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CORSO NAZIONALE DI SPECIALIZZAZIONE PER ALLENATORI DELLA FIT EQUIVALENTE AL QUARTO LIVELLO EUROPEO Anno Accademico 2002/2004 Project Work in PATOLOGIE DEL GINOCCHIO: PREVENZIONE E RIABILITAZIONE Gian Marco Benveduti Roberto Raffio

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CORSO NAZIONALE DI SPECIALIZZAZIONE PER ALLENATORI DELLA FIT EQUIVALENTE

AL QUARTO LIVELLO EUROPEO Anno Accademico 2002/2004

Project Work in

PATOLOGIE DEL GINOCCHIO:

PREVENZIONE E

RIABILITAZIONE

Gian Marco Benveduti Roberto Raffio

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INDICE 2 Prefazione 4

Capitolo 1: ANATOMIA DEL GINOCCHIO 1.1 Ossa e legamenti del ginocchio 6 1.2 Menischi 9 1.3 Membrana sinoviale e cavità articolare 10 1.4 Vasi e nervi 11 1.5 Patella 12 1.6 I muscoli 13

Capitolo 2: TRAUMI DEL GINOCCHIO Introduzione 15 2.1 Lesioni meniscali 20 2.2 Rotture meniscali 22 2.3 Fratture della rotula 24 2.4 Rotture del tendine quadricipitale e del legame rotuleo 26 2.5 Sublussazione e lussazioni della rotula 28 2.6 Lesioni dei legamenti collaterali mediale e laterale 30 2.7 Rottura del legamento crociato anteriore 32 2.8 Rottura del legamento crociato posteriore 36 2.9 Lussazioni del ginocchio 38

Capitolo 3: LE PATOLOGIE PIU’ FREQUENTI NEL TENNIS

3.1 Le patologie più frequenti 40 3.2 Patologie meno frequenti 47 3.3 Atleti infortunati 48 3.4 Casistica nella distorsione del ginocchio 50

Capitolo 4: PREVENZIONE DEGLI INFORTUNI NEL TENNIS

4.1 Come prevenire i traumi 52 4.2 Tecnologie per la prevenzione 54 4.3 L’importanza dello stretching 57 4.4 Esempi di stretching 63 4.5 Il riscaldamento e la sua importanza nel tennis 67 4.6 Gli studi sull’argomento 71 4.7 Le diverse superfici dei campi da tennis 72 4.8 Le capacità coordinative generali 73

Capitolo 5: RIABILITAZIONE

Introduzione 76 5.1 Riabilitazione dopo intervento per condropatia 77 5.2 Protocollo di rieducazione dopo intervento chirurgico del lca 82 5.3 Il trattamento delle lesioni meniscali 95 5.4 Protocollo riabilitativo dopo intervento dl meniscectomia artroscopica 98 5.5 Protocollo riabilitativo dopo intervento dl sutura meniscale 102 5.6 La tecnica Wat Job 105 5.7 ”Riabilitazione del ginocchio “Metodo tradizionale” 117 5.8 Il trattamento delle lesioni cartilaginee del ginocchio 126

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Capitolo 6: LA GESTIONE PSICOLOGICA DELL’ATLETA INFORTUNATO

6.1 Prevenzione e riabilitazione psicologica 132 6.2 Le reazioni dell’atleta all’infortunio 136 6.3 La riabilitazione psicologica 137 CONCLUSIONI 139 BIBLIOGRAFIA 140

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Prefazione Il project work da noi impostato ha preso in esame i problemi relativi ai traumi dell’articolazione del ginocchio e le possibilità di recupero motorio di atleti d'alto livello che hanno patito questa patologia. Pensiamo che in questi anni il tennis si sia evoluto enormemente da tutti i punti di vista. In particolare i carichi di lavoro eccessivi, utilizzando sovraccarichi, causano con maggiore frequenza danni a livello articolare e muscolare. Crediamo che il ginocchio sia un’articolazione molto coinvolta proprio per tutti gli spostamenti e cambi di direzione che nel campo da tennis vengono effettuati, ed è per questo che il nostro interesse applicativo è stato rivolto a quest'articolazione. Lo abbiamo analizzato dapprima con una metodologia basata su una bibliografia dettagliata a livello anatomico e fisiologico; dopo di che siamo passati ad analizzare i vari traumi con protocolli di riabilitazione utilizzati da medici esperti. Da analisi fatte abbiamo considerato una casistica su giocatori di alto livello che hanno supportato questi infortuni e che ne sono usciti più o meno

correttamente con programmi studiati in maniera dettagliata dai loro medici. Obiettivi prefissati da questo project work riguardano la definizione di problemi specifici, quali: la prevenzione degli infortuni dopo lesioni del ginocchio; l’importanza del riscaldamento, del defaticamento, delle superfici di gioco; l’importanza della gestione psicologica dell’atleta infortunato.Il tennista di alto livello, per la ripetitività del gesto atletico, sia in allenamento che in gara, sottopone a sollecitazione l’articolazione del ginocchio esponendosi al rischio di produrre nel tempo patologie da sovraccarico funzionale.Per meglio comprendere il lavoro articolare di un professionista, basti pensare che un atleta durante

una stagione agonistica di 12 mesi, tra allenamenti e gare, esegue con gli arti inferiori una quantità enorme di movimenti in tutte le direzioni ad intensità diverse e spesso vicine ai massimali con tutte le implicazioni che ciò può comportare alle ginocchia. Il ginocchio è un’articolazione complessa, sottoposta a forze che si esprimono contemporaneamente su più piani, sottoponendo le strutture ossee, capsulari, meniscali, legamentose e miotendinee a notevoli sollecitazioni; l’esecuzione scorretta del gesto atletico, un improvviso sovraccarico funzionale al ginocchio, un contrasto con piede fisso a terra possono produrre lesioni acute.Il ginocchio è sicuramente l'articolazione che nell'ultimo ventennio ha goduto dei maggiori vantaggi

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derivanti dai progressi delle tecniche chirurgiche utilizzate per la riparazione dei suoi costituenti anatomici; non altrettanto significative sono state le innovazioni nell'ambito della riabilitazione dopo trattamento chirurgico al punto che, sino a pochi anni orsono dopo una ricostruzione, i programmi di riabilitazione erano iperprotettivi e caratterizzati da un periodo di immobilizzazione dell'arto di almeno 6 settimane, nel convincimento che in tal modo si potesse garantire una ottimale cicatrizzazione del trapianto.Tuttavia, gli effetti non favorevoli di un prolungato periodo di immobilizzazione sulla cartilagine articolare, sui legamenti, sulle strutture capsulari e sulla muscolatura dell'arto inferiore, hanno di fatto valorizzato il concetto opposto, vale a dire quello di una precoce mobilizzazione del ginocchio,attraverso metodiche riabilitative sempre più aggressive. Alcuni di questi interventi, come la mobilizzazione passiva precoce, l'immediata concessione dell'estensione passiva, il carico completo in deambulazione entro il primo mese, non solo hanno ridotto la percentuale di complicanze quali rigidità o gravi ipotrofie, ma sono stati anche riconosciuti come elementi in grado di favorire un miglior processo riparativo del neo-legamento, permettendo spesso all’atleta di poter rientrare a competere con successo dopo un periodo di sospensione adeguato e tale da non compromettere eccessivamente la propria classifica.

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Capitolo 1

ANATOMIA DEL GINOCCHIO 1.1 Ossa e Legamenti del ginocchio Prendono parte all'articolazione del ginocchio, i due condili del femore, le due fosse glenoidee dei condili tibiali, e la faccia posteriore della rotula. Il ginocchio è un’articolazione a cerniera che consente movimenti di flessione e di estensione. In flessione esiste una sufficiente lassità che permette una piccola rotazione volontaria; nel movimento di completa estensione vi è una leggera rotazione mediale del femore (rotazione congiunta) che consente il raggiungimento della posizione di maggior stabilità. I condili del femore hanno superfici articolari più ampie rispetto a quelle dei condili della tibia e vi è una componente di rotazione e di scivolamento delle superfici del femore che esaurisce tale discrepanza. Allorché si è raggiunta la posizione di estensione, il menisco laterale, più piccolo, viene dislocato in avanti sulla tibia e si pone saldamente in un incavo del condilo laterale di femore, il che tende a bloccare l’estensione. Il condilo mediale del femore è comunque ancora in grado di scivolare verso l’addietro, portando così la sua superficie anteriore e più piatta a completo contatto con la tibia. Tali movimenti di rotazione congiunta portano i legamenti crociati in una posizione di tensione o di blocco. I legamenti collaterali vengono tesi massivamente e ne risulta una posizione di estensione completa stabile e serrata. La tensione dei legamenti e la stretta vicinanza delle parti più piatte dei condili fa sì che la posizione eretta possa essere mantenuta con relativa facilità. La sequenza di eventi che si verificano nella flessione è l’’universo di quanto avviene nell’estensione. La flessione può essere effettuata con un movimento di circa 130 gradi e alla fine viene limitata dal contatto fra il polpaccio e la coscia. I muscoli implicati in tali movimenti del ginocchio sono principalmente i muscoli della coscia. Nel ginocchio vi sono tre articolazioni: l’articolazione femore-patellare e le due articolazioni femoro-tibiali. Le ultime due sono separate dai legamenti crociati intra-articolari e dalla piega sinoviale infrapatellare. Le tre cavità articolari sono connesse da strette aperture. Le superfici articolari del femore sono i suoi condili mediale e laterale e la superficie patellare. I condili sono foggiati a forma di spessi ovoidi divergenti inferiormente e posteriormente. Le loro superfici gradualmente variano da una leggera curvatura anteriore ad una curvatura più accentuata posteriormente e sono separate dalla superficie patellare da un lieve solco. Sulla faccia superiore della tibia vi sono due distinte aree, ricoperte da cartilagine. La superficie del condilo mediale è più ampia, ovalare e leggermente concava; quella del condilo laterale è approssimativamente circolare, concava trasversalmente, ma concavo-convessa antero-posteriormente. Le fosse delle superfici articolari sono rese più profonde da menischi discoidali.

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La capsula articolare dell’articolazione del ginocchio è difficilmente separabile dai legamenti e dalle aponeurosi sovrapposti ad essa. In posizione posteriore le sue fibre verticali originano dai condili e dalla fossa intercondiloidea del femore; inferiormente tali fibre sono ricoperte dal legamento popliteo obliquo. La capsula articolare si inserisce ai condili della tibia e, in forma incompleta, ai menischi. I legamenti esterni che rinforzano la capsula articolare sono costituiti dalla fascia lata e dal tratto ilio-tibiale, dai retinacoli della patella mediale e laterale e dai legamenti patellare, popliteo obliquo e popliteo arcuato. Anche il legamento collaterale tibiale costituisce un valido rinforzo alla capsula articolare sul lato mediale. I tendini aponevrotici dei muscoli vasti aderiscono ai lati della patella e successivamente si espandono sulla faccia anteriore e sui lati della capsula articolare come retinacoli mediale e laterale della patella. Inferiormente, essi si inseriscono sulla faccia anteriore dei condili della tibia e sulle loro linee oblique fino ai lati dei legamenti collaterali. Superficialmente, la fascia lata riscopre e si confonde con i retinacoli della patella, quando essa si porta in basso per aderire ai condili della tibia e alle loro linee oblique. Lateralmente, il tratto ilio-tibiale si piega verso l’avanti al di sopra del retinacolo laterale della patella e si fonde con la capsula articolare anteriormente; il suo margine posteriore è libero ed il tessuto adiposo tende ad interporsi fra esso e la capsula. Il legamento patellare è la continuazione del tendine del muscolo quadricipite del femore diretto alla tuberosità della tibia. Fascio estremamente robusto e relativamente piatto, esso si attacca sul contorno superiore della patella e si continua davanti alla sua faccia anteriore, terminando talora obliquamente sulla tuberosità della tibia. Una borsa infrapatellare profonda è interposta fra il legamento patellare e l’osso. Un’’ampia borsa infrapatellare sottocutanea è presente nel tessuto che ricopre il legamento patellare. Il legamento popliteo obliquo è una delle espansioni del tendine del muscolo semimembranoso che rafforza la faccia posteriore della capsula articolare. Allorché questo tendine si inserisce nel solco posto sulla superficie posteriore del condilo mediale della tibia, esso emette tale espansione obliqua che, diretta lateralmente e verso l’alto, incrocia la faccia posteriore della capsula articolare. I legamenti collaterali sono molto importanti per la stabilità del ginocchio, impediscono l’ipertensione dell’articolazione e qualsiasi angolazione in abduzione-adduzione. Essi decorrono ai lati del ginocchio ed il loro compito è di stabilizzare l’articolazione nei movimenti di traslazione laterale . I vasi sanguiferi geniali inferiori passano fra essi e l’articolazione, ma soltanto il legamento collaterale fibulare si trova chiaramente al di fuori della capsula articolare. Il legamento collaterale tibiale è un fascio robusto e piatto che si estende fra i condili mediali del femore e della tibia. Esso è ben definito anteriormente e si unisce al retinacolo mediale della patella. Il tendine della zampa d’oca ricopre inferiormente

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il legamento ed essi sono separati dalla borsa anserina. La parte posteriore del legamento è caratterizzata da fibre a decorso obliquo le quali convergono a livello dell’articolazione provenendo da sopra e da sotto e fornendo al legamento un’intersezione nel menisco mediale. La principale inserzione inferiore del legamento è situata circa 5 cm. inferiormente alla superficie articolare della tibia, immediatamente dietro all’’inserzione della zampa d’oca. Il legamento collaterale fibulare è una formazione cordoniforme, arrotondata, che è completamente separata dalla capsula articolare dell’articolazione del ginocchio. Esso prende inserzione sul condilo laterale del femore, superiormente ed inferiormente al solco del muscolo popliteo; termina inferiormente sulla faccia laterale della testa della fibula circa 1 cm. anteriormente al suo apice. Il tendine del muscolo popliteo si porta in profondità al legamento collaterale fibulare, ed il tendine del muscolo bicipite del femore si divarica attorno alla sua inserzione fibulare, con l’interposizione di una piccola borsa sottotendinea inferiore. Un’altra borsa è situata sotto l’estremità superiore del legamento collaterale fibulare e lo separa dal tendine del muscolo popliteo. La membrana sinoviale dell’articolazione, protendendo in forma di recesso sottopopliteo, separa il tendine del muscolo popliteo dal menisco laterale. I legamenti crociati impediscono il movimento in avanti o in addietro della tibia sotto i condili del femore; sono in una certa tensione in tutte le posizioni di flessione, ma vengono posti veramente sotto tensione nella completa estensione e nella completa flessione. La funzione biomeccanica è di stabilizzare reciprocamente durante il movimento l’articolazione del ginocchio, impedendo il movimento di della cavità articolare. traslazione anteriore e posteriore della tibia rispetto al femore . Si chiamano crociati, perché si incrociano al centro dell’articolazione. Essi sono situati interamente nella capsula articolare dell’articolazione del ginocchio nel piano verticale fra i due condili, ma sono esclusi dalla cavità sinoviale da rivestimenti della membrana sinoviale. Il legamento crociato anteriore origina dall’area rugosa e non articolare posta davanti all’eminenza intercondiloidea della tibia e si estende verso l’alto e verso il dietro fino alla parte posteriore della faccia mediale del condilo laterale del femore. Il legamento crociato posteriore si porta verso l’alto e verso l’avanti sul lato mediale del legamento anteriore. Esso si estende da dietro l’eminenza intercondiloidea della tibia alla faccia laterale del condilo mediale del femore.

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1.2 Menischi Queste formazioni semilunari di fibrocartilagine sono sovrapposte alle porzioni periferiche delle superfici articolari della tibia. Più spessi a livello dei loro margini esterni ed assottigliantisi via via con i bordi liberi all’’interno dell’articolazione, i menischi si portano in posizione profonda nella fossa articolare per raccordarsi con i condili del femore. Essi sono inseriti ai margini esterni dei condili della tibia e con le loro estremità anteriore e posteriore alla sua eminenza intercondiloidea. Essi sono addossati e fusi con la capsula articolare, possiedono una discreta mobilità e deformabilità che consente loro di adattarsi ai mutamenti spaziali che si verificano durante i diversi movimenti articolari; la loro funzione è di stabilizzare il movimento di scivolamento e rotolamento dell’estremità femorale, grossolanamente sferica, su una superficie piatta quale è quella della tibia rendendo agevole e meno intenso l'attrito. Il menisco mediale è più largo e di forma quasi ovalare. Più ampio posteriormente, si assottiglia anteriormente nel punto di inserzione all’area intercondiloidea della tibia davanti all’origine del legamento crociato anteriore. Il menisco laterale è più circolare. Per quanto più piccolo del menisco mediale, esso ricopre una parte un poco maggiore di superficie tibiale. Anteriormente, esso si inserisce all'area intercondiloidea anteriore, lateralmente e posteriormente alla estremità del legamento crociato anteriore. Posteriormente, esso termina a livello dell’area intercondiloidea posteriore davanti all’estremità del menisco mediale. Il menisco laterale è debolmente attaccato attorno al margine del condilo laterale della tibia e manca di un attacco dove esso è incrociato dal tendine del muscolo popliteo. Nella parte posteriore dell’articolazione, il menisco laterale dà origine ad alcune delle fibre del muscolo popliteo e, in prossimità della sua inserzione posteriore alla tibia, esso spesso dà origine ad un gruppo di fibre note come legamento menisco-femorale posteriore. Questo può unirsi al legamento crociato posteriore o può inserirsi al condilo mediale del femore posteriormente al legamento crociato. Un occasionale legamento menisco-femorale anteriore presenta rapporti simili ma in avanti con il legamento crociato posteriore. Il legamento traverso del ginocchio connette il margine convesso anteriore del menisco laterale all’estremità anteriore del menisco mediale.

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1.3 Membrana sinoviale e cavità articolare La cavità articolare del ginocchio è il più grosso spazio articolare del corpo. Essa comprende lo spazio fra e attorno ai condili, si estende verso l’alto al di dietro della patella per includere l’articolazione femoro-patellare e comunica liberamente con la borsa soprapatellare fra il tendine del muscolo quadricipite del femore ed il femore. La membrana sinoviale riveste la capsula articolare e la borsa soprapatellare. Recessi della cavità articolare sono pure delimitati dalla membrana sinoviale; il recesso sottopopliteo è già stato descritto. Esistono altri recessi dietro la parte posteriore di ogni condilo del femore; all’estremità superiore del recesso mediale, la borsa posta sotto il capo mediale del muscolo gastrocnemio può aprirsi all’interno Il corpo adiposo infrapatellare costituisce la posizione anteriore del setto mediano che, con i legamenti crociati, separa le due articolazioni femoro-tibiali. Dai margini laterale e mediale della superficie articolare della patella alcune pieghe della membrana sinoviale si spingono all’interno dell’articolazione e formano due pieghe alari frangiformi, che raccolgono raccolte di tessuto adiposo.

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1.4 Vasi e nervi. Nella regione del ginocchio esiste un’importante anastomosi del ginocchio. Essa è costituita da un plesso superficiale posto superiormente ed inferiormente alla patella, cui si associa un plesso profondo posto sulla capsula articolare dell’articolazione del ginocchio e sulle adiacenti superfici ossee. Tale anastomosi prende origine dalle interconnessioni terminali di dieci vasi. Due di questi discendono al ginocchio: il ramo discendente dell’arteria circonflessa laterale del femore e l’arteria suprema del ginocchio dell’arteria femorale. Cinque sono rami dell’arteria poplitea a livello del ginocchio: le arterie superiore mediale, superiore laterale, media, inferiore mediale e inferiore laterale del ginocchio. Tre rami di arteria della gamba risalgono fino all’anastomosi: le arterie ricorrente tibiale posteriore, peronea circonflessa e ricorrente tibiale anteriore. Vene che portano gli stessi nomi accompagnano tali arterie. I vasi linfatici dell’articolazione del ginocchio drenano nei linfonodi poplitei ed inguinali. I nervi dell’articolazione del ginocchio sono numerosi. Rami articolari del nervo femorale raggiungono il ginocchio tramite i nervi per i muscoli vasti ed il nervo safeno. Il ramo posteriore di divisione del nervo otturatore termina nell’articolazione, dove anche sono presenti rami articolari dei nervi tibiale e peroneo comune.

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1.5 Patella La patella o rotula, è un grosso osso sesamoideo sviluppatosi nel tendine del muscolo quadricipite del femore. La rotula ha funzione di centratura durante la contrazione del quadricipite con effetto di aumentare la forza e frenare il movimento di flessione del ginocchio, oltre a ripartire gli sforzi applicati al tendine rotuleo e a stabilizzare il ginocchio nei movimenti rotatori.Essa è giustapposta alla superficie articolar anteriore dell’estremità inferiore del femore e, tenendo a distanza il tendine stesso dall’estremità inferiore del femore, migliora l’angolo di inserzione del tendine sulla tuberosità tibiale. La superficie anteriore, convessa, della patella appare striata verticalmente dalle fibre tendinee. Il margine superiore è spesso e fornisce inserzione alle fibre tendinee dei muscoli retto del femore e vasto intermedio. I margini laterale e mediale sono più sottili: essi ricevono le fibre provenienti dai muscoli vasto laterale e vasto mediale. Tali margini convergono verso l’apice, appuntito, della patella il quale dà inserzione al legamento patellare. La superficie articolare è un’area liscia ovolare, divisa in due faccette da un rilievo verticale. Il rilievo si adatta al solco della superficie patellare del femore e la faccetta mediale e laterale vanno a corrispondere alla superficie del femore che le fronteggia. La faccetta laterale è più profonda rispetto a quella mediale. Inferiormente all’area articolare delle faccette esiste una porzione rugosa, non articolare, dalla quale origina la metà inferiore del legamento patellare. La patella mantiene un contatto mobile con il femore in tutte le posizioni del ginocchio. Allorché il ginocchio si sposta da una posizione di completa estensione ad una posizione di completa flessione, prima la parte superiore, poi quella media ed infine quella inferiore della patella vengono a contatto con la superficie patellare del femore. L’ossificazione avviene con partenza da un singolo centro, il quale compare all’inizio del terzo anno di vita. L’ossificazione completa si attua all’età di circa 13 anni nel maschio e di circa 10 anni nella femmina.

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1.6 I muscoli I muscoli che agiscono sull'articolazione del ginocchio possono essere suddivisi in anteriori e posteriori in base alla posizione rispetto all'asse trasversale dell'articolazione dei loro tendini distali. Anteriori

Quadricipite femorale: è il muscolo estensore del ginocchio ed è tre volte più potente dei flessori. È formato da quattro muscoli che si inseriscono con un tendine terminale sulla tuberosità anteriore della tibia, in quanto il legamento rotuleo può essere considerato come una continuazione del tendine del quadricipite che si inserisce alla base della rotula. Tre muscoli sono monoarticolari: il vasto intermedio (che origina dalla parte anteriore della diafisi femorale) il vasto mediale ( che origina dal labbro mediale della linea aspra del femore arrivando prossimalmente sino all'estremità inferiore della linea trocanterica) il vasto laterale ( che origina dal labbro laterale della linea aspra del femore arrivando in alto sino alla base del grande trocantere). Il retto femorale è invece biarticolare originando con due distinti tendini dalla spina iliaca anteriore inferiore e dal margine superiore dell'acetabolo. Posteriori

Bicipite femorale: il capo lungo origina dalla tuberosità ischiatica, il capo breve dalla linea aspra del femore; i due capi si riuniscono in un tendine distale che si inserisce sulla testa del perone. Questo muscolo è un importante flessore del ginocchio ed a ginocchio flesso ruota all'esterno la gamba .

Semimembranoso: origina dalla tuberosità ischiatica e si inserisce a livello del condilo mediale tibiale, posteriormente .

Semitendinoso: origina dalla tuberosità ischiatica e si porta alla faccia mediale della tibia. Questi ultimi due muscoli sono flessori del ginocchio ed a ginocchio flesso agiscono come intrarotatori. Il bicipite femorale, il semimembranoso ed Il semitendinoso costituiscono il gruppo dei muscoli ischiocrurali. Il semitendinoso inoltre fa parte dei muscoli della zampa d'oca, insieme con il sartorio ed il gracile .

Sartorio: origina dalla spina iliaca anteriore superiore e termina alla faccia mediale della tibia presso la tuberosità anteriore .

Gracile (o retto interno): origina vicino alla sinfisi pubica e termina alla faccia mediale della tibia I muscoli ischiocrurali sono estensori dell'anca e fiessori del ginocchio e la loro azione in tale senso è legata alla posizione dell'anca. Il sartorio è soprattutto fiessore, abduttore, rotato re esterno dell'anca, oltre che fiessore del ginocchio; il gracile agisce invece come adduttore dell'anca ed accessoriamente come fiessore dell'anca, fiessore del ginocchio, intrarotatore del ginocchio.

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Popliteo: nasce dal condilo femorale laterale per terminare alla linea poplitea della tibia; agisce come intrarotatore della gamba e contribuisce alla flessione del ginocchio sbloccandola dalla condizione di rotazione esterna che si stabilisce automaticamente al termine dell'estensione Gastrocnemio: origina .dalle regioni sovracondiloidee mediale e laterale del femore per terminare, insieme al soleo, alla faccia posteriore del calcagno. E un flessore ausiliario del ginocchio ma è soprattutto un flessore piantare del piede. Tensore della fascia lata che rinforza l'azione degli estensori a ginocchio esteso ed agisce come rotatore esterno.

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Capitolo 2

TRAUMI DEL GINOCCHIO Introduzione

Il ginocchio è l’articolazione più soggetta a traumi nella pratica di quegli sport in cui l’atleta deve eseguire con gli arti inferiori gesti tecnici ad elevata velocità (spostamenti laterali e antero-posteriori) con arresti bruschi del movimento o quando l’atleta effettua salti ripetuti. Dopo un trauma distorsivo è importante la ricostruzione dell’accaduto con l’atleta, per intervenire nel modo più corretto: le modalità con cui è avvenuto l’incidente, la percezione da parte dell’atleta di rumori tipo “crack” all’interno dell’articolazione e la sensazione di instabilità articolare sono segni di una probabile distorsione grave. Generalmente, inoltre, una distorsione grave non consente la prosecuzione della prestazione sportiva e spesso impedisce addirittura la deambulazione o il semplice carico sull’articolazione stessa: di conseguenza essere in grado di continuare l’attività sportiva è quasi sempre segno di un trauma distorsivo di grado lieve. In presenza di una tumefazione del ginocchio occorre indagare se il gonfiore sia comparso precocemente già dalle prime ore consecutive al trauma, o si sia instaurato lentamente nel corso di un paio di giorni: un edema precoce è spesso dovuto ad un emartro da lacerazione di strutture vascolarizzate, quali il legamento crociato anteriore ed il margine meniscale. Nel caso di emartro è possibile riscontrare l’aumento della temperatura locale nei confronti del ginocchio controlaterale. Di fronte ad un probabile emartro occorre consigliare il ricovero in un reparto di traumatologia; per il trasporto è bene provvedere ad immobilizzare l’arto, mettendo sul ginocchio una borsa di ghiaccio, e somministrare un analgesico. Nella maggior parte delle distorsioni, il trauma sollecita il ginocchio in abduzione e rotazione esterna, per cui il dolore è localizzato sulla faccia mediale del ginocchio in corrispondenza dell’inserzione prossimale del legamento collaterale interno. Il dolore impedisce, a causa di una contrattura muscolare antalgica di difesa, 1’estensione completa della gamba. Il trattamento, in assenza di una rilevante obiettività, consiste in un periodo di riposo assoluto a letto, con un cuscino sotto il ginocchio in modo da consentire una postura senza dolore. Sulla faccia mediale del ginocchio si può applicare uno strato di pomata contenente eparina, ricoperta da un sottile strato di plastica, ponendovi sopra, ad intervalli, una borsa del ghiaccio. E’ opportuno somministrare dei farmaci miorilassanti, per favorire 1’estensione del ginocchio, diminuendo di pari passo lo spessore del cuscino fino a toglierlo del tutto. In seguito il medico, a seconda dell’entità del dolore, effettuerà una fasciatura elastica adesiva che sarà mantenuta per una settimana, o una doccia gessata posteriore che dovrà essere portata per 15-20 giorni.

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L’immobilizzazione protratta ha effetti assai sfavorevoli su qualsiasi organo. Poiché l’’immobilità spesso prolunga e ostacola il programma riabilitativo, è necessario che la sua durata venga ridotta al minimo e che essa sia limitata quanto più possibile al solo organo o segmento interessato.Anche un’immobilizzazione di sole 24 ore può dare inizio a fenomeni di retrazione capsulare,dei tessuti molli e della muscolatura periarticolare .Un’immobilizzazione della durata di due settimane può essere responsabile di retrazioni la cui correzione necessita di mesi di terapia; dopo due mesi di immobilizzazione forzata è frequentemente necessario ricorrere a interventi chirurgici.Le retrazioni possono essere prevenute con l’immobilizzazione in posizione fisiologica, con la mobilizzazione precoce e con l’esecuzione, almeno ogni 8 ore, di esercizi di mobilizzazione attiva o passiva di tutte le articolazioni interessate. Una volta instaurate, le retrazioni articolari vengono trattate mediante esercizi di mobilizzazione passiva associati a manovre di stiramento graduale e protratto, mediante applicazione di ortesi dinamiche e con interventi chirurgici di detenzione.

L’immobilità prolungata inoltre riduce la forza del muscolo, la sua resistenza e le sue funzioni aerobiche. L’alterazione della funzione muscolare si manifesta con la scarsa coordinazione e con la diminuzione del movimento. L’ipostenia secondaria a disuso o a immobilizzazione può essere prevenuta ricorrendo a un programma di esercizi di contrazione muscolare, di elettrostimolazione e di esercizi isometrici.Le sollecitazioni dovute al carico e alla trazione muscolare mantengono il normale contenuto calcico dell’’osso. L’immobilità e la sottrazione dal carico riducono significativamente questo tipo di sollecitazioni, in carenza delle quali l’attività osteoclastica viene a prevalere sull’’attività osteoblastica: dopo un certo periodo è infatti possibile osservare un aumento dell’’escrezione urinaria del calcio. L’osteopenia che ne deriva indebolisce l’’osso, esponendolo al rischio di fratture patologiche. La decalcificazione può essere prevenuta con l’’immobilizzazione in posizione antigravitaria. Quando sia immobilizzato un solo arto, l’elettrostimolazione con correnti a bassa intensità può determinare un aumento dell’’attività osteoformativa.L’apparato cardio-vascolare risponde all’immobilizzazione prolungata con l’’ipotenzione posturale, con la diminuzione della resistenza allo sforzo e con manifestazioni troboflebitiche.Tutte queste complicanze possono essere prevenute dalla mobilizzazione precoce e dalla terapia fisica. L’’allettamento e la deprivazione di stimoli sensitivi che da esso deriva esercita un’influenza negativa sul sistema nervoso, peggiorando la coordinazione motoria e riducendo la capacità intellettiva. La deprivazione sensoriale è causa di confusione e di disorientamento, che a loro volta favoriscono la comparsa di sindromi ansiose e depressive.L’immobilizzazione inoltre aumenta la dipendenza del paziente: la durata del periodo di immobilizzazione è direttamente proporzionale alle difficoltà della terapia riabilitativa e del ritorno all’autonomia. La comparsa di piaghe da decupito in un paziente costretto a letto rappresenta un’evenienza frequente, prevedibile e costosa. La causa principale delle piaghe risiede nella compressione protratta; la posizione del paziente costretto a letto o su

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una sedia a rotelle o immobilizzato in un apparecchio gessato deve essere frequentemente cambiata. Per la prevenzione è fondamentale l’attenta sorveglianza delle zone solitamente esposte a necrosi da compressione. Trascorso il periodo di immobilizzazione, 1’atleta dovrà effettuare un trattamento riabilitativo ed una graduale ripresa dell’attività sportiva. In caso di lesioni più gravi il trattamento di elezione dovrà essere quello chirurgico.

L'epidemiologia traumatica sportiva cerca di analizzare l'incidenza delle lesioni sportive che avvengono per determinate gestualità sportive tenendo conto del tipo di popolazione praticante, del luogo in cui si effettua lo sport e delle modalità di insorgenza traumatica (Articolo “Epidemiologia traumatica nello sport” -Dr.Volpi - Centro di Traumatologia dello Sport e di Chirurgia Artroscopica - Istituto Ortopedico Galeazzi – Milano).

Notevoli sono le difficoltà a comparare studi epidemiologici diversi in quanto fra i vari lavori presenti in letteratura spesso non c'e uniformità nel definire le lesioni o nel raccogliere i dati in modo uguale in quanto vengono di volta in volta presi in considerazione parametri differenti circa il livello sportivo, le modalità traumatiche, i meccanismi lesivi, ecc..

E' un dato certo che la popolazione sportiva negli ultimi 25 anni è considerevolmente aumentata per numero, e per impegno: infatti è incrementato il "range" di età (più bambini, più anziani), sono aumentate le donne che praticano sport, fra le varie scelte a disposizione si sono affermati nuovi sport quali il calcetto, lo squash, il beach volley e altri ancora, infine è notevolmente cresciuto l'agonismo e la competitività nelle manifestazioni sportive a tutti i livelli. L'incidenza delle lesioni può essere raccolta in molti modi, per numero di lesioni per 1000 atleti, per numero di lesioni per stagione, per gara, per allenamento, per espositività per atleta o per sport, ecc. Inoltre numerosi sono i fattori in causa che possono modificare o variare ogni ricerca epidemiologica quali l'età del praticante, il livello di competizione, la diffusione loco-regionale o nazionale per quel tipo di sport, le competenze dell'allenatore o del preparatore, il tipo di sport (alta o bassa lesività traumatica), ecc.

