“I miei quarantadue anni felici in Brasile” - Diocesi di...

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8 Informazione Religiosa Venerdì, 20 aprile 2012 “Dio scrive su righe storte”. Recita così un ce- lebre detto brasiliano e don Cesarino Pietra lo ricorda ridendo quando gli chiediamo il perchè della sua vocazione. Don Cesarino è il secondo dei tre sacerdoti diocesani ancora vi- venti che intervistiamo in occasione del loro cinquantesimo di ordinazione. Il primo, la scorsa settimana, era stato don Virginio Ber- norio. “Ecco, ricordo la “santità” di don Virgi- nio già da bambino - sorride don Cesarino- io invece... ero una “riga storta”, per fortuna che il Rettore mons. Maverna un po’ mi ha “tirato dritto”. Diceva sempre che ero una pelle di tamburo... solo che quelle pelli sono d’asino! Ma mi voleva bene, era un grande educatore”. Che don Cesarino sia un personaggio lo si ca- pisce già dalle prime battute. Parla, racconta, è un fiume in piena, non si lascia incanalare in una intervista normale e del resto è diffici- le contenersi quando alle spalle hai otto anni di sacerdozio pavese e quarantadue di missio- ne in Brasile. Il 21 marzo don Cesarino è tor- nato in Italia, nella “sua” Corteolona. Vi re- sterà fino al 20 maggio. “Ho già il biglietto pronto dell’aereo”, dice con orgoglio perchè or- mai si capisce che quella è la sua terra, la sua vita. Malpensa-Rio Preto: tredici ore di aereo, un solo scalo. Un viaggio al contrario rispetto a quello che compiono quasi di routi- ne tanti giovani brasiliani che lavorano in Italia, come ci spiega lo stessa don Cesarino. Insieme proviamo a compiere un salto indie- tro nel tempo di mezzo secolo e più. Don Cesarino, com’è nata la sua vocazio- ne? Si sognava sacerdote missionario già da bambino? “Non so neanch’io che cosa rispondere. Non so spiegare la mia vocazione. La mia famiglia è di Corteolona, ma le contingenze legate alla seconda guerra mondiale mi hanno portato a Pavia, dove frequentavo la scuola elementare De Amicis e facevo il chierichetto a San Fran- cesco con don Peppino Colombo parroco e i coadiutori don Cinquini e don Zacchetti. L’O- ratorio era ben attivo, si faceva anche attività teatrale e ricordo la suora laica Carlotta Cre- mascoli, molto in gamba. Lì ho cominciato a maturare la mia vocazione, proseguendo nel cammino a Diano D’Alba (provincia di Cu- neo) dove la mia famiglia si è trasferita sem- pre per seguire il papà in guerra. Anche lì ho incontrato figure sacerdotali determinanti ed ero attratto dalla vita di oratorio. Allora ho manifestato il mio desiderio di entrare in Se- minario ai genitori, che hanno accettato nono- stante avessero altri progetti per me. Sono en- trato ad Alba, proprio nel periodo in cui don Giacomo Alberione iniziava la sua opera con la tipografia e la diffusione della “buona stampa” attraverso le Paoline. E l’anno suc- cessivo, nel 1949, mi sono trasferito al Semi- nario pavese”. Che ricordi ha degli anni in Seminario? “Quando sono entrato il Rettore era il futuro cardinal Poma, figura molto aperta e piena di ideali. Dall’anno successivo la carica è passa- ta nelle mani di mons. Maverna, molto seve- ro, grande educatore, appassionato di biblica. E’ stato un periodo meraviglioso, anche se vis- suto nella disciplina assoluta. Ma nessuno contestava, era l’iter comune e riconosciuto. Oggi sicuramente l’educazione che si riceve in Seminario è più ricca e meno orientata, però l’apertura può essere una grossa qualità ma anche un difetto...” Il 29 giugno 1962 arriva l’ordinazione... “Sì, per