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PSICOLOGI E PSICOTERAPEUTI Fisco, previdenza e aspetti giuridici della professione di Barbara Rizzato © copyright 2004 – 2009 Barbara Rizzato all rights reserved 2 L’autore: Barbara Rizzato, dottore commercialista in Padova, revisore ufficiale dei conti, consulente fiscale dell’Ordine degli Psicologi del Veneto, consulente tecnico per il Tribunale di Padova, difensore avanti le commissioni tributarie provinciali e regionali, esperto nel settore delle arti e professioni sanitarie, consulente di Associazioni ed Enti del settore sanitario, relatore in convegni di studio

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PSICOLOGI E PSICOTERAPEUTI

Fisco, previdenza e aspetti giuridici della professione

di Barbara Rizzato

© copyright 2004 – 2009 Barbara Rizzato all rights reserved

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L’autore: Barbara Rizzato, dottore commercialista in Padova, revisore ufficiale dei conti, consulente fiscale dell’Ordine degli Psicologi del Veneto, consulente tecnico per il Tribunale di Padova, difensore avanti le commissioni tributarie provinciali e regionali, esperto nel settore delle arti e professioni sanitarie, consulente di Associazioni ed Enti del settore sanitario, relatore in convegni di studio

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INDICE SISTEMATICO

PREFAZIONE CAPITOLO PRIMO La libera professione nel comparto sanitario 1. Panorama normativo di riferimento 2. I diversi modi di esercizio della libera professione: cenni 3. Casi in cui lo svolgimento della libera professione non richiede l’apertura di una posizione IVA: la collaborazione coordinata e continuativa, il lavoro occasionale e l’attività intramoenia 4. Vincoli all’esercizio della libera professione per i dipendenti pubblici CAPITOLO SECONDO Pubblicità professionale e minimi tariffari 1. Pubblicità professionale: le novità introdotte dal decreto Bersani-Visco (DL 223/2006 convertito nella legge 248/2006) 2. Il ruolo degli Ordini professionali in materia di pubblicità sanitaria dopo l’approvazione della legge 248/2006 3. Minimi tariffari: le novità introdotte dal decreto Bersani-Visco (DL 223/2006 convertito nella legge 248/2006) 4. Il ruolo degli Ordini professionali in materia di tariffa dopo l’approvazione della legge 248/2006 CAPITOLO TERZO Le scelte di carattere fiscale connesse all’avvio della libera professione 1. Adempimenti fiscali per l’inizio dell’attività

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2. La scelta del regime contabile 2.1. Premessa 2.2. Regime semplificato (regime naturale) 2.3. Regime ordinario (regime adottabile per opzione) 2.4. Regime agevolato per i contribuenti minimi 2.5. Regime agevolato per le nuove iniziative produttive - “forfettino” 3. Vidimazione e stampa dei registri contabili 4. Termini di legge per la registrazione contabile dei documenti CAPITOLO QUARTO Determinazione del reddito di lavoro autonomo (articolo 54 DPR 917/1986) 1. Premessa: il principio di cassa 2. I componenti positivi di reddito 3. I componenti negativi di reddito 3.1. Premessa 3.2. Utenze 3.3. Beni immobili 3.4. Ripartizione delle spese comuni tra più professionisti 3.5. Beni strumentali 3.6. Beni ad uso promiscuo 3.7. Beni in locazione finanziaria (leasing) 3.8. Automezzi e motoveicoli 3.9. Telefoni cellulari 3.10. Spese per prestazioni di lavoro dipendente e assimilato 3.11. Compensi corrisposti a terzi 3.12. Compensi corrisposti ai familiari 3.13. Spese di viaggio 3.14. Spese di albergo e ristorante 3.15. Spese di rappresentanza 3.16. Spese di aggiornamento professionale 3.17. Oneri bancari 3.18. Interessi passivi

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CAPITOLO QUINTO Ritenute d’acconto e parcellazione 1. Ritenute alla fonte subite (in qualità di sostituito) 2. Ritenute alla fonte operate (in qualità di sostituto) 3. Parcellazione: esempi pratici e indicazioni tecniche CAPITOLO SESTO Le misure “anti-evasione” introdotte dalla legge 248/2006 e dalla legge 244/2007 1. Premessa 2. Il c/c “professionale” e gli obblighi in materia di incassi e pagamenti 3. La riscossione accentrata dei compensi per chi opera in strutture sanitarie private CAPITOLO SETTIMO L’IVA 1. Tratti salienti dell’imposta 2. Le liquidazioni periodiche 3. Rilevanza ai fini IVA delle prestazioni professionali rese dallo psicologo: casi pratici 3.1. Premessa 3.2. Attività didattica e di formazione 3.3. Attività didattica con finalità di “profilassi” 3.4. Attività di consulente tecnico d’ufficio o di parte 4. Indetraibilità soggettiva dell’IVA: il pro-rata di detraibilità 5. Indetraibilità oggettiva dell’IVA CAPITOLO OTTAVO

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L’IRAP 1. Tratti salienti dell’imposta 2. La nuova IRAP voluta dalla Finanziaria 2008 3. Osservazioni in ordine alla sussistenza del presupposto impositivo ai fini IRAP nelle attività libero professionali (è davvero dovuta l’IRAP?) 4. Effetti dell’adesione al condono di cui alla legge 289/2002 sulle istanze di rimborso 5. L’orientamento della giurisprudenza (tabella di sintesi) CAPITOLO NONO Le dichiarazioni fiscali, in particolare il modello Unico 1. Obblighi connessi 2. L’elenco clienti-fornitori 3. La compensazione dei crediti tributari e il modello F24 4. Certificazione dei rimborsi 5. Il ravvedimento operoso CAPITOLO DECIMO Gli Studi di Settore 1. Cosa sono gli Studi di Settore? 2. La determinazione degli indici di congruità, di normalità economica e di coerenza mediante l’utilizzo di GERICO 3. Cosa comportano la non congruità, la non coerenza e/o la non normalità economica? 4. Effetti dell’adesione al condono di cui alla legge 289/2002 sull’accertamento da Studi di Settore

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5. Gli Studi di Settore di psicologi e psicoterapeuti tra “sperimentazione”, “monitoraggio” e “definitività” 5.1. Lo Studio sperimentale 5.2. Lo Studio monitorato 5.3. Lo Studio definitivo 6. Come cambia la valenza degli Studi nel corso dell’anno 2007 7. Le cause di esclusione e il modello INE CAPITOLO UNDICESIMO L’attività di controllo, verifica e accertamento 1. Come comportarsi in caso di verifica fiscale 2. Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali (art. 12 della legge 212/2000, cosiddetto Statuto del Contribuente) 3. Quando è possibile opporre il segreto professionale 4. Le verifiche bancarie e l’anagrafe dei rapporti finanziari 5. Acquisizione di informazioni presso terzi. I questionari 6. L’esito del controllo: le diverse fattispecie di accertamento

6.1. Premessa 6.2. L’accertamento in rettifica e l’accertamento d’ufficio 6.3. Metodo analitico 6.4. Metodo sintetico 6.5. Metodo induttivo 6.6. Metodo analitico induttivo 6L’eventuale fase contenziosa dinanzi alle Commissioni Tributarie 8. Gli strumenti deflativi del contenzioso tributario: accertamento con adesione, definizione agevolata, conciliazione giudiziale, autotutela, il nuovo istituto dell’adesione ai PVC CAPITOLO DODICESIMO

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L’esercizio della professione di psicologo nell’ambito di associazioni e società professionali 1. L’associazione tra professionisti 2. Le agevolazioni previste dalla legge Finanziaria per il 2008 per le aggregazioni fra professionisti 3. La società professionale 4. La società di mezzi per l’esercizio della professione di psicologo e di psicoterapeuta CAPITOLO TREDICESIMO La Cassa di previdenza: l’ENPAP 1. Quando scatta l’obbligo di iscrizione all’ENPAP? 2. Contribuzione dovuta 3. Tempi e modi della contribuzione CAPITOLO QUATTORDICESIMO Ricerca e selezione del personale 1. Panorama normativo di riferimento 2. Le attuali prospettive professionali dello psicologo per lo svolgimento dell’attività di ricerca e selezione del personale CAPITOLO QUINDICESIMO Le associazioni senza scopo di lucro 1. Premessa 2. La costituzione di un’associazione no profit 3. I diversi tipi di associazione 3.1. Le associazioni non riconosciute

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3.2. Le associazioni riconosciute 3.3. Le associazioni di volontariato 4. Inquadramento fiscale delle associazioni CAPITOLO SEDICESIMO La tutela della privacy (d.lgs 196/2003) 1. Normativa di riferimento 2. Glossario 2.1. Il trattamento dei dati 2.2. I dati sensibili 2.3. Il titolare del trattamento 2.4. Il responsabile del trattamento 2.5. Gli incaricati al trattamento 3. Obblighi in capo al titolare del trattamento 3.1. Notificazione al Garante 3.2. Comunicazione al Garante 3.3. Autorizzazione del Garante 3.4. A chi, come e quando si inoltrano la notificazione, la comunicazione e la richiesta di autorizzazione 3.5. Informativa al paziente 3.6. Consenso del paziente 3.7. Diritti dell’interessato 3.8. Nomina degli incaricati al trattamento 3.9. Nomina del responsabile del trattamento 3.10. Misure di sicurezza 4. Controlli, sanzioni e ravvedimento CAPITOLO DICIASETTESIMO La normativa regionale in materia di autorizzazioni sanitarie 1. Fonti normative 2. Lo svolgimento di attività sanitarie “invasive” come elemento discriminante ai fini della necessità di acquisire l’autorizzazione sanitaria

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3. Conclusioni (tabella riassuntiva della normativa regionale vigente)

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PREFAZIONE Il presente lavoro si propone come strumento che faciliti l’orientamento nel composito panorama normativo che investe la posizione fiscale e previdenziale dello psicologo e dello psicoterapeuta che operano in libera-professione. La complessità dell’apparato normativo di riferimento, il moltiplicarsi di adempimenti che ha caratterizzato questi ultimi anni, il continuo susseguirsi di “novità”, richiedono un costante aggiornamento ed un continuo sforzo di approfondimento tanto in capo a chi si occupa quotidianamente di temi fiscali, quanto in capo agli psicologi stessi direttamente interessati dalle “novità” in parola. Coloro che assistono per gli adempimenti legati all’esercizio della libera professione i professionisti del settore sanitario sanno bene che è sempre maggiore l’esigenza di affrontare problematiche specialistiche, quali ad esempio: la normativa in materia di esenzioni IVA, di riscossione accentrata dei compensi sanitari, quella in materia di adempimenti privacy, quella previdenziale legata alla cassa di previdenza ENPAP, quella relativa alle autorizzazioni sanitarie, alla pubblicità professionale e alla tariffa, ma anche quella legata alla costituzione di associazioni e società per l’esercizio della libera professione, all’assistenza nella fase contenziosa e pre-contenziosa, all’opponibilità del segreto professionale in caso di verifiche fiscali, alla difesa dagli Studi di Settore. L’esperienza maturata dall’autrice in questi anni nell’ambito del ruolo di consulente fiscale degli psicologi iscritti all’Ordine del Veneto le ha concesso il privilegio di agevolmente individuare le tematiche che più frequentemente interessano la figura professionale dello psicologo. Tale esperienza ha fatto anche propendere per una struttura dell’opera tale da consentire al lettore l’immediata individuazione dei temi di proprio interesse, trattati con un linguaggio fruibile anche da parte di chi non ha dimestichezza con la normativa fiscale. Ne emerge un manuale adatto alla consultazione anche per singole tematiche, ricco di esempi pratici, fac-simili e tavole sinottiche che agevolano la lettura e l’assimilazione dei concetti trattati. Padova, dicembre 2008

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CAPITOLO PRIMO La libera professione di psicologo e di psicoterapeuta 1. Panorama normativo di riferimento L’attività dello psicologo libero professionista si inquadra, dal punto di vista civilistico, quale prestazione d’opera intellettuale ex art. 2230 cc. L’obbligazione assunta dallo psicologo e dallo pscioterapeuta è pertanto un’obbligazione di mezzi e non di risultato, il cui adempimento richiede l’uso della normale diligenza ex art. 1176 cc. Ne consegue che l’azione per il risarcimento del danno a carico di uno psicologo libero professionista può essere esperita solo qualora il paziente dimostri di aver subito un danno specifico a causa del comportamento negligente del professionista. Tra l’altro, nei casi in cui la prestazione professionale richiede la soluzione di problemi di particolare difficoltà, il diritto al risarcimento sorge solo quando al professionista può essere ascritto un comportamento doloso o gravemente colposo (art. 2236 cc). L’attività dello psicologo libero professionista si inquadra, dal punto di vista fiscale, nella categoria dei redditi di lavoro autonomo a norma dell’art. 53 del TUIR (DPR 917/1986), in quanto esercitata con carattere di abitualità e professionalità, anche se in via non esclusiva. In pratica un’attività genera reddito di lavoro autonomo se è: - professionale: il soggetto cioè deve porre in essere una molteplicità di atti coordinati e finalizzati verso un identico scopo di regolarità, stabilità e sistematicità; - abituale: cioè composta da una serie di atti svolti in maniera non episodica, né saltuaria. 2. I diversi modi di esercizio della libera professione: cenni L’esercizio della professione può essere svolto sia individualmente, sia in forma associata (mediante costituzione di un’associazione tra professionisti), sia in forma societaria. Il DL 223/2006 (cosiddetto decreto Bersani-Visco convertito nella legge 248/2006) ha, tra l’altro, abrogato per tutte le categorie professionali il

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divieto di costituire società di persone tra professionisti. Sul punto torneremo più ampiamente nel prosieguo (rinvio al capitolo dodicesimo). Pare opportuno in questa sede ricordare che l’art. 2, comma 36, della legge 350/2003, ha definitivamente chiarito che le indennità, i gettoni di presenza e gli altri compensi corrisposti dallo Stato, dalle Regioni, dalle Province e dai Comuni per l’esercizio di pubbliche funzioni ai soggetti che esercitano una libera professione con carattere di abitualità sono esclusi dall’assimilazione al reddito di lavoro dipendente. Si deve quindi intendere che i compensi pagati da Enti Pubblici, Tribunali e Università siano attratti al reddito di lavoro autonomo in tutti i casi in cui il percettore del compenso svolga attività professionale di cui all’art. 53, primo comma, del TUIR. Gli stessi compensi, qualora corrisposti ad un professionista non titolare di partita IVA, saranno invece assimilati a reddito di lavoro dipendente. 3. Casi in cui lo svolgimento della libera professione non richiede l’apertura di una posizione IVA: la collaborazione coordinata e continuativa, il lavoro occasionale, l’attività intramoenia Il contratto di collaborazione coordinata e continuativa, pur essendo assimilato fiscalmente al contratto di lavoro dipendente, rappresenta per lo psicologo – dal punto di vista giuridico – una delle possibili forme di esercizio della libera professione. Si ricorda innanzitutto che lo psicologo che svolge l’attività professionale tipica della propria categoria sotto forma di collaborazione coordinata e continuativa è tenuto al versamento della contribuzione previdenziale all’ENPAP e non già all’INPS. Trattandosi di redditi assimilati al lavoro dipendente, il collaboratore coordinato e continuativo riceverà dal committente una vera e propria cedolino paga analogo a quella dei lavoratori dipendenti. Va detto che le co.co.co. hanno subito un profondo mutamento per effetto della Riforma Biagi (d.lgs 276/2003, di attuazione della legge 30/2003) soprattutto per quel che concerne la forma e il contenuto obbligatorio del contratto; la stessa Riforma Biagi ha però escluso da detti mutamenti, tra gli altri, anche i professionisti intellettuali per i quali è richiesta l’iscrizione in appositi albi. Pertanto gli psicologi iscritti all’albo che esercitano l’attività sotto forma di co.co.co. non saranno tenuti all’individuazione di un progetto ed errate saranno le formule contrattuali ricondotte alla forma del “lavoro a progetto” se l’attività svolta dal professionista rientra nell’ambito della professione di psicologo.

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Lo psicologo può anche esercitare l’attività libero professionale occasionalmente. Ad esempio, uno psicologo dipendente di una ASL (quindi esercente abitualmente l’attività di lavoro dipendente) potrebbe essere chiamato ad intervenire in qualità di relatore in un convegno; in tal caso il professionista emetterà una ricevuta che non sarà soggetta ad IVA (mancando il requisito dell’abitudinarietà nell’esercizio della professione), ma sarà invece soggetta a ritenuta d’acconto del 20%. Tale compenso costituirà per lo psicologo “reddito diverso” di cui all’art. 67 lettera l) del TUIR. Si riporta di seguito un fac-simile della ricevuta che il professionista dovrà rilasciare: dott. Pinco Palla Via 25 Aprile, 1 35100 Padova CF: ……………………………….. Egr. dott. Mario Rossi Via 1° maggio, 10 35100 Padova P.IVA: …………………………………….. CF: …………………………………………. Padova, li ……………………….. Partecipazione a giornata di corso di formazione in qualità di relatore, tenutasi presso ……………….. il giorno ……………….. Compenso 1.000,00 € ENPAP 2% 20,00 € A dedurre ritenuta d’acconto del 20% su 1.000,00 € - 200,00 € Totale da pagare 820,00 € (non soggetto ad IVA art. 5 DPR 633/72) NB: Sulla ricevuta va apposta una marca da bollo da 1,81 € se il compenso supera i 77,47 €

Con l’introduzione della Riforma Biagi, sono stati delineati con maggior chiarezza, rispetto alla disciplina previgente, i confini di applicazione del lavoro autonomo occasionale, prima lasciati alla discrezionale valutazione delle parti interessate dal contratto. Il lavoro di tipo “occasionale” sarà infatti possibile per un numero indefinito di rapporti di lavoro alla duplice condizione che: - la durata di ciascuna collaborazione non superi 30 giorni in un anno; - il reddito annuo (derivante da prestazioni di lavoro autonomo occasionale) non superi i 5.000 €; il requisito economico va riferito non al singolo committente, bensì al compenso complessivamente percepito

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dal prestatore d’opera nell’anno solare. Con riferimento a detto secondo limite, va precisato che la volontà del legislatore è stata quella di evitare una deliberata omissione di versamento dei contributi previdenziali INPS su compensi di “una certa entità”, tant’è che lo stesso legislatore ha previsto che sopra la soglia dei 5.000 € la prestazione può anche essere considerata comunque occasionale, purché il compenso (che resta quindi occasionale) sconti il versamento della contribuzione previdenziale. Tale considerazione appare particolarmente rilevante nel caso della collaborazione occasionale prestata da uno psicologo iscritto all’Ordine, atteso che la stessa, al di là dell’entità del compenso, è comunque sempre assoggettata a contribuzione ENPAP obbligatoria, con la conseguenza che diventa ininfluente il superamento o meno della soglia dei 5.000 €. Potremmo quindi concludere che i limiti temporali e reddittuali definiti dalla Riforma Biagi per la classificazione delle “prestazioni occasionali” non rilevano per lo psicologo che eserciti l’attività occasionalmente, ma possono semmai essere di supporto al mero fine di orientarsi sul concetto di “occasionalità”. Gli psicologi dipendenti del SSN e i docenti e ricercatori universitari che effettuano attività assistenziale presso cliniche e istituti universitari di ricovero e cura possono scegliere di esercitare la libera professione in regime di intramoenia, ovvero all’interno della struttura di cui sono alle dipendenze. Dal 1° gennaio 1999 gli psicologi dipendenti sono infatti chiamati a scegliere tra esercizio della libera professione intramoenia o extramoenia, nella consapevolezza che solo chi opta per l’intramoenia può occupare incarichi dirigenziali all’interno della struttura. Lo svolgimento dell’attività sia in regime di intramoenia, sia in regime di extramoenia costituisce giuridicamente svolgimento di libera-professione; sotto il profilo fiscale, invece, mentre i compensi percepiti per l’attività intramoenia costituiscono redditi assimilati al lavoro dipendente, quelli percepiti per l’attività extramoenia determinano reddito di lavoro autonomo. 4. Vincoli all’esercizio della libera professione per i dipendenti pubblici Il d.lgs 165 del 30.03.2001 recante le “Norme generali sull’ordinamento

del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” disciplina lo svolgimento di incarichi retribuiti da parte di dipendenti pubblici.

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La normativa de quo muove dall’esigenza di favorire una maggiore esclusività del rapporto di pubblico impiego così come previsto dalla stessa Costituzione, prevedendo all’art. 53 che i dipendenti pubblici – al di là dei casi di incompatibilità generale dettati da specifiche normative o di possibile conflitto d’interessi – non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza. I soggetti interessati da tale previsione sono tutti i dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni (come definite dall’art. 1, secondo comma, del d.lgs 165/2001), con esclusione di quelli con rapporto di lavoro part-time non superiore al 50%, dei docenti universitari a tempo definito e delle altre categorie di dipendenti ai quali è consentito lo svolgimento di attività libero-professionali, ad opera di disposizioni speciali. Le attività che richiedono la preventiva autorizzazione sulla base della normativa di cui al d.lgs 165/2001, sono tutte quelle – anche occasionali – che non rientrino nei compiti o doveri d’ufficio e per le quali sia previsto il pagamento di un compenso. L’autorizzazione deve essere richiesta all’amministrazione di appartenenza dai soggetti pubblici o privati che intendono conferire l’incarico o dal dipendente interessato. L’amministrazione interpellata deve pronunciarsi entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta; se la stessa non vi provvede, una volta decorso il termine de quo, l’autorizzazione si intende accordata qualora richiesta per incarichi conferiti da amministrazioni pubbliche, in ogni altro caso si intende invece definitivamente negata. Restano invece escluse dalla necessità di acquisire la preventiva autorizzazione le seguenti attività: - incarichi conferiti dall’amministrazione di appartenenza; - incarichi gratuiti o per i quali è corrisposto il solo rimborso delle spese

documentate; - incarichi per il cui svolgimento il dipendente è posto in posizione di

aspettativa, di comando o fuori ruolo; - incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le

stesse distaccati o in aspettativa non retribuita; - incarichi per attività di formazione dirette ai dipendenti della pubblica

amministrazione; - partecipazione a convegni e seminari; - partecipazione ad organi di consulenza tecnico scientifica dello Stato,

degli enti pubblici ed a partecipazione pubblica e degli enti di ricerca e cultura in genere (esclusione operante solo per i docenti universitari);

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- perizie affidate dall’autorità giudiziaria, purché si tratti di attività svolta in modo non continuativo (esclusione operante solo per i docenti universitari);

- collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili; - utilizzazione economica, da parte dell’autore o inventore, di opere

dell’ingegno. Il rispetto di tali previsioni normative è garantito dall’istituzione di un’anagrafe delle prestazioni e dalla previsione di specifiche sanzioni a carico del dipendente che adotti comportamenti non conformi al d.lgs 165/2001. Infatti, tutte le amministrazioni pubbliche sono tenute a comunicare annualmente per via telematica al Dipartimento della Funzione Pubblica l’elenco degli incarichi conferiti e di quelli autorizzati ai propri dipendenti. Quanto alle sanzioni ascrivibili al dipendente pubblico che non si uniformi alle disposizioni in materia di autorizzazioni preventive, va detto che il comportamento dello stesso è oggetto di valutazione in sede disciplinare in relazione alla verifica del corretto adempimento dei suoi doveri d’ufficio. Inoltre, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del dipendente, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente stesso per esser destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti. A tal proposito, l’Agenzia delle Entrate con Risoluzione 101/E del 17.05.2007 ha chiarito che il recupero deve essere operato per l’intero compenso, al lordo delle ritenute eseguite dai soggetti terzi che ne hanno effettuato la corresponsione. L’Agenzia ha chiarito inoltre che le somme già tassate ai fini delle imposte sul reddito, restituite dai dipendenti all’amministrazione di appartenenza, potranno essere considerate oneri deducibili dal reddito nell’anno di restituzione, garantendo così al dipendente la sostanziale neutralità fiscale dell’operazione.

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CAPITOLO SECONDO Pubblicità professionale e minimi tariffari 1. Pubblicità professionale: le novità introdotte dal decreto Bersani-Visco (DL 223/2006 convertito nella legge 248/2006) La legge 248/2006 ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che vietavano di pubblicizzare i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto e il prezzo delle prestazioni. E’ pertanto oggi consentito ai liberi professionisti del settore sanitario di promuovere i propri servizi a mezzo di una pubblicità di tipo informativo. Una qualche forma di pubblicità informativa era invero consentita agli psicologi già prima dell’approvazione della legge 248/2006, purché nel rispetto delle norme deontologiche, nonché delle previsioni contenute nella legge 175/1992 e nel DM 657/1994 che stabiliscono tuttora i mezzi, le forme e gli strumenti idonei alla diffusione dei messaggi pubblicitari in ambito sanitario per i professionisti dipendenti del SSN o esercenti attività convenzionate con il SSN. Ciononostante, appare evidente che l’ampliamento delle informazioni pubblicitarie diffondibili determinato nel 2006 dalla normativa in commento ha reso necessaria la diffusione di linee guida in materia di pubblicità informativa sanitaria ad opera del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi che vi ha provveduto mediante l'emanazione di un atto di indirizzo risalente al 25.05.2007. 2. Il ruolo degli Ordini professionali in materia di pubblicità sanitaria dopo l’approvazione della legge 248/2006 La legge 248/2006 demanda, tra l’altro, agli Ordini professionali gli obblighi di vigilanza sulla trasparenza e la veridicità del messaggio pubblicitario. La normativa de quo ha pertanto voluto che le limitazioni alla pubblicità professionale fossero esclusivamente legate all’esigenza di tutelare il “consumatore” del servizio, il quale deve poter far affidamento sul contenuto del messaggio pubblicitario, del quale devono farsi garanti per l’appunto gli Ordini professionali, tramite una sorta di verifica deontologica.

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La legge ha inoltre imposto agli Ordini di adeguare entro il 1° gennaio 2007 i propri codici di autodisciplina, affinché gli stessi tengano conto delle variazioni normative intervenute, prevedendo che, successivamente a tale data, le disposizioni dei regolamenti degli Ordini in contrasto con la normativa in parola si devono considerate decadute. Va, invero segnalato che, anche prima dell’approvazione della legge 248/2006, gli Ordini professionali non erano tenuti ad autorizzare i messaggi pubblicitari diffusi dagli iscritti, ma erano esclusivamente tenuti a rilasciare un nullaosta da intendersi quale parere obbligatorio ma non vincolante destinato agli Enti locali territoriali, essendo questi ultimi i titolari del potere di adottare provvedimenti autorizzativi in ambito di pubblicità sanitaria così come previsto dalla legge 175/1992. Nel dar seguito a quanto disposto dalla legge 248/2006, il Consiglio Nazionale dell'Ordine degli Psicologi – nel tentativo di individuare orientamenti comuni finalizzati a consentire agli Ordini professionali regionali di svolgere in modo omogeneo il ruolo loro affidato dalla legge di “controllori” della veridicità e della trasparenza dei messaggi pubblicitari diffusi dagli iscritti – con il già citato atto di indirizzo del 25.05.2007, ha dettato le nuove linee guida in materia di pubblicità informativa sanitaria. Considerato pertanto che – a causa dell’abrogazione del divieto di pubblicità disposta dalla legge 248/2006 – le facoltà in ambito di pubblicità in capo a psicologi e psicoterapeuti sono profondamente mutate, appare utile proporre di seguito tanto la nuova formulazione dell'art. 40 del Codice deontologico, approvato tra il 15 e il 16 dicembre 2006, quanto il testo integrale dell'atto di indirizzo in tema di pubblicità informativa sanitaria approvato dallo stesso Consiglio nazionale il 25.05.2007. ESTRATTO DEL CODICE DEONTOLOGICO DEGLI PSICOLOGI ITALIANI

Testo approvato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine ai sensi dell’art. 28, comma 6 lettera c) della Legge n. 56/89, in data 15-16 dicembre 2006.

Articolo 40

Indipendentemente dai limiti posti dalla vigente legislazione in materia di pubblicità, lo psicologo non assume pubblicamente comportamenti scorretti finalizzati al procacciamento della clientela.

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In ogni caso, può essere svolta pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dai competenti Consigli dell’Ordine. Il messaggio deve essere formulato nel rispetto del decoro professionale, conformemente ai criteri di serietà scientifica ed alla tutela dell’immagine della professione. La mancata richiesta di nulla osta per la pubblicità e la mancanza di trasparenza e veridicità del messaggio pubblicizzato costituiscono violazione deontologica.

ATTO DI INDIRIZZO SULLA PUBBLICITÀ INFORMATIVA DELLE ATTIVITÀ PROFESSIONALI DEGLI ISCRITTI ALLA SEZIONE A E B DELL’ALBO Art. 1 - Definizione generale La pubblicità delle attività oggetto del presente atto di indirizzo va intesa e realizzata come servizio per l’informazione alla collettività. In tale prospettiva può essere svolta pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo ed i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dal Consiglio dell’Ordine che insiste sul territorio in cui si intende effettuare l’attività pubblicitaria. Il messaggio deve essere formulato, conformemente ai criteri della serietà scientifica ed alla tutela dell’immagine della professione Art. 2 – Forme di pubblicità Agli iscritti all’Ordine nelle sezioni A e B dell’Albo che operano sul territorio nazionale è consentita la pubblicità mediante targhe apposte sull’edificio nel quale il professionista svolge attività, inserzioni sugli elenchi telefonici, sugli elenchi generali di categoria, attraverso i periodici destinati agli esercenti le professioni sanitarie ed attraverso giornali, quotidiani e periodici di informazione. L’informazione pubblicitaria è inoltre consentita attraverso le inserzioni sulle pagine Web di Internet e con ogni altro mezzo purché venga realizzata secondo criteri di trasparenza e di veridicità del messaggio e in un’ottica di servizio alla collettività, prestando particolare attenzione alla sua influenza sull’utenza, in linea con quanto sancito dagli artt. 8, 39, e 40 del Codice Deontologico degli Psicologi. Tale disposizione è estesa alle società di persone, alle associazioni tra professionisti e a tutte le altre modalità di esercizio della professione consentite dalla Legge. Art. 3 - Verifica dell’Ordine e domanda di autorizzazione 1. La pubblicità informativa relativa alle attività oggetto della professione di

psicologo, di dottore in tecniche psicologiche per i contesti sociali, organizzativi e del lavoro e di dottore in tecniche psicologiche per i servizi alla persona e alla comunità è soggetta alla verifica del Consiglio dell’Ordine competente sul territorio in cui si intende effettuare attività pubblicitaria, secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio pubblicitario ai sensi della Legge 4 agosto 2006, n. 248, e ai sensi degli artt. 8, 39, e 40 del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani.

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2. Ove previsto e richiesto dalla autorità amministrativa competente, per effettuare l’informazione pubblicitaria tramite targhe, va redatta domanda di autorizzazione indirizzata al Sindaco del Comune ove si intende pubblicizzare la professione, corredata da una descrizione dettagliata del tipo, delle caratteristiche e dei contenuti dell’annuncio pubblicitario. Il Consiglio territoriale dell’Ordine, previo nulla osta, dovrà trasmettere la domanda al Sindaco competente, entro trenta giorni dal ricevimento della domanda.

3. In ogni altro caso l’informazione pubblicitaria è consentita previa dichiarazione autocertificata, indirizzata al Consiglio Territoriale dell’Ordine. Tale autocertificazione deve contenere la dichiarazione di conformità del messaggio pubblicitario, alle norme deontologiche ed all’atto di indirizzo in tema di pubblicità. L’autocertificazione deve essere corredata da una descrizione dettagliata del tipo, delle caratteristiche e dei contenuti dell’annuncio incluso nell’inserzione - così come specificato negli artt. 4 e 5 del presente Atto di Indirizzo - nonché del contesto nel quale tale inserzione verrà diffusa. L’Ordine, entro novanta giorni dal ricevimento della dichiarazione autocertificata, in caso di violazioni di norme di legge o deontologiche contenute nel messaggio pubblicitario, potrà esprimere parere di non conformità con motivazione.

4. Gli iscritti all’Albo che esercitano l’attività nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale o in rapporto convenzionale con lo stesso, in tutte le forme consentite dalla Legge, sono tenuti ad osservare il presente Atto di Indirizzo e le disposizioni della Legge 175/92 e successive modificazioni, per quanto applicabili.

5. Le procedure di cui al presente articolo, devono essere rinnovate solo qualora siano apportate modifiche, non meramente formali al testo originario della pubblicità.

6. Le procedure relative ad informazione pubblicitaria che agiscono su un territorio pluriregionale o nazionale (es. pagine web, quotidiani nazionali, tv e radio nazionali, ecc.), vanno inoltrate all’Ordine territoriale di iscrizione.

Art. 4 - Caratteristiche generali delle informazioni pubblicitarie La pubblicità informativa può avere il seguente contenuto: a) nome, cognome, indirizzo, numero telefonico ed eventuale recapito del

professionista, orario delle visite e di apertura al pubblico; b) titoli di studio: I. titoli di laurea come “Dottore in scienze e tecniche psicologiche” e di laurea

specialistica o magistrale o quinquennale come “Dottore magistrale in psicologia” con l’eventuale menzione dell’indirizzo specifico:

��������������������� “Dottore magistrale in Psicologia ad indirizzo Applicativo”, “Dottore magistrale in Psicologia ad indirizzo Didattico” e “Dottore magistrale in Psicologia ad indirizzo Sperimentale” (per coloro che si sono laureati in base all’ordinamento previgente al DPR 6/2/1985, n. 216);

��������������������� “Dottore magistrale in Psicologia ad indirizzo di Psicologia Generale e Sperimentale”, “Dottore magistrale in Psicologia ad indirizzo di Psicologia Clinica e di Comunità”, “Dottore magistrale in Psicologia ad indirizzo di Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione”, “Dottore magistrale in Psicologia ad indirizzo di Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni” (per coloro che si sono laureati in base all’ordinamento del DPR 6/2/1985 n. 216);

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��������������������� “Dottore in scienze e tecniche psicologiche”, “Dottore magistrale in psicologia” con l’eventuale denominazione del corso di studio (esempio: Dottore ……. Corso di laurea …….) (per coloro che si sono laureati in base all’ordinamento del DM 509/99 e del DM 270/04).

II. titoli di specializzazione o di dottorato di ricerca (senza abbreviazioni che possano indurre in equivoco) come: “Specialista in... (titolo della scuola di specializzazione universitaria)”, “Specialista in Psicoterapia” nel caso di diploma ottenuto presso un corso di specializzazione in psicoterapia attivato presso un istituto privato riconosciuto dal MIUR, “Dottore di ricerca in … (titolo del corso di dottorato di ricerca)”.

III. titoli di formazione universitari post-laurea o post-laurea quinquennale o specialistica o magistrale come i corsi di perfezionamento scientifico o di altra formazione permanente e ricorrente come: “Master universitario di primo livello in…” “Master universitario di II livello in …” ai sensi della L. n 34/90, del DM 509/99 e del DM 270/04;

c) titoli professionali (senza abbreviazioni che possano indurre in equivoco) come “Dottore in tecniche psicologiche per i contesti sociali, organizzativi e del lavoro” “Dottore in tecniche psicologiche per i servizi alla persona ed alla comunità”, “Psicologo”, “Psicologo – Psicoterapeuta ….” (con possibile indicazione del setting, dell’indirizzo e dell’area di riferimento come specificato all’art. 5 comma c, d della presente deliberazione).

La dicitura “psicologo - psicoterapeuta” è consentita solo agli iscritti alla sezione A dell’Albo che abbiano ottenuto l’annotazione dell’esercizio dell’attività di psicoterapeuta ai sensi dell’art. 50, c. 5, DPR 328/01. Tale annotazione è concessa ai possessori di diploma legittimante l’esercizio dell’attività psicoterapeutica in base all’art. 3 della Legge 56/1989, oppure ai possessori di riconoscimento dell’attività psicoterapeutica ottenuto dall’Ordine di appartenenza in base all’art. 35 della Legge 56/1989 o all’art. 4 della Legge 4/1999;

d) titoli di carriera, accademici e di ruolo in campo psicologico, come “psicologo dirigente”, “professore in... (materia di insegnamento psicologico)” con eventuale menzione di ordinario, associato, a contratto o ricercatore universitario, specificando l’Università o l’Istituto Statale di ricerca;

e) onorificenze concesse o riconosciute dallo Stato come “Cavaliere,” cariche istituzionali, etc.;

f) caratteristiche del servizio offerto, nonché costi complessivi delle prestazioni offerte (art. 2, comma 1, lett. b, Legge 248/06). La misura del compenso indicato deve essere adeguata ai principi dettati dall’art. 2233 del Codice Civile, nonché dal Codice Deontologico degli Psicologi Italiani. Per quanto attiene l’esercizio della professione resa nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale o in rapporto convenzionale con lo stesso, si deve fare riferimento alle tariffe in vigore ad esso relative.

Non è consentito l’uso di titoli conseguiti all’estero se non riconosciuti dallo Stato italiano. Non è consentito l’uso di titoli difformi da quanto previsto ai punti b) c) e d). In caso di necessità di rilascio del nulla osta di cui all’art. 3, il richiedente deve corredare la domanda con l’opportuna documentazione probante, anche tramite autocertificazione. Art. 5 - Pubblicità relativa alle caratteristiche del servizio offerto 1. Al fine di specificare le caratteristiche del servizio offerto, l’iscritto alla sezione B dell’albo, per una maggiore trasparenza nei confronti del cliente, può inoltre pubblicizzare:

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a) i settori specifici nei quali esercita la professione, cioè “Settore delle tecniche psicologiche per i contesti sociali, organizzativi e del lavoro” e/o “Settore delle tecniche psicologiche per i servizi alla persona e alla comunità”; b) le attività professionali di cui all’articolo 3, comma 1-quinquies della L. 170/03, come ad esempio “esecuzione di progetti di prevenzione e formazione sulle tematiche del rischio e della sicurezza” per il settore delle tecniche psicologiche per i contesti sociali, organizzativi e del lavoro, o “attuazione di interventi per la riabilitazione, rieducazione funzionale e integrazione sociale di soggetti con disabilità pratiche, con deficit neuropsicologici, con disturbi psichiatrici o con dipendenza da sostanza” per il settore delle tecniche psicologiche per i servizi alla persona e alla comunità. 2. Al fine di specificare le caratteristiche del servizio offerto l’iscritto alla sezione A dell’albo, per una maggiore trasparenza nei confronti del cliente, può inoltre pubblicizzare: a) l’area specifica nella quale esercita la professione, ad esempio: “psicologia del lavoro e delle organizzazioni”, “psicologia scolastica”, “psicologia di comunità”, “psicologia giuridica”, “psicologia dello sport”, “psico-oncologia”, “neuropsicologia”, “psicologia del traffico”, etc. In tal caso il professionista deve presentare una documentazione, anche mediante autocertificazione, dalla quale si evinca l’adeguata formazione e/o l’attività nella specifica area. b) le attività professionali di cui all’art. 1 della L. 56/89, all’art. 51 comma 1 del DPR 328/01 e all’art. 3 comma 1-quinquies della L. 170/03, come ad esempio prevenzione, diagnosi, attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. Non è consentito utilizzare il termine “esperto” in quanto fuorviante per la trasparenza del messaggio. Inoltre lo psicologo-psicoterapeuta può pubblicizzare: c) il setting o l’ambito di intervento: “terapia individuale”, “terapia di gruppo”, “terapia familiare e/o di coppia”, “terapia infantile e/o dell’adolescente”, etc; d) l’indirizzo teorico clinico di riferimento relativo alla formazione conseguita (ad esempio: psicoanalitico, psicodinamico, sistemico, cognitivo-comportamentale, analitico-transazionale, etc). Art. 6 – Società di persone e associazioni tra professionisti Le disposizioni di cui agli artt. 3, 4 e 5 si applicano anche alle società di persone, alle associazioni tra professionisti ed alle altre modalità associate di esercizio della professione consentite dalla Legge. In ogni caso debbono essere riportati nel messaggio pubblicitario i nominativi dei singoli professionisti esercitanti l’attività psicologica e/o psicoterapeutica in forma associata ed i relativi titoli al fine della trasparenza e della veridicità del messaggio pubblicitario.

Art. 7 - Situazione di abuso, procedimento disciplinare e sanzioni La mancanza di trasparenza e veridicità del messaggio pubblicizzato costituisce violazione deontologica.

3. Minimi tariffari: le novità introdotte dal decreto Bersani-Visco (DL 223/2006 convertito nella legge 248/2006)

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La legge 248/2006 ha parimenti abrogato le tariffe minime, così come il divieto di negoziazione delle parcelle in base alla prestazione o all’obiettivo da raggiungere. Ciò significa che è oggi possibile effettuare sconti e riduzioni sul prezzo delle prestazioni professionali senza doversi attenere ai minimi tariffari. Benché la normativa consenta oggi di concordare le parcelle anche in funzione del risultato professionale raggiunto e quindi dell’effettivo beneficio in capo al cliente, pare che tale facoltà mal si concili con le prestazioni sanitarie. Che lo psicologo possa chiedere al paziente il pagamento di un compenso in funzione del risultato raggiunto pare quanto meno poco opportuno, senza considerare che tale comportamento dovrebbe trovare indubbiamente una limitazione, se non nella normativa in commento, quanto meno sotto il profilo deontologico. Quanto alle tariffe massime, queste rimangono invece inderogabili. L’abrogazione delle sole tariffe minime, infatti, trae origine dalla volontà del legislatore di consentire una maggiore concorrenza anche nell’ambito libero-professionale, e con essa una maggiore liberalizzazione del mercato a beneficio dei consumatori finali. Se pertanto, sono questi i soggetti che il legislatore ha inteso tutelare, pare coerente che le tariffe massime non siano state messe in discussione. In realtà, in antitesi con quello che era l’intento del legislatore, l’abrogazione dei minimi tariffari è stata vista dalle categorie professionali per lo più come uno svilimento della prestazione professionale, che comporterebbe rischi proprio a carico dei consumatori finali per i quali verrebbero meno le garanzie sulla qualità della prestazione professionale svolta. Va altresì detto che il tariffario della categoria professionale degli psicologi ha da sempre rappresentato un mero atto di indirizzo del Consiglio Nazionale e, non essendo mai stato recepito da un decreto statale, non ha mai avuto una valenza giuridica che andasse oltre all’aspetto puramente 4. Il ruolo degli Ordini professionali in materia di tariffa dopo l’approvazione della legge 248/2006 Nessun ruolo la normativa attribuisce, tra l’altro, agli Ordini con riferimento alle modifiche in materia di minimi tariffari.

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Ma, pur nel silenzio della normativa in commento, sembra evidente che gli Ordini dovranno parimenti garantire il decoro e la dignità della professione, essendo queste funzioni quelle caratterizzanti l’istituzione e l’esistenza degli Ordini professionali stessi, che sono chiamati in primis a tutelare la professione, preservandone il decoro, la dignità e la qualità. In quest’ottica potremmo senz’altro dire che i divieti abrogati dal legislatore con la legge 248/2006 permangono tutt’oggi pur in chiave deontologica, tanto più che il consolidato orientamento giurisprudenziale antecedente l’approvazione della normativa in commento si è da sempre espresso nel senso di ritenere che l’inderogabilità dei minimi tariffari fosse finalizzata ad evitare atteggiamenti volti all’”accaparramento della clientela” e che potessero quindi ledere il decoro e la dignità della professione. L’inderogabilità dei minimi tariffari era vista, in altre parole, come una tutela per la categoria professionale e non già per gli utenti. Ne deriva che – pur avendo la legge 248/2006 rovesciato i termini del problema, ed avendo invece voluto garantire una maggiore concorrenzialità del mercato anche nell’ambito delle libere professioni – non può considerarsi sottratta agli Ordini la funzione di vigilare su atteggiamenti che possano ledere il decoro e la dignità della professione, essendo, tra l’altro, gli stessi legittimati a svolgere detta funzione anche sulla base del tuttora vigente comma 3 dell’art. 2233 cc laddove dispone che “in ogni caso la misura del

compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro

della professione”. In quest’ottica va indubbiamente intesa la modifica al Codice deontologico approvata dal Consiglio nazionale dell’Ordine degli Psicologi tra il 15 e il 16 dicembre 2006 e che di seguito si riporta limitatamente al testo dell’art. 23 nella formulazione successiva al decreto Visco-Bersani legge 248/2006. ESTRATTO DEL CODICE DEONTOLOGICO DEGLI PSICOLOGI ITALIANI

Testo approvato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine ai sensi dell’art. 28, comma 6 lettera c) della Legge n. 56/89, in data 15-16 dicembre 2006.

Articolo 23 Lo psicologo pattuisce nella fase iniziale del rapporto quanto attiene al compenso professionale in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione. In ambito clinico tale compenso non può essere condizionato all’esito o ai risultati dell’intervento professionale; in tutti gli ambiti lo psicologo è tenuto a non superare le tariffe ordinistiche massime, prefissate in via generale a tutela degli utenti. Il testo unico della tariffa professionale degli psicologi, allegato sub lettera A al presente codice, è costituito quale parametro per la valutazione della misura del

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compenso richiesto ai sensi del comma 1 del presente articolo. Per ogni modifica o abrogazione relativa all’allegato sub lettera A sarà competente il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi ai sensi dell’art. 28 comma 6 lett. G) della L. 56/89, con la procedura prevista dal vigente Regolamento interno, senza l’obbligo di cui alla lettera c) del medesimo art. 28 comma 6.

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CAPITOLO TERZO Le scelte di carattere fiscale connesse all’avvio della libera professione 1. Adempimenti fiscali per l’inizio dell’attività L’inizio dell’attività da parte dello psicologo o dello psicoterapeuta implica la presentazione della dichiarazione di inizio attività, che deve pervenire entro 30 giorni dalla data dell’effettivo inizio, ad un qualsiasi Ufficio provinciale dell’Agenzia delle Entrate. Vanno presentati all’Ufficio il modulo AA9/8 se trattasi di persona fisica, il modulo AA7/8 per i soggetti diversi da persone fisiche. Il modulo deve contenere: �data di inizio dell’attività professionale; �dati relativi al soggetto d’imposta: nome e cognome o denominazione (per gli studi associati), residenza anagrafica della persona fisica ed eventuale sede dello studio; �indicazione del codice attività (869030 indistintamente per tutte le attività previste dall’ordinamento della professione di psicologo); �dati relativi al rappresentante (nel caso di studio associato); �luogo di tenuta dei libri contabili ed eventuale indicazione del soggetto depositario delle scritture contabili; �dati relativi all’immobile ove viene esercitata l’attività; �eventuale scelta di regimi contabili agevolati; �eventuale richiesta di “tutoraggio”; �altre comunicazioni. A seguito della presentazione viene attribuito il numero di partita IVA che deve essere presente in ogni documento a rilevanza fiscale che il professionista rilascerà ai propri pazienti, così come su ogni documento attestante l’acquisto di un bene o servizio rilevante per lo svolgimento dell’attività professionale (fattura o ricevuta che sia). Ogni volta che si verificano delle variazioni dei dati sopraindicati è necessario comunicarle, attraverso il modulo apposito (AA9/8 o AA7/8), entro 30 giorni, all’Agenzia delle Entrate. Tanto la comunicazione di inizio attività, quanto quella di variazione dei dati possono avvenire mediante

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consegna diretta o spedizione (con raccomandata) del modulo cartaceo all’Ufficio preposto o mediante trasmissione telematica effettuata direttamente o da un intermediario abilitato. Anche al momento della cessazione dell’attività il professionista deve provvedere, sempre entro 30 giorni, alla comunicazione all’Ufficio, barrando la casella “Cessazione di attività” nel quadro A del modulo ed indicando la data di cessazione. Ovviamente da tale data non sarà più attiva la partita IVA a suo tempo rilasciata. I modelli per l’apertura della posizione IVA, per la cessazione della stessa e per la variazione di dati, completi delle istruzioni relative alla loro compilazione sono reperibili sul sito internet dell’Agenzia delle Entrate.

1La scelta del regime contabile 2.1. Premessa Per regime contabile si deve intendere l’insieme delle norme che regolano le modalità di tenuta della contabilità prescelta. Ai sensi dell’art. 19 DPR 600/1973 le persone fisiche e le associazioni che esercitano arti e professioni sono obbligate alla tenuta delle scritture contabili. Tutti i professionisti che esercitino l’attività in forma individuale o associata hanno come regime contabile naturale il regime semplificato. Il professionista può però scegliere attraverso un’opzione il regime ordinario da comunicare nella dichiarazione IVA relativa all’anno nel quale si è aperta la posizione IVA o si è iniziato ad adottare il nuovo regime contabile. Qualora il contribuente non sia tenuto alla presentazione della dichiarazione IVA il modulo per l’esercizio dell’opzione dovrà essere allegato al modello Unico. Si precisa che, sulla base delle disposizioni dell’art. 1 del DPR 442/1997, anche in caso di omessa comunicazione, l’opzione e la relativa revoca del regime contabile si desume dal comportamento concludente adottato dal professionista e pertanto dalle modalità effettive di tenuta delle scritture contabili. Sempre la medesima disposizione stabilisce che l’opzione di scelta del regime contabile vincola il contribuente per almeno un anno, oltre il quale si rinnova annualmente fino a revoca (l’opzione esercitata per l’adozione di diverse modalità di determinazione dell’imposta vincola invece il contribuente per almeno un triennio). Alternativamente è possibile adottare, in luogo del regime semplificato o di quello ordinario, altri regimi contabili (agevolati) che si illustrano nel

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prosieguo. Va da ultimo segnalato che la Finanziaria per il 2008 (legge 244/07) ha abrogato i seguenti regimi contabili: il regime dei contribuenti minimi in franchigia di cui all’art. 32 bis del DPR 633/72; il regime delle attività marginali cosiddetto “forfettone” di cui all’art. 14 della legge 388/2000; il regime supersemplificato di cui all’art. 3, commi da 165 a 170, della legge 662/1996. 2.2. Regime semplificato (regime naturale) Prevede l’obbligo di tenuta di: registro IVA delle fatture emesse detto anche degli “onorari”, registro IVA degli acquisti, registro incassi e pagamenti effettuati (facoltativo se i dati in esso richiesti vengono riportati nei registri IVA), nonché libro paga e libro matricola qualora il professionista si avvalga di dipendenti e/o collaboratori. �Registro delle fatture emesse o degli onorari (art. 23 DPR 633/72) In tale registro vanno annotate, entro 15 giorni dall’emissione, in ordine cronologico le parcelle emesse riportando per ognuna la data di emissione ed il numero attribuito al documento; la data ed il numero progressivo di registrazione, il cognome e nome del cliente (o la denominazione o ragione sociale se si tratta di soggetto diverso da persona fisica); il totale documento; l’imponibile e l’imposta distinti per aliquota. Quando la parcella riguarda operazioni non imponibili o esenti si dovrà precisare il titolo dell’esclusione o dell’esenzione. Esempio di una registrazione contabile: REGISTRO IVA VENDITE O DEGLI ONORARI (art. 23 DPR 633/72) Si procede a registrare una parcella/fattura relativa ad un compenso

Data registr. N°

reg. Data

documento N° doc. Ragione sociale causale imponibile Aliquota/titolo esenzione

01/08/07 7 01/08/07 7 Rossi MARIO Compenso Contr. Prev.

