Pubblico e Futuro n. 4 ottobre 2013

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Periodico Funzione Pubblica CGIL Piemonte - N. 4 - Ottobre 2013

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L’Italia riparte dall’Italia.

Il Lavoro Pubblico:

coesione, sviluppo,

democrazia

Non possiamo rassegnarci. Non ci

rassegniamo!

Dal 2009 il contratto dei lavoratori pubblici

rimane fermo e immobile resta anche il salario,

senza i dovuti adeguamenti contrattuali

collegati all’aumento dell’inflazione. L’art. 36

della Costituzione parla chiaro e sancisce il

diritto a una retribuzione proporzionata alla

quantità e qualità del lavoro, oltre alla

legittimità degli adeguamenti contrattuali.

Invece, dobbiamo fare i conti con quella che è

ormai a tutti gli effetti un’emergenza vera e

propria se si considera che ai mancati

adeguamenti salariali si sommano aumenti di

tariffe e tasse che rischiano di condurre alla

fascia di povertà anche molti lavoratori

pubblici. Si è purtroppo calcolato che la perdita

salariale si aggiri, dal 2009 a oggi, tra i 6 o gli 8

mila euro.

Un’assoluta vergogna in un Paese che reclama

a gran voce la necessità di appartenere a pieno

titolo all’Unione Europea, ma non riesce ad

attuare un reale processo di rinnovamento

istituzionale basato sul decentramento che

permetta ai cittadini di partecipare alle

scelte e di usufruire di uguali servizi su tutto

il territorio.

Questo è invece un Paese che regredisce,

non punta sui propri giovani, non stabilizza i

tanti lavoratori della pubblica

amministrazione assunti da infiniti anni a

tempo determinato.

Ma non basta. È un Paese che non si limita a

disperdere una risorsa efficace e importante

come quella dei giovani, ma ritiene necessario,

in nome di salvifici tagli, diminuire la forza

lavoro nel pubblico impiego: solo in Piemonte

abbiamo perso più di cinquemila lavoratori nei

nostri servizi. Si potrebbe in pratica dire che sia

stata chiusa una grande fabbrica.

Una Nazione che gli economisti dicono stia

uscendo dalla recessione.

Non mi spiego allora come possa non

accorgermene... sarà che ogni giorno vedo

chiudere aziende manifatturiere, piccole

attività commerciali e imprese edili gestite da

tanti piccoli artigiani che non riescono più a

procurarsi lavoro.

Ciò che vedo benissimo, invece, è che la

recessione ci ha caricati di un debito pubblico

superiore a duemila miliardi ai quali vanno

aggiunti i 1400 euro che pesano in interessi

sulla vita di ogni cittadino, dal neonato al più

anziano. Gli interessi che siamo giunti a pagare

ammontano a 85 miliardi, dei quali 35 agli

investitori esteri.

Le conseguenze continuano a gravare sul

territorio, sui cittadini, sul loro diritto

all’accesso ai servizi, e sui servizi stessi.

Il primo allarme è ben evidente nelle

piccole e grandi situazioni locali: il

dissesto della città di Alessandria, o la

fantascientifica situazione di Asti, dove i

commissari chiedono ai dipendenti in

reperibilità di farsi carico delle spese

telefoniche di servizio, non contenti di aver già

loro tolto i buoni pasto e diminuito il salario di

produttività.

Il Governo ha previsto un ulteriore anno di

blocco salariale anche per il 2014,

evidentemente derogando, ormai, alla misura,

valutata come eccezionale e provvisoria, del

blocco del contratto previsto dal Governo

Berlusconi-Bossi-Fini.

Nonostante lo stato depressivo della situazione

nel suo insieme, non vogliamo e non possiamo

rassegnarci: vogliamo lottare per avere uguali

Non ci rassegniamo a un Paese senza futuro

occupazionale, senza adeguamento

contrattuale, senza rispetto per la dignità

dei lavoratori!

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diritti, uguale accesso al lavoro, uguale

tassazione, uguale sanità in ogni più sperduto

angolo di questo martoriato Paese.

E vogliamo fortemente ribadire l’importanza

fondamentale del pubblico impiego per

ottenere quell’equità di diritti che non può

essere cancellata.

Nel grande incontro annuale della Funzione

Pubblica CGIL, che quest’anno si è tenuto a

Salerno, abbiamo appunto messo al centro del

dibattito il lavoro pubblico, che è diventato

capro espiatorio di uno Stato ormai assente e

concentrato su personalismi e interessi

circoscritti, utilizza per i tagli più indiscriminati

in nome del rilancio di un’economia che

sembra debba forzatamente sopravvivere sulla

pelle dei lavoratori pubblici; lavoro pubblico

sminuito e ridotto dalle leggi e leggine sui

servizi essenziali.

Lavoro pubblico che paga un prezzo veramente

troppo alto ormai addirittura con la morte: non

dimentichiamo le nostre lavoratrici uccise mentre

svolgevano il proprio lavoro al servizio dei

cittadini.

Anche per questo, non possiamo e non

vogliamo rassegnarci.

Non ci rassegniamo a un Paese senza futuro

occupazionale, senza adeguamento

contrattuale, senza rispetto per la dignità dei

lavoratori!

Perchè, sarà banale ricordarlo, ma senza

lavoro non esiste più la dignità.

Vogliamo continuare con forza a difendere il

lavoro pubblico nei territori, rivendicando tutte

le risorse necessarie per mantenere efficienti e

vivi i servizi alle persone.

In Piemonte tra pochi giorni appariranno dei

manifesti giganteschi che nelle dimensioni

ricordano la grandezza del grido di vergogna

che la FP Cgil lancia davanti all’irresponsabile

comportamento dei Governi nei confronti della

dignità delle lavoratrici e dei lavoratori pubblici:

per loro è ora di un nuovo contratto, per loro è

ora di difenderne la dignità di lavoratori e di

cittadini a loro volta quotidianamente al

servizio della cittadinanza.

Riprendiamoci il bene pubblico, la sua qualità,

la dignità dei suoi lavoratori.

GIOVANNI ESPOSITO

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N. 4 – ottobre 2013 In attesa di autorizzazione richiesta al Tribunale di Torino in data 29/1/2013

Il quarto numero di PubblicoeFuturo è nato dai pensieri e dalle penne di:

ROSSANA DETTORI Segr. Gen. Naz.le FP CGIL

GIOVANNI ESPOSITO Segr. Gen. Reg.le Fp Piemonte

DEBORAH LUGLI Redattore

SERGIO NEGRI Giornalista

ITALO PEDACI Apparato FP Reg.le

MARA POLITI Segreteria Reg.le

GRAZIELLA ROGOLINO Segr. Reg.le Conf.le CGIL Piemonte

GABRIELLA SEMERARO Segreteria Reg.le

DONATELLA TURLETTI Segreteria Reg.le

Le fotografie sono prodotte dalle compagne e dai compagni della categoria

Tutte le altre immagini sono prelevate dal web nel rispetto delle normative vigenti

Grafica e impaginazione Deborah Lugli Prodotto in proprio Funzione Pubblica CGIL PIEMONTE 10152 Torino, Via Pedrotti, 5 Chiuso l’ 8 ottobre 2013

SOMMARIO

• L’ITALIA RIPARTE DALL’ITALIA. Il lavoro pubblico: coesione, sviluppo, democrazia. Giovanni Esposito 2

• Lo sguardo di Rossana – Rossana Dettori 5

• PROVINCE, UNIONI DEI COMUNI, AREE METROPOLITANE:riforma o pasticcio? Graziella Rogolino 7

• DALLA FORNERO ANCORA UNA FREGATURA PER I DIPENDENTI PUBBLICI Donatella Turletti 8

• VERGOGNA Italo Pedaci 10

• UNA STORIA DI LAVORO E DI CORAGGIO Gabriella Semeraro 12

• DIFENDIAMO L’INPS (N.d.R) 15

• PROPOSTA DI L.R. 350 del 13/7/13. La Cgil Fp Piemonte esprime la propia contrarietà Mara Politi 16

• LA LOTTA NELLE CAMPAGNE E NELLE FABBRICHE Sergio Negri 17

• SOLO VOY CON MI PENA Deborah Lugli 20

• Taccuino 22

• Pubblico in rete

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Lo sguardo di Rossana “Ora il congresso della Cgil fonderà in una grande sintesi nazionale le linee di politica economica uscite dalla grande consultazione democratica e indicherà al Paese la strada da seguire. Il congresso farà così, delle rivendicazioni dei lavoratori di tutte le regioni e di tutte le categorie, la rivendicazione comune di tutti i lavoratori italiani chiamando tutto il popolo lavoratore a unirsi attorno alla grande bandiera di rinascita economica, di progresso e di pace della Cgil” Giuseppe Di Vittorio – “Lavoro” 6 dicembre 1952.