tutti noi cinque: insieme a me c’erano don Virginio Bernorio, don Enzo Boschetti, don Giulio Bosco e don Gianfranco Poma. E’ l’unica volta che abbiamo concelebrato insie- me, poi purtroppo non siamo più riusciti. A li- vello personale ricordo che sabato 30 giugno ho celebrato la mia prima Messa dalle suore di Maria Bambina, mentre la domenica tutta la comunità di Corteolona mi ha fatto festa dopo la funzione: parroco era don Roberto Cerri e coadiutore don Peppino Perego, che mi ha guidato. Ero molto emozionato. E al termi- ne papà ha stappato quella bottiglia di vino piemontese che aveva messo via per il mio matrimonio...”. A settembre il suo primo incarico da coadiutore, a Pieve Porto Morone. Era il 1962. “A settembre ricevo la lettera di mons. Fasani in cui mi viene chiesto di subentrare a don Fausto Manenti, a Pieve. Ho preso la biciclet- ta e da Corteolona mi sono trasferito nella nuova destinazione, affiancando il parroco don Lorenzo Donelli. Erano altri tempi rispet- to ad oggi: non avevo un alloggio, dormivo nell’aula di catechismo al piano superiore del- l’asilo e quando pioveva dovevo aprire l’om- brello perchè l’acqua entrava...Ma sono stati tre anni molto belli, in Oratorio, stavo sempre coi giovani”. Poi è stato chiamato a Marcignago, nel 1965, dove è rimasto quattro anni. “Sì, sempre in Oratorio. Lì si sono trasferiti anche i miei genitori e quindi potevo dormire da loro. Il parroco era don Giovanni Gnocchi, sacerdote molto affabile. Anche a Marcignago sono stato bene”. L’unico problema è che lei aveva un chiodo fisso: andare in missione... E ce l’ha fatta, anche se in modo un po’ ro- cambolesco. Non è stata una passeggiata insomma avere il permesso! “In effetti è così. Mons. Maverna non aveva mai voluto lasciarmi andare e aveva dissemi- nato il mio percorso di ostacoli... Allora pen- sai di chiedere direttamente al Vescovo, che era mons. Carlo Allorio. Mi disse che Pavia aveva tanti sacerdoti anziani e non poteva darmi il benestare. “La tua Africa è qui”, mi congedò. Quando gli subentrò mons. Antonio Angioni, decisi di ritornare alla carica e una mattina partii all’alba da Marcignagno con la mia Vespa e bussai alla porta del Vescovo. Ricordo che prendemmo insieme il caffè, con i biscottini tipici sardi e lui si dimostrò invece contento della mia richiesta. Mi disse che suo fratello don Angelo, che dal 1949 era in mis- sione a Rio Preto, da anni chiedeva un aiuto in Brasile, mi fece frequentare i corsi di pre- parazione al Ceir di Verona e il 24 di febbraio 1970 partii accompagnato da mons. Antonio Angioni e mons. Luigi Gandini”. E che cosa ricorda in particolare del giorno del suo arrivo? Fu un buon im- patto? “Arrivammo a mezzanotte e, nonostante que- sto, c’era un sacco di gente ad aspettarmi. Ad- dirittura la banda per far festa. La chiesa era tutta illuminata e mi chiesero di dir qualcosa. Ricordo che feci ridere tutti: dissi che pensavo di arrivare tra gli indios e le belve feroci e in- vece mi trovavo in tutta un’altra realtà rispet- to a quanto immaginassi”. Dal momento che si trova in Brasile da 42 anni, la scelta si è rivelata azzeccata... “Come Napoleone all’isola d’Elba anch’io pos- so parlare dei miei primi cento giorni... E’ sta- to il tempo necessario per cominciare a capire la lingua e abituarmi all’alimentazione (sem- pre riso e fagioli...). Ma ero sin dall’inizio mol- to attratto da quella nuova avventura e l’am- biente era molto accogliente, con una parteci- pazione entusiasta a tutte le iniziative. E poi naturalmente ero guidato da don Angelo