Bolli

200,00 4,00 1,81

art. 10 n.18 DPR 633/72

art. 15 DPR 633/72 totale 205,81

�Registro degli acquisti (art. 25 DPR 633/72) In questo registro si riportano le fatture d’acquisto emesse a carico del professionista che vanno ordinate in base alla data di emissione e sulle quali deve essere riportato il numero progressivo di registrazione. L’annotazione sul registro va effettuata prima della liquidazione in cui è

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portata in detrazione l’IVA, indicando la data ed il numero di registrazione, i dati del documento (la data e il numero), i dati del fornitore, l’imponibile e l’IVA distinti per aliquota. Per le operazioni esenti o non imponibili va indicato il titolo dell’esclusione o dell’esenzione dall’applicazione dell’imposta. La detrazione IVA, se spettante, va esercitata entro la dichiarazione annuale IVA relativa al secondo anno d’imposta successivo a quello in cui è sorto tale diritto. In ogni caso il documento deve essere registrato anteriormente alla liquidazione periodica o alla dichiarazione annuale nella quale viene esercitato il diritto alla detrazione. Esempio di una registrazione contabile: REGISTRO IVA ACQUISTI (art. 25 DPR 633/72) Si procede a registrare una fattura relativa ad una utenza Enel Spa

Data registr. N° reg.

Data documento

N° documento

Ragione sociale

causale imponibile aliquota Iva % detr.

05/02/07 1 05/02/07 209552 Enel Spa Energia elettrica arrotondamenti

42,53 0,22

10% Op. n/iva

4,25 100%

totale 47,00

�Registro incassi e pagamenti In questo registro si riportano le spese sostenute (solo quando pagate) e i compensi percepiti (solo quando incassati). L’annotazione va effettuata in ordine cronologico registrando, entro il termine di 60 giorni dal pagamento e/o dall’incasso, le spese sostenute e gli incassi ricevuti. Deve essere riportato per ogni pagamento la data di effettuazione dello stesso, il numero e la data della fattura o del documento di spesa, il fornitore, l’importo della spesa; per ogni incasso la data di liquidazione dello stesso, il numero e la data della parcella, il cliente, l’importo incassato suddiviso tra competenze al lordo e al netto della ritenuta, oltre alla ritenuta d’acconto se subita. La tenuta di tale registro può essere omessa qualora i registri tenuti ai fini IVA riportino un’apposita sezione nella quale potranno essere indicati la data, l’importo della spesa deducibile, l’importo incassato. Esempio di una registrazione contabile: REGISTRO CRONOLOGICO DEI COMPONENTI DI REDDITO E DEI MOVIMENTI FINANZIARI (DM 15 settembre 1990) Si ipotizza di seguito una registrazione sul registro cronologico (utilizzato in caso di regime contabile ordinario) ma che risulta analoga sul registro incassi e pagamenti, fatta eccezione per l’ultima colonna (cassa/banca) che è assente nel registro incassi e pagamenti. Si procede a registrare i pagamenti e gli incassi inerenti agli esempi di

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acquisito relativo all’utenza (ENEL SPA) e al compenso del cliente (MARIO ROSSI).

Data registr. N° progr.

Estremi operazione

N° documento

Data documento

Generalità Identificazione fiscale

Comp. reddituale

Cassa banca

15/03/07 20 Pagamento fattura acquisto

209552 05/02/07 Enel Spa Via……… Piva ………………..

Energia elettrica Iva c/acquisti Cassa

42,75 4,25

47,00

01/08/07 21 Incasso Professionale

7 01/08/07 Rossi Mario Via…. Cod. fisc.

Compensi Rimborso spese Cassa

200,00 1,81

201,81

�Registro beni ammortizzabili In tale registro vengono iscritti tutti i beni che sono di utilizzo strumentale all’esercizio dell’attività e ad utilità ripetuta negli anni (cosiddetti “beni durevoli”). Per ogni bene vanno indicati l’anno di acquisizione, il costo originario, il fondo ammortamento al termine dell’esercizio precedente, il coefficiente di ammortamento come previsto da Decreto Ministeriale*, la quota annuale di ammortamento, il fondo ammortamento a fine anno e, in caso di cessione o dismissione del cespite, l’annotazione relativa all’eliminazione del bene dall’attività. Per i beni non iscritti in pubblici registri, tali indicazioni possono essere fornite per categorie omogenee per anno di acquisizione e per coefficiente di ammortamento. Il registro può essere omesso quando tali annotazioni siano indicate nel registro IVA degli acquisti. L’aggiornamento del registro deve essere effettuato entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’esercizio fiscale nel quale il bene strumentale è stato acquistato. Esempio di una registrazione contabile: REGISTRO BENI AMMORTIZZABILI (art. 16 DPR 600/1973) A titolo esemplificativo si procede alla registrazione di un PC del valore di € 1.200,00

N° cespite Descrizione Valore bene

Variazioni +/-

% amm.to Quota Amm.to

Fondo Amm.to

Ammesso fiscalmente

Residuo da ammortizzare

anno

1 Personal Computer

1.200,00 - 20% 240 240 240 960 2002

* tabella ministeriale

•BENI STRUMENTALI ALIQUOTE AMMORTAMENTO (DM 31.12.1988)

Macchinari apparecchi e attrezzature varie 15% Arredamento 15%

Impianti di allarme, di ripresa fotografica, cinematografica e televisiva 30%

Impianti interni speciali di comunicazione e telecomunicazione 25%

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Mobili e macchine ordinarie di ufficio 12% Macchine di ufficio elettromeccaniche e elettroniche, computer 20% Autoveicoli e motoveicoli 25% Immobili strumentali 3%

2.3. Regime ordinario (regime adottabile per opzione) I contribuenti in contabilità ordinaria devono tenere i registri obbligatori ai fini IVA, il registro dei beni ammortizzabili e (in luogo del registro incassi-pagamenti) il registro cronologico in cui annotare le operazioni rilevanti ai fini delle imposte sul reddito. �Registro cronologico (DM 15.09.1990) Le annotazioni sul registro in questione devono essere effettuate, entro 60 giorni, in ordine cronologico riportando per ogni operazione la data di registrazione, il numero progressivo di registrazione, il numero e la data del documento, le generalità del fornitore o del cliente, la causale dell’operazione (pagamento fattura, incasso parcella, versamento in banca, ecc), l’importo pagato o riscosso nella colonna relativa (cassa, banca, movimenti c/terzi), il medesimo importo dovrà poi essere indicato nelle colonne relative ai compensi (dividendo gli stessi dai rimborsi, dalle ritenute subite e dall’IVA) o ai costi (suddivisi per categorie: personale, beni ammortizzabili, compensi a terzi, utenze, interessi passivi, carburanti, premi di assicurazione, spese di rappresentanza, spese alberghiere, convegni e corsi, altre spese, ecc.). 2.4. Regime agevolato per i contribuenti minimi Si tratta di un regime fiscale agevolato introdotto a decorrere dal 1° gennaio 2008 dalla legge 244/2007 e disciplinato dall’art. 1, commi da 96 a 117, della medesima legge.

Requisiti necessari per poter adottare tale regime contabile:

L’accesso a tale regime è riservato alle persone fisiche residenti nel territorio italiano che hanno conseguito nell’anno precedente compensi in misura non superiore a € 30.000 (ragguagliati ad anno nel caso in cui l’attività sia iniziata nel corso dell’anno precedente). Nel computo dei 30.000 € non rilevano i compensi derivanti dall’eventuale adeguamento agli Studi di Settore. Coloro che iniziano l’attività nel 2008 o in anni successivi potranno godere

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del regime agevolato già dal primo anno di attività qualora prevedano di rispettare il limite suddetto. Per accedere a detto regime è parimenti necessario che nell’anno precedente il professionista non abbia sostenuto spese per lavoro dipendente, per collaboratori o associati in partecipazione e non abbia effettuato nel triennio precedente investimenti in beni strumentali per un valore superiore a € 15.000. Sono inoltre automaticamente esclusi dal regime agevolato i contribuenti che detengono partecipazioni in associazioni professionali, società di persone o società a responsabilità limitata. Quanto al computo del tetto massimo di investimenti in beni strumentali, la Circolare dell’Agenzia delle Entrate 7/E del 28.01.2008 ha precisato quanto segue: il valore dei beni va considerato al netto dell’IVA; i beni ad uso promiscuo vanno computati al 50% e ciò a prescindere dalla diversa percentuale di deduzione fiscale prevista dal TUIR (ciò vale, ad esempio, per auto, motocicli e telefonini); nel computo i beni detenuti in leasing vanno considerati sulla base dei canoni pagati nel triennio di riferimento comprensivi degli interessi passivi corrisposti alla società concedente; i beni detenuti a titolo di noleggio o locazione non finanziaria vanno anch’essi computati in base ai canoni corrisposti nel triennio (entra pertanto nel computo della soglia di 15.000 € anche l’affitto eventualmente pagato dal professionista per l’utilizzo dello studio); in caso di inizio dell’attività nel corso del periodo d’imposta, il valore dei beni non va ragguagliato ad anno; sono irrilevanti ai fini del computo le dismissioni di beni strumentali. Caratteristiche del regime agevolato:

I contribuenti minimi scontano, in luogo dell’IRPEF e delle addizionali regionale e comunale, un’imposta sostitutiva del 20% calcolata sul reddito professionale determinato secondo il principio di cassa, con la particolarità che i costi sostenuti divengono immediatamente e integralmente deducibili, senza dover far riferimento alla normativa fiscale laddove prevede limitazioni alla deducibilità. Del pari l’acquisto di beni strumentali determina un costo integralmente deducibile nell’anno, senza che si debbano calcolare le relative quote di ammortamento. Tutti costi inerenti alla professione vanno pertanto a ridurre immediatamente e integralmente il reddito professionale, fanno eccezione i soli beni ad uso promiscuo (ad esempio auto, motocicli e telefonini) i cui costi vanno invece dedotti al 50%. Dal reddito professionale così determinato vanno poi ulteriormente dedotti i contributi previdenziali; gli stessi, per la parte eventualmente eccedente il reddito professionale, potranno essere dedotti dal reddito complessivo secondo le ordinarie previsioni del TUIR.

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Diversamente da ciò che avviene per gli altri professionisti (che abbiano adottato altri regimi), è ammessa la compensazione di perdite riportate da anni precedenti. Analogamente, le perdite fiscali maturate durante la vigenza del regime agevolato possono essere portate in diminuzione dal reddito conseguito nei periodi d’imposta seguenti, ma non oltre il quinto. Le ritenute subite dai contribuenti minimi si considerano effettuate a titolo di acconto dell’imposta sostitutiva e andranno pertanto scomputate dalla stessa in sede di dichiarazione dei redditi. L’eventuale eccedenza potrà essere utilizzata in compensazione per il pagamento di altre imposte o potrà essere chiesta a rimborso direttamente nel quadro “X” della dichiarazione dei redditi. Il reddito soggetto ad imposta sostitutiva non entra a far parte del reddito complessivo da indicare nella dichiarazione Unico; ciò comporta potenziali svantaggi da un lato e potenziali vantaggi dall’altro lato. Un primo svantaggio potrebbe ravvisarsi per il fatto che non sono deducibli/detraibili gli oneri extra-professionali (es: spese sanitarie, interessi passivi sui mutui prima casa, assicurazioni vita, fondi pensione, ecc…). Come già anticipato fanno eccezione i contributi previdenziali che vanno invece integralmente dedotti dal reddito professionale. Ovviamente tale svantaggio non si concretizza laddove il professionista disponga di altri redditi diversi da quello di lavoro autonomo che gli consentano di recuperare la detraibilità/deducibilità suddette. Un secondo svantaggio potrebbe ravvisarsi per il fatto che a questi contribuenti non si applicano le detrazioni IRPEF per lavoro autonomo (ricordiamo che la detrazione massima riconosciuta dall’art. 13 del TUIR è pari a 1.104 € e la stessa diminuisce all’aumentare del reddito, fino a completamente azzerarsi per redditi superiori a 55.000 €). Quanto invece ai potenziali vantaggi, quello che potremmo considerare primario è che il reddito professionale non si cumula con eventuali altri redditi diversi da quello di lavoro autonomo (es: lavoro dipendente, pensione, fabbricati, ecc…), con consistenti vantaggi sotto il profilo dell’applicazione di un’aliquota marginale IRPEF più contenuta su detti altri redditi. I contribuenti minimi sono inoltre esclusi dal pagamento dell’IRAP e sono parimenti esclusi dall’IVA con la conseguenza che le loro prestazioni non saranno mai assoggettate all’imposta e che, di contro, non sarà mai possibile portare in detrazione l’IVA assolta sugli acquisti (l’IVA resterà pertanto un costo deducibile, così come già avviene per chi

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effettua esclusivamente operazioni esenti). L’esclusione dall’IVA obbliga questi contribuenti ad effettuare la rettifica di cui all’art. 19 bis2 del DPR 633/1972, nel caso in cui negli anni precedenti avessero effettuato acquisti di beni strumentali godendo della detrazione dell’IVA assolta sugli stessi, conseguentemente provvedendo al versamento dell’imposta relativa. I contribuenti minimi non sono poi soggetti a Studi di Settore, non devono compilare gli elenchi clienti-fornitori e godono di importanti semplificazioni contabili essendo esonerati dagli obblighi di registrazione e di tenuta dei registri contabili obbligatori sia ai fini IVA sia ai fini imposte dirette. Restano comunque a carico del professionista l’obbligo di numerazione e conservazione delle fatture di acquisto e di quelle di vendita (parcelle/ricevute sanitarie emesse), l’obbligo di certificazione dei corrispettivi (obbligo al momento sospeso in attesa che l’Agenzia delle Entrate emani il relativo provvedimento attuattivo); l’obbligo di tenere un c/c bancario o postale dedicato all’attività professionale; l’obbligo di tracciabilità dei compensi secondo le regole valevoli per tutti i professionisti così come introdotte dalla legge 248/2006. Ingresso nel regime agevolato o opzione per il regime ordinario:

Per i professionisti già in attività, l’ingresso nel regime agevolato avviene per comportamento concludente del contribuente senza che sia necessario fare alcuna comunicazione agli Uffici finanziari (sarà pertanto rilevante che in sede di emissione della prima parcella, il contribuente che intenda avvalersi di detto regime non applichi l’IVA e annoti in calce alla parcella stessa la dicitura “escluso IVA ex art. 1 comma 100 legge 244/2007”). Coloro invece che, iniziando l’attività professionale, decidono di adottare detto regime, dovranno barrare direttamente nella richiesta di attribuzione del numero di partita IVA la casella relativa alla dichiarazione di sussistenza dei requisiti di accesso al regime. Infine, coloro che decidessero di rinunciare al “regime delle nuove iniziative produttive” per passare al regime dei “minimi”, dovranno comunicare all’Agenzia delle Entrate la revoca dell’opzione per il regime precedente, successivamente adottando il già citato comportamento concludente. E’ sempre possibile per il contribuente optare per il regime ordinario di applicazione dell’IVA e di tassazione ai fini delle imposte dirette. L’opzione per il regime ordinario va comunicata nella prima dichiarazione annuale utile e vincola il contribuente per almeno un triennio (fatta eccezione per il solo anno 2008, limitatamente al quale l’opzione può essere revocata

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già con effetto dall’anno d’imposta 2009). Decadenza dal regime agevolato:

Il regime agevolato cessa di essere applicato: •a decorrere dall’anno successivo a quello in cui viene meno uno dei requisiti di accesso come sopra emarginati (ivi compreso il requisito del tetto massimo dei compensi pari a € 30.000, purché non superiore a € 45.000); •dallo anno stesso se i compensi percepiti superano di oltre il 50% il limite di € 30.000 (ovvero se superano € 45.000); •su richiesta dello stesso professionista che decida di optare per il regime ordinario. 2.5. Regime agevolato per le nuove iniziative produttive, cosiddetto “forfettino” Si tratta di un regime fiscale agevolato introdotto a decorrere dal 1° gennaio 2001 dalla legge 388/2000 e disciplinato dall’art. 13 della medesima legge. Requisiti necessari per poter adottare tale regime contabile:

Tale regime può essere adottato: �se il contribuente non ha esercitato negli ultimi tre anni attività artistica o professionale o attività di impresa, anche in forma associata o familiare; �l’attività da esercitare non deve costituire mera prosecuzione di altra attività precedentemente esercitata sotto forma di lavoro dipendente o autonomo, collaborazione coordinata e continuativa. Il regime è applicabile solo per i primi 3 anni di attività e purché i compensi non superino € 30.987,41. La scelta di detto regime contabile va comunicata all’Agenzia delle Entrate in fase di apertura della posizione IVA. Caratteristiche del regime agevolato:

Il beneficio di tale regime consiste nel pagamento di un’imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle addizionali pari al 10% del reddito professionale che viene determinato secondo le disposizioni contenute nell’art. 50 del DPR 917/1986. Come avviene per il regime dei contribuenti minimi, anche con il “forfettino”, il reddito soggetto ad imposta sostitutiva non entra a far

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parte del reddito complessivo da indicare nella dichiarazione Unico; ciò comporta potenziali svantaggi da un lato e potenziali vantaggi dall’altro lato. Un primo svantaggio potrebbe ravvisarsi per il fatto che non sono deducibli/detraibili gli oneri extra-professionali (es: spese sanitarie, interessi passivi sui mutui prima casa, assicurazioni vita, fondi pensione, ecc…). Ovviamente tale svantaggio non si concretizza laddove il professionista disponga di altri redditi diversi da quello di lavoro autonomo che gli consentano di recuperare la detraibilità/deducibilità suddette. Un secondo svantaggio potrebbe ravvisarsi per il fatto che a questi contribuenti non si applicano le detrazioni IRPEF per lavoro autonomo (ricordiamo che la detrazione massima riconosciuta dall’art. 13 del TUIR è pari a 1.104 € e la stessa diminuisce all’aumentare del reddito, fino a completamente azzerarsi per redditi superiori a 55.000 €). Quanto invece ai potenziali vantaggi, quello che potremmo considerare primario è che il reddito professionale non si cumula con eventuali altri redditi diversi da quello di lavoro autonomo (es: lavoro dipendente, pensione, fabbricati, ecc…), con consistenti vantaggi sotto il profilo dell’applicazione di un’aliquota marginale IRPEF più contenuta su detti altri redditi. Le semplificazioni contabili previste per questo regime consistono essenzialmente nell’esclusione dall’obbligo di tenuta dei registri contabili, dovendo il professionista solo conservare parcelle emesse e documenti di spesa (fatture e ricevute) in ordine cronologico. L’IVA è determinata secondo le procedure ordinarie, ma essendo prevista l’esclusione dall’effettuazione delle liquidazioni periodiche, il versamento dell’eventuale IVA a debito è posticipato alla scadenza prevista per il versamento derivante dalla dichiarazione IVA annuale. Permangono gli obblighi previsti in qualità di sostituto d’imposta nonché quelli previdenziali e assicurativi. I sostituti d’imposta che erogano compensi al professionista soggetto al regime de quo sono esonerati dall’obbligo di operare la ritenuta d’acconto. Sulle parcelle emesse dovrà quindi essere annotato in calce alla parcella la dicitura “non soggetto a ritenuta d’acconto ex art. 13 della

legge 388/2000”. Decadenza dal regime agevolato:

Il “forfettino” cessa di essere applicato:

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•dall’anno successivo qualora il contribuente superi i limiti dei compensi stabiliti di non oltre il 50% (fino a € 46.481,12); •dallo stesso anno qualora i compensi dichiarati superino di oltre il 50% i limiti stabiliti (ovvero su sperano € 46.481,12); •su richiesta dello stesso professionista. Il “tutoraggio”:

Il contribuente che abbia optato per il “forfettino” può chiedere di essere assistito gratuitamente negli adempimenti fiscali dall’Agenzia delle Entrate. Per poter usufruire di tale servizio (detto per l’appunto di “tutoraggio”) è necessario farne richiesta all’Agenzia delle Entrate al momento dell’apertura della posizione IVA (o comunque entro 30 giorni dalla data di presentazione della dichiarazione di inizio attività) per il primo periodo d’imposta; entro 30 giorni dall’inizio del periodo d’imposta per i due anni successivi a quello di inizio attività. L’opzione per il “tutoraggio” può essere sempre revocata.

TAVOLA SINOTTICA “LE CARATTERISTICHE DEI DIVERSI REGIMI CONTABILI”

REGIME

SEMPLIFICATO REGIME

ORDINARIO REGIME

CONTRIBUENTI MINIMI

REGIME AGEVOLATO PER

LE NUOVE INIZIATIVE

TENUTA SCRITTURE CONTABILI

TENUTA SCRITTURE CONTABILI

NO SCRITTURE CONTABILI NO SCRITTURE CONTABLI

TENUTA MOVIMENTAZIONI FINANZIARIE DI CASSA E BANCA

REDDITO PROFESSIONALE DETERMINATO SECONDE LE REGOLE DEL TUIR

REDDITO PROFESSIONALE DETERMINATO SECONDE LE REGOLE DEL TUIR

REDDITO PROFESSIONALE DETERMINATO COME DIFFERENZA TRA COMPENSI INCASSATI E SPESE SOSTENUTE, SENZA FAR RIFERIMENTO ALLE REGOLE DEL TUIR

REDDITO PROFESSIONALE DETERMINATO SECONDE LE REGOLE DEL TUIR

SOGGETTO AD IVA (SE LA PRESTAZIONE NON E’ DI PER SE’ ESENTE)

SOGGETTO AD IVA (SE LA PRESTAZIONE NON E’ DI PER SE’ ESENTE)

ESCLUSO DA IVA SOGGETTO AD IVA (SE LA PRESTAZIONE NON E’ DI PER SE’ ESENTE)

SOGGETTO AD IRAP SOGGETTO AD IRAP ESLUSO DA IRAP SOGGETTO AD IRAP SOGGETTO AD IRPEF (PROPORZIONALE E PROGRESSIVA) + ADDIZIONALI

SOGGETTO AD IRPEF (PROPORZIONALE E PROGRESSIVA) + ADDIZIONALI

SOGGETTO AD IMPOSTA SOSTITUIVA DEL 20%

SOGGETTO AD IMPOSTA SOSTITUTIVA DEL 10%

SOGGETTO A STUDI DI SETTORE

SOGGETTO A STUDI DI SETTORE

ESCLUSI DA STUDI DI SETTORE

SOGGETTO A STUDI DI SETTORE

1Vidimazione e stampa dei registri contabili L’art. 8 della legge 383/2001 ha soppresso, con effetto dal 25 ottobre 2001, l’obbligo di bollatura iniziale dei registri contabili fermo restando

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l’obbligo di numerazione progressiva delle pagine prima del loro utilizzo. E’ facoltà del professionista indicare l’anno al quale si riferiscono le scritture stampate prima del numero della pagina (es. stampa dei registri relativi al 2007: pagina 2007/1, 2007/2, 2007/3, ecc). Detti registri sono altresì esonerati dall’imposta di bollo (art. 16 tariffa allegato “A” DPR 642/1972). Pertanto è possibile stampare su carta bianca le scritture contabili tenute meccanograficamente, o compilare i registri contabili manuali senza dover provvedere ad ulteriori preventive formalità. Per effetto di quanto previsto dall’art. 1, comma 161, della legge 244/07, la scadenza del termine per la stampa dei registri contabili meccanografici è fissata nel termine massimo di tre mesi dalla data ultima per la presentazione delle dichiarazioni fiscali. 4. Termini di legge per la registrazione contabile dei documenti Nei casi in cui il professionista è obbligato a tenere le scritture contabili, lo stesso dovrà rispettare i termini stabiliti dalla normativa per la registrazione dei documenti contabili nei registri de quibus. Le parcelle emesse andranno registrate ai fini IVA entro 15 giorni dall’emissione, ai fini imposte dirette entro 60 giorni dall’effettuazione dell’operazione. Nel caso in cui il professionista tenga egli stesso o per mezzo della collaborazione di terzi registri contabili meccanografici, i termini per la registrazione delle parcelle sono fissati in 60 giorni dalla data di effettuazione delle operazioni. Le fatture di acquisto andranno registrate ai fini IVA anteriormente alla liquidazione periodica (o alla dichiarazione annuale) nella quale è esercitato il diritto alla detrazione dell’imposta; il professionista decade dal diritto alla detrazione se questa non è effettuata entro il termine per la presentazione della seconda dichiarazione IVA annuale rispetto alla data di effettuazione dell’acquisto. Ai fini imposte dirette, le medesime fatture vanno registrate entro 60 giorni dall’effettuazione dell’operazione.

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CAPITOLO QUARTO Determinazione del reddito di lavoro autonomo (articolo 54 DPR 917/1986) 1. Premessa: il principio di cassa. Il criterio generale della determinazione del reddito professionale nell’imputazione dei compensi percepiti e delle spese sostenute è quello di CASSA, tale criterio fa sì che un compenso e una spesa diventino, rispettivamente, componente positivo e negativo di reddito in un determinato periodo, solo se il compenso è stato effettivamente incassato e la spesa realmente sostenuta in tale periodo. Quindi, ad esempio, se un compenso fatturato nel dicembre 2007 viene ad essere effettivamente incassato nel gennaio 2008, diverrà componente positivo di reddito nell’anno 2008. Esistono beninteso alcune eccezioni a questo principio rappresentate, ad esempio, dalla deducibilità tramite quote di ammortamento dei beni ammortizzabili, dal riconoscimento dei canoni di leasing per la sola parte maturata nel periodo d’imposta, dall’accantonamento del TFR dei dipendenti, dalla deducibilità della rendita catastale dell’immobile sede per l’esercizio dell’attività. Il reddito di lavoro autonomo è costituito dalla differenza fra l’ammontare dei compensi percepiti nel periodo di imposta al netto di IVA e di contributi previdenziali e assistenziali, e le spese sostenute con le limitazioni riportate nel prosieguo. Il reddito di lavoro autonomo concorre a formare il reddito complessivo del professionista (salvo l’adozione dei regimi agevolati delle nuove iniziative produttive e dei contribuenti minimi per i quali si rinvia agli specifici paragrafi); eventuali perdite andranno quindi a ridurre il reddito complessivo del professionista, potendo pertanto essere compensate anche con redditi di natura diversa realizzati nello stesso periodo d’imposta. Le perdite eccedenti il reddito complessivo del contribuente non potranno essere riportate in diminuzione dai redditi degli anni successivi. Detto regime di utilizzo delle perdite è stato vigente fino all’anno d’imposta 2005, ed è tornato vigente a decorrere dall’anno d’imposta 2008 per effetto della legge 244/2007. Per gli anni 2006 e 2007, è stato invece vigente un diverso regime di

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utilizzo delle perdite, introdotto dal DL 223/2006 (cosiddetto decreto Bersani-Visco convertito nella legge 248/2006): per gli anni 2006 e 2007 le perdite derivanti dall’attività libero professionale erano infatti compensabili solo con altri redditi della stessa natura (quindi sempre di lavoro autonomo). L’eventuale perdita eccedente era riportabile nei successivi cinque anni in diminuzione del futuro reddito professionale; qualora la perdita si fosse formata nei primi tre anni di esercizio dell’attività, il riporto agli anni successivi sarebbe stato consentito senza limiti di tempo. 2. I componenti positivi di reddito I componenti positivi che concorrono alla formazione del reddito di lavoro autonomo sono: -compensi in denaro ed in natura (percepiti anche sotto forma di acconti); -compensi sotto forma di partecipazione agli utili; -compensi sotto forma di rimborsi spese; -plusvalenze derivanti dalla cessione di beni strumentali utilizzati nell’esercizio della professione. A proposito dei rimborsi spese è opportuno fare una precisazione. Esistono infatti due diverse tipologie di rimborsi spese: i rimborsi spese tout court e i rimborsi spese anticipate in nome e per conto del cliente. I primi entrano per l’appunto a far parte del reddito professionale e vengono considerati alla stregua di compensi. Si pensi ad esempio alle spese generali di studio o alle spese addebitate al cliente per trasferte (anche sotto forma di rimborsi forfetari o di indennità chilometriche) effettuate dal professionista, queste entrano a far parte della base imponibile tanto ai fini IVA, quanto ai fini IRPEF (e saranno pertanto soggetti a ritenuta d’acconto – se del caso – alla stregua di qualsiasi altro compenso). D’altro canto, trattandosi di spese sostenute dal professionista in nome proprio, queste costituiranno costi deducibili per il professionista stesso. In tal senso muove copiosa prassi ministeriale: si vedano, tra le altre, la Risoluzione Ministeriale 20/E del 20.03.98; Circolare Ministeriale 58 del 18.06.2001. I secondi sono i rimborsi relativi alle spese anticipate in nome e per conto del cliente ed analiticamente documentate. Si pensi all’acquisto di valori bollati effettuato per il cliente e documentato con una ricevuta fiscale intestata al cliente stesso. Tali rimborsi spese non entrano a far parte del reddito del professionista che ha effettuato l’anticipazione e quindi su tali

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rimborsi non dovrà essere applicata né l’IVA, né dovrà essere operata la ritenuta d’acconto. Tali spese dovranno però essere indicate in fattura separatamente rispetto alle competenze professionali, dovrà essere allegata alla fattura la documentazione giustificativa della spesa e dovrà essere indicato che si tratta per l’appunto di “spese anticipate in nome e per conto del cliente (non soggette ad IVA ex art. 15 DPR 633/1972)”. Quanto invece alle plusvalenze derivanti dalla cessione di beni strumentali utilizzati nell’esercizio della professione, queste sono entrate a far parte del reddito professionale solo dal 4 luglio 2006 (data di entrata in vigore del DL 223/2006). Pare opportuno sottolineare che la plusvalenza è soggetta a tassazione anche nel caso in cui i beni non siano ceduti a terzi, ma siano semplicemente destinati ad uso personale (quindi extra-professionale) del professionista o della sua famiglia. Altri elementi che entrano nel reddito da lavoro autonomo sono: �interessi moratori e interessi per dilazioni di pagamento percepiti nell’anno riscossi per tardivo pagamento di compensi; �proventi conseguiti in sostituzione di redditi derivanti dall’esercizio di arti e professioni (es. indennità di maternità); �indennità conseguite, anche in forma assicurativa, per il risarcimento di danni consistenti nella perdita dei redditi professionali (salvo che si tratti di indennità relative a redditi prodotti in più esercizi per le quali è prevista la tassazione separata); �corrispettivi per la cessione della clientela (fatta salva la facoltà di optare per la tassazione separata, se percepiti in un’unica soluzione). Non entrano invece a far parte del reddito di lavoro autonomo: �le indennità per danni dipendenti da invalidità permanente o morte; �gli interessi attivi maturati sui conti correnti bancari e postali.

TAVOLA SINOTTICA “LA TASSAZIONE DEL REDDITO PROFESSIONALE

NEI DIVERSI REGIMI CONTABILI” REGIME SEMPLIFICATO

O ORDINARIO REGIME CONTRIBUENTI

MINIMI REGIME AGEVOLATO

PER LE NUOVE INIZIATIVE

TASSAZIONE SULL’UTILE PROFESSIONALE DETERMINATO IN BASE ALL’ART.54 DEL TUIR

TASSAZIONE SULL’UTILE PROFESSIONALE DETERMINATO COME MERA DIFFERENZA TRA COMPENSI INCASSATI E SPESE PAGATE (SENZA FAR RIFERIMENTO ALLE LIMITAZIONI DEL TUIR)

TASSAZIONE SULL’UTILE PROFESSIONALE DETERMINATO IN BASE ALL’ART.54 DEL TUIR

PERDITE PROFESSIONALI DEDUCIBILI DAL REDDITO

PERDITE PROFESSIONALI NON DEDUCIBILI DAL REDDITO

PERDITE PROFESSIONALI DEDUCIBILI DAL REDDITO

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COMPLESSIVO, SENZA POSSIBILITA’ DI RIPOTO AGLI ANNI SUCCESSIVI (DAL 2008)

COMPLESSIVO, PERO’ RIPORTABILI AGLI ANNI SUCCESSIVI, MA NON OLTRE IL QUINTO

COMPLESSIVO, SENZA POSSIBILITA’ DI RIPOTO AGLI ANNI SUCCESSIVI (DAL 2008)

ONERI DEDUCIBILI/ DETRAIBILI RECUPERABILI

ONERI DEDUCIBILI/ DETRAIBILI RECUPERABILI SOLO IN PRESENZA DI ALTRI REDDITI DIVERSI DA QUELLO LIBERO-PROFESSIONALE (FATTA ECCEZIONE PER I SOLI CONTRIBUTI PREVIDENZIALI CHE SI DEDUCONO DIRETTAMENTE DAL REDDITO DI LAVORO AUTONOMO)

ONERI DEDUCIBILI/ DETRAIBILI RECUPERABILI SOLO IN PRESENZA DI ALTRI REDDITI DIVERSI DA QUELLO LIBERO-PROFESSIONALE

IRPEF A SCAGLIONI + ADDIZIONALI

IMPOSTA SOSTITUTIVA DEL 20% IMPOSTA SOSTITUTIVA DEL 10%

SOGGETTO AD IRAP ESLUSO DA IRAP SOGGETTO AD IRAP

3. I componenti negativi di reddito 3.1. Premessa Tutti i componenti negativi di reddito devono essere inerenti all’esercizio della professione, effettivamente sostenuti ed adeguatamente documentati. Pertanto il professionista deve richiedere l’emissione della fattura o della ricevuta fiscale integrata con i propri dati (compresa la propria partita IVA). A tale scopo può essere utilizzato anche lo scontrino fiscale che deve contenere gli elementi attinenti la natura, la qualità, la quantità dell’operazione e l’indicazione della partita IVA dell’acquirente (cosiddetto “scontrino parlante”). Come le plusvalenze sono diventate componenti positivi di reddito dal 4 luglio 2006, così le minusvalenze derivanti dalla cessione di beni destinati all’esercizio dell’arte o professione sono diventate dalla medesima data costi deducibili dal reddito professionale. Si riportano alcuni esempi di componenti negativi che si possono considerare inerenti all’esercizio della professione: •interessi passivi per finanziamenti relativi all’attività professionale; •interessi passivi per dilazioni di pagamento di beni strumentali; •premi di assicurazione per rischi specificamente inerenti l’attività professionale; •spese inerenti la gestione dello studio professionale (affitto, costi per l’erogazione dell’energia elettrica, del riscaldamento, del telefono, ecc.); •costi relativi al personale dipendente (stipendi, contributi previdenziali ed assistenziali, TFR); •compensi corrisposti a terzi per servizi resi e inerenti l’esercizio della propria attività;

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•spese di trasporto; •spese per libri e riviste, nonché per l’aggiornamento professionale; •spese di cancelleria. Nei punti sviluppati successivamente si passano in rassegna i componenti negativi di reddito che possono sembrare maggiormente significativi, oltre a quelli per i quali l’art. 54 del TUIR fissa delle particolari limitazioni alla deducibilità. 3.2. Utenze Nel caso in cui le utenze si riferiscano a locali utilizzati esclusivamente per l’esercizio dell’attività sono tutte interamente deducibili. Se le stesse utenze sono invece relative a locali adibiti anche ad abitazione, le spese relative sono deducibili nella misura del 50%. Fanno eccezione le spese telefoniche che, a decorrere dal 1° gennaio 2007, sono deducibili nel limite dell’80% della spesa sostenuta tanto per la telefonia fissa, quanto per la telefonia mobile. Conseguentemente le spese telefoniche sostenute per l’immobile adibito promiscuamente ad abitazione e a studio professionale saranno deducibili nella misura del 40% (50% dell’80%). 3.3. Beni immobili Si possono verificare diverse situazioni: �abitazione in proprietà utilizzata anche per l’esercizio dell’attività E’ deducibile dal reddito di lavoro autonomo il 50% della rendita catastale dell’immobile di proprietà o posseduto a titolo di usufrutto o altro diritto reale, utilizzato sia come abitazione, sia per l’esercizio dell’attività professionale, purché non si possieda un altro immobile adibito esclusivamente all’esercizio della professione nello stesso Comune. �abitazione in leasing utilizzata anche per l’esercizio dell’attività Per l’immobile adibito promiscuamente all’esercizio dell’attività e ad abitazione, acquisito in leasing, è deducibile – a decorrere dal 2007 – lo stesso costo dedotto per l’immobile strumentale acquisito in leasing, ridotto del 50% (per il metodo di determinazione di detto costo, si veda oltre), purché non si possieda un altro immobile adibito esclusivamente all’esercizio della professione nello stesso Comune.

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�abitazione in locazione utilizzata anche per l’esercizio dell’attività E’ deducibile dal reddito di lavoro autonomo l’importo dei canoni di locazione dell’immobile in affitto, utilizzato sia come abitazione, sia per l’esercizio dell’attività professionale limitatamente al 50%, purché non si possieda un altro immobile adibito esclusivamente all’esercizio della professione nello stesso Comune. �immobile strumentale in proprietà Per effetto della Legge Finanziaria per il 2007, diventano deducibili le spese sostenute dai professionisti per l’acquisto dell’immobile da adibire a studio limitatamente agli acquisti effettuati nel triennio 2007-2008-2009 e per una quota pari all’80% del prezzo corrisposto (come per le imprese, anche per i professionisti è infatti indeducibile la quota di costo relativa all’area sottostante il fabbricato). Gli importi deducibili sono poi ulteriormente ridotti ad 1/3 per i periodi d’imposta 2007, 2008 e 2009. La deducibilità è calcolata per quote di ammortamento, per un valore pari al 3% annuo (sempre con le limitazioni sopra emarginate); nel computo delle quote di ammortamento entrano anche gli eventuali interessi passivi pagati a fronte di un mutuo ipotecario contratto per l’acquisto dell’immobile. Parallelamente risulteranno tassabili le future plusvalenze realizzate a seguito della vendita di detti immobili. �immobile strumentale in leasing L’immobile strumentale acquisito in leasing gode, sempre dal 2007, dello stesso regime di deducibilità (e delle stesse limitazioni) previsti per l’immobile acquisito in proprietà. La deducibilità è però calcolata sulla base della durata del contratto di leasing che dovrà necessariamente essere di 18 anni. Gli interessi passivi corrisposti alla società di leasing saranno interamente deducibili sempre in 18 anni. Parallelamente risulteranno tassabili le future plusvalenze realizzate a seguito della vendita di detti immobili. Quanto alla durata del contratto di leasing (ai fini della deducibilità fiscale), la stessa è stata più volte modificata dal legislatore. La legge Finanziaria per il 2008 ha attualmente fissato la durata del contratto in 18 anni; fino al 31.12.2007 la durata era fissata in 15 anni; prima ancora, fino al 31.12.2005 la durata era fissata in 8 anni. �immobile strumentale in locazione Il canone di locazione corrisposto per l’immobile utilizzato esclusivamente per l’esercizio della professione è deducibile interamente dal reddito di lavoro autonomo.

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�spese di ammodernamento, ristrutturazione e manutenzione straordinaria Dal 2007 trova applicazione per i professionisti lo stesso regime di deducibilità delle spese di manutenzione, ammodernamento, ristrutturazione previsto per le imprese: viene previsto che dette spese, qualora non capitalizzabili, siano deducibili nel limite del 5% del costo complessivo dei beni ammortizzabili quale risulta all’inizio dell’anno. L’eventuale eccedenza sarà deducibile in quote costanti nei cinque periodi d’imposta successivi. Per gli immobili ad uso promiscuo, le spese non capitalizzabili di manutenzione, ammodernamento e ristrutturazione, saranno deducibili nella misura del 50%. �altre spese relative agli immobili Sono interamente deducibili dal reddito le altre spese per i servizi e la manutenzione ordinaria del bene (ad esempio spese condominiali, asporto rifiuti, ecc…). La deducibilità va sempre ridotta al 50% qualora l’immobili sia ad uso promiscuo. 3.4. Ripartizione delle spese comuni tra più professionisti Capita di frequente che più professionisti, pur esercitando l’attività in forma individuale, condividano locali e servizi utilizzando per esempio uno studio in comune. Generalmente accade che uno di loro sia intestatario delle forniture di servizi (utenze, spese di pulizia locali, contratto di locazione) e dovrà pertanto poi ripartire tali spese pro-quota tra gli altri professionisti. In tal caso il riaddebito di spese dovrà avvenire attraverso l’emissione di una fattura da assoggettare ad IVA che non costituirà per il professionista compenso tassabile, ma dovrà invece essere contabilizzata in diminuzione del costo relativo in capo al professionista che emetterà la fattura. La correttezza di un siffatto modus operandi è stata d’altro canto confermata dall’Amministrazione Finanziaria con Circolare 58/E del 18.06.2001. La stessa Amministrazione Finanziaria è poi tornata più recentemente sull’argomento con la Risoluzione 346/E del 05.11.2002 nella quale è stato ulteriormente precisato che anche il “prestito di personale” va assoggettato ad IVA, atteso che questo si inquadra nell’ambito di una prestazione complessa, essendo strettamente collegato all’utilizzo di locali e attrezzature che lo rendono una prestazione unica non scindibile. Unica eccezione pertanto ipotizzabile è quella del “prestito di personale distaccato”, ovvero l’ipotesi in cui il personale dipendente di

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un professionista sia messo a disposizione di un altro professionista ma presso la struttura di quest’ultimo di cui utilizzerà le attrezzature, in tal caso il rimborso corrisposto per il “prestito” non sarebbe infatti assoggettato ad IVA. 3.5. Beni strumentali Sono rappresentati da tutte le apparecchiature, macchine, attrezzature e simili utilizzate e partecipanti all’attività professionale per più esercizi (cosiddetti “beni ad utilità ripetuta”). Il bene deve essere inerente all’attività professionale svolta. Il costo relativo ai beni strumentali si deduce in quote di ammortamento secondo le aliquote riportate nel DM 31.12.1988 e di cui alla tabella riportata nel sottoparagrafo 2.2. del capitolo terzo. Per i beni strumentali di costo unitario inferiore a € 516,46, le somme pagate nell’anno sono interamente deducibili dal reddito di esercizio. Non sono ammessi ammortamenti anticipati, né accelerati. 3.6. Beni ad uso promiscuo Le spese di acquisto, utilizzo e gestione di beni adibiti promiscuamente all’esercizio dell’attività professionale e a fini estranei alla stessa sono ammessi in deduzione nella misura del 50%. 3.7. Beni in locazione finanziaria (leasing) Per i contratti di leasing stipulati a decorrere dal 2008, la deducibilità dei canoni è così regolata: �per i beni mobili la durata minima del contratto non può essere inferiore ai 2/3 del periodo di ammortamento corrispondente alle aliquote ministeriali di cui al DM 31/12/88; �per i veicoli (di cui all’art. 164 comma 1 lettera b del TUIR) la durata del contratto non può essere inferiore al periodo di ammortamento; �per gli immobili la durata del contratto non può essere inferiore ai 2/3 del periodo di ammortamento, qualora la regola dei 2/3 comporti un risultato inferiore a 11 anni o superiore a 18 anni, il contratto dovrà essere rispettivamente di 11 anni o di 18 anni. La deduzione dei canoni di locazione finanziaria avviene in base al criterio di maturazione del canone, in deroga al principio di cassa prima

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enunciato. Alla scadenza del contratto il professionista si pone davanti alla scelta di riscattare o meno il bene. Nel primo caso, versando il prezzo del riscatto al momento della sottoscrizione del contratto, l’utilizzatore diventa proprietario del bene, il valore di riscatto potrà quindi essere ammortizzato secondo le regole ordinarie. Nel secondo caso, il bene strumentale cesserà di essere utilizzato senza che per questo venga meno la deducibilità fiscale dei canoni di leasing già pagati. 3.8. Automezzi e motoveicoli Le spese di acquisto relative ad autovetture, autocaravan, ciclomotori e motocicli utilizzati nell’esercizio della professione sono attualmente deducibili nella misura del 40%; lo stesso limite vale per le spese di manutenzione e di gestione (es. carburante, assicurazione, bollo). Negli anni dal 2006 al 2008 la quota fiscalmente deducibile delle spese auto sostenute dai professionisti è stata più volte modificata:

periodo deduzione ammessa

normativa di riferimento

fino al 31.12.2005 50% periodo d’imposta 2006 25% DL 262/2006 periodo d’imposta 2007 40% DL 81/2007 La deducibilità è ammessa limitatamente ad un solo veicolo, nel caso di esercizio in forma individuale dell’attività, o ad un veicolo per ciascun associato in caso di associazione professionale. L’art. 164 del TUIR fissa dei limiti in termini assoluti al costo di acquisto del veicolo. Infatti la percentuale di deduzione (attualmente del 40%) dovrà essere applicata ad un valore non superiore a: •€ 18.076,00 per automezzi ed autocaravan; •€ 4.131,65 per motocicli; •€ 2.065,83 per ciclomotori. In caso di autoveicoli in leasing i canoni sono deducibili proporzionalmente al costo degli stessi che non ecceda i limiti indicati. In caso di noleggio, i limiti di spesa sopra emarginati vanno ragguagliati ad anno. Per completezza di trattazione pare opportuno precisare in questa sede che l’IVA relativa all’acquisto di autoveicoli e motoveicoli è indetraibile per una quota pari al 60% del suo ammontare. Il residuo 40% potrà essere

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invece portato in detrazione. Tale regime di in detraibilità parziale dell’IVA è stato profondamente innovato nel corso del biennio 2006/2007; le novità introdotte in quel periodo saranno trattate nel paragrafo 5 del settimo capitolo del presente lavoro, al quale pertanto si rinvia.

3.9. Telefoni cellulari Il comma 3 bis dell’art. 54 del TUIR dispone che le quote di ammortamento, i canoni di locazione finanziaria o di noleggio, le spese di impiego e di manutenzione relativi ai telefonini sono deducibili, a decorrere dall’anno d’imposta 2007, nella misura del 80%. Nel dettato letterale della norma sparisce – a seguito dell’innovazione introdotta dalla Legge Finanziaria per il 2007 – il riferimento al pagamento della tassa di concessione governativa (normalmente addebitata nei contratti di abbonamento cosiddetti “per uso affari”) di cui all’art. 21 della tariffa annessa al DPR 641/1972, che nel testo previdente pareva essere condizione essenziale per la deducibilità dei suddetti costi. Quanto invece alla possibilità di dedurre il traffico telefonico fatto mediante ricariche (quindi senza bolletta), la Direzione Regionale delle Entrate del Veneto, in risposta ad un’istanza di interpello presentata da un professionista, ha ritenuto che la deducibilità (attualmente all’80%) contemplata dall’art. 54 TUIR debba essere estesa anche a detti costi purché gli stessi risultino adeguatamente documentati. Al fine quindi di poter dedurre tali costi, sarà pertanto necessario conservare la ricevuta dalla quale risulti sia l’importo pagato, sia il numero di telefono sul quale è stata eseguita la ricarica. Per completezza di trattazione, pare opportuno in questa sede precisare che, con riferimento alla detraibilità dell’IVA assolta sulle spese relative ai telefoni cellulari, la stessa è oggi ammessa in funzione dell’effettivo utilizzo professionale. Fino al 31.12.2007 il DPR 633/1972 prevedeva una generale indetraibilità dell’imposta per una quota pari al 50%. 3.10. Spese per prestazioni di lavoro dipendente e assimilato È consentito dedurre le somme pagate per i lavoratori dipendenti (stipendi, contributi previdenziali e assistenziali), per i collaboratori coordinati e continuativi (compensi, contributi previdenziali e assistenziali). Tali spese vengono detratte secondo il criterio di cassa, mentre la quota maturata nell’anno relativa all’accantonamento TFR o

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TFM (se previsto per i co.co.co. sulla base di un accordo scritto) viene comunque scomputata dal reddito di lavoro autonomo in base al criterio di competenza. 3.11. Compensi corrisposti a terzi Sono interamente deducibili i compensi corrisposti a terzi ed inerenti all’attività professionale come, a titolo esemplificativo, le competenze pagate ad un collega per la collaborazione prestata all’interno dello studio, o come le competenze pagate al commercialista per la consulenza fiscale o al consulente del lavoro per l’elaborazione delle buste paga dei dipendenti. 3.12. Compensi corrisposti ai familiari Sono indeducibili i compensi pagati al coniuge, ai figli minori o inabili al lavoro e agli ascendenti per prestazioni di lavoro dipendente, di co.co.co., di lavoro autonomo occasionale, rese al professionista nonché le quote di TFR ed i premi assicurativi, mentre si deducono i contributi previdenziali ed assistenziali obbligatori. I compensi non ammessi in deduzione dal reddito del professionista non sono imponibili in capo ai familiari percipienti (CM 25/E del 06.02.1997). Sono invece sempre deducibili i compensi per prestazioni professionali pagati ai familiari titolari di partita IVA. 3.13. Spese di viaggio Si deducono senza limiti le spese di viaggio inerenti l’esercizio dell’attività professionale, se adeguatamente documentate. 3.14. Spese di albergo e ristorante Le spese per prestazioni alberghiere e somministrazioni di alimenti e bevande sono deducibili per un importo complessivamente non superiore al 2% dei compensi percepiti nell’esercizio. Dal 1° gennaio 2009 la deducibilità di dette spese sarà ridotta al 75% dell’ammontare sostenuto, sempre per un importo complessivamente non superiore al 2% dei compensi percepiti nell’esercizio.

