Quaderni su guerre e memoria del ‘900 - ISTREVI · 2013. 8. 16. · lopera singolare del...

26
Laboratorio di storia contemporanea Istituto per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea della provincia di Vicenza «Ettore Gallo» - Istrevi No. QM/2012/01 I quaderni del Laboratorio di storia contemporanea sono scaricabili all’indirizzo: www.istrevi.it Per contatti: [email protected] Istituto per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea della provincia di Vicenza «Ettore Gallo» c/o Museo del Risorgimento e della Resistenza Villa Guiccioli Viale X Giugno 115, I-36100 Vicenza Quaderni su guerre e memoria del ‘900 Responsabile di collana Marco Mondini [email protected] La Strada degli eroi: sacralizzazione della violenza guerriera, fondazione istituzionale e memoria storica. MASSIMILIANO MARANGON Comune di Schio The Road of Heroes: Sacralization of Warlike Violence, Institutional Foundation and Historical Memory. The paper explores the constitutive symbolic nexus of State power in the modern Italian society. This is culturally institutionalized, and is declined in the historical monumental cult of the dead of the Great War, in the continuous and ritual recalling to the collective memory of the violent (and "festive") sacrifice of those (young) dead; and in the cyclical refoundation and re-actualization of the national State itself. The "Road of Heroes" on the Mount Pasubio is thus not only one of many existing works on the mountains of northeastern Italy: it is also the metaphor of the "Path of the Warrior" that, with the needed caveats, can be found as a cultural essential theme also in many other modern societies. This same metaphor re-emerges up to now in public rhetoric, eg. in the ritual celebrations at the Pasubio Charnel, and is still very sensitive to the political and cultural climate in the medium and in the short term. Parole Chiave Grande Guerra, Europa, memoria storica, nation building, rituali, antropologia culturale. Massimiliano Marangon e-mail: [email protected] M. Marangon, n.1954, dirigente, dottore di ricerca in Antropologia culturale, ha tenuto corsi e seminari presso diverse Facoltà dell’Università di Padova, è stato per cinque anni docente a contratto c/o l’Università di Roma “La Sapienza”; si occupa di antropologia storica e generale, in particolare di politiche dell’identità ed ha pubblicato una quarantina di saggi e articoli ed un libro. I quaderni del Laboratorio di storia contemporanea sono pubblicati a cura dell’Istrevi e intendono promuovere la circolazione di studi ancora preliminari e incompleti sulla storia contemporanea vicentina e italiana, per suscitare commenti critici e suggerimenti. Si richiede di tener conto della natura provvisoria dei lavori per citazioni e per ogni altro uso.

Transcript of Quaderni su guerre e memoria del ‘900 - ISTREVI · 2013. 8. 16. · lopera singolare del...

Page 1: Quaderni su guerre e memoria del ‘900 - ISTREVI · 2013. 8. 16. · lopera singolare del sociologo Gaston Bouthoul3, ripresa in Italia e grandemente ampliata da Franco Fornari4,

Laboratorio di storia contemporanea

Istituto per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea della provincia di Vicenza «Ettore Gallo» - Istrevi

No. QM/2012/01

I quaderni del Laboratorio di storia contemporanea

sono scaricabili all’indirizzo: www.istrevi.it

Per contatti: [email protected]

Istituto per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea della provincia di Vicenza «Ettore Gallo»

c/o Museo del Risorgimento e della Resistenza – Villa Guiccioli

Viale X Giugno 115, I-36100 Vicenza

Quaderni su guerre e memoria del ‘900

Responsabile di collana Marco Mondini – [email protected]

La Strada degli eroi: sacralizzazione della violenza guerriera,

fondazione istituzionale e memoria storica.

MASSIMILIANO MARANGON

Comune di Schio

The Road of Heroes: Sacralization of Warlike Violence, Institutional Foundation and Historical

Memory.

The paper explores the constitutive symbolic nexus of State power in the modern Italian society. This

is culturally institutionalized, and is declined in the historical monumental cult of the dead of the

Great War, in the continuous and ritual recalling to the collective memory of the violent (and

"festive") sacrifice of those (young) dead; and in the cyclical refoundation and re-actualization of the

national State itself. The "Road of Heroes" on the Mount Pasubio is thus not only one of many

existing works on the mountains of northeastern Italy: it is also the metaphor of the "Path of the

Warrior" that, with the needed caveats, can be found as a cultural essential theme also in many other

modern societies. This same metaphor re-emerges up to now in public rhetoric, eg. in the ritual

celebrations at the Pasubio Charnel, and is still very sensitive to the political and cultural climate in

the medium and in the short term.

Parole Chiave

Grande Guerra, Europa, memoria storica, nation building, rituali, antropologia culturale.

Massimiliano Marangon

e-mail: [email protected]

M. Marangon, n.1954, dirigente, dottore di ricerca in Antropologia culturale, ha tenuto corsi e seminari presso diverse Facoltà dell’Università di Padova, è stato per cinque anni docente a contratto c/o l’Università di Roma “La

Sapienza”; si occupa di antropologia storica e generale, in particolare di politiche dell’identità ed ha pubblicato

una quarantina di saggi e articoli ed un libro.

I quaderni del Laboratorio di storia contemporanea sono pubblicati a cura dell’Istrevi e intendono

promuovere la circolazione di studi ancora preliminari e incompleti sulla storia contemporanea

vicentina e italiana, per suscitare commenti critici e suggerimenti. Si richiede di tener conto della

natura provvisoria dei lavori per citazioni e per ogni altro uso.

Page 2: Quaderni su guerre e memoria del ‘900 - ISTREVI · 2013. 8. 16. · lopera singolare del sociologo Gaston Bouthoul3, ripresa in Italia e grandemente ampliata da Franco Fornari4,

2

La Strada degli eroi: sacralizzazione della violenza guerriera,

fondazione istituzionale e memoria storica.

1. Delimitare il problema

Questo contributo* intende attirare l'attenzione, con una prospettiva di

antropologia storica e riferimenti interdisciplinari anche molto più

diversificati, su un vero e proprio nesso costitutivo del potere statuale

esistente nella società italiana, come in genere in quelle euroccidentali già

coinvolte nel primo conflitto mondiale. Tale ganglio, culturalmente

istituzionalizzato, si articola in almeno tre campi d'indagine ai quali farò

riferimento, e cioè:

1) nello storico culto monumentale dei caduti, in particolare

giovani, della Grande Guerra, operato negli anni postbellici e

segnatamente durante il regime fascista;

2) nella continua riproposizione rituale, alla memoria collettiva

successiva, del violento sacrificio dei morti in quella festa tragica

(che si cumula significativamente alle celebrazioni dei più recenti

caduti della Resistenza ed anche dei "caduti di tutte le guerre");

3) nella rifondazione e successiva ri-attualizzazione simbolica

delle istituzioni statali contemporanee e della stessa nazione che

contestualmente è stata ed è ancora oggi operata attraverso questo

processo di vera e propria sacralizzazione cerimoniale della violenza

data e subita in guerra (e nelle operazioni militari in genere).

* Dedicato a Mario Isnenghi, come festschrift personale.

Page 3: Quaderni su guerre e memoria del ‘900 - ISTREVI · 2013. 8. 16. · lopera singolare del sociologo Gaston Bouthoul3, ripresa in Italia e grandemente ampliata da Franco Fornari4,

3

2. La festa sanguinaria: teorie sulla guerra e narrazioni 1918

Occorre subito fare alcuni essenziali riferimenti teorici preliminari.

Secondo la fortunata tesi del filosofo-antropologo René Girard1,

all'origine di ogni mitologia e ritualità, e addirittura della stessa cultura

umana, starebbe una "violenza fondatrice" che comporta implicitamente la

catalizzazione della comunità contro un capro espiatorio, scelto ovunque

come vittima sacrificale. Del resto già la riflessione socio-antropologica

classica di epoca durkheimiana aveva portato, con l’importante studio di

Hubert e Mauss, ad accentuare l’importanza del sacrificio nel sistema delle

pratiche religiose antiche e primitive2: ed inoltre, già anni prima di Girard,

l’opera singolare del sociologo Gaston Bouthoul3, ripresa in Italia e

grandemente ampliata da Franco Fornari4, aveva evidenziato -

nell’interpretazione essenzialmente psicoanalitica di quest’ultimo - come la

guerra, considerata in via del tutto generale, ed in una prospettiva certo a-

storica (ma non, a mio avviso, necessariamente anti-storica), non fosse che

una sorta di festoso sacrificio5: e precisamente un sacrificio di massa delle

giovani generazioni, gradito alle divinità; un sacrificio che, più

riduttivamente, in termini demografici, si configura, in ultima analisi, come

un vero e proprio “infanticidio differito collettivo”. Detto per inciso, sulla

connotazione festosa della guerra come uccisione sacrificale (anche

moderna, il che è meno acquisito che non ad es. per la guerra “sportiva”

dell’epoca cavalleresca, così come descritta ad esempio da Cardini6) ci

sarebbero forse molte cose da rilevare: a cominciare ad esempio dall’ironia

1 René Girard, La violenza e il sacro, Milano, Adelphi, 1980 (orig.1972). 2 Henry Hubert e Marcel Mauss, Essai sur la nature et la fonction du sacrifice, in

«L’Année Sociologique», II (1897-1898), pp. 29-138. Cfr. anche i capp. VI e VII, intitolati

L’omicidio, la caccia, la guerra e L’omicidio e il sacrificio del libro di Georges Bataille,

L’erotismo, Milano, Es, 1991 (orig. 1957), nonché Id, La guerra e la filosofia del sacro, in

R. Caillois, L’uomo e il sacro. Con tre appendici sul sesso, il gioco, la guerra nei loro

rapporti con il sacro (a cura di Ugo M. Olivieri), Torino, Bollati-Boringhieri, 2001 (trad.

della 2° ed.,1950, orig. 1939), pp. 179-91 (recensione al libro di Caillois, orig. 1951). 3 Gaston Bouthoul, Le guerre - Elementi di Polemologia, Milano, Longanesi & C.,

1961 (I° ed. orig. 1951). 4 In: Franco Fornari, Psicoanalisi della guerra, Milano, Feltrinelli, 1970 (I° ed.

1966). 5 Ibid., pp. 28-41. 6 Franco Cardini, Quell'antica festa crudele. Guerra e cultura della guerra dall'età

feudale alla grande rivoluzione, Milano, Il Saggiatore, 1987 (I° ed orig. 1982).

