PUZZLE MARZO 2014

12
PUZZLE IL GIORNALE DELLE SCUOLE Anno II - N. 6 marzo 2014

description

 

Transcript of PUZZLE MARZO 2014

Page 1: PUZZLE MARZO 2014

PUZZLEIL GIORNALE DELLE SCUOLE Anno II - N. 6 marzo 2014

Page 2: PUZZLE MARZO 2014

1

EDITORIALE INDICEA PIENA VOCE

IL SENSO DI STO TAVOLO......................................p.2RUBRICA / LIBRI ALL’ORIZZONTE............................p.2

ANONIMO / Mengaroni

INVITO ALLA LETTURA.............................................p.3IL GENIO DISLESSICO.............................................p.3SCRIVERE................................................................p.3

BERTA / Mamiani

GENITORI-INSEGNANTI AGITATI PRIMA DELL’USO.................................................................p.4UNDERGROUND CHRONICLES: ESTIZE......................................................................p.4B COME BOLL...........................................................p.5

CONTADINO A TE / Cecchi

PERCHE’? PARLI CON ME?....................................p.6

EUREKA! / Bramante

LA GRAFOLOGIA SVELA I TUOI SEGRETI.............p.7

COL COSEnNO DI POI / Genga

CHI CAPISCE SI RATTRISTI CHI NON CAPISCE SI DIVERTA PARTE IV...................................................p.8

FRA I BANCHI E NON... / Santa Marta

FELICITA’..................................................................p.8

l’IMMAGINARIO / Scuola del Libro

NELLA NEBBIA .........................................................p.9FOTO......................................................................p.10JAQUELINE............................................................p.10

MA STO GIORNALE,E’ BELLO?!

Vorrei invitarvi tutti a riflettere su questo giornale.

Ogni mese infatti, da ormai parecchi mesi ques-to pezzo di carta vi arriva in classe, ma quanti di voi o leggono? cosa vi piace e cosa non vi piace? Per noi è difficile capire cosa va o no va nel giornale.

Certo i giornalisti delle varie scuole, che sono in aumento e variano spesso (dato in teoria pos-itivo), percepiscono la situazione nella propria scuola, ma è difficile tirare le somme. Vediamo il numero di copie prodotto, che è rimasto stabile, ma coincide con il numero delle classi; infatti si è attestato l’uso di prenderne uno per classe, il chè certo ci cagarantisce una buona copertura, ma anche un danno economico, perchè se non aumenta il numero di copie, non riusciremo mai a scendere sotto l’euro e venti, un prezzo alto, per un prodotto buono, ma comunque alto. Ma in queste classi quanti lo leggono?

Quindi chiedo ad ognuno di voi di pensare a questo giornale cinque minuti in più del tempo necessario a leggere il dizionario fecc o fare il sudoku. Vi piace Puzzle o vi fa schifo? Cosa cambiereste? Siete dei nazionalisti e proprio non sopportate le parti delle altre scuole oppure no-tate un che ci sono cose più interessanti rispetto ai vecchi giornalini monoscolastici?

Ecco se avete riflettuto un po’ vi invito a scriv-erci, sulla pagina fb, sul sito o alla nostra mail e darci la vostra opinione.Non la pubblicheremo ne vi insulteremo se ci in-sulterete, ma vogliamo migliorare il giornale e ha più senso che a dirci cosa fare siate voi che lo leggete (e pagate) piuttosto che decidere a caso in base alle nostre impressioni astratte.

E’ anche il giornale della tua scuola dunque è anche tuo, lo puoi cambiare se ti va.

CREA LA COPERTINA DI PUZZLE!

Dopo il successo del primo concorso per le copertine dei numeri di

gennaio, febbraio e marzo, la redazione centrale di Puzzle Magazine

insieme a quelle delle singole scuole ha deciso di riproporre l’iniziativa per scegliere le coper-

tine di aprile, maggio e giugno:

Cambiano un po’ le regole, ma il succo resta lo stesso...

Scoprilo su www.magazinepuzzle.blogspot.it !

Page 3: PUZZLE MARZO 2014

2

PUZZLE MAGAZINE / MARZO 2014

A PIENA VOCEA cura di Collettivo Spazio Bianco

LIBRI ALL’ORIZZONTETetanoAlessio Torino. Minimum fax, 2011Collocazione: R TORIA TET

Da qualche mese, per la terra degli orti e dei giardini della zona, c’è un nuovo concime. E’ un concime ambulante. Il concimatore gira in questo paese, Pieve Lanterna, dove l’erba dell’unico campo da calcio è tagliata a strisce verticali […] Gira in questo paese, dove c’è un colo forno, a metà del Corso, dove l’odore del pane rimane anche la domenica, davanti alla saracinesca abbassata.

Tetano racconta un’estate nella vita di Corsi, Achille Spada e Giorgio, tre adolescenti che, come ogni anno, si ritrovano a giocare nei boschi di Pieve Lanterna, un paese immag-inario nel cuore dell’Appennino Marchigiano che, nonostante sia apparentemente tranquil-lo e isolato dal resto del mondo, in realtà na-

sconde misteri e tensioni.L’anno è il 1983 e la storia è narrata dal pun-to di Corsi, romano che trascorre le vacanze estive dalla nonna Vera e di fatto l’unico rag-azzo che proviene dalla città. Quell’anno, lui e i suoi due amici concepiscono un progetto ambizioso, quello di costruire una zattera e provare a solcare il fiume che scorre vicino alle loro case. La chiamano Gran Troia e, in effetti, i primi tentativi falliscono in fretta, ma quando Stefano Dandini, detto Tetano, si unisce a loro, le cose cambiano. Tetano è un giovane trasandato intorno al quale la città ha costruito un’immensa bugia collettiva facendogli crede-re che il padre sia in Francia per lavoro, ma in realtà è morto mentre lavorava alla vetreria del paese. Lui ci crede, vuole crederci e decide di farsela addosso fino a quando il padre non ritorna.Sarà Tetano, con il suo bagaglio di esperienza e dolore, a condurre i tre ragazzi alla conquista

del fiume, in un viaggio avventuroso alla sco-perta dei segreti dei boschi e del paese, in un percorso di iniziazione al termine del quale troveranno una cruda realtà, violenza e anche una consapevolezza nuova.

Bisogna parlarne spesso perché altrimenti si rischia che questa nuova associazione sembri qualcosa di completamente staccato dalla vita scolastica e riservata ai rappresentanti.Abbiamo davanti a noi uno scopo, che è politi-co (ma non la politica dei partiti, dei voti e delle leggi), bisogno dirlo, ed è bene preciso.

Porta gli studenti ad essere un corpo coeso anche fuori dall’orario e dall’edificio scolastico.Far capire alla politica pesarese che “giovane”, a Pesaro, vuol dire prima di tutto “studente”. Bisogna parlarsi chiaro: i giovani dai 20 ai 30 anni per la maggior parte risiedono fuori cit-tà, vanno all’università, e tornano al massimo nel week-end; anche chi va a Urbino spesso preferisce passare la le serate.

Non dimentichiamoci poi il forte richiamo della Romagna che risucchia tutti i patentati.Quindi è inevitabile stringere il cerchio dei giovani pesaresi a chi frequenta le scuole su-periori, quella fascia fra i 14 e i 19 anni che ogni giorno frequenta e viva la città.

Non possiamo più permettere che suona-ta la campana un gruppo così grande e ben definibile di persone non conti più un cazzo. In questi anni le pur eccellenti iniziative rivolte ai giovani hanno sbagliato giovani, hanno pun-tato sempre sulla fascia più alta, coincidente spesso con quella dell’età degli organizzatori. Questo per due motivi, la poca attenzione di alcuni di quest’ultimi e soprattutto la totale in-erzia della fascia 14-19.

Non avete mai mosso il culo, nessuno, e quan-do uno lo fa è solo, chi è stato rappresentante o si è candidato o lo è tutt’ora lo sa bene, ci vuole un mese solo a spiegare le cose, figuri-

amoci a farle.Perciò questa classe di giovani studenti non se l’è mai cagata nessuno per quello che è. Sempre ignorati, marginalizzati, contanti nel mucchio dei giovani, ma solo per far massa, perché alla fine poi l’intrattenimento punta più alto.

