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1 QUANDO LA BUROCRAZIA DIVENTA UN CANCRO CHE PUO’ UCCIDERE Tutti siamo perfettamente convinti che la burocrazia presente nel nostro Paese sia un cancro in stadio metastatico che sta uccidendo il futuro della nostra nazione. Ad esempio, ogni giorno, chiudono decine di piccole imprese, e in alcuni casi distrugge anche le persone. Negli ultimi mesi abbiamo dovuto registrare vari suicidi causati da fattori burocratici. Anche la piccola Francesca Pia, di cui vi racconteremo la storia, sarebbe stata tra le vittime se non fosse intervenuta la determinazione di mamma Angela. Angela, 26 anni di Casal Velino, al quinto mese di gravidanza, soffriva dolorosi mal di testa; la diagnosi è drammatica: tumore al cervello. Deve essere operata d’urgenza, oppure sottoporsi a trattamenti di chemioterapia e, di conseguenza, interrompere la gravidanza. Immediatamente la giovane donna afferma: “No, non se ne parla. Preferisco morire”. Scrisse pure a Papa Francesco: “Non si può chiedere a una madre di salvarsi ammazzando sua figlia”. Angela, non si arrende al destino, e dopo alcune ricerche scopre l’esistenza di un robot, il “cyberknife” che esegue interventi di radiochirurgia alla clinica Mater Dei di Bari. Questa nuova metodologia, già utilizzata in varie nazioni, non causerebbe danni al feto. Il

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QUANDO LA BUROCRAZIA DIVENTA UN CANCRO CHE PUO’ UCCIDERE

Tutti siamo perfettamente convinti che la burocrazia presente nel nostro Paese sia un cancro in stadio metastatico che sta uccidendo il futuro della nostra nazione. Ad esempio, ogni giorno, chiudono decine di piccole imprese, e in alcuni casi distrugge anche le persone. Negli ultimi mesi abbiamo dovuto registrare vari suicidi causati da fattori burocratici. Anche la piccola Francesca Pia, di cui vi racconteremo la storia, sarebbe stata tra le vittime se non fosse intervenuta la determinazione di mamma Angela.

Angela, 26 anni di Casal Velino, al quinto mese di gravidanza, soffriva dolorosi mal di testa; la diagnosi è drammatica: tumore al cervello. Deve essere operata d’urgenza, oppure sottoporsi a trattamenti di chemioterapia e, di conseguenza, interrompere la gravidanza. Immediatamente la giovane donna afferma: “No, non se ne parla. Preferisco morire”. Scrisse pure a Papa Francesco: “Non si può chiedere a una madre di salvarsi ammazzando sua figlia”. Angela, non si arrende al destino, e dopo alcune ricerche scopre l’esistenza di un robot, il “cyberknife” che esegue interventi di radiochirurgia alla clinica Mater Dei di Bari. Questa nuova metodologia, già utilizzata in varie nazioni, non causerebbe danni al feto. Il

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“cyberknife” è guidato da un computer in grado di orientare alte dosi di radiazioni in modo mirato. Ma, per inspiegabili motivazioni burocratiche, il macchinario, già collaudato, esiste, ma non può essere utilizzato. Da vari giornali apprendiamo che in molti si danno da fare affinchè “cyberknife” possa essere usato per operare Angela, ma la burocrazia s’impantana nelle secche dell’indolenza. Angela, quindi decide di farsi operare ad Atene, dove l’intervento è perfettamente riuscito e la piccola Francesca Pia potrà nascere nei tempi stabiliti da una mamma davvero coraggiosa.