Page 4: Quaderni su guerre e memoria del ‘900 - ISTREVI · 2013. 8. 16. · lopera singolare del sociologo Gaston Bouthoul3, ripresa in Italia e grandemente ampliata da Franco Fornari4,

4

ossimorica del linguaggio comune sull’omicidio in generale, per cui ancora

si usa dire metaforicamente, nell’italiano popolare corrente, “fare la festa”; e

si potrebbe continuare: ma su questo argomento è bene lasciare la parola

all’analisi folgorante, e forse splendidamente definitiva, di Roger Caillois, il

quale ha da tempo finemente evidenziato l’intimo rapporto che lega questa

forma organizzata e di massa del sacrificio umano, che è la guerra moderna,

al parossismo effervescente e fondativo, tipico della rottura del tempo

ordinario, che si ingenera nella pausa festiva7. E ricordiamo solo qui, per

chiudere con una fonte documentaria indiretta questa indispensabile

sottolineatura, e non fosse altro per avvicinarci per un attimo ai luoghi ed

all’epoca che hanno inizialmente stimolato la nostra riflessione, che nel cap.

XIV° del romanzo-racconto hemingwaiano Di là dal fiume e tra gli alberi vi

è un momento in cui uno dei due protagonisti, il colonnello Richard

Cantwell dice all’altro, Renata: “…Sono un ragazzo del basso Piave e un

ragazzo del Grappa appena arrivato dal Pertica. Sono anche un ragazzo del

Pasubio, se sai quel che significa. E’ stato peggio vivere lì che combattere in

qualsiasi altro posto (…) era insopportabile”. “Ma tu sei rimasto”. “Certo”

disse il colonnello. “Sono sempre l’ultimo a lasciare la festa, voglio dire la

fiesta…”8.

Se, con Caillois possiamo così connotare la guerra come “…tempo del

sacrificio, ma anche della rottura di ogni regola, del rischio mortale, ma

7 Roger Caillois, L’uomo e il sacro, Torino, Bollati-Boringhieri, 2001, pp. 157-74

(app. 3°, Guerra e sacro, orig.te apparsa nella II° ed. del 1950, cfr. pref. 1949). 8 Ernest Hemingway, Di là dal fiume e tra gli alberi, Milano, Mondadori, 1973

(orig. 1950), p. 211, corsivo dell’A.; cfr. anche A.S.G.e S., Hemingway a Schio «uno dei

più bei posti della terra», Schio, Menin, 2008, p. 122-23 e nn.; qui al solo fine di avvallare

l’importanza, come fonte storica – autobiografica - indiretta, del passo del romanzo citato

(ma le conseguenze di questa notazione ricadono prima di tutto sulla genesi di Addio alle

armi) faccio presente che, a mio avviso, non si è abbastanza sottolineato, fino ad oggi, che

l’allora giovanissimo scrittore americano ebbe proprio sul Pasubio la sua prima e

determinante esperienza della realtà tragica della guerra, vissuta nel 1918 tra il fronte e la

retrovia di Schio come ambulanziere dell’American Red Cross; e questo, in modo

documentato, non senza qualche molto giocoso e giovanile entusiasmo; mentre è stato già

notato che l’autore di Addio alle armi (edito nel 1929) sarà appunto, con autobiografismo

trasposto e generico, il tenente americano Frederic Henry, inquadrato come ambulanziere

nell’esercito italiano di stanza a Gorizia: per Hemingway- Henry, la conseguita maturità e i

fantasmi della guerra vissuta sui vari fronti italiani avevano smussato subito però la

connotazione festiva del grande massacro, da cui la progressiva spirale di scanzonata

amarezza tragica di A Farewell to Arms e la forma ironica e metaforica della citazione qui

sopra, tratta invece dal successivo e meno noto romanzo del 1950.

Page 5: Quaderni su guerre e memoria del ‘900 - ISTREVI · 2013. 8. 16. · lopera singolare del sociologo Gaston Bouthoul3, ripresa in Italia e grandemente ampliata da Franco Fornari4,

5

santificante (…)” ed assumere che essa “…ha tutti i titoli per occupare il

posto della festa nel mondo moderno” per cui, paradossalmente, nelle

società interessate “da questo sacro ci si aspetta l’estasi più possente, la

giovinezza e l’immortalità”9, in termini più psicoanalitici ed etnologici -

nella lettura data da Fornari all’interessante tesi «polemologica» di Bouthoul

– che è però piuttosto di evidente derivazione durkheimiana e malthusiana -

si dovrebbe anche parlare della guerra come di uno spostamento rituale,

all'esterno della comunità sociale locale, dell'aggressività edipica dei

giovani, prima stimolata, all'interno del gruppo etnico, dalla violenza

iniziatica dei padri; ed anche come di una vera e propria "elaborazione

paranoica del lutto"10

. In tale processo psichico, che pare difficile

9 Cito qui estratti di una frase di Caillois che può essere una sintesi provocatoria di

molti aspetti sviluppati nel presente scritto. Cfr. op.cit., p. 171. 10 Bouthoul, op. cit., pp. 53-5, 60-6, 70. La tesi di Bouthoul, detto per inciso, si

presterebbe bene ad essere aggiornata e testata antropologicamente alla luce dei principi

enunciati dal materialismo culturale: storicizzando l'analisi, resterebbe comunque da vedere

se tale tesi può anche interpretare adeguatamente le recenti guerre più o meno "umanitarie"

e “preventive”, ad altissima intensità tecnologica. Sui gravi difetti delle teorie etologiche e

sociobiologiche che vedono la guerra primitiva come mezzo diretto ed efficace nel medio-

lungo periodo per ridurre la sovrappopolazione e come fattore di selezione bio-culturale

cfr., del padre moderno dell’antropologia materialistico-culturale Marvin Harris, La nostra

specie, Milano, Rizzoli, 1991 (orig. 1989), capp. 58 ssgg., part. cap. 61, pp. 222-6 (che

sintetizza studi compiuti dall’A. già negli anni ‘70); e Alexander Alland jr., L’imperativo

umano. La biologia e le scienze sociali, Milano, Bompiani, 1974, (orig. 1972), cap. 6, Sulla

guerra, part. pp 157-63: ciò che chiaramente si deduce dalle nutrite e documentate

argomentazioni di questi antropologi è che, nel modello esplicativo complesso che spiega

deterministicamente, in chiave ecologico-culturale e neo-evoluzionistica, la guerra arcaica e

preindustriale, vi è semmai un nesso inscindibile tra quest’ultima e lo sviluppo di una

mentalità machista - per pressioni tecno-ambientali venutesi a creare - con selezione

culturale di giovani avviati a divenire guerrieri; i vantaggi demografici globali per le

popolazioni interessate derivano perciò piuttosto dagli effetti negativi di un sistema

educativo fortemente maschilista sul tasso di popolazione femminile che riesce a

raggiungere l’età riproduttiva; questo ed altri essenziali temi collegati ai rapporti tra crescita

demografica e formazioni sociali complesse sono richiamati e discussi anche da Ted C.

Lewellen, Antropologia politica, Bologna, Il Mulino, 1987 (orig. 1983), cap. 3°,

L’evoluzione dello stato, part. par. 4., p. 80-3; Lewellen, tenendo presenti anche gli studi di

Harris ed altri precedenti autori (E. Boserup, M. Harner), tende molto argomentatamente a

ridimensionare, anche se non ad eliminare, l’importanza primaria della pressione

demografica nella genesi delle forme statuali di organizzazione politica. Per una

ricognizione interdisciplinare recente fatta anche su Le radici della guerra da un grande

biologo ed ecologo, v. Paul Ehrlich, Le nature umane. Geni, culture e prospettive, Torino,

Codice edizioni, 2005 (orig. 2000), part. pp. 259 ssgg., 333 ssgg. (con notevole attenzione

anche ai fatti microevolutivi della storia delle società e mondiale). Ehrlich fa un notevole

uso di dati antropologici derivati dalle ricerche delle scuole neo-evoluzionistica, ecologico-

culturale e della prospettiva materialistico-culturale che le ha in qualche modo sintetizzate,

come del resto fa Diamond (ma cfr. sotto, n. 39). Segnalo, al momento di pubblicare, anche

l'interessante approccio storico-evoluzionistico generale di Ian Morris, The Evolution of

War, apparso recentemente in «Cliodynamics: The Journal of Theoretical and Mathematical

Page 6: Quaderni su guerre e memoria del ‘900 - ISTREVI · 2013. 8. 16. · lopera singolare del sociologo Gaston Bouthoul3, ripresa in Italia e grandemente ampliata da Franco Fornari4,

6

considerare esclusivamente in relazione alle generazioni più giovani, (e che

perciò andrebbe allora certamente articolato, nell’analisi storiografica e

sociologica, in riferimento alle dinamiche di età, classiste e di ceto che

operarono, ed operano, nel coinvolgimento dei diversi strati sociali), vi è

tuttavia – in generale - una coincidenza istituzionalizzata tra il delitto e la

virtù: per cui i propri morti-dei vengono propiziati, in particolare grazie al

meccanismo sociale della “vendetta del sangue”, proiettando cioè

inautenticamente su un nemico esterno le parti negative del sé ed i sensi di

colpa derivanti anche dalla morte, spesso attribuita - tra i “primitivi” -

all'effetto di sortilegi di alcuni dei membri del gruppo (quest'ultima tesi è

accreditata nel libro di Fornari, fra l'altro, da fatti etnologici riportati già da

Strehlow e ripresi da Geza Roheim: così tra alcuni aborigeni australiani "lo

scopo delle guerre come spedizioni di vendetta (...) è quello di dare agli

abitanti di un altro villaggio la stessa ragione di lutto che essi hanno

avuto"11

).

È però l’aspetto della festosa violenza iniziatica dei padri (e più dello

Stato-padre, che non dei genitori biologici) quello che ci sembra

maggiormente suscitare l’interesse ed essere più adeguato alle nostre

vicende, date le dinamiche psichiche e socio-demografiche che vennero in

gioco, in Europa, tra il 1914 ed il 1918: “volevamo venir via dai banchi di

scuola, dimostrare di essere già dei veri uomini ed esser utili alla Patria”

scrisse nel suo diario il non ancora diciottenne Karl Mayr, un giovane

austriaco tirolese arruolatosi volontario, col permesso dei genitori, nel 1915;

e, sull’altro fronte, così esordiva maternamente la personificata e mitologica

Primavera giuliana “…Oh ragazzi, ragazzi miei / con quei fieri cipigli di

veterani, / grandi più dei vostri babbi, / guerrieri di vent’anni…”, e invitava

i giovani italiani in trincea a prepararsi per la festa tragica, “la Sagra di

History», 3 (1), 2012, irows_cliodynamics_12167 escholarship.org/uc/item/8jr9v920; l’A.

vi compie un'analisi storica e macrosociologica di lungo periodo su scala planetaria,

individuando anche, sulla base di alcuni indicatori che gli sembrano significativamente

critici, delle prospettive relative al dialettico rapporto guerra/pace nel complesso scenario

mondiale contemporaneo. 11 La citazione - estratta dal classico lavoro di Strehlow sugli aborigeni australiani -

si trova a p. 70 del libro di Fornari, dove vi sono anche i rif.ti bibliografici ad alcuni articoli

di Geza Roheim comparsi sul «Journal of Criminal Psychopathology», nel 1943-44.

