Pubblico E Futuro
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1
... Eppur si muove
Siamo ormai abituati a considerare da tempo i
contesti entro i quali sviluppiamo la nostra
azione sindacale sempre e comunque come i
più complicati, i più rischiosi per la tenuta di
quella idea di lavoro pubblico, di welfare e di
democrazia che caparbiamente la Cgil intende
continuare a rappresentare e a difendere.
Lo abbiamo fatto, negli anni recenti, di
fronte a Governi la cui “orgogliosa”
identità politica coincideva
perfettamente con una linea di totale
contrapposizione alla nostra; abbiamo
ripetuto tale considerazione anche
quando a quella precisa identità si
sono sovrapposte le caratteristiche
“tecniche”, solo in apparenza neutre.
Ma se ci interroghiamo sul livello di difficoltà
che ognuno di noi avverte oggi, non solo
rispetto ai drammi che una crisi lunga ormai
cinque anni ci consegna, ma anche e
soprattutto rispetto alla labilità,
all’indeterminatezza di una chiara prospettiva
politica per i prossimi anni, io penso che la
risposta possa essere univocamente questa: si,
oggi più che mai, avvertiamo tutto il peso di
un’ulteriore ed inaspettata difficoltà.
Quella di un Governo senza una identità precisa,
con contraddizioni al suo interno che giudicare
enormi è poco, con una idea di prospettiva che
non sembra non andare oltre l’oggi. Un Governo
debole, affermano in molti, sul quale il livello di
aspettativa e di speranza è stato percepito da
subito basso, quasi inesistente.
Io penso che, innanzitutto, la questione della
scarsa identità e della presunta debolezza di
Penso che lavorando con convinzione
alla ripresa di un percorso unitario il confronto
sul tema del lavoro pubblico possa e debba
riprendere con uno spirito più possibilista
di quelli che siamo riusciti a cogliere
anche nelle nostre controparti.
questo esecutivo siano considerazioni da fare
con prudenza e non perché le due singole
considerazioni non abbiano motivazioni
d’essere, ma perché insieme a ciò c’è un’altra
considerazione a mio giudizio importante che
deve accompagnarle: questo Governo, lunga o
breve che sia la sua durata, qualcosa deciderà di
fare, dovrà fare, tanto urgenti e pressanti sono le
questioni che il paese si trova ad affrontare nel
bel mezzo di questa crisi epocale.
Una intera classe politica, è ormai chiaro, sta
giocandosi la sua ultima chance, la sua ultima
opportunità di sopravvivenza e questa può
essere, almeno per me, la variabile impazzita
che rischia, in un verso o nell’altro, di
trasformare silenziosamente la debolezza di
questo Governo nella sua forza principale.
Dunque, dobbiamo essere cauti nel
considerare carature, prospettive e capacità di
incidere dell’esecutivo Letta, provando a fare i
conti, nella formazione delle nostre strategie
sindacali, anche con il fattore “ultima
spiaggia”: per quel che ci riguarda è proprio
quello che intendiamo fare come categoria.
Rivendicare con forza, oggi più di ieri, il rinnovo
del contratto collettivo nazionale di lavoro per
le lavoratrici e per i lavoratori pubblici, scaduto
da quattro anni, muove, da un lato dalla
riconferma che il tema del salario dei
dipendenti pubblici è oggi uno dei punti di
maggiore difficoltà per le persone che
intendiamo rappresentare (oltre che un
sacrosanto diritto che non intendiamo lasciare
sul campo di battaglia) e, dall’altro, dalla
consapevolezza che questo è un Governo che,
comunque, su questa questione dovrà
decidere, inevitabilmente e a breve.
Le reazioni che abbiamo registrato alla fine
della scorsa settimana, che consapevolmente
abbiamo voluto caratterizzare come Fp Cgil
sotto le parole “STOP PRECARIETÀ E SUBITO I
CONTRATTI” sono la dimostrazione, almeno a
mio giudizio, che quella presunta debolezza del
Governo, può trasformarsi da un momento
all’altro, pur anche in maniera sporadica e
schizofrenica, in una azione decisa e precisa
che deve essere misurata di volta in volta, di
volta in volta contrastata, rilanciata o condivisa.
Affermo ciò principalmente per due ragioni.
Per la prima volta abbiamo assistito a reazioni
di esponenti del Governo e/o del Parlamento
che non solo non hanno sbrigativamente
licenziato il tema del diritto al rinnovo del CCNL
come la solita “provocazione” di una Cgil che
non abbandona il suo “spirito corporativo e
conservatore”, ma che, al contrario, hanno
dato “diritto di cittadinanza” a queste ragioni,
pur, ovviamente, come ha fatto il Ministro
D’Alia, ponendo contestualmente il problema
delle risorse.
Non è un cambiamento epocale, certo, ma un
segnale che a mio giudizio va colto e
sperimentato fino in fondo, se vogliamo
seriamente provare a produrre un risultato a
riguardo.
L’altra ragione è legata al problema dei precari
delle pubbliche amministrazioni.
Il decreto licenziato oggi dal Consiglio dei
Ministri, che proroga di altri sei mesi la
scadenza dei contratti di lavoro precario è
l’altro segnale. Dovuto, potrebbero dire in
molti, inevitabile, aggiungeranno altri, ma, dico
io, non scontato, considerato l’approccio
“storico” che i Governi passati, per ultimo
quello del Professor Monti, hanno sempre
avuto quando si è trattato di dare risposte, pur
emergenziali, a questo problema.
Certo, adesso va aperta subito una
interlocuzione concreta con il Governo
affinché questo sia l’ultimo provvedimento di
proroga che preceda la definitiva stabilizzazione
degli oltre 160.000 lavoratori e lavoratrici
precarie; ma almeno una prima risposta
sembra essere stata data.
E allora, in conclusione, io penso che,
lavorando con convinzione alla ripresa di un
percorso unitario, per il quale la
manifestazione delle confederazioni indetta
per il 22 giugno pv. è un appuntamento
centrale, il confronto sull’intero tema del lavoro
pubblico possa e debba riprendere con uno
spirito più possibilista di quelli che, in altre
recenti occasioni, siamo riusciti a cogliere
anche nelle nostre controparti.
Magari, perché no, ricominciando quel
confronto proprio dall’intesa sul lavoro
pubblico sottoscritta unitariamente nel maggio
del 2012, intesa nella quale temi come la
riorganizzazione ed il miglioramento del
sistema dei servizi, la democrazia, la
contrattazione e, appunto, il lavoro, stabile e
precario, erano declinati in maniera totalmente
compatibile, almeno nei principi, con quell’idea
di lavoro, di welfare e di diritti propri della
nostra azione politica.
ROSSANA DETTORI
N. 2 – maggio 2013 In attesa di autorizzazione richiesta al Tribunale di Torino in data 29/1/2013
Il terzo numero di PubblicoeFuturo è nato dai pensieri e dalle penne di:
SARA BRUGA RSU Provincia di Torino – Segr. Fp Novara
STEFANO CARIANI Precario Regione Piemonte
ROSSANA DETTORI Segr. Gen. Naz.le FP CGIL
ELENA FERRO Segr. Conf. CGIL Piemonte
ANNADONATA GRECO Coord. FP CGIL Ministero Giustizia - DAP
DEBORAH LUGLI Redattore
LAURA MAZZETTI per conto Coord. Donne Sicurezza FP Reg.le
SERGIO NEGRI Giornalista
ITALO PEDACI Apparato FP Reg.le
MARA POLITI Segreteria Reg.le
ROBERTO RIGGIO RSU Arpa Piemonte
Le fotografie sono prodotte dalle compagne e dai compagni della categoria
Tutte le altre immagini sono prelevate dal web nel rispetto delle normative vigenti
Grafica e impaginazione Deborah Lugli Prodotto in proprio Funzione Pubblica CGIL PIEMONTE 10152 Torino, Via Pedrotti, 5 Chiuso il 23 maggio 2013
SOMMARIO
• ...EPPUR SI MUOVE Rossana Dettori
• IL FISCO IN PIEMONTE Elena Ferro 4
• PER I PRECARI, SEMPRE MENO “PUBBLICO E FUTURO”? Stefano Cariani 6
• IL FUTURO DELLE PROVINCE. UNO SGUARDO DALLA PROVINCIA DI NOVARA Sara Bruga 8
• UN COMITATO PROVINCIALE PER LA DIFESA DEL WELFARE Luciano Bersano 10
• MISSION POSSIBILE? Roberto Riggio 11
• LA STORIA DI UN CAMMINO IN SALITA Anna Greco 13
• DONNE IN POLIZIA: SPECIE PROTETTA Coord. Donne Sicurezza 16
• DANNI COLLATERALI Italo Pedaci 19
• L’AMORE CHE SI TRASFORMA NEL SUO OPPOSTO Mara Politi 21
• PIÙ DI CENTO ANNI Sergio Negri 22
• BO TSATÌ SE PREN SE GNEUN LO DEFEND Deborah Lugli 25
• Taccuino 28
• Pubblico in rete 29
4
Il Fisco in Piemonte
Sarebbe il tempo di riflettere su cosa ha
prodotto la riforma del titolo quinto della
Costituzione e sull'idea che il trasferimento di
funzioni dal centro al livello regionale potesse,
a parità di gettito, generare efficienze , perchè
i fatti sono altri: si sono moltiplicati i modelli e
i costi e forse anche le differenze, e non solo
tra nord e sud. È sicuramente così per la
politica fiscale. Il “decentramento” ha
prodotto un significativo incremento della
pressione fiscale sui contribuenti in Italia: dal
27% registrato nel 1970 (anno di nascita delle
Regioni) si è ora arrivati al 46%, per stima
dell'Unione Europea.
A ciò si aggiunga l’adozione del “Fiscal
compact” che impegna l’Italia e gli altri Paesi
Europei con un debito pubblico superiore al
60% del PIL a rientrare entro questa soglia
nell'arco di 20 anni. Ciò significa una cosa
sola: tagli alla spesa pubblica, ai servizi e ai
salari. Se mettiamo insieme le due cose,
risulta evidente come i destinatari di queste
manovre siano sempre gli stessi. I cittadini
lavoratori e i pensionati.
