambini su 5 si sia riscontrata una migliore stima di sé. La griglia sotto-stante (Tabella 1) illustra i punteggi dei singoli bambini:

Punteggio Pre-Intervento

Punteggio Post- Intervento Differenza

Soggetto 1 5 10 +5

Soggetto 2 15 18 +3

Soggetto 3 18 19 +1

Soggetto 4 20 23 +3

Soggetto 5 22 20 -2Tabella 1: I punteggi dei singoli bambini

ConClUsioni

Vi è stata una generale favorevole accettazione delle proposte, partico-larmente gradite, che ha sicuramente facilitato lo sviluppo di una dinamica relazionale e motivazionale significa-tiva. Sia nei momenti strutturati sia in quelli meno strutturati, quali ad esem-pio il ritrovarsi prima dell’inizio effettivo dell’incontro, si è potuto osservare come i soggetti manifestassero reciprocamente un piacere notevole nella socializzazione. Entrando nello specifico dell’autostima, il presente studio ha potuto osservare come, a seguito del ciclo di incontri di gruppo, il punteggio alla Scala di Ro-senberg sia aumentato in quattro bam-bini su cinque.

Tale aumento potrebbe essere dovuto ad un effettivo aumento dell’autostima, verosimilmente modificata dal percorso strutturato di proposte, atte a stimolare una percezione individuale di maggiore capacità ed efficienza, unitamente ad

una scoperta di interazioni positive tra coetanei. Tale spiegazione risulta co-erente con le ipotesi iniziali, ma non è l’unica spiegazione possibile. Infatti, in alternativa, si può ipotizzare una sorta di effetto placebo, basato sulla convin-zione da parte dei bambini, che il ciclo di incontri servisse, tra i vari risultati attesi, a migliorare la stima di sé, e quindi abbia indotto un innalzamento del punteggio alla scala. Una terza spiegazione potreb-be invece addebitare l’aumento dell’au-tostima alla dinamica maturazionale dei bambini all’interno del prosieguo del percorso di gruppo, considerando che a livello temporale gli otto incontri si sono svolti in un periodo non superiore ai tre mesi. In mancanza di un gruppo di con-trollo, nessuna delle tre spiegazioni può essere scartata.

Il presente studio rimane, tuttavia, un’osservazione importante che può stimolare altri studi sperimentali sulle tecniche di miglioramento dell’auto-stima nei soggetti affetti da ADHD. La

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QUADERNI DI ORIENTAMENTO 42

possibilità di migliorare un parametro psicologico così importante rimane un obiettivo da raggiungere sia per i clinici che per gli insegnanti, soprattutto se le verifiche empiriche, così come evidenzia-to dal percorso di gruppo, consentono di affermare che l’approccio gruppale, a differenza di quello individuale, sia maggiormente spendibile in un ambito scolastico. Inoltre, la possibilità che un siffatto percorso possa essere gestito in primis da un docente di scuola primaria apre ulteriori sviluppi in tal senso, orien-tati a stimolare e rinforzare, nell’ambito delle risorse scolastiche, competenze psicopedagogiche idonee ed adeguate per bambini con tali difficoltà.

Guido de Rénoche Neuropsichiatra Infantile ULSS 16 Padova, Professore a contratto Facoltà di Scienze della Formazione Università di Padova

Silvia Ferro Insegnante scuola primaria

David Polezzi Psicologo, Professore a contratto Facoltà di Scienze della Formazione Università di Padova

Luigi Bianchin Neuropschiatra Infantile Professore a contratto Facoltà di Medicina Università di Padova

noTe

1 Gli incontri sono stati condotti dall’insegnante di scuola primaria Silvia Ferro.

BiBliograFiaAlston C.Y., Romney D.M., A comparison of medicated and non-medicated attention-deficit disordered hyperactive boys, Acta Paedopsychiatrica, 1992; 55: 65-70.

American Psychiatric Association, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder, Fourth edition, Washington, 2002.

Branden N., The psychology of self-esteem, New York, Bantam, 1969.

Burns R. B., The self concept in theory, measurement, development, and behavior, New York, Longman, 1979.

Cohen E. G., Organizzare i gruppi cooperativi. Ruoli, funzioni, attività, Trento, Erickson, 1999.

Comoglio M. et al, Insegnare e apprendere in gruppo. Il cooperative learning, Las, 1996.

Coopersmith S., The antecedents of self-esteem, San Francisco, Freeman, 1967.

Corbo S. (a cura di), Il bambino iperattivo e disattento. Come riconoscerlo e intervenire per aiutarlo, Milano, Self-help, 2002.

De Beni R., Moè A., Motivazione e apprendimento, Il Mulino, Bologna, 2000.

De Rénoche G., Maragno C., Bianchin L., Proposte educativo-didattiche di intervento con bambini iperattivi. Quaderni di Orientamento, 41, 46-59, 2012.

Diener M. B., Milich R., Effects of positive feedback on the social interactions of boys with attention deficit hyperactivity disorder: a test of the self-protective hypothesis. Journal of Clinical and Child Psychology, 26: 256-265, 1997.

Dittmann R. W., Wehmeier P.M., Schacht A, et al., Self-esteem in adolescent patients with attention-deficit/hyperactivity disorder during

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ORIENTAMENTO E SCUOLA

open-label atomoxetine treatment: psychometric evaluation of the Rosenberg Self-Esteem Scale and clinical findings. ADHD Attention Deficit Hyperactivity Disorder, 1: 187-200, 2009.

Di Nubila N., Dal gruppo al gruppo di lavoro: la formazione in Team: la conduzione, l’animazione, l’efficacia, Lecce, Pensa multimedia, 2008.

Edbom T., Lichtenstein P., Granlund M., et al., Long-term relationships between symptoms of attention Deficit Hyperactivity Disorder and self-esteem in a prospective longitudinal study of twins, Acta paediatrica, 95: 650-657, 2006.

Felisatti E. et al., Progettare e condurre interventi didattici, Lecce, PensaMultimedia, 2008.

Ferro S., Crediamo in noi stessi. Percorso educativo-didattico per sviluppare l’autostima con un gruppo di bambini iperattivi e disattenti, Tesi di Laurea in Scienze della Formazione Primaria, Università degli Studi di Padova, a.a. 2010-2011.

Gurney P., Self-esteem in children with special needs, London and New York, Routledge, 1988 .

Harter S., The construction of self, New York, Guildford Press, 1999.

Hoza B., Pelham W. E., Milich R., et al., The self-perceptions and attributions of attention deficit hyperactivity disordered and nonreferred boys, Journal of Abnormal Child Psychology. 1993; 21: 271-286.

Hoza B., Pelham W. E., Jr, Dobbs J., et al., Do boys with attention-deficit/hyperactivity disorder have positive illusory self-concepts? Journal of Abnormal Psychology, 111: 268-278, 2002.

Lobel T. E., Teiber, Effects of self-esteem and need for approval on affective and cognitive reactions: difensive and true self-esteem.

Personality and individual differences, 16: 315-21, 1994.

Marzocchi G. M., Bambini disattenti e iperattivi. Cosa possono fare per loro genitori, insegnanti, terapeuti, Bologna, Il Mulino, 2003.

McGinnis E., Goldstein A. P., Sprafkin R. P., et al., Manuale di insegnamento delle abilità sociali per l’alunno con problemi di comportamento o ritardo mentale lieve, Trento, Centro Studi Erickson, 1986.

Plummer D., La mia autostima. Attività di sviluppo personale per una buona immagine di sé, Trento, Erickson, 2002.

Plummer D., Laboratorio di autostima: giochi e attività per i bambini dai 5 agli 11 anni, Trento, Erikson, 2007.

Pomponi V., Il bambino e l’Altro: la creazione del compagno immaginario, Tesi di Laurea in Comunicazione di Massa, Università degli Studi di Perugia (pubblicata su www.riflessioni.it), 2006.

Pope A. et al., Migliorare l’autostima. Un approccio psicopedagogico per bambini e adolescenti, Trento, Erickson, 1992.

Rosenberg M., Society and the adolescent self-image, Princeton University Press, Princeton, 1965.

Sawyer M. G., Whaites L., Rey J. M., et al., Health-related quality of life in children and adolescents with mental disorders, Journal of American academy of Child and Adolescent Psychiatry, 41: 530-537, 2002.

Treuting J. J., Hinshaw S. P., Depression and self-esteem in boys with Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder: associations with comorbid aggression and explanatory attributional mechanisms, Journal of abnormal Child Psychology, 29: 23-39, 2001.

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Gorizia, Fondazione “Don Giovanni Contavalle”, Stazione della Via Crucis, 1969-70ceramica dipinta e invetriata, 35 x 35 x 5 cm.

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VissUTi laVoraTiVi degli insegnanTiLA VALIDITÀ PREDITTIVA DELLA COMPETENZA EMOTIVA

Simone Catalano, Valentina Di Natale, Daniela Macaluso

Il potenziamento della competenza emotiva contribuisce al miglioramento del benessere, conducendo ad una maggiore capacità di gestione dei vissuti scolastici che coinvolgono gli insegnanti. L’affinamento delle dimensioni affettive potrebbe anche risultare particolarmente efficace in interventi mirati al potenziamento di fattori di protezione e alla prevenzione di fattori di rischio

la FUnzione doCenTe nelle organizzazioni sColasTiCHe

La professione dell’insegnante rientra nella categoria delle helping professions dove la relazione d’aiuto può essere de-finita come un rapporto asimmetrico (Jervis, 2001) in cui una delle due figure si prefigge lo scopo dello sviluppo, matura-zione, accrescimento dell’altro (Di Nuovo & Commodori, 2004). La componente emotiva riveste un ruolo di particola-re importanza nelle professioni d’aiuto, per le quali le relazioni interpersonali risultano centrali strumenti di lavoro e il coinvolgimento personale è spesso molto elevato (Giannetti, 2005).

Il presente studio è teso alla verifica delle relazioni tra la componente emotiva e la soddisfazione lavorativa degli inse-gnanti, ipotizzando che la soddisfazione possa essere predetta dalle dimensioni che compongono la competenza emo-tiva. Lo studio si ispira alla prospettiva “biopsicosociale”, orientata alla salute globale della persona nel suo ambiente, con attenzione a ciò che la Psicologia Po-sitiva indica come promozione della salu-te (Zani & Cicognani, 2000; Marchese et al., 2004). La maggior parte delle indagini si è soffermata sugli aspetti cognitivi, sull’autovalutazione, sull’efficacia per-cepita, tralasciando, invece, quello che è l’aspetto emotivo della professione.

Dato tale presupposto, l’analisi delle competenze emozionali ci permette-rebbe di approfondire sugli insegnanti la loro personale percezione dei vissuti che caratterizzano il loro ruolo.

gli oBieTTiVi e i ConTenUTi della riCerCa

Lo studio ha come quadro di riferi-mento la Teoria Sociale Cognitiva (TSC; Bandura, 1986) che mira ad indagare l’influenza dell’efficacia personale su va-riabili quali la soddisfazione e l’autostima lavorativa. Sulla base di quanto espres-so, tenuto conto della finalità generale, la ricerca si è posta i seguenti obiettivi specifici:

l Dimostrare che la Competenza Socio-Emotiva (CSE), intesa come la capacità generale di entrare in relazione con le proprie e altrui emozioni, sia una determinante psicologica della soddisfazione e dell’autostima lavorativa.

l Disegnare un profilo delle compe-tenze emozionali dell’insegnante, tenendo conto delle differenze tra tipologie di scuole e delle diverse materie insegnate per verificare

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se siano riscontrabili profili emo-zionali analoghi e sovrapponibili o differenziati. Pertanto le ipotesi potrebbero essere le seguenti:

a) ci si aspetta che i livelli di CSE, gli indicatori di eccellenza della pro-fessione docente, la soddisfazione e l’autostima, nonché il committ-ment, siano influenzati dagli anni di insegnamento, dal grado della scuola di appartenenza;

b) che livelli maggiori delle suddet-te variabili corrispondano a docenti con più anni di carriera, o a docenti che prestano servizio in istituti su-periori, o ancora che gli istituti se-condari di II grado a orientamento umanistico possano veicolare mag-giori livelli delle variabili dipendenti precedentemente indicate.

i ParTeCiPanTi

L’indagine è rivolta agli insegnanti di scuola di diverso indirizzo disciplinare e grado stratificando la composizione del campione sulla base della tipologia di scuola (dell’Infanzia, Primaria, Secondaria di I grado e II grado) e della tipologia di docenza impartita. È stato coinvolto un campione di 496 insegnanti (M = 22.1%; F = 77.9%) della provincia di Palermo, con un’età media di 45 anni (SD: 8.53), per la maggior parte diplomati (71.4%) e coniugati (74.7%). Gli insegnanti in-tervistati lavorano presso le seguenti strutture scolastiche: Scuola dell’Infanzia (18.5%, Scuola Primaria (20.7%), Scuola Secondaria di I grado (24.4%) e Scuola Secondaria II grado (46.4%). Il gruppo di insegnanti lavora nelle scuole in media da 18 anni (DS: 9.69). Gli indirizzi disci-plinari di insegnamento risultano così Gorizia, Istituto Statale

Tecnico Industriale “Galileo Galilei”, Città, 1968 decorazione parietale, terracotta a rilievo, particolare.

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delineati: Scienze Natuarali e Fisico-Matematico (22.4%), Scienze Umane e Linguistico-Letterario (32.7%), Lingue Straniere (11.0%), Sostegno (13.3%) e la restante parte (20.8%) caratterizza indirizzi specifici (Economico-Giuridico, Musica-Spettacolo, Tecnologico, Scienze Motorie e Sanitario e della Prevenzione).

la MeTodologia

La ricerca è stata condotta durante la seconda parte dell’anno scolastico, nei mesi da maggio a dicembre. Tutti i test sono stati somministrati collettiva-mente, durante le ore extrascolastiche da un intervistatore formato, che ha realizzato l’indagine con il consenso informato dei partecipanti. Dopo aver letto le istruzioni, sono state fornite ai soggetti informazioni sia sugli scopi della ricerca sia sulle modalità di compi-

lazione dei questionari. La somministra-zione ha avuto la durata di circa un’ora. Ai fini della privacy è stato mantenuto l’anonimato.

Il disegno di ricerca nello specifico origina da un’indagine pilota, non di-scussa in questa trattazione, condotta per individuare le dimensioni che rap-presentano adeguatamente il problema relativo all’ipotesi di ricerca. In un se-condo momento è stata messa a punto una batteria di questionari specifici per le dimensioni rilevate nella precedente fase.

In definitiva abbiamo voluto innan-zitutto consentire la possibilità di mi-surazione delle dimensioni consigliate dalla letteratura in merito al ruolo degli insegnanti a scuola (Giannetti, Giuntoli e Bertelli, 2005) e poi indagare delle nuove aree ancora inesplorate che po-tessero rendere conto della percentuale di varianza ancora non spiegante il suc-cesso dell’insegnante.11

gli sTrUMenTi

Essendo già disponibile uno strumento specifico per la rilevazione della CSE degli insegnanti, è stato utilizzato l’Emotional Social Competence Que-stionnaire (Catalano & Cerniglia, 2009) che presenta 29 item su scala Likert da A (mai) a E (sempre). La prima dimensione dell’ESCQ (α =.82) è la Perce-zione e Comprensione delle emozioni. La seconda componente (α =.84) indica essenzialmente la capacità del soggetto di Comprendere le proprie emozioni. La terza competenza (α =.71) si riferisce alla Regolazione ed Uso efficace delle emozioni. Ai partecipanti è stata somministrata peraltro una batteria studiata ad hoc per analizzare alcune dimensioni importanti del vissuto organizzativo degli insegnanti. La nostra batteria di strumenti indaga:

l La Soddisfazione lavorativa viene esplorata mediante 11 item (originati dal questionario di Weiss del 2002) con modalità di risposta su scala Likert da “Totalmente in accordo” (1) a “Totalmente in disaccordo” (4). Misura il gra-do con cui una persona ritiene che la propria attività lavorativa produca dei riconoscimenti conformi alle proprie aspettative (α = .87).

l Committment scolastico misurato in base alle teorizzazioni di Meazzini (2000). Questo indicatore fa riferimento all’adesione convinta da parte degli insegnanti al concetto di qualità totale e la loro disponibilità a mettere in atto strategie per migliorarla costantemente. Presenta 22 item con modalità di risposta su scala Likert da “Completamente in disaccordo” (1) a “Comple-tamente d’accordo” (4) e indaga tre dimensioni del committment: affettivo (lealtà e identificazione che la persona nutre nei confronti dell’istituzione scolastica: α = .61); coercitivo (insoddisfazione dell’insegnante verso il lavoro

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QUADERNI DI ORIENTAMENTO 42

e l’istituzione: α = .56); morale (senso di reciprocità contrattuale che lega la persona all’istituzione: α = .71).

l Indicatori di Eccellenza, valutati grazie allo strumento di Spaltro (2007) misura cinque abilità dell’insegnante che ineriscono la Capacità di intuito o autoanalisi creativa (Insight), ovvero la capacità di adattare l’esperienza passata alla situazione attuale, di cogliere l’essenza in una situazione complessa e di risolvere problemi nuovi; l’Autovalutazione della sensibilità (Sensitivity), cioè la disposizione di condividere un’emozione provata da soggetti altri da sé e alla capacità di coinvolgimento in una determinata situazione; la Capacità di anticipare i cambiamenti: versatilità (Versatility), ossia la capacità di sfruttare con prontezza le occasioni impreviste, di adeguarsi alle circostanze, mirando a trarne comunque profitto; la Capacità di concentrazione (Focusing), vale a dire la Capacità di ascolto e di concentrazione, curiosità intellettuale, corag-gio del cambiamento, disponibilità all’adattamento, caratterizzata da una disposizione ad accettare soluzioni alternative a quelle precedentemente considerate, con la conseguente necessità di utilizzare le conoscenze pre-gresse per scopi diversi da quelli per cui sono state apprese; la Perseveranza, pazienza (Patience) tenacia, in altre parole l’atteggiamento interiore proprio di chi accetta le difficoltà, le avversità e le controversie, con animo sereno e con tranquillità, controllando la propria emotività e perseverando nelle azioni.

l Autostima Lavorativa, mediante uno strumento messo a punto da Spal-tro (2007), misurata attraverso 10 item con tipo di risposta multipla a cinque alternative che riguardano l’investimento energetico sul lavoro che richiede la capacità di confrontarsi con idee e concetti nuovi, per affrontare un cam-biamento, per rafforzare l’impegno e per raggiungere nuovi obiettivi. Valuta la sensazione di gestire gli eventi e di avere un certo controllo delle situazioni, la realizzazione dei propri obiettivi, la sensazione di sentirsi utili ed importanti per il successo collettivo, e il sentimento di svolgere il proprio lavoro senza dover rinunciare ai propri valori personali.

l Efficacia personale, valutata con una scala di Barbaranelli e Fida (2004) composta da 11 item (α = .87). Per ogni affermazione i docenti devono esprimere il proprio grado di accordo utilizzando una scala di tipo Likert a 7 posizioni (da 1 = “Molto in disaccordo” a 7 = “Molto d’accordo”).

i risUlTaTi

Come accennato in precedenza uno degli scopi principali di questa fase è l’individuazione delle determinanti psi-cologiche della soddisfazione e dell’au-tostima degli insegnanti. Nello specifico ipotizziamo che una delle determinanti personali sia la competenza socio-emo-

tiva intesa come la capacità generale di entrare in relazione con le proprie e altrui emozioni.