Page 7: Quaderni su guerre e memoria del ‘900 - ISTREVI · 2013. 8. 16. · lopera singolare del sociologo Gaston Bouthoul3, ripresa in Italia e grandemente ampliata da Franco Fornari4,

7

Santa Gorizia”; e così poi i “sottotenentini, / ragazzi imberbi e gioviali”

cadevano, nelle “giornate malinconiche della Val d’Isonzo”, “colpiti mentre

correvano / davanti al plotone all’assalto, / come se si trattasse / davvero di

scherzare / con l’eternità”12

.

3. Un sacrificio fondativo

Alla luce della combinazione critica di queste teorie in una più ampia

prospettiva di antropologia storica che tenga presente lo scenario del

complesso e dinamico intrecciarsi dei vari modi di produzione nelle diverse

società europee nell’ultimo secolo, proponiamo qui che in esse, dal primo

dopoguerra, dagli anni cioé, segnati, a livello europeo e mondiale,

dall'«apogeo del nazionalismo»13

sia allora possibile rintracciare quanto

segue: che il meccanismo del sacrificio fondativo non tanto di un astratto

"sacro" o della astratta "cultura" in sé (cfr. Girard), quanto piuttosto delle

concrete, singole e storiche, istituzioni statali, abbia trovato una sua

compiuta realizzazione nella memoria organizzata dei "caduti per la Patria",

cioé, propriamente, nel ricordo rituale dei figli della comunità sociale

sacrificati in una guerra che viene concepita come attività violenta,

legittimamente organizzata, funzionale alla stessa esistenza dello stato

nazionale. Si opporrà forse che non occorre tirare in ballo un così esteso

corpus di riferimenti teorici per descrivere l’importanza –

storiograficamente già nota - dei monumenti ai caduti della Grande Guerra:

12 Corsivi miei, M.M..Cfr. la prima citazione dal diario di Mayr in Michael Wachtler,

La pace fra noi, s.l., Athesia Touristik, 2004, pp. 21-22. Le altre citazioni sono appunto dal

celebre poemetto epico La Sagra di Santa Gorizia - del poeta-soldato Vittorio Locchi -

pubblicato postumo nel 1917 (a Milano, per i tipi de l'Eroica: un’opera che resta assai

notevole sia come fonte, variamente utilizzabile, sia per molti suoi passaggi lirici). I versi

qui riportati sono alle p. 34 e 31-33 dell’edizione goriziana del 1990 (Federazione

provinciale dell’A.N.C.R. per la cura di A. Torrelli; pubblicata, assieme ad un interessante

corredo aggiuntivo, presso la locale Tipografia sociale); la personificazione della stagione

della rinascita che diviene una bellicosa deità genitoriale nell’allegoria di Vittorio Locchi fa

venire alla mente subito il par. “La guerra, potenza di rigenerazione” di Roger Caillois,

op.cit., p. 166: “…La mitologia della guerra consente l’accostamento (…) se ne fa una

specie di dea della fecondità tragica”: ma se qui l’uso rilevato è quello di naturalizzare,

divinizzandolo, un evento umano, nella poesia del Locchi accade l’inverso (un evento

naturale viene “umanizzato” – meglio sarebbe dire “dis-umanizzato”), peraltro con effetti

retorici tragicamente analoghi. 13 Per usare la definizione di E. J. Hobsbawm, Nazioni e nazionalismo, Torino,

Einaudi, 1991 (orig. 1990), cap. V°.

Page 8: Quaderni su guerre e memoria del ‘900 - ISTREVI · 2013. 8. 16. · lopera singolare del sociologo Gaston Bouthoul3, ripresa in Italia e grandemente ampliata da Franco Fornari4,

8

ma, nella specificità di una prospettiva – com’è quella antropologica – che

ha a lungo mantenuto un’ambizione nomotetica, senza peraltro mai –

nemmeno nei suoi esiti estremi (uno per tutti: Claude Lévi-Strauss) –

ignorare completamente la specificità particolare dei singoli eventi e delle

stesse strutture storiche entro cui essi accadono, questa serie di richiami ci

pare doverosa, e capace di arricchire – con alcuni apporti specifici delle

scienze umane, e sinanche naturali – la sinergica riflessione interpretativa

delle discipline storico-sociali. Tanto più che in anni più recenti

l’antropologia culturale (come è accaduto anche per altri ambiti scientifici)

si è imbevuta di correnti postmodernistiche che, se non altro, hanno posto

molto l’accento sulla struttura e sulle retoriche proprie tanto del discorso

dell’indagatore dei fatti simbolici, quanto dei fatti stessi che egli si trova ad

interpretare: e pertanto ci sembra il caso, senza perdere la connessione

felicemente stabilita – una buona volta – con la antica consapevolezza

interpretativa della tradizione storiografica italiana (e non solo), di

riequilibrare un po’il tiro, riportando l’approfondimento anche su un piano

più teorico e non solo descrittivo. Anche perché, a ben vedere, se il discorso

sta in piedi, ne seguono forse delle importanti conseguenze pratiche.

Corollario logico di questo assunto è infatti la successiva convinzione

politica, niente affatto scontata, che tutto l’apparato cerimoniale che ruota

tutt’oggi intorno al ricordo della prima guerra mondiale non possa certo

essere guardato con la sufficienza politica con cui talora lo si è liquidato, in

tempi non troppo passati, come vuota retorica militarista; ma che semmai

esso vada costantemente ripensato ed attualizzato, anche se in modo

radicalmente diverso, sotto il profilo valoriale. Se vi è in esso infatti una

ratio fondativa degli stati – nazione (pure con tutte le loro intrinseche e

generative contraddizioni di classe, che, aggiornate ed attualizzate, ne

costituiscono tuttavia la forma fondamentale, o, per meglio esemplificare, le

fondamenta vuote entro cui si rassoda, nel tempo, la gittata simbolica delle

ideologie e delle pratiche che garantiscono la presa del cemento sociale) ciò

significa in altri termini che tale apparato celebrativo ha a che fare – in

Page 9: Quaderni su guerre e memoria del ‘900 - ISTREVI · 2013. 8. 16. · lopera singolare del sociologo Gaston Bouthoul3, ripresa in Italia e grandemente ampliata da Franco Fornari4,

9

quanto “fatto” identitario e culturale di lungo periodo14

, sancito e

interpretato ritualmente, con i fondamenti stessi della nostra complessa

contemporaneità sociale – e tanto più ora che esso sembrerebbe dover essere

superato in qualche modo dalla contraddittoria, ma via via sempre più

stretta, unificazione europea. Così ad es. è stato nella festa francese per

ricordare la fine della Grande Guerra (11 novembre 2008), dato che il Capo

della République per antonomasia ha comunque dovuto celebrare – sia pure

assieme anche a rappresentanti tedeschi ed in chiave originalmente

europeistica (i giovani cadetti dell’accademia militare che cantano l’Inno

alla Gioia…) – quella che in Italia resta più tradizionalmente - al di là della

mutata denominazione ufficiale – “la festa della Vittoria”. Ed ha ritenuto di

farlo a Verdun, assieme agli ex-alleati di un tempo, suscitando

significativamente – per la scelta del luogo nella specifica occasione - la

disapprovazione della Cancelleria germanica: la cui massima

rappresentante, di conseguenza, non ha partecipato alla cerimonia, inviando

invece a presenziarvi, come hanno sottolineato molte agenzie di stampa, il

presidente del Senato tedesco15

. Questo tanto per evidenziare anche taluni

dei perduranti confini simbolici delle politiche nazionali entro il nuovo

campo europeo.

14 La Grande Guerra è stata notoriamente a lungo connotata, in Italia, come l’ultima

delle guerre del Risorgimento, quella territorialmente unificatrice par excellence – piuttosto

che non come mero “primo” conflitto “mondiale”: l’interpretazione “locale”, perciò, ci

riconduce qui ad inquadrarne perfettamente la memoria come ricordo (e mito) identitario,

del genere appunto di quelli che, per i gruppi etnici, instaurano una “fedeltà demiurgica in

rapporto agli eventi fondatori che li istituiscono nel tempo” secondo la felice espressione di

Paul Ricoeur (in Lectures 2. La contrée des philosophes, Paris, Seuil, 1992, cit. s.i.p. da

Philippe Poutignat e Jocelyne Streiff-Fenart, Teorie dell’etnicità, Milano, Mursia, 2000, p.

135). Il primo a parlare di “mito della Grande Guerra” rilevandone gli aspetti

specificamente italiani e pedagogico-risorgimentali, è stato Mario Isnenghi nel suo

omonimo e ormai classico libro (Bari, Laterza, 1970; di Isnenghi si v. anche l’ampio saggio

citato qui più sotto, in n. 20, part. nelle considerazioni finali, pp. 305-09). 15 Traggo le informazioni sulle celebrazioni del 90° in terra di Francia dalla

testimonianza qualificata di spettatori della diretta televisiva francese; per l’assenza

polemica alla festa della cancelliera tedesca Angela Merkel cfr. le principali agenzie di

stampa on-line, alla data dell’11 nov.2008 e gg. ssgg., nonché il rif.to all’articolo di

Martinotti che compare nella nota finale di questo scritto.

Page 10: Quaderni su guerre e memoria del ‘900 - ISTREVI · 2013. 8. 16. · lopera singolare del sociologo Gaston Bouthoul3, ripresa in Italia e grandemente ampliata da Franco Fornari4,

10

4. Monumenti agli Eroi e culto nazionale della Patria

Occorrerà naturalmente dimostrare la tesi più sopra sommariamente

enunciata con l'appoggio di altri dati, il più possibile adeguati, ed investigare

questi particolari, e tuttora attuali, "riti e simboli del potere"16

, tracciando

anche eventualmente, in conclusione, e sia pur molto in breve, qualche

riflessione problematica in senso applicativo17

.

In Italia, ad esempio, il culto dei caduti comincia a realizzarsi già a

partire dall'epoca risorgimentale (con la costruzione di vari monumenti

ossari, fra cui, per non citarne che uno, quello di Solferino); ma più ancora

esso si sviluppa dall'epoca del compimento definitivo dell'unità dello stato

nazionale, appunto negli anni finali e successivi alla Grande Guerra e

soprattutto, in maniera pesantemente monumentale, nell'epoca fascista

antecedente il secondo conflitto mondiale.

