Purificazione di Oreste a Delfi Guaraldi · secolo, con la nascita dell’archeologia come scienza...

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Scene dal mito Iconologia del dramma antico a cura di Giulia Bordignon Guaraldi | Engramma Guaraldi

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Scene dal mitoIconologia del dramma antico

a cura di Giulia Bordignon

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ISBN 978-88-6927-012-3

euro 40,00

Giulia Bordignon, è dottore di ricerca in Storia della tradizione classica. Lavora all’Università Iuav di Venezia ed è membro della redazione de “La Rivista di Engramma”. Si occupa di iconologia del mondo antico e della trasmissione di forme miti figure dall’anti-chità al moderno e al contemporaneo. Tra le sue pubblicazioni più recenti: Ara Pacis Augustae, con una Introduzione di Paul Zanker, Cafoscarina, Venezia 2010; “Musicista poeta danzatore e visiona-rio”. Forma e funzione del coro negli Spettacoli classici di Siracusa 1914-1948, Istituto Nazionale del Dramma Antico, Siracusa 2012.

L’immenso e multiforme, ancora misterioso, patri-monio mitico della Grecia antica ispira e dà ma-teria a forme d’arte diverse: il teatro e la pittura vascolare. Ma quali sono i legami che connettono le raffigurazioni a soggetto mitologico ai miti rap-presentati sulla scena? Scene dal mito ripercorre un lungo cammino di ricerca che, come la questio-ne omerica, attraversa due secoli di storia degli studi e ha diviso filologi e storici dell’arte: “logo-centrici” versus “iconocentrici”, gli uni a difende-re il primato della parola, gli altri la libertà delle immagini rispetto alla tirannia del testo. In questo volume indagini testuali e analisi iconografiche si intrecciano e si sovrappongono, ora affermando e ora mettendo in discussione le relazioni tra testo teatrale e messa in scena, tra l’immaginario mitico condiviso e le diverse espressioni artistiche che al mito danno forme, colori e parole. Il gioco erme-neutico è messo alla prova su alcuni casi di studio esemplari: figure e testi riferiti ai miti di Medea, Niobe, Laocoonte. Nato dall’interazione tra le ricerche del grande studioso di Oxford, Oliver Taplin (Pots & Plays, Los Angeles 2007), e il Seminario Pots&Plays, promos-so dal Centro studi classicA di Venezia, itinerante tra Pisa, Pavia, Siracusa, Oxford, il libro raccoglie, oltre ai contributi dello stesso Taplin, saggi di Gio-vanni Cerri, Alessandro Grilli, Ludovico Rebaudo, Giulia Bordignon, Monica Centanni, Chiara Lici-tra, Marilena Nuzzi, Alessandra Pedersoli, Simo-na Garipoli, Silvia Galasso, Fabio Lo Piparo.

Scene dal mitoIconologia del dramma antico

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Comitato scientifico:Benno Albrecht, Aldo Aymonino, Marco Biraghi, Francesco M. Cataluccio, Monica Centanni, Maria Grazia Ciani, Alberto Ferlenga

Progetto grafico: Silvia Galasso e Jacopo GalliImpaginazione ed editing: Silvia GalassoCoordinamento redazionale: Alice MetuliniCopertina: Olivia Sara Carli

Con il contributo di Centro studi classicA | Università Iuav di Venezia

© 2015 by Guaraldi s.r.l.Sede legale e redazione: via Novella 15, 47922 RiminiTel. 0541 742974/742497 - Fax 0541 742305www.guaraldi.it - www.guaraldilab.com [email protected] - [email protected]

ISBN carta 978-88-6927-012-3ISBN pdf 978-88-6927-109-0

L’Editore dichiara di avere posto in essere le dovute attività di ricerca delle titolarità dei diritti sui contenuti qui pubblicati e di avere impiegato ogni ragionevole sforzo per tale finalità, come richiesto dalla prassi editoriale e dalla normativa di settore.

