Pubblico E Futuro

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1 ... Eppur si muove Siamo ormai abituati a considerare da tempo i contesti entro i quali sviluppiamo la nostra azione sindacale sempre e comunque come i più complicati, i più rischiosi per la tenuta di quella idea di lavoro pubblico, di welfare e di democrazia che caparbiamente la Cgil intende continuare a rappresentare e a difendere. Lo abbiamo fatto, negli anni recenti, di fronte a Governi la cui “orgogliosa” identità politica coincideva perfettamente con una linea di totale contrapposizione alla nostra; abbiamo ripetuto tale considerazione anche quando a quella precisa identità si sono sovrapposte le caratteristiche “tecniche”, solo in apparenza neutre. Ma se ci interroghiamo sul livello di difficoltà che ognuno di noi avverte oggi, non solo rispetto ai drammi che una crisi lunga ormai cinque anni ci consegna, ma anche e soprattutto rispetto alla labilità, all’indeterminatezza di una chiara prospettiva politica per i prossimi anni, io penso che la risposta possa essere univocamente questa: si, oggi più che mai, avvertiamo tutto il peso di un’ulteriore ed inaspettata difficoltà. Quella di un Governo senza una identità precisa, con contraddizioni al suo interno che giudicare enormi è poco, con una idea di prospettiva che non sembra non andare oltre l’oggi. Un Governo debole, affermano in molti, sul quale il livello di aspettativa e di speranza è stato percepito da subito basso, quasi inesistente. Io penso che, innanzitutto, la questione della scarsa identità e della presunta debolezza di Penso che lavorando con convinzione alla ripresa di un percorso unitario il confronto sul tema del lavoro pubblico possa e debba riprendere con uno spirito più possibilista di quelli che siamo riusciti a cogliere anche nelle nostre controparti. questo esecutivo siano considerazioni da fare con prudenza e non perché le due singole considerazioni non abbiano motivazioni d’essere, ma perché insieme a ciò c’è un’altra considerazione a mio giudizio importante che deve accompagnarle: questo Governo, lunga o breve che sia la sua durata, qualcosa deciderà di fare, dovrà fare, tanto urgenti e pressanti sono le questioni che il paese si trova ad affrontare nel bel mezzo di questa crisi epocale. Una intera classe politica, è ormai chiaro, sta giocandosi la sua ultima chance, la sua ultima opportunità di sopravvivenza e questa può essere, almeno per me, la variabile impazzita che rischia, in un verso o nell’altro, di trasformare silenziosamente la debolezza di questo Governo nella sua forza principale. Dunque, dobbiamo essere cauti nel considerare carature, prospettive e capacità di incidere dell’esecutivo Letta, provando a fare i conti, nella formazione delle nostre strategie sindacali, anche con il fattore “ultima spiaggia”: per quel che ci riguarda è proprio quello che intendiamo fare come categoria. Rivendicare con forza, oggi più di ieri, il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro per le lavoratrici e per i lavoratori pubblici, scaduto da quattro anni, muove, da un lato dalla riconferma che il tema del salario dei dipendenti pubblici è oggi uno dei punti di maggiore difficoltà per le persone che intendiamo rappresentare (oltre che un sacrosanto diritto che non intendiamo lasciare sul campo di battaglia) e, dall’altro, dalla consapevolezza che questo è un Governo che, comunque, su questa questione dovrà decidere, inevitabilmente e a breve.

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Periodico Funzione Pubblica CGIL Piemonte - N.2 - Maggio 2013

Transcript of Pubblico E Futuro

Page 1: Pubblico E Futuro

1

... Eppur si muove

Siamo ormai abituati a considerare da tempo i

contesti entro i quali sviluppiamo la nostra

azione sindacale sempre e comunque come i

più complicati, i più rischiosi per la tenuta di

quella idea di lavoro pubblico, di welfare e di

democrazia che caparbiamente la Cgil intende

continuare a rappresentare e a difendere.

Lo abbiamo fatto, negli anni recenti, di

fronte a Governi la cui “orgogliosa”

identità politica coincideva

perfettamente con una linea di totale

contrapposizione alla nostra; abbiamo

ripetuto tale considerazione anche

quando a quella precisa identità si

sono sovrapposte le caratteristiche

“tecniche”, solo in apparenza neutre.

Ma se ci interroghiamo sul livello di difficoltà

che ognuno di noi avverte oggi, non solo

rispetto ai drammi che una crisi lunga ormai

cinque anni ci consegna, ma anche e

soprattutto rispetto alla labilità,

all’indeterminatezza di una chiara prospettiva

politica per i prossimi anni, io penso che la

risposta possa essere univocamente questa: si,

oggi più che mai, avvertiamo tutto il peso di

un’ulteriore ed inaspettata difficoltà.

Quella di un Governo senza una identità precisa,

con contraddizioni al suo interno che giudicare

enormi è poco, con una idea di prospettiva che

non sembra non andare oltre l’oggi. Un Governo

debole, affermano in molti, sul quale il livello di

aspettativa e di speranza è stato percepito da

subito basso, quasi inesistente.

Io penso che, innanzitutto, la questione della

scarsa identità e della presunta debolezza di

Penso che lavorando con convinzione

alla ripresa di un percorso unitario il confronto

sul tema del lavoro pubblico possa e debba

riprendere con uno spirito più possibilista

di quelli che siamo riusciti a cogliere

anche nelle nostre controparti.

questo esecutivo siano considerazioni da fare

con prudenza e non perché le due singole

considerazioni non abbiano motivazioni

d’essere, ma perché insieme a ciò c’è un’altra

considerazione a mio giudizio importante che

deve accompagnarle: questo Governo, lunga o

breve che sia la sua durata, qualcosa deciderà di

fare, dovrà fare, tanto urgenti e pressanti sono le

questioni che il paese si trova ad affrontare nel

bel mezzo di questa crisi epocale.

Una intera classe politica, è ormai chiaro, sta

giocandosi la sua ultima chance, la sua ultima

opportunità di sopravvivenza e questa può

essere, almeno per me, la variabile impazzita

che rischia, in un verso o nell’altro, di

trasformare silenziosamente la debolezza di

questo Governo nella sua forza principale.

Dunque, dobbiamo essere cauti nel

considerare carature, prospettive e capacità di

incidere dell’esecutivo Letta, provando a fare i

conti, nella formazione delle nostre strategie

sindacali, anche con il fattore “ultima

spiaggia”: per quel che ci riguarda è proprio

quello che intendiamo fare come categoria.

Rivendicare con forza, oggi più di ieri, il rinnovo

del contratto collettivo nazionale di lavoro per

le lavoratrici e per i lavoratori pubblici, scaduto

da quattro anni, muove, da un lato dalla

riconferma che il tema del salario dei

dipendenti pubblici è oggi uno dei punti di

maggiore difficoltà per le persone che

intendiamo rappresentare (oltre che un

sacrosanto diritto che non intendiamo lasciare

sul campo di battaglia) e, dall’altro, dalla

consapevolezza che questo è un Governo che,

comunque, su questa questione dovrà

decidere, inevitabilmente e a breve.

Page 2: Pubblico E Futuro

Le reazioni che abbiamo registrato alla fine

della scorsa settimana, che consapevolmente

abbiamo voluto caratterizzare come Fp Cgil

sotto le parole “STOP PRECARIETÀ E SUBITO I

CONTRATTI” sono la dimostrazione, almeno a

mio giudizio, che quella presunta debolezza del

Governo, può trasformarsi da un momento

all’altro, pur anche in maniera sporadica e

schizofrenica, in una azione decisa e precisa

che deve essere misurata di volta in volta, di

volta in volta contrastata, rilanciata o condivisa.

Affermo ciò principalmente per due ragioni.

Per la prima volta abbiamo assistito a reazioni

di esponenti del Governo e/o del Parlamento

che non solo non hanno sbrigativamente

licenziato il tema del diritto al rinnovo del CCNL

come la solita “provocazione” di una Cgil che

non abbandona il suo “spirito corporativo e

conservatore”, ma che, al contrario, hanno

dato “diritto di cittadinanza” a queste ragioni,

pur, ovviamente, come ha fatto il Ministro

D’Alia, ponendo contestualmente il problema

delle risorse.

Non è un cambiamento epocale, certo, ma un

segnale che a mio giudizio va colto e

sperimentato fino in fondo, se vogliamo

seriamente provare a produrre un risultato a

riguardo.

L’altra ragione è legata al problema dei precari

delle pubbliche amministrazioni.

Il decreto licenziato oggi dal Consiglio dei

Ministri, che proroga di altri sei mesi la

scadenza dei contratti di lavoro precario è

l’altro segnale. Dovuto, potrebbero dire in

molti, inevitabile, aggiungeranno altri, ma, dico

io, non scontato, considerato l’approccio

“storico” che i Governi passati, per ultimo

quello del Professor Monti, hanno sempre

avuto quando si è trattato di dare risposte, pur

emergenziali, a questo problema.

Certo, adesso va aperta subito una

interlocuzione concreta con il Governo

affinché questo sia l’ultimo provvedimento di

proroga che preceda la definitiva stabilizzazione

degli oltre 160.000 lavoratori e lavoratrici

precarie; ma almeno una prima risposta

sembra essere stata data.

E allora, in conclusione, io penso che,

lavorando con convinzione alla ripresa di un

percorso unitario, per il quale la

manifestazione delle confederazioni indetta

per il 22 giugno pv. è un appuntamento

centrale, il confronto sull’intero tema del lavoro

pubblico possa e debba riprendere con uno

spirito più possibilista di quelli che, in altre

recenti occasioni, siamo riusciti a cogliere

anche nelle nostre controparti.

Magari, perché no, ricominciando quel

confronto proprio dall’intesa sul lavoro

pubblico sottoscritta unitariamente nel maggio

del 2012, intesa nella quale temi come la

riorganizzazione ed il miglioramento del

sistema dei servizi, la democrazia, la

contrattazione e, appunto, il lavoro, stabile e

precario, erano declinati in maniera totalmente

compatibile, almeno nei principi, con quell’idea

di lavoro, di welfare e di diritti propri della

nostra azione politica.