Le tabelle 1 e 2 illustrano in maniera ri-assuntiva i risultati delle regressioni mul-tiple effettuate, mettendo in evidenza il ruolo cruciale della competenza emotiva, come moderatrice della soddisfazione e autostima lavorativa del docente.

Dimensioni B ES Bs F p

Competenza Emotiva .56 .31 .31 26.49 .001

Efficacia Personale .77 .60 .28 39.66 .001

Tabella 1: Totale insegnanti (N=61): regressione multipla per il criterio Soddisfazione lavorativa rispetto alle dimensioni competenza emotiva, efficacia personale. R = .80; R2=.64; F=24.61; p<.001

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ORIENTAMENTO E SCUOLA

Dimensioni B ES Bs F p

Competenza Emotiva .77 .60 .07 10.29 .001

Efficacia Personale .80 .62 .05 7.25 .001

Tabella 2: Totale insegnanti (N=61): regressione multipla per il criterio Autostima lavorativa rispetto alle dimensioni competenza emotiva, efficacia personale. R = .74; R2=.58; F=33.41; p<.001

analisi sTaTisTiCHe di TiPo inFerenziale

Si tratta di mettere in luce se le carat-teristiche (variabili dipendenti) che con-traddistinguono la figura professionale dell’insegnante (competenza emotiva, committment scolastico, indicatori di eccellenza, soddisfazione e autostima lavorativa) emergono come trasversali rispetto ai docenti oppure sono influen-zate da alcune variabili di disegno. Nel-lo specifico abbiamo voluto indagare l’incidenza degli anni di insegnamento, del grado della scuola di appartenenza e l’indirizzo disciplinare; inoltre abbiamo osservato anche l’influenza di alcune variabili indipendenti più comuni ad al-tre ricerche quali: lo status maritale, il titolo di studio, nonché il genere e l’età dei docenti.

l’effetto degli anni di insegnamento

Si è proceduto all’esame degli effetti univariati per vedere qual è la rilevanza relativa della variabile indipendente (anni di insegnamento).

Dalle analisi la differenza tra i due gruppi risulta significativa per alcune variabili dipendenti, sulle quali i confronti mostrano nello specifico che i docen-ti con minor esperienza professiona-le rispetto ai colleghi con più anziani-tà, dimostrano di avere maggiori livelli medi di Competenza Emotiva [t=2.56; g.l.=494; p<.001], di Insight [t=4.07; g.l.=494; p<.001], di Sensitivity [t=3.16; g.l.=494; p<.001], di Tenacia [t=3.81; g.l.=494; p<.001] e di Soddisfazione la-vorativa [t=2.86; g.l.=494; p<.001]. Men-

tre i docenti con maggiori anni di servizio riportano valori medi più alti degli altri colleghi con minori anni di carriera in cor-rispondenza del Committment Affettivo [t=-2.85; g.l.=494; p<.001], dell’Autostima Lavorativa [t=-2.72; g.l.=494; p<.001], del-la Versatility [t=-3.31; g.l.=494; p<.001], e del Focusing [t=-3.43; g.l.=494; p<.001].

l’effetto del grado di sCuola di appartenenza

Ricordiamo che la variabile indipen-dente di cui ne analizzeremo l’influen-za sulle dimensioni indagate nei par-tecipanti, li divide quasi equamente in quattro sottogruppi (scuola dell’infan-zia, primaria, secondaria di I e II grado). La differenza tra i quattro gruppi è evi-denziabile in alcune dimensioni, nello specifico: nella Competenza Emotiva [F(3,492): 2.85; p<.03] si riportano valori medi più alti a favore dei docenti della scuola secondaria di II grado rispetto ai colleghi della scuola primaria, e per quest’ultimi rispetto ai colleghi della scuola dell’infanzia. Nel Committment Affettivo [F(3,492): 6.81; p<.001] a carico dei docenti della scuola d’infanzia con-tro quelli delle scuole superiori, e quelli della scuola primaria verso i docenti della scuola media; nel Committment Morale [F(3,492): 4.52; p<.004] per i docenti della scuola superiore verso gli insegnanti di scuola d’infanzia e primaria; nel Com-mittment Coercitivo [F(3,492): 7.54; p<.001] a favore dei professori di scuola secon-daria di II grado contro i maestri della scuola d’infanzia.

Per la Soddisfazione Lavorativa [F(3,492): 2.62; p<.05] i docenti della scuola prima-ria registrano punteggi medi più eleva-ti dei colleghi della scuola d’infanzia.

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QUADERNI DI ORIENTAMENTO 42

Gorizia, Istituto Statale Tecnico Industriale “Galileo Galilei”, Città, 1968 decorazione parietale, terracotta a rilievo, 240 x 340 cm.

Per l’Autostima Lavorativa [F(3,492): 3.25; p<.02] invece sono i professori delle su-periori a dichiarare un maggiore senso di realizzazione rispetto ai colleghi della scuola media. Per gli indicatori di eccel-lenza: nell’Insight [F(3,492): 9.02; p<.001] si registra una differenza a favore degli insegnanti della scuola dell’infanzia e della scuola primaria entrambi verso i professori delle scuole secondarie; nella Sensitivity [F(3,492): 6.91; p<.001] la scuola primaria ottiene maggiori livel-li della scuola secondaria di I grado, e quest’ultima inferiori rispetto alla scuola di II grado; nella Versatility [F(3,492): 7.32; p<.001] le scuole secondarie (I e II grado) rispondono di possedere più prontezza nelle circostanze rispetto ai colleghi del-la scuola Primaria. Nella Tenacia [F(3,492): 5.21; p<.004] coloro i quali prestano ser-vizio rispettivamente nelle scuole dell’In-fanzia, Primarie e Secondarie di I grado

attestano valori medi statisticamente superiori ai professori della scuola Se-condaria di II grado.

l’effetto dello status maritale

Si ricorda che lo status maritale rile-vato ai fini dell’analisi dei dati presenta due modalità (single o in coppia). Dalle rilevazioni statistiche si registra un signifi-cativo effetto della variabile indipendente presa in esame a favore degli insegnanti in coppia su alcune dimensioni indagate quali: la Competenza Emotiva [t=-3.21; g.l.=494; p<.001]; la Sensitivity [t=-2.32; g.l.=494; p<.001]; e la Versatility [t=-2.85; g.l.=494; p<.001]. Mentre altre dimensioni favoriscono il docente privo di relazione sentimentale stabile (single): il Committ-ment Affettivo [t=2.48; g.l.=494; p<.001]; e l’Insight [t=3.07; g.l.=494; p<.001].

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ORIENTAMENTO E SCUOLA

l’effetto del genere

La variabile indipendente del genere mette a confronto maschi e femmine quasi equamente distribuiti nel gruppo. Le insegnanti dimostrano in generale di avere livelli superiori di: Competenza Emotiva [t=-2.49; g.l.=494; p<.001], Tena-cia [t=-2.43; g.l.=494; p<.001] e Committ-ment Affettivo [t=-3.23; g.l.=494; p<.001], mentre gli insegnanti maschi riportano livelli maggiori di Committment Coerci-tivo [t=2.56; g.l.=494; p<.001].

disCUssione dei risUlTaTi

Riprendendo i punti nodali su cui si è basata la presente indagine, è possibile formulare alcune ipotesi interpretative dei risultati emersi. L’analisi delle deter-minanti psicologiche della soddisfazio-ne lavorativa indica nella competenza socio-emotiva un fattore predisponente l’efficacia personale, la soddisfazione e l’autostima lavorativa. Dall’analisi della varianza emerge come gli anni di inse-gnamento inferiori a venti determinino i livelli medi di competenza socio-emotiva, per cui i soggetti con minore esperienza hanno una maggiore autoconsapevolez-za delle emozioni e sono in grado quindi di riconoscere quei pensieri irrazionali e automatici che mediano tra una situazio-ne e l’emozione seguente. La probabile spiegazione di tale differenziazione è rintracciabile nella componente tem-porale che influenza negativamente i livelli di introspezione, favorendo una scarsa creatività che, a sua volta, si lega alle capacità interpretative nella lettura delle emozioni. Pertanto l’insegnante con più anzianità, avendo perso gran parte della produttività creativa che lo differenzia dal giovane docente, risulta meno produttivo anche nella gestione delle emozioni (Fedeli, 2001).

I docenti che hanno una maggiore an-zianità mostrano livelli maggiori di Com-mittment affettivo, pertanto mostrano

nei confronti dell’istituzione scolastica una leale identificazione. Tra le frasi che i soggetti hanno riportato nei propri diari si legge infatti in corrispondenza di alcuni di essi che alla scuola come istituzione si attribuiscono espressioni quali: “La mia scuola” oppure “In pensione come farò senza andare ogni giorno a scuo-la?” Inoltre gli anni di insegnamento influenzano a favore dei meno anziani i valori medi della capacità di adattarsi alla situazione corrente, la capacità di prevenire il cambiamento allo scopo di procurare adeguate soluzioni e la capaci-tà di rispondere alle difficoltà attraverso un’accettazione interiore del problema. Di contro i soggetti con maggiori anni di insegnamento riportano valori medi più alti degli altri colleghi in corrispondenza del sentimento verso il lavoro congruo ai propri valori personali, e inoltre nella responsività agli imprevisti e nella capa-cità di concentrazione o di disponibilità all’adattamento.

I quattro diversi gradi ministeriali di insegnamento pongono una distinzione per cui i professori della scuola media superiore presentano una migliore si-nergia con la propria sfera emotiva, ma al contempo provano un dovere morale nei confronti dell’istituzione scolasti-ca maggiore, rispetto ai colleghi della scuola dell’infanzia e primaria, per cui ritengono che la scuola rappresenti un impegno lavorativo precedentemen-te preso, al quale non sarebbe corretto venire meno. Rispetto agli insegnanti della scuola di infanzia assumono però un atteggiamento di insoddisfazione verso l’organizzazione scolastica, che viene vissuta come luogo di frustrazione e di scoramento che causano distress che può portare a livelli preoccupanti di burn-out. Sostanzialmente l’autostima lavorativa e la condivisione delle emozio-ni dei docenti delle scuole secondarie di II grado sono maggiori di quelle dichiarate dai colleghi della scuola secondaria di I grado. Peraltro, si registrano livelli supe-riori di adattamento alle circostanze e di curiosità intellettuale rispetto ai docenti della scuola primaria. Di contro, i docenti della scuola primaria mostrano maggiori

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QUADERNI DI ORIENTAMENTO 42

Gorizia, Ufficio comunale, Alfabeto, 1972 decorazione parietale, ceramica a rilievo dipinta, 700 x 300 cm.

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ORIENTAMENTO E SCUOLA

livelli di riconoscimento in funzione delle aspettative e di predisposizione al coin-volgimento emotivo rispetto ai colleghi della scuola media inferiore, di adatta-mento esperienziale e di perseveranza alle avversità rispetto ai docenti della scuola secondaria di II grado.

Infine, si registrano migliori compe-tenze di adeguamento ambientale e di tenacia degli insegnanti di scuola secon-daria di I grado rispettivamente verso gli insegnanti della scuola primaria e di quelli della scuola secondaria di II gra-do. Possiamo quindi concludere questa riflessione sui risultati ottenuti per gra-do indicando come gli insegnanti delle scuole secondarie (I e II grado) riescano maggiormente a gestire sia le abilità riferibili al controllo della situazione sia i contenuti delle emozioni ad essa cor-relate, piuttosto che gestire la creatività e la tenacia come dichiarano i docenti dell’infanzia e della scuola primaria.

Lo status maritale ha evidenziato la sua influenza sui livelli di competenza socio-emotiva, di coinvolgimento emo-tivo e di adeguamento ambientale a favore dei docenti in coppia. Proba-bilmente un’ipotesi interpretativa po-trebbe ritrovare nella situazione intimo-sentimentale vissuta all’esterno della quotidianità lavorativa la determinazio-ne di un costante allenamento rispetto all’identificazione e all’introspezione dei vissuti emotivi personali, alla capacità

di comprendere le situazioni a valenza affettiva e il superamento di situazioni contingenti e ostacolanti associabili ai sistemi ambientali concomitanti. Di con-tro, coloro che non hanno una situazione sentimentale stabile rivolgono verso l’istituzione scolastica una maggiore affettività e utilizzano quotidianamente una produttività creativa che per certi versi è dipendente dalla mancanza di legami affettivi costanti che caricano la sfera emozionale, la quale potreb-be ostacolare quella cognitiva (Fedeli, 2001).

Per quanto concerne il genere, le don-ne si percepiscono più emotivamente competenti, più pronte a rispondere con tenacia agli stimoli stressogeni e maggiormente legate affettivamente all’istituzione scolastica. Mentre gli uo-mini dichiarano di rivolgere al sistema scolastico un atteggiamento di insod-disfazione e di demotivazione.

Simone CatalanoProfessore a contrattoUniversità degli Studi di Palermo

Valentina Di NataleDottore in PsicologiaUniversità degli Studi di Palermo

Daniela MacalusoDottore in PsicologiaUniversità degli Studi di Palermo

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QUADERNI DI ORIENTAMENTO 42

BiBliograFia

Bandura A., Social foundation of thought and action: A Social Cognitive Theory, Englewood Cliffs, NJ, Prentice Hall, 1986.

Barbaranelli C., Fida R., Determinanti personali della soddisfazione e della motivazione degli insegnanti. Bollettino di psicologia applicata, 244, 25-36, 2004.

Catalano, S., Cerniglia I., Approcci psicometrici alla valutazione della regolazione affettiva, Roma, Aracne, 2009.

Di Nuovo S., Commodori E., Costi psicologici del curare. Stress e burn-out nelle professioni di aiuto, Roma, Bonanno Editore, 2004.

Giannetti E., Giuntoli G., Bertelli E., Intelligenza emotiva e stress occupazionale in docenti della Scuola Primaria: Uno studio esplorativo, Psicologia della salute, 3, 41-54, 2005.

Jervis G., Psicologia dinamica, Bologna, Il Mulino, 2001.

Marchese M., Simonelli F., Pinella M.G.J., Mayer K., Health promotion for children and adolescents in hospital, Atti del convegno “Psicologia ospedaliera al Mayer: un servizio che nasce”, Firenze, 2004.

Meazzini P., Quando l’insegnante perde le staffe. Parte quinta: come gestire la propria collera. Psicologia e Scuola, 100, 35-45, 2000.

Spaltro E., Il clima lavorativo, Manuale di meteorologia organizzativa, Milano, Franco Angeli, 2007.

Weiss H. M., Brief A.P., Affect at work: a historical. In R.L. Payne & C.L. Cooper (Eds), Emotion at work: theory, research and applications for management. Chichester, UK: Wiley.

Zani B., Cicognani E., Psicologia della salute, Il Mulino, Bologna, 2000.

noTe

1 Procedure Statistiche Utilizzate: Per l’elaborazione dei dati è stato utilizzato il programma statistico SPSS 19.0 (Statistical Package for Social Science) per Windows, per approfondire l’analisi delle caratteristiche dei partecipanti alla ricerca. Sono state utilizzate le seguenti procedure statistiche: test t di Student, test parametrico che consente di verificare l’esistenza di differenze statisticamente significative tra le medie di due gruppi indipendenti; ANOVA che permette di confrontare contemporaneamente più di due medie campionarie.

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SPAZIO APERTO

QUando l’alUnno diVenTa inVisiBile “NON UNO DI MENO” UN PERCORSO CO-COSTRUITO PER CONTRASTARE L’ABBANDONO SCOLASTICO

Paolo Taverna, Liviana Zanchettin, Elena Paviotti

inTrodUzione

Il nome del progetto “Non uno di me-no” è il titolo di un film del regista cinese Zhang Yimou. Vi si narrano le vicende di una giovanissima supplente, in una scuo-la miserabile d’uno sperduto villaggio della Cina rurale contemporanea, alle prese con il compito di impedire che an-che un solo alunno si ritiri dalla scuola. La storia è anche molto altro, come capita al cinema, ma non solo, e ha a che fare con un premio in denaro, con l’ostinazione e, in fondo, con un modello pedagogico. Alla ragazzina che chiede quando sarà pagata, il capo villaggio dice “fai come ti ha detto il maestro e ti saranno dati i 50 yuan, non uno di meno”. È a questo punto che la maestra, parlando degli scolari, le dice “fa sì che li ritrovi tutti, non uno di meno”. Quando abbiamo scelto come intitolare il progetto, ci è piaciuta la perentorietà, non uno di meno, per un compito apparentemente impossi-bile: ricondurre a scuola, in una scuola, ragazze e ragazzi che per la scuola, la scuola di tutti, la scuola pubblica, erano diventati invisibili.

Da subito ci è sembrato che il Piano di Zona fosse la cornice più adatta: lo strumento di pianificazione delle politi-che sociali, previsto dalla legge nazionale (382/2000) e da quella regionale (L.R. 6/2006), ha consentito all’ente locale, al volontariato, alle associazioni, alle co-operative, alle istituzioni coinvolte, alle

scuole, di co-progettare e di co-gover-nare per un intero triennio un servizio che ha avuto al centro, ed è tuttora così, i grandi temi dell’educazione, dell’ap-prendimento e dell’insegnamento. La forma della programmazione collettiva e partecipativa tipica dei Piani di zona ha consentito che una pluralità di sguardi, educativo e sociale in primis, si esercitas-se liberamente su di una questione fon-damentale: come la funzione educativa e le didattiche possono incontrare i diversi modi di apprendere e come in questo incontro e nell’intersezione con le storie delle persone e delle famiglie, talora abi-tate da sofferenze e lacerazioni spesso anche solo da inciampi, si possa (e perciò si debba) garantire l’esigibilità dei diritti sanciti dalla carta costituzionale.

In particolare penso all’art. 3, siccome abbiamo tutti pari dignità, senza distin-zione di condizioni personali e sociali, spetta alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno svi-luppo delle persone e l’effettiva parte-cipazione alla vita del Paese, e all’art. 34, poiché la scuola è aperta a tutti e chi è privo di mezzi, capace e meritevole, ha diritto a raggiungere i gradi più alti degli studi, la Repubblica rende effettivo tale diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze.

