Psicologia dell'Emergenza: aspetti teorico-pratici sulle ... · Obbiettivo n. 1/2014 Periodico di...

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professione infermieristica Anno XXIV - n. 1/2014 - Sped. Abbonamento Postale 70% 2 DCB FI n. 1/2014 Obbiettivo Periodico di informazione attualità e cultura IPASVI FIRENZE www.ipasvifi.it Terapie non convenzionali valore etico deontologico La libertà di scelta della cura deve essere tutelata. Saremo veramente liberi di scegliere solo quando avremo tutte le informa- zioni necessarie. Le istituzioni hanno il do- vere di proteggere e in- formare i cittadini sulle terapie non verificate e po- tenzialmente pericolose per la salute.

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professione infermieristicaAnno XXIV - n. 1/2014 - Sped. Abbonamento Postale 70% 2 DCB FI

n. 1/2014

Obbiettivo

Periodico diinformazioneattualitàe cultura

IPASVIFIRENZE

www.ipasvifi.it

Terapie non convenzionalivalore etico deontologicoLa libertà di scelta dellacura deve essere tutelata. Saremo veramente liberidi scegliere solo quandoavremo tutte le informa-zioni necessarie.Le istituzioni hanno il do-vere di proteggere e in-formare i cittadini sulleterapie non verificate e po-tenzialmente pericoloseper la salute.

Obbiettivoprofessione infermieristicaOrgano Ufficiale del Collegio InfermieriProfessionali Assistenti SanitariVigilatrici d’Infanzia di Firenze

Anno XXIV n. 1/2014Spedizione in a. p. 70% 2DCB

Direttore responsabileLuca BARTALESI

Comitato di redazioneFrancesca CASTIUAnna CIUCCIARELLILorenzo GIOVANNONILucia MAGNANILucia SALVADORILucia SETTESOLDINiccolò SCALABRINStefano CASPRINI

collaboratore esterno

Contatti: [email protected]

Segreteria di redazioneSilvia Miniati, Elisabetta TralloriTania Stella

Direzione e RedazioneCollegio IPASVIVia Pier Luigi da Palestrina, 1150144 FirenzeTel. 055 359866, fax 055 355648e-mail: [email protected] del Tribunaledi Firenze n. 4103 del 10/05/91È consentita la riproduzione totale o parziale degli articolie del materiale contenuto nella rivista purché vengano ci-tatati l’autore e la fonte («Obbiettivo professione infermie-ristica» rivista del Collegio IPASVI di Firenze). È graditacomunicazione per conoscenza alla redazione

Chiuso in tipografia il 15 marzo 2014Impaginazione e stampaTip. Coppini Via Senese 56r50124 Firenze - Tel. 055.2207133

Sommario1 Prima di suonareaccordiamo gli strumenti D. Massai - Presidente Collegio IPASVI Firenze

2 Dal brodo di serpente a Stamina, un secolo di terapie non convenzionali F. Castiu

6 L'ingestione del corpo estraneo M.P. Santoro

8 Psicologia dell'Emergenza: aspetti teorico-pratici sulle competenze infermieristicherelazionali L. Brunelli, G. Ballerini

11 L'applicazione della metodologia dell'Indice di Complessità Assistenziale (I.C.A.) nellecure infermieristiche domiciliari della ASL 10 di Firenze. Uno studio pilota S. Comerci

14 Infermieri,una forza per il cambiamento, una risorsa vitale per la salute G. Brunetti

16 Il Lavoro di cura delle donne e l'impatto sul welfare: la donna come caregiverA. Lombardi, E. Nerozzi, L. Giovannini

22 L'assetto sociale nelletà moderna F. Matarazzo

23 Scienza e convinzioni popolari M. Fadanelli

24 Vivere il morire N. Chiari

Riferimenti fotograficiL’editore è a disposizione con gli aventi diritto non potuti reperire.

Dove siamoIl Collegio IPASVI della provincia di Firenze si trova in Via Pier Luigi da Palestrina, 11 aFirenze a 200 metri dalla Stazione Leopolda dove è possibile trovare parcheggio auto etreni da e per Empoli.Per contattarci telefonare al numero 055/359866 oppure inviarci un fax al numero055/355648 www.ipasvifi.it [email protected] segreteria è composta da: Elisabetta Trallori, Silvia Miniati e Tania StellaL’orario di apertura al pubblico è: Lunedì 12.00-15.00 Mercoledì 14.00-17.00

Venerdì 9.30 - 12.30

Come inviare gli articoli a «Obbiettivo professione Infermieristica»• Gli articoli devono avere una lunghezza massima di 6000 battute spazi compresi oltre l’i-

conografia• Devono avere un taglio tipicamente positivo, apolitico.• Non devono contenere la bibliografia ma solo l’indirizzo a cui richiederla.• Devono essere inviati via mail all’indirizzo [email protected] riportando i recapiti

dell’autore.• Le pubblicazioni avverranno a discrezione della redazione previo liberatoria compilata e

firmata dall’autore da richiedere alla [email protected]• Le immagini (di buona qualità) devono riportare l’autore.

BibliografiaLa redazione demanda ogni responsabilità relativa a contenuti e bibliografia degli articolied elaborati agli Autori. La bibliografia è da richiedere direttamente all’autore.

in breve

“Obbiettivo” ricercacollaboratori

editorialisti e fotografiLa redazione ricerca tra gli iscritti alCollegio IPASVIFI collaboratori editoriali-sti e fotografi per la produzione autonomao su commissione di materiale da pubbli-care sulle proprie riviste ufficiali.Le proposte dovranno pervenire allacasella [email protected]

La proposta formativa IPAVIFi 2014

Prende il via la nuova stagione formativa proposta dal Collegio IPASVIdi Firenze per i suoi iscritti. Una vasta gamma di corsi ed eventi ECMa 360° sull'infermieristica. Per una panoramica completa, informazionie iscrizioni da gestire autonomamente, consultare il sito www.ipasvi-fi.it > formazione >, seguire le istruzioni per accedere al servizio TOM(Tranining On-line Management), in continuo aggiornamento

Obbiettivo 1/2014 IPASVI - Firenze Editoriale 1

“Cabina di regia”: protocollo d’intesaMinistero della Salute, Regioni, OO.SS.

Creazione di una “ cabina di re-gia “ permanente, nazionale “cheveda la presenza delle rappresen-tanze istituzionali, sindacali e pro-fessionali di tutti gli operatori delsistema, che funga da coordina-mento per la promozione e diffu-sione di buone pratiche e nel con-tempo realizzi un costante moni-toraggio e adeguata verifica deirisultati attesi”(www.quotidiano-sanita.it 17 gen. 2014)Questi sono i propositi della pro-posta con emendamenti avanzatadal Sottosegretario Fadda ed ap-provata il 16 Gennaio 2014, mo-tivata dalla necessità di condivi-dere con gli addetti ai lavori diogni categoria professionale, nuo-vi canoni organizzativi e gestio-nali che rimodellano il SSN. Lacrisi come opportunità titola quo-tidianosanità.it, uno dei paragra-fi del documento; di necessità vir-tù diremo noi, la sostanza non cam-bia. In questa fase della vita so-ciale l’unica ricchezza sono le ideee l’impegno per la ricerca di nuo-ve risorse, o la razionalizzazio-ne di quelle restanti. Parliamo deinuovi costi standard su tutto il ter-ritorio nazionale: non è pensabi-le che una siringa abbia un costodiverso da regione a regione. Par-liamo di prevenzione che metta alcentro del sistema la politica am-bientale e l’educazione a più sa-lubri stili di vita; poi apprendia-

mo che la cura del territorio in di-verse regioni è stata per decenninelle mani delle organizzazionicriminali, con il tacito assenso del-le istituzioni e oggi, le prevedibi-li nefaste ricadute sulla popola-zione. Parliamo delle sinergie pro-fessionali che indiscutibilmentedovrebbero essere affinate e con-divise fra oltre 30 profili profes-sionali laureati con specifici am-biti di autonomia. Prospettiva teo-rica che si scontra con la prag-matica applicazione: citiamo adesempio le barricate dell’inter-sindacale medica sul campo del-le competenze infermieristiche (enon vediamo rapide soluzioni).Parliamo di formazione e di ac-crescimento professionale in fun-zione del continuo rinnovamentodelle esigenze del cittadino, del-le best practic, di ricerca e speri-mentazione. Tutti settori di fattofalcidiati dai tagli trasversali im-posti dai vari governi. Parliamoanche della necessità di adegua-re le competenze ai nuovi stan-dard assistenziali per medici, in-fermieri e altre professioni delSSN, per l’evoluzione speciali-stica, ma anche una demarcazio-ne netta della responsabilità per-sonale per chi assume decisioni emette in pratica procedure. Una “cabina di regia” che nei pre-supposti avrà una mission diversada quella istituzionale delle figu-

re che ne faranno parte, che rimarràfuori da quanto previsto dai CCNL.Uno strumento permanente per ilconfronto in funzione dello svi-luppo professionale, organizzati-vo e formativo, da impegnare an-che nei contenuti del Patto per laSalute per monitorare e verificarele innovazioni e revisioni intro-dotte ed i risultati ottenuti.Dobbiamo però domandarci: - Una“cabina di regia” per avere il pa-rere di tutti gli attori, o per regola-re le dinamiche mettendo tutti d’ac-cordo in una sorta di avvallo su-premo. Un pensiero malizioso che vienespontaneo se pensiamo ai possibi-li orientamenti che questa nuovasquadra potrebbe assumere in ba-se alle forze di governo. Una prospettiva, egr. legislatore,che ci origina tanti dubbi parte deiquali nascono dalle dinamiche tracategorie professionali con atavi-ci e recenti problemi in attesa disoluzioni politiche. Pensi a setto-ri come l’emergenza territoriale,la sanità in carcere, la medicina pri-maria o altre questioni con impor-tanti risvolti sociali.Se vogliamo che la “cabina di re-gia” sia una squadra criticamentecostruttiva per i servizi al cittadi-no, bisogna innanzitutto mirare afare spogliatoio.

Danilo Massai

Danilo Massai

Prima di suonareaccordiamo gli strumenti...

1/2014 IPASVI - Firenze Obbiettivo2 Attualità/Primo piano

Francesca Castiu

Infermiera libero [email protected]

Un tempo, quando la società eraancora in gran parte rurale e le cam-pagne erano abitate da famiglie dicontadini con bassa istruzione sco-lastica, abituati al duro lavoro agri-colo, la medicina tradizionaleera ancora appannaggio di pochifortunati e la figura medica gode-va di una considerazione tale chea tratti le conferiva dei contorni disacralità (in alcune regioni moltopovere, in particolare dell’entro-terra, il medico spesso veniva ac-comunato quasi ad un “santone”,un taumaturgo); inoltre la pover-tà diffusa non permetteva di ri-volgersi al medico se non in raricasi quando tutti gli altri rimedi sierano rivelati inefficaci o quandoormai l’ammalato versava già incondizioni critiche. Pertanto in unoscenario nel quale povertà e dis-agio sociale rappresentavano lanormalità quotidiana di milioni difamiglie alla medicina tradizio-nale si affiancava un’altra medi-cina, quella cosiddetta popolare,che affondava le radici nelle tra-dizioni orali e nelle consuetudinie che si giovava delle conoscenzefitoterapeutiche che gli uominiavevano sviluppato grazie a seco-li di contatto diretto con la natura.I rimedi popolari miravano a com-battere un ampio ventaglio di pa-tologie e disturbi anche in rela-zione al luogo specifico. Nelle zo-ne paludose dove la malaria mie-

Dal brodo di serpente a stamina,un secolo di terapie non convenzionali

Quando si percorre, carponi, un cunicolo sotterraneo, siarriva ad un punto in cui, essendo andati troppo oltre, sisa che tentare di tornare indietro equivale a morte certa.Andare avanti non dà certezza di sopravvivenza, ma que-sta incertezza equivale a una speranza.O speranze, speranze; ameni inganni della mia prima età!

Giacomo Leopardi

teva ogni anno centinaia di vitti-me, i rimedi antimalarici erano dav-vero tanti, purtroppo molti di que-sti si rivelavano totalmente inuti-li e talvolta addirittura dannosi peril corpo; altri invece riuscivano adincontrare un riscontro scientificospecialmente laddove si faceva ri-corso all’utilizzo di erbe medici-nali. La febbre malarica era benconosciuta e sebbene poco si sa-pesse sulla sua reale patogenesi,essa rappresentava un capitolo im-portante dell’enciclopedia medi-ca popolare. Alcuni affermavanoche la causa delle febbri fosse daricercarsi nell’ingestione di fruttidi bosco, more in particolare. Al-tri invece ritenevano che essa fos-se frutto della presenza di spiritimaligni; in questo caso ci si rivol-geva alle “maghe” o fattucchiereaffinchè mediante qualche pozio-ne magica liberassero l’ammalatodal male. Pur di guarire l’amma-lato era disposto a sottoporsi a qual-

siasi tipo di rito, anche a quelli piùnauseanti nei quali si mescolava-no sacro e profano. Uno di questiriti prevedeva che la persona fos-se ricoperta di lucertole, rospi e no-ci o che si cibasse di insetti fritti.Altri ancora richiedevano che ilmalato bevesse intrugli vari, alcu-ni contenenti addirittura liquidibiologici umani, compresi sanguemestruale e sperma. Per la cura del-l’otite un altro rimedio curioso,prevedeva l’instillazione di goccedi latte materno nel meato uditivo.Per medicare ustioni e ferite inve-ce si ricorreva ad impacchi con fet-tine di lardo o toccature con co-lostro di mucca. Insomma la me-dicina popolare si serviva propriodi tutto pur di raggiungere lo sco-po curativo; fortunatamente a par-tire dai primi anni del secolo scor-so, con l’avanzare delle conoscenzescientifiche anche la medicina hasubito un forte avanzamento e com-plice l’innalzamento del tasso di

Obbiettivo 1/2014 IPASVI - Firenze Attualità/Primo piano 3

scolarizzazione e il miglioramen-to delle condizioni di vita, l’ac-cesso alle cure mediche primarieè divenuto una realtà sempre piùconsolidata, ragion per cui la me-dicina popolare ha subito un bru-sco arresto nelle sue applicazionipratiche. Tuttavia non hanno ces-sato di susseguirsi nel tempo nuo-ve figure che ripropongono in chia-ve odierna l’equivalente del mi-racoloso “brodo di serpente” chefu sapientemente preparato a ma-no dall’abile fattucchiera-maga dipaese. Mi riferisco a quei pro-motori che periodicamente, a di-stanza di dieci o quindici di annil’uno dall’altra, annunciano la sco-perta di una chiave di svolta per lacura e guarigione di alcune gravipatologie ad oggi non ancora cu-rabili. Era il 1998 quando il Prof.Di Bella, fisiologo modenese, pre-sentava un nuovo tipo di terapiaper la cura del cancro; si trattavadi un “multi farmaco”, una curarealizzata mediante l’associazio-ne di più sostanze nella quale lasomatostatina era presente in quan-tità maggiori. Il Prof. Di Bella so-steneva l’efficacia di questa mul-titerapia nel prevenire la diffusio-ne di metastasi e nel trattamentodei tumori solidi. In realtà, sebbe-ne gli studi del Professore sulle pa-tologie neoplastiche ebbero iniziogià dagli anni Sessanta del secoloscorso, fu solo trent’anni dopo chequeste destarono l’attenzione mas-siccia dei media. La “cura Di Bel-la” fu salutata con entusiasmo damigliaia di pazienti colpiti daltumore che intravedevano nel me-todo una nuova speranza di guari-gione e che ne richiedevano a granvoce il riconoscimento da parte delMinistero della Salute, ragion percui Rosy Bindi, l’allora Ministrocompetente, autorizzò un trial spe-rimentale che includeva seicentopazienti. Purtroppo i risultati del-la sperimentazione furono talmentedeludenti da far cadere ogni vel-leità di trovare un riscontro og-gettivo che ne validasse l’utilizzo.