È indubbio, infatti, che il peso di questi
provvedimenti ispirati al rigore cada tutto su
lavoratori e pensionati. Vale anche per la
Regione Piemonte, che ha aumentato dal
2014 l'addizionale all'IRPEF regionale per
recuperare circa 160 milioni di euro utili a
ripianare i debiti di bilancio. L'80% dell'IRPEF
è pagata da lavoratori e pensionati.
Le imprese e le attività
finanziarie sono ancora una
volta escluse dal concorrere
a pagare il prezzo di una crisi
che interroga anche loro.
È positivo che la Giunta abbia accolto la
richiesta che CGIL-CISL-UIL del Piemonte
avevano avanzato un anno e mezzo fa di
introdurre gli scaglioni di reddito e le aliquote
differenziate, ovvero crescenti al crescere del
reddito, ma è assolutamente sbagliato
aumentare ancora la pressione fiscale in
Piemonte. Non è così che si crea sviluppo.
Noi abbiamo chiesto di colpire le ricchezze, ivi
comprese quelle patrimoniali, e di introdurre
fasce di esenzione per le categorie sociali più
deboli. Su questi temi non c'è stata nessuna
risposta, per questo occorre continuare la
rivendicazione.
Il risultato è che a differenza di quanto
dichiarato, le mani in tasca ai cittadini sono
state messe, eccome. E i fatti sono questi: dal
2008 ad oggi la pressione fiscale in Piemonte
per i redditi al di sotto dei 15.000 euro (al
lordo dell'aumento dal 2014) sarà
incrementata dell' 81%, contro un incremento
del 33% sulla fascia di reddito 28.000-55.000
euro e del 54,71% per la fascia oltre i
100.000 euro. Il messaggio è chiaro: Paga di
più chi è più debole. Altro che progressività ed
equità!
A ciò si aggiungano le reticenze ingiustificate
di molti EELL che non intendono applicare
differenziazioni in termini di esenzione tra
redditi da lavoro dipendente e autonomo.
Eppure la differenza è chiara: la base
imponibile dei redditi da lavoro dipendente è
fissata e inequivocabile, quella dei lavoratori
autonomi è auto dichiarata. È sbagliato non
tenerne conto.
A ciò si aggiungano gli aumenti effettuati dai
comuni. Vincolati dal Patto di Stabilità, alla
ricerca di risorse di cassa per pagare stipendi
e servizi, i Comuni hanno aumentato anche
finoall'aliquota massima l'addizionale all'Irpef
comunale. Sono 90 i comuni in Piemonte ad
averla applicata, per un totale di 1.538.772
abitanti. Significa che Torino è tra questi.
Purtroppo al momento solo 76 comuni nel
2013 hanno applicato aliquote progressive in
La difesa dei redditi di lavoratori e pensionati passa
attraverso la difesa e la rivendicazione dei contratti
nazionali di lavoro e della previdenza pubblica
5
base al reddito, per tutti gli altri gli aumenti
sono stati effettuati in modo lineare. Se non si
allarga l'ambito dell'applicazione della
manovra fiscale, sul fronte dei servizi la
contrazione delle risorse produrrà la
programmazione strutturale del taglio alla
sanità e ai servizi pubblici.
Se in Piemonte si potesse ragionare di entrate
nel loro complesso, allora vorremmo chiedere,
come abbiamo fatto ai tavoli regionali, che
l'IRAP, che finanzia la sanità pubblica, non si
deve ridurre indifferentemente, anzi può e deve
essere uno strumento per determinare quella
tassazione sulla ricchezza finanziaria che
manca in questo paese e in questa regione, a
differenza di altre.
La progressività che chiede il sindacato parla
anche di tassazione sulla casa. L'introduzione
della cedolare secca ha
garantito consistenti
risparmi fiscali per effetto
dello “sconto” sull'Irpef in
particolare per i redditi più
elevati detentori di immobili
da affitto. L'effetto di questa
tassazione agevolata ha
garantito un vantaggio fiscale
e un risparmio con effetto
regressivo sul reddito! E sono
i detentori di grandi patrimoni
immobiliari che ci hanno
guadagnato di più.
Sull'IMU: chiedere oggi la
cancellazione della tassazione
sulla prima casa senza tenere conto dei
patrimoni è sbagliato. La CGIL ne chiede la
cancellazione, ma per i detentori della prima e
unica casa, applicando sul resto quel principio
di progressività sui redditi ivi compresi quelli
da patrimoni mobiliari e immobiliari troppo
spesso esclusi dalla base di calcolo.
È certo che la difesa dei redditi di lavoratori e
pensionati passi attraverso la difesa e la
rivendicazione dei contratti nazionali di lavoro
da un lato e della previdenza pubblica dall'altro.
Ma la revisione complessiva del sistema del
prelievo fiscale in questo Paese è altrettanto
urgente e necessita di riequilibrio.
È ciò che la CGIL chiede da tempo e che
sempre più consapevolmente i cittadini anche
nella nostra regione sostengono.
Lo testimonia la grande partecipazione allo
sciopero e manifestazione del 18 aprile contro
le politiche regressive del Governo Cota.
Quelle cittadine e cittadini chiedono risposte
forti. Il sindacato deve sapere rappresentare
quella domanda di equità che si leva con forza
dai luoghi di lavoro a partire dalla nostra
regione.
ELENA FERRO
6
Per i precari, sempre meno
“Pubblico e Futuro”?
"Ancora un articolo in cui dobbiamo raccontare
chi siamo??!!" Quando ci hanno chiesto un
contributo da parte dei precari della Regione
Piemonte per Pubblico&Futuro, questa è stata
la risposta generale.
Siamo 198 dipendenti della Regione, in
servizio a tempo determinato dal 2010.
Abbiamo vinto un concorso pubblico che
avrebbe dovuto essere “di stabilizzazione”,
indetto allo scopo di sanare le molteplici
situazioni di precariato (co.co.co., partite IVA
ecc.) presenti nell’Ente, ma le mutate
condizioni politiche e normative hanno
bloccato il percorso di stabilizzazione.
Lottiamo da anni per uscire da una situazione
paradossale che si è creata per rimpalli tra
diverse parti politiche e per problemi tecnici e
normativi che sembrano insormontabili.
E siamo stanchi, molto stanchi, ma
continueremo a denunciare la nostra
situazione finché ne avremo la forza.
La comunicazione è una delle nostre armi
pacifiche: scrivere, raccontare chi siamo,
tenere alta l'attenzione su di noi, perché per
noi il silenzio è mortale.
E allora eccoci qua. La lotta per la
stabilizzazione è anche fatta di visibilità:
siamo su Facebook con la nostra pagina
“Appigli Precari”, abbiamo stampato un
opuscolo con le nostre "Storie Precarie",
siamo stati protagonisti di un servizio di
Santoro, siamo sempre dietro al nostro
striscione ogni volta che il sindacato scende in
piazza. Affianchiamo nella vita sindacale i
colleghi che, beati loro, l’ansia di vedere una
data di “fine contratto” sul cedolino dello
stipendio a fine mese.
Lottare per avere ancora un lavoro tra sei
mesi è stancante, così come è stancante
dover scrivere, apparire, farsi notare.
Lavorare per lavorare: a volte ci sembra
assurdo.
Ma in verità c’è anche un altro motivo per cui
non volevamo perdere questa occasione: ci
piace il titolo del giornale che ci ospita.
“Pubblico e FuturoPubblico e FuturoPubblico e FuturoPubblico e Futuro”.
Perché la parola “pubblico” porta con sé il
concetto di bene comune, di lavoro "per tutti",
di un lavoro che mette al centro il cittadino,
senza un padrone, senza una parte
politica che ci consideri al proprio
servizio. Siamo precari e siamo deboli,
tuttavia non siamo proprietà di
nessuno.
Orfani di una politica che ci rifiuta, che fa finta
di non vederci e che non sa costruire il futuro.
Ed è proprio questa la parola che ci piace di
più: Futuro. Ci piace, anche se a noi manca.
Lottare per avere ancora un lavoro tra sei mesi
è stancante, così come è stancante dover
scrivere, apparire, farsi notare
7
STEFANO CARIANI
Tra sei mesi scadiamo come un latticino e
dovremo abbandonare le nostre postazioni
con le attività che seguiamo da anni, in alcuni
casi più di un decennio.
Forse saremo sostituiti da esternalizzazioni,
forse le nostre attività saranno gestite dai
privati, perché stiamo andando verso una
Regione con poco Pubblico e poco Futuro.
Noi non ci arrendiamo. Ci crediamo ancora e
lotteremo fino alla fine per difendere il futuro
nostro, ma soprattutto quello dei servizi
pubblici che portiamo avanti.
Speriamo davvero che il titolo di questo
giornale ci porti bene.
8
Alla quotidiana, frustrante difficoltà nel fare il
proprio lavoro, si accompagna il senso
di insicurezza generato all’impossibilità
di intravedere quale sarà lo sbocco futuro
Il futuro delle Province.
Uno sguardo dalla Provincia
di Novara
1339 kmq di territorio, 800 km di strade, 20
sedi di scuole medie superiori, 2 centri per
l’impiego, una popolazione di oltre 372 mila
abitanti, 88 Comuni: questa è la composita
realtà per la quale la Provincia di Novara ha
lavorato nel trascorso 2012, riuscendo a
rispettare il patto di stabilità anche se con
risorse sempre più risicate.
Quanto al futuro, che è poi il presente di
quest’anno che sta trascorrendo nella
massima incertezza, non è dato sapere.
La Provincia di Novara infatti condivide la sorte
di tutte le altre Province: i pesantissimi tagli, i
mancati trasferimenti, il caos normativo
gettano un’ombra lunga sul destino di servizi
essenziali per la vita dei cittadini ed anche sul
futuro lavorativo dei suoi 260 dipendenti.