Sono infatti di quegli anni le costruzioni e le dedicazioni, soprattutto

nelle ex zone di confine già teatro di cruente battaglie - ma monumenti ai

caduti sorgono nelle piazze di ogni paese, sull'intero territorio nazionale - di

cimiteri militari e cippi, di statue di Madonne degli Alpini e di parchi della

Vittoria, di cappelle votive e di monumenti ai vari singoli eroi; di “parchi

delle rimembranze” e di "strade degli eroi", come quella che

vertiginosamente s’arrampica sul Pasubio; ed anche, e soprattutto, dei

grandi e piccoli sacrari militari18

(nell'area veneta, fra gli altri: Pasubio

1926, Schio 1930, Monte Grappa, Montello e Fagaré 1935, Asiago 1936,

16 Il rif. è al titolo del libro dell'antropologo David I. Kertzer, Roma - Bari, Laterza,

1989 (orig. 1988). 17 Seguirò, con ciò, l'esplicito invito fatto ai partecipanti dagli organizzatori del V

Congresso Nazionale dell'AISEA (Roma, 11-13 novembre 1999), in cui era stata presentata

la prima, scarna, versione di questo scritto, più volte in seguito ampliata, riveduta e

aggiornata – ma mai fino ad ora pubblicata in nessuna forma, per vari motivi, anche non

dipendenti dalla volontà dello scrivente. Ovviamente solo la versione attuale, che tuttavia

non modifica il nucleo essenziale del discorso di allora è quella che, naturalmente, fa testo. 18 Cfr. i dati riportati nei vari opuscoli sui sacrari della 1° guerra mondiale editi dal

Ministero della Difesa - Commissariato generale per le onoranze ai caduti in guerra,

passim. Sugli aspetti storico-artistici e conservativi di questi monumenti visti in un’ottica di

valorizzazione patrimoniale, v. ora i contributi di Chiara Rigoni, Cristina Franchini e

Chiara Scardellato nella sontuosa opera pubblicata dalla Soprintendenza per i beni storici,

artistici ed etnoantropologici per le provv. di Venezia, Belluno, Padova e Treviso in

occasione del 90° anniversario della fine della Grande Guerra: AA.-VV., La memoria della

prima guerra mondiale: il patrimonio storico-artistico tra tutela e valorizzazione, a cura di

Anna Maria Spiazzi, Chiara Rigoni, Monica Pregnolato, con pref. di Mario Isnenghi,

Vicenza, Terra ferma editore, 2008.

Page 11: Quaderni su guerre e memoria del ‘900 - ISTREVI · 2013. 8. 16. · lopera singolare del sociologo Gaston Bouthoul3, ripresa in Italia e grandemente ampliata da Franco Fornari4,

11

per non citare che esempi territorialmente vicini, ad alcuni dei quali faremo

riferimento); e sono sempre di quegli anni anche le istituzioni di vere e

proprie "zone sacre", dichiarate ufficialmente tali, nei luoghi dove più aspri

furono i combattimenti e più elevato il numero dei morti; come anche, sul

piano organizzativo-legislativo, fu quello lo stesso periodo in cui si ebbe

l'istituzione della "Commissione Nazionale per le Onoranze ai Militari

d'Italia e dei Paesi Alleati Morti in Guerra" (1919) e di un ufficio centrale

apposito (1920), e poi di un Commissario di Governo addetto alla

"sistemazione definitiva delle salme dei caduti in guerra" (1931); ed, infine,

di un Commissario generale straordinario (1935) i cui poteri verranno

ulteriormente ampliati dopo il secondo conflitto mondiale19

.

Come hanno già indicato gli studi di storici quali Mario Isnenghi ed

altri 20

, i grandi sacrari e le altre opere cimiterial-monumentali hanno

costituito una forma storicamente determinata di anestetizzazione della

morte in battaglia e di celebrazione della gloria dello stato nazionale

italiano, che aveva ormai compiuto il suo pur contraddittorio processo di

unificazione etnico-territoriale.

19 Cfr., sotto quest'ultimo profilo Ministero della Difesa - Commissariato generale

per le onoranze ai caduti in guerra, Relazione sull'attività del Commissariato generale per

le onoranze ai caduti in guerra negli anni 1988-1997, Roma, 1998, pp. 1-3. 20 V. la sintesi data dallo stesso Isnenghi, La Grande Guerra, in Mario Isnenghi (a

cura di), I luoghi della memoria. Strutture ed eventi dell'Italia unita, Roma - Bari, Laterza,

1997, pp. 273-309, in particolare pp. 301-06. Il pioniere italiano di queste tematiche è stato

forse Claudio Canal, col suo articolo La retorica della morte. I monumenti ai caduti nella

Grande guerra, in « Rivista di Storia Contemporanea», 4 (1982), pp. 959-69. Cfr. anche

l’organico tentativo di rassegna di Gian Marco Vidor, Riti e monumenti per i morti della

Grande guerra, in «Studi Tanatologici-Thanatological Studies-Etudes Thanatologiques», 1

(2005), pp. 139-159. E, da ultimo, cfr. la corposa ricerca audio visuale congiunta delle due

università veneziane Il Veneto tra le due guerre 1918-1940, nel sito:

circe.iuav.it/Venetotra2guerre/index.html: la cui sezione La memoria di pietra, presentata

da Daniele Pisani e sviluppata da vari autori, è ricca di informazioni scientifiche,

bibliografiche e di documentazione su tutta questa materia; l’Ossario pasubiano del colle

Bellavista vi viene giustamente indicato (assieme a quello del Cimone di Tonezza) come un

modello transizionale, “l’ultimo degli ossari” risorgimentali ed, al contempo, “il primo dei

sacrari” del regime fascista.

Page 12: Quaderni su guerre e memoria del ‘900 - ISTREVI · 2013. 8. 16. · lopera singolare del sociologo Gaston Bouthoul3, ripresa in Italia e grandemente ampliata da Franco Fornari4,

12

5. Esempi: tra Pasubio e Asiago

L’analisi della struttura architettonica e funzionale dei sacrari-ossari e

dei cimiteri militari comporterebbe tuttavia una individualizzazione di

ciascuno di essi che ne evidenzierebbe le peculiarità, legate a fatti e ad

interpretazioni sia locali, sia nazionali: gli esempi, quasi contigui, dei citati

ossari vicentini del Pasubio, di Schio e di Asiago (tra i primi ad essere

edificati unificando e centralizzando alcuni dei 1840 cimiteri campali che

costellavano l'arco dell'intero fronte bellico21

) mostrano così una varietà di

soluzioni che, pure nella generale magniloquenza di fondo, rinvierebbero,

come a variazioni sul tema, alla considerazione dell'importanza di vari

fattori specifici che hanno agito nella loro particolare costruzione.

Così, se è un isolato torrione piramidale a svettare in quota di fronte

alle guglie dolomitiche dell'assai conteso massiccio del Pasubio22

- quasi

cima tra le cime di quelle che furono annoverate all'epoca tra le "montagne

sante d'Italia, azzurre e bianche torri a guardia della Patria"23

- diversa è

invece l'ecologia del vicino sacrario di Schio. Là nell'alta pianura, alla base

del combattuto monte Novegno, il primitivo cimitero militare,

originariamente posto in una porzione del vecchio cimitero civile, è stato

trasformato24

in un chiostro che ne riecheggia un altro non lontano (attiguo

ad una chiesa quattrocentesca); ed è stato poi via via integrato dal tessuto

urbano. Mentre è invece un mastodontico e quadriportico arco romano a

dominare, dalla sommità del colle Laiten, l'ondulata conca verde dove si

adagiano il paese e le contrade sparse di Asiago, nel centro di

quell'Altopiano dei Sette Comuni già grandemente insanguinato da

21 Come si può evincere dal cap. XXIV, Fasti e monumenti della Vittoria di G. De

Mori, Vicenza nella guerra 1915-1918, Vicenza, G. Rumor, 1931. Cfr. ora i dati

catalografici riportati da Cristina Franchini in AA.-VV., La memoria..., cit., pp. 333-36. 22 Sul quale v. Ministero della Difesa - Commissariato generale..., Sacrari militari

della 1° Guerra mondiale - Pasubio, Roma, 1998; e, per gli aspetti pittorici e progettuali di

questo primo e, per certi versi, atipico sacrario, Chiara Rigoni, “Fra severe allegorie ed

eloquenti stilizzazioni di alti pensieri”*: la decorazione di Tito Chini nell’Ossario del

Monte Pasubio, in AA.-VV., La memoria..., cit., pp. 362-87. 23 La citazione è ancora dei versi di Vittorio Locchi, dall’edizione 1990, cit., de La

Sagra di Santa Gorizia…, p. 41. 24 Cfr. Ministero della Difesa - Commissariato generale..., Relazione..., cit., p. 45, e,

più approfonditamente, G. De Mori, Chiostro ossario dei caduti di guerra alla SS. Trinità

di Schio, Schio, P. Marzari, 1930.

Page 13: Quaderni su guerre e memoria del ‘900 - ISTREVI · 2013. 8. 16. · lopera singolare del sociologo Gaston Bouthoul3, ripresa in Italia e grandemente ampliata da Franco Fornari4,

13

numerose e ripetute offensive e controffensive durante l’intero arco della

Grande Guerra25

Generalmente gli ossari allineano i caduti in loculi per la maggior

parte tutti uguali nella dimensione e nella disposizione spaziale (scandita dal

solo ordine alfabetico), e ciò secondo parametri che sembrano volti a sancire

l’uguale dignità del “supremo sacrificio”, al di là di ogni differenza

gerarchica (pur ricordata dal richiamo del grado sulle lapidi) e di ogni

differenza sociale: tali differenze sono infatti ora appiattite e sfocate

dall'esito, violento e totale, degli eventi. Sono però riuniti a gruppi i militi

ignoti (i cui resti sono stati spesso confusi dai bombardamenti) mentre una

particolare evidenza viene data ai morti che hanno compiuto particolari atti

di valore26

.