Il Tavolo Studenti vuole, prova e ci sta riuscen-do già da adesso, a ribaltare questa logica.I giovani a Pesaro sono anche, se non proprio solo, gli studenti, e anche fuori dalla scuola, vanno visti come corpo unico, con le sue pe-culiarità, i suoi riti e le sue esigenze.Partendo dalle quinte abbiamo riportato al centro della discussione politica cittadina gli studenti, i cento giorni hanno coinvolto nu-merosi assessorati, per le varie competenze e numerose realtà e imprese locali, facendo fare un gran parlare di questi giovani che si organizzano da soli.Potremmo dire di aver battuto i locali della Romagna, se fosse questo il punto, ma è solo una tappa.

Ora ci apprestiamo a nuovi eventi per chiudere in bellezza con Woodschool II edizione, ma a cosa servono questi eventi? Queste tessere? Questo giornale? A fare massa. Dobbiamo fare massa, per farci ascoltare, per fare quello che ci serve, farlo bene e farlo al giusto prezzo (che non è mai impossibile) e farlo comodo e semplice. I soldi che speriamo di accumulare nel tempo (ahimè i cento giorni non hanno sor-tito l’effetto sperato, donateci 2 euro vi prego!) serviranno per sistemare dal basso, partendo dalle piccole cose, le pecche di un sistema scolastico devastato dal nostro Stato.Tre anni fa quando ho cominciato a muovermi in questo mondo di giovani e scuola, scende-

vamo in strada, ci chiudevamo nelle scuole, per combattere una riforma assurda attraverso lo sciopero, la notizia, e l’informazione, tutto volto a rafforzare il peso politico di chi sostene-va gli studenti a livello politico. Con la Gelmini si fallì, con l’Aprea si andò meglio, ma nella realtà le cose materiali, quelle con cui uno fa i conti tutti i giorni sono progressivamente peg-giorate. Quindi dal quel campo di lotta politica si deve e si sta passando all’azione concreta. Basta chiacchiere con il Tavolo ci sarà discus-sione e apertura ma volta all’azione, al fare, al realizzare, siamo solo all’inizio, qua si investe nel futuro, questa è una cosa che sarà effici-ente e funzionale fra due, tre anni, ma comin-cia adesso e c’è da lavorare. Partecipate, incu-riositevi, domandate ai vostri rapportanti cosa si dice cosa si fa, e si farà. Non vi si chiede di cambiare il mondo, né l’Italia, questa è retorica da manifestazione, la sentirete a settembre, qua si parla di mettere la carta nella fotoco-piatrice, la cartai genica nei bagni, i quaderni a prezzo basso i libri gratis, a Pesaro. In Italia siamo quasi un unicum, ce la facciamo a far-lo questo? Riusciamo insieme a cambiare la piccola realtà pesarese? Fra una festa e l’altra andremo avanti, dal sano intrattenimento recu-pereremo risorse per una buona educazione, così chè il momento di svago e quello di studio facciano parte di un unico sistema, com’è già nella vita di ogni ragazzo, così deve diventare anche nella realtà cittadina. Per farlo tocca fare le cose bene, ma farle da insieme agli altri studenti e giovani e farlo solo con intermediari interessati veramente ai giovani e non ai soldi. Stiamo dando un senso alla rappresentanza studentesca, un senso alle feste scolastiche e ai cineforum, stiamo costruendo un sistema differente, di cui fate già parte, dovete e dovete collaborare a migliorarlo.

Timoteo Tiberi

IL SENSO DI STO TAVOLO

Page 4: PUZZLE MARZO 2014

3

l’ANONIMOLiceo Artistico F.Mengaroni Mira

INVITO ALLA LETTURA

L’altro giorno ho cercato su internet la top 10 degli inventori del 1900. Poi, leggo il suo nome, abbinato a una foto. Già la foto! Quella famosissima, di lui con la lingua fuori! Albert Einstein, uno trai più grandi inventori e fisici della storia della terra! UN Matto, questo diceva la gente di lui! Il più grande fisico della terra era dislessico! Nac-que il 1879 a Ulm, da una famiglia di origine ebraica. Trascorse la sua infanzia a Monaco di Baviera, ma terminò gli studi in Svizzera, laureandosi con fatica per via della grave

Dislessia, Discalculia e Disgrafia al Politecni-co di Zurigo (1900). Prese la cittadinanza svizzera. Roba da non credere già nel 1904, quindi pochi anni dopo la sua laurea, pubblicò tre studi teorici. Il primo sulla teoria della rel-atività ristretta. Il secondo studio, relativo al moto browniano, Il terzo studio, sull’interpre-tazione dell’effetto fotoelettrico. Quest’ultimo studio gli valse il premio Nobel nel 1921. Nel 1916 pubblicò la memoria: I fondamenti della teoria della Relatività generale, Con l’avvento al poter di Hitler, Einstein fu costretto ad em-

igrare negli USA, dove insegnò all’Università di Princeton. Einstein disprezzava la violenza e la guerra, ma fu doppiamente coinvolto nel-la realizzazione della bomba atomica. Per me quasi inconsapevole di ciò che stava realiz-zando. Terminata la guerra Einstein si impeg-nò attivamente contro la guerra e le persecuz-ioni razziste, compilando una dichiarazione pacifista contro le armi nucleari. E fu così che uno tra i migliori geni delle storia, morì, in una cittadina piccola e stretta, a Princeton, nel 1955.

Questo è un invito alla lettura. Le citazioni sot-to riportate appartengo alle varie opere di uno dei grandi della narrativa italiana contempora-nea, Alessandro Baricco. Succedeva sempre che a un certo punto uno alzava la testa… e la vedeva. È una cosa difficile da capire. Vo-glio dire… Ci stavamo in più di mille, su quel-la nave, tra ricconi in viaggio, e emigranti, e gente strana, e noi… Eppure c’era sempre uno, uno solo, uno che per primo… la vedeva. Magari era lì che stava mangiando, o passeg-giando, semplicemente, sul ponte… magari era lì che si stava aggiustando i pantaloni… al-zava la testa un attimo, buttava un occhio ver-so il mare… e la vedeva. Allora si inchiodava, lì dov’era, gli partiva il cuore a mille, e, sem-

pre, tutte le maledette volte, giuro, sempre, si girava verso di noi, verso la nave, verso tutti, e gridava (piano e lentamente): l’America. Poi rimaneva lì, immobile come se avesse dovuto entrare in una fotografia, con la faccia di uno che l’aveva fatta lui, l’America. (Novecento) Col tempo iniziò a concedersi un piacere che prima si era sempre negato: a coloro che an-davano a trovarlo, raccontava dei suoi viaggi. Ascoltandolo, la gente di Lavilledieu impara-va il mondo e i bambini scoprivano cos’era la meraviglia. Lui raccontava piano, guar-dando nell’aria cose che gli altri non vedeva-no. (Seta) Ci disarma, infatti, l’inclinazione a pensare che la nostra vita sia, innanzitutto, un frammento conclusivo della vita dei nostri gen-

itori, solo affidato alla nostra cura. (Emmaus) Poi avvicina il pennello al volto della donna, esita un attimo, lo appoggia sulle sue labbra e lentamente lo fa scorrere da un angolo all’al-tro della bocca. Le setole si tingono di rosso carminio. Lui le guarda, le immerge appena nell’acqua, e rialza lo sguardo verso il mare. Sulle labbra della donna rimane l’ombra di un sapore che la costringe a pensare “acqua di mare, quest’uomo dipinge il mare con il mare” – ed è un pensiero che dà i brividi. (Oceano Mare) È uno specchio, questo mare. Qui, nel suo ventre, ho visto me stesso. Ho visto dav-vero. (Oceano mare) Teneva gli occhi fissi sul-le labbra di Hervè Joncour, come se fossero le ultime righe di una lettera d’addio. (Seta)