ROSSANA DETTORI

Page 3: Pubblico E Futuro

N. 2 – maggio 2013 In attesa di autorizzazione richiesta al Tribunale di Torino in data 29/1/2013

Il terzo numero di PubblicoeFuturo è nato dai pensieri e dalle penne di:

SARA BRUGA RSU Provincia di Torino – Segr. Fp Novara

STEFANO CARIANI Precario Regione Piemonte

ROSSANA DETTORI Segr. Gen. Naz.le FP CGIL

ELENA FERRO Segr. Conf. CGIL Piemonte

ANNADONATA GRECO Coord. FP CGIL Ministero Giustizia - DAP

DEBORAH LUGLI Redattore

LAURA MAZZETTI per conto Coord. Donne Sicurezza FP Reg.le

SERGIO NEGRI Giornalista

ITALO PEDACI Apparato FP Reg.le

MARA POLITI Segreteria Reg.le

ROBERTO RIGGIO RSU Arpa Piemonte

Le fotografie sono prodotte dalle compagne e dai compagni della categoria

Tutte le altre immagini sono prelevate dal web nel rispetto delle normative vigenti

Grafica e impaginazione Deborah Lugli Prodotto in proprio Funzione Pubblica CGIL PIEMONTE 10152 Torino, Via Pedrotti, 5 Chiuso il 23 maggio 2013

SOMMARIO

• ...EPPUR SI MUOVE Rossana Dettori

• IL FISCO IN PIEMONTE Elena Ferro 4

• PER I PRECARI, SEMPRE MENO “PUBBLICO E FUTURO”? Stefano Cariani 6

• IL FUTURO DELLE PROVINCE. UNO SGUARDO DALLA PROVINCIA DI NOVARA Sara Bruga 8

• UN COMITATO PROVINCIALE PER LA DIFESA DEL WELFARE Luciano Bersano 10

• MISSION POSSIBILE? Roberto Riggio 11

• LA STORIA DI UN CAMMINO IN SALITA Anna Greco 13

• DONNE IN POLIZIA: SPECIE PROTETTA Coord. Donne Sicurezza 16

• DANNI COLLATERALI Italo Pedaci 19

• L’AMORE CHE SI TRASFORMA NEL SUO OPPOSTO Mara Politi 21

• PIÙ DI CENTO ANNI Sergio Negri 22

• BO TSATÌ SE PREN SE GNEUN LO DEFEND Deborah Lugli 25

• Taccuino 28

• Pubblico in rete 29

Page 4: Pubblico E Futuro

4

Il Fisco in Piemonte

Sarebbe il tempo di riflettere su cosa ha

prodotto la riforma del titolo quinto della

Costituzione e sull'idea che il trasferimento di

funzioni dal centro al livello regionale potesse,

a parità di gettito, generare efficienze , perchè

i fatti sono altri: si sono moltiplicati i modelli e

i costi e forse anche le differenze, e non solo

tra nord e sud. È sicuramente così per la

politica fiscale. Il “decentramento” ha

prodotto un significativo incremento della

pressione fiscale sui contribuenti in Italia: dal

27% registrato nel 1970 (anno di nascita delle

Regioni) si è ora arrivati al 46%, per stima

dell'Unione Europea.

A ciò si aggiunga l’adozione del “Fiscal

compact” che impegna l’Italia e gli altri Paesi

Europei con un debito pubblico superiore al

60% del PIL a rientrare entro questa soglia

nell'arco di 20 anni. Ciò significa una cosa

sola: tagli alla spesa pubblica, ai servizi e ai

salari. Se mettiamo insieme le due cose,

risulta evidente come i destinatari di queste

manovre siano sempre gli stessi. I cittadini

lavoratori e i pensionati.

È indubbio, infatti, che il peso di questi

provvedimenti ispirati al rigore cada tutto su

lavoratori e pensionati. Vale anche per la

Regione Piemonte, che ha aumentato dal

2014 l'addizionale all'IRPEF regionale per

recuperare circa 160 milioni di euro utili a

ripianare i debiti di bilancio. L'80% dell'IRPEF

è pagata da lavoratori e pensionati.

Le imprese e le attività

finanziarie sono ancora una

volta escluse dal concorrere

a pagare il prezzo di una crisi

che interroga anche loro.

È positivo che la Giunta abbia accolto la

richiesta che CGIL-CISL-UIL del Piemonte

avevano avanzato un anno e mezzo fa di

introdurre gli scaglioni di reddito e le aliquote

differenziate, ovvero crescenti al crescere del

reddito, ma è assolutamente sbagliato

aumentare ancora la pressione fiscale in

Piemonte. Non è così che si crea sviluppo.

Noi abbiamo chiesto di colpire le ricchezze, ivi

comprese quelle patrimoniali, e di introdurre

fasce di esenzione per le categorie sociali più

deboli. Su questi temi non c'è stata nessuna

risposta, per questo occorre continuare la

rivendicazione.

Il risultato è che a differenza di quanto

dichiarato, le mani in tasca ai cittadini sono

state messe, eccome. E i fatti sono questi: dal

2008 ad oggi la pressione fiscale in Piemonte

per i redditi al di sotto dei 15.000 euro (al

lordo dell'aumento dal 2014) sarà

incrementata dell' 81%, contro un incremento

del 33% sulla fascia di reddito 28.000-55.000

euro e del 54,71% per la fascia oltre i

100.000 euro. Il messaggio è chiaro: Paga di

più chi è più debole. Altro che progressività ed

equità!

A ciò si aggiungano le reticenze ingiustificate

di molti EELL che non intendono applicare

differenziazioni in termini di esenzione tra

redditi da lavoro dipendente e autonomo.

Eppure la differenza è chiara: la base

imponibile dei redditi da lavoro dipendente è

fissata e inequivocabile, quella dei lavoratori

autonomi è auto dichiarata. È sbagliato non

tenerne conto.

A ciò si aggiungano gli aumenti effettuati dai

comuni. Vincolati dal Patto di Stabilità, alla

ricerca di risorse di cassa per pagare stipendi

e servizi, i Comuni hanno aumentato anche

finoall'aliquota massima l'addizionale all'Irpef

comunale. Sono 90 i comuni in Piemonte ad

averla applicata, per un totale di 1.538.772

abitanti. Significa che Torino è tra questi.

Purtroppo al momento solo 76 comuni nel

2013 hanno applicato aliquote progressive in

La difesa dei redditi di lavoratori e pensionati passa

attraverso la difesa e la rivendicazione dei contratti

nazionali di lavoro e della previdenza pubblica

Page 5: Pubblico E Futuro

5

base al reddito, per tutti gli altri gli aumenti

sono stati effettuati in modo lineare. Se non si

allarga l'ambito dell'applicazione della

manovra fiscale, sul fronte dei servizi la

contrazione delle risorse produrrà la

programmazione strutturale del taglio alla

sanità e ai servizi pubblici.

Se in Piemonte si potesse ragionare di entrate

nel loro complesso, allora vorremmo chiedere,

come abbiamo fatto ai tavoli regionali, che

l'IRAP, che finanzia la sanità pubblica, non si

deve ridurre indifferentemente, anzi può e deve

essere uno strumento per determinare quella

tassazione sulla ricchezza finanziaria che

manca in questo paese e in questa regione, a

differenza di altre.

La progressività che chiede il sindacato parla

anche di tassazione sulla casa. L'introduzione

della cedolare secca ha

garantito consistenti

risparmi fiscali per effetto

dello “sconto” sull'Irpef in

particolare per i redditi più

elevati detentori di immobili

da affitto. L'effetto di questa

tassazione agevolata ha

garantito un vantaggio fiscale

e un risparmio con effetto

regressivo sul reddito! E sono

i detentori di grandi patrimoni

immobiliari che ci hanno

guadagnato di più.

Sull'IMU: chiedere oggi la

cancellazione della tassazione

sulla prima casa senza tenere conto dei

patrimoni è sbagliato. La CGIL ne chiede la

cancellazione, ma per i detentori della prima e

unica casa, applicando sul resto quel principio

di progressività sui redditi ivi compresi quelli

da patrimoni mobiliari e immobiliari troppo

spesso esclusi dalla base di calcolo.

È certo che la difesa dei redditi di lavoratori e

pensionati passi attraverso la difesa e la

rivendicazione dei contratti nazionali di lavoro

da un lato e della previdenza pubblica dall'altro.

Ma la revisione complessiva del sistema del

prelievo fiscale in questo Paese è altrettanto

urgente e necessita di riequilibrio.

È ciò che la CGIL chiede da tempo e che

sempre più consapevolmente i cittadini anche

nella nostra regione sostengono.

Lo testimonia la grande partecipazione allo

sciopero e manifestazione del 18 aprile contro

le politiche regressive del Governo Cota.

Quelle cittadine e cittadini chiedono risposte

forti. Il sindacato deve sapere rappresentare

quella domanda di equità che si leva con forza

dai luoghi di lavoro a partire dalla nostra

regione.

ELENA FERRO

Page 6: Pubblico E Futuro

6

Per i precari, sempre meno

“Pubblico e Futuro”?

"Ancora un articolo in cui dobbiamo raccontare

chi siamo??!!" Quando ci hanno chiesto un

contributo da parte dei precari della Regione

Piemonte per Pubblico&Futuro, questa è stata

la risposta generale.

Siamo 198 dipendenti della Regione, in

servizio a tempo determinato dal 2010.

Abbiamo vinto un concorso pubblico che

avrebbe dovuto essere “di stabilizzazione”,

indetto allo scopo di sanare le molteplici

situazioni di precariato (co.co.co., partite IVA

ecc.) presenti nell’Ente, ma le mutate

condizioni politiche e normative hanno

bloccato il percorso di stabilizzazione.

Lottiamo da anni per uscire da una situazione

paradossale che si è creata per rimpalli tra

diverse parti politiche e per problemi tecnici e

normativi che sembrano insormontabili.

E siamo stanchi, molto stanchi, ma

continueremo a denunciare la nostra

situazione finché ne avremo la forza.

La comunicazione è una delle nostre armi

pacifiche: scrivere, raccontare chi siamo,

tenere alta l'attenzione su di noi, perché per

noi il silenzio è mortale.

E allora eccoci qua. La lotta per la

stabilizzazione è anche fatta di visibilità:

siamo su Facebook con la nostra pagina

“Appigli Precari”, abbiamo stampato un

opuscolo con le nostre "Storie Precarie",

siamo stati protagonisti di un servizio di

Santoro, siamo sempre dietro al nostro

striscione ogni volta che il sindacato scende in

piazza. Affianchiamo nella vita sindacale i

colleghi che, beati loro, l’ansia di vedere una

data di “fine contratto” sul cedolino dello

stipendio a fine mese.

Lottare per avere ancora un lavoro tra sei

mesi è stancante, così come è stancante

dover scrivere, apparire, farsi notare.

Lavorare per lavorare: a volte ci sembra

assurdo.

