Qhuinn

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30 minuti Qhuinn Il sole sarebbe tramontato a momenti ed il desiderio di fuga ormai era a tal punto pressante da mozzargli il fiato. La rabbia, l’afflizione ed il dolore si facevano eco dentro di lui, stordendolo. Desiderava fuggire. Desiderava smaterializzarsi verso un luogo distante, lontano dalle voci sussurrate e dai gemiti provenienti dalla camera attigua. Desiderava svanire, letteralmente. Solo 30 minuti. Respirando profondamente per tentare di rallentare i battiti del suo cuore, rimuginava su ciò che era stata la causa del suo dolore. La sua assurda ostinazione a non voler riconoscere il sentimento che era sorto il lui, equivalente quasi alla risolutezza nell’affermare la sua inadeguatezza. Come avrebbe mai potuto accettare una relazione con Blay? Sarebbe stato insano, sbagliato, assurdo. Avrebbe contaminato la loro amicizia distruggendola, sgretolando quel rapporto saldo che avevano costruito negli anni. Con lui non avrebbe mai potuto provare… Non avrebbe mai azzardato un simile passo, non quando la consapevolezza della sua natura gli rammentava quanto le possibilità fossero scarse. Sapeva cosa sarebbe accaduto: lo avrebbe ferito, lo avrebbe fatto soffrire con i suoi atteggiamenti; le sue paure lo avrebbero condotto ad agire in un modo impulsivo e sciocco che avrebbe minato il loro rapporto un po’ per volta. Fino a ridurlo in polvere. La gelosia, la possessività, il suo passato da puttana sarebbe stata causa di discussioni perché se lui non si fidava di se stesso come poteva farlo Blay? Sarebbe stato irragionevole … ed il quell’istante desiderava tantissimo comportarsi in modo irragionevole, dal coglione che era. L’idea di uscire dalla sua stanza e correre nella camera del suo amico, gonfiando di botte suo cugino era così allettante da proiettarsi vivida nella sua mente. Oh dio Buono, gli sembrava di impazzire. Solo 25 minuti. Ancora 25 minuti di agonia. Voleva tapparsi le orecchie per non sentire,

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One shot su Qhuinn, saga scritta da J.R. Ward

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30 minuti

Qhuinn

Il sole sarebbe tramontato a momenti ed il desiderio di fuga ormai era a tal punto pressante da mozzargli il fiato. La rabbia, l’afflizione ed il dolore si facevano eco dentro di lui, stordendolo. Desiderava fuggire. Desiderava smaterializzarsi verso un luogo distante, lontano dalle voci sussurrate e dai gemiti provenienti dalla camera attigua. Desiderava svanire, letteralmente. Solo 30 minuti. Respirando profondamente per tentare di rallentare i battiti del suo cuore, rimuginava su ciò che era stata la causa del suo dolore. La sua assurda ostinazione a non voler riconoscere il sentimento che era sorto il lui, equivalente quasi alla risolutezza nell’affermare la sua inadeguatezza. Come avrebbe mai potuto accettare una relazione con Blay? Sarebbe stato insano, sbagliato, assurdo. Avrebbe contaminato la loro amicizia distruggendola, sgretolando quel rapporto saldo che avevano costruito negli anni. Con lui non avrebbe mai potuto provare… Non avrebbe mai azzardato un simile passo, non quando la consapevolezza della sua natura gli rammentava quanto le possibilità fossero scarse. Sapeva cosa sarebbe accaduto: lo avrebbe ferito, lo avrebbe fatto soffrire con i suoi atteggiamenti; le sue paure lo avrebbero condotto ad agire in un modo impulsivo e sciocco che avrebbe minato il loro rapporto un po’ per volta. Fino a ridurlo in polvere. La gelosia, la possessività, il suo passato da puttana sarebbe stata causa di discussioni perché se lui non si fidava di se stesso come poteva farlo Blay? Sarebbe stato irragionevole… ed il quell’istante desiderava tantissimo comportarsi in modo irragionevole, dal coglione che era. L’idea di uscire dalla sua stanza e correre nella camera del suo amico, gonfiando di botte suo cugino era così allettante da proiettarsi vivida nella sua mente. Oh dio Buono, gli sembrava di impazzire. Solo 25 minuti. Ancora 25 minuti di agonia. Voleva tapparsi le orecchie per non sentire, ma risoluto continuava a fissare il soffitto, lasciando che i suoni gli riempissero la mente, miscelandosi alle parole ed agli ammonimenti. Questa è la realtà, fattene una fottuta ragione.  Si ripeteva.  Non puoi cambiarla, non vuoi cambiarla. Tu sei sbagliato, non sei adatto a lui. È troppo puro, troppo buono per un bastardo insensibile come te. Lo feriresti, lo porteresti con te nella merda che è la tua esistenza, lo trascineresti nel tuo baratro facendolo sprofondare. Distruggeresti le sue possibilità di essere felice perché sei un maledetto egoista e lui non merita questo. Merita la felicità che non potresti dargli. Tentava di auto convincersi, di far forza su se stesso, lasciando che quelle frasi penetrassero nel suo cervello, facendo leva sulla loro veridicità. Eppure gli apparivano ugualmente vacue e prive di significato. Perché sei un maledetto bastardo. 