Si naviga a vista, cercando di non
venir sommersi dalle onde che si
susseguono a ritmo sempre più
incalzante.
Il prossimo maroso si chiama
bilancio dell’esercizio 2013: pur
avendo tagliato tutto il tagliabile, senza
un’iniezione di risorse trasferite da Stato e
Regione, non vi è la certezza che si riuscirà a
predisporre il principale strumento finanziario
di un Ente che non ha entrate proprie e che si è
visto tolte anche quelle poche che aveva.
Ed è grave.
È grave perché quei servizi dei quali i cittadini
hanno fruito sino ad oggi, ritenendoli
(giustamente occorre dire) dovuti, oggi
vengono messi in forte discussione: pensiamo
alla tenuta del sistema del trasporto pubblico
o alla semplice manutenzione delle strade e
delle scuole, ai servizi per il lavoro.
Così come si sta definendo, la situazione
risulta assolutamente difficile da sostenere
anche per i 258 lavoratori della Provincia di
Novara che,in un rapporto di 1 dipendente
ogni 1442 abitanti, sono coloro che sino ad
ora hanno garantito la continuità dell’azione
amministrativa, in alcuni casi con un
supplemento di volontarietà per cercare di
riequilibrare la carenza di risorse.
La quotidiana difficoltà nel fare il proprio
lavoro risulta oltremodo frustrante. A essa si
accompagna il senso di insicurezza generato
all’impossibilità di intravedere quale sarà lo
sbocco futuro dell’attuale stato di cose.
Le preoccupazioni più immediate riguardano
la corresponsione degli stipendi: non che la
Provincia di Novara sino a oggi abbia
dichiarato delle reali difficoltà al riguardo;
tutti gli impegni contrattuali sono stati
rispettati e le mensilità sono state versate
senza ricorrere, ad esempio, alle
anticipazioni di cassa. Ma è pur vero che le
ingiunzioni di pagamento delle aziende di trasporto
creditrici nei confronti dell’Ente, il fatto che la
Regione non trasferisca le somme legate alle
deleghe e la riduzione dei fondi da parte dello
Stato non consentono di delineare una
prospettiva tranquillizzante. La prima esigenza
diventa quella di definire a livello regionale le
9
modalità di rientro delle somme che la
Provincia di Novara e le altre Province
piemontesi si aspettano dalla Regione, anche
in considerazione del fatto che il Piemonte è
sicuramente una delle realtà nelle quali la
delega di funzioni dalla Regione alle Province è
avvenuta in maniera più accentuata che
altrove: questo consentirebbe di continuare a
gestire i servizi e ai lavoratori di guardare con
meno pessimismo al loro immediato futuro.
Anche se non risolverebbe il problema alla
radice.
Rimane infatti aperta la questione sul che cosa
succederà alle Province e ai suoi dipendenti.
La mancata conversione in legge del D.L.
188/2012, che lasciava le Province
accorpandole, ha riportato al centro il tema
della loro abolizione.
Lo si farà per via costituzionale questa volta?
E intanto? I servizi gestiti a livello provinciale
che fine faranno e che fine faranno quei
lavoratori che vi si dedicano? Anche a questo
riguardo un confronto con la Regione su come
intenda ridistribuire le deleghe diventa
necessario. Ma un ragionamento di più ampio
respiro urge a livello centrale.
È pensabile che il nuovo Esecutivo affronti la
questione del riordino del sistema delle
autonomie, smettendo di essere ostaggio di
pulsioni demagogiche e/o di bassi interessi di
campanile?
Le prime uscite sul tema, a dire il vero, non
sono parse confortanti.
La speranza è che, se inizierà a farsi strada la
convinzione che occorra mettere mano a
misure per la crescita, questo valga anche per
la pubblica amministrazione e soprattutto per
gli enti locali; e se centrale diverrà il tema
dell’occupazione e dell’occupazione giovanile,
lo diventi anche per il settore pubblico e non
si pensi, viceversa, a una riduzione nel
numero dei dipendenti pubblici (ritenuti
esclusivamente un costo e non una risorsa),
partendo proprio dalle Province e dando in
pasto all’opinione pubblica non solo un
segnale anti-casta ma anche il posto di lavoro
di migliaia di lavoratori.
SARA BRUGA
Il seminatore Vincent Van Gogh, 1888
10
Un Comitato provinciale per
la difesa del welfare
Verso la fine del 2012, a Cuneo si costituì un
comitato provinciale composto dalle
Organizzazioni Sindacali, i Consorzi Socio-
Assistenziali, Confcooperative, Legacoop ed i
rappresentati delle Case di Riposo pubbliche.
La necessità di raccogliere intorno ad un unico
tavolo rappresentanze così diverse nacque da
una situazione creditizia nei confronti della
Regione in materia di erogazione di
finanziamenti che vedeva la Provincia di Cuneo
particolarmente penalizzata rispetto a restante
territorio regionale, con un arretrato di
pagamenti per le forniture di servizi che
superavano i 400 giorni.
Attraverso un proficuo quanto rapido lavoro di
gruppo, si è riusciti a organizzare una
manifestazione provinciale in difesa del welfare
che il 2 febbraio scorso ha visto migliaia di
cittadini cuneesi scendere in piazza a
rivendicare il diritto all'assistenza per anziani,
disabili, giovani in difficoltà, cioè per la fascia
più debole e dimenticata della società.
La giornata di protesta ha prodotto un risultato
molto importante: nel giro di un mese, l'ex
assessore Monferino licenziò una delibera che
assegnava alle Asl cuneesi una somma che
riusciva a riportare la loro situazione al pari di
quello delle altre strutture piemontesi.
Ovviamente però i problemi delle risorse per il
socio assistenziale non solo non sono
assolutamente risolti, ma, come tutti
sappiamo, il rischio che la situazione imploda a
breve è tangibile.
Per questi motivi, la settimana scorsa il
Comitato è tornato a riunirsi, decidendo di
continuare il lavoro iniziato allora per mantenere
alta l'attenzione dei cittadini e della politica
sulle questioni sociali, convenendo sulla
necessità di continuare a fare fronte comune
pur nel pieno rispetto delle singole realtà.
In quella sede, si è prodotta una richiesta
d'incontro al neo assessore Cavallera ed un
comunicato inviato agli organi d'informazione
per reiterare l'allarme sulla drammaticità della
situazione.
Si è inoltre concordato di incontrarsi
nuovamente a breve, sia per mettere in
campo altre iniziative pubbliche sia per
affrontare congiuntamente l'esame dei vari
capitoli del socio assistenziale al fine di
evidenziarne le maggiori criticità ed avere
quindi uno screening compiuto della realtà.
Come Funzione Pubblica e come Camera del
Lavoro di Cuneo riteniamo che questa
sperimentazione locale sia un importante e
positivo tentativo di far confluire esperienze e
conoscenze diverse in un unico grande
obiettivo: la salvaguardia del bene pubblico.
Forse siamo troppo
ambiziosi, ma tentare, come
si sa, non nuoce...
LUCIANO BERSANO
Il Comitato Provinciale continua il lavoro iniziato
nel 2012 per mantenere alta l'attenzione
dei cittadini e della politica sulle questioni sociali
11
Mission possibile?
L’Arpa Piemonte (Agenzia Regionale per la
Protezione dell’Ambiente) è un Ente pubblico
costituito con Legge regionale n. 60 del 1995
e s.m.i. per il controllo, il supporto e la
consulenza tecnico scientifica agli Enti
amministrativi (Regioni, Province e Comuni) e
alle ASL sulle tematiche attribuite dalla legge
nel campo della prevenzione e tutela
ambientale.
Un campo vasto di intervento in materia
ambientale (e di supporto ad attività
sanitarie), mai definito nel dettaglio, i cui limiti
sono oggetto di continua negoziazione che ne
rende indefinita la mission. Inutili sino ad oggi
i tentativi, anche sindacali, di un maggior
dettaglio delle attività che ne rendano certe
attività istituzionale e finanziamento. Un Ente
posto sotto la vigilanza del Presidente della
Giunta regionale, che ne nomina anche il
Direttore Generale.
È chiaro, sin da queste prime righe, come una
della principale criticità sia legata
all’interazione delle tematiche trattate
dall’Agenzia e il mondo della politica.
Non a caso Giunte di centro destra e di centro
sinistra si sono avvicendate nello spoil system
dei vertici dell’Agenzia, con ricadute nelle
alterne ascese dei singoli dirigenti.
L’attività dell’Agenzia è condizionata dagli atti
del “comitato regionale di indirizzo” che ne
definisce gli obiettivi strategici, ma oggi
l’attività è resa sempre più difficoltosa
soprattutto dalla continua riduzione del
finanziamento regionale che è passato da 79
milioni di euro nel 2008 agli attuali 67 milioni
per il 2013 (- 15,2%) e dalle difficoltà legate
alla disponibilità di cassa, con ritardi di circa
6-7 mesi nei pagamenti dei fornitori.
Nonostante il percorso positivo della
stabilizzazione concluso nel 2009, il
personale è stato ridotto con un sostanziale
blocco del turn-over da 1200 a 1060,
malgrado il rispetto formale dei vincoli relativi
alla spesa per il personale avrebbero potuto
prevedere reintegri parziali del personale
cessato.
Una riduzione particolarmente preoccupante
per la tenuta di un’attività che si esercita su
tutta la Regione ma con una struttura
fortemente legata al territorio provinciale e
caratterizzata da una elevata professionalità e
da un lavoro che vede nel contributo umano il
principale fattore di realizzazione.
La precedente Direzione Generale attraverso
la predisposizione di un “piano di
riposizionamento” fatto di soli tagli alle
strutture ha provato a ridimensionare in
particolare la struttura laboratoristica.
Un “piano” bocciato dalla RSU di Arpa
Piemonte e che ha visto la risposta
organizzata dei Lavoratori che in più occasioni
si sono mobilitati per dire NO al “piano”.