An- gioni, che mi faceva capire e apprezzare le dif- ferenze, gli aspetti che a me parevano strani: come i cani tranquillamente in chiesa e i mor- taretti fatti scoppiare per devozione. Parroc- chia e Seminario sono stati i miei capisaldi in tutti quegli anni”. Dopo 15 anni è stato trasferito alla peri- feria di Rio Preto per dedicarsi a una nuova Chiesa. Anni difficili, caratteriz- zati dalla malattia di don Angelo, che se ne è andato nel 2008. “Sì, io ho avuto dal Vescovo l’incarico di pen- sare alla nuova chiesa in periferia, a cinquan- ta chilometri da San Giovanni Battista in Jo- sè Bonifacio. Purtroppo la malattia di don Angelo lo ha portato a un lungo periodo di co- ma, dal 1999, sempre seguito con lodevole de- dizione dalle suore. Don Angelo non si era li- mitato a fondare il Seminario a Rio Preto, ma aveva anche pensato a chi pregasse per le missioni, a chi lavorasse per la casa parroc- chiale, a chi si dedicasse all’apostolato parroc- chiale e ad un “esercito” di laici consacrati per appoggiare i missionari. Cinque grandi fami- glie che sono diventate oggi cinque congrega- zioni differenti che insieme danno vita all’Isti- tuto Missionario Cuore Immacolato di Maria. La sua è stata veramente una grande opera”. Lei in febbraio ha compiuto settantacin- que anni. Ufficialmente è “pensionato”, ma dal Vescovo, Paulo Mendes Peixoto, ha ricevuto un incarico importante... “Mi ha chiesto di tornare a San Giovanni Battista per raccogliere le testimonianze su don Angelo Angioni, che qui è sepolto. Ho già registrato diciotto casi di presunte grazie rice- vute e un sacco di gente ogni giorno viene a pregare sulla sua tomba. Potrebbe aprirsi una causa di canonizzazione per lui”. Ma lei che gli è stato accanto per tanti anni pensa che don Angelo davvero sia un santo? “Sicuramente una persona differente dalle al- tre, speciale, con una spiritualità eccezionale. E poi non sono io a doverlo dire, è la gente che lo vuole santo. Ogni giorno lo chiedono tutti”. Don Cesarino, come può definire il Bra- sile oggi? “E’ un ambiente fertile di ideali, vocazioni, en- tusiasmi e ha tante possibilità meravigliose di sviluppo. Però andare in Brasile è come entra- re in una macchina del tempo: a San Paolo c’è veramente di tutto, poi ti sposti di cento chilometri e ti sembra di entrare nel secolo passato; ad altri cento ti immergi nel 1700 e a cinquecento addirittura ti trovi in mezzo agli indios, in tutto un altro mondo. Questo è il Brasile”. E che cosa si racconta dell’Italia? “Il mondo politico tende a descrivere l’Italia come una sorta di regime, quasi fossimo anco- ra al tempo di Mussolini. Si dice infatti che tutti gli organi mediatici sono in mano a un’unica persona e quindi gli italiani vedono una realtà distorta. Però a livello commercia- le si guarda all’Italia come a un esempio da copiare: la moda e le auto sono considerate il “top” e sono arrivati in Brasile persino i pa- nettoni e le uova di Pasqua...Tanti giovani og- gi vivono in Brasile, ma scelgono l’Italia per lavorare”. E lei? Tornerebbe in Italia? “Sono contento di essere tornato dopo dodici anni, perchè l’Italia è comunque il luogo dove sono nato. Ma resto qua due mesi... Ci vorreb- bero altri quarantadue anni per riabituarmi... Mi accorgo che non conosco più la gente, so- prattutto non riconosco più la mentalità dei miei tempi. E il 20 maggio a Malpensa salirò volentieri sull’aereo che mi riporterà a Rio Preto...”. Daniela Scherrer I primi due da sinistra sono don Cesarino e mons. Antonio Angioni, l'ultimo a destra è don Angelo Angioni A colloquio con i sacerdoti che celebrano il cinquantesimo di ordinazione: don Cesarino Pietra “I miei quarantadue anni felici in Brasile”