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Si propone di seguito un esemplificazione del conteggio della quota di spese deducibile in base alla nuova normativa vigente dal 1° gennaio 2009: compensi incassati spese di albergo e

ristorante sostenute quota deducibile

32.000,00 € 2.000,00 € (2.000 x 75%) = 1.500,00 €

(32.000 x 2%) = 640,00 € => quota deducibile: 640,00 €

32.000,00 € 500,00 € (500 x 75%) = 375,00 € (32.000 x 2%) = 640,00 € => quota deducibile: 375,00 €

Sono considerate spese di albergo e di ristorante quelle sostenute per il professionista stesso o per i suoi dipendenti, circostanza questa che dovrà risultare dalla documentazione fiscale comprovante la spesa. Ne deriva, ad esempio, che il professionista che non si avvalga di personale dipendente, potrà portare in deduzione dal reddito di lavoro autonomo le spese di ristorante dalle quali risulti un solo coperto. Il DL 223/2006 (cosiddetto decreto Bersani-Visco convertito nella legge 248/2006) ha previsto che le spese alberghiere e di ristorante sono integralmente deducibili (senza quindi far riferimento al tetto di spesa del 2% dei compensi) se addebitate nella fattura al cliente. In tal caso però il documento fiscale comprovante la spesa deve essere intestato al cliente e su di esso deve essere indicato il nominativo del professionista che ha fruito del servizio. Il documento di spesa avente dette caratteristiche, va inviato al cliente, questi lo girerà al professionista e quest’ultimo potrà addebitarlo quale rimborso al cliente stesso, inserendolo nella propria fattura. In assenza di detti formalismi, la spesa non sarà deducibile né per il cliente né per il professionista. Tale procedura appare invero, nella pratica, difficilmente attuabile. 3.15. Spese di rappresentanza Sono quelle sostenute per offrire al pubblico un’immagine positiva dell’attività professionale. Rientrano nelle spese di rappresentanza quelle sostenute per l’acquisto o l’importazione di oggetti d’arte, d’antiquariato o da collezione, anche se impiegati come beni strumentali, nonché di tutti quei beni destinati ad essere ceduti a titolo gratuito (cosiddetti omaggi) tanto alla clientela,

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quanto ai dipendenti, quanto a colleghi o collaboratori a vario titolo. Sono parimenti considerate spese di rappresentanza le spese di ristorante sostenute dal professionista e dalla cui documentazione fiscale risulti più di un coperto. Le spese in questione sono deducibili nella misura massima pari all’1% dell’ammontare dei compensi percepiti nel periodo d’imposta. Dal 1° gennaio 2009 la deducibilità di dette spese, nel caso in cui si tratti specificatamente di spese di ristorante o di albergo, sarà ridotta al 75% dell’ammontare sostenuto, sempre per un importo complessivamente non superiore al 1% dei compensi percepiti nell’esercizio. Si propone di seguito un esemplificazione del conteggio della quota di spese deducibile in base alla nuova normativa vigente dal 1° gennaio 2009: compensi incassati spese di rappresentanza

sostenute quota deducibile

32.000,00 € 2.000,00 € (ristorante o albergo)

(2.000 x 75%) = 1.500,00 € (32.000 x 1%) = 320,00 €

=> quota deducibile: 320,00 € 32.000,00 € 300,00 €

(ristorante o albergo) (300 x 75%) = 225,00 € (32.000 x 1%) = 320,00 € => quota deducibile: 225,00 €

32.000,00 € 2.000,00 € (regali, omaggi)

(32.000 x 1%) = 320,00 € => quota deducibile: 320,00 €

32.000,00 € 300,00 € (regali, omaggi)

(32.000 x 1%) = 320,00 € => quota deducibile: 300,00 €

3.16. Spese di aggiornamento professionale Quanto alle spese per libri e riviste, si tratta di spese interamente deducibili nell’esercizio in cui sono sostenute. Quanto alle spese per convegni, congressi e corsi di aggiornamento, si tratta di spese deducibili nella misura del 50% del loro ammontare. Le spese di viaggio e soggiorno relative alla partecipazione ai corsi sono anch’esse deducibili nella misura del 50% (vanno pertanto tenute distinte rispetto alle spese di albergo e ristorante deducibili nel limite del 2% dei compensi e di cui abbiamo già parlato precedentemente). In ordine a tale tipologia di spese si rende invero necessario muovere qualche ulteriore considerazione. In dottrina vi è infatti chi ha sostenuto che qualora le spese de quibus siano strettamente inerenti alla produzione

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dei compensi nell’esercizio dell’attività professionale, tali spese possono essere integralmente dedotte. Tale orientamento è stato assunto per esempio con riferimento ai corsi frequentati nelle scuole di specializzazione in psicoterapia sulla scorta del fatto che tali corsi non potrebbero apparentemente essere considerati meramente come corsi di aggiornamento professionale. Invero si ritiene che tale impostazione non sia esente da rischi, infatti non esiste nessuna previsione normativa, né prassi ministeriale che consenta l’integrale deduzione delle spese relative ai corsi di specializzazione e, a parare di chi scrive, la norma non lascia spazio ad ampi margini interpretativi laddove l’art. 54 del TUIR dispone testualmente che “le

spese di partecipazione a convegni, congressi e simili o a corsi di

aggiornamento professionale, incluse quelle di viaggio e soggiorno sono

deducibili nella misura del 50 per cento del loro ammontare”.

Tra l’altro, proprio con riferimento all’orientamento dottrinale sopra emarginato, pare possa destare qualche perplessità il fatto che si ritenga di poter dedurre integralmente la spesa relativa ad un corso di specializzazione sulla base del fatto che tale spesa sarebbe strettamente inerente alla produzione dei compensi, atteso che ben potrebbe essere invece che il corso di specializzazione sia fatto nell’ottica di ampliare l’attività professionale futura e non possa perciò, prima del suo integrale compimento, essere fonte di produzione di compensi. E’ da quest’ultima considerazione che muove infatti altro orientamento dottrinale che riterrebbe totalmente indeducibili le spese sostenute per corsi di specializzazione. Anche tale orientamento appare però a chi scrive non condivisibile atteso che, al di là dell’eccessiva prudenza, prescinde dal dettato normativo sopra emarginato, unico al quale - si ritiene – si debba far riferimento, non ravvisandosi altre disposizioni normative che disciplinino il regime di deducibilità di siffatte spese. Per completezza di trattazione, pare opportuno illustrare in questa sede il regime di detraibilità delle spese relative alla scuola di specializzazione frequentata post lauream da soggetti non titolari di partita IVA (e che non possono quindi dedurre tali spese al 50% dal loro reddito di lavoro autonomo). Per questi soggetti le spese suddette vanno detratte in dichiarazione dei redditi alla stregua di spese per la frequenza di corsi universitari, ma saranno detraibili nella misura massima della spesa che si sarebbe sostenuta per la frequenza di un corso analogo presso l’Università pubblica (generalmente meno onerosa). Il risparmio fiscale consisterà quindi, in tal caso, in una detrazione d’imposta IRPEF pari al 19% della spesa indicata in dichiarazione.

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3.17. Oneri bancari Gli oneri bancari relativi al c/c bancario del professionista utilizzato esclusivamente per l’attività professionale sono integralmente deducibili. Parimenti è ammessa la deduzione del costo relativo alla carta di credito, sempreché le spese che con la carta stessa sono sostenute siano inerenti all’attività libero professionale e siano pertanto portate in diminuzione dal reddito di lavoro autonomo. 3.18. Interessi passivi Sono ammessi in deduzione gli interessi per finanziamenti relativi all’attività professionale, interessi relativi alla dilazione dei pagamenti per l’acquisto di beni ammortizzabili, interessi passivi su conti correnti bancari e/o postali professionali. Non sono ammessi in deduzione gli interessi passivi dovuti in caso di versamenti trimestrali dell’IVA periodica.

TAVOLA SINOTTICA “% DEDUCIBILITÀ DELLE SPESE”

TIPOLOGIA DI SPESA % DEDUZIONE

AMMESSA UTENZE 100%UTENZE TELEFONICHE (FISSE O MOBILI) 80%FITTO IMMOBILE STRUMENTALE, SPESE CONDOMINIALI 100%ACQUISTO IMMOBILE STRUMENTALE (in quote di ammortamento o leasing)

80%

AUTOVEICOLI, MOTOVEICOLI (in quote di ammortamento o leasing)

40%

PERSONALE DIPENDENTE, COLLABORATORI 100%SPESE DI VIAGGIO 100%SPESE DI ALBERGO E RISTORANTE (nel limite del 2% dei compensi professionali)

fino al 31/12/2008:100%dal 01/01/2009:75%

SPESE DI RAPPRESENTANZA DIVERSE DA QUELLE DI RISTORANTE E ALBERGO (nel limite dell’1% dei compensi professionali)

100%

SPESE DI RAPPRESENTANZA CHE SIANO DI RISTORANTE E ALBERGO (nel limite dell’1% dei compensi professionali)

fino al 31/12/2008:100%dal 01/01/2009:75%

SPESE PER CORSI, CONVEGNI E SIMILI (comprese le spese di viaggio, vitto e alloggio relative)

50%

LIBRI, RIVISTE, GIORNALI 100%SPESE DI AMMODERNAMENTO, RISTRUTTURAZIONE 100%

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(in quote di ammortamento o leasing) BENI STRUMENTALI (MOBILI) (in quote di ammortamento o leasing)

100%

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CAPITOLO QUINTO Ritenute d’acconto e parcellazione 1. Ritenute alla fonte subite (in qualità di sostituito) In base all’art. 25 del DPR 600/1973 i compensi corrisposti da titolari di partita IVA a fronte di prestazioni di lavoro autonomo sono soggetti, all’atto del pagamento, a ritenuta a titolo d’acconto IRPEF nella misura del 20%. Tale ritenuta non è altro che un versamento anticipato dell’IRPEF dovuta sul reddito di lavoro autonomo, questa sarà infatti poi detratta dal totale dell’IRPEF a debito determinata al momento della dichiarazione dei redditi. Perciò, se il professionista emetterà fattura nei confronti di società ed enti, imprenditori o lavoratori autonomi, subirà una ritenuta d’acconto del 20% sui compensi. La ritenuta trattenuta dal cliente (che chiameremo “sostituto d’imposta”) verrà versata dallo stesso entro il 16 del mese successivo al pagamento della parcella al professionista. Il versamento della ritenuta sarà effettuato direttamente dal cliente/sostituto d’imposta mediante modello F24 con il codice tributo: 1040. Fanno eccezione i professionisti che hanno aderito al regime agevolato “delle nuove iniziative produttive” di cui all’art. 13 della legge 388/2000. Come già anticipato nel paragrafo dedicato a detto regime contabile, infatti, gli stessi non sono mai soggetti a ritenuta d’acconto. 2. Ritenute alla fonte operate (in qualità di sostituto) Lo stesso obbligo (di operare la ritenuta e di effettuare il relativo versamento) incomberà sul lo psicologo libero professionista che dovesse erogare un compenso ad altro professionista (collega, commercialista, avvocato, ecc…). In tale ultimo caso, lo psicologo che abbia erogato compensi dovrà rilasciare, entro il 28 del mese di febbraio dell’anno successivo a quello in cui la ritenuta è stata operata, un’apposita certificazione attestante l’ammontare complessivo delle somme corrisposte e delle ritenute versate.

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La certificazione (che può essere redatta in forma libera) deve contenere: i dati relativi al sostituto d’imposta (ovvero il soggetto che ha operato e versato la ritenuta), la causale, l’ammontare lordo delle somme corrisposte e delle ritenute effettuate, la sottoscrizione del sostituto d’imposta. L’erogazione di compensi soggetti a ritenuta d’acconto fa inoltre nascere l’obbligo per il sostituto d’imposta di redigere la dichiarazione annuale dei sostituti d’imposta “modello 770”. Gli stessi obblighi in capo al professionista sorgeranno qualora lo stesso si avvalga di lavoratori dipendenti, di collaboratori coordinati e continuativi, di prestatori d’opera occasionale. L’utilizzo di personale dipendente e/o di collaboratori coordinati e continuativi fa inoltre sorgere anche l’obbligo di versamento dei contributi previdenziali relativi. 3. Parcellazione: esempi pratici e indicazioni tecniche A questo punto può essere utile fare alcuni esempi pratici di come si predispone una parcella per l’incasso di compensi derivanti dall’attività libero professionale. 1° esempio si ipotizzi di dover emettere una parcella nei confronti di un paziente: dott. Pinco Palla Via 25 Aprile, 1 35100 Padova P.IVA: ……………………………….. CF: ……………………………………..

Egr. Sig. Mario Rossi Via 1° maggio, 10 35100 Padova CF: ……………………………………..

Padova, li ……………………….. Parcella n. ….. Ciclo di colloqui psicologici 1.000,00 € 2% contributo integrativo ENPAP 20,00 € Marca da bollo 1,81 € Totale da pagare 1.021,81 € (esente IVA art. 10 n. 18 DPR 633/72)

2° esempio si ipotizzi di dover emettere una parcella nei confronti di un poliambulatorio per attività di collaborazione svolta presso lo stesso su pazienti del poliambulatorio:

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dott. Pinco Palla Via 25 Aprile, 1 35100 Padova P.IVA: ……………………………….. CF: ……………………………………..

Spett.le Poliambulatorio ……….. Via 8 settembre, 20 35100 Padova P.IVA: …………………………………….. CF: …………………………………………..

Padova, li ……………………….. Parcella n. ….. Colloqui psicoterapici svolti su Vs pazienti nel periodo …………. 1.000,00 € 2% contributo integrativo ENPAP 20,00 € Marca da bollo 1,81 € A dedurre ritenuta d’acconto su 1.000,00 € -200,00 € Totale da pagare 821,81 € (esente IVA art. 10 n. 18 DPR 633/72)

3° esempio si ripropone l’esempio sub 2, ipotizzando che la parcella sia emessa da un professionista che ha optato per il regime agevolato dei “contribuenti minimi”: dott. Pinco Palla Via 25 Aprile, 1 35100 Padova P.IVA: ……………………………….. CF: ……………………………………..

Spett.le Poliambulatorio ……….. Via 8 settembre, 20 35100 Padova P.IVA: …………………………………….. CF: …………………………………………..

Padova, li ……………………….. Parcella n. ….. Colloqui psicoterapici svolti su Vs pazienti nel periodo …………. 1.000,00 € 2% contributo integrativo ENPAP 20,00 € Marca da bollo 1,81 € A dedurre ritenuta d’acconto su 1.000,00 € -200,00 € Totale da pagare 821,81 € (escluso IVA ex art. 1, comma 100, Legge 244/07) (esente IVA art. 10 n. 18 DPR 633/72)

4° esempio si ripropone l’esempio sub 2, ipotizzando che la parcella sia emessa da un professionista che ha optato per il regime agevolato “delle nuove iniziative produttive” (cosiddetto “forfettino”):

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dott. Pinco Palla Via 25 Aprile, 1 35100 Padova P.IVA: ……………………………….. CF: ……………………………………..

Egr. Dott. Antonio Bianchi Via 8 settembre, 20 35100 Padova P.IVA: …………………………………….. CF: …………………………………………..

Padova, li ……………………….. Parcella n. ….. Colloqui psicoterapici svolti su Vs pazienti nel periodo …………. 1.000,00 € 2% contributo integrativo ENPAP 20,00 € Marca da bollo 1,81 € Totale da pagare 1.021,81 € (esente IVA art. 10 n. 18 DPR 633/72)

Il presente compenso non è soggetto a ritenuta d’acconto ai sensi e per gli effetti dell’art. 13 della legge 388/2000.

5° esempio si ipotizzi di dover emettere una parcella per una consulenza tecnica di parte: dott. Pinco Palla Via 25 Aprile, 1 35100 Padova P.IVA: ……………………………….. CF: ……………………………………..

Egr. Dott. Antonio Bianchi Via 8 settembre, 20 35100 Padova P.IVA: …………………………………….. CF: …………………………………………..

Padova, li ……………………….. Parcella n. ….. Consulenza tecnica prestata a Vs favore nella causa promossa avanti il Tribunale di Padova n. …… tra le parti ……….…………. e …………………….. Competenze 1.000,00 € 2% contributo integrativo ENPAP 20,00 € IVA 20% su imponibile 1.020,00 € 204,00 € A dedurre ritenuta d’acconto su 1.000,00 € -200,00 € Totale da pagare 1.024,00 €

La marca da bollo da 1,81 € va applicata solo sulle parcelle emesse in esenzione IVA e solo se di importo superiore a 77,47 €. La marca va apposta sull’originale consegnato al cliente/paziente e può facoltativamente essere riaddebitata allo stesso direttamente in fattura. Le parcelle devono essere emesse in duplice copia al momento del

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pagamento da parte del cliente/paziente (possono anche essere emesse prima, ma sarebbe buona norma evitare tale prassi, sia per non rischiare di dover effettuare versamenti IVA a fronte di parcelle non ancora incassate, sia per semplificare la gestione contabile atteso che le parcelle sono rilevanti ai fini delle imposte dirette solo nel momento in cui le stesse sono incassate per via del più volte citato “principio di cassa”). Le parcelle vanno numerate progressivamente e devono riportare i dati del professionista comprensivi di codice fiscale e partita IVA, i dati del cliente comprensivi di codice fiscale, la descrizione dell’attività professionale svolta e l’indicazione del regime IVA applicabile. Con riferimento alla descrizione dell’attività svolta, si osservi che l’orientamento del Ministero delle Finanze è nel senso di ritenere insufficiente una descrizione sintetica delle prestazioni svolte, per cui una dicitura del genere “ciclo di colloqui psicologici” potrebbe essere soggetta a contestazione da parte dei verificatori. Tale orientamento (che non si può condividere) è chiaramente dettato dall’esigenza in capo all’Amministrazione Finanziaria di agevolare il più possibile l’attività di verifica e di accertamento, ma collide inevitabilmente con l’esigenza contrapposta del professionista di tutelare il diritto alla riservatezza del proprio paziente. In secondo luogo, si osservi che la sorta di “tariffario” potenzialmente ricostruibile dai verificatori a causa di una descrizione troppo analitica delle prestazioni eseguite, rischia di essere affatto rispondente alla realtà, trattandosi nella specie di prestazioni professionali non necessariamente inquadrabili in un “listino prezzi” uguale per tutti. Va infine considerato che un compenso pagato per una determinata prestazione, potrebbe essere non necessariamente un compenso a saldo, ma ben potrebbe trattarsi di un acconto o addirittura di un fondo spese a fronte di un’attività che debba ancora essere iniziata, il che impedirebbe già di per sé l’indicazione analitica in fattura dell’attività svolta.

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CAPITOLO SESTO Le misure “anti-evasione” introdotte dalla legge 248/2006 e dalla legge 244/2007 1. Premessa La manovra bis per il 2006, cosiddetto decreto Bersani-Visco, nell’ambito di una serie di disposizioni normative ribattezzate “lotta all’evasione” ha introdotto una serie di obblighi a carico dei professionisti volti a limitare il più possibile la circolazione di denaro contante. Detta impostazione normativa ha trovato ulteriore conferma e sviluppo con la legge Finanziaria per il 2007. 2. Il c/c “professionale” e gli obblighi in materia di incassi e pagamenti E’ in tale contesto che viene introdotto l’obbligo per i professionisti di dotarsi di un c/c (bancario o postale) dedicato all’attività professionale, ed è sempre in tale contesto che vengono introdotte pregnanti novità in materia di incassi e pagamenti relativi alla libera professione. Nonostante tali obblighi siano stati successivamente abrogati con la conversione in legge del DL 112/2008, vale la pena affrontare brevemente tali questioni e muovere sulle stesse qualche considerazione. L’introduzione dell’obbligo a carico dei professionisti di avere un c/c dedicato all’attività professionale (e ciò a prescindere dal tipo di contabilità adottato) non comportava, invero, l’impossibilità di utilizzare quel c/c anche per le movimentazioni finanziarie extra-professionali. Ciononostante poteva essere opportuno valutare (e può esserlo tuttora) la scelta di avere un c/c solo per la professione, nel quale non far confluire le movimentazioni di carattere personale, e ciò in funzione dell’organizzazione dello studio professionale. Appare infatti evidente che gli studi professionali strutturati caratterizzati dalla presenza di dipendenti, collaboratori, fornitori da pagare pressoché ogni giorno, hanno la necessità di porre in essere quotidianamente numerose movimentazioni finanziarie di banca (entrate e uscite). Per queste realtà professionali – indipendentemente dal tipo di contabilità adottato – sarebbe tuttora senz’altro opportuno l’utilizzo di un c/c esclusivo proprio

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in ragione della numerosità delle operazioni di banca che dovranno infatti trovare giustificazione in contabilità in caso di opzione per la contabilità ordinaria, o – peggio ancora – dovranno trovare giustificazione extra-contabile nel caso in cui sia adottata la contabilità semplificata (rinvio al capitolo undicesimo, paragrafo 4). Resta però il fatto che la realtà degli studi di psicologi e di psicoterapeuti è nella maggioranza dei casi di tipo monoprofessionale; in presenza di tali fattispecie sarebbe del tutto inutile tenere due c/c separati, ed anzi, voler tenere distinte le spese personali da quelle professionali, diventerebbe addirittura una complicazione ingiustificata (si pensi al caso di uno psicologo che esercita l’attività presso la propria abitazione e che quindi sostiene una serie consistente di spese promiscue che non saprebbe più in quale c/c addebitare!). Al di là di queste considerazioni che continuano comunque a restare attuali, si ricorda che la conversione in legge del DL 112/2008 ha abrogato l’obbligo del c/c professionale. Quanto invece agli obblighi introdotti nell’estate del 2006 in ordine agli incassi e ai pagamenti professionali, la normativa introduceva l’obbligo di far transitare necessariamente sul c/c “professionale” tutti gli incassi professionali, ivi compresi quelli effettuati in contanti, con la conseguente impossibilità di “trattenere” denaro ricevuto dai clienti neppure per il pagamento di spese professionali, se prima detto denaro non fosse transitato sul c/c del professionista. La medesima normativa introduceva poi anche l’obbligo di incassare necessariamente a mezzo strumenti bancari (bonifici, pos, assegni non trasferibili, ecc…) compensi di importo superiore a determinate soglie. Analogamente, per i pagamenti relativi alla professione, gli stessi dovevano essere effettuati necessariamente o con somme prelevate dal c/c “professionale”, o con addebito sul c/c stesso. La stessa legge 248/2006 ammetteva infine il prelievo di somme dal c/c “professionale” senza che il professionista dovesse darne giustificazione in sede di controllo, solo limitatamente ai prelievi effettuati “per le normali esigenze

personali e familiari”. Questa circostanza, unitamente all’esistenza di una presunzione legale relativa prevista dall’art. 32 del DPR 600/1973, che assimila a proventi non contabilizzati i prelevamenti dal c/c che non trovino giustificazione in contabilità e per i quali il professionista non sia in grado di indicarne l’effettivo beneficiario, induceva a ritenere comunque più prudente (sotto il profilo probatorio) ricorrere il meno possibile all’uso di denaro contante per effettuare qualunque pagamento personale o professionale (rinvio al capitolo undicesimo paragrafo 4). La recente abrogazione di tutto questo comparto di norme sulla

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“tracciabilità” ha sicuramente reso meno complicata la gestione delle movimentazioni finanziarie di cassa e di banca, ma va detto che la soppressione di tali obblighi è ininfluente ai fini delle indagini finanziarie e dei controlli bancari, con la conseguenza che resta comunque importante per il professionista essere nelle condizioni di poter dare giustificazione all’Amministrazione finanziaria, in sede di controllo bancario, delle movimentazioni in entrata e in uscita dal proprio c/c. Da ultimo va segnalato che l’abrogazione della normativa in commento determina la non sanzionabilità – in ragione del principio del favor rei – di eventuali comportamenti non conformi alla normativa pregressa realizzatisi nei due anni di vigenza della stessa; in altre parole, chi – tra l’estate del 2006 e l’estate del 2008 - non avesse istituito un c/c “professionale” o non avesse rispettato gli obblighi in materia di “tracciabilità” degli incassi e pagamenti, non sarebbe comunque passibile di sanzioni. 3. La riscossione accentrata dei compensi per chi opera in strutture sanitarie private La legge Finanziaria per il 2007 (commi da 38 a 42) ha previsto in capo alle strutture sanitarie private, con decorrenza 1° marzo 2007, l’obbligo di riscossione accentrata dei compensi dovuti agli esercenti le professioni sanitarie soggette a vigilanza, procedendo alla stessa in nome e per conto dei professionisti esercenti l’attività all’interno della struttura. La norma citata muove dall’intento di favorire la tracciabilità e la trasparenza dei pagamenti correlati alle prestazioni di natura sanitaria. La Circolare dell’Agenzia delle Entrate 13 del 15.03.2007 ha fornito i chiarimenti necessari a porre in essere detto obbligo. In particolare è stato chiarito che l’obbligo investe qualunque struttura sanitaria privata che ospita, gratuitamente o a fronte del pagamento di un corrispettivo, un professionista sanitario le cui prestazioni siano rese in esecuzione di un rapporto contrattuale intrattenuto direttamente con il paziente. Restano invece escluse le strutture sanitarie che sono esse stesse controparte nel rapporto contrattuale con il paziente e che si avvalgono, per la gestione di detto rapporto, della collaborazione di professionisti a cui corrispondono poi un compenso. Restano parimenti esclusi coloro che operano in regime di intramoenia. L’obbligo consiste nella riscossione della parcella in nome e per conto del professionista a cura della struttura sanitaria ospitante. Gli importi

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riscossi devono poi contestualmente essere riversati al professionista in capo al quale permangono tutti i consueti obblighi contabili e fiscali (ivi compresi quelli relativi alla tracciabilità dei compensi introdotti dal DL 223/2006 e poc’anzi illustrati). La struttura sanitaria deve inoltre provvedere, distintamente per ogni operazione di riscossione, alla registrazione nelle proprie scritture contabili obbligatorie, o in un registro appositamente istituito, dei seguenti elementi: data di pagamento, estremi della fattura emessa dal professionista, generalità e codice fiscale dello stesso, ammontare del corrispettivo riscosso e modalità di pagamento. I dati così registrati saranno oggetto, sempre ad opera della struttura sanitaria ospitante, di una comunicazione telematica all’Agenzia delle Entrate effettuata tramite il modello “SSP” entro il 30 aprile di ogni anno per i compensi relativi all’anno precedente. Il modello deve contenere il codice fiscale e i dati anagrafici di ciascun professionista sanitario ospitato, nonché l’importo dei compensi complessivamente riscossi in nome e per conto di ciascun percipiente. La prima scadenza per la trasmissione è stata fissata al 30 aprile 2008; la trasmissione telematica può essere fatta dalla struttura sanitaria direttamente o tramite gli intermediari abilitati. Sul concetto di struttura sanitaria privata va detto che il legislatore nulla ha precisato in occasione della previsione di detto obbligo, l’Agenzia delle Entrate pertanto ha fornito una definizione del concetto a mezzo della Circolare 13/2007 sopra citata. Nella Circolare si legge: “Per strutture

sanitarie private si in tendono le società, gli istituti, le associazioni, i centri

medici e diagnostici e ogni altro ente o soggetto privato, in qualsiasi

forma organizzati, che operano nel settore dei servizi sanitari e

veterinari”.

Successivamente, con il provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate del 13 dicembre 2007 volto all’approvazione del modello per la comunicazione telematica dei compensi de quibus, l’Agenzia ha proposto una definizione di struttura sanitaria privata non coincidente con quella precedente. Nel provvedimento infatti si legge: “per strutture sanitarie

private si intendono le società, gli istituti, le associazioni, i centri medici

diagnostici e ogni altro ente o soggetto privato, con o senza scopo di

lucro, che operano nel settore dei servizi sanitari e veterinari, nonché ogni

altra struttura in qualsiasi forma organizzata che metta a disposizione, a

qualunque titolo, locali ad uso sanitario, forniti delle attrezzature

necessarie per l’esercizio della professione medica o paramendica”. Appare da subito evidente che il concetto delineato dall’Agenzia delle Entrate rischia di creare delle incertezze in ordine alla corretta

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individuazione delle strutture obbligate; a ben vedere, sembra che l’Agenzia abbia voluto delineare un concetto il più possibile ampio di modo da estendere l’obbligo al maggior numero di soggetti possibile, probabilmente anche allo scopo di eliminare possibili scappatoie ai soggetti interessati. In effetti, in ordine all’ambito di applicazione sotto il profilo soggettivo di tale normativa, l’Agenzia delle Entrate si è espressa anche a mezzo Risoluzione 270 del 27.09.2007. In quella sede si è detto che “se la

ragione giustificatrice della norma circoscrive l’ambito applicativo

oggettivo dell’obbligo di riscossione accentrata in nome e per conto del

professionista, la medesima ne estende, invece, al contempo, l’ambito di

applicazione sotto il profilo soggettivo”.

Questa esigenza si scontra però inesorabilmente con concrete difficoltà applicative, che possono talvolta tramutarsi in vere e proprie impossibilità pratiche di dare esecuzione all’obbligo de quo. Si pensi ai numerosi casi in cui più professionisti sanitari condividono spazi e attrezzature al mero scopo di comprimere i costi di gestione dello studio, ma senza per questo essere dotati di strutture organizzate con dipendenti che possano incaricarsi della riscossione dei compensi. Sarebbe quanto meno poco opportuno che il professionista ospitante dovesse incaricarsi della riscossione dei compensi del collega! Senza pensare al fatto che l’accordo tra i due professionisti potrebbe addirittura prevedere un utilizzo alternato dello studio! Analogo problema sorgerebbe anche in capo alle cosiddette società di mezzi, che forniscono al professionista i locali attrezzati e organizzati per l’esercizio dell’attività sanitaria. Anche in questo caso, infatti, non si vede come la società potrebbe adeguarsi all’obbligo imposto dalla normativa se non inserendo all’interno dei locali un proprio dipendente! Forse sarebbe stato più corretto, per l’individuazione del concetto di “struttura sanitaria privata”, che si facesse riferimento alla normativa preesistente, magari proprio in ambito sanitario, vincolando per esempio il concetto de quo alla necessità per la struttura stessa di acquisire un’autorizzazione sanitaria per l’esercizio dell’attività e/o di dotarsi della figura di un direttore sanitario. Sotto il profilo sanzionatorio, le strutture sanitarie ospitanti, in caso di violazione degli obblighi connessi all’incasso del compenso in nome e per conto del professionista e/o di registrazione dello stesso, rischiano una sanzione amministrativa da 1.033 € a 7.747 €; in caso invece di omessa trasmissione telematica dei compensi incassati o di trasmissione non veritiera, rischiano una sanzione amministrativa da 258 € a 2.066 €. Pare opportuno segnalare in questa sede che, in ottemperanza a quanto

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previsto dal D.Lgs 196/2003 in tema di privacy, sarà necessario che il professionista conferisca apposito incarico per la riscossione del compenso alla persona fisica facente capo alla struttura sanitaria privata (rinvio al capitolo quattordicesimo sottoparagrafo 3.8.).

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CAPITOLO SETTIMO L’IVA 1. Tratti salienti dell’imposta Il professionista è obbligato all’emissione della fattura nel momento in cui avviene il pagamento del compenso. Dal momento di emissione della fattura l’IVA diventerà esigibile, ciò significa che sorgerà in capo al professionista l’obbligo di versamento dell’imposta nelle casse dell’erario nei termini di legge. Il professionista può anche inviare al cliente, in luogo della fattura, una nota pro-forma (o preavviso di parcella) indicando nella stessa che la fattura sarà emessa solamente al momento del pagamento del corrispettivo dovuto. Questa procedura ha il vantaggio di non far sorgere in capo al professionista l’obbligo di procedere al versamento dell’IVA fino al momento in cui il corrispettivo non viene concretamente pagato. Il preavviso di parcella avrà lo stesso contenuto della fattura, ma non dovrà recare nessuna numerazione progressiva e dovrà essere indicato solo il mese e l’anno di emissione in luogo della data completa. Ovviamente tale documento non dovrà essere annotato in nessun registro contabile. Nel caso di pagamento ricevuto prima del completamento della prestazione (acconto), deve essere emessa fattura nel giorno dell’incasso del corrispettivo pagato a titolo di acconto. 2. Le liquidazioni periodiche Il professionista dovrà provvedere a versare l’IVA risultante dalla liquidazione periodica (operazione che serve a determinare la differenza tra IVA a debito relativa alle parcelle emesse e IVA a credito relativa agli acquisti effettuati) trimestralmente o mensilmente. Il regime naturale di liquidazione dell’IVA è mensile, ma è possibile – in sede di dichiarazione IVA annuale – esercitare l’opzione per poter effettuare le liquidazioni con cadenza trimestrale (prassi molto più frequente). Qualora nell’anno precedente il professionista abbia realizzato un volume d’affari superiore a € 309.874,14, è fatto obbligo di effettuare le liquidazioni con periodicità mensile. L’eventuale imposta a debito risultante dalla liquidazione periodica mensile deve essere versata entro il

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giorno 16 del mese successivo (quindi l’IVA relativa a gennaio va versata entro il 16 febbraio). Qualora invece il volume di affari relativo all’anno precedente sia stato inferiore a € 309.874,14, si potrà optare per la liquidazione trimestrale dell’imposta, applicando, all’atto dei versamenti periodici, un interesse pari all’1% calcolato sull’importo da versare. Per i professionisti tenuti alla liquidazione trimestrale dell’imposta le date entro le quali vanno effettuati i versamenti periodici sono: - I trimestre: 16 maggio - II trimestre: 16 agosto - III trimestre: 16 novembre - IV trimestre (= saldo annuale): 16 marzo. Si precisa inoltre che entro il 27 dicembre di ogni anno, tutti i professionisti che effettuano operazioni imponibili ai fini IVA, ad eccezione di chi ha optato per il regime agevolato “delle nuove iniziative produttive”, sono chiamati al versamento dell’acconto IVA. L’acconto versato andrà poi detratto dall’IVA effettivamente dovuta a saldo per le operazioni effettuate nell’ultimo mese o trimestre dell’anno in chiusura. L’acconto può essere determinato alternativamente con il metodo storico, con il metodo previsionale o con il metodo delle operazioni effettuate: �metodo storico: si versa l’88% del versamento dovuto relativamente all’ultimo mese o trimestre dell’anno precedente (al lordo dell’acconto IVA precedente); �metodo previsionale: si versa l’88% del versamento che si prevede di dover effettuare con riferimento all’ultimo mese o trimestre dell’anno in corso; �metodo delle operazioni effettuate: si versa il 100% dell’importo risultante da un’apposita liquidazione IVA che tenga conto delle operazioni attive e passive ai fini IVA effettuate entro la data del 20 dicembre dell’anno corrente. A titolo esemplificativo si riporta di seguito una liquidazione IVA trimestrale:

RIEPILOGO TOTALI DEL TRIMESTRE

aliquota Imponibile vendite

IVA vendite Imponibile acquisti

IVA acquisti

20% 510,00 102,00 42,53 8,51

LIQUIDAZIONE IVA TRIMESTRALE

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debito credito IVA sulle vendite 102,00 IVA sugli acquisti (8,51) Credito periodo precedente 0,00 TOTALE IVA A DEBITO 93,49 INTERESSI CALCOLATI AL 1% 0,93 TOTALE IVA DA VERSARE 94,42 NB: Se al volume d’affari dello psicologo concorrono sia operazioni imponibili sia operazioni esenti si dovrà provvedere al calcolo del pro-rata di detraibilità (rinvio al paragrafo 4 del presente capitolo)

3. Rilevanza ai fini IVA delle prestazioni professionali rese dallo psicologo: casi pratici 3.1. Premessa Lo psicologo, nella generalità dei casi, effettua prestazioni che rientrano tra le operazioni esenti da IVA (ex art. 10 DPR 633/1972 n. 18) proprio perché di carattere sanitario; ciò è vero per tutte le attività “cliniche” svolte da professioni e arti sanitarie soggette a vigilanza di cui all’art. 99 del Testo Unico delle Leggi Sanitarie. Pertanto nel caso in cui il professionista effettui esclusivamente operazioni esenti dall’imposta, non sarà tenuto agli obblighi connessi alla gestione IVA (es. liquidazioni periodiche, comunicazioni annuali dati IVA, dichiarazione annuale IVA e relativi versamenti). Ben potrà essere però che lo psicologo libero professionista eserciti anche delle attività imponibili ai fini IVA o delle quali è opportuno verificare di volta in volta l’imponibilità o meno. Si illustrano di seguito le fattispecie più frequenti: 3.2. Attività didattica e di formazione Le prestazioni di formazione, aggiornamento, riqualificazione e riconversione del personale sono disciplinate, ai fini IVA, dalle seguenti norme aDPR 633/1972 art.10, comma 1, n. 20 blegge 537/1993 art.14, comma 10. a) In base all’art. 10, comma 1, n. 20 del DPR 633/1972 sono esenti da

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IVA: “le prestazioni educative dell'infanzia e della gioventù e quelle

didattiche di ogni genere, anche per la formazione l'aggiornamento e la

riqualificazione e riconversione professionale, rese da istituti o scuole

riconosciuti da pubbliche amministrazioni e da ONLUS, comprese le

prestazioni relative all'alloggio, al vitto e alla fornitura di libri e materiali

didattici, ancorché fornite da istituzioni, collegi o pensioni annessi,

dipendenti o funzionalmente collegati, nonché le lezioni relative a materie

scolastiche e universitarie impartite da insegnanti a titolo personale”. L’articolo in esame prevede quindi che i corsi di formazione sono esenti da IVA a condizione che gli stessi siano resi da istituti o scuole riconosciuti da Pubbliche Amministrazioni o da ONLUS. L’interpretazione del citato disposto normativo appare però piuttosto problematica, infatti in dottrina numerosi dubbi sono stati sollevati circa i soggetti che risultino investiti da tale “esenzione”. La questione controversa è la seguente: il legislatore ha voluto che la suddetta esenzione da IVA investisse esclusivamente i discenti dei corsi (questione questa senz’altro pacifica) o anche i docenti dei corsi stessi? In altre parole, il docente incaricato dalla scuola (che beninteso emetterà ai discenti ricevute in esenzione IVA per i corrispettivi pagati per la partecipazione ai corsi) dovrà a sua volta emettere parcella a carico della scuola in esenzione IVA, o invece la prestazione sarà assoggettata ad IVA? Alla domanda non è possibile, allo stato attuale, dare una risposta univoca: la dottrina ha espresso pareri contrastanti e gli stessi orientamenti degli Uffici periferici dell’Agenzia delle Entrate risultano controversi. Se poi si ritiene di far riferimento, per la valutazione della fattispecie, alla ratio della norma, va detto che – come statuito dalla Risoluzione Ministeriale 182/E del 22.12.1998 – le disposizioni legislative in materia di esenzione IVA per le attività didattiche mirano ad evitare che gli enti pubblici sopportino l’onere finanziario dell’IVA che sarebbe altrimenti loro addebitata in via di rivalsa dagli esecutori dei corsi di formazione, in quanto ciò limiterebbe la capacità di spesa pubblica in tale settore. Al di là di queste considerazioni, a parere di chi scrive, va evidenziato il fatto che si verte evidentemente in un caso di “obiettive

condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della

norma”, con la conseguenza che, anche qualora il Ministero delle Finanze dovesse esprimersi per un’interpretazione difforme da quella prospettata dal contribuente, comunque quest’ultimo potrebbe pretendere di essere lasciato indenne dall’applicazione di sanzioni ed interessi così come previsto dal terzo comma dell’art. 10 della legge 212/2000. Ovviamente dette considerazioni mal si conciliano con le esigenze di quei contribuenti che intendono improntare i rapporti con l’Amministrazione finanziaria ad estrema prudenza!

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Prima di concludere, è appena il caso di sottolineare che se il corso è organizzato da una scuola non riconosciuta o da altro soggetto diverso da quelli emarginati dalla norma de quo, non vi sarà ovviamente alcuna esenzione né per i discenti, né per i docenti. b) Diversa tipologia di esenzione è poi prevista dall’art. 14, comma 10, della legge 537/1993, in base al quale: “I versamenti eseguiti dagli enti

pubblici per l'esecuzione di corsi di formazione, aggiornamento,

riqualificazione e riconversione del personale costituiscono in ogni caso

corrispettivi di prestazioni di servizi esenti dall'imposta sul valore

aggiunto, ai sensi dell'articolo 10 del decreto del Presidente della

Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633”. Il disposto della legge 537/1993 mira chiaramente ad evitare che gli enti pubblici sopportino l’onere finanziario dell’IVA che sarebbe altrimenti loro addebitata in via di rivalsa dagli esecutori dei corsi di formazione, in quanto ciò limiterebbe la capacità di spesa pubblica in questo settore (RM 182/E del 22.12.1998). Le condizioni richieste ai fini di detta esenzione sono pertanto due: il pagamento del corso deve essere eseguito da un ente pubblico, i corsi devono essere destinati a personale dipendente di enti pubblici (invero va segnalato che l’Amministrazione finanziaria sembra aver recentemente assunto un orientamento teso a considerare in maniera estensiva l’accezione “personale” contenuta nella norma, ivi comprendendo anche soggetti diversi dal personale dipendente vero e proprio). Sulla questione è però opportuno muovere qualche ulteriore considerazione, infatti, stante la lettera della norma e la ratio della stessa emergente dalla Risoluzione Ministeriale del 1998 sopra citata, sembrerebbe di doversi ritenere pacifica l’esenzione da IVA per i corsi di formazione tenuti da psicologi liberi professionisti a favore di enti pubblici e nello specifico per la formazione del personale dell’ente stesso. Invero, nonostante si ritenga che il tenore letterale della norma non desse adito a particolari dubbi interpretativi, sul punto si è sviluppata una prassi ministeriale quanto mai copiosa e talvolta anche contrastante, con il risultato di aver creato molta confusione in ordine ai casi di effettiva esenzione dall’imposta. E’ stato infatti argomentato che l’esenzione prevista dalla disposizione in esame si applicherebbe nei soli casi in cui gli enti pubblici stipulino convenzioni con terzi per l’esecuzione di corsi formativi, e non anche nell’ipotesi di corsi organizzati e gestiti in via autonoma dall’ente medesimo, con ciò intendendo che il requisito dell’esenzione sussisterebbe solo nel caso in cui il professionista che esegue il corso curi personalmente tutti gli aspetti organizzativi del corso stesso, sollevando l’ente da ogni incombenza. Nel susseguirsi di

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risoluzioni ministeriali sull’argomento, l’orientamento più recente (RM 84 del 04.04.2003) assunto dall’Amministrazione Finanziaria sembra proprio muovere nel senso or ora illustrato. Si ritiene in ogni caso che, stante la chiarezza del dettato normativo e stante invece l’incertezza di cosa l’Amministrazione voglia intendere per organizzazione autonoma ad opera del professionista di tutti gli aspetti del corso, sia comunque da considerarsi in esenzione IVA l’attività di formazione svolta da un libero professionista a favore del personale di enti pubblici, qualora sia il professionista a studiare la struttura del programma da svolgere, le modalità didattiche, a fornire il materiale, ecc…. Pare infatti ragionevole ritenere che in tal caso sussisterebbe anche il maggior requisito dell’autonoma organizzazione ad opera del professionista richiesto dalla prassi ministeriale e, ad onor del vero, taciuto dalla norma. 3.3. Attività didattica con finalità di “profilassi” E’ bene non confondere i casi di esenzione IVA per le attività didattiche sopra emarginati (art. 10 n. 20 del DPR 633/1972), con altre fattispecie di attività che – seppur comunemente definite “didattiche” – nulla hanno a che vedere con la formazione in senso stretto, trattandosi piuttosto di attività finalizzate alla tutela della salute pubblica e alla prevenzione. Si tratta, per esempio, dei “corsi” destinati alla prevenzione nell’uso di sostanze stupefacenti o nell’abuso di alcol; così come dei “corsi” di educazione sessuale. Dette attività vengono comunemente definite “didattiche” perché organizzate per lo più in contesti scolastici, ma in realtà pare evidente che non si tratta di attività didattica in senso proprio, e se il “relatore/conduttore” di detti gruppi è un professionista del ramo delle arti sanitarie, pare evidente che dette attività possano scontare l’esenzione IVA di cui all’art. 10 n. 18 del DPR 633/1972 (ovvero proprio quella relativa alle prestazioni sanitarie). Detta impostazione appare d’altro canto conforme a quanto chiarito dallo stesso Ministero delle Finanze con Circolare 4 del 28.01.2005 ove si legge: “Tuttavia la Corte (di Giustizia Europea) ha precisato che anche le

prestazioni effettuate a fini profilattici possono beneficiare dell’esenzione” con ciò statuendo che l’esenzione IVA va riconosciuta a quelle prestazioni mediche che sono dirette alla diagnosi, alla cura e alla guarigione di malattie e problemi di salute, al mantenimento e alla tutela della salute, nonché alla profilassi.

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3.4. Attività di consulente tecnico d’ufficio o di parte L’art. 10 del DPR 633/1972 al n. 18) statuisce l’esenzione da IVA per “le

prestazioni sanitarie e di diagnosi, cura e riabilitazione rese alla persona

nell’esercizio delle professioni e arti sanitarie …”. Ora, con riferimento all’attività di consulenza tecnica (d’ufficio o di parte) resa tanto da un medico quanto da un qualunque professionista dell’area sanitaria, si deve rilevare che manca l’attività terapeutica propriamente intesa di cui al citato art. 10. Le consulenze tecniche hanno infatti una finalità diversa da quella della “cura” della persona, trattandosi piuttosto di pareri tecnici resi ad un giudice o ad un privato, ragione per cui tali prestazioni vanno assoggettate ad IVA. Per mera completezza di trattazione si fa presente che l’assoggettamento ai fini IVA di tali prestazioni è stato recentemente confermato dalla stessa Amministrazione Finanziaria sempre con la sopra menzionata Circolare dell’Agenzia delle Entrate 4/E del 28.01.2005, ove viene espressamente esclusa l’esenzione IVA per le attività peritali poste in essere da medici. Si tratta invero di una conferma da tempo preannunciata, atteso che in passato la Corte di Giustizia Europea si era ripetutamente espressa nel senso di escludere l’esenzione IVA per le attività peritali svolte da medici e da professionisti del settore sanitario. La Corte di Giustizia Europea (con proprie sentenze del 14.09.2000 e del 20.11.2003) aveva infatti sottolineato la necessità di interpretare in modo restrittivo ogni disposizione diretta ad introdurre un’esenzione IVA. Secondo la Corte, l’elemento fondamentale per cui le prestazioni mediche possano dirsi tali è lo scopo, che deve essere necessariamente terapeutico o tutt’al più preventivo. Posto che le sentenze della Corte di Giustizia Europea non solo sono direttamente efficaci anche sul territorio italiano, ma anzi sono addirittura l’emanazione di un ordinamento superiore, era evidente che le stesse fossero necessariamente destinate ad essere recepite anche dal nostro ordinamento interno. Ad ulteriore conferma, al fine di armonizzare la normativa italiana con quella comunitaria, l’art. 1 comma 80 della Legge Finanziaria per il 2008 (legge 244/2007) ha stabilito che le prestazioni professionali specifiche di medicina legale sono assoggettate ad IVA a decorrere dal periodo d’imposta 2005. 4. Indetraibilità soggettiva dell’IVA: il pro-rata di detraibilità Ai sensi dell’art. 19, secondo comma, del DPR 633/1972 non è detraibile l’imposta sul valore aggiunto relativa all’acquisto di beni e servizi afferenti

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operazioni (attive) esenti o non soggette all’imposta. Infatti, il diritto alla detrazione non è riconosciuto, o solo in forma limitata, nei confronti dei soggetti che effettuano totalmente o parzialmente operazioni attive esenti. Se al volume d’affari complessivo dello psicologo concorrono abitualmente sia operazioni imponibili sia operazioni esenti, la detrazione dell’IVA sugli acquisti non può riguardare tutta l’IVA pagata. Per conoscere la percentuale che, applicata all’IVA pagata sugli acquisti, può essere portata in detrazione si deve calcolare un rapporto chiamato pro-rata di detraibilità. Il pro-rata non è altro che il rapporto tra l’ammontare annuo delle operazioni che danno diritto a detrazione e lo stesso ammontare aumentato delle operazioni esenti. Con pro-rata di detraibilità pari allo 0%, l’IVA sugli acquisti è quindi totalmente indetraibile e viene imputata a costo dei beni o servizi cui si riferisce, andando quindi ad aumentare i relativi costi. 5. Indetraibilità oggettiva dell’IVA Abbiamo or ora visto come esistono dei casi di detraibilità parziale dell’IVA, dovuti alla situazione soggettiva del contribuente, ovvero dovuti alla tipologia di prestazioni professionali che lo stesso pone in essere (e che danno luogo o meno al pro-rata di detraibilità). La disciplina IVA prevede però anche alcuni casi di detraibilità parziale dell’IVA, o addirittura di totale indetraibilità, dovuti non alla situazione soggettiva del contribuente ma alla natura oggettiva del bene acquistato. Si annoverano di seguito alcune specifiche ipotesi in cui è limitata o esclusa la detrazione dell’imposta assolta sugli acquisti, proprio in ragione della natura oggettiva del bene (e di cui, invero, si è già fatto cenno nella parte relativa alla determinazione del reddito di lavoro autonomo con riferimento ai componenti negativi di reddito): �Veicoli a motore Dal 28.06.2007, l’imposta pagata dai professionisti per l’acquisto di veicoli a motore ad uso promiscuo, così come tutte le spese relative all’utilizzo e alla manutenzione dei mezzi di trasporto compreso il carburante (documentato a mezzo apposite schede) è detraibile nella misura del 40% dell’imposta stessa, restando indetraibile il residuo 60%.