Ma in verità c’è anche un altro motivo per cui

non volevamo perdere questa occasione: ci

piace il titolo del giornale che ci ospita.

“Pubblico e FuturoPubblico e FuturoPubblico e FuturoPubblico e Futuro”.

Perché la parola “pubblico” porta con sé il

concetto di bene comune, di lavoro "per tutti",

di un lavoro che mette al centro il cittadino,

senza un padrone, senza una parte

politica che ci consideri al proprio

servizio. Siamo precari e siamo deboli,

tuttavia non siamo proprietà di

nessuno.

Orfani di una politica che ci rifiuta, che fa finta

di non vederci e che non sa costruire il futuro.

Ed è proprio questa la parola che ci piace di

più: Futuro. Ci piace, anche se a noi manca.

Lottare per avere ancora un lavoro tra sei mesi

è stancante, così come è stancante dover

scrivere, apparire, farsi notare

Page 7: Pubblico E Futuro

7

STEFANO CARIANI

Tra sei mesi scadiamo come un latticino e

dovremo abbandonare le nostre postazioni

con le attività che seguiamo da anni, in alcuni

casi più di un decennio.

Forse saremo sostituiti da esternalizzazioni,

forse le nostre attività saranno gestite dai

privati, perché stiamo andando verso una

Regione con poco Pubblico e poco Futuro.

Noi non ci arrendiamo. Ci crediamo ancora e

lotteremo fino alla fine per difendere il futuro

nostro, ma soprattutto quello dei servizi

pubblici che portiamo avanti.

Speriamo davvero che il titolo di questo

giornale ci porti bene.

Page 8: Pubblico E Futuro

8

Alla quotidiana, frustrante difficoltà nel fare il

proprio lavoro, si accompagna il senso

di insicurezza generato all’impossibilità

di intravedere quale sarà lo sbocco futuro

Il futuro delle Province.

Uno sguardo dalla Provincia

di Novara

1339 kmq di territorio, 800 km di strade, 20

sedi di scuole medie superiori, 2 centri per

l’impiego, una popolazione di oltre 372 mila

abitanti, 88 Comuni: questa è la composita

realtà per la quale la Provincia di Novara ha

lavorato nel trascorso 2012, riuscendo a

rispettare il patto di stabilità anche se con

risorse sempre più risicate.

Quanto al futuro, che è poi il presente di

quest’anno che sta trascorrendo nella

massima incertezza, non è dato sapere.

La Provincia di Novara infatti condivide la sorte

di tutte le altre Province: i pesantissimi tagli, i

mancati trasferimenti, il caos normativo

gettano un’ombra lunga sul destino di servizi

essenziali per la vita dei cittadini ed anche sul

futuro lavorativo dei suoi 260 dipendenti.

Si naviga a vista, cercando di non

venir sommersi dalle onde che si

susseguono a ritmo sempre più

incalzante.

Il prossimo maroso si chiama

bilancio dell’esercizio 2013: pur

avendo tagliato tutto il tagliabile, senza

un’iniezione di risorse trasferite da Stato e

Regione, non vi è la certezza che si riuscirà a

predisporre il principale strumento finanziario

di un Ente che non ha entrate proprie e che si è

visto tolte anche quelle poche che aveva.

Ed è grave.

È grave perché quei servizi dei quali i cittadini

hanno fruito sino ad oggi, ritenendoli

(giustamente occorre dire) dovuti, oggi

vengono messi in forte discussione: pensiamo

alla tenuta del sistema del trasporto pubblico

o alla semplice manutenzione delle strade e

delle scuole, ai servizi per il lavoro.

Così come si sta definendo, la situazione

risulta assolutamente difficile da sostenere

anche per i 258 lavoratori della Provincia di

Novara che,in un rapporto di 1 dipendente

ogni 1442 abitanti, sono coloro che sino ad

ora hanno garantito la continuità dell’azione

amministrativa, in alcuni casi con un

supplemento di volontarietà per cercare di

riequilibrare la carenza di risorse.

La quotidiana difficoltà nel fare il proprio

lavoro risulta oltremodo frustrante. A essa si

accompagna il senso di insicurezza generato

all’impossibilità di intravedere quale sarà lo

sbocco futuro dell’attuale stato di cose.

Le preoccupazioni più immediate riguardano

la corresponsione degli stipendi: non che la

Provincia di Novara sino a oggi abbia

dichiarato delle reali difficoltà al riguardo;

tutti gli impegni contrattuali sono stati

rispettati e le mensilità sono state versate

senza ricorrere, ad esempio, alle

anticipazioni di cassa. Ma è pur vero che le

ingiunzioni di pagamento delle aziende di trasporto

creditrici nei confronti dell’Ente, il fatto che la

Regione non trasferisca le somme legate alle

deleghe e la riduzione dei fondi da parte dello

Stato non consentono di delineare una

prospettiva tranquillizzante. La prima esigenza

diventa quella di definire a livello regionale le

Page 9: Pubblico E Futuro

9

modalità di rientro delle somme che la

Provincia di Novara e le altre Province

piemontesi si aspettano dalla Regione, anche

in considerazione del fatto che il Piemonte è

sicuramente una delle realtà nelle quali la

delega di funzioni dalla Regione alle Province è

avvenuta in maniera più accentuata che

altrove: questo consentirebbe di continuare a

gestire i servizi e ai lavoratori di guardare con

meno pessimismo al loro immediato futuro.

Anche se non risolverebbe il problema alla

radice.

Rimane infatti aperta la questione sul che cosa

succederà alle Province e ai suoi dipendenti.

La mancata conversione in legge del D.L.

188/2012, che lasciava le Province

accorpandole, ha riportato al centro il tema

della loro abolizione.

Lo si farà per via costituzionale questa volta?

E intanto? I servizi gestiti a livello provinciale

che fine faranno e che fine faranno quei

lavoratori che vi si dedicano? Anche a questo

riguardo un confronto con la Regione su come

intenda ridistribuire le deleghe diventa

necessario. Ma un ragionamento di più ampio

respiro urge a livello centrale.

È pensabile che il nuovo Esecutivo affronti la

questione del riordino del sistema delle

autonomie, smettendo di essere ostaggio di

pulsioni demagogiche e/o di bassi interessi di

campanile?

Le prime uscite sul tema, a dire il vero, non

sono parse confortanti.

La speranza è che, se inizierà a farsi strada la

convinzione che occorra mettere mano a

misure per la crescita, questo valga anche per

la pubblica amministrazione e soprattutto per

gli enti locali; e se centrale diverrà il tema

dell’occupazione e dell’occupazione giovanile,

lo diventi anche per il settore pubblico e non

si pensi, viceversa, a una riduzione nel

numero dei dipendenti pubblici (ritenuti

esclusivamente un costo e non una risorsa),

partendo proprio dalle Province e dando in

pasto all’opinione pubblica non solo un

segnale anti-casta ma anche il posto di lavoro

di migliaia di lavoratori.

SARA BRUGA

Il seminatore Vincent Van Gogh, 1888

Page 10: Pubblico E Futuro

10

Un Comitato provinciale per

la difesa del welfare

Verso la fine del 2012, a Cuneo si costituì un

comitato provinciale composto dalle

Organizzazioni Sindacali, i Consorzi Socio-

Assistenziali, Confcooperative, Legacoop ed i

rappresentati delle Case di Riposo pubbliche.

La necessità di raccogliere intorno ad un unico

tavolo rappresentanze così diverse nacque da

una situazione creditizia nei confronti della

Regione in materia di erogazione di

finanziamenti che vedeva la Provincia di Cuneo

particolarmente penalizzata rispetto a restante

territorio regionale, con un arretrato di

pagamenti per le forniture di servizi che

superavano i 400 giorni.

Attraverso un proficuo quanto rapido lavoro di

gruppo, si è riusciti a organizzare una

manifestazione provinciale in difesa del welfare

che il 2 febbraio scorso ha visto migliaia di

cittadini cuneesi scendere in piazza a

rivendicare il diritto all'assistenza per anziani,

disabili, giovani in difficoltà, cioè per la fascia

più debole e dimenticata della società.

La giornata di protesta ha prodotto un risultato

molto importante: nel giro di un mese, l'ex

assessore Monferino licenziò una delibera che

assegnava alle Asl cuneesi una somma che

riusciva a riportare la loro situazione al pari di

quello delle altre strutture piemontesi.

Ovviamente però i problemi delle risorse per il

socio assistenziale non solo non sono

assolutamente risolti, ma, come tutti

sappiamo, il rischio che la situazione imploda a

breve è tangibile.

Per questi motivi, la settimana scorsa il

Comitato è tornato a riunirsi, decidendo di

continuare il lavoro iniziato allora per mantenere

alta l'attenzione dei cittadini e della politica

sulle questioni sociali, convenendo sulla

necessità di continuare a fare fronte comune

pur nel pieno rispetto delle singole realtà.

In quella sede, si è prodotta una richiesta

d'incontro al neo assessore Cavallera ed un

comunicato inviato agli organi d'informazione

per reiterare l'allarme sulla drammaticità della

situazione.

Si è inoltre concordato di incontrarsi

nuovamente a breve, sia per mettere in

campo altre iniziative pubbliche sia per

affrontare congiuntamente l'esame dei vari

capitoli del socio assistenziale al fine di

evidenziarne le maggiori criticità ed avere

quindi uno screening compiuto della realtà.

Come Funzione Pubblica e come Camera del

Lavoro di Cuneo riteniamo che questa

sperimentazione locale sia un importante e

positivo tentativo di far confluire esperienze e

conoscenze diverse in un unico grande

obiettivo: la salvaguardia del bene pubblico.

Forse siamo troppo

ambiziosi, ma tentare, come

si sa, non nuoce...

LUCIANO BERSANO

Il Comitato Provinciale continua il lavoro iniziato

nel 2012 per mantenere alta l'attenzione

dei cittadini e della politica sulle questioni sociali

Page 11: Pubblico E Futuro

11

Mission possibile?

L’Arpa Piemonte (Agenzia Regionale per la

Protezione dell’Ambiente) è un Ente pubblico

costituito con Legge regionale n. 60 del 1995

e s.m.i. per il controllo, il supporto e la

consulenza tecnico scientifica agli Enti

amministrativi (Regioni, Province e Comuni) e

alle ASL sulle tematiche attribuite dalla legge

nel campo della prevenzione e tutela

ambientale.