In seguito a ciò anche la Commis-sione Oncologica Nazionale boc-ciò seccamente il metodo defi-nendolo privo di legittimazionescientifica. Eppure nonostante leevidenze che bollavano il metodocome inefficacie, migliaia di pa-zienti continuavano a manifestarecon veemenza il loro appoggio in-condizionato al professore e allasua cura. In seguito col passare deltempo l’attenzione dei media an-dò scemando e negli anni succes-sivi non se ne parlò più. Oggi a di-stanza di circa quindici anni dal ca-so Di Bella sembra si stia verifi-cando un circostanza simile; mi ri-ferisco al metodo “Stamina”, unaterapia promossa da Davide Van-noni, professore universitario diPsicologia della Comunicazione(e già in merito alla sua compe-

tenza in ambito scientifico ci sa-rebbero valide obiezioni da avan-zare) e presidente della fonda-zione Stamina, una Onlus nata nel2009 il cui obiettivo è quello di so-stenere la ricerca sul trapianto dicellule staminali mesenchimali esul loro utilizzo nella cura di pa-tologie neurodegenerative. La tec-nica proposta da Vannoni (sebbe-ne il Presidente non abbia mai ac-cettato di rivelarne i dettagli) con-siste nell’estrazione di cellule sta-minali mesenchimali dal midolloosseo del paziente, dal trattamen-to delle stesse in vitro e dalla suc-cessiva infusione delle cellule trat-tate allo stesso paziente. Secon-do le dichiarazioni rese ai media eal pubblico dai promotori del me-todo (fra i quali spicca la figura deldott. Marino Andolina, pediatra e

1/2014 IPASVI - Firenze Obbiettivo4 Attualità/Primo piano

immunologo, fino al 2011 diretto-re del Dipartimento Trapianti del-l’ospedale Burlo Garofalo, di Trie-ste e braccio destro di Vannoni), lecellule così trattate sarebbero ca-paci di mutarsi in cellule nervosesane. Tuttavia anche questo meto-do sembra seguire, nei metodi enei contenuti il lascito della curaDi Bella e così oggi come all’e-poca del professore modenese, ilMinistero della Salute dietro pres-sione di gruppi di pazienti e di tut-ti coloro che a vario titolo sosten-gono la validità della cura, avevaavviato una sperimentazione in-terrotta in seguito dal ministro Lo-renzin in relazione a quanto espres-so dall’ Avvocatura di Stato, se-condo cui il metodo Stamina ap-pare come caratterizzato da “po-tenziali rischi”, “inadeguata de-scrizione dei metodi” e “insuffi-ciente definizione del prodotto”.Una stroncatura netta determina-ta anche dal parere del ComitatoScientifico. Il mondo della scien-za dunque si schiera contro Van-noni e la sua terapia definita da piùesponenti un inganno; un’umi-liazione alla scienza secondo quan-to affermato dal prof. Silvio Ga-rattini, direttore dell’istituto Ma-rio Negri di Milano, intervenutoalla cerimonia di apertura dell’annoaccademico all’Università stataledi Milano. Secondo Garattini il ca-so Stamina è stato possibile « per-ché siamo un Paese in cui le rego-le non vengono rispettate”; e in re-lazione allo scandalo della som-ministrazione di terapie non auto-rizzate (travestite da “cure com-passionevoli”) del quale è statoprotagonista l’ospedale di Brescia,Garattini aggiunge “ È quasi in-credibile che in un ospedale pub-blico siano stati somministrati deifarmaci, indipendentemente da tut-ti i passaggi e i divieti previstiper le sperimentazioni. Questo per-ché la scienza è umiliata da tutti inItalia, e in prima parte dai politiciche adottano provvedimenti sen-za senso”. Parole dure, parole di

fuoco che generano delle rifles-sioni sulla considerazione e il trat-tamento che l’azienda Italia riser-va a ricercatori e studiosi ma an-che sul significato di “cura com-passionevole”. Può davvero esse-re considerata tale la sommini-strazione di terapie non validatedalla legge, in pazienti scarsamentimonitorati, che potrebbero poten-zialmente arrecare degli ulterioridanni al malato? E’ vero che si trat-ta di persone la cui storia clinicapuò difficilmente essere modifi-cata, molte dal destino già segna-to ma attenzione, il passo fra cu-ra compassionevole e sperimenta-zione camuffata può essere moltobreve. Un’altra riflessione andrebbededicata alla volontà di molti ma-lati e familiari di sottoporsi allasuddetta terapia, sebbene l’ineffi-cacia se non la pericolosità dellastessa, sia stata dichiarata da illu-stri esponenti del mondo scienti-fico; si potrebbe pensare ad unaforma più o meno evidente di sfi-ducia nei confronti delle istituzio-ni, che probabilmente per moltotempo hanno chiuso l’orecchio al-le grida di aiuto di queste persone,tant’è vero che il parere di un lau-reato in Scienze della Comunica-zione sembra più credibile di mil-le pareri e valutazioni espresse, condati alla mano, da esperti del set-tore della ricerca sulle malattie neu-rodegenerative; a nulla vale nem-meno la preoccupazione espres-sa dal Ministro della Salute. Peralcuni versi sembra quasi di es-sere tornati indietro di cento, due-cento anni, quando contro ogni evi-denza empirica si continuava a be-re pozioni nauseabonde e intruglidi ogni tipo. Ma duecento anni fanon c’era scuola per la gente co-mune, non c’era la tv…ma forse,di fronte al dolore quotidiano, difronte ad una malattia che ti spe-gne giorno dopo giorno, alla rab-bia, alla sensazione di sentirsi di-menticati, non resta altro che lasperanza e l’affidamento, talvoltairrazionale, ai nuovi stregoni.

Filippo FestiniProfessore Associato e abilita-to ordinario, Dipartimento diScienze della Salute (DSS) del-l’Università di Firenze MED/45- Scienze infermieristiche ge-nerali, cliniche e pediatriche

Dopo oltreun decenniodalla nasci-ta del corsodi Laurea inscienze in-fermieristi-ce rimanedifficile comprendere come an-cora siano pochissimi i Profes-sori provenienti dal settore in-fermieristico docenti nelle ma-terie specifiche di questa spe-cialità. Nella maggior parte deicasi i cattedratici provengonodalla classe medica e da altreestrazioni che poco hanno a chefare con l’infermieristica.Una realtà che ci fa gioire par-ticolarmente quando ad un in-fermiere viene riconosciuta l’a-bilitazione a Professore ordina-rio da parte della comunità uni-versitaria, step preliminare allanomina in ruolo. Filippo Festi-ni, nato a Firenze nel 1964, silegge nel suo curriculum webdell’Università di Firenze: mau-rità classica, Laurea in scienzepolitiche e relazioni internazio-nali, Laurea in infermieristicaall’università di Siena, Profes-sore Associato all’Universitàdegli Studi di Firenze dal 2005,una miriade di pubblicazioni.Il Collegio IPASVI Firenze sicomplimenta per il risultato rag-giunto e annuncia che a brevesarà pubblicata su deNurse pod-cast l’intervista audio rilasciatadal Prof. Festini.

Obbiettivo 1/2014 IPASVI - Firenze Collegio 5

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oppure per e-mail a [email protected] ; [email protected]

DATI ANAGRAFICI

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Luogo nascita Data nascita cittadinanza

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residenza

citt via

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domicilio

citt via

Cap. telefono

E-mail

2 1

Formazione di base: Laurea Diploma infermiera/e assistente sanitara /o inf. pediatrica/o vig.infanzia Data conseguimento Universit _____________________ Scuola Regionale __________________________

altri titoli di studio

atad eerual/imolpid irtlA Universit /Scuola

Perfezionamento/ specializzazione / master data Universit /Scuola

Perfezionamento/ specializzazione / master data Universit /Scuola

Perfezionamento/ specializzazione / master: data Universit /Scuola

Attivit professionale: dipendente p.a. sanit. priv. libero professionista altro Azienda/Ente/Casa di Cura/altro Ruolo/ incarico/ area:

Dipendente a ruolo SI NO

Dipendente a tempo determinato SI NO Periodo data:

N.B.: si prega di inviare aggiornamento all Albo Professionale ad ogni apertura di contratto

Libera Professione data inizio Denominazione

otaicossaoidutS

izivres id evitarepooC

Societ tra professionisti

elaudividni atsinoisseforp orebiL

erottes ozret etnarepo atsinoisseforp orebiL

ortla

Informativa resa ai sensi dell art. 13 decreto legislativo 196/2006 art. 48 DPR 445/2000 informiamo che : I dati dichiarati saranno utilizzati dagli uffici esclusivamente per le finalit strettamente connesse all attivit del Collegio IPASVI.di cui all art 9 del DLCPS 233/46 e

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Pierluigi da Palestrina 11 Firenze cap 50144 tel. 055359866 fax 055355648.

Autorizzo NON autorizzo

Data firma

oggetto identico a quello ingerito,questo serve a pianificare al me-glio la gestione del piccolo pa-ziente.Il percorso assistenziale si diffe-renzia a seconda del tipo di corpoestraneo ingerito e della sede di ar-resto di esso: solitamente il CE pre-corre il tratto digerente e vieneespulso spontaneamente (80%),solo in una piccolissima percen-tuale si deve ricorrere alla rimo-zione endoscopica (20%) o, in ca-si estremi (rischio elevato di per-forazione), alla rimozione chirur-gica (1%).Nell’anamnesi deve essere richiestol’ora dell’ultimo pasto e le even-tuali allergie.Naturalmente se il bambino si pre-senta in stato critico (ad esempioematemesi) vengono subito effet-tuati i primi interventi utili alla sta-bilizzazione.Dopo aver raccolto l’anamnesi sog-gettiva ed oggettiva attribuisce ilcodice colore di priorità che variaa seconda della tipologia del CE,della sintomatologia presentata dalbambino.

6 Nursing pediatrico 1/2014 IPASVI - Firenze Obbiettivo

L’ingestione di corpoestraneo in età pediatrica

Maria Pia SantoroInfermiera referente del trauma center

dell’ospedale pediatrico [email protected]

L’ingestione di corpo estraneo (CE)è un evento molto frequente in etàpediatrica, soprattutto nella fasciadi età tra i 6 mesi e i 6 anni quan-do il bambino inizia ad esplorarel’ambiente.Nel 93% dei casi l’ingestione è unevento accidentale, in minore per-centuale si ha una ingestione di cor-pi estranei dovuta alla presenza dipatologia neurologica o psichia-trica.

TriageNel caso in cui un bambino si pre-senti in pronto soccorso per l’in-gestione di corpo estraneo il pri-mo passo del percorso assisten-ziale, è quello di rassicurare sia ilbambino che la famiglia sugli in-terventi che verranno eseguiti.E’ necessario che l’infermiere ditriage effettui una anamnesi mi-nuziosa, mirata a capire l’eventoe le circostanze che hanno porta-to ad ingerire il CE; le patologiedi cui il bambino è affetto che po-trebbero dare eventuali compli-canze (esempio stenosi esofageao malattie infiammatorie cronicheintestinali), e se il bambino ha su-bito interventi addominali o eso-fago-gastrici.Qualora fosse possibile si devechiedere all’accompagnatore l’e-ventuale oggetto gemello, ossia un

Tipologia e dimensionedel corpo estraneo

I diversi tipi di CE possono esse-re classificati secondo due criteri:sede e morfologia. In base a questi si ha la potenzia-le pericolosità e indicazione sullanecessità di rimozione cruenta e illivello di urgenza.I corpi estranei sono quindi sud-divisi in base alla tipologia in trecategorie principali:– alimenti: boli di carne, grossi

semi, ossi, cartilagini, lischedi pesce.

– oggetti: si distinguono in inno-cui: esempio monete o simili;vulneranti: sono oggetti ap-puntiti o contundenti come spil-le, fermagli, oggetti volumi-nosi o lunghi.

