Puntare sulla vita

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ANNO XXIX NUMERO 9 NOVEMBRE 2014 Puntare sulla vita Mostra su S. Felice vescovo di A. Solpietro Nelle Tue mani la mia vita di G. Napolitano L’ecumenismo: un “sistema linguistico” di P. Di Palo Il vescovo di Nola, mons. Beniamino Depalma, ha scritto ai sindaci del territorio diocesano per invitarli a pensare ed agire insieme contro l’enorme diffusione di esercizi commerciali nei quali è possibile praticare il gioco d’azzardo. Una piaga sociale che è necessario curare, con urgenza.

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Mensile della Chiesa di Nola XXIX - 9 - novembre 2014

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Puntare sulla vita

Mostra su S. Felice vescovodi A. Solpietro

Nelle Tue mani la mia vitadi G. Napolitano

L’ecumenismo: un “sistema linguistico”di P. Di Palo

Il vescovo di Nola, mons. Beniamino Depalma, ha scritto ai sindaci del territorio diocesano per invitarli a pensare ed agire insieme contro l’enorme diffusione di esercizi commerciali

nei quali è possibile praticare il gioco d’azzardo. Una piaga sociale che è necessario curare, con urgenza.

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mensile della Chiesa di Nola

in Dialogo mensile della Chiesa di NolaRedazione: via San Felice n.29 - 80035 Nola (Na)Autorizzazione del tribunale di Napoli n. 3393 del 7 marzo 1985Direttore responsabile: Marco IasevoliCondirettore: Luigi MucerinoIn copertina: Ludopata di Gonzalo Centelles, 2008In redazione:Alfonso Lanzieri [333 20 42 148 [email protected]], Mariangela Parisi [333 38 57 085 [email protected]], Mariano Messinese, Antonio Averaimo, Vincenzo FormisanoStampa: Giannini Presservice via San Felice, 27 - 80035 Nola (Na)Chiuso in redazione il 26 novembre 2014

Gioco d’azzardo: lettera del vescovo Depalma ai sindaci dei comuni del territorio diocesano

IMPARIAMo AD uMANIzzARe LA VItA

«Certo della vostra disponibilità all’ascolto, vi scrivo per

condividere la preoccupazione per l’enorme diffusione sul nostro territorio di esercizi commerciali nei quali è possibile praticare il gioco d’azzardo. Mi si stringe il cuore vedere in tantissimi - giovani, adulti e anziani - che nel tragico momento di crisi che stiamo vivendo trascorrono il proprio tempo, spesso intere giornate, a “tentare la fortuna”, a sognare quella vincita che possa mettere fine alle difficoltà quotidiane. Il rumore della slot e quello della moneta sui “gratta e vinci”, l’attesa della giusta combinazione sono oggi divenuti l’unica compagnia al sentirsi soli davanti alla mancanza di lavoro, di aiuto, di ascolto, di dignità».Inizia così la lettera che il vescovo di Nola ha inviato ai sindaci dei comuni del territorio diocesano per invitarli a pensare ed agire insieme contro il diffondersi della piaga sociale del gioco d’azzardo. Una preoccupazione che mons. Depalma ha voluto condividere coi i primi cittadini consapevole della necessità di una sinergia per affrontare la questione.«Come vescovo - ha infatti scritto - non posso non sollecitare le comunità parrocchiali perché si pongano come centri alternativi a quelli dedicati alle scommesse, centri di ascolto e accoglienza per quanti abbiano bisogno di aiuto: non solo i giocatori ma anche e soprattutto le loro famiglie. Ma le parrocchie da sole non possono farcela, così come non posso farcela le numerose associazioni che lavorano per informare i cittadini e per chiedere interventi legislativi efficaci in materia di gioco d’azzardo. C’è bisogno anche di voi, c’è bisogno dei sindaci, c’è bisogno delle giunte e dei Consigli comunali, c’è bisogno della buona politica. C’è bisogno delle istituzioni

più vicine ai cittadini perché il fenomeno sia arginato». Un intervento che il vescovo auspica avvenga non solo sul piano legislativo ma soprattutto educativo. «Ho seguito in questi mesi - continua la missiva - le iniziative legislative e le scelte amministrative compiute sia a livello regionale che comunale: dobbiamo fare di più. È importante che lavoriamo in rete perché l’azione di contrasto del fenomeno porti non solo alla fissazione di norme e sanzioni ma ad un vero e proprio lavoro educativo che agisca in profondità nella cultura delle persone e delle famiglie. Con il termine “gioco” si intende un’importante funzione sociale che aiuta a relazionarsi con gli altri. La parola “gioco” non può essere dunque associata a pratiche che culminano in una catastrofe morale, sociale e sanitaria che talvolta porta alla perdita di beni materiali e immateriali e nel ricorso all’usura Lavorare

insieme, lavorare in rete, vuol dire coinvolgere tutti i soggetti educativi della comunità civile: la politica, i partiti, la scuola e gli insegnanti, gli stessi esercenti, le parrocchie, le associazioni cattoliche e non. Tutti uniti per salvare le persone a rischio da una deriva che toglie dignità».L’impegno è quello di restituire al gioco il suo valore sociale, di restituire al tempo libero la centralità nella cura delle relazioni perché come recita lo slogan che il movimento NoSlot ha proposto per i circa 100 SlotMob svoltisi in tutta Italia “Un bar senza slot ha più spazio per le persone”: uno slogan che il vescovo ha fatto proprio per invitare «a lavorare per dare spazio alle persone, per dare spazio alla vita, per dare spazio alla libertà che non è assenza di “pensieri” ma quotidiano esercizio di scelta sul “chi essere”: una scelta faticosa che non si trova abbassando la leva di una slot machine»

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03novembre 2014

La Terza Pagina

Con scelta autenticamente profe-tica il vescovo di Nola, mons. Be-

niamino Depalma, scrivendo un mes-saggio di sensibilizzazione ai sindaci dei comuni diocesani, ha sostenuto la proposta del Movimento NoSlot.

La preoccupazione del Pastore è fondata e sdogana la questione dal-la dimensione esclusivamente legi-slativa, inserendola nell’alveo del-la riflessione etico-teologica. Non di rado, infatti, si tende a leggere elusivamente l’entità del gioco e le modalità ludiche senza contestualiz-zare la problematica nel panorama più ampio delle relazioni umane e familiari: l’attenzione del Legislato-re appare tesa a disciplinare norma-tivamente la soglia oltre la quale si cadrebbe nel reato di esporre perso-ne o beni a situazioni di indigenza. Tuttavia, la legalizzazione delle gio-cate e il passaggio dalla clandestini-tà al Monopolio di Stato non prende seriamente in considerazione le mo-tivazioni che animano la volontà di coloro che ricorrono a tali pratiche: la depenalizzazione e a tratti la le-galizzazione ha relegato sempre più la connotazione di “azzardo” alla modalità del gioco e non allo stile del giocatore. È necessario, dunque, comprendere dal punto di vista mo-rale che la dimensione dell’azzardo non può riguardare esclusivamente la modalità dell’atto, ma l’intenzio-nalità dell’agente: ad essere in crisi per debiti e patologie da gioco, in-fatti, non sono le agenzie di scom-messe, ma intere famiglie sommerse da debiti.