Crucio

IL GENIO DISLESSICO

Quando ti viene chiesto di scrivere non è mai facile, come non è facile fare un tema in classe, insomma quando non hai niente da scrivere come puoi farlo? La penna si impunta sul foglio e sembra non volere andare avanti, sembra quasi che lo faccia apposta, tanto per prenderti in giro, e tu intanto pensi a tutti quei bellissimi testi che però sono già stati scritti prima che tu riuscissi a pensarli. Per scrivere ci vuole il momento, il luogo, e il punto giusto, non penso che sia importante sapere mettere una virgola invece che un punto, ma penso che ci sia una grossa differenza tra un buon lavoro e un capolavoro, e se qualcuno pensa che io stia dicendo soltanto bagianate, è ben capace di pensarlo, dopotutto ognuno di noi,

alla fine, ha una propria e personale opinione su qualsiasi cosa, ed è giusto, anzi, è meglio che sia così! Come ci hanno insegnato i libri, la storia è stata scritta da chi aveva delle idee in-novative, da chi ha fatto dell’inchiostro su car-ta un arte, da chi ne ha fatto un mestiere e da chi ne ha fatto una melodia.Per me scrivere è sempre stato un motivo di sfogo, e cerco sem-pre di metterci del mio, come dice Geoffrey Rush nel film “La miglior offerta”, ogni artista non riesce a nascondere una propria person-alità nemmeno in un falso, e finisce sempre per cadere nell’errore e proprio in questo sba-glio si distingue un originale da una copia, proprio in questo si distingue la personalità diversa da qualsiasi altra, che ognuno di noi

possiede. Vedete ho iniziato a scrivere non sapendo nemmeno come iniziare, ma in fondo io a mettere le parole in fila non sono mai stato bravo, è tutto un caso, o forse fortuna, magari se fossi nato mancino non saprei suonare la chitarra, oppure non so, il fatto è che mi las-cio ispirare, rileggo mille volte il testo fino a trovare una giusta combinazione di parole, e il testo si forma quasi da solo come un lungo puzzle, ed è proprio questo che vi voglio dire alla fine di questo discorso, lasciatevi ispirare da quello che vi accade attorno ma sopratutto da quello che c’è dentro di voi, siate voi stessi ogni giorno, tirate fuori la vostra propria, uni-ca, e vera personalità.

Matteo Dellai

SCRIVERE

Page 5: PUZZLE MARZO 2014

Questo mese siamo andati a bussare alla por-ta del non più allagato stanzino degli ESTIZE, noto gruppo della scena pesarese. Quando avete iniziato con questo gruppo? Ciao a tutti! Il gruppo è nato nell’ottobre 2010 con Lollo (Lorenzo Quaranta) e Conta (Giovan-ni Contardi); dopo abbiamo conosciuto Enrico Giunta e Ruben Crudelini. Avevamo scritto su facebook per un chitarrista e così è entrato Andrea F. che poi ha chiamato Vanzo (Andrea Vanzini), un tamarro bellissimo. Giunta è uscito perché i genitori non volevano che suonasse con noi perché Lollo fumava. Così Ruben ha chiamato Basto un giorno in centro e poi ha lasciato il gruppo. Da lì abbiamo iniziato a scri-vere e dato che avevamo iniziato in 5, voleva-mo continuare sempre in 5. Il primo concerto è stato un anno dopo. Ora la domanda che tutti quelli che vi co-noscono si sono fatti almeno una volta nella vita: da dove nasce e cosa significa ESTIZE?Conta ha tirato fuori STZ che pronunciato in in-glese da ESTIZE, però quello che vuol dire l’ha tirato fuori Lollo. Il significato viene da Sperma-tozoi in inglese, che sarebbe Sperm To Zoey, dove Zoey è una ragazza, cioè Zoey101, la sorella di Britney Spears. E da qui è nato l’em-blematico nome; che poi all’inizio ci facevamo anche chiamare così!Tornando seri , per modo di dire, come vi ha accolto la scena musicale pesarese?All’inizio ci hanno accolto bene, ma dopo ci

hanno dato le bastonate! No, non è vero: ci è sempre andata bene e molti ci hanno aiu-tato trovandoci le date. Andando avanti con gli anni ci siamo conosciuti bene con gli altri gruppi a Pesaro e ci siamo dati una mano a vicenda, anche con gli Edward In Venice: infatti li vogliamo ringraziare perché quando ci si è allagato il vecchio stanzino ci hanno prestato il loro per 4 mesi! Per quanto riguarda la scena pesarese in sé, siamo fortunati ad essere qui perché ci sono un sacco di gruppi da cui pren-dere ispirazione. Ma ci sono anche persone a cui non stiamo proprio simpatici, come quelli che dagli Edward ci hanno scritto “Metalcore Merda” o “Suonate solo perché va di moda il cappellino e i dilatatori”.Si è capito che non siete proprio fortunati con questi stanzini! Una domanda difficile: da cosa prendete ispirazione per i testi? I testi nascono da quello che passa per la testa di Lollo e da come si sente in quel particolare momento. Poi per lo sviluppo gli piace sapere che cosa ne pensano a primo impatto alcuni suoi amici fidati. Non devono significare molto per lui, ma più per altri: devono avere un mes-saggio forte, è questo che gli interessa. Avete in mente qualche altro progetto per il futuro, come un altro disco o altre date? Si certo, il tempo di rimetterci in carreggiata. Siamo stati fermi a lungo, prima perché ci si è allagato il vecchio stanzino, poi perché abbia-mo avuto in 4 la maturità e adesso quest’ulti-mo problema sempre con lo stanzino. Ad aprile dovremmo riiniziare a provare insieme, poi ve-dremo. Anche se abbiamo qualche altro pez-zo in fase di lavorazione, preferiamo rimanere vaghi nel dire le prossime date. Qual è stato il più bel momento da quando suonate insieme?Quando eravamo al Benelli, condividevamo lo stanzino con 4 gruppi. Un membro di un al-tro gruppo aveva suonato la sera prima e per richiudere non aveva le chiavi, così ha chiuso il lucchetto con il martello. Dato che non si apri-va più, siamo andati dal meccanico lì davanti, Vanzo ha preso il frullino e ha tagliato il luc-chetto. Per Conta invece il momento più bello è stato quando tutta la gente è venuta in studio per registrare i cori. In generale l’esperienza in studio è stata veramente formativa, infatti Paolino ci ha trasformati, facendoci sentire i pezzi come mai prima di quel momento. Ad es-empio nel ritornello di Isis c’era un passaggio con la batteria che stonava con la voce. Adesso stiamo cercando di fare pre-produz-ioni, registrando i pezzi e rielaborandoli per bene: vogliamo avere tutte le idee chiare prima di tornare in studio.Parlando sempre di Isis, cosa si cela dietro a questo misterioso pezzo? Il nome è venuto fuori perché la struttura della canzone la si può interpretare come 3 puntini e 2 puntini, che in alfabeto Morse sarebbero “I” e “S” che poi si ripetono. Poi sono nati trip men-tali secondo cui Isis è la dea della fertilità che si ricollega al nome e anche il nome dell’Ep, Fertilization, è legato alla sfera semantica della fertilità. Ragazzi è stato un piacere parlare voi! In boc-ca al lupo per lo stanzino e per i vostri progetti futuri! Ci vediamo al prossimo Live!

4

PUZZLE MAGAZINE / MARZO 2014

la BERTALiceo T.Mamiani

“Oh Capitano, mio Capitano!”“Scendi da quel banco che devo pulire!!”“Oh Capitano, mio Capitano!!”“Ma allora non ci senti..”“Oh Capitano, mio Capitano!!!”“Vabbè io lascio sporco, poi non mi si dica che le bidelle non hanno voglia di lavorare.”

