I miei racconti

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Vicende per raccontare usi , costumi e tradizioni del paese in cui sono nato e cresciuto

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Gaetano Masaracchio

I miei racconti

Prefazione di Antonio Cammarana

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Prefazione

Il “Quaderno dei ricordi” di Gaetano Masaracchio

All’età di undici anni, assieme a tanti ragazzi e giovani di Acate, giocavo tutti i giorni a palla - un pallone vero di cuoio poteva per-metterselo soltanto la locale squadra di calcio - nel Piano San Vin-cenzo e capitava spesso che la sfera di gomma finisse in via San Giuseppe all’altezza di casa Masaracchio e che Gaetano - allora studente di Economia e Commercio presso l’Università di Catania - mettesse da parte i libri delle materie di studio e con la palla fra le mani venisse al Piano festosamente salutato dai coetanei suoi e miei, non mancando chi lo chiamava “il tedesco” (forse per il taglio dei capelli alla tedesca o per le idee di non mai nascoste simpatie verso la nazione germanica da parte della famiglia e di lui stesso ); e che, felice per la sincera accoglienza di noi ragazzi e dei suoi gio-vani coetanei, prendesse parte alla partita di calcio, che si disputava tra squadre contrapposte, non tralasciando di rispondere a tono a chi gli dava del tedesco.

Perché questo era Gaetano Masaracchio : un giovane pieno di vita (un “full of life” direbbe lo scrittore italo-americano John Fan-te), che si apriva ad ogni tipo di attività ludica all’aria aperta, aven-do trascorso quelli che furono i giorni peggiori della Seconda Guer-ra Mondiale, ora nascosto in paese, ora in campagna, con l’ordine –che spesso trasgrediva, buscandosi qualche scappellotto dal padre Gioacchino, tenente in un reggimento di mitraglieri-di non uscire fuori, dove le bombe aprivano squarci enormi nel terreno circostan-te e gli aerei ronzavano nell’aria sempre più minacciosi.

E questa pienezza di vita, fatta di entusiasmo, di ardore e di im-peto, Gaetano Masaracchio avrebbe portato in ogni attività da lui in seguito affrontata: forse quella professionale, o politica, o sindaca-le, o di Primo Cittadino nel quadriennio 1994-1998, o di Presidente del Consiglio Comunale dal 2003 al 2008 nella sua Acate-Antica Biscari.

E dopo che gli anni sono trascorsi, Gaetano Masaracchio ha sentito il bisogno di volgere lo sguardo al passato, in ciò sollecitato anche da tanti giovani amici che hanno letto e apprezzato quanto da

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lui è stato pubblicato nei siti web del paese (Acate web, I quattro canti e I Viscarani).

In una delle più celebri pagine de “ Alla ricerca del tempo per-duto”, Marcel Proust racconta che la madelein, il biscotto inzuppa-to nel tè, fa riaffiorare alla superficie della coscienza il tempo per-duto della fanciullezza. A Gaetano Masaracchio la lettura del libro del maggiore Giovanni Iacono - Gela, le operazioni dei reparti ita-liani nella battaglia del 10-11 luglio 1943- fa rivivere ricordi forti e indelebili, che lo hanno accompagnato per tutta la vita, e lo spinge a non tenerli per sé, ma trasmettere alla nostra comunità sentimenti ed emozioni della realtà vissuta sotto i bombardamenti.

E Gaetano Masaracchio comunica, attraverso le vicende che rac-conta, l’ansia viva di non far perdere origini, usi, costumi e tradi-zioni della comunità in cui è nato e cresciuto: sia nel mettere in ri-lievo che lungo l’antica strada da Kamarina a Caltagirone “ si con-sumavano svariati rapporti commerciali, ma era sempre il vino il prodotto principe delle trattative”, sia nel ricordare ai lettori che fu il suo amico Enzo Iurato a scoprire - nell’epigrafe Hiscor- tra la fine del 1970 e l’inizio del 1980 “la prova sicura della presenza dei Coloni Romani ad Acate”; o quando riferisce che tra il 1940 e 1950 “ la maschera tipica di carnevale era Piripidduzzu”, un contadino che indossava abiti larghi, lunghi e lacerati, scarpe grandi e rattop-pate;o illustra lo scherzo del cappello ai passanti ignari- ai Quattro Canti –organizzato dai giovani Vincenzo Albani, Ugo Lantino, Pie-tro Occhipinti, Giovanni Albani e Gaetano Albani; o precisa – e l’emozione conferisce pathos al suo racconto-che la corsa dei ca-valli, nel passato, “ non era una gara competitiva “, ma “ dimostra-tiva e di devozione”;che il cavallo non veniva riempito di sostanze nocive per vincere a tutti i costi;che i carrettieri e i massari s’ingra-ziavano il Santo Martire Vincenzo per un’annata ricca di frutti ge-nerosi, mettendo a disposizione i loro compagni di fatica quotidia-na. Gli stessi carrettieri e massari, a Settembre, rinnovavano la tra-dizione delle corse in onore della Santa Bambina per il buon rac-colto.

Gaetano Masaracchio insegue ricordi di tutta una vita e raggiun-ge il massimo grado di tensione partecipativa, diventando tutt’uno con la materia che racconta, parlando della “ Luminaria di Santa Lucia ” ( nei diversi momenti della raccolta delle frasche, mobilita-zione che non escludeva la competizione e la concorrenza spietata e

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violenta;della difesa del materiale da ardere raccolto, anche con il lancio di pietre;della luminaria vera e propria;dell’impedimento di prendere la brace a quelle donne, che avevano osteggiato l’accumu-lo delle frasche); o ricostruendo con orgoglio le origini e la storia della sua famiglia , con il soffermarsi prima su Giorgio Castriota Skanderberge sul di lui cognato Gjin Musaqi (Gino Musacchio)-da cui è derivato il cognome Masaracchio – e in seguito su Tommaso Masaracchio, patriota armato contro i Borboni nella rivoluzione del 1848, compagno di Francesco Crispi, di Rosolino Pilo, di Ruggero settimo, nonché di Nino Bixio che ospitò nel palazzo di Niscemi nel 1860 e dal quale ebbe in dono, in segno di gratitudine e amici-zia, il suo fioretto.

Gaetano Masaracchio non è uno storico di professione, né uno scrittore dalla penna facile, ma nel suo lavoro si trovano tanti altri argomenti raccontati con mente fervida e con cuore capace di tra-scinare il lettore, perché la materia che egli ci mette davanti agli oc-chi è incandescente di memorie e di ricordi sia personali che paren-tali, del padre e della madre, e di tutti gli zii che hanno svolto un ruolo importante nella storia dell’Antica Biscari ( un esempio l’av-vocato Vincenzo Bellomo, podestà di Biscari dal 1924 al 1938) : materia incandescente, spesso non disciplinata in uno stile di classi-ca compostezza, che proprio per la sua irruenza conquista e coin-volge il lettore.

Nella scrittura Gaetano Masaracchio porta anche quel linguag-gio colloquiale confidenziale e familiare, che gli ha permesso sem-pre di stabilire un rapporto immediato con il prossimo : i compagni di gioco nell’infanzia e nella fanciullezza, i liceali e gli universitari nell’adolescenza e nella giovinezza, le persone di ogni età e condi-zione sociale nella maturità, stagione della vita che, fino all’età di settant’anni, lo ha visto impegnato in politica, prima all’opposizio-ne e poi nella maggioranza;sempre rispettato, comunque, da avver-sari e sostenitori sia per capacità e competenza, sia per sincera cari-ca umana e sociale delle idee mai tradite.

Prof. Antonio Cammarana Acate - giugno 2009

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Dedico questo libro a Giuliana e Mattia, dolci mieinipotini, perché possono avere

sempre vicino il nonno e conoscere le storie, i fatti e i personaggi

del Paese in cui crescono. Per loro ho incluso gli ultimi tre racconti

che riguardano la mia Famiglia e che penso possano incuriosire il lettore

per i fatti e i personaggi descritti.

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NOTA DELL’AUTORE

Quando ho iniziato a scrivere non pensavo ad una raccolta dei miei racconti in unico volume. Poi tanti amici, dopo averne letto alcuni nei tre siti web cittadini, mi hanno dato lo stimolo di continuare, spronandomi a pubblicarli. Tutto questo per documentare i fatti e le storie raccontati. Sopratutto i giovani hanno chiesto un libro di rac-colta per un riscontro cognitivo. Con loro il dialogo è stato decisivo perché io ne decidessi la pubblicazione. La correttezza del confron-to e dei commenti ai racconti di politica e della struttura sociale del passato Acatese, mi ha convinto del loro buon grado di maturità. Molti, con interesse, si sono immersi nella lettura dei fatti e delle persone di Acate. Sono rimasto colpito dai commenti di tanti giova-ni sul primo racconto che descrive la mia infanzia nel periodo della guerra. Il mio messaggio sulla crudeltà della guerra è arrivato nei cuori di tanti giovani i quali hanno capito non solo il disagio di un bambino, ma sopratutto la sua felicità per la scoperta degli spazi e della libertà nei giochi, assieme ai coetanei adolescenti cresciuti nel dopoguerra.

Debbo ringraziare i tre siti internet : “acateweb. it”, “i4canti. it” e “Viscarani. it”per avere dato ospitalità ai miei racconti, ma so-prattutto per avermi trasmesso gli stimoli utili ai miei ricordi rac-contati. Ringrazio i giovani che hanno letto e commentato e in par-ticolare Marco Failla, Biagio Di Giulio, Salvo Iannizzotto, Salvo Gallo ed Emanuele Ferrera che nei loro siti hanno curato la pub-blicazione in chiave mediatica, arricchendola con foto d’epoca molto importanti per la completezza del racconto e mio fratello Nino per la sua paziente cura avuta nell’impaginazione e sistema-zione letteraria, riuscendo a trasformare una semplice raccolta in un volume di facile lettura e consultazione.

Ringrazio il prof. Antonio Cammarana che, dopo aver letto il mio lavoro, ha voluto donarmi la sua presentazione arricchendo il libro con osservazioni personali nel citare fatti ed episodi della mia giovinezza a lui noti per la lunga e fraterna amicizia che ci lega. Egli è riuscito a dare una foto reale e lineare dell’amico Tano Ma-

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saracchio predisponendo il lettore ad una maggiore comprensione del significato vero di ogni storia da me descritta.

Con questo volume presento i racconti di vita vissuta negli anni della mia infanzia e dell’adolescenza come unico racconto di una comunità perché tutti oggi ne possono prendere conoscenza. Non è soltanto il racconto della vita di una persona o di una famiglia, ma è soprattutto racconto di fatti, eventi che appartengono al passato, vissuti in una comunità cittadina. Sono storie di un paese che vanno narrate a tutti e particolarmente alle nuove generazioni, per non di-menticare.

La Storia locale, è fatta non tanto dai suoi monumenti, dai docu-menti trovati negli archivi, ma anche da chi vi abita, da coloro che vi sono nati e vi hanno vissuto in tempi diversi, insomma dai suoi figli, ne sono convinto.

Essa va letta nei suoi valori spirituali, nella vita vissuta dalle persone, perché noi siamo “LA STORIA”. Così è quella di una Fa-miglia, della Città in cui viviamo, della gente, che diventa Storia più in generale!. Raccontarla non è altro che esporre fatti e avveni-menti anche personali e fare capire un passato che è anche presente, se non si vogliono perdere le tracce delle proprie origini e della ter-ra in cui si vive.

La lettura della Storia porta anche a capire notizie, a conoscere atti, fatti, persone e personaggi che nel loro insieme fanno la storia di un paese… divenendone l’anima pulsante nei cuori di chi l’ha vissuta e di chi dopo la vive attraverso il racconto.

A questa concezione ci si arriva attraverso il convincimento di ognuno di noi del fatto che a fare la Storia non sono gli uomini che ragionano e vivono solo per lavorare, mangiare e riprodursi; non sono questi a fare la Storia. La fanno coloro che leggono i fatti e vi-vono con la mente e lo spirito, vanno alla ricerca di un qualcosa che sia diverso dal puro materialismo del “mangiare e riprodursi”, vanno a scrivere pagine indelebili con la genialità dell’essere uma-no proiettato verso nuove scoperte, nuovi pensieri, nuovi segni del-l’arte, della poesia, della musica e di quanto altro è del progresso umano e della terra in cui si vive.

Certamente il materialista non sogna mai di realizzare una storia …e non lo sa , perché gli manca il Genio, punto di partenza per co-struire. Chi crede nello spirito, anche senza accorgersene, nella sua semplicità e nel suo piccolo mondo scrive pagine di storia che mai

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nessuno potrà cancellare; solo l’incuria, l’ ignoranza la fanno spro-fondare nelle tenebre oscure di una storia dimenticata, perché mai scritta, mai raccontata. Partendo da questi miei convincimenti, vado a narrare i miei ricordi con la speranza che siano utili a tutti, ma so-prattutto alle nuove generazioni , alla loro crescita culturale e mora-le, di uomini veri perché sappiano quanto è utile conoscere racconti della propria terra, le proprie origini, le radici della propria famiglia e della terra che li ha visti nascere, crescere e maturare.

Dalle conclusioni che ognuno potrà trarre deve esserci sempre l’amore per la vita, perché solo amandola si ha rispetto dei propri simili e della terra in cui si vive.

Gaetano Masaracchio

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Sommario

Prefazione VNota dell’autore XI

Luglio 1943: Lo Sbarco degli americani 17Luglio 1943 : La battaglia tra due aerei nei cieli di Acate 23La luminaria di Santa Lucia 28Natale una tradizione che si rinnova ogni anno 32Notte di San Silvestro e Capodanno 35Radio Leader : Che anni stupendi! 39La banda musicale di Acate 46La struttura sociale di Acate 50Carrettieri, vasai, fabbro ferraio, mulini 59Carrozze, carrozzini, cavalli e la Cassa Rurale 66La vicenda dei 23 assegnatari 73Il calcio ad Acate dal 1948 a oggi 77Acate dal 1924 al 2008 - politica, podestà, sindaci e opere pubbliche 87Acate dal 1945 al 1970 - politica, sindaci e opere pubbliche 98La Settimana Santa 106La via del vino 128Il carnevale ieri e oggi 132La vendemmia nel dopo guerra 141Acate dal 1970 al 2008 - politica, sindaci e opere pubbliche 146I miei giochi da ragazzino 164La festa di San Vincenzo Martire 170C’era una volta la corsa dei cavalli di San Vincenzo 174U varagnu i sciacca 179C’era una volta u canale… 183Da Musacchio a Masaracchio dei Castriota 187Tommaso Masaracchio - Un eroe siciliano 200Nino Bixio a Niscemi e Vittoria passando da Acate 208

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Luglio 1943 - Lo Sbarco degli Americani

Durante il mese di luglio, nella mia casa a mare, ho letto”GELA” un interessante libro di Giovanni Iacono sullo sbarco degli america-ni a Gela e nel territorio circostante. Dopo averlo letto, subito nella mia mente trovai i ricordi da raccontarli.

Ricordi forti e indelebili dentro di me, ricordi che mi hanno ac-compagnato per tutta la vita. Oggi sento la voglia di non tenerli solo per me e riviverli per trasmettere a chi non era nato i sentimen-ti e le emozioni ancora freschi e duri, chiari in tutta la loro cruda realtà vissuta sotto i bombardamenti.

Ero un bambino di 5 anni, mio padre combatteva al fronte, ar-ruolato nel reggimento dei mitraglieri con il grado di tenente. Mia madre, come tutte le donne i cui propri uomini erano in guerra, ac-cudiva ai propri figli (Nino , Tano e Maria Luisa) nella casa di Piazza Libertà. Ogni tanto arrivavano notizie di papà per la felicità di mamma e dei parenti. Già nell’ inverno del 1943 da gennaio a marzo, tutte le notti si sentiva il ronzio degli aerei degli alleati an-glo americani e il cielo s’illuminava di quegli strani apparecchi, molto strani per me!. . . . Accanto alla nostra casa abitavano i pa-renti Leone, lo zio maestro Giuseppe Leone con zia Melina, Aure-lio, Edmondo, Cecilia ed Erminia. Più in là, la pina Giovannina con Ignazia, persona di servizio tuttofare. A casa mia e così anche da

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Luglio 1943 – Lo sbarco degli americani

zia o pina (madrina) Giovannina Bellomo mancava la presenza del capo famiglia, di un uomo.

Accadde una notte che il numero degli aerei americani era tal-mente elevato che mamma si spaventò. Di solito metteva noi bam-bini dentro una vasca da bagno con il materasso nel sottoscala di casa, ma quella notte ebbe tanta paura. Era una notte fredda e stel-lata, il mio ricordo è ancora vivo dentro di me.

Dal muro confinante si comunicava con la casa di zia Cecilia …dello zio Maestro, e con i pugni si comunicava con i colpi a muro. Erano segnali che tranquillizzavano e confortavano soprattutto la mia mamma, sola con tre bambini.

Quella notte il ritmo dei pugni tra muro e muro fu così intenso che riuscì a trasmettere il messaggio che ci chiamava. Zia Cecilia e zia Erminia riuscirono a comunicare: “Venite! Venite! Presto veni-te qui da noi !”. E fu così, in un lampo mamma prese in braccio la più piccola e tutti via da zio maestro e zia Melina Leone.

Fu una notte di paure e di spavento, ma nessuna bomba scoppiò, era il preludio di quanto sarebbe successo poi in estate.

Verso la fine di giugno, mio padre venne a casa per una breve li-

cenza premio, ma doveva rientrare dopo qualche giorno. Prese ac-cordi con il podestà Mangano il quale era in partenza per Modica. L’appuntamento era stato fissato per le ore 10 del mattino seguente e a casa tutto era pronto per la partenza di papà.

Ma quel giorno, di buon mattino, già erano in atto le manovre dello sbarco. Da Macconi erano iniziati i bombardamenti con lo scoppio di cannonate, ancora con scarsa intensità.

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I miei racconti

Era un caldo giorno d’estate e all’ora concordata papà andò, ma non trovò nessuno ad attenderlo, tornò subito a casa. Il Podestà a seguito dei bombardamenti, ancora in lontananza, anticipò la par-tenza. Alle nove del mattino era partito in macchina con altre 5 per-sone, compreso il figlio Valerio e il fratello Ernesto. Si diresse ver-so Vittoria e qui la “strage di Vittoria “ colpì a morte il Podestà e i parenti ed altre persone. Morirono sotto i colpi dei fucili americani, dopo alcuni giorni i corpi furono trovati in aperta campagna, ma non quello di Ernesto, il tenente di cui non si seppe più nulla.

Immaginate la felicità di mamma e dei parenti, soprattutto quando si sparse la voce del vile assassinio del podestà Mangano. Sarei rimasto orfano di guerra all’età di 5 anni. A casa e dagli zii, quando i bombardamenti verso Acate divennero più continui fu de-cisa la fuga in campagna per una maggiore sicurezza. Tuttavia Zia Giovannina e Zia Marietta vollero che si pranzasse a casa loro, per poi andare nella campagna di famiglia, dove già ci attendevano i mezzadri. Un breve pasto “giusto il tempo per tenerci su” diceva zia Giovannina.

Durante il pranzo in paese piombò lo scoppio di una bomba, e poi gli spari dei cannoni da Marina di Acate, rimbombarono nelle orecchie e sui vetri della casa.

Ricordo che entrò spaventato un soldato americano, sperduto nel marasma delle sparatorie. Alla vista del militare in divisa alzò le mani segno di resa per la vita, ma mio padre e zio Giovanni lo pre-sero per le spalle dicendo “ scimunito sei fortunato…. entra e non avere paura , stai zitto, vai… qui nel bagno dentro la vasca”.

Passarono i militari Tedeschi e mio papà, avvalendosi dei suoi gradi ordinò di non entrare. Dopo lo fecero scappare furtivamente “che dio ti aiuti” dissero senza essere capiti nelle parole ma, nel cuore SI! e tanto !.

Il racconto sarebbe lungo se scrivessi la notte in cui vidi il cielo coperto di paracadutisti, o la notte in cui tra uno scappellotto e un rimprovero, volli vedere la battaglia nel cielo tra un caccia america-no e un caccia tedesco, e la caduta a picco di un aereo, proprio nel mezzo della mia campagna. Quella stessa campagna divenne poi meta preziosa di tanti ragazzi alla ricerca di cuscinetti e aggeggi meccanici smontati dall’aereo battuto. Mi limito a concludere rac-contando il rientro a casa nel luglio 1943.

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Luglio 1943 – Lo sbarco degli americani

Ci rifugiammo in campagna dove ci siamo fermati per alcune settimane. Qui erano tante le famiglie rifugiate : parenti, mezzadri, e la famiglia Di Modica. Poi quando si seppe che ormai gli ameri-cani erano entrati in paese si tornò ad Acate perché le campagne non offrivano sicurezza più di tanto.

mia madre giovane mio padre giovane

Ernesto Mangano Giuseppe Mangano con il figlio Valerio e la Moglie

Tutto il paese decise di ripararsi presso il castello, allora chiama-to “U palazzu do Principi”. Le due ali del maniero, l’attuale sala consiliare e l’altra di fronte, ospitavano la maggior parte degli aca-tesi che con materassi e cuscini vi si erano stabiliti in attesa della fine della guerra.

Gente ammassata, mosche che volavano tra le ferite delle perso-ne colpite dalle bombe, bambini piangenti per la fame e per la pau-

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ra, ma anche e soprattutto per il sonno perduto, insomma disagi che non si possono capire se non sono stati vissuti.

Una mattina dopo il nove luglio fu deciso il ritorno a casa, per-ché la guerra era finita. Immaginate la festa, il rumore festaiolo, la confusione e il parapiglia nel raccogliere cuscini e materassi! sem-brava una scena del noto film “Via col vento”.

Mio fratello ebbe il compito di tenere per mano me e portare al-cuni cuscini, la nostra casa era di lì a pochi passi e così quella degli zii Leone e Bellomo. Quando uscimmo dal portone del castello, il mio sguardo andò subito verso il campanile della Chiesa Madre e sull’orologio della piazza vidi soldati dal viso nero, mai visti prima. Fu tanta la gioia e la curiosità, che chiedevo a mio fratello se fosse-ro venuti da noi. Volevo toccarli e vederli da vicino. Poi lungo il tratto di strada, soldati in camionetta si fermavano e lanciavano ca-ramelle, cioccolato e gomma da masticare(mai sentita, mai vista…una novità assoluta, un mistero). A casa la sorpresa, una parte era diroccata per il crollo a seguito di una cannonata, e il dolore dei miei genitori, ma pronti a rimboccarsi le maniche e ricominciare come prima. Questi ricordi fanno parte della mia vita.

Acate luglio 1943- Corso indipendenza dopo i bombardamenti , il carro armato tedesco “ Trigre”.

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Luglio 1943 – Lo sbarco degli americani

Luglio 1943 Sbarco di truppe anglo americane in Sicilia

Luglio 1943- lo sbarco delle truppe anglo americani

Valerio Mangano

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Luglio 1943 Battaglia tra due aerei nei cieli di Acate

Aereo caccia tedesco delle SS

Mi è stato chiesto di raccontare i dettagli sullo sbarco degli ameri-cani, in particolare la notte in cui vidi i paracadutisti in cielo e la battaglia tra due aerei nemici.

Il racconto risale alla mia età di 5 anni, quindi non sono in grado di dare tutti i dettagli, posso solo parlare di un ricordo vivo e fug-gente, ma chiaro nella mente.

Oggi dopo 65 anni vedo tutto con occhi diversi da allora e non so se dopo pochi anni sarei stato capace di raccontare questi fatti. Confesso che in me c’è stato un ritorno dello sbarco e dei bombar-damenti accaduti nel lontano luglio 1943, che mi suggerisce di rac-contarli ai giovani di oggi.

Fatta questa premessa, andiamo al racconto che spero sia gradito e soprattutto considerato utile per le conoscenze, che non si debbo-no fermare ai testi scolastici.

Quando scappammo verso la campagna, a casa fu lasciata ogni cosa. Mia mamma aveva preparato dei biscotti caserecci, ciambelle e tante altre vivande. Mio padre, un mattino andò a casa e prese bi-scotti, farina e ciambelle. Poi vi si recò una seconda volta per altre

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Luglio 1943 – Battaglia tra due aerei nei cieli di Acate

vivande rimaste, ma durante il percorso fu mitragliato, non capì da quale parte venissero i proiettili. Attraversava la trazzera vicino al vecchio canale, dove era in corso una violenta sparatoria. In quel posto vi morì un soldato italiano. Era il tenete Dauccio, fidanzato con una ragazza acatese , giacchè da tempo era in zona.

Poiché di tanto in tanto appariva qualche aereo, mio padre capì che in lontananza c’era movimento e che si sarebbero verificati scontri nelle vicinanze, cosicché ordinò a tutti di non uscire dalla grotta, nostro riparo sicuro.

Dopo, in una delle notti successive, si sentì il ronzio degli aerei, i “grandi”si affacciarono e con il binocolo guardavano verso il mare. Lampi, luci e un cielo stellato con una luna piena che imbian-cava tutta la campagna. Questo scenario io non vidi mai, fu mio pa-dre a raccontare tutto a chi era nascosto al buio. Fu rafforzato l’or-dine di non uscire e tutti dovevano tenere a bada i bambini, mentre il ronzio degli aerei si faceva sempre forte e più vicino.

Acate 18/12/1942mia mamma con i figli Tano e Maria Luisa 18/12/1942, Tano e Maria luisa

Per tutti i bambini era come un gioco, alcuni riuscimmo, per un momento, ad uscire fuori dalla bocca della grotta e lo sguardo si posò verso il cielo : uno spettacolo che per me era una meravi-

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glia, il cielo imbiancato da centinaia di paracaduti che scendeva-no verso terra, che dico centinaia!. . Migliaia di qua e di là !, e se non erro qualcuno cadde a poche centinaia di metri dalla grotta. Era notte fonda e lo spavento fu dei “grandi”. Per i bambini non fu così!.

La mattina seguente nessun segnale di quanto era successo, tutto nella normalità , non si udivano spari. Poi dopo qualche altro gior-no, sempre nella nottata accadde di vedere quello che tutti i bambi-ni di questo mondo vorrebbero vedere dal vivo, ma per gioco. Era una nuova notte stellata e al chiaro di luna, probabilmente in quella settimana di luglio doveva esserci la luna piena, penso sicuramente!

Due aerei, uno americano e l’altro tedesco, volavano nel cielo a bassa quota. Lampeggiavano i colpi delle mitragliatrici di bordo, l’uno contro l’altro. Uscii di colpo, nonostante uno scappellotto, e vidi cadere uno dei due aerei. Questo è un ricordo meno chiaro dei precedenti perché fu un attimo la mia uscita.

Poi, chi aveva visto tutto parlò di aerei in picchiata, spari a ripe-tizione, luci abbaglianti e fuoco finale con il tonfo dell’aereo battu-to e caduto lungo gli argini del fiume, a circa 300 metri dalla grotta.

La mattina seguente fu portato uno dei piloti feriti a torso nudo, insanguinato lungo tutto il corpo e steso su una barella. Arrivò una camionetta con dei soldati e un Ufficiale Medico, il ferito fu visita-to. Probabilmente erano soldati americani, dato che ormai erano en-trati nel territorio. Deposero la barella su una panca di pietra davan-ti alla casa rurale, gli fecero fumare una sigaretta e lo portarono via, chissà la fine di quel povero soldato. Tutto questo lo ricordo benis-simo, persino le loro discussioni che nessuno capiva e anche il fatto che tutti fummo tranquillizzati.

In campagna le donne facevano il pane, i mezzadri avevano alle-stito un forno a pietra e debbo dire che la fame non fu sofferta da nessuno, almeno dai bambini.

Dopo, il rientro ad Acate e il bivacco per altri giorni presso il ca-stello storia che ormai conoscete dal racconto precedente.

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Luglio 1943 – Battaglia tra due aerei nei cieli di Acate

Lapide in memoria dei caduti alleati anglo americani. Posta ad Acate sulla statale 115 gela Vittoria

I due racconti sullo sbarco degli americani sono stati letti da di-

versi giovani che hanno voluto rilasciare dei brevi commenti sotto-scrivendoli con un Nick o con nome e cognome.

Riporto uno stralcio di alcuni commenti che possono interessare il lettore.

1. “La ringrazio di cuore per avere raccontato questa sua dura esperien-za, è una importante testimonianza. Provo ad immaginare la guerra vista con gli occhi di un bambino…uno spettacolo spaventoso”.

2. “Era una storia raccontata da mio padre, peraltro protagonista con tutta la famiglia!! Grazie prof. Masaracchio anche se sono tempi andati non bi-sogna mai cancellare il ricordo”.

3. “L’ho letto d’un fiato. Semplicemente travolgente carico di tensione e di sentimento. Mi complimento per la dinamica nel racconto. ”

4. “Ho letto con molto interesse , ho sentito tante volte mio nonno, mio papà raccontarmi di quel periodo tremendo. Dalla fame alla paura costante che accompagnava la vostra vita in quel periodo. Leggendo le sue parole, ho pensa-to alla mia figlia e ho ringraziato DIO ! Grazie Prof. Masaracchio

5. “Le porgo i miei complimenti per avere dato una bellezza letteraria ad una spietata realtà vissuta in prima persona ancora così piccolo e la ringrazio per avere voluto condividere un’esperienza così toccante con chi come me ha vissuto un ‘infanzia fortunata”.

6. Matilde (la mia figliola) ha scritto “E fanno parte della mia vita, rac-contate centinaia di volte, trasmesse come esempi di vita. Rileggendo fra queste righe mi sono commossa perché andando indietro nel tempo ho ripercorso la mia adolescenza quando a Scuola studiavo la Storia e mio padre me la spiegava raccontandola con tanto fervore da coinvolgermi totalmente fino a farmi rivive-re quasi di persona quegli episodi. La vicenda Mangano l’avrò ascoltata non so quante volte anche e soprattutto dalla voce di colui che ne fu il protagonista,

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I miei racconti

mio Nonno, e ogni volta che la sentivo era sempre un’emozione nuova…partico-lare, perché SI, colorito era il racconto, ma la vicenda, se vi fermate un attimo a riflettere, ha dell’incredibile…Dio ha voluto salvare mio nonno…mi vengono i brividi solo a pensarci. Ancora oggi, ogni tanto chiedo a mio padre di raccon-tarmi le vicende di quel brutto periodo e nonostante io le abbia sentite migliaia di volte, ogni volta è come se fosse la prima, sarà il modo pittoresco di esporle, sarà che io mi lascio immedesimare più di tanto…o semplicemente sarà che quel periodo della storia è stato talmente tenebroso che ci ha lasciato un segno pro-fondo nonostante noi non l’abbiamo vissuto.

Mio padre militare

Mio fratello Nino (1945)

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La luminaria di Santa Lucia

Acate Luminaria di santa Lucia

Ogni anno dicembre è il mese atteso da tutti e in un certo senso il più bello, almeno per la maggior parte degli acatesi. Si entra nel cli-ma delle feste natalizie, e nonostante sia mese freddo e invernale lo sentiamo caldo e pieno di luce.

E’ vero che non tutti riescono a vederlo bello e luminoso, ma che per i poveri e per gli ammalati lo è, giacchè si accende la fiam-mella della speranza, e va via un anno!. . .

Tutti siamo presi dalla frenesia delle feste…è NATALE!. . . e dicembre porta i colori delle tradizioni e degli eventi festaioli.

Sento di volere raccontare, specie ai giovani, il mese di dicem-bre da me vissuto da adolescente, negli anni dell’immediato dopo-guerra (1945/1952).

Tradizioni, giochi, riti religiosi, ricette e pranzi, sono argomenti di un racconto, che mi porta indietro nel tempo. Spero che molti riescano a capire ed apprezzare il passato per quello che fu per noi figli della guerra.

Il mio racconto degli eventi di un passato che appartiene agli an-ziani, ma che è anche locale patrimonio storico, vuole fare conosce-re alle nuove generazioni qualcosa in più di Acate e della sua gente.

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Page 28: I miei racconti

I miei racconti

Qui parlo della luminaria di Santa Lucia, una tradizione antica che ha accompagnato tante generazioni della nostra cittadina e sempre con lo stesso spirito.

Il 13 dicembre è il giorno di Santa Lucia, la Santa Martire di Si-racusa. Ad Acate, la comunità cittadina ha sempre onorato la Santa con grandi falò, le luminarie, in Chiesa con le tradizionali “cuddu-redde “. La Luminaria, nome antico dialettale del falò, è il fuoco acceso ad un cumulo di frasche dato alle fiamme in ogni quartiere del paese.

Una volta eravamo i ragazzi del quartiere ad occuparci di tutto: raccolta delle frasche e scelta del sito, ora di accensione e controlli accurati e “militareschi” delle frasche raccolte. Nei giorni in cui nelle campagne si concludeva la raccolte delle olive, in pieno au-tunno, quando era possibile trovare le frasche della potatura degli alberi, nei quartieri si entrava in una vera frenesia. Tutti i ragazzi del Carmine; di San Vincenzo; i Cummintari e i Cursari, entravamo in una vera mobilitazione che ci vedeva impegnati per più di un mese.

I quartieri più forti e attrezzati erano quello di San Vincenzo e del Carmine, gli altri due spesso si alleavano con i più numerosi e forti (I Cummintari con i San Vincenzari, e i Cursari con i Carmeli-tani).

“Tutti i pomeriggi andavamo nelle campagne per la raccolta del-le frasche (i rami d’ulivo, e dei vigneti), legna di ogni genere e poi a sera le si accumulavano in un posto segreto.

Ci si accaniva a raccogliere sempre più frasche e legna, perché tutti eravamo in competizione, una concorrenza spietata e a volte violenta. L’incoscienza dei ragazzi scatenava la voglia di vivere, di libero gioco all’aria aperta.

Spesse volte ci si scontrava tra Carmelitani e San Vincenzari per rubare qualche fascio di frasche all’avversario o per difenderlo. Lo scontro era brutalmente pericoloso perché si guerreggiava a sassa-te…. le cosiddette “Pitruliate”

Io ero sempre in mezzo alla battaglia pur non riuscendo a sca-gliare i sassi, ma il mio compito si limitava a cercare e a scegliere i sassi per consegnarli ai più bravi e cioè ai ragazzi più grandi di età. Tanti miei coetanei e tanti giovanotti avevano dei soprannomi più o meno coloriti.

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La luminaria di Santa Lucia

Ci trovavamo tutti uniti dallo stesso obiettivo “la luminaria di Santa Lu-cia”, ma divisi dall’appar-tenenza ai quartieri. Pi-truliate a non finire, teste insanguinate e frasche ti-rate e sparse di qua e di là, potrebbero sembrare fatti da terzo mondo, ma que-

sto era l’unico modo per sfrenare tutta la forza di noi ragazzi, per anni sotto il terrore della guerra, chiusi e ingabbiati nelle famiglie con ogni tipo di privazione , senza giocattoli e senza spazi attrezzati per giocare e per lo svago.

Erano i tempi in cui si correva dietro una palla di stoffa , di pez-za! ”O TUNNU DI S. VICIENZU, oppure O CARMINU.

Man mano che si avvicinava il giorno 13 dicembre, si cercavano notizie del nemico circa la grandezza del cumulo che avrebbe alle-stito, e quando si aveva la certezza di essere in vantaggio ci si gon-golava, ma nello stesso tempo si stringeva ancor più il controllo.

Il 13 dicembre, giorno di Santa Lucia, nel silenzio dei quartieri era considerato giorno di tregua, e tutti con tranquillità potevano preparare la “LUMINARIA”.

Sin dalla mattina, con carretti, somari ed anche a mano si tra-sportavano le frasche per sistemarle nel luogo scelto. Io uno del quartiere di San Vincenzo e ricordo che la piazza , detto “u chianu”, per la sua collocazione era un punto strategico di assoluto valore. I carmelitani deponevano le frasche sul piazzale del calva-rio, in contrada fontanelle, nel passato era posto suggestivo per il panorama circostante.

La sera al suono delle campane che annunciavano l’Ave Maria della sera, iniziavano le funzioni in Chiesa, che si concludevano con la benedizione delle “CUDDUREDDI di SANTA LUCIA”.

Quando arrivava la notizia che i riti religiosi si erano conclusi, si dava inizio all’accensione delle frasche, e quindi la luminaria. Le operazioni erano un vero rito che si ripeteva annualmente con le stesse emozioni.

Man mano che le fiamme andavano affievolendosi e quando si formava per terra una grande brace, i ragazzi eravamo già pronti

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Cumulo di frasche pronto per la luminaria

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I miei racconti

per il gran finale, imprevisto per i tanti visitatori, ma perfettamente preparato dai più grandi. Infatti i più grandi di età davano istruzioni e comandi ai più piccoli come usare le pietre. Succedeva che le donne del vicinato, alla vista di quella bellissima e utile brace, por-tavano lo scaldino, la conca o anche bacili vecchi per prendere il fuoco, molto utile per riscaldare case, mani e letti. A questo punto incomincia un vero tiro al bersaglio. Con mano furtiva si scagliava-no contro gli oggetti da riscaldamento pietre di piccola e media di-mensione, per lo sciocco piacere di non fare prendere il fuoco o di vedere rovinati gli oggetti. Un gioco stupido e pericoloso che si ri-peteva ogni anno e in tutti i quartieri.

Ci si accaniva specie quando a prendere il fuoco era una donna che aveva osteggiato l’accumulo delle frasche. Questi sono episodi che a margine della luminaria hanno poco conto, ma che come tra-dizione e soprattutto come impegno dei ragazzi di quegli anni, se vogliamo come gioco in se stesso, per tanti hanno avuto effetto di divertimento perché la Luminaria è stata sempre un momento di gioia e di evasione dal chiuso delle case e dai vincoli scolastici con il fardello dei compiti

Non c’è dubbio che oggi mi rendo conto che quei lanci di pietre erano roba da non pensarci, e capisco il perché mio padre spesso mi chiudeva a casa, preoccupato di un gioco che ora farebbe rabbrivi-dire al solo pensarci, ma questi erano i giorni della nostra adole-scenza che dopo anni di guerra scopriva una nuova vita. Non voglio giustificare quei momenti di assoluta incoscienza, ma resta forte il ricordo di una tradizione che continua e che si allontana sempre più dai cuori delle nuove generazioni distratte dall’abbondanza del con-sumismo.

Penso che , rivedendo e correggendo, l’antica tradizione della luminaria potrebbe essere riscoperta come parte della cultura popo-lare della nostra città.

In alcune zone (giacchè non esistono i quartieri come erano un tempo) ci sono ragazzini che la LUMINARIA la fanno ancora.

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NATALEUna tradizione che si rinnova ogni annoIl mio Natale degli anni dell’adolescenza

Dopo il 13 dicembre iniziava un periodo intenso per l’approssimar-si del Natale. Era un susseguirsi di preparativi, scelte, attività, e ogni cosa che fosse collegata al Natale. Con l’avvio della Novena di Nata-le, si entrava in pieno clima natali-zio.

Tutte le sere, subito dopo le funzioni in Chiesa e per nove gior-ni di seguito, si ascoltava lo scam-panio a festa dalle chiese del pae-se. Nelle strade, fuori sul marcia-piede davanti le case si accendeva un piccolo falò. Così ogni sera la luminaria “a luminaria do bamminieddu” illuminava i quartieri fa-cendo respirare “aria di festa”. Per le vie principali passava la ban-da cittadina in forma ridotta, o qualche gruppo di volontari che suo-navano le ninne nanna del Bambin Gesù, le novene di Natale. C’era pure chi, da bravo musicante, improvvisava una sua ninna nanna inedita. Tutto questo la sera e per 9 giorni, dal 16 al 24 dicembre. Noi ragazzini non mancavamo e sullo stesso percorso seguivamo i “musicanti”, allegri e felici. Senza saperlo eravamo testimoni di uno spettacolo meraviglioso e festoso. Ci fermavamo a guardare le luminarie , con occhi brillanti di gioia, ormai le feste erano alle por-te.

Eravamo in gran parte ragazzi dell’Azione Cattolica e nei giorni prima della notte di Natale, andavamo nelle campagne vicine per raccogliere il muschio, l’argilla e le piantine spinose degli asparagi , ” lippu, crita, e rizzogni”, per il Presepe.

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Acate natale 2008 : Zampognari per le vie

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I miei racconti

Anche in privato nelle famiglie era consuetudine allestire il Pre-sepe con muschio, argilla e piantine di asparagi.

L’argilla serviva per costruire recinti, fontane, e casolari del pre-sepe. Ricordo che i miei padrini mi regalarono un bellissimo prese-pe di ceramica comprato a Catania, la capanna con mucca e asino, la Natività, i Re Magi, un Pastore con l’agnello sulle spalle, e un personaggio che suonava la cornamusa. Era il dono di natale al fi-glioccio.

Nei pomeriggi assolati di dicembre e nelle mattinate di qualche giorno di vacanza, si andava fuori per il muschio e tutto il resto. Era una festa nella festa, l’animo e i polmoni si riempivano di una gioia immensa, la stessa gioia di vivere e la consapevolezza di esse-re liberi nel territorio, nostro compagno di giochi e amico di piccole avventure. Qui di “pitruliate” neanche a parlarne, perché eravamo uniti per la riuscita del Presepe che si allestiva nei locali dell’Azio-ne Cattolica di Via Marsala.