– contenitori tossici: batterie, og-getti con piombo, contenitori difarmaci e sostanze stupefacen-ti

E’ importante identificare la di-mensione del corpo estraneo rap-portandolo all’età del paziente, inlinea di massima:– oggetti <2cm solitamente ven-

gono eliminati spontaneamen-te dopo aver percorso il trattodigerente

– oggetti >3cm potrebbero nonsuperare spontaneamente lo sto-maco

Alcune malformazioni possonofacilitare la ritenzione del corpoestraneo ad esempio stenosi eso-fagee congenite o secondarie, ste-nosi del piloro o intestinali ecc.

Obbiettivo 1/2014 IPASVI - Firenze Nursing pediatrico 7

SintomatologiaIl bambino presenta una sinto-matologia diversa a seconda dellasede di ritenzione del corpo estra-neo e alla tipologia dell’oggetto.Se il CE si arresta in esofago il bam-bino può presentare i seguenti sin-tomi: scialorrea, rifiuto di alimen-tarsi, disfagia, odinofagia, rigur-giti, emorragie digestive. Doloreaddominale da occlusione o per-forazione del tratto intestinale sesi tratta di oggetti di grosse di-mensioni, con superficie non li-scia, appuntiti o taglienti.Quando è possibile è importantecapire se l’oggetto ingerito con-tiene piombo in quanto il bambi-no può presentare una sintomato-logia di intossicazione acuta dapiombo che si sviluppano a livel-lo digestivo, renale, ematologicoe neurologico.

Esame fisicoL’infermiere di triage deve ese-guire un esame fisico mirato allaricerca di segni che possono in-dicare danno del cavo orale o eso-fageo, come per esempio l’enfise-ma sottocutaneo del collo da per-forazione esofago tracheale.

Indagini post visita medica– RX toraco -addominale senza

mdc: (può essere usato solo quan-do il CE è di tipo radio opaco)

solitamente è unaindagine sufficien-te per vedere la po-sizione dell’ogget-to ingerito e valu-tare la ripienezzagastrica del bam-bino. – TC ed Ecografiaaddominale: sonoindagini riservatesolo a CE partico-lari come conteni-tori di sostanze stu-pefacenti e per evi-denziare eventualicomplicanze comefistole tra organi at-tigui. – Endoscopia dia-

gnostica e rimozione: l’effet-tuazione di una endoscopia conlo scopo di rimozione del corpoestraneo dipende da diversi fat-tori:-sede di arresto del corpoestraneo;-tipologia del CE: ca-ratteristiche e volume del corpoestraneo.

Casi particolariPer alcuni oggetti deve essere po-sta una particolare attenzione:– Monete: la moneta è l’oggetto

più frequentemente ingerito.- Se la moneta è ritenuta in eso-

fago cervicale, indipendente-mente dalla sintomatologia sideve procedere a una endo-scopia in regime di urgenza.

- Se la moneta è ritenuta in ca-vità gastrica si ha per la mag-gioranza pazienti asintomati-ci che possono essere inviatial domicilio e controllati.

– Batterie: lo splitting della bat-teria (rottura e quindi rilasciodelle sostanze) viene favoritodal pH acido presente a livellogastrico, per questo i tempi tral’ingestione e la rimozione delCE devono essere ridotti al mi-nimo.

– Magneti: (solo se multipli) la lo-ro azione lesiva determinante laperforazione è data dalla forzadi attrazione che si sviluppa

attraverso le pareti intestinali.Per questo è necessaria la ri-mozione immediata per via en-doscopica.

– CE contenenti piombo: il peri-colo è dato dalla quantità di piom-bo contenuta dall’oggetto. E’importante eseguire rimozio-ne endoscopica d’urgenza an-che se il paziente è asintomati-co.

– Boli alimentari: il bolo alimen-tare rappresenta una urgenza en-doscopica nel caso di bambinoaffetto da stenosi esofagea; larimozione quindi deve essereeffettuata in regime di urgenza.

ConclusioniLa conoscenza da parte dell’in-fermiere di triage sulla tipologiadei corpi estranei, sulla sintoma-tologia e sulle indagini che pos-sono essere eseguite al piccolopaziente è fondamentale per po-terlo indirizzare nel percorso piùappropriato in modo da poter ga-rantire il trattamento nel minortempo possibile evitando conse-guenze.

L'edizione 2014 della ma-nifestazione podistica noncompetitiva si svolgerà sul-lo stesso percorso delle dueedizioni precedenti salvoimpedimenti autorizzatividell'ultimo momento.Prossimamente tutte le in-formazioni saranno pubbli-cate sul sito www.ipasvifi.it

8 CIVES 1/2014 IPASVI - Firenze Obbiettivo

Psicologia dell’Emergenza:aspetti teorico-praticie cenni sulle competenzeinfermieristiche relazionali

L. Brunelli1 - G. Ballerini2

1Infermiere libero [email protected]

2Infermiere AOU [email protected]

Dall’inizio degli anni ’80 in Italiasi incominciò a parlare del feno-meno del burnout, iniziando cosìa evidenziare il rischio emotivo alquale tutte le professioni d’aiutopossono andare incontro. Non-ostante siano svariati i percorsi for-mativi che i sanitari devono af-frontare, poco o nulla vien fattoper delineare il disagio psicologi-co che può nascere in seguito a unevento traumatico; in merito a ciòsi può parlare di una vera e propria“censura emotiva”, in quanto neiservizi emergenziali e non solo ilmodello di professionalità assun-to è di tipo neutro e impersonale.In seguito a ciò i propri stati d’a-nimo vengono circoscritti, arginatie recepiti come un ostacolo al buonfunzionamento del sistema. Co-sì, da soccorritori, si rischia didiventare vittime di un evento trau-matico, in quanto si è esposti a ta-li livelli di sofferenza umana chepossono notevolmente compro-mettere non solo l’opera di soc-corso ma soprattutto il proprio be-nessere psicofisico. Ecco allorache diventa importante identifica-re le tecniche tramite le quali il soc-corritore, sia sanitario che laico,possa preservarsi assolvendo al

proprio compito. Un valido aiutoviene offerto dalla Psicologia del-l’Emergenza la cui finalità è rap-presentata dallo studio, dal tratta-mento e dalla prevenzione dei pro-cessi psichici negativi, dalle emo-zioni e dai comportamenti che sideterminano prima, durante e do-po l’evento avverso; sono quindioggetto di studio sia il singolo chela comunità colpita con il fine diaiutare a prevenire e superare queifenomeni psichici negativi che sipossono generare. Gli obiettivi del-l’intervento psicosociale riguar-dano la salvaguardia della salutepsichica e la promozione del be-nessere psicologico, l’individua-zione di modelli decisionali, for-mativi, educativi e comunicativi eil sostegno psicologico ai soccor-ritori. Lo sviluppo della disciplina

è avvenuto in parallelo a tre diversiambiti:1

1. sul piano teorico si è assistito aun moltiplicarsi di studi e pub-blicazioni sui differenti aspettipsicologici connessi al contestoemergenziale;

2. sul piano operativo, gli psicolo-gici sono “scesi in campo” col-laborando attivamente con il teammultidisciplinare dell’emergen-za (medici, infermieri, volonta-ri, etc..);

3. sul piano politico e decisionale,si è dimostrato un interesse atti-vo alla psicologia dell’emergen-za tramite l’emanazione di dueimportanti documenti:

• European Polyci Paper: emana-to nel 2001 dal Ministero dellaSalute Pubblica del Belgio, conil sostegno della Commissione

Obbiettivo 1/2014 IPASVI - Firenze CIVES 9

Europea, esteso atutti i paesi dell’U-nione Europea, ildocumento si fo-calizza sulla pre-parazione, gestio-ne operativa e va-lutazione degli in-terventi nelle tre di-versi fasi che sonoconcomitanti e se-guono l’evento ca-lamitoso: fase acu-ta, di transizionee a lungo termine;

• Criteri di massima per l’inter-vento psicosociale nelle cata-strofi: con la legge n. 200 del 29agosto 2006, pubblicata nella Gaz-zetta Ufficiale, in Italia si è veri-ficato l’ingresso definitivo del-l’intervento di supporto psicoso-ciale a seguito di un disastro.La normativa prevede che il Pre-sidente del Consiglio dei Mini-stri predisponga piani di previ-sione e prevenzione dei rischi, iprogrammi nazio nali di soccor-so e i piani per l’attuazione di mi-sure di emergenza. La direttivasottolinea anche l’importanza dirilevare problemi d i ordine psi-chiatrico e psicologico sia nellapopolazione colpita che nei soc-corritori e, fornire piani di in-tervento anche a lungo terminequando le caratteristiche dell’e-vento possono notevolmente com-promettere la capacità di adat-tamento degli individui.2

Prima di affrontare quelle che pos-sono essere le varie risposte psi-cologiche a un intervento emer-genziale, occorre definire la diffe-renza che sussiste tra il concettodi “trauma” e di “stress”. I due con-cetti, secondo il linguaggio comu-ne, rappresentano entrambi lo stes-so significato di “esperienza ne-gativa”; nonostante possano esse-re collocati come punti sullo stessocontinum il trauma si riferisce nonsolo a situazioni che possono met-tere in pericolo la vita delle perso-ne o ne implicano minaccia alla lo-ro integrità psicofisica, ma anche aquegli eventi che l’individuo per-

cepisce come minacciosi per la lo-ro valenza negativa, per la loro im-previdibilità e non controllabilità.Quindi, il trauma è l’evento nega-tivo; lo stress invece è la rispostaaspecifica all’evento. Questa ri-sposta può essere efficace, nel mo-mento in cui il soggetto pone in es-sere tutte quelle misure positive perfronteggiare lo stress (coping effi-cace) o, di tipo inefficace, quandola persona non riesce a risponderein maniera idonea all’evento trau-matico. La mancanza di instaura-zione di tecniche di coping effica-ci può portare, se non tempestiva-mente riconosciuti e trattati, a di-versi disturbi psichici quali ad esem-pio il Disturbo Post-Traumatico daStress (DPTS), TraumatizzazioneVicaria e Critical Incident o Sin-drome da Eventi Critici.3 . Tutti que-sti disturbi sono in grado di com-promettere notevolmente la sferacognitiva e comportamentale delsoggetto coinvolto andando a lede-re sia i rapporti familiari e amica-li, sia quelli lavorativi. Il DPTS èun disturbo la cui durata deve esse-re di almeno un mese e che porta aun significativo disagio o a una me-nomazione del funzionamento so-ciale, lavorativo o in altre aree im-portanti. Per far diagnosi, occorreche la persona ha vissuto, o ha as-sistito o si è confrontata con uno opiù eventi che hanno implicato lamorte o la minaccia di morte o gra-vi lesioni all’integrità fisica o di al-tri. Inoltre, l’evento traumatico de-ve essere rivissuto sotto forma di ri-cordi spiacevoli ricorrenti, incubi,allucinazioni e flashback; l’esita-

mento persistente deglistimoli associati al trau-ma deve essere dimostratodalla presenza di tre o piùdei seguenti elementi: 1. sforzi per evitare pensieri, sensazioni o con-versazioni associate altrauma; 2. sforzi per evitare at-tività, luoghi o personeassociate al trauma; 3. incapacità a ricordarequalche aspetto associa-

to all’evento traumatico; 3. marcata riduzione dell’interesseo della partecipazione ad attivitàsignificative; 4. sentimento di distacco o di estra-neità nei confronti degli altri; 5. riduzione della gamma di affet-ti; 6. senso di mancanza di prospetti-ve future (non poter avere mai unacarriera, dei figli o una vita nor-male).Infine devono essere presenti al-meno due sintomi di forte attiva-zione e non presenti prima del trau-ma, quali ad esempio difficoltà adaddormentarsi o a mantenere il son-no, scoppi di collera, ipervigilan-za e reazioni di trasalimento esa-gerate. Nella Traumatizzazione Vicaria ilsoccorritore vive indirettamente iltrauma di un’altra persona e i sin-tomi vanno dalla stanchezza alla de-pressione, all’irritabilità, all’ansia,all’insonnia, all’affaticamento, aiproblemi familiari, al cinismo, al-l’apatia e al senso di inutilità. Neisoccorritori questa sindrome puòmanifestarsi nella difficoltà di con-centrazione, nell’irritabilità, in dif-ficoltà respiratorie ed in forme diisolamento. I fattori di rischio chepossono generare la sindrome sonosuddivisi in tre classi e, più preci-samente: 1. i fattori di rischio oggettivi cor-

relati ad eventi che portano allamorte dei bambini, al coinvolgi-mento di tante persone, alla mor-te di un collega, alla mutilazioneo deformazione dei corpi o alladifficoltà di intraprendere deci-

10 Studi e progetti 1/2014 IPASVI - Firenze Obbiettivo

sioni importanti in brevissimotempo;

2. i fattori di rischio soggettivi cor-relati alla tendenza del soccor-ritore ad identificarsi con la vit-time o a tenersi a debita distanzada essa, presenza di significativeproblematiche psicologiche an-cor prima dell’evento traumati-co o mancanza di idonee strate-gie per fronteggiare lo stress.

I fattori di rischio correlati all’or-ganizzazione nella quale si prestaservizio riguardano i ritmi di lavo-ro eccessivi, carenza dei processi dicomunicazione, conflitti interni al-l’organizzazione stessa e carenzenei processi di selezione e forma-zione del personale di soccorso. Il Critical Incident o Sindrome daEventi Critici, viene definito come“qualunque situazione capace diesercitare nell’individuo un impat-to fortemente stressante, tale da an-nientare i meccanismi di coping so-litamente utilizzati” (Mitchell eEverly, 1999). In altri termini l’e-vento stressante sconvolge il sog-getto facendogli perdere il control-lo su di sé e sulla realtà che lo cir-conda. La sindrome determina nel-l’individuo una reazione emotivache lo porta ad utilizzare male i pro-pri schemi cognitivi e può arrecaredanno non solo a chi ne è colpitoma anche ai colleghi o alle personeda soccorrere. Un aspetto interes-sante del Critical Incident è ricon-ducibile al fatto che può essere cau-sato dalla ripetizione di eventi stres-santi in breve tempo. Le strategie di primo soccorso psi-cologico hanno l’obiettivo di iden-tificare e prevenire tutte quelle ma-nifestazioni psico-patologiche e, siidentificano in un programma glo-bale, multicomponente e sistemicochiamato Critical Incident StressManagment (CISM). Il modello, in-trodotto nel 1999, ha quindi l’o-biettivo di ridurre la tensione emo-tiva, facilitare il naturale processodi recupero e identificare i sogget-ti che necessitano di sostegni ag-giuntivi o dell’invio in particolaristrutture. Il CISM è suddiviso in:

1. Demobilization: comprende in-terventi di gruppo erogati nel pri-missimo periodo e nelle imme-diate vicinanze dell’evento, conl’obiettivo di effettuare una de-compressione psicologica;

2. Defusing: si effettua entro 12 oredall’evento e le persone colpitevengono raggruppate in piccoligruppi di 6 o 8 partecipanti. Ladurata è di circa 20-45 minuti esi cerca di attenuare le reazioniintense, ricostruire la rete socia-le per evitare l’isolamento e si ef-fettuano operazioni di screeningper eventuali ulteriori interven-ti.