Ecco come potrebbe essere una versione dell’ “Attimo fuggente” in chiave moderna, sempre ammesso che ne possa esistere una. “Ah, e io che pensavo fosse la pubblic-ità della Findus!” Spiacente, ma per quan-to quei soffici bastoncini di pesce possano essere buoni, non sono fondamentali per la nostra formazione. Qualcuno che vediamo tutti i giorni seduto davanti a noi invece lo é, qualcuno che ha la capacità di formare come saremo un giorno, qualcuno che mandiamo a quel paese un’ora si e l’altra pure. Non che a volte non se lo meritino, ma sembra proprio che la società di oggi tenda ad ostacolare in tutti i modi possibili questa categoria. Tral-asciando i tagli alla scuola e le norme che cambiano con la stessa frequenza con cui Paris Hilton cambia le sue borsette, la nuova paura del professore tipo è una sola: il collo-quio genitore-insegnante. Le mamme in fila si lamentano di chi si trattiene troppo, ma le vere lamentele dovrebbero venire dal docen-te che ascolta per tutto il pomeriggio donne troppo apprensive e iperprotettive o padri ag-gressivi e sfacciati. Un tempo queste scene si verificavano molto raramente, ma al giorno d’oggi è diventata quasi una moda “far cau-sa al professore”. “Ha dato 4 a mio figlio e 5 al suo compagno che aveva copiato tutto da lui? Favoreggiamento!”, “Gli ha ritirato il cellulare perchè stava giocando a Ruzzle du-rante l’ora distoria? Furto!”, “Le ha dato del-la somara? Abuso di potere!” e si potrebbe continuare all’infinito, perché quando si tratta di accusare i docenti i genitori sono molto fantasiosi. Affidano al professore la cosa più preziosa che hanno, il loro innocentissimo bravo bambino, carne della loro carne, e lui deve formarlo ed educarlo alla vita di tutti i giorni. Ciò non significa però che il compi-to spetti solamente alla scuola, ci deve es-sere un background, ovvero un livello base di cultura (se non altro di civiltà) che i gen-itori devono aver impresso sulla loro prole, altrimenti il suo posto è allo zoo nella gabbia delle scimmie. Nel colloquio, quindi, ven-gono riferiti meriti e carenze, e questo può comportare diverse conseguenze: nel primo

caso si trovano genitori che continuano a ronzare intorno al suddetto docente genuflet-tendosi ed immischiandosi anche negli affari della scuola pur di rimanere coinvolti ed ass-icurarsi il suo appoggio. Nel secondo caso si scatena un putiferio se un ragazzo è andato male per la terza volta in una certa materia e si accusa subito il professore perchè quella è la via più facile e non si può, e non si vuole, pensare che il proprio bambino non studi ab-bastanza e non prenda sul serio la scuola. Pochi sono oggi i genitori che, venendo loro segnalato nel colloquio qualcosa di negati-vo sul rendimento e/o comportamento, trip-licano quell’appunto trasformandolo in una sonora ramanzina a casa. Questo perché tendono sempre a giustificare le mancanze dell’alunno; spesso i genitori rivedono sé stessi nel figlio, e un suo 4 viene vissuto in prima persona come un affronto personale.A questo “problema” fanno fronte con i mez-zi degli adulti, che sono però le ultime cose che dovrebbero essere presenti all’interno di una scuola. In questo modo crescono i tipici mammoni italiani che vivono nella casa pa-terna fino a 30 anni e passa, che sono troppo vulnerabili e permalosi per ricevere una criti-ca nella vita, e che a lungo andare generano all’Italia più problemi di quanti già ne abbia.

Valentina Coli

GENITORI-INSEGNANTIAGITATI PRIMA

DELL’USO

Giorgio Gallipoli 3BC; Benito Goglia 3BC

UNDERGROUND CHRONICLES:

ESTIZE

Page 6: PUZZLE MARZO 2014

5

-Benvenuta miss Blucher! Non vedo come le sue notizie potrebbero peggiorare questa gior-nata già terribile, anzi, se non altro le sarò gra-to per aver fatto cessare questo pandemonio!-Ma come si permette!?- esclamarono in coro gli altri due.-Ecco mister Böll, pare che suo figlio sia rimas-to coinvolto in una sparatoria in Banca, mentre si trovava lì per un prelievo... I dottori hanno tentato in tutti i modi di rianimarlo ma... ecco, temo che non ce l’abbia fatta...-Quale dei miei figli?-Quello buono.-Ah.Mister Böll fissò il vuoto per qualche minuto, si sbottonò il primo bottone della camicia e al-lentò la cravatta, si versò un bicchier d’acqua dalla caraffa che teneva sempre sulla scriv-ania e prese un foglio. Poi, molto tranquilla-mente, prese la sua stilografica dall’astuccio di madreperla e scrisse qualcosa sul foglio, soffiandoci sopra per fare in modo che l’inchio-stro si asciugasse in fretta e senza sbavature. Quindi si alzò dalla poltrona e prese in mano un fermacarte di alabastro nero, lo soppesò con fare assorto poi, torcendosi, lo scagliò con tutte le sue forze contro la grande finestra di vetro che si trovava alle spalle della poltrona. Prese un lungo respiro, una breve rincorsa e si gettò dal varco frastagliato appena creato-si. Pochi secondi dopo e da parecchi piani più in basso si udì distintamente un suono flacci-do e vagamente umido, un po’ come quando si ammorbidisce una bistecca con il martello batticarne. Subito seguito da vari urli di don-na e dopo pochi secondi anche dalla sirena di un’ambulanza.-Dev’essere stato un bel volo.-Trentatré piani, dottor Woland.-Grazie miss Blucher. Signor Tenenbaum, sarebbe così gentile da leggere le ultime volo-ntà di mister Böll?-Con piacere, dottor Woland.- Tenenbaum si schiarì la voce -“Cari miss Blucher, signor Tenenbaum e dottor Woland, devo confessarvi che ormai da tempo pensavo al suicidio, anche se vi sembrerà strano, addirittura folle, per un uomo che abbia tutto quello che si possa de-siderare come me. In realtà non è così. Miss-es Böll è scappata ormai da tre mesi con un impresario teatrale, accusandomi di aver fallito come marito. L’unico dei miei figli che anco-ra mi rispettava e che ancora forse mi voleva bene giace ormai su un lettino d’ospedale, con-fermandomi di aver fallito anche come padre. I miei genitori sono entrambi da tempo passati a miglior vita, ma prima di lasciarci, mio padre mi comunicò tutto il suo disprezzo negandomi la mia parte di eredità poiché secondo lui non ero mai stato all’altezza dei miei fratelli, dun-que, ho fallito anche come figlio. Dirigo ques-to studio da ormai trent’anni, da quando il mio vecchio socio, il cavalier Marx, si è impiccato, dimostrandomi come io abbia fallito anche come amico e socio in affari. Sono vecchio.

Sono solo. Una cosa però la sono ancora, e cioè piuttosto ricco. Mio figlio si era recato in Banca per compiere un prelievo di trentamila marchi, ma al momento né io né tanto meno lui siamo nella posizione di goderceli, quindi vi prego di prenderne possesso e di spartirveli in maniera equa in modo che: a) possiate avere quel prestito per cui avevate fatto domanda (Woland) e b) abbiate una liquidazione per la disoccupazione in cui inevitabilmente vi ritrov-erete (Tenenbaum e Blucher). Con i più sinceri auguri, vostro mister Böll.”-Strabiliante.-Che c’è, miss Blucher, non credeva che il mio piano avrebbe funzionato?-Le sue, trovate, dottor Woland, sono sem-pre geniali! Ma ora dovremo preoccuparci di versare parte delle nostre quote anche all’as-sassino, giusto?-Niente affatto, cari soci- interloquì miss Bluch-er -A quanto pare il nostro aguzzino è rimasto anch’egli coinvolto nel fuoco dei poliziotti, las-ciandoci liberi di godere del nostro denaro!-E così anche l’ultimo figlio di mister Böll è fuori gioco.-Mi sta forse dicendo, dottor Woland, che l’as-sassino era fratello dell’assassinato e figlio di Böll?-Ovviamente, caro signor Tenenbaum.-E quale dei suoi figli?-Ma quello cattivo, ovviamente!-Ahhh!

Eugenio Bernardi

B COME BöLL- PARTE II -

Page 7: PUZZLE MARZO 2014

6

PUZZLE MAGAZINE / MARZO 2014

CONTADINO A TEIstituto Tecnico Agrario A.Cecchi

Una sera, parlando con un mio amico, mi chiese perché stessi parlando con lui. Di primo impatto pensavo che mi stesse prendendo in giro ma solo dopo capii cosa in realtà mi stava chiedendo. Il senso della sua domanda era “perché ci servono gli amici per vivere?” . bel-la domanda. In realtà è strano che per vivere bene la nostra vita abbiamo bisogno di un’al-tra persona con cui condividerla. Ho provato a rispondermi; ma subito mi è venuto in mente che per rispondere appieno a questa domanda bisognava chiedersi che differenza c’è tra una fidanzata e tra un amico. Faccio la premessa che quando dico amico, mi riferisco a quello che oggi è passato di moda come “migliore” amico… Che stronzata (quando ci vuole, ci vuole): l’amico è definito tale quando è quella persona della quale ti puoi veramente fidare a tal punto da raccontargli tutto di te stesso; quando è un amico vero e leale.