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8 Informazione ReligiosaVenerdì, 20 aprile 2012

“Dio scrive su righe storte”. Recita così un ce-lebre detto brasiliano e don Cesarino Pietralo ricorda ridendo quando gli chiediamo ilperchè della sua vocazione. Don Cesarino è ilsecondo dei tre sacerdoti diocesani ancora vi-venti che intervistiamo in occasione del lorocinquantesimo di ordinazione. Il primo, lascorsa settimana, era stato don Virginio Ber-norio. “Ecco, ricordo la “santità” di don Virgi-nio già da bambino - sorride don Cesarino- ioinvece... ero una “riga storta”, per fortuna cheil Rettore mons. Maverna un po’ mi ha “tiratodritto”. Diceva sempre che ero una pelle ditamburo... solo che quelle pelli sono d’asino!Ma mi voleva bene, era un grande educatore”.Che don Cesarino sia un personaggio lo si ca-pisce già dalle prime battute. Parla, racconta,è un fiume in piena, non si lascia incanalarein una intervista normale e del resto è diffici-le contenersi quando alle spalle hai otto annidi sacerdozio pavese e quarantadue di missio-ne in Brasile. Il 21 marzo don Cesarino è tor-nato in Italia, nella “sua” Corteolona. Vi re-sterà fino al 20 maggio. “Ho già il bigliettopronto dell’aereo”, dice con orgoglio perchè or-mai si capisce che quella è la sua terra, lasua vita. Malpensa-Rio Preto: tredici ore diaereo, un solo scalo. Un viaggio al contrariorispetto a quello che compiono quasi di routi-ne tanti giovani brasiliani che lavorano inItalia, come ci spiega lo stessa don Cesarino.Insieme proviamo a compiere un salto indie-tro nel tempo di mezzo secolo e più. Don Cesarino, com’è nata la sua vocazio-ne? Si sognava sacerdote missionariogià da bambino?“Non so neanch’io che cosa rispondere. Non sospiegare la mia vocazione. La mia famiglia èdi Corteolona, ma le contingenze legate allaseconda guerra mondiale mi hanno portato aPavia, dove frequentavo la scuola elementareDe Amicis e facevo il chierichetto a San Fran-cesco con don Peppino Colombo parroco e icoadiutori don Cinquini e don Zacchetti. L’O-ratorio era ben attivo, si faceva anche attivitàteatrale e ricordo la suora laica Carlotta Cre-mascoli, molto in gamba. Lì ho cominciato amaturare la mia vocazione, proseguendo nelcammino a Diano D’Alba (provincia di Cu-neo) dove la mia famiglia si è trasferita sem-pre per seguire il papà in guerra. Anche lì hoincontrato figure sacerdotali determinanti edero attratto dalla vita di oratorio. Allora homanifestato il mio desiderio di entrare in Se-minario ai genitori, che hanno accettato nono-stante avessero altri progetti per me. Sono en-trato ad Alba, proprio nel periodo in cui donGiacomo Alberione iniziava la sua opera conla tipografia e la diffusione della “buonastampa” attraverso le Paoline. E l’anno suc-cessivo, nel 1949, mi sono trasferito al Semi-nario pavese”.Che ricordi ha degli anni in Seminario?“Quando sono entrato il Rettore era il futurocardinal Poma, figura molto aperta e piena diideali. Dall’anno successivo la carica è passa-ta nelle mani di mons. Maverna, molto seve-ro, grande educatore, appassionato di biblica.E’ stato un periodo meraviglioso, anche se vis-suto nella disciplina assoluta. Ma nessunocontestava, era l’iter comune e riconosciuto.Oggi sicuramente l’educazione che si riceve inSeminario è più ricca e meno orientata, peròl’apertura può essere una grossa qualità maanche un difetto...”Il 29 giugno 1962 arriva l’ordinazione...“Sì, per tutti noi cinque: insieme a me c’eranodon Virginio Bernorio, don Enzo Boschetti,