“Non uno di meno” è un piccolo pro-getto ed è bene che rimanga tale. Si oc-cupa, lo si vedrà più avanti, di un ridotto numero di ragazze e ragazzi che a scuola

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QUADERNI DI ORIENTAMENTO 42

hanno smesso di andarci. Può sembrare difficile conciliare la dimensione della carta costituzionale con le pratiche di-dattiche e educative quali sono state messe a punto e sperimentate in quattro anni di “Non uno di meno”. Tuttavia, là dove la Costituzione scrive “la Repubbli-ca” leggo, senza alcuna forzatura, “l’Ente locale” e dove è scritto “altre provviden-ze” intravedo gli obiettivi e le azioni del progetto “Non uno di meno”. Del resto, sarebbe un errore imperdonabile, per coloro che abbiano responsabilità pub-bliche o che anche solo partecipino al discorso pubblico, separare il dettato costituzionale dalla realtà delle comunità locali. Scuola significa imparare, socia-lizzare, negoziare, cooperare; per parte-cipare alla vita della propria comunità, lavorando, contribuendo alla fiscalità generale, educando i figli, osservando le regole che definiscono, consentono e

tutelano il convivere civile; è necessario aver imparato (a scrivere, a leggere, a far di conto e da dove veniamo, con quali teorie scientifiche spieghiamo il mondo, come lo abitiamo e lo misuriamo, che idee abbiamo avuto e abbiamo a propo-sito di noi e del mondo) e aver imparato che non ci è consentito prescindere dagli altri nel costituire, necessariamente as-sieme, la “realtà” sociale, quella stessa di cui J. Bruner ha detto che “non sta né nelle cose, né nella mente, ma nell’atto stesso di discuterne e di confrontarsi sul loro significato”.1

Il Servizio Sociale dell’ente locale ha reinterpretato una titolarità riconosciu-ta istituzionalmente, arricchendola di contenuti e significati co-costruiti, co-operando con associazioni, volontari, soci di cooperative e altre istituzioni. In questo modo si sono modificate prassi operative consolidate, innovando l’or- Gorizia, Ufficio comunale,

Alfabeto, 1972 decorazione parietale, ceramica a rilievo dipinta, particolare.

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SPAZIO APERTO

ganizzazione e connettendo, da un lato, la funzione di progettazione degli uffici centrali dell’Unità Minori con la più ti-pica dimensione territoriale e, dall’altro lato, inducendo all’interazione assistenti sociali e educatori, per approfondire il preoccupante fenomeno dell’abbandono scolastico, evitando soluzioni prestazio-nali. Ciò ha consentito di interpretare quella titolarità scansando logiche ero-gative, rassicuranti e autoreferenziali, e di recuperare, riportandola in primo piano, la promozione del cambiamento delle persone - a partire dalle loro risorse e, perché no, sociale e istituzionale. E ciò, proprio rimettendo al centro gli invisibili, persi alla scuola e alla società, e il loro diritto a partecipare pienamente alla vita della nazione.

Per riprendere le precise parole del progetto del Piano di Zona del triennio 2010-2012, questi erano gli obiettivi che il gruppo di lavoro si era proposto:

l “trarre dall’«invisibilità» le/i ragazze/i che non frequentano la scuola; presa in carico delle loro situazioni da parte della scuola e degli enti e soggetti coinvolti nel progetto”;

l “dare la possibilità alle/ai ragazze/i che non frequentano la scuola dell’ob-bligo di frequentare un ambiente non tradizionalmente «scolastico» che of-fra loro la possibilità di apprendere saperi curriculari, di conoscenza di sé e degli altri e di sperimentare esperienze nuove”;

l “fornire nel diverso contesto di appren-dimento ore di frequenza abbastanza continuative”;

l “aumentare la quota de l le/de i ragazze/i «soggetti» di questo proget-to che riescono a completare i percorsi formativi dell’obbligo”

Si vedrà, seguitando a leggere, quali siano stati raggiunti e in quale misura. Qui, da subito, penso di poter antici-pare solo una breve considerazione sull’ultimo degli obiettivi e sull’insi-stenza, pensata, voluta, agita, sul pro-tagonismo delle ragazze e dei ragazzi che insegnanti volontari e educatori hanno incontrato nella quotidianità di “Non uno di meno”: effettivamen-te “soggetti”, non solo coinvolti, bensì parti costitutive del progetto, assieme alle loro famiglie.

Un po’ per chiudere questa breve intro-duzione e per richiamare retoricamente il film cinese citato all’inizio, com’è stato per l’esperienza, in fondo deweyana, della giovanissima supplente e dei suoi piccoli scolari, alle prese in prima persona, tut-ti, grandi e piccoli, con un problema da risolvere. E forse, più delle stesse didat-tiche, ciò che ci ha impegnati tutti, primi fra gli altri e giorno dopo giorno, ragazzi, insegnanti e educatori, e di riflesso ogni altro partecipante al gruppo di progetto, è stata la rappresentazione di “un proble-ma che non ci abbandona mai quando ci occupiamo di insegnamento e di appren-dimento, un problema così onnipresente, così costante, che fa così parte del tessuto della vita che spesso non lo notiamo, non riusciamo nemmeno a scoprirlo […] ed è il problema di come avviene l’incontro fra due menti, che l’insegnante esprime chiedendosi: «come faccio ad arrivare ai bambini?» e i bambini: «dove sta cercando di arrivare?»” 2.

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QUADERNI DI ORIENTAMENTO 42

organizzazione ed eVolUzione della sCUola di s. MarTino al CaMPo (sMaC)

individuazione dei parteCipanti, Composizione del gruppo e organizzazione.

La Scuola SMaC, realizzata nell’am-bito del progetto “Non uno di meno” e, precedentemente, del progetto pilota “Insieme stiamo bene”, è giunta al quarto anno scolastico. In questi anni l’équipe multiprofessionale del progetto (compo-sta da educatori, insegnanti, assistenti sociali) ha sperimentato e modificato gli assetti metodologici e teorici del proget-to, cercando di “cucirlo su misura” delle esigenze dei ragazzi incontrati e delle loro famiglie. Tali cambiamenti non sono stati frutto di improvvisazione, ma di un percorso di progettazione attiva che ha previsto momenti condivisi di riflessione e verifica, portando l’équipe a convergere su alcuni aspetti pedagogici e organizza-

tivi ritenuti imprescindibili. Cercheremo, quindi, di render conto di tali aspetti par-tendo, però, dalla descrizione oggettiva di come si sia organizzata ed evoluta la Scuola SMaC.

I ragazzi che entreranno a far parte del progetto sono individuati, nel periodo estivo, dal Servizio Sociale sulla base delle segnalazioni per evasione dell’obbli-go scolastico, ricevute dalle scuole o dal Tribunale per i minori. Ciascun assisten-te sociale approfondisce la situazione socio-familiare del ragazzo, individua possibili cause e soluzioni al problema e, qualora ritenga adeguata la proposta della Scuola SMaC, richiede l’inserimento del giovane nel progetto. Alle famiglie, poi, viene richiesto di condividere il per-corso previsto dal progetto: esse han-no una ruolo fondamentale. Il ragazzo, infatti, dovrà essere ritirato da scuola da un esercente la potestà genitoriale che si deve assumere la responsabilità dell’istruzione parentale, ai sensi del D.L. N.297/94, affidando alla Comunità l’in-carico di seguire tale progetto formativo.

In questi quattro anni scolastici è au-mentato in modo esponenziale il nu-

Gorizia, Ufficio comunale, Alfabeto, 1972 decorazione parietale, ceramica a rilievo dipinta, particolare.

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SPAZIO APERTO

mero di inserimenti richiesti, mentre il gruppo di ragazzi accolti è stato mante-nuto volutamente ristretto: si è partiti, infatti, da 6 giovani – provenienti da una stessa Unità Operativa Territoriale, per arrivare, negli anni scolastici 2011-12 e 2012-13, a 16 ragazzi provenienti da tutto il territorio cittadino. L’alleanza tra chi opera quotidianamente nella Scuola SMaC, le famiglie e gli assistenti sociali, è strumento di lavoro imprescindibile per poter concludere l’anno scolastico con successo. Il colloquio che prelude l’inserimento del ragazzo nella Scuola SMaC è volto soprattutto a far com-prendere, a lui e alla sua famiglia, che questo percorso scolastico si distingue da quello tradizionale perché può essere scelto o rifiutato: egli infatti, pur essendo in obbligo formativo, non è obbligato a scegliere un percorso di questo tipo. Farlo significa desiderare un cambiamen-to rispetto all’itinerario scolastico e di vita seguito fino ad allora, prevede una, per quanto immatura, consapevolezza di voler raggiungere il traguardo della licenza media e l’intenzione, quindi, di impegnarsi in tal senso.

Nella tabella N. 1 vengono riportati i numeri dei ragazzi seguiti dalla Scuola SMaC in questi quattro anni scolastici: il genere, le provenienze culturali, il tipo di esame che hanno affrontato a fine anno scolastico, le percentuali di frequenza e di successo formativo. I dati riportati met-tono in evidenza che il progetto, in questi quattro anni, ha riportato un significativo grado di successo nei percorsi formativi dei ragazzi coinvolti. Tale successo, però, è spesso frutto della perseveranza e della coesione del gruppo educativo-didatti-co che opera nel progetto. Non basta, infatti, proporre ai ragazzi un contesto apprenditivo connotato in modo for-temente diverso da quello tradizionale per far sì che questi giovani, fuoriusciti dalla scuola da molto tempo, con tutto il corollario di marginalità e devianza che questo può comportare, siano motivati a impegnarsi, a frequentare, a scoprire il “piacere del conoscere”. La frequen-za, quindi, è spesso ottenuta con una sorta di “lotta colpo su colpo” fatta di accompagnamenti quotidiani, telefonate costanti, accordi con i genitori, verifiche con gli assistenti sociali.

2009-2010 2010-2011 2011-2012 2012-2013 TOTALEn. ragazzi 6 11 (di cui 2 dell’anno

precedente)16 (di cui 4 dell’anno precedente)

16 (di cui 7 dell’anno precedente)

36

Maschi/femmine 3M/3F 4M/7F 10M/6F 9M/7F 19M/17FEsame da superare 1: quinta elem.

2: prima media3: terza media

1: quinta elem.1: prima media4: seconda media5: terza media

6: prima media3: seconda media7: terza media

9: seconda media7: terza media

2: quinta elem.3: prima media16: secon. media22: terza media

n. promossi 6 (100%) 9 (81,8%) 14 (87,5%) Esami non ancora sostenuti

29 promozioni su 31 esami sostenuti (93,5%) di cui 13 hanno ottenuto la licenza media

n. ritirati 0 1 2 0 3n. bocciati 0 1 0 (1 ha ottenuto

l’idoneità solo per uno dei due anni per cui aveva sostenuto l’esame)

Esami non ancora sostenuti

1

Media presenze 68% (calcolato sul totale dei giorni)

63%(calcolato sul totale dei giorni compreso il ritirato)

74% (calcolato sul totale delle ore e senza i due ritirati)

66% 67,75%

Età media al momento dell’inizio dell’anno scolastico

14,83 14,27 13,25 14,62 14,24

n. italiani/stranieri/sinti

5 italiani1 sinto

9 italiani1 straniero1 sinto

10 italiani4 stranieri2 sinti

11 italiani4 stranieri1 sinto

26 italiani7 stranieri3 sinti

Tabella 1: Numeri dei ragazzi seguiti dalla scuola SMaC

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QUADERNI DI ORIENTAMENTO 42

L’organizzazione della Scuola SMaC prevede di preparare ciascun ragazzo all’esame di fine anno, al quale si presen-terà in qualità di privatista. I gradi d’esa-me che gli studenti hanno sostenuto in questi anni sono stati diversi: dall’esame di quinta elementare (necessari in parti-colare per un paio di ragazzi provenienti dalla comunità Sinti triestina) agli esami di ciascuna delle tre classi della scuola secondaria di primo grado. Anche in que-sto senso il progetto è cucito su misura di ciascun ragazzo: per ognuno, infatti, viene fatta una valutazione di opportu-nità, rispetto all’esame da sostenere, in base alla sua età e alla classe a cui si è fermato il suo percorso formativo. Vengono poi formati dei gruppi classe,

composti all’incirca da 4-6 ragazzi, cor-rispondenti alla tipologia d’esame che essi devono sostenere.

L’esame, realizzato presso le scuole da cui gli studenti provengono o in altre con le quali c’è già una collaborazione, verterà sui programmi di ciascuna disci-plina scolastica. Gli insegnamenti delle materie curricolari sono condotti da un nutrito gruppo di insegnanti volontari, per lo più professori in pensione. Accanto ai docenti, ciascun gruppo classe vede la presenza di un educatore di riferimento, costantemente presente, che coadiuva il lavoro del professore, sostiene i vis-suti emotivi e comunicativi dei ragazzi, funge da collante tra le diverse giornate e materie.

Gorizia, Ufficio comunale, Alfabeto, 1972 decorazione parietale, ceramica a rilievo dipinta, particolare.

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SPAZIO APERTO

le linee PedagogiCHe della sCUola sMaC

L’organizzazione della “Scuola”, rima-neggiata in alcuni suoi aspetti (orario e organizzazione dei gruppi classe) ha mantenuto, fin dall’inizio, la consape-volezza dell’imprescindibilità di alcuni assetti pedagogici:

l Tutto ciò che è didattico è educativo; tutto ciò che è educativo è didattico: riteniamo che nella stretta connes-sione tra didattica ed educazione si giochi una fondamentale scom-messa nella possibilità di raggiun-gere l’obiettivo di ri-avvicinare i ragazzi all’apprendimento e all’i-stituzione scolastica. Educatori professionali e insegnanti volon-tari condividono la responsabilità pedagogica nei confronti dei ra-gazzi e l’intenzionalità educativa che pervade ciascuna azione: le lezioni didattiche sono organizza-te in modo da partire dal mondo, esperienziale e relazionale, dei ra-gazzi; le attività laboratoriali, lu-diche e ricreative sono pensate in modo strettamente interconnesso alla programmazione didattica.

l Lavorare nel piccolo gruppo: il pro-getto prevede di lavorare in gruppi classe di 4-6 ragazzi e ciò permette di entrare in una relazione forte e significativa con gli studenti e di seguire ciascuno, secondo le ne-cessità, anche individualmente. Infatti le preparazioni di base e le motivazioni sono molto diverse da ragazzo a ragazzo: questa diversità richiede una modularità nell’atten-zione specifica che ciascun ragaz-zo necessita di ricevere. Crediamo, inoltre, che i ragazzi necessitino e beneficino dell’essere inseriti in un gruppo, con tutte le dinamiche di inclusione/esclusione, messe in gioco dell’identità e ricerca del pro-prio ruolo che il gruppo comporta.

l Il primato della relazione e dell’“e-ducazione emotiva”: Riteniamo che l’azione educativa e didattica della Scuola SMaC passi attraverso la relazione: rispettosa dei tempi di ciascuno, capace di esprimere cura e affetto, perseverante di fron-te alle provocazioni, aggressioni e scoraggiamenti che i “nostri” ragaz-zi spesso manifestano, a volte per mettere alla prova la nostra capa-cità di meritare fiducia. Riteniamo, inoltre, fondamentale l’attenzione ai vissuti emotivi di questi ragazzi, spesso legati a sofferenza, rabbia, impotenza: emozioni che appa-iono, però, represse o incanalate verso comportamenti auto e etero aggressivi. Aiutarli a dare parola ai loro vissuti, far emergere modalità diverse e meno distruttive di pro-vare emozioni, dare legittimità alla loro sofferenza, ma anche alla loro gioia, è per noi obiettivo primario per far maturare in loro maggior ben-essere.

l Una scuola “diversamente impegnati-va”: la Scuola SMaC si propone, per ambiente, strutturazione e metodo-logia, come esperienza diversa da quella scolastica tradizionale; tut-tavia riteniamo fondamentale che i ragazzi vivano quest’esperienza con impegno, percependo la fatica di raggiungere degli obiettivi pre-fissati, di rispettare regole e ruoli, di studiare e apprendere, di frequenta-re con regolarità, in una parola che vivano quest’esperienza come un percorso di crescita e maturazione.

l L’attenzione all’interdisciplinarità e alla “didattica del gesto”: la pro-grammazione didattica prevede l’implementazione di strumenti per la promozione del pensiero critico e delle capacità narrative da parte di questi ragazzi, ai quali spesso “mancano le parole” per raccon-tare il loro mondo. Per questo si prevedono numerose attività inter-disciplinari (che permettano di far

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QUADERNI DI ORIENTAMENTO 42

cogliere le inter-connessioni tra le materie) e lo sviluppo di percorsi, strettamente legati ai vissuti dei nostri giovani studenti, che li aiu-tino a porre attenzione alle loro esperienze di relazione, di legalità, di uso di sostanze, di sviluppo della loro identità. Sono inoltre previsti dei laboratori nel corso dei quali i ragazzi possano sperimentare, con la manualità e l’esperienza pratica, ciò che, secondo altri linguaggi e punti di vista, imparano nelle altre discipline: ad esempio dall’e-ducazione tecnica al laboratorio di falegnameria, dalla matematica

al laboratorio di cucina, dalla let-teratura al laboratorio di teatro. I ragazzi che hanno abbandonato la scuola, infatti, hanno la necessità di mettersi in gioco anche attraver-so competenze e capacità “altre”, nelle quali possano sperimentare maggiore motivazione e autostima, motori fondamentali per ri-attivare il desiderio di apprendere.

Nella tabella 2 vengono riportati alcu-ni dati rispetto all’organizzazione della Scuola SMaC: numero di ore di lezione, personale volontario e stipendiato im-piegato, numero di ore di servizio svolte.

2009-2010 2010-2011 2011-2012 2012-2013 TOTALE

Ore di lezione settimanali

10,5 20 20 25

Ore di lezione annuali 451,5 860 860 1.075 3.246,5 ore

Totale ore di insegnanti volontari tirocinanti – servizio civile nazionale

486 894 2.647 2.729 6.756 ore

Totale insegnanti volontari tirocinanti – servizio civile nazionale

6 insegnanti volontari2 servizio civile

10 insegnanti volontari (di cui 4 dell’anno precedente)1 servizio civile

16 insegnanti volontari (di cui 6 dell’anno precedente)1 work experience

22 insegnanti volontari (di cui 10 dell’anno precedente)9 volontari per i laboratori1 tirocinante per sei mesi più 1 per tre mesi

49 risorse

Totale ore di lavoro educatori professionali (Comunità e SSSeD)

1.636 (no SSSeD) 4.403 (2.703 Comunità;900 Coop. 2001;700 Coop. La Quercia)

4.020,5(2.620,5 Comunità;700 Coop. 2001;700 Coop. La Quercia)

5.174(3.054 Comunità;1150 Coop. La Quercia;970 Coop. 2001)

15.233,5 ore

Totale personale stipendiato

1 coordinatore2 educatori Comunità

1 coordinatore Comunità2 educatore Comunità2 educatore La Quercia2 educatori Coop. 2001

1 coordinatore Comunità2 educatore Comunità2 educatore La Quercia2 educatori Coop. 2001

1 coordinatore Comunità2 educatore Comunità2 educatore La Quercia2 educatori Coop. 2001

1 coordin. Comunità2 educat. Comunità2 educat. La Quercia2 educatori Coop. 2001

Laboratori no no no sì

Gita e uscite didattiche sì sì sì sì

Tabella 2: Numero di ore di lezione, personale impiegato, numero di ore di servizio svolte

I dati riportati mettono in luce la mul-tiprofessionalità dell’équipe: gli inse-gnanti volontari, la maggior parte dei quali ha insegnato per moltissimi anni all’interno del contesto scolastico tradi-zionale, sono affiancati dagli educatori provenienti da tre organizzazioni diverse: la Comunità di San Martino al Campo (che ha anche il compito del coordina-mento) e dalle Cooperative Sociali La

Quercia e 2001 Agenzia Sociale che ope-rano all’interno del Servizio di Sostegno Socio Educativo del Comune di Trieste.

A queste figure, impegnate quoti-dianamente nella Scuola SMaC, vanno aggiunti gli assistenti sociali di ciascun ragazzo e gli educatori che hanno un compito di supervisone del progetto “Non uno di meno” per conto del Co-mune.