Tornando a noi, è meglio un amico o la fidan-zata? Beh, alcuni direbbero che almeno l’am-ico non ti cornifica e ne puoi avere più di uno per volta! Per rispondere a questa domanda, bisogna capire cosa è effettivamente l’amore. Voglio sottolineare che dare una risposta come un ragazzo che si finge poeta e tira giù paroloni privi di significato e soprattutto d’esperienza è l’ultima cosa che voglio! Perciò, l’amore, non è altro che il rapporto di fiducia più completo che nasce tra due persone, nel quale scaturisce un senso di protezione e di affetto. La stessa cosa

è l’amicizia. L’amore comporta una fusione ar-monica tra gli individui della coppia e da ques-to ne deriva che i problemi di uno diventano anche i problemi dell’altro e quindi sono risolti insieme per garantire l’armonia nella coppia. Nell’amicizia, invece, i problemi vengono risolti insieme per un puro senso di solidarietà ver-so l’amico. Superata questa piccola differenza però, l’amico è quasi come una fidanzata; e quindi, il fidanzamento è una seconda forma di amicizia, solo più concreta.

Tornando a noi… Perché allora abbiamo bi-sogno di essere in due? Prima di tutto, l’amico è colui che garantisce un senso di utilità alla tua vita. Con un amico, ognuno si sente più libero, si sente con quella parte di se stesso con cui può dialogare, quella parte che lo con-siglia e lo aiuta. L’amico è un mestiere, perché devi avere determinate competenze: saper ascoltare le confessioni del tuo amico e saper-le tenere strettamente per te, devi saper dire le parole giuste al momento giusto per poter essere consigliere e consolatore, devi saper proteggere il tuo amico da guai e pericoli di tutti i giorni. Fare l’amico è complicato. Se lo sai fare, sei la persona migliore del mondo; ma non del mondo come globalità, ma sarai la persona migliore del SUO mondo, e quin-di saprai che per qualcuno sei fondamentale! D’altro canto, so che con un amico, io pos-so essere finalmente il me stesso che voglio essere. Nessuno di noi fa cavolate immense quando è solo; ma quando siamo con gli amici, allora si che le “cazzate” sbocciano. Le fai per-ché sai, che se verrai giudicato, avrai qualcuno che ti dirà di non perderci tempo dietro quelle critiche, avrai qualcuno che ti farà vivere; per-ché la vita è come un grande piatto da portata carico di cibi. Se lo mangi da solo, non avrai nessuno con cui apprezzarne il gusto; non av-rai nessuno con cui poter dire tutto ciò che ti passa per la testa.

Ho provato a rigirare la domanda a dei miei compagni di classe; ed uno di essi mi rispose

“beh… ormai purtroppo bisogna stare insieme perché ti viene imposto dalla società; quindi amicizia ed amore perdono tutti i loro valori fondamentali”. Dio solo sa quanto ci ha azzec-cato. È tristissima questa cosa: ormai avere amici e ragazza è considerata una cosa che deve seguire una giusta moda. Se non hai la compagnia e la ragazza “figa” non sei nessu-no. Sei solamente uno dei tanti sfigati che ha capito il vero valore delle amicizie. Oggi, in-vece, tutto segue una sua moda: dagli affetti personali ai difetti. Basti pensare all’alcool e al fumo. Per carità, persino io bevo e fumo (nei limiti dell’accettabile umanità) ma fa specie che ormai, essendo ritenute cose da grandi, i ragazzi si sentono fighi ad ubriacarsi tut-ti i sabati e a fumare così tanto da diventare dipendenti. La cosa peggiore che ho mai sen-tito è stata una ragazza di 14 anni che diceva vantandosi “sai che io ieri sera sono andata in discoteca ed ho bevuto così tanto che ho vom-itato e poi sono svenuta” ed il tutto condito da una risatina ironica e dagli sguardi ammirevoli delle amiche. Allora fatemi capire… ormai il termine “figo” è stato tradotto in “ciminiera in-dustriale che emana tanfo di alcool e (solo nei casi delle ragazze) la danno via come fosse un parco pubblico e tirandosela come se ce l’avessero soltanto loro”. Ed in base a questo i valori di: amore e pudore vanno totalmente in fumo. Ormai tutto segue la regola degli “affetti trofeo” in cui tutti i sentimenti vengono utilizzati principalmente allo scopo di essere mostrati. Le ragazze si impongono che devono ottenere un ragazzo più grande di loro e tutto pompato; mentre i ragazzi devono assolutamente avere la strafigona da limonarsi sotto i portici. Ed ognuno di essi, se ha i mezzi, può farlo molto facilmente: le ragazze devono solamente fare le facili ed allargare un po’ la coscia ed i rag-azzi devono omologarsi alla massa di decere-brati che seguono a loro volta la moda imposta dal dio denaro.

Mi chiedo solo dove finiremo.

Cleri Pablo

PERCHE’? PARLI CON ME?

Page 8: PUZZLE MARZO 2014

7

EUREKA!Istituto tecnico commerciale D.Bramante

La scrittura è davvero in grado di svelare la nostra personalità? Com’è possibile? E come può essere sfruttata questa conoscenza?Di questo si è parlato nei tre incontri svoltisi nella Biblioteca dell’Istituto Tecnico Economi-co D.Bramante di Pesaro nelle date del 04/02, 06/02 e 13/02. A tenere i vari incontri sono stati il Prof. Federico Gresta, la Dott.ssa Isa-bella Zucchi e il Dott. Stefano Cecchini. Penso che sia una cosa affascinante e mis-teriosa la scrittura. È uno dei mezzi principali che sfruttiamo per comunicare con gli altri, ma quello che non sappiamo è che la scrittura dice molto di più di noi di quello che esplicita-mente vogliamo comunicare. La scrittura è qualcosa di estremamente com-plesso. Ci vuole molta fatica ad acquisirne il meccanismo, ma questa è un’arte che non smette mai di modificarsi, cambia con noi, con l’evolversi della nostra personalità. È qualco-sa infatti di innato la nostra grafia. Noi non la controlliamo. Impossibile direte.. io se volessi la potrei cambiare in qualsiasi momento la mia grafia..Non è così. Anche se volessimo modificare la nostra grafia non ci riusciremmo; nel tem-po la grafia si evolve, soprattutto durante gli anni scolastici, ma i caratteri fondamentali rimangono gli stessi. È stato studiato scien-tificamente infatti che la grafica è un processo neurologico, ed essendo tale è indipendente ed automatico. A dimostrazione di questo car-attere innato sta il riconoscimento dei caratteri che emergeranno nella scrittura di un individ-uo nei suoi primi scarabocchi. Questa scop-erta risulta importante dal momento in cui si stabilisce la possibilità di riconoscere e capire determinati problemi psicologici e caratteriali nel bambino e aiutare i genitori ad intervenire

istituendo modelli pedagogici. Nel primo incontro il Prof. Gresta ha spiegato perché la grafologia può essere considerata una scienza. Questo è possibile perché gra-zie a studi si è scoperto che il tratto grafico è formato da unità minime comuni (virgole, punti,..) e da tre forze che interagiscono fra di loro contemporaneamente, quella alto/basso, quella destra/sinistra e quella della profondità. Questi elementi combinati tra di loro fanno emergere determinati aspetti della personalità di un individuo, i suoi pregi e lati di forza da una parte e i difetti e le debolezze dall’altra. Imparare a conoscere questi aspetti di noi st-essi ci può aiutare a sviluppare la nostra au-toefficacia. Essere consapevoli dei nostri limiti e dei nostri pregi ci rende più capaci di affron-tare gli ostacoli di ogni giorno, e perché no, a fare delle scelte. Psicologi che hanno appreso l’arte di leggere la scrittura ora hanno iniziato a lavorare nelle scuole, in particolare negli isti-tuti superiori, per aiutare gli studenti a scoprire e affrontare se stessi e le proprie difficoltà e, nel caso si tratti di maturandi insicuri, a capire che attitudini possiedono e quale potrebbe es-sere il futuro più appagante e promettente per loro. È un ottimo strumento di orientamento.Non solo nelle scuole, la scrittura è utilizzata anche in ambito aziendale come strumento di analisi del candidato per verificare l’idoneità dello stesso a ricoprire un certo ruolo, o semplicemente per affidargli il ruolo opportu-no.Insomma, il linguaggio grafomotorio e la sua interpretazione stanno conquistando la fiducia di sempre più esperti e i vari ambiti di utilizzo si stanno espandendo. E tu? Non sei curioso di farti leggere la scrit-tura?