Le lesioni possono essere suddivise in acute cioè dovute ad un singolo episodio macrotraumatico e in croniche cioè dovute a episodi microtraumatici ripetuti nel tempo e spesso conseguenti alle sollecitazioni gestuali tipiche di ogni sport. E' indubbio che solo attraverso una conoscenza diretta dei dati epidemiologici si possa meglio applicare i principi di prevenzione per ridurre e contenere il numero e la gravità delle lesioni di quel tipo di sport, così come solo approfondendo le conoscenze biomeccaniche dei gesti sportivi, delle attrezzature e dei materiali si possa pretendere di rispettare i carichi di lavoro negli allenamenti, i tempi di recupero fra una competizione e l'altra, la protezione necessaria al fine che lo sport non rappresenti un danno ma bensì un bene per tutti coloro che lo praticano.

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Le lesioni acute possono essere di due tipi: DA SOVRACCARICO FUNZIONALE sollecitazione articolare abnorme e/o eccessivamente ripetuta TRAUMATICHE cadute o colpi diretti

PATOLOGIA DA SOVRACCARICO FUNZIONALE

La ripetizione di gesti sportivi, o comunque di movimenti specifici, per tempi lunghi e ad intensità elevata, può determinare un’azione meccanico-traumatica sulle strutture interessate; ciò può venire facilitato da difetti di assialità articolare o da postumi di un trauma acuto: questa situazione si definisce di “sovraccarico funzionale”. L’attività fisica in genere e le tecniche di allenamento che ricorrono all’impiego di esercizi contro resistenza e con sovraccarichi (pesi), indubbiamente possono esercitare effetti lesivi sulle strutture dell’apparato muscolo-scheletrico e anche su legamenti e tendini. Analoghe azioni lesive possono essere determinate dalle risposte elastiche fornite dalle pavimentazioni plastiche delle palestre o, in particolare, da superfici troppo dure che causano un incremento dei microtraumi sull’atleta. Queste azioni traumatiche esterne ed interne inducono sui tessuti alterazioni della componente cellulare con insorgenza del noto processo difensivo e riparativo locale, che prende il nome di “infiammazione”. Tale reazione che risulta clinicamente evidente nei traumi acuti (contusioni e distrazioni muscolari, distorsioni articolari), nelle lesioni da sovraccarico funzionale, essendo inferiore, anche se reiterata, l’entità del singolo stimolo traumatico, assume minore rilevanza. Gli esempi più tipici di queste lesioni sono le tendiniti rotulee ed achillee; in queste, tuttavia, qualora la causa microtraumatica si ripeta incessantemente nel tempo, come in genere accade nell’attività sportiva, possono concomitare processi degenerativi che a volte diventano prevalenti. Le strutture tendinee, infatti, possono adattarsi a sollecitazioni funzionali quantitativamente abnormi, ma ciò avviene solo entro certo limiti, che vengono spesso superati nell’attività sportiva ad alto livello di impegno. E’ indubbio che nelle lesioni da sovraccarico funzionale il fattore meccanico ha una sua individualità lesiva tipica e ben definita, ma è altrettanto vero che le complesse componenti anatomiche, vascolari, neuro-umorali e metaboliche ne possono condizionare in molti casi l’insorgenza o quanto meno le modalità ed i tempi di evoluzione. Risulta quindi comprensibile come, a parità di esposizione traumatica, solamente un certo numero di atleti presenti lesioni da sovraccarico funzionale clinicamente evidenti. La sintomatologia comune è rappresentata, fondamentalmente, dal dolore di differente entità; questo sintomo appare correlato alle sollecitazioni funzionali, è provocato dalla digitopressione, può essere limitato o esteso a seconda della zona interessata. Alla ispezione l’obiettività risulta scarsa ove si eccettui il caso delle tendiniti, in cui si può apprezzare l’aumento di volume del tendine. Nella patologia da sovraccarico funzionale, essendo l’obiettività clinica spesso non molto manifesta, risulta utile l’impiego diagnostico di alcune tecniche strumentali come la radiografia a raggi molli, la xeroradiografia, la teletermografia a colori, l’ecografia. L’esame radiografico

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a raggi molli, effettuato cioè mediante radiazioni a debole penetrazione, risulta particolarmente valido nella patologia inserzionale da sport. La xeroradiografia, ormai poco utilizzata a causa dell’elevata quantità di radiazioni dannose a cui viene esposto l’atleta nell’esecuzione dell’esame, può offrire alla osservazione quadri particolarmente utili dal punto di vista anatomo-patologico. La teletermografia, con i miglioramenti tecnici raggiunti, permette di realizzare delle mappe termiche della regione cutanea in esame perfettamente tarate e ripetibili nel tempo; va sottolineato il suo indubbio valore discriminativo fra forme infiammatorie e degenerative e nell’ambito degli stadi intermedi. Attualmente, comunque, in tutte quelle patologie da sovraccarico che interessano i tendini, l’ecografia sembra essere la metodica in grado di fornire il maggior aiuto per una diagnosi corretta e soprattutto per una verifica dei risultati terapeutici, senza peraltro pericoli per l’organismo anche in caso di ripetizioni dell’esame, a differenza di altre metodiche che possono al contrario, pur se valide, risultare dannose. Comunque, nonostante i recenti progressi sia nel campo delle metodiche strumentali d’indagine che dell’istochimica, nonché della biomeccanica applicata al gesto sportivo, la reale essenza delle lesioni da sovraccarico non è stata del tutto chiarita. E’ per questi motivi che nella definizione della patologia da sovraccarico funzionale hanno incontrato il favore degli esperti dei termini che indicano, accanto alla regione interessata, talvolta solo il gesto tecnico responsabile senza ulteriori informazioni circa la natura, flogistica o degenerativa della lesione.

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2.1 Le lesioni meniscali Le lesioni meniscali sono piuttosto frequenti, colpiscono soggetti di qualsiasi età e possono coinvolgere il corpo del menisco, il corno anteriore e quello posteriore; si dividono in radiali, orizzontali e verticali; esistono poi altri tipi di lesione, che meritano di essere ricordate per la loro frequenza anche se possono rientrare nella classificazione precedente e sono la lesione a "manico di secchia" e le lesioni degenerative, che possono assumere caratteristiche complesse per combinazione dei diversi tipi di lesione. Le lesioni del menisco mediale sono insieme alla lesione del collaterale mediale le più comuni lesioni del ginocchio. Le ragioni della alta frequenza delle lesioni meniscali sono da ricercarsi nell’anatomia del menisco mediale che risulta adattarsi peggio del menisco laterale alle dislocazioni ed inoltre alla maggior frequenza dei traumatismi in valgismo del ginocchio con intrarotazione del femore rispetto al piatto tibiale (il piede fa da perno). Il menisco mediale può inoltre essere soggetto alla lesione degenerativa, cioè essere "consumato" nell'attrito che si sviluppa tra tibia e femore, nel caso essi non siano perfettamente allineati. Questo tipo di lesione è classica dei soggetti con età superiore ai 40 anni ed è un segno iniziale dell'artrosi. Clinicamente vi è presenza di forte dolore, tumefazione, impotenza funzionale, è perciò necessario attendere un paio di settimane per poter effettuare una diagnosi precisa del tipo di lesione e di quelle eventualmente associate.

La diagnosi può essere più semplice quando vi sia la presenza di un blocco articolare come nelle lesioni a manico di secchia oppure complessa come nelle lesioni degenerative; in generale è possibile apprezzare una dolenzia localizzata all’emirima mediale. Il test specifico per la diagnosi è quello di Steinman con paziente sdraiato sul lettino, ginocchio flesso a 90°, cadente dal lettino, e movimenti di extrarotazione che suscitano dolore all’emirima mediale nel caso vi sia la lesione sospettata.

Le lesioni del menisco laterale hanno una frequenza minore rispetto a quelle del menisco mediale poichè il menisco laterale è più grande ed è in grado di sopportare meglio gli spostamenti. Inoltre il meccanismo traumatico è più insolito, essendo dovuto a traumatismi in extrarotazione del femore sulla gamba.

La clinica è sovrapponibile a quella della lesione del menisco mediale, ovviamente riferita alla rima articolare laterale, così come la terapia.

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La risonanza magnetica (RMN) può essere dirimente nei casi in cui la diagnosi sia più difficile, normalmente lo specialista ortopedico è in grado di diagnosticare con attendibilità del 90% un'eventuale lesione.

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2.2 Rotture meniscali.

La rottura del menisco può manifestarsi a qualsiasi età. In generale ci si procura una rottura del menisco in seguito ad una distorsione con il ginocchio flesso a circa 20° e il piede bloccato a terra: è la classica distorsione di ginocchio del calciatore. Un altro meccanismo, per lo più osservato negli atleti meno giovani, è rappresentato da un'iperflessione seguita dal ritorno in piedi. Il menisco mediale, schiacciato dal condilo femorale mediale, si rompe: la parte lesionata può lussarsi nella gola intercondiloidea, dando luogo al vero "blocco meniscale" (impossibilità ad estendere completamente il ginocchio). Siamo di fronte alla classica rottura a manico di secchio del menisco mediale.

Due cartilagini semilunari, i menischi mediale e laterale, aumentano la congruenza articolare del ginocchio e svolgono una funzione di ammortizzazione. Le fibrocartilagini meniscali, che hanno forma a “C”, sono frequentemente sede di lesioni traumatiche, per lo più secondarie a sollecitazioni di tipo torsionale. Le lacerazioni possono interessare l’uno o l’altro dei menischi o entrambi contemporaneamente. La rottura meniscale diviene sintomatica allorché la porzione lacerata divenuta mobile, scivolando si interpone fra le superfici articolari del femore e della tibia. I pazienti con rottura e lussazione meniscale spesso lamentano dolore a livello della rima articolare e blocco dell’estensione, della flessione o di entrambi i movimenti. Spesso il ginocchio presenta cedimenti e versamenti recidivanti. La lesione a manico di secchio consiste in una lacerazione longitudinale del menisco. La porzione lacerata resta unita ai corni anteriore e posteriore, La porzione instabile (il manico del secchio) che si lussa all’interno della gola intercondiloidea impedisce la completa estensione del ginocchio. Il paziente può essere capace di portare manualmente il ginocchio in completa estensione, e ciò spesso avviene con un rumore chiaramente udibile e con uno scatto apprezzabile con la palpazione. Questo suono e la transitoria risoluzione della sintomatologia testimoniano la riduzione della porzione del manico di secchio in posizione normale. Le piccole rotture a decorso radiale sono inizialmente causa di una sintomatologia assai sfumata; se non trattate possono evolvere in rotture “a becco di pappagallo”, più ampie e più sintomatiche. Il lembo mobile del menisco è responsabile di segni di origine meccanica, quali versamenti recidivanti, cedimenti e sensazioni di blocco. Le lacerazioni orizzontali si presentano come delaminazioni del tessuto meniscale; se trascurate danno frequentemente luogo alla formazione di un lembo meniscale, che può essere responsabile di segni meccanici. Quando la porzione instabile del menisco resta incarcerata nella gola intercondiloidea, il ginocchio va incontro a blocco. Un blocco articolare può essere dovuto anche a un corpo libero o a un moncone residuo del legamento crociato anteriore lacerato. Questa situazione richiede un intervento urgente; i tentativi di carico e di mobilizzazione, infatti, provocano lesioni erosive gravi e permanenti a carico delle superfici articolari del femore e della tibia. Allo scopo di ridurre le sollecitazioni traumatiche sulla cartilagine articolare, durante l’artroscopia viene

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asportata solamente la porzione del menisco interessata. Nel corso dell’intervento è possibile che, con il paziente anestetizzato, si verifichi la spontanea riduzione del blocco. Una volta indotta l’anestesia, il ginocchio viene esaminato alla ricerca di eventuali instabilità legamentose, dopo di che si procede all’intervento artroscopico. In presenza di rottura meniscale, la porzione lacerata viene asportata con l’apposito strumentario. Poiché il terzo esterno del menisco è vascolarizzato, è possibile che le piccole lacerazioni periferiche localizzate in questa zona guariscano. Le lacerazioni periferiche di dimensioni superiori possono venire riparate artroscopicamente mediante suture che accollano la porzione a manico di secchio alla parte meniscale vascolarizzata. Il programma riabilitativo che segue all’artroscopia e alla menisctectomia parziale prevede generalmente un periodo assai breve di immobilizzazione, l’inizio immediato del carico e la fisioterapia precoce. Questa consiste nella rieducazione al passo, nella mobilizzazione attiva e passiva e negli esercizi di rinforzo della muscolatura quadricipitale. Dopo sutura meniscale è preferibile attendere alcune settimane prima di intraprendere la fisioterapia e la mobilizzazione articolare.

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2.3 Fratture della rotula La rotula va incontro a frattura quando la sua resistenza intrinseca, sommata a quella dell’espansione quadricipitale, viene superata dalla trazione esercitata dal muscolo quadricipite. Le fratture sono solitamente causate da traumi indiretti, soprattutto nei casi in cui il quadricipite si contrae violentemente nel tentativo di estendere il ginocchio che si trova in flessione forzata. Il paziente inciampa, avverte il dolore di rottura, sente uno scroscio e cade allorché si verifica la frattura della rotula. Immediatamente dopo la frattura, se il quadricipite continua a contrarsi e il ginocchio a flettersi, si verifica la lacerazione dei legamenti alari mediale e laterale. Il grado della loro lacerazione condiziona l’entità della diastasi dei frammenti rotulei. Le fratture da trauma indiretto hanno solitamente decorso trasversale e talvolta sono comminute. La rotula, osso sesamoide, è inoltre esposta alle lesioni derivanti da traumi diretti. L’urto del ginocchio contro il cruscotto di un’automobile o una caduta a terra spesso determinano fratture gravemente comminute. Si tratta per lo più di fratture composte: se la sintomatologia dolorosa non è eccessiva, il paziente è in grado di estendere attivamente il ginocchio. Le fratture verticali sono rare e solitamente la loro scomposizione è minima. Le fratture composte vengono trattate immobilizzando il ginocchio in estensione completa con una ginocchiera o con una doccia gessata. La consolidazione richiede circa sei settimane; trascorso tale periodo è possibile iniziare la mobilizzazione attiva e cauti esercizi di mobilizzazione passiva. Le fratture trasversali con diastasi superiore a qualche millimetro richiedono il trattamento chirurgico; i frammenti devono essere ridotti in posizione anatomica. I retinacula mediale e laterale vengono ricostruiti e i frammenti ossei vengono sintetizzati con cerchiaggio dinamico “a 8” attorno a due chiodi di Steinmann paralleli. L’estensione completa del ginocchio non deve essere consentita prima della consolidazione completa. Nelle fratture del polo prossimale o distale con grave comminuzione viene eseguita una patellectomia parziale allo scopo di conservare almeno una metà della superficie articolare. Il tendine quadricipitale o il legamento rotuleo vengono reinseriti alla porzione residua della rotula e i retinacula mediale e laterale vengono ricostruiti. Il ginocchio viene quindi immobilizzato in estensione completa con una ginocchiera o con una doccia gessata per sei settimane; successivamente è possibile iniziare la mobilizzazione protetta e il carico diretto. La patellectomia viene presa in considerazione solo nel caso di fratture severamente comminute, dato che l’asportazione della rotula compromette gravemente la biomeccanica dell’apparato estensore. Le fratture osteocondrali sono causate da un meccanismo completamente diverso. Durante una manovra forzata di riduzione di lussazione laterale della rotula, dalla sua faccetta mediale ( e più raramente dal condilo femorale laterale) può distaccarsi un frammento osseo. La sintomatologia clinica è allora caratterizzata dal dolore lungo il versante anteromediale del ginocchio, da spiccata tumefazione dovuta a emartro, da blocco meccanico e da scroscio articolare. I frammenti possono essere interamente

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cartilaginei e quindi risultare difficilmente visibili all’esame radiografico standard, mentre la loro visualizzazione è possibile nelle proiezioni assiali della rotula. Il frammento mobile viene solitamente rimosso artroscopicamente; quando il frammento sia di dimensioni notevoli, è possibile la sua sintesi.

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2.4 Rotture del tendine quadricipitale e del legame rotuleo Le lesioni dell’apparato quadricipitale, che sono generalmente più frequenti nell’anziano, si verificano solitamente durante la contrazione attiva del quadricipite sul ginocchio in flessione forzata . Il tendine può risultare indebolito per fenomeni involutivi legati all’invecchiamento o per alterazioni secondarie ad artrite psoriasica, artrite reumatoide, arteriosclerosi, gotta, iperparatiroidismo, diabete, insufficienza renale cronica o terapia steroidea. Al momento del trauma il paziente accusa un dolore improvviso, che può essere associato a sensazione di lacerazione a carico del ginocchio. All’esame clinico il riscontro più importante è costituito dall’impossibilità di estendere attivamente e completamente il ginocchio contro gravità. Il paziente inoltre può non essere in grado di mantenere esteso il ginocchio, una volta che questo sia stato portato passivamente in estensione. I soggetti con rottura del tendine quadricipitale o del legamento rotuleo possono riuscire a estendere attivamente il ginocchio fino a 10° dall’estensione completa, quando i retinacula mediale o laterale siano integri. In caso di ampia diastasi del tendine o del legamento associata ad interessamento dei retinacula mediale e laterale, l’’estensione attiva risulta assai difficile. La palpazione del ginocchio rivela la presenza di un ematoma che può renderne difficoltoso l’esame. Una patella in posizione eccessivamente alta può essere indice di rottura del legamento rotuleo, mentre la situazione bassa della rotula depone per la rottura del tendine quadricipitale. All’esame palpatorio la diastasi può risultare evidente: se la rottura viene misconosciuta, dopo alcune settimane o mesi il solco viene riempito da tessuto cicatriziale. I pazienti con rottura inveterata del tendine quadricipitale lamentano fenomeni di cedimento del ginocchio e marcata riduzione della forza dell’apparato estensore.

Generalmente la rottura del tendine quadricipitale si verifica a livello della sua inserzione al polo superiore della rotula, mentre la rottura del legamento rotuleo avviene solitamente a livello del margine inferiore: in entrambi i casi, per ripristinare la continuità dell’apparato estensore è necessario ricorrere al trattamento chirurgico. Il tendine o il legamento vengono reinseriti con una sutura pesante attraverso fori transossei; vengono quindi ricostruiti i retinacula mediale e laterale. Dopo l’intervento il ginocchio viene immobilizzato in estensione completa per 6 settimane in una ginocchiera o in una doccia gessata.

I pazienti affetti da malattie metaboliche croniche o sottoposti a trattamento steroideo a lungo termine solitamente richiedono trattamenti più complessi, che prevedono il rinforzo dell’apparato estensore mediante innesti di tendine, di fascia o con cerchiagli. Dopo un periodo post-operatorio di immobilizzazione della durata di 8-100 settimane i pazienti vengono gradualmente avviati a esercizi di mobilizzazione protetta e per qualche tempo devono utilizzare le stampelle o un bastone.

La rottura del legamento rotuleo può localizzarsi anche a livello dell’’inserzione tibiale ed essere eventualmente associata a frattura della tuberosità tibiale.

Nei bambini con cartilagini di accrescimento ancora fertili il legamento deve essere suturato, poiché questo tipo di lesione può disturbare l’accrescimento della

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porzione prossimale della tibia. Nell’adulto l’avulsione del legamento dalla tuberosità tibiale viene riparata con una sutura passata attraverso fori transtibiali o reinserendo il legamento stesso con una cambra o una vite. Le fratture scomposte della tuberosità tibiale vengono trattate con riduzione e sintesi con vite.

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2.5 Sublussazione e lussazioni della rotula La sublussazione della rotula è una condizione di comune riscontro nella quale

la rotula non scorre correttamente nella fossa patellare dell’epifisi femorale distale. La sublussazione, che è spesso associata a ginocchio valgo e a extratorsione tibiale, è più frequentemente sintomatica nelle adolescenti e nelle giovani donne.

L’aumento dell’angolo Q (formato dall’intersezione di due linee tracciate dalla spina iliaca anteriore-posteriore e dalla tuberosità tibiale verso il centro della rotula) sembra associarsi a un’aumentata predisposizione alla sublussazione o alla lussazione della rotula. I pazienti lamentano una gonalgia in sede anteriore, accentuata da alcune attività quali il salire le scale e associata a sensazione di cedimento del ginocchio. L’esame clinico evidenzia una dolorabilità lungo il margine mediale della patella, la presenza di scroscio femoro-rotuleo, l’atrofia del quadricipite (particolarmente evidente a carico delle fibre oblique del vasto mediale) e un’aumentata mobilità laterale della rotula. Il test dell’apprensione (segno di Fairbank) è positivo se il paziente avverte dolore nel contrarre con vigore il quadricipite mentre l’esaminatore tenta di sublussare lateralmente la rotula. Se la sublussazione non viene trattata il retinaculum laterale va progressivamente incontro a retrazione, peggiorando così ulteriormente la dinamica femoro-rotulea.

Nelle sublussazioni il trattamento di scelta è di tipo conservativo e consiste in esercizi di rinforzo del quadricipite effettuati in un arco ridotto di movimento e nell’impiego di anti-infiammatori non steroidei a scopo antalgico. La terapia fisica ha il fine di aumentare il tono dei fasci obliqui del vasto mediale, che migliora i rapporti femoro-rotulei. Per un reale rinforzo di questo muscolo è necessario che durante gli esercizi venga raggiunta l’estensione completa del ginocchio. Nei pazienti affetti da sublussazione della rotula, la compressione della patella contro il femore provoca la comparsa di dolore. Limitando il grado di flessione del ginocchio durante gli esercizi si riduce il grado di compressione; ciò appare utile per alleviare la sintomatologia durante la fase di riabilitazione del quadricipite. Talora l’applicazione di un tratto di benda elastica adesiva a livello del legamento rotuleo si rivela utile nel ridurre la sintomatologia.

Nei casi in cui il trattamento conservativo non ha successo e persiste una significativa limitazione funzionale, trovano indicazione le numerose tecniche chirurgiche descritte per il riallineamento dell’apparato estensore. Nei pazienti con angolo Q normale che non rispondono al trattamento conservativo può essere necessaria la detenzione (release) del retinaculum laterale, che può essere eseguita artroscopicamente o artrotomicamente. Il release del retinaculum laterale retratto consente alla contrazione dei fasci obliqui del vasto mediale di riposizionare la rotula all’interno della fossa patellare.

Con un’incisione artromica parapatellare mediale è possibile eseguire una plastica “a paletot” della capsula articolare, avanzando distalmente e lateralmente i

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fasci obliqui del vasto mediale. L’intervento determina lo spostamento mediale della rotula e migliora lo scorrimento femoro-rotuleo.

Nei pazienti con un angolo Q abnormemente ampio può essere necessario eseguire la detensione del retinaculum laterale associata alla trasposizione della tuberosità tibiale. Occorre fare attenzione a non trasporre la tuberosità in posizione distale o posteriore.

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2.6 Lesioni dei legamenti collaterali mediale e laterale Il legamento collaterale mediale e collaterale laterale sono molto importanti per la stabilità del ginocchio. Essi decorrono ai lati del ginocchio ed il loro compito è di stabilizzare l’articolazione nei movimenti di traslazione laterale . Le lesioni legamentose del collaterale mediale sono assai comuni negli atleti. Nelle distorsioni di primo grado il legamento risulta stirato, in assenza di lacerazioni o con lacerazioni di grado minimo. Queste lesioni sono causa di lieve dolorabilità locali, scarso stravaso ematico e tumefazione. In corrispondenza della regione dolente si può manifestare una soffusione ecchimotica che si risolve comunque entro 2 o 3 settimane dal trauma. Mancano i segni di lassità articolare e il trauma non determina alcuna significativa invalidità a lungo termine. Il trattamento prevede il riposo e la successiva riabilitazione muscolare. Le distorsioni di secondo grado sono caratterizzate dalla lacerazione parziale del legamento con conseguente lassità articolare, dolore localizzato, dolorabilità e tumefazione. Se durante l’esame clinico l’operatore esegue dei movimenti di stress, è possibile percepire con precisione una sensazione di “fine corsa” durante la manovra. Dato che la lesione legamentosa è parziale, l’articolazione si mantiene stabile e un’’intensa terapia riabilitativa può essere da sola sufficiente: Le distorsioni di terzo grado inducono la rottura completa del legamento, essendo quindi causa di instabilità articolare. I segni caratteristici di questo tipo di distorsione consistono nella dolorabilità, nell’instabilità, nell’assenza di sensazione di “fine corsa” alla manovra di stress e nella presenza di una vasta ecchimosi. Le lesioni di questo tipo richiedono talvolta il trattamento chirurgico.

Gli strumenti del legamento collaterale mediale si verificano quando viene applicata al ginocchio una sollecitazione di tipo valgizzante. I pazienti riferiscono per lo più una sensazione di scatto o di lacerazione al versante mediale del ginocchio. Nelle lesioni isolate del legamento collaterale mediale il paziente è spesso in grado di deambulare e talvolta porta a termine l’attività durante la quale ha riportato il trauma.

L’’esame clinico evidenzia una dolorabilità lungo il percorso del legamento collaterale tibiale; con un’attenta palpazione è possibile identificare il livello preciso della lesione: all’inserzione del legamento, a livello del condilo femorale mediale, sulla rima articolare (tratto intermedio) o lungo l’estesa area di inserzione del legamento al versante mediale della tibia. Il paziente viene più agevolmente esaminato in decubito supino, con la coscia appoggiata al piano del lettino. Il medico afferra l’arto inferiore con entrambe le mani, portandolo oltre il bordo del lettino e successivamente sollecita il ginocchio in varismo o in valgismo (stress in varo-valgo). Quando il ginocchio è in estensione completa, la stabilità in senso medio-laterale è affidata principalmente al legamento crociato posteriore. Flettendo il ginocchio a 30°, il ruolo di stabilizzazione del crociato posteriore viene escluso e con lo stress in valgo diviene così possibile la valutazione del legamento collaterale mediale.

Le distorsioni di terzo grado del legamento collaterale mediale possono richiedere la sutura chirurgica diretta: le distorsioni isolate di terzo grado possono essere trattate anche solo con il semplice controllo della tumefazione e,

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successivamente, con la cinesiterapia e il rinforzo del quadricipite femorale e dei muscoli posteriori della coscia.

Una spiccata lassità mediale (in valgismo) può indicare la lesione del punto d’angolo postero-mediale della capsula articolare. In questi casi la terapia chirurgica diviene necessaria per prevenire le instabilità rotatorie residue.

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2.7 Rottura del legamento crociato anteriore I legamenti crociati, anteriore e posteriore, alloggiati all’interno del ginocchio sono tesi tra il femore e la tibia incrociandosi l’un con l’altro; la funzione biomeccanica è di stabilizzare reciprocamente durante il movimento l’articolazione del ginocchio. Come per i menischi un’anomala energia impressa ai legamenti da movimenti abnormi può causarne una distensione tale da provocarne la rottura parziale o totale. Il legamento crociato anteriore va spesso incontro a rottura a seguito di lesioni che si verificano in corso di accese competizioni atletiche, come ad esempio nel caso in cui un giocatore, nel compiere uno scatto improvviso, torce il ginocchio mentre il piede è fermamente fissato al suolo. L’atleta avverte uno scatto, ha una sensazione di lacerazione e accusa un dolore acuto a carico del ginocchio; spesso è impossibile la prosecuzione dell’attività. Sotto carico il ginocchio è notevolmente instabile: La rottura del legamento crociato anteriore è spesso causa di emartro. I test clinici impiegati per valutare il grado di instabilità del legamento crociato anteriore sono il test di Lachman, il test del cassetto anteriore e il pivot shift test.

Test di Lachman. Si tratta di una manovra di facile esecuzione e relativamente

indolore, anche nel paziente con lesione acuta. Il medico confronta l’entità del gioco articolare del ginocchio interessato con quello controlaterale sano per valutare l’eventuale abnorme mobilità. Il test va eseguito con ginocchio flesso a 20°, per ridurre al minimo l’effetto di stabilizzazione dovuto ai menischi. Con una mano l’esaminatore impugna il femore, mentre con l’altra afferra la porzione prossimale della tibia. Con il paziente rilassato, l’esaminatore tenta di provocare lo scivolamento anteriore della porzione prossimale della tibia rispetto al femore. Se il legamento crociato anteriore è integro, tale scivolamento è minimo. Quando il legamento è interrotto, la manovra determina la sublussazione anteriore della tibia. L’esaminatore deve prendere nota delle caratteristiche di “fine corsa” percepita al termine della manovra. Se al momento in cui la tibia giunge al suo punto di massima dislocazione anteriore si avverte un blocco meccanico, il legamento crociato anteriore può essere lacerato solo parzialmente. Se invece il “fine corsa” è elastico e cedevole occorre sospettare una rottura completa.

Prima di considerare valido il risultato di questo test è necessario accertare l’integrità del legamento crociato posteriore. In caso di rottura del legamento crociato posteriore, infatti, la tibia si sublussa posteriormente, così che quando tale dislocazione posteriore viene ridotta, il test di Lachman sembra positivo.

Test del cassetto anteriore. Il test del cassetto anteriore viene eseguito sul

paziente supino e comodamente disteso e con ginocchio flesso a 90° . Durante il test il piede del paziente viene fissato dalla coscia dell’esaminatore

seduto sul lettino. Il medico afferra con entrambe le mani il polpaccio in prossimità del cavo popliteo e tenta di dislocare anteriormente la tibia. Se il legamento crociato anteriore è leso la tibia avanza in direzione anteriore rispetto al femore. Il test del cassetto anteriore viene ripetuto diverse volte con il piede e la gamba del paziente in

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intrarotazione, in rotazione neutra e in extrarotazione: Come nel test di Lachman, anche in questo caso occorre confrontare il risultato ottenuto dal ginocchio offeso con quello controlaterale sano. Il test è positivo nelle rotture complete del legamento crociato anteriore, ma è meno sensibile del test di Lachman nella diagnosi delle lesioni parziali.

Instabilità anterolaterale del ginocchio Le instabilità secondarie a lesione del legamento crociato anteriore si

manifestano con episodi di cedimento del ginocchio. I pazienti riferiscono una sensazione di slittamento del ginocchio nei movimenti di rotazione verso destra o verso sinistra, quando il piede è appoggiato al terreno. Questo slittamento è dovuto alla sublussazione anteriore della tibia sul femore.

Pivot shift test. Il test permette di identificare la maggior parte dei casi di

instabilità clinicamente significativa del ginocchio. Il paziente deve giacere rilassato in posizione supina, mentre il medico si pone lateralmente all’arto teso. Con una mano l’’esaminatore afferra il piede del paziente, mentre l’altra viene posta sul versante laterale del ginocchio, con il pollice in corrispondenza del margine posteriore della testa del perone. Mentre la tibia viene intrarotata dalla mano che sostiene il piede, sul ginocchio esteso viene applicata una sollecitazione in valgismo. Questa manovra determina la sublussazione anteriore dell’emipiatto tibiale esterno sul femore. Quando il ginocchio si trova in estensione, il tratto ileotibiale si trova anteriormente al centro di rotazione attuale del ginocchio e agisce come estensore. Il ginocchio viene quindi lentamente flesso e la sublussazione diviene più evidente. In un punto compreso fra i 20 e i 40 gradi di flessione, il tratto ileotibiale scivola posteriormente al centro attuale di rotazione del ginocchio e, divenuto flessore, provoca l’improvvisa riduzione della sublussazione tibiale, che è palpabile, visibile e spesso udibile.

Una delle conseguenze dovuta al ripetersi delle sublussazioni del ginocchio nel corso delle attività quotidiane è la rottura meniscale. Quando la tibia si sublussa sul femore il menisco esterno viene spinto anteriormente e resta intrappolato fra condilo femorale laterale e margine posteriore del piatto tibiale esterno. Durante la riduzione, le forze complessive che agiscono sul menisco sono di intensità notevole e possono provocare la rottura acuta o un’erosione graduale del menisco, cause di blocco articolare.

Anche altri test, come quello di Losee, che viene eseguito con il paziente in decubito laterale, e il test del cassetto in flessione-rotazione, provocano la sublussazione anteriore della tibia quando il ginocchio è in estensione e la sua riduzione in flessione fra i 20° e i 40°. Nelle instabilità del legamento crociato anteriore tutti questi test sono positivi. Se però il paziente non è rilassato, i test possono risultare falsamente negativi, mascherando la gravità della lesione; per questo motivo è spesso necessario eseguire l’esame in narcosi.

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Disinserzioni del legamento crociato anteriore La frattura della spina tibiale è un segno di disinserzione parziale o completa

del legamento crociato anteriore dalla sua inserzione tibiale. La frattura si verifica solitamente per un’iperestensione del ginocchio o a seguito di un brusco movimento di torsione. Se la frattura è scomposta, il frammento libero può essere causa di blocco articolare, accompagnato da versamento articolare ematico.

Le fratture di tipo I sono incomplete, mentre quelle di tipo II sono complete ma composte. Le fratture di tipo III vengono suddivise in tipo IIIA (completa e scomposta) e di tipo IIIB (completa, scomposta e ruotata).

Le fratture composte e quelle che si riducono anatomicamente con l’estensione del ginocchio possono essere trattate con l’’immobilizzazione in estensione. La consolidazione si verifica di solito in 5 o 6 settimane; trascorso tale periodo il paziente inizia gli esercizi di mobilizzazione attiva e di rinforzo del quadricipite e dei muscoli posteriori della coscia.

Il trattamento chirurgico è indicato nelle fratture di tipo IIIA e IIIB che non possono essere ridotte incruentamente. La presenza di blocco meccanico dell’estensione costituisce un’indicazione al trattamento chirurgico. La riduzione della frattura può essere ostacolata dall’interposizione del corno anteriore di uno dei menischi fra la spina tibiale e il suo letto.

