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INDICE

1. OGGETTO E SCOPO DEL LAVORO..........................................................................................4

2. RICERCA BIBLIOGRAFICA PRELIMINARE................................................................................5

2.1 Metodologia di lavoro e fonte dei dati ............................................................................ 5

3. NORMATIVA DI RIFERIMENTO .............................................................................................7

3.1 Normativa nazionale ...................................................................................................... 7

3.2 Normativa regionale....................................................................................................... 8

3.3 Documenti pianificatori .................................................................................................. 9

4. CARTOGRAFIA DEL QUADRO CONOSCITIVO .......................................................................11

5. LINEAMENTI GEOGRAFICI E FISICO-GEOMORFOLOGICI.......................................................12

5.1 Geomorfologia della bassa pianura ............................................................................... 12

5.2 Il bacino idrogeologico della pianura Emiliano - Romagnola........................................... 14

5.3 Lineamenti geografici, geomorfologici, idrogeologici ed idrologici del territorio comunale

17

5.3.1 Tavola A19 – Carta degli elementi fisico-geomorfologici ..................................................................... 18

5.3.2 Tavola A20 – Carta dell’idrologia e piezometria................................................................................... 20

5.3.3 Tavola A23 – Carta delle criticità .......................................................................................................... 22

5.3.4 Tavola A15 – Carta dell’uso del suolo................................................................................................... 23

5.4 La matrice ambientale fisica nella definizione delle unità di paesaggio a rango comunale e

del relativo grado di vulnerabilità: metodologia di sintesi.................................................................. 24

5.5 Descrizione delle unità di paesaggio.............................................................................. 25

5.5.1 Paesaggi dei terrazzi dell’alta pianura .................................................................................................. 26

5.5.2 Paesaggi dell’alta pianura..................................................................................................................... 27

5.5.3 Paesaggi Fluviali – Torrente Quaresimo ............................................................................................... 29

6. INQUADRAMENTO GEOLOGICO STRUTTURALE ..................................................................30

6.1 Evoluzione del Bacino Padano....................................................................................... 33

6.2 Stratigrafia dei depositi Quaternari............................................................................... 35

6.3 Inquadramento geo-litologico del territorio comunale .................................................. 36

6.3.1 Tavola A18 – Carta della litologia superficiale...................................................................................... 37

7. CAMPAGNA DI INDAGINI GEOGNOSTICHE: DESCRIZIONE DELLE TECNICHE E DELLE

METODOLOGIE UTILIZZATE.......................................................................................................39

7.1 Prova penetrometrica statica meccanica (CPT, Cone Penetration Test)........................... 39

7.2 Elaborazione dei dati delle prove penetrometriche statiche meccaniche (CPT) ............... 42

7.3 Prova penetrometrica dinamica (DPSH-B) ..................................................................... 45

7.3.1 Procedura nazionale (AGI) ed internazionale (ISSMGE) di riferimento ................................................ 46

7.3.2 Caratteristiche tecniche della prova DPSH-B descritte dalla normativa EN ISO 22476-2: 2003........... 46

7.4 Elaborazione dei dati della prova penetrometica dinamica (DPSH-B) ............................. 47

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7.5 Tomografie elettriche di resistività (ERT, Eletrical Tomography Resistivity). ................... 49

7.6 Elaborazione dei dati della tomografie elettriche di resistività (ERT) .............................. 51

8. RELAZIONE SISMICA ..........................................................................................................52

8.1 Brevi cenni sulla riclassificazione sismica .............................................................. 52

8.2 Zona sismica................................................................................................................. 54

8.3 Categorie di sottosuolo................................................................................................. 55

8.4 Indagini geofisiche eseguite nel territorio comunale...................................................... 56

8.5 Modalità di classificazione della Categoria di Sottosuolo del terreno oggetto di studio e

del suo Vs30 mediante metodologia MASW: descrizione del metodo utilizzato ................................... 57

8.6 Stima della Frequenza di Risonanza (fr) del terreno oggetto di studio mediante l’utilizzo di

TROMINO Zero: descrizione del metodo utilizzato............................................................................. 60

8.7 Rischio sismico, carta degli effetti locali ........................................................................ 64

8.7.1 Effetti locali........................................................................................................................................... 64

BIBLIOGRAFIA ...................................................................................................................................................... 68

ALLEGATI.............................................................................................................................................................. 71