LA GRAFOLOGIA SVELA I TUOI SEGRETI

Continua a seguire Puzzle Magazine anche su facebook e su www.magazinepuzzle.blogspot.it

Page 9: PUZZLE MARZO 2014

8

PUZZLE MAGAZINE / MARZO 2014

COL COSEnNO DI POI‘Istituto Tecnico per Geometri G.Genga

CHI CAPISCE SI RATTRISTICHI NON CAPISCE SI DIVERTA

CAPITOLO IV

È tipico della nostra natura cercare spie-gazioni logiche al fine di schematizzare ogni realtà e irrealtà che ci circondano. I tentativi portano a risultati alcune volte sempre veri e altre volte mai completamente plausibili. Questa nostra carenza naturale può apparire certamente come una debolezza, tanto da far perdere speranze e sicurezze. Conosciamo i nostri sensi: il tatto, la vista, l’udito, il gusto e l’olfatto. Poi però a sentire parlare del senso dell’esistenza e dell’inesistenza si sprofon-da nel vuoto. Come si spiega qualcosa che non si può spiegare, perché fuori dai nostri naturali sensi? Non ci sarà certezza laddove i nostri cinque sensi non possono arrivare pi-enamente. Nel sogno l’uomo può finalmente vedere sé stesso, ma il tutto è comunque tras-formato in simboli, dei quali il linguaggio ci è spesso incomprensibile. Il senso dell’esisten-za sta nel non sapere quale sia.

Quella notte Marco -questo è il vero nome di Pello- si ritrovò in Australia; la splendida gior-nata risaltava i paesaggi dell’isola, cielo sen-za nuvole e clima mite rendevano l’atmosfera alquanto gradevole. Le leggere folate di ven-to agitavano la alta vegetazione delle palme provocando fruscii rilassanti. La costa, a poca distanza, emanava un delicato odore di sale mentre le onde si accavallavano e poi si dis-perdevano lentamente lungo la sabbia giallog-nola. Marco, seduto su una seggiola di plas-

tica sbilenca su un balconcino di un chiosco, leggeva un libro di fantascienza e di tanto in tanto si distraeva per osservare il panorama. Intanto, sdraiati sul pavimento legnoso del bal-cone, accanto a lui due suoi amici e compagni di classe si divertivano con uno strano gioco di carte. Quando furono stanchi si alzarono e uno di loro porse la mano a Marco. “Faccia-mo un giro, vieni con noi! Andiamo a mangia-re qualcosa in città”. Marco annuì all’idea con un sorriso entusiasta, la città distava poco più di dieci minuti di cammino da lì. I ragazzi in-crociarono altri amici che stavano dirigendosi verso il mare con le tavole da surf. Marco li salutò, baciò sulla guancia una sua amica che era tra loro e si affrettò verso gli altri due che avevano già raggiunto nel frattempo la strada successiva. Arrivati a destinazione, entrarono in un bar, presero qualche bevanda e un pac-co di patatine e uscirono fuori sui tavolini per mangiare. “ Come stai oggi, Marco? Ho saputo che ieri sei stato male: influenza?” “Sì, niente di che, oggi va molto meglio. Ho dormito molto e sono guarito. Non potevo starmene a casa anche oggi con una giornata così … questa mattina non sono venuto a scu-ola per questo. Cosa avete fatto in classe?” “Spiegazioni , noiose spiegazioni … non chie-dermi gli appunti perché non li ho presi, oggi non mi andava.” “Non li avrei chiesti sicuramente a te!”. I tre

risero alla risposta; “Ci sei mancato!”, disse-ro. Poi Marco continuò: “raggiungiamo gli al-tri sulla costa, mi sembra che oggi non ci sia abbastanza vento per il surf”. Si diressero nuovamente verso il mare. La conversazione rimase sempre accesa per tutto il tragitto. Le strade erano occupate soprattutto da moto e biciclette. Ogni tanto passava qualche mac-china, probabilmente di chi doveva tornare al lavoro dopo la pausa-pranzo, e allora i ciclisti dovevano spostarsi lungo i margini della stra-da per non rischiare che gli autisti si arrabbi-assero.

In acqua quattro ragazzi si dilettavano lo st-esso con le piccole onde. I tre si unirono al gruppo ed entrarono in mare. Marco si tolse la maglia ma si bagnò solo fino le ginocchia, l’ac-qua era ancora troppo fredda per immergersi senza muta. Da dietro lo raggiunse la ragazza che un’ora prima ebbe baciato, schizzandolo sulla schiena. Marco si girò di scatto per la sorpresa e nel vederla, sorrise. Uscì dall’ac-qua e si sedette sulla sabbia ancora calda in-vitando la ragazza a fare lo stesso. Iniziò così il dialogo che sarebbe durato fino a che non fosse sceso il sole nel tardo pomeriggio. Qual-che nuvola apparse per la prima volta in quel giorno. Il cielo stava assumendo un tono pitto-resco al tramonto e il vento si fermò, facendo scendere una leggera foschia.

Alessandro Ciocchetti, Aziz Aboulmahasin

FRA I BANCHI E NON

Istituto S.Marta e G.Branca

La felicitá è una sogno astratto

Che si materializza nel momento perfetto,

In cui qualcuno ti rende partecipe della propria vita

Facendo si che tu ti senta importante per un attimo,

per poi sparire nell’ amarezza del momento vissuto...

FELICITA’

Page 10: PUZZLE MARZO 2014

9

l’IMMAGINARIOLiceo Artistico Scuola del Libro

Urbino

Ormai da qualche minuto Roerich guardava il suo orologio da polso, cercando di capire cosa gli fosse accaduto. L’orologio era indub-biamente il suo ma le lancette no. Una era simile ad una lente d’ingrandimento e funzi-onava allo stesso modo, inoltre c’erano altre tre lancette. Due erano uguali a quelle origi-nali ma giravano in senso inverso e l’altra era fatta di nebbia. In quel momento la lancetta nebbiosa era sotto la lente-lancetta e si stava lentamente spostando in senso orario mentre la lente sembrava immobile, più cercava di capire che cosa indicassero quelle lancette e meno ne capiva. Alzò il capo, sconsolato, e si guardò attorno. A qualche passo da lui stava fermo un uomo. Appena Roerich si accorse di quell’ombra si bloccò, completamente fermo, se avesse fatto anche il minimo rumore l’uo-mo sarebbe scappato. Era Blake, o almeno sperava lo fosse, con pazienza e cautela si avvicinò e, ad una certa distanza riuscì a ve-derlo più o meno chiaramente. Era di schiena rispetto a lui, alto, capelli neri, Roerich sorrise, quasi diabolico, ma il sorriso gli morì sul vol-to quando fece un passo falso. Incespicò in una pozza d’acqua. E allora maledì se stesso e l’acqua e tutto ciò che lo circondava. Ma la figura di schiena non mosse passo, né emise suono. Impossibile che non si fosse accorto del riverbero,ancora presente nell’aria, ep-pure non dava segni di vita. Senza badare