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Dal 13 settembre 2006 e fino al 28.06.2007 era data facoltà al contribuente di detrarre l’IVA in misura superiore al 40% dell’imposta stessa, purché in misura proporzionale all’effettivo impiego professionale e con onere della prova (del diritto ad una maggior detrazione) a proprio carico. Quanto al transito stradale, la legge 244/2007 ha soppresso la disposizione che prevedeva l’indetraibilità totale dell’IVA assolta su detta spesa, pertanto, a decorrere dal 28.06.2007, la stessa sarà detratta nella misura del 40%. Il dettato normativo precedente al 14 settembre 2006, prevedeva che l’IVA pagata per l’acquisto di veicoli a motore era detraibile nella misura del 15% dell’imposta stessa; l’IVA relativa a tutte le spese di utilizzo e manutenzione era invece totalmente indetraibile. Il mutamento legislativo si è reso invero necessario a causa di una sentenza di condanna della Corte di Giustizia Europea che ha dichiarato l’illegittimità della normativa IVA italiana laddove prevedeva la pressoché totale in detraibilità dell’IVA assolta sulle spese auto. A seguito di detta sentenza, il DL 258/2006, ha dato facoltà ai contribuenti di presentare istanza di rimborso forfetaria dell’IVA relativa agli acquisti effettuati dal 01.01.2003 al 13.09.2006. L’istanza forfetaria andava presentata per via telematica entro il 16.10.2007 e prevedeva il rimborso del 40% dell’IVA non detratta calcolato al netto delle minori imposte dirette pagate per effetto della quota di IVA computata a costo (in quanto – a suo tempo - indetraibile), determinate a sua volta in misura forfetaria (pari al 10% del rimborso stesso). In alternativa il contribuente può ancora presentare (entro il maggior termine del 15.11.2008) istanza di rimborso analitica, all’uopo documentando il diritto ad una detrazione superiore al 40%, con onere della prova a proprio carico. �Prestazioni alberghiere, somministrazioni di alimenti e bevande L’IVA relativa a questi acquisti è stata indetraibile fino al 31 agosto 2008. Dal 1° settembre 2008 la legge 133/2008 ha disposto che l’IVA assolta su dette spese sia detraibile per intero; permane l’indetraibilità dell’imposta in relazione alle spese di ristorante e di albergo sostenute come spese di rappresentanza. �Telefoni cellulari A decorrere dall’anno d’imposta 2008 l’IVA relativa all’acquisto, noleggio, leasing e alle spese di gestione dei telefoni cellulari è detraibile in funzione dell’effettivo utilizzo professionale (fino al 31.12.2007 la norma prevedeva una generale indetraibilità al 50% dell’imposta assolta su tutte

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le spese di telefonia mobile). Il regime di detraibilità dell’IVA su dette spese è stato modificato dalla Finanziaria per il 2008 al fine di armonizzare la normativa italiana con quella comunitaria, atteso che la Commissione europea di Bruxelles sulla fiscalità aveva formulato nel dicembre 2004 una lettera di richiamo allo Stato italiano nella quale si denunciava l’illegittimità della detraibilità parziale del tributo in quanto non in linea con la sesta direttiva comunitaria in materia di IVA. �Beni ad uso promiscuo La detrazione per l’acquisto di beni e servizi utilizzati sia a scopo professionale, sia a scopo privato è ammessa nella misura del 50%.

* * * Si precisa che in tutti i casi di IVA oggettivamente indetraibile (in tutto o in parte) la quota di imposta non detraibile costituirà un costo di esercizio fiscalmente deducibile.

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CAPITOLO OTTAVO L’IRAP 1. Tratti salienti dell’imposta L’IRAP è stata introdotta dal d.lgs 446/1997 e applicata a decorrere dal periodo d’imposta in vigore al 1° gennaio 1998; essa colpisce un indice di capacità contributiva che viene individuato dalla legge “nell’esercizio

abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione

o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi”.

Ne deriva che tale imposta è stata applicata sin dalla sua origine tanto ai titolari di redditi d’impresa quanto ai titolari di redditi di lavoro autonomo (tra l’altro espressamente indicati dalla norma tra i soggetti passivi dell’imposta), non senza però forti perplessità da parte degli addetti ai lavori in ordine alla effettiva sussistenza del presupposto impositivo ai fini IRAP per i soggetti esercenti attività libero professionali, ma sul punto torneremo più ampiamente nel prosieguo. E’ appena il caso di ricordare che non sono soggetti IRAP né i collaboratori coordinati e continuativi, né i soggetti che prestano lavoro autonomo occasionale. La base imponibile è costituita dal valore della produzione netta derivante dall’attività esercitata sul territorio regionale. Si considera prodotto nella regione nel cui territorio il soggetto passivo è domiciliato il valore della produzione netta derivante dalle attività esercitate nel territorio di altre regioni senza l’impiego, per almeno tre mesi, di personale. Per i professionisti “la base imponibile è determinata dalla differenza tra

l’ammontare dei compensi percepiti e l’ammontare dei costi sostenuti

inerenti l’attività esercitata, compreso l’ammortamento dei beni materiali

e immateriali, esclusi gli interessi passivi e le spese per il personale

dipendente”. Rispetto alle spese per il personale, sono comunque deducibili i contributi INAIL pagati, nonché le spese per apprendisti e disabili. Il periodo d’imposta è lo stesso fissato ai fini IRPEF ed analoghe sono le scadenze relative agli obblighi dichiarativi e di versamento. L’aliquota applicabile alla base imponibile è pari al 4,25%. Alle Regioni è data facoltà di variare l’aliquota così fissata di non oltre un punto

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percentuale. In funzione della base imponibile realizzata, sorge il diritto ad una deduzione forfetaria ragguagliata ad anno (cosiddetta deduzione “GEIE”) il cui ammontare è individuato nella tabella che segue (valevole dal periodo d’imposta 2005):

BASE IMPONIBILE DEDUZIONE fino a € 180.759,91 8.000 € oltre € 180.759,91 e fino a € 180.839,91 6.000 € oltre € 180.839,91 e fino a € 180.919,91 4.000 € oltre € 180.919,91 e fino a € 180.999,91 2.000 € Ai soggetti con componenti positivi di reddito non superiori a 400.000 €, spetta un’ulteriore deduzione dalla base imponibile pari a 2.000 € per ogni lavoratore dipendente impiegato nel periodo d’imposta fino ad un massimo di cinque dipendenti. La deduzione va ragguagliata ai giorni di durata del rapporto di lavoro, nonché va ridotta in misura proporzionale nel caso di contratti di lavoro a tempo parziale. Ulteriori deduzioni dalla base imponibile IRAP sono state introdotte – a decorrere dal periodo d’imposta 2007 – dalla Finanziaria per il 2007. La riduzione del cuneo fiscale che grava sul lavoro dipendente è stata infatti realizzata attraverso l’aumento delle deduzioni dalla base imponibile IRAP dei costi sostenuti per i lavoratori dipendenti (5.000 € l’anno per ogni dipendente a tempo indeterminato; 10.000 € se il dipendente è impiegato nelle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia). Per gli anni dal 2005 al 2008 è riconosciuta un’ulteriore deduzione ai fini IRAP non superiore a 20.000 € annui per ciascun nuovo dipendente assunto a tempo indeterminato che comporti un incremento della forza occupazionale e nel limite dell’incremento complessivo del costo del personale. Il diritto alla deduzione decade se nei periodi d’imposta successivi al 2004, il numero di dipendenti risulta pari o inferiore rispetto al numero di quelli mediamente occupati in tale periodo d’imposta. Per ogni periodo di imposta si dovrà presentare una dichiarazione che dovrà essere inserita nell’ambito del modello Unico e quindi presentata con la tempistica e le modalità per esso previste. 2. La nuova IRAP voluta dalla Finanziaria 2008

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In base all’art. 1, commi da 43 a 45, della legge 244/2007, l’IRAP – a decorrere dal 01.01.2009 – dovrebbe diventare un tributo proprio della Regione da istituirsi con legge regionale. La normativa or ora menzionata dispone che le Regioni non avranno facoltà di modificare i criteri di determinazione della base imponibile, ma potranno intervenire - nei limiti stabiliti dalle leggi statali - sulle aliquote, su detrazioni e deduzioni, nonché introdurre speciali agevolazioni. La normativa de quo prevede inoltre l’approvazione di uno schema tipo di regolamento regionale per la liquidazione, la riscossione e l’accertamento del tributo. Il nuovo impianto normativo prevede conseguentemente che la dichiarazione IRAP andrà presentata separatamente dal modello Unico direttamente alla Regione o Provincia autonoma.

3. Osservazioni in ordine alla sussistenza del presupposto impositivo ai fini IRAP nelle attività libero professionali (è davvero dovuta l’IRAP?) Come già precedentemente accennato, sin dall’epoca dell’istituzione dell’IRAP, da più parti sono stati sollevati dubbi in ordine alla legittimità costituzionale dell’imposta stessa. Numerosi giudizi sono stati infatti promossi avanti ai giudici tributari da lavoratori autonomi che hanno impugnato il silenzio-rifiuto formatosi sulle istanze di rimborso dell’imposta dagli stessi versata a mero scopo prudenziale. Le questioni di legittimità costituzionale rimesse alla Corte Costituzionale da molte Commissioni Tributarie, hanno invero condotto all’ormai nota sentenza della stessa Corte Costituzionale 156/2001, ove i giudici di legittimità, nel far salva l’imposta, sembrano invero aprire un varco sul concetto di organizzazione che potrebbe ipoteticamente portare all’esclusione dei professionisti (o per lo meno di alcune categorie di professionisti) dall’imposta, laddove la Corte ha statuito che “nel caso di

un’attività professionale che fosse svolta in assenza di elementi di

organizzazione … risulterà mancante il presupposto stesso dell’imposta

sulle attività produttive”.

La citata sentenza ha dato l’avvio ad una serie di pronunce giurisprudenziali di merito dirette per lo più ad accogliere le doglianze dei contribuenti che lamentavano l’illegittimità dell’assoggettamento all’IRAP

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di soggetti privi di rilevanti ed autonome organizzazioni di capitale. Tale linea difensiva trae ispirazione dal noto principio in base al quale l’attività libero professionale si basa essenzialmente sull’intuitus personae ovvero sull’incapacità della struttura di produrre autonomamente reddito in assenza del professionista titolare dello studio e ciò proprio in virtù della personalità dell’incarico. E’ così che a decorrere dall’autunno del 2001 si è assistito ad una serie innumerevole di pronunce di Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali, le quali si sono espresse con un andamento altalenante, talvolta accogliendo le doglianze dei contribuenti, talvolta respingendole sulla base di argomentazioni spesso “disordinate” che alternano aperture e chiusure. Nel tentativo di dare una soluzione unitaria alla questione dell’assoggettamento o meno ad IRAP dei professionisti, la Corte di Cassazione ha fissato una seduta ad hoc il giorno 8 febbraio 2007 (cosiddetto “IRAP-DAY”), riunendo all’uopo un’ottantina di contenziosi sull’argomento. A fronte delle sentenze conseguentemente depositate dalla Corte di Cassazione pare emerga un orientamento favorevole ai professionisti privi di organizzazione: le decisioni della Suprema Corte muovono infatti nel senso di escludere l’assoggettamento ad IRAP per quei professionisti che non si avvalgono stabilmente della collaborazione di terzi e che non siano dotati di beni strumentali di valore significativo. La valutazione dell’esistenza o meno di un organizzazione dovrebbe pertanto essere sottoposta di volta in volta al vaglio dei giudici di merito. In attesa che il legislatore fiscale proceda alla stesura e all’approvazione di una specifica norma (per altro sollecitata a gran voce da più parti) che fornisca le istruzioni e gli strumenti per stabilire caso per caso quando i professionisti sono o meno assoggettati all’IRAP, l’orientamento della Cassazione pare l’unica linea guida fruibile. Con l’approvazione della legge Finanziaria per il 2008, e la conseguente previsione di una categoria di contribuenti esclusi a priori dallo stesso legislatore dal pagamento dell’IRAP (i cosiddetti “contribuenti minimi”) pareva che potesse trovare una volta per tutte soluzione la questione dei possibili soggetti esclusi dal tributo; ma di fronte ad una specifica interrogazione parlamentare dell’onorevole Maurizio Leo (n. 5-01900 del 16.01.2008) che chiedeva di sapere se i contribuenti che posseggono i requisiti per l’accesso al regime agevolato dei contribuenti minimi (compensi < 30.000 €, nessun dipendente o collaboratore, investimenti in beni strumentali < 15.000 € in un triennio) possono considerarsi esclusi dal pagamento dell’IRAP anche nel caso in cui non decidano di optare per il regime agevolato, il Governo si è espresso nel senso di escludere che

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detti contribuenti possano beneficiare dell’esclusione dal pagamento del tributo. Il Governo ha giustificato tale risposta sostenendo che l’esclusione dall’IRAP per i “contribuenti minimi” è giustificata dalla volontà di semplificare al massimo gli adempimenti fiscali per questi contribuenti, che pertanto – qualora decidano di non sfruttare dette semplificazioni – saranno tenuti, oltre all’espletamento di tutti gli altri ordinari adempimenti fiscali, anche al pagamento del tributo. Va però detto che lo stesso Governo, nel rispondere a detta interrogazione parlamentare, ha specificato che i contribuenti potenzialmente minimi che optano per le regole ordinarie, sono tenuti al pagamento del tributo “qualora in ragione delle caratteristiche dell’attività

svolta, verificabili di volta in volta dagli organi di controllo, siano soggetti

passivi IRAP”. Tale affermazione lascia invero intendere che la stessa Amministrazione Finanziaria ha preso atto dell’orientamento assunto dalla giurisprudenza secondo il quale il requisito dell’autonoma organizzazione va verificato caso per caso. Ciò premesso, nell’attuale scenario normativo, confortati soltanto dall’orientamento della Corte di Cassazione e dalle timide aperture or ora illustrate che possono attribuirsi alla stessa Amministrazione Finanziaria, diventa invero difficile per i contribuenti assumere delle decisioni circa la reale debenza del tributo tanto per il futuro, quanto per il passato. Per il futuro, la circostanza che sia stato eliminato già dalla dichiarazione Unico 2008 per l’anno 2007 l’”errore bloccante” che impediva fino a quel momento l’invio telematico delle dichiarazioni dei professionisti se prive del modello IRAP consente al contribuente una valutazione circa la sussistenza per se stesso del requisito dell’autonoma organizzazione richiesto dalla normativa de quo, e conseguentemente consente a quel contribuente di scegliere se compilare o meno la dichiarazione IRAP, conseguentemente versando o meno il relativo tributo. Va detto che, nel caso in cui l’Ufficio ritenesse di non condividere le conclusioni del professionista, la dichiarazione IRAP dovrebbe considerarsi omessa con il conseguente rischio della richiesta di pagamento dell’imposta (che si dovrebbe considerare evasa) e delle sanzioni nella misura compresa tra il 120% e il 240% dell’imposta dovuta, oltre agli interessi. Pare invece assolutamente sconsigliabile procedere alla presentazione della dichiarazione IRAP, limitandosi a non versare il tributo. La compilazione della dichiarazione fa infatti sorgere l’obbligo di versamento del tributo per stessa ammissione da parte del contribuente. Vero è che, in questa seconda ipotesi, la sanzione applicabile sarebbe pari al 10% dell’imposta (o tutt’al più al 30% in sede di notifica della relativa cartella di pagamento), ma è altrettanto vero che sarebbe difficile per il

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contribuente, una volta presentata la dichiarazione, dimostrare in sede contenziosa che per se stesso mancano i requisiti di autonoma organizzazione previsti dalla normativa per l’applicazione dell’imposta. Per gli anni passati è invece possibile procedere alla presentazione delle istanze di rimborso dell’imposta versata per non lasciar decadere i termini per la presentazione delle stesse che sono fissati in 48 mesi dalla data del versamento (art. 38 DPR 602/1973). Una volta presentata istanza di rimborso agli uffici competenti (Agenzia delle Entrate), decorre il termine di 90 giorni entro i quali è data facoltà all’Ufficio di pronunciarsi in ordine all’istanza. Inutilmente decorso il termine suddetto senza che l’Ufficio si sia pronunciato, si consolida il cosiddetto silenzio-rifiuto, atto autonomamente impugnabile innanzi alle Commissioni Tributarie nel termine prescrizionale di dieci anni. Nell’ipotesi che l’Ufficio dovesse pronunciarsi espressamente sull’istanza, negando il diritto al rimborso, l’eventuale ricorso alla Commissione Tributaria dovrebbe essere inoltrato entro 60 giorni dal rifiuto-espresso dell’Ufficio. In alternativa i contribuenti che ritengono di aver avuto anche negli anni passati una struttura tale da giustificare l’esclusione dal tributo potrebbero valutare la presentazione di una dichiarazione integrativa a favore, ripresentando il modello Unico privo della dichiarazione IRAP e utilizzando in compensazione l’imposta pagata per quell’anno. Questa soluzione presenta l’indubbio vantaggio di non dover attendere i tempi del contenzioso prima e dei rimborsi eventualmente disposti poi, ma è purtroppo esperibile solo con riferimento all’ultima dichiarazione presentata dal professionista (la presentazione della dichiarazione integrativa a favore con utilizzo in compensazione del credito d’imposta emergente può avvenire solo entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno d’imposta successivo). Dopo un decennio di contenziosi tributari sulla materia, l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato la circolare n. 45/E del 13 giugno 2008 con la quale finalmente pare recepire le indicazioni fornite dalla giurisprudenza in materia di IRAP e professionisti. Nella Circolare infatti si legge: “Preso atto dell’orientamento ormai

consolidato della Corte di Cassazione, non è ulteriormente sostenibile la

tesi interpretativa dell’assoggettamento generalizzato ad IRAP degli

esercenti arti e professioni”. Ma ancora: “sussiste autonoma

organizzazione (e quindi il tributo è dovuto) quando ricorre almeno uno

dei seguenti presupposti, da valutare caso per caso: a) impiego in modo

non occasionale di lavoro altrui, b) utilizzo di beni strumentali eccedenti,

per quantità o valore le necessità minime per l’esercizio dell’attività”.

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Resta il fatto che le indicazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate non consentono un’individuazione puntuale delle fattispecie escluse dal pagamento del tributo, con la conseguenza che ricade nuovamente sui professionisti il rischio di valutazioni e decisioni che potrebbero un domani non essere condivise dall’Amministrazione finanziaria in sede di controllo della posizione fiscale del singolo contribuente. Le uniche fattispecie per le quali l’Agenzia delle Entrate sembra voler dare un’indicazione inequivocabile per la non debenza del tributo sono quelle relative ai professionisti che operano in strutture altrui e a quelli che (anche con riferimento ad anni passati) avrebbero le caratteristiche per accedere al regime dei contribuenti minimi (al di là del fatto che abbiano poi, per l’anno 2008, effettivamente optato per detto regime). E’ comunque circostanza positiva il fatto che, con la circolare de quo, l’Agenzia delle Entrate asserisca di prendere atto del consolidato orientamento giurisprudenziale, conseguentemente passando in rassegna diverse sentenze della Corte di Cassazione e utilizzando i principi in esse sanciti quali chiavi di lettura per valutare caso per caso la debenza o meno del tributo. Ciò consente infatti oggi ai professionisti di valutare la propria struttura organizzativa ai fini delle debenza o meno dell’IRAP non solo facendo riferimento alla citata circolare, ma anche – con maggiore serenità rispetto al passato – con riferimento alla giurisprudenza ormai consolidata sull’argomento. 4. Effetti dell’adesione al condono di cui alla legge 289/2002 sulle istanze di rimborso La definizione automatica effettuata ai sensi dell’art. 9 della legge 289/2002 (cosiddetto condono tombale), così come la definizione effettuata ai sensi dell’art. 7 della stessa legge (cosiddetto concordato), “rendono definitivi, limitatamente alle annualità interessate dalla

definizione, gli imponibili esposti nella dichiarazione originaria,

conseguentemente comportando la rinuncia ad eventuali cause di

esclusione dall’imponibile stesso”. Ne deriverebbe pertanto che i professionisti che hanno aderito ad una delle suddette forme di condono, dovrebbero aver automaticamente perso il diritto all’eventuale rimborso dell’IRAP versata con riferimento alle annualità comprese nel condono stesso. Tale pare essere tra l’altro l’orientamento assunto dalla Corte di Cassazione nelle sentenze depositate a seguito della maxi-udienza dell’8 febbraio 2007 che hanno infatti negato il diritto al rimborso a quei professionisti che avevano usufruito di una delle sanatorie sopra

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menzionate. 5. L’orientamento della giurisprudenza (tabella di sintesi) Si propone di seguito una panoramica della più recenti sentenze in materia di IRAP e professionisti. La vastità delle sentenze pubblicate in questo ultimo quinquennio e il recente deposito delle sentenze della Corte di Cassazione a seguito dell’”IRAP-DAY” ha indotto chi scrive a proporre una selezione di sentenze che appaiono più significative per le professioni sanitarie, facendo riferimento tanto alla tipicità della fattispecie analizzata dai giudici, quanto all’autorevolezza del giudice chiamato a pronunciarsi nei vari ricorsi.

ESTREMI SENTENZA

DATA SENTENZA

FATTISPECIE ESITO SENTENZA

MOTIVAZIONI

CTR Lombardia sez. 15 n. 132

dep. 4/4/08 Psicologa; impiego di beni strumentali limitati; senza dipendenti; uso promiscuo dell’abitazione

Favorevole al contribuente

Il requisito dell’autonoma organizzazione deve essere tale da consentire l’attribuzione di una capacità contributiva distinta, impersonale e d ulteriore rispetto a quella oggetto dell’ordinaria imposizione sui redditi

Cassazione sez. trib. n. 2704

dep. 5/2/08 Medico; impiego di beni strumentali limitati; senza dipendenti

Favorevole al contribuente

Il requisito dell’autonoma organizzazione sussiste solo ove il contribuente impieghi beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui

Cassazione sez. trib. n. 2712

dep. 5/2/08 Medico libero professionista; impiego di beni strumentali limitati; senza dipendenti

Favorevole al contribuente

L’imposta non è applicabile quando il risultato economico trovi ragione esclusivamente nella auto-organizzazione del professionista o comunque l’organizzazione da lui predisposta abbia incidenza marginale e non richieda necessità di coordinamento

Cassazione sez. trib. n. 1843

dep. 28/1/08 Medico; impiego di beni strumentali limitati; senza dipendenti

Favorevole al contribuente

Costituisce principio consolidato la prova dell’esistenza di un’autonoma organizzazione di natura oggettiva che non sussiste per il solo fatto che l’attività del contribuente sia organizzata

Cassazione sez. 5 n. 23689

dep. 15/11/07 Libero professionista del settore sanitario

Sfavorevole al contribuente

La Corte rigetta il ricorso in quanto costituisce onere del contribuente dare la prova dell’assenza delle condizioni presupposto per l’applicazione dell’imposta.

Cassazione sez. 5 n. 13811

dep. 13/6/07 Medico odontoiatra; organizzazione data da strumentazione

Sfavorevole al contribuente

La Corte legittima l’imposizione solo a cospetto di una struttura organizzativa e cioè di fattori dei

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tecnica; presenza di diversi collaboratori in maniera fissa e continua

quali il professionista si avvale e che per numero, importanza e valore economico siano in grado di creare un valore aggiuntorispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al suo know-how. Non può invece affermarsi l’esclusione da Irap per il solo fatto che la professione è protetta.

Cassazione sez. trib. n. 9211

dep. 18/4/07 Medico di famiglia; assenza di elementi di organizzazione

Favorevole al contribuente

Non è soggetto ad Irap il libero professionista che non si avvalga di terzi collaboratori e attinga dalle proprie risorse personali i mezzi per la locazione dell’ambulatorio e per il possesso dei beni strumentali necessari

Cassazione sez. trib. n. 6502

dep. 19/3/07 Libero professionista; assenza di elementi di organizzazione

Favorevole al contribuente

Risulta mancante il presupposto dell’Irap, quando l’attività viene svolta in assenza di elementi di organizzazione

Cassazione sez. 5 n. 5020

dep. 5/3/07 Medico di base; beni strumentali dal valore estremamente ridotto; senza dipendenti o collaboratori

Favorevole al contribuente

Il requisito dell’autonoma organizzazione ricorre quando il contribuente sia il responsabile dell’organizzazione e non sia perciò inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; utilizzi beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione o si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui

Cassazione sez. 5 n. 3674

dep. 16/2/07 Pediatra in convenzione con l’ASL; impiego di beni strumentali limitati; senza dipendenti

Favorevole al contribuente

Il requisito dell’autonoma organizzazione necessaria perché un’attività sia soggetta ad Irap ha portata oggettiva, anche se non è necessario che l’apparato organizzativo del professionista raggiunga un grado di autonomia tale da eclissare la figura e l’opera dell’esercente arti e professioni

CTR Puglia sez. 15 n. 146

dep. 17/1/06 Medico di base convenzionato con le ASL

Favorevole al contribuente

Il medico di base esercita l’incarico sotto il potere di sorveglianza delle ASL; apre ambulatorio nella località a lui assegnata; deve osservare un determinato orario; ha un numero massimo di assistiti; ha un trattamento economico prestabilito; questi, sono tutti elementi che per il giudice escludono l’esistenza di un’organizzazione autonoma enon rendono necessarie prove per la verifica dell’esistenza o meno dell’organizzazione.

CTR Lazio sez. 14 n. 98

dep. 19/7/05 Medico odontoiatra che svolge la sua attività presso locali di altro studio; senza collaboratori

Favorevole al contribuente

L’Irap è dovuta solo quando il contribuente esercita la sua attività con un’organizzazione autonoma costituita cioè, da un insieme di capitale e di lavoro coordinati e organizzati in modo autonomo tale da creare valore aggiunto anche senza l’apporto personale del professionista.

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CAPITOLO NONO Le dichiarazioni fiscali, in particolare il modello Unico 1. Obblighi connessi Lo psicologo libero professionista è tenuto annualmente alla presentazione della dichiarazione modello Unico, comprendente il modello relativo ai redditi, la dichiarazione IRAP (almeno fino all’anno d’imposta 2007), la dichiarazione IVA (se obbligatoria), gli Studi di Settore o il mod. INE. Il modello Unico deve essere presentato per via telematica (direttamente o tramite gli intermediari abilitati) o tramite Banca o Posta. La trasmissione telematica deve essere effettuata entro il 31 luglio dell’anno successivo a quello cui la dichiarazione si riferisce; in caso di presentazione cartacea, la scadenza è anticipata al 30 giugno. Invero, oramai la trasmissione telematica del modello Unico costituisce la regola per la stragrande maggioranza dei contribuenti, infatti i soli contribuenti esclusi dalla presentazione telematica del modello Unico sono le persone fisiche impossibilitate a presentare il modello 730 perché privi di datore di lavoro o non titolari di pensione e quelle che, pur avendo un datore di lavoro od essendo titolari di pensione, devono dichiarare alcuni redditi o comunicare alcuni dati che non trovano collocazione nel modello 730. Quanto al versamento delle imposte, il saldo delle imposte sui redditi relative all’anno precedente deve essere versato in autotassazione entro il 16 giugno di ogni anno o alternativamente entro il 16 luglio con una maggiorazione a titolo di interessi pari allo 0,40%. Le stesse scadenze valgono anche per il versamento del primo acconto delle imposte per l’anno in corso. E’ data facoltà al contribuente di rateizzare gli importi a debito (saldo e primo acconto) in un massimo di sei rate (o di cinque rate qualora il primo versamento venga effettuato entro il 16 luglio anziché entro il 16 giugno) maggiorate degli interessi pari complessivamente al 6% annuo. Il versamento del secondo acconto avverrà invece in un’unica soluzione entro il 30 novembre di ogni anno. Il versamento degli acconti è calcolato facendo riferimento all’imposta del periodo precedente, diminuita delle detrazioni, dei crediti d’imposta e delle ritenute spettanti. E’ possibile procedere ad un’autoriduzione degli acconti in base al reddito previsto per l’anno in corso; si tratta però di una

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procedura da adottare con cautela atteso che un’errata autoriduzione degli acconti potrebbe comportare l’applicazione di sanzioni ad opera degli Uffici Finanziari. A decorrere dall’anno d’imposta 2007, per effetto delle modifiche introdotte dalla legge 296/2006, si torna al vecchio metodo delle detrazioni d’imposta (di lavoro autonomo o di lavoro dipendente) e alle detrazioni per familiari a carico, che andranno quindi a sostituirsi alla “no-tax area” e alla “family-area” introdotte dal 2005. La sostanziale differenza tra il precedente metodo delle deduzioni (dal reddito) e l’attuale metodo delle detrazioni (dall’imposta) consiste nel fatto che le prime vanno a ridurre il reddito imponibile sul quale si conteggiano le imposte, mentre le seconde vanno a ridurre direttamente l’imposta. �Il reddito complessivo è dato dalla somma di: �redditi di terreni, �redditi di fabbricati, �redditi da lavoro dipendente, �redditi da lavoro autonomo, �redditi d’impresa, �redditi di capitale, �redditi da partecipazione in società di persone, �redditi diversi. Sulla base imponibile così determinata, si calcolano IRPEF e relative addizionali secondo le aliquote previste dall’art. 13 del TUIR. Per i redditi prodotti a decorrere dal 2007, le aliquote sono le seguenti: • Fino a € 15.000 => 23% • Oltre € 15.000 e fino a € 28.000 => 27% • Oltre € 28.000 e fino a € 55.000 => 38% • Oltre € 55.000 e fino a € 75.000 => 41% • Oltre € 75.000 => 43% Una volta determinata l’imposta lorda a debito, sarà necessario scomputare (oltre alle detrazioni per lavoro autonomo/dipendente e per carichi di famiglia sopra menzionate) anche le detrazioni d’imposta derivanti dalla sussistenza di oneri detraibili al fine di giungere alla determinazione dell’imposta netta. Infine, dall’imposta netta così determinata, si scomputano le ritenute subite e gli eventuali acconti che sono stati versati, ottenendo così il saldo a debito da versare o il saldo a credito. In caso di dichiarazione con saldo a credito, questo potrà alternativamente: essere chiesto a rimborso,

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essere portato in diminuzione dalla dichiarazione successiva o essere utilizzato in compensazione di altri debiti tributari. Per quanto riguarda invece la determinazione della base imponibile IRAP si rinvia a quanto già illustrato al capitolo dedicato a tale imposta, con la sola precisazione che l’IRAP (tutt’al più dovuta – ricordiamolo – limitatamente al reddito di lavoro autonomo e non già sul reddito complessivo) non gode delle deduzioni dal reddito e delle detrazioni d’imposta sopra emarginate ed inerenti esclusivamente l’IRPEF. 2. L’elenco clienti-fornitori La legge 248/2006 ha reintrodotto l’obbligo della trasmissione (telematica) all’Anagrafe Tributaria dell’elenco annuale clienti-fornitori. A regime l’elenco doveva essere trasmesso entro il 28 aprile di ogni anno e doveva contenere codice fiscale e partita IVA dei clienti e dei fornitori, oltre che ammontare complessivo delle operazioni attive o passive effettuate per ogni cliente e per ogni fornitore. Con la conversione in legge del DL 112/2008 viene definitivamente soppresso l’obbligo annuale di trasmissione dell’elenco clienti-fornitori. E’ importante sapere che in ragione del principio del cosiddetto favor rei non saranno comunque sanzionabili eventuali inadempienze risalenti all’epoca di vigenza della vecchia normativa. Per i professionisti l’obbligo ha quindi interessato il solo anno d’imposta 2007 con l’esclusione dei professionisti che avessero optato, per quell’anno, per il regime delle nuove iniziative produttive di cui all’art. 13 della legge 388/2000. Alcune operazioni sono state, tra l’altro, escluse dall’elenco; in particolare, non andavano indicate le operazioni relative a fatture di vendita o di acquisto di importo inferiore a € 154,94 registrate cumulativamente e le operazioni relative a fatture di vendita o di acquisto per le quali non è prevista la registrazione ai fini IVA. Infine i clienti da indicare erano solo i soggetti passivi d’imposta e potevano essere individuati anche solo con la partiva IVA al posto del codice fiscale, così come i fornitori. 3. La compensazione dei crediti tributari e il modello F24

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E’ data facoltà ai contribuenti di effettuare la compensazione tra i crediti e i debiti relativi a diverse imposte e contributi risultanti dalle dichiarazioni annuali e ciò attraverso il modello F24 (detto anche delega di pagamento). Tale compensazione avviene indicando nell’apposita colonna del modello F24 i debiti che devono essere pagati e nella colonna dei crediti i crediti che sono portati in diminuzione dei debiti. Anche quando la compensazione sia totale e il modello di pagamento risulti a zero, è comunque necessario procedere alla sua presentazione in banca o in posta. Infatti, in caso di mancata presentazione della delega di pagamento, l’Amministrazione Finanziaria considererà non effettuati i versamenti. I codici tributo da utilizzare per i versamenti mediante modello F24 sono reperibili sul sito internet dell’Agenzia delle Entrate. Dal 1° gennaio 2007, sussiste l’obbligo per tutti i soggetti titolari di partita IVA effettuare i versamenti con F24 esclusivamente per via telematica. Il versamento telematico può essere effettuato tramite: �il servizio di “home banking” fornito dal canale CBI delle banche; �il software “Fisco Online” del Ministero delle Finanze; �gli intermediari abilitati (professionisti incaricati). 4. Certificazione dei rimborsi L’art. 10 del DL 269/2003 ha previsto la possibilità da parte dell’Amministrazione Finanziaria di rilasciare un’attestazione dei crediti tributari vantati dal contribuente. In sostanza l’Agenzia delle Entrate, su richiesta del contribuente, è autorizzata ad attestare la certezza e l’ammontare del credito, nonché la data indicativa di erogazione del rimborso. Tale procedura può rappresentare un importante strumento soprattutto per quei soggetti che vantano nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria dei crediti vecchissimi che rischiano di cadere in prescrizione (decennale). Invero, pare opportuno osservare che l’introduzione dell’obbligo connesso all’invio telematico delle dichiarazioni fiscali, pur essendo un ulteriore aggravio per il contribuente, ha comunque presentato l’indubbio vantaggio di velocizzare le procedure di liquidazione delle dichiarazioni dei redditi, con la conseguenza che almeno per le dichiarazioni presentate in questi ultimi anni per via telematica i tempi per l’erogazione dei rimborsi si sono sensibilmente ridotti.

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5. Il ravvedimento operoso Qualora il contribuente, in epoca successiva alla presentazione della dichiarazione dei redditi, riscontri un errore nella compilazione della dichiarazione e semmai anche nel versamento delle imposte, questi potrà regolarizzare le violazioni commesse con applicazione di sanzioni ridotte, a condizione che l’irregolarità non sia già stata contestata dagli Uffici Finanziari, che non siano iniziate ispezioni o verifiche a carico del contribuente e che la regolarizzazione avvenga entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo. Questa procedura è detta ravvedimento operoso (art. 13 d.lgs 472/1997) e presuppone il pagamento in autoliquidazione mediante modello F24 delle eventuali maggiore imposte dovute, unitamente alle sanzioni (3,75% entro 30 giorni dalla violazione, 6% oltre 30 giorni) e agli interessi legali calcolati a giorno.

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CAPITOLO DECIMO Gli Studi di Settore 1. Cosa sono gli Studi di Settore? Per la categoria professionale dello psicologo e dello psicoterapeuta gli Studi di Settore sono entrati in vigore a partire dalla dichiarazione dei redditi per l’anno d’imposta 2000 (ovvero il modello Unico 2001). Al codice attività corrispondente alla professione di psicologo e di psicoterapeuta (869030) corrisponde il modello Studi di Settore (già oggetto di ripetute evoluzioni) TK20U. Lo Studio di Settore va compilato con riferimento a ciascun periodo d’imposta e fa parte integrante del modello Unico. Gli Studi di Settore sono un metodo di determinazione del reddito a base statistica mediante il quale, sulla scorta dei dati contabili ed extra-contabili forniti dal professionista, vengono determinati i compensi “congrui” di lavoro autonomo che devono essere dichiarati per non incorrere in “dispiaceri” (?!) con l’Amministrazione Finanziaria. Gli Studi di Settore infatti sono un strumento di accertamento nelle mani degli organi finanziari, cosiddetto analitico-induttivo, in quanto conduce alla determinazione forfetaria del reddito del soggetto cui lo Studio si riferisce mediante l’utilizzo di elementi contabili ed extra-contabili volti a individuare le caratteristiche proprie dell’attività svolta da quel medesimo soggetto, con ciò prendendo in considerazione, l’area geografica in cui il soggetto si trova, la tipologia di attività esercitata e le eventuali specializzazioni, le ore dedicate all’attività, l’utilizzo o meno di personale dipendente o di collaboratori, la dimensione dei locali, le spese sostenute per le utenze, il valore dei beni strumentali impiegati nell’attività, le spese sostenute per la formazione e l’aggiornamento professionale, ecc… Si tratta invero dell’evoluzione dei tanto odiosi quanto fallimentari strumenti di determinazione forfetaria del reddito che sono andati dalla “Minimum tax”, al metodo dei “Coefficienti presuntivi di reddito”, ai cosiddetti “Parametri per la determinazione dei ricavi”. Nonostante il progressivo appesantimento degli Studi di Settore che ha caratterizzato questi ultimi anni, ancor più a seguito dell’approvazione della Manovra bis per il 2006 e della Legge Finanziaria per il 2007, va segnalato che l’estate del 2007 è stata caratterizzata da diversi interventi sia normativi, sia di prassi ministeriale dettati dall’esigenza per il Governo

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di raffreddare la polemica divampata nella primavera 2007 proprio in ordine agli Studi di Settore. Tali interventi hanno indubbiamente segnato un cambiamento di rotta importante che indebolisce pesantemente la posizione rigida assunta fin qui dall’Amministrazione finanziaria rispetto alla valenza degli Studi (ma sul tenore degli interventi in parola torneremo più ampiamente nel prosieguo). 2. La determinazione degli indici di congruità, di normalità economica e di coerenza mediante l’utilizzo di GERICO Il prodotto software utilizzato per la determinazione dei compensi in base agli Studi di Settore prende il nome di GERICO. A parità di dati contabili, il ricavo stimato dal software potrà avere una entità diversa a seconda del gruppo omogeneo in cui il professionista è stato preliminarmente collocato. La collocazione del professionista all’interno di un determinato gruppo (il cosiddetto “cluster” di appartenenza) avviene in base alle caratteristiche strutturali della sua attività, individuate principalmente tramite quella serie di elementi extra-contabili che il professionista stesso è chiamato ad indicare in sede di compilazione del proprio Studio di Settore. Il software GERICO calcola diversi indici: quello relativo alla congruità, quelli relativi alla normalità economica e quello relativo alla coerenza. Congruità, normalità economica e coerenza possono combinarsi differentemente, ben potrà essere che un individuo sia quindi congruo ma non economicamente normale né coerente o viceversa. �Un soggetto è congruo quando i compensi dallo stesso dichiarati sono uguali o maggiori a quelli determinati mediante GERICO, più precisamente tale soggetto sarà congruo qualora il compenso dichiarato sarà maggiore o uguale al “compenso puntuale di riferimento” determinato per l’appunto da GERICO. �Lo stesso soggetto sarà economicamente normale e/o coerente se i rispettivi indici calcolati da GERICO con riferimento alla sua posizione saranno compresi tra l’indice minimo e massimo determinato sempre attraverso GERICO.

3. Cosa comportano la non congruità, la non coerenza e/o la non normalità economica?

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NON CONGRUITA’ Fino all’anno d’imposta 2004 compreso, per i professionisti, la “non congruità” agli Studi di Settore comportava l’avvio dell’attività di accertamento a carico del contribuente solo qualora tale “non congruità” investisse almeno due anni (anche non consecutivi) nell’arco di un triennio. A decorrere dall’anno d’imposta 2005, sparisce la regola del “due su tre”: la “non congruità” agli Studi di Settore comporta l’avvio dell’attività di accertamento a carico del contribuente anche qualora tale “non congruità” investa un solo anno (innovazione introdotta dalla legge 248/2006). In caso di “non congruità” (per almeno due anni nei periodi d’imposta dal 2000 al 2004, e anche solo per un anno dal periodo d’imposta 2005) scatta quindi in automatico un accertamento da Studi di Settore; ciò significa che al contribuente verrà notificato un “invito al contraddittorio” con il quale gli si chiederà di presentarsi di fronte all’Amministrazione Finanziaria per dare conto delle motivazioni che hanno determinato la sua “non congruità”. L’invito al contraddittorio conterrà anche una “proposta di accertamento” nella quale verrà richiesta la maggiore imposta derivante dall’applicazione degli Studi di Settore, unitamente alle sanzioni e agli interessi sulla stessa calcolati. Si determina cioè un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale dovrà dimostrare, con idonea documentazione, le ragioni che stanno alla base dello scostamento dei compensi dichiarati, rispetto a quelli calcolati in base a GERICO. Le motivazioni addotte dal contribuente (che dovranno essere riportate in un apposito verbale) potranno essere prese in considerazione dall’Ufficio al fine di ridurre o annullare la proposta di accertamento stesso, come potranno essere considerate affatto sufficienti con la conseguente integrale conferma dell’accertamento proposto. Ovviamente, dinnanzi alla notifica dell’avviso di accertamento, il contribuente si troverà di fronte alla scelta di pagare o di ricorrere alla Commissione Tributaria competente (rinvio al paragrafo 7 dell’undicesimo capitolo). Se i soggetti tenuti alla compilazione degli Studi rilevano che i compensi contabilizzati sono inferiori a quelli determinati con GERICO (sono cioè “non congrui”) possono eventualmente “adeguarsi” in dichiarazione. “Adeguarsi” significa decidere di dichiarare quale reddito dell’anno non quello che prende a base i compensi effettivamente contabilizzati, ma piuttosto il “compenso puntuale di riferimento” determinato da GERICO, conseguentemente pagando le imposte su tale maggior reddito. Per gli psicologi, per i periodi d’imposta dal 2000 al 2002, l’adeguamento

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spontaneo in dichiarazione non ha comportato l’applicazione di sanzioni e interessi; tale adeguamento in dichiarazione preclude la possibilità di accertamento da Studi di Settore. Per l’anno d’imposta 2003, l’adeguamento spontaneo in dichiarazione ha comportato per lo psicologo il pagamento di sanzioni ed interessi ai soli fini IVA. A decorrere dal periodo d’imposta 2004 per gli psicologi, l’adeguamento spontaneo in dichiarazione soggiace alle regole che seguono.

Maggiorazioni

�E’ applicata una maggiorazione del 3% (calcolata sulla differenza tra “compenso puntuale di riferimento” e “compenso dichiarato”) in caso di adeguamento a Studi di Settore che – con riferimento all’anno oggetto di adeguamento – non siano né nuovi, né revisionati, a meno che lo scostamento tra “compenso dichiarato” e “compenso puntuale di riferimento” sia inferiore al 10%, in tale ultima ipotesi l’adeguamento non comporta l’applicazione di alcuna maggiorazione.

Versamenti

�I versamenti dovuti a seguito dell’adeguamento spontaneo devono essere fatti unitamente agli altri versamenti d’imposta, ed in ogni caso negli stessi termini (16 giugno o 16 luglio, salvo maggior rateizzazione). �Tali maggiori versamenti interessano tutte le imposte poiché l’adeguamento spontaneo coinvolge tutte le imposte dovute dal contribuente (IVA, IRAP, IRPEF e addizionali).

Natura dell’accertamento da Studi di Settore

�L’accertamento da Studi di Settore viene equiparato ad un accertamento parziale, ciò significa che lo stesso non rende definitivo il reddito, il quale può essere ulteriormente rettificato sulla base di un accertamento ordinario indipendentemente dalla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. Ma il software GERICO calcola anche un “compenso minimo ammissibile” il cui scostamento rispetto al “ricavo puntuale di riferimento” è detto “intervallo di confidenza”. La Circolare 110/E del 21.05.1999 precisava che i contribuenti i quali si avvalgono della possibilità di adeguare i propri ricavi o compensi alle risultanze della applicazione degli Studi di Settore, in sede di dichiarazione dei redditi devono effettuare l’adeguamento tenendo conto del valore che nell’applicativo GERICO viene indicato quale “valore

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puntuale di riferimento”, essendo ininfluente ai fini dell’accertamento l’adeguamento al “compenso minimo ammissibile” e potendo tutt’al più servire non a escludere l’accertamento, ma a ridurne l’ammontare proposto. Sulla questione è però intervenuta successivamente l’Amministrazione finanziaria sostanzialmente disattendendo quanto precedentemente affermato; l’Agenzia delle Entrate, infatti, con Circolare 5/E del 23.01.2008 lascia apertamente intendere che l’adeguamento al “compenso minimo ammissibile” è considerato sufficiente ai fini dell’accertamento, sostenendo infatti che i controlli scaturenti da Studi di Settore non congrui saranno concentrati per lo più a carico dei contribuenti posizionati al di sotto dell’”intervallo di confidenza” e quindi al di sotto del “compenso minimo ammissibile”.

NON COERENZA Per quanto riguarda l’indice di “non coerenza”, tale anomalia potrà essere utilizzata per la selezione delle posizioni da sottoporre a controllo ordinario e ciò a prescindere dalla congruità o meno del soggetto non coerente. In questo caso i controlli saranno basati su metodi diversi e dovranno verificare se la mancata coerenza derivi da comportamenti fiscalmente irregolari o da insufficienze o “iperefficienze” produttive o da inefficienza o “iperefficienza” organizzativa dell’attività professionale. Le eventuali anomalie riscontrate negli indici di coerenza non possono dar luogo a adeguamento da parte del contribuente.

NON NORMALITA’ ECONOMICA

Gli indici di normalità economica sono andati ad aggiungersi agli altri due indici di congruità e di coerenza per effetto di quanto previsto dalla Finanziaria per il 2007 (legge 296/2006). Lo scostamento da tali nuovi indici incide direttamente sul livello di congruità richiesto dallo Studio di Settore; ciò significa che un’eventuale anomalia negli indici calcolati da GERICO determina un compenso puntuale di riferimento (e cioè un compenso richiesto per essere congrui) più elevato. Gli indici di normalità economica vengano calcolati con riferimento alla resa oraria per addetto, alla resa oraria del professionista, alla resa del capitale. Sulla valenza probatoria degli stessi molto aveva investito l’Amministrazione finanziaria, sostenendo – in sede di loro prima approvazione – che gli stessi integravano i requisiti necessari ai fini

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dell’accertamento automatico a Studi, rappresentando detti indici quelle ulteriori gravi incongruenze richieste dalla normativa per legittimare per l’appunto l’accertamento da Studi. Le vistose distorsioni che gli indici di normalità economica creavano sullo Studio di Settore in sede di prima applicazione (nella primavera/estate del 2007) hanno costretto l’Amministrazione finanziaria a intervenire con il DL 81 del 02.07.2007 nel quale si sancisce il valore sperimentale di detti indicatori e la loro inutilizzabilità ai fini dell’accertamento automatico da Studi, con la conseguenza che ricade sull’Ufficio l’onere di fornire elementi di prova che avvalorino le risultanze degli indicatori de quibus. Tali conclusioni sono state, tra l’altro, oggetto di ulteriore conferma da parte del legislatore con l’approvazione della Finanziaria 2008 (art. 1 commi da 252 a 254 della legge 244/2007).