“Sono state avviate in questi giorni tutte le

procedure propedeutiche all’apertura del 17°

Congresso della Cgil che terminerà i suoi

lavori la prossima primavera.

Sei mesi di intenso lavoro, di assemblee di

posto di lavoro, aziendali, territoriali e di

categoria il cui obiettivo principale è

coinvolgere il più alto numero possibile di

lavoratrici e lavoratori iscritti: farli partecipare,

confrontarsi, a loro chiedere forza e tensione

per riaffermare i valori e i principi di civiltà di

una Repubblica che deve tornare ad essere

“fondata sul lavoro”; questo deve essere il

congresso della Cgil.

Una straordinaria occasione nella quale

dobbiamo saper chiamare a raccolta quel

sentimento collettivo di solidarietà, di

comunione e progresso che ha fatto grande il

sindacato di Corso d’Italia e che lo lega

indissolubilmente alle lavoratrici e ai

lavoratori iscritti.

Abbiamo bisogno di riaffermare con forza i

termini di un progetto di miglioramento del

nostro vivere comune, di rilanciare una

piattaforma complessiva per riordinare il

Paese dopo anni e anni di disastri e di

mancate occasioni.

Una nuova Europa, differenti politiche di

redistribuzione fiscale, scuola e formazione,

green economy, ruolo del pubblico, riforma

degli assetti istituzionali, ma anche diritti di

cittadinanza, reddito e politiche di sostegno,

pensioni e sistema di welfare, livelli essenziali

di assistenza e contrattazione: questi solo

alcuni dei temi sul quale il congresso dovrà

sperimentarsi, consapevoli del fatto che non

sperimentarsi, consapevoli del fatto che non

veniamo dall’anno zero.

Consapevoli, cioè, che aveva ragione la Cgil

quando, inascoltata e spesse volte

marginalizzata dalla cattiva politica (a volte

con qualche “complicità esterna” di troppo),

denunciava con scioperi e mobilitazioni

l’infondatezza e l’iniquità delle politiche

economiche assunte dai governi negli ultimi

15 anni. Le nostre piattaforme erano e

restano giuste, le scelte politiche, al contrario,

erano e restano sbagliate.

Ci sono, però, dei rischi che dobbiamo evitare

in tutti i modi, se non vogliamo che, pur solo

inconsapevolmente, quel confronto che

intendiamo rivolgere al Paese si chiuda prima

di iniziare, che si incammini, cioè, verso una

interlocuzione più attenta al nostro io,

piuttosto che al noi e a ciò che fuori di noi si

muove e si realizza.

Ecco, innanzitutto, il Congresso che abbiamo

di fronte non deve cedere alla tentazione di

trasformarsi in un dibattito fra gruppi dirigenti:

abbiamo già rischiato in passato di non

essere pienamente compresi dagli iscritti ai

quali ci rivolgiamo in queste occasioni e non

possiamo permetterci di rifare quello stesso

errore.

Il passaggio entro il quale si collocano le

nostre assemblee congressuali è, oltretutto,

uno fra i più delicati per il Paese e per l’intero

mondo del lavoro: ciò non consente

tentennamenti e ambiguità di sorta.

Quel forte sentimento di indignazione che

promanerà anche dalle migliaia e

migliaia di assemblee che ci apprestiamo

a fare, ad esempio, deve essere il punto

di forza dell’intera organizzazione, il

patrimonio collettivo sul quale fare leva

anche in prospettiva di mobilitazioni

generali e del lavoro pubblico che

sembrano sempre più vicine; non

possiamo permetterci di interpretarlo

malevolmente o, peggio, usarlo per

obiettivi diversi dal bene comune.

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Dobbiamo saper resistere, cioè, proprio a

quelle tentazioni popolari/populiste che

abbiamo aspramente criticato nei partiti e

sulle quali la politica ha mostrato e continua a

mostrare il suo volto peggiore.

Ciò, io credo, passa principalmente attraverso

il riconoscimento pieno e condiviso della

parola “pluralismo”: lo dico con chiarezza, il

pluralismo, in una organizzazione come la

nostra, deve continuare a essere considerato

come uno dei valori irrinunciabili, uno dei

punti fondanti del nostro vivere la Cgil.

Dobbiamo agire con determinazione il valore

di quella parola, di quel principio; solo così

ognuno di noi, sia pur con le sensibilità e le

diversità che rappresenta, potrà tornare ad

interpretare la parola noi, in maniera sempre

più estensiva, sempre più inclusiva.

Perché è quel sentire, quel nostro NOI

contrapposto all’IO, che ci ha consentito di

crescere e vivere in una organizzazione

pluralista e democratica. E sarà ancora quel

NOI, come risposta ai tanti IO, che permetterà

all’insieme delle donne e degli uomini che la

rappresentano di continuare a lavorare con

passione e determinazione per l’unico grande

obiettivo che (NOI) ci siamo dati: il lavoro

prima di tutto”.

http://senza-pubblico-sei-solo.com.unita.it/economia/2013/09/24/io-vorrei-un-congresso-del-noi/

ROSSANA DETTORI

A Salerno, durante la festa annuale, laA Salerno, durante la festa annuale, laA Salerno, durante la festa annuale, laA Salerno, durante la festa annuale, la Segretaria Generale della Funzione Pubblica Nazionale, Rossana Segretaria Generale della Funzione Pubblica Nazionale, Rossana Segretaria Generale della Funzione Pubblica Nazionale, Rossana Segretaria Generale della Funzione Pubblica Nazionale, Rossana Dettori, iDettori, iDettori, iDettori, insieme alla Segretaria Generale CGIL, Susanna Camusso, nsieme alla Segretaria Generale CGIL, Susanna Camusso, nsieme alla Segretaria Generale CGIL, Susanna Camusso, nsieme alla Segretaria Generale CGIL, Susanna Camusso, porge al compagno Francesco Candido, porge al compagno Francesco Candido, porge al compagno Francesco Candido, porge al compagno Francesco Candido,

della Provincia di Torino, il dovuto riconoscimento per la sua lunga e impegnata militanzadella Provincia di Torino, il dovuto riconoscimento per la sua lunga e impegnata militanzadella Provincia di Torino, il dovuto riconoscimento per la sua lunga e impegnata militanzadella Provincia di Torino, il dovuto riconoscimento per la sua lunga e impegnata militanza

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Province, Unioni dei

Comuni, Aree

metropolitane: riforma

o pasticcio?

La valutazione che l’Italia abbia uno Stato non

adeguato alle esigenze dei cittadini e delle

imprese nelle sue articolazioni di poteri,

funzioni e territori, è comune a tutte le analisi

economiche e sociali ed è opinione in larga

parte condivisa, in primo luogo da coloro che

di questa grande burocrazia fanno parte.