ai suoi passi Roerich si accostò all’uomo e lo vide di fronte ma, purtroppo, ciò che vide non era un uomo. Era un manichino con delle cuciture lungo una linea che tagliava il suo corpo, forse di legno, a metà per verticale div-idendo la parte frontale da quella posteriore, facendo sì che visto da dietro apparisse come un uomo. Ma davanti era senza volto e senza identità, inquietante. In quel momento la sua priorità era “Esci da questo banco di nebbia!” , ma Roerich non riuscì a non far caso ad un particolare. Come era possibile che lui fosse arrivato esattamente alle spalle del manichi-no? Si era spostato si, nonostante la nebbia, e poi era rimasto piantato sul posto per ri-solvere l’arcano dell’orologio. Non era sicuro della presenza di quella cosa nel momento in cui si era fermato, si era fermato. O no? De-cise di cercare la pozza d’acqua nei pressi del manichino, gli ci volle un po’ ma il ciof! Arrivò, rassicurato sulla realtà della sua posizione Roerich tornò a scervellarsi sulle lancette las-ciando perdere il manichino. Non c’era di che preoccuparsi del manichino, qualcuno lo ave-va sicuramente messo lì molto tempo prima, invece l’orologio lo aveva sempre tenuto al polso. La lancetta nebbiosa era quasi uscita da sotto la lente-lancetta, lasciando visibile la porzione di orologio sotto ad essa (nume-ro nove e dintorni). Purtroppo non si vedeva alcun nove sotto la lente- lancetta, oramai quasi completamente libera dall’ingombro della nebbiosa, Roerich fece qualche passo e si accorse che la nebbia andava diradandosi anche se ne ignorava del tutto il motivo. Ad un tratto inciampò in qualcosa e cadde lungo fin sotto il grigiore, non si rimise in piedi ma ragionò in quella posizione. Non era inciam-pato, stava camminando davvero lentamente e anche se si fosse scontrato con un filo teso all’altezza delle ginocchia sarebbe riuscito a non cadere. Qualcuno gli aveva fatto uno sgambetto, pensò, ma chi se nelle vicinanze c’era solo il manichino? Quando la mente di Roerich formulò il pensiero seguente egli si spaventò e decise che non poteva essere sta-

to il manichino, no non poteva sicuramente essersi mosso. Non doveva assolutamente essersi mosso. L’ansia si stava facendo strada nel cuore di Roerich brandendo paura e sospetto. Guardò l’orologio, ora la lente era del tutto libera dalla presenza della lancetta nebbiosa. Fu una sensazione, uno sfarfallio nell’etere. E qualcosa intorno a lui cambiò, stava ancora guardando l’orologio quando si accorse che ora, sotto la lente-lancetta, si vedevano solo scale. Un labirinto tridimensio-nale di scale, era molto in piccolo e dovette affaticarsi lo sguardo per riuscire a vederlo bene. Decise di alzarsi ma quando si issò sul-le braccia batté la schiena contro una parete. – Cosa sta accadendo? E’ spuntato un soffitto … e delle pareti anche! E’ sempre più inqui-etante-. Roerich fece carponi qualche metro e la nebbia scomparve lasciando posto a uno stretto tunnel di un materiale liscio e levigato, di una gamma di colori grigia, bianca e nera. Senza fermarsi a pensare perché una strut-tura lavorata fosse apparsa come per magia, Roerich continuò carponi verso un puntolino da cui proveniva una luce biancastra e ben poco ras-sicurante. Poco a poco la porticina luminosa si allargava e la luce si faceva vicina e ab-bagliante. Quando Roerich uscì dal cunicolo i suoi occhi erano accecati e non si accorse di essere su di una scala, inciampò, di nuovo e stavolta batté la testa. Quando riuscì a smet-tere di lanciare terribili insulti al mondo delle scale ed abituarsi all’ambiente si accorse di trovarsi davvero nel mondo delle scale. Erano ovunque, di tutte le dimensioni e specie: ver-ticali, a chiocciola, a rampa, a pioli, circolari, oblique, elicoidali; fatte di tutto e di tutti: bici-clette, finestre, tavoli, porte, pomelli, rampi-canti, foglie, specchi, borse, libri, ciabatte, let-tere, cartelli, scatole, lampioni, armi, telefoni, pagine, aeroplani, alberi, fili, secchi, giocattoli, carri armati, accappatoi.”

Alberto Stella

NELLA NEBBIA

Come i primi passie le prime parole

di un bambinotentenni

agitata dal vento esaustodi un cielo ancora più pigro

e invecchiato,riconosci vacillando

che le nuvole non sono più le stessee ti perdi guardando

in un infinitoche speri rimanga nei tuoi occhi,

almeno per un po’

E intanto continui,passo dopo passouna piega, un salutoun sorriso, senti il muscolo tirarema non rompersiaspetti l’ultimo battitoti volti, guardi il tuo visoti conosci abbassi, pianoil capo, poi ritorniun inchinoe concludi il tuo spettacolo

REDAZIONE CENTRALE: Timoteo Tiberi, Ilaria Sartini. ANONIMO - MENGARONI: Crucio, Mira. Matteo Dellai. BERTA - MAMIANI: Valentina Coli, Giorgio Gallipoli 3BC; Benito Goglia 3BC, Eugenio Bernardi. CONTADINO A TE - CECCHI: Cleri Pablo. COL COSENNO DI POI- GENGA: Alessandro Ciocchetti, Aziz Aboulmahasin. L’IMMAGINARIO - SCUOLA DEL LIBRI: Alberto Stella, Maria Chiara Ligis. COPERTINA: Camilla Cesarini. IMPAGINAZIONE: Leonid Breznev II. .RINGRAZIAMENTI: GIULIANO TACCHI E LO STAFF ATS1, PASSAPAROLA, INFORMAGIOVANI, BIBLIOTECA SAN GIOVANNI.

Page 11: PUZZLE MARZO 2014

10

PUZZLE MAGAZINE / MARZO 2014Urbino

L’Inverno era passato da un pezzo. Aveva las-ciato spazio a sua sorella, la Primavera; e così, quello, si presentò come un meraviglioso pomeriggio di maggio. Una rondine pigolava allegramente sotto la grondaia, felice anch’ essa che il nuovo giorno fosse così raggiante; il sole filtrava impavido attraverso le tende bi-anche del soggiorno, con i suoi raggi, quasi volesse sbirciare le nostre scene quotidiane: Sarah ed Annie si divertivano con il Master Quiz, e mamma era occupata con i due piccoli gemelli nei compiti d’italiano: qualcosa come “La giornata tipo di Luca”. Io avevo avuto una mattinata scolastica piuttosto estenuante e adesso avrei desiderato fare qualcosa di origi-nale o perlomeno qualcosa di piacevole: che so, una scappata al karaoke con le amiche, o un salto in biblioteca, dove mi piaceva tanto scovare nuovi volumi tra gli scaffali, sfogliarne pagine e pagine, una dopo l’ altra, finché non trovavo il genere che più si addiceva ai miei gusti, e scoprire poi, che erano sempre gli st-essi, e che le altre innumerevoli ricerche erano solo frutto della mia affamata curiosità. Spesso invece, io e Jacqueline, partivamo all’ improv-viso e ci divertivamo a correre tra i boschi della valle, fino a quando non ci stancavamo, dopo di che ci mettevamo a sedere sotto l’ombra di qualche albero abbastanza ospitale da sop-portarci entrambe. A volte stavamo via fino a sera, intente a raccontarci le nostre giornate, le nostre avventure, senza neanche accorgerci che il tempo passava e non ci avvertiva di quanto in realtà fosse tardi. Solo in poche cose ci somigliavamo: in Francese avevamo gli st-essi voti, e amavamo entrambe la lettura e la musica. In quanto al resto eravamo diverse sotto molti aspetti: io mora e lei rossa, i miei occhi azzurri, e i suoi verdi, io, portata assolu-tamente per le materie artistiche e letterarie, mentre lei preferiva di gran lunga l’aritmetica e l’Inglese, io amavo il pattinaggio, lei l’hockey, e i nostri caratteri poi! Io impulsiva, vivace, a volte persino scontrosa, lei dolce e magnani-ma, “disposta all’ ubbidienza” quando serviva, ma altrettanto risoluta quando ci si trovava in situazioni serie; e, nonostante la nostra diver-sità, noi, ci volevamo talmente bene, che avremmo dato ognuna la propria vita per l’al-tra, se ce ne fosse stato bisogno. Jacqueline era la mia amica del cuore, quella con la “A” maiuscola. Con lei non ci si annoiava di certo! Aveva sempre qualcosa di nuovo da fare, così quel giorno decisi che avremmo passato il pomeriggio insieme. 320-4865762: il suo nu-mero di telefono e l’unico che ricordassi a me-moria. -Jacqueline? - -Ehi!! Ciao Clare! Come te la passi oggi? - -Comme si comme ça…al-meno penso si dica così. - -Così così eh? Capito… -Sai, allora…pensavo… -Le Forete. - -Le Forete. - Avevamo deciso che il nostro

