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QFD: THE UNSUNG HERO QUALCHE RIFLESSIONE FILOSOFICA Ci sono alcuni principi che ho sentito enunciare fin dai miei primi esordi nel mondo del lavoro e che mi ricordo di avere immediatamente condiviso, forse più per simpatia o per istinto che altro, ma di non avere mai visti applicati nella realtà concreta (intendo dire quella che sta al di là delle diapositive proiettate ai convegni) se non in modo sporadico e sperimentale. Eppure quegli stessi principi continuano ad essere enunciati anche a qualche decennio di distanza e ad essere universalmente condivisi (quando se ne parla, la gente annuisce con espressione tra l’indignato ed il preoccupato), ma regolarmente disattesi nella prassi quotidiana. Uno di questi è il principio della qualità totale: Total Quality Management (abbreviato in TQM) dicono quelli che ne hanno sentito parlare oltre oceano. In realtà alcuni affermano che all’estero la situazione sia decisamente migliore che da noi, ma per quel che ho visto di persona (forse è più esatto dire con i miei occhi) “tutto il mondo è paese”. Devo però precisare di non essere mai stato in Giappone ………….. Ma in quello che viene definito mondo occidentale sembra prevalere la mentalità del “find and fix” (come tradurlo? Scopri e ripara?). Nei reparti di produzione, specialmente quando si lancia un nuovo prodotto, si assiste ad un grande prodigarsi di “vigili del fuoco” impegnati a spegnere metaforici incendi, vale adire a risolvere problemi di produzione causati da scarsa qualità, non diciamo per il momento di che cosa. Come spesso succede anche in altri campi, questi “salvatori della patria” sono relativamente ben retribuiti, sicuramente meglio retribuiti di chi si preoccupa di risolvere i problemi “a monte”, lavorando nell’oscurità. Gli “eroi” sono quelli che spengono gli incendi anche se la loro attività può al massimo limitarne i danni, non certo migliorare il bosco. Fuori di metafora, la prevenzione dei problemi durante le fasi di progettazione dei prodotti e dei processi ha molta più influenza sul miglioramento della qualità del prodotto degli eroismi in officina. In conclusione più che di “pompieri” ci sarebbe bisogno di una disciplina metodologica applicata alla prevenzione dei problemi, disciplina che peraltro esiste ed è conosciuta sotto il nome di Quality Function Deployment, abbreviato in QFD e pronunciato dagli estimatori: “chiùefdì”. INTRODUZIONE Se volessi tentarne una definizione, dovrei dire che QFD nella sua essenza è uno strumento di pianificazione per l’introduzione di nuovi prodotti o per le modifiche (presumibilmente in meglio) di prodotti esistenti, pur consapevole di non rendere, così facendo, un buon servigio alla sua promozione. Infatti se “strumento” è una parola molto tranquillizzante in generale e soprattutto per gli amanti del bricolage, “pianificazione” è un termine che per lo più semina terrore e panico nella gente. E’ vero che un ben noto proverbio americano dice: ”fail to plan is plan to fail” (intraducibile), ma sono convinto che la maggior parte delle persone recita in cuor proprio: “dalla pianificazione mi guardi iddio che dai fallimenti mi guardo io!”. Non so se è tanto meglio dire, come qualcuno suggerisce, che QFD sia la risposta alla “voice of the customer” (grido disperato del cliente) e cioè una metodologia per focalizzare risorse interdisciplinari sul miglioramento dei prodotti in base alle priorità indicate dai clienti e dal mercato (vale a dire i propri clienti , quelli della concorrenza e quelli potenziali). Perché anche in questa definizione si fa uso di parole a doppio taglio: alludo non tanto all’aggettivo “interdisciplinari” che pure richiama scenari terrificanti di lavoro in team a scapito delle comprovate strutture gerarchico-dipartimentali che hanno sempre dato i loro buoni risultati, quanto al sostantivo “metodologia”. Metodologia infatti, per chi ancora non lo sapesse, è quella cosa che i burocrati incapaci usano per tarpare le ali della creatività e della fantasia a chi ne ha. E’ probabilmente più opportuno non cimentarsi in definizioni, ma limitarsi a citare i dati storici: QFD è nata (o nato?) nel 1972 nei cantieri navali Mitsubishi Kobe con il nome giapponese di Hin Shitsu Ki No Ten Kai, traducibile in Quality Function Deployment, appunto e mai utilizzato (intendo dire il nome) fuori dal Giappone per motivi del tutto ovvii. Il padre fondatore (probabilmente uno dei tanti, come al solito) è un certo Yoji Akao che sembra andasse in giro per il Giappone a predicare la buona novella fin dal 1966. E’ stato anche detto che QFD è un “cattivo nome per una buona tecnica” perché la presenza del termine Qualità avrebbe causato alcuni fraintendimenti. Io sarei prudente anche sull’utilizzo del termine “tecnica” perché