Volantinaggi, assemblee, contatti con assessorati
provinciali, presidi, flash
mob… tutte iniziative nelle
quali abbiamo curato con
particolare attenzione sia
la costruzione di un ampio
fronte interno tra i lavoratori
(coinvolgendo anche i lavoratori non
direttamente colpiti) sia l’informazione nei
confronti della cittadinanza e dei media.
Una mobilitazione continua, che ha portato
nell’arco di un anno e mezzo a una serie di
iniziative articolate su più territori o a valenza
regionale e che hanno visto i Lavoratori, la FP
CGIL aziendale e la RSU in prima fila.
L’organizzazione sindacale in una “Azienda”
come l’Arpa è infatti caratterizzata da una
difficoltà legata alla frantumazione del Lavoro
su più sedi e su attività differenti, che richiede
Occorrono segnali di inversione
riguardo alla situazione di “declino” dell’Agenzia.
Molte strutture in grande difficoltà faticano a mantenere
standard quantitativi e qualitativi
nonostante l’impegno del personale
12
una struttura radicata e capacità di
coordinamento delle iniziative.
La FP CGIL è quindi organizzata in Arpa
attraverso un Comitato Iscritti recentemente
rinnovato e strutturato come un
“coordinamento regionale” per garantire
rappresentanza sindacale in tutte le principali
sedi lavorative.
Il “piano” della Direzione Generale è stato
sconfitto, accantonato con la nomina del
nuovo Direttore Generale. Resta però una
situazione di “declino” dell’Agenzia, alla quale
occorre dare segnali di inversione in tempi
rapidi. Molte sono le strutture oramai in
grande difficoltà e che faticano a mantenere
standard quantitativi e qualitativi nonostante
l’impegno del personale.
Non è più rimandabile il problema della
progressiva riduzione del personale, della
definizione di carichi di lavoro e dotazioni
organiche, nonché la necessità di investimenti
per la parziale sostituzione di un parco
strumentale oramai tecnologicamente “anziano”.
ROBERTO RIGGIO
13
La storia di un cammino
in salita
L’attenzione della CGIL FP piemontese è da
tempo rivolta alla domanda di salute che viene
dal carcere e dagli operatori che vi lavorano.
La privazione della libertà comporta in realtà la
perdita o la riduzione di una serie di diritti
fondamentali. Tra questi, nel primo convegno
sul tema del Giugno 2004, il diritto alla salute
era stato espressamente indicato come uno
dei più complessi e difficili da garantire, molto
più di quanto avviene nel mondo libero, dove
pure è sempre più caratterizzato da gravi
disuguaglianze nell’accesso alle
prestazioni sanitarie e alla qualità
dei servizi. La sistematica azione di
smantellamento del welfare
operata negli ultimi anni ha
alimentato nuove forme di disagio
in termini di salute e acuito le condizioni di
sofferenza della parte più fragile della
popolazione.
Era quindi inevitabile che un sindacato come la
Cgil focalizzasse il suo impegno sulle condizioni
di salute di un carcere che sempre più assumeva
la funzione di contenitore di povertà, sempre più
ospitava tossicodipendenti, stranieri, portatori di
disturbi psichici, impossibilitati a trovare risposta
nei servizi territoriali e penalizzati da leggi
razziste e liberticide come la Bossi Fini e la Fini
Giovanardi.
Per questo anche a livello regionale è stata
affrontata con determinazione la straordinaria
battaglia per la riforma della sanità
penitenziaria in carcere, per cancellare l’anomalia
che per anni ha visto le funzioni di assistenza
sanitaria ai detenuti affidata al ministero della
Giustizia anziché a quello della Salute.
Un palese violazione della Costituzione, dove il
diritto alla salute è inteso come “diritto
sociale”, che realizza nella sanità il principio di
eguaglianza fra i cittadini.
Per lunghi anni le Amministrazioni della
Giustizia, pur avvalendosi spesso di
professionalità capaci e motivate, hanno
prestato funzioni improprie, inevitabilmente
condizionate da una logica securitaria, in
mancanza di un reale collegamento con la
programmazione sanitaria nazionale e
regionale.
La sollecitazione e il monitoraggio della
Riforma, già delineata nel DLgs 230 del
1999, ma attuata solo con il DPCM 1 Aprile
2008, sono stati perciò, anche a livello
regionale, oggetto di incessante impegno.
Nel convegno presso la Camera del Lavoro di
Torino del 24 Maggio 2007, i sottosegretari
alla Giustizia e alla Salute Manconi e Gaglione
si impegnarono per l’attuazione della legge e
fu lanciata l’idea della nascita di un Forum
regionale.
Prima declinazione territoriale del Forum per il
diritto alla salute nazionale, quello del
Piemonte si è costituito nel Dicembre del
2007, promosso dalla Fp Cgil e Cgil e da
Antigone, con la progressiva adesione di altre
importanti realtà associative.
Dopo il DPCM 1 Aprile del 2008, l’impegno si
è intensificato: era giunto il momento più
delicato, quello in cui le regioni dovevano
riorganizzarsi sulla base delle nuove
competenze, e stabilire con le
Amministrazioni della Giustizia procedure
operative per conciliare le esigenze di salute
con quelle di sicurezza.
Dal marzo 2008 il Forum partecipa al Gruppo
Tecnico interistituzionale regionale atto a
programmare e monitorare il percorso di riforma.
Ha contribuito alla definizione del nuovo
modello regionale di assistenza sanitaria in
Nella battaglia degli anni ’60, le leggi 180 e 833 del 1978 decretavano la chiusura dei manicomi
ma per la cultura e la politica del tempo, non posero fine alla segregazione dei pazienti
con problematiche giudiziarie
14
carcere, del Protocollo d’intesa tra Assessorato
alla Salute e Amministrazioni della Giustizia,
delle Linee di indirizzo in tema di assistenza ai
detenuti affetti dalle diverse patologie.
Lo scenario, anche nazionale, in cui si è
realizzato la fase di applicazione del DPCM
1/04/2008, non è stato certo tra i più
favorevoli, considerati lo stato di povertà e
sovraffollamento del mondo carcerario, e gli
interventi di riduzione della spesa nel settore
sociosanitario.
Ci sono stati i ritardi nel trasferimento delle
risorse, negli adempimenti previsti, nella
realizzazione di nuovi modelli idonei a
concretizzare i principi innovatori in tema di
prevenzione, continuità assistenziale,
collegamento con la rete dei servizi del territorio.
Ma tutto ciò, unito alla consapevolezza che
ogni importante processo di cambiamento
incontra resistenze e difficoltà proporzionate
alla sua portata innovatrice, ha sempre
significato un rinnovato, vigile impegno.
Con altre 2 iniziative pubbliche del 2009 e
2011 si è fatto il punto sullo stato di salute del
servizio sanitario penitenziario in Piemonte, sul
complesso e spesso sofferente mondo degli
operatori, sul nodo critico e irrisolto del servizio
psicologico in ambito penale.
Nel frattempo, il Forum è entrato a far parte
della Commissione tecnica regionale per la
definizione del percorso di superamento degli
Ospedali Psichiatrici Giudiziari.
È un altro pezzo importante del cammino, che
ci deve vedere presenti.
Nella coraggiosa battaglia degli anni ’60
contro le istituzioni totali, le leggi 180 e 833
del 1978 decretavano la chiusura dei
manicomi ma non giungevano, per i limiti
dettati dalla cultura e dalla politica del tempo,
a porre fine alla segregazione dei pazienti con
problematiche giudiziarie.
Nel corso degli anni alcune sentenze della
Corte Costituzionale si sono pronunciate per
la possibilità di trattamenti alternativi all’Opg
in ogni fase.
La svolta decisiva è stata costituita dal DPCM
del 1 Aprile 2008 che, indicando le modalità e
i criteri per il passaggio di funzioni di
assistenza sanitaria, ha definito anche le
linee di indirizzo per un progressivo
superamento e la chiusura degli Opg.
Il 21 Novembre 2011, subito prima che l’art.
3-ter fissasse la data definitiva della
chiusura degli OPG, veniva realizzata dal
Forum, dalla FP Cgil e dalla Cgil Piemontese
una affollatissima iniziativa pubblica, con la
partecipazione del senatore Ignazio Marino,
per sensibilizzare la cittadinanza e verificare
criticità, risorse e potenzialità del territorio in
merito all’ importante nuovo percorso.
Adesso questo è in pieno svolgimento e la
sua complessità merita uno spazio apposito.
Lo spirito con cui lo stiamo compiendo rimane
però sempre quello che ha caratterizzato il
nostro agire: trasformare le sfide in
opportunità.
Antigone Marie Spartali Stillman (data ignota)
15
Occuparsi dei cittadini piemontesi ancora
presenti negli OPG può essere l’occasione per
fare chiarezza su progettualità e competenze
in campo di riabilitazione psichiatrica e per
creare o riannodare la filiera di servizi e
presidi che possano concretamente rendere
il territorio il luogo di cura individuato dalla
legge Basaglia.
Combattere una doverosa battaglia che
apparentemente riguarda solo i diritti di una
fragile e minoritaria parte dei cittadini può
rivelarsi in realtà una grande opportunità di
crescita per il complessivo progetto di salute
mentale della nostra regione.
Occuparsi dei cittadini piemontesi ancora
presenti negli OPG può essere l’occasione per
fare chiarezza su progettualità e competenze
in campo di riabilitazione psichiatrica e per
creare o riannodare la filiera di servizi e
presidi che possano concretamente rendere
il territorio il luogo di cura individuato dalla
legge Basaglia.
Combattere una doverosa battaglia che
apparentemente riguarda solo i diritti di una
fragile e minoritaria parte dei cittadini può
rivelarsi in realtà una grande opportunità di
crescita per il complessivo progetto di salute
mentale della nostra regione.