Nelle famiglie incominciavano i preparativi per i dolci e per i pranzi di Natale e di fine anno. Ricette antiche e raffinate nei gusti per la genuinità dei cibi, e per l’amore trasmesso nella loro confe-zione erano alla base dei pranzi. Dolci confezionati con zucchero, miele, vino cotto, mandorle e ogni altro prodotto della nostra terra. Biscotti, mostaccioli, torrone caramellato, giurgiulena, pagnuccata , erano i dolci del Natale, mentre a Pasqua se ne preparavano altri e altrettanti gustosi e di qualità.

Qui sarebbe troppo lungo aprire una finestra per le ricette di piatti più tradizionali e intriganti, mi limito al racconto dell’evento Natale nelle famiglie.

Si preparava la gelatina di maiale, fatta con la testa , qualche pezzo di pancetta e lingua di vitello, messa poi a gelare fuori , da-vanti alla finestra perché allora mancava il frigorifero. Salsiccia e salami fatti in casa, sugo di maiale e di coniglio selvatico, con con-torni di verdure comprese le selvatiche tipo “aggiti da campo”. In-somma ogni ben di dio che la natura offriva e che le famiglie riu-scivano a sfruttare al massimo. C’erano famiglie poco facoltose che, al posto del formaggio grattugiato sui maccheroni al sugo, mettevano pane grattugiato abbrustolito, oggi principe in molte ri-cette moderne. Era un condimento dei poveri che con la loro fanta-sia riuscivano a rimediare le carenze.

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NATALE – Una tradizione che si rinnova ogni anno

Il giorno di Natale tutti in Chiesa a cantare e gioire accanto a Gesù Bambino. Tuttavia il Natale non era solo preparativi di un pranzo o del Presepe, era una Festa in tutto il paese, in famiglia e fuori. Infatti si giocava e si ballava nelle case, si riuniva la famiglia con parenti e amici, ma anche in piaz-za all’aperto dove i ra-gazzini giocavano con i soldini di metallo. Ogni sera a casa si giocava a

tombola o a zecchinetta”Spilo”. I giochi preferiti dai ragazzini era-no il testa o croce “ Testa o Littra”, il gioco della “can-nedda”, ma si giocava anche con i bottoni e con pezzetti di vetro. Questi erano i nostri giochi d’azzardo durante le feste di Natale.

Le famiglie con tutto il pa-rentado si riunivano per il pranzo, poi ricambiato il gior-no di Capodanno. Il 31 dicem-bre fine dell’anno stessi pran-zi, stessa attesa, e veglie dan-zanti con orchestra e balli da capogiro. Nel prossimo rac-conto descrivo la fine dell’an-no per i giovani studenti degli anni 50 e dell’inizio degli anni 60. Fatti che oggi fanno ridere i giovani moderni, ma che per noi settantenni furono anni di grande insegnamento di vita e di crescita morale culturale.

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Acate anni 30I Miei Padrini di Battesimo

Marietta Bellomo e Giovanni Bizzarra

ACATE : Natale 2008 Presepe vivente

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Notte di San Silvestro e Capodanno

Acate Notte di san Silvestro 1962 al Cine EdenBrindisi di mezzanotte

in centro il sindaco Rocco Pisa tra G. Masaracchio e M. Manusia

Il giorno di Santo Stefano, i ragazzi dell’azione cattolica con il Cappellano Padre Barone, organizzavamo la scampagnata. Si anda-va a mangiare ricotta di buon mattino.

Per tutti erano momenti di sfrenata gioia e libertà, tra i profumi della campagna e gli odori pungenti degli ovili, l’insuperabile man-giata di ricotta, siero e pane di casa. Spesso si rientrava a casa nella tarda mattinata, ma a volte, tempo permettendo, ci si fermava a goderci i nostri giochi nei prati, consu-mando una semplice colazione con pane, formaggio, olive e pomo-dori secchi.

Una tra le tante scampagnate nel giorno di San Stefano, fu diver-sa dalle precedenti. Andammo a Pedalino ospiti della parrocchia lo-cale di Don Angelino Tummino.

Di buon mattino tutti in bicicletta pedalammo verso Pedalino, dove ci attendeva la ricotta calda. All’ora di pranzo, nei locali della parrocchia consumammo un pasto abbondante a base di pasta fre-sca, fatta in parrocchia,con sugo e carne.

Il parroco don Angelino, ci ospitò con tutta la sua generosità, pranzando e scherzando con noi. Mangiammo a più non posso e

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Notte di San Silvestro e Capodanno

con grandi bevute di vino rosso da capogiro. A fine pranzo, pre-so dall’allegria feci un ennesimo brindisi con il parroco. Lo invitai a bere e a ballare con me, e tra un salto e l’ altro con tanto diverti-mento le risate si conclusero nel tardo pomeriggio.

Niente di particolare da segnalare per la fine dell’anno e per il capodanno se non i soliti giochi, i soliti pranzi.

Tuttavia era consuetudine radicata negli anni “IL BALLO”. Nei circoli: Civili o Circolo di Conversazione, e soprattutto nel Circolo “La Società Operai”, si organizzavano le serate danzanti di fine d’anno.

Ma negli anni successivi la consuetudine, dal circolo dei “CIVILI” passò in municipio. Infatti negli anni 50 tante fu-rono le veglie danzanti nel sa-lone delle riunione del palazzo municipale, oggi non più (un palazzo di stile liberty demoli-to verso la fine degli anni 50). Ho poco da raccontare degli anni della mia adolescenza , ma tanto degli anni della mia gioventù, studente liceale e ancor più universitario.

Sta di fatto che giovincello assieme ai miei coetanei, ri-cordo i cugini Mario Manusia, Pietro e Gino Mezzasalma,

Nini Fera , il procuratore della Repubblica di Ragusa, e altri figli dei soci del circolo dei “CIVILI”, aspettavamo la fine dell’anno per la veglia danzante.

Qualcuno mi chiederà perché? è chiaro che all’epoca molti di noi erano innamorati con fidanzata, si aspettava una veglia per pro-vare le ingenue emozioni che la dolcezza di un amore ti fa scorrere tra le vene, diversamente era impossibile.

La notte, dopo la festa si andava a suonare la serenata sotto il balcone dell’innamorata. Io non potevo andare con gli amici, per-ché il rientro a casa era d’obbligo. Raccomandavo al mio amico, Neli RE di non mancare da via Roma, perché con la sua fisarmoni-

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Acate – Settembre 1954 Tano Masaracchio, Turuzzu Carrubba e Neli Re

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I miei racconti

ca si fermasse davanti l’abitazione di Valeria, la mia fidanzata. Questo succedeva tutte le volte che gli amici decidevano di andare a suonare per le vie del paese. Tempi romantici e irripetibili, per noi giovani era bellissimo ed era tanta la gioia delle innamorate.

Quanta innocenza c’era in tutti e quanta gioia di vivere!. . . La vita era bellissima! tutta d’amare e da vivere. Mi direte altri tempi, è vero si , ma è importante conoscere il passato cioè i tempi degli anziani, per riportarci ad una concezione della vita diversa, e cioè ritrovare la pienezza dei suoi valori.

A tutti i nostri amici, studenti come noi e con gli stessi problemi di gioventù figli di non soci, era vietato partecipare alle veglie dan-zanti del circolo, guai ad invitarli.

Quando poi la veglia fu affidata all’organizzazione dei giovani ormai maturi, me in prima linea, fu rotto il muro del divieto e invi-tammo tutte le famiglie dei nostri amici che mai avevano partecipa-to, qualcuno gridò allo scandalo.

Ci fu un duro scontro tra chi era favorevole e quei pochi che non lo erano, ma la nostra deter-minazione riuscì ad isolare quei casi e tutto si risolse nel bene. Tutti d’accordo per la riuscita della sorpresa di mezzanotte. L’orchestra ad un nostro segnale doveva suonare il valzer delle candele a luci spente. Credo che avete capito tutto. Era la storica occasione per scambiare gli au-guri con l’amata baciandola. Un bacio innocente con tanto amore e con emozioni indescrivibili so-prattutto per la fidanzata tremante e impaurita, ma piena di voglia d’amare, erano momenti di totale felicità. Scene da non immagina-re, mamme che cercavano le pro-prie figliole attaccate al collo del-

l’innamorato, mentre del tutto tranquilli erano i genitori dei maschi. Finito il valzer, la luce si riaccendeva e appariva la compostezza

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Acate 31/12/1965 Circolo di Conversazione Veglia Danzante

Tano e Valeria fidanzati

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Notte di San Silvestro e Capodanno

delle coppie , ma le guance arrossite e gli occhi umidi e pieni di fe-licità, la festa continuava e la nostra giovane passione era appagata Poi l’indomani la predica del parroco Caruso con strali contro i gio-vani peccatori che avevano violato quasi la castità. Ricordo che qualcuno fu allontanato dall’azione cattolica (io lo fui per altri mo-tivi , portavo sulla giacca la campanella con la fiamma del MSI!) Questo è il mio racconto che chiude il mese di dicembre vissuto ne-gli anni di adolescenza e di gioventù, penso che ancora in tutti c’è la consapevolezza di un mese del tutto particolare, ma vorrei che tanti giovani non si lasciassero trascinare dal nemico mortale del-l’anima “il non amare la vita!” il non volere apprezzare i valori che la vita

ti offre. La crescita dipende anche da certi convincimenti che nel passato erano la via maestra verso lo sviluppo in senso lato.

Spero che non sia stato noioso e che l’interesse della lettura non sia solo dei miei coetanei ma soprattutto dei giovani.

Ballo in una casa privata

Acate Circolo di ConversazioneNotte di san Silvestro 1965

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Page 38: I miei racconti

Radio Leader…che anni stupendi!

Si era negli anni del boom radiofonico e delle TV private, anni in cui in tutta Italia la proliferazione dell’etere radiofonico divenne improvvisamente il fatto rivoluzionario del giorno. Non c’era città o paesino che cercava, quanto meno, di avere la sua radio, ma era soprattutto l’impegno e la voglia di uscire dalla solita minestra RAI da parte di tanti giovani e adulti che davano tempo e denaro per la radio locale. Siamo alla fine degli anni 70, proprio nel giugno 1977, un giovane amico, Emanuele Ferrera mi propose di aprire una radio tutta “Viscarana”. In un primo tempo, pur allettandomi tantissimo, la proposta mi spaventò anche per i mezzi finanziari occorrenti. Fu Emanuele che con furbizia e intelligenza aveva previsto tutto. Mi disse testualmente : “ Tano ma di che cosa ti preoccupi ?. . . ri-spondi alla mia domanda. ” E così per alcuni minuti la discussione andò avanti, forse perché Emanuele voleva capire sino a quale pun-to ne ero convinto. Allora risposi :” Ma , Emanuè qui non c’è bi-sogno solo di soldi, ma anche di gente, di giovani preparati in grado di gestire la Radio, non puoi fare tutto tu, io queste cose so come vanno a finire, poi chi si è visto! si è visto !. . . ” risposta : “su questo stai certo che tutto è pronto e ti comunico che anche per l’aspetto economico tutto è risolto, a condizione che tu accetti

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Radio Leader…che anni stupendi!

e ne fai il direttore…”-- IO!!!”-- “si proprio tu”—“e va bene , iniziamo subito non c’è tempo da perdere, perché sai come sono fatto, o tutto o niente!. . . o subito o mai!”

Finì qui la conversazione con Emanuele e con la partecipazione , in qualità di soci, degli amici Giovanni Failla, il Dr. Emilio Albani , il Dr. Giuseppe Puglisi e Saretto Manusia, iniziò l’attività della no-stra radio locale. Il nome?. . . fece tutto Emanuele Ferrera ; dopo averlo sottoposto ai soci si decise di chiamarla RADIO LEADER.

Incominciammo nei locali di corso Indipendenza con una anten-na posizionata su un terrazzo e lì le prime trasmissioni: canzonette, presentazioni dei dischi di Battisti, Nazzari, delle varie orchestre e qualche gioco in diretta.

Poi gli altri soci lasciarono gratui-tamente le loro partecipazioni a me, cosicché io presi la radio come unico proprietario trasferendola in piazza, nel palazzo dove oggi abita mia figlia Matilde.

Emanuele dirigeva tutto e in un certo senso selezionava i ragazzi che volevano collaborare. Chi erano questi ragazzi degli anni 70 e 80 ? Debbo dire che era una generazione di talenti radiofonici i quali, con la loro passio-

ne, portarono presto la radio ad alti livelli. Per prima cosa si provvi-de al potenziamento tecnico che arrivò in tutte le città vicine: Vitto-ria, Gela, Niscemi, Caltagirone, Comiso, Chiaramonte Gulfi, Maz-zarrone, Grammichele e così via, da ogni parte arrivavano le telefo-nate.

La competenza dei nostri ragazzi era tale e tanta da farsi apprez-zare ovunque arrivasse il segnale della Radio. Una schiera numero-sa di giovani di valore: Franco Lantino, Franco Tidona detto Fran-co T. , Angela Bellomo, Anselmo Tidona, Enzo Cutello, Mario Ca-scone, furono i pionieri di Radio Leader sotto la magistrale regia di Emanuele Ferrera che non perdeva occasione per pretendere il mas-simo. Io inizialmente frequentavo poco la radio, avevo poco tempo libero perché impegnato tra lavoro, politica e sindacato.

Indimenticabili le trasmissioni mattutine e del primo pomeriggio curate da Angela Bellomo, che fu per lungo tempo l’unica donna

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foto di Angela Bellomo la DJ di radio Leader

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I miei racconti

della squadra di Radio Leader. La scelta delle sue canzonette e le dediche stavano a pennello con l’uditorio per lo più femminile e ca-salingo, era la compagna di tante donne a casa. Franco T, ragazzo molto seguito dai giovanissimi, di solito curava un tipo di musica leggera ogni mattina e specie in estate. Anselmo Tidona musica Jazz e orchestrale, Enzo Cutello e Mario Cascone intrattenevano l’uditorio con delle discussioni e scherzi oltre che con la musica. Franco Lantino curava i commenti sui nuovi dischi e soprattutto di quelli degli autori, indimenticabili furono quelli su Lucio Battisti a proposito del disco una giornata uggiosa. Poi si ebbe il massimo, con la trasmissione in diretta del concerto di Gianni Nazzaro in una delle feste di San Vincenzo, con intervista finale presso gli studi di Radio Leader.

Durante il periodo natalizio la radio trasmetteva giochi a premi con una tombola finale nell’antivigilia di Natale. Ricordo che curai personalmente una trasmissione : attraverso la musica di un disco immaginavo di volare con la fantasia in tutte le nazioni del mondo, attraverso le note chiedevo agli ascoltatori dove era atterrato l’ae-reo dei premi.

Arrivavano centinaia di telefonate gente di ogni età…e i più pic-coli venivano a ritirare i premi con grande felicità. Era una festa nella festa, la trasmissione ebbe un successo tale che fu chiesto di riproporla anche il giorno di capodanno e così fu.

Ricordo che in quell’occasione lessi persino una bellissima poe-sia del mio prozio Gaetano Masaracchio intitolata “ all’orologio”, un sonetto scritto in un capodanno del 1800 a Niscemi suo paese natio. Fu ascoltata e chiesto il riascolto. Tutto questo per capire quanta partecipazione, quanti contatti telefonici c’erano. Sono fatti che, mentre scrivo di getto, mi fanno venire il nodo alla gola. Sono fatti che appartengono alla vita mia e di Emanuele, di tutti quei ra-gazzi e soprattutto alla storia di Acate, che fa presto a dimenticare non solo le sue radici, ma anche queste storie che se pur piccole o di poco conto, sono sempre anni di vita paesana.

Qualcuno potrebbe chiedersi perché Masaracchio scrive adesso queste storie?. . Rispondo dicendo che lo faccio per lasciare una traccia di una delle tante storie di Acate. Alla mia età ho capito che questo paese da parecchi anni ha trascurato fatti, storie e persone, lasciandoli nel serbatoio delle storie dimenticate e ignote. Occorre una maggiore attenzione sul percorso storico del nostro paese, an-

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Radio Leader…che anni stupendi!

che per semplici storie paesane, le storie di famiglia che si allaccia-no alla vita di una comunità.

Ritorniamo al racconto…tutta l’attività della radio andava sem-pre in alto. Furono prese altre iniziative , i giochi per telefono. Con Emanuele decidemmo di leggere le notizie del giornale e così fu aperta una rubrica cu-rata da me. All’ora di pranzo leggevo le no-tizie più importanti riportate dal quotidia-no La Sicilia, leggevo i comunicati generali del sindacato, comu-nicati che mi arriva-vano da Roma ma che non avevano niente di propaganda, notizie del mondo del lavoro e leggi che potevano avere interesse collettivo.

Curai anche la rubriche delle tradizioni di Acate : culinaria , ma soprattutto le feste più importanti della nostra città soffermandomi con maggiori particolari sulla Settimana Santa come era una volta, cosa che leggerete in uno dei prossimi racconti.

E proprio in occasione della festa di Pasqua, ricordando la mia adolescenza e gioventù, pensai di regalare agli Acatesi notizie su tutto il Venerdì Santo, parlando tanto di un canto inedito di cui si sono perdute le tracce : Maria Passa. Emanuele mi guardava con entusiasmo, approvando l’iniziativa. Credetemi, in questo momento sono invaso da emozioni dolcissime ma anche di rabbia…al solo pensare quanta ignoranza, compresa la mia per avere fatto poco perché tutto fosse tramandato alle nuove generazioni. In quelle tra-smissioni , una al giorno per descrivere le prediche della Quaresi-ma, il Giovedì Santo, il Venerdì Santo e il Sabato giorno della Re-surrezione. Descrissi nei particolari la fiaccolata del Giovedì Santo con le “SCIACCARE”, cosa che poi organizzai da presidente del circolo dei cacciatori, e non vi dico le lacrime che scorrevano da-gliocchi dei più giovani che mai avevano visto quello spettacolo se-rale davanti al Cristo alla colonna. Un giorno mi venne in mente di registrare il canto “Maria Passa”, sapevo chi tra gli anziani era ca-

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A sinistra il palazzo di Piazza Libertà.Al primo piano la sede di radio Leader

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I miei racconti

pace di cantare. Fu composto un gruppo di 4 o 5 persone con l’indi-menticabile Francesco Sallemi “u Zi Cicciu” un vecchietto arzillo e brillante e per completare il numero ci fu anche il giovane Saro Morando, dello staff di Radio Leader, che cantò con i vecchietti. Sallemi accettò con entusiasmo e subito registrammo il canto. Lo zio Cicciu cantava da solista e gli altri in contro canto. Era una nenia funebre, un canto popolare tutto di Biscari con parole toccanti in dialetto, tutto un lamento della Madonna per Gesù Cro-cifisso. Solo a raccontare queste cose mi si accappona la pelle, que-sta era la politica di Masaracchio, della sua radio, della radio di Emanuele Ferrera, dei giovani di Acate. Un ricordo indimenticabile lo è per me quando mi trovai in pericolo di vita, Acate fece vedere il suo vero volto di un paese generoso e solidale.

Era il 28 gennaio 1978, la mattina di un sabato freddo e assolato, da due giorni mi trovavo ricoverato in ospedale per via di una ulcera duodenale perforata e sanguinante. I medici decisero d’intervenire immediatamente. La mia vita era appesa ad un filo, ma occorreva san-gue, tanto sangue per le trasfusioni. La notizia in un baleno si sparse in tutto il paese, nelle case dove le famiglie ascolta-

vano Radio Leader. Emanuele, tutti i ragazzi corsero nella sede a lanciare gli appelli

e dare notizie, si può dire che l’intervento chirurgico fu seguito dal-le onde di Radio Leader. Tutto un paese si mosse, la stessa scuola dove insegnavo su ordine del Preside Lantino, rallentò le lezioni e tanti colleghi vennero in ospedale per offrire il sangue. Ad Acate si scatenò una frenetica gara di solidarietà per Gaetano Masaracchio in pericolo di vita, furono in cento a donare il sangue, ne occorreva-no 12 flaconi, fu messo in cassa forte sangue di ogni gruppo, e l’o-spedale ebbe una riserva che arricchì la propria banca del sangue. Per me occorreva sangue del gruppo 0 positivo, ma fu prelevato an-

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gruppo di ragazzi fondatori di radio Leader Acate

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Radio Leader…che anni stupendi!

che sangue del gruppo RH negativo…pensate quanta gente volle donare. Tutto questo per via delle comunicazioni di Radio Leader, ma soprattutto fu merito degli stupendi ragazzi della radio che per l’affetto per il loro direttore Masaracchio, furono i primi a lanciare il messaggio, un messaggio di vita e di alto senso umano il cui va-lore va al di là del bello di una semplice radio. Ecco questa era Ra-dio Leader! C’è da dire ancora che ci fu un momento in crisi stava progettando una TV locale, e nel pieno della nostra notorietà , fum-mo avvicinati persino dai proprietari di Tele Monte Lauro che offri-vano le loro strutture per creare una società con Radio Leader. Mi spaventai e non ebbi coraggio…poi venni a sapere che gli stessi vendettero tutto a Canale 5…pensate quanti soldi avrei guadagnato, perché tele Monte Lauro fu venduto a fior di milioni.

Ma come sempre in questa nostra amata cittadina, tutto svanisce nel nulla. Gelosie, invidia, politica e quanto altro di distruttivo si possa immaginare colpirono lentamente a morte la Radio, orgoglio e bene di tutti gli acatesi. Tutto successe perché impegnato in poli-tica nel MSI, partito fuori dalla logica dell’arco costituzionale e per tanti dal contesto umano. E’ proprio così come vi dico, credetemi. Furono fatti tanti sforzi per annientare il fascista Masaracchio, per-ché era stato candidato alle elezioni regionali, riportando il 25% dei voti ad Acate, eletto presidente dei cacciatori, consigliere comunale e sindacalista, ma non dalla parte giusta. Ma non fu possibile per-ché nessuno ascoltò la voce sciocca e inutile dell’anti…ad ogni co-sto. Ci fu chi apprezzava l’idea di una radio e organizzarne un’altra

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ACATE 1979Palazzo di Piazza Libertà lato Villa

Al primo piano la sede di Radio Leader

Gaetano Masaracchio foto del 1976

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I miei racconti

in concorrenza. Fu così che l’amico Pietro Bellomo, uomo molto elastico nelle sue idee e favorevole alle novità, fondò la sua radio politica “Radio Avanti”. Qui incomincia il declino rapido delle ra-dio ad Acate. Infatti furono reclutati alcuni giovani di radio leader , con argomentazioni politiche senza senso. Quindi i giovani Enzo Cutello e Mario Cascone andarono via e si trasferirono in Radio Avanti. Per circa un anno le due radio trasmettevano, ma prima Ra-dio Leader e poi Radio Avanti sparirono nel nulla.

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La Banda Musicale di Acate

Parto dal 1946, perché è importante conoscere la storia del corpo bandistico, lo stesso che ha scritto pagine di storia vera di Acate, per quanto ne so.

Debbo dire che in molte città della Sicilia, l’istituzione del corpo bandistico nei comuni era un obbligo, sia in termini culturali che in termini sociali. Molti ragazzi avevano la possibilità di crescere nel “sapere”, così fu ad Acate, Vittoria, Giarratana , Chiaramonte Gulfi, Monterosso Almo e Caltagirone, città di antiche tradizioni nel campo dei complessi musicali, dove furono raggiunti livelli alti, ed alcuni nostri compaesani furono inclusi tra i più bravi professio-nisti nell’ambito della banda musicale del luogo. Salvatore Campa-gnolo “detto Turi Scatà” col suo “bombardino”, Pietro Baglieri con la sua cornetta, Vincenzo Campagnolo con il suo clarinetto li troviamo tra i più accreditati suonatori nella Città di Caltagirone e certamente tanti altri che non conosco a Vittoria, Giarratana e nella stessa Caltagirone.

Nella pianta organica dei Comuni era incluso il posto di un Mae-stro di Musica.

Ad Acate molti di questi maestri fecero storia , e che storia! Maestri come D’Amanti, Maugeri , Arangio e Verdoliva, sono pre-senti nella memoria dei vecchi musicanti e dei ragazzi di allora. Tra

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tutti, due furono i grandi : il Maestro D’ Amanti e il Maestro Ver-doliva che addirittura diede una svolta storica e rivoluzionaria.

In Paese per tutti il corpo musicale era “La Banda Musicale” e il direttore “ u Maestru a Musica”. Quando suonava per le vie del paese, era uno spettacolo di festa e di gioia, la popolazione parteci-pava in massa, e i più piccoli dietro a gioire per le melodie tutte da ascoltare. Spesso nelle feste paesane, la banda suonava le marce, sia in piazza che per le strade. Ho ancora in mente i ritmi , alti e bassi, dei suoni della vecchia marcia “Qua l’Abruzzese”. Al rientro a casa la canticchiavo, avevo 9 o 10 anni. In piazza ogni musicante dava il libretto delle note del brano musicale ad un bambino per te-nerglielo alto, tanto da poterlo leggere. Io ne tenni tanti, amavo la musica della banda.

Con D’Amanti, maestro fino all’inizio degli anni 50, la banda ebbe successo, tanto che presto si concretizzò con i suoi concerti in altre città. Di solito erano brani di musica lirica, il tenore era la trombetta chiamata in dialetto il filicornino, il basso, il contrab-basso, i clarini, i corni , il tamburo e i piattini con due tubi metal-lici per il suono di campane, un corpo che arrivava anche a 60 ele-menti.

Durante i mesi estivi, tutte le domeniche la banda si esibiva in piazza, sotto la direzione del Maestro, il quale immedesimato nella musica, con la bacchetta dava uno spettacolo nello spettacolo. Alla fine applausi e molti bis per le canzonette napoletane. Le signore passeggiavano o si fermavano ad ascoltare, e sul marciapiede alto del Circolo di Conversazione, stavano sedute le signore dei soci a parlare, ascoltare e pettegolare ” Furficiare alla viscarana”, men-tre i loro cavalieri dentro a parlare e ad ascoltare. Erano altri tempi belli e genuini.

Dopo la morte del maestro D’amanti, fu bandito il concorso per il posto vacante vinto da Alfonso Verdoliva.

Il maestro venne da Pompei ad Acate con la famiglia e vi risie-dette per tanti anni. Qui ebbe inizio una nuova era della banda mu-sicale. Verdoliva portò una ventata giovanile migliorandola. Una vera rivoluzione, il suo lavoro portò frutti impensabili e orgoglio al paese.

Il corpo bandistico crebbe nel numero e nella qualità e con i can-tanti decollò un progetto che lo portò al successo in ogni città della Sicilia e addirittura anche in Calabria. Infatti furono chiamati due

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cantanti locali Giuseppe Basillotta tenore, Giovanni D’Asta barito-no, tre cantanti catanesi un basso, un soprano e un mezzo soprano.

da sinistra i cantanti: Basilotta (tenore)La cantante ( soprano) e D’Asta(baritono)

I concerti assumevano la solennità di uno spettacolo gradito a tutti, la banda si esibì in molte città piccole e grandi della Sicilia : Avola, Vittoria, Gela, nel palermitano e nel catanese persino in Ca-labria, con successi strabilianti, era l’orgoglio di un intero paese; in poco tempo divenne la famosa Banda Musicale città di Acate del maestro Vedoliva.

Indimenticabili furono le esibizioni in concerto dell’intera opera lirica “Aida”. Verdoliva fece acquistare dal comune le trombe egi-ziane e tanti altri strumenti musicali oltre quelli tradizionali e lo spettacolo raggiunse alti livelli di qualità.

La banda in tutte le sue componenti era impeccabile, accompa-gnava magistralmente il canto del tenore, del soprano, mezzosopra-no e del baritono. Gente appassionata della lirica, spesse volte veni-va da Vittoria, Comiso e da altri centri vicini. Tutti si congratulava-no con gli Acatesi e la loro banda musicale.

Poi incomprensioni, gelosie, liti al Comune e soprattutto una vi-sione contraria di alcuni amministratori che vollero la soppressione del posto in organico, in pochi anni portarono allo scioglimento dello stesso corpo come gruppo del Comune tanto che rimase in forma privata. Il maestro Verdoliva, quando capì il precipitare degli eventi in negativo, partecipò a un concorso in altro comune, lo vin-se e se ne andò con rammarico e sdegnato perché vide frantumarsi tutto il lavoro di anni sofferti, ma pieni di soddisfazioni per se e per l’intero paese.

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Marina di Acate : la banda diretta dal maestro Bellomo

La banda musicale fu diretta anche dai maestri Maugeri e Arangio, il primo comisano e il secondo vittoriese, ma fu un perio-do di poco spessore; tuttavia sempre attivo per la banda, finché tut-to finì e si persero il lavoro di tanti anni e una tradizione esemplare. In seguito, negli anni 80 il Comune approfittando di un finanzia-mento regionale acquistò alcuni strumenti musicali per una coope-rativa locale che doveva preparare i giovani e soprattutto creare una scuola di musica per banda. Per anni fu organizzato un gruppo sot-to la direzione del maestro Ottavio Baglio che si occupò anche at-traverso sacrifici personali di organizzare la banda ancora oggi esi-stente, ma come un semplice gruppo che non riesce a decollare nel-la stessa maniera del passato.

La banda musicale il 2 novembre al cimitero

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La Struttura Sociale di AcateCeti ed Economia dal 1945 agli anni 60

Biscari anni 30/40 Piazza Umberto oggi Piazza Libertà

Non so quanto interesse potrà suscitare questo racconto, ma sono certo che i giovani dalla lettura potranno avere altri elementi sul cambiamento della loro cittadina.

In premessa voglio affermare che nessuna ricerca documentata mi ha portato al passato, tranne qualche fatto o evento di cui ho avuto la possibilità di leggere. Molti miei racconti sono frutto di ri-cordi o notizie trasmesse in famiglia. Storie, eventi e tradizioni per me rappresentano la memoria di una vita intensa nel paese natio ACATE.

Sento dentro di me la voglia di scrivere e trasmettere i contenuti di questa raccolta ai giovani perché abbiano conoscenza e rispetto del passato della loro Terra.

Siamo alla fine degli anni 40 Acate è un Comune con meno di 5 mila abitanti. In quegli anni ero un adolescente, crescevo nel paese impegnato alla sua ricostruzione e alla ripresa delle sue attività. Si usciva dalle macerie di una lunga e crudele guerra che ha visto lutti e devastazioni materiali, ma anche una certa angoscia nell’anima della gente che con forza voleva dimenticare. E’ la gente che dopo

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lo sbarco degli alleati anglo-americani, si sbracciò per ricostruire il futuro dei propri figli.

Adesso, più che nel passato, mi sento figlio di quella società. Con gli occhi di un bambino ho visto la guerra e la sua crudeltà, ma ho visto anche la ricostruzione del morale e delle cose che appar-tengono alla mia famiglia e alla comunità di Acate.

Con la fine della guerra ogni momento della nostra vita ci dona-va la luce di una nuova vita quotidiana, la gioia per i pericoli scam-pati. Giorni felici per i fanciulli che scoprivamo la libertà degli spa-zi e del tempo senza più i pericoli delle bombe.

Ho assistito a fatti ed eventi paesani, alle vicende della mia fa-miglia, con la curiosità di un fanciullo che ama la vita e che non vuole perdere nemmeno un istante della sua terra, della sua ACA-TE!!!.

Con i genitori, sempre vigili e attenti ai propri figli, partecipavo alle loro ansie, alle loro soddisfazioni, alle loro feste con amici e parenti. Amavo la mia libertà, la gioia dello spazio conquistato, vo-levo partecipare a qualsiasi gioco. Spesso il mio papà mi portava al Circolo dei Civili o al Municipio, suo luogo di lavoro. La mia mamma, con la mano stretta nella mia, mi portava con sé nelle case delle amiche. Era consuetudine lo scambio di visite tra amiche e quindi la frequentazione dei salotti. Cose d‘altri tempi; è vero que-sta era la vita paesana del dopo guerra.

Siamo tra il 1943 e 1950, Acate si presenta nella sua struttura sociale divisa in 4 ceti: la piccola borghesia cosiddetta Civili, gli Operai artigiani , i Massari o proprietari possidenti di terreni e infi-ne la classe dei Contadini, la più numerosa.

Iniziamo dai Contadini per avere chiaro il concetto di economia nelle campagne, ma soprattutto per i rapporti tra imprenditore e contadini. Infatti la classe Contadina, cosiddetta “massa”, era for-mata da due componenti :i Mezzadri e i Braccianti, cosiddetti “Viddani”. I Mezzadri dividevano il raccolto con i Proprietari nel rapporto di 2 a 1: due parti al Proprietario e una al Mezzadro. In-somma una vera società tra capitale e lavoro, i costi di gestione, concime stallatico e potatura in parti uguale. Il Mezzadro assicura-va i lavori materiali, il trasposto della merce, l’irrigazione, l’aratura nonché la raccolta del frutto. Potrebbe sembrare roba d’altri tempi, ma in verità si stava bene e regnava la pace sociale non perché i Contadini stessero poi così bene, ma perché ci si accontentava di

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poco. I Mezzadri e i Proprietari alternavano anni di floridezza ad anni di crisi a causa delle inondazioni provocate dal fiume, delle gelate e a volte della siccità che per fortuna non era frequente. Il clima era generoso, ogni anno si registravano abbondanti piogge durante l’ inverno e caldo in estate. I canali d’irrigazione avevano abbondanza d’acqua e il fiume era sempre attivo. Ci furono Pro-prietari che scelsero un rapporto alla pari 1 a 1, tra questi mio pa-dre lo praticò sempre con i suoi Mezzadri. I fratelli Bongiorno con i quali il rapporto andava al di là del fattore economico direi di to-tale fiducia e affetto nel rispetto della tradizione di famiglia sin dai tempi di mio nonno.

I Contadini braccianti erano semplici lavoratori manuali della terra, alle dipendenze del Proprietario o in certi casi del Mezzadro, quando questi non riusciva da solo a soddisfare le esigenze di lavo-ro del podere. Non c’era obbligo d’ingaggio, e i proprietari pagava-no contributi sociali in via forfetaria a beneficio dei Mezzadri. Ben poca cosa per i Braccianti che non godevano di ammortizzatori so-ciali tipo l’indennità di disoccupazione.

Campo di grano

Punto di riunione erano i 4 Canti, luogo dove s’ingaggiava la mano d’opera occorrente tra i Braccianti. Affollati erano i “4 Can-tuneri” la sera del sabato e della domenica, un po’ meno il merco-ledì. Punte massime delle trattative si registravano nei mesi di set-tembre per la vendemmia, ottobre per la raccolta delle olive, e nei mesi invernali per la raccolta delle arance.

L’economia agricola acatese poggiava fortemente sulle colture arboree tipo l’ulivo, gli aranci, la vite e il carrubo. Queste erano le

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colture principali del territorio, ma da non dimenticare i carciofeti, le colture di legumi, la giurgiulena e soprattutto il cotone.

Questa pianta fin dai secoli scorsi era stata una coltura ricca di storia e di redditi per i Proprietari. Il cotone, presente nella valle del Dirillo e nella piana di Gela sino agli inizi degli anni 50, fu col-tura intensa e importante e la sua produzione per qualità e quantità era seconda solo a quella egiziana nella graduatoria mondiale.

Biscari anni 30/40– Piazza Umberto oggi Piazza Libertà

In qualsiasi testo di Geografia Economica si legge l’importanza che ebbe il cotone nell’economia di Biscari e di Gela;decantato come prodotto superiore a quello americano. Le bacche del cotone venivano raccolte in estate e nelle case in tanti erano intenti a sepa-rare il batuffolo dal seme. Erano prodotti che nel mercato facilmen-te trovavano la domanda a prezzi molto remunerativi.

L’ulivo coltivato nelle contrade di Bosco Grande, Chiappa, Piano Torre e Recinto, era di due varietà : la moresca e la tondo iblea “detta Citrala”, da cui si ottiene ancora oggi olio di grande qualità. Di solito l’olio si produceva per i consumi familiari, ma non mancavano i quantitativi da vendere tra le famiglie o anche nei mercati fuori Acate. Piccoli commercianti, attrezzati di carretti, ve-nivano in paese per acquistare olive e olio, mandorle e cotone.

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Le arance furono per diversi anni vera fonte di alto reddito. Ba-stava possedere qualche centinaio di alberi per assicurarsi un buon reddito. Le qualità prodotte erano il sanguinello , arancia rossa di cui si sono perdute le tracce, il biondo normale ”cosiddetta arancia nostrana” e l’arancia ovale “cosiddetta arancia calabrese”.

Si chiudevano ottimi affari con commercianti provenienti da Catania, tra tutti il più serio e importante era Michele Spina il quale aveva rapporti con i mediatori locali cosiddetti “sensali”. Ricordo che nel 1948 attraccò a Catania una nave mercantile russa. Doveva importare arance siciliane del tipo biondo ovale. Debbo dire che questo tipo di arancia era coltivato solo ad Acate e nel Siracusano tra Lentini e Carlentini, ma le arance ovali di Acate erano le più pregiate. La domanda salì alle stelle e di conseguenza il prezzo. Tra marzo ed aprile dello stesso anno, casa mia divenne meta di diversi sensali accompagnati dai commercianti, un via vai quotidiano. Mio padre era sempre frenato dai Mezzadri per ottenere qualche lira in più e così fu. Le arance furono vendute a lire 180 il Kg, una cifra enorme per quei tempi!!! Fu un ricavo mai incassato. Quell’anno Acate visse un momento di ricchezza, figuratevi cosa potesse signi-ficare per le famiglie, dopo anni di guerra. Si mise in moto tutta la macchina dei consumi e tutti ne beneficiarono. Proprio allora, dopo un lungo e duro periodo che durava dal 1936, mia madre ne fu feli-ce perché papà decise di andare a Roma dai suoceri, con la fami-glia. Era il mese di luglio quando a Vittoria salimmo sul treno a va-pore e alla volta dei miei nonni materni romani. Avevo appena 10 anni, a Roma vissi altre emozioni. Era l’anno in cui Togliatti fu sparato e quindi per le vie della città vidi le manifestazioni per l’ag-gressione, ma torniamo all’economia locale. La vigna assieme al-l’ulivo è stata la più antica coltivazione del territorio. Già negli anni del basso impero romano la vigna era una coltura diffusa nel nostro territorio. Fu quando alcuni coloni romani nel 181 dopo Cristo, ai tempi dell’imperatore Commodo e dopo avere scoperto le qualità del vino e dell’olio da portare nella Roma imperiale, si stabilirono qui da noi.

Per il vino dobbiamo chiarire un fatto : il Cerasuolo di Vittoria, impropriamente accreditato a Vittoria, in realtà appartiene al nostro territorio comunale. A Biscari, molti poderi appartenevano a gente della vicina Vittoria, che in massima parte li coltivava per vigneti e

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oliveti ed il vino era prodotto nei locali palmenti aziendali delle Contrade Baucino , Baudarello, Pirrera , Biddini e Litteri.

Diverse medie aziende che producevano vino dalle uve di queste contrade, erano proprietarie di cantine nei terreni di produzione. Quando la distilleria vittoriese di Romolo Buccellato incrementò il suo giro commerciale, molto vino venne portato a Vittoria e com-mercializzato. Ora non sappiamo con esattezza se il cerasuolo, nato dall’accoppiata di due uve frappato e nero d’avola, si ebbe per la scelta a Vittoria dei produttori o per la commercializzazione dei Buccellato. Tuttavia una cosa è certa che a Biscari il vino era pro-dotto dalla fermentazione del mosto di tre uve : Nero d’avola per il 60% , il 30% di frappato e il 10% di “Osso Nivuri “, in più c’era chi aggiungeva fette di mele gelato. Che poi i Vittoriesi siano stati i veri ideatori dell’unione delle due uve, è tutto da dimostrare, resta certo che le terre erano di Biscari. Si tratta di una mia deduzione at-traverso i racconti di mio padre e delle notizie che gli anziani allora raccontavano. Di questo ne sono convinto nonostante molti dicono il contrario e non c’è spiegazione che possa giustificare il termine Vittoria, così come non c’è alcuna spiegazione che possa giustifica-re il vino detto “FRAPPATO di VITTORIA”. Il carrubo dava una produzione secondaria ed era coltivato tra gli alberi di ulivi e gli al-beri di mandorle.

Questo era il profilo economico di Acate, sino alla fine degli anni 50. Poi giunse la “sciagura” ANIC, scrivo sciagura perché i potentati dell’economia industriale del nord, negli anni 50, invasero il Sud con le raffinerie e Gela divenne meta appetibile per i grossi capitali dell’industria chimica. In pochi anni fu distrutto il cotone che non allignò più, molti carciofeti rallenteranno i loro cicli di produzione, insomma l’agricoltura pagò il prezzo di una politica dissennata nei confronti di un’economia antica e piena di risorse, ricca di una vera sua storia gloriosa.

Poi ancora l’Università di Catania, facoltà di agraria, creò il centro sperimentale di Acireale per l’agricoltura, dove nacquero le nuove piante di agrumi. Furono prospettati facili e rapidi guadagni, quindi si dette il via all’estirpazione di ulivi, di vigneti e di carrubi per dare posto ai nuovi prodotti agrumicoli con i risultati che oggi sono sotto gli occhi di tutti…un fallimento totale, vero disastro!!!

Torniamo ai ceti sociali degli anni 40 e 50 e completiamo il no-stro racconto. Come dicevo la piccola borghesia era rappresentata

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da piccoli e medi proprietari terrieri detti i “Civili”. Il loro punto di riunione era il Circolo di Conversazione, cosiddetto Circolo dei Civili. Qui si leggeva qualche libro, si giocava a carte, si discuteva e ci si incontrava nelle ore serali e ogni anno il 31 dicembre per l’attesa veglia danzante.