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QFD: THE UNSUNG HERO

QUALCHE RIFLESSIONE FILOSOFICA

Ci sono alcuni principi che ho sentito enunciare fin dai miei primi esordi nel mondo del lavoro e che mi ricordo di avere immediatamente condiviso, forse più per simpatia o per istinto che altro, ma di non avere mai visti applicati nella realtà concreta (intendo dire quella che sta al di là delle diapositive proiettate ai convegni) se non in modo sporadico e sperimentale.Eppure quegli stessi principi continuano ad essere enunciati anche a qualche decennio di distanza e ad essere universalmente condivisi (quando se ne parla, la gente annuisce con espressione tra l’indignato ed il preoccupato), ma regolarmente disattesi nella prassi quotidiana.Uno di questi è il principio della qualità totale: Total Quality Management (abbreviato in TQM) dicono quelli che ne hanno sentito parlare oltre oceano. In realtà alcuni affermano che all’estero la situazione sia decisamente migliore che da noi, ma per quel che ho visto di persona (forse è più esatto dire con i miei occhi) “tutto il mondo è paese”.Devo però precisare di non essere mai stato in Giappone …………..Ma in quello che viene definito mondo occidentale sembra prevalere la mentalità del “find and fix” (come tradurlo? Scopri e ripara?). Nei reparti di produzione, specialmente quando si lancia un nuovo prodotto, si assiste ad un grande prodigarsi di “vigili del fuoco” impegnati a spegnere metaforici incendi, vale adire a risolvere problemi di produzione causati da scarsa qualità, non diciamo per il momento di che cosa.Come spesso succede anche in altri campi, questi “salvatori della patria” sono relativamente ben retribuiti, sicuramente meglio retribuiti di chi si preoccupa di risolvere i problemi “a monte”, lavorando nell’oscurità.

Gli “eroi” sono quelli che spengono gli incendi anche se la loro attività può al massimo limitarne i danni, non certo migliorare il bosco. Fuori di metafora, la prevenzione dei problemi durante le fasi di progettazione dei prodotti e dei processi ha molta più influenza sul miglioramento della qualità del prodotto degli eroismi in officina.

In conclusione più che di “pompieri” ci sarebbe bisogno di una disciplina metodologica applicata alla prevenzione dei problemi, disciplina che peraltro esiste ed è conosciuta sotto il nome di Quality Function Deployment, abbreviato in QFD e pronunciato dagli estimatori: “chiùefdì”.

INTRODUZIONE

Se volessi tentarne una definizione, dovrei dire che QFD nella sua essenza è uno strumento di pianificazione per l’introduzione di nuovi prodotti o per le modifiche (presumibilmente in meglio) di prodotti esistenti, pur consapevole di non rendere, così facendo, un buon servigio alla sua promozione. Infatti se “strumento” è una parola molto tranquillizzante in generale e soprattutto per gli amanti del bricolage, “pianificazione” è un termine che per lo più semina terrore e panico nella gente. E’ vero che un ben noto proverbio americano dice: ”fail to plan is plan to fail” (intraducibile), ma sono convinto che la maggior parte delle persone recita in cuor proprio: “dalla pianificazione mi guardi iddio che dai fallimenti mi guardo io!”.