Nel corso dell’’intervento chirurgico vengono asportati tutti i tessuti molli interposti nel focolaio di frattura e la spina tibiale, ridotta nella sua posizione anatomica, viene sintetizzata mediante sutura o con vite. Una sintesi corretta e stabile consente al paziente di riacquistare rapidamente la motilità, sotto la protezione di un tutore.

Molte rotture acute del legamento crociato anteriore possono essere trattate conservativamente. Nei casi in cui all’esame clinico, eventualmente effettuato in narcosi, la lassità legamentosa appare di grado modesto e non vi sono segni di lesione meniscale, risulta indicato un precoce e intenso programma riabilitativo. Se il test di Lachmann o il cassetto anteriore denotano una lieve instabilità legamentosa, ma il pivot shift test risulta negativo e non vi sono segni di altre lesioni associate, l’immobilizzazione in apparecchio gessato può essere sufficiente.

La fisioterapia è mirata al rinforzo del quadricipite e della muscolatura posteriore della coscia. E’ possibile che un ginocchio inizialmente stabile, sviluppi successivamente una graduale instabilità, che può infine rendere necessaria la plastica del legamento crociato anteriore. L’aumento dell’instabilità può essere causa di lacerazioni meniscali.

In genere il trattamento chirurgico artrotomico è indicato nei pazienti con lesioni del legamento crociato anteriore e positività del pivot shift test. Il tipo di intervento varia in rapporto allo stile di vita del paziente, alle sue aspettative e alle sue condizioni generali. Nei pazienti anziani e sedentari il trattamento chirurgico può non essere necessario, mentre nei pazienti più giovani e molto attivi la terapia chirurgica riparativa o ricostruttiva è spesso indicata. Dato che a distanza di molto tempo dalla ricostruzione spesso si verificano recidive dell’instabilità, lo scopo dell’intervento è di

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prolungare il più a lungo possibile l’integrità dei menischi ritardando così la comparsa della gonartrosi.

In conseguenza del mancato trattamento o del trattamento conservativo di una lesione del legamento crociato anteriore l’instabilità può essere notevole. I pazienti che lamentano cedimenti del ginocchio durante lo svolgimento delle normali attività quotidiane sono candidati all’intervento ricostruttivo. Quando i cedimenti si presentano unicamente in occasione di attività fisiche intense, può essere sufficiente la prescrizione di un tutore.

Per la riparazione o ricostruzione del legamento crociato anteriore possono essere utilizzate numerose tecniche. La tecnica di Insall previene la sublussazione anteriore della tibia sul femore. La fissazione del lembo di tratto ileotibiale alla tibia consente la mobilizzazione precoce del ginocchio; il carico completo viene concesso quando il paziente è in grado di raggiungere l’estensione completa. Dopo l’’intervento i pazienti dovrebbero evitare la pratica di sport pericolosi per almeno un anno.

Oggi la tecnica di ricostruzione prevalentemente utilizzata consiste nella sostituzione del legamento crociato anteriore con un lembo osteo tendineo del rotuleo, fissato con due viti.

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2.8 Rotture del legamento crociato posteriore Il legamento crociato posteriore è il principale stabilizzatore del ginocchio in completa estensione. Le più comuni cause di rottura sono l’iperestensione del ginocchio anteriore spesso da trauma diretto sulla sua faccia. Anche le violente sollecitazioni in varismo o in valgismo dovute alla lesione dei legamenti collaterali possono essere causa di rottura del legamento crociato posteriore. Test del cassetto posteriore. La diagnosi viene formulata sulla base di un’anamnesi completa e di un attento esame clinico. Il test del cassetto posteriore viene effettuato sul paziente in decubito supino con ginocchio flesso a 90°. Il piede del paziente viene bloccato dalla coscia dell’esaminatore che vi si appoggia sedendosi sul lettino, come per il test del cassetto anteriore. Con entrambe le mani il medico spinge la tibia in direzione posteriore, nel tentativo di sublussarla rispetto al femore. Applicando alternativamente una spinta e una trazione, l’esaminatore può determinare se il legamento crociato anteriore è integro e se la tibia si disloca posteriormente. L’operatore deve identificare il punto di partenza della manovra per poter determinare con precisione quale dei due legamenti crociati è leso. Segno dello slivellamento posteriore. Il paziente giace rilassato e in decubito supino; uno spessore viene posto al di sotto della parte distale della coscia, mentre il tallone del paziente poggia sul piano del lettino, così che il polpaccio resti sollevato. Il medico osserva lateralmente il ginocchio, in presenza di rottura del legamento crociato posteriore, la tibia si sublussa posteriormente e la superficie anteriore della porzione prossimale della gamba appare livellata rispetto al femore.

Un deficit del legamento crociato posteriore permette l’iperestensione del ginocchio. La rottura del legamento crociato posteriore rende possibile una notevole iperestensione ed è responsabile di un’abnorme lassità alle sollecitazioni in varismo e in valgismo in estensione completa.

Come per il legamento crociato anteriore, l’avulsione dell’inserzione del legamento costituisce indicazione alla sua reinserzione chirurgica.

Nei casi in cui non è possibile effettuare l’osteosintesi del frammento avulso, la maggior parte dei chirurghi opta per il trattamento conservativo. Gli interventi riparativi sul legamento crociato posteriore hanno di solito minor successo di quelli sul crociato anteriore: spesso, infatti, l’instabilità recidiva e residua una limitazione funzionale. I risultati degli interventi ricostruttivi nei casi di rottura del legamento crociato posteriore associata a lesione del punto d’angolo postero-laterale della capsula aricolare sono spesso modesti.

La ricostruzione del legamento crociato posteriore è indicata solo nei pazienti con richieste funzionali del tutto particolari o nei soggetti con grave instabilità. Una tecnica prevede la trasposizione dell’’origine del gemello mediale. Dopo l’’intervento il ginocchio viene immobilizzato in flessione di 30° con un apparecchio gessato o una

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doccia per un periodo di 6-8 settimane; successivamente viene intrapresa un’intensa terapia riabilitativa. Dopo un simile periodo di immobilizzazione la ripresa della completa estensione è assai difficile.

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2.9 Lussazioni del ginocchio La lussazione del ginocchio deve essere distinta dalla lussazione della rotula.

Mentre, infatti, quest’ultima coinvolge l’articolazione femorotulea, la lussazione del ginocchio interessa l’articolazione femoro-tibiale. Qualsiasi lussazione costituisce un’’emergenza e la lussazione del ginocchio non fa eccezione. La causa patogenetica più frequente è costituita dall’’urto violento del ginocchio contro il cruscotto dell’autovettura durante un incidente stradale, ma anche le lesioni sportive sono piuttosto comuni. L’interessamento dell’arteria poplitea o dei suoi rami è più frequente: in ogni lussazione del ginocchio deve essere sospettata la presenza di lesioni arteriose la cui diagnosi spesso richiede l’esecuzione di un’arteriografia. La riparazione delle lesioni arteriose deve essere eseguita immediatamente.

La classificazione delle lussazioni del ginocchio si fonda sulla posizione della tibia rispetto al femore. Nelle lussazioni anteriori la tibia è in posizione anteriore rispetto al femore, mentre nelle lussazioni posteriori è dislocata posteriormente ad esso. Sono inoltre possibili lussazioni laterali, mediali e rotatorie, nonché situazioni miste, quali le lussazioni antero-laterali o postero-laterali. Il riscontro di lesioni vascolari è più frequente nel caso di lussazioni anteriori, mentre nelle posteriori è più frequente osservare la lesione del nervo peroneo.

La diagnosi di lussazione del ginocchio si fonda sull’anamnesi e sul riscontro dei segni clinici caratteristici. Se la lussazione non si è ridotta spontaneamente prima che il paziente venga esaminato la diagnosi è agevole, per l'evidente deformazione del ginocchio. La riduzione spontanea delle lussazioni del ginocchio è comunque piuttosto comune. Quando all’esame clinico o a quello radiografico non è evidente una lussazione, ma all’anamnesi si rileva un grave traumatismo a carico del ginocchio occorre sospettare che si sia verificata la riduzione spontanea di una lussazione. Il riscontro di grossi versamenti o di emartro è raro: l’ampia lacerazione della capsula articolare consente, infatti, la diffusione del liquido nei tessuti molli particolari.

Il trattamento iniziale della lussazione del ginocchio prevede la riduzione, che va eseguita al più presto. La manovra di riduzione viene eseguita con una cauta trazione longitudinale: è talvolta utile una blanda sedazione. In caso di difficoltà, la manovra deve essere effettuata in narcosi. Dopo la riduzione è necessaria l’attenta sorveglianza delle condizioni neurovascolari dell’arto. Molte lussazioni del ginocchio vengono trattate con immobilizzazioni in doccia o in apparecchio gessato; dato che il ginocchio, una volta ridotto, è piuttosto instabile, è difficile mantenere i capi articolari in posizione corretta senza ricorrere alla sintesi interna. A questo scopo è possibile impiegare grossi chiodi di Steinmann [o preferibilmente la ricostruzione (n.d.s.)] oppure è possibile eseguire la riparazione chirurgica dei legamenti e della capsula articolare lacerati. La riparazione chirurgica mantiene la riduzione e assicura la stabilità a lungo termine.

La triforcazione dell’arteria poplitea è vincolata al piano osseo nel punto in cui l’arteria tibiale anteriore si impegna in un foro della membrana interossea. Spesso nelle lussazioni anteriori si verifica un grave stiramento dell’arteria e della vena

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poplitea. Se la lussazione non viene ridotta e se l’ostacolo al flusso persiste per alcune ore, il ripristino del circolo può determinare la comparsa di una sindrome compartimentale, che rappresenta una complicanza grave dalle conseguenze spesso irreversibili.

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Capitolo 3 Le patologie più frequenti nel Tennis

3.1 Le Patologie più frequenti Le patologie possono essere di due tipi: da sovraccarico funzionale (sollecitazione articolare abnorme e/o eccessivamente ripetuta) o traumatiche (cadute o colpi diretti). Il sovraccarico funzionale provoca con maggiore frequenza le tendiniti. Tale malattia dei tendini è stata definita dagli autori anglosassoni "overuse injury" per indicare nel sovraccarico la causa principale dell'insorgenza dell'infiammazione.Le tendinopatie si originano ,infatti, dal sovraccarico funzionale, a causa della ripetizione del gesto sportivo per tempi lunghi. L’azione traumatica derivata dalla somma di forze esterne ed interne indurrebbe nei tessuti un’alterazione della componente cellulare con conseguente processo infiammatorio e caratteristico dolore.Tra gli esempi più tipici si riscontrano le tendiniti rotulee.La sintomatologia è caratterizzata dal dolore, con conseguente riduzione funzionale, mentre l’obiettività clinica spesso non è molto evidente.Ci può venire in aiuto l’esame xeroradiografico oppure l’esame termogfrafico e teletermografico. Condropatia Il tennis professionistico, ponendo spesso l’atleta in condizioni di sovraccarico articolare può provocare un’usura della cartilagine. Questo tessuto è la sostanza liscia che ricopre le ossa nell’articolazione del ginocchio e che ne favorisce i movimenti. All’interno della cartilagine si trovano delle cellule chiamate condrociti che producono delle grosse molecole chiamate proteoglicani, che formano una specie di gelatina densa racchiusa all’interno di una rete di fibre collagene. Quando la pressione meccanica esercitata sulle cartilagini è troppo forte, l’intera struttura si danneggia e i condrociti secernono degli enzimi che hanno il compito di assorbire le fibre danneggiate, facilitando così la pulizia delle lesioni. Non sempre questo processo è perfettamente regolato: a volte la degradazione chimica va ben oltre l’assorbimento dei danni meccanici. Si possono produrre allora la spinta infiammatoria, l’artrosi distruttiva rapida o la condrolisi acuta. Nel corso dell’infiammazione la cartilagine se pur lentamente cicatrizza diventando più rigida; anche le ossa sotto la cartilagine risponde alle sollecitazioni meccaniche e diventa più denso. E’ la prima tappa dell’artrosi, che può essere individuata con una radiografia.Più tardi, quando la reazione delle ossa si intensifica, sui lati

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dell’articolazione compaiono delle escrescenze ossee che assumono un’aspetto caratteristico, detto a becco di pappagallo. La struttura delle ossa diventa rapidamente meno flessibile e contribuisce meno ad assorbire pressioni e urti. La cartilagine, fibrosa e rigida, incassa allora tutti gli shock e si fessura facilmente. Ginocchio del saltatore Gli atleti che compiono salti su superfici dure o duro elastiche vanno frequentemente incontro al cosiddetto ginocchio del saltatore. Nei giocatori di tennis l’atleta maggiormente esposto è quello che gioca prevalentemente sulle superfici in cemento, per i continui microtraumi in caduta dopo la battuta.Interessa l’apparato estensore del ginocchio (rotula e tendine rotuleo). L’atleta riferisce un dolore localizzato anteriormente.Se non curata può evolvere in una lendinosi che può comportare la rottura stessa del tendine rotuleo.Con l’indagine ultesonografica è possibile effettuare una diagnosi corretta precocemente.Il trattamento si basa sul riposo per alcuni giorni e laser IR; la ripresa degli allenamenti dopo 15-20 giorni. Le lesioni traumatiche, oltre ad avere un maggiore impatto emotivo, a volte possono condizionare stabilmente la performance la longevità sportiva dell'atleta e a volte anche il futuro del ginocchio. Le lesioni traumatiche di solito sono causate da un evento distorsivo. Il ginocchio fisiologicamente presenta un ampio movimento di flesso/estensione ed un limitato movimento di intra/extrarotazione. Se per motivi biomeccanici le forze che agiscono sul ginocchio hanno delle direzioni anomale e quindi inducono dei movimenti non presenti, sovraccaricano le strutture che si oppongono a tali abnormi movimenti; queste strutture sono i legamenti e i menischi. Le lesioni capsulolegamentose di ginocchio sono una evenienza molto frequente nella pratica di attività sportive (30-35% delle distorsioni di ginocchio), queste lesioni possono verifìcarsi per due meccanismi: trauma diretto e indiretto. Le lesioni da trauma diretto, che avvengono in sport da contatto (calcio, basket, rugby) durante una fase di gioco, si verifìcano più frequentemente attraverso un violento movimento di valgo-rotazione esterna, interessando prima il legamento collaterale mediale, quindi il legamento crociato anteriore ed eventualmente i menischi a seconda dell'intensità del trauma. Un trauma diretto che provoca una varizzazione forzata del ginocchio, meno frequente, comporta dapprima la lesione del legamento crociato anteriore quindi il legamento collaterale laterale. Un terzo meccanismo traumatico diretto, molto raro, che si verifica per una forza violenta in senso posteriore della gamba, può causare la rottura del legamento crociato posteriore.Nel tennis avvengono solo traumi indiretti. Infatti, gli atleti in seguito a cambi improvvisi di velocità,di direzione o per un’errato atterraggio dopo il servizio, lo smash o la volee’possono subire una distorsione del ginocchio. Sollecitazioni della tibia in valgismo e rotazione esterna possono ledere il legamento collaterale interno, il menisco interno e il legamento crociato anteriore. Meno frequente è il movimento opposto, in varismo e rotazione interna,

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che coinvolge nell'ordine il collaterale esterno, il menisco esterno e il crociato posteriore Le lesioni da trauma indiretto quindi, si verifìcano attraverso 2 principali meccanismi:

- valgo-rotazione esterna: si verifica durante un cambio di direzione, ricaduta da un salto in cui vengono interessati dapprima il legamento collaterale mediale ed il legamento posteriore obliquo, quindi il legamento crociato anteriore - varo-rotazione interna: avviene durante un rapido cambio di direzione e provoca la lesione del legamento crociato anteriore e quindi anche il legamento collaterale laterale

Tra le strutture maggiormente colpite da traumi acuti vi sono sicuramente i menischi.Essi sono addossati e fusi con la capsula articolare, possiedono una discreta mobilità e deformabilità che consente loro di adattarsi ai mutamenti spaziali che si verificano durante i diversi movimenti articolari; la loro funzione è di stabilizzare il movimento di scivolamento e rotolamento dell’estremità femorale, grossolanamente sferica, su una superficie piatta quale è quella della tibia.

Rottura del menisco

Quando una od entrambe queste strutture, o per un movimento sbagliato o per uno sbilanciamento dell’atleta, rimangono " intrappolate" tra il femore e la tibia vengono contuse o lacerate.

Sintomi Il quadro clinico solitamente è di vivo dolore, con impossibilità a poggiare a terra l’arto colpito; soventemente il ginocchio si gonfia rendendo il dolore più acuto. Diagnosi e trattamento La diagnosi di rottura meniscale nella gran parte dei casi indirizza all’intervento chirurgico, solitamente condotto in artroscopia; mediante tale intervento che prevede piccole incisioni si procede a seconda dei casi a riparazione meniscale o più frequentemente a sezione della parte lesa del menisco. I postumi sono generalmente poco rilevanti nel medio periodo ed il recupero assai rapido. Se non viene adeguatamente trattata, una lesione meniscale può evolvere

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verso quadri patologici più seri, provocando l'usura della cartilagine del ginocchio e quindi l'artrosi. Come per i menischi un’anomala energia impressa ai legamenti da movimenti abnormi può causarne una distensione tale da provocarne la rottura parziale o totale.

La sintomatologia è simile a quella della rottura meniscale; raramente vi è la rottura di entrambi i legamenti ed è da sottolineare che quello che più frequentemente si danneggia è l’anteriore. Il legamento crociato anteriore del ginocchio è sollecitato durante una partita di tennis ed è estremamente importante per la stabilità del ginocchio. La rottura o lesione isolata del legamento crociato anteriore si osserva spesso durante una distorsione del ginocchio mentre il muscolo quadricipite è contratto. L’atleta,in generale si rompe il legamento quando, con il quadricipite contratto e il piede bloccato al suolo, il ginocchio effettua un movimento di torsione. E' in questo momento che il tennista ha l'impressione che il ginocchio si sublussi e nello stesso istante a livello del ginocchio si può sentire un "crack". Il dolore può essere immediato e il ginocchio può gonfiarsi; dopo alcuni minuti, tuttavia se la lesione è isolata, l’atleta può rialzarsi e camminare. Il dolore è di intensità variabile, in quanto determinato dalla presenza più o meno cospicua di versamento articolare. La rottura o lesione totale del legamento crociato anteriore necessita una sua ricostruzione chirurgica.Nel caso in cui non venga ricostruito, si consiglia l'abbandono. Il rischio nel praticare tennis con una rottura del legamento crociato anteriore è quello di continuare ad avere distorsioni che possono portare, in alcuni casi e dopo circa 20/30 anni, ad un’artrosi (usura della cartilagine). La rottura del legamento può associarsi ad una rottura dei menischi : attualmente si cerca di effettuare l'intervento prima che i o il menisco siano rotti. Tuttavia, nel caso in cui vi sia una rottura meniscale, in occasione della ricostruzione del legamento,si cerca dove possibile, di suturare il menisco rotto. In generale una rottura del crociato anteriore non necessita un intervento d’urgenza come nel caso di una frattura. Tra i legamenti mediale e collaterale il più frequentemente interessato da lesioni acute è il collaterale mediale che nella maggior parte dei casi subisce lesioni parziali che ben riparano con un’adeguata immobilizzazione. Altre volte invece la lesione è così profonda che l’unica soluzione è l’intervento chirurgico per riparare e ritendere il legamento rotto.

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Distorsione di 1° grado Distorsione di 2° grado Distorsione di 3° grado Rottura completa dei legamenti

Molto raramente si possono verificare lesioni complesse: quando due o più strutture articolari vengono coinvolte ( p.e. rottura meniscale e lesione legamentosa sia del crociato anteriore che del collaterale mediale); la soluzione chirurgica diviene indispensabile per restituire stabilità al ginocchio, ma è evidente che vi saranno evidenti postumi del trauma subito ed i tempi di recupero risulteranno assai lunghi. La rottura dei legamenti collaterale tibiale e crociato anteriore con

lesione del menisco mediale è la triade infausta. Se il dolore o "il ginocchio che si blocca" è il sintomo principale, può trattarsi di una sindrome rotulea dolorosa. E' una patologia frequente, benigna che, in generale, non necessita di alcun trattamento chirurgico. Nel caso in cui l'instabilità della rotula del ginocchio sia il sintomo principale ( la rotula si lussa o ha tendenza a lussarsi lateralmente ) può trattarsi di una instabilità rotulea : nella maggior parte dei casi sulla radiografia in laterale del ginocchio sarà riconoscibile la displasia della troclea del femore e un trattamento chirurgico può essere indicato. Il dolore è in generale localizzato a livello anteriore del ginocchio L'instabilità al ginocchio è il secondo sintomo: l’atleta ha l'impressione che il ginocchio sia debole, che gli ceda o addirittura lo fa cadere improvvisamente per terra. In questi casi si tratta di una lussazione della rotula, che, in generale, può ridursi spontaneamente. Troppo spesso, purtroppo, questo episodio viene diagnosticato come una banale distorsione del legamento collaterale mediale. Il ginocchio che "si blocca" è il terzo sintomo: in generale si blocca in flessione e può manifestarsi in circostanze molto variabili: anche in questo caso purtroppo spesso si pensa che possa essere un blocco di origine meniscale. In realtà quando l’atleta racconta che il suo ginocchio "si blocca" descrive di non riuscire più a piegare il ginocchio: si tratta di un blocco di origine rotulea e sicuramente non di un blocco dovuto ad una rottura del menisco che è caratterizzato da una perdita della completa estensione del ginocchio. Il ginocchio è impegnato nella costante ricerca di un eqilibrio statico-dinamico tridimensionale tra i vari gruppi muscolari.

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Il mancato equilibrio tra questi gruppi muscolari sul piano sagittale è all’ordine del dolore rotuleo. La morfologia dell’articolazione femoro-patellare deriva, durante la crescita, da un compromesso che avviene tra strutture osteocartilaginee da un lato ed azioni muscolari dall’altro. La rotula ha funzione di centratura durante la contrazione del quadricipite con effetto di aumentare la forza e frenare il movimento di flessione del ginocchio, oltre a ripartire gli sforzi applicati al tendine rotuleo e a stabilizzare il ginocchio nei movimenti rotatori. Il buon funzionamento della rotula è basato sulla presenza di un angolo di valgismo femoro-tibiale di circa 5 -7 gradi. Il muscolo quadricipite gioca un ruolo fondamentale nella stabilità rotulea: interviene tramite un fascio monoarticolare con il vasto intermedio e poliarticolare con il retto femorale: il vastro mediale obliquo assicura la stabilità verticale, orizzontale e rotatoria. Dall’altro lato, ma sottoposto a sforzi minori, vi è il vasto esterno e l’espansione tendinea della bendelletta ileo-tibiale. Il quadricipite nel suo insieme è in grado di esercitare una notevole forza, basti pensare che per salire una comune scala, un soggetto di 70 kg. esercita a 45° di flessione del ginocchio una forza di circa 200 kg. con il quadricipite. La stabilità legamentosa della rotula è realizzata dai legamenti alari interno ed esterno, la tensione di quest’ultimo può influenzare la morfologia rotulea. La corsa della rotula durante il movimento di flesso estensione è di 7.4 cm. e gli sforzi cui è sottoposta variano a seconda delle fasi del movimento: da 30 a 40 gradi la rotula aumenta la sua stabilità in modo significativo. Si sposta sul piano sagittale in avanti ed indietro di circa 35 gradi descrivendo una curva a concavità posteriore. Solo il 4% delle rotule in estensione completa con quadricipite contratto sono centrate, mentre il 13% sono centrate con quadricipite rilassato. L’angolo Q, quello tra asse tibiale e tendine rotuleo, normale va da 10 a 15 gradi. Un angolo Q aumentato di una ipertensione tibiale determina un aumento degli sforzi sulla faccetta interna della rotula da 20 a 45 gradi. I muscoli ischio-crurali hanno prossimalmente una inserzione unica sulla tuberosità ischiatica, la loro azione non si limita alla flessione della gamba sulla coscia, ma determina un ricentraggio dinamico rotatorio. Nella flessione in carico la faccia posteriore della rotula subisce una notevole

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compressione contro il femore, per diminuire lo sforzo rotuleo i muscoli gemelli si contraggono e richiamano indietro il femore. Attraverso il tendine d’Achille si trova così la centratura sagittale che esiste per il quadricipite con tendine rotuleo. Il movimento di flesso estensione del ginocchio dipende da ben 29 coppie d’azione muscolare, che assicurano l’equilibrio delle articolazione femoro-tibiale e femoro-patellare ed ogni movimento di flessione o di estensione. L’obiettivo del ginocchio è quindi quello di rimanere costantemente centrato. I legamenti devono in ogni fase del movimento mantenere costanti le distanze tra i capi ossei: ogni lassità legamentosa determina una modifica dei movimenti flessori e quindi una disarmonia muscolare. In molti casi è la rotula che deve sopportare un sovraccarico. Esiste uno stretto sinergismo L.C.A. ed ischio-crurali e tra gemelli ed L.C.P. E’ importante notare nei movimenti di estensione l’azione protettiva dei muscoli flessori posteriori nei confronti dell’articolazione femoro-patellare. La retrazione o l’ipertonia permanente sul retto femorale, provoca una iper pressione rotulea a partire da 30° di flessione determinando anche un basculamento anteriore del bacino; in questo caso i muscoli ischio-crurali si allungano, diminuiscono il freno verticale femoro-tibiale favorendo la traslazione anteriore della tibia che aggrava il sovraccarico rotuleo.Mentre non è molto importante lo studio dei valori di forza del quadricipite, ma è fondamentale valutare gli ischio-crurali ed i gemelli ed, inoltre, ricercare eventuali disequilibri del bacino.D’altro canto in caso d’importante retrazione di ischio-crurali si può arrivare ad un ginocchio flesso con disarmonia rotatoria.Si comprende quindi che la maggior parte delle sindromi della rotula sono la conseguenza di un vizio di funzionamento dell’apparato estensore, il cui buon funzionamento deve essere recuperato tramite il trattamento riabilitativo o chirurgico.

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3.3 Patologie meno frequenti Parlando di lesioni del Legamento Crociato Posteriore (LCP) dobbiamo distinguere: lesione parziale, lesioni complete isolate, lesioni combinate ed avulsioni ossee. Una lesione del LCP si considera isolata quando la traslazione posteriore della tibia è meno di 10 mm. Diminuisce con il ginocchio in intrarotazione, non è associata ad anomale lassità anteriore ed in varismo inoltre, non è presente un aumento superiore a 5° della extrarotazione dell’arto misurata con il ginocchio flesso a 30° e 90°. Quando la lesione del LCP non è isolata ovvero altre strutture legamentose sono interessate, l’indicazione terapeutica è chirurgica. Le avulsioni ossee vengono tratte chirurgicamente; il trattamento delle lesioni isolate complete o parziali è tuttora molto discusso.

Eziopatogenesi

Il meccanismo lesionale è frequentemente un trauma diretto antero posteriore così come avviene nella classica lesione da cruscotto ma il LCP può rompersi anche per una iperflessione od una violenta iperestensione del ginocchio. La letteratura fornisce percentuali di incidenza fra tutte le lesioni legamentose che variano dall’8% al 20%. L’analisi di alcuni studi multicentrici rivela che il trauma iniziale era nel 26% dei casi un incidente sportivo e nel 64% dei casi un incidente stradale, più spesso in moto; soprattutto in questi casi la lesione del LCP è frequentemente associata a politraumatismi (55% dei casi). Nell’ambito sportivo, si verifica più facilmente negli sport di contatto (30% dei casi). Riteniamo che la lesione del LCP sia probabilmente più frequente di quanto non venga diagnosticato proprio perché spesso associata a complessi traumi dell’apparato scheletrico; lesione legamentosa infatti, può passare misconosciuta sia per una reale difficoltà valutativa che per la priorità che di solito viene data in casi, al trattamento delle lesioni associate, talora interessanti organi vitali.

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3.4 Atleti infortunati

La tedesca Steffi Graf, numero 3 della classifica mondiale del tennis femminile, e' stata sottoposta a un intervento chirurgico al ginocchio sinistro, in una clinica privata a Vienna nel giugno 1997.

L'assenza della tedesca dai campi di gioco viene quantificata in quattro mesi. Ad operare sarebbe stato il professor Reinhard Weinstabl, marito della tennista austriaca Barbara Paulus.

La Graf si era infortunata a Tokyo il primo febbraio scorso, ed era stata costretta a un riposo forzato. Il rientro a meta' maggio nel torneo di Berlino. Al Roland Garros, dopo l'eliminazione ai quarti di finale con la sudafricana Amanda Coetzer, gli osservatori piu' attenti avevano notato una sua camminata lievemente zoppicante. L'operazione si sarebbe resa necessaria per la cattiva posizione della rotula, che irritava il tendine. Dopo la rapida convalescenza in clinica, la Graf ha seguito una terapia di riabilitazione nella clinica di un kinesiterapista austriaco.

L'argentino Hernan Gumy (nella foto) è stato costretto a ritirarsi a causa di un infortunio al ginocchio mentre stava conducendo l'incontro con il greco Solon Peppas (7/6 - 4/3). Il croato Goran Ivanisevic ha subito un’infortunio al ginocchio destro ,stiramento del legamento collaterale mediale, nel torneo di Dubai il 25 febbraio del 2003.

Il campano Starace riprende ad allenarsi dopo l'operazione al ginocchio (02/10/2003). Potito Starace torna ad allenarsi. Il campione di tennis di Cervinara è stato lontano dai campi per quasi un mese, a causa di un intervento chirurgico al ginocchio. L'operazione si è resa necessaria dopo l'infortunio nel corso del torneo di Genova. "Dopo venti giorni di stop - Starace – ha riprenso la preparazione fisica. L’americana Davenport subisce un intervento chirurgico al ginocchio nel gennaio 2002. Dal torneo Sanex Championship in cui Lindsay Davenport fu costretta al ritiro a causa di un serio infortunio al ginocchio. Sei mesi dopo l'intervento chirurgico al quale si è sottoposta, e dopo fisioterapia e stampelle, Lindsay torna finalmente a giocare e vincere. Non solo Lindsay ha debuttato vittoriosamente, ma ha anche impressionato per il suo recupero fisico. Ha dimostrato solidità nel gioco e in particolar modo nel servizio che ha toccato punte di 104 miglia orarie. Lindsay ha dichiarato che dovrà

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lottare duramente per tornare forte come prima dell’infortunio. Successivamente a New Haven 06/02/2004 Davenport ha dichiarato di avvertire un fastidioso indolensimento al ginocchio che ha contribuito alla sua sconfitta ai French Open 2004 con Elena Dementieva per 6/3 6/1.

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3.5 Casistica C'è una casistica nella distorsione al ginocchio con lesione dei legamenti che colpisce soprattutto le ragazze. Nel tennis come nel basket e nella pallavolo, la donna è molto più soggetta, rispetto all'uomo, alle lesioni legamentose del ginocchio. La causa che produce questa maggiore incidenza nelle femmine non è stata ancora scoperta. Sono state avanzate una serie di ipotesi tra le quali le più accreditate sono: 1. una maggiore predisposizione ai traumi in valgoextrarotazione per il differente asse anatomico del ginocchio; 2. una maggiore debolezza della struttura legamentosa dovuta a fattori ormonali; 3. una maggiore predisposizione ai traumi distorsivi per le azioni di gioco più lunghe; La prima e, dal nostro punto di vista, la più accreditata ipotesi è da ricercarsi nella conformazione strutturale della donna. La donna, per motivi di gestazione e di parto, presenta un bacino più largo rispetto agli uomini. Il bacino più largo condiziona l'asse del femore, il quale determina a livello del ginocchio un maggiore valgo. E' intuitivo che se un abnorme forza, di solito determinata dal peso del corpo in caduta da un attacco, si scarica in maniera squilibrata sul ginocchio, tenderà, nel ginocchio valgo, a chiudere la parte laterale (rima laterale) ed aprire la parte mediale (rima mediale). Le strutture che si oppongono a tale abnorme movimento sono il legamento collaterale mediale e il legamento crociato anteriore. Essendo la ricaduta a terra i due momenti in cui sono presenti i maggiori rischi, è importante che gli allenatori curino adeguatamente l'atterraggio della battuta. La seconda ipotesi, che può benissimo coesistere con la prima, è legata all'effetto che alcuni ormoni, prettamente femminili, hanno sulla composizione cellulare dei legamenti. Delle recenti scoperte hanno evidenziato il ruolo negativo recitato dagli estrogeni sulla tenuta dei legai menti Quindi costituzionalmente la donna presenta una maggiore elasticità ma di contro una maggiore debolezza legamentosa. La terza ipotesi attribuisce al fattore stanchezza una priorità causale sugli eventi distorsivi. Sicuramente le azioni del tennis femminile sono più lunghe rispetto alla maschile. Ciò è dovuto alla minore potenza dell'attacco che permette una maggiore efficacia della difesa e di conseguenza la palla restò più in gioco. Non ci convince tale ipotesi per due motivi: a) se accettassimo tate ipotesi, la maggior parte dei traumi

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avverrebbe durante delle azione tirate negli ultimi set delle partite e invece molti dei traumi distorsivi avvengono sia nel riscaldamento sia durante il primo set; b) sport quali il calcio e il basket, in cui non sono giustificate nelle donne azioni di gioco più lunghe, presentano la stessa maggiore incidenza nel sesso femminile.