don Giulio Bosco e don Gianfranco Poma. E’l’unica volta che abbiamo concelebrato insie-me, poi purtroppo non siamo più riusciti. A li-vello personale ricordo che sabato 30 giugnoho celebrato la mia prima Messa dalle suoredi Maria Bambina, mentre la domenica tuttala comunità di Corteolona mi ha fatto festadopo la funzione: parroco era don RobertoCerri e coadiutore don Peppino Perego, che miha guidato. Ero molto emozionato. E al termi-ne papà ha stappato quella bottiglia di vinopiemontese che aveva messo via per il miomatrimonio...”.A settembre il suo primo incarico dacoadiutore, a Pieve Porto Morone. Era il1962.“A settembre ricevo la lettera di mons. Fasaniin cui mi viene chiesto di subentrare a donFausto Manenti, a Pieve. Ho preso la biciclet-ta e da Corteolona mi sono trasferito nellanuova destinazione, affiancando il parrocodon Lorenzo Donelli. Erano altri tempi rispet-to ad oggi: non avevo un alloggio, dormivonell’aula di catechismo al piano superiore del-l’asilo e quando pioveva dovevo aprire l’om-brello perchè l’acqua entrava...Ma sono statitre anni molto belli, in Oratorio, stavo semprecoi giovani”.Poi è stato chiamato a Marcignago, nel1965, dove è rimasto quattro anni.“Sì, sempre in Oratorio. Lì si sono trasferitianche i miei genitori e quindi potevo dormireda loro. Il parroco era don Giovanni Gnocchi,sacerdote molto affabile. Anche a Marcignagosono stato bene”.L’unico problema è che lei aveva unchiodo fisso: andare in missione... E cel’ha fatta, anche se in modo un po’ ro-cambolesco. Non è stata una passeggiatainsomma avere il permesso!“In effetti è così. Mons. Maverna non avevamai voluto lasciarmi andare e aveva dissemi-nato il mio percorso di ostacoli... Allora pen-sai di chiedere direttamente al Vescovo, cheera mons. Carlo Allorio. Mi disse che Paviaaveva tanti sacerdoti anziani e non potevadarmi il benestare. “La tua Africa è qui”, micongedò. Quando gli subentrò mons. AntonioAngioni, decisi di ritornare alla carica e unamattina partii all’alba da Marcignagno conla mia Vespa e bussai alla porta del Vescovo.Ricordo che prendemmo insieme il caffè, con ibiscottini tipici sardi e lui si dimostrò invece

contento della mia richiesta. Mi disse che suofratello don Angelo, che dal 1949 era in mis-sione a Rio Preto, da anni chiedeva un aiutoin Brasile, mi fece frequentare i corsi di pre-parazione al Ceir di Verona e il 24 di febbraio1970 partii accompagnato da mons. AntonioAngioni e mons. Luigi Gandini”.E che cosa ricorda in particolare delgiorno del suo arrivo? Fu un buon im-patto?“Arrivammo a mezzanotte e, nonostante que-sto, c’era un sacco di gente ad aspettarmi. Ad-dirittura la banda per far festa. La chiesa eratutta illuminata e mi chiesero di dir qualcosa.Ricordo che feci ridere tutti: dissi che pensavodi arrivare tra gli indios e le belve feroci e in-vece mi trovavo in tutta un’altra realtà rispet-to a quanto immaginassi”.Dal momento che si trova in Brasile da42 anni, la scelta si è rivelata azzeccata...“Come Napoleone all’isola d’Elba anch’io pos-so parlare dei miei primi cento giorni... E’ sta-to il tempo necessario per cominciare a capirela lingua e abituarmi all’alimentazione (sem-pre riso e fagioli...). Ma ero sin dall’inizio mol-to attratto da quella nuova avventura e l’am-biente era molto accogliente, con una parteci-pazione entusiasta a tutte le iniziative. E poinaturalmente ero guidato da don Angelo An-gioni, che mi faceva capire e apprezzare le dif-ferenze, gli aspetti che a me parevano strani:come i cani tranquillamente in chiesa e i mor-taretti fatti scoppiare per devozione. Parroc-chia e Seminario sono stati i miei capisaldi intutti quegli anni”.Dopo 15 anni è stato trasferito alla peri-feria di Rio Preto per dedicarsi a unanuova Chiesa. Anni difficili, caratteriz-zati dalla malattia di don Angelo, che sene è andato nel 2008.