Un campo vasto di intervento in materia

ambientale (e di supporto ad attività

sanitarie), mai definito nel dettaglio, i cui limiti

sono oggetto di continua negoziazione che ne

rende indefinita la mission. Inutili sino ad oggi

i tentativi, anche sindacali, di un maggior

dettaglio delle attività che ne rendano certe

attività istituzionale e finanziamento. Un Ente

posto sotto la vigilanza del Presidente della

Giunta regionale, che ne nomina anche il

Direttore Generale.

È chiaro, sin da queste prime righe, come una

della principale criticità sia legata

all’interazione delle tematiche trattate

dall’Agenzia e il mondo della politica.

Non a caso Giunte di centro destra e di centro

sinistra si sono avvicendate nello spoil system

dei vertici dell’Agenzia, con ricadute nelle

alterne ascese dei singoli dirigenti.

L’attività dell’Agenzia è condizionata dagli atti

del “comitato regionale di indirizzo” che ne

definisce gli obiettivi strategici, ma oggi

l’attività è resa sempre più difficoltosa

soprattutto dalla continua riduzione del

finanziamento regionale che è passato da 79

milioni di euro nel 2008 agli attuali 67 milioni

per il 2013 (- 15,2%) e dalle difficoltà legate

alla disponibilità di cassa, con ritardi di circa

6-7 mesi nei pagamenti dei fornitori.

Nonostante il percorso positivo della

stabilizzazione concluso nel 2009, il

personale è stato ridotto con un sostanziale

blocco del turn-over da 1200 a 1060,

malgrado il rispetto formale dei vincoli relativi

alla spesa per il personale avrebbero potuto

prevedere reintegri parziali del personale

cessato.

Una riduzione particolarmente preoccupante

per la tenuta di un’attività che si esercita su

tutta la Regione ma con una struttura

fortemente legata al territorio provinciale e

caratterizzata da una elevata professionalità e

da un lavoro che vede nel contributo umano il

principale fattore di realizzazione.

La precedente Direzione Generale attraverso

la predisposizione di un “piano di

riposizionamento” fatto di soli tagli alle

strutture ha provato a ridimensionare in

particolare la struttura laboratoristica.

Un “piano” bocciato dalla RSU di Arpa

Piemonte e che ha visto la risposta

organizzata dei Lavoratori che in più occasioni

si sono mobilitati per dire NO al “piano”.

Volantinaggi, assemblee, contatti con assessorati

provinciali, presidi, flash

mob… tutte iniziative nelle

quali abbiamo curato con

particolare attenzione sia

la costruzione di un ampio

fronte interno tra i lavoratori

(coinvolgendo anche i lavoratori non

direttamente colpiti) sia l’informazione nei

confronti della cittadinanza e dei media.

Una mobilitazione continua, che ha portato

nell’arco di un anno e mezzo a una serie di

iniziative articolate su più territori o a valenza

regionale e che hanno visto i Lavoratori, la FP

CGIL aziendale e la RSU in prima fila.

L’organizzazione sindacale in una “Azienda”

come l’Arpa è infatti caratterizzata da una

difficoltà legata alla frantumazione del Lavoro

su più sedi e su attività differenti, che richiede

Occorrono segnali di inversione

riguardo alla situazione di “declino” dell’Agenzia.

Molte strutture in grande difficoltà faticano a mantenere

standard quantitativi e qualitativi

nonostante l’impegno del personale

Page 12: Pubblico E Futuro

12

una struttura radicata e capacità di

coordinamento delle iniziative.

La FP CGIL è quindi organizzata in Arpa

attraverso un Comitato Iscritti recentemente

rinnovato e strutturato come un

“coordinamento regionale” per garantire

rappresentanza sindacale in tutte le principali

sedi lavorative.

Il “piano” della Direzione Generale è stato

sconfitto, accantonato con la nomina del

nuovo Direttore Generale. Resta però una

situazione di “declino” dell’Agenzia, alla quale

occorre dare segnali di inversione in tempi

rapidi. Molte sono le strutture oramai in

grande difficoltà e che faticano a mantenere

standard quantitativi e qualitativi nonostante

l’impegno del personale.

Non è più rimandabile il problema della

progressiva riduzione del personale, della

definizione di carichi di lavoro e dotazioni

organiche, nonché la necessità di investimenti

per la parziale sostituzione di un parco

strumentale oramai tecnologicamente “anziano”.

ROBERTO RIGGIO

Page 13: Pubblico E Futuro

13

La storia di un cammino

in salita

L’attenzione della CGIL FP piemontese è da

tempo rivolta alla domanda di salute che viene

dal carcere e dagli operatori che vi lavorano.

La privazione della libertà comporta in realtà la

perdita o la riduzione di una serie di diritti

fondamentali. Tra questi, nel primo convegno

sul tema del Giugno 2004, il diritto alla salute

era stato espressamente indicato come uno

dei più complessi e difficili da garantire, molto

più di quanto avviene nel mondo libero, dove

pure è sempre più caratterizzato da gravi

disuguaglianze nell’accesso alle

prestazioni sanitarie e alla qualità

dei servizi. La sistematica azione di

smantellamento del welfare

operata negli ultimi anni ha

alimentato nuove forme di disagio

in termini di salute e acuito le condizioni di

sofferenza della parte più fragile della

popolazione.

Era quindi inevitabile che un sindacato come la

Cgil focalizzasse il suo impegno sulle condizioni

di salute di un carcere che sempre più assumeva

la funzione di contenitore di povertà, sempre più

ospitava tossicodipendenti, stranieri, portatori di

disturbi psichici, impossibilitati a trovare risposta

nei servizi territoriali e penalizzati da leggi

razziste e liberticide come la Bossi Fini e la Fini

Giovanardi.

Per questo anche a livello regionale è stata

affrontata con determinazione la straordinaria

battaglia per la riforma della sanità

penitenziaria in carcere, per cancellare l’anomalia

che per anni ha visto le funzioni di assistenza

sanitaria ai detenuti affidata al ministero della

Giustizia anziché a quello della Salute.

Un palese violazione della Costituzione, dove il

diritto alla salute è inteso come “diritto

sociale”, che realizza nella sanità il principio di

eguaglianza fra i cittadini.

Per lunghi anni le Amministrazioni della

Giustizia, pur avvalendosi spesso di

professionalità capaci e motivate, hanno

prestato funzioni improprie, inevitabilmente

condizionate da una logica securitaria, in

mancanza di un reale collegamento con la

programmazione sanitaria nazionale e

regionale.

La sollecitazione e il monitoraggio della

Riforma, già delineata nel DLgs 230 del

1999, ma attuata solo con il DPCM 1 Aprile

2008, sono stati perciò, anche a livello

regionale, oggetto di incessante impegno.

Nel convegno presso la Camera del Lavoro di

Torino del 24 Maggio 2007, i sottosegretari

alla Giustizia e alla Salute Manconi e Gaglione

si impegnarono per l’attuazione della legge e

fu lanciata l’idea della nascita di un Forum

regionale.

Prima declinazione territoriale del Forum per il

diritto alla salute nazionale, quello del

Piemonte si è costituito nel Dicembre del

2007, promosso dalla Fp Cgil e Cgil e da

Antigone, con la progressiva adesione di altre

importanti realtà associative.

Dopo il DPCM 1 Aprile del 2008, l’impegno si

è intensificato: era giunto il momento più

delicato, quello in cui le regioni dovevano

riorganizzarsi sulla base delle nuove

competenze, e stabilire con le

Amministrazioni della Giustizia procedure

operative per conciliare le esigenze di salute

con quelle di sicurezza.

Dal marzo 2008 il Forum partecipa al Gruppo

Tecnico interistituzionale regionale atto a

programmare e monitorare il percorso di riforma.

Ha contribuito alla definizione del nuovo

modello regionale di assistenza sanitaria in

Nella battaglia degli anni ’60, le leggi 180 e 833 del 1978 decretavano la chiusura dei manicomi

ma per la cultura e la politica del tempo, non posero fine alla segregazione dei pazienti

con problematiche giudiziarie

Page 14: Pubblico E Futuro

14

carcere, del Protocollo d’intesa tra Assessorato

alla Salute e Amministrazioni della Giustizia,

delle Linee di indirizzo in tema di assistenza ai

detenuti affetti dalle diverse patologie.

Lo scenario, anche nazionale, in cui si è

realizzato la fase di applicazione del DPCM

1/04/2008, non è stato certo tra i più

favorevoli, considerati lo stato di povertà e

sovraffollamento del mondo carcerario, e gli

interventi di riduzione della spesa nel settore

sociosanitario.

Ci sono stati i ritardi nel trasferimento delle

risorse, negli adempimenti previsti, nella

realizzazione di nuovi modelli idonei a

concretizzare i principi innovatori in tema di

prevenzione, continuità assistenziale,

collegamento con la rete dei servizi del territorio.

Ma tutto ciò, unito alla consapevolezza che

ogni importante processo di cambiamento

incontra resistenze e difficoltà proporzionate

alla sua portata innovatrice, ha sempre

significato un rinnovato, vigile impegno.

Con altre 2 iniziative pubbliche del 2009 e

2011 si è fatto il punto sullo stato di salute del

servizio sanitario penitenziario in Piemonte, sul

complesso e spesso sofferente mondo degli

operatori, sul nodo critico e irrisolto del servizio

psicologico in ambito penale.

Nel frattempo, il Forum è entrato a far parte

della Commissione tecnica regionale per la

definizione del percorso di superamento degli

Ospedali Psichiatrici Giudiziari.

È un altro pezzo importante del cammino, che

ci deve vedere presenti.

Nella coraggiosa battaglia degli anni ’60

contro le istituzioni totali, le leggi 180 e 833

del 1978 decretavano la chiusura dei

manicomi ma non giungevano, per i limiti

dettati dalla cultura e dalla politica del tempo,

a porre fine alla segregazione dei pazienti con

problematiche giudiziarie.

Nel corso degli anni alcune sentenze della

Corte Costituzionale si sono pronunciate per

la possibilità di trattamenti alternativi all’Opg

in ogni fase.

La svolta decisiva è stata costituita dal DPCM

del 1 Aprile 2008 che, indicando le modalità e

i criteri per il passaggio di funzioni di

assistenza sanitaria, ha definito anche le

linee di indirizzo per un progressivo

superamento e la chiusura degli Opg.

Il 21 Novembre 2011, subito prima che l’art.

3-ter fissasse la data definitiva della

chiusura degli OPG, veniva realizzata dal

Forum, dalla FP Cgil e dalla Cgil Piemontese

una affollatissima iniziativa pubblica, con la

partecipazione del senatore Ignazio Marino,

per sensibilizzare la cittadinanza e verificare

criticità, risorse e potenzialità del territorio in

merito all’ importante nuovo percorso.