4. Effetti dell’adesione al condono di cui alla legge 289/2002 sull’accertamento da Studi di Settore I contribuenti che hanno aderito al concordato di cui all’art. 7 della legge 289/2002, o al condono tombale di cui all’art. 9 della stessa legge non possono essere soggetti ad accertamento analitico-induttivo dei redditi (ovvero accertamento da Studi di Settore) limitatamente agli anni e al settore impositivo (IVA e/o imposte dirette) per i quali hanno aderito ad una delle sanatorie ora menzionate. Ciò significa che, in tal caso, gli Uffici non possono procedere alla notifica dell’invito al contraddittorio anche qualora il contribuente non sia stato congruo agli Studi di Settore. Va però segnalato che gli effetti dell’adesione alle sopra citate sanatorie produce effetti diversi sul calcolo del triennio di congruità a seconda che si sia aderito al concordato o al condono tombale. L’adesione al concordato comporta interruzione nel calcolo del triennio di congruità, per cui verranno annullati gli anni nei quali il contribuente non era congruo, con la conseguenza che con riferimento a tali anni lo stesso sarà evidentemente escluso dall’attività di accertamento dell’Amministrazione Finanziaria, ed inoltre l’eventuale non congruità in uno o più anni non sarà considerata più tale ai fini della determinazione del cosiddetto “triennio”. L’adesione al condono tombale non comporta invece interruzione nel calcolo del triennio di congruità, per cui non verranno annullati gli anni nei quali il contribuente non era congruo, con la conseguenza che con riferimento a tali anni lo stesso non potrà essere soggetto ad accertamento, ma l’eventuale non congruità in uno o più anni continuerà

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ad essere considerata tale ai fini della determinazione del “triennio”. La diversità degli effetti esplicati dalle due differenti sanatorie, è giustificata dal fatto che mentre l’adesione al concordato presuppone l’adeguamento dei compensi dichiarati a quello “puntuale di riferimento” risultante dall’applicazione di GERICO, l’adesione al condono tombale prescinde da tale adeguamento fondandosi su metodi di calcolo assolutamente difformi. Con riferimento alla sanatoria di cui all’art. 8 della legge 289/2002 (integrazione degli imponibili), tale forma di sanatoria impedirà l’accertamento da Studi di Settore solo qualora il soggetto non congruo abbia integrato l’imponibile almeno fino a concorrenza del compenso “puntuale di riferimento” derivante dall’applicazione degli Studi di Settore; in tal caso, tra l'altro, l’integrazione del reddito fino a tale maggior valore comporterà che l’anno in questione potrà esser considerato congruo anche ai fini della determinazione del “triennio”. Si tratta però di un’ipotesi assolutamente remota, trattandosi di una scelta (quella di usufruire della sanatoria di cui all’art. 8) che parrebbe assolutamente irragionevole per un contribuente non congruo agli Studi di Settore, comportando pressoché a parità di costi del concordato vantaggi assolutamente minori. 5. Gli Studi di Settore dello psicologo e dello psicoterapeuta tra “sperimentazione”, “monitoraggio” e “definitività” 5.1. Lo Studio sperimentale Come per tutte le altre attività professionali, anche per gli psicologi, lo Studio di Settore ha assunto carattere sperimentale per il primo periodo di applicazione (2000–2001–2002-2003). La sperimentazione doveva inizialmente riguardare solo il triennio dal 2000 al 2002, ma è stata poi estesa anche all’anno d’imposta 2003. Ma vediamo ora cosa si debba intendere per triennio di sperimentazione. L’esigenza di prevedere per tutte le categorie professionali un periodo iniziale di sperimentazione dello Studio di Settore è stata sentita per far fronte alla diversa determinazione del reddito tassabile per i lavori autonomi, rispetto alle imprese: parliamo della determinazione del reddito mediante il principio di “cassa”, piuttosto che mediante il principio di “competenza”. Si tratta di una differenza cruciale che comporta una prima macroscopica distorsione data dal fatto che un professionista ben

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potrebbe spendere le proprie energie lavorative per diversi mesi di un anno per lo svolgimento di un’attività che potrebbe poi essere “retribuita” nell’anno successivo, o viceversa. Appare evidente che anche solo questa caratteristica dell’attività libero professionale, che comporta spesso delle sfasature tra il lavoro svolto e gli incassi relativi, è già di per sé sola sufficiente a far comprendere come sia difficile per un professionista mantenere un andamento costante dei compensi dichiarati di anno in anno. Le conseguenze della previsione di un periodo di sperimentazione degli Studi di Settore per le categorie professionali sono fondamentalmente tre. Innanzitutto, con riferimento al triennio di sperimentazione, gli Uffici Finanziari potranno utilizzare un eventuale risultato di non congruità (su due anni) e/o di non coerenza (anche su un solo anno) esclusivamente quale criterio selettivo delle posizioni da sottoporre a controllo (e non quindi quale metodo di accertamento automatico). In pratica, con riferimento al reddito conseguito in detto periodo di sperimentazione, avranno più possibilità di essere sottoposti a controllo ordinario i soggetti che presentano delle anomalie con riferimento agli indici di congruità o di coerenza economica. In secondo luogo, per i soggetti non congrui agli Studi di Settore che durante la fase sperimentale non si siano adeguati al reddito risultante dallo Studio di Settore, i compensi derivanti dall’applicazione dello Studio di Settore definitivo potranno essere utilizzati retroattivamente per effettuare accertamenti in relazione anche a tutti i periodi d’imposta sperimentali non congrui e non adeguati. Infine, i soggetti che durante la fase sperimentale risultavano congrui agli Studi di Settore o che si sono adeguati al reddito risultante dagli Studi di Settore stessi, non potranno subire in futuro un accertamento automatico da Studi di Settore anche laddove lo Studio di Settore definitivo facesse emergere un reddito puntuale di riferimento (retroattivamente) più elevato rispetto a quello determinato dalla versione sperimentale di GERICO. 5.2. Lo Studio monitorato Il periodo d’imposta 2004 doveva vedere l’esordio dello Studio di Settore definitivo, il 2004 vede invece l’esordio dello Studio di Settore monitorato. Per gli psicologi si tratta di uno Studio di Settore revisionato rispetto al precedente (il modello SK20U lascia lo spazio al modello TK20U, diverso sarà perciò il criterio di determinazione degli indici di “congruità” e

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“coerenza” seguiti da GERICO). Lo Studio di Settore non può però ancora essere utilizzato ai fini dell’accertamento automatico. In sostanza poco cambia rispetto al periodo sperimentale, le novità consisterebbero infatti nel possibile utilizzo ad opera degli uffici finanziari della versione monitorata di Gerico ai fini dell’accertamento quale strumento ausiliario rispetto ad altri “elementi probatori”, nonché nella possibilità riconosciuta al contribuente di applicare retroattivamente la versione monitorata di Gerico, se più favorevole al contribuente stesso. Il periodo di monitoraggio, inizialmente previsto solo per il 2004, è stato successivamente esteso anche all’anno d’imposta 2005. 5.3. Lo Studio definitivo Il 2006 vede, per la categoria professionale dello psicologo, l’esordio dello Studio di Settore definitivo. La principale conseguenza legata alla cessazione del periodo di sperimentazione e di monitoraggio consiste nel fatto che entra a regime il metodo di accertamento analitico-induttivo da Studi di Settore di cui abbiamo già diffusamente parlato, eventualmente anche con facoltà per gli Uffici di applicazione retroattiva al periodo di sperimentazione e di monitoraggio del nuovo Studio di Settore (definitivo) ai fini dell’accertamento delle posizioni non congrue. Si osservi che gli Studi di Settore (e il programma GERICO) sono soggetti a revisione periodica ogni tre anni, è pertanto possibile verificare – attraverso delle simulazioni – già nel corso dei vari anni la propria “congruità” e “coerenza”, possibilità che resta esclusa per il solo anno nel corso del quale viene revisionato lo Studio di Settore (pur infatti il Ministero provvedendo alla revisione degli Studi di Settore ogni tre anni, è noto che lo Studio di Settore revisionato viene portato a conoscenza dei contribuenti solo ad anno d’imposta concluso, in occasione dell’approvazione dei modelli di dichiarazione). 6. Come cambia la valenza degli Studi nel corso dell’anno 2007 Le novità introdotte dalla Finanziaria 2007 hanno destato non poco preoccupazioni in ordine all’uso che gli Uffici finanziari si sarebbero apprestati a fare dello Studio di Settore ai fini dell’accertamento. La legge 296/2006 ha infatti previsto in primis un inasprimento delle sanzioni in caso di errata compilazione degli Studi di Settore; l’errata

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compilazione degli Studi che determini una “finta congruità” viene infatti punita con una sanzione per infedele dichiarazione (ovvero dal 100% al 200% della maggiore imposta) aumentata del 10%. Qualora l’errata compilazione non implichi infedeltà della dichiarazione (ovvero quando il risultato dello Studio non cambi), continua invece a trovare applicazione la vecchia sanzione da € 258 a € 2.065. Sempre la legge 296/2006 ha sembrato voler dare soluzione normativa ad un orientamento giurisprudenziale sfavorevole agli Uffici in materia di accertamento da Studi di Settore, prevedendo che la “non congruità” agli stessi legittimerebbe da sola l’accertamento, a sostegno del quale l’Ufficio non avrebbe quindi dovuto fornire ulteriori elementi probatori. Gli Studi di Settore diventerebbero perciò una presunzione semplice dotata dei requisiti di gravità, precisione e concordanza (senza i quali l’accertamento non sarebbe infatti possibile), requisiti che si intenderebbero realizzati grazie alla complessità matematico-statistica del programma GERICO e, tra l’altro, grazie all’introduzione dei tanto contestati indicatori di normalità economica. E’ sempre la Finanziaria 2007 che introduce infine una sorta di “premio” per chi è congruo agli Studi di Settore; la stessa prevede infatti che l’Amministrazione finanziaria, infatti, non possa effettuare accertamenti di tipo analitico-induttivo nei confronti dei contribuenti che risultano congrui agli Studi stessi (anche per effetto di adeguamento agli stessi) qualora l’ammontare delle attività non dichiarate, con un massimo di € 50.000, sia pari o inferiore al 40% dei compensi dichiarati. Restano invece sempre possibili, indipendentemente dalla congruità agli Studi, gli accertamenti di tipo analitico e quelli induttivi puri. Le preoccupazioni sollevate da più parti rispetto al mutamento del panorama normativo così delineato, unitamente all’introduzione per molti professionisti (tra cui medici e odontoiatri) dello studio di settore definitivo già a decorrere dall’anno d’imposta 2006, unitamente ancora ad un sempre maggiore appesantimento degli Studi di Settore revisionati in termini di redditività richiesta soprattutto a causa dell’introduzione degli indicatori di normalità economica, hanno determinato pesanti polemiche nella primavera/estate 2007 da parte di tutte le categorie economiche e talvolta anche manifestazioni di piazza molto partecipate. Di fronte a questa situazione il Governo si è visto costretto a ripetuti interventi che hanno costretto l’Amministrazione finanziaria a decisivi passi indietro rispetto alla valenza degli Studi di Settore. Per la prima volta, con la Circolare 31/E del 22.05.2007, viene ammessa l’esistenza di contribuenti la cui situazione reddituale non può esser colta dagli Studi di Settore; si parla infatti di contribuenti in condizione di “marginalità economica” e si ipotizza l’introduzione di uno speciale regime

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agevolato che escluda detti soggetti dagli Studi di Settore (la Finanziaria 2008 approverà poi il regime dei contribuenti minimimi, per l’appunto esclusi dagli Studi). E’ inoltre data facoltà al contribuente di segnalare nello stesso modello di dichiarazione la propria situazione di marginalità economica, facendo attestare la stessa dal professionista abilitato che lo assiste; tale attestazione dovrebbe indurre gli Uffici ad una selezione più mirata delle posizioni non congrue da sottoporre a controllo/accertamento, oltre ad avvantaggiare il contribuente nella coltivazione della propria linea difensiva, anticipando la fase del contraddittorio innanzi agli Uffici finanziari. Pochi giorni dopo, il vice-ministro Vincenzo Visco diffonde il 07.06.2007 un comunicato stampa nel quale si legge: “Gli Studi di Settore non sono

uno strumento di accertamento automatico e i contribuenti non hanno

alcun obbligo di adeguarsi agli stessi se ritengono che non rispecchino la

loro realtà. L’Agenzia delle Entrate ribadisce che gli studi, come peraltro

stabilito dalla normativa, sono uno strumento utilizzabile come punto di

riferimento dal contribuente, che adeguandosi può stare più tranquillo

rispetto ad eventuali successivi controlli, e per l’Amministrazione stessa,

ai fini della selezione delle posizioni da sottoporre a verifica e controllo.

Pertanto tutti i contribuenti che, per qualsiasi ragione, ritengono di non

rientrare nei parametri di congruità fissati dagli studi sono liberi di non

adeguarsi”.

Ancora, viene diffusa la Circolare 41/E del 06.07.2007 che fornisce alcuni chiarimenti in materia di adeguamento in dichiarazione alle risultanze degli Studi di Settore; in particolare viene chiarito che – in presenza di indicatori di normalità economica – l’adeguamento può essere pari al maggiore tra il compenso minimo calcolato tenendo conto delle risultanze degli indicatori, e il compenso puntuale calcolato senza tener conto delle risultanze degli indicatori. Viene inoltre precisato che la maggiorazione del 3% va applicata solo se il compenso minimo calcolato tenendo conto degli indicatori è inferiore al compenso puntuale al netto degli indicatori. Viene approvato il DL 81 del 02.07.2007 con il quale si dà seguito a quanto previsto nella Circolare 41/E e viene conseguentemente riconosciuto il valore sperimentale degli indicatori di normalità economica, stabilendo che gli stessi non possono essere utilizzati dagli Uffici ai fini dell’accertamento automatico da Studi. La Commissione Finanze al Senato vota in data 01.08.2007 un’importante risoluzione in cui si afferma che grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere della prova in sede di accertamento da Studi di Settore. Il giorno seguente Parlamento e Governo confermano che GERICO rappresenta una presunzione semplice lasciata pertanto al libero apprezzamento del giudice di merito, con la conseguenza che spetta al Fisco l’onere di provare la presenza delle ulteriori gravi incongruenze richieste dalla

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normativa e solo in presenza delle quali l’accertamento è potenzialmente legittimo. La legge 244/2007 (Finanziaria 2008), all’art. 1 commi da 252 a 254 conferma quanto già detto dal DL 81/2007 in ordine alla sperimentalità degli indicatori di normalità economica. L’Agenzia delle Entrate con Circolare 5/E del 23.01.2008 conferma ancora una volta la valenza di presunzione semplici degli Studi di Settore, dicendo che gli Uffici finanziari devono fondare un eventuale accertamento da Studi, oltre che sulla non congruità, anche sulla presenza di ulteriori gravi incongruenze nella posizione fiscale del contribuente. La Circolare introduce inoltre una rilevante novità in ordine al contenuto dell’atto di accertamento da Studi di Settore, stabilendo che l’Ufficio è tenuto a motivare l’accertamento in funzione delle risultanze del contraddittorio instaurato con il contribuente, e dovendosi considerare conseguentemente insufficienti le motivazioni degli atti basate sulla mera situazione di non congruità; appare evidente che la presa di posizione assunta dall’Agenzia dovrebbe avere importanti implicazioni anche con riferimento ai contenziosi pendenti in materia di Studi, nonché agli atti di accertamento già notificati dagli Uffici. Sulla scia di questo nuovo approccio agli Studi di Settore, anche la manovra estiva 2008 ha inteso confermare la volontà di una maggiore collaborazione e trasparenza tra Amministrazione finanziaria e contribuenti, tant’è che l’art. 33 del DL 112/2008 ha introdotto il criterio della necessaria disponibilità preventiva dello Studio di Settore rispetto alla chiusura del periodo d’imposta cui lo stesso si riferisce (e del conseguente programma di calcolo degli indici di congruità e di coerenza). A decorrere dall’anno d’imposta 2009, gli Studi oggetto di revisione dovranno infatti essere approvati entro il 30 settembre dell’anno stesso, con la conseguenza che dovrebbero restare circa tre mesi ai contribuenti per poter prendere confidenza con i risultati dello studio stesso. 7. Le cause di esclusione e il modello INE Può accadere che il contribuente si trovi in una particolare annualità o in una particolare situazione soggettiva che rendano di per sé inidonea l’applicazione del meccanismo di elaborazione statistica effettuato da GERICO; al verificarsi di queste situazioni (tassativamente stabilite dalla legge) il contribuente risulterà escluso dall’accertamento da Studi di Settore. Sono esclusi dall’accertamento da Studi i contribuenti:

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•che abbiano iniziato o cessato l’attività nel corso dell’anno; •che abbiano un periodo d’imposta diverso da 12 mesi; •che abbiano conseguito ricavi o compensi > 5.164.569 €; •che si trovino in un periodo di non normale svolgimento dell’attività; •che determinino il reddito forfetariamente. L’esclusione dell’accertamento da Studi non esime comunque il contribuente dalla compilazione del relativo modello o in alternativa, a seconda della specifica fattispecie, dalla compilazione del modello INE. Il modello INE è stato introdotto a decorrere dall’anno d’imposta 2006 (quindi dalla dichiarazione Unico 2007). Si tratta di un modello che fa parte integrante della dichiarazione dei redditi, tanto quanto il modello dello Studio di Settore. Il modello INE prende il nome dalla circostanza che i dati che il contribuente è chiamato ad indicare nel modello stesso dovrebbero consentire all’Amministrazione finanziaria di determinare degli indici di normalità economica (INE) prevalentemente destinati a segnalare la presenza per il contribuente di compensi non dichiarati e/o di rapporti di lavoro irregolare, conseguentemente guidando gli Uffici nella selezione delle posizioni da sottoporre a controllo.

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CAPITOLO UNDICESIMO L’attività di controllo, verifica e accertamento 1. Come comportarsi in caso di verifica fiscale I poteri istruttori posti in capo agli uffici finanziari nell’ambito dell’attività di controllo e verifica consistono nella possibilità in capo ai funzionari dell’Amministrazione Finanziaria di porre in essere accessi, ricerche, ispezioni, verifiche e sequestri. Detti poteri (che verremo ora ad esaminare uno per uno) sono a tal punto invasivi la sfera dei diritti individuali di libertà del contribuente, tanto da far ritenere che gli stessi dovrebbero costituire l’extrema ratio dell’attività di controllo degli organi dell’Amministrazione Finanziaria, con ciò intendendo che sarebbe auspicabile che il loro esercizio fosse subordinato al preventivo esperimento di tutti i mezzi di indagine ordinari (e quindi gli inviti, i questionari e le richieste di chiarimenti), nonché alla manifesta inidoneità o insufficienza di detti mezzi. D’altra parte, lo stesso legislatore, riconoscendone il carattere di pesante ingerenza, ha ritenuto di tutelare i diritti e la libertà dei singoli, con una serie di tassative condizioni di applicabilità di detti poteri, disciplinate all’art. 33 del DPR 600/1973 (in materia di imposte dirette), il quale a sua volta rinvia all’art. 52 del DPR 633/1972 (in materia di IVA). Per sapere come comportarsi in caso di verifica fiscale, è necessario conoscere l’ambito dei poteri esercitabili da parte degli Uffici Finanziari e le condizioni per il loro legittimo esercizio. Per “accesso” s’intende l’ingresso e la permanenza d’autorità anche contro la volontà di chi altrimenti avrebbe il diritto di impedirlo. Si tratta di un potere affidato all’Amministrazione finanziaria, che le consente di accedere ai locali adibiti ad attività professionali, previa autorizzazione del capo dell’ufficio procedente, nella quale dovrà essere indicato lo scopo e le ragioni del controllo (ma sul punto ritorneremo più ampiamente nel prosieguo). Come rilevato, inoltre, l’accesso può essere effettuato nonostante l’opposizione del contribuente, essendo del tutto irrilevante la presenza di gravi indizi di violazioni per poter procedere all’accesso in luoghi ove viene esercitata un’attività professionale. Si è già detto che l’accesso deve essere preventivamente autorizzato dal capo dell’Agenzia delle Entrate competente (o dal Comandante di reparto

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della Guardia di Finanza, nel caso in cui i controlli siano svolti da agenti della Guardia di Finanza stessa). Con riferimento al contenuto di suddetta autorizzazione (da ritenersi tassativo), questa deve riportare: �le generalità dei funzionari incaricati, �l’indicazione dei locali dove l’accesso è autorizzato, �il soggetto interessato dal controllo, �lo scopo preordinato all’accesso stesso. È tra l’altro obbligatoriamente richiesta la forma scritta; in ogni caso, con riferimento al contenuto dell’autorizzazione, a cosa si debba intendere per indicazione dello scopo, alla natura della stessa, torneremo più ampiamente nel prosieguo. Lo stesso potere può estendersi anche alle abitazioni private (ma solo in presenza di gravi indizi di violazioni fiscali), nonché ai luoghi adibiti promiscuamente ad abitazione e all’esercizio dell’attività o della professione, ma in questi casi all’autorizzazione del capo dell’ufficio, si dovrà aggiungere la previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica. La ragione di una tutela più pregnante per queste tipologie di accessi è da ricercare nell’art. 14 della Costituzione che sancisce l’inviolabilità del domicilio. L’accesso nei locali destinati all’esercizio di arti e professioni dovrà essere eseguito necessariamente in presenza del titolare dello studio o di un suo delegato. E’ da escludere, in ogni caso, la possibilità in capo ai soggetti verificatori di accedere d’autorità nel caso in cui, per motivi personali o di lavoro, nello studio non siano presenti né il professionista, né un suo delegato. L’attività di verifica è infatti inquadrabile nell’ambito di un’attività di polizia amministrativa e non di polizia giudiziaria; di fronte pertanto all’impossibilità di effettuare immediatamente le operazioni conseguenti all’accesso, i verificatori potranno – nell’attesa del rientro del professionista o del suo delegato – esclusivamente assumere i comportamenti necessari a garantire che nulla venga asportato o distrutto, eventualmente anche prolungando la vigilanza oltre l’orario di apertura dello studio. Ai fini della validità della delega eventualmente conferita dal professionista a persona di sua fiducia, la stessa deve essere tale da consentire al delegato di opporre, in vece del professionista, il segreto professionale ove necessario, a nulla rilevando, in ogni caso, la forma utilizzata per l’attribuzione della stessa (la delega potrà infatti essere attribuita verbalmente, telefonicamente, o via fax).

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La “ricerca” è la materiale attività con cui l’Amministrazione reperisce libri, registri, scritture contabili e documenti di qualsivoglia natura, nell’ambito dell’attività ispettiva; la ricerca può essere anch’essa svolta contro la volontà del contribuente, ed in questo senso si distingue dalla “raccolta”, che avviene, al contrario, con il suo consenso e la sua collaborazione. Tali attività possono svolgersi, in ogni caso, nei luoghi in cui si è proceduto all’accesso. La preventiva autorizzazione del Procuratore della Repubblica è necessaria quando: �le ricerche devono tradursi in perquisizioni personali sulle persone presenti nei locali in cui è eseguito l’accesso; �si deve procedere all’apertura di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili (si noti che nel caso in cui il contribuente apra spontaneamente borse, sigilli, casseforti o acconsenta di buon grado alla perquisizione personale, non sarà necessaria alcuna autorizzazione del magistrato, inquadrandosi, dette attività, nella fattispecie delle normali ricerche); �occorre esaminare documenti o richiedere notizie in rapporto ai quali è eccepito il segreto professionale. Posto che l’obbligo di esibizione delle scritture contabili e degli altri documenti non investe solamente i dati riportati su supporti cartacei, ma anche quelli contenuti su supporti magnetici, è necessario ricordare che incombe sul contribuente l’obbligo di stampa immediata dei dati in essi riportati su semplice richiesta dei soggetti verificatori (si precisa, in proposito, che la legge 489/1994, al comma 4 ter dell’art. 7, consente la conservazione su supporti magnetici di tutti i dati relativi all’esercizio in corso, a condizione che il contribuente provveda a stamparli, in occasione della richiesta avanzata dai soggetti incaricati del controllo, tempestivamente e in loro presenza. Nel caso in cui il contribuente non acconsenta all’utilizzo dei propri impianti e del proprio personale, è data facoltà ai verificatori di provvedervi personalmente anche al di fuori dei locali oggetto dell’accesso, così come stabilito dal comma 9 dell’art. 52 del DPR 633/1972). L’”ispezione” è l’attività che ha come scopo l’accertamento della regolarità formale del bilancio e delle scritture contabili e la verifica dell’esatta corrispondenza fra quanto esposto ed i risultati della gestione per la determinazione del reddito fiscale e dell’imponibile ai fini IVA. Con riguardo alla specifica attività esercitata nell’ambito delle verifiche tributarie, la Circolare 1/98 del Comando Generale della Guardia di

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Finanza precisa che l’ispezione consiste nell’analisi delle scritture, dei libri, dei registri e dei documenti la cui istituzione, tenuta e conservazione sia obbligatoria, nonché nel raffronto del loro contenuto con quello degli altri documenti reperiti nel corso delle ricerche ovvero in fasi successive della verifica. L’ambito delle ispezioni fiscali perciò si estende anche a qualsiasi altro atto e documento rinvenibile nei locali nei quali è consentito l’accesso (e quindi agende, rubriche telefoniche, corrispondenza, appunti, e qualsiasi altro documento che possa costituire un utile indizio dell’effettivo ammontare dei compensi conseguiti dal professionista sottoposto al controllo). L’accezione qui presa in esame riguarda in particolare l’ispezione documentale; invero tale accezione è oggi ormai superata. La Circolare del Comandante Generale della Guardia di Finanza 1 del 20.10.1998 ha rivoluzionato infatti i metodi di accertamento: dopo un decennio di indagini basate sulla mera ispezione documentale dei libri contabili, ha abbandonato la strada dei controlli formali, per dedicarsi a quelli sostanziali, maggiormente fondati sulle realtà aziendali e professionali. Il cambiamento è ispirato ad “un’attività di intelligence modulare e

flessibile”, che affianchi al controllo di coerenza interna della contabilità, un controllo di coerenza esterna che metta in rapporto le risultanze contabili con la realtà aziendale/professionale come appare all’esterno, operazione quest’ultima possibile grazie all’utilizzo dello strumento dei controlli incrociati. Verifiche e ispezioni vengono così ad essere “metodologie d’indagine a schema libero”, adattabili in ragione della situazione economica aziendale o professionale di volta in volta sottoposta all’attenzione di chi esercita il controllo. In tema di ispezioni e di ricerche rileva, inoltre, la previsione dell’art. 9, comma 2, del d.lgs 471/1997. Tale norma, infatti, prevede la sanzione pecuniaria da € 1.033 a € 2.582 nei confronti del soggetto che, nel corso degli accessi eseguiti ai fini dell’accertamento in materia di imposte sui redditi e di IVA, rifiuta di esibire ovvero dichiara di non possedere o comunque sottrae all’ispezione e alla verifica i documenti, i registri e le scritture la cui tenuta e conservazione è imposta da altre leggi tributarie, ovvero altri registri, documenti e scritture non obbligatori dei quali risulta con certezza l’esistenza. Non solo, tali documenti non potranno poi essere più utilizzati dal contribuente in sede di esercizio del proprio diritto di difesa nell’eventuale fase contenziosa successiva, non potendo più costituire prova a favore del contribuente che abbia rifiutato di esibirli o che abbia dichiarato di non possederli. Le “verifiche” - consistendo in controlli e riscontri extra contabili, aventi ad oggetto principalmente il personale, gli impianti, le merci, i consumi – assumono, alla luce di quanto detto circa la nuova ratio introdotta dalla

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Circolare 1/98, una rilevanza assai superiore rispetto al decennio precedente. Di recente tale strumento ha assunto rilievo anche con riferimento ai dati indicati dal contribuenti negli Studi di Settore, e ciò al preciso scopo di cristallizzare i dati stessi, impedendo “manipolazioni” dello Studio di Settore atte a modificare gli indici di congruità e di coerenza economica dallo stesso calcolati. Tale è la infatti la ratio che ha ispirato la programmazione delle ultime attività di verifica. Per concludere, quanto allo strumento del “sequestro”, si rileva che l’utilizzo di un siffatto potere circa documenti o scritture è subordinato alla condizione che non sia altrimenti possibile la loro riproduzione o la constatazione del loro contenuto nel verbale. Pur nel silenzio della legge, appare rispondente ad esigenze di comune civiltà, che dei documenti eventualmente sequestrati sia rilasciata copia al contribuente; un diverso comportamento, infatti, potrebbe privarlo della possibilità di comprendere a fondo la ragione delle contestazioni che gli vengano mosse (contestazioni che, magari, assumono a loro fondamento il contenuto degli stessi documenti sequestrati), con la conseguenza di una pesante lesione del suo diritto di difesa costituzionalmente garantito. Escluso, invece, è il sequestro di libri e registri, obbligatori o meno che siano. I soggetti verificatori potranno quindi adottare tutte le precauzioni necessarie per assicurarsi che non ne venga sottratta la disponibilità, o che il loro contenuto non venga alterato; potranno quindi eseguirne copie o estratti, nonché apporre su di essi la propria firma accompagnata dalla data e dal bollo dell’ufficio. 2. Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali (art. 12 legge 212/2000, cosiddetto “Statuto del Contribuente”) Veniamo ora all’iter procedurale che deve essere seguito dagli organi dell’Amministrazione finanziaria per lo svolgimento delle appena illustrate operazioni di controllo. Appare evidente la necessità di contemperare due interessi contrapposti: quello del contribuente a non vedere limitato il proprio diritto all’esercizio dell’attività economica e quello dell’Amministrazione a ricercare nel modo più appropriato le prove dell’eventuale violazione fiscale posta in essere dal soggetto. Pertanto è nell’ambito di tale ratio che si colloca l’art. 12 della legge 212/2000 (cosiddetto Statuto del contribuente), che ci apprestiamo ora ad esaminare nel dettaglio. Il primo comma dell’art. 12 stabilisce che gli accessi “si svolgono, salvo

casi eccezionali e urgenti adeguatamente documentati, durante l’orario

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ordinario delle attività e con modalità tali da arrecare la minore turbativa

possibile allo svolgimento delle attività stesse nonché alle relazioni

commerciali o professionali del contribuente”. Le situazioni eccezionali e urgenti (che – giova ricordarlo – devono essere adeguatamente documentate) sono necessariamente correlate al pericolo che il ritardo nell’esecuzione dell’accesso possa compromettere il buon esito dell’attività ispettiva. Non solo: l’utilizzo da parte del legislatore della congiunzione “e”, deve intendersi che il carattere di eccezionalità debba cumularsi con quello dell’urgenza, con la conseguenza che non è sufficiente la loro semplice alternatività ai fini della legittimità della deroga. La deroga deve pertanto essere motivata e le motivazioni dovranno essere portate a conoscenza del contribuente. Con riferimento alla regola in base alla quale l’attività dei verificatori deve svolgersi “con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile in

capo al contribuente” è stata considerata da parte della dottrina come una mera regola di buona educazione che nulla aggiungerebbe in tema di effetti che potrebbero scaturire da eventuali abusi da parte dell’organo procedente. Tale conclusione, pur non apparendo condivisibile, deriva probabilmente dal fatto che la norma non prevede nessuna sanzione di illegittimità dell’atto eventualmente scaturente dalla verifica in presenza di siffatte violazioni. E’ ovvio che una norma che disciplini un obbligo a carico dell’Amministrazione Finanziaria, senza poi prevedere alcuna sanzione a carico della stessa in caso di comportamento difforme dalle previsioni di legge, rischia di restare lettera morta. Il comma 2 dell’art. 12 recita: “quando viene iniziata la verifica, il

contribuente ha diritto di essere informato delle ragioni che l’abbiano

giustificata e dell’oggetto che la riguarda”. La specificazione dello scopo (inteso per l’appunto come indicazioni delle ragioni e dell’oggetto del controllo) riveste innanzitutto la funzione di portare a conoscenza del soggetto inquisito quale siano i limiti di operatività dell’intervento ispettivo, con la conseguenza di metterlo nelle condizioni di potersi tutelare contro possibili abusi e di esercitare il proprio diritto di difesa, non solo successivamente in fase contenziosa, ma anche immediatamente durante l’esercizio stesso dei poteri istruttori. Ma tale specificazione riveste anche la ben più pregnante funzione di dare una giustificazione, in termini di legittimità, della scelta di un tale strumento istruttorio rispetto agli altri mezzi a disposizione dell’ufficio. Se il legislatore ha imposto all’ufficio stesso di dichiarare lo scopo della propria attività ispettiva, infatti, non può che aver voluto che i verificatori facessero riferimento alla fattispecie concreta per l’individuazione di detto scopo e non a generiche esigenze di controllo, sollecitando gli stessi ad

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uno sforzo di civiltà e trasparenza nei rapporti con i contribuenti. Queste quindi le ragioni per cui non può essere condivisa la posizione assunta sull’argomento dalla Guardia di Finanza che, nella Circolare 250400 del 17.08.2000, ha invece sostenuto che “le ragioni giustificative

delle verifiche discendono, di per se stesse, dal potere-dovere

dell’Amministrazione finanziaria di controllare l’esatto adempimento degli

obblighi fiscali da parte dei contribuenti, senza particolari condizioni o

vincoli da considerare”. Sempre al comma 2 dell’art. 12, è previsto che è data facoltà al contribuente di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa davanti agli organi di giustizia tributaria. I verificatori inviteranno infatti il contribuente o il suo delegato ad esibire, in relazione allo scopo della verifica come sopra emarginato, tutti documenti a loro necessari, nonché lo inviteranno (o dovrebbero invitarlo) ad assistere alle operazioni di controllo. A questo proposito, si rimarca il fatto che la funzione di assistenza viene, purtroppo, spesso sottovalutata; sarebbe, al contrario, consigliabile l’instaurazione di un rapporto di stretta collaborazione tra il contribuente (o il professionista che lo assiste) e i verificatori, in quanto la costante presenza del soggetto controllato, gli consentirebbe di giustificare tempestivamente gli aspetti che risultassero poco chiari della propria gestione, nonché di comprendere più agevolmente i risultati a cui pervengano i funzionari e/o gli agenti, con la conseguenza - non poco rilevante – di poter argomentare eventuali memorie difensive in termini più consoni rispetto alle contestazioni mosse. Il secondo comma si conclude con la previsione della necessità di informare il contribuente dei diritti e degli obblighi che vanno riconosciuti al contribuente in occasione della verifica. Tale informazione deve essere fornita nel momento in cui la verifica ha inizio. Il comma 3 dell’art. 12 dello Statuto del contribuente riconosce al soggetto sottoposto a verifica fiscale la possibilità di richiedere che l’esame dei documenti amministrativi e contabili venga effettuato nell’ufficio dei verificatori ovvero presso il professionista che lo assiste o rappresenta. Invero si ritiene che lo spostamento del luogo della verifica resti sottoposto alla valutazione dei verificatori che potranno escluderlo, ad esempio, nel caso di verifiche a realtà economiche di grandi dimensioni, caratterizzate da una documentazione contabile particolarmente voluminosa ovvero nel caso in cui si presenti la necessità di effettuare la verifica sulla base di un colloquio diretto e continuo con il contribuente. In ogni caso, la Circolare 1/98 della Guardia di Finanza sottolinea

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l’opportunità che le azioni ispettive nei confronti dei soggetti medio-piccoli siano condotte, di massima, presso gli uffici del reparto; ciò al fine di ridurre al minimo i disagi determinati da queste operazioni. Tale criterio, in effetti, qualora si riveli compatibile con le situazioni concrete, deve trovare applicazione anche nei confronti dei soggetti di maggiori dimensioni. Il comma 4 dell’art. 12 prevede che si debba dare atto nel processo verbale delle operazioni di verifica di eventuali osservazioni e/o rilievi del contribuente o del professionista che lo assiste. Tutte le operazioni eseguite in seguito all’accesso, devono infatti essere annotate in un apposito processo verbale di verifica, il quale dovrà recare anche la sottoscrizione del contribuente o del suo delegato, o – in alternativa – i motivi della mancata sottoscrizione (art 52, comma 6, del DPR 633/1972). Appositi verbali di perquisizione personale e/o di apertura coattiva dovranno essere redatti separatamente ove si sia proceduto a tali operazioni. Il comma 5 dell’art. 12 prosegue affermando che “la permanenza degli

operatori civili o militari dell’amministrazione finanziaria, dovuta a

verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni

lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare

complessità dell’indagine individuati e motivati dal dirigente dell’ufficio.

Gli operatori possono ritornare nella sede del contribuente, decorso tale

periodo, per esaminare le osservazioni di verifica ovvero, previo assenso

motivato del capo dell’ufficio, per specifiche ragioni”. Il conteggio di questi trenta giorni sembrerebbe riguardare il solo tempo effettivamente trascorso presso il contribuente stesso e quindi la sola fase della permanenza e non già tutto il periodo dell’attività di verifica complessivamente intesa. Stando alla Circolare del Comando generale della Guardia di Finanza 250400 del 17.08.2000 è tra l’altro prevista l’opportunità di prevedere sospensioni dell’attività svolta presso la sede del soggetto ispezionato per procedere ad eventuali controlli di coerenza esterna. La stessa Circolare, inoltre, prevede l’effettuazione, verso il ventesimo giorno, di un “punto di

situazione” al fine di verificare la sussistenza dei requisiti di particolare complessità delle indagini necessari per la proroga stessa ovvero per proseguire e concludere l’attività presso gli uffici del comando. Non sarebbero da escludere iniziative contenziose volte ad ottenere l’annullamento di avvisi di accertamento basati su processi verbali di constatazione redatti in esito a verifiche in cui non siano stati rispettati i suddetti termini.

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Il comma 6 dell’art. 12 prevede inoltre che al contribuente sia riconosciuta la facoltà, nel caso ritenga che i verificatori procedano con modalità non conformi alla legge, di rivolgersi anche al Garante del contribuente, secondo quanto previsto dall’art. 13 della legge 212/2000. Al comma 7 dell’art. 12, infine, è previsto che il contribuente possa, nei sessanta giorni successivi al rilascio di copia del processo verbale di verifica, presentare osservazioni o richieste che dovranno essere valutate dall’Ufficio. Prima del decorso di tale termine di sessanta giorni, l’Ufficio non potrà procedere alla notifica dell’avviso di accertamento. 3. Quando è possibile opporre il segreto professionale Al di là di quanto previsto nelle singole leggi che disciplinano le varie professioni, il segreto professionale è un vero e proprio obbligo giuridico che, se violato, è penalmente sanzionabile in base al disposto di cui all’art. 622 cp, che prevede la reclusione fino ad un anno o l’applicazione di una multa fino a € 516,46, nei confronti di chi riveli, senza giusta causa, un segreto di cui abbia avuto notizia per ragioni del proprio ufficio o della propria professione. Il segreto professionale si presenta allora come un aspetto speciale del diritto alla riservatezza, appare pertanto evidente che – nel caso in cui uno psicologo sia sottoposto a verifica fiscale – lo stesso dovrà aver cura di prestare la collaborazione del caso ai verificatori, avendo però sempre bene a mente che gli compete in primis l’obbligo di garantire la massima riservatezza possibile in ordine ai dati sanitari relativi ai propri pazienti. La scelta dello psicologo e dello psicoterapeuta di opporre o meno il segreto professionale rispetto all’acquisizione da parte dei verificatori di documenti che rivelino le condizioni di salute dei suoi pazienti, dovrà pertanto essere valutata in ragione della possibilità che gli possano presentare querele di parte laddove ritengano che il terapeuta non abbia garantito il segreto scaturente dal rapporto professionale. L’opponibilità del segreto professionale è invero spesso confusa con la facoltà, a beneficio del soggetto verificato, di non mettere a conoscenza i verificatori di elementi che possano danneggiare il professionista sottoposto a controllo; tale assunto è del tutto erroneo: il segreto professionale, invece, non è una tutela per il professionista verificato, ma una garanzia in favore del rapporto confidenziale tra cliente e professionista. In quest’ottica va pertanto valutata di volta in volta l’opportunità di eccepire il segreto professionale, nella consapevolezza

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che – qualora superato a causa di un ordine della magistratura – il professionista non potrà essere chiamato a rispondere di danni causati ai propri clienti per l’acquisizione da parte di terzi degli elementi sui quali aveva per l’appunto opposto il segreto. L’art. 52, comma 3, del DPR 633/1972 demanda infatti alla magistratura (abbiamo detto che i verificatori devono infatti acquisire l’autorizzazione della Procura della Repubblica) il compito di valutare tanto l’effettiva ricorrenza del segreto professionale, quanto la sua opponibilità rispetto alle esigenze istruttorie di carattere fiscale. In linea generale, l’opponibilità del segreto professionale dovrebbe essere ammessa laddove lo stesso sia eccepito con riferimento a documenti estranei alla gestione economica dei rapporti del professionista con la sua clientela, qualora l’acquisizione di detti documenti segreti appaia del tutto inutile ai fini fiscali. Non è comunque da escludere che la magistratura possa valutare l’esistenza di un nesso tra l’acquisizione di una cartella clinica e la rilevanza ai fini fiscali di detta acquisizione, nel caso in cui i verificatori perseguano lo scopo di controllare che le prestazioni sanitarie ivi indicate, siano state integralmente fatturate dal professionista sottoposto a verifica. Non bisogna infatti dimenticare che il codice sulla privacy (d.lgs 196/2003) dispone che il trattamento dei dati sensibili (e tali sono quelli relativi alla salute) è consentito solo se autorizzato da espressa disposizione di legge nella quale siano specificati i tipi di dati che possono essere trattati e di operazioni eseguibili, nonché le finalità di rilevante interesse pubblico perseguite a mezzo del loro trattamento. E’ pacifico che l’art. 66 dello stesso d.lgs 196/2003 individua tra le finalità di rilevante interesse pubblico quelle svolte da soggetti pubblici e dirette all’applicazione della normativa tributaria, nonché alla prevenzione e alla repressione delle violazioni di carattere fiscale. Infine, si ricordi che parimenti delicata è la situazione dello psicologo al quale l’Amministrazione finanziaria indirizzi inviti, richieste e questionari, ponendo il professionista verificato in una posizione attiva rispetto alle istanze dei verificatori. Anche in questi casi, infatti, il professionista sarà chiamato a tutelare il diritto alla riservatezza dei propri pazienti, i quali – in assenza di un’acquisizione coattiva da parte degli organi incaricati del controllo – dovranno dare il consenso alla comunicazione dei loro dati sanitari perché così previsto dall’art. 76 del d.lgs 196/2203. 4. Le verifiche bancarie e l’anagrafe dei rapporti finanziari La legge 311/2004 ha apportato un importante ampliamento soggettivo

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ed oggettivo delle operazioni di controllo bancario, la stessa ha infatti previsto che: �le notizie finalizzate al controllo della posizione fiscale possono essere richieste, oltre che alle banche, anche alle SIM, alle società di gestione del risparmio, alle poste, alle società fiduciarie; �le notizie non riguardano più solo le movimentazioni di c/c, ma anche tutte le “operazioni fuori conto”, ovvero quelle operazioni di qualunque importo, poste in essere da clienti occasionali presso qualsiasi sportello bancario, in quanto prive di un rapporto continuativo (conto corrente, deposito a risparmio, dossier titoli ecc.); �le banche (e gli altri soggetti) dovranno rispondere nel termine di 30 giorni dalla richiesta esclusivamente mediante flussi telematici. Il legislatore ha successivamente circoscritto l’ambito delle richieste che gli Uffici possono rivolgere agli intermediari finanziari (banche, poste, finanziarie, ecc…): �operazioni sia transitate su c/c, sia fuori c/c successive alla data del 01.01.2006 => obbligo per gli intermediari finanziari di identificare tutti i soggetti che le effettuano (anche quelli che le effettuano in nome e per conto di terzi) e conseguente obbligo di comunicarle agli Uffici che ne facciano richiesta; �operazioni transitate su c/c ed operazioni “fuori c/c” di importo superiore a 12.500 € effettuate anche prima del 01.01.2006 => stessi obblighi sopra emarginati; �operazioni “fuori c/c” di importo inferiore ai 12.500 € effettuate prima del 01.01.2006 => nessun obbligo a carico degli intermediari finanziari. Riepilogando, le novità pertanto introdotte in materia di indagini bancarie dalla legge 311/2004 hanno determinato tanto un ampliamento dei destinatari delle richieste, quanto un ampliamento dell’oggetto delle verifiche, oltre ad aver stabilito nuove modalità di scambio delle informazioni che infatti viaggiano ora per flussi telematici. Non solo: la medesima normativa ha previsto infatti anche nuove modalità di applicazione delle presunzioni legali in materia di accertamento bancario, rendendo questo tipo di accertamento non più accessorio rispetto ai controlli esperibili dagli Uffici in sedi diverse. Il legislatore, innovando il contenuto dell’art. 32 del DPR 600/1973, fissa delle presunzioni legali relative (suscettibili quindi di prova contraria a carico del contribuente) in base alle quali: �i versamenti effettuati sui c/c costituiscono elementi su cui è possibile fondare gli accertamenti fiscali nei confronti di qualunque tipo di contribuente, a meno che questo non provi di averne tenuto conto nella determinazione del reddito assoggettato a tassazione;

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�i prelevamenti costituiscono, per imprese e professionisti, ricavi o compensi qualora il contribuente non provi di averli contabilizzati nelle proprie scritture contabili o non sia in grado di indicarne l’effettivo beneficiario. Le possibilità legate all’effettuazione di indagini finanziarie si fanno ancora più pregnanti con l’approvazione del DL 223/2006 (cosiddetto decreto Bersani-Visco, convertito nella legge 248/2006), con il quale nasce infatti l’anagrafe dei rapporti di c/c e di deposito, apposita sezione dell’anagrafe tributaria. Tutti gli operatori finanziari sono infatti tenuti a trasmettere telematicamente all’Amministrazione Finanziaria i dati identificativi e il codice fiscale dei clienti con i quali intrattengono rapporti continuativi, nonché i dati relativi alla natura e tipologia del rapporto, la data di apertura, modifica e chiusura. Oggetto della comunicazione sono tutti i rapporti (ivi compresi quelli cessati) esistenti alla data del 1° gennaio 2005, oltre – ovviamente – a tutti quelli attivati successivamente a detta data. Vale infine la pena di precisare che per rapporto finanziario, si intende qualunque tipo di contratto instaurato con un operatore finanziario, da un contratto di c/c o di deposito, ad un rapporto fiduciario ex legge 1966/1939, ad un rapporto di gestione patrimoniale, ad un fondo pensione, all’apertura di una cassetta di sicurezza, ad un contratto di finanziamento, ecc… 5. Acquisizione di informazioni presso terzi. I questionari I poteri conoscitivi finora trattati sono poteri esercitabili nei confronti del contribuente oggetto stesso del controllo; il ricorso, infatti, all’esercizio di poteri conoscitivi autoritativi nei riguardi di soggetti terzi rispetto al contribuente verificato, si dovrebbe presentare come uno strumento eccezionale. Tale sembra essere stato l’intento del legislatore, il quale ha disciplinato in termini specifici, all’art. 32 del DPR 600/1973, il potere di acquisire autoritativamente conoscenze presso terzi, sembrando, in tal modo, voler escludere la configurabilità di un generale potere dell’Amministrazione in tal senso. Ciò premesso, apparirebbe pacifica la possibilità di contestare comportamenti dell’Amministrazione finanziaria atti a sottoporre a “interrogatorio” dipendenti, collaboratori e/o pazienti del professionista sottoposto a controllo. Va invece segnalato che il tema, spesso dibattuto in sede di contenzioso tributario, ha dato esito a pronunce dei giudici

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tributari non sempre uniformi. A ciò si aggiunga la circostanza che la legge 248/2006, nell’ambito delle disposizioni ribattezzate “lotta all’evasione”, ha di fatto potenziato lo strumento dei questionari, attribuendo nuovi e più ampi poteri ai verificatori. Gli uffici finanziari oggi possono infatti inviare ai contribuenti questionari tanto a soggetti titolari di partita IVA, con riferimento anche generico a clienti, fornitori e prestatori di lavoro autonomo senza obbligo di indicazione nominativa, quanto a qualunque soggetto anche persona fisica che abbia intrattenuto rapporti con il contribuente sottoposto a controllo, al fine di raccogliere dati e notizie di carattere specifico rilevanti ai fini dell’accertamento a suo carico. 6. L’esito del controllo: le diverse fattispecie di accertamento 6.1. Premessa L’atto di accertamento rappresenta l’esito di un’attività istruttoria che abbia fatto emergere violazioni fiscali da parte del contribuente, violazioni che – a seconda della loro maggiore o minore gravità – condizionano la tipologia stessa dell’accertamento, per l’individuazione della quale si deve fare riferimento alle norme contenute nel DPR 600/1973. Ben può essere, quindi, che il contribuente verificato, non venga poi accertato, avendo, l’Amministrazione finanziaria, appurato il fedele e puntuale adempimento degli obblighi che gli incombono. 6.2. L’accertamento in rettifica e l’accertamento d’ufficio L’accertamento in rettifica può coinvolgere sia le dichiarazioni delle persone fisiche (art. 38), sia quelle di soggetti diversi (art. 40). Esso viene utilizzato in tutti i casi di incompletezza, inesattezza o infedeltà della dichiarazione, presupponendo, dunque, che una dichiarazione sia comunque stata presentata. L’accertamento d’ufficio (art. 41), al contrario, interviene nei casi di dichiarazione omessa (intendendosi per omessa, una dichiarazione non presentata o presentata con un ritardo superiore a trenta giorni), o nei casi di presentazione di dichiarazione nulla (intendendosi per nulla, una dichiarazione non sottoscritta o redatta su stampati non conformi al modello ministeriale). Anche questo tipo di accertamento, come il precedente, può essere rivolto sia alle persone fisiche che ad altri

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soggetti. Che poi il concreto esercizio del potere di accertamento risulti differenziato tra metodi analitici, sintetici e induttivi di ricostruzione del reddito imponibile, dipende in realtà (come vedremo diffusamente nei prossimi paragrafi) dalla diversa natura dei vizi e delle irregolarità commesse dal contribuente, lungi quindi dall’essere esposto a scelte arbitrarie dell’ufficio, il quale sarà di volta in volta vincolato dal legislatore nella scelta del metodo da applicare al caso concreto . 6.3. Metodo analitico Negando un ampio margine di discrezionalità all’ufficio accertatore, si tratta del sistema che offre maggiori garanzie al contribuente. All’accertamento analitico si ricorre ogniqualvolta si renda necessario ricostruire l’intera situazione reddittuale del contribuente, in tutte le sue componenti. Si tratta di una ricostruzione che può rivelarsi alquanto lunga e difficoltosa, fosse anche solo per la notevole mole di dati (non sempre, tra l’altro, di facile lettura) che devono essere esaminati ed assemblati. Ciò è vero per quanto riguarda i soggetti privati, che pur avendo una situazione reddituale generalmente più semplice, possono comunque essere titolari di diverse categorie di redditi. Ma, se nei confronti di un privato l’operato dell’ufficio risulta già di per sé arduo, è facile capire quanto si complichi la prospettiva nel caso in cui il soggetto sottoposto all’accertamento analitico sia, invece, un lavoratore autonomo o un imprenditore, nel qual caso l’ufficio dovrà determinare il reddito ricostruendo e rettificando singole componenti reddituali risultanti dalla contabilità. A questo proposito è rilevante sottolineare che, per i professionisti e per gli imprenditori, per l’appunto, la regolare tenuta della contabilità costituisce fattore discriminante circa il metodo di accertamento applicabile. Sull’argomento è inequivocabile la portata dell’art. 39 del DPR 600/1973, recante disposizioni in tema di “redditi determinati in base alle scritture contabili”; qui si asserisce che l’accertamento analitico sia utilizzabile solo nei casi in cui le scritture contabili siano state regolarmente tenute e risultino disponibili ed attendibili (in caso contrario, come vedremo più oltre, l’ufficio applicherà un metodo d’accertamento di tipo induttivo). Bisogna però fare attenzione a non cadere nel facile equivoco (causato, a dire il vero, anche dal fatto che spesso si parla di accertamento analitico come di accertamento contabile e di accertamento induttivo, come di accertamento extra-contabile) per cui l’applicazione del metodo analitico, comporti per forza di cose una preventiva ispezione