Il Disegno di legge 1542 presentato dal

Governo dopo la decadenza della legislatura

precedente e la sentenza della Corte

Costituzionale dal titolo “Disposizioni sulle

Città metropolitane, sulle Province, sulle

unioni e fusioni di Comuni” , ha il dichiarato

obiettivo di “semplificare” i livelli decisionali

dello Stato Democratico.

Da sempre e non solo tra gli specialisti di

diritto pubblico, una delle più discusse

materie è proprio quella dell’articolazione

territoriale e funzionale dell’Amministrazione:

quanti enti locali, con quali attribuzioni ed

eletti da chi? Già negli anni Settanta, con

l’introduzione delle Regioni previste dalla

Carta Costituzionale del 1948, ci si pose,

autorevolmente, il problema di un riordino.

In realtà, vari sono stati i provvedimenti, ma

spesso i poteri e le funzioni sono stati spezzettati

e/o duplicati con il risultato di complicare la vita

ai cittadini e aumentare le spese di gestione.

"Se vogliamo che tutto rimanga come è,

bisogna che tutto cambi" diceva il Principe di

Salina nel Gattopardo e sembra l’emblema

dell’Italia che, in 50 anni di riforme, insieme a

rilevanti e positivi effetti in materia di

decentramento, ha spesso appesantito e reso

meno efficace il servizio pubblico

complessivamente inteso. È in questo quadro

che si deve leggere l’avviata riforma delle

Province, delle Unioni

dei Comuni e delle Aree metropolitane? O si

può finalmente dire che ci sono prospettive

chiare e coerenti? Purtroppo il pasticcio

giuridico-costituzionale messo in atto con i

recenti disegni di legge parla da solo ed è già

oggetto di lettura molto controversa.

La semplificazione dei livelli decisionali dello

Stato e delle Autonomie locali può contribuire

efficacemente alla valorizzazione del lavoro

pubblico e dell’efficienza della Pubblica

amministrazione se è chiaro il percorso

istituzionale e si sa chi e in che modo eserciti

le funzioni pubbliche. In realtà non sembra

affatto questo il contenuto della riforma delle

autonomie locali che il Governo ha ripresentato

dopo lo smacco del Governo Monti.

Le nostre domande sono semplici ma, al

momento, senza risposta:

• Come si tiene conto della diffusione e

distribuzione nel territorio dei servizi per

migliorarne la fruizione?

• Come si darà continuità alla funzione

istituzionale delle Province nelle future

Aree vaste e Città metropolitane?

• Come si potrà consentire una

programmazione dello sviluppo che possa

favorire il riequilibrio economico, sociale e

culturale del territorio?

• Come si affrontano le problematiche del

lavoro in relazione all’occupazione e alla

mobilità anche professionale degli addetti?

Nessuna riforma si farà

davvero e tutto cambierà

per non cambiare se i livelli

decisionali saranno

sovrapposti, se le funzioni

saranno frammentate, o

peggio ancora, non definite

e, soprattutto, se gli addetti

al Servizio Pubblico non avranno chiarezza del

loro destino lavorativo.

GRAZIELLA ROGOLINO

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Dalla Fornero ancora

una fregatura per i

dipendenti pubblici Così abbiamo intitolato il volantino per

un’iniziativa di informazione e assistenza a

tutte e a tutti i dipendenti pubblici che

andranno in pensione “anticipata”.

Dal 2012 al 2017 é sospesa l'applicazione delle

penalizzazioni per chi, raggiunta l'anzianità

contributiva (41 o 42 anni di versamenti), si trova

in regime di calcolo “retributivo” (18 anni di

contributi entro il 1995) ma non

ha ancora compiuto i 62 di età.

In realtà, per questo stesso periodo,

sono state stabilite molte altre

penalizzazioni che abbassano il

valore della nostra pensione con percentuali

molto forti. Il tutto nasce da una pessima

scrittura del testo di Legge che la CGIL cerca

da tempo di far correggere.

Le penalizzazioni si applicano ai periodi

considerati di assenza dal lavoro, e per evitarle

bisogna recuperare quegli stessi periodi con un

prolungamento del servizio effettivo.

Quello che non va assolutamente bene é che

tali periodi sono legati a diritti conquistati per il

lavoro e per il wellfare della cittadinanza. Per

esempio: se la Legge 104/92 è stata pensata

come strumento di miglioramento del wellfare,

affiancando l'assistenza famigliare all'assistenza

pubblica, non si può poi presentare un conto

finale a chi ha utilizzato questi permessi,

chiedendogli di scegliere tra continuare il

periodo lavorativo per recuperare le ore

dedicate all'assistenza, o vedere il proprio

reddito pensionistico decurtato in percentuale.

Stesso trattamento viene riservato a molti altri

“periodi di assenza”, e lo scrivo tra virgolette,

come per esempio la maternità facoltativa: una

vera vergogna che fa il paio con il tema del

paragrafo L.104, perchè entrambi vanno a

penalizzare in grandissima parte le donne!

Di seguito vi elenco i titoli delle penalizzazioni

affinché possiate controllare le vostre posizioni

nel caso siate molto prossimi alla pensione.

Bisogna anche tenere in considerazione che

molti dipendenti sono abituati a ricorrere al

proprio ufficio Amministrazione per i calcoli

pensionistici, si deve quindi prestare molta

attenzione e non rassegnare dimissioni senza

aver controllato queste particolarità, nel caso

doveste scegliere di prolungare il servizio.

Ma non finisce qui: alcuni capitoli dell'elenco

sottoindicato danno risultati particolarmente

negativi per i dipendenti pubblici.

Nei settori privati l'accredito della

contribuzione avviene su base settimanale,

mentre nei settori pubblici su base giornaliera.

Se parliamo, per esempio, di L.104,

donazione sangue e aspettative senza

assegni, per le lavoratrici e i lavoratori pubblici

la penalizzazione scatta anche solo per 1

giorno. C'è una bella differenza se

consideriamo che questi sono permessi che in

larga parte vengono utilizzati a giornate

singole.

Ancora una cattivo trattamento sfuggito alla

penna del Legislatore incompetente o

dobbiamo prendere atto di una persecuzione

continua?

La CGIL nazionale è in attesa di risposta alla

sua richiesta di un tavolo sulla previdenza.

Nella nostra proposta sono evidenziate tutte

le disparità e le difficoltà che questa legge ha

creato, non dimentichiamo mai le vicende di

esodati ed esonerati del pubblico impiego.

E non sono riusciti nemmeno a convincerci

che tutta la nostra popolazione sia

improvvisamente invecchiata così tanto e così

bene da poter resistere al lavoro con buon

rendimento fino e oltre i 67/70 anni.

La CGIL chiede semplicemente una riforma

previdenziale più equa, più graduale, più

attenta alla realtà lavorativa italiana

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DONATELLA TURLETTI

La CGIL chiede semplicemente una riforma

previdenziale più equa, più graduale, più

attenta alla realtà lavorativa italiana

PENALITÀ Legge Fornero – comma 10, art. 24 L.214/2011 + Milleproroghe L.14/12, art. 6, comma 2/q. − Maternità facoltativa

− Permessi/riscatti per periodi di aspettativa

− Riscatti per periodi di studio

− Maggiorazioni per invalidità

− Donazione di sangue

− Aspettative senza assegni

− Permessi Legge 104/92

− Disoccupazione–mobilità–cassa integrazione straordinaria (anche se già ricongiunti con Legge 29/79 art. 2)

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Non siamo più disponibili a sacrificare

lavoro, stipendio, sicurezza delle nostre

famiglie sull’altare del risanamento dei

conti pubblici: abbiamo già dato.