Alla questione dell’azzardo lega-lizzato e della facile accessibilità ad esso sono connesse poi quelle della solitudine del giocatore e della rapi-da riscossione della vincita che sol-lecita non poco al gioco. Dal punto di vista morale tale aspetto ha cau-sato un calo della socialità e un’i-stigazione a “reinvestire” all’atto della vincita in una nuova giocata: il giocatore tende così ad assumere gli stessi tratti dello stereotipo del tossicodipendente che si chiude na-scondendosi nel suo isolamento. E lo Stato si rende complice di un males-sere esistenziale che richiederebbe altre soluzioni (lavoro, sussidi, de-

tassazione): la pubblicità continua di giochi che provocano dipenden-za, sui mezzi di informazione, sem-bra essere prova di quanto poco sia chiara la situazione di pericolosità o forse di quanto stia meno a cuore la salute dei cittadini rispetto agli interessi economici.

Da tali premesse appare che la questione è molto complessa, con-siderando oltretutto che il giocatore non è un mostro, ma un incapace a trovare la soluzione giusta ai suoi problemi. Paradossalmente, infatti, nella maggior parte dei casi ricor-re al gioco proprio per sollevare se stesso e la sua famiglia da situazioni indigenti. È la pretesa di voler mi-gliorare le sue condizioni economi-che e sociali. Si potrebbe dire che con motivazioni sane (provvedere alla famiglia) sceglie strumenti ina-deguati e dannosi. Da più parti si evidenzia che negli ultimi anni, con l’avvento della crisi, sono cambiate le motivazioni che inducono a ri-correre al gioco. Nel passato il so-gno della vincita era legato ad una ricerca di senso e ad un’uscita da una routine lavorativa che appari-va troppo pesante. In altri termini il giocatore nel passato legava alla vincita un miglioramento non tanto economico quanto piuttosto esisten-ziale. In questa logica alla vincita era legato il desiderio di cambiare lavoro e città e non di rado di lascia-re gli “affetti pesanti”. Oggi invece la carenza di lavoro e le difficoltà occupazionali inducono a ricorrere al gioco per risolvere problemi più grandi o semplicemente per le ne-cessità ordinarie come la spesa e le bollette. È calata la stessa pretesa di vincita: non si spera in grosse cifre, ma in quantità tali da assicurare la sopravvivenza. Come si vede la que-stione oltrepassa la dimensione legi-slativa e anche patologica e chiama in causa la dimensione etica dell’e-sistenza. In tale ambito c’è da sot-tolineare anche la dimensione della vita da credenti che, sotto il profilo teologico, ci chiede una riflessione più ampia circa la reale disponibi-lità a cogliere l’intervento di Dio nella sfera personale e la capacità compresa e decisa nella fede di un

reale affidamento a Dio. Si insinua il grave peccato dell’idolatria (poco si analizza la questione della Dea For-tuna) e dell’incapacità di consegna-re il proprio futuro nelle mani della divina Provvidenza. Quali dunque potrebbero essere le prospettive di risoluzione? Quale contributo può apportare la riflessione etico-teolo-gica? Credo anzitutto necessario un aiuto a comprendere che il grande ruolo del discernimento di coscien-za. Come credenti eredi della tra-dizione spirituale e morale siamo chiamati a riproporre l’urgenza di imparare a discernere in coscienza e in un confronto sempre più vivo con la Parola di Dio. Soluzioni “azzarda-te” sono il segno di un’incapacità a comprendere, a scegliere e a coglie-re che non qualsiasi modo e mezzo è quello giusto al fine desiderato. Bi-sogna ripartire educando al discer-nimento. Dal punto di vista etico è necessario ristabilire le coordinate dell’attività ludica ristabilendo l’e-sigenza del gioco come momento di socializzazione e non come privata attività. Non meno importante nella rieducazione al discernimento è il ruolo di testimonianza delle parroc-chie. È assurdo che non si prenda sul serio nelle nostre parrocchie tale ri-flessione, smettendo di organizzare lotterie e raccolte fondi che usano le stesse modalità legate al gioco probabilistico.

Forse ci è chiesto come Chiesa scelte di maggior distacco da questi strumenti: seppur “cristianizzati”, offrendo come vincita pellegrinag-gi o immagini sacre, si mantiene la stessa logica e si fomentano gli stessi bisogni. In maniera esemplare come comunità ecclesiale dovrem-mo comprendere che il fine positivo non giustifica ogni mezzo. Appare necessario dare testimonianza di gratuità e di distacco da qualsiasi forma di vincita nella gestione del-le nostre opere al fine di aiutare a comprendere come Chiesa e dun-que realtà profetica alternativa che è possibile vivere affidandosi ad un Dio che provvidentemente agisce nella storia. Puntiamo tutto sul di-scernimento e favoriremo scelte meno azzardate.

Gioco d’azzardo: urge puntare sulla rieducazione al discernimento di coscienza

Il fine non giustifica il mezzodi Salvatore Purcaro

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mensile della Chiesa di Nola

Nel settembre 2012 il Ministro della Sanità inseriva la

ludopatia, ovvero la dipendenza da gioco d’azzardo, tra i livelli essenziali di assistenza (Lea). I Lea sono servizi e prestazioni garantiti dal Servizio Sanitario Nazionale su tutto il territorio nazionale. La cura dei malati da gioco d’azzardo è affidata ai Sert (Servizi per le Tossicodipendenze), gli stessi che accudiscono i tossicodipendenti e gli alcoolisti: la dipendenza e i danni del gioco d’azzardo, infatti, non sono meno gravi di quelli causati dall’uso di stupefacenti. Il dott. Francesco Cassese, medico specializzato in malattie cardiovascolari, psicoterapeuta, opera presso il Sert di Pomigliano d’Arco. Esperto di dipendenze patologiche ci aiuta a comprendere meglio l’universo della ludopatia.

Quando una persona è un giocatore patologico? Quali sono i sintomi?Gli indicatori sono tanti. Quando una persona spende dal 20-30% in su delle proprie entrate economiche nel gioco, evidentemente il problema o già c’è o comunque è alle porte. Ma è l’insieme dei comportamenti a denunciare una dipendenza, e il problema non è solo quanto si gioca ma il rapporto che si ha col gioco.

Chi cade nella ludopatia tende a dedicare molto tempo al gioco, di conseguenza comincia ad isolarsi, diventa inaffidabile, trascura i propri impegni lavorativi, i rapporti con familiari e amici, inizia a non dire la verità a chi gli sta accanto, la personalità inizia a mutare.

Esiste un profilo particolare di persona che più rischia di cadere nel tunnel della dipendenza dal

gioco? Direi che non è possibile individuare una tipologia precisa. Vorrei qui sfatare un mito sottolineando che la ludopatia: sebbene si possa sottolineare una qualche correlazione tra attuale crisi economica e l’aumento dei giocatori, tuttavia è la dipendenza patologica dal gioco è sostanzialmente indipendente dal disagio economico della persona. Non esiste, insomma, un nesso causale necessario, stringente, tra i due fenomeni. La dipendenza dal gioco, come ogni forma di dipendenza, spesso nasconde altri disagi, di natura affettivo-relazionale, che possono essere presenti in qualsiasi individuo, indipendentemente dal ceto sociale.