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SPAZIO APERTO

Tali differenze di approcci, linguaggi e formazioni si è rivelata, negli anni, una grande ricchezza: infatti attraverso il co-stante scambio di idee e opinioni, a vol-te anche vivace, il progetto si è tenuto lontano dalla tentazione dell’autorefe-renzialità e ha fatto della condivisione e dell’interconnessione una sua moda-lità costitutiva. Sottolineiamo, infine, il fondamentale apporto dei professori volontari, senza il quale il progetto non sarebbe sostenibile né economicamente né qualitativamente.

il raPPorTo Con la sCUola Tradizionale

Partner fondamentali del progetto sono le scuole secondarie di primo grado da cui i ragazzi provengono e/o nelle quali andran-no a fare l’esame di fine anno. Il progetto prevede che, individuate le scuole di rife-rimento (esse cambiano ogni anno scola-stico in base agli alunni coinvolti) vengano organizzati alcuni momenti di incontro: un primo appuntamento nel quale alcuni in-segnanti ed educatori del progetto incon-trano il dirigente scolastico e i professori di riferimento per spiegare le linee didattico-educative della programmazione elaborata dalla Scuola SMaC e per condividere alcu-ne conoscenze sulla storia e sugli obietti-vi scolastici di ciascun ragazzo. Sono poi organizzati due momenti di verifica, uno a metà anno scolastico e uno in prossimità dell’esame finale, nei quali un gruppo do-centi accerta la preparazione degli studenti. In questi anni gli istituti che hanno accolto gli studenti della Scuola SMaC all’esame di fine anno si sono dimostrati collaborativi ed attenti alle peculiari situazioni vissute dai ragazzi.

L’équipe di “Non uno di meno”, nei prossi-mi anni, intende investire ancora più risorse e tempo per condividere con le scuole una parte programmatica e ideativa del proget-to, affinché la collaborazione reciproca pos-sa incidere non solo sugli esiti positivi degli esami degli alunni ma anche, e soprattutto, sull’implementazione di strategie efficaci di contrasto dell’abbandono scolastico.

il TaPPeTo di CleoPaTra: oVVero sU Cosa sCoMMeTTe il ProgeTTo

Il progetto “Non uno di meno” assu-me una peculiare lettura educativa delle problematiche psicologiche e cognitive dei ragazzi che abbandonano la scuola e presuppone alcuni elementi di novità per la città di Trieste e di discontinuità rispetto ad altre sperimentazioni simili in Italia (che per lo più sono state pro-mosse a partire da alcuni istituti scola-stici “illuminati”) tali da necessitare, per evitare possibili ambiguità, alcune pun-tualizzazioni. Useremo una “analogia”, pur comprendendo che possa apparire alquanto inconsueta ed ingenua, per descrivere queste peculiarità. L’analogia scelta, attraverso la quale definiremo cos’è “Non uno di meno” e soprattutto cosa non intende essere, è quella del “tappeto”.

l Non è tappeto del soggiorno. Tale immagine ci consente di sottoli-neare due aspetti. Innanzitutto un progetto come il nostro potrebbe diventare il tappeto sotto il quale “si nasconde la polvere”: è, infat-ti, sempre in agguato il rischio di ghettizzazione. Il rischio, cioè che, invece di contrastare l’esclusione sociale dei ragazzi che abbando-nano la scuola, diventi un alibi per facilitare alcuni processi espulsivi da parte delle scuole stesse. Un modo per allontanare il problema di avere in classe un ragazzo che mette in atto comportamenti inadeguati, che rallenta gli apprendimenti dei com-pagni, che richiede un’attenzione didattica individualizzata; a volte anche nella buona fede di ritenere che presso la Scuola SMaC il ragazzo trovi un contesto più adatto a lui. Altro aspetto che questa immagine ci consente di mettere in luce è che un progetto come questo non può assumere un approccio riduttivo (non si limita, cioè, a stare in mo-

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QUADERNI DI ORIENTAMENTO 42

do rassicurante entro i confini del “soggiorno”): proprio per evitare il rischio di ghettizzazione non si può limitare a inserire i ragazzi in un contesto altro da quello scola-stico; le soluzioni ad un problema complesso come l’abbandono sco-lastico (Santamaria F., 2012) vanno pensate insieme, in una pluralità di sguardi ed azioni che partano dal mettere in campo risorse e approcci nuovi all’interno delle scuole, che consentano anche ai “ragazzi diffi-cili” (Bertolini P., Caronia L., 1999) di rimanere in classe, e giungano – un po’ ambiziosamente – ad agire su un piano culturale, per sollecitare una riflessione approfondita sulla necessità di una riforma significativa che riguardi la scuola secondaria di primo grado che, tra tutti i gradi sco-lastici, appare quella più in difficoltà nell’accompagnare i cambiamenti cognitivi e psicologici degli studenti che ad essa vengono affidati, cioè i preadolescenti di oggi (Fondazione Agnelli, 2011).

l Non è tappeto di Aladino. Il progetto non è una soluzione magica, non consente di spostarsi da un posto (la mancata frequenza scolastica) ad un altro (la promozione e il re-inse-rimento nella scuola tradizionale) senza sforzo, con garanzia di risul-tato e senza farsi trasformare dal viaggio intrapreso. È un itinerario da percorrere giorno dopo giorno, è un percorso che modifica, ragazzi e adulti, nella misura in cui richiede di “camminare insieme”.

l È invece tappeto di Cleopatra. La leg-genda narra che Cleopatra, regina d’Egitto, per entrare segretamen-te nel palazzo dove si era appena insediato il conquistatore Giulio Cesare, si fosse fatta portare, sulle spalle di Apollodoro, avvolta in un tappeto che venne srotolato davanti all’imperatore, mostrandola in tut-to il suo splendore. Giulio Cesare se ne sarebbe innamorato a prima

vista. Possiamo utilizzare quest’im-magine per mettere in evidenza un auspicio e un dato di fatto. Il dato di fatto è che realizzare un progetto educativo con ragazzi che hanno abbandonato così precocemente la scuola significa, spesso, portare il loro peso sulle spalle: il peso dei fallimenti che hanno già vissuto, dei molteplici abbandoni che hanno costellato la loro vita (molti di loro hanno almeno un genitore fisica-mente o emotivamente assente, situazioni economiche deficitarie, relazioni familiari precarie e/o con-fusive), delle loro aspettative e delle speranze per il futuro (spesso da far emergere da una “palude” nella quale questi ragazzi si sono ritirati in una sorta di moratoria, nell’attesa che qualcosa magicamente cambi e li faccia andare avanti). Questo però non è da intendersi in senso paternalistico o pietistico, piuttosto, come l’arguzia di Cleopatra, vanno utilizzati gli strumenti del parados-so, dell’umorismo (Volpi D., 1983) e della fantasia. L’auspicio è che, una volta srotolato il tappeto, questi ragazzi celati e invisibili, possano essere visti e riconosciuti come re e regine. L’auspicio, cioè, è che di essi si possa un po’ innamorare quel mondo adulto che, volontariamente o involontariamente, li ha spinti ai margini e, spesso, sviliti. In questa immagine, però, non trova spazio un concetto che per noi è fonda-mentale: se, come sostiene D. De-metrio (2010) l’educazione, è “dire da che parte si sta”, noi riteniamo importante dire che noi stiamo dalla parte del restituire la responsabili-tà, unica e inalienabile, dei singoli ragazzi e ragazze che incontriamo: lavoriamo affinché possano essere artefici del loro destino, possano essere soggetti e non oggetti della progettualità che li vede coinvolti e possano essere aiutati a compren-dere quali uomini e donne voglio-no diventare, fornendo loro alcuni strumenti per orientarsi in tal senso.

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SPAZIO APERTO

orienTare Per sCegliere

il Contributo del Centro di orientamento regionale di trieste

A partire dal 2010, in seno alle attività previste dai Piani di Zona (2010-2012), il Centro di Orientamento di Trieste ha partecipato alle riunioni istituzionali e di organizzazione nelle quali si andava a dare senso e identità alle idee pro-

gettuali per fronteggiare l’abbandono scolastico e prendere in carico il feno-meno dei drop-out. Questo progetto (sperimentato con successo nel corso dell’anno scolastico precedente) racchiu-de in sé una chiara valenza sociale oltre che educativa; nel corso delle riunioni organizzative si poteva intravedere, se non iniziare a delineare, quale poteva essere il contributo del Servizio regionale nella sua prosecuzione.

La linea di intervento prevista nei Piani di Zona, in cui il progetto era inserito, ri-guardava i minori, le famiglie e il disagio

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QUADERNI DI ORIENTAMENTO 42

Gorizia, Scuola media statale “Ascoli Favetti”, Materie di studio, 1972-74 pannello decorativo, ceramica a rilievo graffita e dipinta, 200 x 400 cm.

giovanile; tema di forte attualità, allora come oggi, materia di lavoro delle Politi-che regionali e di intervento per i Centri di Orientamento sul territorio. Si è vo-luto, pertanto, collaborare con la Scuola SMaC allo scopo di fornire informazioni e strumenti orientativi agli educatori, ma soprattutto ai ragazzi che si appre-stavano ad ottenere la licenza di scuola secondaria di primo grado.

Fare una scelta oggi, formativa o pro-fessionale che sia, ma anche esisten-ziale tout court, risulta enormemente più complessa rispetto a qualche anno

fa. L’orientamento è un processo che contiene una sintesi di conoscenze, in-formazioni, strategie di risoluzione di problemi ed esperienze interiorizzate ed è determinato dalla capacità di fare uso di queste (Batini, Giaconi, 2006). È sicuramente importante sottolineare an-che la rilevanza dell’informazione quale risorsa per una scelta motivata, perché ai giovani viene richiesto di fare buon uso dell’informazione, per gestire in modo autonomo il percorso personale e profes-sionale. L’informazione, nel processo di orientamento, può essere definita come

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una condizione di base per una scelta fondata e consapevole. È necessario disporre di dati precisi e pertinenti, per valutare le diverse alternative e adottare una decisione. Al fine di supportare la scelta formativa e/o professionale dei giovani allievi della Scuola SMaC si è pensato di agire su più fronti e proporre:

l Informazioni

- per far conoscere il sistema scolasti-co/formativo e le norme attualmen-te vigenti. Non bisogna scordare che i ragazzi coinvolti nel progetto sono ancora nel così detto diritto/dovere all’Istruzione e alla Formazione;

- per delineare le offerte di formazio-ne proposte dagli Istituti scolastici (una panoramica sulle scuole secon-darie di secondo grado e sugli Enti di formazione professionale presenti sul territorio (per quanto riguarda i percorsi di Istruzione e formazione professionale IeFP);

- per fornire una guida sul sistema dell’Apprendistato per l’ottenimento di una qualifica o diploma professio-nale;

- per dare notizia delle recenti pro-poste del piano di formazione pro-fessionale con i percorsi sussidiari e complementari;

- per avviare spunti di riflessione sul-le tendenze del mercato del lavoro regionale;

l strumenti orientativi (ad esempio il Questionario di interessi della Re-gione FVG o S.or.Prendo – Software di orientamento alle professioni);

l consulenze individuali di approfon-dimento con operatori esperti;

l azioni educative, di riflessione e “apertura al futuro”, con l’orienta-mento narrativo.

I bisogni orientativi e le caratteristi-che individuali degli allievi della Scuo-la SMaC hanno guidato, nelle diverse annualità, le proposte orientative of-ferte dal Servizio regionale; pertanto, alcune azioni, quali ad esempio quelle di tipo informativo sul sistema scola-stico, sull’offerta formativa in regione e le consulenze individuali, sono rimaste invariate. Altre, quali ad esempio l’uso di strumenti orientativi come il Software di orientamento alle professioni hanno evidenziato alcune criticità. Si è prefe-rito quindi, diversificare gli interventi, adattandoli alle richieste degli educatori e alle esigenze dei ragazzi (vedi Box 1).

Nell’ultima annualità, quella che si sta concludendo, al fine di potenziare e diversificare ulteriormente l’offerta orientativa, si è considerato di fare leva sulla coesività degli allievi e di proporre un lavoro di gruppo in grado di abbas-sare le barriere difensive, far emergere aspetti emozionali, promuovere spunti di riflessione e recuperare la dimensione di progettualità verso il proprio futuro. Si è pensato, pertanto, all’orientamen-to narrativo, quale strumento che può contribuire non solo alla consapevo-lezza identitaria (mentre racconto e mi racconto agli altri prendo coscienza di me), ma anche contrastare il fenomeno di “amnesia identitaria”, piuttosto dif-fuso nelle ultime generazioni, complici la perdita dei modelli di comportamen-to e delle attribuzioni di valore (Batini, Giusti, 2008).

La proposta di lavoro con l’orienta-mento narrativo è stata ben accolta dal gruppo. In breve, ai ragazzi sono stati proposti alcuni stimoli, delle domande a risposta libera, con l’invito a proiet-tarsi nel futuro (un esempio di doman-da: Immagina di trovarti fra cinque anni nel contesto lavorativo che desideri …). La produzione del testo scritto, la se-guente lettura dello stesso nel gruppo e la narrazione dei vissuti, a giudizio degli operatori ed educatori presenti, è stata a momenti davvero toccante. Significativo è stato anche il rispetto delle regole proposte in preparazione al lavoro: l’ascolto partecipato del gruppo,

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il rispetto nei confronti delle narrazioni, l’assenza di valutazioni. Questo tipo di lavoro consente una presa di coscien-za delle diverse immagini del futuro, delle conseguenze delle proprie azioni. Lo scopo è quello di contribuire a far diventare i ragazzi sempre più consa-pevoli e informati verso le scelte che andranno a compiere.

Corre la necessità di sottolineare che l’efficacia misurabile di questa tipologia di interventi richiede un impegno orario ben diverso da quello proposto in questa occasione e l’inserimento dell’attività in un percorso o progetto di respiro più am-pio. L’esperienza, comunque, ha segnato una pista di lavoro che potrà essere svi-luppata nelle prossime annualità.

ANNUALITà 2010 2011 2012 2013Rilevazione da banca dati SiddifAccesso al sistema informativo per il diritto e dovere all’istruzione e alla formazione - ANAGRAFE DEGLI STUDENTI IN FRIULI VENEZIA GIULIA, SIDDIF FVG

√ √

Azioni informativeOpportunità e informazioni per chi si trova a fronteggiare compiti evolutivi legati alle decisioni sul proprio percorso

√ √ √

Distribuzione di materiali informativi (guide, Informascuole, dèpliant, siti internet) √ √ √

S.or.Prendo Software di orientamento alle professioni √ √

Questionario di interessi per la scuola secondaria di primo grado (Regione FVG) √

Orientamento narrativo Azione educativa (prevenzione e mediazione, volta a sviluppare la motivazione e la creazione di competenze orientative)

Consulenza individuale Sostegno dedicato a persone che attraversano un momento critico nel loro percorso evolutivo o una difficoltà specifica

√ √ √

Box 1Azioni orientative proposte agli educatori e gli allievi della Scuola SMaC dal Servizio istruzione, università e ricerca Centro di Orientamento Regionale di Trieste nelle annualità 2010-11-12-13.

ConClUsioni

Abitiamo tempi difficili e incerti e le difficoltà, in primo luogo economiche, si ripercuotono, spesso immediatamente e improvvise, deflagranti, nella comples-sità delle relazioni sociali. Nella scuola, per quel che è dato capire dai segnali di sofferenza e di giustificato allarme che ne escono, si concentrano contraddizioni sempre più forti e all’apparenza irridu-cibili. Pur così lontani, qui e ora, oggi a Trieste, e anche ci sembrasse che non sia così e sebbene non ci avessimo pensa-to nel 2009, abbiamo ancora a che fare con il villaggio cinese, la sua poverissi-ma scuola e la supplente adolescente. Nel senso che i mutamenti con i quali dobbiamo misurarci, tutti noi, “la Repub-blica” di cui parla la Costituzione negli

articoli richiamati, introducendo que-sto lavoro riepilogativo dell’esperienza/esperimento “Non uno di meno”, hanno dimensione globale, né ci è concesso di fingere che sia altrimenti e che siano al sicuro e al riparo gli strumenti di tutela e promozione, in primo luogo per le giovani generazioni, che abbiamo approntati per rendere effettivi i diritti costitutivi del nostro convivere.

Introducendo il convegno nazionale “Strategie di re-esistenza” che ha chiuso la prima fase del progetto, quella del Piano di Zona triennio 2010-2012, avevo ripreso poche parole del professor Fran-cesco Susi dell’Università Roma tre che riferiva, in una sua recente storia della scuola, di “un dizionario minimo di lessi-co liberista: debiti, crediti, competitività. Questo è oggi il vocabolario dei concetti

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pedagogici”. Mi era parsa una presa d’at-to, sconfortata e sconfortante, certo, ma puntuale, dei tempi difficili e incerti che abitiamo. Quel convegno, la folta e attenta partecipazione di tanti operatori, gli importanti contributi dei relatori, il fa-ticoso e minuzioso lavoro di tessitura del professor Santamaria che ha coordinato i lavori, è stato, anche, un tentativo di pen-sare, ritrovare, riscoprire, forse rievocare, certo risentire, altre parole, consapevoli che i rapporti pedagogici non riguarda-no solo le scuole, ma investono l’intera rete dei rapporti sociali. E così è stato, grazie agli autorevoli contributi, espe-rienziali e teorici, duplicità conveniente ai temi dell’educazione, tutti senz’altro d’accordo nel considerare la scuola luogo centrale per l’apprendimento non solo o non tanto di saperi curriculari, bensì delle competenze per stare al mondo e per starci in relazione agli altri.

Se per i più ciò può considerarsi scon-tato, per alcuni non lo è: non è scontato che la scuola riesca nell’intento di com-binare ai saperi curriculari le competenze negoziali, non è scontato che tutti, allo stesso modo dei più e nei medesimi loro tempi, apprendano quei saperi e quelle competenze, spesso perché impegnati, anima e corpo, verrebbe da dire, con la propria esperienza di vita: esperienza di sé, tra molte incertezze, esperienza delle molte inadeguatezze di genitori e familiari, esperienza del passato e del presente e troppo poco del futuro (in fondo, il lavoro sull’orientamento è invito al confronto con il futuro, con il possibile).

“Non uno di meno” è un tentativo di connessione tra “realtà” diverse – la loro, delle ragazze e dei ragazzi dei quali ci siamo occupati, e la nostra, di operatori – e tra universi di senso. E’ questione di tecniche, di didattiche, di modelli peda-gogici, di politiche sociali, di qualità degli interventi dei servizi sociali, educativi e sanitari. In fondo, si tratta di stato socia-le, o di quel che ne rimane, e perciò delle risorse disponibili e impiegabili.

Per continuare a occuparci bene e util-mente di queste questioni, com’è stato sin qui, sarà necessario un accordo forte e stabile con la scuola. Da subito, quan-

do il progetto era ancora agli albori, s’è toccato con mano che se ogni singolo abbandono scolastico era una storia, ogni storia rimandava a contesti familiari disfunzionali. L’assenza da scuola di ra-gazze e ragazzi – scuola come spazio re-ale, mentale, sociale, culturale, destinato alla formazione – metteva in luce le dif-ficoltà dell’istituzione scolastica, quelle delle famiglie e l’incerta lettura dei servizi al cospetto di fragilità, timori, rifiuti. Si capì, anche, che non era possibile ripren-dere a frequentare come se non pesasse non aver frequentato per anni, come se contasssero niente le storie personali e familiari che modellano, comprimono e disorientano la motivazione a star seduti a imparare, apprendere, concentrarsi, stare con gli altri, negoziando con essi come si sta al mondo.