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delle scritture contabili. Ciò, al contrario, non è affatto necessario stante la disposizione di cui al primo comma, lettera c) dell’art. 39, per la quale l’ufficio può procedere senz’altro alla rettifica quando “l’incompletezza, la

falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei

relativi allegati risulta in modo certo e diretto dai verbali e dai questionari

…, dagli atti, documenti e registri …, dalle dichiarazioni di altri soggetti …,

dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti o

da altri atti e documenti in possesso dell’ufficio”. Non che la mancata ispezione delle scritture contabili non comporti conseguenze, ma queste riguarderanno esclusivamente il regime probatorio, poiché il previo esame contabile rende ammissibile, se ne ricorrano le circostanze, un accertamento induttivo basato anche su presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza; diversamente, se l’esame contabile non c’è stato, l’ufficio potrà ricorrere esclusivamente a prove dirette o, eventualmente, a presunzioni semplici purché dotate dei requisiti appena menzionati di gravità precisione e concordanza. 6.4. Metodo sintetico La legge parla di accertamento sintetico del reddito complessivo con riferimento ai soli contribuenti persone fisiche, per i quali emerga un’incongruenza tra il reddito dichiarato e la capacità di spesa manifestata. Le modalità di applicazione di tal tipo di accertamento si ricavano dal dettato del quarto comma dell’art. 38 del DPR 600/1973, laddove si dice che “l’ufficio, indipendentemente dalle disposizioni recate

dai commi precedenti e dall’art. 39, può, in base ad elementi e

circostanze di fatto certi, determinare sinteticamente il reddito

complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di

tali elementi e circostanze, quando il reddito complessivo netto accertato

si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato. A tal fine, con

decreto del Ministro delle finanze … sono stabilite le modalità in base alle

quali l’ufficio può determinare induttivamente il reddito … in relazione ad

elementi indicativi di capacità contributiva individuati con lo stesso

decreto, quando il reddito dichiarato non risulta congruo rispetto ai

predetti elementi per due o più periodi d’imposta” . Elemento tipico dell’accertamento sintetico è il fatto che si prescinde completamente da suddivisioni per varie categorie di reddito, e si punta solamente alla ricostruzione di un’unica base imponibile complessiva. La quantificazione che ne deriva, può basarsi su tre fondamentali criteri: la spesa globale, gli investimenti, e il “redditometro”. Come questi criteri di quantificazione del reddito, diventino la causa scatenante un

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accertamento di tipo sintetico, dipende dal fatto che essi danno l’input per far sorgere, o meno, in capo all’Amministrazione finanziaria, una serie di presunzioni gravi, precise e concordanti, cioè tali per cui il fatto noto (ovvero la capacità di spesa), e quello ignoto (ovvero il reddito complessivo) risultano tra loro correlati non da un nesso causale necessitante, ma comunque da un ragionevole criterio probabilistico, quale quello dell’id quod plerumque accidit. Secondo tale principio, una persona (che – ai fini della necessaria generalizzazione richiesta per la ricostruzione di una casistica che presenti connotati di “normalità” – potremmo identificare con il bonus pater familias) non consuma il proprio patrimonio per sostenere un certo tenore di vita; ciò significa quindi che deve ammettersi un certo nesso di inferenza tra consumi e reddito, salvo prova contraria volta a dimostrare “l’anormalità” della fattispecie contestata. E’ evidente, d’altra parte, che questo criterio probabilistico va utilizzato più cautamente in presenza di spese, non dirette a finanziare il tenore di vita, ma ad immobilizzare una parte consistente del proprio patrimonio in beni durevoli, a utilità ripetuta in diversi periodi d’imposta. Una spesa di questo tipo deve essere letta come una spesa probabilmente sostenuta grazie ai redditi di più anni (e magari di più persone): considerazioni dalle quali non si può ragionevolmente prescindere. Non a caso, anche qualora la spesa per incrementi patrimoniali rilevata dall’ufficio, si riveli comunque superiore rispetto alle capacità di reddito dichiarate dal contribuente, e possa quindi dare esito ad un accertamento sintetico, l’art. 38 comma 5 del DPR 600/1973 prevede che tale spesa “si presume

sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti in quote costanti,

nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti” . Per quanto concerne il “redditometro”, diciamo subito che si tratta di un sistema di presunzioni legali relative, stabilite con decreto del Ministro delle Finanze, al quale la legge attribuisce il potere di individuare dei fattori indice di capacità contributiva. Tra gli indici propri del redditometro, ricordiamo: autoveicoli, aerei e imbarcazioni da diporto; cavalli da corsa; residenze principali e secondarie; collaboratori domestici; riserve di caccia e di pesca; assicurazioni e altri beni generalmente classificabili come consumi di lusso. Oltre a questi indici, poi, lo stesso decreto fissa una serie di coefficienti presuntivi di reddito che serviranno alla quantificazione della base imponibile, in rapporto alla rilevata esistenza dei fattori indice di capacità contributiva. Va segnalato che il Ministero, preso atto dell’inevitabile imprecisione di tale strumento e in attesa della sua definitiva revisione a mezzo di altri strumenti di forfettizzazione del reddito (quali i parametri prima, e gli studi di settore poi), ha invero previsto un nuovo utilizzo del redditometro

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(Circolare del Ministero delle Finanze 101/E del 30.04.1999), disponendo che l’uso del redditometro debba essere integrato e coordinato con gli altri strumenti di forfettizzazione del reddito or ora citati e supportato da accertamenti diretti. In altre parole, in questa ratio, il redditometro dovrà essere utilizzato dagli Uffici per lo più quale spunto d’indagine, piuttosto che quale vero e proprio metodo di accertamento. 6. 5. Metodo induttivo L’accertamento induttivo - applicabile ai soggetti titolari di partita IVA - presenta notevoli analogie rispetto all’accertamento sintetico. La disciplina dell’accertamento induttivo è contenuta nel secondo comma dell’art. 39 del DPR 600/1973, dal quale si evince, innanzitutto che non si tratta di un metodo di rettifica dei dati riportati nella dichiarazione e nelle scritture contabili, ma di una determinazione ex novo del reddito d’impresa o di lavoro autonomo, “… sulla base dei dati e delle notizie

comunque raccolti o venuti a conoscenza (dell’ufficio), con facoltà di

prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture

contabili …”. Inoltre, come per l’accertamento sintetico, anche ai fini dell’accertamento induttivo, l’ufficio può avvalersi di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. Il comma 2 dell’art. 39 del DPR 600/1973 prosegue enumerando i casi (tassativi) nei quali è consentito il ricorso al metodo induttivo: quest’ultimo è ammesso quando il reddito d’impresa o di lavoro autonomo non è stato indicato nella dichiarazione; quando dal verbale di ispezione risulta che il contribuente ha sottratto all’ispezione stessa una o più scritture contabili, o non le ha rese disponibili, fosse anche per cause di forza maggiore; quando le inesattezze, omissioni e irregolarità delle scritture contabili sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse. Ma stabilire quando le irregolarità delle scritture siano tali da renderle nel loro complesso inattendibili, è questione tutt’altro che semplice, tanto che sull’argomento si è venuta sviluppando una ricca e variegata giurisprudenza. 6.6. Metodo analitico induttivo Per quanto concerne tale metodo di accertamento, oggi posto in essere tramite lo strumento degli Studi di Settore, si rinvia a quanto diffusamente trattato nel capitolo dedicato per l’appunto agli Studi di

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Settore. 7. L’eventuale fase contenziosa dinanzi alle Commissioni Tributarie Qualora l’attività di verifica posta in essere dall’Amministrazione Finanziaria dia luogo ad un accertamento ai fini delle imposte dirette o ai fini IVA, è sempre data facoltà al contribuente di impugnare l’atto di accertamento innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale territorialmente competente in base al domicilio del contribuente stesso. L’impugnazione va fatta entro 60 giorni dalla notifica dell’atto nei modi e con le formalità di cui al d.lgs 546/1992. L’impugnazione di un avviso di accertamento, tanto ai fini imposte dirette quanto ai fini IVA, non sospende di per sé la riscossione delle maggiori imposte accertate, fatta salva la facoltà di presentare istanza per la sospensione cautelare dell’atto impugnato (art. 47 d.lgs 546/1992) che potrà essere richiesta alla duplice condizione che il contribuente sia in grado di provare il fumus boni iuris (ovvero la ragionevolezza apparente delle contestazioni mosse in sede contenziosa), oltre alla circostanza che la riscossione dell’atto impugnato potrebbe comportagli un “danno grave ed irreparabile”. Diversamente, il contenzioso non sospenderà la riscossione, ma comporterà la riscossione frazionata del tributo e dei relativi interessi nella misura di 1/2 del tributo. Ovviamente, se alla fine del procedimento contenzioso risulterà soccombente l’Amministrazione Finanziaria, la stessa sarà tenuta al rimborso di tutte le somme indebitamente pagate dal contribuente in pendenza di giudizio, maggiorate degli interessi legali. Il contenzioso tributario contempla due gradi di giudizio innanzi al giudice di merito (la Commissione Tributaria Provinciale in primo grado e la Commissione Tributaria Regionale in secondo grado), oltre ad un terzo grado di giudizio di legittimità attivabile avanti la Corte di Cassazione. 8. Gli strumenti deflattivi del contenzioso tributario: accertamento con adesione, definizione agevolata, conciliazione giudiziale, autotutela, il nuovo istituto dell’adesione ai PVC Il d.lgs 218/1997 ha introdotto una serie di strumenti volti a deflazionare il contenzioso tributario, in particolare ci si riferisce all’accertamento con

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adesione, alla definizione agevolata e alla conciliazione giudiziale. Con riferimento all’accertamento con adesione, la procedura è avviata mediante presentazione dell’istanza ad opera del contribuente all’Agenzia delle Entrate competente per territorio. La presentazione dell’istanza sospenderà i termini per la proposizione del ricorso per un periodo pari a novanta giorni. L’istanza va infatti presentata necessariamente prima che sia stato inoltrato ricorso davanti al giudice tributario e l’eventuale presentazione del ricorso in pendenza dei novanta giorni comporta l’automatico abbandono della procedura deflattiva. I vantaggi dell’accertamento con adesione sono costituiti dal fatto che con detta procedura si instaura un contraddittorio con l’Ufficio volto a tentare una riduzione delle pretese impositive dello stesso, riduzione che sarà poi accompagnata dall’applicazione in misura ridotta delle sanzioni amministrative irrogate (corrispondente ad un quarto del minimo stabilito dalla legge). Inoltre, l’accertamento con adesione esclude la punibilità limitatamente ad alcuni reati tributari (art. 2, comma 3, d.lgs 218/1997). Infine, l’accertamento con adesione esclude l’esercizio di un’ulteriore azione accertatrice da parte dell’ufficio se non nelle sole ipotesi previste dal comma 4 dell’art. 2 del d.lgs 218/1997. Si tratta del caso in cui nuovi elementi consentano di accertare un maggior reddito, superiore al cinquanta per cento del reddito definito e comunque non inferiore a 25.822,85 €; oppure del caso in cui la definizione agevolata riguardi accertamenti parziali; o ancora del caso in cui la definizione riguardi esclusivamente redditi di partecipazione in società di persone, associazioni professionali o aziende coniugali non gestite in forma societaria. Altra procedura è quella cosiddetta di definizione agevolata di cui all’art. 15 del d.lgs 218/1997. In base a tale disposto normativo, le sanzioni irrogate nell’atto di accertamento sono ridotte ad un quarto se il contribuente rinuncia semplicemente a impugnare l’atto, provvedendo contestualmente a pagare le somme dovute entro il termine per la proposizione del ricorso (sessanta giorni). Ed ancora esiste la cosiddetta definizione agevolata delle sole sanzioni di cui all’art. 16 del d.lgs 472/1997. Tale procedura consente al contribuente di definire le sanzioni di cui all’avviso di accertamento mediante pagamento delle stesse ridotte ad un quarto, nel contempo attivando comunque il contenzioso con riferimento alla pretesa erariale. Va però sottolineato che, nel caso in cui il contenzioso tributario dia esito favorevole al contribuente, le somme pagate per la definizione delle

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sanzioni non saranno più rimborsabili. Alla conciliazione giudiziale, invece, possono ricorre quei contribuenti che - pur avendo presentato ricorso al giudice, e purché si sia ancora nell’ambito dell’udienza di primo grado – si siano pentiti della scelta fatta e vogliano accordarsi con gli uffici, evitando le lungaggini e i rischi del processo. In questo caso, l’accordo avviene sotto il controllo del giudice. Le agevolazioni inerenti alle sanzioni sono però meno vantaggiose per il contribuente, in quanto non vi è alcuna estinzione delle sanzioni penali, e quelle amministrative sono ridotte ad un terzo (anziché ad un quarto) rispetto a quelle inflitte dall’ufficio accertatore . Vale poi la pena ricordare che il contribuente potrebbe anche, nel caso in cui l’atto di accertamento sia palesemente illegittimo, chiederne l’annullamento all’Ufficio in via di autotutela. Si tratta di una procedura snella ed economica (è infatti sufficiente presentare un’istanza motivata in carta semplice all’Ufficio), tale procedura non fornisce però nessuna garanzia in ordine all’effettivo annullamento dell’atto e non sospende neppure i termini per adire la via contenziosa. E’ recente, infine, l’introduzione del nuovo istituto dell’adesione ai PVC, introdotto dalla legge 133/2008. Tale istituto attribuisce ai contribuenti sottoposti a verifica fiscale la facoltà di aderire ai processi verbali di constatazione redatti in sede di verifica fiscale ai fini IVA e imposte dirette e consegnati alla parte successivamente al 25 giugno 2008. Tale procedura consente al contribuente di fare acquiescenza ai rilievi contenuti nel PVC, pagando le somme ivi richieste a titolo di maggiore imposta e beneficiando di una riduzione ad 1/8 delle sanzioni irrogabili, il tutto anticipando l’emissione dell’avviso di accertamento che conseguirebbe alla notifica del PVC. La richiesta di adesione va inoltrata entro 30 giorni dalla consegna del PVC e impone l’accettazione integrale dei rilievi a carico del contribuente.

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CAPITOLO DODICESIMO L’esercizio della professione di psicologo e di psicoterapeuta nell’ambito di associazioni e società professionali 1. L’associazione tra professionisti La professione di psicologo e di psicoterapeuta può essere svolta, oltre che in forma individuale, anche sotto forma di associazione tra professionisti (cosiddetto studio associato). Il reddito conseguito dall’associazione professionale, viene imputato ai vari associati in proporzione alla loro quota di partecipazione agli utili. Ne deriva che mentre l’associazione professionale sarà soggetta al pagamento dell’IRAP ed eventualmente dell’IVA, gli associati saranno invece soggetti al pagamento dell’IRPEF e dei contributi previdenziali sul reddito derivante dalla loro partecipazione nell’associazione professionale. Il criterio di ripartizione dell’utile dell’associazione pro quota in capo ai soci investe anche le ritenute d’acconto subite dall’associazione stessa, nonché le eventuali perdite. L’associazione professionale può essere costituita mediante atto pubblico o scrittura privata registrata nella quale si dà atto, tra l’altro, della suddivisione delle quote tra i vari associati. Tale suddivisione può però essere variata in ogni momento, fino alla data di presentazione della dichiarazione dei redditi dell’associazione professionale relativa all’anno per il quale si intende modificare la ripartizione delle quote. Lo scopo, infatti, è quello di consentire una ripartizione degli utili dell’associazione “a consuntivo” sulla base dell’effettivo apporto di lavoro di ciascun associato. L’eventuale modifica delle quote di partecipazione all’utile dell’associazione deve risultare da apposito atto che dovrà essere registrato nei termini sopra menzionati. Appare evidente che la costituzione di un’associazione professionale presenta un duplice vantaggio consistente in primis nel sostenimento di costi di costituzione più contenuti atteso che non è necessario ricorrere all’atto pubblico o alla scrittura privata autenticata, ed essendo invece sufficiente la mera scrittura privata registrata. Un secondo vantaggio deve ravvisarsi nella maggior flessibilità dello strumento associativo rispetto a quello societario; la variazione della compagine sociale dello studio non richiede infatti cessione di quote notarili, ma semplici nuove registrazioni

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all’Agenzia delle Entrate. Parimenti – atteso che, come poc’anzi illustrato, nello studio associato l’utile spettante agli associati è determinato a consuntivo, e cioè solo quando è possibile verificare il reale apporto di ciascun associato nel corso dell’anno – appare evidente che il fatto di poter provvedere alla distribuzione degli utili dello studio (o al conguaglio degli stessi) solo una volta che la verifica circa il reale apporto di ciascun associato sia stata per l’appunto effettuata, consente maggior trasparenza nei rapporti tra gli associati, oltre a consentire la tassazione degli utili dello studio nel rispetto delle quote effettivamente distribuite ai suoi componenti.

Fac-simile di atto costitutivo di studio associato:

ATTO COSTITUTIVO E STATUTO

DI ASSOCIAZIONE CIVILE PROFESSIONALE Costituzione di associazione professionale Oggi ……………………, i sottoscritti - ………………, nato a ………………… il …………….. e residente a ………………. in via ………… n. … codice fiscale: …………………….., di professione …………………; - ………………, nato a ………………… il …………….. e residente a ………………. in via ………… n. … codice fiscale: …………………….., di professione …………………; - ………………, nato a ………………… il …………….. e residente a ………………. in via ………… n. … codice fiscale: …………………….., di professione …………………; - ………………, nato a ………………… il …………….. e residente a ………………. in via ………… n. … codice fiscale: …………………….., di professione …………………; avendo concordemente optato per l’esercizio della professione di psicologo in forma associata, redigono la seguente scrittura privata: Art. 1. – I comparenti dichiarano di costituire un’associazione professionale denominata “………………………………………..” con sede legale a ………………………….. Art. 2. – L’associazione, per quanto riguarda lo scopo, il patrimonio, le norme sull’ordinamento e sull’amministrazione, i diritti e gli obblighi degli associati e le condizioni della loro ammissione, nonché per quelle relative all’estinzione dell’ente ed alla devoluzione del patrimonio, è regolata dalle norme che qui s’intendono letteralmente ripetute e trascritte contenute nello statuto, che previa lettura si allega sotto la lettera “A”. Art. 3. – Le spese del presente atto e conseguenti sono a carico della associazione salvo diversa inderogabile disposizione di legge. Allegato “A” dell’Atto costitutivo Statuto Art. 1. – E’ costituita fra gli aderenti un’associazione professionale che sarà retta dalle disposizioni di legge e da quelle contenute nel presente statuto. Art. 2. – L’oggetto dell’associazione è l’esercizio in forma associata delle professioni di psicologo e di psicoterapeuta Art. 3. – La denominazione dell’associazione è “…………………………………………”. Art. 4. – La sede dell’associazione è stabilita a ……………………………………. L’eventuale trasferimento degli uffici nell’ambito del Comune di ……………………… non richiederà atto formale di modifica del presente atto. Con delibera unanime degli associati potranno essere istituite ovunque, ove opportuno, sedi secondarie e recapiti.

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Art.5. – La durata dell’associazione è a tempo indeterminato. Ciascuno degli associati può recedere in ogni momento dalla associazione, dando un preavviso scritto di almeno …….. mesi. Art. 6. – Al fine di realizzare lo scopo associativo le parti si obbligano a conferire nell’associazione tutta la loro attività professionale e tutti gli incarichi e mandati che abbiano ricevuto dai clienti in ordine a prestazioni professionali aventi ad oggetto la diagnosi e la cura di pazienti affetti da ………………………………….. Ciascuno associato si obbliga anche a non svolgere, né in proprio né per conto di altri, attività concorrenziali con quelle dell’associazione, salvo che ciò, caso per caso ed in via del tutto eccezionale, sia stato previamente autorizzato dalla totalità degli altri associati, ovvero sia espressamente obbligato dalla legge. E’ data facoltà ai soci di continuare a svolgere l’attività professionale anche in forma autonoma, al di fuori dell’associazione con esclusivo riferimento agli incarichi professionali aventi ad oggetto …………………………………………. Art. 7. – I contratti verso terzi sono intestati alla associazione. Art. 8. – Tutte le somme di denaro a qualunque titolo riscosse sono di pertinenza dell’associazione affluendo ad un unico fondo comune da utilizzare per i pagamenti per le spese di studio e le erogazioni degli associati. Art. 9. – Le quote di partecipazione di ciascun associato al reddito netto della associazione sono attualmente fissate al ….% per il dott. ……………………, al ….% per il dott. ……………………, al ….% per il dott. ……………………, al ….% per la dott.ssa ……………………, con facoltà di concordemente modificarle a consuntivo, alla chiusura di ogni esercizio, in ragione dell’attività di lavoro effettivamente prestata da ciascun associato e dell’entità dei mandati apportati. Art. 10. – Per quanto riguarda l’amministrazione, i rapporti con i terzi, lo scioglimento dell’associazione, si applicano, ove nulla sia qui espressamente pattuito, le norme previste dal codice civile per le associazioni non riconosciute. Art. 11. – L’amministrazione dell’associazione e la rappresentanza esterna spetta a tutti gli associati disgiuntamente. Art. 12. – Possono essere ammessi in qualità di associati le persone fisiche aventi i seguenti requisiti: a) l’iscrizione all’Ordine degli psicologi; b) il gradimento da parte di tutti gli associati. Art. 13. – La qualità di associato si perde: a) per lo scioglimento dell’associazione; b) per violazione da parte dell’associato degli obblighi statutari; c) per inosservanza dell’etica e della deontologia professionale; d) per cancellazione dall’Ordine professionale; e) per dimissioni dell’associato da comunicarsi almeno … mesi prima con lettera raccomandata (vedi art. 5) e con decorrenza dalla data di ricevimento; f) per morte dell’associato, escluso ogni diritto di subentro da parte degli eredi; g) per sanzioni disciplinari inflitte dai Consigli professionali e divenute definitive, diverse dall’avvertimento e dalla censura. Art. 14. – Le pratiche in corso al momento del recesso o dell’esclusione dell’associato restano affidate all’associazione, salva sempre al cliente la facoltà di revocare il mandato, e la facoltà di rinunziare a tale incarico, da parte degli altri associati. L’associato uscente o i suoi eredi hanno diritto soltanto ad una somma di denaro che rappresenti la quota conferita e il reddito netto maturato ed accertato relativamente alle attività svolte fino al momento dello scioglimento del rapporto. L’accertamento ed il pagamento di tale somma deve essere eseguito entro un anno dalla scioglimento del rapporto, salva restando la percezione di quella quota di reddito, dovuta alla attività dell’associato uscente, che dovesse essere realizzata in proseguo di tempo. Per le responsabilità dell’associato uscente, si applica la norma dell’art.2290 del codice civile. Art. 15. – Le eventuali controversie tra le parti, nascenti dall’applicazione o dall’interpretazione del presente statuto, saranno decise da un arbitro, amichevole compositore, scelto di comune accordo. In caso di disaccordo l’arbitro sarà nominato ad istanza della parte più diligente dal Presidente del Tribunale di ………………………………. Il medesimo deciderà inappellabilmente regolando lo svolgimento del giudizio a norma degli artt. 816 e segg. del codice di procedura civile. Art. 16. – Per quanto non espressamente previsto dal presente Statuto valgono le vigenti norme di legge anche in materia di Ordinamento della professione di psicologo. - …………………….. -

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- …………………….. - - …………………….. - - …………………….. - Luogo e data ………………………

2. Le agevolazioni previste dalla legge Finanziaria per il 2008 per le aggregazioni tra professionisti La legge 244/2007, all’art. 1 commi da 70 a 76, riconosce agli studi professionali associati e alle altre entità giuridiche costituite anche in forma societaria risultanti dall’aggregazione di almeno 4 e non più di 10 professionisti un credito d’imposta pari al 15% dei costi sostenuti per l’acquisizione di una serie di beni destinati a strutturare lo svolgimento dell’attività professionale o per la realizzazione di interventi di ammodernamento e ristrutturazione. Il credito d’imposta è concesso per le operazioni di aggregazione tra professionisti che avvengono tra il 1° gennaio 2008 e il 31 dicembre 2010 e limitatamente alle spese sostenute entro un anno dall’avvenuta aggregazione. Ulteriore limitazione per il riconoscimento del credito d’imposta consiste nel fatto che tutti gli associati devono esercitare la professione esclusivamente all’interno dello studio associato così costituito. Allo stato attuale, il riconoscimento del credito d’imposta in questione è subordinato sia all’approvazione di uno specifico decreto attuattivo, sia alla preventiva autorizzazione della Commissione europea. 3. La società professionale Ulteriore possibilità di esercizio della professione in forma collettiva è rappresentata dallo strumento societario. Il DL 223/2006 (cosiddetto DL Bersani–Visco convertito nella legge 248/2006) ha abrogato il divieto di costituire società di persone tra professionisti. Viene conseguentemente consentita la costituzione di società e associazioni professionali, anche interdisciplinari, nelle quali è possibile anche l’ammissione di soci non professionisti. Il decreto prevede però che l’oggetto sociale (consistente beninteso nell’esercizio dell’attività libero-professionale) deve essere esclusivo e che il medesimo professionista non può partecipare a più di una società. Inoltre la specifica prestazione professionale deve essere resa da uno o

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più soci professionisti previamente indicati, sotto la loro personale responsabilità. Invero, in dottrina c’è chi sostiene che l’adozione di forme societarie per l’esercizio della professione di psicologo e di psicoterapeuta fosse consentita anche prima delle innovazioni introdotte dal decreto Bersani-Visco e ciò sulla scorta di argomentazioni che traggono origine dalla presunta estraneità delle professioni sanitarie al divieto di cui all’art. 2 della legge 1815/1939, che impediva per l’appunto di costituire società per lo svolgimento di alcune prestazioni professionali. In effetti parrebbe che tale divieto non abbia mai investito le prestazioni sanitarie atteso che le stesse non sembrano essere state contemplate dalla norma laddove si legge che è vietato costituire società che “abbiano lo scopo di dare … ai

terzi prestazioni di assistenza o consulenza in materia tecnica, legale,

commerciale, amministrativa, contabile o tributaria”. A sostegno di questo orientamento è intervenuta anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione pronunciatasi sulla questione con sentenza del 26 aprile 1990, ove si legge che le preclusioni di cui alla legge 1815/1939 non possono trovare applicazione se non nei casi tassativamente indicati dalla legge stessa. Se si volessero accreditare queste premesse, vero sarebbe che anche a seguito dell’abrogazione del menzionato art. 2 ad opera della legge 266/1997, a nulla rileverebbe nel caso di specie la mancata emanazione del regolamento interministeriale che doveva fissare i requisiti per l’esercizio delle attività professionali. Sembrerebbe inoltre possibile respingere anche i dubbi in ordine alla legittimità della costituzione di una società per l’esercizio di professioni sanitarie rispetto al contenuto dell’art. 2232 cc che impone che l’incarico professionale debba essere eseguito personalmente; tale norma non conterrebbe infatti alcun divieto in ordine al conferimento dell’incarico ad una società professionale, purché la prestazione venisse eseguita dal singolo professionista (sotto la sua personale responsabilità), concetto quest’ultimo ribadito di recente anche dalla legge 248/2006, che sembrerebbe pertanto fornire ulteriore conferma della correttezza giuridica dell’interpretazione prospettata. 4. La società di mezzi per l’esercizio della professione di psicologo e di psicoterapeuta Altra cosa rispetto alla costituzione di società professionale è invece il ricorso alle cosiddette società di “mezzi” o “servizi” per l’esercizio di professioni sanitarie; si tratta di società solitamente costituite nella forma

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giuridica della società a responsabilità limitata e volte ad organizzare l’attività di professionisti del comparto sanitario che intendono strutturarsi al fine di costituire un presidio sanitario privato. A dette società sono però per lo più demandati gli aspetti relativi all’organizzazione patrimoniale dello studio/ambulatorio, nonché quelli relativi al personale impiegato, non invece quelli relativi all’esercizio tipico dell’attività professionale, che rimane necessariamente sotto il controllo e la responsabilità professionale dei sanitari operanti nella struttura. Fac-simile di statuto di società di servizi funzionali all’esercizio delle professioni sanitarie in generale:

STATUTO CAPITOLO I - DENOMINAZIONE - SEDE - DURATA - OGGETTO ART. 1 – DENOMINAZIONE E' costituita la società denominata "………………………………. S.R.L.". ART. 2 - SEDE La società ha sede nel Comune di …………………… all'indirizzo risultante dalla apposita iscrizione eseguita presso il Registro delle Imprese a sensi dell'art. 111-ter delle Disposizioni di Attuazione del Codice Civile. L'Organo Amministrativo potrà istituire e sopprimere unità locali operative quali agenzie, rappresentanze, succursali o uffici amministrativi senza stabile rappresentanza, e ciò in tutta Italia ed all'estero, nonché potrà trasferire la sede sociale nell'ambito dello stesso Comune indicato nel precedente comma; spetta invece ai Soci deliberare la istituzione e la soppressione di sedi secondarie o il trasferimento della sede sociale in Comune diverso da quello indicato nel precedente comma. ART. 3 - DURATA La durata della società è fissata fino al 31 dicembre 2030, salvo proroga o anticipato scioglimento. ART. 4 - OGGETTO La società ha per oggetto le seguenti attività: la gestione di mezzi finanziari, tecnici e professionali finalizzata al coordinamento e all’attuazione dell’attività medica e sanitaria, onde costituire un presidio sanitario privato. L’attività potrà essere svolta sia in forma privatistica sia in convenzione con il SSN. Nello svolgimento dell’attività sopra dettagliata la società si avvarrà di professionisti regolarmente abilitati i quali conserveranno pertanto la responsabilità esclusiva delle prestazioni sanitarie e medico-professionali nei confronti dei clienti. La società potrà, in ogni caso, acquistare, vendere, permutare, costruire, ristrutturare e gestire beni immobili per uso civile, commerciale e industriale. Le attività finanziarie dovranno comunque essere svolte in via non prevalente e del tutto residuale in modo strumentale e funzionale al raggiungimento dell’oggetto sociale. CAPITOLO II - CAPITALE E QUOTE ART. 5 - CAPITALE SOCIALE, QUOTE E DIRITTI SOCIALI Il capitale sociale è di € …………………….. (€ ……………………) suddiviso in tante quote quante sono i soci. I soci hanno diritto di sottoscrivere gli aumenti di capitale da liberarsi mediante nuovi conferimenti in misura proporzionale alle partecipazioni dagli stessi possedute. La decisione di aumento può escludere in tutto o in parte il diritto di opzione a favore dei soci, salvo che nel caso di cui all'art. 2482-ter cod. civ; in tale circostanza, spetta ai soci che non hanno concorso alla decisione il diritto di recesso a norma dell'art. 2473, comma primo, cod. civ. Le partecipazioni dei soci sono proporzionali ai conferimenti effettuati. I diritti sociali spettano ai soci in misura proporzionale alla partecipazione dagli stessi posseduta, fatta salva la possibilità di attribuire particolari diritti alle singole partecipazioni ai sensi dell’art. 2468 c.c. ART. 6 - VERSAMENTI IN CONTO CAPITALE E FINANZIAMENTI DEI SOCI La società, anche al fine di fronteggiare esigenze di finanziamento dell'attività societaria, potrà avvalersi di : - versamenti in conto capitale, da effettuarsi anche in misura non proporzionale alle quote di partecipazione al capitale sociale; - finanziamenti con diritto di restituzione della somma versata, da effettuarsi a cura dei soci, anche non in proporzione alle rispettive quote di partecipazione al capitale sociale, con le modalità e i limiti di cui alla normativa vigente in materia di raccolta di risparmio. Salvo diversa determinazione, i versamenti effettuati dai soci a favore della società devono considerarsi infruttiferi anche se effettuati non in proporzione alle rispettive quote di partecipazione. Per il rimborso dei finanziamenti dei soci trova applicazione la disposizione dell'art. 2467 cod. civ. ART. 7 - TRASFERIMENTO DELLE QUOTE DI PARTECIPAZIONE PER ATTO TRA VIVI

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Le partecipazione con diritti particolari attinenti alla distribuzione di utili di cui all’art. 5 e i diritti particolari ad esse collegati si intendono non incorporati alla partecipazione, ma di spettanza dei singoli soci, si che il trasferimento a qualsiasi titolo di queste non produce alcun effetto in ordine ai diritti connessi. Il trasferimento totale o parziale della partecipazione del socio cui sono stati attribuiti particolari diritti comporta quindi l’estinzione totale o parziale dei diritti medesimi. In caso di trasferimento delle partecipazioni sociali per atto tra vivi agli altri soci spetta il diritto di prelazione a parità di condizioni rispetto a terzi. A tal fine il socio che intende trasferire in tutto od in parte la propria partecipazione, dovrà comunicare agli altri soci a mezzo lettera raccomandata con ricevuta di ritorno l'offerta di acquisto, indicando le generalità dell'acquirente, le condizioni della cessione, il prezzo e le modalità di pagamento. I soci intenzionati ad esercitare il diritto di prelazione dovranno informare il socio offerente mediante raccomandata con ricevuta di ritorno da inviarsi entro 30 (trenta) gg, dal ricevimento della comunicazione; il diritto di prelazione dovrà essere esercitato alle medesime condizioni offerte dal terzo. La prelazione spetterà ai soci interessati in proporzione alle partecipazioni da ciascuno di essi possedute; la parte della quota rimasta inoptata potrà essere acquistata dagli altri soci alle medesime condizioni, in proporzione alle rispettive quote di partecipazione. Qualora nella comunicazione sia indicato come acquirente un soggetto già socio, anche ad esso è riconosciuto il diritto di esercitare la prelazione in concorso con gli altri soci. In caso di mancato esercizio della prelazione, il socio offerente sarà libero di trasferire la partecipazione all'acquirente indicato nella comunicazione entro i sessanta giorni successivi dal giorno in cui é scaduto il termine per l'esercizio del diritto di prelazione; in mancanza la procedura della prelazione deve essere ripetuta. Le formalità di cui al presente articolo non si applicano nel caso in cui la cessione sia a favore del coniuge o di parenti in linea retta di qualunque grado. Nell'ipotesi di trasferimento di partecipazione per atto tra vivi eseguito senza l'osservanza di quanto sopra prescritto, l'acquirente non avrà diritto di essere iscritto nel libro soci, non sarà legittimato all'esercizio del voto e degli altri diritti amministrativi e patrimoniali e non potrà alienare la partecipazione con effetto verso la società. La cessione delle partecipazioni sarà possibile senza l’osservanza delle suddette formalità qualora il socio cedente abbia ottenuto la rinunzia all'esercizio del diritto di prelazione per quella specifica cessione da parte di tutti gli altri soci. L’intestazione a società fiduciaria o la reintestazione, da parte della stessa (previa esibizione del mandato fiduciario) agli effettivi proprietari non è soggetta a quanto disposto dal presente articolo ART. 8 - TRASFERIMENTO DELLE QUOTE A CAUSA DI MORTE In caso di morte di un socio, la società continua con gli eredi del socio defunto salva contraria volontà dei soci superstiti che in tal caso dovranno acquistare l'intera quota caduta in successione in proporzione alle quote da ciascuno possedute, ovvero indicare altro acquirente di loro gradimento. Il prezzo di cessione sarà determinato in base al valore effettivo del patrimonio sociale, quale risulta da una relazione giurata redatta da un esperto nominato dall’assemblea dei soci a maggioranza assoluta. La proposta di acquisto, contenente il prezzo di acquisto come sopra determinato, vincolerà gli eredi del socio defunto soltanto quando pervenga entro sei mesi dalla apertura della successione. Il prezzo di cessione potrà essere corrisposto in più rate ma non oltre il termine di due anni. CAPITOLO III - DECISIONI DEI SOCI ART. 9 - DECISIONI DEI SOCI I soci decidono sulle materie riservate alla loro competenza dal presente statuto, nonché sugli argomenti che uno o più amministratori o tanti soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale sottopongono alla loro approvazione. In ogni caso sono riservate alla competenza dei soci: 1. l'approvazione del bilancio e la distribuzione degli utili; 2. la nomina degli amministratori; 3. la nomina, nei casi previsti dall'art. 2477 c.c. dei sindaci e del Presidente del Collegio Sindacale; 4. le modificazioni del presente statuto; 5. la decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto sociale come sopra indicato, o una rilevante modificazione dei diritti dei soci. Le decisioni dei soci sono adottate mediante deliberazione assembleare nel rispetto del metodo collegiale. ART. 10 - ASSEMBLEA DEI SOCI Possono intervenire all'Assemblea i soci regolarmente iscritti nel libro soci. Il voto di ciascun socio vale in misura proporzionale alla rispettiva partecipazione. Il socio in mora nei versamenti non può esercitare il diritto di voto. ART. 11 - LUOGHI E MODALITA' DI CONVOCAZIONE L'assemblea deve essere convocata dall'Organo Amministrativo anche fuori della sede sociale, purchè in Italia o nell'ambito del territorio di una nazione appartenente alla Unione Europea. L'avviso deve essere spedito al domicilio dei soci risultante dall’apposito registro almeno cinque giorni prima di quello fissato per l'assemblea, con lettera raccomandata; in caso di urgenza l’assemblea potrà essere convocata tramite (telegramma, telefax o posta elettronica) da inviarsi almeno due giorni prima della data fissata per l’assemblea. Nell'avviso di convocazione debbono essere indicati il giorno, il luogo, l'ora dell'adunanza (con eventuale data di seconda convocazione) e l'elenco delle materie da trattare. In mancanza di formale convocazione l'assemblea si reputa regolarmente costituita in forma totalitaria quando ad essa partecipa l'intero capitale sociale e tutti gli Amministratori e Sindaci, se nominati, sono presenti o informati e nessuno si oppone alla trattazione dell'argomento. Se gli amministratori o i sindaci, se nominati, non partecipano personalmente all'assemblea, dovranno rilasciare apposita dichiarazione scritta, da conservarsi agli atti della società, nella quale dichiarano di essere informati su tutti gli argomenti posti all'ordine del giorno

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e di non opporsi alla trattazione degli stessi. ART. 12 - PRESIDENZA DELL'ASSEMBLEA L'Assemblea è presieduta dall'Amministratore Unico o dal Presidente del Consiglio di Amministrazione. In caso di loro assenza od impedimento di questi l’assemblea elegge fra i presenti il proprio Presidente. Il presidente è assistito da un segretario, anche non socio, designato dall'assemblea. Le deliberazioni dell'assemblea devono risultare da verbale sottoscritto dal presidente e dal segretario. Quando l'assemblea è chiamata a deliberare in ordine alle modifiche del presente atto o quando il presidente dell'assemblea lo ritenga opportuno, il verbale viene redatto da un notaio. Spetta al Presidente dell'Assemblea constatare la regolare costituzione della stessa, accertare l'identità e la legittimazione dei presenti, dirigere e regolare lo svolgimento dell'assemblea ed accertare i risultati delle votazioni. Quando tale constatazione è avvenuta, la validità della costituzione dell'assemblea non potrà essere infirmata per il fatto che alcuni degli intervenuti abbandonino l'adunanza. ART. 13 - RAPPRESENTANZA IN ASSEMBLEA Ogni socio che abbia diritto di intervenire all'assemblea può farsi rappresentare per delega scritta, che dovrà essere conservata dalla società. La delega non può essere rilasciata con il nome del rappresentante in bianco. Il rappresentante può farsi sostituire solo da chi sia espressamente indicato nella delega. Se la delega viene conferita per la singola assemblea ha effetto anche per l’eventuale assemblea da tenersi in seconda convocazione. ART. 14 - QUORUM ASSEMBLEARI E DELIBERATIVI L'assemblea dei soci è regolarmente costituita con la presenza di tanti soci che rappresentino almeno la metà del capitale sociale e delibera a maggioranza assoluta dei presenti e, nei casi previsti dal numero 4) del precedente articolo 9, con il voto favorevole dei soci che rappresentino almeno la metà del capitale sociale sia in prima che in seconda convocazione, casi previsti dal numero 5) del precedente articolo 9 all’unanimità. Le partecipazioni per le quali non può essere esercitato il diritto di voto (ad esempio socio in mora nei versamenti o socio che si astiene per dichiarato conflitto di interessi) sono comunque computate ai fini della regolare costituzione dell’assemblea, ma non ai fini del calcolo della maggioranza richiesta per l’approvazione della deliberazione. In seconda convocazione l’assemblea si riterrà regolarmente costituita qualunque sia la parte di Capitale Sociale rappresentata dai soci intervenuti, salvo per le ipotesi previste dai n. 4 e 5 del precedente articolo 9. CAPITOLO IV AMMINISTRAZIONE ART. 15 - SISTEMI DI AMMINISTRAZIONE La società potrà essere amministrata, a seconda di quanto stabilito dai soci in occasione della nomina, da: a) un Amministratore Unico; b) un Consiglio di Amministrazione composto da un minimo di due ad un massimo di sei membri. Gli amministratori possono essere anche non soci e durano in carica fino a revoca o dimissioni o per quel tempo stabilito all'atto della loro nomina e sono rieleggibili. In caso di nomina fino a revoca o dimissioni, è consentita la revoca in ogni tempo e senza necessità di motivazione; nulla è dovuto a titolo di risarcimento del danno all'amministratore revocato senza giusta causa intendendosi l'assunzione dell'incarico di amministratore come accettazione della presente clausola e pertanto come rinuncia al risarcimento del danno. In caso di cessazione degli amministratori per scadenza del termine, essi rimangono in carica sino alla ricostituzione del nuovo organo amministrativo. Se nel corso dell’esercizio vengono a mancare uno o più amministratori, quelli rimasti in carica provvedono a sostituirli. Gli amministratori così nominati restano in carica fino alla successiva assemblea. Se, invece, viene meno la maggioranza degli amministratori nominati dall’assemblea, quelli rimasti in carica devono convocare senza indugio l’assemblea perché provveda alla sostituzione dei mancanti. Gli amministratori così nominati scadono insieme a quelli in carica all'atto della loro nomina. Non può essere nominato amministratore e se nominato decade dal suo ufficio l’interdetto, l’inabilitato, il fallito o chi sia stato condannato ad una pena che comporti l’interdizione anche temporanea dai pubblici uffici o l’incapacità ad esercitare uffici direttivi. ART. 16 - CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE In caso di nomina di un Consiglio di Amministrazione, questo elegge fra i suoi membri un Presidente, se questi non è nominato dai soci in occasione della nomina. Le decisioni del consiglio, sono adottate mediante deliberazione collegiale. A tal fine il Consiglio di Amministrazione: a) viene convocato dal Presidente mediante avviso spedito con lettera raccomandata, ovvero, con qualsiasi altro mezzo idoneo allo scopo (ad esempio fax), almeno cinque giorni prima dell'adunanza ed in caso di urgenza con telegramma o posta elettronica da spedirsi almeno un giorno prima, nei quali vengono fissate la data, il luogo e l'ora della riunione nonché l'ordine del giorno; b) si raduna presso la sede sociale o altrove, purché in Italia, o nell'ambito del territorio di Nazione appartenente alla Unione Europea. In caso di assenza del Presidente, le riunioni saranno presiedute dal Consigliere Delegato, ove esista, ovvero dal Consigliere più anziano di età. Le adunanze del Consiglio e le sue deliberazioni sono valide, anche senza convocazione formale, quando intervengono tutti i Consiglieri in carica ed i Sindaci se nominati. Il Consiglio di amministrazione delibera validamente con la presenza effettiva della maggioranza dei suoi membri in carica ed a maggioranza assoluta dei presenti. In caso di parità avrà la prevalenza il voto di chi presiede l’adunanza, purché il Consiglio sia composto da più di due membri.

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Le deliberazioni del Consiglio di Amministrazione adottate a sensi del presente articolo sono constatate da verbale sottoscritto dal Presidente e dal segretario nominato di volta in volta anche tra estranei al consiglio. ART. 17 - POTERI DEGLI AMMINISTRATORI All'organo amministrativo è affidata la gestione della società e quindi il potere di compiere tutti gli atti e tutte le operazioni di ordinaria e di straordinaria amministrazione. E' comunque riservata all'assemblea dei soci la decisione di compiere quelle operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto sociale. Il Consiglio di Amministrazione può delegare tutti o parte i suoi poteri ad uno o più amministratori delegati con i limiti di cui all'art. 2381 cod.civ. ART. 18 - RAPPRESENTANZA DELLA SOCIETA' La firma sociale e la rappresentanza della società competono senza limitazione all'amministratore unico e, in caso di nomina del Consiglio di Amministrazione al Presidente del Consiglio. Agli Amministratori delegati potrà essere conferito l’uso della firma sociale e la rappresentanza della società. ART. 19 - COMPENSO DEGLI AMMINISTRATORI All’Amministratore Unico od ai componenti del Consiglio di Amministrazione spettano il rimborso delle spese sostenute per ragioni del loro ufficio ed un compenso, che l’assemblea stabilirà senza oneri di forma entro ciascun anno solare. A favore degli amministratori l'assemblea dei soci potrà altresì stabilire un'indennità per la risoluzione del rapporto di amministrazione da accantonarsi di anno in anno o polizza assicurativa - previdenziale, da erogarsi agli amministratori al termine del loro mandato. CAPITOLO V - CONTROLLO LEGALE DEI CONTI ART. 20 - COLLEGIO SINDACALE E REVISORE Nei casi previsti dall'art. 2477, comma secondo e terzo, cod. civ., la nomina del collegio sindacale è obbligatoria. Il collegio sindacale è composto da tre membri effettivi e da due supplenti, tutti iscritti nel registro dei revisori contabili istituito presso il Ministero della Giustizia. Essi restano in carica per tre esercizi, sono rieleggibili e la loro cessazione per scadenza del termine ha effetto nel momento in cui il collegio è ricostituito. Il compenso dei sindaci è determinato all’atto della nomina per l’intero periodo della durata del loro ufficio. Il collegio sindacale vigila sull'osservanza della legge e delle norme per il funzionamento della società, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società e sul suo concreto funzionamento, nonché esercita le funzioni di controllo contabile previste dall'art. 2409-ter. cod. civ. CAPITOLO VI - ESERCIZIO SOCIALE ART. 21 - BILANCIO E DESTINAZIONE DEGLI UTILI Gli esercizi sociali si chiudono al 31 dicembre di ogni anno. Alla chiusura di ciascun esercizio sociale l'organo amministrativo provvede alla compilazione del bilancio di esercizio costituito dallo stato patrimoniale, dal conto economico e dalla nota integrativa e da tutti gli ulteriori documenti richiesti dalle vigenti leggi, da sottoporre, nei termini di legge all’approvazione dell’assemblea. Il bilancio deve essere approvato dai soci entro 120 (centoventi) giorni dalla chiusura dell'esercizio sociale ovvero entro 180 (centottanta) giorni qualora particolari esigenze relative alla struttura ed all'oggetto della società lo richiedano: in quest'ultimo caso peraltro gli amministratori devono segnalare nella loro relazione sulla gestione le ragioni della dilazione. Dagli utili netti risultanti dal bilancio deve essere dedotta una somma corrispondente al 5% (cinque per cento) da destinare alla riserva legale finchè questa non abbia raggiunto il quinto del capitale sociale. CAPITOLO VII - SCIOGLIMENTO DELLA SOCIETA' E RECESSO DEL SOCIO ART. 22 - SCIOGLIMENTO La società si scioglie per le cause previste dalla legge. L'assemblea determinerà le modalità della liquidazione e nominerà uno o più liquidatori indicandone i poteri e il compenso. La società può in ogni momento revocare lo stato di liquidazione, occorrendo previa eliminazione della causa di scioglimento, con deliberazione dell'assemblea presa con le maggioranze richieste per le modificazioni dell'atto costitutivo. Al socio dissenziente spetta il diritto di recesso. Per gli effetti della revoca si applica l'art. 2487-ter cod. civ. ART. 23 - RECESSO DEL SOCIO Hanno diritto di recedere dalla società i soci che non hanno concorso all' approvazione delle decisioni riguardanti il cambiamento dell'oggetto sociale, la trasformazione, la fusione e la scissione della società, la revoca dello stato di liquidazione, il trasferimento della sede all'estero, il compimento di operazioni che comportino una sostanziale modifica dell'oggetto della società o una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell'art. 2468, comma quarto cod. civ. Il diritto di recesso compete in tutti gli altri casi previsti dalla legge. Il recesso non può essere esercitato e, se già esercitato, è privo di efficacia, se la società revoca entro 90 gg. la delibera che lo legittima, ovvero se l'assemblea dei soci delibera lo scioglimento della società. L'intenzione del socio di esercitare il diritto di recesso dovrà essere comunicata all'Organo Amministrativo mediante lettera raccomandata con Avviso di Ricevimento entro quindici giorni dall'iscrizione nel registro delle Imprese della delibera che legittima il diritto di recesso. Le partecipazioni per le quali è esercitato il diritto di recesso non possono essere cedute. CAPITOLO VIII - CLAUSOLA COMPROMISSORIA ART. 24 Qualsiasi controversia relativa all'interpretazione e alla esecuzione dell'atto costitutivo e delle presenti norme per il funzionamento della società, o su qualunque altra materia inerente direttamente o indirettamente ai rapporti sociali, tra soci, ovvero tra soci e la società, comprese quelle relative alla validità delle delibere assembleari, nonché le controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei loro confronti,

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sarà devoluta ad un collegio arbitrale. Il collegio arbitrale è composto da tre arbitri amichevoli compositori, tutti nominati, entro trenta giorni dalla richiesta fatta dalla parte più diligente, dai presidenti dell'ordine dei Dottori commercialisti o dei Ragionieri Commercialisti della città in cui ha sede legale la società. Gli arbitri così nominati designeranno il presidente del collegio arbitrale. La sede del collegio arbitrale sarà presso il domicilio del presidente del collegio arbitrale. Il collegio arbitrale deciderà, secondo equità e senza formalità di procedura, a maggioranza entro centottanta giorni dalla sua costituzione e il suo lodo sarà inappellabile. Il collegio arbitrale determinerà come ripartire le spese dell'arbitrato tra le parti. Per quanto non previsto, si applicano le disposizioni del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n.5. La soppressione della presente clausola compromissoria deve essere approvata con delibera dei soci con la maggioranza di almeno i due terzi del capitale sociale. I soci assenti o dissenzienti possono, entro i successivi novanta giorni, esercitare il diritto di recesso. Le modifiche del contenuto della presente clausola compromissoria devono essere approvate con delibera dei soci con la maggioranza prevista per le modificazioni dell'atto costitutivo. DISPOSIZIONE FINALE ART. 25 - Per tutto quanto non previsto si applicano le norme del Codice Civile e delle altre leggi in materia.