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Capitolo 4 Prevenzione degli Infortuni nel Tennis

4.1 Come prevenire i traumi Gli atleti agonisti devono necessariamente effettuare allenamenti specifici, con determinati carichi di lavoro, ed eseguire ripetutamente i movimenti tipici dello sport praticato, potenzialmente lesivi per le strutture anatomiche; pertanto l’unico modo per diminuire il rischio di patologia è curare con la massima attenzione le fasi di preparazione iniziale all’allenamento ed alla gara, effettuando esercizi di mobilità e di allungamento (stretching) e curando il riscaldamento muscolare sia generale che specifico. E’ altresì importante una adeguata preparazione di base, la corretta somministrazione dei carichi di lavoro ed un tempo di recupero idoneo al ripristino delle condizioni basali: un recupero insufficiente, infatti, può favorire l’insorgenza delle patologie da sovraccarico funzionale e la fatica, alterando le capacità coordinative e la sensibilità propriocettiva, rendere più elevata l’incidenza di traumi acuti. Per prevenire l’insorgenza di patologie infiammatorie, specie se l’atleta ha già sofferto di questo tipo di affezione, è opportuno eseguire, dopo l’allenamento e la gara applicazioni di ghiaccio sulle strutture anatomiche maggiormente a rischio (ginocchio, tendine d’Achille, spalla) e curare in modo particolare lo stretching dei gruppi muscolari agonisti ed antagonisti. Per quanto riguarda la colonna vertebrale è fondamentale mantenere la mobilità e l’elasticità del rachide per favorire la sua funzionalità, non dimenticando di eseguire anche un lavoro specifico di tonificazione della muscolatura stabilizzatrice della colonna (muscoli addominali, lombo-sacrali ecc.). Inoltre, è importante limitare i carichi iniziali, cercare di raggiungere un peso corporeo ottimale e, soprattutto, rivolgersi immediatamente ad un medico dello sport in caso di insorgenza di sintomatologie dolorose, anche se di modesta entità. In tal modo è possibile intervenire su patologie in fase iniziale, ottenendo una più rapida e sicura guarigione e soprattutto si possono adottare tutti i mezzi idonei ad impedire una recidiva della patologia, intervenendo sulle cause: non si deve mai dimenticare che un breve periodo di terapia e di riposo, associato ad un corretto programma di riabilitazione specifica, può spesso risolvere patologie in fase iniziale, mentre continuare l’attività ne può causare l’aggravamento e determinarne la cronicizzazione, rendendo molto più complesso l’intervento terapeutico. L'atleta è esposto ad un rischio infortunistico, che può essere ricondotto alle seguenti condizioni: RISCHIO ENDOGENO Stato psico-fisico inadeguato alla prestazione atletica Attività intensa e ripetitiva Programma tecnico carente inadeguato RISCHIO ESOGENO

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Potenzialità traumatica di alcune discipline sportive, velocità, contatti fisici, ecc.; abbigliamento, attrezzi, impianti sportivi non a norma, condizioni ambientali e climatiche non favorevoli. Le adeguate misure preventive da rispettare al fine di evitare, o almeno rendere meno probabili, le patologie muscolo-tendinee ed articolari di maggior incidenza nel tennis sono: 1. adeguato riscaldamento prima dello sforzo specifico (gara e allenamento) 2. stretching prima e dopo lo sforzo fisico 3. rispetto dei tempi di recupero 4. correzione degli errori posturali e di esecuzione dei gesti tecnici specifici 5. adattamento agli attrezzi eventualmente utilizzati 6. potenziamento sia della muscolatura agonista che di quella antagonista dei

distretti interessati allo sforzo

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4.2 Tecnologie per la prevenzione

Il tennis è uno sport che si basa sulla coordinazione, sulla fluidità dei movimenti del corpo e su di un complesso di forze che spesso agiscono in modo contrastante. Giocare a tennis in modo inefficiente può portare a risultati scadenti nella migliore delle ipotesi; a gravi problemi fisici nella peggiore. La tecnologia oggi può aiutare molto i tennisti.

La tecnologia sta sempre più condizionando la nostra vita quotidiana, permettendoci di compiere operazioni assai complesse con estrema facilità e velocità, il tutto in modo efficiente e pratico. Lo sport è spesso pioniere in queste trovate, visto l’interesse economico e sociale che lo sport in genere riveste nella società moderna. Ormai i tennisti professionisti e coloro che intraprendono la lunga strada del professionismo sono sottoposti a stress fisici notevoli. Si gioca tanto, in condizioni di gioco non omogenee, e senza poter prevedere un vero schedule annuale, visto che più si vince e più si è “costretti” a giocare nel corso della settimana, rendendo difficile una vera programmazione, un calendario strutturato rigidamente. Diventa quindi ancor più importante gestire bene l’aspetto psico-fisico della prestazione, per ridurre al massimo i possibili infortuni, soprattutto quelli derivanti non da un incidente traumatico ma bensì da un problema di stress o posturale.

La tecnologia oggi può aiutare molto i tennisti nel prevenire questi problemi. Si stanno affermando alcuni dottori in biomeccanica che studiano i movimenti dei vari atleti nel compimento del gesto tecnico, nelle varie fasi di gioco, avvalendosi di sofisticati macchinari che consentono di valutare il grado di efficienza del gesto. Più un gesto è compiuto con efficienza, meno sforzo subirà il fisico (oltre ad ottenere spesso un risultato agonistico migliore), minori saranno le probabilità di subire un problema a causa del gesto stesso. Il ripetere infinite volte un movimento poco efficiente può causare seri traumi, alle articolazioni ed alla muscolatura. Moltissimi atleti hanno convissuto per tutta la loro carriera con problemi divenuti cronici proprio per la mancanza di uno studio appropriato che li abbia aiutati a capire l’errore e corretti.Si tratta,dunque,della possibilità di usufruire della moderna tecnologia informatica per migliorare la fluidità del movimento del corpo all’atto di eseguire un certo gesto tecnico, per sfruttare al meglio le proprie potenzialità e preservare la salute dell’atleta a 360°, dal logorio.

Uno dei massimi esperti mondiali nel campo è l’australiano Brad Langerveld.

Ha aiutato, tra gli altri, tennisti del calibro di Pat Cash, Greg Rusedski, Pat Rafter, Wayne Ferriera, Jason Stoltenberg.

Il suo studio è teoricamente molto semplice: analizzando al computer i movimenti di un centinaio di forti tennisti, ha elaborato un modello biomeccanico di come si

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dovrebbe eseguire un colpo di tennis per ottenere con il minor attrito, logorio e sforzo un colpo perfettamente efficiente ed efficace. Ha trovato così dei campioni “perfetti” dal punto di vista della postura e della efficienza del movimento, ai quali confronta i gesti dell’atleta che richiede un consulto, cercando così le differenze e suggerendo i possibili rimedi in accordo con l’atleta stesso. Per studiare il gesto tecnico del tennista, Langerveld usa un complesso di sofisticate telecamere digitali, riprendendo da molte angolazioni i movimenti dell’atleta mentre indossa vari sensori. Poi le immagini vengono studiate al rallentatore, sezionandole fotogramma per fotogramma, ed elaborate con un apposito software. Attraverso tecnologie raffinate si riesce a capire come i muscoli lavorano e si contraggono, a quali sforzi sono sottoposti i tendini, calcolando così lo lo sforzo generale e misurando il logorio, gli attriti, i pesi a cui sono sottoposti nei vari movimenti. La figura umana viene per così dire stilizzata, quasi fosse un fumetto, e poi via via ricomposta aggiungendo la parte interessata. E’ un lavoro decisamente complesso, non alla portata di tutti! Così facendo ha potuto analizzare ogni singolo attimo di come la “macchina corpo umano” lavora alle varie condizioni, e creare così dei diagrammi riassuntivi. Inoltre, per rendere visibile e comprensibile il tutto anche all’atleta, ha costruito dei modelli visivi molto semplici, ma efficacissimi per far capire i problemi. Uno degli elementi chiave per giocare con la massima efficienza è l’equilibrio. Equilibrio in ogni fase, soprattutto la capacità dei muscoli dell’atleta di lavorare tutti contemporaneamente nella stessa direzione, non sottoponendo così il fisico a forze contrarie all’inerzia del movimento che creerebbero soltanto resistenze e problemi. Sovrapponendo all’immagine del gesto tecnico delle righe tracciate con il computer, Langerveld ha creato una simulazione con cui l’atleta può facilmente capire dove va a finire la sua forza durante il movimento e come invece dovrebbe svilupparsi il tutto per non risultare dannoso, o comunque per essere migliore per la salute del proprio corpo. A questo punto il tennista è libero di lavorare sopra a questo studio per cambiare il proprio modo di giocare. Tra i vari campioni analizzati dallo studioso australiano, i più efficienti sono risultati, tra gli altri, il servizio di Sampras, il diritto di Agassi e di Krajicek, il rovescio di Kafelnikov, Edberg e Becker. Nel diritto del campione di Las Vegas si intravedono tutte le caratteristiche di un colpo giocato con il minimo logorio: equilibrio, scioltezza, una continua accelerazione di tutto il corpo, gambe-tronco-braccia, nella giusta direzione. L’ottimale dinamicità è ben evidenziata dal diagramma che mostra tutte rette parallele, partendo dalla preparazione, passando per l’impatto con la palla fino alla fase del rilascio. Un colpo assolutamente perfetto dal punto di vista biomeccanico. Naturalmente si parla di un diritto giocato non in condizioni estreme, ma di un colpo giocato in una fase di scambio. Langerveld: “Il limite dei tennisti è che spesso si accorgono del problema quando ormai è troppo tardi. Se si sottopone il fisico ad un logorio eccessivo in certe parti del corpo è poi difficile risolvere completamente il problema. Ed a volte proporre dei cambiamenti nella loro tecnica è molto difficile, si incontrano molte resistenze. Ideale sarebbe intervenire da ragazzini, quando ancora il fisico si sta formando, in modo da correggere alla base gli eventuali problemi e quindi creare un tennista sano dal punto di vista posturale e biomeccanico. Però sono ancora poche le scuole tennis che

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sfruttano questi metodi, probabilmente anche per problemi di costi che attualmente purtroppo non sono bassi. Dovrebbero essere le stesse federazioni nazionali ad usufruire di queste metodologie.”Si sta iniziando, ma ancora i mezzi non sono tanti.” Così parla il dott. Langerveld, nella speranza di poter dare un contributo al futuro della salute dei tennisti, e non solo.

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4.3 L’importanza dello Stretching

Nello sport lo stretching assume un’importanza basilare in quanto è proprio grazie a questo particolare sistema di allungamento/allenamento che il praticante raggiungerà la massima (ovviamente individuale) flessibilità muscolare. Origini dello stretching La parola “stretching” è un termine che proviene dall’inglese “to stretch” che in italiano significa allungamento. È una metodica che consiste nell’allungamento muscolare e nella mobilizzazione delle articolazioni attraverso l’esecuzione di esercizi di stiramento, semplici o complessi, allo scopo di mantenere il corpo in un buono stato di forma.

IL SARCOMERO - Unità contrattile del muscolo Lo stretching è arrivato in Europa e in Italia, sulla scia della ginnastica aerobica e della cultura del tempo libero e della cura del corpo, giunte come sempre da oltre oceano. Le origini dello stretching sono varie; quello più conosciuto è quello codificato da Bob Anderson. Gli esercizi di stretching sollecitano, oltre alle fibre muscolari, il tessuto connettivo (tendini, fasce ecc.) presente nella struttura contrattile. Il tessuto connettivo è

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estensibile (può essere allungato), ma se non viene regolarmente sollecitato con l’esercizio fisico, in breve tempo perde questa caratteristica essenziale. Parlando di stretching è anche d’obbligo parlare della mobilità articolare (conosciuta anche come: articolarità, flessibilità, estensibilità, ecc.): è la capacità di compiere movimenti ampi ed al massimo della estensione fisiologica consentita dalle articolazioni. Questa capacità è condizionata: - dalla struttura ossea dell’articolazione; - dalle sue componenti anatomiche e funzionali (grado di estensibilità dei legamenti, tendini e muscoli); - dalla temperatura dell’ambiente; - dal livello di riscaldamento del corpo. È importante ricordare che le fibre muscolari si adattano rapidamente a qualsiasi situazione. Tipi di stretching Non esiste una sola forma di stretching, anche se quello più conosciuto è, come già detto, quello codificato da Bob Anderson. In questo capitolo prenderemo in considerazione quelli più conosciuti. Stretching balistico È il primo tipo di allungamento conosciuto e in genere non viene utilizzato nei centri sportivi, palestre, club perché è pericoloso in quanto fa attivare nel muscolo il riflesso di stiramento (riflesso incondizionato che ordina al muscolo di reagire ad una tensione brusca con una rapida contrazione, con elevato rischio di trauma muscolare). È un sistema di stretching vecchio e ormai accantonato per la sua pericolosità. Il metodo è molto semplice, si arriva in posizione di allungamento e poi si inizia a molleggiare. Stretching dinamico Questo sistema è consigliato in programmi sportivi in cui sono previsti movimenti ad elevata velocità, poiché agisce sull'elasticità di muscoli e tendini. Il muscolo agonista contraendosi rapidamente tende ad allungare il muscolo antagonista (il muscolo che in questo esercizio vogliamo allungare); si effettuano, quindi, movimenti a "rimbalzo" con una certa rapidità. La tecnica consiste nello slanciare in modo controllato le gambe o le braccia, in una determinata direzione, senza molleggiare, rimbalzare o dondolare. Leggi dello stretching dinamico: - procedere ad un riscaldamento generale (cardiovascolare) e settoriale (rotazione delle articolazioni: collo, spalle, gomiti, polsi, ecc.); - iniziare con slanci lenti e sciolti e gradatamente aumentare l’ampiezza oppure la velocità di esecuzione.

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- non slanciare in modo incontrollato (tipo stretching balistico). - controllare il movimento. - terminare gli slanci quando si manifestano i primi segni di fatica in una diminuzione di ampiezza e velocità. - non allenarsi quando i muscoli sono affaticati, i muscoli stanchi sono meno flessibili, meno veloci e più soggetti a traumi. - per sport altamente tecnici è necessario prestare particolare attenzione all’allineamento dei segmenti corporei. Streching statico È il sistema di stretching più conosciuto, quello codificato da Bob Anderson. Questo sistema di stretching, con le sue posizioni e il suo modo di respirare, prende spunto dallo yoga e fonda la sua pratica in esercizi di stiramento muscolare allo scopo di mantenere il corpo in un buono stato di forma fisica. Si raggiunge l’allungamento muscolare tramite posizioni di massima flessione, estensione o torsione. Queste posizioni devono essere raggiunte lentamente in modo da non stimolare nei muscoli antagonisti il riflesso da stiramento.

RIFLESSO DA STIRAMENTO Raggiunta la posizione va mantenuta per un tempo da 15 a 30 secondi, è importante che l’estensione non superi la soglia del dolore.

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Leggi dello stretching statico:

1. Trazione costante senza molleggi da 10 a 30 secondi. 2. Mai oltre la soglia del dolore. 3. Riscaldamento generale prima dello stretching. 4. Abbigliamento comodo. 5. Ambiente non rumoroso. 6. Suolo non freddo. 7. Concentrazione. 8. Non confrontarsi con altri. 9. Controllo del respiro. 10. Alternare l’estensione dei muscoli agonisti con quelli antagonisti. 11. Programma razionale, meglio se sviluppato da personale qualificato.

Stretching statico attivo Gli esercizi di stretching statico attivo consistono in esercizi eseguiti con ampiezza di movimento e sostenendo l’arto o il segmento corporeo contraendo isometricamente i muscoli agonisti. Le leggi dello stretching statico attivo:

1 Se vi sono esercizi in sospensione per le gambe, le prime volte utilizzare dei rialzi. 2 Esercitare i muscoli stabilizzatori, specifici della posizione, mediante appositi esercizi. 3 Aumentare la forza e la resistenza generale, in particolare della sezione addominale e

lombare. 4 Sviluppare al massimo la mobilità articolare.

Proprioceptive Neuromuscolar Facilitation (P.N.F.) P.N.F. deriva dalle parole inglesi “Proprioceptive Neuromuscolar Facilitation” che in italiano significa “facilitazione propriocettiva neuromuscolare”. Questo sistema di stretching è diviso in 4 tempi: 1 Si raggiunge il massimo allungamento del muscolo in modo graduale e lento. 2 Si esegue una contrazione isometrica per circa 15/20 secondi (sempre in posizione

di massimo allungamento). 3 Rilassamento per circa 5 secondi. 4 Si allunga nuovamente il muscolo (contratto precedentemente) per almeno 30 secondi.

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L’intero procedimento è da ripetere per due volte. Questo tipo di stretching, viene usato molto nella terapia di riabilitazione. Contract Relax Antagonist Contract (C.R.A.C.) C.r.a.c. deriva dalle parole inglesi “Contract Relax Antagonist Contract” che in italiano significa “contrazione, rilassamento e contrazione dei muscoli antagonisti”. È simile al P.N.F., si differenzia nella fase finale dell’allungamento. Prevede, infatti, l’intervento attivo (contrazione) dei muscoli antagonisti (in questo caso agonisti del movimento) a quelli che si stanno allungando. Anche in questo caso è necessaria la presenza di un compagno che collabori nella contrazione isometrica iniziale dei muscoli che si vogliono allungare, e che dia anche un ulteriore aiuto, nella fase finale di allungamento, alla contrazione dei muscoli antagonisti. In questo sistema vi è una contrazione e un rilassamento del muscolo agonista quando viene contratto con forza l’antagonista. Contrazione, Rilassamento e Stretching (C.R.S.) C.R.S. significa “Contrazione, Rilassamento e Stretching. Questo sistema consiste nel contrarre isometricamente il muscolo in questione per 10/15 secondi, rilassarlo per 5/6 secondi e attuare l’allungamento. Stretching globale attivo (o decompensato) Lo stretching globale attivo si basa sul principio che solo gli stiramenti globali sono realmente efficaci. Gli stiramenti vengono effettuati mediante posizioni che allungano tutta una catena muscolare portando così ad una rieducazione della postura. È una forma di stretching innovativa e consiste nella rieducazione posturale per la prevenzione ed il trattamento delle alterazioni dell’equilibrio tonico dei muscoli e dell’equilibrio neurovegetativo riconducibili, in questo caso, alla pratica sportiva. Lo stretching globale attivo trae i suoi principi dalla Rieducazione Posturale Globale, metodo del “Campo Chiuso”, creata da Philippe E. Souchard. L’importanza di questo sistema è che non agisce sul singolo gruppo muscolare ma nella globalità del corpo. Secondo la teoria del creatore di questo sistema, quando eseguiamo un esercizio di stretching classico su un muscolo (o un gruppo muscolare), otteniamo una parte di allungamento delle fibre interessate e una parte di allungamento che viene preso a “prestito” da altri gruppi muscolari. In altre parole, quando si allunga un muscolo, altri gruppi muscolari devono cedere la propria tensione per permettere l’allungamento del muscolo in questione. Tale meccanismo darà una falsa mobilità al muscolo. Questo sistema fa comprendere che ogni volta che si mette in funzione un determinato muscolo, si crea un movimento nell’intera struttura e da ciò si capisce che la struttura dell’uomo è organizzata in catene muscolari. Uno dei principi fondamentali, sfruttati dallo stretching globale attivo, è la globalità che prevede, quindi, l'interessamento di

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tutti i segmenti del corpo nello stesso momento attraverso la realizzazione di particolari posizioni che evolvono in maniera dolce e progressiva, con l'interessamento della respirazione, verso una posizione finale di massimo allungamento. Un'altra caratteristica necessaria è costituita dalla partecipazione "attiva" dei distretti muscolari interessati dallo stiramento attraverso la contrazione isotonica-eccentrica, ricercandone così il rilasciamento riflesso. Vengono utilizzate 9 (nove) posture, ognuna con la specificità di agire su una serie determinata di “catene muscolari”. Nella pratica sportiva, in alternativa allo stretching tradizionale, permette un maggiore allungamento muscolare, controllato attivamente dal soggetto con sequenze coordinate. Ciò realizza un riequilibrio delle tensioni e permette una maggiore economia del sistema con un aumento quindi della performance atletica. Sembra, inoltre offrire una valida prevenzione contro le patologie da sovraccarico muscolo-tendinee.

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4.4 Esempi di Stretching Stretching dinamico

Stretching statico

Stretching statico attivo

P.N.F.

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Stretching globale attivo

RESPIRAZIONE È importante ricordare che qualsiasi sistema di stretching si stia attuando, la respirazione deve essere normale e tranquilla. Non bisogna mai trattenere il respiro durante un esercizio di allungamento. Lo scopo di una corretta respirazione è importante perché una buona ossigenazione attenua lo stato di tensione dell’atleta fino a portarlo ad uno stato di equilibrio delle sue funzioni fisiologiche e quindi anche del tono muscolare. La posizione deve permettere una corretta respirazione. Se la posizione mantiene il muscolo in un’eccessiva tensione è probabile che la respirazione diventi affannosa o difficoltosa, in questo caso è importante diminuire la tensione finché la respirazione non diventerà naturale. La concentrazione deve essere sia sulla respirazione, sia sull’esercizio che si sta attuando.

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Praticanti dello stretching Esistono tre categorie nelle quali classificare i possibili praticanti lo stretching. 1- Sportivi Chi cioè regolarmente pratica un’attività fisica, a loro volta divisi in due sotto categorie:

- Sportivi dilettanti. - Sportivi agonisti.

Per gli sportivi dilettanti è indicato lo stretching statico in quanto consente di acquisire e mantenere una buona flessibilità. Per gli sportivi agonisti lo stretching statico è indicato come riscaldamento o defaticamento, ma è indicato usare il P.N.F. come preparazione specifica, in quanto influisce in misura maggiore sulla mobilità articolare migliorando così la prestazione. 2- Individui sotto terapia correttiva o riabilitativa In questi casi la casistica è ampia e differenziata e la migliore scelta è sempre nelle mani di un professionista qualificato nel settore della riabilitazione. 3- Individui inattivi Lo stretching contribuisce notevolmente ad evitare o ridurre la rigidità delle articolazioni. Lo stretching, grazie alla sua semplicità e grazie al non utilizzo di attrezzature o spazi grandi può essere praticato facilmente da questi soggetti. Benefici È utile soffermarci sui benefici che lo stretching genera sia sul livello di prestazione sportiva, che sull'efficienza fisica. Benefici sul sistema muscolare e tendineo - Aumenta la flessibilità e l’elasticità dei muscoli e dei tendini. - Migliora la capacità di movimento. - È un’ottima forma di preparazione alla contrazione muscolare. - In alcuni casi diminuisce la sensazione di fatica. - Può prevenire traumi muscolari ed articolari. Benefici sulle articolazioni - Attenua le malattie degenerative. - Stimola la "lubrificazione" articolare. - Mantiene "giovani" le articolazioni, rallentando la calcificazione del tessuto connettivo. Benefici sul sistema cardiocircolatorio e respiratorio - Diminuisce la pressione arteriosa. - Favorisce la circolazione. - Migliora la respirazione.

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- Aumenta la capacità polmonare. Benefici sul sistema nervoso - Sviluppa la consapevolezza di sé. - Riduce lo stress fisico. - Favorisce la coordinazione dei movimenti. - È rilassante e calmante. È importantissimo, da parte dell’atleta, non fare stretching solo in palestra sotto la guida del proprio coach, ma seguire giornalmente un proprio programma di stretching di minimo ½ ora. Un lavoro quotidiano e costante nel tempo consente alle articolazioni di raggiungere una maggiore mobilità, permettendo all’atleta una espressione migliore delle proprie potenzialità. Da parte del coach vi devono essere dei punti fermi da seguire: 1) Ogni esercizio deve essere spiegato e dimostrato in modo chiaro ed esatto. 2) È importante soffermarsi su ciascun esercizio per il tempo necessario affinché il nuovo “movimento” sia ben compreso dal corpo. 3) Accanto alla dimostrazione pratica e teorica è importante esporre anche le sensazioni fisiche che l’esercizio deve far provare. 4) Mai pretendere dall’atleta che questi faccia l’esercizio perfettamente, è necessario comprendere che una persona ha un fisico diverso da un’altra. La corretta esecuzione si comprende dopo allenamento e prove. 5) Se si fanno esercizi in coppia è importante che gli atleti siano circa della stessa

statura (peso e altezza). Uno degli errori più comuni nell’atleta è quello di fare esercizi di stretching solo per un determinato gruppo muscolare, non rendendosi conto che il corpo è un insieme di catene muscolari.

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4.5 Il Riscaldamento e la sua importanza nel tennis

Il Riscaldamento consente di predisporre l’organismo ad affrontare, subito dopo, prove nelle migliori condizioni fisiche. Il riscaldamento predispone muscoli e strutture articolari a movimenti più intensi e contribuisce a prevenire incidenti quali strappi, contratture, rotture di tendini etc.

Dal punto di vista metabolico il riscaldamento deve avvenire in AEROBIOSI ossia in condizioni ottimali di disponibilità di ossigeno. Questo fatto consente all’organismo di consumare in maniera completa i nutrienti (acidi grassi, glucosio, etc). Esercizi effettuati in ANAEROBIOSI costringerebbero l’organismo a consumare il solo glucosio in maniera incompleta, provocando talora un consumo delle riserve di GLICOGENO e lasciando scorie metaboliche di acido lattico.

a - Effetto sui tendini

L’elasticità dei tendini aumenta con l’aumentare della temperatura (passando da 25 a 45 gradi aumenta di 4 volte). L’attrito provocato dai movimenti ginnici fa aumentare la temperatura e di conseguenza l’elasticità dei tendini. Il riscaldamento dei tendini è particolarmente importante durante la stagione fredda. Ovviamente il riscaldamento deve interessare prevalentemente i tendini coinvolti negli esercizi che si intende effettuare.

b - Effetto sui muscoli

Analogamente ai tendini anche i muscoli migliorano la propria elasticità grazie al riscaldamento. Per quanto riguarda i muscoli il riscaldamento serve a migliorare le prestazioni ed a prevenire i danni a carico degli antagonisti. Questi ultimi infatti, se non opportu-namente predisposti, possono facilmente andare incontro a danni provocati da movimenti troppo violenti.

c - Effetto sulle articolazioni

A livello di articolazioni il riscaldamento consente di migliorarne la lubrificazione ad opera del LIQUIDO SINOVIALE e di ottimizzarne l’ampiezza dei movimenti.

d - Effetto sull’apparato cardiovascolare

Il riscaldamento aumenta il flusso circolatorio e di conseguenza l’apporto di ossigeno ai tessuti predisponendoli quindi ad affrontare un esercizio con il miglior rendimento.

e - Fasi del riscaldamento: riscaldamento del corpo

Questa fase consente di mettere in funzione e portar a regime l’intera macchina. Gli obiettivi sono quelli di ottenere un rilassamento totale ed una decontrazione muscolare, un’attivazione della respirazione e delle pulsazioni cardiache (queste non devono superare i 130 battiti). Uno strumento utile per questo tipo di riscaldamento è

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lo jogging iniziato molto lentamente, intervallato eventualmente da una camminata e dalla durata complessiva di circa 10 minuti.

Attraverso una progressione di intensità si dovrebbe raggiungere i livelli ed i ritmi tipici delle attività sportivo-agonistiche che si intende svolgere. Tale progressione avviene generalmente in maniera spontanea mano a mano che lo sportivo prende coscienza delle potenzialità raggiunte con l’esercizio. Viene data maggior ampiezza ai movimenti che consentono di snodare sempre più le articolazioni. Viene aumentato gradualmente il ritmo.

Stiramento dei muscoli: coscia vengono dapprima stirati i muscoli posteriori ; poi quelli anteriori e quelli laterali interni;gli adduttori e i glutei; i muscoli laterali del busto;i muscoli posteriori della schiena e dell’addome. Riscaldamento mirato: tende a far svolgere esercizi adatti ad affrontare determinate attività sportive specifiche ( ad esempio il tennista con la racchetta in mano tenderà a perfezionare i propri gesti etc.).

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Conclusioni “Il riscaldamento si pone in particolare tre obiettivi: aumentare l'afflusso di sangue ai muscoli per garantire loro maggiore elasticità e maggiore resistenza alle sollecitazioni, aumentare progressivamente la temperatura corporea e aumentare gradatamente le pulsazioni del cuore. Soprattutto in ordine a quest’ultimo obiettivo, è bene che il riscaldamento sia fatto in tutta sicurezza, come si dice “a basso impatto”, senza cioè mettersi subito a saltare o correre, soprattutto se non si è abituati a fare sport regolarmente. Un’attività fisica eccessiva, infatti, aumenterebbe troppo velocemente i battiti cardiaci.

Per riscaldarsi correttamente potrebbe essere utile utilizzare la cyclette o fare movimenti a corpo libero, come la marcia sul posto abbinata a movimenti delle braccia (slanci in fuori e in avanti), piegamenti sulle gambe, salire e scendere da un gradino per alcuni minuti, marciare sul posto sollevando e abbassando un bastone, con entrambe le mani, senza portarlo però sopra la linea delle spalle, perché aumenterebbero troppo in fretta i battiti cardiaci. Il tutto per una durata di 10-15 minuti. Lo stretching, infine, completa la routine di riscaldamento. Lo streching deve essere leggero e coinvolgere i muscoli che verranno utilizzati maggiormente nel corso dell’allenamento; questo aiuterà a prevenire traumi alla muscolatura e ai tendini. Uno stretching troppo intenso prima dell’allenamento può invece comprometterne la resa. Questo tipo di riscaldamento è adatto per tutti, prima di qualsiasi pratica sportiva, e può precedere una fase di preparazione più specifica, che si differenzia a seconda dello sport che si andrà a praticare.”

Nel caso del riscaldamento specifico lo scopo è quello di svolgere esercizi che rispecchiano esattamente il gesto sportivo. Questo tipo di preparazione è particolarmente utile nelle attività sportive a elevata componente tecnica, come il tennis.Prima della gara è importante riscaldarsi nel campo da tennis,palleggiando a ritmo medio-lento, in modo da provare tutti i colpi.Dopo il palleggio è fondamentale riscaldare la battuta senza forzare al massimo delle proprie capacità.

La preparazione atletica di un tennista di alto livello senza dubbio deve prevedere un tipo di riscaldamento specifico.

Prima degli allenamenti alla resistenza aerobica, il riscaldamento deve essere sottoforma di corsa lenta (f.c.120-130 al minuto).

Prima degli allenamenti alla velocità, il riscaldamento è eseguito con movimenti rapidi.

Prima degli allenamenti tecno/tattici il riscaldamento è sempre specifico e viene eseguito in campo con la racchetta.

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4.6 Gli studi sull’argomento Abbiamo identificato 293 articoli sull’argomento, includendo, però, solo quelli con un gruppo di controllo. Tre studi clinici prospettici mostravano effetti positivi dello stretching, seppure associata a contemporanea azione di riscaldamento. Un quarto studio evidenziava una riduzione dei problemi all’inguine e alle natiche nei ciclisti, ma solo tra le donne. Di contro altri cinque studi, di cui tre prospettici, non hanno riscontrato sostanziali differenze nel tasso di infortuni e, anzi, tre di questi lavori hanno addirittura suggerito un potenziale effetto dannoso degli esercizi di allungamento. La ricerca più corposa sull’argomento, però, è stata pubblicata di recente dal British Medical Journal. Un gruppo australiano ha effettuato la metanalisi di tutti i lavori pubblicati in inglese dal 1966 al 2000, investigando gli effetti dello stretching pre e post gara sugli incidenti muscolari e sulla performance atletica. Cinque gli studi presi in considerazione per un totale di 77 individui e una conclusione univoca: i benefici indotti dallo stretching sono così esigui da renderlo poco adatto al titolo di strumento preventivo. Sulla stessa lunghezza d’onda l’ultima indagine statunitense secondo la quale in materia di stretching si è arrivati a un livello di competenze sufficienti a sostenerne la sostanziale inutilità. Anzi allo stato attuale di conoscenze si può concludere che nei primi 10-15 minuti lo stretching indebolisce la muscolatura e può aumentare il rischio di infortunio. Inoltre nella maggior parte dei casi l’allungamento pre-gara non migliorerebbe la performance atletica.

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4.7 Le diverse superfici dei campi da tennis

Ci sono una varietà di differenti superfici per i campi da tennis. I tornei del circuito A.T.P.si giocano prevalentemente sulle seguenti superfici: cemento,sintetico (green-set,supreme),terra battuta ed erba.

Campi in cemento:

Sui campi in cemento le sollecitazioni che subisce l’articolazione del ginocchio è notevole sia per l’azione frenante della superfice negli spostamenti delle gambe,sia nelle ricadute dopo la battuta,lo smash e i colpi al volo dove la scarsa elasticità del terreno può provocare microtraumi che ripetuti molto frequentemente possono favorire l’insorgere di tendiniti rotulee e nei peggiori dei casi traumi ai legamenti e ai menischi.

Campi in sintetico:

Dato che l’elsticità delle superfici sintetiche è superiore a quelle in cemento, sono meno pericolose di quest’ultime, anche se non si deve trascurare l’azione frenante della superficie soprattutto negli spostamenti delle gambe che può favorire l’insorgere di traumatismi meniscali e ai legamenti.

Campi in erba:

Queste superfici non sono dure come quelle in cemento, ma possono presentare delle insidie per le ginocchia degli atleti soprattutto per due motivi:

- nei cambi improvvisi di direzione (contropiedi) ,negli allunghi in velocità (passanti in corsa) soprattutto quando c’è molta umidità, l’atleta può perdere la stabilità e l’equilibrio con possibili conseguenze sui legamenti delle ginocchia.

- il rimbalzo basso della palla richiederà un più basso centro di gravità per impattarla efficacemente e l’atleta non allenato sufficientemente al gioco suull’erba può andare incontro ad un sovraccarico funzionale che può favorire l’insorgere di una tendinite.