ANNA GRECO
16
Donne in polizia: specie
protetta Durante la Conferenza Nazionale delle Donne
FP CGIL del 10 maggio 2013, abbiamo messo
in evidenza con il nostro intervento che il
Corpo Forestale dello Stato in Piemonte (che
insieme a Polizia Penitenziaria e Vigili del
Fuoco appartiene alla Funzione Pubblica), ha
ritenuto di investire energie su questo
comparto particolarmente in difficoltà e in
particolar modo si è deciso di costituire un
coordinamento delle donne delle forze di
polizia nazionali includendo anche, nel caso
Piemontese, la polizia locale. Vorremmo in
questa occasione illustrare proprio la
situazione delle donne in questo comparto da
molti considerato residuale e senza diritti di
uomini e donne in divisa, ma che in realtà
impiega circa 350.000 addetti, il Comparto
Sicurezza e Soccorso.
Questo comparto è composto di 5 corpi di
polizia di cui due ad ordinamento militare
(Carabinieri e Finanza) tre ad ordinamento civile
(Polizia di Stato, Forestale, Polizia Penitenziaria)
e il settore del soccorso (Vigili del fuoco) e tutti
sono sempre stati
considerati per vocazione
a prevalenza maschile.
Benchè le funzioni ed i
compiti lavorativi siano
molto simili la situazione
giuridica economica e sindacale è piuttosto
variegata, e infatti di queste 5 entità solo 3
sono in Funzione Pubblica (Forestale,
Penitenziaria e Vigili del Fuoco).
Con grosse difficoltà negli anni ’80 si
comincia a considerare l’idea di permettere
l’ingresso delle donne nel comparto.
Tuttavia, mentre nel 1982 venivano
ammesse nelle carriere iniziali della Polizia di
Stato le prime donne, nel Corpo Forestale
dello Stato in opposizione alle prime
assunzioni un r icorso, mot ivato dal la
diminuzione di prestigio che le donne
avrebbero portato al corpo, farà slittare le
prime femminili al 1992.
Ci vorranno ancora circa vent’anni affinché
questo ambito traguardo si realizzi nei corpi di
polizia militari e nelle forze armate, dove i
primi ingressi avverranno nel 2000.
Nonostante la grande rilevanza data alla
presenza delle donne nei corpi di polizia e
nei corpi militari, in realtà questa è poco
più che un’operazione di immagine per
dimostrare lo sforzo fatto dall’Italia per
raggiungere questo utopico obiettivo della
parità tra i sessi.
Guardando più nello specifico le singole
situazioni ci si rende conto che proprio
l’ultimo arrivato, ovvero il Corpo Forestale
dello Stato, detiene la palma della presenza
femminile con una percentuale che si
avvicina al 17,5%, seguito a ruota dalla
Polizia di Stato e come fanalino di coda la
Polizia Penitenziaria (2,7%), mentre nei
corpi di Polizia ad ordinamento militare
(Arma dei Carabinieri e Corpo della Guardia
di Finanza) e nelle forze armate la presenza
femminile si attesta su una percentuale
che si aggira intorno al 3-4%.
Di contro se si prende ad esempio un
istituzione come la Polizia Locale, che
percorre le stesse tappe dei corpi nazionali,
arriva ad avere oggi nella città di Torino, il
40% di donne.
Bisogna specificare che il sorpasso del Corpo
Forestale rispetto alla Polizia di Stato è da
imputarsi ad una operazione svoltasi nel
silenzio assoluto e che non viene mai citata,
neanche durante le celebrazioni dell’8 di Marzo.
Infatti, dopo il 1996 non sono più stati banditi
concorsi pubblici nella Polizia di Stato e le
La norma introdotta con la Legge 226 del 2004
è discriminatoria verso una fetta della popolazione
italiana, che non rappresenta una minoranza,
ma supera la metà del totale dei cittadini italiani
17
uniche assunzioni di personale sono state
operate attraverso l’assorbimento del
personale ausiliario che svolgeva il periodo di
leva presso il Corpo.
Ovviamente, tale personale era
esclusivamente maschile e ciò ha permesso
di limitare la presenza femminile divenuta, a
dire di alcuni, ingombrante.
A ben vedere i numeri, risulta evidente il
successo di questa operazione, infatti se tra il
personale con 15 anni di anzianità le donne
rappresentano il 17%, tra i ruoli con anzianità
da 0 a 5 anni scendono bruscamente al 6,4%,
per arrivare infine al 3,7% tra i neo assunti.
(fonte “POLIZIA MODERNA” Aprile 2006).
Nel corpo nazionale dei Vigili del Fuoco le
percentuali di personale femminile operativo
(mai censite) possono essere considerate
irrisorie. Con l’abolizione della leva
obbligatoria, lo stesso risultato è stato
perseguito con una legge poco conosciuta e
poco pubblicizzata, la Legge 226 del 2004,
con la quale si impone a tutti i corpi di polizia
l’assunzione di personale di tutto il personale
dai militari in ferma volontaria (per i Vigili del
Fuoco la quota è della metà del personale),
dando così la spallata definitiva alla questione
femminile nel comparto sicurezza e soccorso,
viste le percentuali irrisorie delle donne nelle
forze armate.
Nell’anno 2000 Valdo Spini, presidente della
Commissione Difesa della Camera,
sottolineava che l'obiettivo era di arrivare al
10 per cento di presenza femminile
nell’esercito, di fronte all'11 per cento degli
Stati Uniti, al 2,5 per cento della Francia e al
6,5 dell'Inghilterra.
Secondo gli ultimi dati disponibili, risalenti al
31 dicembre 2007, le donne in divisa
nell'Esercito erano circa il 3%.
I dati dimostrano che nelle forze armate non
sarà possibile superare le quote attuali se, a
sette anni di distanza dalla legge di
immissione delle donne nell’Esercito, la
percentuale si era assestata.
Di conseguenza anche i Corpi di Polizia che
assumono direttamente dall’Esercito non
possono sperare in un effettivo incremento di
personale femminile.
Tutto ciò contrasta con quanto più volte
affermato circa la volontà di arrivare ad una
effettiva parità di genere anche nei settori
considerati tradizionalmente maschili, anzi
dimostra una precisa volontà di limitare le
presenze femminili.
Di contro cominciano a scarseggiare le
presenze femminili in settori in cui queste
presenze sono obbligatorie come la gestione
dei reati sui minori, le violenze domestiche
normalmente operate sulle donne, gli stupri,
le perquisizioni sulle donne.
La norma introdotta con la Legge 226 del
2004 è quindi discriminatoria verso una fetta
della popolazione italiana, che non
rappresenta una minoranza, ma supera la
metà del totale dei cittadini italiani,
risultando anche discriminatoria per gli
uomini, per i quali l’accesso ai corpi di
Polizia non può più avvenire in condizione
di equità e parità come previsto dalla
Costituzione italiana.
In pratica le donne in questo Comparto,
sono una minoranza etnica con pochi e
limitati diritti, per cui con numeri così
risicati no è stato possibile sviluppare
politiche di contrattazione destinate a
garantire politiche di conciliazione tra lavoro e
impegni familiari.
18
Il comparto non ha mai acquisito il diritto al
part-time o la banca delle ore, mentre le
donne con prole, limitate nelle attività
operative che spesso obbligano a turni
massacranti, sono viste come impedimenti al
regolare svolgimento delle attività lavorative.
Da quanto è stato illustrato è evidente che il
superamento del blocco della contrattazione
passa obbligatoriamente dalla rimozione delle
limitazioni nelle assunzioni, aumentando il
numero, delle donne esse possano assumere
un altro peso contrattuale, in grado di
tutelarne i diritti, fino ad individuare nelle pari
opportunità una risorsa per il lavoro alla cui
cura e al cui sviluppo assegnare attenzioni e
risorse.
Illustrazione dello scomparso
Vice Questore Aggiunto Forestale Luca Riva
LAURA MAZZETTI per conto del Coord. Donne FP Piemonte
19
è giusta perché il lavoro precario che per un
paio di mesi tuo figlio ha fatto ti ha fatto
perdere il diritto alla detrazione per figlio a
carico.
Sono quegli stessi lavoratori che non hanno
nemmeno più i mezzi materiali per rispondere
in maniera adeguata ai cittadini: perché sono
sempre meno e sempre più anziani visto che
nel pubblico impiego non si assume più,
perché manca la carta per le stampanti, il
toner per le fotocopiatrici è diventato un lusso,
perché gli ambienti in cui lavorano sono
sempre meno accoglienti per i tagli alle spese
per le pulizie.
E sono sempre loro che il delirio di Brunetta
(mai contraddetto dal Goverrno dei tecnici) ha
additato ai cittadini come fannulloni, come
spesa improduttiva, come causa stessa
dell’incapacità del lavoro pubblico a
soddisfare i bisogni sociali.
I danni collaterali di questa guerra contro il
pubblico e contro il lavoro pubblico colpiscono
i lavoratori.
Mi è capitato ultimamente di
incontrare delle lavoratrici (che
fossero donne forse non è un caso)
che il giorno prima erano state
minacciate con un coltello da un
utente.
Le ho incontrate perché ci è sembrato
doveroso testimoniare
loro la nostra vicinanza come sindacato, per
dimostrare loro che non sono sole.Erano sul
loro posto di lavoro, e avevano paura.
La paura è un sentimento che
credo si stia diffondendo far le
lavoratrici e i lavoratori, la paura
per la loro stessa incolumità
fisica. La paura è un sentimento
che blocca, che spinge a
chiuderci su noi stessi, che
spesso è causa di stress.
Sarebbe interessante capire
quanto i lavoratori pubblici
stanno pagando con la loro salute
Danni collaterali
Sempre più frequentemente la cronaca si
occupa di pubblico impiego.
Non passa giorno senza che l’esasperazione
di cittadini colpiti dalla crisi trovi sfogo con atti
di intimidazione, spesso violenta, rivolti ai
lavoratori degli uffici pubblici.
Nel corso degli ultimi vent’anni i lavoratori
pubblici sono stati protagonisti del più grande
processo di innovazione delle pubbliche
amministrazioni, che, finalmente, hanno
posto al centro della loro azione il
soddisfacimento dei bisogni dei cittadini.