Quali proporzioni ha il fenomeno nel nostro territorio? Come Sert di Pomigliano, nel 2010, nell’ambito di un’indagine su scala nazionale, intervistammo 1200 persone dipendenti dell’azienda Alenia Aermacchi di Pomigliano. In base ai questionari, circa il 20% del campione intervistato era a rischio dipendenza, e di questo abbiamo stimato che un 4% fossero effettivamente giocatori patologici.

Se si sospetta che un proprio familiare sia caduto nella dipendenza da gioco, che fare? Certamente evitare il fai-da-te e rivolgersi alle strutture competenti. Qui però tocchiamo un punto critico. A mio avviso, infatti, l’aiuto che può dare una struttura come il Sert è qualcosa ma non è ancora sufficiente. Personalmente ritengo che anche gruppi come quelli dei GA, giocatori anonimi, che agiscono sulla falsa riga degli “alcolisti anonimi”, possano essere molto

Ludopatia: intervista al Dott. Francesco Cassese del Sert di Pomigliano d’Arco

DIPeNDeNzA DAL GIoCo: uNA SFIDA eDuCAtIVAdi Alfonso Lanzieri

utili. Quando una persona si presenta da noi è spesso già in una situazione disperata: la sua dipendenza è in uno stadio molto avanzato, per non parlare poi della situazione debitoria, a causa della quale la persona in taluni casi è vittima d’usura etc. Oltre quindi al supporto medico e psicologico, occorrono molte altre competenze, di natura legali ed economiche, per aiutare il soggetto e i suoi familiari a gestire la situazione, ad elaborare ove possibile un piano di rientro dai debiti e via discorrendo. Serve una concentrazione di più professionalità.

Come si esce dalla ludopatia? Guarire dipende dalla

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PunTare suLLa viTa

motivazione del singolo. Anche la collaborazione dei familiari è importante. Noi proponiamo al giocatore di cedere alla famiglia i propri soldi, la carta di credito, il bancomat, così da poter controllare l’attività del soggetto. Poi proviamo a proporre all’individuo un percorso di recupero che sia adatto al suo caso specifico.

Le istituzioni quale ruolo svolgono? Nelle istituzioni noto una certa ipocrisia, mi sembra ci sia una posizione abbastanza ambigua, evidentemente in ragione delle cifre che ogni anno il gioco d’azzardo legalizzato immette nelle casse dello Stato.

Una ipocrisia aggravata dal legame da più parti segnalato come stretto tra gioco d’azzardo e criminalità organizzata…Legame che nella mia esperienza a contatto diretto con le dipendenze dal gioco d’azzardo posso confermare. Basti qui sottolineare un elemento cui ho accennato in precedenza: chi cade nella ludopatia, spesso può finire vittima degli usurai e il prestito a usura, lo sappiamo, è uno dei tanti metodi di riciclaggio della criminalità organizzata.

È possibile prevenire il fenomeno con un’azione educativa?Non solo è possibile, ma è quello verso cui dovremmo tendere costantemente. Non possiamo inseguire sempre le emergenze. Purtroppo però su questo fronte c’è ancora tanto da fare. Serve una sinergia profonda tra professionalità, istituzioni e obiettivi: le competenze e le energie devono essere investite per la formazione di una vasta rete educativa e informativa a carattere territoriale che ancora, a parer mio, stenta a decollare.

I Giocatori Anonimi

Sono stati nominati nell’inter-vista. Per alcuni sono l’ultima speranza, l’ultimo appiglio pri-ma del baratro. I GA, i gruppi dei giocatori anonimi. Se sei un giocatore compulsivo puoi rivolgerti a loro. Durante le riunioni si condividono le pro-prie difficoltà. Ciascuno conse-gna la propria storia - spesso un vero e proprio dramma - al gruppo, fatto di persone che vivono o hanno vissuto anche loro il personale calvario di colui che si racconta. Attra-verso un programma scandito in “dodici passi” il giocatore viene condotto al recupero di sé, invitato a ridiventare padrone della sua esistenza. «Il primo passo per iniziare il percorso di recupero è l’am-missione di avere un proble-ma: l’incapacità a contrastare il gioco compulsivo». A parlare è Carlo. Anche lui molti hanno fa entrò nel tunnel del gioco patologico. «Ricordo il calore della mia prima riunione e, ri-cordo il pianto, di nascosto, di mia moglie. Dopo un mese da quella prima riunione, con un altro amico, aprii il Gruppo di GA a Napoli. Sono passati dieci anni e, tanti gruppi sono nati in Campania». Adesso Carlo, insieme alla mo-glie, segue in Campania sia gruppi GA (Giocatori Anoni-mi) che l’Associazione Gam-Anon composta da famigliari e amici di giocatori patologi-ci. Tutto si svolge nell’anoni-mato e nella gratuità: non ci sono quote da versare, cifre da corrispondere:«per pagare l’affitto dei locali che utiliz-ziamo per gli incontri ci auto-tassiamo» mi confida Carlo. La espressioni chiave sono condi-visione e assenza di giudizio. In Campania, l’Associazione Gam-Anon è presente dal Di-cembre 2001, con Sedi a Napo-li, Portici, Nola, Scafati. Circa 800 persone dal 2001 hanno frequentato i Gruppi, in com-pagnia di altrettanti familiari, distribuiti nelle cinque le se-zioni dei Gruppi Campani.

Fonte: Relaz.annuale al Parlamento 2013. Uso di sostanze stupefacenti e tossicodipendenze in Italia - Novembre 2013, a cura di Serpelloni G, Dipartimento Politiche Antidroga, Presidenza del Consiglio dei Ministri.

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mensile della Chiesa di Nola

S. Anastasia, per una mattinata, è tornata ad essere

una comunità che si ritrova in piazza col suo primo cittadino a parlare e ad affrontare un problema serio, quale l’azzardo e la ludopatia Si è ritrovata non in termini di contrapposizione e scontro, ma di dialogo con quanti volevano intervenire e offrire il proprio contributo.

Lo scorso 9 novembre, infatti, in piazza Monumento, “La” piazza per eccellenza degli anastasiani, si è svolto lo slotmob n. 69 che ha coinvolto grandi e piccoli in un’atmosfera gioiosa, ma anche di riflessione. Una piazza diventata per un giorno piazza “per” e non piazza “contro”.

Una piazza e una strada, Via Roma, all’ombra del campanile di S. Maria la Nova, animate da una rete di associazioni cittadine che negli ultimi mesi si sono impegnate per far incontrare tanti giovani, anziani, famiglie con bambini, uniti e mobilitati per

squarciare un velo sull’apatia e assuefazione, se non rassegnazione, davanti al dilagare dei locali “eurobet” “intralot” che hanno sostituito i tradizionali negozi o “poteche” di una volta, contribuendo alla crescita di una economia malata al posto di quella sana: lavoro e gioco buono sostituiti e distrutti da quelli non buoni.