I “Massari” erano proprietari con alle dipendenze Contadini Braccianti che lavoravano nelle loro aziende dal lunedì al sabato. Durante la settimana si fermavano nelle campagne con o senza la famiglia. Ritornavano per le provviste delle vettovaglie e il cambio della biancheria due volte la settimana, il mercoledì e il sabato per rientrare il lunedì nel podere. Si lavorava sodo e con sudore, ma tutti nell’interesse della produzione che dava ricchezza.

La Santa Protettrice dei Massari era la Madonna delle Grazie che si festeggiava a luglio in pompa magna e con grande devozio-ne.

Infine gli Operai, veri maestri artigiani del legno, del ferro, della pelle e della stoffa.

Acate aveva sarti di qualità ricordo Vincenzo Maganuco, Fran-cesco Carrubba , falegnami dotati di ottima capacità creativa, don Giovannino Meli, don Giovanni Carrubba. Calzolai come Peppi-no Stornello e Martino Guardabasso confezionavano scarpe alle famiglie. Infatti era consuetudine ordinare scarpe e vestiti agli arti-giani locali in primavera poco prima della Settimana Santa e poi in autunno in occasione della festa Patronale di San Biagio. Ricordo gli zoccoli, per i mesi estivi, confezionati da Calogero Geraci papà di un amico mio d’infanzia.

Non mancavano le sarte per gli abiti femminili e anche chi con-fezionava cappelli. La signorina Tommasa Donzelli era bravissima a confezionare coppole e berretti siciliani su ordinazione. Mio pa-dre ne ordinò diversi e ne comprò uno per me piccolo maschietto adolescente.

Presso l’Istituto Sacro Cuore tante ragazze della piccola bor-ghesia e della classe operaia apprendevano il ricamo e il cucito per la biancheria. Sin dai tempi dei Principi di Biscari nel cosiddetto” Collegio” la Scuola Viennese del ricamo fu frequentata con risulta-ti eccellenti. Addirittura molte allieveconfezionavano il corredo personale per il matrimonio, ma anche quello su ordinazione per le famiglie facoltose. Nell’economia delle famiglie la preparazione del corredo con le proprie mani costituiva una vera risorsa non solo

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I miei racconti

per i risparmi, ma anche per i valori affettivi trasmessi da padre in figlio, una tradizione perduta e dimenticata. Possiamo dire che se Comiso, Pedalino e Mirabbella Imbaccari sono ancora centri fa-mosi per il tombolo, secondo una loro secolare tradizione, Acate lo fu per il ricamo di Biscari.

E poi la grande tradizione dei barbieri Acatesi, tante furono le sale da barba dette Saloni. Qui si riunivano amanti della musica che nei momenti di pausa, cantavano e suonavano. Le Sale da Bar-ba erano cinque, due in Piazza Di Bennardo e Brancati, tre in Cor-so Indipendenza e tutte lavoravano; il mercoledì e il sabato, per il rientro dei Contadini e dei Massari, erano i giorni con maggiore la-voro.

Ad Acate spesso veniva un grande dottore dell’arte , un Acatese puro sangue, il Prof. Enzo Maganuco docente universitario. Qui passava ore con gli amici nel salone di don Angelo Di Geronimo o di don Vincenzino Di Bennardo. Amava la musica, ascoltava e suonava. Alcuni riferiscono che in uno di questi incontri compose con gli amici una Manzurka che titolarono la viscarana, questo lo si raccontava nei saloni da barba.

il Prof. Enzo Maganuco Il Collegio delle Suore

Acate dal 1945 al 1960 era questa, poi l’ emigrazione verso il Sud America negli anni 50 e negli anni 60 verso il Nord Italia e la Germania. I campi si spopolarono ancor più di quanto lo furono a seguito della costruzione della raffineria di Gela. Inizia la crisi di un settore che dura parecchi anni. Successivamente la trasformazio-ne delle terre rosse in serre ci dà la sensazione di un ritrovato boom economico locale, ma oggi conosciamo tutti la triste realtà.

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La Struttura Sociale di Acate

La società è cambiata tantissimo, non ci sono più le classi socia-li, strutturate come nel passato, è migliorato il livello scolastico dei cittadini. Il paese oggi conta più di 8 mila anime. L’artigianato è scomparso, l’agricoltura naviga nella crisi totale e il consumismo ha preso tutti giovani e anziani, i valori non sono rispettati come una volta.

La vita corre ad alta velocità e la nostra economia va alla ricer-ca di nuovi sbocchi. In periodici convegni e appuntamenti i proble-mi della nostra economia vengono dibattuti, ma le soluzioni tarda-no. Siamo ormai nel vortice della “Globalizzazione” che non aspet-ta nessuno. Tuttavia il passato è storia e deve essere letto per quello che è stato. Deve essere rispettato per la gente che l’ha vissuto e l’ha proiettato nel futuro del nostro paese.

I civili seduti davanti alla villaBiscari anni 40Rami di giurgiulena

pronti per la posatura

Corso Indipendenza

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Carrettieri, vasai, fabbro ferraio, mulini

Attività Economiche di ACATE dal 1945 al 1950

La struttura sociale di Acate negli anni 40 e 50 comprendeva altre categorie economiche, che fecero storia a Biscari prima della guer-ra e dopo fino agli anni 50.

Tra i contadini il carrettiere aveva il privilegio di possedere qualcosa in più : cavallo e carretto per i trasporti dalla campagna e dal paese nelle città della Sicilia. Acate ebbe una gloriosa tradizio-ne nel settore. Si costruivano i carretti siciliani nel catanese, nel pa-lermitano, nel nisseno e nel ragusano. Anche Acate nel dopo guerra ebbe il suo falegname costruttore di carretti, detto mastro carraio. Era un nativo di Comiso, che si trasferì nel nostro paese con la sua famiglia. Abitava vicino casa mia in via San Giuseppe, la moglie e le figlie erano sarte. Insomma ad Acate nel 1945/46 l’intera fami-glia trovò lavoro a profusione. I mastri carrai erano veri maestri del legno, capaci di dipingere, scolpire e dare l’equilibrio necessario per il peso da trasportare. Vittoria ebbe artigiani di eccelse qualità, appunto i carrai.

Qui si costruivano carretti tra i più belli della Sicilia, con dipin-ti e sculture che narravano la storia dell’Orlando Furioso. Vi era ri-prodotto lo spettacolo dell’opera dei pupi, artisticamente rifiniti in ogni elemento e con una intelaiatura robusta. Il nostro carretto, per

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Carrettieri, vasai, fabbro ferraio, mulini

la sua grandezza , per le sculture e i dipinti, era della scuola della vicina Vittoria.

I carrettieri di Acate erano organizzati in categoria, una classe sociale nella classe, di-rei una sottoclasse con tutta la sua dignità e cultura di cui erano orgogliosi. Ebbero un loro sodalizio “il circolo dei carrettieri”, alla pari dei cir-coli più in alto di rango. Ri-

cordo che la sede, cosiddetta “La Società”, era in via XX Settem-bre nei pressi dei 4 canti, angolo corso Indipendenza. La loro Santa Protettrice era Maria Bambina la“Santa Bambina”, e a settembre si onorava con una grande festa e con le corse dei cavalli. Una festa importante che vedeva tutti i carrettieri impegnati per la loro San-tuzza.

L’attività era il trasporto conto terzi, ma qui occorre distinguere i carrettieri da trasporto merci da quelli che trasportavano frasche da ardere. I primi erano veri e propri vettori, trasportavano grano, farina dai mulini, vino e ogni genere di prodotto agricolo, non man-cavano i trasporti occasionali delle masserizie. Questi stessi carret-ti, in estate dopo la festa della Madonna del Carmine, offrivano il servizio di trasporto alle famiglie che si trasferivano a mare con le loro tende. Ricordo carrettieri abili nel loro lavoro : Pietro Sarta, Guardabasso, Sammatrice, Giovanni Tomaselli, Salvatore Raffo ed altri, tutta gente che lavorava con il carretto, viaggiava verso le cit-tà della Sicilia. Viaggi per Catania, Vizzini, Caltagirone, Gela, Cal-tanissetta, per trasportare le merci da consegnare ai commercianti del luogo. A Catania arrivavano i carciofi e soprattutto il vino. Ri-cordo che una mia zia, nel 1945/46 viveva a Catania, diceva che nel mercato di Catania i carciofi di Acate andavano a ruba, addirittura i bancarellisti a voce alta gridavano “ cacuorcili niviri…niviri do Vischiri”. Era il carciofo tradizionale della valle, “il Violetto” oggi carciofo DOC “violetto di Niscemi”. Quante tradizioni!!! e quanta cultura dimenticata! Spesso i carrettieri portavano pane, olio, bi-scotti e vino agli studenti acatesi che frequentavano scuole superio-ri o l’università, al ritorno riportavano alle famiglie la loro bianche-ria sporca.

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I miei racconti

Di solito i carrettieri, quando dovevano affrontare un viaggio lungo, caricavano i loro carretti nelle ore pomeridiane e la sera sul tardi partivano, mai da soli , tre o quattro carretti s’incamminavano uno dietro l’altro, viaggiando tutta la notte dotati di un grande para-pioggia e di un telone.

Donne sul carretto

Nei mesi estivi davanti casa mia in via San Giuseppe passavano incolonnati i carretti verso lo stradale per Caltagirone , diretti a Ca-tania, era uno spettacolo! Oggi al solo pensare mi vengono i brivi-di! stessa cosa al ritorno quando il passaggio era di sera o di notte. Il caldo invitava tutti a trascorrere le ore serali, seduti sul marcia-piede, i ragazzi giocavamo. Al passaggio dei carretti , lo scambio di saluti e il canto bellissimo del carrettiere. Un canto al chiaro di luna, misto tra tristezza e gioia: tristezza per la lontananza dalla fa-miglia da sopportare per alcuni giorni, gioia per il lavoro sicuro.

Il carrettiere con le redini in una mano portava un grande fazzo-letto colorato legato in testa “alla spigalora”, la frusta con il fiocco nell’altra mano che di tanto in tanto veniva agitata con lo scoppiet-tio del fiocco, era “ a zotta”. Il cavallo era vestito a festa, bellissimo con i suoi paramenti, la sella col pennacchio ricco di piume colora-te e tante campanelline di colore giallo legate tutte alla sella “U sidduni”. Ad Acate c’era pure la bottega del sellaio, detto “u Sid-dunaru”. La colonna passava ammirata dai fanciulli attenti ai loro canti, i carrettieri si alternavano nel canto che era tutto un racconto

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Carrettieri, vasai, fabbro ferraio, mulini

della loro vita nel lavoro, un canto che mi attirava tantissimo con quel chiaro di luna, avevo appena 9 o 10 anni. Scene che i miei oc-chi hanno visto e di cui la descrizione oggi non può dare quell’ef-fetto che dal vivo si avverte nel sangue.

Fianco dipinto del Carretto

Carretto con frasche

Decorazione del carretto

Ogni città tappa dei carrettieri aveva un punto di ristoro per ca-valli e persone, i cosiddetti “FONDACI ”. Acate ne aveva uno di una certa importanza, perché era crocevia tra Modica, Caltagirone e

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I miei racconti

Gela. Lì pernottavano carrettieri di altri paesi, da nord, da oriente e da occidente.

Vi erano quelli che si occupavano solo del trasporto di frasche per i forni. Di solito andavano nei boschi a raccogliere frascame che poi vendevano alle fornaie (non c’erano fornai maschi).

Altra attività tradizionale fu quella del vasaio detto “QUARTA-RARO”. Questi lavorava l’argilla che abbondante nel territorio, per fare tegole, anfore, giare e altri vari oggetti.

Ad Acate vi furono artigiani dell’argilla molto abili e importanti soprattutto per le tegole. Infatti qui creavano le tegole più grandi della Sicilia “I Ciaramiti do Vischiri”, ma anche altri manufatti erano importanti : la “quartara” , l’anfora con la bocca larga per l’acqua e “u Bummulu” l’anfora con bocca piccola per l’acqua fre-sca. Infatti la composizione del materiale consentiva dall’interno della stessa anfora una specie di sudorazione che ne bagnava la su-perficie. Era il cosiddetto Bummulo, che posizionato all’ombra e in un luogo ventilato favoriva la sudorazione e così l’acqua si mante-neva fresca.

Quanta acqua fresca ho bevuto da bambino e quanti Bummuu-liddi ho rotto!!!, per i bambini si acquistavano le anfore piccole da mezzo litro. Non abbiamo tradizioni di ceramiche, quindi quei piat-ti che si compravano erano di provenienza calatina.

L’operaio fabbro ferraio, lavorava il ferro per forgiare arnesi di lavoro per i Contadini : zappe, aratri, forbici per potare ecc. , ma di più i ferri per gli zoccoli dei cavalli che erano di grande consu-mo, i cerchi per le botti e per le ruote del carretto, nonché chiodi per gli zoccoli dei cavalli, e anche grosse chiavi per i portoni delle cantine e catenacci di ferro grandi. Il loro lavoro era abbastanza remunerativo e vivevano discretamente sino a quando poi la mec-canizzazione fece scomparire il carretto per i trasporti, diminuendo la circolazione dei cavalli. Per i mulini posso dire solo che prima della guerra funzionava il mulino vicino al fiume in contrada Gra-zia, il vecchio mulino ad acqua, dove si macinava il grano duro. Quel mulino aveva una grossa ruota dentata che immersa nell’ac-qua del fiume si muoveva al passare dell’acqua mettendo in moto tutto il sistema meccanico per la macinazione, era un sistema idrau-lico antico sin dal 1700 anche a Biscari c’era il mulino, tanto pre-zioso per quei tempi averlo in paese.

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Carrettieri, vasai, fabbro ferraio, mulini

Poi, con la meccanizzazione furono aperti due mulini nel centro abitato, uno in via Gari-baldi, gestito dalla famiglia Varsallona, proprio dove si tro-va l’officina del gommista;l’al-tro, se non ricordo male, in Via Cesare Battisti. Siamo tra il 1945 e il 1955.

Verso la fine degli anni 50, quando si diffuse il forno detto “elettrico”, il primo forno elet-trico fu gestito da Vincenzo Campagnolo detto “Scatà” poco dopo altri si dedicarono alla panificazione con forno elettrico tra questi i fratelli D’a-sta, Giovanni La Lisa e quello

di Fornaro e Stornello in via del Carmelo, che fu il secondo forno

dopo quello di campagnolo. Qui è da ricordare un fatto che per i ra-gazzi di allora fu epocale : “il panino elettrico”. Fu una vera e stra-biliante scoperta il cosiddetto panino elettrico. Per la verità qualche anno prima alcuni avevamo mangiato il nuovo panino che parenti o amici avevano portato da Vittoria. Mia moglie racconta che tutte le volte che il suo papà andava a Vittoria, il primo acquisto era il pa-nino per le sue figliole.

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Fabbro ferraio - Ferratura del cavallo

Fabbro al lavoro Carretto con donne

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I miei racconti

Chi legge può immaginare quale effetto desse il panino quando si aggiunse la mortadella, mai conosciuta prima di allora. Dopo anni di guerra si scoprivano nuovi cibi vere novità alimentari. Fari-na, semola e crusca erano i prodotti che le famiglie ottenevano dal loro frumento e tutto era utilizzato per l’economia familiare.

La farina per il pane fatto in casa durante l’anno, la semola per dolci e pappette, la crusca per le galline e i maiali che ogni famiglia allevava. La semola inoltre era un ottimo ingrediente per la mo-starda fatta con il mosto d’uva. Questa fu la vita economica e so-ciale di Acate dei miei ricordi dal 1945 al 1955. Spero che il mio racconto resti per non dimenticare il passato, come traccia positiva dei valori esistenziali locali dei Viscarani oggi ed anche domani.

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Carrozze, Carrozzini e Cavalli e La cassa RuraleUno Spaccato del secolo scorso - Biscari/Acate dal 1900 al 1950

Mancano alcuni piccoli tasselli per chiudere il quadro della struttu-ra economico/sociale di Acate del passato. Piccole attività di lavo-ro, personaggi e fatti, che credo abbiano la stessa dignità storica ed essere raccontati. Sono i fatti e i racconti di famiglia che debbono avere un posto nella storia di Acate, anche se manca la documenta-zione d’archivio per un riscontro più certo e scientifico. D’altra parte, se nessuno lo fa anche queste attività, con eventi e fatti ad esse legate, resterebbero nell’oscurità delle tante storie dimenticate.

Siamo nel 1948, frequentavo la quinta classe elementare, tra i miei compagni di classe Pippo Lauricella spesso mi ospitava a casa sua per giocare.

La sua mamma, zia Giuseppina, donna amabile, gentile e pre-murosa, stravedeva per il suo unico figlio : lo chiamava Peppuc-cio. Era felicissima dell’amicizia con Tano Masaracchio nipote del dr. Antonino Masaracchio, grande amico del suo papà Tommaso Stornello. Ogni qualvolta che mi trovavo a casa sua, zia Giuseppina mi raccontava tutto di mio nonno, morto nel 1933 e pertanto mai conosciuto da me. Nel suo racconto, colorito e ricco di fatti, con forza comunicava a me e Pippo il legame di amicizia tra la famiglia Stornello e il dr. Antonino Masarachio. E così tra un gioco e l’altro,

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I miei racconti

tra un boccone di pane spalmato di zucchero e un bicchiere d’ac-qua, mi parlava di carrozze e di cavalli, mai di calessi.

Curioso e affascinato soprattutto dalle notizie su mio nonno, ascoltavo con interesse, attento al suo racconto ricco di fatti e noti-zie. Più me ne parlava, più cresceva la mia curiosità. La signora Giuseppina riusciva sempre a suscitarmi lo stesso interesse, soffer-mandosi per lo più sulla sincera e lunga amicizia tra le due fami-glie. Insomma spruzzava gioia per una rinnovata amicizia tra due adolescenti figli di amici veri, i nonni Tommaso e Antonino. Un giorno finalmente parlò solo del suo papà e mi raccontò tutto sulla sua attività, le carrozze.

Tommaso Stornello, noto in paese come don Maso Stornello, era un uomo dal bell’aspetto con barba, elegante e dedito a dirigere la sua impresa di conduttore carrozziere. Oggi il mio racconto vuo-le rendere omaggio ad un uomo a me noto solo dalle notizie della figlia Giuseppina, un uomo che secondo me, nel suo piccolo, ha scritto una pagina di storia nel suo paese. Una storia semplice , è vero, ma che ha un suo valore per il passato di Acate , per l’evol-versi nel tempo della vita economica cittadina oltre che per il cam-biamento progressivo di uno stile di vita.

Una pagina che non può restare nell’anonimato come tante altre storie mai scritte.

L’attività imprenditoriale di don Maso era abbastanza sicura e con le carrozze riusciva a dare lavoro ad alcune famiglie con buoni guadagni. La sua impresa possedeva 4 o 5 carrozze di cui una car-rozza-bus. Penso che una di queste carrozze dovesse essere di pri-ma classe. Aveva cavalli sufficienti a soddisfare il servizio, e quin-di un numero adeguato al fine di garantire l’alternanza per il turno di riposo. Inoltre una stalla con stanzone per il ricovero delle car-rozze, e scorte di fieno abbastanza sufficienti.

Così era il quadro dell’azienda Stornello con alle dipendenze cocchieri “detti Gnuri” e stallieri. Queste le notizie dal racconto di zia Giuseppina, ma anche di mia Suocera Biagia Meli, il cui fratel-lo Giovanni era genero di don Maso. Un racconto affascinante so-pratutto per me, quando parlava di mio nonno.

Mi diceva che mio nonno spesso andava a Niscemi, suo paese natio, e qualche volta a Palermo con la carrozza dell’amico don Tommaso Stornello. Quindi viaggi con le carrozze di don Maso per

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Carrozze, carrozzini e cavalli e la cassa rurale

destinazioni anche lontane da Biscari. C’era anche la carrozza bus che portava le persone da Biscari a Vittoria.

Zia Giovannina Bellomo

Negli anni dopo la guerra, il servizio con la carrozza bus fu assi-curato agli acatesi da Giuseppe Di Raimondo detto “u Zì Peppi u Marchisi”. Sicuramente sarà stata la stessa carrozza di don Maso. Partiva da Acate per Vittoria alle 7 del mattino per poi ripartire alle 11 ed essere alle 12 o poco più in sede. La corsa del vettore era fis-sata ogni mattina, ma solo a condizione che si raggiungesse il tutto esaurito dei posti a sedere, 8 o 10 persone. Durante la fiera di San Martino, poiché le richieste non mancavano, le corse erano assicu-rate per tutto il periodo della fiera.

Il cocchiere Di Raimondo all’ora fissata per il ritorno non aspet-tava nessuno, e se qualcuno ritardava erano guai. Si ritornava a pie-di o con un mezzo di fortuna. Infatti poteva succedere che qualche carretto acatese, dopo avere scaricato frasche nei forni di Vittoria, lungo la via del ritorno incontrava un ritardatario e lo faceva salire.

Personalmente feci l’esperienza in carrozza bus quando andai con mia Zia Giovannina Bellomo a Vittoria, non ricordo l’anno se il 1947 o il 1948. Per un ragazzino di 10 anni all’epoca era un’espe-rienza bellissima e piena di emozioni. Durante il viaggio i miei oc-chi luccicavano di gioia e di curiosità, ero un bambino abbastanza

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I miei racconti

vivace e pieno di amore per la vita, il viaggio per me fu straordina-rio e pieno di fascino.

Ad Acate i mezzi di trasporto delle persone non furono solo le carrozze e i carretti, ci furono anche i calessi, “i cosiddetti carroz-zini” per dirla in dialetto.

Infatti in molte famiglie della piccola borghesia e dei Massari, il calesse era una necessità, come lo è oggi l’automobile. Gli spo-stamenti nelle campagne, i viaggi per Vittoria, imponevano la di-sponibilità di un calesse più o meno elegante e confortevole, oltre che del cavallo. Il calesse poteva essere scoperto o con la cappotta ribaltabile, quindi si poteva viaggiare in calesse anche quando pio-veva. Il sedile il più delle volte era in pelle, la cappotta di tela cera-ta, e sotto il sedile era disposta una rete pendente legata alla parte finale delle aste per sistemarvi recipienti di acqua e merce spicciola da trasportare.

Ho ancora vivo il ricordo del mio primo viaggio in calesse ver-so Vittoria, una esperienza mai dimenticata. Credo che avessi 9 anni o forse 8, comunque siamo tra il 1946 e il 1947. Mia Zia Gio-vannina Bellomo viveva sola con la persona di servizio, le serve nelle famiglie agiate erano chiamate persone di servizio. Era l’ama-bile Ignazia, che mi ha visto crescere donandomi tantissime cocco-le. Tutte le sere preparava per Tanuzzu, il piatto preferito : patate americane fritte, “la Batata dolce”, il tubero del Sudamerica. Infat-ti tutte le sere dormivo a casa con la zia e Ignazia, erano due donne sole in casa e io maschietto di 8 anni davo sicurezza, figuratevi se un bambino di 8 anni poteva assicurare due donne !.

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Carrozze, carrozzini e cavalli e la cassa rurale

Un sabato, la Zia Giovannina mi disse : “Domani vieni con me in calesse, ti porto a Vittoria”. La zia doveva recarsi a Vittoria per farsi confezionare un abito dalla sarta;in quegli anni per gli abiti impegnativi e soprattutto per i cappelli le donne della piccola bor-ghesia andavano a Vittoria.

Mai ero salito su un calesse e mai ero stato a Vittoria, fu quindi per me un vero sogno. Una notte d’ attesa, aspettavo l’alba per vi-vere le emozioni di un viaggio che tutti i bambini avrebbero voluto fare. Andammo col calesse dell’ amico di famiglia don Gaetano Modica, trainato da una cavalla bizzarra e con i capricci per la te-sta. Infatti aveva il vizietto di fermarsi durante il viaggio con strani atteggiamenti. Don Gaetano diceva che la cavalla era in calore, ma appena era superata da altro calesse con cavallo maschio ripartiva di gran carriera. Il viaggio durò oltre un’ora, ma per me fu molto divertente e particolare anche per l’atteggiamento della cavalla.

Ad Acate sino al 1950 per il lavoro dei campi e per i trasporti , il cavallo rappresentava una vera risorsa per i proprietari, per l’econo-mia locale. Tuttavia oltre al cavallo, per le campagne, troviamo l’ asino e il mulo. Il cavallo era l’animale principe più importante per il diverso impiego che se ne poteva disporre. L’asino e il mulo era-no utili come animali da soma, ma il mulo lo si attaccava anche al carretto e raramente al calesse. Il cavallo di razza araba era il più diffuso, mentre pochissimi erano i cavalli ungheresi “detti cavalli patatari” per la loro grossezza. Erano cavalli da tiro, goffi e lenti nei movimenti, ma fortissimi e capaci di trasportare una e più ton-nellata di merce.

Tra i carrettieri per il trasporto oltre a quelli che viaggiavano con particolari merci o con frasche, troviamo anche i carrettieri che for-nivano le botteghe di generi alimentari. Erano trasportatori col loro carretto chiamati“ suprastanti”, piccoli imprenditori con cavallo o mulo e carretto. Il trasporto era per conto di bottegai, ma anche per conto proprio. Fornivano pasta, farina, zucchero, zolfo e altra mer-ce per le botteghe di generi alimentari. Acate era paese prevalente-mente agricolo, tutta l’economia ruotava attorno alla campagna sin dai secoli precedenti, con le varie colture e le attività collaterali. Succedeva che spesso gli operatori dovevano affrontare investi-menti e quindi necessità di liquidità, specie negli anni di maggiori di crisi commerciale dei prodotti. Ora il paese tra la fine del 1800 e

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I miei racconti

gli inizi del 1900 non era dotato di una banca utile per le esigenze di denaro circolante.

Per la verità non era un problema soltanto per Biscari, ma lo era anche per le altre città, Vittoria, Niscemi ecc. . Proprio qui nacque-ro le casse rurali per l’agricoltura e l’artigianato locale. Acate ebbe la sua Cassa Rurale, non ne conosco la data di nascita, ma avendo vissuto a casa mia la vicenda del suo fallimento, conosco la vita della Cassa Rurale detta “la cassa di Mazzarino. Non ho dati certi nonostante mio padre fosse stato un socio, ma so che il fallimento della Cassa colpì tante famiglie di Acate.

La Cassa era gestita da Salvatore Mazzarino, presidente era Umberto Miceli con altri agricoltori componenti del consiglio di amministrazione.

Fu costituita nella forma giuridica di Società a Responsabilità Il-limitata e Solidale. Tutti i soci rischiavano con i propri patrimoni. Nello statuto era scritta la norma : “Il prestito può essere concesso dalla cassa soltanto a soci e con garanzie reali nonché eventuali avallanti per le cambiali sottoscritte”

Si capisce in quale morsa cadeva il povero disgraziato bisognoso di un prestito, nel giro di pochi anni i soci furono più di 500. Gente bisognosa per tirare la carretta o per affrontare le spese di produzio-ne o ancora di ristrutturazione nelle campagne, ricorreva alla Cassa per un prestito. Tra questi mio padre, che in un periodo di crisi eco-nomica in famiglia, trovò utile ricorrere alla Cassa. Dal racconto di mio papà so che per tanti anni la Cassa fu florida e con utili abba-stanza soddisfacenti. Poi fu aperta l’agenzia del Banco di Sicilia con la quale la Cassa collaborò per lo sconto delle cambiali a credi-to e a carico dei soci debitori. Tuttavia dopo la morte di Salvatore Mazzarino furono fatte operazioni senza la dovuta prudenza, la Cassa aprì verso i produttori di pomodoro e altri agricoltori vitto-riesi, insolventi verso le Banche locali, e presto fallì. La curatela del fallimento fu affidata al dr. Puglisi e ad un commercialista di Vittoria che presentarono il conto a carico dei soci responsabili so-lidalmente, come da statuto societario.

Ognuno aveva di che rischiare e mio padre in una delle tante as-semblee tra i soci, riuscì a convincere tutti a pagare. Si era obbligati a pagare non solo il debito verso la cassa, ma anche il prezzo di li-quidazione che si aggirava a circa 500 mila lire pro capite, una cifra abbastanza consistente per quei tempi. Dopo la liquidazione, la

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Carrozze, carrozzini e cavalli e la cassa rurale

Cassa non ebbe vita, mi fermo qui, perché i dettagli non servono per gli obiettivi del racconto.

Per completare questo racconto mancano due eventi “ i moti del 1945 NON SI PARTE” e la vicenda dei “quotisti agrari “degli anni 50. Per il primo basta leggere il volume di don Rosario di Martino “ Non Si Parte di Acate”, il secondo fa parte dei racconti di questa raccolta, spero che chi consulta questo volume abbia la pazienza e l’interesse di leggerlo.

Questo è lo spaccato economico e sociale di Acate negli anni del dopo guerra, il mio è un racconto di un paese che dalle macerie del-la guerra si alzava con la dignità dei suoi abitanti, laboriosi e ansio-si di vivere in pace e prosperità la loro vita.

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La Vicenda dei 23 Assegnatari

Dopo la fine della guerra, tra il 1943 e il 1945, Acate visse momen-ti di sconforto, di ristrettezze economiche, scarsità di generi ali-mentari e di confusione politica e amministrativa. Fu proprio in questi anni che scoppiò una sommossa popolare, a seguito del mo-vimento “NON SI PARTE”. Ci furono documenti dell’Esattoria bruciati, la caserma dei carabinieri occupata, momenti di ribellione popolare allo stato d’insofferenza per la scarsità dei generi alimen-tari soprattutto. La vicenda si chiuse con l’intervento della Polizia e di alcuni militari dell’Esercito che portò in carcere alcune persone tra i cittadini individuati da segnalazioni e testimonianze. Nel 1955 una nuova vicenda del tutto diversa dalla prima, ma con lo stesso epilogo : 23 lavoratori della terra subirono il carcere per via di una contestazione contro un provvedimento che negava loro le terre as-segnate.

E’ una triste storia che scosse tutta la città di Acate, 23 suoi figli furono condannati e in galera per circa 2 anni.

Siamo nel 1952 anno in cui la Regione Siciliana, dopo lunghi di-battiti e contrasti tra i 90 deputati regionali, approva la sua legge di riforma agraria. Una riforma chiesta dal mondo bracciantile, dai Sindacati e dai partiti della sinistra allorquando la Sicilia ebbe lo Statuto Autonomista. Ci furono battaglie politiche e richieste preci-se affinché si riconoscesse il diritto alla terra da parte dei braccianti agricoli siciliani.

Dibattiti nelle piazze e nelle aule del Parlamento Siciliano che era in grado di legiferare nel senso voluto dalla maggioranza dei cittadini. Forze politiche come la DC e il MSI non dichiaravano la loro ostilità alla legge, ma nemmeno la loro approvazione. Soltanto i Monarchici, all’epoca abbastanza consistenti, dichiaravano a chia-re lettere la loro opposizione a un provvedimento penalizzante i grossi agrari privati. Con la perdita di alcuni ettari di terra agricola a beneficio dei contadini, gli agrari degli anni 50 del 1900 si trova-

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La vicenda dei 23 assegnatari

rono davanti a una sicura penalizzazione del loro patrimonio, quin-di via ai ricorsi.

Nell’Assemblea Regionale ci fu un durissimo scontro tra le for-ze favorevoli alla riforma e i monarchici contrari, ma alla fine la legge fu approvata e si fissarono le norme di attuazione. Fu creato un Ente che per anni doveva gestire l’applicazione della legge, ma anche assistere gli agricoltori beneficiari della riforma per tutte le pratiche occorrenti. Nacque così l’ESA ( Ente di Sviluppo Agrico-lo), che aprì i suoi uffici in tutti i Comuni dove erano stati indivi-duati i lotti da assegnare. Qui ad Acate furono aperti uffici con im-piegati ( geometri, agronomi e impiegati semplici).

All’epoca mio fratello Nino era segretario comunale del MSI e si occupava anche di Sindacato, era amico fraterno di Gaetano Stornello col quale divideva le gioie degli anni giovanili. Tra i fun-zionari dell’ESA di Acate c’era un veterinario palermitano che di-venne amico di mio fratello e di Stornello. Spesse volte a casa mia s’incontravano e parlavano tra l’altro anche della riforma che non riusciva a decollare.

La riforma agraria siciliana, approvata nel 1952, sanciva l’asse-gnazione di lotti ai contadini, terre incolte e da trasformare o boni-ficare.

Il conte Lanza, proprietario di un grande feudo era soggetto alla legge di riforma. Doveva cedere terre divise in lotti di poco più di 3 ettari. Tale misura era desunta, nella legge stessa, in rapporto diret-to all’estensione totale dei possedimenti. Tutto questo per le asse-gnazioni ai contadini che ne avevano diritto in base a determinati requisiti. Fu così che vennero individuati 95 lotti di poco più di 3 ettari ad personam, e tutti nelle terre del Conte Lanza di Trabia. Acate per l’estensione del feudo Lanza era tra i più importanti cen-tri agricoli ai fini della riforma, ed ebbe la sua sede ESA non sog-getta ad altre sedi.

Non conosco i retroscena dei terreni paludosi o meno nella val-lata, ma so soltanto che i lotti da assegnare dovevano essere pronti per la trasformazione o la bonifica.

Sicuramente il conte Lanza furbescamente, in tempi non sospet-ti, al fine di pagare meno tasse, dichiarò alcuni terreni paludosi, quindi impossibilitati di coltivarli. Per la verità in merito pare che non ci furono adeguati controlli da parte del Catasto. Quando poi fu varata la legge di riforma agraria, venne fuori la beffa per i 95 asse-

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I miei racconti

gnatari di Acate. Ora non abbiamo dati certi sul modo come il con-te Lanza riuscì a dimostrare la mancanza di palude nei suoi terreni, ma è certo che dopo avere promosso causa civile e non una sempli-ce richiesta, riuscì a dimostrare che i lotti dovevano essere indivi-duati a monte tra gli uliveti e i mandorleti e non nella vallata dove i terreni risultavano irrigui. Tutto questo fece scaturire una serie di contrasti e di cause che alla fine diedero ragione al Conte, con sen-tenza del Tribunale si chiedeva la consegna dei lotti entro e non ol-tre un termine perentorio. Successe che i lotti non furono consegna-ti e con successivo provvedimento il Tribunale stabilì il sequestro dei beni.

Tra gli assegnatari nacquero discussioni a non finire e spesso an-che alla presenza di sindacalisti. Tra loro ci furono divergenze circa i comportamenti nei confronti dell’ordinanza del Tribunale e nac-quero contrasti. C’era chi voleva rispettare l’ordine di consegna e attendere fiducioso la nuova assegnazione e chi invece voleva an-dare sino i n fondo.

Qui ci sarebbe molto da discutere su una questione che vede il più debole soccombere per colpa di chi non sia riuscito a dimostra-re l’eventuale malafede del conte Lanza, era troppo evidente il con-trasto tra una dichiarazione di palude e la successiva di terreni irri-gui. A nulla valsero i prelievi effettuati dall’ESA a favore degli as-segnatari per dimostrare lo stato paludoso dei lotti assegnati. Quan-do il giorno fissato per la esecuzione dell’ordinanza nei terreni si presentarono gli ufficiali giudiziari, alcuni braccianti assegnatari contestarono vivamente il personale del Tribunale e si verificò quello che non doveva succedere : invettive, rimostranze e spintoni con qualche ceffone completarono il fattaccio.

Dopo scattarono le denunce penali e le condanne per 23 contadi-ni assegnatari che subirono il carcere per circa due anni.

Tutta la vicenda fu condotta male e ci furono delle responsabili-tà oggettive dell’ESA che non seppe gestire la controversia con il Conte. Qui c’è tutta la responsabilità dell’Ente che si limitò a segui-re gli eventi solo dopo che il guaio era stato consumato, con l’inca-rico a propri avvocati difensori nel processo penale.

Non si capisce perché nei mesi antecedenti ai fatti, quando fu notificato il ricorso al Tribunale da parte del Conte, fu fatto poco o niente per addivenire ad un eventuale accordo consensuale prima

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La vicenda dei 23 assegnatari

ancora che i braccianti investissero il loro lavoro e i loro soldi nelle terre assegnate nella valle.

La verità è che ai 95 assegnatari furono prospettate certezze, ba-sate su alcune colture in corso nei lotti da loro posseduti. Le stesse certezze caddero in Tribunale che sentenziò non la perdita del dirit-to, ma la cessione di quei lotti da sostituire con altri a monte.

Questo è il mio racconto di una vicenda che ha visto 95 fami-glie, per alcuni anni nell’angoscia per fatti accaduti e nell’incertez-za del loro lavoro.

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Il Calcio ad Acate dal 1948 ad oggi

Questo racconto parte dalla considerazione che in tanti ad Acate se-guono il calcio, lo amano e lo hanno amato sempre con passione, in un certo senso qui ad Acate è lo sport preferito e pertanto ritengo utile scrivere quanto è nella mia mente, tra i miei ricordi del calcio “ Viscaranu”.

Acate ha una lunga e antica tradizione sportiva nel gioco del cal-cio: squadre partecipanti a campionati, combattuti e vinti, calciatori di un certo talento per l’attività tra i dilettanti e partecipazione pas-sionale degli sportivi.

Sin dal 1946, negli anni in cui si incominciava ad uscire dalle macerie della guerra e tutte le attività riprendevano con gioia e de-terminazione, anche nello sport iniziò la ripresa agonistica. Due erano gli sport amati dagli Acatesi :il ciclismo e il calcio. Ma gli Acatesi preferivano il gioco del calcio. Ci furono anche per il cicli-smo anni bellissimi con gare indimenticabili che meritano un capi-tolo a parte, ma il calcio è stato sempre la vera e forte passione sportiva dei Viscarani. Infatti questo sport presto bruciò i tempi, formando una squadra che a partire dal 1948 diede tantissime sod-disfazioni. Una squadra di un paesino con meno di 5 mila di abitan-ti che incontrava altre concorrenti di città come Vittoria, Ragusa, Modica e Gela, e con un tifo da scudetto!

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Il Calcio ad Acate dal 1948 ad oggi

Altri tempi! Ci si accontentava dello squadrone locale e i ragazzi ammiravamo dalla stampa le gesta del grande Torino con Mazzola e Bacigalupo, o quelle del grandissimo Boniperti della Juve o di Lorenzi dell’Inter e così via, ma tutti eravamo concentrati per la no-stra squadra e poco interessava il campionato di serie A. Erano i tempi in cui la TV ancora non aveva sfondato le cervella dei giova-ni tifosi. Altri Tempi! Tempi di un tifo genuino e passionale forse più di quello attuale per le squadre milionarie del Nord e del Sud.

I ragazzini del tempo di guerra, i nati negli anni 30, avevamo solo il campo sportivo locale per vedere una partita di calcio ogni domenica, e potete immaginare chi potevano essere i nostri idoli se non quelli che giocavano nell’Acate, una squadra che metteva pau-ra a tutte le concorrenti.

Se non erro la prima squadra ebbe il nome “Unione Sportiva LAMPO”, la cui ragione sociale prendeva spunto dalla volontà di unire le attività sportive locali, compreso il ciclismo. Una squadra nata prima della guerra tra giovani fascisti. Nel 1945, durante e dopo i famosi moti del “non si parte”, a dirigere la squadra Lampo fu Lucio Cannata con i suoi amici, ma non partecipò a campionati, e presto divenne “UNIONE SPORTIVA ACATE”. Tuttavia Lucio Cannata restò dirigente.

Giocavano calciatori locali, quelli fra i più bravi furono: Ugo e Salvatore Lantino , Salvatore Catarrasi, Giovanni e Quirino Albani, N’Zino Di Giulio. Questi erano i più amati dalla tifoseria e in parti-colare Ugo Lantino nel ruolo di ala sinistra, veloce come la littori-na, si soleva dire allora.

Le scorribande di Ugo Lantino presto oltrepassarono i confini di Acate, correva come un matto, era velocissimo, tirava sempre in porta, e su cento tiri ne indovinava pochi, ma era lo spauracchio nell’area di rigore.

I ragazzini dell’epoca giocavamo con una palla di stoffa in piaz-za, o in contrada Vignale e tutti volevamo emulare Ugo, e fu così che ad un ragazzo si appellò col sopranome di “Peppe Ugo”. La nostra squadra partecipava al campionato di prima divisione l’at-tuale eccellenza. Ogni anno gli incontri più sentiti erano quelli con-tro il Vittoria ( una partita di campanile si diceva…non derby), contro il Ragusa e contro l’Ispica, incontri col palpito del cuore, gare agonistiche bellissime e accanite.

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I miei racconti

Spesse volte qui persero fior di squadroni tipo il Ragusa e il Vit-toria, e poi il Modica.

Ogni domenica era una festa andare al campo sportivo, donne, uomini e bambini partecipavano all’evento con passione e d entu-siasmo. Il rettangolo di gioco era recintato da un semplice filo di ferro, poi sostituito con il filo spinato.

Durante l’inverno si fermava ad Acate il circo equestre “Zoppis Canestrelli”, un circo d’altri tempi, che dava spettacoli stupendi con cavallerizzi, giochi e un clown bravissimo, il famoso “ FOR-TUNELLO”. I due cavallerizzi erano figli di “fortunello” ( il pro-prietario), Tata e PUS. , due ragazzi belli e bravi che saltavano da cavallo a cavallo come due gazzelle.

Pus fu tesserato con la U. S. Acate e fino a primavera giocò di-verse partite di campionato. Una domenica l’Acate vinse contro una squadra di prima fascia e con un punteggio alto, ricordo un 4 a 1, la sera al circo lo spettacolo fu dedicato alla vittoria. Gli attori indossavano la casacca dell’Acate (colore verde con fascia nera, pantaloncini bianchi). Mi pare che era l’anno 1948 o 1949.