I front-office hanno man mano sostituito i
vecchi sportelli, dimostrando plasticamente il
nuovo modo di essere degli uffici pubblici.
Oggi sono diventati il luogo in cui i lavoratori
affrontano, senza nemmeno la protezione del
cristallo dello sportello, il malessere sociale
provocato dalla crisi economica e dalle
politiche adottate dai Governi per affrontarle.
Ne sanno qualcosa le operatrici e gli operatori
dei servizi sociali, quelli dell’INPS, quelli delle
Agenzie delle Entrate, che tutti i santi giorni
affrontano da soli il dramma di chi non ce la
fa a pagare una cartella delle imposte, di chi
non riceve l’assegno per la cassa
integrazione in deroga, di chi,
disperato, si rivolge ai servizi
sociali per ottenere un aiuto.
Sono quei lavoratori che, loro
malgrado, mettono la loro faccia
applicando la politica dei tagli alla
spesa sociale: la cassa
integrazione in deroga non può
essere pagata perché non ci
sono i soldi, la cartella delle tasse
Sarebbe interessante capire
quanto i lavoratori pubblici stiano pagando
con la loro salute il disagio e la paura che tutti
i giorni affrontano andando a lavorare
20
il disagio che tutti i giorni affrontano andando a
lavorare. Sarebbe interessante provare a
pensare a punti di ascolto in cui raccogliere
questo disagio.
Credo che dovremmo affrontare anche questo
come sindacato.
Oggi la reazione collettiva più evidente è
l’atteggiamento di chiusura delle lavoratrici e
dei lavoratori.
In queste condizioni qualunque tentativo da
parte delle amministrazioni di prolungare gli
orari di apertura al pubblico trova
l’opposizione dei lavoratori: non ce la fanno
più e si difendono.
Così come è sempre più frequente la richiesta
di maggior sicurezza nei front-office, spesso
rappresentata dalla rassicurante presenza di
una guardia giurata o dall’occhio, spesso
indiscreto di telecamere.
Danni collaterali, appunto.
Sono tutti segnali di una pericolosa
involuzione che dobbiamo contrastare, da un
lato rivendicando politiche che investano sul
lavoro pubblico, dall’altro rivendicando
l’apertura del confronto con il Governo per il
rinnovo dei contratti.
ITALO PEDACI
Investire sul lavoro pubblico, anche
riformando ulteriormente la pubblica
amministrazione, e rinnovare i contratti
devono però essere percorsi distinti e
paralleli: non possiamo accettare la logica di
chi sostiene che il rinnovo dei contratti potrà
avvenire solo nell’ambito della riforma della
pubblica amministrazione.
Non solo perché dopo cinque anni di blocco il
rinnovo del contratto è “un fatto
semplicemente dovuto”.
La contrattazione nazionale e, oserei dire
soprattutto, la contrattazione decentrata sono
stati elementi essenziali a costruire il
consenso dei lavoratori ai processi di riforma
che hanno interessato le pubbliche
amministrazioni e il lavoro pubblico
rendendoli protagonisti di quelle
trasformazioni.
Dobbiamo ripartire dal contratto, anche per
dare risposte al disagio e alla paura che si
vive sui posti di lavoro.
21
L’amore che si trasforma
nel suo opposto L‘amore col tempo si può trasformare persino
nel suo opposto...
In Italia dall’inizio dell’anno sono state uccise
55 donne!
È obbligatorio contrastare con forza la
violenza che sta aumentando in modo
esponenziale nel nostro Paese.
È una responsabilità collettiva, un’emergenza
culturale che coinvolge tutti, donne e uomini
di ogni estrazione sociale.
L’imperativo primario è la sensibilizzazione
capillare, a partire dalla scuola: parlarne,
parlarne e ancora a parlarne, affinché la voce
si alzi sempre più forte.
Non c’é più tempo!
C’è bisogno di azioni concrete e incisive.
A questo proposito, il Presidente della
Camera, Laura Boldrini, ha fin da subito a
dimostrato la propria sensibilità su questo
delicatissimo tema, affermando l’urgente
necessità di promuovere una legge contro la
violenza sulle donne e sulle politiche di
genere, coinvolgendo in un percorso sinergico
Ministero della Giustizia e dell’Interno,
appoggiando e sostenendo l’iniziativa del
Ministro per le Pari Opportunità Josefa Idem di
avviare una task force conto il cosiddetto
femminicidio, rilanciando l’allarme sociale.
“Dobbiamo tutelare le donne nella loro libertà
di autodeterminazione”.
L’Italia è ancora troppo indietro: prima che la
giustizia si attivi fattivamente, possono
purtroppo trascorrere centinaia di giorni,
nonostante gli allarmi che ogni volta vengono
lanciati prima dell’avvenuta tragedia (il 15%
dei femminicidi è preceduto da denunce di
molestie e/o di stalking).
L’Europa ci sollecita da tempo ad adottare e
ratificare raccomandazioni in tema di violenza
contro le donne (Convenzione di Istanbul del
Consiglio d'Europa – maggio 2011 – per
prevenire e contrastare la violenza domestica
e sulle donne, della quale è stata avviata
pochi giorni fa la proposta di legge di ratifica)
Drammaticamente il tema del femminicidio è
diventato di attualità per le donne che tra i 16
e i 44 anni muoiono uccise dai loro compagni,
fidanzati, coniugi ed ex. L’estensione del
fenomeno non è ancora chiara, ma
sicuramente vasta e sommersa, e
ulteriormente complicata dalla profonda crisi
economica e culturale, che aumenta il disagio
e la conseguente rabbia inespressa pubblica
e privata. In questa situazione, le donne sono
vittime due volte: la prima, come solutrici di
risposte che i servizi pubblici non sono in
grado di dare alle gravose urgenze familiari, e
poi come vittime di quel disagio che troppo
spesso sfocia in violenza fisica e psicologica.
MARA POLITI
22
Più di cento anni
Nella seconda metà dell’800, dopo il
compimento dell’unità, l’Italia è un paese
ancora molto povero, in prevalenza agricolo.
Su circa 27 milioni di abitanti, solo 1 milione
sa leggere e scrivere, 530.000 persone hanno
diritto al voto (in base al censo), una piccola
minoranza di uomini (poco più di 250.000)
elegge i deputati al Parlamento.
Sono anni di profondo cambiamento sociale.
Anni nei quali nascono le prime fabbriche,
scompaiono i vecchi mestieri, si abbandonano
le campagne per andare in città a cercare un
po’ di fortuna; il lavoro diventa un’operazione
elementare e ripetitiva. Accanto ad una nuova
classe sociale - quella della borghesia
industriale (che possiede i mezzi di
produzione necessari per accumulare il
capitale ed arricchirsi) nasce il proletariato,
che dispone “solo” della propria forza lavoro.
“Solo” perché ciò che si guadagna dal proprio
lavoro è davvero pochissimo; “solo” perché
sono anni nei quali i salari permettono
appena la sopravvivenza, gli orari di lavoro
sono massacranti, la disciplina durissima, non
esistono forme di tutela per infortuni,
malattie, gravidanza, pensioni.
E per le donne e i fanciulli è anche peggio.
Essere lavoratore in quegli anni, significava
essere due gambe e due braccia senza
dignità, senza un diritto, senza una voce,
senza ragione, impotente e isolato.
Ma la vera forza degli uomini è di potersi
riunire, di sapersi sorreggere a vicenda, di
guardarsi attorno e sapere, credere, che la
situazione può essere cambiata.
La forza degli uomini consiste nel fatto che
essi comprendono che la loro voce, da sola,
può passare sotto silenzio, mentre tante voci
formano un coro.
E un coro forse non sposta le montagne, ma
di sicuro può contribuire a cambiare il mondo.
Forse, come molti di noi oggi, se fossimo nati
in quegli anni, avremmo cercato di lottare per
risorgere dalla disperazione, per difenderci,
per avanzare qualche diritto. Forse molti di noi
avrebbero fatto parte di una delle prime
“società di mutuo soccorso” (avrebbero
accettato di autotassarsi, per costituire un
fondo comune dal quale ricevere sostegno in
caso di malattia o infortunio e un contributo
alla famiglia, in caso di morte). Molti di noi
avrebbero aderito a una lega, a una società
operaia; poi, più tardi, a una Camera del
Lavoro (che ci avrebbe permesso anche di
imparare a leggere e a scrivere).
Avremmo cercato qualcuno con cui unirci e
lottare, per ottenere prezzi più bassi sui generi
alimentari; qualcuno a cui raccontare che
nessun uomo ha il diritto di sfruttare altri
uomini, di ridurli in condizioni di
disagio estremo.
Qualche anno più tardi, nel
1906, nasce la CGL, la prima
Confederazione Generale del Lavoro, come
struttura capace di raccogliere tutte le forze
operaie. Alla base, la solidarietà generale tra
lavoratori (non si tratta soltanto di una
rappresentanza di mestieri), l’autonomia, il
pluralismo politico e religioso: questa
universalità di prospettive, di vedute, di
interessi è la forza di un’organizzazione
capace di vivere nel tempo.
Di festeggiare i 100 anni di storia e mostrare
sempre più vigore.
Ancora oggi migliaia di lavoratori contano sulla
CGIL. E ancora oggi lo spirito è quello di un
tempo: difendere la dignità dei lavoratori
(associati e non), percepirne le difficoltà, le
esigenze, avanzarne i diritti.
La CGIL ha sempre difeso gli interessi dei
lavoratori.