Tra gli esempi qui considerati, significativa è a tale riguardo la

struttura dell'ossario del Pasubio27

: in esso i morti “per la Patria” sono

collocati secondo un asse verticale che va dal noto all'ignoto (gli ignoti

stanno, a gruppi, più in alto, più vicini all'apoteosi celeste, ma sono anche

più inavvicinabili e quindi fatalmente ed ulteriormente più soggetti alla

corrosione di una memoria sociale che già a priori non li può ri-conoscere);

mentre, tra i caduti di cui è noto il nome - che stanno individualmente

sepolti in una cripta ed in una galleria semi-sotterranee più alla portata dei

visitatori e della loro capacità di memorizzare - si può constatare una

gerarchizzazione orizzontale, sostanzialmente di merito: sono così inumati

nella cripta al centro i resti di 70 decorati al V.M., assieme alla salma del

25 Sull'ossario di Asiago cfr. Ministero della Difesa - Commissariato generale...,

Sacrari militari della 1° Guerra mondiale - Asiago Pasubio, Roma, 1974, pp. 5-14; mi

permetto inoltre di rimandare a quanto ho scritto nel libro Antenati e fantasmi

sull'Altopiano. Un'identità etnica "cimbra" e le sue modulazioni antropologiche, Roma,

EUROMA, 1996, pp. 69, 72. 26 Si allude qui solo ai sacrari ufficiali: un discorso a parte, molto interessante,

riguarderebbe le forme monumentali più o meno subalterne che utilizzavano i residuati

delle battaglie e che vennero spontaneamente costruite dai combattenti direttamente sul

campo, come ad es. avvenne sul colle Sant'Elia presso Redipuglia (traggo queste notizie

dalla bella comunicazione di Fred Licht al convegno “Retrovie - avanguardia 1918-2000 -

dalle trincee all'Europa” tenutosi presso il Museo del Risorgimento di Vicenza il 22. 10.

1999). Cfr. anche le brevi notizie date da A. Torrelli a margine de La Sagra di Santa

Gorizia…, cit., pp. 74-76. 27 Cfr. i riff. della prec. nota 22 e ora, per una sintesi descrittiva della struttura

architettonica dell’Ossario, nel cit. contributo di C. Rigoni a La memoria..., cit., le pp. 372-

74.

Page 14: Quaderni su guerre e memoria del ‘900 - ISTREVI · 2013. 8. 16. · lopera singolare del sociologo Gaston Bouthoul3, ripresa in Italia e grandemente ampliata da Franco Fornari4,

14

loro ex comandante, mentre i semplici caduti non decorati giacciono nella

galleria che dall'esterno contorna la cripta. È da notare che il merito

particolare della virtù guerriera è ugualmente enfatizzato dalle lapidi poste a

ricordo di 15 decorati di medaglia d'oro al V.M. che ritmano il passo lungo

la c.d. ‘Strada degli Eroi’, che sale alla zona monumentale del Pasubio

(dichiarata tale nel 1922 "a consacrazione nei secoli della gratitudine della

Patria verso i figli che per la sua grandezza vi combatterono" 28

).

6. L’utilità del dolore

Come rammentava tuttavia, alla fine degli anni ‘90, l’allora

Commissario Generale, il ricordo deve essere continuamente riattualizzato:

“l’onorare non può prescindere dal ricordare (...) perché, in caso contrario,

la mera ‘monumentalizzazione del ricordo’(...) potrebbe nel tempo

trasformarsi (...) attenuando il testamento spirituale del patrimonio morale

che voleva e doveva tramandare”. Tutt’oggi occorre insomma essere “attenti

28 Ministero della Difesa - Commissariato generale..., Sacrari..., cit., p. 5; corsivo

mio, M.M.; esplicito appena qui in nota, a questo riguardo, il gioco di parole del titolo di

questo saggio, che – nel riferirsi alla vertiginosa strada militare qui sopra nominata -

richiama metaforicamente anche il famoso codice d’onore dei Samurai (Bushidō = la Via

del Guerriero); sui kamikaze nipponici, loro (presunti) eredi spirituali della II° guerra

mondiale, segnalo il recente e approfondito studio, svolto, con largo uso di algoritmi e

riferimenti alla disequazione hamiltoniana, da John Orbell e Tomonori Morikawa: i due co-

autori in An Evolutionary Account of Suicide Attacks: The Kamikaze Case, apparso on-line

sulla rivista «Political Psychology», Vol. xx, No. xx, 2011, icds.uoregon.edu/wp-

content/uploads/2011/08/The_Kamikaze_Case.pdf discutono il problema dei volontari

suicidi giapponesi (con molti altri appropriati riferimenti storico-comparativi) in una chiave

psico-evoluzionistica e sociobiologizzante: xenofobia e solidarietà fraterna vi vengono

individuati alla fine, più in generale, come probabili fattori cruciali cognitivamente capaci

di motivare, all’interno di retoriche parentali allargate, il sacrificio volontario di sé; di cui si

postula peraltro una funzionalità genetica originaria in particolari condizioni di minaccia

estrema percepita per la sopravvivenza del proprio gruppo genetico-parentale, et ultra,

verso il gruppo sociale di appartenenza. Sul rapporto tra la distorta (re)invenzione

dell’ideologia nipponica della “bella morte” per i giovani kamikaze e le ideologie europee

più reazionarie del secolo e mezzo precedente, v. Ian Buruma, Avishai Margalit,

Occidentalismo. L’Occidente agli occhi dei suoi nemici, Roma, Gr. Edit. L’Espresso, 2007

(orig. 2004), pp. 54-61. Per i massacri “sacrificali” di giovani nel primo conflitto mondiale,

v. ivi p. 46, con cit. da Mosse, Le guerre mondiali: dalla tragedia al mito dei caduti, Roma-

Bari, Laterza, 1990, p. 79; nonché, per le analogie con il culto della morte in alcuni ben

delimitati settori del radicalismo islamico contemporanei ed in particolare tra i martiri neo-

jihâdisti seguaci di Osama bin Laden, le pp. 62 ssgg., con i necessari distinguo (che

vengono ancor meglio esplicitati, relativamente agli chahîd della recente rivoluzione

tunisina ed alla loro siderale distanza dai precedenti, da Fethi Benslama nel suo illuminante

libretto Soudain la Révolution! Géopsycanalyse d’un soulèvement, Tunis, Cérès éditions,

2011, pp. 58 ssgg., part. 68-9 e passim).

Page 15: Quaderni su guerre e memoria del ‘900 - ISTREVI · 2013. 8. 16. · lopera singolare del sociologo Gaston Bouthoul3, ripresa in Italia e grandemente ampliata da Franco Fornari4,

15

a non disperdere l'utilità del dolore” (e qui si cita addirittura

Sant'Agostino)29

. Alla fase di fondazione definitiva dello stato nazionale

territorialmente compiuto - attuatasi totalitaristicamente negli anni ‘20 e ‘30

anche con l’erezione e l’inaugurazione di questi e molti altri sacri complessi

monumentali da parte delle massime autorità, civili, militari e religiose30

- è

subentrato così un culto della memoria che è continuato poi, dopo la caduta

del regime fascista, anche nell'Italia repubblicana, e che perdura tuttora.

Ogni anno si svolgono infatti, nei sacrari, raduni di associazioni

d'arma e cerimonie commemorative con discorsi ufficiali di autorità

politiche locali e nazionali, alla presenza di reparti militari armati, ed anche

di reduci (finché ve ne sono stati) e di gruppi di attuali rappresentanti delle

diverse forze allora in campo: ed un complesso di simboli ri-fonda così

continuamente, con la sua esibizione, la connessione tra quei morti di morte

violenta e la saldezza e continuità dello stato nazionale, e delle sue

componenti territoriali, anche alla luce delle vicende politiche più recenti.

Sul colle di Bellavista, in faccia al Pasubio, si sono così potuti vedere,

verso la fine del “secolo breve”, sia il gonfalone ufficiale della Provincia di

Vicenza (che inquarta significativamente, nello scudo effigiato, le immagini

dei quattro sacrari più noti delle montagne vicentine), sia le uniformi ed i

labari dei discendenti dei kaiserjager austriaci, venuti europeisticamente in

delegazione a celebrare il ricordo di quei fatti d'arme assieme ai loro attuali

confratelli alpini. E le orazioni ufficiali di ministri, senatori e sindaci che, in

diverse ricorrenze, ogni anno rinnovano la memoria pubblica,

riattualizzando in vario modo il sacrificio degli eroi, riempiono gli archivi.

Così ad esempio il senatore Giovanni Spagnolli il 7 luglio 1963 poteva

citare l’epitaffio di Pericle di fronte al Pasubio e di fronte all'atomizzazione

culturale che si profilava negli anni dell'espansione del consumismo; ed

assimilava i caduti della Grande Guerra agli ateniesi antichi, “uomini di

coraggio, di intuito pronto, di onesta condotta”: e invitava infine i suoi

29 Ministero della Difesa - Commissariato generale..., Relazione..., cit., p. VII e V. 30 Cfr. i vari e per lo più retoricissimi interventi delle varie autorità nazionali e

provinciali riportati ad es. nei due testi degli anni '30 sopracitati riguardanti il vicentino,

passim.

Page 16: Quaderni su guerre e memoria del ‘900 - ISTREVI · 2013. 8. 16. · lopera singolare del sociologo Gaston Bouthoul3, ripresa in Italia e grandemente ampliata da Franco Fornari4,

16

contemporanei ad esaltare il sacrificio dei morti del Pasubio coll’operare in

modo individuale, responsabile ed armonico, per una bontà di radice

giovannea e una pace universale in cui trovassero “fondamento vero la

giustizia, la libertà, la democrazia, il progresso”31

. Sette anni dopo - in anni

segnati dalle lotte operaie e studentesche - toccava invece al ministro

Flaminio Piccoli di richiamare alle coscienze “il monito del Pasubio”, in un

discorso che richiamava l'eredità spirituale di quei caduti come un valore

che già aveva consentito la rigenerazione degli italiani dopo il buio della

seconda guerra mondiale e che ora avrebbe permesso, nel “periodo difficile”

che l'Italia stava allora attraversando, di “impedire che la faziosità di pochi

rechi un ricupero di violenza ad un popolo che vuole ordine, pace, libertà e

giustizia”32

.

Come si vede le diverse congiunture politiche ed economiche

influenzano inevitabilmente la reviviscenza istituzionalizzata dei morti in

guerra33

: bisognerà così attendere gli anni novanta dello scorso secolo ed il

riaccendersi della guerra in Europa per sentire nominare sul Pasubio parole

che attribuiscano funzioni di pace agli eserciti34

: secondo un concetto che

va, in generale, ancora di moda, come hanno dimostrato i discorsi ufficiali

delle più alte cariche dello stato italiano alle più recenti celebrazioni della

“festa dell’Unità Nazionale e giornata delle Forze armate”, e questo anche

nei primi giorni del novembre 2008 dedicati al novantesimo anniversario del

I° conflitto mondiale; nella quale festa tuttavia si è continuato ancora a

ribadire, in ogni caso, già col semplice pellegrinaggio ai vari sacrari e altari

della patria, il valore fondativo e identitario del violento sacrificio dei

31 Giovanni Spagnolli, Monte Pasubio, discorso pronunciato il 7 luglio 1963 al

Sacello Ossario del Pasubio, s.d., s.l. (v. c/o Biblioteca civica di Schio), pp. 17, 20. 32 F. Piccoli, Il monito del Pasubio, discorso tenuto il 5 luglio 1970 al Sacello del

Pasubio dall'on., Vicenza, Rumor, s.d. (ma 1971, per cura della Fondazione “3 novembre

1918”), p. 7. 33 Come risulta evidente ad es., anche dalla lettura del discorso tenuto dal Sindaco di

Rovereto al Sacello Ossario del Pasubio il giorno 5 luglio 1987, dattiloscritto (arch. Bibl.

civ. Schio, fondo Dalla Ca’, b. 17), che peraltro ricorda anche il popolino neutralista e

analfabeta divenuto guerriero per forza. 34 Discorso del Sindaco di Schio al Sacello del Pasubio del 4 luglio 1993,

dattiloscritto (arch. Bibl. civ. Schio, ibidem).