3. Debriefing: viene svolto da unoa dieci giorni dopo l’evento eda tre a quattro settimane dopoun disastro. L’incontro dura dai60 agli 80 minuti ed è rivolto adun gruppo di 8 o 10 persone, siasoccorritori che vittime dirette.Qui si cerca di aiutare le personea gestire le proprie emozioni, iden-tificare le strategie di coping ef-ficaci e ricevere sostegno attra-verso il confronto sociale.

In merito alla professione infer-mieristica e, più in generale alle pro-fessioni d’aiuto, si fa riferimento al-la normativa n. 196 del 25 agostodel 2003, la quale definisce gli obiet-tivi organizzativi e relazionali di tut-ti coloro che operano nel sistema diemergenza – urgenza. Due sono gliobiettivi esplicitati dal documentoche devono essere raggiunti: di ti-po organizzativo e di tipo relazio-nale. A livello organizzativo occor-re che l’operatore conosca a fondoil sistema nel quale opera, sistemacaratterizzato da linee guida e pro-tocolli operativi, nuove tecnolo-gie e sistemi di comunicazione. Alivello relazionale, è importante co-noscere come si lavora in squadrae la metodologia per gestire lo stresse i conflitti; inoltre, l’operatoredel soccorso deve sapersi relazio-nare nella comunicazione tra lediverse componenti della rete del-l’emergenza. Il possesso di tutti que-sti requisiti fa si che l’operatore ab-bia tutte quelle facoltà intellettuali

che gli permettono di riconosceresituazioni di disagio psichico nonsolo nel paziente, ma anche nel col-lega. Nei confronti del disagio del-le persone soccorse, si instaureràuna relazione d’aiuto basata sul-l’accoglienza delle emozioni e de-gli stati d’animo negativi, indiriz-zandolo verso il professionista del-la salute mentale, al quale già pre-cedentemente gli è stato fatto un“rendiconto” delle principali pro-blematiche della persona turbata.Chi comprende i bisogni di chi glistà di fronte, che li accoglie, checomprende e che ascolta le perso-ne che chiedono aiuto, possiede del-le abilità e delle capacità che lo di-stinguono in una strada professio-nale difficile ed impegnativa. L’at-tività di mediazione da l’opportu-nità di entrare realmente in relazio-ne con chi soffre ed accompagnar-lo nel suo percorso e rappresentaun’occasione per conoscere megliose stessi più in profondità e svi-luppare al meglio il proprio poten-ziale. Importante è precisare che la rela-zione d’aiuto deve essere onesta;solo questa caratteristica permettel’espressione del disagio e del do-lore in chi li sta vivendo.

1 Tettamanzi M., Psicologia dell’emer-genza e dell’assistenza umanitaria, qua-drimestrale della federazione Psicologiper i Popoli, 2010, p. 4. 2 Brunelli L., Monti M., Le sequele psico-logiche degli operatori d’emergenza do-po una catastrofe: il terremoto dell’Aqui-la, elaborato finale in Psicologia dell’E-mergenza, Alma Mater Studiorum, Uni-versità di Bologna, Facoltà di Medicinae Chirurgia, corso di laurea in Infermie-ristica, A. C. 2010 – 2011, pp. 15-17. 3 Brunelli L., Monti M., Le sequele psi-cologiche degli operatori d’emergenzadopo una catastrofe: il terremoto del-l’Aquila, elaborato finale in Psicologiadell’Emergenza, Alma Mater Studiorum,Università di Bologna, Facoltà di Medi-cina e Chirurgia, corso di laurea in In-fermieristica, A. C. 2010 – 2011, pp. 37-38; pp. 79-83.

Obbiettivo 1/2014 IPASVI - Firenze Studi e progetti 11

Stefania ComerciAssistenza infermieristica

territoriale ASL 10 – [email protected]

Il peso crescente della condizionedi fragilità della popolazione e dicronicità di patologie, parallela-mente alla riorganizzazione degliospedali per acuti, ha imposto un’attenzione particolare allo svilup-po di progetti di consolidamentodelle cure domiciliari richiedendonuovi strumenti gestionali di va-lutazione del case-mix infermie-ristico, che assicurino l’appro-priatezza e l’efficacia degli inter-venti e l’attendibilità dei risultati. In questo studio osservazionaleprospettico ho documentato l’ap-plicazione della metodologia del-l’indice di complessità assisten-ziale (ICA); (B. Cavaliere,2007),come possibile metodo di misu-razione della complessità dei bi-sogni espressi/potenziali degli as-sistiti afferenti alle cure infermie-ristiche domiciliari, e come vali-do supporto alla pianificazione del-l’assistenza, all’individuazionedelle priorità, all’equità delle cu-re oltre che alla equa distribuzio-ne delle risorse. Un sistema di mi-surazione del lavoro infermieri-stico, non più basato quindi sullesingole prestazioni erogate o sulnumero di accessi/settimana, masensibile alle diverse variabili checontribuiscono alla personalizza-zione dell’assistenzaLa sperimentazione è stata effet-tuata dagli stessi infermieri ero-gatori di assistenza presso un pre-

L’applicazione della metodologia dell’Indicedi Complessità Assistenziale (I.C.A.),nelle cure infermieristiche domiciliaridella ASL10 di Firenze. Uno studio pilota.

sidio della ASL 10 di Firenze indue periodi assistenziali distinti; ilprimo nel trimestre Maggio/Lu-glio 2009, su 237 pazienti in ca-rico, l’altro nel mese di Dicembre2009, su 167 pazienti in carico inquel periodo: quest’ultimo per ave-re informazioni sull’andamentoassistenziale annuale.Si è prodotto uno strumento in-formatizzato per la raccolta e l’e-laborazione dei dati.Inoltre l’adozione di una cartellaassistenziale strutturata su basiscientifiche di riferimento quali -I Modelli Funzionali di Salute diM.Gordon – che tengono contodella molteplicità dei bisogni bio-psico-sociali, e la pianificazioneinfermieristica secondo la Tasso-nomia Diagnostica, della NorthAmerican Nursing Diagnosis As-sociation (N.A.N.D.A.), quella perobiettivi (N.O.C) e interventi (N.I.C),

secondo la classificazione dell’U-niverity of Jowa, ha avuto una ri-levanza sia dal punto di vista pro-fessionale, offrendo agli infermierila tracciabilità del processo di Nur-sing, che da quello assistenziale,attraverso la stesura di un PianoAssistenziale Personalizzato (P.A.P.),che ha reso evidente come ciascu-na persona manifesti le reazioni alproprio stato di salute, che al con-trario della malattia, non sono as-similabili per tutti gli individui, ereso possibile l’adozione di in-terventi mirati e la loro misura-zione dell’efficacia attraverso de-terminati indicatori di esito, e diScale di Valutazione scientifica-mente validate.Nella ricerca in letteratura, di unametodologia di misurazione dellacomplessità assistenziale, ho te-nuto conto di alcuni criteri irri-nunciabili quali: la semplicità nel-

12 Studi e progetti 1/2014 IPASVI - Firenze Obbiettivo

l’applicazione, pena il consensodegli operatori; la capacità di mo-nitoraggio continua nel tempo, poi-ché trattasi di persone con patolo-gie croniche; la possibilità di adat-tamento alle nostre basi scientifi-che prescelte, critreri riscontratinella metodologia dellI.C.A. pro-prio per le sue caratteristiche diflessibilità dimostrate nel periododi validazione.Il Nomenclatore, pietra miliare delsistema I.C.A. è stato da me riela-

borato sugli 11 Modelli Funzionalidi Salute di M. Gordon, e sugli In-terventi infermieristici (N.I.C.)possibili da attuare ad ogni aper-tura di Diagnosi infermieristicareale o di rischio. Ogni interventoè stato poi stratificato sui 5 livellidi complessità in funzione di trevariabili: mentre si è naturalmen-te mantenuta l’impalcatura del si-stema – 5 livelli, anche se deno-minati diversamente di significa-to – le variabili sono state intro-

ASSISTENZA INFERMIERISTICA DOMICILIARE ASL Firenze

TABELLA DEGLI INTERVENTI INFERMIERISTICI PER LA DETERMINAZIONE DELL' INDICE DI COMPLESSITA' ASSISTENZIALE (I.C.A.)

Legenda livelli/Finalità

0:non necessita

interventi

1:self-care

2: sorveglianza

3:sostegno

4: monitoraggio

5: /Sostituzione)

MODELLO RESPIRAZIONE/ CIRCOLAZIONE

Livelli

NIC

1

1. Identificazione dei rischi Analisi e identificazione dei fattori dei rischio poten

dei rischi sanitari. E fissazione di strategie per la riduzione del rischio

2

NIC

1. Insegnamento Gestione farmaci sottocute

2 Posizionamento per promuover

il benessere fisiologico.

3. Insegnamento utilizzo aerosol, nebulizzatori, O2 terapia

3

NIC

1. Monitoraggio attività/esercizi prescritti Preparazione della persona a raggiungere o

un livello di attività o esercizi terapeutici passivi raccomandato

2. . Assistenza circolatoria:insufficienza venosa Promozione

3 Assistenza circolatoria:insufficienza arteriosa Promozione

4

NIC

1. Posizionamento per promuover

il benessere fisiologico.

2 Precauzioni antiemboliche Riduzione del rischio di formazione/sviluppo di un em

persona portatrice o a rischio di sviluppare un trombo

5

NIC

1. Vie aeree:aspirazione Rimozione delle secrezioni dalle vie aeree tramite inseri

catetere

2. Cura della tracheostomia Mantenimento della pervietà della stomia e cura del te

3. Somministrazione di farmaci per via intramuscolare / endovenosa

dotte ad hoc per dare “il peso”alle cure domiciliari. Stessi N.I.Csono inseriti in più livelli di com-plessità proprio per la diversa estrin-sercazione delle variabili.I livelli sono stati così esplicitati:Liv. 1, capacità di self-care; Liv.2, sorveglianza; Liv. 3, sostegno;Liv. 4, monitoraggio, Live. 5, so-stituzione.Le variabili, come accennato, con-dizionano il livello di complessi-tà di ogni intervento assistenzialeper la maggior/minor competetenzaprofessionale, il maggior/minor bi-sogno di monitoraggio clinica-so-ciale dell’assistito, la maggior/mi-nor capacità di self-care:– La stabilità funzionale: i pos-

sibili stati osservabili rispetto aimodelli funzionali di salute;

– Il contesto domiciliare del pa-ziente, supporto del caregiver,le relazioni familiari e dellereti informali;

– Il coordinamento con le altrefigure professionali per la pre-sa in carico muldisciplinare.

Il valore I.C.A. sarà la risultantedella somma dei massimi livelli dicomplessità per ogni interventoassistenziale adottato ad ogni mo-dello funzionale. Un altro aspetto fondamentale è ilriconoscimento agli assistiti della‘classe di gravità’, (Tab. 2), chenon è soltanto un’assegnazione nu-merica, ma una presa in carico qua-

Classi Descrizioni Valore I.C.A.

1 Gravità molto lieve 0-10

2 Gravità lieve 11-21

3 Gravità moderata 22-32

4 Gravità elevata 33-43

5 Gravità molto elevata 44-55

Tab. 2 – Classi di gravità assistenzialesu nomenclatore a 11 modelli e 5 livel-li di complessità.

Obbiettivo 1/2014 IPASVI - Firenze Studi e progetti 13

litativamente appropriata, utile pergenerare classificazioni sintetichesulla tipologia di assistito, facili-tando l’organizzazione del lavo-ro.

ConclusioniLa possibilità di indagare su un si-stema di gestione dell’assistenza,non più orientata alla quantifica-zione delle prestazioni, ma sullacomplessità degli interventi for-niti e mai documentati,ha rap-presentato un momento di cresci-ta professionale oltre che orga-nizzativa: i continui momenti diriflessione e confronto tra gli in-fermieri su quello che si fa, comesi fa, e chi fa, ha favorito condivi-sioni di pensiero e valutazioni dicompetenza, attibuendo ad opera-tori di supporto livelli assistenzialiappropriati basati su una valuta-zione multidimensionale.I limiti dello studio sono dovuti al-l’essere stata la prima applicazio-ne in ambito domiciliare, senzaconfronti di risultati con altre zo-ne-distretto, ma è il primo passoper una validazione su applica-zione multicentrica.Il principio di ‘equità’ delle cure,che stà segnando il passaggio ri-levante dal modello della dipen-denza a quello della complessità,presuppone un’attenta rilevazio-ne dei bisogni assistenziali di pa-zienti domiciliari in condizioni cli-niche e socio-familiari eterogeneeche necessitano di inteventi diversiper intensità, complessità e dura-ta della presa in carico: interven-ti pesati da un sistema oggettivoverificabile e condiviso,quale quel-lo dell’Indice di Complessità As-sistenziale, i cui risultati dimo-strano che val la pena di continuarea lavorare alla validazione per crea-re uno strumento di utilità ge-stionale più vicino all’idea di as-sistenza secondo le scienze infer-mieristiche di quanto non lo sianogli studi incentrati soltanto sul tem-po assistenziale.