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Scene dal mito Iconologia del dramma antico

a cura di Giulia Bordignon

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Sommario

Presentazione 7 a cura di Giulia Bordignon

Questioni di metodo 11

About Pots & Plays 13 Oliver Taplin

Pots&Plays. Teatro attico e iconografia vascolare: appunti per un metodo di lettura e di interpretazione 25 a cura del Seminario Pots&Plays

Pots&Plays. Interactions between Oliver Taplin and the Italian Seminar 77 Oliver Taplin

Il dialogo tragico e il ruolo della gestualità 85 Giovanni Cerri

Mito, tragedia e racconto per immagini nella ceramica greca a soggetto mitologico (V-IV sec. a.C.): appunti per una semiotica comparata 103 Alessandro Grilli

Teatro e archeologia: tra convenzione e innovazione iconografica 145

Teatro e innovazione nelle iconografie vascolari. Qualche riflessione sul Pittore di Konnakis 147 Ludovico Rebaudo

Personificazioni di concetti astratti nelle rappresentazioni teatrali e nelle raffigurazioni vascolari: alcuni esempi 163 Giulia Bordignon

Versioni testuali e versioni figurative: casi di studio 175

Il tema di ‘Niobe in lutto’ 177 Ludovico Rebaudo

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Il Laocoonte perduto di Sofocle: una ricostruzione per fragmenta testuali e iconografici 205 Monica Centanni, Chiara Licitra, Marilena Nuzzi, Alessandra Pedersoli

Neottolemo o Diomede? Sul giovane imberbe al fianco di Odisseo nell’ambasciata a Lemno 229 Simona Garipoli

Pittura vascolare, mito e teatro: l’immagine di Medea tra VII e IV secolo a.C. 275 Silvia Galasso

The Underworld Painter and the Corinthian adventures of Medeia. An interpretation of the krater in Munich 303 Ludovico Rebaudo

Il canestro di Ione, la κίστη di Erittonio: mitografia, drammaturgia e iconografia di un oggetto 313 Fabio Lo Piparo

Ricognizione critica e bibliografia generale 335 a cura di Fabio Lo Piparo

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Presentazionea cura di Giulia Bordignon

Personaggi, gesti, eventi: nello spazio aperto della scena teatrale, nel sintetico spazio pittorico di un’anfora o di un cratere, le vicende del mito greco pren-dono forma dinnanzi ai nostri occhi, non solo e non tanto come narrazione, ma come concreta rappresentazione, in cui l’elemento visuale gioca un ruolo primario. In entrambi i casi – nella versione performativo-drammaturgica e nella redazione artistico-figurativa – le forme del mito sono storicamente de-terminate, rispondono a criteri di composizione (e, insieme, di ricezione) che costituiscono il proprium di ciascun mezzo espressivo.

Le fonti dirette e le testimonianze scritte sulla pratica teatrale antica sono però, come noto, scarse e non sempre affidabili: per la ricostruzione degli elementi materiali (ambientazione scenica, costumi) e degli aspetti performativi delle rappresentazioni drammatiche (movimenti, gestualità) alcune raffigurazioni vascolari a soggetto mitico paiono allora configurarsi, mediante specifici indizi iconografici, come un riferimento prezioso.

La considerazione delle raffigurazioni vascolari come ‘indicatori teatrali’ è un campo di ricerca le cui esplorazioni – iniziate sporadicamente già nel XIX secolo, con la nascita dell’archeologia come scienza positiva – si sono note-volmente intensificate negli ultimi vent’anni, in particolare grazie ai contri-buti sistematici pubblicati sul tema da Oliver Taplin (Comic Angels, 1993, e Pots & Plays, 2007), sulla scia dell’opera di Trendall e Webster degli anni Sessanta del secolo scorso. A partire dal lavoro dello studioso inglese, l’inte-resse per questo ambito di studi interdisciplinari – che coniuga filologia, ar-cheologia, letteratura, visual studies – ha trovato sviluppo organico nel pa-norama scientifico italiano con l’attività di ricerca del Seminario Pots&Plays promosso dal Centro studi classicA dell’Università Iuav di Venezia. I contributi

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raccolti in questo volume sono frutto delle ricerche condotte – singolarmente e collettivamente – dagli studiosi afferenti al seminario: si tratta di saggi di ap-profondimento metodologico e di applicazione a specifici case studies, cui si ag-giunge, per l’introduzione e l’inquadramento del tema, la presenza autorevole dello stesso Taplin, in generoso dialogo con gli spunti ermeneutici proposti dal Seminario italiano. Da questo concerto di voci su un tema così complesso qual è quello del rapporto tra rappresentazione teatrale e raffigurazione vascolare, emergono prospettive di studio che spostano in avanti i confini, già pioneristi-ci, delle proposte avanzate da Taplin.