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CAPITOLO TREDICESIMO La Cassa di previdenza: l’ENPAP 1. Quando scatta l’obbligo di iscrizione all’ENPAP? In base al Regolamento di previdenza (approvato con DM del 15/10/1997 e successive modifiche), sono tenuti ad iscriversi all’ENPAP gli psicologi che esercitano l’attività libero-professionale senza vincolo di subordinazione, in qualunque forma essa sia svolta. Le attività libero-professionali che scontano l’iscrizione all’ENPAP sono tutte quelle “protette”, ovvero per l’esercizio delle quali è obbligatoriamente richiesta l’iscrizione all’Albo. La mera iscrizione all’Albo non comporta pertanto l’iscrizione all’ENPAP (che comunque va fatta dal professionista a propria cura nel momento in cui sorge l’obbligo). Comporta invece l’obbligo di iscrizione lo svolgimento della libera-professione al di là della forma contrattuale scelta, sia essa svolta tramite partita IVA, tramite attività intramuraria nell’ambito del SSN, tramite collaborazioni occasionali (e ciò a prescindere dall’entità delle somme incassate), tramite collaborazioni coordinate e continuative. Tanto l’attività intramuraria, quanto le collaborazioni coordinate e continuative, seppur fiscalmente assimilate al lavoro dipendente, sono di fatto collaborazioni di tipo libero-professionale dal punto di vista giuridico e previdenziale. L’iscrizione all’ENPAP va effettuata entro 90 giorni dalla data del primo incasso professionale, quest’ultima sarà pertanto – ai soli fini previdenziali – la data di inizio dell’attività professionale. L’iscrizione alla Cassa di previdenza va effettuata esclusivamente a mezzo del servizio postale, inviando all’Ente il modulo per l’iscrizione tramite raccomandata AR ed allegando autocertificazione redatta ai sensi del DPR 445/2000 con la quale si attesti la data e il luogo di nascita, la residenza, lo stato di famiglia, il codice fiscale e l’iscrizione all’Ordine. 2. Contribuzione dovuta

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Sul reddito libero-professionale da psicologo è quindi dovuta la contribuzione all’ENPAP. I contributi dovuti sono di tre tipologie: il contributo soggettivo, il contributo integrativo e il contributo di maternità. Il contributo soggettivo è calcolato sul reddito professionale dichiarato ai fini fiscali ed è pari al 10% dello stesso. E’ data facoltà all’iscritto di versare una percentuale più elevata pari alternativamente al 14%, al 16%, al 18% o al 20%. Il contributo soggettivo minimo annuo è pari a 780,00 €; tuttavia è possibile chiedere la riduzione del contributo minimo in presenza di determinate situazioni soggettive. In particolare il contributo minimo può essere ridotto:

�Ad 1/2 (quindi a 390,00 €) se, oltre alla libera professione, vi è reddito da lavoro dipendente o da pensione; �Ad 1/3 (quindi a 260,00 €) se si è iscritti all’ENPAP da meno di tre anni e non si ha più di 35 anni di età; �Ad 1/5 (quindi a 156,00 €) se il reddito professionale dichiarato è inferiore a 1.560,00 €.

Il contributo soggettivo non è più dovuto dopo il compimento del 65° anno di età, resta però facoltà dell’iscritto di continuare ad effettuare i versamenti per poter maturare i “supplementi di pensione” di cui art. 13 del Regolamento di previdenza. Il contributo soggettivo è deducibile dal reddito complessivo del contribuente (per i soli “contribuenti minimi di cui alla legge 244/2008” è deducibile direttamente dal reddito professionale). Il contributo integrativo è calcolato sui compensi professionali ed è pari al 2% degli stessi. Il contributo integrativo deve essere obbligatoriamente esposto su ogni parcella emessa dal professionista ed è posto a carico del cliente. Il contributo integrativo minimo annuo è pari a 60,00 €, lo stesso è ridotto ad 1/2 (quindi a 30,00 €) per gli iscritti che abbiano compiuto 65 anni di età. La maggiorazione a titolo di contributo integrativo è dovuta (e deve pertanto essere evidenziata in fattura) solo con riferimento alle prestazioni riferibili all’esercizio dell’attività professionale autonoma. Sono pertanto escluse dall’applicazione del contributo integrativo le prestazioni relative, ad esempio, al riaddebito di spese per subaffitto locali, o per compartecipazione alla spese per le utenze dell’immobile utilizzato da più professionisti, alla vendita di beni strumentali, ecc…

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Sono parimenti escluse dall’applicazione del contributo integrativo anche le prestazioni rese da un iscritto verso un altro iscritto all’Ente nel contesto di incarichi professionali finalizzati al conseguimento di un risultato unitario, e sempre che il contributo integrativo sia stato comunque applicato sull’intero corrispettivo dell’incarico unitario. In caso di fattura emessa da uno studio associato che comprenda anche un iscritto all’ENPAP, la parcella emessa dallo studio deve evidenziare il contributo integrativo per le sole prestazioni professionali riferibili all’iscritto. Il contributo integrativo non entra a far parte del reddito professionale, non è pertanto soggetto a ritenuta d’acconto, ed è – invece – soggetto ad IVA nel caso in cui la prestazione resa dalla psicologo lo sia a sua volta. Il contributo integrativo non è deducibile né dal reddito complessivo, né dal reddito professionale. Il contributo di maternità è dovuto da tutti gli iscritti ed è pari a 120,00 € annui. Tale contributo non è riducibile in alcun modo ed è deducibile dal reddito complessivo (o da quello professionale, per i “contribuenti minimi di cui alla legge 244/2008”). Per chi è iscritto all’ENPAP per periodi inferiori a 12 mesi (ipotesi di iscrizione o di cancellazione in corso d’anno), i contributi minimi soggettivo ed integrativo sono frazionabili in tanti dodicesimi quanti sono i mesi di iscrizione all’Ente nel corso dell’anno. La frazionabilità non è applicabile qualora i contributi dovuti siano comunque superiori al minimo o qualora l’iscritto si sia già avvalso di una delle riduzioni del contributo soggettivo minimo sopra menzionate. 3. Tempi e modi della contribuzione I contributi vanno versati in due diversi momenti dell’anno: in acconto entro il 30 novembre dell’anno di riferimento, a saldo entro il 31 luglio dell’anno successivo a quello di riferimento. Il versamento dell’acconto è determinato sulla base dei contributi dovuti per l’anno precedente ed è pari al 60% degli stessi con riferimento al contributo soggettivo e a quello integrativo, al 100% degli stessi con riferimento al contributo di maternità. Nel caso di versamento per l’anno

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precedente, dei soli contributi minimi, l’acconto è determinato in misura pari ai minimi stessi. Il versamento dell’acconto e l’entità dello stesso è richiesto e calcolato direttamente dall’Ente e non è riducibile a cura dell’iscritto a fronte della previsione di un minor reddito professionale. Il versamento del saldo va effettuato in autoliquidazione. Le somme dovute sono pertanto calcolate a cura dell’iscritto e comunicate mediante apposita dichiarazione da far pervenire all’Ente a mezzo del servizio postale o, alternativamente, per via telematica accedendo all’area riservata del sito www.enpap.it. Il termine per l’invio della dichiarazione cartacea è fissato al 31 luglio dell’anno successivo a quello di riferimento. Per la dichiarazione trasmessa in via telematica, l’iscritto ha a disposizione un mese in più per l’invio, il versamento del saldo va comunque effettuato entro il 30 luglio.

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CAPITOLO QUATTORDICESIMO Ricerca e selezione del personale 1. Panorama normativo di riferimento

Con la legge n. 170 dell’ 11 luglio 2003 il legislatore ha classificato alcune attività che per definizione formano oggetto della professione svolta dagli iscritti all’Ordine degli psicologi. Il dispositivo di cui all’art. 3 della citata legge contiene un’elencazione di queste attività inerenti “tecniche di natura psicologica” per i contesti sociali, organizzativi e del lavoro: 1) realizzazione di progetti formativi diretti a promuovere lo sviluppo delle potenzialità di crescita individuale e di integrazione sociale, a facilitare i processi di comunicazione, a migliorare la gestione dello stress e la qualità della vita; 2) applicazione di protocolli per l’orientamento professionale, per l’analisi di bisogni formativi, per la selezione e la valorizzazione delle risorse umane; 3) applicazione di conoscenze ergonomiche alla progettazione di tecnologie e al miglioramento dell’interazione fra individui e specifici contesti di attività; 4) esecuzione di progetti di prevenzione e formazione sulle tematiche del rischio e della sicurezza; 5) utilizzo di test e di altri strumenti standardizzati per l’analisi del comportamento, dei processi cognitivi, delle opinioni e degli atteggiamenti, dei bisogni e delle motivazioni, dell’interazione sociale, dell’idoneità psicologica a specifici compiti e condizioni; 6) elaborazione di dati per la sintesi psicodiagnostica prodotta dallo psicologo; 7) collaborazione con lo psicologo nella costruzione, adattamento e standardizzazione di strumenti di indagine psicologica; 8) attività didattica nell’ambito delle specifiche competenze caratterizzanti il settore; Il disposto di cui alla Legge 170 sembrerebbe di per sé sufficientemente chiaro nel riservare le attività sopra emarginate (e quindi anche l’attività di selezione del personale) agli psicologi se non fosse che, già a partire dal 1997, nell’ordinamento italiano si sono sviluppati una serie di

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interventi legislativi tesi a ricondurre alle cosiddette “agenzie del lavoro” lo svolgimento dell’attività di “ricerca e selezione del personale”, con ciò creando evidente confusione tra gli ambiti di competenza riservati agli psicologi e quelli riservati alle agenzie in questione. Nel tentativo di fare chiarezza in tale ambito si analizza di seguito la cronologia della normativa sulla materia fino all’approvazione della “Riforma Biagi”:

� Decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469 (art.10) Il decreto in questione ha stabilito i requisiti necessari per svolgere attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro. Alcuni dei requisiti più significativi sono: a) Autorizzazione del Ministero del lavoro e della previdenza sociale. b) I soggetti devono essere: società (anche cooperative) o enti non commerciali con capitale sociale e patrimonio non inferiori a euro 103.291,38. c) L’attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro deve essere contenuta quale attività esclusiva nell’oggetto sociale. d) I soggetti debbono avere operatori con competenze professionali idonee allo svolgimento dell’attività di selezione di manodopera.

� Legge 23 dicembre 2000, n. 388 (art. 117) Ha modificato il decreto legislativo sopra emarginato: a) Prevedendo che le modalità di accreditamento per l’attività di ricerca e selezione del personale e di supporto alla ricollocazione professionale dovessero essere rilasciate dal Ministero del lavoro con apposito decreto (poi approvato in data 18 aprile 2001). b) Aggiungendo il comma 1 ter all’art. 10 del D.lgs n. 469, con il quale si è stabilito che per ricerca e selezione del personale si intende: “l’attività effettuata su specifico ed esclusivo incarico del datore di lavoro cliente, consistente nel ricercare, selezionare e valutare i candidati sulla base del profilo e con le modalità concordate dal datore di lavoro cliente, approntando i mezzi ed i supporti idonei allo scopo”.

� Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Riforma Biagi)

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L’art. 4 della Legge Biagi ha previsto l’istituzione presso il Mistero del lavoro e delle politiche sociali di un apposito albo delle “Agenzie per il lavoro” articolato in 5 sezioni: I Agenzie di somministrazione di lavoro; II Agenzie di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato; III Agenzie di intermediazione; IV Agenzie di ricerca e selezione del personale; V Agenzie di supporto alla ricollocazione professionale; L’art. 5 ha invece previsto i requisiti per l’iscrizione all’albo, indicando tra l’altro, alla lettera c), l’obbligo di disporre di “adeguate competenze professionali” da individuare con decreto.

� Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali 5 maggio 2004

Il decreto de quo ha stabilito il numero di unità del personale necessarie alle agenzie, nonchè le competenze professionali richieste. Con riferimento a queste ultime, il comma 2 dell’art.1 ha previsto che: “Il personale deve essere dotato di adeguate competenze professionali che possono derivare, alternativamente, da un’esperienza professionale di durata non inferiore a due anni acquisita in qualità di dirigente, quadro, funzionario, o professionista, nel campo della gestione o della ricerca e selezione del personale o della fornitura di lavoro temporaneo o della ricollocazione professionale o dei servizi per l’impiego o della formazione professionale o di orientamento o della mediazione tra domanda e offerta di lavoro o nel campo delle relazioni sindacali”. Il comma 3 ha poi previsto che: “Ai fini dell’acquisizione dell’esperienza professionale di minimo due anni di cui al comma 2, si tiene altresì conto dei percorsi formativi certificati dalle Regioni e Province Autonome e promossi anche dalle associazioni maggiormente rappresentative in materia di ricerca e selezione del personale, ricollocazione professionale e somministrazione, di durata non inferiore ad un anno.”

� Circolari Ministero del Lavoro n. 25 del 24.06.2004 e n. 30 del 21.07.2004

Con le circolari in questione il Ministero del Lavoro è intervenuto a far

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chiarezza in ordine ai vari aspetti tecnico operativi per la costituzione delle Agenzie del lavoro, entrando nel merito, tra l’altro, di cosa debba intendersi per “competenze professionali” necessarie alle Agenzie di ricerca e selezione del personale. E’ stato infatti chiarito che il titolo di studio (laurea) in una materia inerente a uno dei diversi aspetti delle attività del settore tra cui (Psicologia) risulta essere titolo idoneo a tale scopo. 2. Le attuali prospettive professionali dello psicologo per lo svolgimento dell’attività di ricerca e selezione del personale Le Agenzie per il lavoro sono gli unici soggetti privati autorizzati ad operare nel mercato del lavoro e devono obbligatoriamente essere iscritte nell’Albo unico delle Agenzie per il lavoro. Alle Agenzie in questione è quindi rilasciata un’autorizzazione (provvedimento statale), prima provvisoria, poi a tempo indeterminato ad operare nel settore. Tale autorizzazione non può essere oggetto di commercializzazione. Le “Agenzie di ricerca e selezione” devono: • Essere costituite in forma societaria • Avere un capitale sociale versato di almeno 25.000,00 euro. • Avere nell’oggetto sociale l’attività di ricerca e selezione (benché non esclusiva). • Avere personale qualificato nella misura di:

- almeno due unità nella sede principale - almeno una unità per ogni eventuale sede secondaria, con

l’indicazione di un responsabile. La necessità della costituzione in forma societaria vale – a parere di chi scrive – ad escludere che l’attività di ricerca e selezione possa essere svolta a titolo individuale da un Psicologo libero professionista, il quale però ben potrà rappresentare quel “personale qualificato” richiesto dalla normativa. Per contro, le Agenzie per il lavoro, nell’adempire ai compiti di ricerca e selezione del personale, non potranno, in assenza di uno psicologo iscritto all’albo, adottare ai fini della selezione del personale le particolari “tecniche di natura psicologica” di cui alla legge 170 del 2003 e riservate invece agli iscritti all’albo degli Psicologi.

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Ciò è quanto emerge d’altro canto da una recente sentenza del Tribunale di Milano del 28 maggio 2003 ed è anche quanto sostenuto da autorevole dottrina (prof. Tiziano Treu, ordinario del diritto del lavoro all’Università Cattolica di Milano) che si è espressa nel senso di ritenere che le agenzie del lavoro dovrebbero eseguire la valutazione del potenziale solo avvalendosi di psicologi professionisti, con ciò formulando le seguenti ipotesi: “1. che gli psicologi trovino forme di collaborazione stabile con le agenzie

per il lavoro, convenzioni in cui si stabiliscano rapporti e confini reciproci;

2. che gli psicologi entrino direttamente nel mercato delle agenzie di

ricerca e selezione del personale nelle seguenti due modalità:

- l’Ordine degli Psicologi potrebbe costituire un’agenzia del lavoro

aperta alla collaborazione di tutti gli iscritti;

- l’Ordine degli Psicologi potrebbe fornire un servizio di consulenza

a tutti gli iscritti che decidessero di costituire un’agenzia”

Allo stato attuale sembra quindi che la figura più “accreditata” al fine di gestire l’attività di ricerca e selezione del personale sia quella di un’Agenzia per la ricerca e selezione del personale formata in tutto o in parte da Psicologi, o quanto meno che si avvalga nello svolgimento dell’attività dell’opera di Psicologi liberi professionisti. Per rispondere quindi ai dubbi sollevati da vari psicologi iscritti all’Ordine con riferimento alla possibilità di svolgere autonomamente tale attività, sembra potersi suggerire che tale attività ben può essere svolta da uno psicologo, ma non sotto la forma del lavoro autonomo libero-professionale, bensì sotto la forma dell’attività d’impresa nella veste giuridica dell’Agenzia. E’ altresì evidente che trattandosi di una normativa di recente approvazione, questa potrà subire nel medio termine modifiche e “aggiustamenti” di varia natura, in funzione anche dell’orientamento giurisprudenziale che verrà a crearsi con riferimento a contenziosi sorti sulla materia.

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CAPITOLO QUINDICESIMO Le associazioni senza scopo di lucro 1. Premessa La fonte giuridica che regola la vita di un’associazione è il suo Atto costitutivo e il suo Statuto. Si tratta di atti che secondo la dottrina dominante rappresentano un contratto di comunione di scopo, ossia un accordo con il quale le parti esprimono la volontà di realizzare un interesse comune a tutti i partecipanti all’associazione. Pertanto, Atto costitutivo e Statuto rappresentano il più delle volte la fonte esclusiva che regola diritti e doveri degli associati. Il diritto di associarsi trova esplicito riconoscimento a livello costituzionale all’art. 18, pertanto non può esistere alcuna disposizione legale che limiti e/o neghi la libertà di associarsi. Questo è il motivo per cui i diversi interventi legislativi in materia si limitano solamente a definire criteri specifici attraverso i quali determinate associazioni trovano una maggiore tutela e/o riconoscimento (è il caso, ad esempio, della L. 266/91 sul volontariato). 2. La costituzione di un’associazione L’Atto costitutivo e lo Statuto rientrano nella tipologia dei contratti prevista dagli art. 1321 e successivi del codice civile, ciò significa che – da un punto di vista giuridico - non è necessaria alcuna forma solenne per costituire un’associazione. Ciononostante va segnalato che un mero accordo verbale tra gli associati non potrà mai essere opposto ai terzi, motivo per cui sarà sempre opportuno richiedere quanto meno la registrazione dell’Atto costitutivo e/o il riconoscimento dell’associazione. Il Contratto di Associazione è composto da due documenti che però giuridicamente costituiscono un atto unitario (Atto costitutivo e Statuto). La forma scritta (che – si è detto – è vivamente consigliabile) potrà concretizzarsi in un atto pubblico o in una scrittura privata (che potrà eventualmente essere registrata presso l'Agenzia delle Entrate). La differenza più rilevante tra un’associazione costituita mediante atto

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pubblico e una costituita mediante scrittura privata consiste nel fatto che solo la prima potrà in futuro chiedere il “riconoscimento” e diventare quindi una “Persona Giuridica” (= entità autonoma rispetto ai propri associati). Ma quanto alla forma utilizzata per costituire un’associazione, è opportuno muovere un’ulteriore considerazione: la scrittura privata vincola tanto i suoi sottoscrittori, quanto i terzi, fintanto che i sottoscrittori riconoscono la propria firma. L'atto pubblico, che avviene con l'autentica delle firme dal notaio (il quale autenticando le firme certifica anche la coerenza e la conformità dell'atto alla legge), consente ovviamente di superare a priori qualunque controversia in ordine all’autenticità delle firme apposte sull’atto costitutivo. La registrazione conferisce certezza alla data di costituzione dell’associazione. L’atto pubblico costitutivo di un’associazione sarà sempre soggetto a registrazione. La scrittura privata non autenticata costitutiva di un’associazione sarà soggetta a registrazione solo su richiesta delle parti. La registrazione non servirà a vincolare i soci (per quello servirebbe l'autentica della firma a cura del notaio), ma piuttosto servirà ai fini della sua opponibilità ai terzi (e quindi servirà anche ad evitare che un estraneo usufruisca dello stesso nome e/o simbolo dell’associazione). La richiesta di attribuzione del codice fiscale all’Agenzia delle Entrate deve avvenire su iniziativa dell’associazione. Per ottenere il codice fiscale non è necessario che l’associazione sia stata registrata. Avere il codice fiscale non significa essere una Persona Giuridica e non obbliga alla compilazione delle dichiarazioni fiscali. 3. I diversi tipi di associazione 3.1. Le associazioni non riconosciute Le associazioni in questione sono disciplinate dagli art. 36 e seguenti del codice civile. Esse vengono definite non riconosciute in quanto prive di personalità giuridica. Ciò comporta fondamentalmente che tali associazioni: - non godono della cosiddetta autonomia patrimoniale propria (il patrimonio dell’associazione non diviene autonomo e indipendente rispetto a quello degli associati);

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- la responsabilità per l’operato dell’associazione è imputabile al suo rappresentante legale. 3.2. Le associazioni riconosciute Le associazioni in questione sono disciplinate dall’art. 14 e seguenti del codice civile e dal D.P.R. 361 del 10 febbraio 2000. Con il riconoscimento tali associazioni acquistano una personalità giuridica propria. Le associazioni in questione debbono essere necessariamente costituite mediante atto pubblico. 3.3. Le associazioni di volontariato Questa denominazione è stata introdotta dalla legge 266/1991 (legge che erroneamente viene definita come La Legge delle Associazioni). Le associazioni di volontariato sono quelle organizzazioni (associazione, club, comitati, ecc…) in cui tutti i soci prestano attività di volontariato in modo personale, spontaneo e gratuito. Nessun compenso potrà essere corrisposto agli associati, ad esclusione di meri rimborsi spese che dovranno tra l’altro sottostare a specifici parametri (ad esempio, il rimborso delle spese di viaggio dovrà avvenire nell’ambito delle tariffe ACI). Condizione necessaria e sufficiente per definirsi "organizzazione di volontariato" è che venga accolta la domanda di iscrizione nei registri delle organizzazioni di volontariato (albo regionale) istituiti dalle Regioni. 4. Inquadramento fiscale delle associazioni L’art. 73 del TUIR individua gli enti soggetti all’ IRES (imposta sul reddito delle società). Al punto c) la norma in questione definisce gli “enti non commerciali”. Dal tenore letterale della norma si desume che la sola appartenenza alla categoria delle associazioni non è di per sé sufficiente per essere considerati enti non commerciali ai fini fiscali. Per inquadrare un’associazione tra gli enti commerciali o tra gli enti non commerciali occorre infatti prendere in esame anche il contenuto dell’art. 149 del TUIR (e quindi i requisiti formali dello statuto, il tipo di attività

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effettivamente esercitata, il peso dell’eventuale attività commerciale). Nel caso di appartenenza dell’associazione alla categoria degli enti non commerciali, la normativa fiscale cui far riferimento sarà la seguente:

� IMPOSTE DIRETTE Ente associativo non commerciale tout court: In base al combinato disposto degli artt. 143 , primo comma, e 148 , primo e secondo comma, del DPR 917/86, le prestazioni rese a favore degli associati o dei loro aventi causa (rese in conformità agli scopi istituzionali dell’Ente), a fronte del pagamento di un corrispettivo, non formano reddito solo se il corrispettivo richiesto non supera i costi di diretta imputazione sostenuti per fornire il servizio stesso. Ente associativo tributariamente privilegiato: In base all’art. 148, terzo comma, (vedi nota 6) del DPR 917/86, le prestazioni rese a favore degli associati o dei loro aventi causa (rese in conformità agli scopi istituzionali dell’Ente) anche a fronte del pagamento di un corrispettivo, non formano mai reddito per l’associazione.

� IVA Ente associativo non commerciale tout court: In base all’art. 4 , quarto comma, del DPR 633/72, sono sempre soggette ad IVA le prestazioni rese nell’ambito di attività commerciali o agricole, così come le prestazioni rese a favore degli associati a fronte del pagamento di un corrispettivo (che ecceda i costi di diretta imputazione), poiché considerate attività d’impresa. Ente associativo tributariamente privilegiato: In base al combinato disposto dei commi quarto e settimo dell’art. 4 del DPR 633/72, non sono soggette ad IVA le prestazioni rese a favore degli associati dietro il pagamento di un corrispettivo, qualora queste prestazioni risultino conformi alle finalità istituzionali dell’Ente e cioè all’oggetto contenuto nello Statuto. Va segnalato che l’applicazione o meno dell’IVA sulle prestazioni rese condiziona la detraibilità o meno dell’IVA sugli acquisti. Infatti, se un Ente

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non commerciale esercita attività in regime di non imponibilità o di esenzione, non potrà del pari detrarre l’IVA pagata ai propri fornitori e relativa agli acquisti effettuati e riferibili alle predette attività. Se poi l’Ente svolge sia attività imponibili, che attività non imponibili, considererà indetraibile l’imposta pagata ai propri fornitori per la parte riferibile all’esercizio di attività non imponibili, mentre detrarrà quella riferibile alle attività imponibili. Potrà infine delinearsi l’ipotesi che l’Ente eserciti sia attività imponibili che attività esenti, in tal caso l’Ente potrà portare in detrazione l’IVA pagata ai propri fornitori solo se riferita ad operazioni attive imponibili, e tale detrazione sarà operata non in misura piena, ma mediante l’applicazione di una determinata percentuale per il cui calcolo occorre far riferimento alle previsioni dell’art. 19 bis del DPR 633/72 (cosiddetto meccanismo del pro-rata di detraibilità). Ancora, appare rilevante fare un breve cenno agli adempimenti connessi alla tenuta della contabilità, infatti, se un Ente non commerciale effettua operazioni rilevanti ai fini IVA (e quindi imponibili o esenti), diverrà soggetto passivo IVA, con conseguente obbligo di tenuta dei registri IVA vendite e IVA acquisti. In tal caso sarà inoltre tenuto alla presentazione delle relative dichiarazioni annuali.

� IRAP Enti non commerciali che svolgono solo attività non commerciale (e quindi esclusi dall’applicazione dell’IRES): In base al disposto dell’art. 10, primo comma, del decreto 446/97, la base imponibile IRAP è determinata in un importo pari all’ammontare della somma: - delle retribuzioni corrisposte al personale dipendente; - delle retribuzioni assimilate a quelle di lavoro dipendente; - delle prestazioni per collaborazione coordinata e continuativa; - delle prestazioni per attività di lavoro autonomo occasionale. Enti non commerciali che svolgono anche attività commerciale (e quindi soggetti all’applicazione dell’IRES): La base imponibile IRAP sarà calcolata in due modi diversi: Per le attività commerciali: verrà utilizzato lo stesso criterio valido per le società e gli enti commerciali, con la sola variante che per quanto concerne la deducibilità dei costi occorrerà prendere in considerazione

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solo quelli afferenti l’esercizio di attività commerciale, mentre quelli sostenuti per l’esercizio di attività non commerciale saranno indeducibili ai fini IRAP. Per le attività non commerciali: verrà utilizzato lo stesso criterio utilizzato per gli enti non commerciali, riprendendo a tassazione i costi promiscui relativi al personale e riferibili all’esercizio di attività non commerciale. La base imponibile sarà quindi data dalla somma degli importi ottenuti a seguito dell’applicazione dei due criteri e assoggettata all’aliquota ordinaria del 4,25%. Si precisa che tutti gli Enti non commerciali devono presentare la dichiarazione IRAP anche qualora non debbano versare alcuna imposta e questo in base al disposto dell’art. 19 del decreto 446/97.

� DICHIARAZIONE MOD. 770 Gli Enti non commerciali sono, in ogni caso, sostituti d’imposta e hanno quindi l’obbligo di rilevare le ritenute d’acconto e di versarle (qualora corrispondano compensi per prestazioni di lavoro dipendente o assimilato e di lavoro autonomo), nonché l’obbligo di consegnare le relative certificazioni e di presentare il Mod. 770.

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CAPITOLO SEDICESIMO La tutela della privacy (d.lgs 196/2003) 1. Normativa di riferimento Il 1° gennaio 2004 è entrato in vigore il d.lgs 196 del 30.06.2003 denominato “Codice in materia di protezione dei dati personali”. Il codice, che rappresenta il tentativo di ricomporre in maniera organica le innumerevoli disposizioni in materia di “privacy”, riunisce in un unico contesto la legge 675/1996 e gli altri decreti legislativi, regolamenti e codici deontologici che si sono succeduti in questi anni. L’intento del Legislatore è quello di garantire il diritto alla riservatezza sotto un duplice profilo: 1) l’interessato deve poter esprimere il proprio consenso all’utilizzo dei suoi dati personali e deve essere preventivamente informato circa le modalità di trattamento degli stessi; 2) deve essere tutelata la sicurezza dei dati personali oggetto di trattamento, dal rischio: - di conoscenza da parte di altri soggetti non autorizzati; - di distruzione o perdita anche accidentale dei dati stessi. 2. Glossario 2.1. Il trattamento dei dati Il trattamento è qualsiasi operazione, svolta manualmente o in modo automatizzato, concernente la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, l’elaborazione, la modificazione, la selezione, l’estrazione, il raffronto, l’utilizzo, l’interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione dei dati. Il trattamento deve inoltre essere: - lecito - finalizzato a scopi determinati, espliciti e legittimi - relativo a dati esatti, aggiornati e non eccedenti lo scopo

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2.2. I dati sensibili I dati personali sono quei dati che consentono un’identificazione anche indiretta del soggetto interessato dal trattamento. Si parla di dati sensibili quando i dati personali trattati sono idonei a rivelare lo stato di salute (ivi compresa la sfera psichica). I dati anonimi, proprio in quanto tali, sono esclusi dagli obblighi imposti dalla normativa del Codice sulla Privacy. Sono anonimi i dati che non possono in alcun modo essere associati al soggetto cui si riferiscono. 2.3. Il titolare del trattamento Il titolare del trattamento è il soggetto (persona fisica, giuridica, pubblica amministrazione o qualsiasi altro ente) cui competono le decisioni in ordine alle finalità e alle modalità del trattamento dei dati dei pazienti. 2.4. Il responsabile del trattamento Il responsabile del trattamento è il soggetto (persona fisica o giuridica) preposto dal titolare al trattamento dei dati. Non si tratta di un mero esecutore delle indicazioni fornitegli dal titolare, queste saranno infatti integrate da un punto di vista pratico e tecnico dal responsabile stesso. Si tratta di una figura facoltativa, eventualmente anche esterna alla struttura organizzativa del titolare. Qualora nominato, deve obbligatoriamente essere un soggetto che, per esperienza, capacità ed affidabilità, fornisca idonea garanzia del pieno rispetto delle disposizioni vigenti in materia di trattamento dei dati. 2.5. Gli incaricati al trattamento Gli incaricati sono i soggetti (necessariamente persone fisiche) autorizzati dal titolare o dal responsabile a compiere specifiche operazioni di trattamento dei dati, sotto il controllo del titolare e/o del responsabile. La legge impone al titolare di verificare ed aggiornare annualmente l’ambito di trattamento dei soggetti incaricati.

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Esemplificazioni pratiche per l’individuazione dei soggetti del trattamento:

IN UNO STUDIO PROFESSIONALE IN UN ENTE, ASSOCIAZIONE, ASL,

COOPERATIVA, ONLUS TITOLARE => professionista o studio associato

TITOLARE => ente nel suo complesso o singole unità o organismi periferici che esercitano un potere decisionale del tutto autonomo

RESPONSABILE => persona fisica o giuridica nominata ad hoc

RESPONSABILE => persona fisica o giuridica nominata ad hoc

INCARICATI => dipendenti, collaboratori, commercialisti, ecc…

INCARICATI => dipendenti, collaboratori, commercialisti, ecc…

IN UN POLIAMBULATORIO TITOLARE => poliambulatorio RESPONSABILE => persona fisica o giuridica nominata ad hoc INCARICATI => dipendenti, collaboratori, commercialisti, medici che operano all’interno della struttura non in nome proprio ma del poliambulatorio, ecc…

La corretta individuazione dei soggetti del trattamento appare particolarmente rilevante per quanto concerne l’aspetto sanzionatorio (rinvio paragrafo 3 del presente capitolo), le responsabilità connesse al trattamento dei dati gravitano infatti attorno alla figura del “titolare”, soggetto preposto dal codice sulla privacy all’assunzione degli obblighi connessi al trattamento. Vi sono indubbiamente casi di esercizio della libera professione nei quali l’individuazione del titolare del trattamento è difficoltosa e talvolta addirittura controversa. Si pensi al caso dell’attività svolta in regime di intramoenia; è pacifico che il rapporto di lavoro che lega il professionista a l'ente è di tipo libero-professionale, il che dovrebbe far concludere nel senso di individuare nello psicologo stesso il soggetto titolare del trattamento, in quanto tale obbligato a porre in essere gli adempimenti necessari alla tutela della privacy. La questione richiede però un diverso approccio qualora si verta in ipotesi: a) di attività svolta a mezzo di propri locali, attrezzature e personale, b) di attività svolta sfruttando i locali, il personale e le attrezzature dell'ente per il quale si presta la propria attività professionale. Nel caso sub a) il professionista è concretamente nelle condizioni di farsi garante della riservatezza dei propri pazienti (l'idoneità di locali, attrezzature e collaboratori è infatti sotto il suo diretto controllo). Nel caso sub b), al contrario, pare evidente che il professionista non è

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concretamente nella possibilità di garantire l'idoneità di locali, attrezzature e dipendenti atteso che si tratta di elementi organizzativi che sfuggono al suo controllo. In tal caso pare pertanto più corretto considerare soggetto titolare del trattamento l'ente e non già il singolo professionista, è infatti l’ente che detta le norme sull’organizzazione del servizio e predispone gli adempimenti organizzativi necessari. Altro caso in cui l’individuazione del soggetto titolare del trattamento può non essere scontata è quello dell’attività di consulente tecnico. Gli Uffici giudiziari sono sottoposti ad una disciplina speciale prevista dagli art. 46, 47, 48, e 49 del codice sulla privacy d.lgs 196/2003. Da un’analisi sistematica che contemperi le norme del codice sulla privacy con quelle dell’ordinamento giudiziario emerge che per “uffici giudiziari” (titolari del trattamento) non si intendono le singole unità operative dell’Ordine giudiziario (es: sez. V penale del Tribunale di Padova, I sez. del Consiglio di Stato, ecc...), quanto piuttosto gli uffici così come dislocati sul territorio (es: Tribunale di Padova, TAR Veneto, ecc…). In estrema sintesi gli Uffici giudiziari sono esonerati da: informativa, notificazione, richiesta di autorizzazione, obblighi di comunicazione al Garante. Questa speciale disciplina, prevista per ragioni di giustizia, si applica ai titolari così come sopra individuati nonché ai professionisti incaricati dagli Uffici giudiziari medesimi, qualora questi siano autorizzati per legge ad avvalersi dell’attività di costoro. Ora non vi è dubbio alcuno che la nomina di un Consulente tecnico d’ufficio da parte del tribunale abbia fondamento normativo (art. 191 cpc) e sia quindi rientrante nel regime speciale di cui sopra. Diversamente, se l’attività svolta è quella di consulente tecnico di parte, si esula dalla disciplina speciale di cui sopra, con la conseguenza che torna applicabile la disciplina ordinaria del Codice sulla privacy, con tutti gli obblighi del caso a carico del Consulente di parte, titolare del trattamento dei dati. 3. Obblighi in capo al titolare del trattamento 3.1. Notificazione al Garante La notificazione (art. 37 e 38 d.lgs 196/2003) è obbligatoria solo se: �il trattamento riguarda dati genetici e/o biometrici; �il trattamento riguarda dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, trattati ai fini di procreazione assistita, prestazione di servizi sanitari per vai telematica relativi a banche di dati o alla fornitura di beni,

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indagini epidemiologiche, rilevazione di malattie mentali, infettive e diffusive, sieropositività, trapianto di organi e tessuti e monitoraggio della spesa sanitaria; �i dati sensibili sono inseriti in banche dati accessibili a terzi per via telematica; �i dati sensibili sono trattati da associazioni senza scopo di lucro a carattere politico, sindacale, filosofico o religioso (restano escluse le cooperative sociali); �i dati sensibili sono trattati da agenzie di ricerca e selezione del personale per conto terzi; �i dati sensibili sono trattati per la definizione di profili tipo mediante strumenti elettronici (indagini di mercato). Con il provvedimento n. 1 del 31.03.2004, il Garante ha sottoratto all’obbligo della notificazione una serie di trattamenti, e con successivo comunicato del 23.04.2004 ha fornito alcune delucidazioni in ordine alla corretta interpretazione delle norme che impongono la notificazione. Le esenzioni disposte dal Garante riguardano i trattamenti occasionali, in altre parole l’obbligo della notificazione è escluso quando il trattamento (di per sé soggetto a notificazione) non sia sistematico, ossia non faccia parte integrante dell’attività svolta dal titolare. Il quadro che ne è emerso è il seguente:

TRATTAMENTI ESCLUSI DALL’OBBLIGO DI NOTIFICA

TIPO DI TRATTAMENTO

PROVVEDIMENTO N. 1 DEL 31.03.2004

COMUNICATO DEL 23.04.2004

DATI GENETICI E BIOMETRICI (art. 37, comma 1, lettera a)

a) i trattamenti non sistematici di dati genetici e biometrici effettuati da esercenti le professioni sanitarie, anche unitamente ad altri esercenti titolari dei medesimi trattamenti, rispetto a dati non organizzati in una banca di dati accessibile a terzi per via telematica. Ciò limitatamente ai dati e alle operazioni, compresa la comunicazione, indispensabili per perseguire finalità di tutela della salute o dell’incolumità fisica dell’interessato o di un terzo.

a) il Garante ha specificato che l’esonero disposto a favore degli esercenti le professioni sanitarie di cui al provvedimento del 31.03.2004, riguarda anche le attività gestite in forma associata e i medici che trattino dati personali in materia di igiene e sicurezza sul lavoro

DATI SULLA SALUTE O SULLA VITA SESSUALE UTILIZZATI PER PRESTARE SERVIZI SANITARI PER VIA TELEMATICA (art. 37, comma 1, lettera b)

a) i trattamenti a fini di procreazione assistita, di trapianto di organi e tessuti, indagine epidemiologica, rilevazione di malattie mentali, infettive, diffusive o di sieropositività. Ciò semprechè i trattamenti siano effettuati non sistematicamente, rispetto a dati non organizzati in una banca dati accessibile a terzi per via telematica e limitatamente ai dati e alle operazioni indispensabili per la tutela della salute o dell’incolumità fisica dell’interessato o di un terzo; b) i trattamenti a elusivi fini di monitoraggio della spesa sanitaria o di adempimento di obblighi normativi in materia di igiene e sicurezza del lavoro e della popolazione

a) il Garante ha precisato che non sono soggetti a notificazione i trattamenti di dati sanitari e/o sessuali effettuati nell’ambito di servizi di assistenza o consultazione sanitaria per via telefonica

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3.2. Comunicazione al Garante La comunicazione (art. 39 d.lgs 196/03) è obbligatoria solo se: �i dati sensibili sono comunicati da ente pubblico ad altro ente pubblico (sempre che ciò non sia imposto dalla legge); �i dati sensibili sono trattati nell’ambito dell’attività di ricerca medica (e sanitaria). Il trattamento oggetto della comunicazione può essere iniziato decorsi 45 giorni dal ricevimento della stessa da parte del Garante. 3.3. Autorizzazione del Garante L’autorizzazione (art. 40 e 41 d.lgs 196/03) è sempre obbligatoria nel caso di trattamento di dati sensibili. Il Garante della Privacy ha rilasciato delle autorizzazioni generali collettive rivolte a diverse categorie di soggetti titolari del trattamento; detti soggetti sono esonerati dal presentare apposita richiesta di autorizzazione al Garante (purché il trattamento sia conforme alle prescrizioni contenute nell’autorizzazione generale collettiva). L’autorizzazione generale collettiva n. 2 è rivolta a chi tratta dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, ovvero: tutti gli esercenti professioni socio-sanitarie, tanto liberi professionisti, quanto enti genericamente intesi (asl, case di cura, istituti di recupero, associazioni di volontariato, comunità, ecc…). L’autorizzazione generale collettiva n. 3 è invece rivolta agli organismi di tipo associativo e alle fondazioni che trattano dati sensibili ovvero: fondazioni, ONLUS, cooperative sociali, ecc… Qualora si renda necessario chiedere un’autorizzazione individuale al Garante, quest’ultimo dovrà rispondere entro 45 giorni dalla richiesta, decorsi i quali il silenzio equivale a rigetto. 3.4. A chi, come e quando si inoltrano la notificazione, la comunicazione e la richiesta di autorizzazione

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A chi: al Garante Come: �per la notificazione: esclusivamente tramite via telematica �per la comunicazione e per la richiesta di autorizzazione: tramite via telematica, o a mezzo fax o lettera raccomandata Quando: prima di iniziare il trattamento 3.5. Informativa al paziente L’informativa (art. 13 d.lgs 196/03) è sempre obbligatoria. Il professionista, titolare del trattamento di dati personali, dovrà preventivamente informare l’interessato circa: a) le finalità e le modalità del trattamento cui sono destinati i dati; b) la natura obbligatoria o facoltativa del conferimento dei dati; c) le conseguenze di un eventuale rifiuto di rispondere; d) i soggetti o le categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di responsabili o incaricati e l'ambito di diffusione dei dati medesimi; e) il diritto di accesso ai propri dati, di aggiornamento, rettifica o cancellazione degli stessi; f) gli estremi identificativi del titolare e del responsabile; Si suggerisce di fornire le suddette informazioni per iscritto, facendo sottoscrivere al paziente la presa visione dell’informativa; quest’ultima, infatti, può essere fornita anche in forma verbale, ma ciò comporta evidenti svantaggi sotto il profilo probatorio. 3.6. Consenso del paziente Il consenso (art. 23 d.lgs 196/03) è sempre obbligatorio, fatta eccezione per: �i trattamenti necessari per adempiere un obbligo previsto per legge; �i trattamenti ad opera di enti, associazioni ed ONLUS (esclusivamente: a) per il perseguimento degli scopi leciti indicati nell’atto costitutivo e nello statuto, b) limitatamente ai dati degli aderenti, c) sempre che i dati non siano comunicati all’esterno); �i dati relativi ai dipendenti per attività connesse al rapporto di lavoro.

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Nel caso di trattamento di dati sensibili, deve essere fornito per iscritto direttamente dall’interessato (mediante l’apposizione della firma). Il consenso per le persone incapaci e per i minori è reso da chi ne esercita legalmente la potestà. Il consenso può essere espresso anche oralmente, in tal caso è però necessario che lo stesso risulti documentato con apposita annotazione a cura del titolare. Fac-simile informativa/consenso:

Sig. …………………………………………………………. Nato a …………………………il ……………………….. Gentile Cliente, In qualità di “Interessato” in relazione ai dati personali di cui lo studio del dott. ……………… entrerà in possesso, ai sensi dell’art. 13 d.lgs 196 del 30 giugno 2003 (di seguito codice) La informiamo di quanto segue:

Informativa per il cliente ai sensi dell’articolo 13 Testo Unico in materia di protezione dei dati personali (d.lgs 196 del 30.06.03 entrato in vigore il 01.01.04)

• Il trattamento dei dati personali è finalizzato esclusivamente allo svolgimento delle prestazioni professionali di diagnosi e cura richieste; • tali dati saranno inseriti in un archivio informatico/cartaceo; • il conferimento da parte del cliente dei propri dati personali è facoltativo; • tuttavia un eventuale rifiuto da parte dell’interessato non consentirebbe l’instaurarsi del rapporto professionale; • il titolare del trattamento è: - lo studio …………………………………………………………………… - con domicilio fiscale in …………………………………………… • il responsabile del trattamento non è stato nominato • gli incaricati del trattamento sono: le persone fisiche autorizzate a compiere operazioni di trattamento dal titolare o dal responsabile (collaboratori, supervisori, dipendenti, commercialisti). • i dati saranno trattati in base alle disposizioni di legge e in modo da garantirne la riservatezza; • i dati saranno trattati in modo da escludere il rischio di accesso da parte di soggetti non autorizzati e il rischio di distruzione o perdita anche accidentale degli stessi; • i diritti della persona che conferisce i propri dati sono quelli previsti dall’art.7 del Codice in materia di protezione dei dati personali (d.lgs 196 del 30.06.2003 entrato in vigore il 01.01.2004).

Per completezza si riporta di seguito l’art. 7 del Codice in materia di protezione dei dati personali.

Titolo II DIRITTI DELL’INTERESSATO

Art. 7

(Diritto di accesso ai dati personali ed altri diritti) 1. L'interessato ha diritto di ottenere la conferma dell'esistenza o meno di dati personali che lo riguardano,

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anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile. 2. L’interessato ha diritto di ottenere l’indicazione: a) dell’origine dei dati personali; b) delle finalità e modalità del trattamento; c) della logica applicata in caso di trattamento effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici; d) degli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato ai sensi dell’articolo 5, comma 2; e) dei soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di rappresentante designato nel territorio dello Stato, di responsabili o incaricati. 3. L’interessato ha diritto di ottenere: a) l'aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l'integrazione dei dati; b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati; c) l'attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato. 4. L’interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte: a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta; b) al trattamento di dati personali che lo riguardano a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale. I diritti di cui all’articolo sopra citato sono esercitati con richiesta rivolta senza formalità al titolare o al responsabile, anche per il tramite di un incaricato, alla quale è fornito idoneo riscontro senza ritardo. La richiesta rivolta al titolare o al responsabile può essere trasmessa anche mediante lettera raccomandata, telefax o posta elettronica. Nell'esercizio dei diritti di cui all'articolo 7 sopra citato l'interessato può conferire, per iscritto, delega o procura a persone fisiche, enti, associazioni od organismi. L'interessato può, altresì, farsi assistere da una persona di fiducia. Luogo e data ………………………. Firma del paziente per ricevuta informazione …………………………………………. CONSENSO Ricevute le informazioni di cui sopra, dichiaro di autorizzare lo studio …………………………………. al trattamento dei miei dati personali ed identificativi ivi compresi quelli definiti dal codice come “sensibili” ai fini dell’espletamento delle prestazioni di cui all’informativa. Luogo e data ………………………….. Firma del paziente per consenso al trattamento …………………………………

3.7. Diritti dell’interessato L’obbligo dell’informativa si interfaccia con il diritto dell’interessato ad avanzare istanze al titolare finalizzate a: - conoscere i dati a lui relativi oggetto di trattamento - conoscere i soggetti che effettuano il trattamento - rettificare i dati - cancellare i dati - ordinare il blocco dei dati o la trasformazione in forma anonima Il titolare è tenuto a rispondere alle richieste dell’interessato in modo chiaro e tempestivo entro 15 giorni.

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3.8. Nomina degli incaricati al trattamento La nomina degli incaricati va fatta per iscritto e deve contenere la puntuale definizione dell’ambito entro cui il soggetto è legittimato a trattare i dati. L’obbligo di formazione degli incaricati e di vigilanza sull’operato degli stessi è condiviso da titolare e responsabile (se nominato) ed incide in maniera significativa sulla portata della loro responsabilità sotto il profilo sanzionatorio. Il titolare del trattamento deve redigere annualmente la lista degli incaricati. Fac-simile nomina incaricato:

NOMINA DELL’INCARICATO

Art. 30 del Codice sul trattamento dei dati personali

Il sottoscritto dott. ……………………………., in qualità di “Titolare del trattamento dei dati” dei pazienti dello studio omonimo, sito a ……………………………………………………………………..

INCARICA La Sig.ra ………………………………….., nata a ………………………………. Il …………………….., CF: ……………………………..