Adesso questo è in pieno svolgimento e la

sua complessità merita uno spazio apposito.

Lo spirito con cui lo stiamo compiendo rimane

però sempre quello che ha caratterizzato il

nostro agire: trasformare le sfide in

opportunità.

Antigone Marie Spartali Stillman (data ignota)

Page 15: Pubblico E Futuro

15

Occuparsi dei cittadini piemontesi ancora

presenti negli OPG può essere l’occasione per

fare chiarezza su progettualità e competenze

in campo di riabilitazione psichiatrica e per

creare o riannodare la filiera di servizi e

presidi che possano concretamente rendere

il territorio il luogo di cura individuato dalla

legge Basaglia.

Combattere una doverosa battaglia che

apparentemente riguarda solo i diritti di una

fragile e minoritaria parte dei cittadini può

rivelarsi in realtà una grande opportunità di

crescita per il complessivo progetto di salute

mentale della nostra regione.

Occuparsi dei cittadini piemontesi ancora

presenti negli OPG può essere l’occasione per

fare chiarezza su progettualità e competenze

in campo di riabilitazione psichiatrica e per

creare o riannodare la filiera di servizi e

presidi che possano concretamente rendere

il territorio il luogo di cura individuato dalla

legge Basaglia.

Combattere una doverosa battaglia che

apparentemente riguarda solo i diritti di una

fragile e minoritaria parte dei cittadini può

rivelarsi in realtà una grande opportunità di

crescita per il complessivo progetto di salute

mentale della nostra regione.

ANNA GRECO

Page 16: Pubblico E Futuro

16

Donne in polizia: specie

protetta Durante la Conferenza Nazionale delle Donne

FP CGIL del 10 maggio 2013, abbiamo messo

in evidenza con il nostro intervento che il

Corpo Forestale dello Stato in Piemonte (che

insieme a Polizia Penitenziaria e Vigili del

Fuoco appartiene alla Funzione Pubblica), ha

ritenuto di investire energie su questo

comparto particolarmente in difficoltà e in

particolar modo si è deciso di costituire un

coordinamento delle donne delle forze di

polizia nazionali includendo anche, nel caso

Piemontese, la polizia locale. Vorremmo in

questa occasione illustrare proprio la

situazione delle donne in questo comparto da

molti considerato residuale e senza diritti di

uomini e donne in divisa, ma che in realtà

impiega circa 350.000 addetti, il Comparto

Sicurezza e Soccorso.

Questo comparto è composto di 5 corpi di

polizia di cui due ad ordinamento militare

(Carabinieri e Finanza) tre ad ordinamento civile

(Polizia di Stato, Forestale, Polizia Penitenziaria)

e il settore del soccorso (Vigili del fuoco) e tutti

sono sempre stati

considerati per vocazione

a prevalenza maschile.

Benchè le funzioni ed i

compiti lavorativi siano

molto simili la situazione

giuridica economica e sindacale è piuttosto

variegata, e infatti di queste 5 entità solo 3

sono in Funzione Pubblica (Forestale,

Penitenziaria e Vigili del Fuoco).

Con grosse difficoltà negli anni ’80 si

comincia a considerare l’idea di permettere

l’ingresso delle donne nel comparto.

Tuttavia, mentre nel 1982 venivano

ammesse nelle carriere iniziali della Polizia di

Stato le prime donne, nel Corpo Forestale

dello Stato in opposizione alle prime

assunzioni un r icorso, mot ivato dal la

diminuzione di prestigio che le donne

avrebbero portato al corpo, farà slittare le

prime femminili al 1992.

Ci vorranno ancora circa vent’anni affinché

questo ambito traguardo si realizzi nei corpi di

polizia militari e nelle forze armate, dove i

primi ingressi avverranno nel 2000.

Nonostante la grande rilevanza data alla

presenza delle donne nei corpi di polizia e

nei corpi militari, in realtà questa è poco

più che un’operazione di immagine per

dimostrare lo sforzo fatto dall’Italia per

raggiungere questo utopico obiettivo della

parità tra i sessi.

Guardando più nello specifico le singole

situazioni ci si rende conto che proprio

l’ultimo arrivato, ovvero il Corpo Forestale

dello Stato, detiene la palma della presenza

femminile con una percentuale che si

avvicina al 17,5%, seguito a ruota dalla

Polizia di Stato e come fanalino di coda la

Polizia Penitenziaria (2,7%), mentre nei

corpi di Polizia ad ordinamento militare

(Arma dei Carabinieri e Corpo della Guardia

di Finanza) e nelle forze armate la presenza

femminile si attesta su una percentuale

che si aggira intorno al 3-4%.

Di contro se si prende ad esempio un

istituzione come la Polizia Locale, che

percorre le stesse tappe dei corpi nazionali,

arriva ad avere oggi nella città di Torino, il

40% di donne.

Bisogna specificare che il sorpasso del Corpo

Forestale rispetto alla Polizia di Stato è da

imputarsi ad una operazione svoltasi nel

silenzio assoluto e che non viene mai citata,

neanche durante le celebrazioni dell’8 di Marzo.

Infatti, dopo il 1996 non sono più stati banditi

concorsi pubblici nella Polizia di Stato e le

La norma introdotta con la Legge 226 del 2004

è discriminatoria verso una fetta della popolazione

italiana, che non rappresenta una minoranza,

ma supera la metà del totale dei cittadini italiani

Page 17: Pubblico E Futuro

17

uniche assunzioni di personale sono state

operate attraverso l’assorbimento del

personale ausiliario che svolgeva il periodo di

leva presso il Corpo.

Ovviamente, tale personale era

esclusivamente maschile e ciò ha permesso

di limitare la presenza femminile divenuta, a

dire di alcuni, ingombrante.

A ben vedere i numeri, risulta evidente il

successo di questa operazione, infatti se tra il

personale con 15 anni di anzianità le donne

rappresentano il 17%, tra i ruoli con anzianità

da 0 a 5 anni scendono bruscamente al 6,4%,

per arrivare infine al 3,7% tra i neo assunti.

(fonte “POLIZIA MODERNA” Aprile 2006).

Nel corpo nazionale dei Vigili del Fuoco le

percentuali di personale femminile operativo

(mai censite) possono essere considerate

irrisorie. Con l’abolizione della leva

obbligatoria, lo stesso risultato è stato

perseguito con una legge poco conosciuta e

poco pubblicizzata, la Legge 226 del 2004,

con la quale si impone a tutti i corpi di polizia

l’assunzione di personale di tutto il personale

dai militari in ferma volontaria (per i Vigili del

Fuoco la quota è della metà del personale),

dando così la spallata definitiva alla questione

femminile nel comparto sicurezza e soccorso,

viste le percentuali irrisorie delle donne nelle

forze armate.

Nell’anno 2000 Valdo Spini, presidente della

Commissione Difesa della Camera,

sottolineava che l'obiettivo era di arrivare al

10 per cento di presenza femminile

nell’esercito, di fronte all'11 per cento degli

Stati Uniti, al 2,5 per cento della Francia e al

6,5 dell'Inghilterra.

Secondo gli ultimi dati disponibili, risalenti al

31 dicembre 2007, le donne in divisa

nell'Esercito erano circa il 3%.

I dati dimostrano che nelle forze armate non

sarà possibile superare le quote attuali se, a

sette anni di distanza dalla legge di

immissione delle donne nell’Esercito, la

percentuale si era assestata.

Di conseguenza anche i Corpi di Polizia che

assumono direttamente dall’Esercito non

possono sperare in un effettivo incremento di

personale femminile.

Tutto ciò contrasta con quanto più volte

affermato circa la volontà di arrivare ad una

effettiva parità di genere anche nei settori

considerati tradizionalmente maschili, anzi

dimostra una precisa volontà di limitare le

presenze femminili.

Di contro cominciano a scarseggiare le

presenze femminili in settori in cui queste

presenze sono obbligatorie come la gestione

dei reati sui minori, le violenze domestiche

normalmente operate sulle donne, gli stupri,

le perquisizioni sulle donne.

La norma introdotta con la Legge 226 del

2004 è quindi discriminatoria verso una fetta

della popolazione italiana, che non

rappresenta una minoranza, ma supera la

metà del totale dei cittadini italiani,

risultando anche discriminatoria per gli

uomini, per i quali l’accesso ai corpi di

Polizia non può più avvenire in condizione

di equità e parità come previsto dalla

Costituzione italiana.

In pratica le donne in questo Comparto,

sono una minoranza etnica con pochi e

limitati diritti, per cui con numeri così

risicati no è stato possibile sviluppare

politiche di contrattazione destinate a

garantire politiche di conciliazione tra lavoro e

impegni familiari.

Page 18: Pubblico E Futuro

18

Il comparto non ha mai acquisito il diritto al

part-time o la banca delle ore, mentre le

donne con prole, limitate nelle attività

operative che spesso obbligano a turni

massacranti, sono viste come impedimenti al

regolare svolgimento delle attività lavorative.

Da quanto è stato illustrato è evidente che il

superamento del blocco della contrattazione

passa obbligatoriamente dalla rimozione delle

limitazioni nelle assunzioni, aumentando il

numero, delle donne esse possano assumere

un altro peso contrattuale, in grado di

tutelarne i diritti, fino ad individuare nelle pari

opportunità una risorsa per il lavoro alla cui

cura e al cui sviluppo assegnare attenzioni e

risorse.

Illustrazione dello scomparso

Vice Questore Aggiunto Forestale Luca Riva

LAURA MAZZETTI per conto del Coord. Donne FP Piemonte

Page 19: Pubblico E Futuro

19

è giusta perché il lavoro precario che per un

paio di mesi tuo figlio ha fatto ti ha fatto

perdere il diritto alla detrazione per figlio a

carico.

Sono quegli stessi lavoratori che non hanno

nemmeno più i mezzi materiali per rispondere

in maniera adeguata ai cittadini: perché sono

sempre meno e sempre più anziani visto che

nel pubblico impiego non si assume più,

perché manca la carta per le stampanti, il

toner per le fotocopiatrici è diventato un lusso,

perché gli ambienti in cui lavorano sono

sempre meno accoglienti per i tagli alle spese

per le pulizie.

E sono sempre loro che il delirio di Brunetta

(mai contraddetto dal Goverrno dei tecnici) ha

additato ai cittadini come fannulloni, come

spesa improduttiva, come causa stessa

dell’incapacità del lavoro pubblico a

soddisfare i bisogni sociali.