Page 17: Quaderni su guerre e memoria del ‘900 - ISTREVI · 2013. 8. 16. · lopera singolare del sociologo Gaston Bouthoul3, ripresa in Italia e grandemente ampliata da Franco Fornari4,

17

(giovani) morti della Grande Guerra (e delle guerre dell’Italia unitaria

precedenti e successive).

7. Giovani, padri, nonni

Anche in tempi recentissimi infine, il 24 giugno 2012, sul piazzale

dell’ossario pasubiano35

si è udita l’eco di tali concetti: infatti il sindaco di

Vicenza Achille Variati – cui spettavano le funzioni di oratore ufficiale36

richiamava la considerazione pubblica sia sui giovani combattenti della

Grande Guerra, sia sui giovani militari - quelli presenti in picchetto od

impegnati in missione di pace, sia infine sui giovani della società civile

attuale, che sono sempre più cittadini cosmopoliti di un’Europa pacificata,

se non ancora politicamente unita in modo adeguato ed economicamente

solidale. E chi scrive ha potuto anche udire, per bocca del ministro

Annamaria Cancellieri (già prefetto della provincia di Vicenza anni fa) un

esplicito e testuale richiamo alla fondatività del legàto sacrificale lasciato

alle giovani generazioni: il quale rimane eredità essenziale per l’esistenza

unitaria stessa dello stato-nazione; che fu donata, nella sua intangibile

pienezza, proprio dal sacrificio “dei nostri nonni” (di ogni regione d’Italia,

come ha sottolineato il ministro): il tutto secondo una perfetta, quanto forse

inconscia – ma proprio per questo ancora più efficace – coerenza narrativa.

La rappresentante ufficiale del governo ha introdotto così infatti il registro

parentale più affettuoso e scherzoso nella retorica della festa

commemorativa, ovvero quello del rapporto tra nonni e nipoti37

. E se

l’asserito rapporto tra “nonni” e nipoti è da un lato ovviamente necessitato,

quale metafora utilizzabile al di là dell’esperienza personale propria, dalla

35 (note etnografiche raccolte dall’A. al momento dell’ultima revisione di questo

testo; v. anche la cronaca dell’evento nell’ampio servizio di cronaca apparso sulle pp. del

Giornale di Vicenza del successivo 25 giugno 2012, con citazioni dai discorsi delle autorità

intervenute). 36 annualmente turnarie tra i quattro comuni di Vicenza, Schio, Valdagno e Rovereto,

che gestiscono la cerimonia – promossa dalla Fondazione 3 Novembre 1918, secondo una

logica di contiguità territoriale relativa e di complementarietà simbolica. 37 Tutti i corsivi sono sottolineature mie, M.M. Cfr. le citt. del ministro Annamaria

Cancellieri a p. 10 del Giornale di Vicenza del 25 giugno 2012 cit., fra cui, estrapolata dal

testo ed evidenziata in corpo maggiore: “Su questi monti sono state scritte pagine fondanti

della nostra storia”.

Page 18: Quaderni su guerre e memoria del ‘900 - ISTREVI · 2013. 8. 16. · lopera singolare del sociologo Gaston Bouthoul3, ripresa in Italia e grandemente ampliata da Franco Fornari4,

18

molto aumentata distanza generazionale dei giovani d’oggi rispetto a quelli,

ormai per loro lontanissimi, del luglio 1916, e non è quindi più realistico in

alcuna misura, esso può anche essere forse letto come una fortissima

immagine intergenerazionale e continuista, che tocca pedagogicamente le

zone emozionali più profonde38: sono infatti i nonni (e non i severi padri)

che, nello stereotipo culturale più consolidato, sono deputati primariamente

a narrare le fiabe ai nipoti. E questa è, per così dire, una “fiaba essenziale”,

la “fiaba” propriamente del sangue.

8. Per una religione civile della Patria

In conclusione dobbiamo onestamente chiederci, alla luce di tutti

questi dati, se gli Stati-nazione contemporanei, ed in particolare lo Stato

italiano (erede in ciò di quello totalitario uscito in fondo, per molti versi,

proprio dalla Grande Guerra), di questo monopolio della violenza guerriera

e della memoria sacralizzata dei corpi sacrificati dei figli della Patria

possano permettersi realmente di fare a meno39

: non rispondere

38 Sul legame strutturale di lunghissimo periodo che legherebbe la “kin selection”, le

varie forme di socializzazione, e le retoriche patriottiche di tipo “famigliare” nei complessi

statuali più vari, segnalo due articoli, che non ho tuttavia potuto consultare, di Gary R.

Johnson: In the name of the fatherland: An analysis of kin term usage in patriotic speech

and literature, in «International Political Science Review»,. 1987, 8 (2), pp.165-74; e, Id.,

The role of kin recognition mechanisms in patriotic socialization: Further reflections, in

«Politics and the Life Sciences», 1989, 8, pp. 62–69. Circa il perdurare attuale, in generale,

della connotazione filiale dei giovani morti in guerra v. le fondate argomentazioni del

biologo Paul Ehrlich in Le nature umane, cit., p. 321: “Non servono gli impulsi ormonali

per incitare alla violenza di massa. Il modello dell’uomo maturo che in perfetta sicurezza e

secondo una pianificazione precisa manda ad ammazzare e a farsi ammazzare degli

adolescenti emotivi continua anche nel XXI secolo. Si potrebbe ricordare che la radice della

parola “fanteria” viene dal termine latino infans (“infante”)”. 39 Cfr. ad es., per l’analisi approfondita di queste tematiche in una guerra recente e

geograficamente vicina, Lucia Rodeghiero, Riesumazioni e definizione del suolo nazionale

nell’ex-Jugoslavia, in «Quaderni del CREAM», VI (2007), pp. 77-94 (in part. il par. finale

su Corpi e nazione, alle pp. 86 ssgg.); ma le radici lunghe di quest’ambito di ricerca, molto

più in generale dovrebbero comprendere anche dei riferimenti innanzitutto al classico

saggio del 1951 Pro patria mori di Ernst H. Kantorowicz, ora in Id. I misteri dello Stato, a

cura di Gianluca Solla, Genova-Milano, Marietti 1820, 2005, pp. 67-97; e tutta una serie di

successivi contributi, fino alle domande poste da Francesco Caberlin, in Legittimazione

della Grande Guerra e culto dei caduti. Il caso delle Università toscane, apparso nel 2010

su questa stessa rivista on-line dell’I.S.T.R.E.V.I. (Laboratorio di Storia Contemporanea,

«Quaderni su guerre e memoria del ‘900», 2010, 1,

www.istrevi.it/lab/page/qe_map.php?p=17-LB-QM01-Caberlin ). Qui mi limito a citare il

corposo saggio, interamente consultabile on-line, dei quattro co-autori (di diverse

discipline) Oleg Smirnov, Holly Arrow, Doug Kennet, e John Orbell,, Heroism in Warfare,

2006, «Hendricks Symposium--Department of Political Science», Paper 3,

Page 19: Quaderni su guerre e memoria del ‘900 - ISTREVI · 2013. 8. 16. · lopera singolare del sociologo Gaston Bouthoul3, ripresa in Italia e grandemente ampliata da Franco Fornari4,

19

affermativamente tout court a questa domanda significherebbe allora forse

obbligarsi comunque a ridiscutere a fondo non tanto e non solo dei casi

isolati in cui riaffiora dal buio il culto della violenza guerriera come rito

iniziatico, tollerato e talora incoraggiato dalle gerarchie militari (come i

tragici episodi di “nonnismo” dell’estate 1999 – opera di altri “nonni” oggi

ormai quasi dimenticati – forse potevano disvelare per l'ennesima volta); ma

significherebbe anche interrogarsi sugli stessi modelli culturali che

governano intimamente le nostre istituzioni pubbliche, sapendo tuttavia che

essi hanno fondato simbolicamente, e contribuiscono annualmente a ri-

fondare, le basi territoriali dello stato unitario nazionale in cui ci troviamo a

vivere.

Alla luce dei riferimenti teorici che ho ripreso all'inizio esiste infatti,

probabilmente, un'inscindibile nesso tra le funzioni dei rituali iniziatici

“camerateschi”che accadono in certe caserme e quelle dei rituali pubblici di

commemorazione dei Caduti. I primi mi pare servano a legittimare le

gerarchie e ad emarginare i “deboli” (o più semplicemente i giovani diversi

ed i poco convinti a vario titolo) da gruppi che potenzialmente sono di

combattenti che devono poter contare ciecamente uno sull'altro; i secondi,

come abbiamo visto, servono ad unire le coscienze civiche religiosamente e

civilmente, legittimando - nel nome del sacrificio degli antenati guerrieri - la

liceità della violenza accettata e subìta in guerra40

. Ciò, peraltro, secondo

digitalcommons.unl.edu/politicalsciencehendricks/3: con complesse simulazioni

matematiche e con riferimenti empirici molto variegati nel tempo e nello spazio, essi

pervengono a dimostrare, in linea astrattamente teorica, la fitness altruistica

tendenzialmente essenziale dell’eroismo bellico nella lotta per la sopravvivenza affrontata

dalla specie umana durante la sua evoluzione (anche rispetto ad altre forme

“comunitaristiche”, pure altruistiche, di solidarietà civile). 40 In questo senso, aggiornando l’originaria stesura di questo scritto, ho trovato

conferma nelle argomentazioni ben documentate sulla Kameradschaft di P. Ehrlich, op. cit.,

p. 260-1: “Gli uomini che combattono generalmente lo fanno non per i principi, ma per i

loro compagni” (con rif.ti etologici e storico-comparativi); e nella congettura

macroevolutiva dello stesso A.; per cui “le cerimonie pubbliche potrebbero essersi evolute

come espediente per contribuire alla definizione dei gruppi e delle loro interrelazioni, così

come per preparare psicologicamente i gruppi alla difesa territoriale …” (v. e cfr., ivi, pp.