La forza degli uomini consiste nel fatto che essi
comprendono che la loro voce, da sola, può passare
sotto silenzio, mentre tante voci formano un coro
23
Durante il governo Giolitti, la CGIL, ha ottenuto
le prime leggi di tutela per le donne e per i
fanciulli, l’assicurazione obbligatoria contro gli
infortuni sul lavoro, il riposo settimanale, il
divieto del lavoro notturno in alcuni settori, la
riforma della Cassa Nazionale Invalidità e
Vecchiaia (primo embrione del futuro Istituto
Nazionale della Previdenza Sociale). Nel 1914
si è schierata contro l’intervento italiano in
guerra e alla fine del conflitto mondiale, si è
impegnata per ristabilire una situazione
oltremodo tragica (in questo periodo
consegue grandi miglioramenti; nel 1919, per
esempio, la Fiom ottiene la riduzione
dell’orario di lavoro a 8 ore giornaliere, una
conquista che ottenuta dalle mondariso
vercellesi nel 1906).
La CGIL ha superato gli anni estremi della
soppressione fascista (nel 1925 è annunciata
la fine delle libertà costituzionali, e con questo
atto la fine delle libere associazioni e del
sindacato: i fascisti si scatenano contro le
sedi delle Camere del lavoro, delle
cooperative, dei comuni amministrati dai
socialisti, in un clima continuo di aggressioni,
incendi, omicidi).
Rinasce, più forte, uscendo dalla
clandestinità, negli scioperi del 1944, quando
la condizione operaia ai limiti della
sopravvivenza spinge migliaia di lavoratori ad
organizzare movimenti di lotta, e in particolare
nel Patto di Roma del 3 giugno 1944, quando
ottiene il massimo dei riconoscimenti (vi sarà
solo un organismo su tutto il territorio
nazionale, la CGIL italiana). L’unità si spezzerà
in seguito, con la nascita di CISL e UIL, ma gli
obiettivi che la contraddistinguono non
verranno mai meno.
La CGIL è accanto alle donne, quando il 2
giugno 1946 ottengono finalmente il diritto di
voto, ma dovrà lottare con loro ancora per
molti anni perchè si attui l’art. 37 della
Costituzione sulla parità salariale
(l’eliminazione dai contratti collettivi nazionali
delle tabelle remunerative differenti per
maschi e femmine è sancita da un accordo
interconfederale del 1960).
Decisa più che mai a ricostruire il paese in
questo periodo difficile, mancano le
materie prime e il combustibile, le reti
stradali e ferroviarie sono devastate dai
bombardamenti, l’inflazione è alle stelle, si
24
diffonde il mercato nero, la CGIL stipula
accordi nazionali che fissano salari, paga
base, indennità, assegni familiari.
Resiste, per merito della sua autonoma
pulsione, negli anni della Guerra fredda e proprio
il suo contributo ai lavori della Costituente
permette alla nuova Costituzione Italiana di
considerare il lavoro quale valore
fondamentale della vita sociale e civile e di
sancire l’assoluta libertà e volontarietà
dell’adesione all’organizzazione sindacale.
Supera gli anni
50, quando in un
clima di pesante
anticomunismo
scatta una dura
repressione nei
confronti dei militanti della CGIL in fabbrica e
nelle campagne (molti attivisti sono licenziati,
molti altri costretti a lavori degradanti): ma la
sua energia unisce i lavoratori occupati e i
disoccupati, gli operai delle fabbriche del
Nord e i braccianti delle campagne del Sud.
Perchè come sempre la CGIL è dalla parte
dell’Uomo.
Lo è anche negli anni 60, e con più precisione
nel ‘68, quando le lotte studentesche e
operaie mirano ad una migliore
organizzazione del lavoro, a un riesame di
contratti e orari, all’abolizione dei disagi
sociali. Molti fra coloro che avevano anche
solo 16 anni, nel 1968, parteciparono al
Primo corteo unitario di CGIL, CISL e UIL del 1°
Maggio, per celebrare la festa del lavoro. E si
sentirono tutti un po’ di più parte della storia.
Proprio gli anni ‘70 sono segnati da grandi
conquiste del lavoro (con lo “Statuto dei
Lavoratori”) e civili (grazie alle lotte di
emancipazione e liberazione femminile); che
sono questioni strettamente congiunte.
La CGIL è stata poi, con le altre
Organizzazioni sindacali, protagonista nella
lotta al terrorismo e alle sue devianti teorie.
Un sindacalista della CGIL di Genova, Guido
Rossa, sarà assassinato dalle brigate rosse
per la sua ferma opposizione al terrorismo e
per aver smascherato i suoi militanti.
Basterebbe trattenersi un po’ sulla storia della
CGIL e del sindacalismo in Italia dalla sua
nascita fino ai nostri giorni, per accorgersi di
quanta strada è stata percorsa verso
l’emancipazione, il riconoscimento, e
l’affermazione della dignità delle persone.
Chiunque vuole guardarsi intorno, può vedere
quante conquiste ha ottenuto la CGIL e il
sindacato italiano, e quante situazioni sono
ancora da risolvere: opposte religioni e civiltà
sono in continuo conflitto, la distanza tra
ricchi e poveri aumenta, il lavoro è più
precario e ancora una volta senza diritti, la
pensione non riconosciuta nella misura in cui
dovrebbe.
Ma se impariamo a viaggiare nel tempo e a
osservare con attenzione il mondo che ci
circonda, ci accorgiamo che la luce che ha
fatto brillare gli occhi di tutta quella gente più
di cento anni fa è la stessa che anima gli
sguardi di chi ancora oggi partecipa alla CGIL
per difendere i diritti di tutti: dei giovani, degli
anziani, delle lavoratrici, dei lavoratori
occupati e dei disoccupati.
Batte un cuore solo, da più di cento anni. Batte un cuore solo, da più di cento anni. Batte un cuore solo, da più di cento anni. Batte un cuore solo, da più di cento anni.
E farvi parte è possibile.E farvi parte è possibile.E farvi parte è possibile.E farvi parte è possibile.
SERGIO NEGRI
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“Bo tsatì se pren se
gneun lo defend” (bel castello si prende se nessuno lo difende)
“La legalità è un valore di sinistra, e
condannare e combattere la violenza è di
estrema sinistra”.
Il virgolettato indica che non son parole mie,
evidentemente, ma mi concedo la licenza di
non citare la fonte per diversi motivi.
Innanzitutto, perché son parole di un esponente
politico. E le mie righe non saranno politiche.
Poi, perché chiunque può averle lette sulla
nostra amata “busiarda” e, oltre a considerare
inutile sottolineare cosa nota, le mie righe non
saranno parole d’altri.
E infine perché ho volutamente tagliato una parte
della breve citazione, considerando che
comunque essa può essere interpretata
diversamente a seconda del lettore, e le mie righe
non saranno nemmeno qualunquismi o frasi fatte.
Sempre che ci riesca.
L’argomento è complesso e
complicato, ha premesse,
estensione e conclusioni talmente
ampie e multiformi da non poter
essere affrontato pienamente e
oggettivamente né in poche righe, né,
soprattutto, dal punto di vista probabilmente
poco articolato e approfondito di un
comune cittadino quale io sono. Difficile
compito. Ma appassionante.
La citazione iniziale mi serve da abbrivio:
sinistra, legalità, violenza. Con l’aggiunta
dell’accrocco “combattere la violenza”, che
approva e condanna allo stesso tempo lo
stesso atteggiamento.
Parliamo di NoTav.
Il noto politico di cui sopra, giudica, nel breve
commento riportato da La Stampa il 16
maggio scorso, l’interesse dimostrato dal
regista Salvatores alla storia “NoTav”,
inappropriato e deplorevole, alla luce degli
ultimi avvenimenti in Valle.
Astenendomi, come detto, dalla valutazione
politica che non sarei comunque in grado
di sostenere, ho la tentazione irresistibile di
“rifinire” quel commento: non so ancora con
quali mezzi e con quale sguardo il regista
esporrà la storia del movimento NoTav, né so
se la sua opinione in proposito ne
condizionerà il racconto.
Ma la mia chiosa istintiva è riferita alla
valutazione negativa dell’interesse filmico,
che potrebbe rivelarsi invece un interessante
documento: dopo anni di attivismo non
esattamente estremo, né tantomeno anarco-
insurrezionalista, continuo a chiedermi come
mai tanto clamore e tanto interesse déstino e
abbiano destato, tanto sconcerto e tanto
scandalo suscitino i fatti di “violenza”
acclarata o presunta, di gruppi non meglio
identificati composti da personaggiucoli che
cavalcano l’onda del movimento e delle sue
contestazioni civili e democratiche, per scopi e
principi che sfuggono ai più (poiché avevo
promesso assenza di qualunquismi, eviterò
anche di soffermarmi su questo…) mentre
ancora non è possibile accedere a
informazioni approfondite e obiettive sulle
argomentazioni e sulle attività lecite e civili di
decine di migliaia di persone che protestano e
si oppongono alla realizzazione di un’opera
tanto monumentale quanto dispendiosa come
quella dell’alta velocità in Val Susa.
Da oppositrice convinta e civile, ho speso
ben più di quanto le mie finanze concedano
in libri e documenti che potessero
chiarirmi la situazione sotto ogni aspetto,
L’adagio “chi sa tace, chi non sa insegna”, come
quasi sempre vale per la saggezza popolare,
è adattabile alla condizione dei valsusini
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dai finanziamenti alla spesa complessiva
finale, dall’impatto ambientale a quello
sociale, dalla progettazione tecnica all’utilità
ultima, tutto ciò che potesse rendere il mio
punto di vista scevro da sentimentalismi
legati alla mia abitudinaria frequentazione
della Valle e mi rendesse consapevole delle
ragioni dei si e dei no nel modo più ampio
possibile.
Ma nonostante ciò, ogni qualvolta mi capiti di
affrontare l’argomento con un sostenitore, mi
rendo conto di quanto sia difficile perorare la
mia causa se il mio interlocutore non ha
almeno la mia stessa conoscenza del caso.
Al di là delle questioni meramente tecniche ed
economiche, difficilissime da riportare in una
discussione che solitamente si anima
immediatamente, perché sempre falsata da
prese di posizione squisitamente
“ideologiche”, sono sconosciute ai più le
istanze della popolazione valligiana.