Campi in terra battuta:

Questa superficie di gioco è la meno traumatica per l’atleta per la sua morbidezza e per la possibilità di scivolare facilmente senza avere un’azione frenante.

Per quanto riguarda gli allenamenti al di fuori dei campi da tennis, sarebbe opportuno far allenare gli atleti sul prato o su pista e non su strade asfaltate.

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4.8 Le capacita' coordinative generali Le capacità coordinative:

1) capacità di adattamento e trasformazione del movimento: consiste nella capacità di adattare o trasformare il programma motorio prestabilito a mutamenti inattesi ed improvvisi della situazione e, quindi, interruzione del movimento di risposta programmato con una prosecuzione che adotti altri schemi e programmi motori ugualmente efficaci. Questa capacità si evidenzia soprattutto nei giochi sportivi e negli sport di combattimento. Viene migliorata attraverso situazioni di gioco o combattimento con improvvisi cambiamenti di azione rispetto agli schemi usuali;

2) capacità di controllo motorio: è la capacità di controllare il movimento in funzione

dello scopo previsto, cioè di raggiungere esattamente il risultato programmato col movimento o con l’esercizio;

3) capacità di apprendimento motorio: consiste nell’assimilazione e nell’acquisizione

di movimenti o, in prevalenza, di parti di movimenti precedentemente non posseduti, che devono poi essere integrati nelle mappe cognitive.

Un ruolo importante è dato dalla assunzione delle informazioni attraverso gli analizzatori, organi informatori che assumono importanza diversa a seconda della disciplina sportiva praticata:

- analizzatore tattile: è la cute del corpo che ci informa sulla zona e sulla entità della pressione su di essa;

- analizzatore visivo: sono gli occhi che raccolgono le immagini dello spazio in cui ci si muove;

- analizzatore vestibolare: è la parte interna dell’orecchio che ci informa sulle accelerazioni e sulle posizioni del corpo rispetto ai piani dello spazio (i canali semicircolari per la accelerazione angolare, l’utricolo e il sacculo per la accelerazione lineare);

- analizzatore acustico: è l’orecchio nella sua funzione di percezione dei rumori; - analizzatore cinestetico: sono i fusi neuromuscolari e i corpuscoli del Golgi che

permettono la percezione della entità tensiva dei muscoli e della loro modulazione. Tra gli analizzatori cinestetici possono essere annoverati anche i recettori di Pacini e i corpuscoli di Ruffini, situati nelle capsule articolari, e che informano sull'ampiezza, velocità e senso del movimento.

Le informazioni da parte degli analizzatori sono indispensabili alla realizzazione dei processi nervosi.

Esistono anche le CAPACITA' COORDINATIVE SPECIALI, vale a dire espressioni precise della capacità più generale di generare il movimento:

3) capacità di combinazione e accoppiamento dei movimenti: permette di collegare tra loro le abilità motorie automatizzate. Viene sviluppata con esercizi di

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coordinazione segmentaria tra arti inferiori e arti superiori. L’esecuzione può avvenire su diversi piani spaziali in forma simultanea, successiva, alternata, con movimenti simmetrici, incrociati e asincroni;

4) capacità di orientamento spazio-temporale: consente di modificare la posizione e

il movimento del corpo nello spazio e nel tempo, in riferimento ad un campo di azione definito. Il movimento è più inerente l’intero corpo che i suoi segmenti. Tipico esempio sono i giochi sportivi e gli sport di combattimento. Questa capacità viene migliorata utilizzando aree di gioco non usuali, variando il numero ed il ruolo dei componenti la squadra, usando attrezzi simili ma di dimensioni diverse, muovendosi in maniera e posizioni inusuali adattando l’azione a condizioni esterne fisse o variabili, ecc.;

5) capacità di differenziazione: permette di realizzare, in modo finemente

differenziato, i parametri dinamici, temporali e spaziali del movimento, sulla base della percezione dettagliata del tempo, dello spazio e delle forze. Viene sviluppata mediante esercizi con aumento graduale della precisione esecutiva come tiri al bersaglio da varie distanze e posizioni, salti ad altezze e distanze varie e prefissate, ecc.;

6) capacità di equilibrio: consente di mantenere il corpo in equilibrio o di recuperare

la posizione desiderata dopo ampie sollecitazioni e spostamenti. Si definisce equilibrio statico quando i movimenti sono lenti e regolati essenzialmente dall’analizzatore cinestetico e tattile. L’equilibrio dinamico invece si identifica in rapidi e ampi spostamenti con accelerazioni angolari sottoposti alla prevalente regolazione delle informazioni vestibolari. Tipici esercizi di miglioramento di queste capacità sono gli esercizi di preacrobatica e di acrobatica;

7) capacità di reazione: permette di reagire agli stimoli eseguendo come risposta ad un

segnale, azioni motorie adeguate. Le risposte date ad un segnale già noto ed in forma di movimento già definiti in anticipo sono dette semplici. Se le risposte non hanno ne una azione motoria ne un segnale predeterminato sono definite complesse.

Questa capacità è scarsamente allenabile e viene sviluppata creando situazioni di risposta motoria a stimoli indirizzati ai vari analizzatori;

8) capacità di ritmizzazione: rende organizzabili gli impegni muscolari di contrazione-

decontrazione secondo un ordine cronologico ed un particolare adattamento ritmico. Questa capacità si sviluppa con la esecuzione di movimenti con variazione di ritmo e frequenza.

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METODI DI MIGLIORAMENTO DELLE CAPACITÀ COORDINATIVE La prima tappa per arrivare alla corretta esecuzione del gesto tecnico è l'acquisizione degli schemi motori di base: camminare, saltare, correre, strisciare, rotolarsi, tuffarsi, arrampicarsi, spingere, tirare, lanciare, afferrare. ESERCIZI VARI Possono essere riassunti come segue:

- aggiunta di movimenti complessi all'esercizio di base; - esecuzione degli esercizi in condizioni ambientali inusuali (allenamento su campo di gara più grande o più piccolo degli standard dimensionali);

- esecuzione speculare dei movimenti da entrambi i lati del corpo; - esecuzione dei movimenti da diverse posizioni del corpo; - mutamento della velocità e del ritmo esecutivo; - mutamento delle dimensioni dell'attrezzo usato. METODO DEL CIRCUITO Il circuito va effettuato per 3-4 giri, con recupero completo tra un giro e l'altro, nel modo seguente:

- 6-8 stazioni; - carico naturale; - ritmo esecutivo delle ripetizioni al massimo della velocità e con la giusta tecnica esecutiva;

- recupero tra le stazioni nullo; - recupero completo tra un giro e l'altro (3-5 minuti). Come per tutte le capacità motorie, per migliorare le capacità coordinative occorre stimolarle adeguatamente per almeno 2-3 volte a settimana.

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Capitolo 5 RIABILITAZIONE SPORTIVA

Introduzione Per riabilitazione intendiamo una terapia mirata alla risoluzione della patologia, (sia essa traumatica acuta, come distorsioni, distrazioni muscolari, fratture, ecc., o da sovraccarico funzionale, come tendiniti, borsiti, ecc.), che consenta il ritorno all'attività agonistica dell'atleta, in tempi e modi adeguati.

La terapia riabilitativa ha lo scopo di recuperare le capacità funzionali del paziente e di aiutarlo ad adattarsi all’ambiente che lo circonda. L’attività riabilitativa, coordinata da uno specialista in terapia fisica e riabilitazione, ha per obiettivo la ripresa delle caratteristiche funzionali dell’organo o apparato interessato, la prevenzione della comparsa di ulteriori limitazioni funzionali, il miglioramento delle capacità degli altri organi non colpiti dalla lesione o dal processo morboso, l’’addestramento all’impiego di strumenti specifici e di dispositivi di supporto che possano servire a migliorare la funzione e l’adattamento dell’ambiente nel quale il paziente vive in modo da favorire la sua autonomia. Nello sport l'obiettivo finale della riabilitazione è il recupero completo delle gestualità sportive che il paziente era in grado di effettuare prima dell'infortunio. Queste gestualità in parte sono comuni a diverse discipline, come ad esempio la corsa ed i balzi, ed in parte sono specifiche per ognuna di esse, come la battuta nel tennis e lo swing nel golf. In tutti i casi, sono comunque il risultato di una somma di qualità psiconeuromotorie che l'atleta è riuscita a maturare durante la sua carriera e che devono essere riprese durante il percorso riabilitativo. Partendo da questo concetto, una corretta riabilitazione deve necessariamente completarsi sul campo di gara, con una grande attenzione da parte dell'équipe riabilitativa a correggere e migliorare precocemente i difetti e le alterazioni funzionali che emergono alla ripresa delle gestualità sopra riportate

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5.1 Riabilitazione dopo Intervento per condropatia

Per riuscire nuovamente ad effettuare con efficacia un gesto sportivo dopo un intervento per condropatia, il responsabile della rieducazione dovrebbe verificare e monitorizzare il recupero di sei condizioni: - Guarigione biologica - Escursione e stabilità articolare - Forza e flessibilità muscolare - Controllo neuromotorio - Condizionamento cardiorespiratorio

- Motivazioni psicologiche GUARIGIONE BIOLOGICA Esistono fondamentalmente tre tipi di lesione cartilaginee: 1) Danno condrale senza evidenti segni tangibili di lesione 2) Frattura condrale 3) Frattura osteocondrale Ad ognuno dei tre tipi di lesione corrispondono diversi quadri clinici e diverse potenzialità e modalità di restituzio ad integrum. In ogni caso la guarigione non può avvenire se l'ampiezza della lesione supera la capacità di riparazione dei condrociti, che consiste nella loro replicazione, nella sintesi della matrice, dei proteoglicani e del collagene. Diverso sarà inoltre il risultato funzionale a seconda che si sia avuto un tentativo di riparazione, con deposizion di tessuto cartilagineo con proprietà visco-elastiche diverse dalla cartilagine ialina, meno resistente al carico e più permeabile, o un tentativo di rigenerazione, condizione nella quale si ha una duplicazione del tessuto originario che conserva tutte le caratteristiche istologiche del tessuto iniziale. Gli interventi chirurgici, a seconda dei casi,stimolano il primo o il secondo meccanismo e i tempi biologici sono diversi in rapporto alle diverse tecniche operatorie ma anche a seconda dell'età del soggetto, della sede, dell'ampiezza e della profondità del danno cartilagineo. Nella fase post operatoria un carico progressivo attraverso gli esercizi riabilitativi può favorire, attraverso una stimolazione controllata e graduale dei tessuti, il processo di guarigione, così come un carico eccessivo può renderla difficile. Trovare questo equilibrio tra carico di lavoro teorico e il carico di lavoro sostenibile dal paziente è molto complesso.I consigli che ci sentiamo di dare per trovare questo equilibrio sono questi: a) conoscere dalla letteratura i tempi medi consigliati per l'inizio della ripresa sportiva in rapporto ad entità della lesione ed intervento praticato. Ad esempio, in occasione del 65° Annual Meeting dell'AAOS, i tempi consigliati sono stati: - 5 R. Steadman Microfratture 3 mesi - C.D. Morgan Mosaic Plasty 3 mesi

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- L. Peterson Impianto di condrociti 6 mesi b) concordare con il chirurgo che ha effettuato l'intervento le date fondamentali della riabilitazione: - Quando camminare senza stampelle

- Quando correre - Quando balzare

- Quando fare agonismo c) Non ritenere tali tempi e tali date necessariamente da rispettare per tutti i pazienti ma utilizzarle solo come linee guida, adattandole alla reazione di ogni singolo soggetto e monitorizzando l'evoluzione di gonfiore e dolore in rapporto alla progressione dei carichi. d) Nelle prime fasi della riabilitazione è inoltre fondamentale mobilizzare precocemente l'articolazione per favorire la messa in circolo del liquido sinoviale che è indispensabile , dato che la cartilagine non contiene vasi sanguigni,per il mantenimento del normale trofìsmo dei condrociti e per indurre la produzione di una cartilagine di qualità migliore. e) Prima della rieducazione sul campo sportivo, impostare programmi precocemente orientati al recupero della funzionalità, utilizzando concetti come: - Riposo attivo - Carico progressivo - Esercizi in acqua - Propedeutica alla corsa e Propedeutica ai balzi f) Quando possibile effettuare un controllo radiologico dell'evoluzione del difetto cartilagineo tramite RMN. ESCURSIONE E STABILITA' ARTICOLARE Per la ripresa sportiva sono necessarie stabilità articolare e completa escunsione articolare. La stabilità articolare,qualora fosse compromessa la stabilità statica assicurata dal complesso capsulo-legamentoso , deve essere vicariata dai muscoli che assicurano la stabilità dinamica. In particolare si deve ricordare la sinergia funzionale del quadricipite rispetto al LCP, degli ischiocrurali rispetto al LCA e l'importanza dei muscoli intra ed extra rotatori per il controllo delle instabilità rotatorie. Analoga importanza viene data al recupero di una completa escursione articolare condizione indispensabile per effettuare il gesto senza restrizioni svantaggiose da un punto di vista biomeccanico. Il recupero dell'escursione articolare sembra attualmente di primaria importanza nel favorire la lubrificazione, il metabolismo e nello stimolare la differenziazione in senso cartilagineo dei processi riparativi dopo intervento sulla cartilagine articolare. Il monitoraggio dell'escunsione articolare con un goniometro e della stabilità articolare mediante valutazioni cliniche deve essere regolarmente effettuato durante la riabilitazione.

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FORZA E FLESSIBILITA' MUSCOLARE Il recupero della forza muscolare è stato un caposaldo della riabilitazione degli anni '80 e, a nostro avviso lo deve essere oggi e lo dovrà essere in futuro. Una muscolatura della coscia forte, potente e resistente nelle sue componenti anteriori, e flessibile ed elastica nelle sue componenti posteriori rimane anche oggi un obiettivo imprescindibile della rieducazione sportiva. Nei prossimi anni dovremo integrare questi concetti con una maggiore attenzione verso i sistemi di controllo neuromotorio che stanno a monte del muscolo che dovremo sempre più considerare solo come l'effettore finale di un meccanismo di movimento molto più fine e complesso. Rimandando quindi al paragrafo successivo l'importanza del controllo neuromotorio, la forza e la flessibilità muscolare devono essere recuperate prima di portare l'atleta sul campo. In sintesi questi sono gli step che nel nostro programma devono essere superati per considerare recuperata la forza. Test Isocinetico: - il paziente dovrà avere effettuato un test isocinetico con valori di forza e resistenza sovrapponibili all'arto controlaterale Catena Chiusa: - Il paziente dovrà avere la capacità di effettuare movimenti di flesso estensione in catena chiusa e carico monopodalico fino a 900 di flessione del ginocchio senza dolore. Valutazione Eccentrica: - Il paziente dovà poter effettuare esercizi eccentrici monopodalici su leg press con carico uguale all'arto controlaterale negli ultimi 500 del movimento di flessione del ginocchio. Valutazione Pliometrica: - paziente dovrà essere in condizione di effettuare balzelli monopodalici su apparecchiatura a resistenza elastica con un carico pari al 50% del peso corporeo. Inoltre si dovrà controllare l'estensibilità della catena muscolare posteriore che se incompleta può essere responsabile di deficit dell'estensione con sintomi di dolore anteriore di ginocchio. CONDIZIONAMENTO CARDIORESPIRATORIO Nel riposo forzato , come accade nello sportivo infortunato, si ha perdita, oltre che della massa muscolare, anche delle capacità di adattamento del sistema cardiorespiratorio e di resistenza alla fatica dell'apparato muscoloscheletrico. E' quindi indispensabile nella ripresa dell'attività sportiva prevedere un programma di recupero di forza, potenza, resistenza alla fatica, flessibilità muscolare, agilità, controllo propriocettivo, equilibrio e resistenza del sistema cardiorespiratorio. Il muscolo contiene due tipi di fibre principali (I e II) che differiscono per il diverso contenuto di enzimi ossidativi, il numero di capillari periferici, la diversa resistenza alla fatica, il tipo di metabolismo (aerobio, anaerobio alattacido,anaerobio lattacido), il tipo di contrazione (lenta e resistente alla fatica, rapida e potente e facilmente esauribile).

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Occorrerà allenare tutti i tipi di fibre e tutti i sistemi metabolici per mettere l'organismo in grado di tollerare gli stress ai quali viene sottoposto durante l'attività sportiva. Per aumentare la resistenza (capacità aerobica), tipica delle fibre tipo I e la capacità di trasporto dell'ossigeno da parte del sistema cardio-respiratorio occorre eseguire carichi di lavoro sub-massimali e ripetizioni numerose. Esempio di allenamento aerobio in palestra è rappresentato da 12' di cyclette, 12' di step e 12' sul tapis roulant con incremento di 2' ogni due giorni. Per aumentare la forza occorre eseguire sforzi massimali e ridotto numero di ripetizioni così da indurre un aumento del volume delle fibre muscolari per aumento del numero di proteine contrattili. Esempio di allenamento di forza con macchina isocinetica è rappresentato da 8 ripetizioni x 2 serie a bassa velocità angolare 900. Per allenare la potenza e la velocità (capacità anaerobie), tipiche delle fibre tipo II a produrre, metabolizzare e smaltire il lattato occorre eseguire attività protratte e continue fra la soglia anaerobica e quella aerobica o alternare attività sopra e sotto la soglia anaerobica. Esempio di allenamento acrobio-anaerobio è rappresentato dalla corsasul tapis roulant inizialmente alla velocita di 6 Km/h con incrementi di 2 Km/h ogni tre minuti fino ad esaurimento. Scopo comune dell'allenamento cardio-respiratorio consiste quindi nel procrastinare il più tardi possibile l'insorgenza della fatica la cui è genesi multifattoriale ed insorge per esaurimento delle strutture neurologiche centrali, periferiche,della placca motrice e della miocellula. Il futuro consisterà nel cercare nuovi metodi che permettano di ottimizzare l'allenamento delle varie strutture coinvolte nell'attività sportiva per raggiungere obiettivi sempre più ambiziosi. CONTROLLO NEUROMOTORIO Accanto al condizionamento cardiorespiratorio e al recupero della piena funzionalità articolare per lo sportivo è fondamentale recuperare la destrezza e l'abilità tipica dello Sport che pratica. Tutti i gesti legati alla pratica sportiva sono più che mai finalistici, mirano cioè al conseguimento immediato di un obiettivo e per questo occorre avere il più assoluto controllo dell'attività neuromotoria che deve essere rapida e precisa anche quando ( ed è la condizione più frequente) sono eseguiti con numerosi elementi di disturbo esterni (superfici di gioco, condizioni atmosferiche) e anche quando l'attività fisica perdura nel tempo (fatica). In pratica tutto questo si traduce nell'allenare tutti i livelli sopra elencati per il sistema propriocettivo ed esterocettivo occorre saper localizzare la posizione spaziale di un segmento corporeo rispetto al resto del corpo e in relazione allo spazio, sia a riposo sia quando ci si trova su piani instabili (tavolette) con instabilità su un solo piano o multiplanare o quando si percorrono tracciati con difficoltà crescenti (terreni irregolari) o quando subentrino elementi di disturbo; per eseguire con prontezza un gesto sportivo occorre elaborarlo,analizzarlo, ripeterlo centinaia di volte durante l'allenamento per memorizzarlo sotto forma di progetto motorio; per allenare il sistema neurovegetativo ci rifacciamo a quanto detto in precedenza sul condizionamento cardiocirdotatorio che ha in ultima analisi lo scopo di ritardare il più

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possibile l'insorgenza della fatica. Tenendo presente che esistono anche condizionamenti individuali legati alla personalità, alla volontà e al vissuto del paziente, che vanno ad integrare e a personalizzare il progetto motorio di base comune a tutti, bisognerà personalizzare anche il recupero neuromotorio. A tale scopo, anche se di uso non ancora routinario, è disponibile l'EMG dinamica che grazie all'uso di un elettromiografo portatile rende le registrazionelettromigrafiche molto più semplici. Tale metodica consente, con l'applicazione di elettrodi di superficie sullo sportivo durante la seduta riabilitativa sul campo ed un circuito di video-camere in grado di filmare l'attività dell'atleta, di osservare quando, nell'esecuzione della catena cinetica, i muscoli iniziano la loro azione, quando la terminano, per quanto tempo essa si svolge, che tipo di rapporto temporale esiste fra l'attivazione dei divensi muscoli della catena cinetica, la meccanica del movimento e le risposte riflesse di tipo nervoso determinate dal movimento stesso. Sarà così possibile attraverso registrazioni video-elettro-miografiche eseguite prima dell'infortunio, ricostruire quel tipo esatto di attività neuromuscolare, sviluppando un programma di allenamento neuromotorio mirato e personalizzato sulla base delle registrazioni precedenti. MOTIVAZIONI PSICOLOGICHE Per il ritorno all'attività agonistica occorre che lo sportivo abbia recuperato un completo ricondizionamento fisico,la piena funzionalità del distretto infortunato, si sia sottoposto ad un allenamento tecnico che preveda la memorizzazione di gesti sport specifici che vengono automaticamente ripetuti ed eseguiti con destrezza all'interno di un progetto di schemi di gioco (tattica) individuati dall'allenatore. Durante la fase riabilitativa occorre che il paziente abbia bene in mente tutti questi aspetti, occorre avere tutte le sue attenzioni, partecipazione e volontà, in una parola sola occorre avere forti motivazioni, il ritorno all'agonismo, per poter sfruttare tutto il potenziale energetico a disposizione per la guarigione. Le motivazioni personali, la psicologia, il carattere sono fondamentali per poter raggiungere l'obiettivo; bisognerà inoltre saper gestire in tutte le fasi riabilitative il desiderio impaziente di guarire cosa che può di per sé creare condizioni di sovraccarico, se mal gestita e allontanare il ritorno sul campo. Se tutti questi aspetti non vengono gestiti contemporaneamente, se mancano profonde motivazioni del paziente, anche il migliore dei team riabilitativi riuscirà ad avere solo risultati mediocri.

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5.2 Protocollo di rieducazione dopo intervento chirurgico del legamento crociato anteriore.

Protocollo di rieducazione neuro-muscolare all'arto inferiore in seguito ad intervento chirurgico di ricostruzione del Legamento Crociato Anteriore su un'atleta professionista di 22 anni. Quanto di seguito indicato vuole solamente essere una dimostrazione di come il lavoro riabilitativo può attuarsi e non già un protocollo standard sul quale impostare una rieducazione valevole per tutti. Ogni persona da rieducare è un caso a sé! Le tappe principali del programma riabilitativo sono state sempre programmate in funzione delle risposte ottenute dalle visite specialistiche, eseguite dal medico personale, alle quali l'atleta si è sottoposta nel periodo considerato.

OBIETTIVI DEL PROGRAMMA 1) ristabilire tonicità e forza della muscolatura dell'arto operato riducendo

l'ipotrofia muscolare causata dalla lunga immobilità 2) rafforzare i sistemi propriocettivi per il controllo della stabilità statica e

dinamica

Durata del programma

È stata di 13 settimane svolte presso il Centro Regionale di Medicina dello Sport di Trieste.

Situazione iniziale

Il programma ha avuto inizio 4 settimane e dopo l'intervento dopo un ciclo (9 sedute) di fisioterapia; l'atleta appoggiava e caricava totalmente l'arto in deambulazione, evidenziando ancora una marcata zoppia.

Test iniziali

Prima di iniziare il lavoro riabilitativo, sono state valutate le capacità preesistenti dell'arto infortunato e le potenzialità massimali dell'arto sano al fine di stabilire l'eventuale traguardo riabilitativo. La flesso-estensione della gamba sulla coscia era limitata dai 15 gradi in estensione ai 115 gradi in flessione.

La tipologia del lavoro programmato:

isometrico - lavoro durante il quale il carico è appoggiato sull'artoinfortunato e che deve produrre una forza contrapposta per non modificarel'angolo del ginocchio, impostato inizialmente.

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concentrico - lavoro di spinta, svolto a bassa velocità e con un carico inferiore a quello massimale, dove la fase di ritorno può essere aiutatadall'arto sano. eccentrico - lavoro svolto con un carico superiore a quello massimale (120- 130%), durante il quale la fase di spinta è effettuata da ambedue gli arti,mentre la fase di ritorno, è svolta soltanto dall'arto infortunato che devefrenare il carico fino a riportarlo nella posizione di partenza. eccentrico/concentrico (dinamico o con rimbalzo) - lavoro dinamico (svolto alla pressa) durante il quale la velocità della spinta è tale da poter produrre il distacco dei piedi dalla pedana d'appoggio, con una conseguente"fase di volo".

Tale dinamicità dev'essere mantenuta per tutte le spinte programmate, determinando un andamento a rimbalzo.

La ciclicità del carico

Ogni periodo di rieducazione è stato programmato in modo che il carico di lavoro non restasse mai costante, ma variasse seduta dopo seduta. Ciò con l'intento d'accrescere di volta in volta la capacità di ri-adattamento dell'arto infortunato fino a raggiungere le potenzialità dell'arto sano, considerato come il traguardo riabilitativo. Con gli stessi criteri, anche l'arto sano è stato sottoposto ad un potenziamento muscolare particolarmente intenso (vedi lavoro di compensazione sull'arto sano).

Impacco di ghiaccio dopo l'allenamento

L'impacco con il ghiaccio dopo la seduta d'allenamento è stato sempre sconsigliato; l'eventuale gonfiore persistente, non assorbito nel recupero in tempi fisiologici, avrebbe indicato che il lavoro effettuato (esercizio e/o carico) non era stato tollerato e/o assorbito dell'articolazione. Il gonfiore è da considerarsi sempre come un campanello d'allarme molto importante nel processo riabilitativo, mascherarlo può causare spiacevoli, a volte gravi, conseguenze sul proseguimento della rieducazione.

E' stato strutturato in tre sedute, svolte a giorni alterni, per controllare se il lavoro proposto avrebbe determinato gonfiore, indolenzimento o altro. Il riscaldamento è stato impostato alla cyclette per poi passare al lavoro specifico di potenziamento muscolare alle macchine. Il lavoro è stato così impostato:

Cyclette (Lifecycle horizontal) 50W per 10' Lavoro con sovraccarico

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Pressa - eccentrico Pressa - concentrico Leg extension - isometrico Carico sull'arto infortunato [kg] Da 1539 a 1867.5 Carico di compensazione arto sano [kg] 2790 Angoli di lavoro Pressa: da 20° a 100° Leg extension: 30°

Gli esercizi di propriocettività: sono stati impostati in maniera statica: l'atleta doveva mantenere una precisa posizione sull'attrezzo specifico per un tempo determinato.

Non essendoci state conseguenze negative nella prima settimana, nel secondo periodo, è stato svolto un programma che rispecchiava il precedente. Il lavoro è stato così impostato:

Cyclette (Lifecycle horizontal) 50W per 10' 75W per 10' Lavoro con sovraccarico Pressa - eccentrico Pressa - concentrico Leg extension - isometrico Leg extension - concentrico

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Carico sull'arto infortunato [kg] Da 1915 a 3014 Carico di compensazione arto sano [kg] Da 3410 a 4130 Angoli di lavoro Pressa: da 10° a 110° Leg extension: 30° in isometria 20° - 90° concentrico

Gli esercizi di propriocettività: sono stati inseriti esercizi con la palla (palleggio e lancio).

In questo periodo l'allenamento è stato svolto a giorni alterni, e non si è mai verificato alcun effetto d'intolleranza da parte dell'atleta.

Il recupero della mobilità articolare

Per recuperare l'escursione articolare, in questi due periodi, sono stati effettuati degli esercizi d'allungamento muscolare (stretching preceduto da contrazione isometrica), che momentaneamente avevano l'effetto di aumentare il grado di libertà articolare. Dopo il riposo, però, l'estensibilità raggiunta, regrediva totalmente.

Questo fenomeno è stato imputato al più elevato tono muscolare riflesso posseduto dall'arto leso, che tendeva a salvaguardare l'articolazione limitandone l'escursione; dopo la contrazione isometrica, quindi, il tono veniva limitato permettendo così una maggiore articolabilità, che regrediva totalmente una volta che il riposo rigenerava integralmente tutti i sistemi energetici muscolari. Si è deciso allora di abbandonare tale forma di lavoro, aspettando che l'effetto dell'allenamento generale normalizzasse il tono muscolare e di conseguenza il controllo neuro-muscolare sull'articolazione.

Il lavoro è stato così scandito:

Cyclette (Lifecycle horizontal) 50W per 5'75W per 10'100W per 3' Lavoro con sovraccarico

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Pressa - eccentricoPressa - concentricoLeg extension - isometricoLeg extension - concentrico Carico sull'arto infortunato [kg] Da 4155 a 5064 Carico di compensazione arto sano [kg] Da 4360 a 5640 Angoli di lavoro Pressa: da 0° a 110°Leg extension: 30° in isometria10° - 90° concentrico

Gli esercizi di propriocettività: statici su tavoletta, con palleggio e lancio, deambulazione tra tavolette, senza e con palleggio.

A conclusione di questa fase di lavoro è statoprogrammato un periodo di riposo alla fine del qualel'atleta è stata sottoposta al primo controllo medico delproprio chirurgo, il quale ha evidenziato un buon recupero della trofia e della mobilità ( quest'ultimacompresa tra 5 gradi d'estensione e i 140-145 gradi di flessione).

Caratterizzato dalla ripresa della corsa.

Dal risultato del test di Cooper, svolto in forma ridotta sui 6 minuti, metri 860, è stato impostato il programma di ripresa della corsa in forma intervallata. In tale periodo il lavoro è stato programmato in modo da incrementare la distanza da percorrere dai 1100 a 1300 metri, con velocità comprese dai 9.5 - 11 km/h. Il lavoro è stato così impostato:

Cyclette (Lifecycle horizontal) 50W per 5'75W per 5'

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100W per 5'125W per 5' Lavoro con sovraccarico Pressa - eccentricoPressa - concentricoLeg extension - concentrico Carico sull'arto infortunato [kg] Da 4950 a 7487 Carico di compensazione arto sano [kg] Da 7942 a 9307 Angoli di lavoro Pressa: da 0 a 110Leg extension: 0° - 110° Corsa Da 1000 m. a 1300 m. a 9,5 - 11 km/h

Gli esercizi di propriocettività: sono stati intensificati inserendo esercitazioni dinamiche e di deambulazione tra le tavolette, salti su tavoletta con doppio e singolo appoggio.

Caratterizzato dalla ripresa del lavoro dinamico con rimbalzo computerizzato.

Il lavoro computerizzato

L'atleta deve eseguire il lavoro dinamico con rimbalzo programmato alla macchina pesi collegata ad un computer che permette di visionare sul monitor la forza espressa ad ogni sollevamento. In questo modo l'atleta conosce l'entità della prestazione (spinta) appena effettuata e deve superarla con la spinta successiva.

Il lavoro computerizzato è basato sull'esaltazione della motivazione che porta l'atleta ad esaurire sempre e completamente tutte le sue riserve energetiche favorendo così un più alto livello di supercompensazione. Questo si traduce in

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un maggior impegno che crea una più elevata capacità d'adattamento, che determina un più consistente livello di partenza per la seduta successiva. Allo stesso tempo il lavoro computerizzato permette di controllare quando la prestazione decade in maniera consistente. Questo fatto può essere considerato come indice di raggiunto affaticamento.

Con tale metodica la quantità di carico di lavoro della seduta è stato aumentato notevolmente poiché come riferimento è stata presa in considerazione la forza realmente sviluppata e non il carico totale programmato. Il carico totale programmato è calcolato come il prodotto tra il carico di lavoro e le ripetizioni e le serie programmate. La forza realmente sviluppata è la somma d'ogni singola forza di spinta espressa in ogni ripetizione effettuata. In genere la forza di spinta è maggiore del 35-40% del carico programmato.

Alla fine del lavoro computerizzato il tendine rotuleo evidenziava un lieve gonfiore, indolenzimento ed insofferenza al tatto, ma tali fenomeni regredivano dopo alcune ore di riposo. Sono sempre stati, comunque, sconsigliati gli impacchi di ghiaccio dopo allenamento affinché i fenomeni di gonfiore potessero evidenziare i tempi d'assorbimento del lavoro svolto ed eventuali errori sul carico proposto. Durante tale periodo è stato intensificato anche il programma di corsa, visti i risultati raggiunti nel test di Cooper 1996 metri, svolto in forma completa sui 12 minuti.

Il lavoro è stato così proposto: Corsa Da 2700 m. a 3200 m. a 11 - 13.5 km/h Cyclette (Lifecycle horizontal) 75W per 5'100W per 3'125W per 3'150W per 3'175W per 3' Lavoro con sovraccarico Pressa - eccentricoPressa - concentricoPressa - dinamico con rimbalzo computerizzato Carico sull'arto infortunato [kg] Da 11880 a 16099.5

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Carico di compensazione arto sano [kg] Da 11007.2 a 18588.5 Angoli di lavoro Pressa: da 0° a 110°

Gli esercizi di propriocettività: sono stati introdotti esercitazioni di salto controllato tra gli attrezzi senza e con palleggio.

Alla fine di questa fase di lavoro l'atleta è stata sottoposta a visita di controllo dal proprio ortopedico.

Dalle indicazioni ricevute dall'ortopedico, il programma di rieducazione è stato indirizzato principalmente a ristabilire la simmetria della trofia muscolare. Dalla valutazione antropometrica, infatti, risultava che le differenze tra le circonferenze, alle varie altezze della coscia, esistente tra l'arto sano e quello leso, erano:

cm dal bordo superiore della patella ∆C [cm] 10 2.5 20 4.5 28 1.5

Il programma, quindi, è stato modificato sostituendo il lavoro di corsa con un lavoro alla cyclette orizzontale durante il quale l'atleta era invitata a spingere prevalentemente con l'arto destro. E' stato anche modificato il lavoro con il sovraccarico: è stato proposto un sistema di distribuzione del carico in forma variabile (piramidale).