Una piazza fin dalle prime ore di un mattino soleggiato e ancora s o n n e c c h i a n t e allestita dai giovani e meno giovani delle associazioni,

con calciobalilla, tavoli da ping pong, scacchi, gazebo con

#SlotMob69: anche San’Anastasia prende parte al Movimento NoSlot

ReStItuIRe I bAR ALLe PeRSoNedi Raffaella Piccolo

palloncini intrecciati e colorati donati ai bambini.

Una piazza per ricordare che l’azzardo non è gioco, perché jocus richiama alla parola giocondità, felicità, e chi spende i suoi soldi e si rovina con l’azzardo non è mai felice.

Una piazza per proporre, in modo serio e costruttivo alle alte istituzioni cittadine, misure possibili per arginare il fenomeno.

Una piazza per premiare i gestori dei bar senza slots, coraggiosi lavoratori.

Una piazza per ascoltare chi come Franco, ha scelto di eliminare le slots dal suo bar rinunciando ad un guadagno sicuro, ma ad un certo punto diventato per lui non “giusto”.

Una piazza infine per assicurare il nostro impegno di cittadini attivi a continuare il cammino intrapreso fin qui tutti insieme .

da www.noslot.orgL’Associazione Movimento NoSLot – AMNS è il modo in cui una rete di comunità, territori, associazioni e singoli cittadini hanno deciso di darsi forma giuridica per continuare con più vigore ed efficacia la battaglia contro il Gioco d’azzardo patologico. Tante storie diverse che si sono incontrate e riconosciute in un impegno prima di tutto culturale. Lo scopo infatti non è contrapporsi ad un industria o ad un segmento economico. Si tratta invece di uno sforzo per tornare a chiamare le cose col proprio nome, dire no alla diseconomia e ai disvalori che le slot machines impongono, senza alcun tipo di rego-lamento o legge, a tanti territori.

“Un bar senza slot ha più spazio per le per-sone”. Questo lo slogan dei quasi 100 SlotMob svoltisi su tutto il ter-ritorio nazionale con l’obiettivo di attira-re l’attenzione sui bar che hanno scelto di non guadagnare sul gioco d’azzardo. Un momento di riflessione e allo stes-so tempo divertimento: alla premiazioni degli esercizi commerciali virtuosi si accompagna infatti un convegno e la proposta di buone prati-che di gioco, dal calcio-

balilla al pingpong. Per organizzare uno

SlotMob: www.nexteconomia.org

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07novembre 2014

Il santo, l’arte e la cittàUna mostra ha ricostruito l’iconografia di S. Felice Vescovo e il suo rapporto con la città

Generare alla vitaAl via il percorso di formazione per coniugi promosso dal settore adulti dell’Azione Cattolica

Il November Fest: dal monitor alla vitaIncontro diocesano dei giovanissimi di Azione cattolica

In Diocesi

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mensile della Chiesa di Nola

Con una mostra, dall’emblema-tico titolo Felicis Imago, si è

voluto raccontare lo stretto lega-me che unisce da sempre i citta-dini nolani al suo santo patrono, legame che ha resistito attraver-so i millenni, non affievolendosi mai, anzi rigenerandosi e rivita-lizzandosi nel tempo attingendo linfa nuova dalla fede.

Negli spazi del Museo Diocesa-no (sala San Giovanni, cappella Immacolata), della cattedrale e della cripta si è allestito così un itinerario di arte e di fede che attraverso la presentazione di di-pinti, sculture, suppellettili, in-cisioni e materiale documentario ha inteso ricostruire storicamen-te ed artisticamente l’iconografia del santo e il suo rapporto con la città, invocato soprattutto quale protettore dalle calamità natura-li.

Le opere prescelte sono imma-gini del santo custodite in città: chiese, tempietti votivi, colle-zioni private e dello stesso Mu-seo Diocesano e che per la prima volta sono state messe insieme a testimoniare l’antichità del cul-to: rappresentazioni figurate dal Medioevo all’età moderna.

Ha aperto il percorso della mostra la più antica iconografia del protovescovo nolano fino ad oggi conosciuta, parte di un ciclo frammentario di affreschi, datati tra IX e X secolo e presenti nella chiesa di Santa Maria Assunta in Pernosano, frazione del Comune di Pago del Vallo di Lauro (AV). Nell’absidiola sinistra appare Fe-lice (Fig.1) insieme ai vescovi Massimo e Paolino, tutti effigiati secondo uno schema rappresenta-tivo proprio dei vescovi in epoca altomedievale: in posizione iera-tica, con la barba, in atto bene-dicente, con il libro, la casula e il pallio con le croci rosse ed iden-tificati dalla scritta con il nome.

Tappa importante, per chi ha

visitato la mostra, il dipinto del-la cosiddetta “Maestà di Nola” (Fig.2) - recentemente restaurato dall’Archeoclub d’Italia sezione di Nola - che dovette verosimilmen-te costituire la pala dell’altare maggiore della cattedrale primo quattrocentesca ed è ascrivibile entro il primo terzo del Quattro-cento. Esso raffigura la Madonna con il Bambino tra i santi Gio-vanni Battista e Felice vescovo, quest’ultimo ritratto imberbe ed abbigliato con la mitra, la tuni-ca chiara, il piviale rosso fode-rato di blu, il pastorale, l’anello ed il libro. È da credersi che il dipinto della “Maestà” dovette essere sostituito, entro il primo ventennio del XVI secolo, dal polittico commissionato ad Andrea

Una mostra ha ricostruito l’iconografia di S. Felice Vescovo e il suo rapporto con la città

IL SANto, L’ARte e LA CIttàdi Antonia Solpietro

Sabatini da Salerno dal vescovo Giovan Francesco Bruno (1505-1546) dove Felice (Fig.3), identi-ficato da un cartiglio sottostante l’immagine in cui è inscritto il suo nome, è ritratto con un volto gio-vanile e con abiti riccamente de-corati, in cui spicca - nonostante oggi resta poco dell’originaria po-licromia - il bianco della tunica, il verde della dalmatica bordata d’oro e il rosso della soprastante casula foderata di verde e con i soliti attributi dell’anello, infilato all’indice della mano destra su un guanto bianco, del pastorale, del-la mitra e del libro.

Significative anche le testimo-nianze scultoree quale ad esempio la statua di San Felice (Fig.4) per la cripta della cattedrale, com-

fig.1

fig. 2 fig. 3

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in Diocesi

missionata dal vescovo Lancellotti , nel 1645, allo scultore Giacomo Bonavita detto il “Capoccia”. La scultura, attualmente custodita nella cappella dell’ala destra del transetto del duomo, raffigura, anche qui, un giovane vescovo be-nedicente con la tunica chiara, la stola rossa ed il piviale, anch’es-so rosso rivestito di blu, la mitra, l’anello ed il pastorale. Il recente restauro ha evidenziato, sul retro della mitra, un incasso chiuso da uno sportellino al cui interno è conservato un pezzetto di legno con i nomi dell’artefice, del ve-scovo, degli scultori-restauratori e l’invocazione rivolta al santo ed apposta dal Bonavita “Ricordatevi dell’anima mia”, che testimonia della devozione dello scultore al protovescovo nolano. Agli stessi anni si deve ascrivere la realiz-zazione, per volere dello stesso vescovo Lancellotti, del pasto-rale argenteo (Fig.5) contenente nel ricciolo l’immagine del santo esemplata sul modello della sta-

tua del Bonavita. Sono invece da ascrivere, ve-

rosimilmente, al primo ventennio del Settecento le statue dei santi patroni Felice e Pao-lino nella chiesa del Gesù di Nola.