Nel contributo corale Teatro attico e iconografia vascolare: appunti per un me-todo di lettura e di interpretazione, il capitolo che delinea la storia degli studi (pp. 56 ss.) basta già da solo a puntualizzare alcuni snodi problematici relati-vamente al rapporto tra testo teatrale e figurazione vascolare: l’approccio lo-gocentrico oppure iconocentrico che impronta (ancora oggi) lo sguardo degli studiosi in chiave disciplinare; l’orientamento ottimista oppure pessimista rispetto alla possibilità delle immagini di fornire una mimetica ‘illustrazione’ del dramma greco.

Nell’ambito generale degli studi storico-artistici il tentativo critico di dare parola alle immagini è un’impresa difficile e pericolosa, perché nella traslit-terazione dei criteri ermeneutici tra verbale e figurale il rischio è quello di cadere in ‘improprietà di linguaggio’, se non in veri e propri fraintendimenti del senso, poiché le immagini raramente possono essere “messe tra virgolette” (così Squire 2009, 87).

È dunque necessario esaminare preventivamente, sullo sfondo delle coordi-nate storico-letterarie e delle indicazioni drammaturgiche già proprie della teorizzazione antica – sottolineate in questo volume dal saggio di Giovanni Cerri sulla gestualità tragica in rapporto con la Poetica aristotelica (pp. 85-102) – i diversi codici che, nella narrazione della fabula-plot, caratterizzano il dramma antico (come testo e come performance) e la pittura vascolare a soggetto mitologico.

In questa direzione, la prospettiva semiotica del contributo di Alessandro Grilli (pp. 103-143), che chiude la sezione metodologica, chiarisce il rap-porto tra l’inscenamento dialogico del racconto mitico e la sua percezione evenemenziale, in termini di esperienza estetico-percettiva. Questa disamina risulta tanto più cogente laddove i sistemi semantici implicati nell’analisi – la performance antica, la pittura vascolare – sono di per sé sfuggenti o lacunosi, perché frutto di dinamiche di trasmissione non lineari. In questo senso sarà

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Presentazione

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sufficiente richiamare, qui, due aspetti problematici di fondo: l’alto numero di tragedie che ci è noto esclusivamente per titoli o per frammenti, e il fatto che il corpus dei vasi ricollegabili al mondo teatrale sia costituito quasi inte-gralmente da manufatti di produzione coloniale magnogreca, di almeno un secolo più tarda rispetto alla fioritura della tragedia in Atene.

Il parallelo simonideo tra pittura e poesia funziona essenzialmente se i poetici silenzi della prima e le versicolori parole della seconda sono oggetto di una ricezione sincronica: molto più difficile appare la lettura della “familiarità” (così Oliver Taplin) con il teatro dei suoi – presunti – riflessi figurativi se si considera la questione secondo una prospettiva diacronica. È questa, tutta-via, l’unica strada che appare criticamente fondata per prendere in esame un fenomeno – quello della presenza nelle scene vascolari apule di ‘riverberi’ dal mondo teatrale – distintamente presente al di là di ogni scetticismo, sebbene secondo gradi e intenzioni che vanno studiati caso per caso.

In questa direzione, il metodo di ricerca più produttivo sembra essere da un lato quello dello studio degli specifici ambiti di creazione e dell’impianto tipologico-formale dei manufatti (vd. qui i contributi di Ludovico Rebau-do sul Pittore di Konnakis, pp. 147-162, e sul cratere di Medea conservato a Monaco, pp. 303-311); dall’altro lato, un passaggio metodologico indi-spensabile consiste nell’analisi delle varianti e delle cesure nella tradizione mitografica e iconografica dei soggetti raffigurati: in questi casi possiamo pensare che la fortuna di una determinata versione drammaturgica, inno-vando il racconto tradizionale, abbia avuto una ricaduta e una persistenza anche nell’imagerie condivisa (vd. lo studio iconografico su Medea di Silvia Galasso, pp. 275-302).