AL TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI Nell’ambito delle funzioni di segretaria che è chiamata a svolgere dallo scrivente studio a fronte del rapporto di lavoro dipendente in essere con lo stesso. A tal fine vengono fornite informazioni ed istruzioni per l’assolvimento del compito assegnato. I dati personali oggetto dell’incarico debbono essere trattati in modo: a) lecito e secondo correttezza; b) raccolti e registrati per le sole finalità di diagnosi e cura svolte dallo studio; c) si dovrà costantemente controllarne l’ esattezza e qualora necessario provvedere all’aggiornamento dei dati posseduti; d) la raccolta dei dati dovrà essere pertinente, completa e non eccedente rispetto alle finalità per le quali sono raccolti. Nello svolgimento delle Sue funzioni dovrà costantemente garantire la massima riservatezza dei dati trattati evitando qualunque divulgazione, comunicazione e/o diffusione, degli stessi senza il consenso del Titolare. E’ fatto divieto assoluto di procedere alla loro produzione e/o riproduzione al di fuori dello studio. E’ richiesta la massima cura nel trattamento dei dati anche all’interno dello studio in modo tale da non renderli accessibili a terzi non incaricati, assicurandosi che il contenuto non sia accessibile ad estranei. Gli obblighi assunti dall’incaricato in tema di riservatezza dei dati personali dovranno essere osservati anche in seguito alla cessazione del rapporto di lavoro in essere. Nell’ambito dell’incarico assegnatoLe Le viene conferito l’incarico di compiere le operazioni di trattamento dei dati sotto elencate, avendo cura di rispettare le avvertenze sopra citate e le istruzioni in materia forniteLe dal Titolare: 1) Nello svolgimento dell’incarico Lei avrà accesso tanto ai dati personali identificativi dei pazienti, quanto ai dati sensibili relativi al loro stato di salute. 2) Nell’ambito di tali dati dovrà raccogliere, organizzare, registrare e conservare i dati personali dei pazienti dello studio, tanto allo scopo di conservare ordinate cartelle cliniche e di prestare al titolare l’assistenza

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necessaria all’espletamento delle cure odontoiatriche, quanto allo scopo di adempiere alle formalità previste dalle disposizioni legislative e tributarie (emissione delle parcelle, registrazione dei documenti contabili in prima nota, ecc…). 3) L’attività sarà svolta sia attraverso l’utilizzo di cartelle cartacee, sia attraverso l’ausilio di supporti informatici. L’accesso agli strumenti informatici dovrà essere riservato in modo che le proprie credenziali di autenticazione (username e password) non vengano comunicate a nessun altro. La password dovrà essere composta da almeno 8 caratteri e dovrà essere modificata almeno ogni tre mesi. Gli strumenti informatici non dovranno essere lasciati incustoditi e accessibili a terzi durante le sessioni di trattamento. 4) Sarà inoltre Sua precisa cura non lasciare mai incustodito l’archivio cartaceo e, nei casi di proprio momentaneo allontanamento, assumere precauzioni idonee a evitare l’accesso allo stesso da parte di soggetti non autorizzati. 5) L’incarico assegnatoLe si estende anche alla conservazione e custodia delle credenziali di autenticazione di tutti gli altri operatori dello studio (titolare e incaricati), affinché sia assicurata la disponibilità di dati anche nei casi di prolungata assenza o impedimento di uno degli operatori. A tal fine le credenziali di autenticazione di ciascun operatore saranno indicate da ognuno di essi in un documento in busta sigillata e le varie buste saranno per l’appunto da Lei custodite. Nel caso in cui si renda necessaria l’apertura di una busta, sarà Sua cura informare tempestivamente l’operatore dell’intervento effettuato. 6) A Lei è inoltre assegnato l’incarico di procedere almeno settimanalmente al salvataggio dei dati contenuti nei PC, mediante utilizzo di supporti a nastro. Una volta effettuato il salvataggio (che avverrà in duplice copia), un supporto a nastro sarà conservato presso i locali della segreteria, l’altro supporto a nastro sarà consegnata al titolare del trattamento per la conservazione in luogo sicuro. I supporti a nastro utilizzati per i salvataggi periodici, una volta esauriti e pertanto non più utilizzabili dovranno essere distrutti. L’eventuale ripristino di dati divenuti inaccessibili dovrà avvenire nel termine massimo di sette giorni dall’evento che ne ha causato l’inaccessibilità. Il titolare del trattamento dei dati ………………………………………………… Luogo e data …………………………………………………………………………………..

Fac-simile lista annuale degli incaricati:

LISTA ANNUALE DEGLI INCARICATI

(PUNTO B15 DEL DISCIPLINARE TECNICO)

ANNO 2008

Il sottoscritto dott. ……………………………………., in qualità di “Titolare del trattamento dei dati” dei pazienti dello studio di psicoterapia omonimo, sito a …………………………………………. ha nominato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 30 del D.Lgs 196/2003, i seguenti soggetti incaricati al trattamento: SUPERVISORI - Il dott. …………………………., nato a ……………. il …………………, CF: …………………..,psicologo psicoterapeuta con studio a ………………………………… in via ………………………………… DIPENDENTI - La Sig.ra ………………………….., nata a ……………………. il …………………., CF: ………………………………. LIBERI PROFESSIONISTI CHE COLLABORANO CON LO STUDIO - La dott.ssa ………………………………., nata a ……………………. Il ……………………, CF: …………………….., con studio a ………………………………………. COMMERCIALISTA - La dott.ssa …………………………….., nata a …………………… il ………………………., CF: ………………………, con studio a ……………………………………….. Il titolare del trattamento dei dati ……………………………………………. Luogo e data …………………………………………………………………………………

3.9. Nomina del responsabile del trattamento

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La nomina del responsabile va fatta per iscritto e deve contenere le istruzioni relative al trattamento affidatogli. La stessa deve garantire un certo grado di autonomia al responsabile atteso che questi condivide con il titolare le responsabilità connesse al trattamento; tale condivisione di responsabilità implica che il soggetto designato debba manifestare l’accettazione della nomina mediante sottoscrizione della stessa. Si tratta in ogni caso di una facoltà in capo al titolare del trattamento (e non già di un obbligo), il cui esercizio comunque non spoglia il titolare delle responsabilità connesse al trattamento che restano infatti in capo al titolare stesso, pur condivise con il responsabile se nominato. Fac-simile nomina responsabile:

NOMINA DEL RESPONSABILE

Art. 29 del Codice sul trattamento dei dati personali

Il sottoscritto dott./dott.ssa………………………………………………………………… in qualità di “titolare del trattamento dei dati personali” gestiti nell’ambito della propria attività, dello studio……………………………………con sede in…………………………………………………….. sito in Via ……………………………………………………..

NOMINA

IL/La Sig./ Sig.ra……………………………………………………….nato/a a……………………………………….il……………………………….e residente in…………………………Via……………………………………….,n…………………… Nato a

QUALE RESPONSABILE AL TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI In relazione ai seguenti trattamenti 1) nello svolgimento dell’incarico Lei avrà accesso a tutti i dati dei pazienti di cui il titolare sia venuto in possesso; 2) nell’ambito di tali dati dovrà adottare tutte le misure delle quali si renda necessaria l’adozione al fine tutelare i dati del trattamento; 3) dovrà procedere all’individuazione degli incaricati al trattamento; 4) dovrà verificare e aggiornare costantemente l’attività degli incaricati dello studio, nonché provvedere alla formazione degli stessi in materia di privacy; 5) nello svolgimento delle Sue funzioni dovrà comunque sempre attenersi alle istruzioni del titolare avendo cura di rispettare le disposizioni del codice sul trattamento dei dati personali e del disciplinare tecnico ad esso allegato; 6) dovrà garantire il rispetto della normativa in materia di privacy anche sotto il profilo delle misure di sicurezza; 7) dovrà eseguire controlli periodici, con cadenza almeno annuale, per verificare la rispondenza e l’efficacia delle misure intraprese rispetto a quelle dovute; 8) per l’attività di cui sopra è pattuito /non è pattuito un compenso annuo pari a €………………. Con la sottoscrizione della presente dichiara di aver ricevuto la seguente documentazione a) Copia della informativa e richiesta di consenso che lo studio sottopone ai pazienti; b) …………………………………. Il titolare del trattamento dei dati ………………………………….. Luogo e data …………………………………………………………………………………… Per accettazione e ricevuta il responsabile del trattamento …………………….……………………………

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3.10. Misure di sicurezza Si tratta del complesso di misure tecniche, organizzative, logistiche e procedurali che consentono di ridurre al minimo i rischi di perdita o di distruzione anche accidentale dei dati, di accesso non autorizzato, di trattamento illecito. L’obbligo di adottare delle adeguate misure di sicurezza è previsto direttamente dal d.lgs 196/2003; nell’ambito delle misure di sicurezza, esistono delle misure minime, queste sono illustrate nel disciplinare tecnico (allegato B del codice) avente natura regolamentare e soggetto a periodica manutenzione. Misure minime di sicurezza da adottare se il trattamento avviene senza l’ausilio di strumenti elettronici: Il trattamento di dati effettuato senza l’ausilio di strumenti elettronici è consentito solo se sono adottate, le seguenti misure minime di sicurezza: a) aggiornamento periodico dell’individuazione dell’ambito del trattamento consentito ai singoli incaricati o alle unità organizzative; b) previsione di procedure per un’idonea custodia di atti e documenti affidati agli incaricati per lo svolgimento dei relativi compiti; c) previsione di procedure per la conservazione di determinati atti in archivi ad accesso selezionato e disciplina delle modalità di accesso finalizzata all’identificazione degli incaricati. Misure minime di sicurezza da adottare se il trattamento avviene con l’ausilio di strumenti elettronici: Il trattamento di dati effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici (pc, apparecchi di audio registrazione o di video registrazione, ecc…) è consentito solo se sono adottate, le seguenti misure minime di sicurezza: a) autenticazione informatica; b) adozione di procedure di gestione delle credenziali di autenticazione; c) utilizzazione di un sistema di autorizzazione; d) aggiornamento periodico dell’individuazione dell’ambito del trattamento consentito ai singoli incaricati e addetti alla gestione o alla manutenzione degli strumenti elettronici; e) protezione degli strumenti elettronici e dei dati rispetto a trattamenti illeciti di dati, ad accessi non consentiti e a determinati programmi informatici;

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f) adozione di procedure per la custodia di copie di sicurezza, il ripristino della disponibilità dei dati e dei sistemi; g) tenuta di un aggiornato documento programmatico sulla sicurezza; h) adozione di tecniche di cifratura o di codici identificativi per determinati trattamenti di dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale effettuati da organismi sanitari. A ciascuno degli incaricati (collaboratori, praticanti, dipendenti ecc..), che sono stati individuati con atto scritto e ai quali sono state impartite istruzioni sul trattamento dei dati, nel caso di trattamento dei dati attraverso strumenti elettronici, dovranno essere assegnate individualmente le “credenziali di autenticazione”. Le credenziali di autenticazione possono essere di diverso genere, ma nella maggior parte dei casi si tratterà di un codice identificativo associato ad una parola chiave assegnata all’incaricato (la password deve poi essere modificata almeno ogni tre mesi). Il titolare o il responsabile devono impartire istruzioni sull’utilizzo appropriato degli strumenti elettronici, controllare e, nel caso, disattivare le credenziali di autenticazione. I dati personali devono essere protetti con l’adozione di antivirus da aggiornare periodicamente e il back up dei dati deve essere effettuato almeno settimanalmente. Con particolare riferimento ai cosiddetti dati sensibili è stato precisato quanto segue: ”I dati sensibili e giudiziari contenuti in elenchi, registri o banche di dati, tenuti con l'ausilio di strumenti elettronici, sono trattati con tecniche di cifratura o mediante l'utilizzazione di codici identificativi o di altre soluzioni che, considerato il numero e la natura dei dati trattati, li rendono temporaneamente inintelligibili anche a chi è autorizzato ad accedervi e permettono di identificare gli interessati solo in caso di necessità. I dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale sono conservati separatamente da altri dati personali trattati per finalità che non richiedono il loro utilizzo. I medesimi dati sono trattati con le modalità sopraindicate (cifratura – codici identificativi) anche quando sono tenuti in elenchi, registri o banche di dati senza l'ausilio di strumenti elettronici”. Il d.lgs 196/2003 precisa, altresì, il contenuto del documento programmatico sulla sicurezza. Si tratta di un piano di gestione dei rischi connessi al trattamento ed è da annoverare tra le misure minime di sicurezza previste direttamente dall’art. 34 del codice, il quale a sua volta rinvia al disciplinare tecnico quanto alle modalità di redazione dello stesso DPS.

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La redazione del DPS è obbligatoria solo nel caso di trattamento di dati sensibili con strumenti elettronici. Il DPS deve essere conservato dal professionista, non deve essere inviato a nessuna autorità, non necessita della data certa. Il DPS (da aggiornare entro il 31 marzo di ogni anno) deve contenente idonee informazioni riguardo: 1. l’elenco dei trattamenti di dati personali; 2. la distribuzione dei compiti e delle responsabilità nell’ambito delle strutture preposte al trattamento dei dati; 3. l’analisi dei rischi che incombono sui dati; 4. le misure da adottare per garantire l’integrità e la disponibilità dei dati, nonché la protezione delle aree e dei locali, rilevanti ai fini della loro custodia e accessibilità; 5. la descrizione dei criteri e delle modalità per il ripristino della disponibilità dei dati in seguito a distruzione o danneggiamento, in tempi certi compatibili con i diritti degli interessati e non superiori a sette giorni; 6. la previsione di interventi formativi degli incaricati del trattamento, per renderli edotti dei rischi che incombono sui dati, delle misure disponibili per prevenire eventi dannosi, dei profili della disciplina sulla protezione dei dati personali più rilevanti in rapporto alle relative attività, delle responsabilità che ne derivano e delle modalità per aggiornarsi sulle misure minime adottate dal titolare. La formazione è programmata già al momento dell’ingresso in servizio, nonché in occasione di cambiamenti di mansioni, o di introduzione di nuovi significativi strumenti, rilevanti rispetto al trattamento di dati personali; 7. la descrizione dei criteri da adottare per garantire l’adozione delle misure minime di sicurezza in caso di trattamenti di dati personali affidati, in conformità al codice, all’esterno della struttura del titolare; 8. per i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, l’individuazione dei criteri da adottare per la cifratura o per la separazione di tali dati dagli altri dati personali dell’interessato.

******* Fac-simile DPS:

DOCUMENTO PROGRAMMATICO ANNUALE SULLA SICUREZZA (DPS) (Codice in materia di protezione dei dati personali art. 34 e Allegato B, regola 19, del D.Lgs n. 196/2003)

Studio dott./ dott.ssa …………………………………………….

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Il titolare del trattamento dei dati è lo studio omonimo

Anno 2009 • Elenco dei trattamenti di dati personali (regola 19.1) Lo studio provvede alla raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, la consultazione, l’elaborazione, la modificazione, il raffronto, l’utilizzo, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione, e la distruzione di dati: a) personali, b) sensibili (in quanto inerenti allo stato di salute dei pazienti)

Tabella 1.1. – Elenco dei trattamenti: informazioni essenziali Descrizione del trattamento

Categorie di interessati

Natura dei dati trattati

Struttura di riferimento

Altre strutture che concorrono al trattamento

Descrizione degli strumenti elettronici utilizzati

Raccolta di dati mediante acquisizione e caricamento degli stessi.

Pazienti Personali e sensibili

Titolare _ N. ……… PC non collegati in rete LAN di cui uno fisso e uno portatile, quest’ultimo con collegamento Internet atto alla raccolta e conservazione delle cartelle cliniche dei pazienti, alla gestione della fatturazione e degli altri adempimenti amministrativi e fiscali richiesti dalla normativa in vigore

Conservazione dei dati raccolti mediante acquisizione e caricamento degli stessi su supporti cartacei e/o informatici

Pazienti Personali e sensibili

Titolare _ N. ……. PC non collegati in rete LAN di cui uno fisso e uno portatile, quest’ultimo con collegamento Internet atto alla raccolta e conservazione delle cartelle cliniche dei pazienti, alla gestione della fatturazione e degli altri adempimenti amministrativi e fiscali richiesti dalla normativa in vigore

Comunicazione dei dati raccolti

Pazienti

Personali Titolare Commercialista

Tabella 1.2. – Elenco dei trattamenti: ulteriori elementi per descrivere gli strumenti Descrizione del trattamento

Banca dati Luogo di custodia

Tipologia di dispositivi di accesso

Tipologia di interconnessione

Raccolta e Conservazione elettronica dei dati

Hard disk del PC

Via Personal computer Internet

Raccolta e Conservazione cartacea dei dati

Cartelle cartacee

Via Classificatori e schedari conservati in apposito armadio,chiuso a chiave

Nessuna

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• Distribuzione dei compiti e delle responsabilità (regola 19.2) Il titolare del trattamento dei dati è lo studio omonimo. Il responsabile del trattamento dei dati é: non è stato nominato. Gli incaricati sono: i dipendenti, i ………………………………………….., il commercialista. Tabella 2. – Competenze e responsabilità delle strutture proposte ai trattamenti Struttura Trattamenti

effettuati da una struttura

Compiti e responsabilità della struttura

Studio del titolare e incaricati come sopra individuati

Raccolta , caricamento, elaborazione, conservazione, comunicazione.

Raccolta mediante acquisizione e caricamento dei dati e loro conservazione. I dati vengono periodicamente salvati a mezzo di un sistema hardware (chiave USB). Dopo il salvataggio, la chiave viene conservata in luogo diverso dalla sede dello studio.

Gli incaricati hanno ricevuto istruzioni dettagliate in merito alla normativa sulla privacy. Tali istruzioni sono state impartire per iscritto e sono soggette a costante periodico aggiornamento.

• Analisi dei rischi che incombono sui dati (regola 19.3) Gli eventi di possibile rischio sono legati a 3 fattori: 1) comportamento degli operatori 2) eventi relativi agli strumenti 3) eventi relativi al contesto fisico ambientale. Tabella 3. – Analisi dei rischi Fattore di rischio Rischi SI/

No Descrizione dell’impatto sulla sicurezza (gravità del rischio in ragione della probabilità stimabile dell’evento: alta/media/bassa)

Comportamento degli operatori (incaricati)

Sottrazione di documenti no

Carenza di consapevolezza disattenzione incuria

no

Comportamenti sleali o fraudolenti no Errore materiale si Porterebbe a conoscenza di

terzi dati relativi alla salute dei pazienti – bassa

Eventi relativi agli strumenti elettronici, pc etc…

Azione di virus informatici o di programmi suscettibili di recare danno

no

Malfunzionamento , indisponibilità o degrado degli strumenti

si Potrebbe comportare la perdita dei dati o il loro danneggiamento - medio

Accessi esterni non autorizzati si Porterebbe a conoscenza di terzi dati relativi alla salute dei pazienti – bassa

Intercettazioni di informazioni in rete si Porterebbe a conoscenza di terzi dati relativi alla salute dei pazienti – bassa

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Eventi relativi al contesto Accessi non autorizzati a locali / reparti ad accesso ristretto

si Porterebbe a conoscenza di terzi dati relativi alla salute dei pazienti – bassa

Sottrazione di documenti contenenti dati si Porterebbe a conoscenza di terzi dati relativi alla salute dei pazienti – bassa

Obsolescenza dei dati per mancato aggiornamento degli stessi

si Rischio basso

Eventi distruttivi, naturali o artificiali ( movimenti tellurici, scariche atmosferiche, incendi, allagamenti, condizioni ambientali ecc.) , nonché dolosi, accidentali o dovuti ad incuria.

si Si dovrebbe procedere alla ricostruzione degli archivi contenenti i dati – basso

Guasto ai sistemi complementari (impianto elettrico, climatizzazione, ecc.).

si Qualora il guasto fosse particolarmente grave, potrebbe essere necessario procedere alla ricostruzione degli archivi contenenti i dati – basso

Errori umani nella gestione della sicurezza fisica

no

• Misure in essere e da adottare (regola 19.4) Tabella 4. –Le misure di sicurezza da adottare e adottate Misure Descrizione dei rischi

contrastati Trattamenti interessati

Misure già in essere

Misure da adottare

Struttura o persone addette all’adozione

Accurata selezione degli incaricati, basata su un rapporto fiduciario indiscusso

Sottrazione di documenti da parte degli operatori

Comunicazione e Conservazione dei dati

si Titolare

Sensibilizzazione degli incaricati sul tema della sicurezza

Carenza di consapevolezza disattenzione incuria degli operatori

Comunicazione e Conservazione dei dati

si Titolare

Accurata selezione degli incaricati, basata su un rapporto fiduciario indiscusso

Comportamenti sleali o fraudolenti degli operatori

Comunicazione e Conservazione dei dati

si Titolare

Accurata selezione degli incaricati, basata su un rapporto fiduciario indiscusso

Errore materiale degli operatori

Comunicazione e Conservazione dei dati

si Titolare

Salvataggio del lavoro su chiave USB

Malfunzionamento , indisponibilità o degrado degli strumenti

Conservazione dei dati

si Titolare

Collegamento Internet protetto

Intercettazioni di informazioni in rete

Conservazione dei dati

si Titolare

Stampigliatura nelle parcelle di una dicitura con la quale si chiede al paziente di voler verificare la correttezza dei dati ivi contenuti e di comunicare tempestivamente eventuali correzioni o modifiche

Obsolescenza dei dati per mancato aggiornamento degli stessi

Raccolta e conservazione dei dati

si Titolare

Dotazione di classificatori, schedari chiusi a chiave

Sottrazione documenti contenenti dati

Comunicazione e Conservazione dei dati

si Titolare

Accurata chiusura dei classificatori e delle vie di

Sottrazione documenti contenenti dati

Comunicazione e Conservazione dei

si Titolare

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accesso allo studio, durante l’orario di chiusura dello stesso. Porta blindata.

dati

Conservazione in altri luoghi della chiave USB contenente i salvataggi periodici

Eventi distruttivi, naturali o artificiali ( movimenti tellurici, scariche atmosferiche, incendi, allagamenti, condizioni ambientali ecc.) , nonché dolosi, accidentali o dovuti ad incuria.

Conservazione dei dati

si Titolare

Conservazione in altri luoghi della chiave USB contenente i salvataggi periodici

Guasto ai sistemi complementari (impianto elettrico, climatizzazione, ecc.).

Conservazione dei dati

si Titolare

Programmazione della manutenzione periodica della caldaia e del controllo periodico degli impianti elettrici e termo-sanitari

Guasto ai sistemi complementari (impianto elettrico, climatizzazione, ecc.).

Conservazione dei dati

Si Titolare

• Criteri e modalità di ripristino delle disponibilità dei dati (regola 19.5) Tabella 5. –Criteri e procedure per il ripristino della disponibilità dei dati RIPRISTINO Ripristino Banca dati / data base / archivio dati

Criteri e procedure per il salvataggio e il ripristino dei dati

Pianificazione delle prove di ripristino

Banca dati contenente i dati sensibili dei pazienti

I dati sono salvati settimanalmente su una chiave USB, oltre ad essere conservati su cartelle cartacee (stampa dei documenti informatici)

Settimanalmente viene verificata la funzionalità della chiave USB utilizzata per il salvataggio

Banca dati contenente i dati personali (anagrafici) dei pazienti

I dati sono salvati settimanalmente su una chiave USB, oltre ad essere conservati su cartelle cartacee (stampa dei documenti informatici)

Settimanalmente viene verificata la funzionalità della chiave USB utilizzata per il salvataggio

Tabella 5.1 –Criteri e procedure per il salvataggio dei dati SALVATAGGIO Ripristino Banca dati / data base / archivio dati

Criteri e procedure per il salvataggio

Luogo di custodia delle copie

Struttura o persona incaricata del salvataggio

Banca dati contenente i dati sensibili dei pazienti

I dati sono salvati settimanalmente su una chiave USB

La chiave USB viene conservata in luogo diverso dalla sede dello studio a cura del titolare

Titolare

Banca dati contenente i dati personali (anagrafici) dei pazienti

I dati sono salvati settimanalmente su una chiave USB

La chiave USB viene conservata in luogo diverso dalla sede dello studio a cura del titolare

Titolare

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• Pianificazione degli interventi formativi previsti (regola 19.6) Agli incaricati è stata consegnata apposita lettera di incarico ai sensi dell’art. 30 del codice (allegata al presente Documento). Nella lettera di incarico sono fornite tutte le informazioni/istruzioni rese all’incaricato con riferimento ai rischi connessi al trattamento e alle misure adottate dallo studio per la sicurezza. • Trattamenti affidati all’esterno (regola 19.7) Agli incaricati (tutti esterni allo studio) sono state impartite per iscritto idonee istruzioni in ordine al trattamento loro affidato. L’attività di consulenza fiscale è affidata ad uno studio commercialista, al quale mai vengono comunicati dati sensibili dei pazienti. Lo studio commercialista all’uopo incaricato tratterà i dati ai soli fini dell’espletamento dell’incarico di consulenza fiscale affidatogli. Tutti i collaboratori esterni di cui si avvale lo studio hanno dichiarato di aver a loro volta adempiuto agli obblighi previsti dal Codice per la protezione dei dati personali. • Cifratura dei dati o separazione dei dati identificativi (regola 19.8) I dati sensibili (sanitari) relativi ai pazienti e conservati in supporti informatici sono trattati con tecniche di cifratura tali da renderli temporaneamente intelligibili anche a chi è autorizzato ad accedervi. Tali tecniche consistono nell’utilizzo di codici identificativi che permettono di identificare gli interessati solo in caso di necessità (art. 22 c.6).

Luogo e data ……………………………….

Firma del titolare del trattamento dott. / dott.ssa …………………………………

********

TABELLA DI RACCORDO TRA LE PREVISIONI DI CUI ALL’ART. 34 DEL D.LGS 196/2003 E L’ALLEGATO B AL CODICE (COSIDDETTO DISCIPLINARE

TECNICO) QUANTO ALLE MISURE MINIME DA ADOTTARE

ART. 34 CODICE ALLEGATO B – DISCIPLINARE TECNICO

a) autenticazione informatica

b1) CREDENZIALI DI AUTENTICAZIONE

Il trattamento dei dati personali con strumenti elettronici è consentito agli incaricati dotati di credenziali di autenticazione che consentano il superamento di una procedura di autenticazione relativa ad uno specifico trattamento o ad un insieme di

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trattamenti

La funzione di autenticazione ha lo scopo di verificare che l’incaricato che chiede di accedere ai dati personali sia proprio colui che dichiara di essere Sono tecniche di autenticazione la verifica dell’username e della password le quali posso essere parte del sistema operativo server o del singolo software che tratta i dati personali

b2) CODICE IDENTIFICATIVO E PAROLA CHIAVE

La parola chiave o password e il codice identificativo dell’incaricato costituiscono la forma più semplice e diffusa di credenziale. La password deve essere conosciuta solo ed esclusivamente dall’incaricato

b3) ASSEGNAZIONE DI CREDENZIALI PER CIASCUN INCARICATO

Le credenziali devono essere assegnate individualmente, un incaricato può averne più di una, ma almeno una. Non sono ammesse credenziali di gruppo o di reparto

b4) ISTRUZIONI IN MERITO ALLA SEGRETEZZA DELLE CREDENZIALI

Il maggior tasso di intrusione abusiva è causato dall’incauta o ingenua gestione delle credenziali da parte di chi è autorizzato, il disciplinare richiede che gli incaricati ricevano apposite istruzioni in merito alla corretta modalità di utilizzo delle credenziali al fine di assicurare la segretezza delle stesse

La password è composta da almeno 8 caratteri o quando il sistema non lo permetta da un numero di caratteri pari al massimo previsto, non deve contenere riferimenti agevolmente riconducibili all’incaricato

b5) AGGIORNAMENTO PERIODICO DELLA PASSWORD

La password deve essere modificata ogni 6 mesi, in caso di trattamento di dati sensibili o giudiziari ogni 3 mesi

b6) CODICE IDENTIFICATIVO NON RIASSEGNABILE

Il codice per l’identificazione, laddove utilizzato, non può essere assegnato ad altri incaricati, neppure in tempi diversi

b) adozione di procedure di gestione

b7) DISATTIVAZIONE DELLE CREDENZIALI PER DISUSO

Le credenziali di autenticazione non utilizzate da almeno 6 mesi sono disattivate, salvo quelle utilizzate per scopi di gestione tecnica.

b8) DISATTIVAZIONE DELLE CREDENZIALI PER PERDITA DELLE QUALITA’

Le credenziali sono disattivate anche in caso di perdita di qualità che consente all’incaricato l’accesso ai dati personali

b9) CUSTODIA DEGLI STRUMENTI ELETTRONICI

Devono essere impartite istruzioni agli incaricati per non lasciare incustodito e accessibile lo strumento elettronico durante una sessione di trattamento (istruzioni in forma scritta art. 30)

b10) CUSTODIA DELLE CREDENZIALI DI ACCESSO

Quando l’accesso di dati e agli strumenti è consentito esclusivamente mediante uso

della componente riservata delle credenziali per l’autenticazione, sono impartite idonee e preventive disposizioni scritte volte a individuare le modalità con le quali può assicurare la disponibilità di dati o strumenti in caso di prolungata assenza o impedimento dell’incaricato che renda indispensabile o indifferibile intervenire per esclusive necessità di operatività e sicurezza del sistema. In tal caso la custodia delle copie delle credenziali è organizzata garantendo la relativa segretezza e individuando preventivamente per iscritto i soggetti incaricati

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della loro custodia, i quali devono informare tempestivamente l’incaricato dell’intervento effettuato

b11) DATI DESTINATI ALLA DIFFUSIONE

Le disposizioni sul sistema di autenticazione di cui ai precedenti punti e quelle sul sistema di autorizzazione non si applicano ai trattamenti dei dati personali destinati alla diffusione.

c) utilizzazione di un sistema di autorizzazione

b12) OBBLIGO DI UTILIZZARE UN SISTEMA DI AUTORIZZAZIONE

Quando per gli incaricati sono individuati profili di autorizzazione di ambio diverso è utilizzato un sistema i autorizzazione.

b13) OBBLIGO DI ASSICURARE UN PROFILO DI ACCESSO

b14) VERIFICA PERIODICA DEI PROFILI DI ACCESSO

d) aggiornamento periodico dell’individuazione dell’ambito del trattamento consentito ai singoli incaricati e addetti alla gestione o alla manutenzione degli strumenti elettronici

b15) AGGIORNAMENTO PERIODICO DELLA LISTA DEGLI INCARICATI

Con cadenza almeno annuale deve avvenire l’individuazione dell’ambito del trattamento consentito ai singoli incaricati

e) protezione degli strumenti elettronici e dei dati rispetto a trattamenti illeciti di dati, ad accessi non consentiti e a determinati programmi informatici

b16) PROGRAMMI PERICOLOSI

b17) AGGIORNAMENTO PERIODICO ANTIVIRUS

b20) ACCESSO ABUSIVO AI DATI

Aggiornamento software per la prevenzione contro la vulnerabilità dei sistemi e per la correzione dei difetti, almeno annuale, semestrale se si gestiscono dati sensibili e /o giudiziari

b21) CUSTODIA DEI SUPPORTI RIMOVIBILI

Forma scritta per istruzioni pratiche per le regole procedurali che individuino le azioni da eseguire e l’ordine delle stesse, definire le modalità di custodia dei supporti, dove tenerli, come etichettarli ed inventariarli, chi è autorizzato a prelevarli e soprattutto chi è il custode.

b22) GESTIONE DEI DATI RESIDUI E REIMPIEGO DEI SUPPORTI DI MEMORIZZAZIONE

La disposizione disciplina il caso che le cassette o floppy di salvataggio vengano

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usati da personale diverso da quello incaricato in caso di riutilizzo da parte dello stesso personale nessuna limitazione è prevista.

Previsione nelle informazioni scritte al personale della disciplina dei supporti non più utilizzati (distruzione non formattazione).

f)adozione di procedure per la custodia di copie di sicurezza, il ripristino della disponibilità dei dati e dei sistemi

b18) SALVATAGGIO DATI

Debbono essere impartite istruzioni per il salvataggio dei dati, tale salvataggio deve essere effettuato almeno settimanalmente

b23) RIPRISTINO DELL’ACCESSO AI DATI

7 giorni massimo per ripristinare i dati inaccessibili

g) tenuta di un aggiornato documento programmatico sulla sicurezza

h)adozioni di tecniche di cifratura o di codici identificativi per determinati trattamenti di dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale effettuati da organismi sanitari

b24) TRATTAMENTO DEI DATI SANITARI

Chi tratta questi dati deve fare riferimento all’art. 22 c.6 c. I documenti contenuti in elenchi, registri o banche dati, tenuti con l’ausilio di strumenti elettronici, sono trattati con tecniche di cifratura mediante l’utilizzazione di codici identificativi o di altre soluzioni che li rendano temporaneamente inintelligibili anche a chi è autorizzato ad accedervi, permettendo di identificare gli interessati solo in caso di necessità.

Per l’utilizzo di questi dati senza strumenti elettronici sono esclusi i gli esercenti privati.

***

TABELLA GENERALE RIASSUNTIVA

DEGLI ADEMPIMENTI CONNESSI AL TRATTAMENTO DI DATI SENSIBILI

OBBLIGHI VERSO IL GARANTE => NOTIFICAZIONE O COMUNICAZIONE PREVENTIVA (nei soli casi previsti dalla legge) => RICHIESTA DI AUTORIZZAZIONE o AUTORIZZAZIONE GENERALE COLLETTIVA ORGANIZZAZIONE DEI TRATTAMENTI => INDIVIDUAZIONE DELLE FIGURE PREPOSTE AL TRATTAMENTO E LORO NOMINA: RESPONSABILE (FACOLTATIVO) E INCARICATI => VIGILANZA E FORMAZIONE DEL RESPONSABILE E DEGLI INCARICATI => ADOZIONE DELLE MISURE MINIME DI SICUREZZA (FRA CUI: DPS) OBBLIGHI VERSO L’INTERESSATO => INFORMATIVA => CONSENSO ESPRESSO PER ISCRITTO

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Esemplificazioni pratiche degli adempimenti connessi al trattamento:

IN UNO STUDIO IN UNA ONLUS IN UNA IN UNA ASL

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PROFESSIONALE COOPERATIVA SOCIALE

AUTORIZZAZIONE GENERALE COLLETTIVA N. 2

AUTORIZZAZIONE GENERALE COLLETTIVA N. 3

AUTORIZZAZIONE GENERALE COLLETTIVA N. 3

AUTORIZZAZIONE GENERALE COLLETTIVA N. 2

NOTIFICAZIONE (solo se la ONLUS ha carattere religioso)

ADOZIONE MISURE MINIME DI SICUREZZA (fra cui DPS se dovuto)

ADOZIONE MISURE MINIME DI SICUREZZA (fra cui DPS se dovuto)

ADOZIONE MISURE MINIME DI SICUREZZA (fra cui DPS se dovuto)

ADOZIONE MISURE MINIME DI SICUREZZA (fra cui DPS se dovuto)

NOMINA DEGLI INCARICATI (E FACOLTATIVAMENTE DEL RESPONSABILE)

NOMINA DEGLI INCARICATI (E FACOLTATIVAMENTE DEL RESPONSABILE)

NOMINA DEGLI INCARICATI (E FACOLTATIVAMENTE DEL RESPONSABILE)

NOMINA DEGLI INCARICATI (E FACOLTATIVAMENTE DEL RESPONSABILE)

INFORMATIVA INFORMATIVA INFORMATIVA INFORMATIVA (ANCHE MEDIANTE AFFISSIONE DELLA STESSA IN BACHECA)

CONSENSO ESPRESSO PER ISCRITTO (SE ESPRESSO ORALMENTE, DEVE ESSERE DOCUMENTATO CON APPOSITA ANNOTAZIONE)

CONSENSO ESPRESSO PER ISCRITTO (SE ESPRESSO ORALMENTE, DEVE ESSERE DOCUMENTATO CON APPOSITA ANNOTAZIONE)

CONSENSO ESPRESSO PER ISCRITTO (SE ESPRESSO ORALMENTE, DEVE ESSERE DOCUMENTATO CON APPOSITA ANNOTAZIONE)

4. Controlli , sanzioni e ravvedimento Il potere ispettivo in materia di privacy può essere esercitato dall’Ufficio del Garante direttamente tramite il proprio personale, o attraverso la collaborazione della Guardia di Finanza (art. 158 d.lgs 196/2003). Il potere ispettivo e di accertamento deve essere esercitato secondo le modalità di seguito indicate: �il personale verificatore deve esibire documento di riconoscimento �l’accesso deve avvenire tra le ore 7 e le ore 20 �possono essere estratte copie di atti, dati, documenti �al termine dell’ispezione deve essere redatto un verbale riportante i risultati dell’ispezione e le eventuali dichiarazioni dei presenti �rilevate eventuali violazioni, il Garante indica al titolare o al responsabile le misure modificative o integrative da adottare e ne verifica l’adozione Va inoltre segnalato che, per l’accesso a luoghi privati e in assenza di autorizzazione da parte del Tribunale, è necessario il preventivo assenso del titolare o del responsabile. Diversamente, per l’accesso a luoghi di lavoro e banche dati, è necessaria solo la preventiva comunicazione al titolare o al responsabile o, in loro assenza, agli incaricati. Quanto alle sanzioni applicabili, queste potranno essere amministrative, penali e civili. Va in primis segnalato che il titolare del trattamento e il responsabile (qualora designato) sono responsabili anche per le

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inadempienze degli incaricati. Le sanzioni amministrative (= di carattere pecuniario) saranno a carico del titolare del trattamento, non saranno invece mai applicabili direttamente agli incaricati Le sanzioni penali (= fattispecie di reato) saranno applicabili al titolare del trattamento se si tratta di una persona fisica; se si tratta di una persona giuridica (ente, società, ecc…) saranno invece applicabili a chi (persona fisica) ricopre ruoli decisionali all’interno della struttura titolare del trattamento. Agli incaricati potrà essere ascritta una qualche responsabilità penale solo in ragione di una condotta criminosa degli stessi che non poteva essere impedita dal titolare o dal responsabile. Le sanzioni civili (= azione per il risarcimento del danno patrimoniale e/o morale ex art. 2050 c.c.) saranno applicabili tanto al titolare del trattamento, quanto al responsabile (magari anche in forma di rivalsa ad opera del titolare stesso). Delle stesse potranno essere anche chiamati a rispondere gli incaricati al trattamento in tutti i casi di grave negligenza, imprudenza, imperizia, nonché violazione del segreto professionale. Dal quadro sanzionatorio or ora delineato, emerge chiaramente che in capo agli incaricati si potrà profilare una responsabilità per fatto proprio, mai per fatto altrui.

Esemplificazione di sanzioni previste dal d.lgs 196/2003:

SANZIONI AMMINISTRATIVE

OMESSA O INCOMPLETA INFORMATIVA DI DATI SENSIBILI: AMMENDA DA 5.000 A 30.000 € (AUMENTABILI FINO AL TRIPLO) OMESSA ESIBIZIONE AL GARANTE DI DOCUMENTAZIONE DALLO STESSO RICHIESTA NELL’AMBITO DELL’ESERCIZIO DEL POTERE ISPETTIVO: AMMENDA DA 4.000 A 24.000 € QUALSIASI VIOLAZIONE (NON MEGLIO SPECIFICATA) DELLE DISPOSIZIONI SUL TRATTAMENTO DEI DATI: AMMENDA DA 5.000 A 30.000 € OMESSA ADOZIONE DELLE MISURE MINIME DI SICUREZZA: AMMENDA DA 10.000 A 50.000 €

SANZIONI PENALI VIOLAZIONE (CARATTERIZZATA DA DOLO SPECIFICO E CHE CREI UN DANNO PATRIMONIALE O MORALE) DELLE NORME SUL CONSENSO: RECLUSIONE DA 6 A 18 MESI VIOLAZIONE (CARATTERIZZATA DA DOLO SPECIFICO E CHE CREI UN DANNO PATRIMONIALE O MORALE) DELLE NORME RELATIVE AL TRATTAMENTO DI DATI SENSIBILI: RECLUSIONE DA 1 A 3 ANNI OMESSA ADOZIONE DELLE MISURE MINIME DI SICUREZZA: RECLUSIONE FINO A 2 ANNI

Il Codice disciplina anche una possibile forma di ravvedimento (art. 169 d.lgs 196/2003). In caso di contestazione dell’omessa adozione delle misure minime di sicurezza, è infatti data facoltà al trasgressore di adeguarsi alle prescrizioni impartite dal Garante nell’atto di accertamento, contestualmente provvedendo al pagamento ridotto della sanzione nella

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misura di ¼ del massimo irrogabile. Il ravvedimento così effettuato, comporta anche l’estinzione del reato penale.

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CAPITOLO DICIASETTESIMO La normativa regionale in materia di autorizzazioni sanitarie 1. Fonti normative Il Testo Unico delle leggi sanitarie (RD 1265 del 27 luglio 1934) all’art. 193 dispone: “Nessuno può aprire o mantenere in esercizio ambulatori,

case o istituti di cura medico-chirurgica o di assistenza ostetrica, gabinetti

di analisi per il pubblico senza speciale autorizzazione del prefetto, il quale

la concede dopo aver sentito il parere del consiglio provinciale della

sanità”. Stante il tenore letterale della norma, venivano conseguentemente esclusi dalla richiesta di autorizzazione gli studi professionali sanitari. La correttezza di tale impostazione veniva confermata dal Consiglio di Stato che con sentenza n. 728 del 12.10.1984 statuiva: “Nel sistema

dell’art. 193 del Testo Unico delle leggi sanitarie non sono sottoposte ad

autorizzazione tutte indistintamente le attività sanitarie espletate da

soggetti privati, ma solo quelle che danno luogo ad una certa

organizzazione di mezzi e di strutture del tipo indicato (ambulatori, case

di cura, gabinetti di analisi, ecc..)” Indicazioni in tal senso venivano anche dalla legge 833 del 23.12.1978, la quale – nell’ attribuire competenza alle Regioni in materia di autorizzazioni sanitarie – aveva finito col ritenere generalmente soggette ad autorizzazione le strutture ambulatoriali e per converso generalmente non soggetti ad autorizzazione gli studi professionali. L’elemento discriminate posto dalla citata legge per valutare la necessità o meno di acquisire l’autorizzazione sanitaria, consisteva nell’esistenza o meno di una struttura da intendersi come insieme organico di mezzi e persone ossia come complesso aziendale organizzato. Ne derivava che gli studi professionali basati sull’attività del singolo professionista non avevano l’esigenza di acquisire l’autorizzazione in commento. La situazione fin qui prospettata è stata successivamente esaminata da un

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differente punto di vista: a partire dal d.lgs 229/1999, si è iniziato a considerare l’esigenza della preventiva autorizzazione non già con esclusivo riferimento al tipo di struttura sanitaria, ma anche con riguardo al tipo di rischio a cui il paziente poteva essere esposto all’interno di quella struttura. Se ciò che diviene determinante ai fini dell’autorizzazione è quindi il “rischio” per l’incolumità del paziente, la distinzione tra ambulatorio e studio e la conseguente complessità organizzativa della struttura iniziano a perdere molta della rilevanza che avevano fin qui avuto. 2. Lo svolgimento di attività sanitarie “invasive” come elemento discriminante ai fini della necessità di acquisire l’autorizzazione sanitaria In linea generale possono erogare prestazioni sanitarie solo quelle strutture che soddisfano nella loro totalità una serie di requisiti minimi idonei a costituire un sistema di gestione articolato e complesso che si differenzia secondo le discipline diagnostiche e terapeutiche praticate. Considerata la complessità e vastità delle norme vigenti sulla materia, per lo più di rilevanza regionale, appare impossibile proporre una sintesi che sia indistintamente applicabile in tutto il territorio nazionale, ci si deve quindi limitare a delineare il quadro complessivo degli adempimenti che è necessario porre in essere in via generale quando si intende avviare una struttura sanitaria privata, facendo poi rinvio alla normativa regionale per la verifica delle singole peculiarità. Abbiamo già detto che il d.lgs 229/1999 ha profondamente mutato l’approccio alla questione del rilascio delle autorizzazioni sanitarie, mettendo in primo piano il rischio a cui il paziente può potenzialmente essere esposto all’interno della struttura e lasciando invece in secondo piano la complessità organizzativa della struttura stessa. Ne deriva che per individuare i requisiti strutturali di massima richiesti per l’esercizio di un’attività sanitaria, è necessario fare in premessa un distinguo tra le attività sanitarie che possano definirsi “invasive” e pertanto tali da mettere a rischio l’incolumità del paziente, e quelle che non rispondono invece a queste caratteristiche. Per l’esercizio delle attività sanitarie “invasive” è solitamente necessario ottenere dal Comune l’autorizzazione alla realizzazione della struttura e successivamente l’autorizzazione all’esercizio dell’attività sanitaria. Affinché queste autorizzazioni possano essere rilasciate, è preliminarmente necessario dotarsi di un immobile catastalmente censito

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come A/10, privo di barriere architettoniche e dotato di doppi servizi (uno – sempre privo di barriere architettoniche – per i pazienti, l’altro per il personale). L’impianto elettrico deve essere conforme alle previsioni di cui alla legge 46/90; l’approvvigionamento idrico e lo smaltimento delle acque reflue deve avvenire attraverso allacciamenti all’acquedotto civico e fognari in regola. Ma ancora, se la struttura sanitaria è ubicata in un ambito condominiale, è indispensabile verificare che il Regolamento dello stesso non preveda preclusioni all’esercizio di determinate attività. Diversamente, per l’esercizio delle attività sanitarie “non invasive”, solitamente non sono richiesti requisiti strutturali particolari, tant’è che molte professioni sanitarie possono essere esercitate senza prescrizioni di sorta anche presso il domicilio privato del professionista. Così è per lo psicologo e lo psicoterapeuta, ma anche per il medico di medicina generale, per il pediatra di libera scelta e gli esempi potrebbero moltiplicarsi all’infinito. In tutti questi casi, il professionista può esercitare la libera professione in un immobile qualunque senza che lo stesso debba essere necessariamente uno studio, potendo per l’appunto anche utilizzare promiscuamente l’immobile ove risiede come propria abitazione e come sede dello studio. La circostanza che l’attività svolta non metta a rischio l’incolumità del paziente fa sì che la stessa non sia subordinata al rilascio di specifiche autorizzazioni sanitarie e che si debba – semmai – semplicemente procedere alla sottoscrizione di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio da far pervenire all’ASL competente per territorio, nella quale si dichiari il tipo di attività svolta e l’ubicazione dei locali alla stessa destinati. 3. Conclusioni (tabella riassuntiva della normativa regionale vigente) Si può in conclusione dire che l’esistenza di una struttura complessa impone di per sé la richiesta della preventiva autorizzazione, ma questo non è l’unico elemento al quale si deve guardare per decidere se l’autorizzazione sia necessaria o meno, essendo elemento discriminante per valutare l’obbligo o meno che la struttura sia autorizzata anche l’aspetto sopra menzionato dell’incolumità del paziente. Al di là delle considerazioni di massima fin qui svolte con riferimento alla normativa nazionale esistente in materia, appare evidente che ciascuna

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struttura dovrà valutare l’esigenza o meno di procedere alla richiesta di autorizzazione in funzione della specifica normativa regionale di cui pertanto si fornisce di seguito elencazione in dettaglio.

REGIONE NORMATIVA

ABRUZZO LR 32 del 31.07.2007 “Norme generali in materia di autorizzazione, accreditamento istituzionale e accordi contrattuali delle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private”

BASILICATA LR 28 del 05.04.2000 “Norme in materia di autorizzazione delle strutture pubbliche e private” così come modificata ed integrata dalle seguenti leggi: LR 18 del 17.04.2001; LR 5 del 04.01.2002; LR 29 del 07.08.2003; LR 1 del 02.02.2004; LR 5 del 27.01.2005; LR 27 del 08.08.2005; LR 1 del 02.02.2006; LR 1 del 30.01.2007.

CALABRIA LR 11 del 19.03.2004 “Piano regionale per la salute 2004-2006”

CAMPANIA DGR 3958 del 07.08.2001, modificata ed integrata con le deliberazioni 7301 del 31.12.2001 e 518 del 07.02.2003

EMILIA ROMAGNA LR 34 del 12.10.1998 “Norme in materia di autorizzazione e accreditamento delle strutture sanitarie pubbliche e private” La normativa è stata revisionata negli anni 2004 – 2005, principalmente dalla DGR 327/2004 (nonché da diversi provvedimenti per ambito di attività).

FRIULI VENEZIA-GIULIA LR 49/1981, con applicazione dei requisiti minimi indicati dal DPR 14.01.1997. In seguito la Regione ha ridefinito, con DGR 1292 del 23.04.2002, la procedura per l'autorizzazione delle strutture sanitarie, unitamente ai corrispondenti requisiti minimi (compresi quelli per gli ambulatori chirurgici e gli studi odontoiatrici). DGR. 3586 del 30.12.2004

LAZIO LR 4 del 03.03.2003 “Norme in materia di autorizzazione alla realizzazione di strutture e all’esercizio di attività sanitarie e socio-sanitarie, di accreditamento istituzionale e di accordi contrattuali” DGR 424 del 14.07.2006

LIGURIA DGR 395 del 29.05.2002 LOMBARDIA LR 31 del 11.07.1997 “Norme per il riordino

del Servizio sanitario regionale” LR 11 04.08.2003 LR 8 del 02.04.2007 “Disposizioni in materia

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di attività sanitarie e socio – sanitarie” MARCHE LR 20 del 16.03.2000 “Disciplina in materia

di autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio, accreditamento istituzionale e accordi contrattuali delle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private” LR 12 del 23.02.2005 Regolamento Regionale 3 del 24.10.2006

MOLISE DGR 102 del 09.02.2007 e DGR 361 del 30.03.2007

PIEMONTE LR 53 del 29.12.1981 “Esercizio delle funzioni medico legali del servizio sanitario regionale” LR 5 del 14.01.1987 “Disciplina delle case di cura private” LR 40 del 03.07.1996 “Modifica alla LR 55 del 05.11.1987 – Requisiti minimi dei laboratori di analisi di cui al DPCM 10.02.1984 – norme per l’attività dei laboratori” LR 4 del 03.01.1997 “Regolamentazione dell’esercizio dell’attività libero-professionale dei medici veterinari dipendenti o dal servizio sanitario nazionale”

PUGLIA LR 8 del 28.05.2004, - Legge quadro sul sistema di autorizzazione ed accreditamento istituzionale Regolamento Regionale 3 del 13.01.2005, Regolamento Regionale 16 del 06.04.2005

SARDEGNA LR 10 del 28.10.2006 “Tutela della salute e riordino del Servizio sanitario della Sardegna. Abrogazione della LR 5 del 26.1.1995”

SICILIA LR 6/2001 TOSCANA LR 8 del 23.02.1999 “Norme in materia di

requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi delle strutture sanitarie: autorizzazione e procedura di accreditamento”, e successive modificazioni ed integrazioni apportate dalla LR 20 del 08.03.2000 e dalla LR 75 del 25.10.2000

PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO DGP 3403 del 30.12.2002, DGP 986 del 28.04.2003, DGP 1945 del 11.08.2003 e DGP 1644 del 05.08.2005

PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO DGP 1622 del 19.5.2003 “Approvazione dei requisiti minimi per l'autorizzazione ed ulteriori per l'accreditamento dei professionisti sanitari”

UMBRIA LR 3/1998 e Regolamento Reg. 2 del 25.02.2002 “Disciplina dell’autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio di strutture sanitarie e socio-sanitarie”.

VALLE D’AOSTA LR 5 del 25.01.2000 DGR 2013/2004

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VENETO LR 22 del 16.08.2002 “Autorizzazione e accreditamento delle strutture sanitarie e socio-sanitarie e sociali”, ed ha in seguito approvato le procedure per l’avvio del sistema, con una serie di provvedimenti .