Nel corso degli anni l’Acate divenne sempre più forte, tanto che il Comune decise, a favore della squadra, il cosiddetto “ soprasoldo “ da applicare in tutte le macellerie nella misura di una lira per ogni Kg. di carne acquistata. Erano gli anni in cui l’Acate ingaggiò due grossi giocatori, un centrocampista che assolveva anche compiti di centromediano metodista, Miglioli allenatore giocatore provenien-te da Brescia e un emiliano, un certo BOSELLI, mediano di spinta alto oltre 1, 80 m. Vederli giocare era una delizia, ma il Mi-glioli aveva il vizietto di bere, spesso si ubriacava e lo si incontrava ad oziare nei Bar “Tre marie” ai 4 canti o al bar “Italia “ in via XX Settembre.

In quegli anni molti tifosi seguivano la squadra in trasferta, con mezzi rudimentali quale i camion da trasporto merci. Poi la crisi degli incassi, i mancati finanziamenti non consentirono la parteci-pazione a campionati importanti.

Agli inizi degli anni 50, un gruppo di ragazzi tifosissimi della Juventus : Giovanni Buccheri, N’Zino Di Raimondo, N’Zino Mo-nello, Salvatore Stornello ed altri non Juventini N’Zino Iacono e Gino Mezzasalma, fondarono una squadra nuova di zecca la “JU-VENTINA ACATE” alla quale si scrissero tanti ragazzi compreso me. La Juventina Acate partecipò ai campionati di seconda e prima

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divisione, era guidata dal Prof. Salvatore Lantino in prima squadra giocavano Buccheri, Iacono, Mezzasalma, Monello, Stornello e al-tri. Divennero famose in tutta la provincia le sforbiciate in area del-l’indimenticabile N’Zino Iacono, le scorribande velocissime dell’a-la destra Gino Mezzasalma e in difesa la regia del granitico e tem-pista Giovanni Buccheri, impeccabile in difesa e preciso negli in-terventi.

Tra le file giovanili giocavo come mediano di spinta, ma la mia fu un’apparizione breve perché ero goffo nei movimenti e avevo ti-more negli scontri, comunque disputai alcune partite del campiona-to giovanile e ciò mi bastò. Ho avuto sempre il senso della misura di me stesso, non essendo un presuntuoso capii che il calcio per me poteva essere spettacolo o partecipazione organizzativa, null’altro e così fu. Tuttavia in me c’è stata sempre la passione per il calcio e sono stato un accanito tifoso dell’Acate, squadra che poi negli anni 70 mi ha visto tra i dirigenti dopo una breve pausa tra le fila della SS Acate di cui parlerò più avanti.

Con la Ju-ventina Acate nacque una nuova era del calcio locale, fatta di glorio-se imprese e vittorie impor-tanti nei cam-pionati dilet-tantistici, tanto che si può dire

ebbe così inizio un altro ciclo che ha lasciato il segno nella storia calcistica di Acate.

Siamo nel pieno degli anni 50, ormai le vecchie glorie del calcio acatese erano passate : Ugo Lantino, Turuzzu Catarrasi, N’zino Di Giulio e altri non giocavano e subentrarono altri idoli, nuovi e veri talenti : N’Zino Iacono, Gino Mezzasalma, Giovanni Buccheri, Neli Re, N’Zino Monello e il portiere Giuseppe Ravalli, tutti amati e osannati dai tifosi. La domenica come sempre una festa e un vero

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Juventina Acate juniores anni 50

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I miei racconti

spettacolo di folla e la gioia di tutti : Donne, bambini e tanti uomi-ni.

Le giocate di N’Zino Iacono incantavano, le corse velocissime di Gino Mezzasalma, le parate di pippuzzu Ravalli, la regia magi-strale di Giovanni Buccheri in difesa, i fratelli gemelli Giovanni e Saro Caruso, Peppe D’Izzia e , dulcis in fundo Saverio Caruso, det-to Scacciatedda, un centravanti tutto pepe e driblomane, tutto dava spettacolo e risultati strabilianti sotto la direzione del Prof. Salvato-re Lantino vecchia gloria dell’U. S. Acate degli anni 40.

I tifosi più accaniti e pittoreschi erano don Vincenzino Nicaso e don Ciccino Nicaso che col suo storico ombrello ad ogni rete salta-va svolazzando come un paracadutista, fu proprio lui che al portiere della squadra Pesce , di cognome, diede il sopranome di “Cane vo-lante” con tutti gli aggettivi che si possono immaginare. Giocò con la squadra anche un altro talento: Paolo Morando da Chiaramonte Gulfi, un vero mago in difesa, assieme a Buccheri erano una vera diga difensiva. Altri tifosi simpatici e pittoreschi furono don Nino Giorlando ( detto u Saritto) e Ciccio Casì che con la sua voce inti-moriva gli avversari e persino l’arbitro.

La Juventi-na Acate nel 1953 vinse il campionato provinciale gio-vanile e parte-cipò alle elimi-natorie regiona-li, una squadra fortissima e molto temuta in tutta la Sicilia dal calcio gio-vanile di allora. Vinse i quarti di finali battendo il San Cataldo. Nei due incontri di andata e ritorno, la Juventina perse la partita a S. Cataldo ma vinse in casa e si qualificò per le semifinali contro l’Enna. Si giocò una partita secca a Caltanissetta, dopo un dominio assoluto per 90 mi-nuti, 1 a 0 il risultato finale.

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Juventina Acate anni 60

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Negli anni successivi la squadra divenne importante e forte con l’innesto di altri giocatori sopratutto Pesce e Morando. Altri venne-ro ad Acate da Vittoria D’Amico, un vero terrore d’area, Trama e Rindinella da Marina di Ragusa. Altro idolo fu Orazio Agli, l’indi-menticabile colonna della difesa. A Gela, la partita contro lo Spar-tac fu vinta per 3 a 0, ma la squadra di Acate fu aggredita dai cal-ciatori Gelesi. Orazio Agli da solo riuscì a mettere in fuga gli ag-gressori, la maggior parte dei calciatori acatesi era minorenne.

La gloria assoluta si ebbe nel campionato 1956/57, anno in cui la Juventina Acate fu la squadra più forte di tutti i tempi. Vinse il campionato con 12 vittorie, tre pareggi e zero sconfitte, prima in graduatoria contro squadroni di città blasonate : Avola, Modica, Ispica, Rosolini. Tra tutte, le due partite chiave furono contro l’ Avola. Acate e Avola per tutto il campionato marciavano affianca-te, divise da uno o al massimo due punti, con alterne vicende. Ad-dirittura l’Avola proveniva dai campionati maggiori semiprofessio-nisti e ad Acate perse col punteggio di 3 a 2 e così in casa propria, soccombendo al micidiale contropiede acatese. Tutta la squadra di-sputò una gara perfetta sotto la direzione del direttore sportivo prof. Salvatore Lantino, vecchia gloria della Lampo Acate : risultato fi-nale Acate batte Avola 4 a 1 e promozione in prima divisione della Juventina Acate.

Poi ancora crisi con campionati minori e intanto nascevano so-cietà minori tipo la “S. S Fiamma” che vinse il torneo provinciale giovanile portando a casa una grande coppa.

In questa squadra ricordo Totò Campagnolo, Aldo Liberto da Vittoria Saverio Cirmi.

La Fiamma Acate partecipò al campionato provinciale nella ca-tegoria superiore assieme ad un’altra squadra “la Stella Rossa”, ma ebbero una breve storia e di poco conto, poi fu fondata la “Libertas Acate “ in cui giocò Giovanni Buccheri.

Come dicevo fu una breve parentesi, perché si ricompose la Ju-ventina che partecipò al torneo estivo di Ragusa per la Coppa mons. Pennisi. In questo periodo vennero fuori altri talenti, tra tutti Gino Nicolosi con altri ragazzi che presto approdarono nella prima squadra. Altri campionati con successi alterni e tanta passione tra i tifosi che speravano il ritorno della gloria di alcuni anni prima.

Si disputarono campionati dignitosi sotto la presidenza di Ala-mia, direttore del banco di Sicilia di Acate, un palermitano che

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amava il calcio e che diede tanto per la squadra. Siamo ancora agli inizi degli anni 60. Alamia, volle me nella dirigenza con compiti di segretario, Alduccio Baglio e altri che contribuivano al buon anda-mento della squadra. Fu affrontato il campionato con calciatori lo-cali tra cui Gino Nicolosi e altri provenienti dalla vicina Caltagiro-ne.

Dal 1964 al 1969 fui assente da Acate, dopo la laurea e il servi-zio militare approdai in Piemonte in riva al lago Maggiore dove ini-ziai l’insegnamento nella Scuola Media.

Di quegli anni conosco poco o niente di Acate, i miei ricordi si fermano al 1963, ma al ritorno nell’ottobre del 1969 ritrovai la Ju-ventina Acate che partecipava al campionato di terza categoria. In-tanto nel 1968/69 la FIGC aveva riformato i campionati di calcio, non più come prima ma divisi in 5 categorie. Si partiva dal campio-nato provinciale di terza categoria a per approdare alle successive : prima, promozione ed eccellenza. Il campionato 1969/70 fu consi-derato anno di transizione e chi avrebbe vinto in terza categoria era promosso direttamente in prima.

La Juventina Acate nei campionati provinciali dettava legge, ma tra gli Acatesi c’era chi avrebbe voluto fare lo sgambetto fon-dando una nuova squadra e così fu.

Fui interpellato da amici che di calcio ne masticavano poco, ma avrebbero voluto formare una nuova società e così Alduccio Ba-glio, Iuzzo Fazio e un gruppo di amici fondammo la S. S. Acate che partecipò al campionato di terza categoria.

La SS Acate disputò un campionato di vertice con alle costole la locale Juventina, entrambe le squadre diedero spettacolo e succes-si. Nella Juventina giocavano due Ragusani dai piedi buoni , Na-poletano e La Terra mentre nella S. S. Acate furono ingaggiati gio-catori di gran classe, quali i gelesi La Cognata, Vizzini, Emanuel-lo e un nuovo talento locale Rocco Guarino. In quel periodo ad Acate risiedevano operai e impiegati della ditta CCC del Veneto per la costruzione della tubazione d’irrigazione del consorzio di bo-nifica, e tra questi un geometra dal nome Fornasier fu tesserato per la S. S. Acate. Era un calciatore di categoria superiore, diede spet-tacolo con le sue giocate. Nella partita decisiva giocò anche Tara-scio proveniente dal Siracusa. La squadra era fortissima e con un gioco ad alto livello. Vinse la SS. ACATE, ma il ricorso presentato dai cugini Juventini tolse tutti i punti per tesseramento irregolare

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del Fornasier. Chiuso il campionato con la vittoria a tavolino della Juventina, sorsero le difficoltà per la vincente ed io assieme ad al-tri amici mi feci promotore dell’unificazione delle due società, e così fu. Siamo nel 1970, anno in cui venne fondata la Polisportiva Acate : soci fondatori furono il Dr. Ignazio Albani, il fratello Dr. Emilio Albani, Giovanni Buccheri, Alduccio Baglio, Peppino Ba-glio ed altri, manca il mio nome perché per impegni non ero pre-sente presso il notaio per la sottoscrizione dell’atto costitutivo, ma mi considero a tutti gli effetti uno tra i soci fondatori. In un secondo tempo fui iscritto regolarmente tra i dirigenti presso la lega calcio, con diritti e doveri di un tesserato. La nuova squadra fu iscritta al campionato di prima categoria e disputò un campionato di scarso valore. Con vicende alterne, la Polisportiva disputò campionati sempre più in basso, ritornando alla terza categoria. Dopo assunse la presidenza Saverio Caruso che volle me come suo vice.

Juventina Acate , dopo il successo del campionato 1956/57

Foto Ricordo : Juventina campionato 1956/57

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I miei racconti

Negli anni successivi per liti interne tra i dirigenti a causa di una misteriosa cessione di alcuni calciatori ad altre società, Saverio si dimise ed io mi allontanai dal calcio per diversi anni. Non andavo nemmeno al campo sportivo e mi accontentavo della radiocronaca di una partita del campionato di serie A, seguendo i risultati della mia squadra il CATANIA.

Si disputarono campionati di terza categoria senza gloria e per anni la squadra non riuscì a iscriversi per mancanza di fondi e di entusiasmo tra i tifosi.

Siamo nel 1982 e nasce la Primavera Acatese che diventa un vero vivaio di calciatori in erba. Partecipa ai campionati dei pulcini, degli allievi e degli Juniores. Tra la fine degli anni 80 e l’inizio dei 90 gioca partite del campionato giovanile con squadre del circonda-rio tra cui il Comiso dove giocava Peppe Mascara, oggi stella del Catania. La primavera Acatese in tre anni dal 1989 al 1992, vince i campionati di terza e seconda categoria compresa la coppa Sicilia nel 1992 e fa il salto di categoria in prima. Nel mentre era riapparsa la Polisportiva Acate con Albo presidente ed io nella dirigenza, in due anni ci fu il salto dalla terza alla prima categoria e dalla prima alla promozione. Furono disputati campionati di vertice con squa-droni del calibro di Siracusa, Licata, Gela Akragas,

Modica e Cani-cattì. Dopo, ancora crisi e scivoloni sempre in basso per una rinascita che portò all’eccellenza col nome di Liber-tas Acate( titolo ac-quistato e poi ceduto al Modica).

Intanto nel 2006 la Primavera Acatese rinuncia al nome e di-venta Acate Calcio che è la squadra attuale di seconda categoria. Qui finisce il mio racconto, sperando che gli sportivi di Acate pos-sono arricchire le mie notizie frutto solo di ricordi, e che la storia del calcio di casa nostra non resti dimenticata.

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La squadra di Acate Calcio

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Il Calcio ad Acate dal 1948 ad oggi

N’Zino Iacono Iacono e Mezzasalma

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ACATE dal 1924 al 2008Politica, Podestà, Sindaci e Opere Pubbliche

BISCARI DAL 1924 AL 1938

I PODESTA’

Due anni fa, da presidente del Consiglio Comunale, mi occupai del nuovo arredamento della sala consiliare. Mi venne in mente di ri-portare in unico elenco da incorniciare per la sala, i nomi dei sinda-ci di Acate dal 1945 ad oggi. Debbo dire che le impiegate della bi-blioteca mi hanno consegnato un ottimo lavoro. Oltre all’elenco dei sindaci ho avuto i nomi dei podestà, in un elenco sommario a mo’ di appunti hanno scritto anche le opere realizzate da sindaci, pode-stà e commissari.

Penso che la storia amministrativa di Acate, anche se per sommi capi, sia interessante e utile al fine di capire non solo le lotte politi-che, ma soprattutto l’impegno amministrativo nel passato.

L’idea di scrivere un racconto sui fatti mi è balenata quando tra le mani ho avuto carte e fotografie del mio zio Avv. Vincenzo Bel-lomo ricordando anche i racconti di famiglia e qualche episodio vissuto personalmente.

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Acate dal 1924 al 2008

Da qui parte la descrizione di fatti e persone che hanno scritto pagine della nostra storia cittadina “ La Politica, i Podestà e i Sin-daci, e le Opere Pubbliche realizzate”. Incominciamo con i pode-stà e le opere realizzate a Biscari.

Durante il ventennio dell’era fascista, i partiti tradizionali, parti-to popolare, partito socialista e liberale, erano fuori da ogni attività, per via della dittatura che ne vietava ogni forma. All’inizio del se-colo scorso l’attività politica si reggeva sui partiti tradizionali, tut-tavia troviamo persone che dichiaravano di aderire a questo o quel-l’altro deputato, partecipano alle competizioni elettorali. Ad esem-pio c’era chi stava con l’on. le Cancellieri di Vittoria, con Campo-reale e con Carnazza. Insomma la vita politica era tranquilla e rego-lare nel rispetto delle regole democratiche e della deputazione di varia espressione politica. Tra i primi Sindaci di Biscari del 1900 furono Albani Ignazio (1905/1906), Di Geronimo Rosario apparte-nente al partito dell’on. Rosario Cancellieri, questi inaugurò il nuo-vo Circolo di Conversazione, il vecchio Caffè di Conversazione ed anche la villa Margherita. Poi troviamo Addario Luigi, il padre del poeta Carlo Addario, appartenente al partito degli on. li Camporea-le e Carnazza, che inaugurò la Società Operaia. Furono Sindaci : Berrafato Gaetano, fratello del Parroco Berrafato, il quale inaugurò il campanile della Chiesa di San Vincenzo e il lavatoio pubblico, Albani Giacomo detto Cincinnato perché amava il lavoro dei campi, inaugurò Piazza Umberto 1° e Via Umberto. Fu Sindaco an-che il dottor Vincenzo Manusia.

Nel 1921 inizio del ventennio fascista, a Biscari e a Vittoria ci furono scontri violenti tra fascisti e socialisti, scontri che spesso avevano conseguenze delittuose sia per le cose che per le persone. In un agguato notturno fu sparato un attivista fascista il quale con i suoi camerati si trovava in piazza, forse per controllare la situazio-ne, ma soprattutto gli odiati avversari chiamati sovversivi. Fu incri-minato un comunista che dal racconto della famiglia non aveva nul-la a che fare col delitto, un povero contadino. Mio padre nei suoi racconti sosteneva che a sparare fu un’altra persona appartenente alla piccola borghesia locale, che scappò emigrando all’estero. Tut-to questo era frutto del racconto delle mie zie Marietta e Giovanni-na, sorelle di Vincenzo Bellomo. Fu una storia triste e umiliante per l’allora Biscari, una pagina nera da dimenticare, ma da non cancel-lare.

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I miei racconti

Le Zie Giovannina e Marietta Bellomo con la loro MammaLe sorelle del Podestà Bellomo

Il mio padrino di battesimo, mio zio Giovanni Bizzarra mi parla-

va di scontri a Vittoria, lui era vittoriese e giovane fascista. Botte da orbi tra fascisti e socialisti, insomma il clima era violento tra il 1921 e il 1922. Dopo le acque si calmarono anche per la repressio-ne imposta dal regime.

Durante gli anni dal 1921 al 1943 governarono il paese i pode-stà, nominati dal regime. Per la verità storica è opportuno scrivere nel racconto le opere realizzate a Biscari sino al 1938, questo per-ché, anche se non si condividono i sistemi del fascismo sulle nomi-ne dei podestà e sul governo senza libertà e democrazia, le opere realizzate appartengono alla nostra storia, sono eventi e lavoro dei cittadini dell’epoca.

Pertanto per ogni Podestà riporto quanto trovato tra le carte del-l’archivio comunale. Un archivio che oggi difetta in ogni sua for-ma, è alla meno peggio e ciò per la mancanza di documenti.

Debbo ringraziare le dipendenti del Comune presso la biblioteca per gli appunti consegnatemi, frutto della loro ricerca. Notizie suf-ficienti sui Sindaci che ritengo di un certo valore storico, andando al di là del voluto per ciò che riguarda i podestà. Del secolo 1800

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Acate dal 1924 al 2008

non abbiamo nulla di importante o poca cosa relativa a qualche de-libera del Comune. Pertanto ricostruire la storia degli Acatesi non è facile per quei piccoli particolari della vicenda umana di una città che avrebbe diritto di una valida documentazione che rappresenti non solo il passato e il presente, ma soprattutto la sua continuità lungo il cammino della storia che appartiene alla sua gente. E’ una grave pecca di cui in tanti ne dobbiamo fare ammenda davanti ai giovani e per il futuro. Un problema da affrontare come primo atto per risollevare la città in termini culturali e di prestigio storico.

Ad esempio pare che nel luglio del 1860, da Biscari sia passata la colonna dei garibaldini con Nino Bixio. Ho desunto la mia con-vinzione dai racconti di famiglia a Niscemi, dalle notizie verbali di qualche mio collega niscemese e dal libro scritto da Marsiano su Tommaso Masaracchio rivoluzionario con Crispi e La Farina nel 1848 contro i Borboni. Qui non si trova nulla, molte carte, docu-menti del passato sono stati distrutti o mangiati dai topi anni fa. A Niscemi il Comune ha un archivio da fare invidia, tanto che tutti possono attingervi per conoscere la storia documentata del loro paese.

Tra il 1923 e il 1924 fu podestà l’avvocato Vincenzo Bellomo, primo cugino di mio padre ( la sua mamma Venere Oddo era sorel-la di mia nonna Maria ). Mio zio morì di polmonite nel 1940, ma di lui so tutto dal racconto della zia Giovannina Bellomo e dai miei genitori. Pertanto se scrivo tanto su di lui è per il fatto che le notizie sono più ricche e documentate, e anche perché fu Podestà di Biscari dal 1923 al 1938. Tutto sommato è una storia di famiglia, ma anche della sua Biscari.

Dai racconti so che lo zio governò con tanta umanità e impegno sino ai primi mesi del 1938. Era amico intimo di mio suocero Bia-gio Berrafato, compagni di gioventù che divisero gioie e ansie della giovinezza degli anni 20 e 30;qualche notizia l’ho avuto anche da mia suocera.

Fu un avvocato stimato in tutta la provincia. Negli anni in cui fu podestà a Biscari vennero le più alte personalità dello stato;Pre-fetti, alti ufficiali dell’arma dei carabinieri, funzionari della pubbli-ca amministrazione. Biscari era un comune di tutto rispetto. L’avv. Vincenzo Bellomo, per il suo ruolo politico, in provincia era tra i primi e i più stimati.

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I miei racconti

Biscari anni 20 costruzione dell’acquedotto

Avv. to Vincenzo BellomoPodestà di Biscari dal 1923 al 1938

Filippo Pennavaria dovette attendere anni prima di entrare nelle simpatie dei gerarchi regionali e nazionali. La zia Giovannina dice-va sempre che suo fratello era destinato ad una carica governativa, la stessa che poi andò a Filippo Pennavaria, ma che non ebbe per i giochi delle correnti, le stesse che poi nel 1938 lo destituirono dalla carica di podestà a favore di Mangano. Era un grande oratore, prin-cipe della dialettica sia politica che forense, umano con la gente,

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pagò per la sua bontà la mancata scalata nella carriera politica, ap-punto a favore di Pennavaria in provincia e di Mangano a Biscari.

Di solito si organizzavano al Comune feste danzanti e tra gli in-vitati il Prefetto e la sua signora che non mancavano mai. Questo era il racconto della zia sua sorella; diceva sempre che la figura del fratello era imponente, era molto affabile con gli ospiti d’onore. Raccontava visibilmente emozionata e con occhi commossi, parla-va e trasmetteva emozioni, una pagina della storia di famiglia e di Acate. Non furono solo anni di grande feste e ricevimenti di altissi-mo spessore per la partecipazione qualificata, ma anche anni di grandi opere, rimaste nella storia di Biscari del 900. Opere che de-terminarono la svolta verso il progresso urbano e le condizioni am-bientali e civili dei suoi cittadini. Dalle notizie d’archivio trovo il nome del podestà Vincenzo Bellomo accanto alle opere che ora cito : l’acquedotto, la fontana San Giuseppe, la luce elettrica, il campo sportivo, le scuole elementari, la palestra scoperta e la sala del cine-ma. Opere moderne e grandiose per l’epoca di riferimento, che non possono essere oscurate per il fatto che furono realizzate nel perio-do fascista e per il lavoro appassionato di un vero viscarano l’Avv. Vincenzo Bellomo ; ”che si dia a Dio quello che è di dio e a Cesa-re quello che è di Cesare!”. La Storia è verità e la verità non può essere adombrata per divenire storia dimenticata. Di tutte queste opere lo zio Vincenzo conservava minuziosamente le foto ricordo e qualche appunto.

L’acquedotto, realizzato negli anni venti tra il 1925 e il 1928, fu costruito con la condotta dalla sorgente Muti. Furono scavati a mano da semplici operai di Biscari le linee per i tubi da interrare lungo tutto il percorso di circa 21 Km. che assicurava al paese ac-qua per circa 5 litri al secondo. La spesa complessiva dell’opera fu di £. 2. 000. 000, un costo altissimo per i tempi in cui ci troviamo. Nello stesso periodo fu costruita in periferia, la fontana di San. Giuseppe. La corrente elettrica rivoluzionò le abitudini di Biscari, ebbe il costo £ 600. 000. Subito dopo fu aperta la sala del cinema presso il castello.

L’ edificio delle scuole elementari rientrava nel grande progetto del regime per la costruzione delle scuole in Italia, per incrementa-re la capienza delle aule e per la lotta all’analfabetismo. Il nostro edificio di via Duca D’Aosta è una delle tante pagine storiche del-l’architettura nazionale.

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Giuseppe ManganoPodestà di Acate dal 1938 al 1943

Biscari anni 20 Scuole Elementari

Per il cinema fu scelta la sala a destra del castello entrando dal portone principale. La palestra scoperta attaccata alle scuole ele-mentari “ Capitano Puglisi” fu fatta con tutti gli accorgimenti, compreso il fossato con sabbia per il salto in alto e in lungo, la mu-raglia per la vedetta. Qui si svolgevano i raduni del sabato fascista dei balilla e dei lupetti. Il monumento ai caduti fu inaugurato nel 1928 con una festa grandiosa. Già nel 1924 fu formato un comitato di cui presidente fu l’avv. Vincenzo Bellomo, per i preparativi del-l’evento e Carlo Addario fu incaricato di scrivere dei versi. Il poeta

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Acate dal 1924 al 2008

acatese compose l'inedito poemetto, bellissimo e poetico, triste e romantico“ Il calvario di Una madre” la cui presentazione fu cura-ta da mio zio Vincenzo che scrisse un suo commento “a mò di pre-fazione”. Per la scultura marmorea del monumento fu dato incarico al catanese Condorelli che creò l’opera oggi nella villa comunale. Tra le carte, oltre a storiche foto dell’epoca che inserisco in questo racconto, ho trovato il libretto stampato del poemetto. In verità ne trovai una certa quantità tanti anni fa, una parte l’ho distrutta tratte-nendo una decina di copie, alcune delle quali le ho regalato ad ami-ci.

Il Poeta CARLO ADDARIO

Poi, riflettendo e rileggendo mi sono accorto del suo valore sto-rico e poetico, parlandone con mio fratello si decise la riproduzione per gli amici e per amore della storia locale. Questo lo abbiamo fat-to soprattutto per la storia di Acate. Oggi ne conservo alcune copie per qualche giovane che volesse leggere e apprezzare la lirica di un poeta locale. Credo che sia opportuno da parte mia anticipare scri-vendo il primo capoverso che dice :“Ai guizzi tremulidi una velata lampada d’azzurro evanescente, la povera Maria al sonno il cigliochiude sì dolcementeche – ne la dolce posa –labbro su labbro, cuore su cuore de l’inferno figlio sta. Sogna! la madre, e le sogghigna il nulla!

ecc. ecc…Il monumento è una scultura in marmo impiantata nella villa co-

munale. Dopo poco più di tre anni tutto era pronto nel 1928 per la

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I miei racconti

sua inaugurazione. Dalla foto originale dell’evento si legge Biscari 4 novembre 1928 anno VII ( anno VII° del ventennio). E’ una foto storica che donerei solo al Comune qualora si desse via a un museo fotografico della Biscari del 1900. Si tratta di un documento unico come le foto dell’inaugurazione del nostro acquedotto. La ce-rimonia dell’inaugurazione di cui ho la foto con il vescovo che be-nedice il monumento dà testimonianza di un evento eccezionale.

Una cerimonia sontuosa com’è stato raccontato, con tutte le au-torità più importanti della provincia e grandi discorsi celebrativi.

Biscari 4 novembre 1928 : inaugurazione Monumento ai Caduti

Dopo, nel 1938 fu nominato podestà Giuseppe Mangano e tra i primi atti quello del cambiamento del nome da Biscari in Acate, con argomentazione a mio parere campate in aria, ma con la frene-sia che i giovani fascisti dell’epoca incorporavano verso il nuovo che l’era fascista portava. Qui sicuramente ebbe un ruolo importan-te Carlo Addario per le sue convinzioni in merito alle origini della città. Infatti dopo alcuni anni pubblicò il suo scritto “Passeggiate Storiche” dove sostiene le sue tesi, smentite in altra pubblicazione del prof. Virgilio Lavore tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli 80.

Tra i podestà degli anni 30 troviamo anche un certo Agosta Sal-vatore, di professione Amministratore Generale del feudo del prin-cipe di Biscari.

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Acate dal 1924 al 2008

Fontana di San Giuseppe Monumento ai Caduti

Biscari anni 20 Palestra scoperta

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Biscari anni 20 Scuola elementare vista dall’interno della palestra

BISCARI anni 20 inaugurazione acquedotto

Biscari anni 20/30 palestra coperta vista dall’esterno

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Acate dal 1945 al 1970Politica, Sindaci ed Opere realizzate

Nel luglio del 1943 con lo sbarco degli americani in Sicilia Acate viene occupata, e il 3 settembre 1943 è firmato l’armistizio a Cassi-bile, reso pubblico l’8 settembre. Inizia la ripresa della vita normale in ogni settore, e così dopo alcuni mesi anche la politica ricomincia il suo cammino verso le elezioni.

Tra i documenti troviamo che Petino Luigi, Interi Francesco e Salvatore Pollicita furono i primi ad essere chiamati per la nomina di sindaco. Petino Luigi svolse un buon lavoro di governo, trovia-mo scritto infatti, accanto al suo nome, i cantieri di lavoro che oc-cuparono braccianti e sistemarono alcune strade del centro abitato. Interi Francesco continuò l’opera di rifacimento di alcune strade urbane con altri cantieri di lavoro, dando lavoro ai disoccupati. Sal-vatore Pollicita governò Acate, nell’immediato dopo guerra, con tutti i problemi che scaturivano dalle macerie per l’evento bellico. Cercò di mettere in moto la macchina amministrativa, assumendo personale locale al fine di coprire i settori vacanti o da migliorare. All’epoca era in piena funzione l’ufficio del dazio, ma si volle am-pliare il servizio tributi e quindi fu istituito l’ufficio tasse e tributi per cui venne chiamato mio padre che lo diresse per 9 anni. Di ope-re non troviamo nulla o poca cosa, tuttavia fu riavviata egregiamen-

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I miei racconti

te la macchina amministrativa del Comune. Pollicita durò in carica poco tempo.

Intanto i partiti si organizzavano, ci fu il ritorno dei socialisti, dei comunisti e dei popolari che poi fondarono la D. C. . Dopo i moti, “Non Si Parte” del 1945 , un capitolo che brillantemente don Rosario Di Martino ha scritto, nel 1946 si svolse il referendum per la Repubblica.

Il 3 ottobre 1945 Pollicita non è più sindaco per dimissioni vo-lontarie, sicuramente per il fatto che da mesi aveva subito attacchi e scritte avverse sulle mura della Chiesa e di case private. Piuttosto ironica ed offensiva, divenuta poi famosa, fu la scritta murale : “Turi Dimettiti!. . quella sedia non è adatta al tuo C…Sedere!!!. . . . ”. I responsabili delle scritte furono alcuni giovani fascisti che contestavano la nomina di un cattolico, le stesse persone che, assie-me ai comunisti, furono protagonisti del movimento “NON SI PARTE”. Scritte arroganti e pretestuose, nonché ingiuriose contro una persona corretta e moderata. Pollicita fu per tanti anni presi-dente degli uomini cattolici di Acate, un popolare cattolico senza ambizioni di potere e di carriera, era un benestante proprietario ter-riero timorato di DIO. Al suo posto il 17/01/1946 fu nominato il commissario prefettizio Colombo, collaborato attivamente e con ot-timi risultati da Francesco Salemi.

Gli subentra Petino Francesco, ma dopo tre mesi, per la preci-sione, l’11/04/1946 non è più a capo del Comune, quindi le elezioni comunali.

In quegli anni del dopo guerra, a seguito della svalutazione della lira, circolò la moneta di occupazione. Infatti la lira, dopo lo sbarco degli americani, fu svalutata per ovvi mo-tivi d’inflazione, fu data libera circolazione alla lira d’occupazione sotto il controllo de-gli americani, sino alla normalizzazione della situazione monetaria. Ricordo un cinque lire cartaceo, colore verde e di dimensioni me-die, il cui valore doveva aggirarsi tra le 5 e le 6 mila e forse più. Per la scarsa disponibilità di generi alimentari, viene aperta una sezione

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Salvatore PollicitaSindaco anno 1945

Francesco InteriSindaco di Acate

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Acate dal 1945 al 1970

dell’UNRA, ente assistenziale creato dal governo dell’epoca col pa-trocinio dell’America, diretto dalle prefetture per la distribuzione di farina, zucchero, latte in polvere, piselli e legumi secchi, insomma generi di prima necessità. Fu aperta presso i locali dell’ex ECA di via Duca D’Aosta, a dirigere la sezione comunale fu preposto il mio papà , impiegato comunale, con nomina del direttore provin-ciale, collaborato dal vigile urbano Giovanni Cammarana e l’im-piegato comunale Paolo Guttadauro. Nel periodo estivo spesso vo-lontariamente mi trovavo presso l’ECA e ricordo che tanta gente si recava presso l’UNRA per ritirare i generi alimentari assegnati alle famiglie. Fu in quegli anni che i ragazzini figli della guerra sco-primmo oltre al latte in polvere anche il latte condensato dolcifica-to, una delizia !!!. Dopo, quando la situazione si normalizzò, il latte lo si comprava dal lattaio che con le sue capre lo mungeva davanti casa. Tutto questo ci dice di quanto era difficile governare un Co-mune con tutti i suoi problemi scaturiti dalla guerra. Eppure furono anni di ottimo governo e la politica era di sana competizione anche se con accesi dibattiti nelle piazze.

Socialisti e Comunisti si organizzarono in coalizione, il cosid-detto “Blocco del Popolo” con simbolo la “testa di Garibaldi”, dal-l’altro fronte i popolari della D. C. e quanto restava dei monarchici senza un partito. Molta gente pur non condividendo politicamente la sinistra votò per il blocco. Uno dei maggiori sostenitori del bloc-co era Salvatore Mazzarino, socio amministratore della locale Cassa Rurale con Paladino, Stracquadaini, Interi ed altri furono forti sostenitori della sinistra. Durante il periodo elettorale trovan-domi a casa di mia zia Giovannina Bellomo, venne Mazzarino con dei fogli per la propaganda. Fu ricevuto nel salotto e dette istruzioni come votare per la lista, io da ragazzino curioso ascoltavo e guarda-vo “Garibaldi”. In famiglia tutti votarono per il blocco del popolo per l’amicizia che la legava a Mazzarino, vecchio amico di Bello-mo.

Siamo credo nel 1946, vinse il blocco del popolo, il rag. Vin-cenzo Paladino viene eletto dal consiglio comunale Sindaco di Acate, carica che detenne sino al 1950. Intanto il 18 aprile 1948 si svolgono le prime elezioni nazionali del dopo guerra. Fu una com-petizione accanita e incerta tra “la Sinistra Unita” e la D. C. Tutti furono coinvolti, anche i ragazzini, si mobilitarono i cittadini e le organizzazioni cattoliche e comuniste. Frequentavo la quinta classe

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I miei racconti

elementare, avevo 10 anni, ricordo il mio maestro, era un supplen-te, cattolico che ci parlava del pericolo comunista e invitava tutti a parlare con i genitori per votare la D. C. Vinse la D. C. .

Durante il mandato di Paladino sindaco furono realizzate molte opere pubbliche : la via Cavour, la via Marconi, Via Carmelo e le piazze F. Crispi e San Vincenzo, opere di ricostruzione con i nuovi metodi di pavimentazione (asfalto). Paladino iniziò i lavori della rete fognaria del centro urbano, fece costruire il cancello del cimi-tero a fianco del campo sportivo, separando il viale dallo stradale. Prestò attenzione alla disoccupazione locale istituendo un cantiere importante nelle campagne in contrada Salaceto, il cosiddetto can-tiere di Cacaporte. Un cantiere oggetto di tante polemiche e che durò diversi anni per la costruzione di una strada interpoderale che collega ancora la statale 115 con le contrade verso il mare. Lo stes-so cantiere fu ripreso dall’amministrazione Mezzasalma e fu l’ar-gomento più discusso nella campagna elettorale del 1952 : non c’e-ra comizio che non trattava il cantiere “ Cacaporte”.

La rete fognaria di cui ricordo i lavori nel-le vie del centro storico e in particolare del quartiere San Vincenzo, scavi profondi e grossi tubi di terracotta, determinò una vera svolta nel campo igienico locale. Negli anni antecedenti rifiuti da fogna venivano raccolti da una botte alla cui guida c’era un operaio detto “Meno a vutta” (a vutta = la botte), e scaricati poi in aperta campagna.

Intanto furono aperte nuove sezioni di partito : il M. S. I. aprì la sua sede, ed anche il partito monarchico, nacquero insomma le sezioni politiche dei partiti della Repubblica,

così il blocco si divise in partito socialista e partito comunista, i cattolici nella D. C. . Ci furono accese campagne elettorali regiona-li e nazionali, e i comizi in piazza ebbero successo, specie in occa-sione delle elezioni comunali. Avevo poco più di 13 anni e già mi avvicinavo alla politica attiva, siamo nel 1952 e a giugno si doveva rinnovare il consiglio comunale e il sindaco. Furono presentate due liste : quella del blocco del popolo e quella della D. C. : la prima un miscuglio tra P. C. I. , P. S. I. , monarchici e missini , la seconda

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Vincenzo MezzasalmaSindaco di Acate (1952)

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Acate dal 1945 al 1970

quella dei cattolici e qualche liberale. Ancora quattordicenne ho ascoltato tutti i comizi dei candidati, Il col. Interlandi per la DC e il Prof. Vincenzo Mezzasalma per il blocco del popolo erano i due capi lista destinati alla carica di sindaco. Fu una campagna elettora-le accesa e affascinante, la folla ascoltava i comizi di Aurelio Leo-ne, Mezzasalma , Giovanni Livia, e di Interlandi con grande parte-cipazione emozionale. Addirittura donne, uomini e ragazzi portava-no le sedie da casa. Vinse la lista del blocco e Mezzasalma fu eletto Sindaco, ma una crisi politica provocata dai comunisti convinse il prof. Vincenzo Mezzasalma a dimettersi dalla carica e così il Co-mune fu commissariato.

Il Sindaco Mezzasalma diede inizio a due opere pubbliche di una certa importanza : la Scuola di avviamento professionale, oggi scuola media, l’ufficio di collocamento e il progetto di demolizione e costruzione del palazzo municipale, opere che furono completate dai sindaci o dai commissari prefettizi che seguirono. Affidò il di-segno per la progettazione del belvedere di piano San Vincenzo, allo scultore Giovanni Cilio che lo realizzò. Tra il 1952 e il 1954 fu demolito il vecchio “Tunnu di S. Vincienzo” ormai obsoleto e molto basso, e costruito il nuovo belvedere secondo il disegno di Cilio.

Si tratta di un’opera ambiziosa , bella e utile, che avrebbe dovu-to rilanciare il quartiere con le due terrazze tra le scale che portano in basso sullo stradale per Caltagirone. Doveva essere un punto di riunione e svago per i cittadini tra il verde e i fiori sistemati nel luo-go, arricchito di panche e impianto elettrico d’illuminazione.

Questa era l’idea e il progetto dell’amministrazione Mezzasal-ma, ma rimase opera incompiuta, come altre. Siamo tra il 1954 e il 1955 quando una crisi scoppiata all’interno della maggioranza por-tò alle dimissioni Mezzasalma e nel 1955 fu Sindaco Giuseppe Pin-navaria e così nel 1956 si svolsero le nuove elezioni per il Consi-glio Comunale. Intanto il M. S. I. lasciò la coalizione del blocco del popolo alleandosi con la D. C. , mentre il Partito Monarchico Po-polare di Lauro restò nella coalizione. Ci furono diverse trattative per portare il M. S. I. (all’epoca segretario del partito era mio fra-tello Nino) nella lista del blocco, ma tutto fu vano. Fallirono le trat-tative per riportare a destra i monarchici, e furono presentate due liste, il blocco con i monarchici dal nome “ Bilancia- Giustizia e Libertà” e la D. C. con il M. S. I.

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I miei racconti

Per la D. C. capo lista fu Biagio Berrafato e per la Bilancia Au-relio Leone.

Vinse la lista Bilancia e Aurelio Leone fu eletto Sindaco, poi la rielezione nel 1960. Durante il suo mandato, Leone realizzò alcune opere importanti : la pavimentazione di Corso Indipendenza, Villa Garibaldi e successivo impianto d’illuminazione, la costruzione del nuovo palazzo municipale, nonché cantieri di lavoro e sistemazione di strade del centro urbano.