Il lavoro è stato così impostato: Cyclette (Lifecycle horizontal) 75W per 10'

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100W per 3'125W per 3'150W per 3'175W per 3'200W per 3' Lavoro con sovraccarico Pressa - eccentricoPressa - concentricoPressa - dinamico con rimbalzo Carico sull'arto infortunato [kg] Da 15067.5 a 21080 Carico di compensazione arto sano [kg] Da 14892 a 20777.2 Angoli di lavoro Pressa: da 0° a 110°

Dopo tale fase di lavoro la differenza tra le circonferenze della coscia si era

ridotta a: cm dal bordo superiore della patella

∆C [cm]

10 0.5

20 1.5

28 0

Gli esercizi di propriocettività: salti su tavoletta con doppio e singolo appoggio, salti tra tavolette con doppio e singolo appoggio, salti tra tavolette con ostacolo (plinto 30, 40, 50, 60 cm) con doppio e singolo appoggio.

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Ripresa del lavoro tecnico

Nel piano di lavoro generale sono state anche inserite esercitazioni di palleggio con spostamento avanti, indietro e laterale, cerando di riprodurre quelle tipiche che si vengono a creare durante le fasi di gioco. Queste esercitazioni venivano svolte salvaguardando il ginocchio con un tutore.

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I test effettuati

Muscolari Esercizio/Esame I° II° III° IV° V° Pressa Sx 64(*) 81(*) 88(*) 91(*) 97.96(**)Pressa Dx 70(*) 73(*) 88(*) 94.44(**)Leg ext.Sx 49(*) 63(*) 66(*) 63(*) 67.05(**)Leg Ext.Dx 31(*) 42(*) 42(*) 39.90(**)(*) Esame eseguito con metodo manuale(**) Esame eseguito con metodo computerizzato

Cooper

Data 19.06. 17.07. 25.08. metri 860(*) 1996(**) 2400(**) (*) Esame eseguito nel tempo di 6 minuti(**) Esame eseguito nel tempo di 12 minuti

L'incremento del carico proposto

Il grafico evidenzia l'andamento dell'incremento del carico programmato durante tutto il periodo di rieducazione sia per l'arto da rieducare (Carico sull'arto infortunato [kg]) sia per quello sano (Carico di compensazione arto sano [kg]).

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Il lavoro di compensazione svolto sull'arto sano aveva lo scopo di stabilire il traguardo riabilitativo in condizione d'allenamento e quindi più prossima all'imegno agonistico.

Inconvenienti insorti

Durante tutto il periodo considerato si sono verificati i seguenti inconvenienti: A affaticamento della regione lombare della schiena determinato,

presumibilmente, dalla posizione di compensazione durante il lavoro allapressa con l'arto sano. E' stato risolto con una modifica del programma dilavoro e sfruttando il riposo del week-end.

B contrattura all'adduttore destro, presumibilmente determinato, anche, dallecondizioni climatiche della palestra.

C contusione al ginocchio destro nella zona sottorotulea mediale,determinata da una caduta in fase di recupero di un pallone, durante un'esercitazione di spostamento laterale in palleggio.

Situazione finale

Persiste un leggera ipotrofia del muscolo quadricipite destro quantificabile in una riduzione di 1.5 cm della circonferenza, rispetto l'arto sano, misurata a 10 cm dal margine superiore della patella.

La forza: per quanto riguarda la potenzialità espressa alla pressa (pressa da seduti - Life Fitness) con un'escursione di 42 cm, i valori riscontrati sono stati di:

arto sinistro 97.9609 arto destro 94.4498 deficit% 3.58

Essendo l'arto destro l'arto di spinta dell'atleta, si può indicare che il deficit% teorico raggiunge il 13.58%.

Per quanto riguarda le potenzialità espresse alla leg extension (Life Fitness) con un'escursione di 85°, i valori riscontrati sono stati di:

arto sinistro 67.0566

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arto destro 39.9044 deficit% 40.49

Tale differenza può spiegarsi con l'intolleranza che l'atleta ha sempre manifestato in tale esercitazione dinamica; quando l'arto era sottoposto a tale lavoro, immediatamente si manifestavano dolore, ipersensibilità anche al tatto, leggero gonfiore del tendine rotuleo, ecc.. A livello preventivo, dunque, tale esercitazione è stata evitata per quasi tutto il programma rieducativo, meno che nel periodo finale durante il quale l'atleta accettava l'esercitazione svolta, però, con carichi limitati. La flesso-estensione è stata recuperata quasi completamente. Seppur nell'estensione la gamba si estende perfettamente sulla coscia, ad un esame visivo di confronto tra gli arti si può notare che la gamba sana presenta una leggera iperestesione, determinata ovviamente da fattori genetici, che difficilmente potrà essere recuperata dall'arto infortunato. La flessione è ancora ridotta d'alcuni gradi quantificabili in 5-7°.

Schema del programma da svolgere presso la propria sede Corsa Da 3300 m. a 4500 m. a 12.5 - 15.5 km/h Lavoro con sovraccarico Pressa - eccentricoPressa - concentricoPressa - dinamico con rimbalzo Carico sull'arto infortunato [kg] Da 19890 a 25567.5 Angoli di lavoro Pressa: da 0° a 110° Cyclette (Lifecycle horizontal) 75W per 10'100W per 3'125W per 3'150W per 3'175W per 3'

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200W per 3' Esercizi di propriocettività Salti su tavoletta con doppio e singolo appoggioSalti tra tavolette con doppio e singolo appoggioSalti tra tavolette con ostacolo (plinto 30, 40, 50, 60 cm) con doppio esingolo appoggio

Avvertenze: A Continuare il lavoro rieducativo cercando di rispecchiare le caratteristiche

impostate precedentemente con esercitazioni alla pressa ed alla leg extension, con carichi poco elevati e a basse velocità.

B Continuare un massiccio lavoro propriocettivo cercando di riproporre glisbilanciamenti laterali tipici.

C Riprendere in modo graduale il lavoro tecnico evitando assolutamente diconsigliare all'atleta di saltare. Tale azione motoria deve esserepreventivamente autorizzata dal medico ortopedico.

D Evitare gli affondi e le massime accosciate.

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5.3 Trattamento della lesione meniscale

La Lesione meniscale può essere trattata con varie tecniche: (tutte eseguibili in artroscopia)

1) ASPORTAZIONE DELLA PORZIONE ROTTA DEL MENISCO OVVERO MENISCECTOMIA .Può essere selettiva, parziale, subtotale o totale a seconda del tipo di rottura cioè tentativo di salvare il menisco riparandolo e reinserendolo nella posizione originaria

2) SUTURA MENISCALE

L'impiego di una particolare tecnica chirurgica è in funzione del tipo di lesione del menisco e della qualità del tessuto meniscale. Infatti la sutura del menisco ha più successo in un soggetto giovane, con stoffa meniscale di buona qualità, piuttosto che in un soggetto più anziano in cui le lesioni degenerative legate all'età rendono più difficile la buona riuscita della sutura.

In generale, le lesioni del menisco che interessano la regione meno vascolarizzata vanno trattate con l'asportazione della parte lesa, mentre le rotture più periferiche, cioè della zona più vascolarizzata, possono beneficiare della tecnica della cruentazione, quando si tratta di una piccola disinserzione del margine periferico del menisco (e in tal caso si "gratta" con apposita raspetta la lesione, in modo da indurre un sanguinamento e una reazione cicatriziale), oppure si procede alla sutura meniscale, ovvero si procede ad applicare dei punti di sutura sulla breccia ancorando il menisco alla capsula.

Le rotture più grossolane del menisco sono quelle a "manico di secchia" : il menisco, completamente staccato perifericamente, rimane inserito solo nel suo estremo anteriore e posteriore, potendo così dislocarsi davanti al condilo femorale impedendo l'articolarità del ginocchio che sarà bloccato in una posizione di leggera flessione: al chirurgo in genere, non rimane altra scelta che asportare la parte lesionata.

IL TRATTAMENTO DELLE LESIONI MENISCALI

L’intervento di artroscopia, ed eventuale meniscectomia, viene effettuato ambulatoriamente in una sala operatoria appositamente attrezzata, dopo che l’anestesista avrà praticato una anestesia locale, oppure un blocco anestetico loco-regionale. Solo in casi rari si effettua una anestesia totale, rendendo in questi casi necessario il ricovero.

MOBILIZZAZIONE DEL GINOCCHIO

Esistono 4 tipi di articolarità: 97

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a) articolarità passiva: è il movimento di un'articolazione compiuto da un'altra persona, un oggetto o l'arto controlaterale. Non si verifica alcuna contrazione muscolare attiva

b) articolarità assistita: il paziente contrae attivamente i muscoli e muove l'articolazione nel suo range articolare con l'assistenza di una persona.

c) articolarità attiva: gli esercizi vengono compiuti dal paziente, i muscoli si contraggono per tutto il range articolare senza l'assistenza di un'altra persona

d) articolarità attiva contro resistenza: gli esercizi sono effettuati dal paziente contro una certa resistenza, per esempio un peso

ESERCIZI PER IL RINFORZO MUSCOLARE:

Gli esercizi statici o isometrici sono caratterizzati dalla contrazione o dal tensionamento attivo del muscolo senza che si verifichi alcun movimento dell’articolazione

Gli esercizi dinamici vengono effettuati contro una certa resistenza, ad esempio una resistenza manuale offerta da un carico esterno. Esistono 5 tipi di esercizi dinamici:

Esercizi ISOTONICI: vengono effettuati a resistenza costante e velocità variabile attraverso un arco di movimento parziale o completo nel quale i muscoli si accorciano (concentrici) o si allungano (eccentrici)

Esercizi ISOCINETICI: vengono effettuati per un arco di movimento parziale o completo in cui la resistenza varia e la velocità viene mantenuta costante, con appositi apparecchi

Esercizi IDROCINETICI: vengono compiuti per un arco di movimento parziale o completo e l'acqua agisce da resistenza

Esercizi ISODINAMICI: vengono compiuti per un arco di movimento parziale o completo, usando un sistema idraulico. in cui la resistenza è costante e la velocità variabile

Esercizi PLIOMETRICI: sono un ibrido tra attività concentrica ed eccentrica, in cui vengono sottoposte al carico sia la componente elastica che quella contrattile dei muscoli. Si tratta di esercizi esplosivi in cui sono ripetuti movimenti di avvio e arresto, quali, ad esempio, i saltelli su due gambe in linea retta.

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5.4 Protocollo riabilitativo dopo intervento di meniscectomia artroscopica

Il recupero cinesiterapico, deve essere attuato dal paziente sin dalle prime ore dopo l'intervento. Attraverso una progressiva intensificazione degli esercizi ed una bilanciata programmazione per il potenziamento degli estensori e la distensione dei muscoli flessori della coscia si deve raggiungere un tonotrofismo muscolare valido in modo da consentire una precoce ripresa dell'attività.

I FASE

La prima fase comprende gli esercizi da eseguirsi molto precocemente. Si comincia con movimenti attivi della caviglia e con contrazioni del muscolo quadricipite (isometriche, ovvero non accompagnate da movimento articolare ), mantenute per circa 20 sec., cercando di schiacciare il ginocchio contro il piano del letto. Plurime contrazioni con un periodo di riposo tra una contrazione e l'altra di almeno 10 secondi. Poi, ci si impegna nel sollevamento dell'arto operato, con il ginocchio esteso, fino a circa 50 cm dal piano del letto, mantenendo questa posizione per 20 secondi. Il giorno successivo all'intervento il programma riabilitativo viene incrementato con esercizi di sollevamento laterale dell'arto esteso, nella posizione "sul fianco" con zavorra alla caviglia. Flesso estensioni attive del ginocchio strisciando il piede sul letto. Flesso estensioni del ginocchio in posizione eretta, con appoggio ad un tavolo. Sempre appoggiati su di un tavolo, esercizi di sollevamento posteriore dell'arto a ginocchio esteso. Da seduti, esercizi di potenziamento degli adduttori effettuati ponendo un cuscino piegato tra le ginocchia e cercando di comprimerlo. Sempre da seduti, sollevamento verso il petto della coscia a ginocchio flesso

La tumefazione endoarticolare rilevabile nel post operatorio non deve rappresentare causa di apprensione per il paziente o il terapista, in quanto è un evento normale e non raggiunge mai un grado tale da dover sospendere il programma riabilitativo, ma può solo controindicare l'uso di resistenze più elevate.

Il FASE

Dopo pochi giorni dall'intervento si può iniziare una riabilitazione specifica presso un centro di rieducazione idoneo. La stampella verrà gradualmente abbandonata, e la fasciatura iniziale sostituita da un bendaggio più leggero. Gli esercizi sopra descritti potranno essere praticati a domicilio con l'applicazione alla caviglia di un peso di 2 Kg.

L'obiettivo della fisioterapia è quello di aumentare progressivamente i gradi di movimento del ginocchio e di recuperare la forza e l'elasticità muscolare. L'intensità del programma dipende dal tipo di lesione meniscale, dal tipo di intervento subito e dall'obiettivo personale: se il paziente è un atleta, sarà opportuno integrare il periodo riabilitativo con esercizi specifici che preparino al ritorno allo sport.

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La fisioterapia inizia con la mobilizzazione della rotula, il massaggio quadricipitale, ed il recupero della flesso estensione. Talora possono essere utili le elettrostimolazioni del quadricipite.

Gli esercizi che migliorano l'escursione articolare possono essere passivi, quando è il fisioterapista che muove manualmente il ginocchio e il paziente deve cercare di stare rilassato; attivi quando il paziente si impegna a muovere il ginocchio cercando di raggiungere i gradi estremi di flessione ed estensione; via via si introducono esercizi di iperflessione, accovacciamento, squatting ecc.

E' indicata anche la cyclette, che migliora l'articolarità e la forza muscolare: deve essere praticata dapprima a sella alta, pedalando sia con la punta sia con il tallone in modo da stimolare gradualmente i flessori del ginocchio ed i gemelli.

Dopo la rimozione dei punti, che avviene in genere in 10a giornata, il paziente che gradisce l'attività natatoria può recarsi in piscina dedicandosi alla corsa in acqua e al nuoto.

Per il miglioramento della forza, vengono effettuati esercizi di potenziamento muscolare per il quadricipite, gemelli, ischio-crurali, adduttori, abduttori, dapprima in scarico e poi con carichi progressivamente crescenti: il lavoro isotonico di contrazione in contro-resistenza manuale, viene effettuato nei diversi gradi di flessione si passa quindi ad esercizi in catena cinetica chiusa (con il piede solidale ad una superficie di appoggio) ed in catena cinetica aperta. Inizia anche il lavoro con le corde elastiche.

Sono qui illustrati alcuni semplici esercizi che il paziente può effettuare a domicilio. Si raccomanda di ancorare in modo stabile la corda elastica.

Non bisogna dimenticare, durante tutta la durata del programma riabilitativo, gli esercizi di stretching che vanno praticati all'inizio e alla fine delle sedute riabilitative:

Questi esercizi servono a migliorare l'elasticità muscolari devono essere dolci, lenti e prolungati.

Bisogna assolutamente evitare carichi di lavoro eccessivi ed esercizi che provocano dolore e tumefazione. Al termine di ogni seduta verrà applicato ghiaccio sul ginocchio.

A fianco del potenziamento muscolare è altrettanto utile l'esecuzione di esercizi su piani instabili per stimolare la propriocettività dell'arto operato.

Se disponibile, si utilizzerà l'attrezzo 'PROFITTER', struttura ellittica oscillante su cui è posto un piano scorrevole ancorato ad elastici che ne rendono graduabile la resistenza necessaria affinché possa muoversi da una estremità all'altra. L'esercizio iniziale prevede che il soggetto appoggi l'arto operato sul carrellino compiendo movimenti di bascula avanti e indietro, mantenendo l'equilibrio con l'arto

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controlaterale.

III FASE

Dopo circa 20 giorni dall'intervento inizia la terza fase.

Il paziente può iniziare la corsa, dapprima in linea retta e con fasi intervallate di deambulazione per evitare sovraccarichi funzionali. Viene concessa la bicicletta su strada e anche la mountain bike. In palestra ci si avvale di appositi macchinari: step machine, leg press, leg curl, leg extension, adduttor machine. Vengono seguiti schemi di allenamento miranti a migliorare la forza muscolare (con carichi massimali e serie brevi) e la resistenza (con carichi intermedi e serie lunghe, ripetute).

Appena possibile si esegue un test isocinetico che viene effettuato su un apposito macchinario e, se l'arto operato ha raggiunto almeno 1'80 % della forza dell'arto controlaterale, si inizia il recupero del gesto sportivo specifico. Aumenta allora l'intensità degli allenamenti e si alterna il lavoro sul campo al lavoro in palestra fino alla graduale ripresa dell’attività.

N.B. DURANTE IL PRIMO MESE, IL PAZIENTE VERRA’ SOTTOPOSTO A CONTROLLO MEDICO OGNI 7 GIORNI

Se la forza recuperata non è pari all'80% dell'arto sano, può essere consigliato un allenamento isocinetico con un apposito macchinario che permette selettivamente di rinforzare la muscolatura consentendo movimenti articolari a velocità angolare costante. Le prime sedute verranno praticate ad alte velocità angolari, e quindi via via si introdurranno velocità medie e basse.

L'allenamento isocinetico deve essere sempre preceduto da un adeguato riscaldamento; è consigliabile impostare l'allenamento con contrazioni submassimali a velocità medio-alte ripetute fino alla comparsa della fatica. Con il progredire della mobilità aumenta anche l'intensità del lavoro isocinetico e si giungerà a contrazioni massimali.

In questa fase è utile continuare con gli esercizi in catena cinetica chiusa, utilizzando a tale scopo una pressa isocinetica ed una scala ergoelettronica ove il paziente sorreggendosi con le mani può esercitare gli arti inferiori impegnati in reciproche fasi di spinta ove il carico, la velocità e la durata dell'esercizio vengono impostati dal fisioterapista

In accordo con il preparatore atletico inizia l'allenamento specifico, viene inserita la corsa, bicicletta e quanto altro utile per il recupero della piena forma fisica.

Una volta raggiunta una buona condizione generale in accordo con il tuo chirurgo e terapista l’atleta potrà riprendere l’attività agonistica.

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5.5 Protocollo riabilitativo dopo intervento di sutura meniscale

Come già detto, è preferibile cercare di salvare un menisco rotto, riparandolo.

Questo tipo di intervento non è sempre possibile, ed è indicato solo se la lacerazione si trova nel contesto dell'area nutrita dal sangue (cioè quella più periferica), che ne permette la guarigione. Il menisco allora viene suturato: si utilizzano dei fili di sutura che vengono lentamente riassorbiti, in circa due mesi. A volte, per effettuare la sutura meniscale, si rende necessaria una ulteriore incisione nella parte posteriore del ginocchio.

Nel caso di sutura meniscale i tempi di recupero sono più lenti: spesso si applica un tutore che limita l'escursione articolare del ginocchio evitando i gradi estremi di flessione e di estensione (in genere per una quindicina di giorni): il carico sull’arto operato sarà parziale con l'ausilio di stampelle.

In questo periodo di tempo il paziente può cominciare ad effettuare esercizi riabilitativi a domicilio.

I primi giorni dopo l’intervento è consigliabile tenere l’arto operato sollevato dal piano del letto con un cuscino e applicare localmente (sul ginocchio bendato) la borsa del ghiaccio per circa mezz'ora, più volte al giorno. Il chirurgo può consigliare l'assunzione di farmaci antiinfiammatori.

I FASE

Superata la fase acuta, il paziente inizia la riabilitazione: contrazioni muscolari isometriche del muscolo quadricipite, effettuate a vari gradi di flessione del ginocchio, tenute per circa 10 sec.

Inoltre, contrazioni isometriche dei muscoli ischio-crurali (i muscoli posteriori della coscia), movimenti attivi della caviglia.

Altri esercizi consigliati:

Sollevamento dell'arto esteso, innalzandolo circa 50 cm. dal piano del letto e mantenendo questa posizione per circa 10 sec. (Arto controlaterale flesso).

Sollevamento laterale dell’arto nella posizione "sul fianco” eventualmente anche con un peso di circa 1 Kg sotto forma di cavigliera piombata.

Piegamenti del ginocchio con piede strisciante sul letto, nei limiti del movimento concesso dal tutore.

Analoghi piegamenti del ginocchio in posizione prona ed in posizione eretta.

Flesso-estensioni del ginocchio in posizione seduta, sempre nei limiti del range articolare concesso dal tutore.

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Si prosegue con gli esercizi di rinforzo dei muscoli adduttori ed abduttori.

I punti di sutura verranno rimossi intorno al decimo giorno dall'intervento.

II FASE

A questo punto si può iniziare una riabilitazione specifica presso un Centro fisioterapico. Si lavorerà, insieme al fisioterapista per migliorare gradualmente l'articolarità e recuperare la forza e l'elasticità muscolare.

L'articolarità viene stimolata passivamente, nelle prime sedute, e dopo qualche giorno anche attivamente.

Gli esercizi consigliati nella prima fase possono essere effettuati con un peso di circa 1 Kg alla caviglia. Può essere indicato anche un ciclo di elettrostimolazioni quadricipitali, al fine di mantenere un buon trofismo muscolare.

Per il miglioramento della forza, vengono proposti esercizi di potenziamento muscolare per il quadricipite, gemelli, ischio-crurali, adduttori, abduttori, dapprima in scarico e poi con carichi progressivamente crescenti.

Il lavoro isotonico di cocontrazione in controresistenza manuale è effettuato nei diversi gradi di flessione

Quindi esercizi in catena cinetica chiusa (con il piede solidale ad una superficie di appoggio) e poi in catena aperta. (20° giornata).

La Cyclette, inizialmente viene praticata a sella alta.

Inizia anche il lavoro con gli elastici.

Dal 20° giorno può essere effettuato anche il nuoto.

Non bisogna dimenticare, durante tutta la durata del programma riabilitativo, gli esercizi di stretching che vanno praticati all'inizio e alla fine delle sedute riabilitative. Questi esercizi servono a migliorare l'elasticità muscolare. Essi devono essere dolci, lenti e prolungati.

Bisogna assolutamente evitare carichi di lavoro eccessivi ed esercizi che provocano dolore e tumefazione. Al termine di ogni seduta verrà applicato ghiaccio sul ginocchio.

A fianco del potenziamento muscolare è altrettanto utile l'esecuzione di esercizi su piani instabili per stimolare la propriocettività dell'arto operato (tavolette UFO).

Se disponibile, si utilizzerà l'attrezzo "PROFITTER", struttura ellittica oscillante su cui è posto un piano scorrevole ancorato ad elastici che ne rendono graduabile la resistenza necessaria affinché possa muoversi da una estremità all'altra

L'esercizio iniziale prevede che il soggetto appoggi l'arto operato sul carrellino

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compiendo movimenti di bascula avanti e indietro, mantenendo l'equilibrio con l'arto controlaterale.

III FASE

Siamo a circa 2 mesi dall'intervento. Viene concessa la bicicletta su strada, e quindi la mountainbike. Il palestra ci si avvale di appositi macchinari per continuare la riabilitazione del ginocchio: step machine, leg press, leg curl, leg extension, adduttor machine. Vengono eseguiti schemi di allenamento miranti a migliorare la forza muscolare (con carichi massimali e serie brevi) e la resistenza (con carichi intermedi e serie lunghe, ripetute)

Gradualmente, viene introdotta la corsa, dapprima in linea retta e con fasi intervallate di deambulazione per evitare sovraccarichi funzionali. Saltelli sul posto con corda.

Appena possibile si esegue un test isocinetico che viene effettuato su un apposito macchinario. Se tale test risulterà soddisfacente, potrà essere iniziato il vero e proprio allenamento isocinetico.

Quando l'arto operato avrà raggiunto 1'80% della forza dell'arto contro laterale, si inizia il recupero del gesto atletico specifico, con la ripresa degli allenamenti. Si ricorda che le prime sedute dovranno essere praticate ad alte velocità angolari, per introdurre via via le velocità medie e basse.

L'allenamento isocinetico deve essere sempre preceduto da un adeguato riscaldamento; è consigliabile impostare l'allenamento con contrazioni submassimali a velocità medio-alte ripetute fino alla comparsa della fatica. Con il progredire della mobilità aumenta anche l'intensità del lavoro isocinetico e si giungerà a contrazioni massimali. In questa fase è utile continuare con gli esercizi in catena cinetica chiusa, utilizzando a tale scopo una pressa isocinetica ed una scala ergoelettronica ove il paziente, sorreggendosi con le mani può esercitare gli arti inferiori impegnati in reciproche fasi di spinta ove il carico, la velocità e la durata dell'esercizio vengono impostati dal fisioterapista.

5.6 La tecnica Wat Job

Le tecniche di riabilitazione in uso oggi hanno come principale scopo il recupero funzionale del paziente in tempi brevi, atte a ridurre il più possibile sia le complicanze post-operatorie sia a permettere un reinserimento celere in ambiente socio-lavorativo e/o sportivo.Le metodologie usate si rifanno per la maggior parte a tre correnti: 1. riabilitazione con esercizi passivi ed attivi a catena cinetica chiusa;

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2. riabilitazione usando catene cinetiche aperte 3. riabilitazione in acqua. In questo nostro articolo, quindi, presentiamo una tecnica di riabilitazione innovativa in acqua, con l’uso di sovraccarichi periferici (tecnica Wat-Job), messa a punto dal nostro gruppo di lavoro. Tale tecnica permette il recupero totale e in tempi più brevi rispetto alle tecniche tradizionali, cosa questa di fondamentale importanza per un reinserimento nella attività senza complicanze muscolo-tendinee o recidive. Tale metodica, può essere somministrata sia a sedentari che hanno tutto l’interesse a riprendere precocemente l’attività lavorativa, che ad atleti di qualsiasi livello. DESCRIZIONE DELLA TECNICA WAT JOB Fra i compiti che possono essere considerati " istituzionali" nel lavoro del tecnico riabilitatore, spicca quello di dover continuamente ricercare metodi terapeutici di facile attuazione, agenti nel rispetto di precise regole di progressione del carico somministrato e, soprattutto, che non danneggino ulteriormente una struttura che ha già subito insulti traumatici e/o chirurgici. A questo principio metodologico, negli ultimi anni, si è aggiunto il concetto di riabilitazione/ricondizionamento, cioè la ricerca di programmi riabilitativi che prevedano, oltre le manovre classiche di terapia cinetica, anche l'introduzione, fin dalle prime fasi di lavoro, di particolari movimenti consensuali alla biomeccanica del gesto che il paziente è uso fare. Tuttavia, a volte, ciò può risultare di difficile realizzazione, come quando ci si trova di fronte ad un paziente con una patologia osteo-articolare complessa, dove il carico gravitario, specie nelle prime fasi della riabilitazione non è consentito. In questi casi, la moderna cinesiologia consiglia di ricorrere a tecniche di terapia in acqua che prevedano, oltre all'uso delle tradizionali metodologie (pinne, corpetti antigravitari, etc.), anche l'uso di tavolette Wat-Job, le quali, con l'applicazione di un carico idrodinamico quantificabile, permettono di impostare un lavoro programmato che accompagna il paziente dalla prima fase di riabilitazione fino alla fase finale di ricondizionamento senza sottoporre l'articolazione o l'arto leso ad un carico eccessivo, quale quello gravitario, ma permettendogli nel contempo di riattivare uno schema neuro-motorio specifico. Dopo diversi studi, sperimentazioni in galleria del vento e varie teorizzazioni si è giunti alla conclusione che le forze fluidodinamiche dipendono dalla densità del fluido in cui sono generate, dalla velocità alla quale ci si muove elevata al quadrato (questo ha importanti conseguenze, come vedremo), da una sezione di riferimento del corpo e

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da un termine convenzionale che chiamiamo coefficiente di forma e che dipende, appunto, dalla forma del corpo e dal modo in cui questo incontra il fluido. La formula dice che: F=1/2p.V2.S.Cx dove: - F è la forza fluidodinamica calcolata in Newton (la potenza si ottiene considerando la velocità al cubo); - p è la densità del fluido in cui ci si muove espressa in Kg/m3, per l'aria vale 1,2 mentre per l'acqua dolce 1000; entrambi i valori sono riferiti a condizioni standard avendo visto che altrimenti sarebbero funzione della temperatura e della pressione; - V è la velocità di movimento in m/s elevata al quadrato (al cubo nel caso del computo della potenza); - S è la sezione di riferimento del corpo espressa in mq, di solito si prende quella frontale rispetto al senso del moto; - Cx è il coefficiente adimensionale di forma che convenzionalmente dipende solo dalla forma del corpo a qualunque velocità e in qualunque fluido si muova (questo non è sempre vero, ma per la maggior parte dei casi non cambia molto). Se si vuole avere la forza espressa in chilogrammi bisogna dividere il risultato ottenuto per l'accelerazione di gravità che per semplicità di calcolo prendiamo pari a 10 m/s2 (a Roma vale 9,806 m/s2, quindi la semplificazione comporta l'errore del 2%). A titolo di esempio calcoliamo la forza che occorre applicare ad un corpo semplice come una lastra piana per muoverlo in acqua a bassa velocità, ci troviamo quindi nel caso teorico ideale di una Riabilitazione in vasca. Premettiamo che fisicamente la lastra è un corpo piano, cioè avente due dimensioni, i lati, predominanti rispetto alla terza, lo spessore: una lastra quadrata, cioè con il rapporto tra i lati uguale circa ad uno, ha il coefficiente di forma pari a circa 1,2. Supponiamo infine che si muova in acqua alla velocità di 1 m/s (pari a 3,6 Km/h) e che abbia il lato di 20 cm (quindi la sezione frontale è di 0,2 x 0,2 = 0,04 mq). La forza è, come abbiamo detto, F= 1/2 p.V2.S.Cx cioè: 1000 : 2 x (1 x 1) x 0,04 x 1,2 = 24 Newton

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Se la vogliamo espressa in Kg dobbiamo dividere il tutto per il valore dell'accelerazione di gravità che abbiamo preso pari a 10 m/s2, otteniamo così il valore di 2,4 Kg. Nel caso la velocità fosse stata di 2 m/s la forza sarebbe stata 1000 : 2 x (2 x 2) x 0,04 x 1,2 = 96 Newton oppure 96:10 = 9,6 Kg cioè, come si è visto, raddoppiando la velocità la forza si quadruplica. A titolo di esempio vediamo la forza che servirebbe per muovere la stessa lastra sempre a 1m/s ma in aria: 1,2 : 2 x (1 x 1) x 0,04 x 1,2 = 0,0288 Newton cioè 0,00288 Kg!!! Non si deve poi dimenticare che il galleggiamento assume valori notevoli in acqua proprio per la sua elevata densità e che spesso può essere di aiuto facendo diminuire il peso gravante su di un arto agevolandone così il moto secondo le modalità stabilite (in realtà la spinta di Archimede esiste anche nell'aria, ma, dal momento che è pari al peso del volume di fluido spostato e che, come abbiamo visto, l'acqua è molto più pesante, nell'aria è molto ridotta). Applicazioni pratiche Veniamo adesso al caso pratico di nostro interesse, cioè quello del computo della forza necessaria a muovere un arto (ad esempio la rotazione di una gamba attorno al ginocchio) in acqua dopo che gli sia stata applicata saldamente una lastra piana per aumentarne la resistenza all'avanzamento. Allo scopo è stato messo a punto un software dedicato (ROSS; Zanolli, Faccini, Dalla Vedova, Besi, Leonardi)) con il quale si considerano, oltre a variabili fisse, anche variabili dipendenti, che permettono di calcolare sia il carico che si applica ad ogni movimento per diverse superfici di tavolette, che la progressione del carico stesso aumentando la velocità di esecuzione.

Le prove sperimentali effettuate hanno confermato l’ordine di grandezza riportato nelle figure per i carichi ottenuti.

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Si può dunque concludere dicendo che il modello di calcolo presentato presenta sufficiente precisione per descrivere lo stato attuale della ricerca e che, pur con le varie imprecisioni presenti e con la necessità di ulteriori aggiustamenti sperimentali, è già in grado di fornire velocemente e con calcoli relativamente semplici un'idea abbastanza precisa della dinamica del fenomeno e dell'ordine di grandezza delle forze in gioco. Le tavolette utilizzate in questa metodica riabilitativa, sono di materiale plastico, la cui forma, dimensione e collocamento, variano a seconda del carico e dei distretti articolari che si vogliono impegnare.

E' quindi possibile, conosciuta la superficie della tavoletta e la velocità di esecuzione del movimento (cronometrabile con buona approssimazione), definire il carico cui è sottoposta la catena cinetica muscolare interessata, oppure viceversa, stabilito il carico, indicare a quale velocità deve essere fatto il movimento. In questo modello sperimentale non è stato considerato, per ovvi motivi esemplificativi, il coefficiente di galleggiamento del corpo umano, dal momento che, nella fase riabilitatoria, si può zavorrare il paziente, allo scopo di annullare questa forza tendente verso l'alto o, come normalmente avviene, il paziente si sostiene ad apposite maniglie. Descrizione del metodo di lavoro in acqua Nella pratica riabilitatoria si utilizza una tavoletta di materiale plastico duro, di forma quadrangolare, con sottostante una centina anatomica che la adatta alla forma del distretto muscolare su cui viene collocata, assicurandola con una cinta di Velcro. Il metodo di lavoro con tavolette in acqua dovrà prevedere tale progressione metodologica:

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1- Dinamometria isometrica (valutazione della forza muscolare) 2- Scelta del carico da applicare tramite software (quantità, intensità) e quindi delle caratteristiche su cui si baserà il movimento (larghezza della tavoletta, numero e velocità delle ripetizioni). 3- Effettuazione del movimento (dopo aver posto il paziente in vasca nelle condizioni ottimali). E' di fondamentale importanza che il paziente assuma durante la riabilitazione in acqua una posizione verticale, facendo in modo che si assicuri a delle maniglie poste ai lati della vasca: si è infatti in precedenza descritto come sia variabile il carico con il variare della direzione del moto imposto alla tavoletta. Per angoli diversi consigliamo di studiare la resistenza in base alla formula descritta in precedenza. Descrizione di alcuni esercizi. La descrizione completa del metodo con WAT-JOB, presuppone una classificazione del tipo di patologia da riabilitare: pertanto si descriveranno due soli esercizi, considerati, dal punto di vista didattico, i più esplicativi. 1- Patologia dell' articolazione coxo femorale: riabilitazione del movimento di flessione della coscia sul bacino.