ALLEGATO 1: STUDIO SUL RISCHIO IDRAULICO NEL TERRITORIO COMUNALE DI BIBBIANO, APRILE 2009 A

CURA DELL’ING. RAFFAELE MONICA DELL’EX CONSORZIO DELLA BONIFICA BENTIVOGLIO-ENZA –

ALLEGATO 4.1 – RETE IDROGRAFICA GENERALE – Scala 1:25.000 ....................................................... 71

ALLEGATO 2: STUDIO SUL RISCHIO IDRAULICO NEL TERRITORIO COMUNALE DI BIBBIANO, APRILE 2009 A

CURA DELL’ING. RAFFAELE MONICA DELL’EX CONSORZIO DELLA BONIFICA BENTIVOGLIO-ENZA –

ALLEGATO 4.2 – TIPOLOGIA MORFOLOGICA – Scala 1:25.000............................................................. 72

ALLEGATO 3: STUDIO SUL RISCHIO IDRAULICO NEL TERRITORIO COMUNALE DI BIBBIANO, APRILE 2009 A

CURA DELL’ING. RAFFAELE MONICA DELL’EX CONSORZIO DELLA BONIFICA BENTIVOGLIO-ENZA –

ALLEGATO 10 – CARTA DEGLI ALLAGAMENTI DAL 2005 – Scala 1:25.000 ........................................... 73

CARTOGRAFIA ALLEGATA

TAV A15: USO REALE DEL SUOLO – scala 1:10.000

TAV A18: CARTA DELLA LITOLOGIA SUPERFICIALE – scala 1:10.000

TAV A19: CARTA DEGLI ELEMENTI FISICO-GEOMORFOLOGICI – scala 1:10.000

TAV A20: CARTA DELL’IDROLOGIA E PIEZOMETRIA – scala 1:10.000

TAV A21: RISCHIO SISMICO – CARTA DEGLI EFFETTI LOCALI – scala 1:10.000

TAV A22: CARTA CON UBICAZIONE DATI GEOGNOSTICI E GEOFISICI – scala 1:10.000

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A01 – RELAZIONE GEOLOGICA E

GEOMORFOLOGICA

Oggetto: PSC – Piano Strutturale Comunale

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1. OGGETTO E SCOPO DEL LAVORO

Su incarico dell'Amministrazione Comunale di Bibbiano è stato effettuato lo studio geologico e

geomorfologico (Quadro Conoscitivo) del territorio del comune al fine della stesura del nuovo Piano

Strutturale Comunale del Comune di Bibbiano in provincia di Reggio Emilia.

Gli obiettivi dello studio ambientale, relativo agli aspetti geologici, idrogeologici e idraulici, sono:

1. delineare il “Quadro conoscitivo” dell’ambito territoriale in studio, ai sensi della normativa urbanistica

vigente (Legge regionale n°20/2000) che deve compre ndere: “[...] in particolare, sia l’aspetto

descrittivo, sia l’aspetto valutativo e di bilancio dello stato e delle tendenze evolutive del territorio.” In

riferimento alla componente geologica, idrogeologica e idraulica devono essere trattati gli aspetti

fisici e morfologici naturali “[…] che caratterizzano, valorizzano e garantiscono la qualità del sistema

ambientale e costituiscono le risorse naturali relative alla disponibilità e alla qualità delle acque

sotterranee e superficiali e alle caratteristiche dei suoli, in rapporto alla loro permeabilità, al

fenomeno della subsidenza ed al degrado per erosione e dissesto [...]”. Esso deve comprendere poi

l’analisi delle “[...] parti del territorio interessate dai rischi per le opere e le attività umane,

determinate in particolare: da fenomeni di dissesto idrogeologico, di instabilità geologica e di

pericolosità idraulica o da valanghe; dal rischio sismico; dalla difficoltà di deflusso superficiale delle

acque meteoriche in rapporto alla efficienza delle infrastrutture e del reticolo di scolo e irrigazione di

pianura, alla capacità dei corpi ricettori e allo stato delle reti […]”. Tutto ciò premesso il lavoro svolto

ha cercato di delineare gli aspetti fisici e morfologici naturali dell’ambito territoriale in oggetto

sottolineandone i caratteri e valutandone le tendenze evolutive. Sono stati altresì acquisiti i dati e le

informazioni necessarie ad evidenziarne gli aspetti “critici”, per quanto attiene le opere e le attività

umane;

2. esprimere un giudizio relativo alla fattibilità geologica degli interventi di trasformazione territoriale per

una corretta pianificazione urbanistica.

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2. RICERCA BIBLIOGRAFICA PRELIMINARE

Lo studio si è avvalso del patrimonio di dati, notizie ed informazioni reperibili presso sedi istituzionali

pubbliche, riportati negli strumenti di pianificazione territoriale ai vari livelli, e private, illustrati nei documenti

redatti a scopo di ricerca e approfondimento scientifico.

In particolare riguardo agli strumenti di pianificazione ai vari livelli, si ricorda:

• strumenti di pianificazione di livello comunale – Piani Regolatori Generali (PRG) e Piani Comunali

delle Attività Estrattive (PAE);

• strumenti di pianificazione di livello provinciale – Piano Infraregionale delle Attività Estrattive (PIAE) e

Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP);

• strumenti di pianificazione di livello regionale – Piano Territoriale Regionale per il Risanamento e la

Tutela delle Acque, Stralcio per il comparto zootecnico della Provincia di Reggio Emilia;

• strumenti di pianificazione di livello nazionale – Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico (PAI).