Il nuovo palazzo del municipio fu progettato dall’arch. Mancini di Comiso. Un progetto ambizioso, moderno e piuttosto pratico per la funzionalità dei servizi pubblici del paese. Erano previsti 3 piani : piano terra, primo e secondo piano, il tutto per centralizzare tutti gli uffici di Acate , compreso l’Ufficio postale, l’Ufficio del dazio(allora vigeva il dazio per l’uva da mosto e altri prodotti pro-venienti da altro Comune) ed Esattoria. Fu necessario procedere al-l’esproprio delle case circostanti e quindi sparirono le sale da barba e qualche casa privata. Successe che i fondi per la costruzione furo-no insufficienti e dopo la demolizione fu realizzato un palazzo monco, incompleto. All’epoca tutti erano entusiasti della progetta-zione, ricordo che mio padre a casa ne parlava con passione, addi-rittura portò a casa una bozza del progetto per farcelo vedere. Pur-troppo è ancora un palazzo incompleto, nel bel mezzo di una piazza dove c’è un castello la cui architettura è in netto contrasto con lo stile moderno ideato dal Comisano Mancini. Ad ogni modo, le ope-

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Vincenzo PaladinoSindaco di Acate

Giuseppe StarcqadaneoSindaco di Acate

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Acate dal 1945 al 1970

re di questi anni 50 furono importanti e direi in perfetta armonia con le esigenze della città che cresceva, in termini economici e in termini demografici. Nel 1960 le liste elettorali ancora due: da una parte la D. C. e dall’altra la sinistra alleata con il Sindacato Cattoli-co ACLI, lista “mani unite”. In un certo senso “la Chiesa” con il Parroco Caruso appoggiava la sinistra. Vinse la lista mani unite: Leone è Sindaco, ma una crisi all’interno della maggioranza lo portò alle dimissioni in data 27/12/1960. Giuseppe Stracquadaino viene eletto sindaco il 18/06/1961 e si dimette il 30/09/1962, subito dopo in data 1/10/1962 viene eletto Sindaco Giombattista Traina ex DC approdato nel PSI. Nel 1964 si vota con il sistema propor-zionale, il M. S. I. presenta la sua lista. La sinistra si presenta divisa con le liste di PSIUP, P. S. I. , P. C. I. . Nel dicembre del 1964, dopo una travagliata vicenda per le due defezioni dalle file delle ACLI/PSI e del PCI, nonché l’eletto nella lista del PSIUP, viene raggiunta una maggioranza con la DC e il MSI, quindi anomala, un ribaltone che porta Rocco Pisa ad essere eletto Sindaco. Dal 1964 al 1972 tutta la politica fu caratterizzata da colpi di scena con pas-saggi da una sponda ad un’altra. Liti tra persone e personaggi con una visione personale della politica lontana dalle proprie regole.

Troviamo poche opere realizzate e crisi a catena con gestioni commissariali che verso la fine degli anni 60 non furono affidate a funzionari regionali, ma anche a politici democristiani o socialisti che poi si candidavano per la carica di sindaco.

Infatti in questo periodo, con vicende più o meno tribolate, la politica locale accentua la contrapposizione sia all’interno dei parti-ti che con gli avversari, producendo liti e spaccature. Clamorosa fu quella all’interno della DC che si spaccò in due gruppi, determinan-do l’uscita dal partito di democristiani accaniti, Gaetano Campa-gnolo e Alduccio Baglio.

Furono eletti sindaci nel 1966 ancora Aurelio Leone per pochi mesi, Catania Vito dal 30/05/1967 al 04/12/1968, Baglio Giuseppe dal 02/05/1969 al 30/09/1972, Lantino Vincenzo dal 04/04/1973 al 26/06/1974, Salemi Giovanni dal 04/10/1975 al 1984, Raffo Fran-cesco dal 1985 al 1990 e dal 1990 al 1992, Caruso Giovanni dal 1992 al 1993 e dal 2003 al 2008 , Masaracchio Gaetano dal 14/02/1994 al 28/05/1998, Battaglia Maria dal 28/05/1998 al 28/05/2003, Caruso Giovanni dal giugno 2003 al 15/06/2008 l’at-tuale Sindaco.

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I miei racconti

Acate il municipio prima della demolizione negli anni 60

Tutto quanto scritto in questo racconto è frutto di ricordi e di qualche documento per quanto riguarda il podestà Bellomo, pertan-to possono esserci dati non del tutto esatti, ma quello che conta è il contenuto reale dei fatti. Credo che quanto raccontato sia in linea con la realtà politica degli anni descritti e che possa essere utile a chi legge.

Giuseppe BaglioSindaco anno 1970 Vito Catania Sindaco

anno 1967

a sinistra Aurelio Leonecon l’Assessore Giuseppe Mezza-

salma

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Acate - La Settimana SantaLa Quaresima

Acate 1981: Processione al calvario

Questo racconto se da un lato rinverdisce nella mente degli anziani la tradizione della Settimana Santa, dall’altro vuole fare conoscere ai giovani un rito non solo religioso, ma anche popolare del paese. Un rito che si ripete ogni anno secondo una tradizione ricca di eventi e di manifestazioni. Oggi molti aspetti salienti delle manife-stazioni sono cambiati, ma restano ancora gli stessi sentimenti, gli stessi valori culturali e di fede tramandati da secoli di storia cittadi-na, vanto e orgoglio di Acate. Una Tradizione che è vera cultura di una Comunità Cristiana e custode dei valori umani contenuti nelle storie della Settimana Santa.

Tutte le tradizioni popolari di Acate si manifestano con le feste religiose, tramandate negli anni secondo le consuetudini radicate nella gente. In questo nostro tradizionale manifestare, credo ci sia qualcosa che ci avvicina alle tradizioni Spagnole. Infatti non a caso nel passato, in occasione delle feste solenni dei nostri Santi, veniva-no esposti dai balconi e dalle finestre i migliori tappeti, nonché len-zuola ricamate di finissimo lino o filo di Scozia. Processioni e par-tecipazione di tanta gente a seguire i Santi per le vie cittadine. Così è stato ed è ancora per le feste di San Giuseppe, di San Vin-

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I miei racconti

cenzo, della Madonna del Carmelo, della Madonna delle Grazie, di San Biagio e della Santa Bambina celebrate con solennità sia in Chiesa che per le vie urbane. Alcune di queste si sono perdute, altre sono state radicalmente cambiate e direi che hanno perduto la loro originalità popolare, tra tutte la processione del Giovedì Santo.

La Settimana Santa, a parte la festa di San Vincenzo, è stata ed è ancora la più sentita e la più intensa per un rito religioso altamente mistico sia in Chiesa che nel Paese. Qui siamo al massimo della partecipazione popolare. Riti religiosi che ogni anno si rinnovano con la stessa dedizione e con lo stesso spirito organizzativo fanno della Settimana Santa un solenne appuntamento per la Festa di no-stro Signore. Perché di festa si è sempre parlato e non di morte!.

Il racconto parte dal periodo quaresimale che dopo 40 giorni di riflessioni e astinenza chiude la Settimana Santa. Subito dopo car-nevale, a partire dal mercoledì delle ceneri, la Parrocchia si mette in moto con tutta la sua struttura per celebrare i riti religiosi in Chiesa, e così è stato da sempre negli anni. Durante i 40 giorni del-la quaresima tutti i giovedì, nelle ore serali, un tempo suonava la campana della Chiesa Madre per alcuni minuti. Erano suoni a mor-torio : “i tocchi del giovedì”. Donne, uomini con i familiari usciva-no sui marciapiedi e accendevano una candela o un lume a petrolio. Pregavano in ginocchio sul gradino della loro casa. Ai bambini rac-comandavano di stare zitti e in ginocchio perché passava Gesù. Tutte le case erano al buio, si spegnevano le luci e i tocchi avevano una durata di pochi minuti. Improvvisamente le strade erano nel si-lenzio assoluto. I passanti stavano zitti, fermi a contemplare misti-camente l’evento. Tra il silenzio serale, i profumi primaverili della vallata e i tocchi della campana, si era partecipi ad un evento misti-co da fare accapponare la pelle. In tutti affiorava un sentimento profondo che entrava nelle vene con emozioni forti e vere. La pre-ghiera era breve e intensa…passava Gesù!!! …Nostro Signore!!!. Tutto questo solo il giovedì. Viene spontaneo chiedersi “ perché il giovedì e non altro giorno della settimana?” Una sola è la risposta più plausibile : il giovedì è il giorno che precede la crocifissione, ma è anche giorno di passione e di flagellazione del Signore. Que-sta è una tradizione antica tramandata da padre in figlio fino agli anni 50. Un rito di contemplazione e di fede in Gesù Cristo. Oggi non c’è niente di tutto questo. Eppure i riti del Giovedì Santo si ce-lebrano ancora oggi, ma diversi dal passato e si anticipano al mer-

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Acate – La settimana Santa

coledì. E’ così che manca la tradizione del Giovedì e della quaresi-ma.

Una tradizione della gente e della Chiesa locale che ha voluto scegliere un momento di preghiera solenne con lo scopo di coinvolgere l’intera popolazione con i tocchi della campana. Sento ancora il suono lugubre e solenne, un sentimento di fede che entrava anche nell’animo dei bambini in ginocchio. Credo che questa tradizione antica, oggi merita attenzione e riflessione su come i nostri padri ad Acate abbiano onorato e venerato la setti-mana Santa. La continuazione di eventi legati alla Settimana Santa ci spiega l’at-taccamento degli acatesi alle processioni del Giovedì e del Venerdì Santo, da seco-li tradizione VISCARANA.

Durante la quaresima era ospite di Acate un prete o un monaco per le prediche pastorali quaresimali. Era assegnato dalla Diocesi e si fermava stabilmente in paese sino al lunedì di Pasqua. Non man-cavano quelli che, affascinati dai luoghi e dall’ospitalità acatese, si fermavano ancora per qualche settimana. Predicavano dal pulpito, illustravano le Parabole del Vangelo. La Chiesa era sempre colma di fedeli, tutti erano affascinati dall’oratoria del padre predicatore.

Man mano che la Settimana Santa si avvicinava, le prediche era-no più intense e più interessanti per i temi che di volta in volta ve-nivano illustrati come dei racconti affascinanti e travolgenti.

Le prediche tradizionalmente più commoventi e più seguite era-no : Il Figliolo Prodigo, e quella del Giovedì Santo La Morte e Passione di Cristo “i sette parti”.

In quelle sere la folla traboccava dalla Chiesa, tanta era la gente di ogni età. Addirittura molte persone nel primo pomeriggio anda-vano a legare le sedie o le portavano da casa, lasciando i bambini a custodire i posti a sedere, tuttavia tanti rimanevano in piedi, davanti al portone e persino nel davanzale della Chiesa. Può sembrare esa-gerato, ma era così alta e chiara la voce del

predicatore che arrivava bene alle orecchie dei fedeli. Tutti i riti e le prediche si svolgevano nella Chiesa Madre.

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Ignazio Di Marco Parroco di Biscari

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I miei racconti

Acate Venerdì santo Incontro tra l’Addolorata e Gesù

Acate Venerdì Santo 2009

IL GIOVEDI SANTO

Giorno solenne dedicato a Cristo alla Colonna. Intorno alle 10, 30 del mattino suonavano le campane della Chiesa Madre per chia-mare a raccolta i fedeli, si celebrava la funzione solenne che porta-va alla chiusura del Tabernacolo del Sepolcro, allestito ai piedi del-l’altare centrale di una delle due navate laterale della Chiesa Ma-dre. Ad un bambino, mi pare di anni 8 o 10, si davano in custodia le

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Acate – La settimana Santa

chiavi del Tabernacolo. Per 3 giorni le portava appese ad una pic-cola stola di stoffa ricamata appositamente e di colore bianco.

Nel momento in cui il tabernacolo si chiudeva a chiave, suona-vano le campane del paese per l’ultima volta e così restavano mute sino al sabato successivo.

Il sacrestano, ricordo don Pietro Occhipinti e Vincenzo Carelli detto “trulla la la”, sbatteva la cosiddetta “truoccola”. Era un ag-geggio di legno a più facce che sbattevano l’una contro l’altra con un suono sordo. La “truoccula” avvisava l’ora del mezzogiorno, la sera all’AVE Maria e per le funzioni in Chiesa. Si soleva dire che le campane venivano legate “attaccati po’ Signuri a Cruci!”

Nel pomeriggio, poco prima del tramonto, il Cristo alla Colonna portato a spalla lungo il corso andava verso la Chiesa Madre. Du-rante i riti e la predica in Chiesa, a cura del Comune si distribuiva-no le torce per la processione della sera. Erano le mitiche “sciacca-re” fatte di “cannizzuolo” o erbacce indurite e di spessore robusto che facilmente si trovavano nelle campagne di contrada Baudarello o addirittura lungo le rive del lago Biviere. La sera il Cristo alla Colonna si accompagnava verso il Calvario e da qui alla sua Chiesa del Carmelo. Era una solenne processione di fedeli che seguivano la statua. Cristo alla Colonna, portato a spalla e preceduto da una lunga processione in due file parallele ai lati della strada, procedeva verso il Calvario. Tanta gente con in mano le sciaccare accese si disponeva in processione con fede e devozione. Uno spettacolo commovente e in una sera primaverile che ti entrava nell’anima gonfia di commozione. Lungo il Corso Indipendenza si poteva assi-stere ad una tra le più suggestive processioni religiose, che non ave-va pari nei paesi dove si celebravano gli stessi riti e le stesse tradi-zioni. Partecipava tutto un Popolo e quelle torce naturali con la fiamma che sprizzava luce e dolore per il Cristo alla Colonna, da-vano l’idea della solennità di un rito che nei secoli ad Acate è stata tradizione popolare, forse più del Venerdì Santo, una tradizione unica, mai reclamizzata e mai conosciuta per una sua meritevole valorizzazione. Sono convinto che se oggi i giovani avessero la for-tuna di viverla, ne rimarrebbero incantanti con le lacrime negli oc-chi. Tutto questo è accaduto nel 1976 allorquando fu riproposta su mia iniziativa, grazie al lavoro di tanti braccianti cacciatori di cui ero Presidente. Allora fu commesso un grave errore e di questo ne faccio ammenda, non rimase alcuna documentazione di quella sera,

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I miei racconti

che illuse me e altri per il fatto che ci era sembrato l’inizio di una riscoperta e quindi la riproposizione di una tradizione antica forse quanto è la terra di Acate.

Acate 2009 Processione del Pomeriggio

Acate Venerdì Santo 2009

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Acate – La settimana Santa

IL VENERDI’ SANTO

Nella giornata del venerdì, la processione del mattino, i riti litur-gici in Chiesa, il dramma dei sette parti e la processione della sera si rinnovano come nel passato. In un certo senso tutto è rimasto come una volta, ma c’è una differenza sostanziale in merito alla processione della sera e alla recita del dramma. Alle ore 11 del mattino Gesù Cristo, con la croce sulle spalle, esce dalla Chiesa Madre e preceduto da una lunga processione di fedeli va verso il Calvario. E’ un’antica tradizione che di anno in anno si rinnova con le stesse modalità : canti, incontro con la Veronica e con l’Addolo-rata, poi sul Calvario dove viene inchiodato alla croce in attesa del pomeriggio.

Per la custodia dell’abito della Veronica e delle damigelle ac-compagnatrici se ne occupa la famiglia Polizzi Meli. Si tratta di un’antica tradizione curata ogni anno nei minimi particolari e tra-mandata da padre in figlio. Infatti la famiglia Stornello Meli prepa-ra l’evento con devozione e precisione. Cura la custodia degli abiti

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Acate 1981 La processione del Venerdì Santo

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I miei racconti

e del lenzuolo, e si occupa di preparare la Veronica. Tutto questo da parecchi anni sin dal secolo 1800 e sempre con la stessa fede.

La famiglia di don Maso Stornello, proprietario di carrozze , ha gelosamente custodito la tradizione. Oggi è la signora Carmela Meli Polizzi, la nipote di Tommaso Stornello la quale con cura, fede e passione non solo custodisce gli abiti, ma provvede a tutta la cerimonia della Veronica, dai vestiti alla processione per l’incontro

con Cristo Gesù. Pensate quanto

è antica la tradi-zione, direi unica e che fa onore a tut-to il paese per la conservazione ge-nuina di un rito così toccante e bello. Nessun’altra Città può vantarsi di questo. Ne parlo con entusiasmo perché nel 1981,

lottavo con una fastidiosa e seria malattia. Presi in braccio a fatica la mia figliola Ombretta, la Veronica di quel Venerdì Santo. Ho vissuto momenti di altissime emozioni solo a guardare Gesù e la mia bambina mentre asciugava simbolicamente il sudore dal viso di Cristo.

Era come se mi parlasse e mi dicesse:” stai tranquillo, non mo-rirai! Tu ancora sei utile!!!” Sono sensazioni che si portano den-tro specie dopo un’esperienza di paure e di sollievi per il pericolo scampato.

I momenti più toccanti, più interessanti e più commoventi erano comunque quelli delle ore pomeridiane, in attesa della recita dei “Sette Parti. ”

Infatti nello spazio del calvario cosiddetto “i tri cruci”si svolge-va la recita del dramma. Purtroppo è stato distrutto il promontorio che si affacciava sulla vallata sottostante, ricca di verdi mandorleti, vigneti, ulivi e aranceti. Uno spettacolo di colori e di profumi fre-schi che in primavera alleviavano la commozione del Venerdì San-to.

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La Veronica con le Sorelle Meli, le nipoti di Stornelloda sinistra:Carmela Meli, Giuliana Arezzi e Rosalia Meli

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Acate – La settimana Santa

Acate Venerdì Santo 2009 la Veronica si Prepara per l’incontrocon Gesù Cristo

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I miei racconti

Acate Venerdì santo 2009, la Veronica asciuga il Viso di GesùLa mia nipotina Giuliana Arezzi

Di solito si costruiva un palco con legname, travi e una scala per

salirvi sopra. Tanti volontari, tra i quali don Ciccino Berrittella, si offrivano per la costruzione. Sotto si sistemavano le donne che pre-gavano e vegliavano, non lasciavano un solo minuto il Cristo in Croce.

Assieme alle pie donne pregavano e cantavano anche gli uomini. Tutti con fede e devozione cantavano a più riprese antichi canti po-polari siciliani. Tra questi un canto del tutto particolare e bellissimo “MARIA PASSA”, la madonna in cerca del figlio Gesù. L’Addo-lorata passa per una strada mai vista, e lì vede un falegname che lavora una croce, Lei lo implora a non farla. Un la mento funebre che ti va dentro e ti rende partecipe ad un rito da fare accapponare la pelle. Ai tempi di Radio Leader con un gruppo di vecchietti, ca-peggiati da don Ciccio Sallemi, registrai il canto, ma oggi non rie-sco a rintracciare la cassetta, ma ho i versi che scrivo qui di seguito:

MARIA PASSAMaria passa passa di’ na’ strata nova. Caru mastru chi fai apiertu astura?

Fazzu na’ cruci cù tri puncienti chiova. O caru mastru ti priegu nu’n la’ fari ora,

lu stessu la faiu’ la mastria. O cara donna nu’ lu’ puozzu fari

picchì unni c’è Gesù mi ci mintuni a mia.

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Acate – La settimana Santa

Canto popolare del Venerdì Santo cantato nelle ore vespertine ad Acate, in attesa della crocifissione di Cristo. I versi scritti sopra sono solo una parte, mancail ritornello di una vera e propria lirica frutto della fantasia popolare.

Ecco la traduzione in lingua italiana :Maria, dopo tanto girovagare si trova a passare in una strada

nuova , nuova perché mai vista, e vede una bottega aperta. Vede dentro un artigiano che lavora il legno per una croce. Maria lo chiama e dice : che cosa fai a quest’ora ? Perché la tua bottega è aperta? e lui : sto facendo una croce con tre chiodi appuntiti. ”O caro mastro ti prego non la fare per ora , tanto la tua maestria non cambia , puoi farla ugualmente. Ma il mastro, così si defini-va l’artigiano come fosse un maestro nel suo lavoro, rispose “no non posso, perché altrimenti al posto di Gesù mettono me.

La sera si recitava il dramma “ i sette parti” scritto da Mons. Ricca

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I miei racconti

Acate Venerdì Santo 2009La Veronica Sta per incontrare Cristo Gesù

Acate Venerdì Santo 2009 : la veronica s’inchina a Gesù, prima di asciugare il Viso

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Acate – La settimana Santa

Acate Venerdì Santo 2009

Acate Venerdì santo 2009 , Giuliana Arezzi: la Veronica

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I miei racconti

Il Poeta Carlo Addario accompagna tre attori del dramma “ i setti parti” Giovanni, la Maddalena e la Maria

Biscari Venerdì Santo 1928

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Acate – La settimana Santa

La recita era curata da attori amatoriali , semplici volontari pre-parati a dovere dal poeta Carlo Addario che ne era il suggeritore sotto il palco. Tutto si svolgeva al tramonto, quasi a ripercorrere una tradizione greca del teatro antico. Le stesse tragedie recitate al-l’aperto e all’ora del tramonto. Il lettore può immaginare lo spetta-colo stupendo del vecchio Calvario al calar del sole. Uno scenario ricco di verde, profumi freschi della campagna in cui predominava il dolce odore di zagara, profumo inebriante degli innamorati di un tempo!, di un cielo colorato di rosso con tanti riflessi che sem-bravano dare a tutti la bellezza della natura, era tutta una poesia nel dramma di Cristo in Croce. Sembrava come se Gesù soffrisse e gioisse per noi uomini. Tutto appariva come una favola con un si-gnificato profondo e un messaggio di nostro Signore Gesù. Era come se annunciasse la vita che continua nel chiarore del sole rosso e crepuscolare, ma ricco di luce. Di una luce cangiante e piena di speranza che è certezza nel Cristo che risorgerà. Uno scenario poetico e mistico di cui oggi tutti abbiamo bisogno.

Oh quanto sarebbe bella la recita del dramma “i sette parti” la sera nell’ora del tramonto, l’ora del crepuscolo che annuncia l’al-ba della RESURREZIONE!. . .

Acate Venerdì Santo 2009 : Giuliana, la mia nipotina, La Veronica

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I miei racconti

Senza saperlo i nostri antenati, costretti a scegliere l’ora del tra-monto per i tempi che erano, davano un ampio significato alla tra-gedia del Cristo nell’ora del tramonto, che non sempre vuole signi-ficare FINE , ma conclusione per poi ripartire con maggiore vitali-tà. Queste riflessioni potrebbero sembrare campate in aria, ma pen-sate un po’ a dare significati di vita e non di morte, guardate la vita in positivo, e amarla anche per la resurrezione del Sabato Santo. Utopia? Non so, ma io credo nella spiritualità dell’essere. Anche una semplice tradizione può lanciare messaggi di speranze e di cer-tezze, e non disperazione e delusione. Perdonerete questa mia effu-sione nel ricordo vissuto nella pienezza della mia giovinezza. Sono entrato nel vivo di una tradizione antica che oggi vedo con questo spirito. Allora ero troppo piccolo, o ancora giovanissimo, oggi rie-sco a capire il passato e il significato di una tradizione nobile e an-tica. Così vorrei fossero i miei nipoti e i bambini di oggi e i loro ge-nitori nel rispetto della VITA.

Nel primo pomeriggio tanti ragazzini, andavano dietro i giudei a cavallo, i soldati che cercavano il Cristo. Dopo qualche ora lo avvi-stavano dal piano San Vincenzo , e quindi via verso il Calvario, Gesù era stato trovato.

Soldati vestiti con abiti rabberciati alla meno peggio, con scia-bole moderne, scialli e nastri variopinti, calzavano stivali e fiocchi che pendevano dalle spalle, in groppa a magnifici cavalli locali. Poi, dopo la recita, la processione : Gesù steso nell’urna, seguito dall’Addolorata e preceduto da bambini e fedeli disposti in doppia fila e con in mano il lampione con la candela , costruito con canna e carta velina colorata.

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Acate – La settimana Santa

Acate Venerdì Santo 2009 La Veronica al calvario

Acate 1997 la Pietà: Matilde Masaracchio

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I miei racconti

Acate 1981: Gesù Cristo ai 4 Canti

Acate Venerdì Santo 2009

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Acate – La settimana Santa

Acate 1981 Ombretta Masaracchio la Veronica

Acate Venerdì Santo 2009, La VeronicaLa mia nipotina Giuliana Arezzi

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I miei racconti

IL SABATO SANTO

Il giorno del Sabato Santo tutto il paese era in un’attesa forte e fe-stosa per la Resurrezione. Infatti poco dopo le 10 si dava inizio ai

riti religiosi in Chiesa. Nelle famiglie, di buon mattino le donne si dedicava-no ai preparativi per la lavorazione dei dolci pasquali, tipici dolci primaverili a base di mandorle, farina, miele e zucchero. Lo erano pure i biscotti duri a base di uova e mandorle cosiddetti “i pasti fuorti” e la pagnuccata , dol-ce fatto con farina, uova e zucchero caramellato. A casa mia continua la tradizione dei dolci in occasione delle feste per la gioia e la golosità dei ni-

potini. La pagnuccata, dolce presente anche a Natale e per gli altari di San Giuseppe, non è la pignulata messinese.

Dolce tradizionale di Acate”la pagnuccata”Si confezionavano anche biscotti sparsi di zucchero gelato i fa-

mosi tatò e le savoiarde locali dette “Ciambelle” a base di uova e zucchero. Tutto era preparato in ogni casa, e i forni privati nei quar-tieri ardevano, pronti a ricevere quel ben di Dio. I padrini di Batte-simo ai loro figliocci e i nonni ai nipotini donavano per tradizione pasquale i cosiddetti panierini di Pasqua. Si preparava la farina e la si impastava con acqua, come il pane creando i panierini con il manico. Poi vi si sistemavano le uova col guscio e quindi a cuocere nel forno, molto curati erano i bordi. Sopra si ponevano le colombi-ne di pane, fatte dalle mani delle nostre massaie. A casa mia i nipo-

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Acate – La settimana Santa

tini ricevano i panierini di Pasqua, preparati dalla nonna e da loro molto apprezzati. Proprio così la tradizione antica cammina, ac-compagnando gli usi della famiglia. Tutto questo è bellissimo per-ché ti fa vivere momenti di gioia per la vita. Quando ero bambino zia Giovannina Bellomo preparava i panierini di Pasqua per me, mio fratello e mia sorella. La mia mamma, in quanto Romana, pre-parava i dolci romani, il panpipà, pan pepato con noci, vino cotto e uvetta.

Nella Chiesa Madre durante la solenne funzione per la resurre-zione di Gesù, venivano riconsegnate le chiavi del Tabernacolo, portate per tre gironi dal bambino consegnatario durante la funzio-ne del Giovedì Santo. Dopo alle 11, quando si concludeva la solen-ne funzione, suonavano le campane della Chiesa. I grandi in piazza e in ogni angolo della paese alzavano verso il cielo, verso DIO, i bambini al grido “crescilo!criscilo!criscilo!” “fallo crescere mio Signore, fallo crescere bene, fallo crescere in salute mio DIO”. Questo era il significato di quella espressione, un significato che io ho voluto ricordare dopo un mio ragionamento e una riflessione su quel momento. Oggi non c’è più e con tristezza scompare una anti-ca tradizione piena di significati e di valori !

Al suono delle campane si entrava nel clima della Fe-sta Pasquale con i riti in Chiesa e i tra-dizionali ban-chetti in fami-glia e con la conclusione fi-

nale della scampagnata del lunedì di Pasqua. Questo è il racconto della mia infanzia e della mia prima giovi-

nezza, un racconto che non deve essere dimenticato perché appar-tiene alla storia di Acate e che spero sia apprezzato dai giovani.

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Acate 2009- La Chiesa Madre Acate 2009 - La Chiesa del Carmelo

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I miei racconti

Acate Venerdì Santo 10/04/2009

Biscari la Chiesa Madre del primo novecento

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La Via del VinoAntica via da Kamarina a Caltagirone

Kamarina città antica del 599 a. c.

Pochi sanno che il nostro territorio, più di duemila anni fa, fu un viatico commerciale molto importante. Non abbiamo una documen-tazione abbastanza corposa, ma dopo la scoperta di reperti archeo-logici a Cicirello e in contrada Pezza Grande, nel territorio di Aca-te, possiamo essere certi che in questo lembo della Sicilia, tra Sicu-li del luogo e coloni di origine Romana, si consumarono interessan-ti scambi commerciali. Non sappiamo se i Kamarinensi, nei loro viaggi nell’entroterra, si spinsero sino alle nostre contrade, ma tutto ci porta a pensare che ciò sia avvenuto.

Studiosi del mondo antico e in particolare del basso Impero Ro-mano, parlano di un importante viatico tra Camarina e Caltagiro-ne , verso la fine del primo secolo dopo Cristo. Sta di fatto che i Romani, dopo avere capito che la Sicilia era terra ricca e fertile, strinsero i loro rapporti con Kamarina, facendovi arrivare le loro navi dall’Urbe. Questo è un dato certo, perché è noto il vincolo di amicizia e di alleanza tra Romani e Kamarinensi, sin dai tempi delle Guerre Puniche.

Camarina fu fondata dai Calcidesi nel 599 a. c. , negli anni di maggiore espansione in Sicilia delle colonie greche. Proprio quan-

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I miei racconti

do fiorirono le città legate ai coloni Greci: Zancle ( Messina), Reggio Calabria, Catana, Naxos, Leontini, Naxos, Taurinom, Si-racusa e così via. Furono i Calcidesi che, a seguito di un forte in-cremento demografico di Siracusa, si spinsero verso terre più a oc-cidente. Fondarono Acre (Palazzolo Acreide), Casmene nel 644 a. c e Kamarina nel 599 a. c. .

Tra il 6° e il 7° secolo a. c. la città di Siracusa, fondata nel 733 a. c. dai Calcidesi, raggiunse il massimo del suo sviluppo economi-co, ma ebbe una alta concentrazione demografica che li convinse di ricercare altri sbocchi e fondarono altre città.

Presto Kamarina raggiunse un alto sviluppo economico dive-nendo una tra le più importanti e popolate città dell’epoca. I Kama-rinensi furono laboriosi e ricchi di iniziative commerciali. Fonda-rono il mercato del pesce Casmeneo ove arrivavano con il carico it-tico navigando il fiume Ippari. Si spinsero nell’entroterra percor-rendo gran parte del territorio circostante, commerciando con i con-tadini siculi.

Divenne amica e alleata di Roma, cosa che invece non fu per Si-racusa. Qui a Camarina i Romani attraccavano le loro navi per ca-ricare le merci da portare a Roma. Fu un lungo periodo di ricchezza e commerci floridi.

In alcuni testi latini sono cita-ti fatti relativi al commercio dei Romani nelle terre sicule. Fio-renti furono gli scambi commer-ciali lungo la strada che da Ka-marina portava a Caltagirone. Una strada attraverso contrade ricche di ulivi e vigne con ab-bondanza di vini pregiati. I Ro-

mani la percorrevano per i loro scambi con i Siculi del luogo. Con muli e animali da soma si recavano a Caltagirone per acquistare otri e recipienti di terracotta per il vino e l’olio. Nella vallata del Dirillo, a Biddinis e nelle contrade limitrofe, i Romani acquistava-no soprattutto il vino che da Camarina lo trasportavano a Roma.

Quel percorso fu chiamato “LA VIA DEL VINO”, lungo la qua-le si consumavano svariati rapporti commerciali, ma era il vino il prodotto principe delle trattative. Tra tutte le Vie del Vino dell’anti-

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cartina Camarina

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La Via del Vino

chità, la nostra fu una delle più importanti. Furono tante le Vie del Vino nella penisola Italiana : nel Veneto, in Puglia, Toscana e per-sino nei territori occupati dell’Europa Centrale, ma la Camarina- Caltagirone fu tra le più importanti. Non sappiamo se la nostra è la più lunga, ma di sicuro con i suoi 60 Km circa, è tra le più lunghe. Parte della nostra storia è strettamente legata alla Via del Vino, per il fatto che nei secoli successivi, i Romani attratti dalla fertilità e dalle colture locali (olio e vino ) vollero insediare loro coloni con-tadini nel feudo che chiamarono “Hiscor”. Siamo tra il primo e il secondo secolo dopo Cristo, durante il regno di Commodo, Impe-ratore di Roma. I coloni furono chiamati “Hiscariani” “Hisca-riensis” , che nel Medio Evo divennero Viscarani, Viscari “Lu Vi-scari”. I resti di una villa Romana in contrada Cicirello, l’epigrafe di contrada Pezza Grande e reperti archeologici di provenienza ro-mana, sono la testimonianza della presenza stabile di coloni Roma-ni nelle nostre campagne. Il loro insediamento forse risale a qual-che secolo avanti Cristo, ma con certezza lo troviamo nel 181 dopo Cristo, data scolpita nell’epigrafe “HISCOR”. La prova sicura dei Coloni Romani qui ad Acate ci è data dal documento storico “HI-SCOR”. Una scoperta tra la fine degli anni 70 e gli anni 80 ad ope-ra dello studioso autodidatta e concittadino, l’amico e indimentica-bile ENZO IURATO. Ma ci si chiede cos’era la “Via del Vino”?. Alla domanda è facile dare una risposta certa e cioè : I Romani vol-lero sfruttare al massimo le potenzialità produttive del territorio, at-tingendo in esso tutto ciò che era di qualità e nello stesso tempo economicamente conveniente. La nostra “Via del Vino” dava gran-di possibilità di scambi altamente remunerativi per un prodotto di largo consumo a Roma, ma anche di alta qualità. I Romani riusci-vano a trovare in abbondanza tra i contadini Siculi “il vino”, ogget-to principale dei loro commerci lungo la Via del Vino. Tutto questo ci porta a pensare che alla strada Camarina Caltagirone fu dato un nome appropriato e indicativo per gli scambi tra i Romani e i Sicu-li.

Lungo la Via del Vino avvenivano tutti gli scambi possibili e il commercio divenne fiorentissimo. Fu così che i rapporti tra Roma-ni e Siculi divennero sempre più forti con buoni affari tra le parti.

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I miei racconti

Oggi, dopo poco meno di due mila anni, sarebbe opportuno ri-prendere la “Via Del Vino” per una maggiore conoscenza della no-stra storia locale. Una maggiore attenzione ai fatti storici del territorio al fine di riprendere un di-scorso di sviluppo in ter-mini culturali storici, ma anche per la valorizzazio-ne storica dei prodotti di questa Terra di Acate.

Occorre una maggiore sensibilità e amore verso la cultura del territorio che ci appartiene. Lo stes-so territorio scoperto dai Romani che valorizzarono con i loro commerci sviluppandolo in termini economici e in termini civili facendo approdare gli antenati siculi verso una civiltà sicuramente più avanzata di quella da loro stessi vissuta.

Acate: Epigrafe “Hiscor” scoperta da Enzo Iurato in contrada

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Kamarina reperti archeologici

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Acate - Il Carnevale ieri e oggi

Acate non vanta importanti tradizioni sul carnevale, nel passato solo scherzi e qualche maschera di gente umile e povera. Pertanto possiamo raccontare ben poco tranne che qualche episodio o scher-zi negli anni dell’immediato dopo guerra. Negli anni 40 e sino agli anni 50 del 1900, la maschera tipica era”Piripidduzzu”, un contadi-no che indossava abiti larghi, lunghi e lacerati, scarpe grandi e rat-toppate. Portava in bocca una grossa pipa di canna, costruita con le proprie mani. Fumava tabacco, paglia, foglie secche di vite. Percor-reva il Corso, seguito da tanti bambini e ragazzi di ogni età che al-legramente lo burlavano. Rispondevano al suo invito a seguirlo nel canto carnevalesco.

Lungo il percorso ad ogni crocevia detta “cantunera”, si ferma-va e cantava tra l’allegria e il fumo di una pipa. Il suo canto in dia-letto, ad alta voce e

scomposto recitava: ” Quantavi ca nun mi fazzu na fumata…e i ragazzi a coro UHFUHHUU!. . . UHHFFUUHFU!. . . con tiri di giacca, cappello “ u tascu”, tolto e rimesso, e così sino ai 4 canti i “4 cantuneri”, dove si fermava e ancora cantava : Quantavi ca nun viru la me Zita! UHFUHUHFUH!!!. . . UHFFUFUF!. . . Quantavi ca nun mi fazzu na fumata… e via il coro UHHUFU!. . HHUFUh! Ora vaiu unni è la ma zita! HUFU-

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HUF! HUFU HUF!ora mi fazzu na fumata! UHUUUFF!. . E tutti a ridere. Dalla pipa fuoriusciva fumo pungente per via di un tabac-co rudimentale, e li tutti a ridere, a scherzare a volte anche un po’ pesantemente.

Piripidduzzu era felice, fumava e cantava, mentre tutti ridevano e scherzavano tirando giacche, cappelli, coppole; cantavano e salta-vano.

Carro allegorico

In occasione del carnevale di molti anni fa, N’Zino Albani, Ugo Lantino, Pietro Occhipinti, Giovanni Albani , Giacomo Albani, giovani brillanti ed estrosi, ai 4 canti organizzarono uno scherzo che coinvolse tanta gente.

Per tutto un pomeriggio si stazionarono proprio ai 4 cantuneri. Due di loro nascosti agli angoli e gli altri tra la strada e i marciapie-di. Una corda pendeva dall’alto con un gancio, pronta per aggancia-re i cappelli dei passanti. Quando qualcuno si avvicinava al laccio, inconsapevole del tranello, il suo cappello preso dal gancio si muo-veva con un saliscendi continuo.

Fu bellissima la scena quando un signore che qualche anno pri-ma era stato beffeggiato dagli stessi giovani per altri motivi, con tanto di cappello felpato in testa fu preso di mira. Il suo cappello saliva e scendeva. Non aveva intuito la trappola dello scherzo car-nevalesco. Imprecava contro il cappello e il vento, disperandosi per riprendere il suo cappello. Tutto questo durò alcuni minuti, quando poi vide uno dei giovanotti, capì e riconobbe gli avversari di sem-pre, rise e andò via, ma con un pizzico di stizza. Lo scherzo durò per l’intera serata. In tanti caddero nella trappola scherzosa di car-nevale. La povera vittima si disperava ad acchiappare il cappello,

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gli sfuggiva dalle mani fra le risate di tanta gente che guardava di-vertita.

Non c’erano coriandoli, né mazze e nemmeno stelle filanti. Il carnevale era frutto della grande fantasia della gente che a tutti i co-sti voleva divertirsi e divertire con scherzi semplici e innocenti.

In occasione di un carnevale, i ragazzi dell’Azione Cattolica guidati da padre Barone, in maschera con gli abiti rabberciati, in-quadrati per le vie del paese annunciavamo il rogo della sera. Do-vevamo bruciare un pupazzo fatto con carta straccia e maschere cartacee. Quel pupazzo rappresentava il male della corruzione e i ragazzi vestiti con i costumi dei 5 contenenti. Il timbro della mia voce era abbastanza alto, e così ebbi l’incarico del grido alla gente, grido nel senso di banditore. Marciavo in testa alla squadra per le vie cittadine. La sera in piazza si dava alle fiamme il pupazzo. Poi attorno al falò danzavamo come dei forsennati, allegri e festanti, simbolicamente il male era stato bruciato, con l’approvazione del-l’intero mondo terrestre.

Nel passato, a carnevale in tante famiglie e nei circoli, tradizio-nalmente si organizzavano veglie danzanti. In occasione di una di queste veglie, ero un bambino di 9 o 10 anni , tutti giovani ed an-ziani ballavano mentre io me ne stavo in braccio alla mamma la quale era impedita al ballo per via del suo Tanuzzu. Fu offerto a mio padre un bel cannolo di ricotta che diede a mia madre. A sua volta lo volle consegnare a me per mangiarlo.

Acate carnevale 2009. Gruppi di mascherine

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Mi svegliò premurandosi con dolcezza e disse : ” Tanù, sveglia-ti tho tieni il cannolo”. Lo afferrai e ancora insonnolito lo divorai. Tutti mi guardavano stupiti, il loro scherzo stava svanendo nel nul-la. Mia madre incuriosita volle capire cosa era successo, poi tolse tutto il cotone tra la ricotta, mi fece mangiare il cannolo, immagina-te le risate. Altri caddero nella trappola; fu una serata in cui il ballo di carnevale offrì tanti cannoli al cotone, consumati tra un valzer e una manzurka. Altri tempi!. . . . Altri scherzi di carnevale!

Negli anni 60 Ugo Lantino, Enzo Albani, Pietro Occhipinti , i soliti giovani ricchi di spirito allegro e di fantasia tutta “viscarana” , altri tempi!!!, organizzarono un sontuoso scherzo che coinvolse tutto il paese. Fecero circolare la notizia di un prossimo arrivo di un grande circo equestre. L’arrivo fu annunciato durante la mattina del martedì grasso, poi l’arrivo del circo equestre.

Leoni, elefanti e cavalli arabi, nonché ballerine e cavallerizzi, una vecchia balilla, una FIAT 509 decappottabile, carretti e quan-to altro assomigliasse ad una vera carovana da circo, erano annun-ciati al seguito e che si sarebbero esibiti in piazza in prima serata.

Già nel primo pomeriggio la piazza era piena di gente, la caro-vana del circo partì da contrada Fontane con in testa Saverio Ca-ruso sull’asinello di don Vincenzino Santapà, fabbro ferraio con bottega in via Duca D’Aosta. N’Zino Albani era domatore di leoni, Ugo Lantino vestito da cavallerizzo aveva in mano una frusta , “A Zotta”, e guidava i cavalli. Ma la scena più comica e bellissima fu l’esibizione della cavallerizza, Saverio Caruso con un vestito cuci-to dalla sua mamma e gambe scoperte, scarpette di stoffa, un na-stro bianco in testa e una gonnellina a volè.

Truccato con cipria e rossetti, saltava sull’asinello di don Vin-cenzino lungo tutto il percorso. Arrivato ai 4 canti, appena imboc-cata via XX Settembre verso la piazza, fece una capriola maldestra e cadde. N’Zino Albani e Ugo Lantino lo presero al volo e con un olè Hop! saltò sull’asinello, bravo e mansueto come non mai. E an-cora un cane tosato per bene, da sembrare un leone messo dentro una gabbia per le galline. Era il cane del Sig. Morale “u cani i Mu-rali”, il tutto con goduria della gente.