E solo soppesando il rapporto complesso dell’interdipendenza tra varianti – mitiche, drammaturgico-performative e figurative – nel passaggio tra il mon-do attico di V secolo e il mondo coloniale di IV secolo, si può effettivamente gettare luce, con la dovuta acribia, sulla delicatissima questione filologica dei testi tragici per noi perduti, come dimostrano i saggi di Monica Centanni et all. sul Laocoonte di Sofocle (pp. 205-228) e di Simona Garipoli sulle versioni tragiche del mito di Filottete (pp. 229-273).

Il racconto per parola e il racconto per immagine condividono spazi intersti-ziali ancora tutti da indagare, come sottolinea anche il contributo di Fabio Lo Piparo sullo Ione euripideo che chiude il volume (pp. 313-333): l’analisi filologica del testo si può dunque proficuamente coniugare con la disamina

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delle testimonianze iconografiche e archeologiche nella creazione di un “pa-radigma indiziario” che dal mythos ci (ri)porta alla scena.

Le reciproche risonanze avvertibili tra mito, teatro, prassi artistica si com-pongono allora in un quadro di allineamenti, deviazioni, metamorfosi e mi-grazioni: un campo di ricerca che possiamo definire come “iconologia del dramma antico”.

Una prima versione dei contributi qui presentati è stata pubblicata ne “La Rivista di Engram-ma” <www.engramma.it> che dal 2010 riserva al tema di studio Pots&Plays particolare spazio e attenzione; nell’ordine del Sommario di questo volume cfr.: Taplin 2010; Seminario Pots&Plays 2010; Taplin 2013; Cerri 2012; Grilli 2014a; Rebaudo 2013a; Bordignon 2013a; Centanni et all. 2013; Garipoli 2013; Rebaudo 2012; Galasso 2013; Rebaudo 2013b; Lo Piparo 2014.

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Questioni di metodo

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About Pots & Plays

Oliver Taplin

Interplay between theatre and the visual arts has been highly variable and sporadic over the ages. While the eighteenth century produced a plethora of paintings and engravings of actors in performance, for example, the era of Shakespeare produced hardly anything (unfortunately). A rich, and relative-ly neglected, storehouse of theatre-related painting comes from the ancient Greek world in the fourth century BC. There are well over 100 scenes of comedies in performance surviving on painted ceramic vessels, and even more scenes of mythological stories which are fascinatingly related to their theatrical tellings in tragedy. I looked at Comedy in my book Comic Angels (1993): now in Pots & Plays I have turned to Tragedy. In this presentation, my aim is to give you some idea of how I have set about the subject in that book.

Take, for example, this strikingly ‘dramatic’ painting dating from about the 360s (fig. 1). The scene is emphatically set at Delphi, as is marked by several signs, including the decorated omphalos (navel-stone), the Priestess in the up-per left and Apollo himself to the right, with his name written in above his head – quite a common feature. To the left below is a young man brandishing a spear, to the right Orestes (named) with his sword drawn, and in the centre, kneeling on the altar, Neoptolemos (named), already seriously wounded. This is, then, the killing of Neoptolemos, son of Achilles, at Delphi, a well-known myth – there was even a proverb “Neoptolemean revenge”, because he had killed the aged Priam at the altar of Apollo at Troy. So, why should there be any reason to connect this painting with tragedy? Could tragedy do anything to help its appreciation?

Before facing these questions, some chronological and geographical setting. The time is roughly the century between 420 and 320 BC; the place is the Greek West, the Hellenic communities in Sicily and around the coasts of

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1 | Death of Neoptolemos at Delphi, Apulian volute-krater, ca. 360s, attributed to the Ilioupersis Painter, Milano, Collezione H. A. (Banca Intesa Collection) 239.

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About Pots & Plays

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southern Italy, often known as Magna Graecia, and especially Apulia (mod-ern Puglia). Most of the Greek cities in this part of the world had been founded way back before 650, so these are well-established communities, many of great wealth and culture – it would be a mistake to think of them as provincial or cut-off.