Non so se è tanto meglio dire, come qualcuno suggerisce, che QFD sia la risposta alla “voice of the customer” (grido disperato del cliente) e cioè una metodologia per focalizzare risorse interdisciplinari sul miglioramento dei prodotti in base alle priorità indicate dai clienti e dal mercato (vale a dire i propri clienti , quelli della concorrenza e quelli potenziali). Perché anche in questa definizione si fa uso di parole a doppio taglio: alludo non tanto all’aggettivo “interdisciplinari” che pure richiama scenari terrificanti di lavoro in team a scapito delle comprovate strutture gerarchico-dipartimentali che hanno sempre dato i loro buoni risultati, quanto al sostantivo “metodologia”.Metodologia infatti, per chi ancora non lo sapesse, è quella cosa che i burocrati incapaci usano per tarpare le ali della creatività e della fantasia a chi ne ha.

E’ probabilmente più opportuno non cimentarsi in definizioni, ma limitarsi a citare i dati storici: QFD è nata (o nato?) nel 1972 nei cantieri navali Mitsubishi Kobe con il nome giapponese di Hin Shitsu Ki No Ten Kai, traducibile in Quality Function Deployment, appunto e mai utilizzato (intendo dire il nome) fuori dal Giappone per motivi del tutto ovvii. Il padre fondatore (probabilmente uno dei tanti, come al solito) è un certo Yoji Akao che sembra andasse in giro per il Giappone a predicare la buona novella fin dal 1966. E’ stato anche detto che QFD è un “cattivo nome per una buona tecnica” perché la presenza del termine Qualità avrebbe causato alcuni fraintendimenti. Io sarei prudente anche sull’utilizzo del termine “tecnica” perché

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generalmente richiama inconsciamente qualcosa con cui i managers (soprattutto se top) non debbano sporcarsi le mani.

Al contrario, senza la partecipazione diretta dei managers di tutti i reparti aziendali QFD ha ben poche possibilità di sopravvivenza. Ma non basta, occorrono anche dei “professionisti” del QFD, modo orrendo per dire molto più semplicemente: persone che fanno di mestiere il QFD, più o meno bene a seconda delle capacità individuali e, non scandalizzatevi, di lavoro di gruppo (sotto questo profilo QFD condivide alcuni dei principi del Concurrent Engineering).

La scarsità di tali figure professionali da un lato e la naturale ritrosia a mostrare a degli estranei i propri “panni sporchi” sono un altro, forse non secondario, fattore limitante la diffusione di QFD.

I BENEFICI DI QFD

Mi ha sempre stupito la frequenza con cui nella letteratura specifica vengono citate (con tanto di disegnino per offendere ancora di più l’intelligenza di chi legge) le matrici di Boston tipo quella relativa a Qualità/Costi, per spiegare che, dei quattro possibili quadranti di cui si compone, bisogna rifuggire come la peste quello “bassa qualità/alto costo) e cercare di posizionare la propria azienda in quello “alta qualità/basso costo”, ma è possibile che mi sfugga qualcosa.

Inutile dire che, di qualsiasi cosa si stia parlando, senza quel qualcosa la vostra azienda non potrà mai posizionarsi nel quadrante giusto (spero apprezziate il fatto che non vi ricordo quale). I promotori di QFD non fanno eccezione e sentenziano: vuoi conquistarti un posto nel quadrante vincente? Se sì, devi diventare proattivo, focalizzarti sulla prevenzione e sul “robust design” e ridurre le varianti; in altre parole devi adottare QFD. Ma, obietterà qualcuno, non basta applicare rigorosamente controlli “find and fix” o altre misure di tipo reattivo? No, verrà replicato, perché così facendo al massimo ti posizioni nel quadrante “alta qualità/alto costo”! Di più, senza una buona dose di fortuna, rischi addirittura di finire nell’inferno del quadrante “bassa qualità/alto costo” . (Credo che nessuno abbia il coraggio di confessare di fare volentieri a meno sia dei controlli reattivi che del

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QFD, accontentandosi di finire nel purgatorio del quadrante “bassa qualità/basso costo”, ma sono convinto che questo sia il caso più frequente).In conclusione, per essere vincente devi passare dalla reazione alla prevenzione: dal “find and fix” al QFD.