Ma un signore che abitava ad Acate, un certo sig. Battiato, dopo essersi reso conto dello scherzo, gridò contro i commedianti, così li chiamò, e quasi volesse essere rimborsato per la delusione, ma di cosa?. E qui risate a non finire, burla verso il deluso con il botto fi-

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nale, il leone cioè il cane fu fatto scappare seminando panico tra la gente, perché qualcuno gridava “u liuni scappau!”. Gli fu applicato alla coda un fumogene che fece impazzire il cane.

Carro allegorico Carro il mondo dei sogni

Acate Carnevale 2009

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Carro allegorico di Giovanni Salemi “La Luna”

Dopo, tra la fine degli anni 50 e l’inizio degli anni 60, incomin-ciò il tempo in cui i carri con i gruppi mascherati furono protagoni-sti del carnevale. Bellissimo fu quello costruito dall’amico Giovan-ni Salemi che rappresentava la luna. Una grande mezza luna. Per alcuni anni i carri e gruppi diventarono una vera attrazione e tanta gente dai paesi vicini accorreva per divertirsi, ci fu di nuovo la gab-bia con il leone. A seguito di un carro allegorico ( una vecchia au-tomobile degli anni 40 ), c’era un carro rudimentale con una gabbia in legno, dentro il leone, era ancora un altro cane di Morale, tosato a dovere, e anche questa volta si rinnovò lo scherzo di alcuni prima.

Furono anni in cui il Comune organizzava tutto con il palco in piazza per la sfilata dei gruppi e il passaggio dei carri e sosta pro-prio davanti alla villa di Piazza Libertà. In uno di quegli anni parte-cipai anche io con il gruppo del pascià e del suo Harem. Il tutto fu ideato e realizzato da Ugo Lantino, N’Zino Albani, e altri amici che chiamarono a raccolta un gruppo di ragazze, Maria Modica, mia sorella, la cugina di Maria Modica e altre ragazze vestite con scialli, abiti di seta di vario colore, veli sul viso e fulards in testa. Io avevo la maschera del pascià, vestito con turbante e panta-loni cuciti di proposito, un costume davvero originale, molto bello a vedersi, lo indossavo magnificante. Tanti giovanotti guardavano le ragazze dell’Harem…ma vi assicuro che gli occhi delle ragazze

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erano tutti per me, il pascià…e che pascià!!! Giovanni Modica era l’eunuco, indossava un paio di mutande da uomo, lunghe e felpate, insomma i mutandoni degli anni passati. Stava impalato sul palco a guardia dell’harem con le braccia conserte senza fiatare, una scena da film “le mille e una notte”. Eravamo giovani e pieni di vita e tutto per noi era bellissimo e gioioso…era un Carnevale d’altri tem-pi!!!

Acate carro allegorico di carnevale

Quell’anno Pietro Mezzasalma fu uno dei presentatori della ma-nifestazione. Dopo per alcuni anni il carnevale si fermò fino a quando si tornò ai carri allegorici. Ricordo che uno tra i più impe-gnati fu Saro Morando con il suo carro “ Povera Italia”, seguito da altri. Saro ripristinò la bellezza dei carri dando sfogo a tutta la sua estemporanea estrosità. Per alcuni anni si alternavano gruppi mascherati e carri. Tutto si svolgeva in ore accettabili e con il mas-simo ordine, e tutti vecchi, giovani e bambini godevano della festa.

Dopo con Pietro Bellomo Assessore comunale di Acate, il car-nevale diventa una manifestazione tra le più importanti della Pro-vincia con la tradizionale sfilata dei carri allegorici di alto valore artistico per l’impegno e la bravura di tanti giovani artigiani locali.

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Maschera di cappuccetto rosso Le mie figlie nell’ordine Ombretta, Matilde e la nipotina GIULIANA con lo stesso abito.

A destra Pietro Bellomo

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Acate carnevale 2009-02-25

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La Vendemmia negli anni del dopo guerraUva e Vino d’altri tempi

Da poco si era conclusa la guerra, siamo tra il 1945 e gli inizi degli anni 50 e le attività produttive del paese riprendevano con alterne difficoltà, ma con tanta determinazione e sacrifici da parte di tutti. Le campagne si ripopolavano, i frutti appena maturi erano raccolti: arance, grano e giurgiulena. Nel mese di settembre l’uva era la re-gina tra i frutti d’autunno. Preziosa per il vino, vero vanto e tradi-zione dell’antica Biscari e di Acate. Il vino qui in paese ha una tra-dizione, una sua Storia secolare e gloriosa, se non altro perché fu oggetto di affari commerciali con l’antica ROMA del basso impero. Infatti prove tangibili di reperti archeologici del nostro territorio di-mostrano l’insediamento di coloni romani, i quali curavano gli inte-ressi dei patrizi coltivando ulivi e vigne. I Romani avevano grande interesse per l’olio e soprattutto per il vino del nostro territorio. L’uva da mosto è stata sempre una delle tradizioni agricole del ter-ritorio.

Tutto ciò che ruota attorno alla raccolta e alla spremitura dell’u-va, per Acate è stata, da secoli, una delle attività economiche

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La Vendemmia negli anni del dopo guerra

più intense e ricche. Settembre è il mese del raccolto, dei palmenti in piena attività e della la pigiatura dell’uva. Tutto questo è “LA VENDEMMIA” dei nostri padri tramandataci e che nel passato rappresentava festa e gioia, oltre che lavoro e sacrificio.

Acate ha avuto i suoi palmenti, alcuni all’interno delle aziende di grande e media capacità produttiva, altri nel centro abitato. Qui in paese due erano i palmenti operativi, nel centro storico “Piano San Vincenzo”e qualcuno in periferia in contrada Piano Torre. En-trambi di provenienza dell’antica famiglia di Luigi Oddo, il mio bi-snonno.

Uno di questi palmenti fu in attività fino alla fine degli anni 50. Apparteneva alla famiglia Al-bani Oddo. Ogni anno vi conflui-va una grande quantità di uva per la pigiatura. Settembre mese della vendemmia, era atteso da tutti grandi e piccoli, con ansie e spe-ranze. Si concludeva, dopo un anno pieno di lavoro e di sacrifici, una delle attività più importanti dell’economia locale.

Nelle campagne allo spuntare del sole sino al tramonto, i conta-dini con le loro famiglie racco-glievano uva. Così viaggiavano tra le trazzere di un tempo i car-

retti, i cavalli da soma e altri animali. Attraverso le contrade con i carretti carichi d’uva i carrettieri, cantando canti popolari, erano di-retti verso i palmenti.

Ricordo che il carrettiere aveva un fazzoletto ”alla spigalora” colorato, legato in testa e un altro sul collo, mentre i braccianti col cavallo portavano la coppola e spesso a piedi con al guinzaglio l’a-nimale da soma. Per noi adolescenti era una festa, uno spettacolo che tutti i giorni lo si poteva ammirare in via San Giuseppe, dal bel-vedere San Vincenzo e spesso nella vicina campagna di Contrada Fontanella.

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I miei racconti

Alcuni dei palmenti cittadini furono fatti funzionare per conto terzi e chi non aveva altre possibilità vi portava la propria uva per il vino d’annata.

La mia casa, era a pochi passi dalla Piazza San Vincenzo, dove il palmento della famiglia Albani Oddo, funzionava a pieno ritmo dalla mattina fino a tarda sera.

Da Niscemi, ogni anno venivano con cavalli, asini e muli, i braccianti per lavorare “o Viscari”, cioè Acate, paese noto per la ricchezza e l’abbondanza dell’uva. Per questa povera gente, che la-sciava le famiglie al fine di assicurarsi un tozzo di pane, la ven-demmia di Acate era la manna dal cielo, l’occasione di trovare la-voro retribuito e bene. Si fermavano per tutto il mese fino a quando non chiudevano i palmenti. Dormivano dentro il “Porticato”, il cortile di Via San Giuseppe, con gli animali da soma, loro compa-gni di fatica e di guadagni. Io e i miei compagni di gioco del quar-tiere, Giuseppe Geraci, Vincenzo Stornello e altri, giocavamo nei dintorni. Quando passava un bracciante con mulo o cavallo con a bordo due grosse ceste cariche, chiedevamo l’uva per mangiarla. Il più delle volte ci veniva data, ma se qualcuno si rifiutava noi tutti dietro, aggrappati alle ceste, per prendere l’uva negata. Se poi pas-sava un carretto con tinelli a bordo, tutto era più semplice, ma non per me grassottello e impacciato nei movimenti.

Accadde che una volta tentai e mi arrampicai sul carretto, ma ri-masi con le dita sotto il tino. Mi lacerai due dita e le unghie cadde-ro con pianto e dolori. Dopo ci fu la predica di mio padre e il casti-go. Una punizione d’altri tempi, singolare ma efficace, per una set-timana non mi fece uscire da casa. Tutta l’uva veniva depositata in una vasca costruita in pietra nel palmento, un rettangolo all’altezza della finestra esterna con un piccolo davanzale in pietra dove veni-vano appoggiate le ceste o i tini pieni d’uva, regolarmente svuotate all’interno della vasca. Nella piazza San Vincenzo ancora si posso-no notare le finestre sul lato sinistro, guardando verso il mare.

Dentro il palmento i pigiatori con scarponi ben messi, c’era qualcuno scalzo ma solo per poco tempo. Noi ragazzi guardavamo per ore e ore e assistevamo a tutte le operazioni, persino alla loro colazione del mattino e al pranzo. Colazione e pranzo a base di pane di casa, olive e tante sarde salate con limone e vino in quanti-tà. I pigiatori assieme ai braccianti in dialetto erano chiamati “I Vi-rignaturi” termine da virigna o vendemmia.

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La Vendemmia negli anni del dopo guerra

Era uno spettacolo sia a vedersi che all’a-scolto delle loro battu-te, dei loro racconti e spesso dei loro canti popolari.

Tutti i ragazzi era-vamo li ad attendere il carico di uva, a guarda-re la pigiatura.

Assistevamo ai movimenti dei piedi che calpestavano mucchi di uva e poi con le pale di legno il tutto dentro un fosso. Spesso si as-sisteva a un via vai di gente, che chiedevano o compravano un po’ di mosto per la mostarda e per il vino cotto.

Ad Acate erano in tanti che provvedevano al proprio vino per l’annata. Ognuno aveva la ricetta segreta del suo buon vino. Mio papà non voleva che a tavola mancasse il vino, lo comprava da pri-vati. Tutti gli anni un suo cugino, lo Zio Remo Albani, in occasione del Natale e del Carnevale, gli regalava il suo vino. Era un vino fuori dalla norma, eccellente in tutto , un nero d’avola fruttato, pro-fumato, colore violaceo scuro, dal sapore pastoso “Lappusu non aspro”, insomma qualcosa mai vista e mai gustata.

Un giorno incurio-sito gli chiese quale fosse il segreto di quel vino, a domanda risposta : “Mio caro, a te lo dico perché non sei produttore, ma mi raccomando nessuno deve sapere quanto ora apprendi di questo vino!!!. Al-lora “babbazzu Ia-chineddu!”devi sa-pere che io ci metto

le mele gelate, tagliate a fette, le mele bianche del mio giardino, quelle che diamo ai maiali, ai porci!”. Probabilmente doveva esse-

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Mulo con ceste per la raccolta dell’uva

la pigiatura dell’uva

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I miei racconti

re una ricetta antica a Biscari, tramandata da padre in figlio. Riten-go che non fosse il solo, perché ho conosciuto altri vini di Acate con le stesse qualità, risulta che ancora oggi prima d’immettere il mosto nelle botti tanti produttori privati mettono dentro chicchi di melograno, pezzetti di carrube e scorze di limone, preparate in un decotto secondo le giuste quantità per ogni litro di liquido da vino; tutto questo per dare maggiori aromi e zuccheri naturali da frutti, e per la gradazione sempre più alta. Sino a quando lo zio Remo era in vita ogni hanno donava il vino ai parenti, io l’ho assaggiato e posso assicurare che mai in vita mia ho assaggiato un vino di elevatissima qualità come il nero d’avola do zì Remo Albani.

Questo è il mio racconto di un passato che appartiene ad Acate e agli acatesi, perché la Vendemmia, come tante altre storie dei cam-pi al momento del raccolto, nel passato sono stati veri eventi della vita civile e sociale del paese.

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Acate dal 1970 al 2008Politica, Sindaci, Opere Realizzate

Acate il Castello

Nel giugno 1970 le nuove elezioni amministrative danno il succes-so alla DC e ai Socialisti. Tuttavia già all’interno della DC serpeg-gia malumore e si preannuncia una spaccatura. Il Consiglio Comu-nale elegge Sindaco l’Ins. Giuseppe Baglio, appoggiato da una Giunta di Centro Sinistra, con 12 voti su 20. All’opposizione un Li-berale, uno del MSI e un ex Democristiano eletti nella lista civica “Acate Libera”, cinque sono gli eletti del P. C. I. . Tuttavia presto i contrasti nella DC portano ad una crisi politica strisciante, che si manifesta in modo palese in Consiglio Comunale.

L’amministrazione Baglio provvede alla sistemazione di alcune strade e realizza la tribuna del campo sportivo. I democristiani Gae-tano Campagnolo, Giovanni RE, Vito Catania e Raffaele La Rosa si costituiscono in gruppo autonomo. Si forma un movimento stac-cato dalla DC. Nel Consiglio Comunale e nella sede del partito il contrasto tra i Democristiani si fa sempre maggiore. In poco più di un anno, si va alla crisi con le dimissioni del Sindaco e lo sciogli-mento del Consiglio Comunale. Dopo una gestione commissariale vengono indette nuove elezioni anticipate. Il risultato elettorale pe-nalizza il Centro Sinistra che non supera i 9 voti su 20. Siamo nel

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novembre 1972 e per la prima volta, a seguito delle dimissione del deputato Cilia, io entro in Consiglio Comunale per la lista del MSI.

I Socialisti e i Democristiani non riescono a trovare una maggio-ranza. Per diversi mesi si va avanti tra inutili discussioni, riunioni nei partiti e tentativi di riconciliazione. Alla fine dopo un travaglia-to percorso PSI, DC e PCI trovano l’accordo. Fu così che nel set-tembre 1973 viene eletto Sindaco il prof. Vincenzo Lantino della DC. E’ a capo di una Giunta minoritaria DC-PSI appoggiata dal PCI. All’opposizione restano il MSI, il PLI, il PSDI e gli indipen-denti della DC.

E’ un’Amministrazione che dovendo affrontare i problemi, sen-za una maggioranza chiara e netta, non può realizzare opere e deve limitarsi all’ordinaria amministrazione. Il confronto con l’opposi-zione fu serrato e la Giunta dovette confrontarsi più su un dibattito dialettico che sui fatti concreti. In Consiglio non mancarono gli scontri verbali tra opposizione e Amministrazione, con il PCI nel ruolo direi del tutto neutrale, ma appoggiava il Sindaco e la sua Giunta minoritaria.

Sedute fiume e accesi dibattiti con accuse e contraccuse non portavano a nulla di costruttivo, sia in termini politici che in termini d’interventi per il paese. Una situazione d’incertezza e d’instabilità politica che durò per poco più di un anno e che fece maturare le di-missioni del Sindaco. Dopo una nuova gestione commissariale si va alle elezioni nel giugno del 1975. Intanto in tutta Italia nasce il pro-getto politico di De Mita “L’ARCO COSTITUZIONALE”. Ci fu una chiusura totale al MSI, il netto diniego ad ogni confronto e dia-logo politico. Ad Acate, più che in ogni altro centro della provincia, la nuova trovata politica “arco costituzionale” si affermò in modo netto e forte. Il MSI rimase isolato e non mancarono le battaglie verbali e scritte con manifesti tra la Destra e tutte le forze politiche.

Ebbe inizio una vera e propria guerra dei comizi e dei manifesti , tutti contro il MSI. Comizi accesi, scontri durissimi nel dibattito in Consiglio Comunale e persino nella vita civile. Molti giovani della destra di Almirante furono osteggiati e isolati. Addirittura in occa-sione dei comizi del MSI, ai Quattro Canti, i Circoli dei partiti au-todefinitesi “ costituzionali” chiudevano le porte e ordinavano ai propri iscritti di andare a casa per non ascoltare Masaracchio, Di Bennardo, i consiglieri fascisti del MSI, il deputato Cilia o altri co-mizianti della Destra. Tutto questo faceva molto comodo alla poli-

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Acate dal 1970 al 2008 – Politica, sindaci ed opere realizzate

tica “dell’arco costituzionale” che metteva all’angolo il MSI rima-sto di fatto l’unica opposizione.

Regnava un clima pesante nella politica locale. I due Consiglieri della destra missina erano due intrusi, fuori dai giochi politici per-ché incostituzionali. I piani della cosiddetta “politica popolare e costituzionale “ erano ostacolati dall’elezione dei Consiglieri del MSI, che pesavano tantissimo. Chi era nel MSI in un certo senso era come un appestato politico. Da una parte e dall’altra ci si acca-niva con lo scontro durissimo in certi casi. Furono anche gli anni della violenza omicida in Italia che accentuò lo scontro anche in Consiglio Comunale. Un Consiglio che metteva in contrapposizio-ne 18 consiglieri contro 2 appena del MSI, come dire uno scontro tra “Davide e Golia”, impari sotto il profilo numerico non altrettan-to sul piano dei contenuti e del confronto dialettico.

Il risultato elettorale premia DC e PSI che raggiungono una co-moda maggioranza, 13 su 20, il MSI due eletti e cinque del PCI.

Giovanni Salemi viene eletto Sindaco e dispone di una Giunta forte e qualificata, ma soprattutto gli assessori lavorano sodo e con competenza. Inizia un lungo periodo di stabilità politica e di realiz-zazioni molto importanti. Assessori come Gabriele Carrubba, Gio-vanni Migliore, Biagio Failla, Aurelio Leone , Emilio Vavarella e Franco Nicaso diedero un notevole contributo al Sindaco che go-vernò con serenità e certezza di avere una squadra direi perfetta e armoniosa. Il Consiglio Comunale contava su fior di Consiglieri che nel confronto dialettico riusciva sempre a deliberare atti impor-tanti per Acate. Dal 1975 al 1983 furono progettate e realizzate opere di grande valore e che in un certo senso arricchirono Acate di nuove strutture e strumenti per lo sviluppo locale. Il Cimitero nuo-vo fu l’opera che ebbe il voto unanime del Consiglio Comunale, e risolse le esigenze di quel periodo. Successivamente fu realizzato l’impianto d’illuminazione dell’intero cimitero. Fu acquistato il Ca-stello, fatto storico e importante che vide unito il Consiglio Comu-nale coinvolto nell’operazione. Dopo lunghi e accesi dibattiti fu aperta la seconda farmacia. Ricordo che non fu facile aggirare la legge. Si deliberò per una farmacia rurale in periferia e qui ci furo-no opinioni diverse, ma si riuscì ad autorizzare l’apertura di una se-conda farmacia.

Tutti i monumenti storici e la Chiesa Madre furono illuminati. Fu completata la rete della fognatura e costruita l’area di pompag-

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gio di Via Neghelli angolo via Balilla. In contrada Fossati furono costruite le vasche per l’accumulo delle acque bianche. Fu costruito l’edificio scolastico di via Neghelli e le aule all’interno della pale-stra del plesso Cap. Puglisi. Fu avviata la progettazione per il finan-ziamento regionale dell’Asilo Nido, costruito negli anni 80. La Piazza Matteotti e la strada di circonvallazione furono tra le ultime opere della Giunta Salemi , che governò Acate dal 1975 al 1984 in un periodo ideale per la stabilità politica locale.

Tuttavia già nel 1983 incominciarono i primi screzi tra Socialisti e Democristiani.

Nacquero liti, incomprensioni e divergenze tra il Sindaco e gli assessori del PSI. La DC fece quadrato attorno al Sindaco e il con-trasto andò oltre la Giunta, che si trasformò in una spaccatura poli-tica tra DC e PSI. Erano gli anni in cui fioccavano gli incarichi per le progettazioni del PRG e dei Piani di Recupero delle aree in cui erano sorti insediamenti abusivi. Infatti la legge di condono del 1981 sull’abusivismo edilizio, prevedeva la bonifica delle zone con piani di recupero a carico del comune su direttive e con fondi della Regione. Tra il 1981 e il 1982 scoppiò una grave crisi all’interno del MSI che portò presto a una spaccatura tra i due consiglieri Ma-saracchio e Di Bennardo. L’opposizione comunque era sempre forte non tanto nei numeri ma nella determinazione e nei contenuti. Arriva da Torino un giovane promettente della DC, Franco Raffo che presto trova le simpatie dei vecchi contestatori del vertice De-mocristiano. Molti puntano sul giovane Raffo e già si prepara la li-sta per le ormai certe elezioni anticipate.

In consiglio comunale PCI e PSI trovano l’unità e attaccano for-temente la DC.

Si prospetta una Giunta anomala composta da 9 Democristiani più due indipendenti da cercare tra i volontari in Consiglio Comu-nale. La lite tra PSI e DC si acuisce con maggiore intensità e parto-no le accuse a proposito del PRG. Poco si sa ufficialmente sul mo-tivo della crisi, ma tanto dalle accuse verbali volate nelle discussio-ni e nei comizi. Infatti si seppe che alla base di tutto c’era il prov-vedimento degli incarichi ai tecnici per Il PRG e per i Piani di Re-cupero. Questa fu la versione messa in giro, ma nessuna spiegazio-ne fu data in Consiglio Comunale dalla Maggioranza.

Tutta la DC si diede da fare per scongiurare le elezioni anticipa-te proponendo una Giunta di 9 più due indipendenti. Ci furono ac-

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cesi dibattiti nel MSI perché io chiedevo il riconoscimento ufficiale del partito. Respingevo l’offerta che per me era utile solo per ripa-rare la DC, o per soddisfare qualche piacere soggettivo. Tutta la questione nei dettagli è stata scritta da me su un altro volume “il mio impegno politico”. Qui mi limito a scrivere la conclusione che portò allo scontro finale in consiglio 10 contro 10. La DC non ebbe il coraggio di riconoscere il ruolo del MSI ed io fui il decimo a pre-sentare le dimissioni da Consigliere. Il Consiglio Comunale fu sciolto e nel dicembre 1984 si svolsero nuove elezioni. Viene eletto Franco Raffo, il MSI perde un seggio. Dopo una campagna eletto-rale accesa nei toni e con una DC in netto contrasto con il PSI, vie-ne eletto Sindaco Franco Raffo appoggiato da una maggioranza DC, PCI.

Inizia un nuovo ciclo di stabilità politica con una DC forte, aveva sfiorato la mag-gioranza assoluta, e con l’amministrazione impegnata in una serie di megaprogetti. Un ciclo che dal 1985 al 1992 vede l’opposizione, for-mata dal MSI con un seggio e dal PSI con quattro. Un’op-posizione debole nei numeri, ma forte nell’impegno amministrativo. Furono gli anni in cui in Ita-lia e in Sicilia la facilità dei finanziamenti incoraggiò molti Comuni a presentare progetti miliardari in ogni campo. Arrivavano proposte e progetti che nessuno voleva farsi sfuggire. L’Amministrazione Raffo presentò numerosi progetti, richieste di finanziamenti e non tutti soddisfatti. Fu così che il progetto per un parco in contrada Pezza Grande per circa 15 miliardi delle vecchie lire, non ebbe esi-to positivo. Stessa sorte lo ebbe il progetto della Piazza e del Ca-stello, somma richiesta 12 miliardi delle vecchie lire. Furono finan-ziati le opere di ristrutturazione del Convento Cappuccini con esclusione della Chiesetta e del parco circostante, la Scuola Ele-mentare Cap. Puglisi e alcuni tratti di fognature della rete idrica. Molte opere ebbero esito positivo, ma la Giunta Raffo volle andare oltre, ricorrendo alla Cassa Depositi e Prestiti per l’illuminazione elettrica e per la costruzione di un macello. Per questa strutturala

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Franco Raffo Sindaco di Acatedal 1985 al 1992

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I miei racconti

somma fu di 1 miliardo e 500 mila delle vecchie lire. Con i fondi provenienti da un mutuo, si realizzarono alcune condotte idriche del paese. L’Amministrazione Raffo presentò un progetto per un nuovo acquedotto che fu finanziato e realizzato negli anni successi-vi.

Con i fondi regionali si costruirono : il muraglione di sostegno in Contrada Costa Gatta, nuovo belvedere in via Bellini e i cana-loni per lo scolo delle acque piovane verso valle. Infine la strada Acate Niscemi in contrada Grazia non fu mai completata per le note vicende di una truffa e per la quale ci furono arresti, con con-danne e assoluzioni.

Non c’è dubbio che fu un periodo intenso, e alcune opere furono realizzate in una successione di tempi brevissimi, altre rimasero in-compiute e senza finanziamenti. Raffo programmò un progetto per la Piazza con smantellamento della villa e ricostruzione dell’intera area antistante il Castello. Un progetto che rimase senza soluzione, nonostante l’Amministrazione avesse ordinato lo smantellamento dell’antica villa comunale. Nacque una polemica e i contrasti con gli ambientalisti portarono al blocco dei lavori per cui la Villa restò rasa al suolo e l’area scoperta recintata sotto sequestro per ben 7 anni.

Nel 1990 nuove elezioni per scadenza naturale e nuovo successo della DC con la scomparsa dal Consiglio Comunale del MSI dove si erano accentuati i contrasti per via del non consenso alla Giunta con la DC.

Viene eletto Sindaco nuovamente Franco Raffo, uscito con un successo personale forte e imbarazzante per i suoi avversari all’in-terno della DC. Nasce subito un contrasto tra i dirigenti della DC. Contro Raffo viene presentata una denuncia penale in merito alla strada Acate Niscemi e motivata per truffa a carico della ditta ap-paltatrice dei lavori.

Liti, accuse dubbi e certezze portano alle dimissioni di Raffo e nel 1992 viene eletto Sindaco Giovanni Caruso che sta in carica

sino alle sue dimissioni, tra il mese di ottobre e il mese di novembre 1993.

Si va a votare con il nuovo siste-ma, elezione diretta del Sindaco e

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Giovanni Caruso Sindaco di Acateanni 1992 /2003/2008

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in due turni. Il 31 gennaio del 1994 Masaracchio e Longo tra 4 candidati passano il turno, vanno al ballottaggio. Il 14 febbraio 1994 Gaetano Masaracchio viene eletto ed è il primo Sindaco di Acate eletto direttamente con voto popolare. La lista che appoggia Masaracchio ottiene la maggioranza, la minoranza va alla lista di centro del CDU.

Il neo eletto si trova subito di fronte al grave problema della cri-si idrica. Deve affrontare notevoli difficoltà lottando anche contro atti vandalici che si accaniscono a peggiorare la carenze di acqua nel paese. Atti di sabotaggio alle condotte idriche si registrano quo-tidianamente. Dai pozzi l’acqua diminuisce con costante progres-sione, anche per la lunga siccità di quel periodo.

Scontri nel palazzo con alcuni funzionari soprattutto con l’uffi-cio tecnico per la lentezza di una burocrazia che non solo rallenta i servizi, ma ne danneggia anche i risultati finali.

Subito dopo l’insediamento, nel mese di marzo 1994, alla crisi idrica, agli atti vandalici e alla lentezza scientifica della macchina burocratica in alcuni settori dei servizi comunali, si aggiungono al-cuni fatti inquietanti e gravi. A seguito di una denuncia penale, pre-sentata qualche anno prima, gli uffici del Comune sono presi d’as-salto dalle forze dell’ordine. Viene prelevata una vasta documenta-zione relativa agli appalti sui canaloni, sulla strada Acate Niscemi ed una serie di atti amministrativi del periodo 1985/1991, poi la vi-sita dell’Ufficiale Giudiziario per un debito del Comune.

Il clima era insopportabile, per la prima volta mi trovavo in un posto che scottava per tutte le incertezze e le paure. Confesso che era forte il mio timore di cadere in una trappola dannosa e pericolo-sa. Dopo alcune settimane si presentò l’Ufficiale Giudiziario, no-minato dalla Corte d’Appello di Catania. Con in mano l’atto in-giuntivo per la liquidazione di un debito di 500 milioni delle vec-chie lire a favore di creditori del Comune, doveva procedere all’e-sazione delle somme come da sentenza.

Poi nel lasso di tempo accordato ci fu la trattativa con la Sig. na Traina creditrice del Comune e tutto si risolse positivamente.

Nel bel mezzo degli atti vandalici, le minacce anonime via tele-fono, sparì l’autobotte dell’acqua potabile. Fu un colpo che diede momenti di grande sconforto e rabbia per così tanta crudeltà contro il paese. Furono mesi di angoscia e di sbandamento perché i proble-mi erano tanti e gravissimi, ma affrontati dall’Amministrazione con

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I miei racconti

dignità e determinazione. Si andò avanti tra mille ostacoli e una du-rissima opposizione si confrontava secondo gli schemi di una vec-chia politica basata tutta sulla distruzione del personaggio avversa-rio. Poi incominciò a delinearsi la soluzione dei problemi, nei modi e nei tempi che l’impegno quotidiano sul campo ci consentiva.

Per il problema dell’acqua mi rivolsi persino al Prefetto che in-tervenne per la distribuzione alle famiglie. Infatti il Comando Pro-vinciale dei Pompieri dispose tre autobotti per Acate. Tutti i giorni si assicurava acqua alle famiglie disagiate. Il Sindaco e gli Assesso-ri quotidianamente presenti collaboravano per la distribuzione del-l’importante liquido. Scene che al solo pensarci mi intristisce il cuore riflettendo su come si sia arrivato a tanta penuria e tanto ac-canimento contro chi amministra, a così gravi atti vandalici senza il sostegno morale di un documento di condanna degli oppositori.

Interno del Castello Restaurato

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Acate Settembre a Biscari: concerto di Lirica in piazza

Per la verità nel settembre 1994 nella riunione tra le forze politi-che, i Consiglieri Comunali e i Sindacati, da me convocata , presso il Comune, solo i Sindacati dichiararono la loro disponibilità alla collaborazione. Tutti gli oppositori negarono lasciando al Sindaco ogni iniziativa per la soluzione. Non riporto i numerosi atti intimi-datori, i danni al patrimonio del Comune e a quello mio personale, i dettagli li scrivo in altra pubblicazione. Scrivo i fatti per quelli che sono stati e con il giudizio interessato che può o non essere accetta-to, ma la sostanza non è lontana dalle verità.

Intanto l’Amministrazione non si fermò nei suoi progetti, rea-lizzò opere e cantieri importanti. Tutte le settimane mi recavo a Pa-lermo per ottenere finanziamenti su progetti programmati per Aca-te. Furono realizzati 14 cantieri di Lavoro negli anni 1995, 1996 e 1997. Riuscimmo a sistemare molte vie con marciapiedi nuovi di zecca ed alcune strade interpoderali, lavorarono tanti disoccupati. Ogni cantiere, finanziato con £. 150 milioni, impegnava oltre a un Geometra direttore, circa 15 operai manovali e un Capo Mastro.

Per due anni consecutivi 1996 e 1997 furono impegnati 90 ope-rai e sei geometri. Fu una valvola molto importante e gradita dal mondo del lavoro.

Fu dato un vero rilancio alla cultura locale con l’istituzione del “Settembre a Biscari” un evento da me progettato, approvato e mi-gliorato dagli assessori e di grande successo. Per la Scuola furono fatti interventi alle strutture del plesso Neghelli con la presentazio-

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ne di un progetto di un suo ampliamento, poi realizzato. Altri inter-venti presso l’Asilo Nido e in tutte le Scuole con i Piani di Sicurez-za. Fu istituito il Corso di Giornalismo nelle scuole, le Borse di Studio agli studenti meritevoli. Tutte attività che furono novità as-solute nel campo degli interventi a favore dei giovani e della cultu-ra. Per i servizi sociali il Comune organizzò gite d’istruzione e di gemellaggio riservati ai giovani. Da ricordare la visita a Castelve-trano, Marsala e Mazzara del Vallo, nonché a Torino ospiti della Regione Piemonte.

Acate 4 settembre 1994 : Concerto di Romano Mussolini

Convegni culturali : Donazione degli Organi, Presentazione di Libri , Mostre di Pittura ed Estemporanee furono le attività culturali che vivacizzarono il paese. Concerti di Musica Lirica e Jazz in piazza, tra questi di grande successo fu il Concerto di Romano Mussolini nel 1994.

L’Amministrazione cercò di avviare il Gemellaggio con Cham-bly, Comune della Francia. Furono intensificati i contatti con il Sin-daco Francese e si diede inizio al percorso verso il gemellaggio tra i due comuni.

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Acate dal 1970 al 2008 – Politica, sindaci ed opere realizzate

Un fatto nuovo per Acate che allargò gli orizzonti culturali loca-li proiettati verso una nuova realtà “quella Europea”. Purtroppo la burocrazia, le indecisioni e le ripicche acatesi ritardarono l’evento che poi concretizzò il Sindaco Battaglia.

Chambly marzo 1997 Masaracchio sindaco con amministratori francesi

Tra le opere realizzate da citare la Sala Consiliare del Castello per una somma di 200 milioni delle vecchie lire. Con il progetto curato da tecnici locali, si volle ristrutturare una parte del Castello, le vecchie scuderie e il vecchio ufficio postale. Fu presentato una nuova progettazione di ristrutturazione del Castello, finanziata con 3 miliardi e 800 milioni delle vecchie lire. Ritengo che la completa ristrutturazione del Castello sia totale merito della mia Amministra-zione. Nel 1995 si diede inizio alla ristrutturazione della Piazza, se-condo un progetto imposto dalla Sovrintendenza e che oggi ha pre-so corpo nella villa allora negata.

Interventi per le strade e l’illuminazione delle contrade Piano Torre, Fossati e Baucino, nonché a Marina di Acate dove alcune strade furono asfaltate e provviste d’illuminazione. Furono rico-struite le condotte idriche delle vie Carducci, Messina, Trapani. Quelle di Via Duca D’Aosta e Bixio furono rifatte completamente. Qui i problemi idrici, dopo anni di sofferenza, trovarono la soluzio-ne definitiva.

Importante fu l’opera di ampliamento del depuratore il cui pro-getto fu curato dall’Ing. Orlando e per una somma poco più di 200

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I miei racconti

milioni delle vecchie lire. Si concluse positivamente la metanizza-zione del paese con la stipula del contratto per la sua realizzazione. Poi il ritardo durato circa 10 anni fu attribuito a motivi burocratici, da me ampiamente descritti nei dettagli in altra pubblicazione. Se oggi il metano è una realtà lo è per l’impegno voluto dalla mia Am-ministrazione, la quale ci ha creduto e ha lottato per averla. Dopo dieci anni di attesa viene redatta la bozza del Piano Regolatore Generale di Acate e in poco più di un anno il suo progetto finale. Un documento importante, nonostante i difetti che il Consiglio Co-munale non riuscì ad eliminare. Un PRG per il quale i progettisti non ebbero la capacità di adattarlo alla realtà acatese. Tutte le im-posizioni della Regione sia per il Centro Storico che per le costru-zioni singole, sono state accettate senza possibilità di modifica, al-meno per l’area del Centro Storico.

Ed infine debbo rimarcare il fatto che durante i 4 anni del Sin-daco Masaracchio, fu estinta la maggior parte dei debiti assunti in precedenza con la Cassa Depositi e Prestiti.

Gaetano Masaracchio Sindaco di Acate dal 1994 al 1998

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Acate dicembre 1996 : inaugurazione sala Castello

Il 18 maggio 1998, alla scadenza del mandato, si va alle elezioni con il sistema maggioritario in unico turno. Le liste presentate sono tre la Destra con FI e AN, il centro con il CDU e la Sinistra con il PDS, Acate 2000 e i Popolari. Masaracchio per la Destra, Caruso per il Centro e Battaglia per la Sinistra furono i candidati a Sinda-co di Acate. Il Centro Destra parte diviso a differenza della Sinistra che trova l’unità e vince le elezioni con Maria Battaglia Sindaco.

Per il Consiglio Comunale vengono attribuiti 9 seggi al Centro Sinistra e 6 al Centro, resta fuori la Destra per via di una legge elet-torale che assegna i seggi alle prime due liste classificate.

Chambly 1997 Hotel de Ville ( palazzo comunale). da sinistra nell’ordine Paternò, Masaracchio, il sindaco di Chambly,

il parroco Don Rosario, Di Martino, Garufi e Carfì

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I miei racconti

Maria Battaglia, Dirigente dei Servizi Finanziari del Comune va in aspettativa e governa Acate con una maggioranza solida nei numeri, ma debole nei fatti. Infatti la componente di Acate 2000, presente in Consiglio Comunale con due eletti e in Giunta con l’as-sessore Bellomo, presto va in contrasto con il Sindaco provocando la spaccatura con la maggioranza. Dopo alcuni mesi incominciano le contrapposizioni e le liti tra l’assessore Bellomo e i suoi colleghi di Giunta. Dopo poco più di un anno la crisi si acuisce, Bellomo si dimette dalla carica. Dichiara insanabili i contrasti col Sindaco. Succede che i due Consiglieri di Acate 2000, Monello e Ventura, passano all’opposizione e così in Consiglio Comunale la minoranza diventa maggioranza disponendo di 8 voti su 15. L’Amministrazio-ne Battaglia realizza poco e con scarse progettazioni, ma gestisce la ristrutturazione del Castello. Il decreto di finanziamento arriva nel mese di maggio 1998, proprio alla scadenza del mandato del Sinda-co Masaracchio. Il nuovo Sindaco inaugura il Castello e dopo tanti anni il maniero ritorna ai cittadini, ristrutturato e con lo splendore del suo passato.

Si blocca la metanizzazione per via dell’arresto dei titolari della Ditta incaricata.

La Giunta cerca di lavorare, ma si registra il malessere politico all’interno della sua coalizione e si ferma nell’ ordinaria ammini-strazione. Poco da segnalare circa le opere realizzate se non qual-che intervento nei servizi di manutenzione e nelle strutture immobi-li del Comune. Dopo il congedo del Comandante dei Vigili Urbani, il Sindaco bandisce un concorso per il posto vacante, per titoli, ri-servato solo a dipendenti interni del Comune. Quando poi lo stesso concorso fu vinto dal Sindaco, ci furono accese polemiche contro Maria Battaglia anche all’interno del Centro Sinistra.

Come se non bastasse si registrano sempre più contrasti nella maggioranza. Nota la polemica tra il Presidente del Consiglio Co-munale e il Sindaco. Furono divergenze politiche per cui il Presi-dente si dimise dalla carica. Si aprì così la via all’elezione di un Presidente del Consiglio Comunale appartenente al CDU. Pertanto viene ribaltato l’esito delle elezioni elettorali. Si ripete la stessa sto-ria della precedente legislatura allorquando il Sindaco Masarac-chio perse la maggioranza per il passaggio all’opposizione di ben 4 consiglieri eletti nella sua lista.

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Acate dal 1970 al 2008 – Politica, sindaci ed opere realizzate

Infatti il Sindaco Battaglia deve affrontare notevoli problemi in occasione dei bilanci che puntualmente vengono modificati.

Il Consiglio Comunale diventa litigioso e paralizzato nelle inuti-li polemiche personali ingabbiando l’Amministrazione ad una vera paralisi politica e amministrativa. Si registrano diverse defezioni e dimissioni di assessori con motivazioni ambigue sul piano politico, ma molto chiare alla cittadinanza che avverte il malessere della Giunta e dei suoi sostenitori, è un Centro Sinistra allo sbando.

Intanto, dopo la sconfitta elettorale del maggio 1998, AN, FI e UDC mettono da parte le liti e i risentimenti del passato, uniscono le forze per un’opposizione forte e decisa proponendosi vera e uni-ca alternativa al Centro Snistra che annaspa ed è in grandi difficol-tà. Non riesce a risollevarsi da una situazione litigiosa. Resta bloc-cata dai contrasti interni e sprofonda in una grave crisi politica e amministrativa sbarrando la strada al Centro Destra, ormai proietta-to verso una sicura vittoria elettorale.

Tuttavia Maria Battaglia arriva a concludere il mandato e alla scadenza non ripresenta la sua candidatura a Sindaco.

Nel 2003 due sono i candidati: Sarrì del PDS e Caruso dell’U-DC. Il primo con la coalizione di Centro Sinistra e il secondo ap-poggiato dal Centro Destra, viene eletto Giovanni Caruso. Io ritor-no in Consiglio Comunale e dopo una situazione travagliata all’in-terno di AN e della coalizione, con 8 voti sui 9 disponibili, il Consi-glio Comunale elegge Masaracchio suo Presidente. Il Consigliere Franco Gianninoto passa all’opposizione per non avere condiviso né Masaracchio né Caruso. Tutto questo dalle sue dichiarazioni in Consiglio e sin dalla prima seduta si schiera contro l’Amministra-zione. I dettagli di questa vicenda sono riportati nel mio libro “il mio impegno politico”.

Dopo qualche mese un altro Consigliere dell’UDC si pone tra gli oppositori con motivazioni del tutto improvvisate e senza una vera giustificazione politica.

Il ribaltone in Consiglio determina una dura contrapposizione tra il gruppo del Sindaco e quello di opposizione. Non mancano i volantini e i manifesti anche con toni duri. Attacchi e contrattacchi che non scoraggiano il Sindaco e la sua Giunta forte di 6 consiglie-ri. Si mette in opera tutta una serie di atti che portano alla sfiducia del presidente del Consiglio e del suo Vice con 8 voti contro 6. Si elegge un nuovo Presidente nella persona di Franco Giannino-

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I miei racconti

to, ex UDC e vice Salvatore Castiglione del PD. Poi la sentenza del TAR di Catania riporta alla carica Masaracchio e fino alla fine della legislatura.