308-9); v. anche i cenni ai rapporti funzionali tra religione e patriottismo nelle società

centralizzate e “cleptocratiche” nella fortunata sintesi interdisciplinare (che attinge a piene

mani anche al materialismo culturale antropologico-culturale, peraltro senza riconoscerlo in

modo adeguato) di un altro biologo, molto alla moda in questi ultimi anni, Jared Diamond,

Armi, acciaio e malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni, Torino,

Einaudi, 1998 (orig. 1997), pp. 219-23.; cfr. anche, per i soli aspetti di legittimazione

Page 20: Quaderni su guerre e memoria del ‘900 - ISTREVI · 2013. 8. 16. · lopera singolare del sociologo Gaston Bouthoul3, ripresa in Italia e grandemente ampliata da Franco Fornari4,

20

una logica molto più generale e diffusa che, ad es. nei paesi germanici -

stereotipo nel XX° secolo del militarismo organizzato europeo - è ben

sintetizzata dalle ricorrenti performance ‘alla memoria’ dell’inno “Ich hatt’

einen Kameraden“ (“Avevo un camerata”, un famoso lied militare

ottocentesco su musica di origine folklorica, tradotto ed importato anche in

altri eserciti europei, e tutt’ora usato41

).

Non voglio confondere i problemi. Ma abbandonare modelli di

comportamento eticamente riprovevoli come quelli espressi nel “nonnismo”

(intendendo, per questo, ogni rito iniziatico informale violento che si tollera

o incoraggia nell'ambiente militare) e non giustificarlo nemmeno

equiparandolo alla goliardia, può essere anche la causa ed al tempo stesso

l'effetto di un ripensamento critico dei nostri consolidati rituali pubblici di

memoria bellica. Non per dimenticare quei morti rendendoci postumi

“schernitori di carne umana” (secondo la connotazione di una famosa e

bellissima canzone di quei combattenti, Gorizia); ma invece proprio per

amore dei figli di ieri e di oggi e per ridare voce anche a quanti

semplicemente subirono una sorte amara solo per dovere e costrizione:

anch’essi erano cittadini di questo Stato e ad essi perciò è forse da tributare

uguale rispetto, con una concezione più laica e meno sacrificale della loro

vita e della nostra storia42

. Tanto più che oggi, nei dettami della sua

religiosa interna nelle società premoderne, il cap. 4., La religione nella politica del libro cit.

di Lewellen, part. pp. 98-100; e, prima, e più dettagliatamente, l’ormai classico

Antropologia politica di Georges Balandier, Milano, Etas Kompass, 1969 (orig. 1967), cap.

5, Religione e potere. 41 Anche come titolo di significativo richiamo per i casi analizzati in questo saggio,

v. sul n. 134 del gennaio 2012, p. 48 della rivista «ŐSK» – bollettino dell’associazione

austriaca Schwarzes Kreuz, l’articolo di Ernest Murrer, “Ich hatt’ einen Kameraden“,

dedicato proprio alla cronaca della traslazione nell’ossario del Pasubio del 1° settembre

2011: si trattava dei resti di tre caduti austriaci, recentemente recuperati; assieme agli oltre

5000 italiani riposano quindi ormai nel sacello-ossario anche circa 400 caduti austriaci. Le

cerimonie nel tempo hanno sottolineato in chiave europeistica anche questa raggiunta

pacificazione mortuaria, ospitando occasionalmente, come si è detto, delegazioni militari e

reducistiche della Repubblica austriaca: sull’unico pennone vicino alla svettante torre del

sacrario sventola però sempre solo la bandiera nazionale italiana, probabilmente secondo la

disciplina militare delle forze armate italiane, che eccede, per espressa disposizione di

legge, (v. D.p. r. n. 121 del 7 aprile 2000, art. 11) la normativa sull’esposizione delle

bandiere, la quale imporrebbe ora in via generale la compresenza della bandiera europea

accanto al tricolore: un ennesima prova simbolica del legame strutturale perdurante tra

monopolio della forza e identità statuale esclusiva. 42 Significativo in questo senso mi pare il discorso citato nella prec. nota 33.

Aggiungo che, nelle celebrazioni del 90° di cui si è già parlato, l’allora Presidente francese

Page 21: Quaderni su guerre e memoria del ‘900 - ISTREVI · 2013. 8. 16. · lopera singolare del sociologo Gaston Bouthoul3, ripresa in Italia e grandemente ampliata da Franco Fornari4,

21

Costituzione (oltre che della sua religione sociologicamente dominante e

politicamente privilegiata) l’Italia repubblicana si vuole pacifica e

internazionalmente pacifista, benché, su almeno uno dei grandi scenari

mondiali su cui è impegnata, l’Afghanistan, il suo esercito sia ancora attivo

in una guerra pacificatrice, di cui peraltro si comincia ad intravvedere il

tramonto43

. Nell’attuale presunto “conflitto di civiltà” che è stato di fatto

combattuto negli ultimi anni con alcune parti del mondo islamico, ed anche

più in generale in ogni tipo di conflitto attuale e futuro, occorre perciò agire

seguendo l’unica “strada degli eroi” che è realisticamente data oggi al

mondo intero, davanti alla risorgente possibilità di un’apocalisse nucleare:

quella della diplomazia cooperativa e, ancora più, della costruzione di una

“religione civile” internazionale: in ciò guidati da un ben determinato

eroismo laico, che riconosca prudentemente in primo luogo le ragioni e le

religioni di tutti (minoranze comprese) ed abbia la maturità per vedere

l’opzione bellica non come un’entusiasmante avventura giovanile e

identitaria, ma come un pericoloso orizzonte politico, consapevole che esso

è certamente minaccioso e soprattutto per molti versi imprevedibile44

. I

rituali pubblici – civili e religiosi - della memoria bellica e quelli della

cooptazione militare, in quanto meccanismi culturali, cioè cognitivi ed

Sarkozy – a quanto si è appreso dalla stampa - ha clamorosamente ricordato i molti

disertori, disubbidienti e ammutinati della Grande Guerra, “fucilati per l’esempio”

dall’esercito francese, riscattandone di fatto l’umanità e la memoria secondo un modello già

adottato – con legge riabilitativa dello Stato - in Gran Bretagna, ma che forse varrebbe la

pena di generalizzare ovunque, e prima di tutto in Italia: v. Giampietro Martinotti, Grande

Guerra, strappo di Sarkozy “Onore ai fucilati per diserzione”, in “La Repubblica”, a. 33,

n. 269, 12 novembre 2008, p. 18. 43 Alludo a quanto già a suo tempo enunciato dal nuovo Presidente degli USA,

Barack Hussein Obama, nel discorso pronunciato al Cairo il 4 giugno 2009. 44 V. le note e gli appunti sulla guerra e sulla paura atomica riportati nel grande libro

postumo di Ernesto de Martino dedicato a La fine del mondo, Torino, Einaudi, 1977 (a cura

di Clara Gallini), part. pp. 118, 475-8, 482-4, 639 e cfr. con le problematiche dell’attuale

congiuntura mondiale descritte dal Nobel Amartya Sen in Identità e violenza, Bari, Laterza,

2006 (orig. 2006). Sulle necessarie prospettive di una nuova storiografia europea “post-

eroica” e definitivamente disgiunta dall’«arte monumentale» di nicciana derivazione v. il

paragrafo, dedicato ai rapporti tra storia e memoria dei caduti, del recentissimo libro di

Andreas Wirsching, Der preis der Freiheit. Geschichte Europas in unserer zeit, Munchen,

C.H. Beck, 2012, pp. 337-84; con (v. n. 79, p. 381, 463) i relativi rimandi bibliografici agli

scritti di Herfried Münkler, Die postheroische Gesellschaft und ihre jüngste

Herausforderung, in Id., Der Wandel des Krieges. Von der Symmetrie zur Asymmetrie,

Weilerswirst, 2006, pp. 310-54; e di Mannfred Hettling, Politischer Totenkult im

internationalen Vergleich, in «Berliner Debatte initial» 20 (2009), pp. 104-16.

Page 22: Quaderni su guerre e memoria del ‘900 - ISTREVI · 2013. 8. 16. · lopera singolare del sociologo Gaston Bouthoul3, ripresa in Italia e grandemente ampliata da Franco Fornari4,

22

educativi capaci di determinare comportamenti concreti, dovrebbero perciò

a mio avviso distaccarsi ancor più – e sia pur relativamente - dalle retoriche

patriottiche e “tribali” più arcaiche (che necessariamente manterranno

comunque una loro funzione di rassicurazione sociale, ma in ambiti via via

internazionalmente più ampi) e dovrebbero invece ribadire sempre, in primo

luogo, i valori di pace (variamente ispirati dal punto di vista filosofico e

religioso45

, ma in ogni caso chiaramente e non equivocamente indicati

dall’art. 11, 1° comma della Costituzione italiana: la quale, fin dal 1947, ha

prescritto nel penultimo dei suoi principi fondamentali, e sia pure con

espressa riserva di legge, il ripudio della guerra anche come forma ordinaria

di risoluzione dei conflitti internazionali46

.

45 In questo senso occorre cominciare a pensare di costruire un nuovo umanesimo

interculturale, necessariamente più ampio di quello, euroccidentale e cristiano indicato da

Girard nella sua ultima “apocalittica” opera, Portando Clausewitz all’estremo, Milano,

Adelphi, 2008 (orig. 2007); e la riflessione propositiva di un grande teologo cattolico come

Hans Küng, benché ovviamente centrata soprattutto sul dialogo interreligioso, ci conforta a

tale riguardo (cfr. Id., L’intellettuale nell’Islam (a cura di Gerardo Cunico), Reggio Emilia,

Edizioni Diabasis, 2005). In questo senso si può forse ripensare anche l’ethos demartiniano

del trascendimento (sul quale ethos, v. , nell’op. cit. La fine…, p. 668 ssgg. – bbrr. 381-

401). 46 Costituzione della Repubblica Italiana (1947), v. edizioni varie. Qui si è fatto rif.to

a quella edita nel 2006 dalla UTET di Torino (con l’introduzione di Tullio De Mauro e una

nota storica di Lucio Villari), p. 6.

Page 23: Quaderni su guerre e memoria del ‘900 - ISTREVI · 2013. 8. 16. · lopera singolare del sociologo Gaston Bouthoul3, ripresa in Italia e grandemente ampliata da Franco Fornari4,

23

9. Riferimenti bibliografici

Nota dell’A.: i riferimenti a singoli documenti d’archivio non pubblicati a stampa sono dati

solo nelle note a piè di pagina.

AA. VV., La memoria della prima guerra mondiale: il patrimonio storico-

artistico tra tutela e valorizzazione, a cura di Anna Maria Spiazzi,

Chiara Rigoni, Monica Pregnolato, con pref. di Mario Isnenghi,

Vicenza, Terra ferma editore, 2008.

AA. VV., Il Veneto tra le due guerre 1918-1940,

circe.iuav.it/Venetotra2guerre/index.html Sezione La memoria di

pietra.