Di mio aggiungerei solamente che per amore della precisione bisognerebbe parlare non di matrici, ma di cubi di Boston, perché esiste, con pari importanza delle altre due (Costo e Qualità), anche la terza dimensione: Tempo (per mania dell’esotico si parla solitamente di time-to-market). Ma, mi rendo perfettamente conto che, esplorare tutte le otto combinazioni che ne risulterebbero, diventerebbe veramente troppo complicato (in questo caso sì che un disegnino potrebbe tornare utile, ma non ne ho mai visti, forse perché il tridimensionale non è mai andato di gran moda).

BENEFICI DIMOSTRABILI

Se qualcuno obiettasse che le matrici di Boston sono pura teoria (non parliamo dei cubi) e che la prassi “sul campo” è ben altra cosa, gli verrebbe risposto citando qualche caso pratico. La Toyota è uno dei più ricorrenti anche se ormai datato anni ’70, e quello che viene detto (cito perché, come ho già avuto modo di dire, in Giappone non ci sono mai stato e poi anche se ci fossi stato penso che siano cose un po’ difficili da verificare) è riassumibile nelle seguenti cinque categorie di benefici ottenuti:

1. Diminuzione del numero di modifiche progettuali e soprattutto loro attuazione anticipata. In numeri: il 90% delle modifiche vengono fatte almeno un anno prima dell’avvio della produzione e costano molto di meno dal momento che vengono eseguite “su carta”. Vorrei solo aggiungere che la possibilità, oggi un po’ più realistica di allora, di lavorare su “prototipi elettronici” rende ancora più appetibile il monte benefici disponibile.

2. Riduzione dei tempi di sviluppo (e di conseguenza del time-to-market, dal momento che l’attività di sviluppo è sul cammino critico del ciclo di vita di ogni prodotto). Si parla di riduzioni intorno ad 1/3, dopo l’avvento di QFD in Toyota e pare che non sia affatto un record: altre aziende citano meno di un ½..

3. Riduzione dei problemi di avviamento della produzione di circa 2/3.4. Riduzione dei costi di avviamento della produzione: del 20% nel 1977, anno di introduzione dei

QFD, e del 61% dopo qualche annetto, nel 1984.5. Riduzione dei problemi post-vendita. Si fa riferimento in particolare ai costi imputabili a problemi

di ruggine duranta il periodo di garanzia che agli inizi degli anni ’70 superavano di quattro volte i profitti dell’azienda e che sono stati eliminati grazie all’impiego di QFD.

Il punto 4. Precedente viene spesso citato come esemplificazione del concetto di “continous improvement” che pare essere un po’ ostico per la nostra mentalità occidentale e che invece dicono connaturato in quella giapponese al punto che un loro proverbio dice: “più la strada è lunga e più la devi percorrere a piccoli passi”.A me sembra di poterlo interpretare così : un passo falso capita a tutti di farlo e quindi bisogna metterlo in conto; di conseguenza se decido di coprire il cammino da fare con quattro lunghi balzi e ne faccio uno falso, fallisco il mio obiettivo del 25%, mentre se decido di fare cento piccoli passettini, di cui uno falso, lo fallisco solo dello 1%.Certo che con quattro balzi farei probabilmente prima che con cento passettini, per quanto veloci, ma se ho la gamba corta (come la maggior parte dei giapponesi) non mi restano altre alternative; se poi mi dite che su cento passettini è probabile che ne faccia più di uno falso, posso anche essere d’accordo, ma mi sembra che i margini ci siano comunque.

BENEFICI NON QUANTIFICABILI

Sappiamo tutti per esperienza che i benefici maggiori sono sempre quelli non quantificabili (non è una delle leggi di Murphy). Nel caso del QFD ce ne sono almeno due che cadono in questa categoria, ma sulla cui importanza nessuno può obiettare. Il primo, come vien subito di pensare, è la soddisfazione del cliente che, come noto, vuole essere soddisfatto o rimborsato. Nonostante tutto quello che dica la propaganda troppo spesso in azienda si patteggiano dei compromessi su come un prodotto deve essere fatto o modificato cercando di non scontentare né la progettazione né la produzione, che già è un bel risultato, ma dimenticandosi completamente del cliente. QFD serve a fare in modo che le esigenze del cliente o del mercato più in generale vengano tradotte in specifiche che pilotino o vincolino se preferite il processo decisionale, garantendo che mai vengano disattese a costo, se proprio è inevitabile, di scontentare un po’ sia la produzione che la progettazione. Ma, se il cliente paga, poi ce ne sarà per tutti come ben sa chi ha lavorato per un numero sufficiente di anni.Il secondo beneficio non quantificabile riguarda il patrimonio costituito dalla “conoscenza aziendale collettiva” a proposito del quale bisogna dire, magari rischiando la banalità, che costituisce in molti, se non tutti, i casi il più