“Sì, io ho avuto dal Vescovo l’incarico di pen-sare alla nuova chiesa in periferia, a cinquan-ta chilometri da San Giovanni Battista in Jo-sè Bonifacio. Purtroppo la malattia di donAngelo lo ha portato a un lungo periodo di co-ma, dal 1999, sempre seguito con lodevole de-dizione dalle suore. Don Angelo non si era li-mitato a fondare il Seminario a Rio Preto, maaveva anche pensato a chi pregasse per lemissioni, a chi lavorasse per la casa parroc-chiale, a chi si dedicasse all’apostolato parroc-chiale e ad un “esercito” di laici consacrati perappoggiare i missionari. Cinque grandi fami-

glie che sono diventate oggi cinque congrega-zioni differenti che insieme danno vita all’Isti-tuto Missionario Cuore Immacolato di Maria.La sua è stata veramente una grande opera”.Lei in febbraio ha compiuto settantacin-que anni. Ufficialmente è “pensionato”,ma dal Vescovo, Paulo Mendes Peixoto,ha ricevuto un incarico importante...“Mi ha chiesto di tornare a San GiovanniBattista per raccogliere le testimonianze sudon Angelo Angioni, che qui è sepolto. Ho giàregistrato diciotto casi di presunte grazie rice-vute e un sacco di gente ogni giorno viene apregare sulla sua tomba. Potrebbe aprirsi unacausa di canonizzazione per lui”.Ma lei che gli è stato accanto per tantianni pensa che don Angelo davvero siaun santo?“Sicuramente una persona differente dalle al-tre, speciale, con una spiritualità eccezionale.E poi non sono io a doverlo dire, è la gente chelo vuole santo. Ogni giorno lo chiedono tutti”.Don Cesarino, come può definire il Bra-sile oggi?“E’ un ambiente fertile di ideali, vocazioni, en-tusiasmi e ha tante possibilità meravigliose disviluppo. Però andare in Brasile è come entra-re in una macchina del tempo: a San Paoloc’è veramente di tutto, poi ti sposti di centochilometri e ti sembra di entrare nel secolopassato; ad altri cento ti immergi nel 1700 e acinquecento addirittura ti trovi in mezzo agliindios, in tutto un altro mondo. Questo è ilBrasile”.E che cosa si racconta dell’Italia?“Il mondo politico tende a descrivere l’Italiacome una sorta di regime, quasi fossimo anco-ra al tempo di Mussolini. Si dice infatti chetutti gli organi mediatici sono in mano aun’unica persona e quindi gli italiani vedonouna realtà distorta. Però a livello commercia-le si guarda all’Italia come a un esempio dacopiare: la moda e le auto sono considerate il“top” e sono arrivati in Brasile persino i pa-nettoni e le uova di Pasqua...Tanti giovani og-gi vivono in Brasile, ma scelgono l’Italia perlavorare”.E lei? Tornerebbe in Italia?“Sono contento di essere tornato dopo dodicianni, perchè l’Italia è comunque il luogo dovesono nato. Ma resto qua due mesi... Ci vorreb-bero altri quarantadue anni per riabituarmi...Mi accorgo che non conosco più la gente, so-prattutto non riconosco più la mentalità deimiei tempi. E il 20 maggio a Malpensa saliròvolentieri sull’aereo che mi riporterà a RioPreto...”.

Daniela Scherrer

I primi due da sinistra sono don Cesarino e mons. Antonio Angioni, l'ultimo a destra è don Angelo Angioni

A colloquio con i sacerdoti che celebrano il cinquantesimo di ordinazione: don Cesarino Pietra

“I miei quarantadue anni felici in Brasile”