bosco si sarebbe chiamato così. Il nome era nato, un giorno che ci eravamo messe sotto un’antica quercia, cercando invano di scrivere correttamente delle frasi in francese. Tuttora non so se quel nome, “Le Forete”, si scrive realmente così, o se è stato semplicemente una conseguenza dell’ignoranza di due quindi-cenni. Comunque, quel giorno nessuna di noi due aveva voglia né di studiar né di fare i com-piti. Presi la mia sacca rossa dalla sedia in camera da letto e il mio cellulare. Jacqueline mi aspettava nel soggiorno. Era più pallida del solito, ma non me ne stupii. In fondo la sua carnagione era sempre stata chiarissima, e ciò che più desideravamo in quel momento, era solo raggiungere i primi alberi che delimitava-no l’ingresso a Le Forete, dimenticare tutto quello che c’è fuori, dimenticare tutto il resto. Stava per iniziare una nuova avventura e, chi-usa la porta alle mie spalle, lasciai dietro a me tutto ciò che non era andato in quella giornata, insieme, senza saperlo, ad un pezzo del mio passato. Corremmo e corremmo, le gambe cominciavano a farci male, ma non ci importa-va. Le Forete era così bella che ogni volta, per raggiungerla, davamo fine alle nostre forze: nell’attraversarla, i suoi rami si chinavano su di noi formando grandi archi. In quel periodo, era tutto pieno di bacche e di fiori, gli arbusti crescevano come se il bel tempo dovesse an-darsene da un momento all’ altro, ed era in-cantevole osservare giorno dopo giorno le gemme che una ad una sbocciavano, per poi cadere, petalo dopo petalo, e lasciare il loro posto a piccoli frutti ruvidi, dall’aspetto mar-rone-rossastro. Il nostro posto preferito, era sotto la madre quercia, dove ci fermavamo per ore ad osservare i movimenti provocati dalle fronde, e i comportamenti degli amici animali, ormai abituati alla nostra compagnia. Poi però cominciavamo a parlare o a ridere e allora tutti si ritiravano nelle loro tane, lasciandoci sole, con nient’altro che il vento e gli innumerevoli alberi che popolavano Le Forete, come com-pagni. Ma quel 19 Maggio, quella fu la prima volta, che ci trovammo a dover inventare qual-cosa di nuovo, dopo aver esaurito anche l’ulti-mo argomento di conversazione. Nascondino! Non avevamo mai giocato a nascondino den-tro Le Forete. E pensare che è un gioco così comune e banale! Eppure noi…noi non ci ave-vamo pensato. -Allora? Chi conta? - -Fa lo st-esso… tanto prima o poi dovremo contare tutte e due. - -Ok. Conto io Clare! - Jackie, a volte la chiamavo così, era l’unica ragazza che cono-scessi, alla quale piacesse contare. -Fino a quaranta Jackie! - -1,2,3,4,5…- Le Forete ave-va mille nascondigli, ma ce n’era uno che mi era saltato subito all’occhio: si trattava di un grande albero dalla corteccia grigio scuro e on-dulata, la chioma priva di fiori, ma piena di tante piccole foglie color vinaccia. Non avevo idea di quale fosse il nome della sua specie, ma era diverso da tutti gli altri. Lo raggiunsi a grandi passi felpati, quasi sfiorando quel enorme tappeto di foglie e muschio che si es-tendeva sotto i miei piedi. Cercavo di fare meno rumore possibile. D’altronde, se così non fosse stato, il calpestio dei miei piedi, sarebbe giunto a Jackie come un’informazione sul luogo nel quale mi trovavo. -27,28…30…-

Con il cuore in gola, e con ansia, cercando an-che di trattenere il respiro pur di non venire scoperta, mi lasciai scivolare dietro il grande fusto di quella grottesca pianta…in attesa. -39,40!- Jacqueline aveva smesso di contare. Avrei potuto sporgere un poco la testa e spiare le sue mosse, per filarmela al momento oppor-tuno, ma non ne avevo il coraggio. Rimasi in silenzio per qualche minuto. Ogni tanto si sen-tivano i fruscii e i passi morbidi di Jacqueline alla mia ricerca, e allora stavo lì in aspettazi-one, incapace di alcun movimento, ma poi de-cisi che avrei dovuto prendere una decisione. Mi alzai. Il tronco dell’albero copriva intera-mente la mia figura, i rigonfiamenti del fusto un po’ qua un po’ la, sembravano grandi bolle at-taccate successivamente alla nascita dell’al-bero. Esso presentava una grande rientranza buia a quattro metri da terra, un ovale un po’ deformato, cavo all’interno, la tana di qualche scoiattolo forse, ma non ne ero sicura. Insom-ma, avrei potuto trovarci anche una civetta o qualcosa di simile. Ero sempre stata curiosa di natura. Raccolsi le mie forze e cominciai ad arrampicarmi sui rami più bassi. Io e Jackie ci eravamo esercitate talmente spesso, che or-mai, salire sugli alberi era un gioco da ragazzi. Dal ramo su cui mi trovavo, si riusciva bene a raggiungere quello strano buco. Tesi il braccio, ma poi lo ritrassi. Se dentro vi fossero invece stati degli insetti o qualcosa di ugualmente dis-gustoso? Qualcuno avrebbe detto che guarda-vo troppi film, eppure io, ero convinta che una cosa del genere poteva capitare a chiunque, anche nella realtà, e poi, detto sinceramente, ne avevo sempre avuto il terrore dalla nascita senza che niente o nessuno mi condizionasse. Gli insetti, tralasciando farfalle, coccinelle, e li-bellule, mi avevano sempre fatto un non so che di strano, con i loro movimenti striscianti sulla mura davanti casa, per non parlare del loro aspetto poi! A chi è che può piacere un ragno, o uno scorpione!? Bleah! Pensai che forse era meglio aspettare Jackie. Non ho idea di come facesse, ma riusciva sempre ad avere il tanto coraggio che invece a me mancava. Come se qualcuno mi avesse letto nel pensie-ro, abbassai lo sguardo e vidi Jacqueline che mi guardava divertita. - Ah ah, ma che stai fa-cendo!?- - Sali! - - Il gioco non sarebbe proprio così, comunque…se proprio insisti…- - Certo che insisto. Guarda qui! - - Wow! - - E’ strano vero? - - Hai provato a vedere di cosa si tratta? - - Veramente… ho pensato che sarebbe stato meglio aspettarti. - - D’accordo, ho capito. Dammi la mano. Proviamo insieme. - Chiusi gli occhi, ma forse più che chiuderli li stavo spre-mendo. Jackie invece, non mostrava neanche il più piccolo segno di timore. Portammo lenta-mente le nostre mani verso l’apertura del buco. A giudicare dal tatto doveva essere abbastan-za profondo. Arrivammo infatti a toccarne il fondo per miracolo. Ci fu un’esclamazione stu-pita da parte di entrambe. Toccammo qualcosa di appiccicoso che non riuscivo a staccare dal-le mani. Cercai di non pensare a che cosa po-teva essere, avrei voluto tirare un urlo e stac-care la mia mano da quella di Jacqueline, ma lei me la teneva così stretta! - Adesso che sia-mo arrivate a questo punto, non possiamo cer-to tirarci indietro Clare!

Maria Chiara Ligis

JAQUELINEPARTE II

Page 12: PUZZLE MARZO 2014

PUZZLE MAGAZINEWWW.MAGAZINEPUZZLE.BLOGSPOT.IT

CollettivoSPAZIO BIANCO

Il progetto si avvale del cofinanzia-mento della Regione Marche – Asses-sorato alle Politiche Giovanili

CREA LA COPERTINA DI PUZZLE!

Dopo il successo del primo concorso per le copertine dei numeri di

gennaio, febbraio e marzo, la redazione centrale di Puzzle Magazine

insieme a quelle delle singole scuole ha deciso di riproporre l’iniziativa

per scegliere le copertine di aprile, maggio e giugno:

Cambiano un po’ le regole, ma il succo resta lo stesso...

Scoprilo su www.magazinepuzzle.blogspot.it !