.

VERGOGNA

Nel pubblico impiego si lavora di più e si

guadagna di meno.

È questa l’impietosa conclusione che si trae

guardando i dati relativi alla retribuzione media

dei lavoratori pubblici.

Facciamo alcuni esempi:

Comparto Retribuzione media

31/12/2010 Retribuzione

media 31/12/2011

S.S.N. 38.771 38.766

Enti Pubblici non

economici 43.507 42.029

Regioni ed autonomie

locali 29.833 29.728

Fonte: Aran (le retribuzioni medie sono calcolate tenendo conto anche degli stipendi del personale dirigente).

Il rapporto semestrale sulle retribuzioni dei

pubblici dipendenti pubblicato lo scorso giugno

dall’ARAN, mette in evidenza un altro

elemento. I provvedimenti di contenimento della

spesa pubblica, emanati dai governi che si sono

succeduti dal 2008 e che si possono riassumere

in blocco della contrattazione collettiva e in

blocco delle assunzioni, hanno provocato la

perdita di 300.000 posti di lavoro negli ultimi 5

anni. Il risparmio per lo Stato è quantificato in 6

miliardi di Euro, pari al 5% di retribuzioni

corrisposte in meno ai lavoratori pubblici.

Sempre secondo l’Aran, a questi “risparmi” “…

va aggiunto quanto nel frattempo avvenuto sul

versante inflattivo, e cioè una crescita dei

prezzi pari a 8 punti percentuali”.

Ciò significa, afferma l’ARAN “… che in

assenza di questo sforzo importante da parte

del pubblico impiego la stabilizzazione

finanziaria non sarebbe stata conseguibile”

Il contributo che abbiamo dato alla

stabilizzazione finanziaria è quindi pari a

300.000 posti di lavoro in meno e a una

perdita nel potere d’acquisto pari all’8% negli

ultimi cinque anni.

Possiamo stimare che su uno stipendio lordo

nel 2008 di 2300 euro mensili, un lavoratore

pubblico abbia contribuito alla salvaguardia

dei conti dello Stato con circa 3800 euro negli

ultimi cinque anni e che il suo stipendio abbia

perso circo 3200 euro di potere d’acquisto

rispetto al 2008.

Dunque: si lavora di più e si guadagna di meno.

Vi è poi un'altra conseguenza preoccupante

delle politiche dei governi che hanno

riguardato il mondo del lavoro. I provvedimenti

di progressivo innalzamento dell’età

pensionabile (che per il pubblico impiego

hanno elevato a 65 anni l’età pensionabile

delle lavoratrici) e il blocco del turn-over che

ormai caratterizza da anni ogni legge di

stabilità, hanno prodotto un progressivo

invecchiamento dei lavoratori pubblici. L’età

media dei lavoratori pubblici è di circa 47 anni.

Se scomponiamo questo dato per i singoli

comparti il dato è maggiormente sconfortante:

Comparto Età media

Servizio Sanitario Nazionale 47,3

Enti pubblici non economici 49,9

Regioni ed Autonomie Locali 49

Ministeri 50,9

Agenzie Fiscali 49,9

Se guardiamo poi la distribuzione per fasce d’età

nei vari comparti, risulta evidente l’urgenza di un

cambiamento radicale nelle politiche

che riguardano il pubblico impiego:

Comparto % Lavoratori sotto i 50 anni

di età

% Lavoratori di età compresa fra

i 50 e i 65 anni

Servizio Sanitario Nazionale

55,9% 44,1

Regioni e autonomie

locali

48,5 51,5

Ministeri 37,8 62,2

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Se, in nome della stabilità finanziaria, si

dovesse perpetuare una politica che prevede la

possibilità di assumere solo il 20% del

turnover, è del tutto evidente che la pubblica

amministrazione chiuderebbe per raggiunti

limiti d’età nell’arco dei prossimi 15 anni.

Queste sono le cifre della vergogna che chi ci

ha governato fino ad oggi dovrebbe provare per

lo stato in cui ha ridotto i lavoratori pubblici e i

servizi che essi erogano al cittadini.

A partire dal 7 ottobre, in tutte le città del

Piemonte, la Funzione Pubblica CGIL affiggerà

dei manifesti che vogliono denunciare questa

situazione.

“Vergogna” sarà la parola chiave della

campagna della Funzione Pubblica del

Piemonte.

Chiediamo con forza che vengano cambiate

queste politiche vergognose.

Che si riapra una stagione di rinnovi

contrattuali per restituire il potere d’acquisto

perso dai lavoratori pubblici nel corso di

questi anni e per rafforzare e far ripartire i

processi di innovazione della pubblica

amministrazione che, anche secondo l’ARAN,

sono stati bloccati da “… misure che hanno

agito essenzialmente come tagli lineari

indifferenziati”.

Che si avvii una stagione di nuove assunzioni

nella Pubblica Amministrazione, a partire dalla

stabilizzazione dei lavoratori precari per

evitare il tracollo dei servizi pubblici.

Non siamo più disponibili a sacrificare il

nostro lavoro, il nostro stipendio, la sicurezza

delle nostre famiglie sull’altare del

risanamento dei conti pubblici: abbiamo già

dato.

È ora che altri comincino a pagare.

ITALO PEDACI

Il Mondo, 4/10/13

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Una storia di Lavoro e di Coraggio Questa non è solo una realtà di lavoro e salari

ma è una storia di grande coraggio di alcuni

Amministratori Pubblici, Sindacati e cittadinanza

che sono riusciti tutti insieme, in un'epoca

storica, a coniugare il valore del lavoro con il

valore dell'integrazione, rendendo soggetti deboli

e assistiti, persone autonome e

indipendenti. A partire dalla

metà degli anni 90, in

Piemonte, gli Enti Locali (cui

spettava la competenza per la

gestione dei servizi pulizia e sorveglianza

nelle scuole) intesero esternalizzare i servizi di

pulizia e di attività ausiliarie nelle scuole

pubbliche, procedendo con affidamenti a

cooperative sociali di tipo B del territorio

piemontese.

A norma dell'articolo 1 della L.6 novembre

1991 n. 381, le cooperative sociali di tipo B

hanno lo scopo di perseguire l'interesse

generale della comunità alla promozione

umana e all'integrazione sociale dei cittadini

attraverso lo svolgimento di attività lavorative

diverse (agricole, di servizi, commerciali, ecc.)

finalizzate all'inserimento lavorativo di persone

svantaggiate. Le cooperative sociali di tipo B,

pertanto, attraverso l'inserimento lavorativo

trasformano persone assistite dai servizi sociali

in lavoratori/contribuenti.

Tale scelta ha permesso di realizzare in ogni

scuola l'inserimento lavorativo di disabili fisici,

psichici, sensoriali e provenienti da situazioni

di disagio sociale e di altre fasce deboli del

mercato del lavoro, (donne sole con figli,

persone con bassa scolarità, over 50

disoccupati ecc.). Tutti soggetti, quindi,

difficilmente ricollocabili nel mercato del

lavoro tanto più nell'attuale situazione di crisi.

Attualmente, su questa tipologia di servizi sono

impiegati, nella Regione Piemonte, con regolare

CCNL di settore oltre 1.000 persone di cui

almeno il 45% sono lavoratori svantaggiati

rientranti nelle categorie precedentemente

descritte (dati trasmessi dalle Centrali

Cooperative). Tutti risultati occupazionali e,

conseguentemente, di inclusione sociale, che

si sono potuti raggiungere attraverso le

specifiche caratteristiche delle imprese

coinvolte e le capacità professionali del

personale impiegato dalle cooperative che,

oltre all'espletamento dei compiti relativi al

servizio in oggetto, garantiscono anche

l'affiancamento e il sostegno più appropriato ai

colleghi svantaggiati. Lo sviluppo registrato

negli anni dalle cooperative sociali di tipo B

nei diversi ambiti di attività testimonia la loro

capacità di coniugare

l'efficienza di impresa con

le finalità solidaristiche di

inclusione sociale. Nel

2000 il passaggio delle

competenze al Ministero

dell'Istruzione ha sospeso i

rinnovi delle gare di appalto

per l'affidamento dei servizi

in scadenza introducendo

un regime vigente nel caso

della Regione Piemonte.