Si ritiene opportuno ricordare a tutti gli iscritti che,fermo restando l’obbligo dell’iscrizione all’Albo aifini dell’esercizio della professione infermieristicae di assistante sanitaria\o, sia essa in regime dipubblico impiego che di libera professione, lacancellazione dall’Albo comporta l’ impossibilitàdi svolgere a qualunque titolo e in qualunquemodalità le suddette professioni.L’Albo rappresenta infatti lo strumento di control-lo e vigilanza dello Stato sull’esercizio professio-nale e, attraverso l’Albo, il Collegio certifica egarantisce, a tutela del cittadino e delle strutturesanitarie, il possesso dei requisiti generali e speci-fici richiesti per erogare servizi e prestazioni affe-renti all’area di competenza professionale.La domanda di cancellazione dall’Albo professio-nale va redatta in bollo (E 16,00) sull’appositomodulo (da scaricare da www.ipasvifi.it ) e pre-sentata al Collegio di persona o a mezzo racco-mandata o PEC entro e non oltre il 30 Novembredi ogni anno, la cancellazione decorrerà dal 1Gennaio dell’anno successivo. Le domande pervenute oltre la data suddetta, sepur accettate, comporteranno il mantenimentodell’iscrizione e il pagamento della tassa annualeper l’anno successivo.Le domande che perverranno tra il 1 Gennaio e il30 Giugno di ogni anno comporteranno il paga-mento della tassa annuale in dodicesimi, mentreper quelle che perverranno tra il 1 Luglio e il 30Novembre l’importo della tassa annuale dovràessere pagato per intero.

Cancellazionidall’Albo iscritti

al Collegio IPASVIdi Firenze

14 Nursing nel mondo 1/2014 IPASVI - Firenze Obbiettivo

Giancarlo Brunetti

Infermiere coordinatore [email protected]

Fino dal 1965 il giorno del 12 mag-gio, data di nascita di Florence Nigh-tingale, viene festeggiato da ICNcome giornata internazionale de-gli infermieri. Dal 1988 ICN asso-cia alla giornata dell’infermiere untema da mettere in evidenza e trat-tare per tutto l’anno nelle iniziati-ve in tutto il mondo. Sul sito (www.icn.ch) è disponi-bile in inglese un “kit” costituitoda un poster e da un dossier di ap-profondimento che può essere uti-lizzato liberamente da associazio-ni e singoli professionisti. La tra-duzione in italiano è curata dallaCNAI (affiliata a ICN e rapresen-tante degli infermieri italiani) e sa-rà disponibile a breve sul sito(www.cnai.info).Quest’anno il tema è “Infermieri:una forza per il cambiamento,una risorsa vitale per la salu-te”. L’argomento è molto attuale,infatti se da una parte vi è un ge-nerale riconoscimento che la dis-ponibilità di operatori sanitari ade-guatamente formati e motivati èimportante per la salute della po-polazione, dall’altra c’è grandepreoccupazione per la diffusa ca-renza di infermieri in tutto il mon-

Un poster e materiali informativi fanno parte del kitche anche quest’anno l’International Council of Nur-ses (ICN) mette a disposizione per la giornata inter-nazionale dell’infermiere. L’ICN è il più rappresen-tativo tra gli organismi professionali a livello globale,è una federazione di 130 associazioni nazionali checonta più di 16 milioni di infermieri in tutto il mondo.

do accentuata da una maldistribu-zione geografica. Un equo accesso a servizi sanitaridi qualità non può essere raggiun-to senza un numero adeguato di in-fermieri, il kit messo a disposi-zione da ICN è uno strumento es-senziale per comprendere il quadropiù ampio del mercato della forzalavoro in campo sanitario, influenzatoda diversi fattori quali il divario traofferta e domanda, l’effetto dellacrisi finanziaria, la migrazione el’allungamento della vita lavorati-va degli infermieri.

Viene sottolineata l’importanza dipianificare con attenzione la risor-sa professionale senza dimentica-re la sicurezza dei pazienti. Le tra-sformazioni sociali ed ambientalia cui assistiamo impongono meto-di per misurare la complessità as-sistenziale e il carico di lavoro as-sistenziale, tenendo conto che l’in-novazione tecnologica ha modifi-cato profondamente il modo dilavorare degli infermieri.È chiaro che aumentare il numerodi infermieri non è l’unica solu-zione, un altro aspetto fondamenta-

Infermieri: una forza per il cambiamento,una risorsa vitale per la salute

Colpa grave e pubblico impiego, FAQ

Obbiettivo 1/2014 IPASVI - Firenze Nursing nel mondo 15

le è migliorare l’ambiente dilavoro. Una assistenza di qua-lità non può prescindere dal-la somma di diversi elemen-ti quali un sufficiente nume-ro di infermieri, una adegua-ta formazione e un buon am-biente di lavoro.Per la giornata dell’infer-miere ICN promuove conforza un altro obiettivo, quel-lo di incoraggiare gli infer-mieri a curare di più la pro-pria immagine per dimostrareai governi, ai datori di lavo-ro, e alla società che gli in-fermieri sono una risorsa vi-tale per la salute. Se vogliamo davvero esse-re una forza di cambiamen-to allora dobbiamo dimo-strare concretamente di es-sere capaci di rispondere al-le nuove sfide. Se siamo scon-tenti di come gli infermierisono visti e trattati sul postodi lavoro, allora abbiamo

l’obbligo di fare qualcosa.Dobbiamo riconoscere la no-stra responsabilità personaleriguardo all’immagine che icittadini hanno di noi. Siamosempre presenti con impegnoe professionalità nei percor-si di cura in ogni ambito, matroppo spesso i media rac-contano una storia diversache ci ritrae solo nelle storienegative.La giornata Internazionale de-gli infermieri è occasione perfarci conoscere e coinvolge-re i colleghi e la popolazionenelle iniziative per dare for-za ad una immagine diversadella professione. Gli infer-mieri possono e devono farela differenza nel loro lavo-ro, nell’equipe, dentro le as-sociazione e le organizzazio-ni professionali e come forzache stimoli i governi nelle po-litiche riguardo la salute e iservizi sanitari.

Cos’è la colpa grave?La “colpa grave” è un comportamento altamentenegligente, imprudente, imperito che ha arrecato undanno erariale alle finanze della PubblicaAmministrazione. Viene accertata dalla Corte deiConti. art.18-22 TU pubblico impiego DL 3/1957

Perchè mi devo assicurare?Perchè se la Corte dei Conti accertasse un indenno-comportamento gravemente colposo imporrebbe alprofessionista di rifondere l’Azienda dell’importoche questa ha pagato al paziente danneggiato a tito-lo di risarcimento. Non solo, in caso di colpa graveaccertata giudizialmente anche l’Assicuratoredell’Azienda può rivalersi sull’infermiere.

Perchè non mi devo assicurare per la colpa lieve?Perchè in caso di colpa lieve del danno risponde ildatore di lavoro, così come previsto dal Testo Unicodel Pubblico Impiego

Cosa succede se cambio azienda?Essendo l’adesione rivolta alle persone fisiche, lacopertura opera per tutta l’attività svoltadall’Assicurato nelle Aziende appartenenti al SSN,entro la pregressa contrattuale. Di conseguenza,l’Assicurato è coperto per le attività svolte nelle pre-cedenti Aziende in cui ha lavorato e, in caso di cam-bio di Azienda, la copertura opera anche per lanuova attività.

A cosa serve la polizza patrimoniale?La polizza patrimoniale serve a tutelare il dirigentee coordinatore nei casi in cui la colpa grave siaemersa in un caso in cui il paziente lamenta undanno puramente finanziario (vedasi violazione pri-vacy) oppure in cui il soggetto danneggiato è diret-tamente l’Azienda.È pertanto una polizza consigliata per i primari, chegestiscono un budget, per i dirigenti, coordinatori,tecnici ed amministrativi.

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Il lavoro di cura delle donne e l’impattosul welfare: la donna come caregiver

A. Lombardi - L. GiovanniniE. Nerozzi

Elena Nerozzi : infermiera [email protected]

Luana Giovannini: infermiera [email protected]

Angela Lombardi:infermiera [email protected]

Che cos’è la care? Il termine in-glese rimanda ad una molteplicitàdi significati, dalla care come preoc-cupazione e sollecitudine versol’altro alla care come prendersi cu-ra dell’altro. Ognuna di queste pos-sibili traduzioni ne descrive aspet-ti diversi e rinvia ad una relazionedi minore o maggiore prossimitàfisica con l’altro: dalla disposizionementale all’attenzione verso l’al-tro fino alle concrete attività delprestare cura. In quest’ultimo sen-so, la care evoca un mondo di espe-rienze quotidiane e ordinarie checiascuno di noi ha vissuto comedestinatario della cura (care re-ceiver) nella propria infanzia e chetradizionalmente sono fatte rien-trare in uno spazio, quello privato,che solo grazie alla riflessione inau-gurata dagli studi di genere a co-minciare dagli anni Ottanta siamooggi in grado di riconoscere in tut-ta la sua portata sociale e politi-ca. L’obiettivo che qui ci si propo-ne è ricostruire a grandi linee icambiamenti psico-sociali dellafamiglia nel suo ciclo di vita rela-tivamente all’impatto che il lavo-ro di accudimento e di “cura” deicomponenti non autosufficienti hanell’organizzazione familiare mo-derna e, in modo particolare sulruolo della donna (come caregi-ver).

Il termine curare, qui, è inteso nel-l’accezione di mettere in atto quelcomplesso di pratiche di accudi-mento, accompagnamento e assi-stenza di cui il corrispondente ter-mine anglosassone è to care, (pren-dersi cura di qualcuno) con i suoicorrelati caregiving e caregiver.Si indica quindi con questo ter-mine non solo un assistenza sani-taria ma anche e soprattutto la com-ponente affettiva dell’impegno peril benessere di un’altra persona. Ilcaregiving (accudimento), altronon è che l’espressione compor-tamentale di questo impegno, ecaregiver è colui che offre questaassistenza e questa protezione1.Per la nostra analisi, rivestono in-teresse gli studi psicologici sullafamiglia intesa come organizza-zione dinamica e sistema complessoaperto all’ambiente esterno.Già Malinowski nel 1913 facevadiscendere le caratteristiche es-senziali e l’universalità della fa-miglia, dall’universalità del biso-gno di cura dei piccoli2. La fami-glia, come istituzione per la curae l’allevamento dei piccoli, è de-finita da precisi confini spaziali erelazionali, i suoi membri sono le-gati da particolari vincoli affetti-vi. Su questa scia, molti sociolo-gi hanno parlato di “funzioni del-la famiglia” come di dimensioninaturali quali: la riproduzione,la cura, l’accudimento, l’educa-zione, la condivisione economicae la regolamentazione della ses-sualità.Bisogna pensare alla famiglia co-me ad un sistema dove ogni mem-bro è in relazione con gli altri, da-gli altri è influenzato ed è, a sua

volta, in grado di influenzare com-portamenti, decisioni e azioni. Siai componenti della famiglia chei rapporti che li legano e ne defi-niscono la posizione, mutano conl’andare del tempo, con il pas-saggio da una fase all’altra del ci-clo di vita. Come in passato an-cora oggi, nascite, matrimoni, mor-ti, invecchiamento, disabilità, pro-ducono un continuo mutamentonel tipo di vincoli che legano lepersone in una famiglia e ne mo-dificano sia le competenze chel’attribuzione dell’autorità e delpotere, nonché gli scambi tra fa-miglia e società (Saraceno, 2007).Cura e accudimento sono, in ef-fetti, intrinseci a ogni relazionestretta, quali quelle tra genitori efigli e tra coniugi. In alcune cir-costanze, però, il caregiving si tra-sforma in un carico assistenzialestraordinario e non egualmentedistribuito all’interno della fami-glia: ovunque sono principalmentele donne, nella loro posizione dimadri, mogli, figlie e nuore a pre-stazione cura e assistenza.Il sistema di welfare italiano, a dif-ferenza dei principali modelli eu-ropei, mantiene sulle famiglie e,al loro interno, principalmente sul-le donne, un carico particolarmenteimportante nella cura e nelle tu-tele, quasi a rendere l’interventopubblico “marginale” o “sussi-diario” rispetto a quello domesti-co. Peraltro, tale “centralità” nonprevede politiche familiari ade-guate, in grado cioè di sostenere,attraverso trasferimenti e servizi,gli interventi di cura. Piuttosto silascia alle attività informali, al la-voro delle donne, agli aiuti pa-