I danni collaterali di questa guerra contro il

pubblico e contro il lavoro pubblico colpiscono

i lavoratori.

Mi è capitato ultimamente di

incontrare delle lavoratrici (che

fossero donne forse non è un caso)

che il giorno prima erano state

minacciate con un coltello da un

utente.

Le ho incontrate perché ci è sembrato

doveroso testimoniare

loro la nostra vicinanza come sindacato, per

dimostrare loro che non sono sole.Erano sul

loro posto di lavoro, e avevano paura.

La paura è un sentimento che

credo si stia diffondendo far le

lavoratrici e i lavoratori, la paura

per la loro stessa incolumità

fisica. La paura è un sentimento

che blocca, che spinge a

chiuderci su noi stessi, che

spesso è causa di stress.

Sarebbe interessante capire

quanto i lavoratori pubblici

stanno pagando con la loro salute

Danni collaterali

Sempre più frequentemente la cronaca si

occupa di pubblico impiego.

Non passa giorno senza che l’esasperazione

di cittadini colpiti dalla crisi trovi sfogo con atti

di intimidazione, spesso violenta, rivolti ai

lavoratori degli uffici pubblici.

Nel corso degli ultimi vent’anni i lavoratori

pubblici sono stati protagonisti del più grande

processo di innovazione delle pubbliche

amministrazioni, che, finalmente, hanno

posto al centro della loro azione il

soddisfacimento dei bisogni dei cittadini.

I front-office hanno man mano sostituito i

vecchi sportelli, dimostrando plasticamente il

nuovo modo di essere degli uffici pubblici.

Oggi sono diventati il luogo in cui i lavoratori

affrontano, senza nemmeno la protezione del

cristallo dello sportello, il malessere sociale

provocato dalla crisi economica e dalle

politiche adottate dai Governi per affrontarle.

Ne sanno qualcosa le operatrici e gli operatori

dei servizi sociali, quelli dell’INPS, quelli delle

Agenzie delle Entrate, che tutti i santi giorni

affrontano da soli il dramma di chi non ce la

fa a pagare una cartella delle imposte, di chi

non riceve l’assegno per la cassa

integrazione in deroga, di chi,

disperato, si rivolge ai servizi

sociali per ottenere un aiuto.

Sono quei lavoratori che, loro

malgrado, mettono la loro faccia

applicando la politica dei tagli alla

spesa sociale: la cassa

integrazione in deroga non può

essere pagata perché non ci

sono i soldi, la cartella delle tasse

Sarebbe interessante capire

quanto i lavoratori pubblici stiano pagando

con la loro salute il disagio e la paura che tutti

i giorni affrontano andando a lavorare

Page 20: Pubblico E Futuro

20

il disagio che tutti i giorni affrontano andando a

lavorare. Sarebbe interessante provare a

pensare a punti di ascolto in cui raccogliere

questo disagio.

Credo che dovremmo affrontare anche questo

come sindacato.

Oggi la reazione collettiva più evidente è

l’atteggiamento di chiusura delle lavoratrici e

dei lavoratori.

In queste condizioni qualunque tentativo da

parte delle amministrazioni di prolungare gli

orari di apertura al pubblico trova

l’opposizione dei lavoratori: non ce la fanno

più e si difendono.

Così come è sempre più frequente la richiesta

di maggior sicurezza nei front-office, spesso

rappresentata dalla rassicurante presenza di

una guardia giurata o dall’occhio, spesso

indiscreto di telecamere.

Danni collaterali, appunto.

Sono tutti segnali di una pericolosa

involuzione che dobbiamo contrastare, da un

lato rivendicando politiche che investano sul

lavoro pubblico, dall’altro rivendicando

l’apertura del confronto con il Governo per il

rinnovo dei contratti.

ITALO PEDACI

Investire sul lavoro pubblico, anche

riformando ulteriormente la pubblica

amministrazione, e rinnovare i contratti

devono però essere percorsi distinti e

paralleli: non possiamo accettare la logica di

chi sostiene che il rinnovo dei contratti potrà

avvenire solo nell’ambito della riforma della

pubblica amministrazione.

Non solo perché dopo cinque anni di blocco il

rinnovo del contratto è “un fatto

semplicemente dovuto”.

La contrattazione nazionale e, oserei dire

soprattutto, la contrattazione decentrata sono

stati elementi essenziali a costruire il

consenso dei lavoratori ai processi di riforma

che hanno interessato le pubbliche

amministrazioni e il lavoro pubblico

rendendoli protagonisti di quelle

trasformazioni.

Dobbiamo ripartire dal contratto, anche per

dare risposte al disagio e alla paura che si

vive sui posti di lavoro.

Page 21: Pubblico E Futuro

21

L’amore che si trasforma

nel suo opposto L‘amore col tempo si può trasformare persino

nel suo opposto...

In Italia dall’inizio dell’anno sono state uccise

55 donne!

È obbligatorio contrastare con forza la

violenza che sta aumentando in modo

esponenziale nel nostro Paese.

È una responsabilità collettiva, un’emergenza

culturale che coinvolge tutti, donne e uomini

di ogni estrazione sociale.

L’imperativo primario è la sensibilizzazione

capillare, a partire dalla scuola: parlarne,

parlarne e ancora a parlarne, affinché la voce

si alzi sempre più forte.

Non c’é più tempo!

C’è bisogno di azioni concrete e incisive.

A questo proposito, il Presidente della

Camera, Laura Boldrini, ha fin da subito a

dimostrato la propria sensibilità su questo

delicatissimo tema, affermando l’urgente

necessità di promuovere una legge contro la

violenza sulle donne e sulle politiche di

genere, coinvolgendo in un percorso sinergico

Ministero della Giustizia e dell’Interno,

appoggiando e sostenendo l’iniziativa del

Ministro per le Pari Opportunità Josefa Idem di

avviare una task force conto il cosiddetto

femminicidio, rilanciando l’allarme sociale.

“Dobbiamo tutelare le donne nella loro libertà

di autodeterminazione”.

L’Italia è ancora troppo indietro: prima che la

giustizia si attivi fattivamente, possono

purtroppo trascorrere centinaia di giorni,

nonostante gli allarmi che ogni volta vengono

lanciati prima dell’avvenuta tragedia (il 15%

dei femminicidi è preceduto da denunce di

molestie e/o di stalking).

L’Europa ci sollecita da tempo ad adottare e

ratificare raccomandazioni in tema di violenza

contro le donne (Convenzione di Istanbul del

Consiglio d'Europa – maggio 2011 – per

prevenire e contrastare la violenza domestica

e sulle donne, della quale è stata avviata

pochi giorni fa la proposta di legge di ratifica)

Drammaticamente il tema del femminicidio è

diventato di attualità per le donne che tra i 16

e i 44 anni muoiono uccise dai loro compagni,

fidanzati, coniugi ed ex. L’estensione del

fenomeno non è ancora chiara, ma

sicuramente vasta e sommersa, e

ulteriormente complicata dalla profonda crisi

economica e culturale, che aumenta il disagio

e la conseguente rabbia inespressa pubblica

e privata. In questa situazione, le donne sono

vittime due volte: la prima, come solutrici di

risposte che i servizi pubblici non sono in

grado di dare alle gravose urgenze familiari, e

poi come vittime di quel disagio che troppo

spesso sfocia in violenza fisica e psicologica.

MARA POLITI

Page 22: Pubblico E Futuro

22

Più di cento anni

Nella seconda metà dell’800, dopo il

compimento dell’unità, l’Italia è un paese

ancora molto povero, in prevalenza agricolo.

Su circa 27 milioni di abitanti, solo 1 milione

sa leggere e scrivere, 530.000 persone hanno

diritto al voto (in base al censo), una piccola

minoranza di uomini (poco più di 250.000)

elegge i deputati al Parlamento.

Sono anni di profondo cambiamento sociale.

Anni nei quali nascono le prime fabbriche,

scompaiono i vecchi mestieri, si abbandonano

le campagne per andare in città a cercare un

po’ di fortuna; il lavoro diventa un’operazione

elementare e ripetitiva. Accanto ad una nuova

classe sociale - quella della borghesia

industriale (che possiede i mezzi di

produzione necessari per accumulare il

capitale ed arricchirsi) nasce il proletariato,

che dispone “solo” della propria forza lavoro.

“Solo” perché ciò che si guadagna dal proprio

lavoro è davvero pochissimo; “solo” perché

sono anni nei quali i salari permettono

appena la sopravvivenza, gli orari di lavoro

sono massacranti, la disciplina durissima, non

esistono forme di tutela per infortuni,

malattie, gravidanza, pensioni.

E per le donne e i fanciulli è anche peggio.

Essere lavoratore in quegli anni, significava

essere due gambe e due braccia senza

dignità, senza un diritto, senza una voce,

senza ragione, impotente e isolato.

Ma la vera forza degli uomini è di potersi

riunire, di sapersi sorreggere a vicenda, di

guardarsi attorno e sapere, credere, che la

situazione può essere cambiata.

La forza degli uomini consiste nel fatto che

essi comprendono che la loro voce, da sola,

può passare sotto silenzio, mentre tante voci

formano un coro.

E un coro forse non sposta le montagne, ma

di sicuro può contribuire a cambiare il mondo.

Forse, come molti di noi oggi, se fossimo nati

in quegli anni, avremmo cercato di lottare per

risorgere dalla disperazione, per difenderci,

per avanzare qualche diritto. Forse molti di noi

avrebbero fatto parte di una delle prime

“società di mutuo soccorso” (avrebbero

accettato di autotassarsi, per costituire un

fondo comune dal quale ricevere sostegno in

caso di malattia o infortunio e un contributo

alla famiglia, in caso di morte). Molti di noi

avrebbero aderito a una lega, a una società

operaia; poi, più tardi, a una Camera del

Lavoro (che ci avrebbe permesso anche di

imparare a leggere e a scrivere).

Avremmo cercato qualcuno con cui unirci e

lottare, per ottenere prezzi più bassi sui generi

alimentari; qualcuno a cui raccontare che

nessun uomo ha il diritto di sfruttare altri

uomini, di ridurli in condizioni di

disagio estremo.

Qualche anno più tardi, nel

1906, nasce la CGL, la prima

Confederazione Generale del Lavoro, come

struttura capace di raccogliere tutte le forze

operaie. Alla base, la solidarietà generale tra

lavoratori (non si tratta soltanto di una

rappresentanza di mestieri), l’autonomia, il

pluralismo politico e religioso: questa

universalità di prospettive, di vedute, di

interessi è la forza di un’organizzazione

capace di vivere nel tempo.