Non so molto di didattica, e per lavoro mi sono concentrato sulla dimensione generale dell’educazione in contesti fa-miliari e comunitari. Mi interessano le storie e le abilità di raccontatori di storie delle persone, il modo narrativo che ab-biamo, noi umani, di stare al mondo. Allo sguardo pedagogico col quale investo il mondo vivo di “Non uno di meno”, ap-pare, oggi, un concentrato di storie che vuole farsi storia che reclama continuità.

Per proseguire, però, con un progetto che tiene in considerazione il soggettivo punto di vista di ogni ragazza e di ogni ragazzo con un’enfasi motivata dal fatto che in precedenza il loro punto di vista è stato ignorato, frainteso, addirittura ne-gato, sarà necessario che accanto a noi anche altri prenda l’impegno di occupar-sene, di farsene carico, di assumersene la responsabilità. Le ragazze e i ragazzi di cui parliamo non sono “figli dei servi-zi”, o meglio: lo sono, anche, certo; ma soprattutto sono figli della scuola e, ci mancherebbe, delle famiglie.

Ciò significa che è essenziale convenire con l’istituzione scolastica, formalmente, oltre che nella pratica, che i programmi “scolastici” dei ragazzi di “Non uno di meno” non possono che essere adattati alle loro esigenze e piegati alle qualità dei progetti educativi che li accompagnano; che siano previste periodiche verifiche

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Gorizia, Scuola media statale “Ascoli Favetti”, Materie di studio, 1972-74 pannello decorativo, ceramica a rilievo graffita e dipinta, particolare.

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dell’andamento (costanza, partecipa-zione, apprendimento, comportamento, profitto) così come avviene con tutti gli studenti; che siano individuati, in cia-scuna scuola i referenti per tutto ciò che riguarda il cammino dei singoli ragaz-zi dei quali questo progetto si occupa; che sia condivisa, e non più delegata al solo Servizio sociale, l’individuazione dei ragazzi da coinvolgere; che siano previ-ste, in particolare per i tratti di strada successivi alla licenza media, interazioni tra tutti gli studenti, quelli delle scuole e quelli di “Non uno di meno”.

La sottoscrizione di un protocollo d’in-tesa con le scuole e con l’Ufficio scola-stico provinciale non è più rinviabile ed è, anzi, urgente: per meglio definire quali responsabilità stiano in capo a quali isti-tuzioni e in quale forma la collaborazione, spesso ottima, troverà stabilità e l’utilizzo delle risorse umane, economiche,sarà improntato al criterio ecologico che proi-bisce lo spreco.

L’orizzonte assiologico, per le azioni di “Non uno di meno”, per le riflessioni che ne sono venute, per gli atti formali che verranno, lo ripeto, è quello definito nella nostra Costituzione. A questo proposi-to mi piace ricordare poche righe dello scrittore Carlo Levi, dall’incipit del suo libro Cristo si è fermato a Eboli. Scriveva, ripensando ai contadini di Lucania tra i quali era stato mandato in esilio dal re-gime fascista: “mi è grato riandare con la memoria a quell’altro mondo, serrato nel dolore e negli usi, negato alla Storia e allo Stato, eternamente paziente”.3

In effetti, se ciascuno, ragazzo o adulto, si sente un po’ costruttore della “realtà” che abita, se può essere, per dirla con Carlo Levi, Storia e Stato, com’è garan-tito dalla nostra Costituzione, la scuola (quella dei dirigenti scolastici, quella dei volontari di San Martino al Campo? E i nostri educatori? E gli educatori del Ser-vizio di sostegno socio-educativo? Ha il compito di insegnarci a produrre “realtà”; così, come scrisse Paul Watzlawick nell’E-pilogo di un volumetto collettaneo4, con-tribuiremo a formare cittadini tolleranti, la mia realtà al cospetto delle “realtà” degli altri, responsabili eticamente delle proprie azioni e scelte che modellano il mondo, liberi di scegliere consapevol-mente tra “realtà” costruibili diverse, tra le quali vi sia, possibilità di opzione. Ed è di certo un buon risultato già il solo poterci pensare assieme.

Paolo Taverna5 Coordinatore di servizi educativi Unità minori Comune di Trieste

Liviana Zanchettin6 Pedagogista e psicologa Responsabile del progetto per la Comunità di San Martino al Campo

Elena Paviotti7 Psicologa Centro risorse per l’istruzione e l’orientamento Servizio istruzione, università e ricerca Regione FVG

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noTe

1 J. Bruner, 2003, p. 150

2 J. Bruner, 2001, p. 58

3 C. Levi, 1990, p. 3

4 P. Watzlawick, 2008, pp. 273-278

5 Ha curato l’Introduzione e le Conclusioni.

6 Ha curato le seguenti parti: Organizzazione ed evoluzione della Scuola SMaC; Le linee pedagogiche della Scuola SMaC; Il rapporto con la scuola tradizionale; Il tappeto di Cleopatra: ovvero su cosa scommette il progetto.

7 Ha curato Orientare per scegliere.

.

BiBliograFia

Batini F. e Giaconi N., Orientamento informativo, Trento, Erickson, 2006.

Batini F., Giusti S., L’orientamento narrativo a scuola, Trento, Erickson, 2008.

Batini F., Zaccaria A., Foto dal futuro, Arezzo, Editrice Zona, 2002.

Bertolini P., Caronia L., Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee di intervento, Firenze, La Nuova Italia, 2002.

Bruner J., La mente a più dimensioni (nuova edizione con introduzione dell’autore), Roma-Bari, Laterza, 2003.

Bruner J., La cultura dell’educazione. Nuovi orizzonti per la scuola, Milano, Feltrinelli, 2001.

Consolini M., Progettare un servizio di informazione, Milano, Franco Angeli, 2003.

Demetrio D., Educazione è scegliere da che parte stare, in “Animazione Sociale”, N. 244, 2010.

Fondazione Agnelli, Rapporto sulla scuola in Italia 2011, Bari-Roma, Laterza, 2011.

Levi C., Cristo si è fermato a Eboli, Einaudi, Milano, 1990.

Santamaria F., L’età ancora negata. Se un paese dimentica il suo futuro, da “Animazione sociale”, N. 266, 2012.

Volpi D., Didattica dell’umorismo, La Scuola, Brescia, 1983.

Watzlawick P., a cura di, La realtà inventata. Contributi al costruttivismo, Feltrinelli, Milano, 2008.

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la deFinizione del sisTeMa nazionale sUll’orienTaMenTo PerManenTeACCORDO AI SENSI DELL’ART. 9, COMMA 2 DEL DECRETO LEGISLATIVO 28 AGOSTO 1997, N. 281

Ketty Segatti

L’orientamento da sempre rap-presenta un importante dispositivo nell’ambito degli interventi volti a pre-venire la dispersione e l’abbandono scolastico, ad aumentare l’inclusione sociale e a promuovere l’occupazio-ne. L’attuale crisi e il sentimento di incertezza, che da essa si origina, ne ha fatto lievitare la domanda, che non si colloca più nei momenti topici delle transizioni tra i sistemi, ma ha uno sviluppo longitudinale, coinvolgendo molti momenti della vita delle persone. Sempre di più l’orientamento appare funzionale, o meglio strategico, non solo per accompagnare il passaggio da un contesto all’altro, ma soprat-tutto per sviluppare nei giovani e negli adulti dei comportamenti proattivi e delle capacità atte a consentire una gestione dell’intera vita con maggiori livelli di benessere e di soddisfazione personale.

A questo bisogno così diffuso si contrappone, però, un quadro di ser-vizi frammentato, poco unitario, con numerose sovrapposizioni e dove non sempre la domanda delle perso-ne trova una risposta di qualità. Due appaiono essere le priorità alle quali sarà necessario dare una risposta nei prossimi anni:

l Razionalizzare l’offerta di orienta-mento per rispondere a una do-manda crescente.

l Potenziare il sistema di raccordo interistituzionale per incrociare do-manda e offerta di orientamento.1

Per perseguire tali obiettivi è indi-spensabile abbandonare una logica di settore e prevedere un’organizzazione dei servizi a livello di sistema con una forte integrazione territoriale.

L’azione sinergica deve essere, altresì, accompagnata da processi di moni-toraggio, analisi e rilettura di quanto realizzato per consentire di migliorare costantemente la qualità dei servizi offerti e il loro grado di reciproca in-tegrazione.

A livello europeo2 gli Stati membri vengono invitati,nell’ambito delle poli-tiche per l’orientamento, ad avere quali riferimenti i seguenti principi guida: favorire nei cittadini l’acquisizione delle capacità di orientamento lungo l’arco dell’intera vita, garantire pari opportu-nità di accessibilità ai servizi di orienta-mento, rafforzare la qualità degli stessi e incoraggiare il coordinamento e la cooperazione dei vari soggetti a livello nazionale, regionale e locale.

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La IX Commissione Istruzione, Lavoro, Innovazione e Ricerca della Conferenza delle Regioni e delle province autonome ha raccolto queste sollecitazioni già lo scorso anno e attraverso la Carta di Genova 2011, approvata il 17 novembre 2011, ha individuato quali aree d’inter-vento per i prossimi anni a livello regio-nale, interregionale e interistituzionale:

l Il coordinamento e la cooperazione multilivello.

l L’accesso di tutti i cittadini ai servizi di orientamento e lo sviluppo della qualità.

Tale documento ha rappresentato la base per il presente Accordo, sottoscritto il 15 novembre 2012 in sede di Confe-

renza Unificata che, avendo come rife-rimento la definizione di un sistema di orientamento permanente, impegna i firmatari a:

a) promuovere e condividere una strategia nazionale di Orientamen-to permanente nel campo dell’edu-cazione, della formazione profes-sionale e dell’occupazione, fondata sulla centralità della persona, dei suoi bisogni, interessi ed attitudini, che va sostenuta nell’acquisizione di autonomia, consapevolezza e responsabilità per un efficace inse-rimento nel lavoro e nella società;

b) elaborare linee guida per la qua-lità e l’integrazione dei servizi di orientamento.

Gorizia, Scuola media statale “Ascoli Favetti”, Materie di studio, 1972-74 pannello decorativo, ceramica a rilievo graffita e dipinta, particolare.

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Per porli in essere, l’Accordo indivi-dua gli obiettivi operativi e le modalità d’intervento, ma ciò che appare mag-giormente interessante è il fatto che alle Regioni venga riconosciuto il fonda-mentale compito di dare attuazione alle politiche dell’orientamento permanente con modalità organizzative autonome e nel rispetto della propria specificità, assicurando il coinvolgimento e l’inte-grazione degli altri soggetti istituzionali che operano in materia.

Nella nostra realtà regionale questo Accordo rappresenta un’importante tappa di un percorso già iniziato, che consentirà di consolidare e dare mag-giore visibilità ad esperienze di raccordo

ed integrazione fra servizi e sistemi che nel corso di questi anni, grazie anche al contributo del Fondo sociale europeo, sono state realizzate dall’Amministra-zione regionale in stretta collaborazio-ne con il mondo della Scuola, della For-mazione professionale e dell’Università.

A livello nazionale una condivisione forte su obiettivi e strategie d’inter-vento permetterà di costruire la ne-cessaria collaborazione e sinergia con i Ministeri competenti, l’ANCI e l’UPI per sviluppare una politica nazionale sull’orientamento, per promuovere un uso più attento delle risorse finanziarie disponibili e per definire gli standard minimi delle prestazioni orientative.

Gorizia, Scuola media statale “Ascoli Favetti”, Materie di studio, 1972-74 pannello decorativo, ceramica a rilievo graffita e dipinta, particolare.

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ACCORDO TRA IL MINISTRO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA, IL MINISTRO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, LE REGIONI, LE PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO, ANCI E UPI RIGUARDANTE LA DEFINIZIONE DEL SISTEMA NAZIONALE SULL’ORIENTAMENTO PERMANENTE

nella seduta del 20/12/2012, a roma, si è stabilito Che

VISTO l’articolo 9 comma 2 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281

VISTO il d. lgs. 23 dicembre 1997 n. 469 “Confe-rimento alle regioni e agli enti locali di funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro, a norma dell’articolo 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59

VISTO il d. lgs. 19 dicembre 2002, n. 297 “Disposi-zioni modificative e correttive del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, recante norme per agevolare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, in attua-zione dell’articolo 45, comma 1, lettera a)”

VISTO il d. lgs. 10 settembre 2003, n. 276 “At-tuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30” e successive modifiche

VISTO il d.lgs. 14 gennaio 2008, n. 21 “norme per la definizione dei percorsi di orientamento all’istruzione universitaria e all’alta formazione artistica, musicale e coreutica, per il raccordo tra la scuola, le univer-sità e le istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica, nonché per la valorizzazione della qualità dei risultati scolastici degli studenti ai fini dell’ammissione ai corsi di laurea universitari ad accesso programmato di cui all’articolo 1 della legge 2 agosto 1999 n. 264, a norma dell’art. 2, comma 1, lettere a9, b) e c) della legge 11 gennaio 2007, n. 1

VISTO il d.lgs. 14 gennaio 2008 n. 22 “definizione dei percorsi di orientamento finalizzati alle profes-sioni e al lavoro, a norma dell’art. 2, comma 1, della legge 11 gennaio 2007, n. 1

VISTO il decreto del Consiglio dei Ministri 25/01/2008 recante “linee guida per la riorganiz-zazione del sistema d’istruzione e formazione tec-nica superiore;

VISTA la legge 30 dicembre 2010 n. 240 recante norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché

delega al governo per incentivare la qualità e l’effi-cienza del sistema universitario,

VISTO il d. lgs. 14 settembre 2011, n. 167 Testo unico dell’apprendistato, a norma dell’articolo 1, comma 30, della legge 24 dicembre 2007, n. 247

VISTA la legge 28 giugno 2012, n. 92 “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita

VISTA l’intesa del 20 marzo 2008 tra il Ministero del lavoro e previdenza sociale, il Ministero della pubblica istruzione, il Ministero dell’università e ricerca, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, per la definizione degli standard minimi del nuovo sistema di accreditamento delle strutture formative per la qualità dei servizi, ai sensi dell’art. 8 comma 6 della legge 5 giugno 2003 n. 131

VISTO l’accordo del 19 aprile 2012, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bol-zano per la definizione di un sistema nazionale di certificazione delle competenze comunque acqui-site in apprendistato a norma dell’art. 6 del decreto legislativo 14 settembre 2011, n. 167;

VISTO il decreto del presidente della repubblica 4 ottobre 2012 recante “Norme generali per la defini-zione dell’assetto organizzativo didattico dei centri d’istruzione per gli adulti ivi compresi i corsi serali ai sensi dell’art. 64, comma 4, del decreto legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008 n. 133

VISTA la Risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea del 12 novembre 2002 sulla promozione di una maggiore cooperazione europea in materia di istruzione e formazione professionale e per l’o-rientamento lungo tutto l’arco della vita, 2003/C 13/02 e la successiva Dichiarazione di Copenaghen adottata dai Ministri di 31 paesi europei e dalla Commissione il 30 novembre 2002

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VISTA la Raccomandazione del Parlamento Euro-peo e del Consiglio relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente del 18 dicembre 2006;

VISTA la Raccomandazione del Parlamento Eu-ropeo e del Consiglio sull’istituzione di un quadro europeo di riferimento per la garanzia della qualità dell’istruzione e della formazione professionale (EQARF) del 18 giugno 2009;

VISTA la Raccomandazione del Parlamento Eu-ropeo e del Consiglio sulla Convalida dell’appren-dimento non formale e informale del 5 settembre 2012

VISTA l’intesa riguardante le politiche per l’ap-prendimento permanente e la realizzazione di reti territoriali ai sensi dell’art. 4, commi 51 – 57 della legge 92/2012

preso atto

del quadro legislativo e normativo vigente, dei programmi e delle esperienze regionali, nazionali e comunitari in atto;

delle indicazioni dell’Unione Europea sia sul tema specifico dell’Orientamento, sia nel quadro com-plessivo delle politiche di lifelong learning;

premesso Che

l’orientamento lungo tutto il corso della vita è riconosciuto unanimemente come una dimensione trasversale indispensabile ai fini dell’apprendimento permanente, capace di incidere sulla progettualità e l’occupabilità della persona e sui fattori di cam-biamento economico e sociale. L’orientamento, infatti, migliora l’efficienza e l’efficacia dei sistemi di istruzione, formazione e lavoro attraverso la sua azione di prevenzione e contrasto della dispersione scolastica, attraverso il potenziamento dell’incontro tra domanda e offerta di competenze favorendo il successo formativo e l’occupabilità;

L’orientamento costituisce parte integrante dei sistemi dell’istruzione, della formazione professio-nale e del lavoro e, come tale, veicolo fondamentale della promozione della strategia del lifelong learning

la Conferenza Unificata riconosce la centralità del-la persona e della sua valorizzazione e la necessità

di sostenere ciascuno, giovane e adulto, nell’effet-tuare scelte consapevoli ed appropriate, lungo tutto il corso della vita, attraverso il coordinamento delle azioni dei sistemi di istruzione, formazione e lavoro, al fine di fornire a ciascuno le capacità per gestire con successo sia i percorsi formativi e professio-nali, sia le fasi di transizione biografica, formativa e lavorativa della persona;

la Conferenza a avverte l’urgenza di pervenire ad un accordo tra le parti per lo sviluppo di una strate-gia nazionale sull’orientamento al fine di superare la frammentazione degli interventi e delle politiche attivate, nell’ambito delle proprie competenze, dai diversi soggetti istituzionali, e di realizzare il raccordo tra i sistemi che svolgono funzioni orientative e di definire standard di servizio in considerazione del crescente numero di soggetti che offrono interventi di orientamento nel territorio

tenuto Conto

dell’urgenza di pervenire a un accordo che concerne le politiche dell’orientamento realizzate dalle istitu-zioni ai diversi livelli territoriali e nei sistemi dell’istru-zione, della formazione e del lavoro;

dell’esigenza di soddisfare con maggior puntua-lità i bisogni di orientamento espressi dai cittadini nei diversi contesti della scuola e dell’università, della formazione e del lavoro, lungo tutto il corso della loro vita;

della necessità di garantire la razionalizzazione delle risorse e della spesa contestualmente alla qualità dei servizi e degli interventi;

della necessità di promuovere e integrare le po-litiche dell’orientamento e di coordinare le azioni per un migliore supporto alle persone nelle scelte formative e professionali;

della valorizzazione degli interventi di orientamen-to nei confronti di soggetti deboli e/o con particolari necessità;

del valore aggiunto che un processo di condivisio-ne tra i diversi attori istituzionali coinvolti fornisce ad una politica integrata di orientamento che tenga conto delle esperienze svolte e dei contributi offerti dalle istituzioni coinvolte;

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Considerato Che

i sistemi dell’istruzione, della formazione e del lavoro hanno il compito di aiutare le persone a cre-scere e maturare attraverso il potenziamento delle competenze chiave, affinché possano realizzare se stessi e inserirsi in modo attivo e creativo nella società e nel lavoro e di potenziare e sostenere ini-ziative specifiche di orientamento per adulti anche attraverso la valorizzazione del ruolo del centro di istruzione per gli adulti (CPIA);

l’orientamento nelle istituzioni scolastiche e for-mative, è presente in tutte le discipline, in tutte le attività di apprendimento e in ogni livello di scola-rizzazione, è collegato alla formazione globale della persona e allo sviluppo dell’identità e costituisce parte integrante della formazione iniziale e continua

di ogni docente;l’orientamento presuppone competenze specifi-

che che siano in grado di sostenere le scelte della persona lungo tutto l’arco della vita, favorendo stra-tegie di apprendimento permanente e di carriera professionale;

vanno promosse e sostenute a livello territoriale, anche attraverso la valorizzazione dei poli tecnico professionali e delle reti integrate dei servizi, ivi compresi i servizi al lavoro, adeguate sinergie e collaborazioni tra le componenti delle istituzioni formative e scolastiche (dirigenti, insegnanti, stu-denti, famiglie) e tra queste e quelle delle università, degli enti locali e del sistema economico, sociale e culturale di riferimento.

il governo, le regioni e pp.aa., anCi e upi sanCisCono il presente aCCordo

Finalizzato a:a) promuovere e condividere una strategia na-

zionale di Orientamento permanente nel campo dell’educazione, della formazione professionale e dell’occupazione, fondata sulla centralità della persona, dei suoi bisogni, interessi ed attitudini, che va sostenuta nell’acquisizione di autonomia, consapevolezza e responsabilità per un efficace inserimento nel lavoro e nella società;

b) elaborare linee guida per la qualità e l’integra-zione dei servizi di orientamento.