Amministratori Pubblici, Sindacati e cittadinanza

sono riusciti a coniugare il valore del lavoro con

quello dell'integrazione rendendo soggetti deboli

e assistiti, persone autonome e indipendenti

Page 13: Pubblico e Futuro n. 4 ottobre 2013

13

Infatti, mentre nel resto del territorio

nazionale le Direzioni Regionali, a partire dal

2005 hanno esperito le gare di appalto

affidando i servizi (al fine di adeguare le

tariffe ai costi reali, considerando che in

questo tipo di servizi il 90% dei costi è legato

al costo del lavoro, e già allora la direzione

regionale aveva previsto un incremento delle

tariffe a base d'asta di circa il 40% rispetto al

corrispettivo attualmente in essere), in

Piemonte la procedura di gara non è arrivata

a compimento a livello nazionale si è

proceduto allo stralcio del nostro territorio

dalla gara CONSIP a seguito di un ricorso), e

solo dal 2005 è stato riconosciuto

l'incremento ISTAT sugli importi d'asta del

1999 (questa situazione non solo ha coinvolto

le cooperative sociali di tipo B ma anche le

imprese di pulizie facenti capo agli appalti

storici nelle scuole pubbliche).

La situazione piemontese già problematica

per il mancato adeguamento delle tariffe con

la circolare del 14 dicembre 2009 del Ministro

Gelmini ha proceduto a un primo taglio del

25% sui servizi in appalto.

Tale taglio ha inciso, in parte, anche sul

personale svantaggiato con le inevitabili

ricadute sui servizi socio assistenziali e

sanitari, sia sotto il profilo

terapeutico/riabilitativo, sia sotto quello di

sostegno/assistenza economica.

Da qui è partita la grande vertenza sindacale

piemontese che ha visto più volte lavoratori e

lavoratrici scendere in piazza per difendere il

proprio lavoro. Infatti, attraverso un tavolo con

la Regione Piemonte, CGIL CISL UIL delle

categorie Funzione Pubblica e Multiservizi a

luglio 2010 ottenevano un finanziamento con

atto deliberativo da destinare a integrazione del

taglio del 25% per l'anno scolastico 2010/2011

e 2011/2012. Purtroppo l'avanzare degli effetti

di questa crisi ha determinato un dietrofront da

parte della Regione la quale, in assenza di

risorse economiche, ha annullato l'erogazione

delle risorse.

Anche il Governo ha fatto la sua parte: dopo i

tagli del Ministro Gelmini si è proceduto

all'applicazione della spending review per poi

concludersi con i dettami del “Decreto del

Fare” che impone l'individuazione del costo

dell'appalto attraverso il costo del personale

pubblico accantonato.

Ma, partendo dall'accantonato (che risulta

essere il numero della pianta organica non

occupato da dipendenti pubblici), il Governo ha

omesso di inserire i costi vivi derivanti dalla

contribuzione che una cooperativa sociale di

tipo B deve sostenere e l'aumento dell'IVA

entrato in applicazione proprio in questi

giorni.

Questa situazione ha messo in allarme tutto

il settore imprenditoriale che di fatto sta

rispondendo, in alcune scuole, attraverso

l'attivazione della procedura di licenziamento.

Gli effetti di questo ultimo provvedimento, se

non ritirato, produrranno una nuova crisi del

settore caratterizzata da una seria perdita di

posti di lavoro.

Il tavolo politico, costituitosi circa un anno fa, al

Ministero dell'Istruzione con CGIL CISL UIL di

categoria, è, in questo momento, in situazione

di stallo perché non in grado di trovare soluzioni

adeguate nella Regione Campania, dove la

situazione sta degenerando con l’alto rischio di

Renato Guttuso

Page 14: Pubblico e Futuro n. 4 ottobre 2013

14

GABRIELLA SEMERARO

tenuta sociale e dove, contestualmente, non si

è in grado di avviare celermente la Gara Consip

per la gestione dei servizi ferma, alle

aggiudicazioni provvisorie.

In questo contesto, caratterizzato da

confusione e precarietà, il 30 settembre CGIL

FP, FILCAMS CGIL, CISL FISASCAT UIL FPL

Piemonte, insieme ai lavoratori e le lavoratrici

delle cooperative sociali di tipo B hanno

manifestato davanti all'Ufficio Scolastico

Regionale chiedendo un intervento puntuale

dello stesso nei confronti del Ministero affinché

intervenga nei confronti del Governo per

assicurare lavoro e salario.

Il 14 ottobre è stato convocato al Ministero il

tavolo politico: la vertenza è in continua

evoluzione attraverso l'organizzazione di

iniziative sindacali.

Page 15: Pubblico e Futuro n. 4 ottobre 2013

15

Difendiamo l’INPS

Un forte presidio, a sostegno della vertenza in

corso all’INPS, è stato organizzato il 4 ottobre

da CGIL FP CISL FP UILPA e FIALP CISAL in

Piazza Castello a Torino, negli spazi antistanti

la Prefettura.

Centinaia di lavoratori, coscienti della giornata

di lutto nazionale e solidali con i migranti,

hanno perciò manifestato silenziosamente per

affermare il loro diritto a un lavoro di qualità ed

equamente retribuito, contro ogni ipotesi di

tagli ai servizi e alle retribuzioni, tagli

minacciati dalle recenti decisioni della

Ragioneria Generale dello Stato.

I lavoratori hanno approvato l’Ordine del Giorno

sotto stampato, e ne hanno consegnato copia al

Prefetto che ha ricevuto una delegazione delle

Organizzazioni Sindacali promotrici dell’iniziativa.

CGIL FP CISL FP UILPA FIALP CISAL

PIEMONTE

ODG

I lavoratori dell’INPS del Piemonte, riuniti in

presidio davanti la Prefettura di Torino per

sostenere la vertenza in atto contro il taglio dei

servizi e del salario,

ESIGONO CHE L’AMMINISTRAZIONE

• operi i risparmi previsti dalle leggi di stabilità

intervenendo sulle spese improduttive, sui

milionari contratti di consulenza e

reinternalizzando quanto in questi anni, con

una sciagurata politica di impoverimento delle

risorse umane interne, è stato affidato a società

esterne all’INPS;

• definisca un credibile piano industriale e

occupazionale che migliori i servizi e le attività

lavorative;

• intervenga sul problema dei lavoratori

comandati, risorsa in molti casi insostituibile,

evitando le facili scorciatoie che vuole adottare;

• adotti tutte le soluzioni assunzionali per evitare

che il pensionamento obbligato di migliaia di

dipendenti metta in ginocchio le attività

lavorative e aumenti in maniera non più

sostenibile i carichi di lavoro;

• rispetti gli accordi contrattuali in tema di

salario, ricordando che solo grazie allo

straordinario impegno lavorativo dei

dipendenti, l’INPS è potuto diventare un ENTE

efficiente ed all’avanguardia in Europa

rispetto alle innumerevoli attività ad esso

affidati.