La tavoletta va posizionata in senso parallelo alla coscia, distalmente all'articolazione dell'anca, poi si procede all'esercizio. Sulla base di quanto in precedenza detto, con una tavoletta di cm. 20x20 sottoposta a movimento di semirotazione su un asse fisso ( in questo caso l' asse è quello passante per l'articolazione coxo-femorale) a circa 2 m/s il paziente deve vincere una resistenza

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di 3.32 Kg ogni rotazione, pertanto, dopo 10 ripetizioni, egli avrà spostato circa 33 Kg. 2- Patologia dell'articolazione femoro tibiale: "movimento tipo catena cinetica " di flessione semi completa dell'anca e di estensione del ginocchio.

La figura dimostra come sia possibile far compire ad un muscolo un movimento complesso: il quadricipite femorale è flessore della coscia sul bacino ed estensore della gamba sulla coscia (estensore del ginocchio). Posizionando quindi una tavoletta come in Fig. 3 ed un altra sulla zona sovrastante la caviglia, si otterrà il risultato di un movimento a catena cinetica completo del quadricipite. E' chiaro che le tavolette utilizzate possono essere di diverse dimensioni, onde somministrare carichi differenziati. Quindi, in conclusione, le due condizioni che possono far aumentare il carico di lavoro sono: l'aumento della velocità del movimento in acqua e l'aumento delle dimensioni di superficie esposta alla resistenza della tavoletta. Allo scopo, si possono utilizzare delle appendici laterali da applicare alla tavoletta stessa. TECNICHE DI RIABILITAZIONE DEL GINOCCHIO IN ACQUA 1. Riabilitazione del ginocchio dopo ricostruzione di legamento crociato anteriore (LCA), utilizzando esercizi di chinesiterapia con elastici (KCE) e metodo in acqua WAT-JOB. Nella esperienza quotidiana di riabilitazione di soggetti sportivi operati, caratterizzata, come spesso affermato in precedenza, dalla urgenza di rimettere l'atleta in grado di riprendere la propria attività agonistica, abbiamo messo a punto degli esercizi da inserire a complemento o come sostituzione dei tradizionali schemi riabilitativi che, applicati ove l'ambiente lo consente, permettono di accelerare i tempi della guarigione con indiscussi vantaggi sia in termini medici che pratici, senza arrecare danni al paziente, anche se non atleta. Allo scopo di rendere esauriente la nostra trattazione, descriveremo una riabilitazione di ricostruzione di LCA tradizionale, inserendo, nelle varie fasi, le nuove tecniche da noi proposte. Prima di passare alla descrizione del metodo, è doveroso fare una premessa di carattere funzionale. Il funzionamento del ginocchio patologico in via di riabilitazione è assai diverso dal comportamento cinesiologico di un ginocchio sano. Il terapista dovrà, pertanto, fissare i concetti generali biomeccanici del movimento articolare sano e confrontarli nel ginocchio che sta riabilitando, osservando attentamente che un

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ginocchio patologico rispetto al sano differisce essenzialmente nei meccanismi di difesa articolare rispetto agli agenti esterni, quali la forza di gravità. Un ginocchio patologico è un ginocchio a rischio: se per esempio non possiede, come abbiamo detto, tutta l'estensione, sarà deficitario anche negli ultimi 5° della massima rotazione combinata che il femore imprime alla tibia (qualora il piede è poggiato al suolo): questa azione del femore, in un ginocchio sano, consente di mettere in tensione tutti i dispositivi articolari e quindi di ovviare, per esempio, alle asperità del terreno, poiché in questa fase di estensione completa l'articolazione è serrata. A questo va aggiunto che esercizi che sviluppino carico a 45° (secondo un piano perpendicolare al centro di rotazione posto all'altezza del piatto tibiale) possono essere dannosi per la loro tendenza a sub-lussare anteriormente la tibia, quindi allungando coattamente il neolegamento, specie se applicati precocemente: esempio classico la leg-extension, sia in configurazione isocinetica che isometrica. E' per tali motivi che non può essere consentito il carico gravitario nei primi giorni della riabilitazione, tranne che non si ricorra ad alcuni accorgimenti, quali il lavoro in acqua con tavolette. L'attenzione del terapista dovrà essere rivolta oltre all’aspetto cinesiologico passivo, anche allo studio degli esercizi e quindi alla scelta dei mezzi allenanti, specie nella prima fase del periodo di riabilitazione. Estrema importanza rivestirà, quindi, l'aspetto metodologico riabilitativo, cioè la quantità del lavoro somministrato e la qualità dello stesso, intesa come la scelta dei mezzi riabilitativi.

SCHEMI DI RIABILITAZIONE La riabilitazione del ginocchio con LCA ricostruito prevede 5 o 6 fasi di lavoro:

Fase pre-operatoria Questo periodo, raramente di pertinenza pratica del Terapista, ricopre una fondamentale importanza nella riuscita successiva della riabilitazione. Esso consta di solito, ove lo stato di infiammazione lo consenta, di una serie di esercizi che il paziente esegue autonomamente su schemi consigliati dal medico o dal kinesiologo, tendenti al recupero o al mantenimento del tono-trofismo del quadricipite, del bicipite femorale e dei distretti muscolari della gamba, utilizzando tecniche di kinesi attiva e controresistenza che molto si avvicinano alle terapie conservative. La durata di questa pre-fase varia dalle 2 alle 3 settimane a partire dalla completa scomparsa dell’infiammazione dell'articolazione, cioè dopo circa 15-20 giorni dall'evento traumatico, ed è comunque dipendente dallo stato muscolare dell'operando. Purtroppo, per cause molteplici, il paziente tende a trascurare questa fase, per comprensibili aspetti psicologici, tranne nel caso in cui la sua motivazione sia molto alta (sportivi professionisti). Fase 1 (dalla 1a alla 15a giornata) Notoriamente nei primi giorni (3 o 5) dopo l'intervento il paziente rimane in ambiente ospedaliero, di solito allettato, immobilizzato in ginocchiera dinamica, con una articolazione dolorante e, spesso, edematosa. Questa fase deve essere molto ben gestita, perché altrimenti potrebbe causare danni seri e difficilmente riparabili. Nei primi 5 giorni il movimento dell'articolazione è affidato a sistemi MPC (macchine a

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movimento passivo continuo) che consentono il recupero della estensione passiva già in 7a, 9a giornata. L'ottimizzazione di una terapia a carico del ginocchio inizia dai primi giorni dopo la dimissione, con esercizi che programmano il mantenimento del buono stato muscolare della loggia anteriore e posteriore della gamba, compresa l'articolazione della caviglia. Questo perché, non potendo sovraccaricare, per ovvie ragioni, l'articolazione operata, in breve tempo potrebbe presentarsi la perdita funzionale di tutto il segmento sottostante: inserendo, invece, degli esercizi muscolari a carico di questi distretti, si consentirà al paziente di deambulare più precocemente con l'uso di canadesi evitando rovinose cadute. Noi consigliamo esercizi praticati in vasca già dai primi giorni di riabilitazione, facendo attenzione che il paziente immerga in acqua solo la parte sottostante la ferita che, al momento attuale, si presenta ancora con una cicatrice fresca. Con l'uso di una pinna di non eccessiva larghezza si faranno compiere esercizi di flesso estensione e circumduzione della caviglia. In aggiunta a questo lavoro in acqua, consigliamo anche kinesiterapia assistita controresistenza della caviglia, sia con uso di elastici che senza, a paziente con indosso il tutore bloccato, onde evitare stress in varo o in valgo del ginocchio operato. Queste tecniche sono da considerarsi come un complemento a quelle tradizionali, tipo le contrazioni isometriche del quadricipite e le flessioni attive isotoniche dei flessori, nonché i due esercizi precedenti combinati. In questa fase il paziente deambula "a sfioramento" con canadesi e l'ortopedico blocca la ginocchiera ad un angolo di estensione ancora chiuso. Fase 2 (dalla 15a giornata alla fine del 1° mese) Riteniamo che questa sia la fase "critica" da cui deriva la riuscita della riabilitazione. Rimanendo in perfetto accordo con le tecniche di terapia classiche, che non permettono ancora in questo periodo il carico ortostatico né esercizi a catena cinetica aperta, è in questa fase che devono essere previsti esercizi in vasca, che consentono, sfruttando l'assenza di carico gravitario, di somministrare al soggetto esercizi di flesso estensione coscia bacino e gamba coscia, sovraccaricando i movimenti con tavolette: in altri termini, ciò che non è permesso a secco, si può tranquillamente far eseguire in acqua. Dalla 15a giornata (dopo la rimozione dei punti di sutura), fino alla 30a, si userà una Wat Job di 20x20 cm. sulla coscia e una di 10x10 sulla gamba. In acqua sono consentiti anche esercizi di adduzione, abduzione e circumduzione. In aggiunta alle metodiche precedenti, possono cominciare gli esercizi isometrici "a circuito", o isodinamici con elastici: i primi eseguiti autonomamente dal paziente, i secondi assistiti dal Terapista. Quest'ultimo metodo è, a nostro avviso, preferibile, perché consente un maggior controllo sia del carico che della tecnica di esecuzione. Fase 3 (tutto il 2° mese) In questa fase, poiché al paziente viene permesso di deambulare senza l'uso di tutori, si può cominciare ad inserire esercizi che stimolino l'estensione attiva del paziente completando l'ipertrofizzazione dei flessori, dei vasti e dei muscoli della gamba. In vasca si aumenta il carico con l'aumento delle dimensioni della tavoletta (30x20) e con l'utilizzo anche di una pinna più larga. A secco, pur continuando gli esercizi di estensione passiva in precedenza descritti, si può inserire l'utilizzo di macchine più

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complesse: il tapis roulant sia in piano che in salita a basse velocità intervallate da pause per la ricoordinazione del passo (con andature tacco - punta) e della corsa, la bicicletta ergometrica per il lavoro sui vasti, esercizi con elastici che sviluppino tensioni maggiori, specie per i movimenti degli abduttori e degli adduttori della coscia. In questo periodo, inoltre possono essere usate delle correnti di elettrostimolazione tipo Koltz, che sono quelle che riescono a reclutare un maggior numero di fibre muscolari. Fase 4 ( dopo il 3° mese) E' molto simile alla precedente, variando da essa sostanzialmente per l'aumento del carico e per il numero di ripetizioni dell'esercizio. In questa fase gli esercizi in vasca non sono più allenanti, poiché allo scopo di aumentare il carico si dovrebbero utilizzare tavolette sovradimensionate o velocità di movimento notevoli. D'altro canto, arrivati a questo livello di riabilitazione senza che siano intercorsi problemi, riteniamo che il soggetto possa eseguire tutti i movimenti ed utilizzare tutte le macchine e/o metodologie di carico (compresa la leg-extension a catena cinetica aperta, che fino a questo momento era bandita o utilizzata con angolo di estensione minore rispetto a quello passivamente espresso dal paziente). Sarà compito del Terapista, della sua fantasia e dei mezzi a sua disposizione, il rendere efficace e non noiosa la terapia. Fase 5 e 6 (del Ricondizionamento) Possiamo in questa fase cominciare ad inserire esercizi di ricondizionamento: questo punto, di estrema importanza se ci troviamo di fronte ad un atleta, consiste nell'inserimento di esercizi a secco sempre più complessi sia in termini coordinativi che in termini cinetici: per esempio, se l'atleta è un calciatore, si potranno inserire dei circuiti di corsa con cambi di direzione, tipo corsa a navetta o, con una palla leggera, palleggi con l'arto operato ed appoggio sul sano. In presenza di atleti di altre discipline, gli esercizi verranno messi a punto sulla conoscenza del gesto motorio.

La validità dei protocolli proposti è stata confermata da uno studio sui risultati ottenuti su 20 atleti di alto livello, sottoposti a riabilitazione con il metodo WAT – JOB ,comparati con un gruppo di controllo di 20 atleti di alto livello, sui quali sono stati applicati concetti classici riabilitativi, con l’esclusione dell’uso dell’acqua . Il primo gruppo (riabilitati con la nuova idroterapia), ha mostrato un periodo di completo recupero funzionale in 105 ± 9 giorni, rispetto al gruppo di controllo la cui media è stata di 182 ± 7 giorni. Inoltre, il follow-up a 12 mesi, effettuato con l’utilizzo di test ortopedici di confronto (Jerk e Lachman Test; artrometria con KT 1000) ha dimostrato un’ottima risposta del gruppo dopo il loro ritorno all’attività atletica. VALIDAZIONE DEL METODO WAT-JOB DI RIABILITAZIONE IN ACQUA CON SOVRACCARICHI QUANTIFICABILI, TRAMITE STUDIO DEL COSTO ENERGETICO SU ATLETI (Autori: Faccini, Zanolli, Dalla Vedova, Selletti, Giombini, Verzieri).

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Gli autori, in passato, hanno sviluppato e messo in pratica un originale protocollo di lavoro, denominato Wat-Job, per lo svolgimento di esercizi riabilitativi in acqua con sovraccarichi quantificabili. E’ stato provato in molte pubblicazioni scientifiche che la riabilitazione in acqua con questa tecnica, presenta diversi vantaggi rispetto alle tecniche tradizionali: va ricordato che il lavoro in acqua si svolge in presenza di forze gravitazionali ridotte che caricano in modo trascurabile le articolazioni infortunate, prevenendo così l'insorgere di patologie infiammatorie, ottenendo la riabilitazione della “functio lesa” in tempi minori rispetto alle tecniche tradizionali. Per contro, una delle maggiori difficoltà consiste nella quantificazione corretta delle forze in gioco durante i diversi tipi di movimento in acqua: ciò non è sempre semplice a causa della complessità del movimento e della particolarità dell'ambiente in cui viene eseguito. Il principio su cui si basa la tecnica Wat-Job è che un corpo in moto in un fluido genera una scia e dei vortici, dai quali derivano turbolenza e una resistenza globale all'avanzamento di tutto il sistema. Per accentuare il fenomeno gli autori hanno introdotto l'uso di tavolette di dimensioni diverse applicate sugli arti in movimento; ottenendo con buona approssimazione la quantificazione dell'entità dei carichi. Ciò è stato possibile tramite la messa a punto di un software dedicato (R.O.S.S. - Rehabilitation Overload Simulation Software) basato sul calcolo di variabili quali i parametri antropometrici dell’atleta, il tempo di esecuzione del gesto in acqua, la dimensione delle tavolette. Infatti, è noto che la resistenza all'avanzamento di un corpo in un fluido dipende dalla densità del fluido (p), dalla forma (Cx), dalla sezione del corpo (S) e dalla velocità relativa di movimento (V): F=1/2p.V2.S.Cx I risultati, che qui presentiamo, si riferiscono alla validazione fisiologica del metodo. Allo scopo abbiamo studiato con l’ausilio di metabolimetro telemetrico (K4 della COSMED), il consumo energetico (VO2, frequenza cardiaca, lattatemia) di 7 atleti (5 giocatori di rugby e 2 atlete di mezzofondo veloce) durante lo stesso tipo di esercizio svolto in acqua con le tavolette in tre maniere diverse: 2 serie di 10 ripetizioni eseguite per 3 volte senza sovraccarico e, successivamente applicando tavolette da 20 x 20 e da 25 x 25 cm di lato.

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I dati sono stati suffragati dallo studio del carico ottenuto applicando degli accelerometri sulla tavoletta a parità di gradi di movimento corrispondenti ai sovraccarichi calcolati dal software R.O.S.S. Il confronto fra gli esercizi in acqua ha messo in evidenza che, nell’esercizio senza sovraccarichi si hanno costi energetici molto bassi (mediamente il 33,3% di VO2 max, 64,5% di Hr max e 26,1% di Lattatemia max), mentre applicando sovraccarichi (tavolette), questi consumi aumentano notevolmente, arrivando, in alcuni atleti, a superare sia il lavoro organico che quello meccanico ottenuto nella prova da sforzo al cicloergometro (93,9% di VO2 max). La spiegazione di ciò va individuata nel fatto che il Cx della coscia è molto favorevole, resistendo all’acqua in maniera molto minore rispetto allo stesso distretto anatomico a cui è stato aggiunto una lastra piana con Cx più sfavorevole.

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5.7 Riabilitazione del ginocchio – Metodo tradizionale Introduzione Il ginocchio è sicuramente l'articolazione che nell'ultimo ventennio ha goduto dei maggiori vantaggi derivanti dai progressi delle tecniche chirurgiche utilizzate per la riparazione dei suoi costituenti anatomici; non altrettanto significative sono state le innovazioni nell'ambito della riabilitazione dopo trattamento chirurgico al punto che, sino a pochi anni orsono dopo una ricostruzione, i programmi di riabilitazione erano iperprotettivi e caratterizzati da un periodo di immobilizzazione dell'arto di almeno 6 settimane, nel convincimento che in tal modo si potesse garantire una ottimale cicatrizzazione del trapianto. Tuttavia, gli effetti non favorevoli di un prolungato periodo di immobilizzazione sulla cartilagine articolare, sui legamenti, sulle strutture capsulari e sulla muscolatura dell'arto inferiore, hanno di fatto valorizzato il concetto opposto, vale a dire quello di una precoce mobilizzazione del ginocchio,attraverso metodiche riabilitative sempre più aggressive. Alcuni di questi interventi, come la mobilizzazione passiva precoce, l'immediata concessione dell'estensione passiva, il carico completo in deambulazione entro il primo mese, non solo hanno ridotto la percentuale di complicanze quali rigidità o gravi ipotrofie, ma sono stati anche riconosciuti come elementi in grado di favorire un miglior processo riparativo del neo-legamento. Ancora oggi, tuttavia, non è chiaramente codificata la quantità di esercizio fisico che può essere utilizzato per la riabilitazione di un ginocchio operato per evitare che, stress eccessivi sul neo-legamento, possano indurre il fallimento del trapianto. Va ricordato che i pochi studi che hanno seguito l'andamento del processo di cicatrizzazione e maturazione del trapianto sono stati condotti prevalentemente su animali; è noto che il neo-legamento è molto forte non appena impiantato e si indebolisce progressivamente fino al secondo mese, quando inizia il suo processo di rivascolarizzazione, che si completa all'incirca al quarto mese. Da questo momento in poi prosegue un costante processo di rimodellamento del trapianto fino alla fine del periodo di "ligamentizzazione" che si verifica più o meno intorno al dodicesimo mese. Anche dopo la completa maturazione, il comportamento biomeccanico del neolegamento non sarà mai completamente comparabile ad una condizione di normalità; basti a tal fine ricordare il convincimento di alcuni Autori per i quali la resistenza del neo-legamento dopo un anno non è superiore al 52% rispetto a quella originaria.

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Prima di definire idoneo un protocollo riabilitativo si dovrebbero conoscere gli effetti del programma stesso sul comportamento biomeccanico del trapianto. Interessanti contributi conoscitivi in materia, sono stati di recente offerti da molti studi. Beynnon et coll. hanno inserito un trasduttore di carico nel legamento crociato anteriore di soggetti sani e sottoposti ad esercizi di riabilitazione dimostrando un aumento dei valori di tensione del LCA in rapporto alla posizione del ginocchio e al tipo di contrazione muscolare effettuata. Per esempio, la contrazione isometrica del quadricipite effettuata a 15° ed a 30° di flessione determina un aumento significativo dei valori di tensione del LCA. Anche la contrazione simultanea del quadricipite e dei muscoli flessori a 15° di flessione del ginocchio determina un aumento de1la tensione del legamento, che invece è assente con lo stesso esercizio agli angoli di 30°-60°-90° di flessione. Aumenti considerevoli dei valori di tensione sono stati dimostrati durante il movimento che va dalla flessione alla massima estensione del ginocchio. In maniera analoga con l'applicazione di un peso di due chilogrammi alla caviglia durante il movimento di flesso-estensione si determina un aumento significativo nella tensione del LCA a 10°-20° di flessione rispetto alla stessa attività svolta senza l'applicazione dei pesi. In questi ultimi anni durante la fase iniziale di cicatrizzazione del trapianto di LCA sono stati ampiamente enfatizzati gli esercizi a catena cinetica chiusa nei quali sia la estremità prossimale che quella distale del sistema sono bloccate. I principali vantaggi della gran parte degli esercizi a catena cinetica chiusa sono dovuti principalmente a due fattori: il primo è il controllo dinamico dei muscoli ischiocrurali che durante un esercizio in carico compensano il momento flettente dell'anca riducendo la traslazione tibiale anteriore prodotta dall'azione del quadricipite; il secondo è determinato dall'aumento delle forze articolari compressive prodotte dal peso corporeo che evitano le forze di taglio in antero-posteriore nocive al neo-legamento. Nonostante questa premessa è bene ricordare che non tutte le attività in catena cinetica chiusa sviluppano gli stessi valori di tensione a carico del LCA. Ad esempio i comuni esercizi di squat troppo spesso consigliati in fase post-chirurgica precoce, provocano, secondo i più recenti studi, tensioni a carico del fascio anteromediale del LCA esattamente sovrapponibili a quelli prodotti da un esercizio di estensione a catena aperta con resistenza alla caviglia. Quest'ultimo tipo di esercizi con l'estremità distale non in appoggio sono, viceversa, ritenuti dannosi perché sviluppano soprattutto negli angoli compresi tra 40° e 0° di flessione un notevole stress in tensione sia per il

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legamento crociato che per le strutture capsulari periferiche e pertanto dovrebbero essere evitati almeno durante i primi tre mesi. Possiamo quindi riassumere gli esercizi che sono considerati abbastanza sicuri nella fase riabilitativa iniziale poiché sviluppano bassi livelli di tensione sul LCA:

1. contrazione isometrica dei flessori a tutti gli angoli di flessione del ginocchio.

2. flessione attiva del ginocchio tra i 40° e i 90° di flessione. 3. contrazione isometrica del quadricipite o co-contrazione simultanea

(quadricipite e flessori) con ginocchio flesso a 60° e oltre. 4. lavoro con cyclette.

Notevoli disparità di vedute esistono inoltre sulla possibilità o meno di rigenerazione di recettori propriocettivi nel contesto del neo-legamento. Solo di recente alcuni studi hanno dimostrato la presenza di meccanocettori e terminazioni nervose libere nel trapianto di tendine rotuleo gia dopo sei mesi dalla ricostruzione,anche se con percentuali diverse per quanto riguarda la densità e la distribuzione rispetto alle condizioni originarie.

RIEDUCAZIONE PROPRIOCETTIVA DELOS POSTURAL SYSTEM �

TAVOLETTE TIPO FREEMAN

Probabilmente saranno necessari in futuro ulteriori studi sulle tecniche di misurazione sensoriale per poter valutare definitivamente l'effetto dell'attività dei meccanocettori del LCA compromesso sulla propriocezione globale del ginocchio. Protocollo riabilitativo

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Diverse sono le tecniche chirurgiche utilizzate per la ricostruzione del legamento crociato anteriore, ma ai fini esemplificativi verrà riportato il protocollo dopo intervento di ricostruzione del LCA con tendine rotuleo libero. Il protocollo riabilitativo si suddivide in alcune fasi:

1. fase pre-operatoria 2. di protezione 3. intermedia 4. di ritorno all'attività

proponendo dei tempi che bisogna in realtà considerare variabili in quanto dipendono dalle condizioni soggettive del paziente. 1- Fase pre-operatoria Prevede l'istruzione dell'atleta sull'uso delle canadesi da utilizzare per la deambulazione nel post-intervento, sui programmi di rafforzamento muscolare da eseguire dopo l'intervento chirurgico e sull'adattamento al controllo dei movimenti o del tutore per la protezione del ginocchio da carichi eccessivi agenti nel corso della fase riabilitativa iniziale. L'atleta viene anche informato sull'eventuale programma di movimento passivo continuato, cui si dà inizio, immediatamente dopo l'intervento chirurgico. 2- Fase di protezione (1a-6a settimana) Gli obiettivi di questa fase comprendono la riduzione al minimo degli effetti chirurgici e il recupero completo della mobilità del ginocchio, il controllo degli stress agenti sul legamento ricostruito, il mantenimento della normale meccanica articolare femoro-rotulea. Immediatamente dopo l'intervento è fondamentale limitare al massimo il dolore e il versamento, principali cause di una inibizione muscolare riflessa troppo prolungata; l'ipotrofia del muscolo quadricipite, sembra sia dovuta principalmente alla riduzione delle fibre muscolari di tipo II deputate ai movimenti rapidi rispetto a quelle di tipo I che sono più attive nei movimenti di sostegno antigravitario. E' consigliabile pertanto una terapia farmacologica a base di preparati antinfiammatori non steroidei ed enzimi proteolitici, per facilitare la regressione del versamento e della sintomatologia dolorosa, ed almeno per le prime due settimane si consiglia l'uso della crioterapia parecchie volte al giorno per la durata di 20 minuti. L'utilizzazione ampiamente diffusa dei dispositivi di movimento passivo continuato non è ritenuta indispensabile né più efficace rispetto alle tradizionali tecniche di mobilizzazione passiva e può essere riservata solo ad atleti particolarmente apprensivi o con sofferenza della cartilagine articolare 119

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che potrebbero risentire di una immobilizzazione troppo prolungata. Per favorire un più rapido riassorbimento del versamento, vanno eseguiti esercizi per il mantenimento della estensione passiva completa del ginocchio operato ed esercizi di flesso-estensione attiva della caviglia. Gli esercizi isometrici di sollevamento dell'arto devono essere eseguiti rigorosamente con il tutore bloccato a 0° gradi dopo intervento con il tendine rotuleo libero e circa 30° nel caso di trapianto con i tendini flessori, onde evitare sollecitazioni dannose al neo-legamento; il piede viene mantenuto in dorsi-flessione per facilitare la contrazione delle fibre quadricipitali. Il carico deambulatorio va concesso secondo la tolleranza del paziente con l'aiuto delle canadesi. In realtà, non esiste un carico standard, che varia in base al tipo di intervento e individualmente da paziente a paziente e la sua principale funzione e quella di ridurre al minimo gli effetti dannosi legati alla perdita degli schemi motori e della coordinazione. Generalmente si cerca di arrivare al carico completo senza tutore e senza canadesi entro le prime 4 settimane. Entro le prime due settimane possono essere effettuati inoltre esercizi di flessione passiva assistita del ginocchio fino a 90°, di flessione attiva del ginocchio compresa fra 40° e 90°, di estensione attiva del ginocchio da 90° a 60°, unitamente ad esercizi attivi dell'anca (estensione, adduzione e abduzione); è estremamente importante in questa fase la mobilizzazione passiva della rotula che consente il recupero dello scivolamento rotuleo prevenendo le aderenze delle strutture peripatellari. Gli esercizi di allungamento dei flessori del ginocchio sono indispensabili per combattere la contrattura di questi muscoli, cosi come quelli dei muscoli flessori dell'anca e dei gemelli. Sono indicati inoltre esercizi di co-contrazione a ginocchio flesso negli angoli di 40°-60°-90°, e gli esercizi per il muscolo gastrocnemio e soleo assistiti o utilizzando resistenze elastiche. Le contrazioni isometriche multiangolari del quadricipite vengono eseguite da 90° a 60° di flessione in quanto il LCA subisce i massimi valori di tensione negli ultimi 30° di estensione mentre ad angoli superiori i 60° non si producono sostanziali modificazioni di lunghezza a carico del legamento. Anche la contrazione attiva dei muscoli flessori del ginocchio tra 40° e 90° di flessione non determina sollecitazioni tensive del LCA per l'azione sinergica e protettiva esercitata dai muscoli ischiocrurali, pertanto un precoce e corretto rinforzo dei muscoli flessori dopo intervento sul LCA non ha controindicazioni. Dopo la rimozione dei punti e la guarigione della ferita chirurgica si possono iniziare le esercitazioni in piscina: movimenti di deambulazione avanti e indietro con l'acqua all'altezza della cintura; flesso-

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estensione delle caviglie con l'uso di una pinna, adduzione, abduzione e flesso estensione delle anche, con l'uso di particolari tavolette (metodo Wat Job). Il lavoro in piscina è estremamente proficuo, poiché favorisce un rilasciamento muscolare completo ed una migliore coordinazione, stimolando, tra l'altro, le capacita aerobiche generali dell'atleta attraverso esercitazioni di corsa a bassa intensità con l'uso di un giubbotto galleggiante. Gli esercizi a catena cinetica chiusa (con l'estremità distale in appoggio) come ad esempio le mini flessioni del ginocchio da 0° a 40° in stazione eretta, possono essere incoraggiate, poiché consentono un recupero più rapido e fisiologico della funzionalità del ginocchio. Anche la cyclette a bassa resistenza, e con sellino alto, trova un impiego elettivo in questa fase precoce, considerate le modeste sollecitazioni che la sua pratica determina sul legamento; gli studi effettuati da Ericksson e Beynnon hanno infatti dimostrato valori relativamente bassi delle forze di taglio a carico del ginocchio durante questo tipo di esercitazione. 3- Fase intermedia (7a-16a settimana) Dalla 6a settimana con una articolarità ormai completa sia in estensione che in flessione si può iniziare un potenziamento muscolare più selettivo perfezionando il sistema propriocettivo. Vanno incrementati gli esercizi di abduzione, adduzione e flessione dell' anca, flessione plantare e dorsale della caviglia sia a secco che in acqua e di flesso-estensione attiva del ginocchio a catena chiusa con la leg-press. Gli esercizi in estensione attiva del ginocchio a catena aperta possono essere effettuati a condizione che la resistenza sia applicata prossimalmente all'articolazione ed in un arco di movimento compreso tra i 90° e i 60° di flessione. Particolare attenzione va posta al potenziamento dei glutei e degli ischiocrurali adoperando tecniche di facilitazione neuromuscolare assistita, apparecchiature isotoniche e/o isocinetiche con modalità di contrazione concentrica ed eccentrica. Il nastro trasportatore a basse velocità ha un indubbia importanza sia per la ripresa della coordinazione durante le varie fasi temporali della deambulazione, che per una stimolazione propriocettiva ad impegno crescente del ginocchio che si può ottenere variando l'inclinazione e la velocità di scorrimento del piano. Anche le tecniche propriocettive possono essere introdotte abbastanza precocemente per limitare la momentanea perdita di funzione di recettore periferico esercitato dal LCA, ma naturalmente sia il lavoro che la progressione nelle difficoltà degli esercizi, va stabilito in base alle condizioni soggettive del paziente. Con queste tecniche viene potenziata la risposta muscolare tramite l'attivazione periferica dei recettori propriocettivi presenti a livello muscolo-

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tendineo e capsulo-legamentoso. Si utilizzano in tal senso schemi diagonali PNF, tavolette propriocettive, sistemi computerizzati come il KAT, trampolini elastici. Il soggetto esegue gli esercizi prima in stazione eretta con variazioni di resistenza manuali o cambiando improvvisamente le condizioni da catena cinetica aperta a quella chiusa; in un secondo momento il paziente esegue esercizi a crescente difficoltà oltre che su un piano stabile anche su quello instabile. Successivamente si aumenta l'impegno con le apparecchiature di potenziamento specifiche come la leg-press e la step-machine, a bassa resistenza e alto numero di ripetizioni e vengono incrementati sia gli esercizi propriocettivi, che la corsa in piscina in acqua profonda con giubbotto galleggiante. 4- Fase di ritorno all'attività (17a settimana in poi) In questa fase sono previste una serie di attività volte al completo recupero della stabilità del ginocchio sia nella vita quotidiana che soprattutto nella attività sportiva praticata dall'atleta. Vengono inseriti gradualmente a secco gesti atletici più complessi e più specifici della disciplina individuale, ad esempio per un calciatore palleggi con palla morbida con l'arto operato o per uno schermidore una simulazione di una flèche. Da questo periodo in poi l'atleta deve proporsi i seguenti obiettivi: il recupero della potenza e della resistenza muscolare, ritorno alla stabilità funzionale, graduale ripresa dei livelli di prestazione antecedenti all'intervento. Si può effettuare la corsa su terreno morbido e pianeggiante e progressivamente è consentita la corsa con cambiamenti di direzione, accelerazioni e decelerazioni, traiettorie curvilinee. Durante queste esercitazioni si può utilizzare una ginocchiera articolata per evitare abnormi sollecitazioni al neo-legamento, principalmente per garantire una sicurezza psicologica all'atleta. In questa fase finale si possono utilizzare gli apparecchi isocinetici, i quali consentono di rilevare in condizioni di sicurezza numerosi parametri della funzione muscolare e permettono sia di potenziare i vari gruppi muscolari del ginocchio, con la massima tensione anche se in un arco di movimento limitato, che di monitorare attraverso controlli periodici l'efficacia del trattamento riabilitativo. E' da notare che l'esercizio isocinetico non deve essere considerato, nonostante la sua ampia diffusione commerciale, come l'unica metodica capace di garantire una valutazione funzionale ottimale.