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rentali e ai servizi privati di tipodomestico (badanti) il compito difar fronte al crescente carico diassistenza dei membri della fa-miglia.Le rapide trasformazioni demo-grafiche, soprattutto l’aumentodella quota degli ultraottanten-ni, insieme alle più avanzate cu-re sanitarie a disposizione, ha ac-cresciuto la probabilità di viveredi più ma anche, in parte, di vi-vere una fase più lunga della pro-pria vita in una situazione di nonautonomia, di dipendenza quoti-diana. Il risultato è un incremen-to dei bisogni delle persone chenell’ultima fase della loro esi-stenza divengono non autosuffi-cienti e sono costrette a rivolger-si ad altri, familiari e non, per po-ter esplicare le funzioni esisten-ziali quotidiane. Se si somma aquesto contesto una composizio-ne familiare e un’organizzazionesociale prive della capacità di sod-disfare la necessità di assistenzae accudimento e un sistema di wel-fare non attrezzato alla cura del-la cronicità, possiamo affermareche una sempre maggiore molti-tudine di persone anziane e spes-so le loro famiglie, saranno sem-pre più sole nell’affrontare la con-dizione di fragilità.Nel passato la famiglia risponde-va in maniera spontanea alle ne-cessità di cura. Le mogli ma an-che le figlie assistevano i com-ponenti più fragili della famigliacome se ciò fosse la normale at-tività della donna di casa e l’ine-vitabile evoluzione del lavoro dicura che lei svolgeva per tutta lasua vita: l’accudimento dei fra-telli più piccoli, dei figli, dei ni-poti, ed infine degli anziani di fa-miglia; erano queste le tappe chescandivano il trascorrere del tem-po in una famiglia e la vita di unadonna. Successivamente, il ruolodella donna all’interno della so-cietà è radicalmente cambiato mail lavoro di cura è rimasto quasitotalmente a suo carico, questo èincompatibile, il più delle volte,

con gli impegni che la donna hafuori e dentro casa.Inoltre, causa la riduzione dellafecondità, in atto ormai da di-versi decenni, è diminuito il nu-mero delle donne potenziali pre-statrici di cura perché si è com-presso il rapporto tra le donne dietà compresa tra 46 e 69 anni e ilnumero delle persone con più di70 anni (anziani da assistere). Ilnumero delle donne potenziali pre-statrici di cura si riduce anche per-ché sempre più donne sono entratenel mercato del lavoro e vi rimar-ranno per un periodo di tempo sem-pre più lungo, per l’innalzamen-to dell’età pensionistica, riducen-do così il tempo da dedicare al la-voro di cura non retribuito. Il prolungamento della durata del-la vita implica rapporti familiaridiversificati nel tempo anche re-lativamente al significato delle po-sizioni generazionali, le personeanziane hanno figli che sono giànella mezza età e, a loro volta, han-no figli adulti o quasi adulti. Lasituazione è tanto nuova che man-ca ancora una vera e propria cul-tura e un linguaggio per esprimerlaa livello sociale generale. Lo stes-so anche per quel che riguarda irapporti familiari e generaziona-li: invecchiare come figli è unaesperienza storicamente nuova.Le coorti nelle età centrali sono leprime a sperimentare come nor-

malità l’essere insieme “figli adul-ti” e “genitori di figli adulti”. E’ questa generazione di mezzo(sandwich generation) a essere alcentro del flusso di scambi tra lediverse generazioni: ad aiutare siai più giovani che i più vecchi an-che se con modalità diverse percultura familiare, per risorse e peretà. Questo fenomeno è stato ana-lizzato da diversi osservatori (Tac-cani, 2001; Gucher, 1999) che han-no parlato dell’età di mezzo comeuna fase di “compressione” e han-no evidenziato che la sandwichgeneration si trova a fronteggia-re i bisogni di dipendenza econo-mica, affettiva, di cura della ge-nerazione più giovane e di quellapiù vecchia. Ciò sembra valere so-prattutto per le donne poiché adesse è delegato prevalentementeil lavoro di cura e di relazione, in-fatti, l’elemento comune che emer-ge da tutti gli studi della ricercasociologica, in Italia e in Europa,è che sono le donne adulte ad as-sumere un ruolo chiave in tutti isettori dello scambio e della logi-stica familiare e che sono le pri-me ad essere implicate nella “chia-mata di aiuto” per il fronteggia-mento dei bisogni di cura. Cosìche, paradossalmente, potrebbesuccedere che il tempo “liberato”dalla procreazione venga richie-sto per “fare da madre ai proprigenitori” quando questi diventa-

no troppo fragili o non autosuffi-cienti. In Italia, attualmente, proprio que-sta sembra essere la situazione del-le donne sessantenni ed oltre, me-diamente in buona salute e attive,che sono al centro di un sistemadi redistribuzione di aiuto sia neiconfronti dei figli e dei nipoti chenei confronti dei genitori e/o deisuoceri ormai grandi anziani. E’in dubbio, però, se potranno con-tare a loro volta su tali sostegni,quando diventeranno grandi an-ziane esse stesse, perché hannoavuto meno figli delle loro madrie, contemporaneamente, le figliee le nuore probabilmente alla lo-ro età saranno ancora sul merca-to del lavoro (Costa, 2007).Negli anni Ottanta - Novanta, glistudi sociali hanno focalizzato l’at-tenzione sul concetto di care, perriflettere sull’esperienza di cura eper smontare la tradizionale equa-zione: lavoro di cura = lavoro del-le donne = lavoro naturale.Tale equazione costituiva essen-zialmente un costrutto sociale conimplicazioni non indifferenti sulpiano delle disuguaglianze tra uo-mini e donne. Successivamente siè profilata una sistematizzazioneteorica che individuava all’inter-no della dimensione di cura, dueaspetti distinti ma inscindibili: daun lato la dimensione materialedel lavoro di cura relativa ai bi-sogni fisici delle persone dipen-denti, dall’altro l’aspetto più pret-tamente psicologico della cura co-me pratica “affettivamente mar-cata” che coinvolge sentimenti diamore e di affetto, e la capacità disostenere l’altro anche nei suoi bi-sogni psicologici (Costa, 2007).La cura richiede dunque, a “chi-ha-cura” di impegnare tanto le pro-prie energie fisiche quanto quellecognitive, emotive e relazionali.Bubeck (2002) confronta il lavo-ro di cura con gli altri lavori ne-cessari alla costruzione di un mon-do umano e individua una diffe-renza fondamentale: mentre gli al-

tri lavori sono soggetti alla logicadel progresso fondato sull’evolu-zione tecnologica, il lavoro di cu-ra è rimasto lo stesso nel corso deltempo. Emerge chiaramente chenessun dispositivo tecnologico puòsopperire all’assenza del caregi-ver, si può affermare che ci sonodue elementi imprescindibili nel-la cura: il tempo e la relazione. Lacura infatti richiede una quantitàinimmaginabile di lavoro pazien-te e ripetitivo, ma è anche “…gio-co di invenzione che fissa motivi ecolori, sulla base di poveri tessu-ti, e crea effetti anche di grandebellezza”; consiste nel “mettereinsieme” le diverse risorse dispo-nibili, il “dare ordine e senso” al-la riorganizzazione quotidiana,il combinare risorse in concretocaso, per caso, valutando i biso-gni di ciascuno, …queste sono leattività in cui le donne sono impe-gnate..”(Costa, 2007, pag. 21).L’attività di cura, parte di più com-plessi obblighi morali, è oggettopoi di negoziazioni familiari al-l’interno delle opportunità e vin-coli in cui sono inseriti i soggetti,nel loro più vasto “copione” fa-miliare, esito di negoziazioni traesigenze e “fedeltà” diverse.

La “pesantezza del carico di cu-ra” e la “vulnerabilità sociale”del caregiverLa ricerca psicosociale ha studia-to il concetto della “pesantezzadel carico di cura” e le sue conse-guenze in termini psicofisici at-traverso modelli causali complessi,nell’ambito degli studi sullo stresse sulle strategie di coping3. In que-sti modelli, rispetto all’impattodell’attività di cura, le variabiliconsiderate sono rappresentateprincipalmente dallo stato fisicodella persona da accudire e dallostato fisico e mentale del caregi-ver, altre variabili sono le situa-zioni individuali e di contesto qua-li l’età, il genere, lo status socio-economico, il tipo e la qualità delrapporto tra caregiver e paziente.

Infine, le caratteristiche della per-sonalità del caregiver intese comegrado di autostima e capacità difronteggiamento e le caratteristi-che del supporto sociale su cui puòcontare. Nel modello stress-coping inter-vengono, infine, fattori legati al-la disabilità o alla malattia co-me, ad esempio, la visibilità del-la problematica (correlata a ver-gogna, stigma, isolamento), la na-tura dell’esordio (improvviso oinsidioso), la prognosi (se recu-perativa, stabile, degenerativa oterminale), i cambiamenti fisici,identitari e comportamentali delpaziente. Il caregiver è stato fre-quentemente definito un pazien-te nascosto, una seconda vittimadella malattia, questa definizionemette in risalto il suo coinvolgi-mento nell’assistenza del malatoed evidenzia il grado di stress acui è sottoposto4.La vulnerabilità allo stress è di-versa per ogni persona e per ognifamiglia e ne influenza la rea-zione e la riorganizzazione suc-cessiva. La capacità di reagireed elaborare lo stress, varia da sog-getto a soggetto e da famiglia a fa-miglia. In altri termini, l’eventostressante non è una variabile as-soluta, ma dipende da quante ri-sorse l’individuo pensa di posse-dere per fronteggiarlo. Nella storia di tutte le famiglieci sono degli eventi che determi-nano una situazione di “crisi” nelloro equilibrio psicosociale. Nel-lo specifico, per crisi si intendel’interazione tra l’evento trauma-tico stressante con le difficoltà og-gettive e psicologiche, e le capa-cità (resilienza) della famiglia ditrovare risorse. C’è da considera-re quale valore la famiglia dà al-l’evento, quanto lo considera gra-ve, cioè quale è esattamente ilsignificato che le attribuisce. Ognievento, infatti, ha una valenza og-gettiva, ma ha anche un signifi-cato soggettivo sia per i singoli in-dividui che per la famiglia, e per

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la famiglia allargata, con un ef-fetto “alone” che, se negativo, in-terferisce con la valutazione chela famiglia attribuisce all’eventotraumatico stesso. In sostanza, per capire i compor-tamenti osservabili è necessarioconsiderare, oltre alla tipologiadell’evento, le risorse e il signifi-cato che la famiglia le attribuisce.Questa riflessione si rende estre-mamente necessaria per chi svol-ge una professione di aiuto, perl’infermiere è necessario capire ilsignificato che “quella” perditaha per “quella” famiglia.Infatti, nelle gravi malattie dege-nerative, ad esempio l’Alzheimer,si parla di “lutto anticipatorio”:all’esordio della malattia si veri-fica la crisi, poi con il passare de-gli anni, quando la persona conti-nua a peggiorare, la famiglia, nonsubisce ulteriori traumi, ma si in-staura una sorta di “adattamento”alla perdita, come una prepara-zione inconsapevole all’eventoperdita, prima ancora che avven-ga. Se, come operatori, conside-riamo solo l’aspetto oggettivo econcreto degli eventi, non riusciamoa cogliere e a comprendere i com-portamenti adattivi delle personee delle famiglie e neppure i fe-nomeni clinici che ci si presen-tano.In generale, nella letteratura so-ciologica, è scarsa la dimensio-ne esperienziale dei familiari e deicaregiver del soggetto che viveuna situazione di disabilità, nonsono molto studiati i loro vissuti,la soggettività e le donazioni disenso, le loro alterazioni materia-li e simboliche innescate dall’e-vento/processo, le azioni di fron-teggiamento e le strategie di ge-stione della vita quotidiana mes-se in atto. Mancano le voci di chitestimonia e accompagna il pro-cesso di decadimento di una per-sona cara, di chi cerca di fronteg-giarlo5. I cambiamenti biograficiconnessi alla malattia e alla dis-abilità, continuano in generale ad

essere “sofferti in silenzio, a por-te chiuse”: il carevinig si presen-ta come un “terreno uncharte”,un terreno non mappato, scono-sciuto dal punto di vista teorico.(Costa, 2007, pag. 23)Alcune studiose hanno messo inevidenza come attorno al caregi-ving vi siano dei “dilemmi etici”:scegliere di non curare e accudi-re un familiare stretto, è così dif-ficile da non essere paragonabilea nessun’altro tipo di scelta. Se-guire e assistere un familiare nonautosufficiente è un compito dacui è difficile sottrarsi per le im-plicazioni morali e sociali che unascelta del genere comporta, so-prattutto per le donne. Chi è fra-gile e dipendente non può esserelasciato senza risposte ai propribisogni poiché dal punto di vistaetico, subiscono un’ingiustizia an-che coloro che si trovano “natu-ralmente” nella posizione di for-nire cure, coinvolti nella spiraledell’impegno totalizzante a cau-sa del mancato sostegno sociale epolitico. E’ stato analizzato come questa si-tuazione comporti una condizio-ne di “vulnerabilità sociale” delcaregiver: i problemi di cura e lanecessità di darvi risposta costi-tuiscono indubbiamente una fon-te di grande disagio. Il concetto di “vulnerabilità” dacura indica quell’insieme di “com-pressioni” e alterazioni della vitaquotidiana connesse al caregiving,molto pervasive e, spesso, svoltein solitaria dove, alla difficoltàsoggettiva di sottrarsi ad un im-pegno gravoso, si aggiungono gliinciampi nel chiedere e ottenereaiuti tempestivi ed efficaci. Infat-ti, spesso, alle carenze di uno sta-to sociale, poco preparato a so-stenere individui e famiglie in ca-so di bisogni di cura continuativa,si uniscono aspetti culturali e an-tropologici che tendono a “com-primere” chi cura in obbligazionidifficilmente sostenibili se non acosto di grandi sacrifici.