AL GOVERNO ED AL PARLAMENTO RICORDANO

CHE

anni di blocco contrattuale non hanno solo

impoverito i lavoratori pubblici ma, insieme al

blocco del turn-over lavorativo, hanno

impoverito anche la qualità e la quantità di

servizi erogati. Una politica fatta solo ed

esclusivamente di tagli sconsiderati non aiuta il

paese ad uscire dall’emergenza economica

ma, anzi, aggrava le diseguaglianze tra quanti

hanno necessità di un servizio pubblico efficiente

e quanti, privilegiati, possono farne a meno;

è necessario aprire una nuova stagione di

rinnovi contrattuali, normativi ed economici,

rimettendo al centro di essi salari dignitosi,

lavoro decoroso e soddisfacimento dei bisogni

dei cittadini.

ALLE ORGANIZZAZIONI SINDACALI NAZIONALI

CHIEDONO

che se la vertenza in corso non dovesse avere

immediata e positiva soluzione, di individuare

nuove forme di lotta non limitandosi alle pur

necessarie iniziative quali assemblee e presidii.

(N.d.R.)

Page 16: Pubblico e Futuro n. 4 ottobre 2013

16

Proposta di legge

regionale n. 350 del

13/07/2013. La CGIL FP Piemonte esprime

la propria contrarietà

Facendo seguito all’incontro tenutosi presso

la sala del Consiglio Regionale del Piemonte

in data 13/09/2013, avente per oggetto la

proposta di legge regionale nr. 350 che

intende estendere la figura del Garante per la

protezione delle persone sottoposte a misure

restrittive della libertà personale anche al

personale di Polizia Penitenziaria, come CGIL

FP Piemonte abbiamo espresso in quella sede

la nostra contrarietà. Abbiamo infatti ricordato

che la Polizia Penitenziaria è una forza di

polizia tenuta a prevenire, perseguire e

reprimere le violazioni della legge penale.

È di tutta evidenza che il personale opera con

queste funzioni all’interno degli Istituti di pena

nei confronti dei ristretti, ma anche nei

confronti di coloro che a vario titolo accedono

ai penitenziari.

Riteniamo pertanto improbabile che una

figura terza, che abbia come ruolo quello di

tutelare le persone detenute, possa farsi

portavoce delle istanze degli operatori di

Polizia che abitualmente sono sottoposti a

situazioni di stress, il più delle volte

determinate dagli stessi detenuti.

Senza contare la situazione paradossale e di

incompatibilità che si verrebbe a creare con il

personale operante in caso di accertamenti.

Soluzioni praticabili affinché si superino al più

presto le oggettive difficoltà del personale del

Comparto sicurezza operante in Piemonte.

Per sua natura l’attività del Garante dovrebbe

estrinsecarsi anche agli altri luoghi nei quali i

soggetti privati della libertà personale siano

collocati, pensiamo alle camere di sicurezza

presso altre forze di polizia.

Non si comprende, quindi, per quale motivo

allora il Garante non dovrebbe essere figura di

tutela anche per questi operatori.

Il personale di Polizia Penitenziaria si

sentirebbe maggiormente riconosciuto dalla

collettività e dalla politica se ricevesse segnali

concreti di vicinanza e attenzione, attraverso

misure dirette a risolvere definitivamente il

drammatico problema del sovraffollamento

delle carceri e a diminuire il disagio lavorativo

degli addetti.

La scrivente O.S., in quella sede, si è resa

disponibile all’apertura di un confronto per

individuare soluzioni praticabili affinché si

superino al più presto le oggettive difficoltà

del personale del Comparto sicurezza

operante in Piemonte.

MARA POLITI

Page 17: Pubblico e Futuro n. 4 ottobre 2013

17

La lotta nelle campagne

e nelle fabbriche Riflettendo sulla storia delle lotte contadine,

dalla conquista delle otto ore a Vercelli

all’occupazione delle terre in molte regioni del

sud Italia, mi sono chiesto spesso se quella

che noi consideriamo una importante

affermazione di un diritto di civiltà, che ha un

rapporto molto stretto con la democrazia, non

sia un contributo, fra i più alti, che il mondo del

lavoro ha dato al nostro Paese e ai suoi abitanti.

Il primo accordo sulle otto ore, firmato a

Vercelli l’1 giugno 1906, segna la fine di un

sistema ancora feudale, almeno nei rapporti

di lavoro, ancorato a un legame servile tra

lavoratori e datori di lavoro, perpetuato dall’uso

spesso crudele delle braccia e del corpo dei

salariati, affidato a propositi di sfruttamento

della manodopera alla quale si riconosceva una

retribuzione inadeguata e insufficiente per

vivere. Quell’accordo segna l’inizio dell’era

moderna, nella quale, per la prima volta, sono

riconosciuti alcuni diritti fondamentali e con

essi la dignità di chi lavora.

Questa straordinaria affermazione del

principio umanista è ottenuta grazie a

uomini di immenso valore. Uomini di

assoluta grandezza che tuttavia non

avrebbero ottenuto questi risultati senza

determinazione, grazie anche a una solida

rete di relazioni, alla partecipazione di un

esercito di contadini, di cittadini e di lavoratori

delle manifatture, di cantieri e costruzioni, delle

mondariso e di molte altre donne che hanno

sfidato con coraggio l’intemperanza di molti

agrari, la prepotenza della Regia Cavalleria e

l’arroganza di una classe politica senza scrupoli.

Un risultato ottenuto con la tenacia, con la

pazienza, con la forza che in certe occasioni

solo le donne sanno avere. Una moderna

prova di democrazia, una straordinaria

possibilità per migliaia di uomini e di donne di

divenire protagonisti, parte di un progetto

ambizioso che offriva l’occasione di migliorare

la qualità della loro vita e del loro lavoro. Una

battaglia di civiltà che raggiunse il più alto

risultato mai conseguito in tutta Europa. Ma fu

anche una grande prova di solidarietà, la

testimonianza di un sodalizio fra lavoratori e

cittadini, fra le mondariso locali con le

“forestiere” che erano giunte dalle vicine

regioni e che erano spesso reclutate per

contrastare gli scioperi. Ma il fondamento

della solidarietà era già evidente nel mondo

del lavoro fin dalla nascita delle sue

organizzazioni: le SOMS, le Camere del Lavoro.

Non a caso il primo sciopero generale

nell'autunno del 1904, nel pieno della

battaglia per le otto ore nelle campagne

vercellesi, indetto dalle sole camere del lavoro

di Monza e di Milano, fu proclamato per

solidarietà nei confronti dell'uccisione di

alcuni minatori in una zona mineraria della

Sardegna occidentale e dopo eccidi di

braccianti nelle campagne siciliane.

Il primo sciopero generale che unirà i

lavoratori di tutto il Paese all'inizio del secolo

ha come oggetto un'azione di solidarietà e di

richiesta di libertà. Lo sciopero riesce. È uno

sciopero strano. Nelle città dove il

coordinamento camerale non

esisteva venne proclamato dalle

forze politiche presenti, socialisti e

anarchici. Ma è straordinario il

fatto che tutti scioperino. Dopo una

settimana di astensione al lavoro, a Milano gli

organizzatori dovettero convocare

un'assemblea permanente con 5000 persone

per decidere se continuarlo. In

quell'assemblea, a difendere le ragioni dei

riformisti, c'erano Filippo Turati e gli esponenti

più radicali del movimento operaio.

La vera forza degli uomini è ancora quella

di riunirsi, sorreggersi reciprocamente,

guardarsi intorno e credere che la

situazione possa essere cambiata.

Page 18: Pubblico e Futuro n. 4 ottobre 2013

18

Due mesi dopo, Giolitti indisse elezioni

politiche anticipate e utilizzò lo sciopero per i

propri fini. Votarono il governo del Paese

1.800.000 cittadini a fronte di una

popolazione italiana di circa 35 milioni di

persone.