Articolo 1Definizione di orientamento permanenteCon riferimento alla risoluzione del Consiglio

Europeo del 21 novembre 2008 ed in conside-razione dei più recenti contributi scientifici per orientamento permanente si intende “il processo volto a facilitare la conoscenza di sé, del contesto formativo, occupazionale, sociale, culturale ed eco-nomico di riferimento, delle strategie messe in atto per relazionarsi e interagire con tali realtà, al fine di favorire la maturazione e lo sviluppo delle com-petenze necessarie per poter definire o ridefinire autonomamente obiettivi personali e professionali aderenti al contesto, elaborare o rielaborare un pro-getto di vita e sostenere le scelte relative”.

Articolo 2Sistema nazionale di orientamento permanente1. Nel quadro dell’apprendimento permanente di

cui all’intesa ai sensi dei commi 51-58 e del comma 33 dell’art. 4 della legge 92/2012 la realizzazione del sistema nazionale di orientamento permanente persegue i seguenti obiettivi.

a) lo sviluppo, a livello nazionale e regionale, di efficaci meccanismi di raccordo/coordinamento e di assicurazione della qualità dei servizi tra i principali soggetti dell’orientamento perma-nente;

b) la centralità della persona e dei suoi bisogni e la garanzia dell’accesso all’orientamento per-manente in ogni momento e luogo al fine di aumentare per i giovani e gli adulti i tassi di istruzione, formazione ed occupazione in co-erenza con gli interessi e le attitudini nonché delle opportunità di apprendimento;

c) il sostegno di una politica di partenariato e di messa in rete dei servizi di orientamento per-manente assicurandone la qualità e il miglio-ramento continuo in coerenza con i bisogni della persona;

d) lo sviluppo di una cultura ed un linguaggio co-mune tra tutti i soggetti interessati.

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Art. 3Gruppo di lavoro nazionale per l’orientamento permanente1. Per la realizzazione di tali obiettivi è costituito

a livello nazionale, presso la sede della Conferenza Unificata , il Gruppo di lavoro Interistituzionale sull’o-rientamento permanente composto dalle Istituzioni firmatarie Il Gruppo di lavoro può avvalersi di orga-nizzazioni e istituzioni pubbliche di ricerca nel settore senza maggiori oneri a carico delle finanze pubbliche.

2. Il Gruppo di lavoro ha funzioni di:• raccordo e confronto interistituzionale;• elaborazione di Linee di indirizzo generale e di

proposte per la individuazione di Standard Minimi dei servizi di orientamento;

• definizione di strumenti di monitoraggio relativi all’ attuazione delle politiche e degli interventi di orientamento;

3. il Gruppo di lavoro assicura il coordinamento tra i diversi livelli nazionali per le funzioni di cui all’art. 4 ed il collegamento con le reti europee deputate all’o-rientamento e, in particolare, con l’European Lifelong Guidance Policy Network (ELGPN)

4. Per la realizzazione, a livello territoriale, de-gli obiettivi di cui al precedente art. 2 comma 1, le Regioni attuano nel rispetto delle Linee di indirizzo generale, di cui al presente art. 3, comma 2, le politi-che di orientamento permanente, secondo forme di integrazione degli interventi e modalità organizzati-ve individuate dalle stesse, che tengono conto delle proprie specificità ed assicurano il coinvolgimento attivo dei soggetti Istituzionali firmatari, degli EE.LL . di quelli sociali ed economici del territorio.

Articolo 4Compiti del Gruppo di lavoro Interistituzionale sull’orientamento permanente1. Entro il 30 giugno 2013 il Gruppo di lavoro In-

teristituzionale sull’Orientamento ha il compito di elaborare:

a) una proposta di Linee guida nazionali dell’orien-tamento, sulla base dei seguenti obiettivi:

l mettere a sistema, superandone l’attuale fram-mentarietà, azioni, pratiche e servizi di orien-tamento;

l favorire a tutti pari opportunità di orientamento, sia in relazione all’accesso alle informazioni e alla conoscenza, sia in relazione alle opportunità di inserimento nel mondo produttivo;

l sostenere i processi di orientamento in una prospettiva di auto-orientamento in tutte le fasce di età;

l supportare le transizioni con azioni di accompa-gnamento dell’individuo nel suo percorso forma-tivo- lavorativo durante l’intero arco della vita;

l realizzare nei percorsi formali di istruzione e formazione professionale interventi di didattica orientativa;

l promuovere interventi personalizzati con par-ticolare attenzione ai soggetti più svantaggiati e/o a rischio;

l definire criteri di valutazione e di monitoraggio finalizzati allo sviluppo di un sistema nazionale di orientamento.

b) una proposta per la individuazione di standard minimi dei servizi e delle competenze professionali degli operatori, anche con riferimento alle funzioni e servizi di orientamento attualmente in essere nei diversi contesti territoriali e sistemi dell’Istruzione, della Formazione e del Lavoro.

Ketty Segatti Dirigente Servizio istruzione, università e ricerca Regione FVG

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1 Isfol (2012) “Sintesi Rapporto orientamento 2011- Sfide e obiettivi per un nuovo mercato del lavoro” p. 61.

2 Risoluzione del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri del 21 novembre 2008 – “Integrare maggiormente l’orientamento permanente nelle strategie di apprendimento permanente”.

noTe

Gorizia, Scuola media statale “Ascoli Favetti”, Materie di studio, 1972-74 pannello decorativo, ceramica a rilievo graffita e dipinta, particolare.

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la redazione del CUrriCUlUM ViTae CoMe eseMPio di ConsUlenza BreVe UN RAPIDO VIAGGIO PER UNIRE “I PROPRI PUNTI”

Gianluca Vergari

la nasCiTa del serVizio, il ConTesTo TerriToriale

L’idea di questo articolo è nata dal-la mia esigenza di metacomunicare sui dieci anni di attività dedicati al Servizio di Consulenza Orientativa. La riflessione sul lavoro svolto aveva l’obiettivo di mi-gliorare l’efficacia degli interventi con gli utenti. Inoltre, non potevo ignorare che negli ultimi anni l’archivio del Servizio registrava quasi esclusivamente le car-telle dei curriculum vitae, mentre negli anni precedenti i faldoni erano pieni di schede di catalogazione di colloqui con commenti, restituzioni e la registrazio-ne dei dati raccolti con strumenti vari (questionari di interesse, di autoefficacia, coping, schede di competenze).

Ho cominciato a chiedermi se tale cambiamento anche nel mio modo di la-vorare, che aveva come sintesi finale solo il cv, fosse anche, o prevalentemente, condizionato dalle richieste degli utenti nel periodo di passaggio dalla pre-crisi (fino al 2007-2008, più o meno) alla crisi attuale.

In questi dieci anni, a partire dal 2002, durante i quali più di 5000 utenti si so-no presentati al Servizio di Consulenza Orientativa, ho incontrato un’umanità prevalentemente disorientata e poco

consapevole, lavorando ogni giorno con l’obiettivo di aiutarla a fare dei sogni e delle passioni il proprio mestiere.

Il servizio di “Orientamento Profes-sionale”, poi trasformatosi negli anni in “Consulenza Orientativa”, è stato atti-vato nella sede del Centro Impiego di Fabriano in Provincia di Ancona dal 2002 e costruito ex novo visto che in questa sede montana, periferica e lontana dal polo marittimo di Ancona e Senigallia e prettamente legata ad una dimensione di produzione industriale di elettrodome-stici, storicamente caratterizzata dalla piena occupazione della sua popolazione, non era mai nata l’esigenza di supportare gli utenti per la ricerca del primo lavoro o di nuovo lavoro o per la ricerca di op-portunità formative.

Il lavoro era di un solo tipo (prevalen-temente quello di operaio metalmecca-nico), ma c’era e le aziende del territorio garantivano occupazione per Fabriano e i comuni limitrofi, sin dagli anni ’70. Un contesto occupazionale in cui il lavoro (quello “vero”, inteso come l’unico lavoro pensabile) è quello di fatica, in cui si suda, in cui si fanno le otto ore, in cui si vede subito il prodotto finito. Ha portato be-nessere per tanti anni, ma ha abituato a pensare al lavoro in un’ottica circoscritta, e non ha aiutato a creare consapevolezza sul significato di transizione e cambia-mento. Tutti sembravano dire: “Perché

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pensare di cambiare se non c’è bisogno”. ”Perché guardare altrove se qui abbiamo tutto?” Quel “tutto”, che è molto distante da ciò che potrebbe significare aver rag-giunto “un’identità lavorativa gratificante”.

Ricordo che, all’inizio della mia attività orientativa, parlare di orientamento sia nelle scuole sia con i giovani e adulti di-soccupati che si affacciavano prudenti al Servizio per chiedere qualche sporadica informazione, era veramente arduo, a tratti impossibile. Cosa può significa-re “cercare il lavoro che piace”, ma do-ver faticare tanto per ottenerlo quando dall’altra parte, a portata di mano, c’è comunque un lavoro, magari diverso da

quello impostato dagli studi, dalle aspi-razioni, dagli interessi, ma vicino a casa, sicuro e invitante.

Cosa vuol dire pianificare l’attività di ricerca attiva di opportunità quando “mio padre, mio zio, mio fratello, quel mio amico lo trovano per me…” e “…poi io lo troverò ai miei figli, farò e porterò io per loro quella domanda di lavoro”.

Questo è stato l’incontro: l’incontro con un contesto, l’incontro con una cultura del lavoro, l’incontro con i vincoli (per-sonali, familiari, culturali, di contesto) e nei primi anni di apertura del servizio mi sembrava di lottare disarmato contro un carro armato. Con l’aggravarsi della

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crisi economica, che ha avuto forti riper-cussioni sul mercato del lavoro, il carro armato si è trasformato in una macchina fragile e allo sbando, e il lavoro dell’ope-ratore è diventato un faticoso tentativo di supporto, ascolto, comprensione, co-costruzione, ri-costruzione, attraverso il quotidiano sforzo di “significazione”.

Dal 2008 ad oggi si è notata una mag-giore affluenza al Centro per l’Impiego lo-cale e una maggiore richiesta di supporto al Servizio di informazione e consulenza, vista la sempre maggiore necessità di ri-progettare la dimensione lavorativa, do-po aver perso la precedente (soggetti in mobilità) o avendola in sospensione tem-poranea (soggetti in Cassa Integrazione). Bisogni di supporto sempre maggiore e continuativo sono stati richiesti da grup-pi diversi e da soggetti con motivazioni personali differenti:

l donne in re–inserimento lavorativo dopo un lungo periodo di inattività che tentano di mettersi in gioco per supportare la criticità economica familiare;

l soggetti che sono stati licenziati dopo aver lavorato nella stessa azienda parecchi anni e aver ope-rato sempre nella stessa mansione;

l soggetti con bassa scolarità che, in un situazione di transizione devono potenziare competenze formative e abilità trasversali ora sempre più richieste dal mercato;

l giovani che abbandonano la scuola per fornire supporto economico ai genitori che, nel contempo, hanno perso il lavoro.

Fronteggiare richieste di tale tipo ac-compagnate da una bassa consape-volezza sulla modalità di valorizzare il proprio profilo e in primis la propria per-sona, in vista di transizioni lavorative, ha richiesto un lavoro di gestione dell’ansia e del disorientamento, della bassa auto-stima e della poca capacità pro-attiva e di stili di coping poco adattivi.

Oltre a ciò i pregiudizi e stereotipi legati al fidarsi, all’affidarsi, al chiedere supporto ad operatori di un ente pub-blico (qual è un Centro per l’Impiego provinciale) e l’anacronistica visione dei servizi del lavoro come luoghi di sem-plici adempimenti burocratici e passive registrazioni (come invece succedeva prima della ristrutturazione dei servizi avvenuta nel 1999), non hanno di cer-to favorito il passaggio ad una cultura del lavoro basata sull’attivazione in-dividuale e neanche sulla visione del Centro per l’Impiego come un’offerta di servizi anche di consulenza, che implica quindi la soddisfazione dei bisogni e il coinvolgimento personale.

È per questo ho tentato di lavorare affinché non prevalessero sempre e solo generici bisogni, perché troppo vincolati alle pressioni di un presente che incombe a discapito di un futuro che non si costruisce né si vive come opportunità, ma si aspetta e si teme.

Una delle criticità più grandi del con-testo territoriale fabrianese che ha am-plificato enormemente gli effetti della crisi sul piano emotivo, è il fatto che intere famiglie (mariti, mogli, figli, ni-poti), avevano contratti con la stessa azienda, quelle stesse aziende che poi sono fallite o hanno chiuso. La chiusura delle aziende ha provocato ripercussio-ni importanti per la comunità a livello economico, di sicurezza personale e di benessere, visto che interi nuclei si sono trovati di punto in bianco senza entrate certe, senza poter garantire lo studio ai figli, trasmettendo così alle nuove generazioni un senso di incer-tezza e insicurezza finanziaria, ma so-prattutto emotivo-psicologica. Si tratta di un vissuto che riproduce i concetti di società liquida elaborato da Z. Bauman (2006) e di epoca delle passioni tristi analizzato da M. Benasayag e G. Schmit (2003) secondo i quali “se non si riesce a trovare ciò che si desidera, tanto vale accontentarsi di quello che capita per primo” soprattutto con una percezione personale di incertezza in cui la priorità sembra “sopravvivere” più che “riuscire a desiderare”.

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Ad iscriversi e chiedere informazio-ni al Centro per l’Impiego giungono all’improvviso (anni 2008-2009) intere famiglie, di un’umanità confusa e in-certa, in cui ogni soggetto ha bisogno di pianificare non tanto e non solo la propria posizione, ma quella della fa-miglia nella sua interezza.

È per questo che al Servizio di Con-sulenza Orientativa giungono sem-pre più persone che necessitano di supporto, quasi sempre indirizzati dai colleghi che gestiscono il primo collo-quio di iscrizione.

La domanda orientativa esplicita è “trovare un lavoro”, “trovare qualsi-asi lavoro”, “trovare un lavoretto”; di contro, c’è lo sforzo orientativo di tra-sformare articoli indeterminativi in determinativi in quello che è stato ed è un impegno quotidiano complesso.

Ai colloqui di consulenza è stato sempre più necessario fare una “pu-lizia di campo” in relazione alle priorità personali, rispetto a quelle familiari, discernere bene i bisogni del singolo e quelle dei familiari e tentare di leggere le reciproche connessioni, correlazio-ni, vincoli.

Negli anni è stato sempre più pos-sibile lavorare su appuntamento, ri-uscendo a fornire ad ogni utente del servizio di consulenza uno spazio di un’ora/due a colloquio e la possibilità, eventualmente, di ritornare più volte al Centro per approfondire alcuni temi e soffermarsi su alcune riflessioni più complesse.

Come testato in sede di sperimenta-zioni nazionali (progetti Isfol, Ce.Trans e S.Or.Prendo) e buone pratiche in ma-teria di orientamento al lavoro e alle professioni, la consulenza breve nei Centri per l’Impiego prevede da uno a tre colloqui e questo è stato il trend a cui mi sono adeguato: talvolta limi-tandomi ad un solo colloquio, talvolta approfondendo il lavoro consulenziale anche fino a cinque (in qualche caso, in particolare con giovani in dispersione scolastica, donne in re-inserimento, disabili).

Modello orienTaTiVo di riFeriMenTo Per la sCelTa del CV

La teoria di riferimento in merito al colloquio di consulenza orientativa è sempre stato legato maggiormente al-la prospettiva educativa e in particola-re al modello di consulenza ipotizzato nel 1996, da M. L. Pombeni. Il supporto orientativo è un aiuto fornito al soggetto, protagonista della propria vita e delle proprie decisioni, per acquisire consa-pevolezza delle competenze necessarie per operare le proprie scelte scolastiche e professionali. In tale ottica, il colloquio di orientamento è visto come uno stru-mento con funzione sia informativa che orientativa: da un lato fornisce al sog-getto le informazioni indispensabili per una corretta lettura della realtà, dall’altro costituisce un’opportunità e un’occasio-ne privilegiata di maturazione, sviluppo della consapevolezza, valorizzando la dimensione della progettualità e della realizzazione della persona.

Le fasi principali del processo di orien-tamento possono così essere descritte:

l counseling esplorativo: ricostruzione di esperienze formative e lavorative, analisi delle risorse acquisite e dei vincoli personali;

l counseling diagnostico: rappresen-tazioni della scuola e del lavoro, analisi del potenziale individuale;

l counseling progettuale: fase della restituzione del profilo orientativo da parte del consulente da cui parte il processo di attivazione personale del soggetto, di pianificazione di obiettivi, di descrizione delle prio-rità orientative e nuove prospettive.

Tali fasi possono essere affrontate con diversi colloqui o anche all’interno di uno stesso colloquio (ridimensionando ovviamente le aspettative). Ho sempre condiviso l’idea che tutto il processo orientativo e il colloquio in particolare

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siano un sostegno, ad un individuo che deve prendere una decisione, che au-menta la possibilità di operare una scelta soddisfacente.

Si tratta di individuare tra le diverse possibilità quella che corrisponde mag-giormente alle capacità e alle poten-zialità del soggetto, anche adottando scelte non tradizionali, ma consone ai suoi valori e interessi.

la MeTodologia di ConsUlenza BasaTa sUl CV

La consulenza nei Centri per l’Impiego è stata pensata come intervento breve di informazione e di consulenza, visto il contesto in cui si svolge e la tipologia delle domande espresse dagli utenti.