Le due sculture in stucco sono colloca-te nel cappellone a destra dedicato a San Francesco Saverio.

Ai lati del dipinto del santo gesuita, che grandeggia sull’altare della detta cappella, si trovano in due nicchie le statue dei vescovi nolani, entrambi ab-bigliati con i classici attributi del piviale, della mitra, del pastorale e del libro.

La mostra ha inoltre messo in evidenza come dal Seicento si dovette diffondere una speciale devozione al Santo quale protet-tore della città dai terremoti e specialmente dalle eruzioni del Vesuvio, come testimonia l’edico-

la monumentale a forma di tem-pietto circolare collocata presso la villa comunale.

La scultura in marmo raffiguran-te San Felice (Fig.6) posta al disotto della menzionata edicola, dovette forse essere parte della cinta mura-ria bastionata di epoca vicereale. Infatti uno dei sette bastioni a puntone avanzati che circondavano la città e ricadente in un’area prossima all’attuale

villa comunale, fu appellato “San Felice” insieme alla porta urbica: non è improbabile che la statua del santo fosse stata eretta pres-so la porta o fosse stata collocata in un’ edicola che si innalzava sul fornice della stessa. È da crede-re che a seguito dell’eruzione del 1794 la scultura fu rimossa e collo-cata su un piedistallo cubico eret-to su una serie di gradini nell’area del cosiddetto “Largo del passe-tiello”, come pare documentare anche un disegno di Vianelli, da-tato “Nola 30 Luglio 1939”, con-servato nella collezione privata del notaio Emilio Ruocco. Nel 1845 nell’area prossima all’attua-le villa comunale fu realizzato il primo tratto della ferrovia dello Stato proveniente da Napoli; nel 1853 si provvide al prolungamento della linea in direzione di Palma Campania fino a Nocera.

Fu in occasione di questi ultimi lavori che la scultura fu spostata poco più in avanti, nel sito dove è al presente.

Nel 1872 è attestato il miraco-lo della “torsione” della statua a seguito dell’eruzione del Vesuvio dello stesso anno. Cinque anni più tardi, nel 1877, venne realizza-ta l’edicola a forma di tempietto circolare, come ricorda l’epigrafe apposta sulla parte frontale del basamento, mentre nella parte posteriore dello stesso vi è un’al-tra iscrizione, datata 1796, che fa memoria della speciale prote-zione ottenuta dai nolani dal loro “patrono praesentissimo” in occa-sione della sopra menzionata eru-zione del Vesuvio del 1794.

fig. 4

fig. 6 fig. 5

La mostra è stata organizzata dal Mu-seo diocesano e dal Capitolo della Cat-tedrale. L’allesti-mento è stato cura-to dall’Ufficio Beni culturali e dal vica-rio generale mons. Pasquale D’Onofrio.

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mensile della Chiesa di Nola

Al via il percorso di formazione per coniugi promosso dal settore adulti dell’Azione Cattolica

GeNeRARe ALLA VItAdi Carmela Coppola e Vitaliano Paone

dire al giovane la bellezza della vita e a mostrare quale esistenza meriti di essere vissuta testimo-niando la speranza di un Amore di Dio che non abbandona nessuno e che si traduce concretamente nel ritrovare le risorse migliori di ciascuno per la promozione della dignità di ogni uomo, della giu-stizia, del bene comune e della solidarietà sincera attraverso uno stile di vita semplice alimentato da una profonda vita interiore. Vivere la fede, per l’adulto, si-gnifica infatti far tesoro di ogni tipo di esperienza trasformando-la in occasione di crescita perso-nale da poter donare agli altri.È saper accettare il passaggio del tempo e vivere con pienezza ogni età della nostra vita, accettando i cambiamenti e accompagnando chi è messo accanto: generando così alla vita.Un atteggiamento importante soprattutto in fami-glia chiamata ad essere “grem-bo della vita e della vocazione”. La vita della coppia, infatti, a un certo punto sente che l’amo-re, la fecondità della vita a due,

In cammino con e per la Fami-glia. Per questo lo scorso 8 no-

vembre, si è svolto il primo di tre incontri di formazione - promossi dal settore adulti dell’Ac - che vedranno impegnati le coppie che accompagneranno, o già lo fanno, i genitori dei bambini che fre-quentano l’A.C.R. e i responsabili ed educatori adulti. Un percorso che mira a rendere maggiormente consapevoli dell’”essere adulti” in una contemporaneità che por-ta l’adulto a sentirsi disorientato: stenta a distinguere ciò che vale da ciò che non vale; fatica a orien-tarsi in mezzo a situazioni che sono cambiate e che spiazzano, situazioni per le quali si ha l’im-pressione di non avere la bussola adatta. Nella generazione adul-ta sembra essere venuto meno un progetto di vita, che mostri il senso secondo cui essa vive e dica anche implicitamente se vi sono possibili ragioni di vita convincen-ti. L’adulto sembra non essere in grado di mostrare e di narrare il valore e la bellezza della vita, in tutti i suoi aspetti, non riesce a

l’intensità della dedizione che l’attraversa diventa desiderio di generazione in senso proprio: qui la coppia diventa famiglia. Così che, quand’anche non avesse o non potesse avere figli, sente che questo eccesso iscritto nell’amo-re di coppia deve in qualche modo espandersi. L’amore è generante per il fatto stesso di essere amo-re, il figlio non è che il frutto più alto di una fecondità che esplo-de nella vita stessa della coppia. Per questo è fondamentale: saper donare e lasciar ricevere, poichè il dono è una cosa facile per la coppia, ma può diventare anche un’insidia; scegliere e lasciar scegliere, poiché l’allargamento alla famiglia impone scelte nuo-ve, riguardo alle cose, ai tempi e alle priorità. Finisce il momento dove bastava l’intesa complice tra i due. Ora viene il tempo delle scelte. La libertà che i due sposi avevano costruito insieme deve far spazio e dare tempo, perché anche il nuovo venuto costruisca la sua libertà, perché ciò che è giovane possa divenire adulto.

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11novembre 2014

in Diocesi

Incontro diocesano dei giovanissimi di Azione cattolica

IL NoVeMbeR FeSt: DAL MoNItoR ALLA VItAdi Rita Salomone

del non essere d’accordo, finen-do per gustare il confronto e il compromesso. Alla fine sono con-venuta con tutti gli altri parte-cipanti in un’unica conclusione: alle volte i social si affermano come realtà fittizie e pericolose se usati incautamente e allora è bene non divulgare troppe infor-mazioni personali.

Durante la una giornata, attra-verso le varie attività, abbiamo capito cosa significa fare gioco di squadra, quale è l’uso corretto dei social network, e i possibili rischi legati a loro legati.

In un mondo così tecnologico e all’avanguardia è bene che l’A-

zione Cattolica stia al passo con il mondo odierno trattando tema-tiche che servono ad affascinare sempre più i giovani.