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importante “asset” che un’azienda possieda. Succede spesso però che la conoscenza venga celata, come il risparmio, sotto qualche mattonella o dentro il materasso e quindi, non circolando, non produca beneficio per la collettività.QFD costringe a rappresentare i processi in forma grafica e promuove le discussioni di gruppo su tali rappresentazioni che vengono sempre conservate per future revisioni, venendo a costituire i gradini di una scala in continua crescita cui ci si riferisce quando si parla di “continous improvement”. Sono gradini che il neo-assunto, come il nuovo cooptato in un gruppo di lavoro, può salire per portarsi rapidamente al livello di conoscenza degli altri.Se poi il lavoro viene svolto con l’ausilio del computer, tutto acquisisce l’agilità e la leggerezza del “virtuale”, non solo, ma il computer stesso può essere portato a salire la scala della conoscenza e a diventare un “sistema esperto” in grado di prendere autonomamente le decisioni più routinarie liberando l’uomo dalle mansioni più ripetitive e noiose. E qui mi fermo per non essere accusato di apologia del computer.

ALTERNATIVE AL QFD

A sentire gli estimatori di QFD parrebbe non esserci medicina migliore per la salute di un’azienda di QFD. Ma non esistono proprio altre? Naturalmente sì: ad esempio potenziare la penetrazione commerciale aprendo diversi canali di vendita alternativi e, auspicabilmente, complementari; puntare sull’espansione geografica (va molto di moda chiamarla internazionalizzazione o, peggio ancora, globalizzazione); acquisire o fondersi con altre aziende; convincere i propri clienti a comprare di più; ecc. Ma resta comunque il fatto che niente giova di più all’azienda che continuare a inventare nuovi prodotti o migliorare quelli esistenti per la delizia del cliente. E per farlo nel modo migliore non c’è alternativa al QFD.

I CAMPI DI APPLICAZIONE DI QFD

Pianificazione di nuovi prodotti o di modifiche di prodotti esistenti si è detto, ma non solo: anche la pianificazione dell’assistenza ai clienti o dei servizi in generale è un ottimo campo di applicazione di QFD.

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Generalizzando possiamo quindi concludere che dovunque ci siano prodotti e servizi che si vuole soddisfino le esigenze e le aspettative del cliente, li si può intervenire con uno strumento di pianificazione chiamato QFD.Riassumendo:

• Pianificazione di nuovi prodotti o servizi• Progettazione delle specifiche del Prodotto/Servizio• Determinazione delle caratteristiche del Processo• Controllo del Processo Manifatturiero• Documentazione delle specifiche di Prodotti esistenti

LA METODOLOGIA

Sono previste quattro fasi d’intervento:

• Fase I – Pianificazione del Prodotto (la “casa della qualità”)• Fase II – Progettazione del Prodotto• Fase III – Pianificazione dei Processi• Fase IV – Pianificazione della Produzione (controllo dei processi)

L’output di ogni fase è una tabella di un database relazionale che fa in modo che la “voce del cliente” , sotto forma di specifiche e relative priorità sia “udita” in modo chiaro e preciso durante tutto il processo, dalla ricerca e sviluppo fino alla produzione.

Queste tabelle sono sviluppate e vengono continuamente aggiornate da teams interfunzionali che si riuniscono periodicamente per svolgere questa attività. Le tabelle sono correlate tra di loro in maniera biunivoca, ma solo gli elementi più significativi vengono travasati da una tabella a quella successiva. Il team è di solito composto da

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sei/otto membri cui si possono aggiungere partecipanti estemporanei, quando il team leader ritiene che occorra un contributo specialistico, non posseduto da nessuno dei membri permanenti.