Nel corso degli anni, le richieste pressanti di un lavoro e nel contempo la necessi-tà di ritagliare uno spazio in cui creare un minimo di significato e un minimo di consapevolezza, hanno permesso di affinare una metodologia orientativa breve e leggera a partire da uno stru-mento, il curriculum vitae, che nasce per essere strutturato, burocratico, sintetico. Nel tempo, ha attraversato la fase del-la “burocratizzazione – strutturazione – formalizzazione di una narrazione sul sé”, fino ad assumere la valenza di una vera e propria forma di narrazione, che restituisce ordine e chiarezza alla propria storia ed evidenzia il filo rosso che unisce, lega, integra.

Riflettendo, discutendo, selezionando informazioni per creare il proprio cv, il soggetto viene messo di fronte ad aspet-ti di identità personale, a volte scono-sciuti e poco elaborati, che ora possono

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iniziare ad essere percepiti come ap-partenenti al Sé e quindi valorizzati. La conversazione con l’operatore, od ogni passo della redazione dello strumen-to, crea significati condivisi, amplifica rimandi e risonanze soggettive, invita ad esplorare i perché delle transizioni effettuate e delle modalità di gestione delle transizioni stesse; è un percorso che cerca di tracciare un filo conduttore della storia in vista di possibili direzioni future, significa ristrutturazioni, perso-nalizzazioni verso un nuovo territorio.

Ecco quindi che il cv diventa la map-pa personale, il bagaglio personale di potenzialità ora spendibili perché rese consapevoli. Per riprendere le parole di un antropologo americano, “la mappa non è il territorio” (G. Bateson, 1984) e ciò che porta dal territorio alla mappa è “la notizia di una differenza” e le differenze che segniamo sulla mappa sono nuove

informazioni che consentono nuovi ap-prendimenti.

Il territorio è dunque leggibile e de-cifrabile, nei suoi tratti essenziali, solo grazie alle informazioni segnate sul-la mappa che del territorio individua le differenze, le disomogeneità. Per-ciò, quello che passa dal territorio alla mappa è “sempre e necessariamente la notizia di una differenza. Se il territorio è omogeneo sulla mappa non ci sono segni”. Il territorio sarà sempre infini-tamente più ricco della mappa che è la struttura mentale che ci orienta e ci permette di attraversarlo.

La mappa–cv diventa quindi stru-mento di conoscenza di un territorio complesso e in cambiamento, divie-ne elemento di significazione, di in-serimento di nuove informazioni che creano differenze in una spirale di ap-prendimento continuo.

Gorizia, Scuola media statale “Ascoli Favetti”, Materie di studio, 1972-74 pannello decorativo, ceramica a rilievo graffita e dipinta, particolare.

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In questo senso il termine differenza acquista una particolare ampiezza:

l è differenza la metacomunicazione del soggetto sulla sua storia;

l è differenza la dissonanza cognitiva tra utente e orientatore;

l sono differenza i diversi rimandi, risonanze, confrontazioni che emer-gono nella redazione dei vari passi del cv;

l è differenza la posizione del sog-getto che pensa a se stesso in un modo nuovo;

l è differenza il prodotto finale cv così come appare alla vista del soggetto che analizza la sua storia in modo nuovo e con un ordine nuovo.

La necessità e, soprattutto, il timore di dover fornire risposte pragmatiche avrebbero potuto rendere anche la re-dazione del cv una costruzione seriale con il rischio di adeguarsi alla modalità produttiva ed esecutiva propria della comunità locale (produrre in linea di montaggio cappe aspiranti per la cuci-na o componenti per elettrodomestici) e l’abitudine al fare più che al pensare avrebbero potuto condurre a redigere cv seriali: pacchetti per tutti, veloci, al bisogno.

La redazione del cv con l’utente è sta-ta invece artigianale, opposta a tutto ciò che è industriale, seriale, esecutivo. È personalizzata, differenziata, poiché coinvolge direttamente e fin da subito la persona nella ricostruzione della propria storia.1 Che cosa è in fondo un curriculum vitae se non un racconto (sintetico) su noi stessi?

Negli anni tale strumento è stato sem-pre più usato come punto di partenza (come traccia per coinvolgere gli utenti su un risultato visibile e oggettivo) che permettesse poi di allargare un po’ il campo di discussione nella direzione di una ricostruzione dei passaggi di vita, nel motivare l’utenza ad un tentativo di

narrazione personale, nel renderla mag-giormente consapevole della strada fatta e della modalità personale di gestione delle fasi di transizioni di vita e lavoro, nell’attivarla in una dimensione proget-tuale. E tutto ciò, nel tempo di redazione che poteva andare da un’ora a due ore, lasciando all’utente anche qualche gior-no per rivedere tutto e apportare magari modifiche, aggiustamenti, arricchimenti in linea con il tentavo di invitarlo alla con-sapevolezza e all’attivazione personale, seguendo quella convinzione che guida gli orientatori che “senza il saper essere, non c’è né sapere, né saper fare”, solleci-tando quanto più il passaggio dal “so fare questo perché l’ho sempre fatto” al “sono io con una serie di esperienze, capacità, consapevolezze maturate”.

Si deve considerare che prima del 2007/2008, periodo pre-crisi, almeno nel fabrianese, era buona norma far compilare alle persone in cerca di lavoro schede aziendali cartacee che venivano poi archiviate o si invitavano i soggetti alla compilazione di format on line di cv e anche le agenzie di somministrazione usavano schede cartacee e telematiche standard. Mi trovavo di fronte persone che avevano svolto la stessa mansione per 15, 20, o 30 anni, che avevano dav-vero compiuto solo azioni circoscritte, legate ad un certo profilo professiona-le in modo routinario ed esecutivo e si aspettavano che la loro vita lavorativa finisse con quel lavoro senza necessità di cambiarlo. Descrivevano del lavoro solo gli aspetti più faticosi e spiacevoli e con un sentimento di marginalità rispetto al-la realtà produttiva dalla quale sembra-vano essere solo numeri, trasmettendo tutto ciò ai figli, allargando a spirale la non comprensione degli aspetti fondanti di una vera e propria ricerca attiva.

Dal periodo indicato (2008), la richie-sta dei cv è aumentata un po’ per esi-genza stessa degli utenti che volevano risistemare la carriera lavorativa, ma so-prattutto in relazione alle richieste di cv provenienti sia dalle aziende che dalle agenzie di somministrazione. Gruppi di persone in cerca di lavoro venivano inviati al Centro per l’Impiego, per es-

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sere supportare nella ricostruzione ac-curata delle esperienze. Dal non essere per nulla abituati a pensarsi in un cv, si passava ad un periodo in cui sembra-va che tutti dovessero averlo, perchè senza cv non si poteva trovare lavoro;

tutti lo richiedevano (aziende, agenzie, centri informagiovani, università, enti locali) e quindi andava fatto (o meglio, ancora una volta, si diceva, “qualcuno ce lo deve fare”).

Anni Totale Utenti

Curriculum vitae %

2002/2003 133 25 18

2003/2004 329 26 7

2005 201 81 40

2006 246 99 40

2007 340 193 56

2008 406 345 84

2009 409 365 89

2010 467 357 76

2011 574 522 91

2012 (fino ad agosto ) 360 269 74

Tabella 1: Variazioni percentuali nelle richieste di CV, a partire dal 2002/03

Come mostrato in tabella 1 e nel gra-fico 1, si passava infatti da una percen-tuale di cv su colloqui del 18% del 2002 e addirittura del 7% del 2003 alla percen-tuale del 74, 7 % nel 2012 (ma computa-ta solo fino ad agosto 2012, quindi solo a metà anno) con punte infatti del 89% (2009) e del 91% (2011), un incremento esponenziale. Nel 2012 fino ad agosto al 75% dei soggetti avuti in consulen-za orientativa è stato redatto il cv e la scheda personale racchiudeva il solo cv, magari scritto in vari formati, compilati a seconda delle opzioni professionali.

Si è cominciato a spiegare le ragio-ni delle nuove richieste aziendali, de-terminate anche dal cambiamento del mondo del lavoro, che richiedeva nuove competenze e di cui il proprio curriculum vitae costituiva la dotazione di base. Lo strumento del cv, faticosamente redatto con i soggetti, doveva essere il segno che ognuno di essi, oltre ad essere uno dei tantissimi anelli della catena di montag-gio aziendale, avrebbe dovuto essere il perno della propria storia professionale.

In questa ottica avrebbe dovuto valoriz-zarla, trasmetterla e in primis “abitarla”.

In sostanza si è trattato di passare dalla presentazione della domanda di lavoro cartacea alla formulazione del cv. Il passaggio per far capire agli utenti che non poteva essere la stessa cosa, che bisognava selezionare alcuni aspetti e non altri, che il cv non poteva essere generico ma personalizzato, che si aveva bisogno del loro contributo attivo e della loro memoria storica, è stato un compito che ha impegnato molto il servizio. Ciò ha permesso l’inizio di una minima presa di coscienza nella comunità che qualcosa, anche a Fabriano, stava cambiando e che nessuno “faceva più le cose per gli altri”, ma ognuno doveva occuparsi della ricerca del lavoro; la differenza l’avreb-bero fatta l’attivazione, l’impegno e la consapevolezza personale. Inoltre, redi-gere dei cv avrebbe voluto dire farli poi girare tra le aziende e non soltanto una volta, come le domande di lavoro. Tutto ciò richiedeva di lavorare con gli utenti per un passaggio da un locus of control

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totalmente esterno ad un locus of control interno e su visioni e rappresentazioni del lavoro come attività strumentale a lavoro come realizzazione di sé: solo co-sì l’attivazione personale avrebbe dato maggiori risultati.

È stata ed è una transizione compor-tamentale ed emotiva faticosa. Un al-tro aspetto significativo è che, a tratti, il Servizio di Consulenza Orientativa si è identificato (è stato identificato) con il servizio di redazione dei cv, sia per gli utenti che per i colleghi, nel senso che

anche i colleghi identificavano buona parte delle attività del servizio come fina-lizzate alla redazione del cv e delle altre metodologie attive di ricerca. Anche que-sto è stato un aspetto che mi ha fatto riflettere e inizialmente preoccupare: “ma come: converso con gli utenti per la scelta di un lavoro, converso con i neo diplomati per la scelta dell’università, colloquio con i giovani in dispersione scolastica per ri-metterli ‘in cammino’ e tutto quello che viene percepito è il mero aspetto pratico e cartaceo, il loro cv?”

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%

Grafico 1: Variazioni percentuali nelle richieste di CV, a partire dal 2002/03

Dove andava a finire tutto quello che si diceva, si pensava, si costruiva con l’u-tente? Si parlava pur sempre di “dare si-gnificato agli eventi formativi e lavorativi”, ma nessuna traccia rimaneva di tutta la riflessione o meglio rimaneva in me e nel soggetto (e forse questo è già molto), ma non era allargata alla percezione gene-rale (almeno negli anni precedenti rima-nevano le riflessioni nelle mie schede!). Questo doveva pur significare qualcosa. Perché negli anni passavo a semplifica-re e alleggerire strumenti orientativi, in quella che era soprattutto conversazio-ne e dialogo? Sicuramente l’esperienza sviluppata mi permetteva di fare meno conto su strumenti operativi, prediligen-

do un approccio meno strutturato, ma non ho mai pensato si trattasse solo di questo. Piano piano ho maturato la con-vinzione che utilizzando una modalità più breve, snella, veloce e vicina alle richie-ste delle persone, che non svalutasse il momento del “mettere qualche parola e pensiero sulle azioni”, forse riuscivo a connettere storia passata e presente in un breve momento che aveva la sua cornice nella produzione finale del cv. Forse ogni fase del cv rispecchiava una fase di un percorso di consulenza breve, implicava comunque un pensiero su se stessi relativamente al passato, al pre-sente e al futuro. Implicava un ponte non solo sul fare lavorativo, ma su chi si

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fosse e su cosa si volesse in futuro o in che direzione si andasse, una riflessione che si affidasse ad un pensiero narrativo.

Ed è stato questo il significato orienta-tivo che ho dato al percorso di redazione di ogni cv: c’era il supporto (lo facevamo insieme), c’era l’attivazione (il sogget-to veniva invitato a riflettere sulla sua storia, a pensare, a scegliere le espe-rienze da mettere, a selezionare le com-petenze), c’erano i desiderata (pensare a piani b o c, oltre il lavoro fatto), c’era una costruzione comune di possibilità, di “possibilitazioni”, in ciò che Bruscaglioni (2009) descrive bene come una paro-la che può aprire molte strade. “È vero che è bellissimo cambiare. È vero che è bellissimo restare. Ma è anche vero che spesso è bellissimo dedicarsi ad aprire nuove possibilità, a possibilitarsi, a rag-giungere, prima di tutto dentro di sé, stati di multi possibilità. E poter quindi sceglie-re e sentirsi, almeno in una certa misura, responsabili e protagonisti di se stessi”.

Il tempo per la redazione del cv è du-rato in media da una a due ore: molto spesso gli utenti sono inviati dal servi-zio accoglienza esclusivamente per la redazione del cv, altre volte per definire piani di azione lavorativi, scegliere la fa-coltà o il corso di formazione più in linea con interessi, competenze, aspirazioni, o prepararsi ad un colloquio di lavoro, o gestire un recente abbandono scolastico. Spesso mi trovo a dover rispondere alle esigenze dell’utenza con una modalità snella, breve, leggera sia per l’uso degli strumenti, che per il tempo dedicato (la percezione degli utenti del contesto fa loro immaginare e aspettarsi interazioni di limitata brevità).

La difficoltà più grande è costituita dall’importante lavoro di “pulizia di cam-po”: riesco a proporlo nella prima parte dell’incontro quando chiarisco gli obiet-tivi e le attività del Servizio ed esplicito il motivo di alcune specifiche domande e quando cerco di offrire una buona ra-gione e un obiettivo per farmi ascoltare e per cui valga la pena dedicare tempo e mettersi in gioco. Molto spesso prima della redazione del cv dedico un po’ di tempo (dal quarto d’ora alla mezz’ora)

alla creazione del setting, che permet-ta di aprire poi la strada a ricostruzioni, esplorazioni, criticità, potenzialità che poi saranno utili per compilare il forma-to scelto. Un tempo breve ma denso in cui cerco di capire il punto attuale del soggetto, le priorità, le aspettative, la conoscenza dei servizi e la consapevolez-za di quale supporto possono attendersi dagli operatori.

Spesso, invito alla compilazione del cv anche soggetti che non necessitano immediatamente del modello per un inserimento lavorativo, perché credo che riformulare la storia personale che appare neutrale, oggettiva e permet-te di mantenere la giusta distanza con l’operatore, fuga i timori, le perplessità e facilita invece l’emersione di elemen-ti salienti, soprattutto nei soggetti che hanno forte difficoltà ad esprimersi, po-ca consapevolezza delle proprie risorse, difficoltà a mettere parole su quanto è successo o su quanto hanno fatto, su cosa sono cresciuti e su quali aspetti hanno faticato. La scrittura, condivisa e guidata, accompagnata, quasi protetta dall’operatore, diviene uno spazio per-sonale breve, ma ricco di passaggi che sintetizzano il dinamismo della persona nel tempo. In un’ora e mezza, due ore, lentamente, penso che una buona parte degli utenti faccia qualche piccolo passo per entrare nella propria storia con una visione più ordinata, consapevole, riac-quistando potere, proprietà, soggettività, su quella che è la tecnologia di base per poter conquistare un posto nel mondo del lavoro: il cv.

Quel cv che significa e valorizza se stessi nelle propria diversità, che diffe-renzia gli uni dagli altri, che separa dalle precedenti espressioni generiche, del tipo “tanto abbiamo fatto tutti le stesse cose”, “tanto in questi anni ho sempre fatto quello”, permettendo alla persona di emergere nella sua individualità supe-rando l’oggettività, la triste neutralità di essere stati e di sentirsi ancora “operatori generici di produzione, operai metalmec-canici, impiegati del settore produzione” e di passare, invece, a descriversi nella personalissima modalità con cui effettua-

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no il lavoro e arrivare a dire “in effetti ho fatto, vissuto, interpretato il mio lavoro in questo modo….pensandoci bene lo facevo in modo diverso……non me ne ero mai accorto”.

Redigendo il cv con l’aiuto dell’orien-tatore gli utenti sono invitati a:

l dare una struttura all’esperienza (mettere ordine nel caos) anche se in modo provvisorio ed aperto;

l selezionare e organizzare le infor-mazioni (e le narrazioni di riferimen-to) tentando di esercitando scelte consapevoli;

l ad attribuire senso e significato a ciò che ci accade e a ciò che fac-ciamo;

l socializzare le interpretazioni, le emozioni, i progetti;

l costruire e ricostruire la propria identità formativo-professionale;

l immaginare e progettare azioni future.

In effetti, pensato in questo modo, il cv acquisisce la valenza di strumento narrativo e strumento che permette una costruzione di significati e un percorso breve di appartenenza alla propria storia. Siamo una specie narrante, la narrazio-ne è lo strumento attraverso il quale gli uomini comprendono le loro azioni: la narrazione è vista come costruzione di significato e fa parte del processo per la costruzione dell’identità. Secondo il

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Mossa (GO), collezione privata, Piatti, 1970-80 ceramica smaltata e invetriata, diametro 32 cm.

costruzionismo sociale (cfr. Associazione Pratika, 2008), esiste un carattere lingui-stico della realtà: il significato si costru-isce in modo consensuale (negoziale) attraverso l’uso del linguaggio (Bruner, 1986). Il Sé è un testo, una costruzione frutto di interazioni linguistiche e il reale è il prodotto dell’attribuzione di signifi-cati individuale e collettiva, di confron-ti, di dissonanze cognitive rispetto alle rappresentazioni degli eventi.

L’orientamento che si fa con il cv è interessato a tutti questi livelli di signi-ficato perché permette di recuperare fasi salienti della storia formativo pro-fessionale, scelte significative, incidenti di percorso e dà ordine. C’è sempre un prima e un dopo e dopo una situazione significativa e accadimenti importanti la storia ha preso, inevitabilmente, una

direzione particolare. Tutto ciò può es-sere compreso dicendo e chiedendo, dicendoci e chiedendoci “tutto è an-dato bene fino a che….”, che permette di leggere la grammatica e la sintassi di ogni evento personale, il passato e il presente, buchi di significazione, scelte effettuate, emozioni percepite. (Cancrini, 2002)

Quando, dopo ogni esperienza pro-fessionale e formativa descritta sul cv, invito i soggetti a riflettere sui principali risultati raggiunti o sugli aspetti più importanti di quella particolare fase, è come se operassi con loro un recu-pero di esempi narrativi significativi che consentono riflessioni personali e una costruzione di narrazioni ulteriori verso una spirale di sempre maggiore consapevolezza (Batini, 2000).

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ConClUsioni

Le rilevazioni effettuate sulla soddi-sfazione degli utenti dell’anno 2012, in merito al Servizio di Consulenza Orien-tativa2 rivelano come, in particolare, il momento della redazione del cv abbia permesso ai soggetti di sentirsi molto ascoltati nel racconto delle esperienze lavorative; tale narrazione gli ha per-messo di comprendere la natura delle competenze e gli interessi personali, così come i punti di forza e le potenzialità, di dare chiarezza e ordine alle esperienze; il cv è risultato molto utile nell’attivazione personale, nella ricerca di opportunità ed il formato finale scelto per l’elaborazione dello strumento è stato soddisfacente.