Ora anche il Papa è su Twitter, e la parola di Dio si può facilmente diffondere anche tramite il web. Il Novemberfest è stata un’occa-sione per conoscere persone nuo-ve di altre parrocchie, instaurare rapporti di amicizia ma anche per rincontrare gli amici conosciuti al campo unitario e alle scuole di preghiera.

L’oggetto di discussione pro-posto a noi ragazzi sono stati i Social Network: suddivisi in grup-pi, abbiamo potuto cogliere le sottigliezze e le sfumature di un nuovo modo di comunicare. Alcu-ni hanno confessato di preferire una frase d’amore su facebook a una pagina di storia sulla batta-glia di Waterloo, altri di abusa-re della comunicazione virtuale e di estraniarsi da quella reale. Sono incappata nel dolce sapore del condividere e quello amaro

Le emozioni provate sono state tante: voglia di assaporare fino all’ultimo ogni momento; la sti-ma per chi crea queste occasioni di confronto; la certezza che in ogni cosa che facciamo c’è sem-pre la presenza di Dio; e l’en-tusiasmo di una grande famiglia che è l’Azione Cattolica.

Come tutte le cose belle la giornata è finita troppo presto lasciando nel cuore la sensazione di aver condiviso un giorno pieno di gioia, con chi ha le tue stesse idee e che ha posto al centro del-la sua vita Gesù.

Il 9 dicembre scorso si è svolto a Brusciano, presso la parrocchia San Sebastiano martire, il “Novemberfest”, l’incontro di tutti i giovanissi-mi (14-18 anni) di Azione Cattolica della diocesi di Nola. La giornata, nella quale i momenti di formazione si sono alternati con quelli ludi-ci, ha avuto come tema il rapporto tra adolescenti e social network. Un rapporto che oggi tende ad essere quasi totalizzante, ad esaurire senza residui il vissuto relazionale di molti ragazzi. Un ambito, quello dei social, ricco di entusiasmanti potenzialità possibilità e, insieme, di ambiguità. In tale prospettiva, allora, emerge con forza la necessità di un confronto con gli adolescenti su questi temi, affinché la padronan-za tecnica degli strumenti virali sia associata ad una adeguata matu-rità affettiva e relazionale. Circa 350 i giovanissimi presenti, per una festa piena di volti e ricca di sorrisi .

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mensile della Chiesa di Nola

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13novembre 2014

un uomo per gli altriPomigliano: dopo 50 anni don Carmine Coppola saluta la sua comunità. Arriva don Pietro Ciccarelli

un bene per la città“La Pietà” di Domenico Paduano donata alla Parrocchia San Francesco di Paola

In Parrocchia

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novembre 201414

mensile della Chiesa di Nola

L’inizio di questo mese di novem-bre ha segnato un importante

passaggio per la storia della parroc-chia di San Pietro apostolo a Pacia-no, periferia di Pomigliano d’Arco. Dopo quasi cinquant’anni, infatti, don Carmine Coppola ha lasciato l’incarico di parroco della comunità ed è arrivato don Pietro Ciccarelli, precedentemente parroco a Palma Campania. Nelle due celebrazioni eucaristiche del 26 ottobre e del 1 novembre la comunità pacianese ha potuto vivere il saluto di don Car-mine e l’ingresso di don Pietro, mo-menti che si sono succeduti e insie-me intrecciati, quasi a richiamarsi vicendevolmente, tra la nostalgica gratitudine ricca d’affetto per qua-si mezzo secolo di vita assieme e il caldo entusiasmo, insieme curioso e trepidante, che ha caratterizzato il benvenuto della parrocchia al giova-ne don Pietro.

Impossibile dire in poche parole cinquant’anni di dedizione sacer-dotale, di laborioso servizio pasto-rale, di paziente e paterna cura per il popolo di Dio. Sotto gli avve-nimenti visibili, Dio ha scavato nei cuori strade invisibili ma operanti, la grazia nascosta e silenziosa ha sorretto i rapporti, sanato le ferite, ricomposto fratture, fatto largo alla felicità. Sono proprio queste dimen-sioni, il visibile e l’Invisibile, che nel sacerdote arrivano a toccarsi, che don Carmine ha fatto trasparire nel messaggio di fine mandato indiriz-zato ai suoi ormai ex parrocchiani. “È confortante evidenziare – scrive don Carmine – come la nostra vita non è stata scevra di difficoltà, di sofferenza, di delusioni, di peccati eppure si è avvertita chiaramente la mano carezzevole del Signore che è passata non solo sul nostro volto, ma anche nel nostro intimo”. Ma per riconoscere la mano invisibile di Dio che opera nella nostra vita serve ali-mentare l’amicizia e la conoscenza del Signore, aspetti che don Carmine ha particolarmente curato durante il suo servizio a Paciano: “nella no-stra parrocchia – scrive ancora don Carmine – l’attività preponderante

Pomigliano: dopo 50 anni don C.Coppola saluta la sua comunità. Arriva don P. Ciccarelli

uN uoMo PeR GLI ALtRIdi Alfonso Lanzieri

che mi ha tenuto impegnato è sta-ta la predicazione. Le catechesi agli adulti son state per me il cavallo di battaglia, sono state attuate con mezzi opportuni e talvolta anche inopportuni; il Signore mi ha gratifi-cato facendomi vedere tanti gruppi di catechesi”. Inizia per don Carmi-ne Coppola adesso un’altra stagione della vita, un periodo nel quale gli impegni si diradano, la memoria si distende, le parole e i gesti si fanno più rari, ridotti all’essenziale dalla fatica e dall’esperienza: “oggi il Si-gnore mi sta chiamando all’ultima catechesi, quella che sto cercando di compiere senza profferire parola. Una catechesi fatta solo di gesti, di testimonianza”. In verità, questa ca-techesi dei gesti, la gente di Paciano sembra averla già ascoltata, se nella lettera di saluto a don Carmine la comunità ha potuto dire: “Avevi dei difetti, caro don? Certo, e li cono-sci meglio di noi. La testardaggine, prima di tutto. Hai commesso erro-ri? Certo, chi non ne commette in 50 anni! (…) Hai dei pregi, caro don Carmine? Assolutamente sì. (…) Il primato della formazione e della ca-techesi. L’ancoraggio all’esperienza concreta della vita quotidiana. La sobrietà assoluta. Il rigore morale. L’imparzialità. Il rispetto delle rego-le. Il senso di uguaglianza tra tutti i fedeli. La trasparenza della gestione economica. La totale dedizione alla parrocchia. Mai un segno esterno di vanità. Mai una spesa inutile. Mai una macchina, un vestito, un paio di scarpe, un vezzo o un vizio che tradisse la tua idea di semplicità. Sono qualità che in qualcuno hanno attirato addirittura ironia, perché ti facevano apparire una rarità in un mondo di vacuità e vanità”. Ma di-cevamo di un intreccio di momenti, di un commosso saluto e di un ca-loroso benvenuto a don Pietro. Bia-gio Palmese, in veste di presidente dell’Azione Cattolica della parroc-chia, nella celebrazione eucaristica di inizio mandato così saluta il nuo-vo parroco a nome della comunità tutta: “vogliamo dirti una sola cosa, caro don: noi ci siamo. Mettiamo

nelle tue mani i nostri doni. Mettia-mo nelle tue mani le nostre mani, le nostre intelligenze, i nostri cuori, le nostre storie di vita. E non aver ti-more, giorno dopo giorno, di affida-re anche tu a noi le tue idee, i tuoi progetti, i tuoi propositi, le tue gio-ie, le tue preoccupazioni. Noi ci sia-mo. In questi 50 anni, pur tra tante fatiche e fragilità, ci siamo sforzati di camminare verso una comunione sincera, verso una corresponsabilità piena e sentita, cercando di preser-vare sempre un sentimento di gioia e stima reciproca. Ci sentiamo pron-ti a intraprendere questo percorso nuovo che si apre inatteso, come una sorpresa di Dio. (…) Con la tua guida e la tua paternità, siamo cer-ti che i nostri talenti potranno ul-teriormente moltiplicarsi ed essere giocati senza riserve nell’evangeliz-zazione e nella missione quotidiana presso il popolo che Dio ha affidato a te e a tutti noi”.