A. Alland jr., L’imperativo umano. La biologia e le scienze sociali, Milano,

Bompiani, 1974 (orig. 1972).

A.S.G.e S., Hemingway a Schio «uno dei più bei posti della terra», Schio,

Menin, 2008.

G. Balandier, Antropologia politica, Milano, Etas Kompass, 1969 (orig.

1967).

G. Bataille, La guerra e la filosofia del sacro, in R. Caillois, L’uomo e il

sacro. Con tre appendici sul sesso, il gioco, la guerra nei loro

rapporti con il sacro e La guerra….di G. Bataille (a cura di Ugo M.

Olivieri), Torino, Bollati-Boringhieri, 2001 (trad. della 2° ed.,1950,

orig. 1939), pp. 179-91 (recensione al libro di Caillois, orig. 1951).

G. Bataille, L’erotismo, Milano, Es, 1991 (orig. 1957).

F. Benslama, Soudain la Révolution! Géopsycanalyse d’un soulèvement,

Tunis, Cérès éditions, 2011.

G. Bouthoul, Le guerre - Elementi di Polemologia, Milano, Longanesi & C.,

1961 (orig. 1951).

I. Buruma, A. Margalit, Occidentalismo. L’Occidente agli occhi dei suoi

nemici, Roma, Gr. Edit. L’Espresso,.2007 (orig. 2004).

F. Caberlin, Legittimazione della Grande Guerra e culto dei caduti. Il caso

delle Università toscane, I.S.T.R.E.V.I. Laboratorio di Storia

Contemporanea, «Quaderni su guerre e memoria del ‘900», 2010, 1,

www.istrevi.it/lab/page/qe_map.php?p=17-LB-QM01-Caberlin

R. Caillois, L’uomo e il sacro. Con tre appendici sul sesso, il gioco, la

guerra nei loro rapporti con il sacro e La guerra e la filosofia del

sacro di Georges Bataille (a cura di Ugo M. Olivieri), Torino, Bollati-

Boringhieri, 2001 (trad. della 2° ed.,1950, orig. 1939).

C. Canal, La retorica della morte. I monumenti ai caduti nella Grande

guerra, in «Rivista di Storia Contemporanea», 4 (1982), pp. 959-69.

Page 24: Quaderni su guerre e memoria del ‘900 - ISTREVI · 2013. 8. 16. · lopera singolare del sociologo Gaston Bouthoul3, ripresa in Italia e grandemente ampliata da Franco Fornari4,

24

F. Cardini, Quell'antica festa crudele. Guerra e cultura della guerra dall'età

feudale alla grande rivoluzione, Milano, Il Saggiatore, 1987 (I° ed

orig. 1982).

Costituzione della Repubblica Italiana (1947) (con l’introduzione di Tullio

De Mauro e una nota storica di Lucio Villari), Torino, UTET, 2006.

E. de Martino, La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi

culturali, Torino, Einaudi, 1977 (a cura di Clara Gallini).

G. De Mori, Vicenza nella guerra 1915-1918, Vicenza, G. Rumor, 1931.

J. Diamond, Armi, acciaio e malattie. Breve storia del mondo negli ultimi

tredicimila anni, Torino, Einaudi, 1998 (orig. 1997).

P. Ehrlich, Le nature umane. Geni, culture e prospettive, Torino, Codice

edizioni, 2005 (orig. 2000).

F. Fornari, Psicoanalisi della guerra, Milano, Feltrinelli, 1970 (I° ed. 1966).

R. Girard, La violenza e il sacro, Milano, Adelphi, 1980 (orig.1972).

R. Girard, Portando Clausewitz all’estremo, Milano, Adelphi, 2008 (orig.

2007).

M. Harris, La nostra specie, Milano, Rizzoli, 1991 (orig. 1989).

E. Hemingway, Addio alle armi, Milano, Mondatori, 1946 (orig. 1929).

E. Hemingway, Di là dal fiume e tra gli alberi, Milano, Mondatori, 1973

(orig. 1950).

M. Hettling, Politischer Totenkult im internationalen Vergleich, in «Berliner

Debatte initial», 20 (2009), pp. 104-16.

E. J. Hobsbawm, Nazioni e nazionalismo, Torino, Einaudi, 1991 (orig.

1990).

H. Hubert e M. Mauss, Essai sur la nature et la fonction du sacrifice, in

«L’Année Sociologique», II (1897-1898), pp. 29-138.

M. Isnenghi, Il mito della Grande Guerra, Bari, Laterza, 1970.

M. Isnenghi, La Grande Guerra, in M. Isnenghi (a cura di) I luoghi della

memoria. Strutture ed eventi dell'Italia unita, Roma - Bari, Laterza,

1997, pp. 273-309.

E. H. Kantorowicz, Pro Patria Mori in Medieval Political Thought, in

“American Historical Review”, 56 (1951), pp. 486-87, ora in Id. I

misteri dello Stato, a cura di Gianluca Solla, Genova-Milano, Marietti

1820, 2005, pp. 67-97.

D. I. Kertzer, Riti e simboli del potere, Roma - Bari, Laterza, 1989 (orig.

1988).

H. Küng, L’intellettuale nell’Islam (a cura di Gerardo Cunico, introduzione

di Domenico Venturelli), Reggio Emilia, Edizioni Diabasis, 2005.

Page 25: Quaderni su guerre e memoria del ‘900 - ISTREVI · 2013. 8. 16. · lopera singolare del sociologo Gaston Bouthoul3, ripresa in Italia e grandemente ampliata da Franco Fornari4,

25

G. R. Johnson, In the name of the fatherland: An analysis of kin term usage

in patriotic speech and literature, in «International Political Science

Review»,. 1987, 8 (2), pp.165-74.

G. R. Johnson, The role of kin recognition mechanisms in patriotic

socialization: Further reflections, in «Politics and the Life Sciences»,

1989, 8, pp. 62–9.

T. C. Lewellen, Antropologia politica, Bologna, Il Mulino, 1987 (orig.

1983).

F. Licht, comunicazione s.t. al convegno “Retrovie - avanguardia 1918-2000

- dalle trincee all'Europa”, Vicenza, Museo del Risorgimento, 22. 10.

1999.

V. Locchi, La Sagra di Santa Gorizia, Milano, l'Eroica, 1917.

M. Marangon, Antenati e fantasmi sull’Altopiano. Un’identità etnica

“cimbra” e le sue modulazioni antropologiche, Roma, EUROMA,

1996.

G. Martinotti, Grande Guerra, strappo di Sarkozy “Onore ai fucilati per

diserzione”, in “La Repubblica”, a. 33, n. 269, 12 novembre 2008, p.

18.

Ministero della Difesa - Commissariato generale per le onoranze ai caduti in

guerra, Relazione sull’attività del Commissariato generale per le

onoranze ai caduti in guerra negli anni 1988-1997, Roma, 1998.

Ministero della Difesa - Commissariato generale per le onoranze ai caduti in

guerra, Sacrari militari della 1° Guerra mondiale - Asiago Pasubio,

Roma, 1974.

Ministero della Difesa - Commissariato generale per le onoranze ai caduti in

guerra, Sacrari militari della 1° Guerra mondiale - Pasubio, Roma,

1998.

I. Morris, The Evolution of War, in «Cliodynamics: The Journal of

Theoretical and Mathematical History», 3(1), (2012); n. speciale della

rivista on-line, dedicato all'analisi congiunta dei “failed states” e dei

processi di “nation building”, cfr.: escholarship.org/uc/item/8jr9v920 .

G. L. Mosse, Le guerre mondiali: dalla tragedia al mito dei caduti, Roma-

Bari, Laterza, 1990.

H. Münkler, Die postheroische Gesellschaft und ihre jüngste

Herausforderung, in Id., Der Wandel des Krieges. Von der Symmetrie

zur Asymmetrie, Weilerswirst, 2006, pp. 310-54.

E. Murrer, “Ich hatt’ einen Kameraden“, in «ŐSK» («Ősterreichisches

Schwarzes Kreuz Kriegsgräberfürsorge, Mitteilungen und Berichte»),

n. 134, 1/2012, (“Dokumentation”), p. 48.

Page 26: Quaderni su guerre e memoria del ‘900 - ISTREVI · 2013. 8. 16. · lopera singolare del sociologo Gaston Bouthoul3, ripresa in Italia e grandemente ampliata da Franco Fornari4,

26

J. Orbell, T. Morikawa, An Evolutionary Account of Suicide Attacks: The

Kamikaze Case, in «Political Psychology», Vol. xx, No. xx, 2011,

icds.uoregon.edu/wp-content/uploads/2011/08/The_Kamikaze_Case.pdf .

F. Piccoli, Il monito del Pasubio, discorso tenuto il 5 luglio 1970 al Sacello

del Pasubio, Vicenza, Rumor, s.d. (ma 1971, per cura della

Fondazione “3 novembre 1918”).

P. Poutignat e J. Streiff-Fenart, Teorie dell’etnicità, Milano, Mursia, 2000

(orig. 1995).

P. Ricoeur, Lectures 2. La contrée des philosophes, Paris, Seuil, 1992.

C. Rigoni, “Fra severe allegorie ed eloquenti stilizzazioni di alti

pensieri”*: la decorazione di Tito Chini nell’Ossario del Monte

Pasubio, in AA.-VV., La memoria..., cit., pp. 362-87.

L. Rodeghiero, Riesumazioni e definizione del suolo nazionale nell’ex-

Jugoslavia, in «Quaderni del CREAM», VI (2007), pp. 77-94.

A. Sen, Identità e violenza, Roma-Bari, Laterza, 2006 (orig. 2006).

O. Smirnov, H. Arrow, D. Kennet, J. Orbell, Heroism in Warfare, 2006, in

«Hendricks Symposium — Dep.t of Political Science», Paper 3,

digitalcommons.unl.edu/politicalsciencehendricks/3

G. Spagnolli, Monte Pasubio, discorso pronunciato il 7 luglio 1963 al

Sacello Ossario del Pasubio, s.d., s.l..

A. Torrelli (a cura di), La Sagra di Santa Gorizia di Vittorio Locchi. Note

storiche e letterarie…, Gorizia, Federazione provinciale dell’A.N.C.R.

di Gorizia, 1990.

G. M. Vidor, Riti e monumenti per i morti della Grande guerra, in «Studi

Tanatologici-Thanatological Studies-Etudes Thanatologiques», 1

(2005), pp. 139-59.

M. Wachtler, La pace fra noi, Nelle memorie ecc.(…), s.l., Athesia

Touristik, 2004.

A. Wirsching, Der preis der Freiheit. Geschichte Europas in unserer zeit,

Munchen, C.H. Beck, 2012, pp. 337-84.