(Raffaele Pennacchio, il medico di 55 anni malato di Sla morto dopo due giorni di presidio a Roma per chiedere più fondi per l’assistenza domiciliare dei disabili gravissimi) Quella di Angela è una vicenda che è terminata positivamente nonostante i vari ostacoli posti da una burocrazia ottusa, perversa e inefficiente ma molti altri sofferenti sono quotidianamente schiavi di questo “squallido malcostume”. M. Melazzini, primario oncologo, malato di SLA, e presidente dell’AISLA (Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica), afferma nel testo “Malati inguaribili, persone da curare. Con 100 domande a Mario Melazzini e l’appello dei malati di SLA” (Ares, Milano 2007) che “la vita per molti fragili è come una patente a punti: se perdi qualche funzione, ti scalano i primi punti. A un certo punto, se perdi molte funzioni, finisci il credito e ti tolgono la patente di persona” (pg. 54). Oggi, alcuni malati e disabili, devono quasi implorare di poter “essere liberi di vivere”. Pensiamo, ad esempio, all’enorme iter burocratico, il più delle volte disumano, da percorrere per usufruire d’interventi essenziali e vitali. Il sofferente grave chiede di “essere libero di vivere”, e tutti, in teoria, siamo d’accordo; ma chi lo assiste, chi lo porta in giro, chi lo sostiene economicamente…? Attualmente, in Italia, nonostante le tutele Costituzionali e molteplici leggi, centinaia di malati e di disabili devono implorare di poter “essere liberi di vivere”, non essendo adeguatamente sorretti dallo Stato e dalla società civile ed essendo ostaggi della burocrazia.

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Una piccola e insignificante esperienza personale. Per aprire un conto corrente presso le Poste Italiane in un paese della Brianza ho impiegato nove ore, essendo dovuto ritornare tre volte. Mi hanno chiesto venticinque firme e donato un papiro di oltre quaranta pagine.

Può uno Stato eliminare totalmente la burocrazia?

Eliminarla no, renderla più umana e utile alla società civile, si! Non unicamente sfornando leggi “sulla semplificazione” finora inutili, ma operando sulle “risorse umane”, partendo dai vertici fino a giungere agli addetti agli sportelli. E’ urgente superare le tendenze estremamente conservatrici, oltrepassare l’incomprensibile pignoleria e la fissicità del rigore formale, dominare la prepotenza che sta alla base di determinati comportamenti, educare allo spirito del servizio, e all’utilizzo del “buon senso” che nasce unicamente da un dialogo tra persona e persona. Non tutti i burocrati sono sciocchi e arroganti, molti sono intelligenti e comprensivi, ma purtroppo queste caratteristiche, il più delle volte, non sono frutto di un itinerario educativo ma di una personalità aperta e umana.

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Dobbiamo comprendere che la riforma della burocrazia, cioè lo snellimento dei passaggi burocratici nei vari settori è una “vera e irrimandabile emergenza” dato che l’astio popolare è in continua crescita. Ne fu esempio l’uccisione a Perugia, nel marzo 2013, di due impiegate della regione umbra da parte di un uomo esasperato dalla burocrazia. Il giorno seguente M. Granellini nella rubrica “Buongiorno” (La Stampa 8.3.2013) scrisse una riflessione che pongo alla vostra attenzione…affinchè non sia troppo tardi. “Mi ha scritto la collega perugina di Margherita Peccati e Daniela Crispolti, le due impiegate (una precaria) della Regione Umbria uccise senza pietà da quell’uomo fragile e disperato che le aveva erette a simbolo di un sistema. E’ una lettera meravigliosa perché sorprendente. Ti aspetti il dolore per le vittime e lo trovi. Ti aspetti la paura che possa succedere di nuovo e la trovi. Ma ti aspetteresti anche il lamento contro chi ha alimentato questo clima, additando la pubblica amministrazione come luogo di ogni nefandezza, e invece non lo trovi. Anziché crogiolarsi nel vittimismo, specialità nazionale, l’impiegata di Perugia scrive: ‘Se siamo percepiti come poco trasparenti, autoreferenziali e arroganti, forse dovremmo cercare di cambiare, prima che un’ondata di risentimento cieco e indistinto cambi noi, travolgendo tutto’. Il cambiamento, e sono parole che andrebbero recitate a memoria come le tabelline, ‘non arriverà dall’alto e nemmeno un grilleggiante deus ex machina lo potrà attuare, se non sarà la pubblica amministrazione a volerlo, trovando il coraggio di riempire di contenuti quanto sbandiera ma non attua, a cominciare dalla meritocrazia. Dobbiamo smetterla di sentirci altro dalla gente, magari anche un po’ superiori, per poi offenderci appena ci chiamano privilegiati’”. Conclude Granellini. “Cara signora, taccio il suo nome per non esporla a ritorsioni, ma persone come lei meriterebbero la prima pagina tutti i giorni. In quest’epoca di licenziamenti continui, anche da se stessi, è consolante imbattersi ancora in qualcuno capace di un’assunzione di responsabilità”.