A don Pietro non possiamo che augurare un servizio pastorale ric-co dei doni che il Signore vorrà dare a lui e a tutta la comunità parroc-chiale che il vescovo di Nola ha vo-luto affidargli, affinché ciascuno, un giorno, possa imitare don Carmine Coppola il quale facendo proprie le parole di San Paolo così ha infine sa-lutato i fedeli di San Pietro apostolo: “ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede”.

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15novembre 2014

in Parrocchia

“La Pietà” di Domenico Paduano donata alla Parrocchia San Francesco di Paola

uN beNe PeR LA CIttàdi Luisa Iaccarino

Domenico Paduano (1916 – 2008), artista di origine scafatese, è

stato uno scultore tenace e attento, considerato tra i migliori della sua generazione.

La storia dell’artista, insignito della medaglia d’onore della Repub-blica, desta molto interesse: parte-cipò alla seconda guerra mondiale combattendo sul fronte greco; fu poi deportato nel campo di concentra-mento ad Amburgo dove riuscì a so-pravvivere grazie alle sue doti scul-toree, donando alcune sue opere ai carcerieri. A Roma nel 1946 divenne allievo dei famosi scultori italiani Emilio Greco e Pericle Fazzini; dopo qualche anno fece ritorno a Pompei.

Paduano si definiva “operaio della scultura”; nelle sue opere traspare il senso umile e greve della materia che esprime il conflitto perenne e la tensione emotiva del contrasto tra la vita e la morte; il suo linguaggio pla-stico risulta realistico ed altamente espressivo. Egli è considerato dalla critica uno scultore espressionista che ha in sé il gusto della classici-tà: la Pompei “antica” è riportata in vita attraverso le sue sculture, i suoi cotti e soprattutto nella stupenda opera “La fuga di Livia”.

La famiglia Paduano ha voluto do-nare alla Parrocchia San Francesco di Paola l’opera “La pietà”, grande testimonianza di storia, di cultu-ra e di fede, realizzata nel 1951. La consegna ufficiale è avvenuta il 9 novembre al termine della Messa serale con la benedizione impartita dal parroco don Peppino de Luca.

Erano presenti alla cerimonia la moglie dell’artista e il figlio, il cava-liere Bernardo Paduano, il quale, vi-sibilmente commosso ha dichiarato: «Come anche negli altri casi, anche oggi abbiamo donato quest’opera di mio padre per tramandare la cultu-ra.

Crediamo che queste fantastiche sculture, apprezzate da molti famo-sissimi artisti, non debbano restare nelle nostre abitazioni. Questo è un patrimonio che deve vivere a con-tatto con i cittadini, con i fedeli, con tutti».

Fermarsi per meditaredi Paolino Trinchese

Fermarsi a meditare sul periodo sinodale che come Chiesa locale stiamo vivendo. Questo lo spirito con il quale quest’anno le associazioni di Azione Cattolica delle comunità parrocchiali di S. Gavino Martire di Cam-posano, S. Giacomo Apostolo di Cicciano, S. Felice in Pincis e Sacra Famiglia di Cimitile si apprestano a vivere l’annuale momento di riflessione interparrocchiale. Due le tappe previste, durante le quali si approfondiranno le te-matiche suggerite dall’ Instrumentum Laboris* sinodale: la prima in programma mercoledi 10 dicembre 2014, alle ore 19:00 pres-so la parrocchiale di Cimitile, verterà sul tema In Ascolto, curato da don Alessandro Valentino, assistente unitario di AC diocesana, e Il Territorio approfondito dal Prof. Franco Manganelli, docente presso l’istituto di Scienze Religiose “ G. Duns Scoto ” Nola; la seconda sarà invece vissuta il 15 Aprile 2015 alle ore 19:30, pres-so la parrocchia di S. Giacomo Apostolo in Cicciano, sui temi: La comunione e La liturgia che verranno presentati rispettivamente da Marco Iasevoli, Presidente diocesano di Azione Cattolica, e don Vito Cucca, assistente per il settore giovani. Il percorso interparrocchiale vuole essere un servizio che le quat-tro associazioni insieme ai propri parroci vogliono dare alle comu-nità, spingendole ad interrogarsi sulle sfide dell’oggi e a prendere sempre più coscienza di vivere un’esperienza di Chiesa portatrice della salvezza che il Signore Dio ha offerto a tutti gli uomini: una Chiesa nel mondo ma non del mondo.

*Testo disponibile su www.diocesinola.it

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mensile della Chiesa di Nola

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17novembre 2014

Nelle tue mani la mia vitaScegliere di fidarsi del Signore: riflessione di un giovane seminarista

ecumenismo: un “sistema linguistico”Strumento per comunicare, l’ecumenismo stile relazionale che impegna totalmente la vita

In Rubrica

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mensile della Chiesa di Nola

Scegliere di fidarsi del Signore: riflessione di un giovane seminarista

NeLLe tue MANI LA MIA VItAdi Giovanni Napolitano

Il ritornello di una famosa can-zone di Bob Dylan “ Bowin’ in the wind” ci fa ripetere cantando che mentre la vita gratuitamente si dona, la risposta alle domande della nostra esistenza soffia nel vento. Ma quando all’improvviso smette di soffiare quel vento che tutto disperde nei vortici del nul-la, giunge il soffio e la voce dello Spirito che chiama e dice “vie-ni”. A partire da Cristo, l’uomo sa di essere chiamato alla radi-ce del proprio essere a “divenire creatura – creazione - nuova”, e non come uno che dal nulla giun-ge all’esistenza.