Di festeggiare i 100 anni di storia e mostrare

sempre più vigore.

Ancora oggi migliaia di lavoratori contano sulla

CGIL. E ancora oggi lo spirito è quello di un

tempo: difendere la dignità dei lavoratori

(associati e non), percepirne le difficoltà, le

esigenze, avanzarne i diritti.

La CGIL ha sempre difeso gli interessi dei

lavoratori.

La forza degli uomini consiste nel fatto che essi

comprendono che la loro voce, da sola, può passare

sotto silenzio, mentre tante voci formano un coro

Page 23: Pubblico E Futuro

23

Durante il governo Giolitti, la CGIL, ha ottenuto

le prime leggi di tutela per le donne e per i

fanciulli, l’assicurazione obbligatoria contro gli

infortuni sul lavoro, il riposo settimanale, il

divieto del lavoro notturno in alcuni settori, la

riforma della Cassa Nazionale Invalidità e

Vecchiaia (primo embrione del futuro Istituto

Nazionale della Previdenza Sociale). Nel 1914

si è schierata contro l’intervento italiano in

guerra e alla fine del conflitto mondiale, si è

impegnata per ristabilire una situazione

oltremodo tragica (in questo periodo

consegue grandi miglioramenti; nel 1919, per

esempio, la Fiom ottiene la riduzione

dell’orario di lavoro a 8 ore giornaliere, una

conquista che ottenuta dalle mondariso

vercellesi nel 1906).

La CGIL ha superato gli anni estremi della

soppressione fascista (nel 1925 è annunciata

la fine delle libertà costituzionali, e con questo

atto la fine delle libere associazioni e del

sindacato: i fascisti si scatenano contro le

sedi delle Camere del lavoro, delle

cooperative, dei comuni amministrati dai

socialisti, in un clima continuo di aggressioni,

incendi, omicidi).

Rinasce, più forte, uscendo dalla

clandestinità, negli scioperi del 1944, quando

la condizione operaia ai limiti della

sopravvivenza spinge migliaia di lavoratori ad

organizzare movimenti di lotta, e in particolare

nel Patto di Roma del 3 giugno 1944, quando

ottiene il massimo dei riconoscimenti (vi sarà

solo un organismo su tutto il territorio

nazionale, la CGIL italiana). L’unità si spezzerà

in seguito, con la nascita di CISL e UIL, ma gli

obiettivi che la contraddistinguono non

verranno mai meno.

La CGIL è accanto alle donne, quando il 2

giugno 1946 ottengono finalmente il diritto di

voto, ma dovrà lottare con loro ancora per

molti anni perchè si attui l’art. 37 della

Costituzione sulla parità salariale

(l’eliminazione dai contratti collettivi nazionali

delle tabelle remunerative differenti per

maschi e femmine è sancita da un accordo

interconfederale del 1960).

Decisa più che mai a ricostruire il paese in

questo periodo difficile, mancano le

materie prime e il combustibile, le reti

stradali e ferroviarie sono devastate dai

bombardamenti, l’inflazione è alle stelle, si

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24

diffonde il mercato nero, la CGIL stipula

accordi nazionali che fissano salari, paga

base, indennità, assegni familiari.

Resiste, per merito della sua autonoma

pulsione, negli anni della Guerra fredda e proprio

il suo contributo ai lavori della Costituente

permette alla nuova Costituzione Italiana di

considerare il lavoro quale valore

fondamentale della vita sociale e civile e di

sancire l’assoluta libertà e volontarietà

dell’adesione all’organizzazione sindacale.

Supera gli anni

50, quando in un

clima di pesante

anticomunismo

scatta una dura

repressione nei

confronti dei militanti della CGIL in fabbrica e

nelle campagne (molti attivisti sono licenziati,

molti altri costretti a lavori degradanti): ma la

sua energia unisce i lavoratori occupati e i

disoccupati, gli operai delle fabbriche del

Nord e i braccianti delle campagne del Sud.

Perchè come sempre la CGIL è dalla parte

dell’Uomo.

Lo è anche negli anni 60, e con più precisione

nel ‘68, quando le lotte studentesche e

operaie mirano ad una migliore

organizzazione del lavoro, a un riesame di

contratti e orari, all’abolizione dei disagi

sociali. Molti fra coloro che avevano anche

solo 16 anni, nel 1968, parteciparono al

Primo corteo unitario di CGIL, CISL e UIL del 1°

Maggio, per celebrare la festa del lavoro. E si

sentirono tutti un po’ di più parte della storia.

Proprio gli anni ‘70 sono segnati da grandi

conquiste del lavoro (con lo “Statuto dei

Lavoratori”) e civili (grazie alle lotte di

emancipazione e liberazione femminile); che

sono questioni strettamente congiunte.

La CGIL è stata poi, con le altre

Organizzazioni sindacali, protagonista nella

lotta al terrorismo e alle sue devianti teorie.

Un sindacalista della CGIL di Genova, Guido

Rossa, sarà assassinato dalle brigate rosse

per la sua ferma opposizione al terrorismo e

per aver smascherato i suoi militanti.

Basterebbe trattenersi un po’ sulla storia della

CGIL e del sindacalismo in Italia dalla sua

nascita fino ai nostri giorni, per accorgersi di

quanta strada è stata percorsa verso

l’emancipazione, il riconoscimento, e

l’affermazione della dignità delle persone.

Chiunque vuole guardarsi intorno, può vedere

quante conquiste ha ottenuto la CGIL e il

sindacato italiano, e quante situazioni sono

ancora da risolvere: opposte religioni e civiltà

sono in continuo conflitto, la distanza tra

ricchi e poveri aumenta, il lavoro è più

precario e ancora una volta senza diritti, la

pensione non riconosciuta nella misura in cui

dovrebbe.

Ma se impariamo a viaggiare nel tempo e a

osservare con attenzione il mondo che ci

circonda, ci accorgiamo che la luce che ha

fatto brillare gli occhi di tutta quella gente più

di cento anni fa è la stessa che anima gli

sguardi di chi ancora oggi partecipa alla CGIL

per difendere i diritti di tutti: dei giovani, degli

anziani, delle lavoratrici, dei lavoratori

occupati e dei disoccupati.

Batte un cuore solo, da più di cento anni. Batte un cuore solo, da più di cento anni. Batte un cuore solo, da più di cento anni. Batte un cuore solo, da più di cento anni.

E farvi parte è possibile.E farvi parte è possibile.E farvi parte è possibile.E farvi parte è possibile.

SERGIO NEGRI

Page 25: Pubblico E Futuro

25

“Bo tsatì se pren se

gneun lo defend” (bel castello si prende se nessuno lo difende)

“La legalità è un valore di sinistra, e

condannare e combattere la violenza è di

estrema sinistra”.

Il virgolettato indica che non son parole mie,

evidentemente, ma mi concedo la licenza di

non citare la fonte per diversi motivi.

Innanzitutto, perché son parole di un esponente

politico. E le mie righe non saranno politiche.

Poi, perché chiunque può averle lette sulla

nostra amata “busiarda” e, oltre a considerare

inutile sottolineare cosa nota, le mie righe non

saranno parole d’altri.

E infine perché ho volutamente tagliato una parte

della breve citazione, considerando che

comunque essa può essere interpretata

diversamente a seconda del lettore, e le mie righe

non saranno nemmeno qualunquismi o frasi fatte.

Sempre che ci riesca.

L’argomento è complesso e

complicato, ha premesse,

estensione e conclusioni talmente

ampie e multiformi da non poter

essere affrontato pienamente e

oggettivamente né in poche righe, né,

soprattutto, dal punto di vista probabilmente

poco articolato e approfondito di un

comune cittadino quale io sono. Difficile

compito. Ma appassionante.

La citazione iniziale mi serve da abbrivio:

sinistra, legalità, violenza. Con l’aggiunta

dell’accrocco “combattere la violenza”, che

approva e condanna allo stesso tempo lo

stesso atteggiamento.

Parliamo di NoTav.

Il noto politico di cui sopra, giudica, nel breve

commento riportato da La Stampa il 16

maggio scorso, l’interesse dimostrato dal

regista Salvatores alla storia “NoTav”,

inappropriato e deplorevole, alla luce degli

ultimi avvenimenti in Valle.

Astenendomi, come detto, dalla valutazione

politica che non sarei comunque in grado

di sostenere, ho la tentazione irresistibile di

“rifinire” quel commento: non so ancora con

quali mezzi e con quale sguardo il regista

esporrà la storia del movimento NoTav, né so

se la sua opinione in proposito ne

condizionerà il racconto.

Ma la mia chiosa istintiva è riferita alla

valutazione negativa dell’interesse filmico,

che potrebbe rivelarsi invece un interessante

documento: dopo anni di attivismo non

esattamente estremo, né tantomeno anarco-

insurrezionalista, continuo a chiedermi come

mai tanto clamore e tanto interesse déstino e

abbiano destato, tanto sconcerto e tanto

scandalo suscitino i fatti di “violenza”

acclarata o presunta, di gruppi non meglio

identificati composti da personaggiucoli che

cavalcano l’onda del movimento e delle sue

contestazioni civili e democratiche, per scopi e

principi che sfuggono ai più (poiché avevo

promesso assenza di qualunquismi, eviterò

anche di soffermarmi su questo…) mentre

ancora non è possibile accedere a

informazioni approfondite e obiettive sulle

argomentazioni e sulle attività lecite e civili di

decine di migliaia di persone che protestano e

si oppongono alla realizzazione di un’opera

tanto monumentale quanto dispendiosa come

quella dell’alta velocità in Val Susa.

Da oppositrice convinta e civile, ho speso

ben più di quanto le mie finanze concedano

in libri e documenti che potessero

chiarirmi la situazione sotto ogni aspetto,

L’adagio “chi sa tace, chi non sa insegna”, come

quasi sempre vale per la saggezza popolare,

è adattabile alla condizione dei valsusini

Page 26: Pubblico E Futuro

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dai finanziamenti alla spesa complessiva

finale, dall’impatto ambientale a quello

sociale, dalla progettazione tecnica all’utilità

ultima, tutto ciò che potesse rendere il mio

punto di vista scevro da sentimentalismi

legati alla mia abitudinaria frequentazione

della Valle e mi rendesse consapevole delle

ragioni dei si e dei no nel modo più ampio

possibile.