Il questionario3 è stato strutturato in base all’esigenza di comprendere quali potessero essere le principali aree in cui il Servizio di orientamento e in particolare il servizio di redazione cv potesse essere efficace, efficiente, comprensivo dei bi-sogni e delle aspettative degli utenti. Per facilitarne la compilazione è stato utiliz-zato il software di indagine Survey–Mon-key, che restituisce le riposte in maniera del tutto anonima e previa selezione di opzioni specifiche, propone anche risul-tati e grafici. I soggetti non sono stati selezionati tramite campionamenti pro-babilistici, ma semplicemente inviando il questionario a tutti gli utenti con i quali è stato redatto il cv. Il questionario non ha avuto la pretesa di rispettare criteri di attendibilità, validità e omogeneità, ma ha inteso interrogare gli utenti rispetto al servizio fruito.

Da sempre, ovviamente, il curriculum ha rappresentato e rappresenta una for-ma di consulenza orientativa ed è stru-mento utile ed efficace per aprire un dialogo con l’utente in relazione a varie dimensioni personali e professionali in vista di comportamenti proattivi. Quello che si è cercato di sottolineare in questo articolo è come il contesto (territoriale, culturale, sociale) determini anche la mo-dalità con cui possono essere proposti gli strumenti e soprattutto la tempo-ralità, il timing, con cui ogni soggetto può essere pronto ad accogliere forme

di esplorazione significativa sulla storia personale e professionale in vista di una consapevolezza del proprio profilo e di ciò che ogni persona può dare e ricevere dal mondo del lavoro, come lo vive e se lo rappresenta, cosa si aspetta.

In particolare si è parlato di “resisten-ze al cambiamento”, vincoli familiari e personali (economici, spostamento e distanza), bassa autonomia gestiona-le, stili di coping poco adattivi di fronte a situazioni che si trasformano anche troppo velocemente come negli ultimi 5-6 anni e tutto ciò sta cambiando an-che il modo di “orientare” l’utenza e di supportarla ad auto orientarsi. Infatti, fino a qualche tempo fa, come più volte indicato nell’articolo, ho tentato di far riflettere gli utenti su quali piani di azio-ne avessero in mente, su quali obiettivi professionali possedessero, invitando sempre la riflessione alla chiarezza degli stessi al fine di un loro raggiungimento.

Con il passare del tempo e in parti-colare nell’ultimo anno ho tentato di dialogare con le persone per renderli consapevoli di quali risorse personale avessero per confrontarsi sempre più attivamente e con maggior autoeffica-cia con il mondo del lavoro. Tale pista di analisi ha “interrogato” gli utenti sulle ri-sorse di progettazione, ri-progettazione, pianificazione, ri-programmazione in cui la dimensione pragmatica sta avendo sempre di più la valenza di strumento e sarà tanto più efficace quanto più si è abituati a descriversi in modo consa-pevole e a conoscere bene i passaggi salienti della propria autobiografia alla quale risalire per attingere dimensioni di capacità e abilità.

Sempre più si richiede alla persone di reagire al nuovo scenario di cambiamen-to con maggior resilienza e stili di coping adattivi: gestione imprevisti, previsione, gestione blocchi rispetto al progetto in mente, gestione del tempo, gestione delle risorse in possesso. È per questo che i quesiti che mi hanno guidato ne-gli ultimi mesi e che ho sottoposto agli utenti durante la redazione del cv sono stati soprattutto:

l Se dovessi perdere il lavoro che farai?

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Come fronteggerai tale momento, con quali risorse? Ti è mai capitato in passato di gestire situazioni simili? Come ce l’hai fatta?

l Ora che stai cercando lavoro ed è la prima volta che lo fai come ti muove-rai? A quale/i risorsa/e ti affiderai?

l Se non riesci a trovare lavoro, che farai?

Questi nuovi bisogni orientativi che sottendono la scoperta, il possesso, l’utilizzo di nuove risorse hanno anche permesso di lanciare e sperimentare la-boratori di orientamento con tematiche diverse che, accanto alle dimensioni di valutazione dell’obiettivo professionale, di tecniche di ricerca attiva, di metodo-logie e strumenti di attivazione (tipiche dei laboratori degli ultimi 5-6 anni), met-tono al lavoro gli utenti sulla dimensione della progettualità, del problem solving, della gestione emotiva della transizione e dell’energia dedicata ad un comporta-mento proattivo.

A tal proposito mi sembra pertinente un passaggio del discorso di Joan Didion alle matricole dell’A.A. 1975 -1976 dell’U-niversità della California, Riverside: “…

Non vi dico di rendere il mondo migliore, perché non penso che il progresso vada incluso necessariamente nel pacchetto. Vi dico di viverci. Non solo di resistergli, non solo di sopportarlo, ma di viverci. Di guardarlo in faccia. Di provare a capirlo. Di buttarvi nella mischia. Di rischiare. Di fare il vostro lavoro e di esserne fieri.

E se mi chiedete perché dovreste darvi tanto da fare, potrei rispondervi che la tomba è un posto bello e riparato, ma nessuna si abbraccia là dentro, né canta o scrive o discute o guarda la corrente del Rio delle Amazzoni gonfiarsi con la marea o accarezza i suoi figli. Ed è questo che c’è da fare qua fuori, e fatelo finché potete e buona fortuna…”.

Gianluca Vergari Psicologo, Psicoterapeuta, Consulente di Orientamento Professionale e Scolastico Provincia di Ancona Referente Servizio Consulenza Orientativa Specialistica Fabriano (AN)

noTe

1 A partire dal volgere lo schermo del pc verso il soggetto, invitandolo alla immediata co-partecipazione, facendogli scegliere il modello che preferiva tra quelli che avevamo e selezionato, o a costruirne una versione totalmente nuova.

2 Realizzata tramite un questionario anonimo, circa 220 soggetti.

3 Il questionario è basato su 9 item con scala Llikert a 5 punti (da per niente a moltissimo).

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INFORMA

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BiBliograFia

AAVV, Le Storie siamo noi, Arezzo, Associazione Pratika, 2008.

Bateson G., Mente e natura, Milano, Adelphi, 1984.

Batini F., Zaccaria R., (a cura di) Per un orientamento narrativo, Milano, Franco Angeli, 2000.

Bauman Z., Vita Liquida, Roma, Editori Laterza, 2006.

Benasayag M., Schmit, G., L’epoca delle passioni tristi, Milano, Feltrinelli, 2003.

Blustein, D. L., Una nuova psicologia per il lavoro, Milano, Hoepli, 2009.

Bruner J., La ricerca del significato, Torino, Bollati Boringhieri, 2003.

Bruscaglioni M., Pro-vocazioni, Rivista per la Formazione FOR, 2009.

Cancrini L., La psicoterapia: grammatica e sintassi, Roma, Carocci Editore, 2002.

Di Fabio A., Psicologia dell’orientamento, Firenze, Giunti, 1998.

Mucchielli R., Apprendere il counseling, Trento, Centro Studi Erikson, 2002

Pombeni M. L., Orientamento scolastico e professionale, Bologna, Il Mulino, 1990.

Pombeni M. L., Il Colloquio di orientamento, Roma, NIS, 1996.

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Mossa (GO), collezione privata, Piatti, 1970-80 ceramica smaltata e invetriata, diametro 32 cm.

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LIBRI

enneagraMMa e PersonaliTÀTIPI E SOTTOTIPI NEI PERSONAGGI DEI FILM

Marco D’Agostini, Franco Fabbro

Casa Editrice Astrolabio, Roma, 2012 pp. 244 € 22,00

Il libro “Enneagramma e personalità. Tipi e sottotipi nei personaggi dei film” si propone l’obiettivo di descrivere le 27 principali strutture di personalità dell’en-neagramma (simbolo grafico delle nove personalità) confrontandole con le at-tuali conoscenze della psicologia clinica. Lo strumento per raggiungere questo obiettivo è il cinema. L’analisi delle ca-ratteristiche del personaggio cinema-tografico rappresenta una delle strade più promettenti per conoscere e capire se stessi. Il libro di D’Agostini e Fabbro è composto da cinque capitoli, l’introduzio-ne e le conclusioni. Nel primo capitolo gli autori descrivono i principali contributi di Sigmund Freud, Carl Gustav Jung e Joseph Campbell nello studio della per-sonalità e della sua evoluzione nei miti e nella letteratura universale.

Nel secondo capitolo viene presentata la struttura della personalità alla luce del-la teorie dell’enneagramma, introdotte in occidente dal mistico armeno Georges I. Gudjieff, e successivamente interpretate in chiave psicologica dal maestro boli-viano Oschar Ichazo e dallo psichiatra cileno Claudio Naranjo. I nove tipi prin-cipali di personalità vengono descritti e confrontati con le principali strutture di personalità elaborate all’interno della tradizione psicoanalitica e psichiatrica occidentale. Il terzo capitolo rappresenta un’importante novità nell’ambito della teoria dell’enneagramma. In esso ven-gono analizzati e descritti, per la prima

volta in maniera chiara, i 27 principali sottotipi di personalità. Ognuno dei 9 tipi principali presenta infatti tre sottotipi: conservativo, sessuale e sociale. Secon-do quest’antica descrizione ogni essere umano apparterrebbe a una delle tre classi principali del carattere (istintuale, emotiva e mentale), che corrispondono ai tre principali veleni delle tradizioni orien-tali (ignoranza, desiderio e avversione). Ognuna di queste tre classi si decline-rebbe in altri tre tipi, che corrispondono ai vizi capitali, per la classe istintuale: lussuria (enneatipo E8); pigrizia (E9); rab-bia (E1); per la classe emotiva: orgoglio (E2); vanità (E3); invidia (E4); per la classe mentale: avarizia (E5); paura (E6); gola (E7). Infine, come si è detto, ogni enne-atipo si declina in uno dei tre sottotipi.

Negli ultimi tre capitoli le 27 tipolo-gie caratteriali individuate dalla teoria dell’enneagramma vengono accostate ad altrettanti personaggi cinematografici emblematici. Ognuno dei film presenta-ti e analizzati permette di esplicitare le principali caratteristiche di personalità di un sottotipo. Dunque, il lettore, me-diante l’ausilio dei film, può essere aiu-tato a conoscere e riconoscere il proprio carattere e il proprio sottotipo tramite l’identificazione con il personaggio ci-nematografico. Secondo la tradizione dell’eneagramma questo riconoscimento rappresenta il primo e fondamentale passo per il processo di crescita perso-nale. Nei paragrafi successivi di questa

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recensione cercherò di approfondire al-cune delle principali tematiche trattate nel libro.

L’idea che gli individui possano essere raggruppati in alcune limitate categorie psicologiche è presente fin dall’antichità classica. Secondo questo orientamento di pensiero ogni individuo sviluppa, nei primi anni di vita, una particolare per-sonalità o carattere. Ogni personalità presenta un insieme di schemi menta-li inconsci che regolano l’affettività, la percezione e l’azione e che dipendono sia da variabili biologiche sia dalla storia individuale. Le ricerche sviluppate in am-bito antropologico e psicologico hanno cercato di identificare i principali tipi di personalità. In quasi tutte le pellicole fino ad ora realizzate, i personaggi sono dotati di uno spessore psicologico che consente una collocazione funzionale nelle diverse tipologie o istanze indivi-duate dai grandi studiosi della mente e del comportamento umano. Applicati all’arte cinematografica, le ricerche di Freud, Jung, Campbell e altri scienziati, oltre ad esplicitarsi attraverso esem-pi emblematici, si rivelano importante strumento di analisi e scrittura filmica.

Dopo la panoramica su alcune teorie della personalità che trovano riscontro e simbolizzazione nelle rappresentazioni cinematografiche, D’Agostini e Fabbro nel loro libro introducono un recen-te modello di tipizzazione caratteriale: l’enneagramma dei tipi psicologici. E’ un diagramma a forma di stella a nove punte sviluppato nell’antico oriente e giunto fino a noi tramite la tradizione orale dei maestri sufi. Nel Novecento, dopo secoli di silenzio, Gurdjieff ha por-tato l’enneagramma in Occidente. Suc-cessivamente Oscar Ichazo, un maestro spirituale boliviano, approfondì e divulgò la conoscenza dell’enneagramma, iniziò a utilizzarlo nella diagnosi delle persona-lità, collocando correttamente i diver-si tipi psicologici entro la stella a nove punte. Un ulteriore approfondimento è stato svolto da Claudio Naranjo (per un periodo allievo di Ichazo), che iniziò a perfezionare l’applicazione delle idee esposte da Ichazo.

L’Enneagramma delle personalità elaborato da Naranjo, costituisce un modello della psiche nel quale sono pre-senti nove passioni ovvero nove risposte alle carenze o dissonanze originarie. Se-condo quest’ottica, esistono nove carat-teri fondamentali, gli enneatipi. Come già accennato nell’introduzione, ogni enneatipo è dominato da una passione, su cui si struttura la personalità, e che è identificabile, con un lavoro d’intro-spezione, aldilà di apparenti differenze dovute a molteplici variabili individuali, quali l’età, la cultura, il sesso, lo stile di vita e quant’altro. Ad esempio l’ennea-tipo “quattro” è dominato dall’invidia, intesa come senso di carenza profon-da, che porta all’autosvalutazione e ad un costante desiderio di un ‘qualcosa’, non necessariamente di tipo materiale; vive quindi in un perenne e malinconico anelito. Come ha sostenuto Giacomo Leopardi (che probabilmente apparte-neva a questo tipo di personalità): “La realtà non è mai bella tanto quanto ce la siamo immaginata, per cui molte volte è meglio rimanere nel sogno piuttosto che nella realizzazione di ciò che ci era-vamo immaginati, perché nel momento in cui prende forma perde il fascino e la magia”.

Per ogni carattere esistono tre varian-ti, a seconda che predomini l’istinto di autoconservazione, l’istinto sessuale o l’istinto sociale. A questo punto gli au-tori del libro descrivono e analizzano per ogni sottotipo due personaggi cinema-tografici di due film differenti. Chi legge il libro studiando le caratteristiche del personaggio e guardando in maniera analitica i film proposti può riuscire a comprendere le varie tipologie di perso-nalità umana e soprattutto incominciare a conoscere se stesso.

Molti sono i libri pubblicati rivolti a co-loro che si avvicinano per la prima volta all’enneagramma, con semplificazioni, test, caricature e schemi; materiali utili per farsi un’idea dei diversi tipi ma assai riduttivi, in quanto la complessità del sistema non può esaurirsi nella lettu-ra di poche pagine, che non riescono a spiegare in modo approfondito le tante

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LIBRI

sfumature di un carattere. Il libro “Enneagramma e personalità”

offre la possibilità di analizzare la psi-cologia del carattere attraverso l’analisi di film emblematici; gli attori in genere esasperano i tratti di personalità di un personaggio, rendendone quindi più faci-le l’identificazione. Spesso anche l’attore stesso appartiene al tipo psicologico che interpreta solitamente (ad esempio Roberto Benigni, Robin Williams, Woody Allen) pertanto anche la postura, la ge-stualità e la somatica contribuiscono a identificare in maniera precisa il carattere del personaggio. Gli autori sostengono che i film presentati nel libro sono stati scelti tenendo conto anche di questo aspetto.

Uno dei film più noti descritti nel libro e utilizzato per l’analisi di uno dei caratteri dell’enneagramma, è “La vita è bella” di Roberto Benigni: un grande attore del ci-nema italiano che nei suoi film interpreta se stesso. “Benigni e il suo personaggio rappresentano al meglio in questo film il carattere del sette sessuale. La fanta-sia che aiuta a staccarsi dalla realtà, a costruire storie, personaggi e ambienti che riescano in qualche modo a salvare, sono tipiche del carattere indicato. Non solo, la torrenziale oralità di Guido, la sua estrema e dirompente comicità, i suoi sbeffeggi al potere, la sua esilarante filippica contro il razzismo (con finta lo-de dell’ombelico ariano), completano al meglio la figura. [..] Guido è un arlecchino entusiasta e narciso.”(p. 217).

Lo scopo profondo del libro è, quin-di, quello di raggiungere, attraverso la conoscenza di se stessi, la progressiva evoluzione psicologica e spirituale, ciò che in molte tradizioni religiose viene definita “guarigione” o “illuminazione”. Molti segni indicano che il sistema occi-

dentale è in crisi; e uno degli aspetti più evidenti è il malessere crescente degli insegnanti; ciò può essere ricondotto alla diminuzione del loro status economico e sociale, ma molto più spesso ciò che i docenti lamentano è la frustrazione e il senso di inutilità, dovuto ad una sempre maggiore consapevolezza che l’educazio-ne attuale è spesso una forma raffinata di addomesticamento dell’essere umano.

La conoscenza della personalità attra-verso l’enneagramma ritengo sia un pre-zioso aiuto in campo educativo, sociale e terapeutico per comprendere in modo chiaro e dettagliato i vari aspetti della personalità, mettendo in luce i talenti naturali e le aree di miglioramento dei diversi stili caratteriali e suggerendo con-crete strategie di sviluppo specifiche per ognuno di essi. “..se vogliamo trasformare l’educazione[..] in un’educazione per lo sviluppo completo dell’Essere [..] un modo di procedere è trasformare gli insegnan-ti e ciò apre la possibilità di influenzare attraverso gli insegnanti un mondo più ampio […]. Proprio come la vita procede solo dalla vita una coscienza si risveglia al tocco di una coscienza e nulla potrà es-sere più importante per la trasformazione dell’educazione della “guarigione” e della “illuminazione” di docenti ed educatori”. (C. Naranjo; Cambiare l’educazione per cambiare il mondo, 2005, p. 9).

In conclusione, mi sembra importan-te invitare i colleghi insegnanti e tutti coloro i quali sono impegnati nella “re-lazione d’aiuto” alla lettura e allo studio del libro “Enneagramma e Personalità” di D’Agostini e Fabbro; confido che ciò potrà essere di sicuro vantaggio per loro stessi e per gli allievi e/o le persone con cui sono in relazione.

Federica Caselli 1

noTe

1 Federica Caselli è docente presso la scuola primaria “Borsi” di Donoratico (LI). Da anni si interessa allo studio

dell’enneagramma e alle ricadute didattiche della psicologia della personalità.

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Mossa (GO), collezione privata, Madonna con bambino, 1968 terracotta (modellatura a colombino), 62 x 18 cm.

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Agostino Piazza nel suo studio, 1972

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QUADERNI DI ORIENTAMENTO 42QUADERNI DI ORIENTAMENTO 42

Mossa (GO), Scuola elementare e materna, La bella addormentata, 1961 bozzetto, graffito e pittura a secco su intonaco, 45 x 100 cm.

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Coloro che volessero collaborare con la rivista potranno inviare il loro articolo su cd o via e-mail a:

REDAzIONE di “quADERNI DI ORIENTAMENTO”Direzione centrale istruzione, università, ricerca,famiglia, associazionismo e cooperazioneVia Roma, 7 - 34170 GoriziaTel. 0481 386278 - Fax 0481 386413e-mail: [email protected]

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Sono graditi contributi, anche se non se ne garantisce la pubblicazione.

Il materiale potrà riguardare:l contributi teorici su tematiche specifiche dell’orientamento scolastico, professionale o attinenti;l progetti, ricerche, esperienze;l informazioni su convegni, seminari e pubblicazioni inerenti l’orientamento.

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