Altro fattore di vulnerabilità è quel-lo del tempo: il vissuto soggetti-vo di chi presta cura è di sentirsischiacciati sul presente più im-mediato, con difficoltà ad espli-citare, pensieri sul futuro. Si fa fa-tica a parlarne, sentire la propriavita ancorata a quella di un’altrapersona obbliga a confrontarsi conil pensiero del proprio declino. Lacura di un anziano impone talvoltail pensiero della propria futura an-zianità: non ci si vorrebbe vederenei panni di chi oggi si ha di fron-te. Due sono le paure più frequentidel futuro che riguardano chi siprende cura: pesare sui figli il pro-prio carico di cura e non riuscirepiù a ricoprire il ruolo di caregi-ver a causa della propria salute. In altre parole, chi deve fronteg-giare problemi e bisogni di curadi un familiare non più autosuffi-ciente, percepisce minacciato an-che il proprio benessere e la pro-pria capacità e possibilità di scel-ta perché si sente in una condi-zione di fluttuazione, di sospen-sione nello spazio sociale di ri-ferimento. E’ qualcuno che puòperdere in modo silenzioso queimargini di libertà psichici e ma-teriali necessari per muoversi me-glio di fronte alle ulteriori eve-nienze dell’esistenza. C’è un an-coraggio agli spazi fisici della ca-sa che riveste una dimensione fon-damentale e particolare per que-sto tipo di careving. La fatica èmolto spesso tradotta come “per-dita della libertà”, nelle situazio-ni più gravi il caregiver non si as-senta da casa se non riesce a con-tare sulla sostituzione da parte diqualcuno.Dall’esperienza empirica6 e dallericerche italiane (Costa, 2007) sievidenzia come gli impatti dellacura siano vari e diversificati an-che sulla base dei diversi model-li di accudimento attuati, e non se-guano logiche univoche. Va peròsottolineato come nella maggiorparte dei casi, nonostante intornoalla donna caregiver gravitano

grandi e piccole collaborazioni,spesso il vissuto diviene insop-portabile subentra una estremastanchezza e la sensazione di es-sere sole nella responsabilità. Nonpiù padroni del proprio tempo edei propri movimenti, i caregiverssperimentano quel fenomeno de-finito della “pervasività” della cu-ra (Costa, 2009). L’accudimento a domicilio di per-sone fortemente dipendenti portacon sé una dose di fatica notevo-le, anche in ragione del fatto cherichiede una presenza continuati-va o una disponibilità costante. Infatti, uno degli elementi di mag-giore esposizione a processi di vul-nerabilizzazione dei caregiver èproprio il logoramento che le as-sistenze prolungate e in “solita-ria” portano con sé. “L’orizzon-te temporale della cura è incertoe, strada facendo, se si cura e siaccudisce da soli, si possono per-dere le tracce del cammino per-corso, con effetti di disorienta-mento notevoli” (Costa, 2007). Il confinamento nelle abitazioni,imposto dalle restrizioni alla mo-bilità per la diade caregiver-ca-red, si trasforma spesso in un ve-ro e proprio isolamento socialeche è una condizione ad altissimorischio di “burnout” per il fami-liare. Da questo punto di vista, co-loro che riescono a mantenere con-tatti e relazioni significative, sia-no esse di aiuto strumentale, emo-tivo, o cognitivo, presentano unamaggiore capacità di tenuta com-plessiva di fronte al caregiving eil mantenimento di un livello sep-pur minimo di resilienza7. Chiriesce a mantenere, anche rispet-to ad una forte socievolezza dalpunto di vista caratteriale, una buo-na capacità di tenuta sul piano re-lazionale, conserva i livelli mini-mi di benessere personale.Tre aspetti fondamentali e tra-sversali fanno parte della soffe-renza del caregiver: in primo luo-go, il confinamento in casa; in se-condo luogo, la non possibilità di

progettualità futura; ed infine, lapercezione della lontananza eintermittenza dei servizi.8.

Quindi, la vulnerabilità da cura,non è l’esito della rottura, del-l’assenza o dell’indebolimento deilegami familiari, quanto il risul-tato di una loro tenuta ad oltran-za, sia per fattori endogeni alle fa-miglie, sia per le caratteristichedel contesto socio-politico dentroil quale esse si trovano a fron-teggiare gravi problemi di cura.Il modo di comportarsi nei con-fronti dei parenti è fortemente in-fluenzato dalle istanze di control-lo sociale, dalla considerazione dicome saranno valutate le proprieazioni agli occhi di almeno duepubblici di riferimento, uno in-terno alla parentela e l’altro co-stituito dalla comunità di appar-tenenza. Le persone elaborano leproprie obbligazioni morali (workout, lavoro interiore), alla luce del-le opportunità e dei vincoli dellasituazione in cui si trovano, al lo-ro “copione” familiare. Le norme che regolano le ob-bligazioni morali nella dinamicafamiliare sono essenziali per com-prendere i freni alla esternaliz-zazione del lavoro di cura rispettoall’uso di servizi pubblici e pri-vati. Lo scarso ricorso ai servi-zi pubblici da parte delle fami-glie potrebbe essere l’esito di unainterazione complessa e perver-sa tra la difficoltà di accesso, lascarsità di interventi attivabili ela tendenza al “fai da te” da par-te delle famiglie nell’ambito del-la cura.L’aiuto più utilizzato al quale Go-ri (2002) si riferisce col termine“welfare nascosto”, è di tipo pri-vato. Esso consiste nell’aiuto dipersone che rappresentano una ri-sorsa per le famiglie con perso-ne non autosufficienti, perché pre-stano la loro opera sia a favore de-gli anziani, sia del caregiver, ri-spondendo ad una necessità con-naturata al lavoro di cura che èquella della “flessibilità”. In altre

parole, il personale privato svol-ge attività di cura, sia comple-mentari, sia sostitutive a quelle delcaregiver. Tuttavia l’esternalizzazione del-l’attività di cura e di accudimen-to può essere anche molto pro-blematica perché crea per i com-ponenti della famiglia, una faticarelazionale e organizzativa non in-differente sia nel reclutamento enella selezione, sia nell’inseri-mento della persona nel menagefamiliare. Non ultimo, l’aspettoeconomico, influisce sensibilmentesul riscorso a questo tipo di assi-stenza.Infatti, le ricerche italiane metto-no in evidenza che l’esternalizza-zione dei compiti di accudimentoe di cura viene deciso e organiz-zato, soltanto di fronte ad una pres-sione talmente elevata da com-portare il rischio di destabilizza-zione dell’organizzazione dome-stica o di compromettere definiti-vamente l’equilibrio psico-fisi-co delle persone coinvolte. La tra-dizione culturale “familista”, se-condo la quale la famiglia (e al suointerno la donna) viene conside-rata la depositaria centrale dellafunzione di cura, fa ricorrere al-l’esternalizzazione della cura sol-tanto quando emergono “soglie dibisogno” più elevate di quanto siverificherebbero in una cultura incui sia più legittimata la delega dialcune funzioni di cura (Costa,2007).Dall’analisi di diversi studi9 ar-riva la conferma che ancora oggiil lavoro di cura informale10 co-stituisce in tutti i paesi, anche inquelli con un sistema di cura for-male11 la parte più rilevante delleprestazioni di assistenza e di aiu-to fornite agli anziani, e alle per-sone non autosufficienti. Si trattadi un lavoro scarsamente ricono-sciuto a livello sociale come qua-si tutto il lavoro di cura, ancorameno legittimato rispetto, ad esem-pio, ai servizi per l’infanzia. Si av-verte resistenza e riluttanza da par-

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te delle istituzioni pubbliche adassumersi una responsabilità edun compito che era ed è visto co-me una funzione spettante alle fa-miglie, svolto dalle donne in mo-do gratuito. Tra le altre conside-razioni, la breve ricostruzione deimeccanismi della vulnerabilità so-ciale collegata ai temi della curae dell’accudimento, fanno emer-gere vere e proprie sfide per laricerca, per le politiche e per lepratiche sociali. Perché chi cura eaccudisce continuativamente unapersona fortemente dipendente, sitrova ad operare all’interno di am-biti materiali, relazionali e sim-bolici i cui margini di libertà so-no molto esigui e finiscono per ri-dursi ulteriormente con il passaredel tempo. Ciò nonostante questatematica fatica a trovare cittadi-nanza nel discorso pubblico e nel-l’agenda politica. Inoltre, la ricerca sociale mette inevidenza che se ai bisogni di curaemergenti, si è tradizionalmenterisposto con la dedizione totaledelle donne, conseguente al loroabbandono del mercato del lavo-ro, oggi il rischio di incorrere insituazioni di deprivazione econo-mica impone alle famiglie di as-sicurarsi un doppio reddito, e quin-di, sempre più spesso, le donne,sulle quali comunque gravano icompiti di cura, si troveranno confrequenti problemi di conciliazionedella cura con il proprio lavoro. Ai cambiamenti di contesto socioeconomico, si associano anchequelli etici e culturali, eviden-ziati anche dalle figlie di anzianiche dichiarano di non voler esse-re causa di sacrifici nel futuro peri propri figli. I nodi legati alla cu-ra e al curare chiamano dunque al-l’ampliamento del concetto di be-nessere sia in termini teorici sianella definizione di obiettivi di po-litica sociale che siano auspicabi-li e perseguibili. Si tratta di defi-nire quali siano le “componenticostitutive del vivere” (Sen, 1994),da porre alla base delle nostre so-cietà.

Questo passaggio culturale portacon sé tutta la complessità legataalla necessità di affrontare un ri-orientamento delle politiche in vi-sta del riconoscimento di un in-sieme di diritti da parte di chi espri-me bisogni di cura e di chi li so-stiene, oggi sottovalutati. In primo luogo, l’intervento poli-tico dovrebbe tradursi verso la ga-ranzia di un livello universale mi-nimo di accesso a interventi in na-tura piuttosto dell’erogazione delsemplice sussidio economico condelega completa e totale alla fa-miglia12. Si tratterebbe di implementare po-litiche in grado di sostenere e co-adiuvare coloro che decidono dicurare e accudire in prima perso-na, giacché sempre di più sarannoobbligati a svolgere ruoli multipliin un periodo della vita in cui lerisorse psicofisiche a disposizio-ne possono incominciare a scar-seggiare. Infine, si pone la necessità, perle politiche sociali di uscire dallelogiche di un intervento esclusi-vamente assistenziale e in ultimaistanza, spostando risorse umaneed economiche da interventi di ri-duzione del danno a interventi dicarattere preventivo, intercettan-do i bisogni di tutti i soggetti im-plicati nella cura.Nonostante negli ultimi anni, lacura a domicilio è divenuta la prio-rità delle “nuove” politiche per glianziani e per i disabili, attraver-so lo sviluppo e il potenziamen-to di servizi alla persona persona-lizzati e decentralizzati a livelloterritoriale, quali l’assistenza in-fermieristica domiciliare, i cen-tri diurni per anziani e prestazio-ni monetarie a sostegno della cu-ra informale o del ricorso al mer-cato privato, le risorse destinatenon sono sufficientemente ade-guate al reale bisogno di tutti i sog-getti implicati nella cura.E’ sicuramente dalla capacità de-gli operatori sanitari, sociali ed edu-cativi che possono venire i contri-buti più significativi e più utili per

fare emergere ciò che oggi non sem-bra adeguatamente affrontato sulpiano delle politiche nazionali.Per quanto riguarda l’assistenzainfermieristica, nel 1999, la Re-gione Europea dell’OMS nel do-cumento di politica sanitaria “SA-LUTE 21”13, puntualizza: “La fa-miglia è l’unità base della socie-tà dove, chi si occupa dell’assi-stenza è in grado anche di tenerenel dovuto conto gli aspetti psi-cologici e sociali delle loro con-dizioni[…] Infermiere e famiglia,utilizzando una attività interatti-va, divengono partner..”.L’analisi di questa tematica, rap-presenta, per l’infermiere una aper-tura conoscitiva che le permettedi decifrare anche i funzionamentisociali di chi cura e accudisce si-tuazioni gravi e meno gravi ma si-curamente frequenti e diffuse, non-ché durature. L’empatia e l’ascol-to unite al supporto tecnico-pro-fessionale, possono creare un’al-leanza importante tra infermieree caregiver nell’ambito della do-miciliarietà delle cure.

1In questo lavoro, il termine “caregi-ver” e “colui che offre assistenza” ver-ranno utilizzati come sinonimi poiché iltermine inglese, ormai, è entrato a far par-te del linguaggio comune.2Malinowski Antropologo Polacco, giànel 1913, durante i suoi studi, pubblica untesto sulla famiglia, “La famiglia tra gliaborigeni Australiani”.3Hans Silye, teorico dello stress, Stresswithout Distress (1974). 4 Il grado di stress del caregiver è valuta-to attraverso una scala predisposta ad hoc:CAREGIVER BURDEN INVENTORY(CBI) (Novak M. e Guest C., Geronto-logist, 29, 798-803, 1989) La CBI è unostrumento di valutazione del carico assi-stenziale, in grado di analizzarne l’aspet-to multidimensionale, elaborato per i ca-regiver di pazienti affetti da malattia diAlzheimer e demenze correlate. 5 Una ricerca effettuata dalla Prof.ssa Giu-liana Costa (Costa, 2009) all’interno del-la cornice teorica della vulnerabilità so-ciale, ha messo in relazione, dal puntodi vista dei caregiver, le connessioni trai bisogni di cura, il loro impatto sulla vi-ta quotidiana e le strategie messe in attodalla famiglia. 6 Incontri e colloqui con i familiari dianziani non autosufficienti per concor-

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Francesca Matarazzo

Assistente sanitaria [email protected]

Durante il periodo preindustriale, lafamiglia, si caratterizzava come fa-miglia patriarcale, composta da padre,madre, figli e nonni che abitavano tut-ti sotto lo stesso tetto, dove ogni mem-bro provvedeva ai bisogni dell’altro. La rivoluzione industriale (in Euro-pa 1850-1914) concentrò la mano-dopera nelle città e questo rivoluzio-nò l’organizzazione della vita e dellafamiglia. La famiglia moderna è unafamiglia ristretta, o famiglia nucleare,composta dalla sola coppia e dai figliche vivono in un’abitazione propria,indipendenti dalle famiglie di origine,questo grazie ai salari che da una par-te danno autonomia econimica ma dal’altra non consentono di sostentarenuclei numerosi d’individui.Il miglioramento delle condizioni divita e l’inarrestabile progresso tecno-logico e scientifico hanno determina-to sia l’aumento dell’età media dellapopolazione, sia la disponibilità al-truistica tipica di altri tempi. Questoha portato nella nuova società nuoveproblematiche legate a nuove esigen-ze, ad esempio la questione sugli an-ziani.Al 1° gennaio 2012 (dati ISTAT) ci so-no 147,2 anziani ogni 100 giovani. InEuropa, solo la Germania presenta unindice di vecchiaia (rapporto tra le per-sone anziane [>65 aa] e le persone gio-vani [<15 aa]) più accentuato. La vitamedia delle donne è di 84 anni e mez-zo, quella degli uomini è di circa 79anni, fra le più lunghe dell’UE. A li-vello regionale è la Liguria (233,7%)a detenere l’indice di vecchiaia più ele-vato, come si registra ormai da anni,seguita da Friuli-Venezia Giulia

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L’assetto socialedell’età moderna

(189,7%) e Toscana (184,6%). LaCampania si conferma essere la re-gione con l’indice di vecchiaia piùbasso mostrando però, per la primavolta, un indice superiore al 100%(102,4%) portando così l’Italia a nonavere più nessuna regione con un nu-mero di giovani superiore a quello de-gli anziani. Inoltre l’Italia si collocatra i paesi a bassa fecondità, con 1,39figli per donna [stime del 2011].Nonostante ciò la popolazione resi-dente in Italia (ISTAT 01/01/2012) neldecennio 2001-2011 è aumentata del4,3%; una crescita sostenuta esclu-sivamente dall’incremento della com-ponente straniera. In uno studio Demos (http://www.de-mos.it/a00811.php ) Emerge che lamaggior difesa dei lavoratori è datada la famiglia 29% seguita dai sin-dacati 25,9 , lo Stato trova soltanto il3,7% dei consensi, mentre il 16,6%ritiene che nessuno tuteli i lavorato-ri. Si associa un progressivo timoreper il futuro che dal 2012 al gennaio2013 passa ( valori %) dal: 554 a 61,9per il futuro dei figli; 51,5 a 56,5 peril lavoro; 48,4 a 53,9 per la pensione;38,4 a 44,1 per i risparmi. Con unasoddisfazione personale passa dal (%)22,9 al 14,9. Su questo si innesca ildesiderio di fuggire all’estero che neigiovani passa nello stesso periodo dal56,2 al 63,6.

dare il progetto assistenziale, da parte del-la Unità di Valutazione Multidisciplina-re nella zona Fiorentina Sud-Est.7 Intesa come attributo della personalitào del processo di fronteggia mento percui gli individui sono in grado di man-tenere la forza necessaria per svolgereuna pluralità di ruoli e far fronte alle av-versità gravi o di lungo periodo.8 Questo concetto deve rappresentare unostimolo per organizzare meglio la frui-zione dei servizi da parte delle famiglie,per l’approfondimento, si rimanda al ter-zo capitolo 9 Studi condotti nello specifico da Ant-tonen, Baldock e Sipila 2003; Daly e Ra-ke 2006, in (Costa, 2007)10 Per lavoro informale, si intende lavo-ro non retribuito e svolto nell’ambito pri-vato, soprattutto dalle donne.11 Lavoro retribuito e risorse pubbliche12 Da una intervista raccolta da G. Costanel volume “Quando qualcuno dipendeda te”: “…vedo soltanto una cosa, con l’asse-gno di accompagnamento che danno,tutti se ne lavano le mani…”13 Health21: La salute per tutti nel 21°se-colo, Ufficio Regionale per l’Europa,Copenaghen, 1999.