Tra gli assenti, le donne che fino alla Costituente

non avranno diritto al voto. Ma,

soprattutto, non votarono tutti

coloro che lo sciopero lo avevano

fatto: gli operai, i braccianti, la

povera gente verso la quale non

c'era nessun riconoscimento di

cittadinanza, di uguaglianza, di

rispetto. Chissà se anche i

componenti del Governo di allora

ebbero il coraggio di affermare di

essere stati eletti dal popolo come,

molti anni dopo, faranno alcuni loro

colleghi?

Se osserviamo la storia utilizzando lo specchio

del mondo del lavoro, dalle prime

rivendicazioni a oggi, democrazia e libertà

restano i temi unificatori.

Leggendo gli statuti fondativi delle Camere del

Lavoro troviamo importanti principi di

solidarietà: “Tutti i lavoratori possono far parte

della Camera del Lavoro senza distinzione di

fede religiosa, di rappresentanza politica, di

colore della pelle”.

E, al secondo punto, la democrazia: “Solo ai

lavoratori spetta il compito di decidere le sorti

delle loro condizioni di vita e di lavoro”. La

democrazia intesa come partecipazione, diritto

di cittadinanza e, in questa visione, come

fattore di giustizia sociale.

Questo è il contributo più alto che generazione

dopo generazione, lavoratore dopo lavoratore,

sciopero dopo sciopero, il mondo del lavoro ha

offerto al nostro Paese.

E non sono soltanto gli statuti, lo sciopero

generale e la conquista delle 8 ore a

testimoniarlo ma anche che, in seguito, il

fascismo colpisca, insieme alla libertà di

informazione, anche il sindacato italiano.

Le leggi fasciste del ’26 aboliscono il 1 Maggio,

impediscono la contrattazione collettiva nazionale,

inibiscono la libertà e il pluralismo sindacale. A

testimoniarlo, sia il fatto che il regime giochi la

carta dell’obbligo di iscrizione ai sindacati fascisti,

sia che la democrazia rinasca dalla Resistenza

attraverso il contributo del lavoro.

Accanto alla Resistenza in Italia ci fu un

grande movimento di scioperi (e non solo nel

triangolo industriale Torino-Milano-Genova,

ma in Toscana, nelle Marche e in diverse altre

regioni italiane), organizzazioni di lavoratori

battutesi per la fine della guerra, per i diritti,

per la sicurezza, per la libertà, per la

democrazia. Ancora, lo testimonia il fatto che

di tutti i deportati italiani della Resistenza,

molti siano ebrei, lavoratrici e lavoratori, molti

dei quali non han più fatto ritorno dai campi di

lavoro coatto e di concentramento.

Ci saranno poi le lotte dell’autunno caldo per

la difesa di diritti conquistati spesso a duro

prezzo. Ma questa è storia recente. Ancora

oggi i lavoratori sono in lotta per affermare i

diritti dei più deboli.

Gli immigrati moderni, che arrivano dai Paesi

poveri del sud del mondo, subiscono le stesse

ingiustizie di allora, il caporalato e metodi

repressivi simili a quelli della Regia Cavalleria

che disperdeva le manifestazioni delle

mondariso.

Le privazioni in materia di sicurezza sul lavoro

nei cantieri e nelle campagne assomigliano a

quelle di un tempo.

Page 19: Pubblico e Futuro n. 4 ottobre 2013

19

Non siamo in presenza di corsi e di ricorsi

storici di vichiana memoria. È, però, la stessa

concezione retrograda degli agrari di quel

tempo. È lo stesso desiderio di ostacolare

l’emancipazione, usando spesso la leva della

crisi, per impedire l’affermazione della dignità

delle persone e del lavoro.

Un’intera generazione di giovani oggi non ha

futuro e si vede negare il più fondamentale

dei diritti: programmare la propria vita, dare

certezza alla propria esistenza.

Per questo è ancora attuale la battaglia dei

contadini nelle terre del Mezzogiorno d’Italia e

delle mondariso piemontesi.

Dobbiamo recuperarne lo spirito, la passione,

l’insegnamento che proviene da quelle lotte,

dalle straordinarie battaglie di civiltà per

affermare il valore del lavoro che trova il suo

massimo riconoscimento nella nostra

Costituzione e che oggi si tenta ancora di

negare o di privare d’importanza.

La vera forza degli uomini è ancora quella di

riunirsi, sorreggersi reciprocamente, guardarsi

intorno e credere che la situazione possa

essere cambiata.

La forza degli uomini consiste nel fatto che

essi comprendano che la loro voce, da sola,

può passare sotto silenzio, ma tante voci

insieme formano un coro.

Che forse non sposta le montagne, ma può

contribuire a cambiare il mondo.

SERGIO NEGRI

Page 20: Pubblico e Futuro n. 4 ottobre 2013

20

arricchendomi e di dare ogniqualvolta

prendessi. Ma le troppe parole di questi giorni

hanno ravvivato un altro insegnamento

ricevuto: indìgnati davvero, compatisci nel

senso più vero, non voltare la faccia mai. E non

so più se sia stato un filosofo settecentesco, la

mia famiglia, o il prete di quartiere a farmi

sentire così rabbiosamente impotente. Nessuno

di essi. Qui si tratta di umanità.

Mi domando cosa sarebbe successo se quelle

bare fossero state messe tutte in fila in una

qualunque piazza di una qualunque città.

Senza sapere chi vi fosse adagiato. Senza

conoscerne il motivo. Sapendo solo che si

trattava di gente assassinata.

Perché di gente assassinata si tratta. E non

devo elencare i carnefici. A nessuno può più

sfuggire cosa sia a spingerli in odissee

spaventose, e nessuno può negare che non

abbiano altra via di uscita.

Ma dato che invece per molti sono

incomprensibili la paura, la solitudine,

l'umiliazione, gli stenti e la fatica immani che

aspettano questi disperati all'approdo,

quando un approdo c'è, io avrei voluto vedere

la reazione generale davanti a bare ignote.

Avrei voluto vedere lo sconforto, la commozione,

i discorsi accorati e la solidarietà sbandierata

dalle stesse persone che ho sentito, dopo il

terribile naufragio, dire “se fossero rimasti a

casa loro, sarebbero ancora vivi”. Di costoro,

mi vergogno, perché avrebbero il coraggio di

distinguere la razza anche dentro alle bare,

poiché distinguono tra dolore lecito e dolore

illecito. E mi vergogno che siano lo specchio di

un Paese che chiama clandestino un essere

umano, negando, con una sola parola, il suo

diritto alla vita. Un Paese che suffraga

l'indifferenza e l'odio, incriminando e punendo le

vittime del suo stesso disimpegno e coloro

“ Solo voy con mi pena” “Io sono un uomo e non considero nulla che sia umano estraneo a me” Lucio Anneo Seneca

“Domattina mi volterò a guardarlo negli occhi.

Lo rassicurerò con un sorriso e poche parole

'presto verrò a prenderti'. Capirà, un giorno,

che non potevo fare altrimenti”.

Io non lo so cosa pensi un uomo che parte su

un barcone. Non conosco la dimensione della

paura, né della speranza nata dalla

disperazione. Non so che rumore faccia una

bomba, né uno stomaco affamato. Non riesco a

immaginarlo, il coraggio di una ragazza gravida

che non può sognare il proprio figlio nascere

nella sua stessa terra. E quanto alto sia il prezzo

che la fiducia nel domani chieda al dolore. So solo che una serie di bare tutte in fila così non

avrei mai voluto vederla.

Me ne sarebbe bastata una. E neppure.

Mi basta sapere che un solo uomo abbandoni

tutto, non per vivere felice, ma semplicemente

per vivere. E si tratta di un principio di umanità.