Around 430 BC a flourishing industry in red-figure painted pottery grew up in the Greek West, displacing the Athenian imports which had held a virtual monopoly of high-quality ceramics for more than a century. At just the same time the spectacular and sensational new art-form of Theatre, both tragedy and comedy, was spreading out from its metropolis of Athens to the whole of the scattered Greek world. The great tragedians of fifth-century Athens, especially Euripides, remained the most popular ‘classics’; but new tragedies continued to be produced, and not only in Athens. Theatre-buildings and travelling troupes developed, new playwrights and actors were recruited, not least from Magna Graecia. For the Greeks in the West – and quite possibly for their closely associated indigenous Italian neighbours also – fine painted pot-tery and tragic theatre coexisted as powerful and fresh subjects of appreciation within their cultural, artistic and emotional worlds.

Yet, despite this striking synchronism, there has been a strong tendency in the last 30 years or so to reject any claimed connections between vase-painting and theatre, to keep the two art-forms separate and autonomous. “Neopto-lemos at Delphis – some scholars would say – is a perfectly complete picture without any help from tragedy, thank you”. The title of a recent book, The Parallel Worlds of Classical Art and Text (Small 2003), epitomises this reaction against seeing the ‘infiltration’ of literature in art – or vice-versa. It is an irony that this scepticism has coincided with the first publication of a very large number of possibly relevant pots (nearly half of the 109 pots discussed in detail in Pots & Plays are recent accessions). Many of these have been illegally excavated and exported, especially from Puglia; but, for better or worse, they are now known, and crying out for interpretation.

I counteract this trend away from interrelating theatre and painting in two main ways. Firstly, I do not treat the issue as a matter of priority or superi-ority: the pictures are not ‘illustrations’ of theatre, nor are they ‘inspired by’ tragedies: the two coexist and inform each other; it is a matter of mutual en-richment not of dependence. Secondly, I show how tragedy at this time and place is by no means a minority or elite experience: far from being a ‘text’, accessible only to privileged readers, it is a performance seen by hundreds of thousands every year, a pervasive shared experience. Why should people keep

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their experiences of myths in the theatre compartmentalised separately from their viewing of myths in paintings, especially if there are signals or links be-tween them?

My thesis is that tragedy was one of the main ways, if not the main way, that the mythological stories were known throughout Greece in this period. In some cases we can be pretty sure that certain versions were actually invented by the great tragedians of fifth-century Athens. In that case the painting is necessarily connected, more or less closely, to the tragedy. The question is: would seeing the play in performance enrich the appreciation of the painting? Best to put this to the test of an example.

The splendid vessel showing Medeia in the chariot of the Sun was painted as early as 400 BC – that is only some 30 years after the first performance of Euripides’ celebrated tragedy Medeia (Euripides died in 406). And this vase, excavated at Policoro/Herakleia in 1963, is of a similarly early date, and, while

2 | Medeia on the snake-chariot, Lucanian calyx-krater, ca. 400, close to the Policoro Painter, Cleveland, Museum of Art 1991.1.

3 | Medeia on the snake-chariot, Lucanian hydria, ca. 400, attributed to the Policoro Painter, Policoro, Museo Nazionale della Siritide 35296.

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About Pots & Plays

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considerably simpler, has in fact very much the same iconography. Now, it is nearly certain that Euripides actually invented the story that Medeia herself killed her own children as revenge against Jason’s infidelity; and that he in-vented her escape from retribution by having her fly off in her grandfather’s supernatural chariot. What is more, the final scene of Euripides’ play is made around the superior power of Medeia, above and out of reach, over Jason who protests helplessly below. This ‘spatial dynamic’ surely lends stronger power to the composition of this painting. There are also undeniably differences be-tween the painting and the play – above all the children are in the chariot with Medeia in the Euripides – but these are far outweighed by the associations. The painting does not ‘need’ the play, but it is enriched in meaning for those who have seen this particular story in performance (on Medeia’s iconography see infra Galasso, pp. 275-302, and Rebaudo, pp. 303-311).