Ho letto decine di blog, centinaia di pagine
web, sfogliato, sottolineato e riletto diversi
libri, ma qualunque tentativo faccia di
giustificare la mia posizione, regolarmente mi
trovo davanti un muro inespugnabile, l’unico
argomento forte contro il quale non riesco a
combattere: dovete condannare i violenti,
dovete isolare gli estremisti, ecc. ecc.
E questo è forse in definitiva tutto ciò che si
conosca.
Che quattro, o quaranta, o quattrocento imbecilli,
esaltati, violenti, prezzolati o perditempo,
assaltano la polizia, aggrediscono gli operai dei
cantieri, disturbano e provocano cortei altrui.
Sempre a scanso di qualunquismi, inutile
profondermi nella condanna alla violenza.
Ciò che, a mio avviso, rende sterile l’infinita
discussione, è la negazione di un diritto
elementare di democratico dissenso, agíta
attraverso una strisciante continua allusione a
una presunta anima violenta, antiprogressista
e antidemocratica del movimento, allusione
che dapprima nasconde e poi cancella, nella
percezione della massa, le vere intenzioni, le
reali istanze, necessità e difficoltà che, non le
migliaia di notav in generale, ma la gente di
valle, in particolare, da diversi lustri cerca a
gran voce di portare sotto i riflettori di una
politica che finora si è dimostrata perlomeno
disattenta (!) e di un’opinione pubblica
disinteressata, condizionata certamente
dall’immagine negativa e degradante del
movimento rimandata dai mass-media.
Non ho né gli strumenti né la posizione, né
tantomeno la presunzione, di voler indicare
modalità più oggettive e corrette di analisi e
approfondimento.
Ma sono certa di almeno due delle mie
considerazioni.
La prima: assente l’interesse spontaneo, è
impensabile che il Paese possa appassionarsi
alla causa dei valligiani se non attraverso un
input che giunga dai mezzi di comunicazione,
che non è solo carente, ma decisamente
inesistente, quando non, invece, denigratorio
e oserei dire offensivo, se si ostina a definire
violento e antidemocratico chiunque si
opponga alla Tav, senza distinguere tra “buoni
e cattivi” e se confonde aggressori e aggrediti
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dividendoli gli uni da una sola parte e gli altri
solo da quella opposta, senza valutare che
mille black-bloc agiscono in mezzo a
quarantamila anziani, bambini, famigliole e
donne come me. Sono questi ultimi a
diventare gli “aggrediti”, non solo dai violenti,
ma dalle etichettature ignobili di certa
comunicazione sommaria, politica e non.
La seconda considerazione è quella sul
“silenzio”.
L’adagio “chi sa tace, chi non sa insegna”,
come quasi sempre vale per la saggezza
popolare, è adattabile alla condizione dei
valsusini. Io sono solo una torinese
appassionata di montagna, attenta
all’ambiente e innamorata delle tradizioni e
della cultura popolare. L’impeto iniziale della
mia posizione certamente è nato dal cuore,
pur essendosi poi rafforzato con lo studio e la
partecipazione. Ma le frasieun, le bourjà, le
casin-e, i terên e i prà, appartengono ai
valligiani, e la loro voce continua a non
superare l’ostacolo innanzitutto di un’altra
aggressione, quella della facile accusa di poco
oculate scelte di portavoce inadatti, ma anche
quello di un oscuramento delle loro
argomentazioni, per la già detta omologazione
imposta tra “civili e incivili” e anche a causa di
un’inesistente volontà di ascolto e di
approfondimento, così come della ricerca di
un sistema realmente democratico che
permetta loro di esprimere le perplessità, le
preoccupazioni, i problemi economici, sociali e
culturali che si trovano a dover affrontare e
ogni più piccola necessità che possa averli
indotti al rifiuto di una tale monumentale
definitiva modifica del loro habitat, della loro
cultura, della loro vita.
Senza contare che, nell’esclusione del diritto
all’ascolto, vengono cancellate anche le
interessanti proposte alternative tutt’altro che
antiprogressiste che parti consistenti del
movimento hanno valutato ed elaborato per
giungere alle stesse finalità dei promotori del
sì, limitandone però i pesanti danni collaterali.
Come detto, mille possono essere le
interpretazioni della citazione iniziale.
Non so se combattere la violenza sia di
estrema sinistra, o semplicemente normale.
Anche se io direi “evitare, rifiutare,
respingere” e non “combattere”.
Ma so per certo che è vero che la legalità è un
valore di sinistra, e il movimento NoTav, quello
sano, al quale sento di appartenere, non può
e non deve prescinderne. Però, non solo di
sinistra, ma di una politica responsabile,
avveduta, progressista e critica, deve essere
un altro valore, che li comprende tutti: la
democrazia, costruita e consumata nel
rispetto e nell’ascolto delle minoranze e delle
autonomie. Una democrazia che, nel nostro
caso – e mi concedo un’altra licenza – getti
un tunnel di raccordo tra la velocità
inarrestabile del progresso e il solido pilone
portante della nostra cultura e della nostra
identità affondato nella terra, che di valle in
valle, di rio in rio, di montagna in montagna, è
quella di tutti noi.
DEBORAH LUGLI
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... che le rispondono così:
Vi ringrazio molto per le belle parole che avete voluto
dedicarmi. Sento forte l'onore e la responsabilità di
rappresentare le Istituzioni repubblicane in un momento così
difficile e delicato per il nostro Paese e ce la metterò tutta per
rispondere alla richiesta di cambiamento che gli italiani oggi
chiedono alla politica. Ritengo la vostra una bella iniziativa
a sostegno della sensibilizzazione sociale sulla questione
femminile nel nostro Paese, una questione di rilevanza
importante che deve essere affrontata da noi tutti.
Con i migliori saluti.
Laura Boldrini Presidente della Camera dei Deputati
Gentile Signora Politi,
la Ministra Kyenge la ringrazia per la cortese mail inviatale e
per l’iniziativa che il Coordinamento Donne CGIL Funzione
Pubblica Piemonte ha voluto farle conoscere; iniziativa di cui
la Ministra condivide lo spirito e gli intenti. La stima e
l’incoraggiamento manifestati nei suoi confronti le saranno di
aiuto nell’affrontare con serena disponibilità il delicato compito
a cui è stata chiamata. Augura a lei e a tutte le Donne buon
lavoro e invia i suoi migliori saluti.
La Segreteria
ROMA – 22 GIUGNO 2013
Manifestazione unitaria CGIL CISL UIL
TRE LEGGI PER LA GIUSTIZIA E I DIRITTI
Continua la raccolta firme http://www.3leggi.it/dove-firmare-3/
Taccuino
Mara Politi a nome del Coordinamento Donne, scrive a Boldrini e Kyenge...
Gentile On. Boldrini, Gentile On. Kyenge Come CGIL FP Piemonte, abbiamo da tempo costituito il Coordinamento DONNE per contribuire a sensibilizzare politica, istituzioni e società sulla questione femminile nel nostro Paese e sui reiterati e terribili fenomeni di violenza di genere, ormai giunti a un livello di emergenza esponenziale. Abbiamo appreso con soddisfazione e orgoglio le dichiarazioni sul quotidiano Repubblica, nelle quali si parla della possibilità di protestare contro questi tragici atti di femminicidio, fermandoci tutte per un giorno, condividendo una modalità già espressa dalla Signora Lella Costa. Siamo completamente d'accordo con una iniziativa di questo genere, peraltro da noi proposta per la giornata dell'8 marzo 211, in occasione della quale abbiamo creato e diffuso un libretto sul tema "UNA GIORNATA SENZA...", per far meglio comprendere come ogni giorno le donne siano il perno centrale attorno al quale ruotano vertiginosamente lavoro, famiglia, scuola, e privato e delle conseguenti difficoltà che il resto della società si troverebbe improvvisamente a dover gestire nel caso davvero decidessimo di fermarci per 24 ore, attraverso una giornata di sciopero/mobilitazione di tutte le donne, di ogni età, estrazione ed etnia! Rilanciamo pertanto la nostra "idea" (allegandone copia) a sostegno di ogni iniziativa che vorrete intraprendere a favore di una legislazione più severa nei casi di aggressioni con sfondo discriminatorio e per una maggiore sensibilizzazione circa il problema più generale della condizione femminile in Italia che, purtroppo, è anche gravata dall'impossibilità di accedere a un welfare pressoché inesistente, così come alla stabilità di un lavoro che per le donne è troppo spesso precario, sottostimato e calpestato. Carenze, queste, che hanno visto retrocedere la situazione femminile nel nostro Paese e parallelamente impediscono una condizione di pari dignità che deve tornare a essere un diritto garantito per tutte. Come sindacaliste, come cittadine, ma ancor prima come donne, Vi ringraziamo per le azioni che state mettendo in campo, che ci fanno sentire meno sole. La Vostra presenza ci rincuora e rafforza.
Mara Politi
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Il blog di Rossana Dettori http://senza-pubblico-sei-solo.com.unita.it/
Il sito web della Funzione Pubblica Piemonte http://www.piemonte.fp.cgil.it/in-evidenza.asp
Il Sito della CGIL nazionale.... http://www.cgil.it/
...e quello della Funzione Pubblica nazionale http://www.fpcgil.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1
Polizze Responsabilità civile per colpa grave http://www.fpcgil.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/22439
Corsi formazione ECM FAD http://www.fpcgil.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/24531
Ai seguenti link è possibile scaricare slides informative
sui fondi previdenziali Perseo e Sirio http://www.piemonte.fp.cgil.it/upload/piemonte/SIRIO-pensioni-Completo%20new.pdf
http://www.piemonte.fp.cgil.it/upload/piemonte/PERSEO-pensioni%20-CompletoNew.pdf
Dichiarazione di sostegno alla proposta d'iniziativa dei cittadini europei. http://www.fpcgil.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/22740
DIGNITÀ E DIRITTI UMANI
Sostegno alla Campagna per tre leggi di civiltà: Tortura, Carcere, Droghe http://www.3leggi.it/dove-firmare-3/
Pubblico in Rete