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In realtà gli apparecchi isocinetici presentano diversi aspetti negativi, quali l'eccessivo costo, l'impossibilita di effettuare rilevamenti prima di tre o più mesi dall'intervento chirurgico, impossibilità di poter valutare bassi livelli di forza ad alte velocità, movimento non natura1e e non specifico per lo sviluppo della forza. Il recupero della forza sembra infatti essere legato a numerosi fattori quali quelli neuromuscolari, come l'aumento di capacità di trasmissione dello stimolo neuromotorio, il numero di unità motorie reclutate, la tipologia delle fibre muscolari attivate e la specificità della metodica utilizzata per il potenziamento muscolare. Con un dinamometro isotonico, viceversa si ottiene un rilevamento decisamente più fisiologico che permette di conoscere il comportamento biomeccanico e l'attività elettrica dei muscoli interessati in fase riabilitativa precoce, ma soprattutto durante l'attivazione muscolare più fisiologica quale quella balistica. Infatti una volta raggiunta la completa articolarità intorno alla quinta settimana post-intervento, è possibile già effettuare le prime valutazioni con forze molto ridotte, per identificare precocemente nell'atleta parametri fondamentali quali la velocità di contrazione, la potenza sviluppata e l'attività elettromiografica. Solamente quando i livelli di forza dell'arto lesionato risultano prossimi all'85% dei valori di forza rispetto all'arto controlaterale si inseriscono nel programma esercizi per il miglioramento di alcune espressioni della forza (esplosiva, reattivo-elastica); vengono quindi introdotti esercizi pliometrici con salti (laterali, a distanze variabili, corsa con balzi alternati), in cui i parametri di intensità e velocità vengono aumentati gradualmente. Anche se alcuni lavori hanno dimostrato in un campione di atleti praticanti discipline individuali la possibilità di svolgere la piena attività sportiva a 7 mesi dall'intervento senza effetti nocivi a lungo termine, poter stabilire con sicurezza la data della ripresa completa dell'attività agonistica non è certamente cosa facile; molteplici sono infatti gli aspetti da considerare, come un corretto intervento chirurgico, un idoneo trattamento rieducativo effettuato su basi scientifiche, un continuo monitoraggio dei parametri funzionali e le motivazioni individuali di ogni singolo atleta. A nostro parere, pertanto il periodo della ripresa agonistica sia per gli sport individuali che di squadra è molto variabile ed oscilla, sulla base della nostra esperienza, fra i 5 e i 7 mesi.

5.8 Il trattamento delle lesioni cartilaginee del ginocchio La cartilagine è un tessuto nobile, costituito per lo più da acqua (80%), matrice (collagene di tipo 11, protoeglicani, ecc.), cellule (condrociti). Già Hunter nel 1743 e Paget nel 1853 riferivano della scarsa capacità riparativa della cartilagine che è un tessuto non vascolarizzato, non innervato e con una sproporzione fra cellule (2-5%) e

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matrice; i condrociti sono mantenuti vitali dal liquido sinoviale e dai componenti della matrice cellulare (Centro di Traumatologia dello Sport e di Chirurgia Artroscopica Istituto Ortopedico Galeazzi – Milano – Dr Volpi). La cartilagine riveste i capi articolari ed è spesso coinvolta in danni articolari da traumi sportivi, lavorativi e da incidenti stradali. La sua funzione principale è quella di assorbire e distribuire le forze di carico e di taglio all'osso subcondrale e per la complessità e la delicatezza della sua struttura la si può paragonare ad una spugna. L'etiologia è prevalentemente traumatica anche se non bisogna dimenticare la patologia degenerativa, infiammatoria, infettiva e neoplastica. La classificazione delle lesioni condrali secondo Outerbridge si, suddivide in quattro gradi: 1. rammollimento e rigonfiamento della cartilagine articolare

2. frammentazione e fissurazione inferiore ad 1 cm di diametro

3. frammentazione e fissurazione superiore ad 1 cm di diametro

4. erosione della cartilagine articolare fino all'osso subcondrale

Il quadro clinico non è sempre uniforme: possiamo imbatterci nel dolore a riposo, nel movimento o sotto carico, nel gonfiore o idrarto dopo lo sforzo, nell'impaccio articolare o nel crepitio. Spesso però le lesioni condrali sono rilievi occasionali durante un accertamento artroscopico, anche perché le indagini sia radiologiche che strumentali non consentono di evidenziare un preciso quadro anatomopatologico. Il trattamento è conservativo o chirurgico: nel primo caso ci si avvale della riduzione della attività fisica. sportiva o se necessario lavorativa, mettendo a riposo l'articolazione; utile il ricorso al ghiaccio locale e ai farmaci antinfiammatori. Quindi bisogna impostare un programma riabilitativo basato sull'attività fisica in scarico (piscina, ginnastica eventualmente cyclette), sulla fisioterapia e sulla diminuzione del peso se occorre. Infine serve indirizzare il paziente allo sport più idoneo perché le sollecitazioni gestuali non sovraccarichino l'articolazione interessata. Il trattamento chirurgico consente più opzioni:

1. Pulizia dei detriti articolari, asportazione di frammenti o corpi mobili, "shaving" o levigatura del difetto condrale, anche utilizzando sistemi a radiofrequenze (coblazione).

2. Tecniche che tendono alla stimolazione della crescita di fibrocartilagine (collagene di tipo 1). Tale obiettivo si raggiunge attraverso procedure chirurgiche standardizzate: perforazioni (Pride, 1959), condroabrasione (Johnson, 1986), microfratture (Steadman, 1992).

3. Tecniche che mirano al ripristino della cartilagine ialina (collagene di tipo 11). In passato si sono eseguiti innesti periostali, innesti pericondrali, allotrapianti (per es. fibre di carbonio); più recentemente si sono eseguiti innesti osteocondrali e innesti condrocitari (prelievo e coltivazione di condrociti con successivo reimpianto).

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Soprattutto le indicazioni agli innesti condrocitari devono rispettare criteri molto selettivi quali l'età, l'etiologia traumatica, le dimensioni del difetto, la correzione di deviazioni assiali o instabilità articolari pre-esistenti, ecc. Il nostro indirizzo terapeutico prevede il trattamento con microfratture nei casi 3 ° e 4° di Outerbridge nei traumi relativamente recenti e il trattamento con innesti osteocondrali nei difetti di piccole dimensioni in lesioni inveterate; ricorriamo agli innesti condrocitari nei difetti di maggiori dimensioni non dimenticando che si tratta di una metodica minuziosa, con più interventi chirurgici, dai costi elevati e per ora da eseguire in artrotomia. Questa tecnica fa riferimento alla metodica originale proposta dalla scuola svedese (Brittberg e Peterson, 1994), che tende al ripristino della cartilagine ialina (collagene di tipo II). Al momento della valutazione artroscopica e in presenza di fattori favorevoli all'indicazione chirurgica si esegue un piccolo prelievo di un frammento condrale in regione sovracondilica mediale o laterale. Il frammento viene inviato al laboratorio specializzato per la proliferazione cellulare. Differenti sono le tecniche utilizzabili: per esempio "Carticel" si serve di un lembo periostale prelevato dalla tibia che fa da contenitore alle cellule da impiantare; "Maci" fa crescere i condrociti su una membrana di collagene che viene applicata direttamente sul difetto condrale. In entrambi i casi eseguiamo il secondo intervento a distanza di almeno quattro-sei settimane nelle riparazioni condrali isolate, mentre nei casi in cui è stata eseguita una ricostruzione legamentosa del pivot centrale preferiamo innestare l'impianto condrocitario dopo tre-quattro mesi. I risultati a lungo termine daranno risposte più sicure sugli aspetti biologici di queste metodiche, mentre sugli aspetti tecnico-chirurgi riteniamo che in entrambe le soluzioni si debba cercare una modalità di impianto in artroscopia per ovviare a interventi artrotomici. E' sicuramente importante oggigiorno per un traumatologo sportivo offrire al paziente più opzioni per la riparazione di lesioni articolari siano esse legamentose, meniscali e/o osteocondrali tese al ripristino dell'integrità funzionale dell'articolazione lesa, presupposto impriscindibile per una ripresa completa dell' attività sportiva. In particolare nel trattamento delle lesioni condrali occorre conoscere più metodiche anche per non trovarsi impreparati a situazioni anatomopatologiche differenti. Ciononostante la nostra sensazione è quella di essere ancora lontani dalle soluzioni chirurgiche ideali in quanto le attuali conoscenze e applicazioni costituiranno probabilmente i presupposti per nuove strategie biologico-chirurgiche quali la terapia genica e l’ingegnerizzazione dei tessuti.

CONCLUSIONI Da diversi anni la metodologie di allenamento per atleti “maturi” è ormai orientata sulla massima ed “esasperata” specializzazione (praticamente giocare a tennis simulando le situazioni di gara più difficoltose sotto tutti i punti di vista dell’impegno delle capacità motorie e della tecnica). È evidente che atleti che hanno fatto un cattivo

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“rodaggio” nelle fasce giovanili (attività polivalente e di costruzione muscolare) possono poi incorrere in una serie di infortuni. Comunque, per prima cosa è necessario un ottimale recupero delle funzioni delle strutture traumatizzate. Quindi una riabilitazione senza fretta di reiniziare con carichi di allenamento elevati. Pertanto, dopo opportuna fisioterapia e in assenza di infiammazione e dolore si può operare nel modo seguente (andrebbe, comunque prima identificata la causa che ha portato al trauma: es. muscolo troppo “accorciato” oppure troppo debole, ecc., in modo da attuare un intervento meno generico): A) METODO DI RAFFORZAMENTO MUSCOLARE: Metodo dei carichi ripetuti (adattato per fasi, dalla riabilitazione iniziale al potenziamento finale). Si articola in 3 fasi, ciascuna della durata di circa 6 settimane, con 3 sedute settimanali: 1^ Fase: Obiettivo riabilitazione agendo con un cauto incremento della forza e rafforzamento delle strutture biologiche passive (tendini dei muscoli, legamenti e struttura articolare in genere). Rispettare eventuali segnali di dolore localizzato. Il carico deve permettere almeno 18-20 ripetizioni per serie. 2^ Fase: Obiettivo un più elevato, ma sempre cauto, incremento della forza e rafforzamento delle strutture passive. Il carico deve permettere almeno 14-16 ripetizioni per serie. 3^ Fase: Obiettivo incremento della forza. Carico che permetta circa 10-12 ripetizioni per serie. Per ogni gruppo muscolare (esercizio) vanno eseguite in ciascun allenamento (mediamente 3 settimanali) 4 serie intercalate da 2-3 minuti di recupero. Prima di ogni allenamento effettuare un buon riscaldamento generale e specifico (muscoli e articolazioni interessate). B) ESERCIZI DI RAFFORZAMENTO DEI MUSCOLI DELLE COSCE: Essenziali: - Leg extension - Leg curl Facoltativi: - Slanci delle gambe da in fuori in dentro con pulley machine (con cavigliera) o Adduction machine. - Slanci delle gambe in fuori con pulley machine (con cavigliera) o Abduction machine. Nei movimenti di flessione e di estensione della gamba (Leg curl e leg extension) l’esecuzione non deve essere portata a massima escursione (massima chiusura o apertura) in modo da non “forzare” le strutture articolari.

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C) ESERCIZI DI STRETCHING PER I MUSCOLI FLESSORI E MUSCOLI ESTENSORI DELLA GAMBA

- 4 serie per ogni piano di escursione della coscia (4 esercizi), verso avanti, verso dietro, verso l’esterno e verso l’interno. Anche per lo stretching porre attenzione alla possibilità di massima chiusura o apertura dell’angolo di escursione del ginocchio (non forzare in presenza di dolore). Per quanto riguarda la preparazione atletica, una volta recuperata la funzionalità ottimale, ti riporto una “traccia” già consigliata ad altri amici e opportunamente modificata. Ovviamente la programmazione di un allenamento va fatta dal tecnico esperto presente costantemente sul posto che deve considerare diversi aspetti come lo stato di preparazione e carenze da colmare, tempo disponibile settimanalmente per allenarsi, i mezzi a disposizione, ecc. Inoltre deve adattare il programma, anche del ciclo settimanale, alla condizione fisica giornaliera dell’atleta, alzando o abbassando le intensità di lavoro, inserendo o togliendo gli esercizi, ecc. Partendo 4-5 mesi prima di iniziare un torneo o competizione importante si possono dedicare:

- 2,5-3 mesi al PERIODO PREPARATORIO, da suddividere in due fasi (2 mesocicli) di circa 6 settimane ciascuna;

- 1,5-2 mesi al PERIODO AGONISTICO (1 mesociclo) , quindi alle esercitazioni specifiche che caratterizzano la competizione. Le PRIME 5-6 SETTIMANE DEL PERIODO PREPARATORIO (1° mesociclo) possono essere dedicate ad un lavoro più generale di resistenza, tendente a gettare le basi su cui inserire in seguito un lavoro di resistenza più specifica. Inoltre si può effettuare un lavoro di rafforzamento e velocizzazione per gli arti inferiori utilizzando esercitazioni a carico naturale. Disponendo di 3 allenamenti settimanali si potrebbe effettuare il seguente lavoro:

- 1° allenamento dedicato al lavoro medio: fino a 60 minuti con intensità più elevata portando la frequenza cardiaca intorno a 150-170 (VO2 max al 75% circa del massimo). Utile per elevare il consumo di ossigeno, la funzionalità enzimatica e mitocondriale;

- 2° allenamento dedicato al lavoro breve e veloce: 2 serie di 15-20 minuti ciascuna, con frequenza cardiaca intorno a 165-175 (VO2 max all’80-85% del massimo). Metodo utile se, unito al lavoro medio, per rafforzare sia il meccanismo aerobico che quello anaerobico lattacido. I ritmi più elevati del movimento trasformano e ottimizzano le coordinazioni nei regimi più elevati. Inoltre, grazie alla maggiore intensità vengono a interrelarsi in maniera ottimale le esigenze metaboliche, tecniche e volitive;

- 3° allenamento simile al primo o al secondo in relazione al susseguirsi delle settimane (la 1^ settimana uguale al 1°, la 2^ uguale al 2°, la 3^ uguale al 1°, la 4^ al 2*, ecc.);

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In almeno 2 dei 3 allenamenti settimanali, nella fase iniziale dopo il riscaldamento generale, inserire circa 30 minuti di esercizi a carico naturale per gli arti inferiori e la fascia addominale con l’obiettivo di migliorarne la forza generale e la forza rapida.

In alcuni esercizi l’esecuzione può essere fatta in avanzamento o sul posto (esempi): - Piedi e gambe: Corsa a slalom; Saltelli (varie modalità); - Cosce e anche: Andatura da semiaccosciata; Andatura in piegata frontale; Salti e balzi

(varie modalità); Piegate laterali e Piegate frontali; Salite su panca o rialzo; - Addominali antero-laterali e lombari: scegli quelli che ritieni più adatti. Ricordati

comunque di inserire anche esercizi che prevedono torsioni del busto (muscoli obliqui dell’addome).

L’esecuzione degli esercizi deve essere corretta e al massimo della velocità e dell’escursione articolare.

Per la metodologia per la forza rapida vedi su Sportraining a “Forza e ipertrofia” la sezione dedicata ai “Metodi”.

Per evitare recuperi lunghi tra le serie di uno stesso esercizio, è possibile alternare i gruppi muscolari maggiormente impegnati passando dall’esecuzione quasi immediata di una serie per le cosce-anche ad una per i piedi-gambe, recuperando completamente quando l’esecuzione non è più abbastanza veloce.

Inoltre, non occorre fare 4-6 serie per esercizio, o meglio, possono essere utilizzati 4-6 esercizi diversi (una serie ciascuno) purché riferiti ad uno stesso gruppo muscolare. Quindi lo stesso allenamento, pur mirato a poche regioni muscolari, può diventare molto vario utilizzando in continuazione diversi esercizi.

Praticamente è un pò come avviene nelle esercitazioni in circuito, l'importante è fare i giri (serie) previsti. Le ULTIME 5-6 SETTIMANE DEL PERIODO PREPARATORIO (2° mesociclo) possono essere dedicate ad un lavoro più specifico di resistenza, tendente al collegamento con la specificità della gara.

- 1° allenamento dedicato al lavoro breve e veloce: uguale al precedente, ovvero 2 serie di 15-20 minuti ciascuna, con frequenza cardiaca intorno a 165-175 (VO2 max all’80-85% del massimo).

- 2° allenamento dedicato alla Potenza lattacida si utilizzano distanze brevi tra i 100-300 metri, da percorrere a ritmo molto elevato (oltre l’85% del massimo) in serie e ripetizioni (4-5 serie da 5-6 ripetizioni ciascuna), con recupero di 3-4 minuti tra le ripetizioni e 6-8 minuti tra le serie. La frequenza cardiaca può raggiungere e superare 200.

- 3° allenamento dedicato alla Potenza alattacida: si caratterizza per un lavoro al massimo della velocità contro la resistenza offerta dal corpo o da un attrezzo di peso adeguato. Solitamente si eseguono 4-6 serie intervallate da recupero di circa 3 minuti. I mezzi maggiormente utilizzati sono:

- balzi e saltelli in varie modalità esecutive (posizione di piegamento più o meno accentuata) utilizzando anche ostacoli e piccoli sovraccarichi alla cintura;

- sprint su distanze brevi (da 10 a 60 m.) in piano e fino a 30 m. in salita; - salita veloci di gradoni.

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Al termine del 1° o del 2° allenamento settimanale, nella fase iniziale dopo il riscaldamento generale, inserire circa 30 minuti di esercizi a carico naturale per gli arti inferiori e la fascia addominale con l’obiettivo di migliorarne la forza generale e la forza rapida (come nel precedente periodo). Il PERIODO AGONISTICO consiste in vere e proprie prove di gara effettuate con intensità leggermente superiore o inferiore. Pertanto allenamento che simula la gara in tutti gli allenamenti settimanali. Alcuni elementi delle esercitazioni previste nel periodo precedente possono essere inserite fino a circa 7-10 giorni prima dell’inizio della competizione, in relazione a particolari esigenze (carenze) specifiche soggettive. Ovviamente i parametri indicati hanno valore generale e vanno adattati allo stato di allenamento e alla situazione fisica giornaliera. Quindi ogni allenamento va affrontato in condizioni ottimali di recupero e limitandone eventualmente l’intensità di impegno. Va tenuto presente che metodologie nuove e ad alta intensità possono procurare un abbassamento iniziale della condizione fisica, solitamente le prime 2 settimane.

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CAPITOLO 6

LA GESTIONE PSICOLOGICA DELL’ATLETA INFORTUNATO

6.1 Infortunio: prevenzione e riabilitazione psicologica L’infortunio e, più in generale, il dolore, appartengono alla logica dello sport. Tuttavia, mentre il dolore può assumere per un atleta diversi significati (anche positivi, se si pensa al performance routine pain, cioè al dolore fisico che preannuncia l’entrata nello stato di forma, o al dolore-allarme, che suggerisce l’interruzione dell’attività in corso segnalando la possibilità di un’imminente lesione), l’infortunio vero e proprio (inteso come incidente inatteso) rappresenta inevitabilmente un evento destabilizzante, in misura maggiore o minore, l’equilibrio emotivo e, a volte, psicologico, dello sportivo. Un cattivo adattamento all’infortunio può, infatti, comportare, a seconda dei fattori contestuali e della personalità dell’atleta in questione, la comparsa di sensazioni di rabbia e impotenza, sbalzi di umore, sensi di colpa, domande ossessive circa il proprio ritorno alla “normalità”, pensieri irrazionali e depressivi [Patitpas e Danish, 1995], ritorno “insicuro” all’attività, abbandono precoce dello sport praticato e, nei casi più gravi, sindrome del dolore cronico e grief reaction (reazione simile a quella che potrebbe seguire il lutto di una persona cara), con la conseguente compromissione del normale funzionamento dell’individuo in famiglia, negli studi o sul lavoro, e nelle relazioni interpersonali Lo sport, purtroppo, è anche questo. Spetta, dunque, alla psicologia applicata in ambito sportivo fornire strumenti utili sia per l’atleta sia per l’allenatore sensibile alla tematica o che debba confrontarsi con ragazzi infortunati e/o a rischio frequente di inattività; il tutto nella duplice ottica riabilitativa (la gestione psicologica dell’atleta nella fase di riposo forzato da infortunio) e, soprattutto, preventiva (conoscenza da parte dell’allenatore dei segnali di allarme e attuazione di modalità relazionali e comportamentali protettive). L’allenatore può, infatti, a tale proposito, rivestire un ruolo fondamentale e insostituibile, nella consapevolezza che, accanto ai fattori fisici / tecnici predisponenti l’infortunio (come la conformazione fisica / muscolare del soggetto e l’overtraining o allenamento eccessivo), esistono quelli psicologici e personologici dell’atleta; iniziare, per esempio, a riflettere su quesiti del tipo << che persona sto allenando >>, << com’è il suo senso di controllo sulle situazioni >>, << come reagisce solitamente alle sfide >>, << quanta energia investe nello sport >> significa iniziare a conoscere l’hardness o durezza mentale del proprio atleta [Gentry e Kobasa, 1979], fattore individuale che, se buono, rappresenterebbe una variabile protettiva rispetto l’infortunio (diminuisce, cioè, la probabilità di cadervi) ma potrebbe diventare elemento di ostacolo all’adattamento post-traumatico nel caso di incidente avvenuto. Da non dimenticare,

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inoltre, la ri-progettazione degli obiettivi agonistici e competitivi dell’atleta che ritorna all’attività dopo la riabilitazione (goal setting realistico), compito essenziale per un allenatore al fine di evitare nello sportivo delusioni immediate ed ansie ingestibili per la richiesta di confronti competitivi eccessivamente difficili ed impegnativi rispetto il suo stato attuale fisico e psicologico. E l’atleta, invece? Di cosa ha bisogno? E’ importante convincersi che, per l’atleta infortunato, lo stress maggiore generalmente non è l’incidente in se stesso (che rappresenta, comunque, un modo per riposarsi dagli allenamenti), bensì è proprio il “non sapere cosa volere”! In altre parole, si pensa di poter andare avanti senza l’identità di atleta (temporaneamente perduta a causa dell’inattività) ma c’è chi non vi riesce. Per tale motivo il soggetto infortunato va, innanzitutto, aiutato a capire cosa gli serve, a ridefinire le priorità che si era prefissato prima dell’incidente, ad allargare i suoi interessi anche ad ambiti non sportivi consigliandogli, al tempo stesso, di mantenere i contatti con il suo sport, l’allenatore e la squadra. In una parola, l’atleta va aiutato (sempre e comunque ma, a maggior ragione, se inattivo) ad essere una persona equilibrata, a riprendersi la propria identità di sportivo ma con un atteggiamento mentale moderato, capace di accettare emozioni negative e momenti di stasi o peggioramento, un atteggiamento mentale diverso, quindi, rispetto quella durezza psicologica necessaria negli allenamenti e nei momenti di forma fisica. Meno rigidità, dunque, per poter affrontare correttamente le proprie debolezze, che possono anche comprendere sentimenti di colpa per aver abbandonato la squadra, valutazioni esagerate circa i miglioramenti nella guarigione, progressiva crescita della dipendenza da medici o fisioterapisti, ripetuti tentativi affrettati di ritorno alle competizioni, rapidi e continui cambiamenti di umori, e tendenza al ritiro sociale (quest’ultimo non da sottovalutare se si pensa alle ripercussioni che può avere su autoimmagine e autostima della persona). Non solo. E’ importante per l’atleta conoscere il proprio problema fisico e documentarsi (per esempio leggendo libri e guardando illustrazioni) sul tipo di infortunio subito, in modo da poter avere un’immagine mentale sufficientemente chiara della propria lesione e sentirsi il più possibile soggetto attivo nel processo di riabilitazione. In una espressione, l’atleta cerchi di riprendersi un po’ di controllo, impegnandosi con senso critico e atteggiamento interattivo nella terapia fisica riabilitativa ma anche allenandosi, questa volta mentalmente, con il Mental Training. Con l’imagery (ripetizione mentale di un gesto motorio o di uno scenario come se lo si stesse eseguendo o vivendo in quel preciso istante) e le strategie cognitive di controllo del dolore, per esempio. Se è vero, infatti, che l’effetto Carpenter (incremento dell’attività muscolare in certi segmenti corporei dovuto non al movimento effettivo ma alla pura ripetizione mentale del movimento stesso di quei segmenti mentre il soggetto si trova in condizione di riposo e, dunque, da fermo) dato dall’imagery consentirebbe di rimanere tecnicamente e muscolarmente allenati anche in stato fisico di effettivo riposo [Schmidt 1988; Jowdy e Harris, 1990], recenti studi relativi ad allenamenti sistematici e regolari alla

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healing imagery (immaginare metafore di guarigione, per es. una cascata di acqua fredda che spegne il “fuoco” nel proprio ginocchio, come pure un ponte solido e flessibile piuttosto che un rotula di vetro) e alla soothing imagery (immaginare situazione bucoliche e rilassanti) dimostrerebbero l’efficacia dell’immaginazione mentale nel processo di recupero organico e, soprattutto, nella riduzione dell’attività del simpatico a favore del parasimpatico, con conseguente allentamento della contrattura antalgica, produzione di emozioni positive e contrasto di immagini negative. Utile, inoltre, per l’atleta, la conoscenza delle principali strategie di pensiero funzionali al controllo del dolore, quali il mantenimento di un focus attentivo esterno (“distrarsi” per es. ascoltando musica o guardando uno spettacolo interessante), l’attività cognitiva ritmica (per es. contare a ritroso da 100 a 1 o canticchiare ritornelli), il riconoscimento del dolore (decidere di “guardare” il dolore immaginando, per es., la circolazione del sangue che lo porta via), il coping drammatizzato (per es. immaginarsi in una situazione epica in cui sopportare il dolore porta al trionfo o alla conquista). Tante, dunque, ma ben definite, le misure possibili da adottarsi. Una cosa è certa: all’atleta piace essere protagonista. Spetta a noi ricordargli che può esserlo anche da infortunato. Destinatari

- allenatori sensibili alla problematica per motivi preventivi o perché chiamati a confrontarsi con atleti infortunati o predisposti all’infortunio

- atleti in stato di riposo da infortunio o atleti in attività ma soggetti ad incidenti muscolari/ossei frequenti Obiettivi Gli obiettivi perseguibili si distinguono in

- obiettivi formativi (rivolti agli allenatori): finalizzati ad approfondire nel tecnico le conoscenze relative le diverse modalità della mente di affrontare situazioni d’emergenza, i fattori predisponesti l’infortunio e i segnali d’allarme, le paure dell’atleta, l’atleta in burnout e l’atleta infortunato, i fondamenti della relazione d’aiuto, le strategie di coping (fronteggiamento dello stress) in ambito sportivo.

- obiettivi mentali (rivolti agli atleti): finalizzati ad agevolare nell’atleta i processi di ridefinizione delle priorità, accettazione del trauma, delle emozioni negative e degli eventuali peggioramenti nella guarigione, gestione cognitiva del dolore e della paura, comunicazione efficace con il proprio allenatore.

Metodologia e modalità degli incontri

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La metodologia di approccio adottata durante gli incontri si differenzia in funzione della categoria degli interessati (atleti piuttosto che allenatori) e dell’ottica all’interno della quale viene strutturato l’intervento (preventiva piuttosto che riabilitativa); si prevede, comunque, una fase puramente formativa (lezioni e visione di filmati) alla quale eventualmente affiancare un discorso di tipo clinico (sostegno o tecniche di Mental Training per l’atleta).

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6.2 Le Reazioni dell’atleta all’infotunio Perché capita l'infortunio? Chiediamoci di chi o di che cosa è stata la responsabilità dell'accaduto. Frequenti spiegazioni si ritrovano nella carenza di concentrazione/attenzione, nel non adeguato inserimento nel gioco, nella espressione troppo accentuata e mal canalizzata dell'aggressività dell'atleta, nella gestione dell'ansia e dei fattori stressanti presenti ed infine nel mancato calcolo del rischio dell'azione. Le reazioni immediate da parte dell'atleta. L'agonista può negare parte dell'accaduto o non credere alla sua gravità, si allontana per un fatto di nervosismo da chi gli racconta come sono andati i fatti o da chi lo vuole semplicemente consolare, può arrivare al rifiuto delle cure mediche dicendo che lui non ne ha bisogno e gestire male il rapporto con il fisioterapista. La personalità dell'atleta e la relazione con precedenti infortuni influiranno sulla gravità dell'infortunio: un atleta che ha una capacità psicologica innata di recupero rispetto agli eventi stressanti e che ha alle spalle diversi ricordi legati a momenti di difficoltà che ha saputo superare reagirà in maniera molto più positiva rispetto all'atleta giovane, smanioso, inesperto e magari con un ruolo di punta. L'importanza del momento agonistico è estremamente rilevante: essere in campo al più presto possibile per l'atleta può divenire un'ossessione e scatenare una serie di dubbi sulla sua felice e rapida ripresa.

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6.3 La riabilitazione psicologica La presa di coscienza di quello che è successo e di quello che sta succedendo al suo corpo porterà l'atleta ad acquisire maggiore consapevolezza sui suoi limiti e sui rischi che chi fa sport in modi diversi deve affrontare; se non subentra il fatto di accettare l'evento l'atleta psicologicamente resterà ancorato a questa parte del passato, senza riuscire a futurizzare. L'elaborazione di ogni fase (cause, reazioni, tempi di riabilitazione) deve essere presa sul serio e curata in ogni suo dettaglio, altrimenti l'atleta rischierà di soffermarsi spesso, durante la sua carriera, su quello che non è riuscito ad affrontare a tempo debito. I tempi di recupero (psicologico e fisico) sono fondamentali soprattutto in ambito professionistico: spesso l'atleta che ancora non si è ripreso del tutto in occasione di grandi eventi sportivi, aiutato dallo staff medico che lo circonda, talvolta scende in campo con il trauma alla gamba guarito ma con la paura di farsi male e battere il ginocchio nello stesso punto, compromettendo maaggiormente la situazione. Quando parliamo di infortunio possiamo pensare solo ad uno stop dall'attività agonistica di qualche settimana, a volte invece si tratta di dover subire parecchi esami ed accertamenti, seguire delle terapie farmacologiche o fisioterapiche specifiche anche dolorose e faticose, dover aver bisogno di protesi o tutori temporanei e persino affrontare una operazione chirurgica. L'importanza di avere vicino delle persone care che formano la rete sociale dell'atleta (parenti, amici, fans, colleghi) è importante per la velocità di recupero dall'evento; anche vedere nella propria stanza d'ospedale i componenti della squadra o del team offre un sostegno che si rivela preziosissimo. Paura nel rientrare in gara dopo un’infotunio. Anche gli atleti di alto livello dichiarano di trovarsi di fronte all’emozione della paura nel momento in cui rientrano dopo un’infortunio. Esistono quindi blocchi psicologici ed eventuali relazioni con esperienze pregresse di infortuni. Ciò che accomuna le attività sportive è il continuo tentativo di portare all’eccellenza e ai limiti delle possibilità umane una data abilità. L’agonismo, l’aspirazione alla vittoria, la caccia dei record, spingono alla ricerca di prestazioni massime e, di conseguenza, anche le intensità emozionali risultano amplificate al massimo, sia in senso positivo che negativo. In alcuni casi la paura può rappresentare un vero problema e spesso si verificano situazioni in cui i coach, non preparati a gestire simili circostanze non riesono ad aiutare concretamente i propri atleti. La gestione errata di tali situazioni può causare l’abbandono all’’attività. La paura può bloccare i processi di acquisizione di nuovi elementi o impedire l’esecuzione corretta di quelli che già fanno parte del bagaglio tecnico dell’atleta. Stati emotivi di paura e ansia possono, infatti, influenzare molto negativamente l’allenamento e la prestazione.

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In conclusione è auspicabile effettuare studi sugli aspetti emotivi e cognitivi che caratterizzano la paura e lo sviluppo di strategie operative atte a controllare e gestire nel miglior modo quest’emozione disabilitante così da facilitare l’operato di tecnici e atleti. Purtroppo la pressione da parte degli sponsor rallenta il recupero psicologico dall'infortunio poichè rincara la dose di ansia e di timore che l'atleta si porta con sè e qualche volta il rischio di utilizzare delle sostanze dopanti per accelerare il momento del rientro in campo diventa una realtà.

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CONCLUSIONI Dai dati da noi ottenuti con questo lavoro abbiamo raggiunto non tanto delle certezze ma indicazioni che un coach deve prendere in considerazione, se lo ritiene opportuno, in maniera professionale, poiché si inserisce in un mondo (tennistico) pieno di difficoltà ma anche pieno di soddisfazioni che potranno essere ottenute solo con una programmazione corretta. Abbiamo constatato che si dovrebbe dare molta più importanza alla professionalità dei preparatori fisici e dello staff medico perché l’evoluzione del tennis non può prescindere da un’organizzazione tecnica costruita su uno staff con figure professionali ben scelte. “Io sono il maestro e faccio anche lo psicologo, il preparatore fisico, il fisioterapista, il dietologo” non farà mai raggiungere nessun tipo di obiettivo. Crediamo che l’allenatore debba avere la maggiore competenza possibile in tanti campi, ma non la presunzione di poter gestire da solo un’atleta. A livello preventivo, a proposito degli infortuni, si dovrebbe dare molta più importanza alle varie fasi di riscaldamento con particolare attenzione allo stretching e successivamente ai sovraccarichi dosati nella maniera più opportuna possibile. Infine riteniamo sia giusto considerare biomeccanicamente il gesto proprio per prevenire infortuni che si possono determinare a lungo termine dopo aver fatto scorrettamente numerosi gesti tecnici o fisici.

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