I discorsi sui Lampedusa e sull'immigrazione

son spesso semplicistici. E scriverne anche

solo poche righe è arduo, perchè è invece

facilissimo cadere nel “buonismo” e

semplificare non rende onore alla questione.

Di soluzioni e scelte necessarie si

deve discutere in altre sedi, e questo

mi permette di concentrarmi solo

sulle sensazioni.

Due. Nette: Vergogna. Rabbia.

Mi capita spesso di chiamare ignoranza la

mancanza di compassione. Spontaneamente

penso sia merito dello studio dell'Illuminismo

– con le dovute considerazioni – se oggi mi

ritengo aperta al mio prossimo. E talvolta mi è

anche capitato di pensare che l'infanzia

catechizzata abbia giocato la sua parte.

All'educazione dò il merito più alto: in famiglia

ho imparato ad ascoltare, a pormi domande, a

tentare di comprendere, immedesimarmi,

accettare e condividere, in modo da crescere

Il nostro bellissimo mare,

che fu padre della civiltà, si riempie di

sangue e allora anche la mia casa

Page 21: Pubblico e Futuro n. 4 ottobre 2013

21

che offrono doveroso aiuto. Un Paese dove si

proclama il lutto nazionale ma non si concede lo

status di italiano a chi in Italia vive e produce, e

alle generazioni nate su questo stesso suolo.

Mi indigna (e vorrei trovare un termine

diverso, perchè anche questo, come sempre

avviene con le parole, a forza di usarlo sta

perdendo il senso profondo che ha...), più

della mancanza di comprensione, la

mancanza di compassione.

Se essere all'oscuro di quante guerre siamo

complici, ignorare quali danni irreversibili un

certo tipo di progresso e di economia

infliggano, se l'istintivo timore dello

“sconosciuto”, siano tutte cose tollerabili e

forse in piccola parte giustificabili, dovremmo

però chiederci cosa spieghi e motivi la perdita

di umanità e di pietà.

Perchè io mi vergogno di quello che è

successo, e mi vergogno che succeda

continuamente. Non abbiamo bisogno della

terribile conta di questi giorni, stragi così

avvengono quotidianamente e non sono solo

coloro che muoiono, le vittime. Sono i fuggitivi,

per qualunque motivo e di qualunque terra,

che scappano anche per colpa nostra. Sono

quelli che restano, senza futuro. Mi vergogno

per ogni testa che si volta dall'altra parte, per

tutte le scelte che lasciamo siano altri a

compiere, per ogni volta che capire ci stanca,

o ascoltare ci annoia. Mi vergogno perché

piangere adesso è irrispettoso. Mi vergogno

perché molti non piangono affatto. Mi vergogno

quando sento parlare di lavoro rubato, di diritti

diversi, di presunte qualità innate o di incapacità

presunte a seconda della “razza”. Perchè ancora

si pensa all'altro come ostile, pericoloso nemico.

Non è più questione di educazione, né di cultura.

Non lo è nemmeno più di religione, se nemmeno

i principali precetti cristiani di misericordia, in

fondo così meravigliosamente ecumenici, son

negati: amare il prossimo, sfamare, dissetare,

accogliere, curare, consolare.

Laddove allo Stato manca la determinazione

necessaria a risolvere un problema gigantesco

come quello dell'immigrazione, noi cittadini

non abbiamo attenuanti per il principale

assassinio, quello della nostra condizione di

esseri umani.

Di tutto questo mi vergogno. Dell'impassibile

ferocia del disinteresse, della scandalosa

volgarità del qualunquismo, della banale

arroganza dell'egoismo.

Dividere l'umanità in

razze, e poi nei

sottoinsiemi di aventi

diritto o reietti, è un peccato mortale che la

religione forse non prevede, ma è l'ultimo

passo che ci separa definitivamente dalla

civiltà. Il nostro bellissimo mare che ne fu

padre, si riempie di sangue e allora anche la

mia casa, mentre l'orribile mattanza continua.

Della rabbia non ho parlato.

Perché non c'è nulla da dire.

Nella rabbia che provo davanti all'impotenza

della ragione e dell'anima sta il mio errore

personalissimo: non credere più alle possibili

libertà, uguaglianza, fraternità, finché anche

io, nel mio prossimo, continuerò a riconoscere

e a detestare questa colpevole, ignobile,

malvagia indifferenza.

Il sangue non è indio, polinesiano o inglese.

Nessuno ha mai visto sangue ebreo, sangue cristiano, sangue mussulmano, sangue buddista

Il sangue non è ricco, povero o benestante. Il sangue è rosso

Disumano è chi lo versa Non chi lo porta

Ndiock Ngana

La zattera della Medusa Théodore Géricault

(1818-19)

DEBORAH LUGLI

Page 22: Pubblico e Futuro n. 4 ottobre 2013

22

Taccuino

TORINO

9 OTTOBRE

Assemblea Regionale RLS

TORINO 10

OTTOBRE

2013

Convegno “SerT: tra salute degli operatori e qualità dei servizi”

La FP-CGIL ha organizzato per il 10 di ottobre, a Torino, presso la sede della CGIL in via Pedrotti 5, un convegno per presentare i risultati della ricerca nazionale su "Lo stato di salute delle operatrici e degli operatori dei SERT e del Sistema dei Servizi per le Dipendenze" a cui il Piemonte ha fattivamente partecipato. Per l'occasione abbiamo invitato l'Assessore alla Sanità, che ci ha assicurato la sua presenza, Direttori Generali, Lavoratori ed esperti del settore per realizzare una giornata di approfondimento e di riflessione sulle politiche socio-sanitarie volte al potenziamento e alla valorizzazione dei servizi territoriali, in particolar modo di quelli rivolti a fasce di cittadinanza particolarmente deboli ed esposte a rischi di marginalizzazione sociale, convinti sempre più della necessità di uscire da una visione del SSN incentrata sull'ospedalizzazione. Al convegno sono stati riconosciuti 4 crediti ECM

ROMA 15 OTTOBRE 2013

Piazza Montecitorio Assemblea- Presidio Nazionale per la modifica del Decreto 101

Page 23: Pubblico e Futuro n. 4 ottobre 2013

23

Page 24: Pubblico e Futuro n. 4 ottobre 2013

24

Il blog di Rossana Dettori

http://senza-pubblico-sei-solo.com.unita.it/

Il sito web della Funzione Pubblica Piemonte

http://www.piemonte.fp.cgil.it/in-evidenza.asp

il sito della CGIL Nazionale....

http://www.cgil.it/

...e quello della Funzione Pubblica Nazionale

http://www.fpcgil.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1

Polizze Responsabilità civile per colpa grave http://www.fpcgil.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/22439

Corsi formazione ECM FAD

http://www.fpcgil.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/24531

Ai seguenti link è possibile scaricare slides informative

sui fondi previdenziali Perseo e Sirio

http://www.piemonte.fp.cgil.it/upload/piemonte/SIRIO-pensioni-Completo%20new.pdf

http://www.piemonte.fp.cgil.it/upload/piemonte/PERSEO-pensioni%20-CompletoNew.pdf

Dichiarazione di sostegno alla proposta

d'iniziativa dei cittadini europei.

http://www.fpcgil.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/22740

CONVENZIONE Università UNINT - CGIL - master telematici a costi ridotti per gli iscritti http://www.unint.eu/obj.aspx?lang=IT&id=0c230c5b-a725-4be4-96a6-9b8cb0ba8cfc

ABC DEI DIRITTI ONLINE!

http://www.fpcgil.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/7040 NEL – Notiziario Enti Locali FP CGIL PIEMONTE http://issuu.com/nel_fpcgilpiemonte https://www.facebook.com/groups/163893953717227/?fref=ts https://twitter.com/NEL_FPCGIL

Pubblico in Rete