Il podcast realizzato e con-dotto da Enrico Dolabelli èarrivato ormai alla puntata14.È possibile abbonarsi gra-tuitamente all'ascolto dallapiattaforma iTunes, copian-do questo indirizzo http://denursepodcast.podomatic.com/rss2.xml nel pro-prio lettore di podcast,oppure scaricandolo dawww.ipasvifi.it

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Mara Fadanelli Infermiera Ass. Spazio Etico USL\11

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L’attaccamento alla vita, per l’essere uma-no, è talmente grande che quando la me-dicina tradizionale non riesce a dare ri-sposte di guarigione, l’uomo si rivolgeper sé, o per le persone a lui care, a chiun-que gli possa aprire uno spiraglio di spe-ranza. Abito a Lamporecchio, e ho vissuto davicino il caso di “mamma Ebe” che abi-tava a S. Baronto. File di persone le sirivolgevano perché trovavano in lei “lerisposte alle loro aspettative”.Così possiamo parlare anche del “caso DiBella” e del “caso Stamina”.Potremo dire che questi “guru” hanno undenominatore comune: l’abilità della co-municazione persuasiva. Fra l’altro Da-vide Vannoni, fondatore della StaminaFoundation e ideatore del “metodo” Sta-mina, laureato in lettere e docente di er-gonomia cognitiva all’università di Udi-ne, ha scritto un libro proprio sull’argo-mento: “Manuale di Psicologia della co-municazione persuasiva”(1). Conosciamo tutti le fasi del metodo scien-tifico necessarie per formulare una tesi.Ebbene non c’è nessun trial clinico cheprova la validità di queste terapie. Inoltre dall’analisi delle cartelle cliniche,sia dei pazienti che hanno seguito la cu-ra di Bella, che di coloro che hanno fat-to e che continuano la cura Vannoni, i tas-si di guarigione è stato pari a zero. Il “metodo” Stamina consiste nella som-ministrazione di cellule staminali me-senchimali, per semplificare possiamodire che sono cellule meno versatili ri-spetto a quelle embrionali, ma, essendofacilmente ricavabili da diversi tessutidell’organismo adulto, hanno il vantag-gio di porre meno problemi etici rispettoalle staminali embrionali. Il problema intutto questo non sono tanto le cellule sta-minali ma che Vannoni non ha pubblica-to nessun lavoro scientifico che dimostrila validità del suo “metodo” (è per que-sto che il termine metodo viene virgolet-tato). Il premio Nobel Shinya Yamanaka,presidente della Società Internazionale

Saper toccare gli aspetti più intimi e profondi del-l’animo umano ha una forza persuasiva maggioredella mancanza di prove di efficacia delle cure

Scienza e convinzioni popolari

per la Ricerca sulle Cellule Staminali(ISSCR), ha detto di essere molto preoc-cupato per il “fatto che trattamenti basa-ti sulle cellule staminali non sperimenta-ti in modo adeguato siano immessi sulmercato”.Una legge del 2003 regolamenta le co-siddette “terapie compassionevoli”. Inpratica, la legge stabilisce che per parti-colari patologie, che non hanno cura, èpossibile utilizzare terapie ancora noncertificate, a patto che rispettino alcuniprincipi fondamentali: devono essere infase avanzata di sperimentazione e de-vono portare un tangibile beneficio al pa-ziente.Al momento, il “metodo” Stamina nonsembra rispettare nemmeno le basi postedalla legge per potere fare ricorso alle “te-rapie compassionevoli”. Non è stata an-cora sperimentata a sufficienza, non haalle spalle ricerche scientifiche solide ecomprovate da altri ricercatori. Non èquindi ancora del tutto chiaro come maiquesto “metodo” sia stato adottato dallastruttura sanitaria “Spedali Civili” di Bre-scia.Qui ci sono alcune riflessioni da fare, inmodo particolare inerenti al “metodo”Stamina che è il caso più recente. La popolazione come fa ad orientarsi se,da una parte, abbiamo la comunità scien-tifica che sostiene che non è un metodovalido, il ministero che sospende le atti-vità della Stamina Foundation, su indi-cazione degli organi tecnici preposti (Ai-fa: Agenzia Italiana del farmaco) e poi,

dall’altra, lo stesso ministero con un de-creto urgente (2) in materia sanitaria con-cede la prosecuzione dei trattamenti peri pazienti per i quali sono stati già av-viati alla data di entrata in vigore del de-creto. Inoltre abbiamo i giudici del lavo-ro che in pochi mesi hanno emesso sen-tenze, anche molto diverse tra loro, perautorizzare o meno la prosecuzione deitrattamenti. Infine ci sono programmi te-levisivi che presentano l’appello di ma-dri a proseguire le terapie. In questi casi, le autorità sanitarie si tro-vano spesso a doversi confrontare conparte dell’opinione pubblica, che in buo-na fede, e con una certa dose di emotivi-tà, ripone grandi speranze in terapie chesi vendono come miracolose, anche in as-senza di prove certe sulla loro efficacia.Entro certi limiti, la libertà di scelta del-la cura deve essere tutelata, ma siamo ve-ramente liberi di scegliere solo se ab-biamo tutte le informazioni necessarie ele istituzioni hanno anche il dovere di pro-teggere e informare i propri cittadini suterapie non verificate e potenzialmentepericolose per la salute.Inoltre perché i giudici non si confronta-no con gli scienziati? È banale dire chedovrebbe essere fatta una commissioneintegrata per fornire un parere condivi-so? Questo nella tutela di tutti, in primisdi quelle famiglie che oltre a dovere af-frontare la sofferenza nel vedere i pro-pri figli con malattie invalidanti, che spes-so conducono alla morte, si trovano adimpiegare risorse economiche elevate,per terapie non validate.

1 Davide Vannoni, “Manuale di Psicolo-gia della comunicazione persuasiva”, UtetLibreria, Torino, 2001.2 Decreto Ministeriale 8 maggio 2003“Uso terapeutico di medicinale sottopo-sto a spementazione clinica.”(G.U. n. 173,28 luglio 2003, Serie Generale) Consi-glio dei Ministri n. 73 del 21/03/2013.

Nadia ChiariInfermiera sanità privata

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La morte è un argomento general-mente rimosso e difficile da af-frontare; non si può definire conesattezza poiché lo si conosce so-lo dall’esterno, suscita nella nostramoderna e caotica società incom-prensibilità e disperazione. Per questo quando mi è capitato frale mani il numero 2/2004 di que-sta rivista, che aveva come tema“Vivere il Morire”, ho pensato chefosse veramente interessante sen-sibilizzare ancora e ancora i pro-fessionisti, e tutte le persone, all’i-nadeguatezza con cui si tratta l’ar-gomento ai giorni nostri. La morte è un’esperienza fonda-mentale dell’uomo in quanto indi-viduo, è personale, ma allo stessotempo riguarda tutti, universal-mente, e per questo ha una profondavalenza sociale e collettiva. Si legge nell’editoriale di Gian-carlo Brunetti di 10 anni fa: “Lanostra società enfatizza la garan-zia di benessere e gioventù eterne;l’idea della morte e della malattiaviene allontanata dai nostri pen-sieri, esiliata fino a diventare un ta-bù”. Un modo perfetto per dire che,di fronte a questo atteggiamentodella società, inevitabilmente siscatenano meccanismi di rimozionee negazione.Con questo non si vogliono affat-to negare la sofferenza e il dolorepuro di chi affronta la malattia o illutto, si vuole piuttosto sottolinea-re l’inadeguatezza del modello diuomo che ci viene presentato quo-

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Vivere il morireAnno XIV - n. 2/2004 - Spedizione in a. p. art. 2 comma 20/c legge 662/96- Firenze

Obbiettivoprofessione infermieristica

n. 2/2004

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Trimestraledi informazioneattualità e cultura

IPASVI - Firenze

Vivereil morire

Nascita, vita, mortesono, per tutti, atti unicied irripetibili.

Perchè non restituirealla morte lo «spazio»dentro la vitae il sentire comune?

Quali implicazioniemotive suscitain noi infermieril’accompagnarealla morte?

Le problematicheetiche sollevateda «certe» mortiche ci coinvolgono come operatorie come cittadini.

tidianamente, che pare essere im-mutabilmente bello e giovane. Lastessa idea di uomo che ha allon-tanato il concetto di morte e por-tato all’accanimento terapeutico,alla volontà di vita eterna.

Date le premesse, risulta eviden-te il problema dell’affronto del te-ma nell’ambito della relazione diaiuto. Come si sente psicologica-mente l’assistito, e noi? Di che co-sa ha bisogno? E’ possibile rasse-renarlo? Per rispondere a questefondamentali domande gli opera-tori vengono formati ed educati,per quanto non esistano compor-tamenti standardizzabili e proce-dure che possano andare bene pertutti e per tutte le circostanze. So-no l’esperienza personale, il cre-do religioso, il valore attribuito al-la Vita, la capacità personale di ri-

elaborare le proprie esperienze e ipropri sentimenti, che devono aiu-tarci ad aiutare. Questo ha senzadubbi un costo emotivo molto al-to, ed è per questo che occorre af-frontare l’argomento con cura edinteresse. La morte si presenta spes-so davanti all’ operatore e se es-so non è in prima persona forte-mente consapevole di tutto ciò cherappresenta, possono manifestar-si fenomeni di stress psicologicointenso e burn out. Dall’altra parte, l’assistito in que-sto caso più che mai necessità diveder tutelata la sua rete di rela-zioni con i familiari e le personecare, per garantire il più possibileun ambiente benevolo e sereno.Questo anche attraverso la tuteladel diritto di morire nella propriacasa, e non in un ambiente estra-neo ed esiliante per la persona co-me l’ospedale. Da questo punto divista la sensibilizzazione della po-polazione e del personale sanita-rio è forte, così le strutture di ac-coglienza per il fine vita e il do-micilio sono scelte diffuse. Ciò tu-tela fortemente la dignità dell’as-sistito, poiché quello di cui mag-giormente necessita sono i suoi ri-cordi, i suoi oggetti cari e il con-forto affettivo dei suoi amati. Co-si che possa celebrare la nostra ef-fimera figura, simile a quella diogni altro essere che appartiene alciclo ineluttabile della natura, do-ve ogni cosa che nasce è destina-ta a crescere, a sfiorire, e poi a spe-gnersi. Le piccole creature comenoi, quanto le stelle, i pianeti, e l’u-niverso stesso.

BIBLIOGRAFIAEveryman – Philip Roth - Einaudin. 2/2004 della rivista Obbiettivo del Col-legio Ipasvi di FirenzeSITOGRAFIAhttp://it.wikipedia.org/wiki/Mortehttp://it.wikipedia.org/wiki/Luttohttp://www.homolaicus.com/teoria/mor-te.htm

FILMOGRAFIALa prima cosa bella – Paolo VirzìL’ attimo fuggente – Peter WeirThe hours – Stephen Daldry

venerdì 21 marzo 2014 ore 9.00-19.00

Il sistema donazioni trapianti in una società multiculturale

mercoledì 9 aprile 2014 ore 9.00-18.00

Incontro di orientamento all'esercizio libero professionale

giovedì 10 aprile 2014 ore 8.30-18.00

Infermiere nelle situazioni di maxi-emergenza (CIVES)

giovedì 17 aprile 2014 ore 9.00-16.00

L’infermieristica tramite il teatro

mercoledì 30 aprile 2014 ore 8.30-13.30

Il processo comunicativo in sanità

martedì/mercoledì 06-07 maggio 2014 ore 9.00-18.00

Confrontarsi con il conflitto imparare a negoziare con efficacia

venerdì 09 maggio 2014 ore 8.30-13.30

La gestione infermieristica delle vie aeree

martedì 20 maggio 2014 ore 14.00-19.00

Le responsabilità del coordinatore infermieristico (vecchi limiti e nuove prospettive)

Tutte le informazioni relative a posti disponibili e iscrizioni sono reperibili sul sito www.ipasvifi.itnella sezione formazione-training-online-management (TOM) previo registrazione e accesso riservato

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