Ma nonostante ciò, ogni qualvolta mi capiti di

affrontare l’argomento con un sostenitore, mi

rendo conto di quanto sia difficile perorare la

mia causa se il mio interlocutore non ha

almeno la mia stessa conoscenza del caso.

Al di là delle questioni meramente tecniche ed

economiche, difficilissime da riportare in una

discussione che solitamente si anima

immediatamente, perché sempre falsata da

prese di posizione squisitamente

“ideologiche”, sono sconosciute ai più le

istanze della popolazione valligiana.

Ho letto decine di blog, centinaia di pagine

web, sfogliato, sottolineato e riletto diversi

libri, ma qualunque tentativo faccia di

giustificare la mia posizione, regolarmente mi

trovo davanti un muro inespugnabile, l’unico

argomento forte contro il quale non riesco a

combattere: dovete condannare i violenti,

dovete isolare gli estremisti, ecc. ecc.

E questo è forse in definitiva tutto ciò che si

conosca.

Che quattro, o quaranta, o quattrocento imbecilli,

esaltati, violenti, prezzolati o perditempo,

assaltano la polizia, aggrediscono gli operai dei

cantieri, disturbano e provocano cortei altrui.

Sempre a scanso di qualunquismi, inutile

profondermi nella condanna alla violenza.

Ciò che, a mio avviso, rende sterile l’infinita

discussione, è la negazione di un diritto

elementare di democratico dissenso, agíta

attraverso una strisciante continua allusione a

una presunta anima violenta, antiprogressista

e antidemocratica del movimento, allusione

che dapprima nasconde e poi cancella, nella

percezione della massa, le vere intenzioni, le

reali istanze, necessità e difficoltà che, non le

migliaia di notav in generale, ma la gente di

valle, in particolare, da diversi lustri cerca a

gran voce di portare sotto i riflettori di una

politica che finora si è dimostrata perlomeno

disattenta (!) e di un’opinione pubblica

disinteressata, condizionata certamente

dall’immagine negativa e degradante del

movimento rimandata dai mass-media.

Non ho né gli strumenti né la posizione, né

tantomeno la presunzione, di voler indicare

modalità più oggettive e corrette di analisi e

approfondimento.

Ma sono certa di almeno due delle mie

considerazioni.

La prima: assente l’interesse spontaneo, è

impensabile che il Paese possa appassionarsi

alla causa dei valligiani se non attraverso un

input che giunga dai mezzi di comunicazione,

che non è solo carente, ma decisamente

inesistente, quando non, invece, denigratorio

e oserei dire offensivo, se si ostina a definire

violento e antidemocratico chiunque si

opponga alla Tav, senza distinguere tra “buoni

e cattivi” e se confonde aggressori e aggrediti

Page 27: Pubblico E Futuro

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dividendoli gli uni da una sola parte e gli altri

solo da quella opposta, senza valutare che

mille black-bloc agiscono in mezzo a

quarantamila anziani, bambini, famigliole e

donne come me. Sono questi ultimi a

diventare gli “aggrediti”, non solo dai violenti,

ma dalle etichettature ignobili di certa

comunicazione sommaria, politica e non.

La seconda considerazione è quella sul

“silenzio”.

L’adagio “chi sa tace, chi non sa insegna”,

come quasi sempre vale per la saggezza

popolare, è adattabile alla condizione dei

valsusini. Io sono solo una torinese

appassionata di montagna, attenta

all’ambiente e innamorata delle tradizioni e

della cultura popolare. L’impeto iniziale della

mia posizione certamente è nato dal cuore,

pur essendosi poi rafforzato con lo studio e la

partecipazione. Ma le frasieun, le bourjà, le

casin-e, i terên e i prà, appartengono ai

valligiani, e la loro voce continua a non

superare l’ostacolo innanzitutto di un’altra

aggressione, quella della facile accusa di poco

oculate scelte di portavoce inadatti, ma anche

quello di un oscuramento delle loro

argomentazioni, per la già detta omologazione

imposta tra “civili e incivili” e anche a causa di

un’inesistente volontà di ascolto e di

approfondimento, così come della ricerca di

un sistema realmente democratico che

permetta loro di esprimere le perplessità, le

preoccupazioni, i problemi economici, sociali e

culturali che si trovano a dover affrontare e

ogni più piccola necessità che possa averli

indotti al rifiuto di una tale monumentale

definitiva modifica del loro habitat, della loro

cultura, della loro vita.

Senza contare che, nell’esclusione del diritto

all’ascolto, vengono cancellate anche le

interessanti proposte alternative tutt’altro che

antiprogressiste che parti consistenti del

movimento hanno valutato ed elaborato per

giungere alle stesse finalità dei promotori del

sì, limitandone però i pesanti danni collaterali.

Come detto, mille possono essere le

interpretazioni della citazione iniziale.

Non so se combattere la violenza sia di

estrema sinistra, o semplicemente normale.

Anche se io direi “evitare, rifiutare,

respingere” e non “combattere”.

Ma so per certo che è vero che la legalità è un

valore di sinistra, e il movimento NoTav, quello

sano, al quale sento di appartenere, non può

e non deve prescinderne. Però, non solo di

sinistra, ma di una politica responsabile,

avveduta, progressista e critica, deve essere

un altro valore, che li comprende tutti: la

democrazia, costruita e consumata nel

rispetto e nell’ascolto delle minoranze e delle

autonomie. Una democrazia che, nel nostro

caso – e mi concedo un’altra licenza – getti

un tunnel di raccordo tra la velocità

inarrestabile del progresso e il solido pilone

portante della nostra cultura e della nostra

identità affondato nella terra, che di valle in

valle, di rio in rio, di montagna in montagna, è

quella di tutti noi.

DEBORAH LUGLI

Page 28: Pubblico E Futuro

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... che le rispondono così:

Vi ringrazio molto per le belle parole che avete voluto

dedicarmi. Sento forte l'onore e la responsabilità di

rappresentare le Istituzioni repubblicane in un momento così

difficile e delicato per il nostro Paese e ce la metterò tutta per

rispondere alla richiesta di cambiamento che gli italiani oggi

chiedono alla politica. Ritengo la vostra una bella iniziativa

a sostegno della sensibilizzazione sociale sulla questione

femminile nel nostro Paese, una questione di rilevanza

importante che deve essere affrontata da noi tutti.

Con i migliori saluti.

Laura Boldrini Presidente della Camera dei Deputati

Gentile Signora Politi,

la Ministra Kyenge la ringrazia per la cortese mail inviatale e

per l’iniziativa che il Coordinamento Donne CGIL Funzione

Pubblica Piemonte ha voluto farle conoscere; iniziativa di cui

la Ministra condivide lo spirito e gli intenti. La stima e

l’incoraggiamento manifestati nei suoi confronti le saranno di

aiuto nell’affrontare con serena disponibilità il delicato compito

a cui è stata chiamata. Augura a lei e a tutte le Donne buon

lavoro e invia i suoi migliori saluti.

La Segreteria

ROMA – 22 GIUGNO 2013

Manifestazione unitaria CGIL CISL UIL

TRE LEGGI PER LA GIUSTIZIA E I DIRITTI

Continua la raccolta firme http://www.3leggi.it/dove-firmare-3/

Taccuino

Mara Politi a nome del Coordinamento Donne, scrive a Boldrini e Kyenge...

Gentile On. Boldrini, Gentile On. Kyenge Come CGIL FP Piemonte, abbiamo da tempo costituito il Coordinamento DONNE per contribuire a sensibilizzare politica, istituzioni e società sulla questione femminile nel nostro Paese e sui reiterati e terribili fenomeni di violenza di genere, ormai giunti a un livello di emergenza esponenziale. Abbiamo appreso con soddisfazione e orgoglio le dichiarazioni sul quotidiano Repubblica, nelle quali si parla della possibilità di protestare contro questi tragici atti di femminicidio, fermandoci tutte per un giorno, condividendo una modalità già espressa dalla Signora Lella Costa. Siamo completamente d'accordo con una iniziativa di questo genere, peraltro da noi proposta per la giornata dell'8 marzo 211, in occasione della quale abbiamo creato e diffuso un libretto sul tema "UNA GIORNATA SENZA...", per far meglio comprendere come ogni giorno le donne siano il perno centrale attorno al quale ruotano vertiginosamente lavoro, famiglia, scuola, e privato e delle conseguenti difficoltà che il resto della società si troverebbe improvvisamente a dover gestire nel caso davvero decidessimo di fermarci per 24 ore, attraverso una giornata di sciopero/mobilitazione di tutte le donne, di ogni età, estrazione ed etnia! Rilanciamo pertanto la nostra "idea" (allegandone copia) a sostegno di ogni iniziativa che vorrete intraprendere a favore di una legislazione più severa nei casi di aggressioni con sfondo discriminatorio e per una maggiore sensibilizzazione circa il problema più generale della condizione femminile in Italia che, purtroppo, è anche gravata dall'impossibilità di accedere a un welfare pressoché inesistente, così come alla stabilità di un lavoro che per le donne è troppo spesso precario, sottostimato e calpestato. Carenze, queste, che hanno visto retrocedere la situazione femminile nel nostro Paese e parallelamente impediscono una condizione di pari dignità che deve tornare a essere un diritto garantito per tutte. Come sindacaliste, come cittadine, ma ancor prima come donne, Vi ringraziamo per le azioni che state mettendo in campo, che ci fanno sentire meno sole. La Vostra presenza ci rincuora e rafforza.

Mara Politi

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Il blog di Rossana Dettori http://senza-pubblico-sei-solo.com.unita.it/

Il sito web della Funzione Pubblica Piemonte http://www.piemonte.fp.cgil.it/in-evidenza.asp

Il Sito della CGIL nazionale.... http://www.cgil.it/

...e quello della Funzione Pubblica nazionale http://www.fpcgil.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1

Polizze Responsabilità civile per colpa grave http://www.fpcgil.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/22439

Corsi formazione ECM FAD http://www.fpcgil.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/24531

Ai seguenti link è possibile scaricare slides informative

sui fondi previdenziali Perseo e Sirio http://www.piemonte.fp.cgil.it/upload/piemonte/SIRIO-pensioni-Completo%20new.pdf

http://www.piemonte.fp.cgil.it/upload/piemonte/PERSEO-pensioni%20-CompletoNew.pdf

Dichiarazione di sostegno alla proposta d'iniziativa dei cittadini europei. http://www.fpcgil.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/22740

DIGNITÀ E DIRITTI UMANI

Sostegno alla Campagna per tre leggi di civiltà: Tortura, Carcere, Droghe http://www.3leggi.it/dove-firmare-3/

Pubblico in Rete