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Già! Non poteva pensarlo con un altro, non poteva restare ad osservare al margine la sua felicità, non senza autodistruggersi. Scorgere i suoi sorrisi, gli sguardi carichi di sottintesi, quella complicità che era nata con suo cugino… No, impossibile. Avrebbe preferito cavarsi gli occhi. Solo 10 minuti. Buffo. Per anni si era ostinatamente ripetuto che un giorno avrebbe trovato una shellan, una vampira dai solidi valori morali, perfetta, degna della stima che la sua famiglia non aveva mai riservato a lui. Avrebbe posto finalmente da parte le sue stronzate, la sua promiscuità, i suoi tentativi di ribellione catastrofici che avevano aggravato ulteriormente la sua condizione già precaria. Sarebbe maturato, cercando di dimostrare a tutti che lui valeva qualcosa, nonostante il suo difetto. O almeno ci aveva sperato. Eppure in quell’istante avrebbe mandato a puttane tutto. Non aveva più nulla da dimostrare, i suoi genitori erano deceduti e ormai era salda la consapevolezza dell’inutilità dei valori della Glymera. Si era ostinato in quell’atto di ribellione totale contro i loro precetti anche quando non aveva più nessuno a cui opporsi. E anche se fossero stati in vita, anche se quell’aspetto non fosse mutato, i suoi sentimenti erano troppo forti per considerare tutto quello schifo un limite. Se fosse dipeso tutto da lui non avrebbe esitato. Ma Blay meritava di meglio. Meritava più di tutto quello sfacelo che avrebbe condotto nella sua vita. Lui ormai era rotto. Forse perché era cresciuto tentando implacabilmente di mostrarsi valido e degno, sino a quando aveva compreso che nessun gesto o comportamento lo avrebbe mai salvato dalla vergogna che gravava su di lui dalla nascita. Era sua, come i capelli scuri, come il sangue che gli scorreva nelle vene, come il tatuaggio impresso sul suo volto. Ma oltre questo, chi era lui? Quale vita aveva vissuto? Quanto quei suoi atteggiamenti rispecchiavano la sua natura e quanto in realtà erano la conseguenza delle sue origini altolocate e della repulsione che gli si era stata rivolta fin dalla nascita? Lui non lo sapeva e probabilmente, vista la realtà dei fatti, non valeva neanche la pena provare a capire. Lui era rotto. Punto. Solo 15 minuti. Portandosi  le mani al volto e serrando gli occhi cercava di scacciare le immagini che si susseguivano nella sua mente, che lo catapultavano al di là di quelle mura sottili, in quella maledetta stanza. I sospiri, i gemiti, il cigolio ininterrotto del letto. Alla stregua di un incubo vorticavano dentro di lui che, ansante, non riusciva a percepire altro. Erano attorno a lui, dentro di lui, pronte a proiettarsi con la loro forza, devastanti e brutali come la realtà che non riusciva ad accettare. Per quanto tempo si può fingere di non vedere? Per quanto tempo ci si può ostinare ad ignorare? Poco, per troppo poco, e lui questo lo sapeva. Aveva sfacciatamente simulato quel disinteresse anche con sé stesso. Inutile dirlo, distruggere le sue possibilità di felicità era diventato il suo obiettivo. Quando i suoi genitori erano morti, lasciando vacante quel ruolo, lui l’aveva acquisito con maggiore ostinazione di quanto non avessero mai fatto loro. Aveva dato inizio ad un’opera di autodistruzione. 

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Si stava annientando. Deglutendo a fatica provava invano a ricacciare indietro quel senso di oppressione che gli serrava la gola, passandosi le mani tra i capelli ormai quasi completamente rasati, domandandosi cosa cazzo stesse facendo. Solo 10 minuti. Per quanto lui potesse dannarsi ormai la sua possibilità era sfumata e nonostante il bisogno di radere al suolo tutto ciò che lo circondava non sarebbe mai riuscito a rovinare la felicità di Blay. Non per l’ennesima volta. Era stato causa delle sue pene sin troppo a lungo, fingendo di non scorgere il suo interesse e comportandosi dinanzi a lui come la puttana che era, sperando forse di farlo desistere dal suo interesse insano. Eppure, quando ormai il suo amico si era arreso a lui appariva impossibile fare altrettanto. Coglione. Solo 5 minuti. Basta. Alzandosi di scatto dal letto si trovò in piedi, barcollante. Non posso restare qui. Umettandosi le labbra secche attraversò la camera con un paio di ampie falcate, afferrando con forza il pomello della porta. Avrebbe atteso il tramonto nella sala da biliardo o forse in palestra, ponendo fine alla sua tortura. In fin dei conti non restavano che pochi minuti, si rammentò confuso, probabilmente non avrebbe fatto nemmeno in tempo a varcare la soglia della sala e avrebbe avvertito il cigolio delle serrande che si rialzavano per la sera. Eppure il suo sguardo si volse istintivamente verso la stanza accanto alla sua. Non avrebbe dovuto eppure i suoi piedi si mossero da soli, conducendolo dinanzi ad essa. È sbagliato, è tutto sbagliato. Con il respiro pesante e il pugno alzato contro la porta restò immobile osservando vacuo quella porta che lo separava da ciò che desidera, ma che sapeva di non poter avere. Non aveva alcun diritto di immischiarsi, ma… Combattuto restò sulla soglia, senza accennare alcun movimento. Nessun rumore proveniva dalla stanza, nulla oltre i respiri pesanti. Se li immaginò su quel letto, insieme, abbracciati e fu come ricevere un pugno in pieno petto. Il sole tramontò e la notte sopraggiunse. Troppo tardi, pensò mentre si smaterializzava.