I would say the same of this vase of ca. 360, showing Iphigeneia as a priest-ess, and her brother Orestes, as yet not identified as such, sitting on the altar awaiting his execution as a sacrifice to Taurian Artemis. This whole story was the invention of Euripides; and the vase will mean much more for someone who know his play Iphigeneia in Tauris. You may have been struck by the similarity between this composition and that by the same artist on the krater with the scene of Neoptolemos at Delphi (fig. 1). But in this case it is a matter of hearing rather than seeing the Euripidean tragic version. So far as we know, it was Euripides in his Andromache who first brought Orestes into the story of the death of Neoptolemos. The messenger in that play tells how Orestes organised a cowardly ambush of the unsuspecting Neoptolemos, while he was consulting the oracle at Delphi. The painting makes sense with-out the play, but it is that particular version that gives fuller significance to the participation of Orestes and the way that he is lurking behind the omphalos-stone. This is on a vessel known as a volute-krater (a wine-mixing bowl with volute handles at the top). This became a favourite shape for the

4 | Meeting of Orestes and Iphigeneia, ca. 360s, Apulian volute-krater, attributed to the Ilioupersis Painter, Napoli, Museo Archeologico Nazionale 82113 (H 3223).

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Apulian mythological vases, and as the fourth century went on they became larger and larger (this one is 57 cm high), and more ornately painted, with increasing use of white, yellow and purple paint.

This type of monumental potting and painting reached its peak in the third quarter of the fourth century; and its master was the prolific and inventive art-ist who is known as the Darius Painter. Here is a typical example of his work, standing over a meter high. As in the messenger speech of Euripides’ famous play, Hippolytos, the young man tries to control his horses which are being maddened by the supernatural bull that is appearing before them. There are two of the signals that are common in the tragedy-related pictures. One is the bent old man to the left: he is the recurrent figure of the male carer (in Greek paidagogos); and earlier in Euripides’ play he had tried in vain to warn Hippoly-tos against his arrogant attitude towards the goddess Aphrodite. Secondly there is the ‘frieze’ of divinities above: it is a notable standard feature that they are

5 | Hippolytos trying to control his horses, Apulian volute-krater, ca. 340s, attributed to the Darius Painter, London, British Museum F279.

6 | Death of Alkestis, Apulian loutrophoros, ca. 340s, near the Laodamia Painter, Basel, Antikenmuseum und Sammlung Ludwig S21.

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About Pots & Plays

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calmly detached from the terrible human tragedy that is being enacted below.

This vase, like those related to Andromache and Iphigeneia in Tauris, came originally from Apulia. So does this painting of the farewell of Alkestis, anoth-er celebrated Euripidean hit (note the paidagogos figure again). Likewise this picture of Prometheus bound to a kind of stage-rock, probably alluding to Pro-metheus Unbound, a now lost play of Aeschylus. There was also a local school of painters in Poseidonia/Paestum, which also shows awareness of tragedy. The area of vase-painting with least artistic quality, and least direct relation to theatre, was probably that from Campania, the large Italian hinterland of the Bay of Naples, dominated by Capua. But there are some items of interest from there, for example this relatively small vessel showing Orestes attacking his mother Klytaimestra. In addition to the snake-bearing Fury (or Erinys) in the upper right, a signal of the mother’s curses that will pursue Orestes, as in the Aeschylus, notice the way that Klytaimestra is holding out her exposed breast. In Aeschylus’ play Choephoroi, she tries (in vain) to stop Orestes from killing her by appealing to “this breast” where he had fed as a baby. Again, the picture means more to someone who knows the tragedy.

In many ways, the most interesting area of production of Greek pottery paint-ing in relation to the tragedy is Sicily. The Sicilian mythological paintings are often closer to the practicalities of the theatre, revealing and exploiting an awareness of the link with a particular tragedy. This is especially the case with

7 | Prometheus released by Herakles, Apulian calyx-krater, ca. 340s, attributed to the Branca Painter, Berlin, Antikensammlung, Staatliche Museen zu Berlin 1969.9.

8 | The killing of Klytaimestra by Orestes, Paestan neck-amphora, ca. 330s, attributed to the Painter of Würzburg, Malibu, J. Paul Getty Museum 80.AE.155.1.

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