L’amministrazione Caruso riesce a realizzare opere di grande spessore e importanti per il paese con progetti finanziati in base a gare vinte dal Comune.

Progetti relativi alla zona artigianale, al ripristino della villa e si-stemazione di Piazza Libertà, Ristrutturazione del campetto di atle-tica. Queste sono le opere più importanti i cui lavori già nella legi-slatura di competenza sono iniziati e per buona parte completati. Iniziano, dopo anni di attesa, i lavori della metanizzazione e nel di-cembre 2007 alcuni tratti del paese sono serviti dal metano. Tutta-via l’amministrazione non riesce a dare risposte concrete e risolvi-bili sul piano della viabilità. Molte strade ancora in balia dei fossi e senza una manutenzione adeguata e risolutiva. Molto è stato causa-to dai lavori della metanizzazione, ma tanto anche dalla carenza or-ganizzativa per i servizi di manutenzione e di conservazione del pa-trimonio comunale.

Manifestazioni culturali, partecipazione alle vetrine dei prodotti locali, sono stati un lavoro sicuramente utile per la comunità. Nella Scuola oltre ai servizi ordinari il Comune ha assicurato i corsi di giornalismo e per i giovani studenti l’annuale appuntamento con le borse di studio per i più meritevoli. Si chiude la legislatura con un bilancio positivo, ma per i servizi sulla viabilità e per le manuten-zioni c’è tanto da fare ancora, soprattutto sul piano organizzativo, compito delicato di competenza anche e soprattutto degli uffici co-munali.

Acate 1997 Convegno sulla donazione degli organi

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Acate dal 1970 al 2008 – Politica, sindaci ed opere realizzate

Nel 2008 viene rieletto Caruso, ma con uno scarto di voti più basso del 2003. Vince il Centro Destra e la sconfitta del Centro Si-nistra, Enzo Longo candidato a Sindaco, e di una lista MPA e Aca-te 2000 con Franco Raffo candidato a sindaco.

Entra in Consiglio Comunale con sei seggi la lista Franco Raf-fo e la lista Caruso Sindaco con 9 seggi divisi 4 AN, 2 indipenden-ti e 3 UDC.

Qui finisce il mio racconto oggi 18 febbraio 2009. Gli eventi, i fatti, le liti, sono storia di oggi, lascio ad altri il loro racconto, se ne hanno voglia e passione.

Debbo precisare che la parte relativa alla Politica, ai Sindaci e alle Opere Realizzate dal 1972 ad oggi, mi ha visto protagonista con ruoli diversi. Non c’è dubbio che chi scrive può avere una chia-ve di lettura propria e a volte diversa da quella di altri, ma è certo che i fatti raccontati sono quelli che avete letto e che tutto sommato la sostanza dei contenuti non può mai cambiare.

Il racconto è frutto di ricordi, ma anche di documenti cui tutti possono accedere per una visione in merito alle opere realizzate e ai verbali dei fatti in Consiglio Comunale. Pertanto se viene ri-scontrata qualche inesattezza, è sempre un fatto secondario, non de-terminante per la veridicità sostanziale della Storia Politica e Am-ministrativa Acatese durante gli anni raccontati.

Acate marzo 209 la vasca della Villa Acate marzo 2009 La Villa di notte

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I miei racconti

Acate 2009 La Piazza e la Villa ristrutturate

Acate marzo 2009 La piazza

Acate 2009 la Villa ristrutturata

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I miei giochi da ragazzino

Bambini che giocano

Spesso i miei nipotini giocano a “nascondino” invitandomi a parte-cipare. Volentieri accetto ad un gioco da me preferito da ragazzino. Torna in me il ricordo della felicità condivisa con i compagni di strada e di quartiere. Ritrovo i giochi di una volta che furono vissuti con intensità e libertà di movimento nei primi anni del dopo guerra. Mi piace offrire ai giovani una nuova lettura, un racconto del passa-to : La vita dei ragazzini con i loro giochi preferiti.

In questa pagina voglio tracciare la semplicità e la gioia sfrenata dei ragazzini del dopo guerra. Gli adolescenti privati dei giochi e della libertà dalla guerra, costretti dai pericoli bellici a stare lontano da qualsiasi gioco all’aperto.

Non sto qui a parlare di un sentimento comune a tante persone, ma voglio rimarcare come ogni gioco all’aperto e negli spazi liberi dei quartieri, per noi fu motivo di gioia per la vita.

Nel 1945 avevo 7 anni, da poco era finita la guerra e la regolare quotidianità ritornata nelle famiglie portava ogni cosa alla normali-tà. La scuola era stata riaperta da un anno e più. Anche i giochi era-no ritornati per la gioia de i ragazzini. La strada, la piazza, e la villa furono luoghi di piena libertà e spazi incommensurabili. Qui il go-

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I miei racconti

dimento sfrenato e gioioso ci tratteneva per quasi un’intera giorna-ta.

Molti ragazzi andavano a scuola con la cartella di ferro, una cassetta porta munizioni, di colore verde trovata nei campi, abban-donata assieme a bombe e fucili. Libri, quaderni, matite, penne e gomma da cancellare la riempivano. Per molti ragazzini era “la borsa di scuola”, pesante, ma utile per gli alunni delle elementari.

Tutte le mattine entravamo all’interno della palestra scoperta e qui attendevamo il suono della campana per entrare in classe. Du-rante l’attesa si giocava, scherzava e a volte si litigava per niente d’importante.

Tra i giochi più comuni era quello con i pennini da inchiostro. Si giocava a testa o croce, con le monetine metalliche scommettendo i pennini, per noi preziosi. Si applicavano ad un’asticella di legno per poi intingere nell’ inchiostro, questa era la nostra penna scola-stica. Nei mesi primaverili si preparava l’inchiostro rosso dalle fo-glie del papavero dei campi. Era un gioco per tanti ragazzini, sia per la raccolta che per la preparazione.

Oggetti dei nostri strani giochi erano pezzetti di vetro, bottoni e qualche soldo di metallo detto “a nichila”. Ma tra tutti il gioco pre-ferito era “a nascondino”, gioco universale. Le strade, le aiole e tra gli alberi della villa comunale erano i posti ideali per nasconderci.

gioco della trinca

Altro gioco molto prati-cato era “la trinca” la si gio-

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Il gioco della piazza e piuzzu

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I miei giochi da ragazzino

cava nella strada. Si tracciavano righe e quadrati numerati dove si lanciava una pietra e saltellando si andava a prenderla. Questo era il gioco per maschi e femmine. Tutti i ragazzini riuniti nella strada giocavamo per interi pomeriggi tra le risate per la caduta goffa di uno di noi o qualche lite tra i più vivaci. I maschi spesso sceglieva-no il gioco della scala al passo “ a scalidda o passu”. Un gioco movimentato e che richiedeva un percorso lungo. Di solito un ra-gazzo dopo la conta si disponeva curvato, come primo ostacolo da saltare. Poi gli altri , dopo una breve rincorsa, saltavano a scavalco sostituendosi , man mano che saltavano, al precedente compagno curvato e così lungo un percorso senza meta. Quando uno dei salta-tori cadeva per terra il gioco si fermava e si ricominciava. Questi erano veri giochi di gruppo che nel dopo guerra furono intensi. In ogni quartiere c’erano uno o due gruppi di ragazzini che giocavano e passavano le ore pomeridiane nella strada.

Tra i tanti giochi il più amato dai maschi era quello della trotto-la in dialetto detto “u tuppiettu”, addirittura ci furono anni in cui si registrò un vero BOOM. Molti ragazzi ci procuravamo il legno per la trottola e il falegname col tornio la creava. Il legno più pregiato era quello d’ulivo, mentre il faggio e l’arancio meno, per la loro fragilità.

Le trottole erano di due tipi quello a forma di cupola con dei cerchi colorati, e quello con un piccolo peduncolo verso l’alto, det-to piripicchio. La parte alta della trottola a cupola, era detta “cur-curucchia”, mentre la parte appuntita tratteneva una specie di chio-do detto “muscula”. Si giocava nei quartieri per interi pomeriggi e dopo la conta si disponeva a terra la trottola del sorteggiato e con un laccio “a corda” la si faceva girare. La trottola disposta a terra doveva essere colpita da quella lanciata col laccio. Ci si accaniva a colpire chi stava sotto con la “muscula” e i colpi erano dette“MU-SCULATE”. Il perdente consegnava la sua trottola per le “Musco-late”. Qualora la trottola lanciata non riusciva a girare o a toccare quella a terra, prendeva il suo posto. A volte succedeva che qualche trottola fragile si spaccava e quindi rabbia e lacrime del perdente e le risate degli altri.

Durante l’estate e in autunno si giocava con le nocciole, con la partecipazione di maschi e femmine. Si scavava una piccola fossa vicino al marciapiede e uno dei ragazzi con le mani lanciava le noc-

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I miei racconti

ciole. Se dentro la fossa andavano nocciole in numero pari vinceva il lanciatore altrimenti l’altro che aveva scommesso con le proprie.

Era il cosiddetto “Iuoco a fossa” che tutti i giorni ci vedeva im-pegnati per interi pomeriggi. La vincita dava la possibilità di cam-biare le nocciole con altri prodotti, nella bottega del quartiere.

Io sempre spesso perdevo, Pietro Mezzasalma era noto per la bravura nei lanci. Mia moglie Valeria, allora ragazzina terribile ed esperta nel gioco delle nocciole, vinceva tantissimo. Spesso si met-tevano assieme le nostre nocciole, lei lanciava nella fossa ed io in-cassavo. Duelli bellissimi e accaniti con le ragazze molto brave nei lanci. Durante il gioco tra ragazzi e ragazze si scherzava e non mancavano le ingenue battute di scherno per chi perdeva. Eravamo nella fase avanzata della nostra adolescenza e tra i giochi nasceva-no i primi amori.

Un altro gioco del tempo fu quello della cosiddetta “ a piazza e u piuzzu” che impegnava tanti ragazzi e poche ragazze. Si prepa-rava un legno piallato dalla forma piatta e rettangolare di circa ½ me-tro o poco meno, e un pezzetto di legno rudimentale affilato alle due estremità di circa 25cm. Il primo era la piazza e il secondo u piuzzu. Sulla strada si tracciava un’area quadrata di alcuni metri quadrati e vi si lanciava il piuzzo. Dopo il lancio “u piuzzu” poteva entrare oppure sbattere nella piazza, in ogni caso chi aveva in mano la piazza doveva colpire alla sua estremità colpendolo e allontanandolo il più possibile, per poi sti-mare la distanza dall’area e si misurava la distanza. Un gioco che portava a calcoli di stima e di conteggi, la piazza era il mezzo di misura. Nei quartieri si giocava alle comari, gioco antico e popolare diffuso in diverse parti del meridione.

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Valeria ragazza, mia moglieFoto del 1956

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I miei giochi da ragazzino

Trottole Trottole con laccio

Cinque ragazzi, quasi sempre donne, erano le comari, si dispo-nevano 4 ai vertici dei marciapiedi e il quinto nel mezzo. Avveniva lo scambio del posto tra i quattro e il quinto doveva cercare di arri-vare primo degli altri prendendone il posto. Di solito le quattro co-mari per muoversi dai loro posti chiedevano “ cummà aviti un po’ di sale?”, alla risposta affermativa correvano dall’altra parte. An-che questo gioco ci accompagnò negli anni della nostra adolescen-za.

Questi furono i nostri giochi, ma poi dopo alcuni anni ci furono anche i primi giocattoli : qualche cavallino, pistole, carrettini e bambole fino a quando esplosero i giocattoli moderni.

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I miei racconti

ALCUNE MIE FOTO da RAGAZZO

La mia foto del 1952

Una foto del 1952 con gli amici alla villa

La mia foto del 1952 La mia foto del 1956

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La Festa di San VINCENZO MARTIREUn Tuffo nel Passato di Acate e degli Acatesi

Il simulacro diSan Vincenzo

nel fercolo

Acate 2009 - Chiesa di san Vincenzo

Molte tradizioni si tramandano di generazione in generazione, se-gnando il cammino della storia di un paese e dei suoi cittadini. Al-cune spariscono del tutto e spesso non ne rimane traccia, tranne che nel ricordo e nelle testimonianze di qualche appunto scritto. Altre invece cambiano radicalmente e si dice che vanno al passo con i tempi. Tuttavia spesso il cambiamento sfocia in una sorta di snatu-ramento dei significati e dei valori delle stesse tradizioni. Questo è successo con la Festa di San Vincenzo, antica tradizione con secoli di storia e legata non solo al popolo acatese, ma anche a tanta gente dei paesi limitrofi che venera il nostro Santo Protettore.

Per gli Acatesi i festeggiamenti in onore del Santo Martire non sono una festa, ma la FESTA, che ogni anno rinnova tradizioni di popolo e riti religiosi nella Chiesa che fa corpo unico col Castello dei Principi di Biscari. La Chiesa che si affaccia nella vallata del-l’antico feudo di Biscari, fu costruita come Abbazia o Chiesa di San Giuseppe che la famiglia Paternò Castello aveva voluto unire al Castello. Successivamente il Principe Vincenzo Paternò Castello

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I miei racconti

volle ampliarla e nei primi anni del secolo 1700, quando arrivò a Biscari il corpo del Santo, l’Abbazia di San Giuseppe divenne Chiesa di San Vincenzo, ampliata e abbellita. Subito dopo Pasqua iniziano i preparativi per la Festa di primavera in onore di San Vin-cenzo. Infatti ogni anno l’evento tradizionalmente si celebra 21 giorni dopo Pasqua. La Chiesa è addobbata con paramenti e festoni in tutta la navata centrale e con fiori in quantità attorno alla Reli-quia del Santo. Tutto questo continua come nel passato e molti fe-deli partecipano ai preparativi per gli addobbi in Chiesa.

Rispetto al passato molto è cambiato perché alcune feste sono state cancellate ed altre proposte diversamente. Infatti oggi il paese è paralizzato da una mostruosa fiera mercato che ingabbia la viabi-lità del centro storico, le corse dei cavalli sono state affidate ai pro-prietari dei puro sangue, mancano i concerti bandistici in piazza. Nel passato si dall’inizio della terza settimana dopo Pasqua, si en-trava nel clima della Festa.

ACATE : La Fiera di San Vincenzo del passato

Tra il martedì e il mercoledì arrivavano i venditori di ceramiche, articoli in terracotta, e utensili per la casa. Si disponevano sul mar-ciapiede antistante il Castello e qui si potevano comprare piatti, vasi, cantri , brocche in terracotta (bummuli e bummuliddi) cri-velli (crivi e crivanari per la cernita di farina e cereali) e ancora giocattoli in terracotta per bambini ( i fischietti) e i tamburi di le-gno e pelle. La fiera era arricchita dai manufatti in ferro battuto e in rame di artigiani provenienti da Vizzini , così era “ la fiera di San Vincenzo” del passato. Il venerdì alle ore 11 lo sparo di un morta-retto, con il suono festoso delle campane, annunciava l’inizio della

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La Festa di San Vincenzo Martire

fiera del bestiame in contrada Fontanella. Qui si poteva comprare tutto quanto serviva ai Contadini, ai Massari e alle famiglie.

Si acquistavano anche attrezzi in ferro per la campagna( aratri, zappe, coltelli e forbici). I ragazzini andavamo a curiosare, divertiti per ore e ore, assistevamo alle prove dei cavalli e di carretti , o al grugnito dei maiali in vendita. Tanti acquistavano galline, maiali per la casa. Le trattative erano colorite di battute nei dialetti di tutta la Sicilia, perché la Fiera di San Vincenzo era nota e importante. Alle ore 12 del Sabato altri spari di mortaretti e scampanio di cam-pane, annunciavano la fine della Fiera del bestiame.

Anni fa in onore del Santo Protettore di Acate c’erano le corse “ LE CORSE DEI CAVALLI”. oggi impropriamente dette “PALIO di San Vincenzo”. Non c’era prima e non c’è nemmeno oggi nulla in “PALIO” per cui sarebbe più logico parlare di corse. Si tratta di una tradizione che è stata cambiata perché non ci sono più i car-rettieri di una volta. Infatti erano loro assieme ai “ Massari” a met-tere a disposizione del Santo i propri cavalli da tiro. Non era una gara vera e propria, ma una competizione dimostrativa e di devo-zione. Possiamo dire che tutti offrivano i propri cavalli per ingra-ziarsi il Santo a che la produzione dell’annata in corso fosse gene-rosa. Gli stessi poi a Settembre ripetevano la tradizione delle corse in segno di ringraziamento alla Santa Bambina per i frutti raccolti.

La Domenica, giorno solenne della Festa, in Chiesa arrivavano i pellegrini dai comuni vicini: Vizzini, Licodia Eubea, Pedalino, Chiaramonte G. e Vittoria. Un pellegrinaggio suggestivo e sentito da tanta gente che arrivava tra la notte del sabato e l’alba della do-menica. Gente di ogni età a piedi, con carretti, carrozze e carrozzi-ni, arrivava nel paese del Santo Martire e in Chiesa offriva gioielli, oro, ceri e tante preghiere. C’era chi doveva esaudire un voto, chi

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I cavalli per la Corsa Prova del carretto con cavallo

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I miei racconti

chiedeva una grazia o chi portava la fede e la preghiera di parenti residenti in altri continenti, molti dei quali in Australia.

Poco dopo il tramonto e a conclusione delle corse dei cavalli, ha inizio la processione e il Simulacro del Santo col Fercolo portato a spalla, seguito da tanta gente del paese e dei paesi vicini e precedu-t0 da fedeli e dagli stendardi della Madonna delle Grazie e della Madonna del Carmelo, attraversava le vie di Acate per rientrare nella sua Chiesa a sera tardi. Durante i tre giorni della festa si esibi-vano le bande musicali di Acate ed i altre Città, con concerti in Piazza e marce musicali per le vie cittadine. Ricordo che tra la fine degli anni 40 e l’inizio degli anni 50 ad Acate venne per tre giorni una famosa banda musicale dalla Calabria “Il Corpo bandistico di Pisciotta” si fermò ad Acate per un concerto fuori programma an-che il giorno del lunedì, tanto erano bravi i musicanti.

La festa si concludeva la domenica a mezzanotte con il sorteg-gio di un cavallo e di un vitellino. Poi il lunedì tutti andavano in campagna per la tradizionale scampagnata di San Vincenzo.

Questa era la festa San Vincenzo nella nostra Acate, un a festa che solennemente era sentita anche da tanta altra gente di paesi lon-tani e vicini.

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C’era una volta la Corsa dei Cavalli di San Vincenzo

Storia, Tradizione e Cultura dell’antica Biscari

Le Corse dei cavalli di una volta

Scrivo questo racconto oggi 4 maggio 2009, lunedì dopo la festa di San Vincenzo, mentre ancora non si è placato il malumore degli acatesi per il mancato del cosiddetto “Palio”. Una corsa che nel passato è stata vanto ed orgoglio dell’intera comunità locale, per la sua storia e per la sua secolare tradizione.

Con questo racconto voglio riportare il lettore agli anni della Corsa dei Cavalli e alla sua storia, oggi oggetto di polemiche e di rammarico tra i cittadini di Acate e non solo. Per potere capire i motivi ostativi di una manifestazione che ci accompagna da circa 3 secoli, è utile partire dalle origine ed entrare nel vivo di una Festa voluta in onore del nostro Santo Protettore Vincenzo.

In premessa debbo dire che tutta la festa di San Vincenzo, dagli anni 70 in poi è stata radicalmente cambiata in peggio, a partire dalle manifestazioni dello spettacolo, per arrivare alle Corse dei ca-valli e alla fiera mercato. Tutto questo è successo per la scarsa co-noscenza della tradizione storica della festa più importante dell’an-no, ma anche per mancanza di una vera cultura delle proprie

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I miei racconti

radici e delle origini di un paese che vanta una sua gloriosa storia anche per le manifestazioni in onore dei suoi Santi.

Negli ultimi 40 anni, qui ad Acate c’è stata la frenesia di cancel-lare impunemente ogni traccia col proprio passato. Questo sicura-mente è accaduto per la mania di un modernismo che fa a pugni con la tradizione popolare e la sua cultura.

Infatti dopo la scomparsa dello “scenario naturale” del calvario con l’occupazione selvaggia dell’intero spazio e la scomparsa del promontorio, la cancellazione di alcuni monumenti tipo la Fontana di San Giuseppe, la Palestra coperta e scoperta delle Scuole Ele-mentari, la Villa, i Lavatoi con la fontana di contrada Canale, la tra-sformazione e l’abbandono dell’antica chiesetta di “l’armuzzi bini-ritti”, registriamo la scomparsa delle Corse dei cavalli di San Vin-cenzo, sostituite con il “palio” dei cavalli da corsa per niente legati alla storia e alla tradizione. E’ così che d’un colpo si è cancellata LA VERA TRADIZIONE locale di una manifestazione unica e piena di significati morali, sociali e storici.

Processione di San Vincenzocon la Reliquia

Acate :Il Palio di San Vincenzo

Oggi ci si lamenta per la mancanza di un palio che da sempre è stato il fiore all’occhiello di una festa tra le più sentite e importanti della Sicilia. Debbo dire che non è così perché il palio è nato negli anni 70 del 1900 con grande superficialità e tanta mancanza di ri-spetto verso la tradizione popolare. Infatti a sproposito si è parlato e si continua a parlare di palio quando invece in palio non c’è stato mai nulla. E’ come volere scimmiottare il palio di Siena che è ben

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C’era una volta la corsa dei cavalli

altra cosa e che appartiene ad altre tradizioni popolari del medioevo di quella Città, ad altra cultura di quella Regione. Qui Siamo ad Acate o meglio nell’antica Biscari e se vogliamo risalire alla vera storia e alla tradizione di Biscari dobbiamo chiarirci le idee per ca-pire che il Palio negato oggi, non ci appartiene. Non può reggere il fatto che viene cancellata una corsa solo per motivi di ordine pub-blico o per la tutela del cavallo, né regge la lagnanza di tanti per la cancellazione del Palio visto come tradizione e storia. A mio modo di vedere conta soprattutto la tutela di una storia antica e gloriosa che ha scritto pagine indelebili di una lunga tradizione popolare sin dal secolo del 1700. Tutti dobbiamo difendere la corsa dei cavalli non il palio così come lo è stato sino a oggi. Ecco perché è impor-tante capire e conoscere la tradizione vera nel rispetto dei nostri pa-dri e del Santo. Non sarà certamente un Palio moderno, per il modo in cui si è voluto imporlo in sostituzione della Corse senza competizione, ad essere Tradizione secolare, non è corretto parla-re di PALIO = TRADIZIONE. Quando per la dabbenaggine di al-cuni si è voluto cedere alle richieste di qualche proprietario di ca-vallo puro sangue, ormai alla fine della sua carriera, con le prove cronometriche ad eliminazione e con cavalli provenienti da tutta la Sicilia, è iniziato il lungo percorso verso una degenerazione di una tradizione che ha voluto esaltare sempre il valore, la magnificenza e la bellezza del cavallo da tiro dei contadini e degli antichi carret-tieri. Infatti da dove inizia questa lunga tradizione? Questa è la do-manda che tutti oggi debbono porsi e poi dare giudizi sereni, ma soprattutto per potere ripartire per riavere la nostra tradizionale “CORSA DEI CAVALLI”. Nel racconto precedente sulla Festa ho scritto qualcosa sulle corse, qui entro nei dettagli e percorro tutto il cammino dalle origini ai giorni attuali. Nel 1701 quando fu donato il corpo mummificato di San Vincenzo alla famiglia Paternò Ca-stello , il Principe invitò tutti gli abitanti di Biscari e recarsi a Sco-glitti dove arrivava il Santo, con carretti, cavalli, muli, asini, car-rozze e carrozzini, ci furono anche viscarani che andarono a piedi per onorare il Santo e scortarlo fino all’Abazia di San Giuseppe in Biscari. Il giorno in cui doveva arrivare San Vincenzo da Roma via mare, un’intera comunità si diresse verso Scoglitti con ogni mezzo. Tutti fecero a gara al fine di essere tra i primi ad accogliere San Vincenzo. Furono giorni di esaltante attesa, di festa sentita e di ric-

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I miei racconti

che manifestazioni che il Principe volle organizzare in onore del grande evento. Poi la Chiesa fu ampliata e abbellita,

fu cambiata da Abbazia di San Giuseppe in Chiesa di San Vincenzo e ospitò il Corpo del Santo con tutti gli onori e la fede che oggi ancora registriamo. Negli anni successivi venne isti-tuita la Festa nei giorni e nel periodo che ancora oggi

rispettiamo per tradizione. La prima Festa in onore di San Vincen-zo si è svolta nel 1707 e tutta Biscari partecipava ai festeggiamenti. Negli anni successivi la fama del Santo miracoloso si sparse in tanti altri paesi vicini e nel giorno solenne dei festeggiamenti tanti pelle-grini devoti venivano ad onorare di presenza il Santo, accolti da una Biscari tutta parata a festa. Per dare maggiore luce alla città alle luci dei lampioni ad olio si aggiungevano i falò con le frasche che aumentavano la luminosità nelle ore serali e notturne, una con-suetudine che a Biscari si ripeteva fino a quando non ci fu la cor-rente elettrica.

Durante la festa in onore del Santo i contadini, e nel dopo guerra i carrettieri, offrivano i loro cavalli da tiro per le corse dei cavalli. La Corsa era una manifestazione pulita, bellissima e piena di signi-ficati per il semplice fatto che il cavallo era animale da fatica e dopo avere arato la terra o trasportato carichi pesanti di merci, nel pomeriggio del sabato e della domenica gareggiava con altri cavalli per una corsa dimostrativa, mai competitiva o selettiva. Erano ca-valli bellissimi di vario colore cavalcati da semplici contadini con camicia bianca e fazzoletto alla spigarola. Tutto questo fino alla fine degli anni 60 del 1900. Ricordo corse belle a vedersi, senza i pericoli della velocità e grande entusiasmo nel vedere i fantini oc-casionali appaiati e presi mano con mano lungo il corso. Inneggia-vano festosi gridando“ VIVA SAN VINCENZO!!” Ricordo i fanti-ni Vanni Lauria, Vincenzo e Alfio Di Paola, Francesco Galofaro e il niscemese Strabona. Era la corsa dei Cavalli di San Vincenzo, in quei giorni i cavalli appartenevano soltanto al Santo Protettore Vincenzo, come dire San Vincenzo disponeva dei cavalli e della

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C’era una volta la corsa dei cavalli

loro magnificenza invitando tutti i Viscarani a ringraziare il prezio-so animale per le sue virtù, per il lavoro che rendeva ricco il paese. Da qui secondo una mia opinione nasce il termine “LA CORSA DEI CAVALLI DI SAN VINCENZO” , divenuta poi nel dopo guerra “le corse dei cavalli”. Al centro della corsa era il cavallo come “compagno dell’uomo” , non era la competizione o la forza-tura dell’animale a vincere a tutti i costi. Non c’era nulla in palio, ma soltanto la gioia, la fede, la voglia di onorare il Santo e il piace-re di mostrare il proprio cavallo. Il Principe, i cittadini e tutta la co-munità di Biscari offrivano i cavalli come se volessero ingraziarsi il Santo per la produzione che la primavera stava lievitando nei campi a favore della comunità. Nel dopo guerra tutto si ripeteva a settem-bre in occasione della festa della Santa Bambina, patrona dei car-rettieri, come atto di ringraziamento per la produzione maturata e raccolta , una vera ricchezza di un paese “ACATE” sempre attento e vicino alle sue tradizioni.

Poi, come detto sopra, tutto fu stravolto e si sono perse le tracce della tradizione popolare, della vera corsa che solo Acate poteva vantare. Siamo arrivati al paradosso di inculcare nelle nuove gene-razioni una tradizione mai esistita con il “PALIO”. Sono anni che non sento mai parlare di Corse dei cavalli come manifestazione che rinverdisce i giorni felici dei Viscarani del 1701 allorquando il San-to arrivò nella sua sede di fronte alla vallata e al mare, davanti al-l’orizzonte che illumina i campi ricchi di storia, di cultura dell’anti-co feudo di Biscari. Nessuno mai ha voluto capire che le corse dei cavalli di San Vincenzo sono state volute dal Principe per celebrare annualmente la ricorrenza del viaggio di San Vincenzo da Scoglitti a Biscari scortato dai cavalli che correvano al grido di alleluia!!! alleluia !!! Viva San Vincenzo!!! Questa è la vera storia delle cor-se dei cavalli e spero che entri nella mente e nei cuori della gente e specie dei giovani. E’ nostra antica tradizione vera e culturalmente Viscarana, da qui dobbiamo ripartire e per questa corsa dobbiamo batterci …per onorare il Santo col cavallo al centro delle manifesta-zioni

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“U Varagnu i Sciacca!” O se vuoi…”U Canciu i Sciacca!”

La Beffa di un Cambio alla pari. . .

Questo più che un racconto è una barzelletta d’altri tempi con i suoi significati monitori per la nostra vita quotidiana. Un’allegra storiel-la tramandata da padre in figlio che ha accompagnato da più di un secolo le generazioni locali e forse anche di altri paesi del circonda-rio. E’ una storia che nasce dalla fantasia, oggi comunemente defi-nita “virtuale”nei suoi contenuti. Tuttavia è certo che la beffa sia stata realmente subita, non sappiamo da chi, per quale cosa e in che modo, ma siamo certi che tutto è accaduto a Sciacca per una per-muta pattuita alla pari e con comparazione dei valori. Conosciamo la parte finale della storiella di un cambio consensuale che due persone fecero tra animali o cose di loro proprietà, ma con effetti di una BEFFA per una delle due parti. Il contenuto di quanto raccon-tato nella parte più importante del fatto in se stesso, ma soprattutto la sua conclusione non tolgono nulla al vero, si tratta solo di riflet-tere bene per non cadere mai nella trappola di una sonora beffa…

La lettura di questo racconto potrà fare ridere, ma lo farà ancor più se lo si ascolta da viva voce, si tratta di un detto che resta tra le

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“U Varagnu i Sciacca!”

“Massime proverbiali popolari”che in ogni occasione viene citato da più di un secolo tra la gente del nostro paese.

Siamo a Biscari tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, anni in cui il Carretto rappresentava l’unico e prezioso mezzo di trasporto, capace di affrontare anche lunghi viaggi verso altri centri cittadini. Il Carrettiere era un vero viaggiatore, vettore di merci e masserizie varie sicuro di avere un punto di ristoro per se stesso e per il caval-lo nel “FONDACO”, nei paesi siti lungo la strada del suo viaggio.

Qui arrivavano carretti da tutte le parti: da Occidente, Oriente, Nord e Sud di una Sicilia ricca e prospera di trasporti delle merci scambiate tra città e città, secondo le leggi dello scambio commer-ciale. Insomma il ”Fondaco”era da considerare una Stazione a tutti gli effetti che offriva i servizi necessari, anche le stanze per dormire oltre alle stalle e alla biada per i cavalli e il ricovero per i carretti.

La sera i carrettieri s’incontravano, nasceva amicizia e scambio di notizie e così tra un boccale di vino e l’altro parlavano dei loro affari, della loro vita e del loro paese, ma soprattutto dei loro caval-li.

Carretto parato a festa Carretto dipinto

Un giorno un carrettiere di Biscari, diretto verso un Paese poco oltre Agrigento, trasportava merci da consegnare per conto terzi, si fermò a Sciacca. Qui trovò posto per se, per il suo cavallo e per il carretto carico di vino, in un Fondaco dove pranzò e dormì. Il suo

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I miei racconti

cavallo era bello, ben nutrito e di ottima salute, ma non era giovane e quindi non possedeva la forza di un puledro adulto e maturo.

La sera parlando con un suo collega proveniente dalla Provincia di Palermo, descrisse le virtù del suo cavallo e la magnificenza del suo carretto dipinto e scolpito a meraviglia. Disse anche che non avrebbe mai cambiato i suoi gioielli (il cavallo e il carretto) per nessuna altra cosa al mondo. Il carrettiere palermitano ascoltava e s’incuriosiva sempre più. Dopo avere ascoltato per un bel po’ di tempo, disse che possedeva un carretto che in verità non era bello come quello di Biscari, ma aveva un cavallo bellissimo e che anche lui non avrebbe mai cambiato o venduto. La discussione andò avanti per qualche ora poi si congedarono e decisero di incontrarsi prima della partenza del mattino seguente, e così fu.

I due carrettieri, dopo avere preparato carretto e cavallo per la partenza s’incontrarono per i saluti, ma soprattutto per curiosare su cavallo e carretto del collega.

C’è da dire che i cavalli portavano paramenti bellissimi e che quello del palermitano ne portava uno lussuoso con una visiera bel-lissima e grande, fuori dalle comuni visiere per cavalli da carretto, copriva per intero testa e orecchie. Il carrettiere di Biscari ebbe la sensazione di trovarsi davanti a un cavallo di valore e pienamente corrispondente alle descrizioni del suo collega. Si rese conto che data l’età del suo cavallo gli capitava l’occasione di un possibile af-fare e non volle andare oltre, limitandosi ad ammirarne i paramenti e l’altezza. Quando il palermitano gli propose di scambiare i cavalli accettò convintissimo.

Fu così che si scambiarono i cavalli e subito dopo ripresero il loro viaggio, ognuno per la propria destinazione. Tuttavia subito dopo, durante il viaggio, il carrettiere di Biscari capì che qualcosa non funzionava. Il passo non era da cavallo e l’animale faceva fati-ca per il peso trasportato. Quando arrivò a destinazione ne parlò con un altro carrettiere il quale guardò attentamente e tolse la visie-ra dalla testa dell’equino. Poi con una verga lo toccò sotto la coda, fece come si suole dire le “pinturate sotto la coda ”. L’animale pinturato (punto) scosse la testa e ragliò, ma non era asino. Quindi l’amico stupefatto della scoperta rivolgendosi verso il suo collega disse: ”Ma sei proprio scemo , non ti sei accorto che non è un ca-vallo? “-- risposta : “ Ma allora che cosa ho visto? Non vedi quanto è alto?. . sembra un cavallo!!!” --- “NO!!!E’ un Bardotto

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“U Varagnu i Sciacca!”

…Tu sei proprio Sceccu!!! Non hai capito!!! sei veramente scec-cu. ”—risposta : “Un Bardotto!!!. . . Stai scherzando???. . . sem-bra un cavallo!!!” ---“ Si è vero… sembra un cavallo!!! ma tu avresti dovuto farlo parlare…come faccio io adesso!!! ma che razza di carrettiere sei? ” E nuovamente pinturate e ragli. Il Bar-dotto sotto le pinturate ragliava sempre con più forza e dava calci a destra e a manca, alzando la coda che certamente non era quella di un cavallo. --Risposta:

-- “ E dire che in cambio ho dato un vero cavallo…anche se vecchio, ma sempre meglio di nu’ Sceccu bastardu!” ---“ E si caro amico tu facisti u varagnu i Sciacca!!!” ---Risposta “ No!!!. . . Veramente fici u canciu i Sciacca!!! perché di varagnu non se ne parla, visto che il mio cavallo è vecchio. Ora si tratta di vedere se questo bardotto è giovane o no, perché se è vecchio allora si ca’ iu fici canciu e varagnu i Sciacca”.

Da qui l’antico detto “ facisti u varagnu i Sciacca!” o se vole-te “u canciu i Sciacca!!” Riflessione antica in poche parole : “ Cu Cancia a vecchia ca’ Nova si trova n’mienzu na strata!!!!”

Carrettiere di Acate

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C’era una volta U Canale…

Acate “U Canale” oggi

Dal titolo potrebbe sembrare che questo racconto si riferisse a un vecchio canale d’irrigazione, legato a storie dei campi e dei contadini che vi lavoravano,ma non lo è perchè è la denominazio-ne data ai Lavatoi ,alla Chiesetta delle Anime Benedette e alla Fontana in pietra costruita tra chiesetta e lavatoi. Un nome che a Biscari era nel linguaggio comune dei suoi cittadini in onore alla contrada ricca di sorgenti di acqua,tramandato di generazione in ge-nerazione tra la gente. Nel passato quando ci si voleva riferire ai Lavatoi, era consuetudine parlare del Canale “U Canali” .

Qui non c’erano soltanto lavatoi,acqua potabile,Chiesetta e ab-beveratoio,ma anche una cava di pietra che dava lavoro a manovali disoccupati e carrettieri.

“U CANALI” per tante generazioni di Acate è stato un punto di riferimento per le attività che vi si svolgevano: dalle cave di pie-tra,al lavaggio dei panni delle lavandaie; dalle celebrazioni di riti religiosi nella chiesetta al rifornimento di acqua potabile dalla fontana; dal passaggio dei contadini allo spuntare dl sole e al tra-monto con carretti e animali equini e il fermarsi temporaneo presso l’abbeveratoio agli incontri occasionali tra contadini alle chiac-chierate e alle battute . “U CANALI “ è stato attrazione naturale

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C’era una volta U Canale…

per tanti ragazzini di diverse generazioni alla ricerca di nuovi spazi naturali,nuovi giochi, nuove emozioni in un luogo ricco di verde,profumato dai rovi selvatici e allietato dal canto delle lavan-daie al lavoro sotto il tetto di una struttura costruita appositamente nei secoli scorsi.

I lavatoi del canale rappresentano un pezzo di storia di Acate,l’antica Biscari e scrivere notizie è doveroso per chi ne co-nosce il passato.

foto della fontana del canale

E’ un racconto che parte da ricordi personali della mia fanciul-lezza di una generazione che ha vissuto ore di sfrenato svago , pro-prio “o Canali”. Attratti dal fascino del di una contrada ricca di verde,di acqua e soprattutto per la vicinanza al fiume, i ragazzi tre-dicenni andavamo spesso a nuotare e giocare con l’acqua o sotto i salici piangenti o tra i canneti lungo la riva del Fiume. Al ritorno da una nuotata in acqua fresca e limpida e dopo il godimento di ore di divertimento ci si fermava o Canali,per bere acqua fresca o per

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I miei racconti

giocare e scherzare con l’acqua dell’abbeveratoio e non mancavano i giochi a nascondino tra i lavatoi.

A volte,dentro il capannone dei lavatoi c’erano le lavandaie che canticchiavano e lavavano biancheria e panni con tanta sereni-tà e gioia di vivere. Come sono nati i lavatoi del canale? Perché fu-rono fatti costruire in un luogo fuori dal centro abitato? Domande che trovano risposta se si conosce il periodo e la condizione idrica di Biscari. Infatti Il Principe,consapevole della necessità di dotare Biscari di una struttura utile per le lavandaie,visto che in paese scarseggiava l’acqua e che nella campagna del canale la presenza di sorgenti davano acqua abbastanza sia per uso potabile che per al-tri usi,fece costruire una fontana in pietra sul piccolo cocuzzolo alla sinistra della chiesetta “Armuzzi Biniritti” e un grande casolare. Era un casolare aperto nella parte frontale e ai lati,ma chiuso con un muro nel retro della costruzione, coperto da un tetto in legno e tegole di Biscari. All’esterno dalla parte frontale verso la vallata fu costruita una grande vasca di raccolta per l’abbeveratoio degli ani-mali. All’interno furono costruite circa 10 o 15 pilozze in pietra per lavare panni, biancheria e ogni genere d’indumento . L’acqua proveniente dalla roccia superiore vi arrivava attraverso canaletti appositamente costruiti e comunicanti . Scorreva notte e giorno riu-scendo a riempire l’abbeveratoio fornito di uno scarico per lo scolo dell’acqua in esubero. La stessa andava a rovesciarsi a valle dove scorreva il Fiume . Era una vera opera d’ingegneria che risolseveva i problemi per dissetare gli animali dei campi,quelli del rifornimen-to di acqua potabile per le famiglie nonché quelli delle lavandaie.

Non conosco la data esatta della costruzione, ma credo che si tratti dell’anno 1736,una data scolpita nell’epigrafe fatta affiggere nel muro frontale della fontana che riproduce lo stemma del casato dei Paternò Castello,Principi di Biscari. La stessa scultura oggi si trova nella sala consiliare del castello.

Al canale andavano donne,per lo più in età matura,per lavare soprattutto la biancheria della propria famiglia ma anche a paga-mento per le famiglie agiate del paese,vi si recavano a piedi con i fagotti legati e sulla testa. Erano le lavandaie del paese che offriva-no un buon servizio con i lavatoi, riuscendo a migliorare il loro la-voro senza penuria di acqua e con ampi spazi per asciugare i pan-ni. dopo avere asciugato la biancheria al sole e stesa sui cespugli

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C’era una volta U Canale…

circostanti,rientravano a casa con il fagotto in testa e completavano il servizio con la stiratura di camicie,biancheria ecc.

Accadeva a volte che tra le lavandaie nascessero discussioni animate,e tra una canzone e l’altra poteva scapparci qualche lite tra le comari del lavatoio arricchita con qualche parolaccia. Succedeva anche che tra qualche giovane lavandaia e un giovane contadino nascesse un idillio d’amore.

Canti,racconti,pettegolezzi e curiosità del paese erano di moda tra lavandaie im-pegnate sempre in una quotidiana fatica. L’abbe-veratoio per i lavoratori della terra fu un’opera im-portante perché in vicinan-za del centro abitato al rientro dai campi,dopo una giornata di duro lavoro il

cavallo,il mulo o l’asino trovava riposo momentaneo ristorandosi con l’acqua limpida e fresca del canale,con la possibilità di riforni-menti d’acqua potabile da portare a casa per gli usi domestici.