FASE I - PIANIFICAZIONE DEL PRODOTTO

Questa fase è, di solito, pilotata dal Marketing e viene spesso chiamata: Casa della Qualità, dalla forma che assume la relativa matrice di correlazione. Non poche aziende si limitano a svolgere solo questa fase dell’intero processo QFD.Il punto di partenza è il rilevamento delle richieste dei clienti (RC) pianificato con la massima cura perché dalla qualità dei dati iniziali dipende l’efficacia di tutto il resto. Si fa uso delle metodologie di rilievo convenzionali, come questionari inviati per posta o fax, telefonate, interviste faccia-a-faccia e gruppi di interesse.Tra i molti elementi che vengono presi in considerazione possiamo citare: le richieste dei clienti (manco a dirlo!), i dati di garanzia del prodotto, le opportunità competitive, i criteri di valutazione del proprio prodotto e di quello della concorrenza, la capacità dell’azienda di soddisfare le richieste dei clienti, ecc.

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FASE II - PROGETTAZIONE DEL PRODOTTO

Come si può facilmente intuire, questa fase è pilotata dalla Progettazione. Altrettanto ovvia è la considerazione che progettare un prodotto richiede grande inventiva e fantasia. Forse meno scontato è il fatto che le idee migliori dipendono più dalla capacità di lavorare in team che dalla creatività dei singoli. In ogni caso nella matrice QFD, relativa a questa fase, vengono catturati i criteri di concettualizzazione del prodotto e le specifiche dei suoi componenti o parti. Solo le parti che hanno maggior influenza (alto indice di correlazione) sul soddisfacimento delle richieste del cliente vengono travasate nella matrice successiva.

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FASE III - PIANIFICAZIONE DEL PROCESSO

Sale adesso sul podio l’Ingegneria di Processo o come viene chiamato l’ente preposto alla progettazione dei processi produttivi. E le tavole di specifiche tecniche nonché i disegni usati per documentare l’attività di progettazione cedono il campo ai diagrammi o flowcharts di descrizione dei processi e delle attività manifatturiere. Il “succo” di questa fase consiste nel catturare dai diagrammi tutti i parametri di processo e trasformarli in “targets” (bersagli da colpire) che la Produzione dovrà raggiungere.

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FASE IV - PIANIFICAZIONE DELLA PRODUZIONE

L’attività di questa fase conclusiva consiste nel ricavare, dai targets individuati nella fase precedente, gli indicatori di prestazione che servono per tenere sotto controllo (o monitorizzare, se preferite) le operazioni di fabbricazione di manutenzione e di addestramento del personale coinvolto. Ma, dal momento che la tentazione di non fare le cose (bene) è sempre forte in questa fase si può eseguire anche la valutazione dei rischi che si corrono se il processo manifatturiero non è debitamente tenuto sotto controllo. Ritengo pleonastico aggiungere, ma lo faccio, che questa fase è pilotata dall’ente preposto al Controllo di Qualità in concerto con la Produzione.

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CONCLUSIONE

Da quanto brevemente esposto (per saperne di più bisogna pagare) dovrebbe risultare chiaro che con QFD no ci si propone solamente di migliorare le caratteristiche prestazionali di un prodotto, ma di soddisfare o, meglio ancora, anticipare le aspettative del mercato.Non so se quanto sto per aggiungere funzionerà come stimolo ad adottare QFD o al contrario come ulteriore elemento di frustrazione, ma ormai da qualche anno i discepoli di Yoji Akao vanno predicando un nuovo verbo che chiamano “mirio kuteki hin shitsu”. Gli americani lo tradurranno (se non l’hanno già fatto) in Wonder Engineering Quality e lo abbrevieranno presumibilmente in WEQ.Si tratta di una metodologia che consente di tradurre in parametri ingegneristici l’insieme di stimoli e reazioni che creano eccitazione in un essere umano: i prodotti messi sul mercato dalle aziende che la adotteranno non solo soddisferanno in pieno le aspettative del cliente, ma ne anticiperanno i desideri inarticolati al punto tale da suscitare in lui quel piacevole sentimento che chiamiamo meraviglia.