Occorre attraversare una sana inquietudine e accettare la per-sonale vocazione, ascoltando la soggettività di un imperativo in-teriore, che ha degli aspetti tra-scendentali. Ciò significa dare piena realizzazione a quell’in-trospezione di un sé profondo che non si vede superficialmente nella fenomenologia dei compor-tamenti, ma che continua ad agi-re come un archetipo profondo della natura. È nota l’esperien-za di Viktor Frankl, psichiatra viennese, uscito vivo dal lager di Turkheim. Al lager consolidò alcune convinzioni che aveva già intuite prima di entrare in quel luogo spaventoso. Egli notò che i più resistenti, fra gli infelici che popolavano i campi di concentra-mento, erano quegli uomini che avevano ancora uno scopo da re-alizzare, una persona amata da raggiungere, per i quali cioè la vita conservava un significato, una vocazione, che fissa lo scopo della vita, ed è ragione che sta al centro del profondo bene-essere della persona. La vita dell’uomo diventa così una vocazione a veri-ficare quest’immagine: “rivesti-tevi di giorno in giorno” faticosa-mente attraverso un cammino di

sequela, fatto di tentazioni e di prove che possono farci cadere, ma non rimarremo a terra, per-ché l’amore di Dio, come la mano di un padre, è pronto a risollevar-ci, attraverso il pentimento, l’in-quietudine, e il sacramento della riconciliazione.

Tutto ciò risulta meraviglioso e tremendum insieme, ma questa è la vocazione di ogni essere uma-no. Gesù ha scelto dei pescatori che volevano bene alle loro reti, ha cercato dei pub-blicani molto presi dai loro affari e dai loro interessi, ha preso persone che avevano la vita già compromessa nel-la realtà di questo mondo, e a tutti ha teso la mano. Come al ladro Zac-cheo divenuto un figlio di Abramo, come alla prostitu-ta che ha scoperto il “molto amore”, come all’adultera uscita viva dal cerchio dei lapi-datori, come ad un pescatore impetuoso e fragile divenuto una pietra, come ad una donna che ha cinque mariti che ha conosciu-to “il dono di Dio”, come all’in-credulo Tommaso ora tra i beati che “credono senza aver visto”, come all’agente delle tasse dive-nuto un evangelista. L’elenco po-trebbe continuare, ma mai sono state raccontate vocazioni con

così poche giustificazioni, senza motivazioni psicologiche, ma solo con un fisico seguire un Maestro che “passa beneficando e sanan-do tutti”, e “chiama” con un solo verbo: “seguimi”.

Noi siamo fragili, dice Paolo e ardisco pensare che nessun test vocazionale avrebbe messo Pa-olo sulla strada del discepolato: era un oppositore nato, era un persecutore predestinato, era un

individuo capace di contendere con Dio.

Ma il Signore ci fa dono di esempi luminosi di uomi-ni e donne che si fanno offerta, che si consacrano, pur nei limiti e nella fatica del quoti-diano, a conferma che a tutti è data la possibilità di conversione e di amore. All’inizio del Seminario Mag-giore, affido alle Sue mani la mia

vita, e quella dei miei compagni di viaggio – Fabio, Salvatore, Al-fonso - convinto che il Signore fa sicuri i nostri passi.

Questo essere tenuti per mano è una stupenda garanzia offertaci da un Dio che ci ama e se fissiamo anche gli occhi su di Lui, trovere-mo già fatto e detto più di quanto chiediamo e desideriamo. Come San Paolo anche io ripeto: “so di chi mi fido”.

“Alle tue mani affido la mia vita” è il tema scelto dall’equipe edu-cativa del Pontificio Seminario Campano In-terregionale con sede a Posillipo per l’apertu-ra dell’anno formativo 2014/2015. Giovanni Napolitano è uno dei sei seminaristi della Diocesi di Nola che frequentano la comunità interregio-nale, attualmente com-posta da 90 seminaristi provenienti da diverse Diocesi dell’Italia Meri-dionale.

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19novembre 2014

in rubrica

L’ecumenismo è un processo di crescita. Possiamo pensarlo

come il processo di crescita di un bambino: quando passa dall’abbraccio materno al tappetino della propria stanzetta può avere un disorientamento, sarà insicuro, si sentirà solo. Ma poi assumerà un atteggiamento nuovo nel momento in cui conoscerà: come il bimbo “gattona” nella stanza e vi scorazza dentro, farà quell’esperienza che lo porterà a imparare a camminare; si sentirà di nuovo insicuro nel momento in cui farà l’esperienza dello sforzo, proverà frustrazione perché non riesce a procedere, ma l’abilità del “gattonare” non sarà mai paragonabile all’esperienza naturale del camminare da uomo.

L’ecumenismo, in questo senso, è una lingua. È un universo a sé, porta propria regole, una propria struttura, abilita alla comunicazione. È esso stesso uno strumento per comunicare con altri ambiti e dimensioni che non sono tue, ma che comunque sono utilizzabili da chiunque voglia condividere le

potenzialità. L’ecumenismo è un “sistema linguistico” perché è stile relazionale e intellettuale, impegna la vita e il pensiero.

Ogni lingua, se la possiedi, ha bisogno di essere conosciuta nella sua grammatica, cioè quelle regole imprescindibili senza le quali non è possibile articolare il dire; se ne deve avere l’esperienza, si deve avere l’opportunità di “parlare” dell’ecumenismo, averne quella familiarità per rendere possibile una conversazione seria, vera.

Perché il dialogo sia possibile, occorre la conoscenza dei fondamenti dottrinali, i punti non negoziabili, per non incorrere in quei gravi errori che, da un lato, renderebbero facili le relazioni, ma, dall’altro, difficili il pensiero e l’incontro che cagionerebbero confusioni anche a livello teologico. L’esperienza del dialogo, entrare nella sua logica, nel suo vissuto, significa esercitare correttamente le regole della grammatica ecumenica, proprio come chi, studiando una lingua, conosce come coniugare un verbo

e contestualizzarlo in una frase effettivamente comprensibile agli altri.

Sperimentare il linguaggio ecumenico segna la via giusta da intraprendere, aiuta nel discernimento del giusto equilibrio tra le conoscenze delle sue regole ed esperienza dei suoi presupposti e quando prediligere l’una e l’altra.

Certamente è un percorso complesso, ma imparare, comprendere un linguaggio, così come un metodo, richiede il tempo necessario, lo studio costante e dinamico. Ecumenisti non ci si improvvisa, né si diventa per una rapida incursione nella materia. Al contrario, richiede fatica per radicarsi e dedicarsi con responsabilità.

Un formatore, per i propri allievi, chiede che essi studino con amore per la verità, con onestà intellettuale, con l’entusiasmo e curiosità che accompagnano la scoperta del nuovo. È questo che l’ecumenismo ispira: richiede di imparare nuovi schemi di pensiero, porsi domande continuamente nuove, ma soprattutto scoprire le meraviglie che Dio compie. È lo spirito contemplativo che intravede i mirabilia Dei, con cui il credente scruta e gusta la Sacra Scrittura.

Una bella immagine di ecumenismo ci è offerta da Dalmazio Mongillo. «Due bambini si incontrano nel parco e vogliono giocare insieme. Non sanno in quale gioco riusciranno. Non sanno cosa organizzare. Ma si mettono insieme. Ognuno porta il suo cestino di giocattoli e provano a vedere cosa ne esce…: questa è l’immagine dell’ecumenismo; occhi ricolmi di fiducia, pronti a ricevere l’altro, animo pacificato dalla certezza di una familiarità che accomuna a livello esistenziale, e, volendo, la poesia di sapersi guidati dalla mano del proprio Genitore: Dio Amore.

Strumento per comunicare, l’ecumenismo stile relazionale che impegna totalmente la vita

eCuMeNISMo: uN “SISteMA LINGuIStICo”di Paolo Di Palo

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