La Chiesetta, nata su una piccola roccia, era come una grotta naturale con affreschi dentro,aperta al culto occasionalmente fu per tanti anni meta di fedeli in processione in occasione di ricorrenze specie nel mese di maggio per la madonna. Poi fu demolita e rico-struita secondo un disegno architettonico moderno e senza alcun si-gnificato storico né legame col passato di Biscari. Oggi è abbando-nata e non si sa a chi spetta la manutenzione e il mantenimento di uno stato dignitoso.

Le tre opere :lavatoi con abbeveratoio annesso, Chiesetta del-l’Armuzzi Biniritti e fontana per l’acqua potabile ,furono opere di un certo valore storico che fanno parte della storia locale e del pa-trimonio socio culturale di Acate,antica Biscari.

U Canali era questo fino agli anni 60 del secolo scorso,dopo non solo l’abbandono e il crollo delle strutture, ma anche l’infelice scelta per il sito dell’ impianto comunale di depurazione delle ac-que nere da fognatura.

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I lavatori del Canale oggi

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Da Musacchio a Masaracchio dei CastriotaLe Origini e la Storia della mia Famiglia

Stemma della Famiglia Masaracchio

Sin da ragazzino ho saputo che le origini della mia famiglia sono Albanesi. Confesso che ai racconti di mio papà davo poca attenzio-ne. Spesso sentivo parlare di titoli nobiliari, legami di sangue a principi albanesi, di storie antiche e imprese eroiche dei miei avi. Ricordo che quando veniva a casa zio Gioacchino Masaracchio, cu-gino di mio padre, ascoltavo le discussioni sulla famiglia. Appren-devo che nessuno poteva fregiarsi del titolo. Lo stesso zio, dopo avere fatto ricerche, in diverse circostanze e per molti anni, non venne mai a capo di una documentazione a sostegno del diritto al titolo nobiliare. Tuttavia ebbe la certezza del vincolo nobiliare con Giorgio Castriota detto Skanderberg. Pertanto la famiglia può fre-giarsi dello stemma appartenente ad un antico casato nobiliare, ma senza alcun titolo specifico.

Tutto questo oggi non conta più di tanto, potrebbe sembrare fuori luogo ai fini del mio racconto, ma serve per capire il legame di Masaracchio con i Castriota da cui la deriva del nome “Masa-racchio dei Castriota”. In passato ho avuto poco interesse verso la storia del titolo nobiliare e dello stemma. Per me era come se que-sta storia non mi appartenesse, anche perché la mia crescita e la mia educazione sono state lontane da ogni aspirazione nobiliare.

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Da Musacchio a Masaracchio dei Castriota

Ho sempre ascoltato le storie dei Castriota e dei Masaracchio, ma le ho considerato semplici storie che si tramandano da padre in figlio alle quali da giovane non davo importanza.

Tempo fa, trovando tra le mie carte un sigillo donatomi da mio padre, ho letto nella mia mente tutti i suoi racconti sulla famiglia. Era il sigillo con la riproduzione dello stemma di famiglia donato ai figli maschi e che per tanti anni l’ho tenuto dimenticato nel casset-to. Mi disse di usarlo per i biglietti personali, cosa che ho fatto solo dopo la sua morte. Mi sono convinto di scrivere ciò che è di mia conoscenza sulla famiglia, dopo avere consultato la vita di Giorgio Castriota, su internet.

Giorgio Castriota detto Skanderberg Giorgio Castriota Skanderberg

Ho scoperto una storia ricca di imprese con avvenimenti di alto eroismo contro i Turchi. Storie di tormentate vicende in una terra divisa e martoriata da guerre sanguinose con i miei avi protagonisti assieme al popolo Albanese.

Siamo negli anni poco dopo il 1400 e l’Albania è una vasta Re-gione ai confini tra l’Occidente Cristiano Cattolico e l’Oriente Mu-sulmano sotto il dominio dei Turchi.

Era divisa in Regioni e ancora prima, tra il 1300 e i primi anni del 1400, in villaggi dominati da Principi in lotta tra di loro per la conquista di nuove terre e l’annessione di altri villaggi. Tutti i si-gnori erano Principi, non ci fu mai un regno Albanese. Trattandosi

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I miei racconti

di una vasta terra di confine tra Oriente e Occidente, l’Albania era una Regione appetibile per i Veneziani, per il Re di Napoli, per il Vaticano e per i Turchi che avevano mire d’espansione vero l’Ita-lia.

Giovanni Castriota, Principe di due Villag-gi nel centro dell’Alba-nia, riuscì ad espandere le sue terre conquistan-do altri Villaggi. Dal matrimonio con Vois-sava Tripalda ebbe 9 fi-gli , 4 femmine e 5 ma-schi tra cui Giorgio. Una delle figlie di Gio-vanni Castriota, Vlajka divenne sposa di Gjin (Gino) Musacchio (Musaqi).

Musacchio era Principe di una Regione meridionale e appartene-va ad una tra le più antiche famiglie dell’Albania. Tra i documenti degli archivi della Repubblica di Venezia è riportato il racconto di Albanesi e persino del padre di Gjin Musacchio che dà notizie sul Casato dei Musacchio. E’ una famiglia antichissima le cui origini risalgono addirittura al secolo X e la cui nobiltà viene descritta su-periore ai Castriota, definiti montanari dai principi dell’epoca. In-fatti la parola Skanderberg significa allevatore di capre nella mon-tagna, e Giorgio Castriota usava portare l’elmo con sopra la testa di capra proprio per l’orgoglio di essere un montanaro. Nacque a Kru-ja, alcuni sostengono nel 1405 altri nel 1412. Dopo la sconfitta del padre Giovanni Castriota, subita ad opera dei Turchi, Giorgio fu dato in pegno al sultano assieme ai fratelli maschi ed educato se-condo gli usi orientali. Istruito e cresciuto tra i musulmani apprese l’arte militare degli Ottomani.

Successivamente Giorgio Castriota, dopo avere lasciato il Sulta-no per la sua Patria, riuscì a riunire tutti i principi. Il 2 marzo del 1444 a Lezha (Alessio) nella Cattedrale Veneziana di San Nicola, lo Skanderberg organizzò un grande convegno con tutti i Principi Albanesi e con la presenza di un rappresentante della Repubblica di Venezia. Si costituì la Lega dei Popoli Albanesi e un unico esercito per combattere contro i Turchi. Giorgio Castriota fu proclamato

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Cartina dell’Albania del secolo XIV°

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Da Musacchio a Masaracchio dei Castriota

Principe d’Albania e capo supremo dell’esercito unito d’Albania. Per un quarto di secolo i Turchi, del sultano Murat II° e poi di Maometto II° condotti da Mustafà Pascià, subirono umilianti scon-fitte e dovettero arretrare nei loro territori.

Suo compagno d’arme molto fidato fu il cognato Musacchio, che partecipò alle imprese eroiche contro i Turchi.

Giorgio Castriota detto Skanderberg muore di malaria ad Alessio il 17 gennaio 1468. Con la morte del Principe scompare l’eroe nazionale Al-banese, ancora oggi nel cuore di tutti in Albania, per le sue leggendarie gesta in difesa della libertà del suo popolo.

Dopo la morte del Castrio-ta gli Albanesi ritentarono di cacciare l’invasore, battendosi eroicamente in tante battaglie sanguinose che si conclusero con la sconfitta finale e la morte di tanti patrioti albane-si. Musacchio con la sua gen-te fuggì verso le coste della Puglia. Anche gli altri nobili Albanesi, con al seguito fami-

glie e tribù sbarcarono nelle terre del Regno di Napoli e in quelle della Serenissima.

I Principi decaduti ebbero terre e soccorsi dal Re di Napoli e dal Papa. Molti dei nobili rifugiati in terre italiane divennero Capitani di Ventura. Sui miei avi non trovo molto, tranne che l’esistenza di famiglie chiamate Musacchio o Masaracchio in Puglia, in Calabria e in altre Regioni.

Tuttavia una comunità Albanese vive ancora nel comune di S. Giacomo (prov. di Cosenza) e con famiglie dal nome Castriota e Musacchio. Per quanto interessa al mio racconto c’è da dire che da una pubblicazione di Angelo Marsiano sappiamo che la Famiglia Masaracchio già nel 1467 si trova in Sicilia.

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Il Sultano Maometto II°

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I miei racconti

Vi si trova proprio quando la sconfitta sanguinosa subita dagli Ottomani, costrinse gli Albanesi ad uno dei più grandi esodi verso l’Occidente. Infatti sta scritto che l’8 ottobre 1467, il Re di Sicilia Giovanni d’Aragona con suo attestato riconosce a Costantino Ma-srecchio il diritto di “vivere con la famiglia secondo la sua nobiltà e condizione avendo abbandonato i suoi beni in Patria”.

In questo libro per la prima volta leggo Ma-srecchio e non Musac-chio. E’ probabile che nel passato lo scrivano incaricato trascriveva negli atti di nascita un cognome diverso dal reale. Questa è una mia considerazione per una spiegazione più conso-na a un cambiamento avvenuto negli anni e in epoche in cui i regi-stri delle nascite erano curati da preti o semplici scrivani i quali an-notavano su quanto ascoltavano dal dichiarante. Non abbiamo do-cumenti utili a stabilire la continuità con il cambio di un cognome che parte da Musaqi o Musacchio in Albania, per arrivare a Ma-srecchio e poi Masaracchio in Sicilia.

Tuttavia è certo il legame consanguineo con la famiglia Castrio-ta, lo si riscontra sempre in ogni atto antico e moderno. Pertanto Musacchio è l’avo della famiglia Masaracchio, proprio quel Gjin Musacchio , Principe della Regione meridionale dell’Albania, braccio destro e cognato di Giorgio Castriota.

Da altri racconti di famiglia e da notizie presso il Comune di Biancavilla si sa che nel secolo 1500 Musacchio, o Masaracchio si accampò con i profughi albanesi ai piedi dell’Etna. Stabilitesi in una tendopoli vi si fermarono per alcuni anni e qui nacque Bianca-villa. Presso il Comune della Città Etnea ci sono notizie documen-tate su Masaracchio.

Nel 1534 don Antonio di Gravina, Barone di Ganzeria, stipulò con i capi Albanesi i capitoli sulla fondazione di San Michele di Ganzeria Soprana ( notizie dal libro di Marsiano) concedendo a

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Convegno dei Principi d’Albania“Lega dei popoli Albanesi”

Alessio 2 marzo 1444

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Da Musacchio a Masaracchio dei Castriota

trenta famiglie Albanesi di abitare nei fondi del territorio. Un ramo della Famiglia Masaracchio si trasferì a San Michele di Ganzeria.

Dopo Tommaso e Antonio Masaracchio, figli di Gasparo Masa-racchio e di Giuseppa Russo, si trasferirono a Niscemi dove si fer-marono definitivamente dando origine al ramo della famiglia Masa-racchio di Niscemi. Qui Antonio Masaracchio sposò nel 1721 An-gela Malerba, figlia di Antonino Malerba e poi nel 1733 Tommaso sposò Rosa Malerba, sorella della cognata Angela.

Inizia così una lunga storia della famiglia, possidente del feudo dell’Olmo in Niscemi. Fu protagonista di fatti importanti della sto-ria locale e che con la figura di Tommaso Masaracchio si pone al-l’attenzione nazionale per i fatti del Risorgimento Siciliano del 1848 e del 1860.

Il figlio di Tommaso, Giuseppe Antonio Masaracchio sposa An-gela Iacona dalla quale ha 4 figli, Salvatore, Tommaso, Gioacchino e Antonio Maria. Gioacchino sposa Grazia Malerba figlia di Anto-nino ed ha 9 figli 7 maschi e 2 femmine( Angela e Rita). Mio Non-no Antonino Masaracchio è il penultimo dei figli , primogenito è Giuseppe Antonio. Tra i suoi fratelli Gaetano e Vittorio Emanuele, il primo poeta e il secondo docente con due lauree, Salvatore, Tom-maso ed Ercolino.

Antonino Masaracchio studiò medicina a Palermo, conseguendo la laurea.

Dopo la laurea è medico della condotta a Niscemi dove risolve l’annoso problema del “tracoma di Niscemi” malattia grave agli occhi per la diffusa sporcizia nel comune.

Viene chiamato a Biscari e assunto in qualità di medico sanitario del Comune.

Qui risolve i problemi legati alla sanità locale e in particolare al-l’igiene e alla malaria, malattia diffusa a Biscari.

Sposa Maria Oddo e si ferma definitivamente a Biscari dove at-tualmente risiede la mia famiglia.

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Page 192: I miei racconti

I miei racconti

la mia famiglia : mia madre, mio padre,le mie figlie e la nipote Agatina

Mio fratello Nino emia cognata Pia

I miei Genitori Anni 40 la mia famiglia

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Da Musacchio a Masaracchio dei Castriota

Mio Nonno Dott. Antonino Masaracchio Mia nonna Maria Oddo

Antonio Malerba padre di Grazia Grazia Malerba

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Page 194: I miei racconti

GENEALOGIE

MASARACCHIO(MUSAQUI)(MUSAQUI)

da GASPARE e Giuseppa Russo:1. ANTONIO proveniente da San Michele

di Ganzaria sp. a Niscemi 3. 5. 1721 Angela Ma-lerba figlia di Antonino Malerba e Antonino Bu-scarino (Chiesa Madre di Niscemi - Liber Coniu-gatorum 1713-1734 p. 113)

2. TOMMASO proveniente da San Miche-le di Ganzaria sp. a Niscemi 19. 5. 1733 Rosa Malerba figlia di Antonino Malerba e Antonino Buscarino (Chiesa Madre di Niscemi - Liber Co-niugatorum 1713-1734 p. 220)

da TOMMASO ed Elisabetta Traversa:• GIUSEPPE ANTONIO n. 17. 1. 1792 m.

9. 3. 1860 sp. Angela Iacona

Da GIUSEPPE ANTONIO

e Angela Iacona:

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Page 195: I miei racconti

Salvatore Masaracchio1. SALVATORE n. 9. 8. 1817 m. 7. 4.

1874 Sindaco di Niscemi (9. 2. 1856-4. 5. 1860; 27. 7. 1861-?) Consigliere Comunale di Niscemi (1. 1. 1861) assassinato da un fuorilegge durante il suo mandato di sindaco sp. 19. 1. 1853 Carme-la Malerba

Tommaso Masaracchio2. TOMMASO n. a Niscemi 29. 9. 1820

m. 6. 10. 1900 Medaglia al Valor Militare e grado Maggiore (5. 12. 1848) poi di Colonnello conferi-ta dalla Camera dei Pari (1. 5. 1849) Deputato al Parlamento Siciliano (Camera dei Comuni 1848-49) si trasferisce a Malta (8. 6. 1849) Rientra in Sicilia (metà maggio 1858) Presidente del Comi-tato Provvisorio d’interna sicurezza di Niscemi (25. 5. 1860) Presidente del Municipio di Niscemi (12. 6. 1860)

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Page 196: I miei racconti

Grazia Malerba3. GIOACCHINO n. 16. 9. 1922 m. 25. 6.

1887 Consigliere Provinciale di Caltanissetta (1. 1. 1861) sp. 20. 10. 1850 Grazia Malerba figlia di Antonio

4. ANTONIO MARIA n. 7. 4. 1824 m. 28. 6. 1824

da SALVATORE e Carmela Malerba:1. GIUSEPPE n. 26. 12. 1854 m. 28. 8.

1818 sp. 18. 6. 1885 Angela Masaracchio2. CONCETTA n. 27. 6. 18573. TOMMASO n. 21. 1. 1859 m. 16. 5.

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da GIUSEPPE e Angela Masaracchio:1. SALVATORE n. 23. 8. 1886 m. 5. 7.

1954 sp. 8. 9. 1923 Letizia Ragusa2. DOMENICA CARMELA n. 25. 2. 1888

m. 25. 4. 1974 sp. 2. 10. 1911 Giuseppe Camiolo3. GIOACCHINO n. 10. 7. 1894 m. 25. 9.

1958 sp. 16. 2. 1920 Adelina Ragusa

da SALVATORE e Letizia Ragusa:• GIUSEPPE EMANUELE n. 26. 7. 1924

m. 3. 2. 1976 sp. 8. 9. 1954 Iole Stella • Salvatore • Letizia

Da Salvatore Giuseppe Antonio

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da GIOACCHINO e Grazia Malerba:1. GIUSEPPE ANTONIO n. 10. 4. 1852

m. 23. 11. 1929 sp. 7. 2. 1923 Maria Branciforte2. GAETANO n. 14. 9. 1853 m. 29. 12.

1924 poeta3. TOMMASO n. 22. 2. 1855 m. 14. 11.

19174. ANGELAANGELA n. 19. 6. 1859 m. 17. 10. 1916

sp. Saverio Crescimone Procuratore del Re da cui Carmela n. a Niscemi 1883 m. a Catania 1952 sp. conte Michele Gravina e Grazia n. 1. 11. 1891 m. 20. 12. 1969 sp. barone Giuseppe Li-bertini di San Marco Lo Vecchio

5. Dr VITTORIO EMANUELE n. 16. 6. 1960 m. 4. 2. 1924

6. RITA n. 2. 12. 1961 m. 13. 4. 19297. SALVATORE n. 8. 11. 1864

Dr Antonio Masaracchio

Maria Oddo8. Dr Dr ANTONIOANTONIO n. 5. 8. 1866 m. 9. 5.

1933 sp. ad Acate 29. 4 1909 Maria Oddo medi-co esercita prima a Niscemi, dove risolve il pro-blema del Tracoma di Niscemi, poi a Biscari

9. ERCOLE 19. 9. 1869 m. 22. 6. 1948

da GIUSEPPE AN-TONIO

e Maria Branciforti:

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1. GIOACCHINO n. 27. 7. 19102. GRAZIA n. 11. 8. 1916

da ANTONIO e Maria Oddo:Gioacchino

Gioacchino Masaracchio e Matilde Barchiesi

• GIOACCHINO n. 7. 1. 1914 m. 9. 5. 1995 sp. Matilde Barchiesi n. 20. 1. 1913

da GIOACCHINO e Matilde Barchiesi:1. ANTONIO n. a Roma 5. 7. 19352. GAETANO n. ad Acate 22. 11. 19383. MARIA LUISA n. ad Acate 16. 6. 1940

da ANTONIO E : Maria Pia Re• GIOACCHINO n. 13. 6. 1963

da GAETANO e: Valeria Berrafato:1. MATILDE n. a Novara 6. 10. 19672. OMBRETTA n. a Vittoria 1. 4. 1971 da

cui Giuliana n. 16. 5. 2001 e Mattia n. 4. 3. 2006

Note:• Un Gaspare Masaracchio del Partito Democratico sindaco di Niscemi (26.

12. 1914-15. 6. 1920)• Giuseppe e Iole a Niscemi

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TOMMASO MASARACCHIOUn Eroe Siciliano Ignorato dagli Storici del Risorgimento

Tomaso Masaracchio

Questo racconto rende omaggio a Tommaso Masaracchio dei Ca-striota, fratello del mio bis nonno Gioacchino. Gli storici lo hanno ignorato, ma la storia non lo ha fatto. Infatti molti documenti e pub-blicazioni del Risorgimento Siciliano gli rendono onore e giustizia. Fu un patriota di primissimo piano tra i rivoluzionari del 1848, ad-dirittura a Palermo capeggiò l’insurrezione contro i militari Borbo-nici.

Dai racconti di mio padre apprendevo tante notizie sulla storia e le origini della famiglia, ma mai o rarissime volte sullo zio Tomma-so. Eppure ebbe un ruolo di primissimo piano nel 1848. Si distinse con Francesco Crispi, Pasquale Calvi, Ruggero Settimo, Giuseppe La Farina, Giuseppe La Masa, Rosolino Pilo e tanti altri Siciliani, combattendo con spirito eroico e patriottico per la libertà della Sici-lia.

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Tommaso Masaracchio

Ho avuto, molte notizie sulla sua azione rivoluzionaria, dal libro di Angelo Marsiano pubblicato nel 1982. Finalmente il volume, dopo più di un secolo di ingiustificato silenzio, evidenzia l’impe-gno di Tommaso Masaracchio nell’azione risorgimentale dal 1848 al 1860.

Nel 1970 a Gela il Prof. Giuseppe Blanco, mio collega presso una Scuola Media locale, mi parlava tanto della famiglia Masarac-chio e soprattutto delle gesta di Tommaso, personaggio che gli sto-rici hanno ignorato. Il collega Blanco era un grande estimatore e studioso della famiglia, in particolare di Tommaso Masaracchio, del quale sapeva tutto. Mi raccontava delle sue imprese, dell’ ami-cizia che lo legava a Crispi e del suo impegno nella campagna elet-torale del 1895 a favore dell’amico. Mi regalò una pubblicazione del discorso tenuto da Tommaso a Niscemi per Crispi. Tutte noti-zie che successivamente furono arricchite dal libro “Niscemi nel Risorgimento e l’azione di Tommaso Masaracchio” di Angelo Marsiano.

Tommaso Masaracchio nacque a Niscemi il 29 settembre 1820 da Giuseppe Antonio e da Traversa Elisabetta, secondogenito di quattro figli tra cui il mio bisnonno Gioacchino. Studiò a Catania e a Palermo dove frequentò i giovani liberali più preparati e impe-gnati nella lotta contro i Borboni. Uomo di personalità forte, di grande intelligenza e di facile parola ebbe la passione per la politi-ca. Abbracciò la causa liberale per l’unificazione dell’Italia e con entusiasmo lottò per la liberazione della Sicilia dai Borboni. I suoi ideali Liberali erano per la Sicilia libera e indipendente.

A Palermo il 12 gennaio 1848, assieme a Francesco Crispi , La Farina, Rosolino Pilo e La Masa fu tra i primi a sparare contro i soldati borbonici. Infatti nel quartiere della Fiera Vecchia Tomma-so Masaracchio, dopo un caloroso discorso davanti al popolo in ri-volta, sparò per primo contro i militari oppressori.

Per i suoi atti eroici ebbe la medaglia al valore militare dalla Ca-mera dei Pari. Il 18 marzo 1848 fu eletto deputato al Parlamento Generale di Sicilia, lo furono anche Crispi , La Farina, La Masa e altri patrioti siciliani. Partecipò alla seduta storica con la quale si dichiarò Ferdinando Borbone decaduto dal trono di Sicilia. Ebbe importanti incarichi di governo per la Valle di Caltanissetta e fu capo della Guardia Nazionale, dopo i moti del 48. Nel 1849 fu

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I miei racconti

l’ultimo a rimanere a Palermo per guidare il popolo contro le trup-pe Borboniche che ripresero Palermo.

Successivamente emigrò a Malta dove fece parte del gruppo dei rivoluzio-nari capeggiati da Pasquale Calvi, che tra gli altri gruppi era il più radicale e re-pubblicano.

Dai documenti e dalle notizie pubbli-cate dal Marsiano nel suo volume sul Risorgimento, sappiamo che Tommaso Masaracchio non era tra i 23 capi rivo-luzionari condannati all’esilio dal Re di Napoli, lo furono invece Crispi e Roso-lino Pilo che fuggirono verso il Nord.

Zio Tommaso fu escluso dall’elenco dei condannati forse per intercessione del padre presso il Re di Napoli. Da noti-zie di famiglia da me avute a Niscemi , dopo la lettura del libro di Marsiano, pare che anche una Principessa Russa,

alla corte della Regina Napoletana, sia intervenuta per non inclu-derlo tra i condannati.

Tuttavia Tommaso Masaracchio volle raggiungere i compatrio-ti a Malta ove rimase in esilio per alcuni anni. Partì da Palermo l’8 giugno 1849 e qui trovò i suoi amici rivoluzionari. A Malta tra gli esiliati si formarono tre gruppi. Oltre a quello di Calvi che si batte-va per una Sicilia indipendente, il gruppo dei moderati capeggiato da Ruggero Settimo e quello capeggiato da Emilio Sceberras. Si tratta di tre correnti di pensiero sulla questione dell’Unità d’Italia.

Tra i gruppi ci furono diversità per i dettagli dell’azione rivolu-zionaria e sulla organizzare del nuovo Stato Italiano. Contrasti che in certi momenti facevano vacillare la possibilità di agire contro i Borboni in un nuovo attacco rivoluzionario.

Tommaso Masaracchio presto fu noto ai capi rivoluzionari in esilio al Nord e all’estero. Era descritto come uomo di grande intel-ligenza, uomo di raro talento ma di spirito esasperato e senza ri-guardo per nessuno. Era molto livido contro i mazziniani puri, un vero estremista sempre pronto all’azione. A Malta, nonostante le diversità e i contrasti, si costituì il comitato rivoluzionario dei Sici-

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Palermo Piazza Marinail monumento a G. La Masa

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Tommaso Masaracchio

liani di cui Tommaso fece parte. Tutti gli esiliati vivevano di stenti perché poveri. Zio Tommaso apparteneva a famiglia ricca ed agiata e il padre non gli faceva mancare somme consistenti. Con generosi-tà soccorreva i suoi amici bisognosi.

Nel 1850 a Londra Giuseppe Mazzini fondò il Comitato Nazio-nale Italiano e pubblica il manifesto rivolto agli Italiani per la lotta contro lo straniero e per l’Indipendenza, la Libertà e l’Unificazio-ne. Spedisce una circolare a tutti i comitati rivoluzionari chiedendo l’unione e l’adesione al suo movimento. Mazzini invia a Malta una sua lettera esortando i Siciliani alla lotta e a unirsi alla causa Italia-na.

Da Malta arriva la risposta affermativa dei Siciliani che trovano l’accordo e mettono da parte le divisioni e i contrasti. Aderiscono al Manifesto Mazziniano e si preparano alla nuova rivolta.

Il mazziniano Vasta, in una sua lettera inviata a Rosolino Pilo, parla di Tommaso Masaracchio a capo di un gruppo che non con-divide la moderazione degli altri gruppi rivoluzionari. Nel 1851 una lettera sottoscritta da alcuni esiliati, tra questi primo firmatario fu Tommaso, viene inviata ai Siciliani in esilio a Parigi. Nella lettera si chiede di affrettare i tempi per la costituzione di un comitato ri-voluzionario secondo i dettami del manifesto di Mazzini.

Francesco Crispi Giuseppe La Farina

Poi Tommaso Masaracchio scrisse a Rosolino Pilo informando-lo della costituzione di un Comitato Nazionale che già era in rela-zione con Giuseppe Mazzini. La lettera datata 22 ottobre 1851 è in archivio presso la Regione Siciliana, dove in una delle sale del-

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I miei racconti

l’Assemblea Regionale c’è il suo ritratto assieme a quelli dei suoi compatrioti : gli Eroi Siciliani del 1848.

Nel 1853 Francesco Crispi viene espulso dal Piemonte e si rifu-gia a Malta dove trova l’amico Tommaso. Rosolino Pilo scrive a Crispi chiedendogli di contattare Masaracchio per avere certezza della spedizione rivoluzionaria che si stava organizzando a Malta per la Sicilia. Una nuova lettera del 22 novembre 1853 scritta da Tommaso Masaracchio a Rosolino Pilo, lo informa che la Sicilia “ è ormai un barile di polvere pronto a scoppiare appena le si dà fuoco…è tempo di agire…ecc. ”Anche questo documento è in ar-chivio a Palermo e conferma la totale partecipazione all’azione ri-voluzionaria del mio zio Tommaso.

Con questa lettera si preannunciava una spedizione nella Sicilia Occidentale con il consenso di Mazzini. Tommaso Masaracchio ebbe da Calvi l’incarico di provvedere a tutte le operazioni necessa-rie affinché riuscisse il nuovo tentavo di rivoluzione. Ma fallì e tut-to per colpa di Luigi Pellegrini il quale andò a Tunisi e non a Tra-pani, scialacquando i soldi che gli erano stati affidati per l’opera-zione.

I Comitati Siciliani continuarono ad insistere per una rivolta nell’Isola e venne progettata una nuova spedizione, con Tommaso Masaracchio in prima linea e responsabile di tutta l’operazione. La fase organizzativa ebbe successo perché Tommaso noleggiò le navi per il trasporto delle armi e dei volontari, ma tutto fu scoperto tra-mite le spie borboniche e la spedizione fallì.

Nel 1855 i Comitati Segreti Siciliani sollecitavano i patrioti in esilio a non desistere e nel 1856 Pasquale Calvi emana un Procla-ma con cui invita tutti a battersi e aderire agli ideali di Mazzini. Tuttavia il grande entusiasmo rivoluzionario ormai si era sgonfiato ed il momento favorevole era passato.

Verso la fine del 1856 Calvi, sfiduciato e stanco, si ritira e non si occupa più di politica sciogliendo il suo gruppo. Tommaso Masa-racchio si rese conto che era finita la speranza di una Sicilia libera e indipendente. Rientrò a Niscemi nella sua casa e non volle sapere di politica né di rivoluzione. Rientrò in Sicilia nel mese di maggio 1858, notizia dal giornale “il Precursore” di Palermo. Non era faci-le ottenere il nulla osta per il rimpatrio, visto i precedenti rivoluzio-nari di Tommaso Masaracchio. Egli riuscì a ritornare dall’esilio in virtù di un decreto Reale, ottenuto per interessamento diretto della

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Tommaso Masaracchio

principessa Russa Sykaylzky, che incantata delle doti di Masarac-chio, sperava in un matrimonio con sua nipote, tra l’altro innamora-tissima di Tommaso.

Sono notizie apprese dal discorso fune-bre in occasione della morte dello zio. Mol-to scarsi sono i documenti che accertano i fatti, esiste solo il decreto Reale che ricono-sce a Tommaso il diritto al rimpatrio.

Da quella data Tommaso Masaracchio non volle occuparsi di politica, ma quando nel maggio 1860 si sparse la notizia della partenza di Garibaldi verso la Sicilia e in tanti centri dell’Isola scoppiò l’insurrezione, a Niscemi riprese la lotta per la liberazione della Sicilia. Tommaso teneva i rapporti con

i comitati rivoluzionari di Palermo e organizzò nel suo paese un Comitato da lui capeggiato. Successivamente il 24 maggio, nelle ore pomeridiane, Tommaso Masaracchio dal balcone del Munici-pio di Niscemi parla a una folla immensa e annuncia che Giuseppe Garibaldi era sbarcato in Sicilia e che a Calatafimi aveva sconfitto i Borboni. Annuncia che Palermo e i distretti si erano ribellati al Tiranno per ridare ai Siciliani la libertà e l’indipendenza della loro Patria. Il discorso si concluse con le parole “ E’ ormai prossima l’unione della Sicilia al grande Regno d’Italia. Il nostro Comune deve unirsi alla sollevazione degli altri Comuni e proclamare lo stato di rivoluzione”. Disse ancora :” Bisogna dichiarare decadu-to il decurionato e tutti gli organi amministrativi del Comune, al loro posto si dovrà eleggere un Comitato provvisorio con tutti i poteri. ”.

Con queste parole Tommaso Masaracchio diede la spinta ai Ni-scemesi che scrissero un’importante pagina storica del Risorgi-mento Siciliano conclusasi poi nel luglio 1860 con la visita di Nino Bixio, dove con le sue truppe fu ospitato.

Tommaso Masaracchio morì a Niscemi il 6 ottobre 1900. Il giorno dei suoi funerali celebrati nella Chiesa Madre venero alte personalità. Resero omaggio ad un grande Siciliano che sposò la causa Liberale per una Sicilia indipendente. Furono pronunciati tanti discorsi e tutti gli riconoscevano l’eroismo, la determinazione nella lotta per la causa della sua Patria Sicula, la passione per la po-

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I miei racconti

litica , la grande cultura e l’intelligenza che ne facevano di lui uomo di elevato spessore.

In tanti mettevano in risalto la generosità verso i più deboli e i più poveri. In occasione dei suoi funerali la Chiesa Madre fu ador-nata dalla scritta a caratteri cubitali :

“ALLA PATRIA IL BRACCIO E LA MENTEAI CITTADINI IL CUORE

AI PARENTI E AI POVERI GLI AVERI. ”

Con queste parole traspare il vero Tommaso Masaracchio, un niscemese ignorato dagli storici che nulla hanno scritto nelle pagine dei testi che decantano il Risorgimento Italiano. Nomi come Cri-spi, La Farina, Rosolino Pilo, Ruggero Settimo, La Masa ebbero un ruolo importante nel Risorgi-mento e gli storici ne fanno men-zione, ma Tommaso Masaracchio fu ignorato. Ebbe altrettanto eroi-smo e gloria nella lotta per la sua Sicilia, forse più degli altri almeno nel 1848. Non si capisce perché gli storici lo hanno ignorato nonostan-te numerosi documenti lo conside-rano tra i capi del risorgimento Si-ciliano. Smith, lo storico inglese, nella sua opera “Storia della Sici-lia” lo cita ma non lo nomina. Scrive i particolari sull’inizio del-l’insurrezione Palermitana, ma si limita a descrivere un giovane fo-coso, dai capelli rossicci, dalla facile parola che il 17 gennaio 1848, nel quartiere della Fiera Vecchia, salito su un tavolo pronuncia un discorso incendiario davanti alla folla insorta e per primo spara contro i soldati borbonici. E’ Tommaso Masaracchio come risulta da tutte le documentazioni che descrivono quel giorno glorioso del 1848. Dopo anni di ricerche Angelo Marsiano ha testimoniato, at-traverso i documenti in archivio e pubblicazioni, il valore di Tom-maso Masaracchio e che proprio quel 17 gennaio 1848 fu lui a par-lare e iniziare la rivolta a Palermo.

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Niscemi la Chiesa Madre

Page 207: I miei racconti

Tommaso Masaracchio

L’amico e indimenticabile Giuseppe Blanco, nella sua presenta-zione del libro di Marsiano, dice una verità che molti vogliono ignorare e cioè :”il Risorgimento Italiano non fu tutto rose e fiori. I comuni libri di testo ci danno a intendere che il Risorgimento fu tutta vera gloria e facile passaggio dalla schiavitù alla libertà. Non fu così perché i gravissimi problemi nel meridione furono lasciati in una situazione ancora peggiore e rimasero insoluti. ” Era quello che temeva Tommaso Masaracchio e forse per questi motivi la storia scritta nei libri dagli storici non fa menzione di al-cuni eroi Siciliani. Questo è un racconto scritto sulle noti-zie attinte dal libro di Angelo Marsia-

no. In questa pubblicazione abbiamo la descrizione dei fatti e dei personaggi relativi ai moti del 1848 e allo sbarco dei mille nel 1860. Apprendiamo noti-zie non scritte nei comuni libri di Sto-ria Risorgimentale ed anche ignorate dagli storici, causando un grave danno per la conoscenza completa del Risor-gimento Siciliano. Sono avvenimenti del nostro territorio, motivo per cui ho voluto scrivere gli stessi fatti. Dopo secoli è giusto che si debba iniziare a dare maggiore conoscenza e risalto ad eventi, eroi e fatti del Risorgimento Siciliano, soprattutto del nostro territo-rio. Sta di fatto che pochi sanno della presenza di Nino Bixio a

Niscemi, Caltagirone e Vittoria, addirittura nessuno o rarissi-me persone sanno del passaggio da Biscari delle truppe Gari-baldine. Sono fatti che appartengono fortemente alla nostra Storia, da non lasciarli nell’oscurità per colpa di una mancata e approfondita ricerca degli storici che hanno scritto il nostro Ri-sorgimento. Spesso, nei testi scolastici e in qualche rivista, leg-giamo che il Risorgimento fu tutto rose e fiori e con gloria per tanti personaggi, molto meno per i Patrioti Siciliani e per il po-polo della Sicilia. Quel Popolo che diede un grande e decisivo contributo al successo di Garibaldi nella nostra Isola e alla cau-sa dell’Unità d’Italia.

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Niscemi la Piazza e il Municipio

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NINO BIXIONino Bixio a Niscemi e Vittoria passando da Acate

Questo racconto vuole rafforzare l’omaggio dato dal Marsiano alle Terre di Niscemi, di Vittoria e di Caltagirone che furono generose con i Garibaldini di Bixio.

Dopo la sconfitta dei Borboni a Calatafimi e la conquista di Pa-lermo, Trapani e altre Città, l’esercito Garibaldino, per raggiungere al più presto Messina e poi la Calabria, si divise in tre colonne. La prima diretta a Messina lunga la parte settentrionale guidata da Giuseppe Garibaldi, la seconda verso Catania guidata dal Generale Turr e la terza diretta a Siracusa con Nino Bixio, attraverso la Sici-lia meridionale. L’itinerario del percorso fu tracciato e deciso dopo attento studio delle postazioni militari Borboniche.

Bixio si diresse verso le città di Agrigento, Licata, Terranova, Ni-scemi, Caltagirone, Vittoria, Modi-ca e Siracusa. Fu scartata la parte costiera tra Terranova e Vittoria preferendo la deviazione per Calta-girone, perché in quel tratto erano presenti forti contingenti dei Bor-boni.

Con Bixio c’era Menotti Gari-baldi, figlio del Generale Giusep-pe. L’intera colonna disponeva di appena 4 battaglioni, cioè circa 1200 uomini. Tuttavia, man mano che passava dalle città, molti vo-lontari si arruolavano per la causa dell’Unità Nazionale.

Dalle lettere di Bixio a sua mo-glie, a Piva, al fratello e a Parodi sappiamo che partì da Palermo il 24 giugno 1860. Furono scritte diverse lettere da Corleone, Agri-

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Nino Bixio a Niscemi e Vittoria passando da Acate

nei giorni 20, 21e 23 luglio 1860

Page 209: I miei racconti

Nino Bixio a Niscemi e Vittoria

gento, e Vittoria. Non c’è traccia di lettere spedite da Terranova, Niscemi e Caltagirone. La conoscenza e la lettura delle lettere ci dà non solo l’itinerario del percorso, ma anche notizie sull’evento guerra contro lo Stato Borbonico.

Cartina con i percorsi in Sicilia dei Garibaldini

Infatti dalla lettera spedita a Piva da Vittoria il 24 luglio 1860, sappiamo che il percorso da Palermo a Vittoria era stato facile e senza incidenti. Tuttavia ha dovuto cambiare itinerario per le noti-zie avute dai patrioti Vittoriesi circa la forte presenza dell’Esercito Borbonico tra Modica e Siracusa. Infatti la colonna Bixio, dopo es-sere passata da S. Croce e Comiso si spostò verso Palagonia e diri-gersi per Catania dove si unì al Generale Turr.

Dalle delibere del Comu-ne sappiamo che Bixio fu a Niscemi il 20 luglio 1860 e dormì nella casa di Tom-maso Masaracchio. Le truppe furono alloggiate nella Chiesa di Sant’ Anto-nio e in alcune famiglie, mentre gli Ufficiali furono ospitati da alcune famiglie della borghesia locale. Tutta la popolazione concorse a rifornire di vivande i gari-

baldini. Ancora nella memoria locale Niscemese resta la generosità

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Niscemi il palazzo Masaracchio dove pernottò Nino Bixio.

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I miei racconti

e l’entusiasmo delle massaie che prepararono pane in abbondanza per la truppa, “i vasteddi” forme grandi di pane con farina di gra-no duro. Il giorno dopo Bixio ripartì per Caltagirone dove si fermò un giorno. Si congedò da Tommaso Masaracchio donandogli, in segno di gratitudine e amicizia, il suo fioretto, un cimelio che fino a qualche anno fa era nella casa Masaracchio a Niscemi. Dai racconti di famiglia e da notizie avute a Niscemi, in quella stessa casa fu ospite del padre di Tommaso, il Re Ferdinando II° il 10 ottobre 1838, in occasione di una breve visita durante un suo viaggio per Palermo. Al ritorno a Napoli lamentò lo stato di degrado delle stra-de di Niscemi.

Il 22 luglio 1860 riprese la marcia per Vittoria e quindi passò da Biscari, la nostra ACATE. Si pensa che il pas-saggio sia avvenuto la mattina del 22 luglio, cioè lo stesso giorno dell’arrivo a Vittoria dove si fermò tutto il giorno e la notte seguente. All’epoca, alcuni anni prima nel 1838, a Biscari era stato fondato il “Caffè di Conversazione” , oggi Circolo di Conversazione, luogo di ritrovo dei Carbonari di Biscari ca-peggiati da un certo David. Sono con-vinto che al passaggio di Bixio anche Acate tributò onori e festa grande ai Garibaldini. Non abbiamo do-cumenti sul passaggio da Biscari di Bixio, ma dalle lettere spedite da Vittoria e seguendo il percorso della colonna abbiamo la certez-za che nella mattinata del 22 luglio 1860 Nino Bixio fu nel nostro Paese e poco dopo arrivò a Vittoria, tappa programmata prima della partenza da Palermo. Non avendo alcuna documentazione sul pas-saggio di Bixio da Biscari e sui preparativi dei nostri conterranei dell’epoca, credo che sia stato importante raccontare il percorso della colonna Bixio. Infatti per raggiungere Vittoria Bixio ha dovu-to attraversare interamente il nostro territorio passando proprio da-vanti al “Caffè di Conversazione” dove sicuramente i patrioti di Biscari attendevano i Garibaldini. E’ vero che si tratta di un episo-dio marginale, ma per noi Acatesi è pur sempre un fatto storico che merita l’attenzione e la conoscenza alla stessa maniera di un evento che ci appartiene.

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Re Ferdinando II° Borbone

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Gaetano Masaracchio dei Castriota Skanderberg

è nato ad Acate il 22/11/1938

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