Gli enti, sia pubblici che privati, che hanno prodotto studi di approfondimento e ricerca scientifica:

• Ufficio Geologico della Regione Emilia-Romagna - Carta del Rischio geo-ambientale e Carta

Inventario del Dissesto;

• Servizio Provinciale Difesa del suolo, Risorse Idriche e Forestali di Reggio Emilia - Ricerca storica

sulle frane nella Provincia di Reggio Emilia;

• Istituto Universitario di Modena e Reggio Emilia, Dipartimento Scienze della Terra - Studio della

pericolosità sismica delle Province di Modena e Reggio Emilia;

• Consorzio della Bonifica Bentivoglio-Enza Gualtieri – Studio sul rischio idraulico nel territorio

comunale di Bibbiano;

• Geologi liberi professionisti operanti nell’ambito territoriale in studio – Relazioni geologico-

geotecniche redatte da geologi liberi professionisti a corredo di interventi urbanistici o di altri

interventi.

2.1 Metodologia di lavoro e fonte dei dati

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I dati generali riguardanti i caratteri principali del territorio comunale provengono da lavori

bibliografici pubblicati, nonché da lavori propedeutici agli strumenti urbanistici adottati in precedenti periodi

dal presente Comune, quali le indagini geologiche eseguite per la relazione del vecchio P.R.G.

L'Amministrazione del Comune ha messo a disposizione i dati relativi ai pozzi domestici censiti

all'interno del territorio studiato, composti da ubicazione, stratigrafie, profondità raggiunta e quota

piezometrica.

Nella citata raccolta di pozzi domestici, alcune stratigrafie erano mancanti, altre redatte in modo

lacunoso o impreciso nell’uso dei termini.

Di conseguenza, di un totale di 442 pozzi, solo circa 120 sono stati giudicati attendibili e

rappresentativi sia dal punto di vista stratigrafico che della distribuzione areale.

Gli elementi da questi raccolti sono stati comunque un valido supporto di base per la redazione della

carta litologica.

Ulteriori dati per i detti scopi provengono da campagne di indagini in posto finalizzate a lottizzazioni o

simili, costituite in particolare da prove penetrometriche statiche meccaniche e dinamiche, prove sismiche

stratigrafiche, prove sismiche con elaborazione MASW, analisi del microtremore sismico con metodologia

TROMINO, tomografie elettriche di resistività, dalla bibliografia esistente in materia geologico-geotecnica

(cfr. Bibliografia) e dalla pratica professionale.

Al termine ogni carattere emerso dalle suddette fonti è stato verificato sul terreno con sopralluoghi

mirati e puntuali.

La campagna di indagini eseguita si avvale di (cfr. Tavola A22 tra gli Allegati):

• n°116 prove penetrometriche statiche meccaniche (CP T) di cui si parlerà nei paragrafi

successivi, l’ubicazione è riportata in Tavola A22 tra gli Allegati;

• n°23 prove penetrometriche dinamiche (DPSH-B) di cui si parlerà nei paragrafi successivi,

l’ubicazione è riportata in Tavola A22 tra gli Allegati;

• n°19 prove sismiche con valenza stratigrafica (SISM ) di cui si parlerà nei paragrafi successivi,

l’ubicazione è riportata in Tavola A22 tra gli Allegati;

• n°2 tomografie elettriche verticali (ERT) , di cui si parlerà nei paragrafi successivi e la cui

ubicazione è riportata in Tavola A22 tra gli Allegati;

• n°20 stendimenti sismici (MASW) di cui si parlerà nei paragrafi successivi, la cui ubicazione è

riportata in Tavola A22 tra gli Allegati;

• n°12 analisi del microtremore (TROMINO) di cui si parlerà nei paragrafi successivi, la cui

ubicazione è riportata in Tavola A22 tra gli Allegati;

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• osservazioni geologico-geomorfologiche, idrogeologi che, idrologiche superficiali e sulla

vulnerabilità dell’acquifero dell’area in oggetto e delle zone immediatamente circostanti (cfr.

Capitolo 5.3).

3. NORMATIVA DI RIFERIMENTO

Gli studi di carattere geologico e geotecnico su vasta area hanno, come riferimento, i seguenti

lineamenti normativi a livello nazionale e regionale.

3.1 Normativa nazionale

• D.M.LL.PP. 21 gennaio 1981, e D.M.LL.PP. 11 marzo 1 988, “Norme tecniche riguardanti le indagini

sui terreni e sulle rocce, la stabilità dei pendii naturali e delle scarpate, i criteri generali e le

prescrizioni per la progettazione, l’esecuzione e il collaudo delle opere di sostegno delle terre e delle

opere di fondazione”: esso al punto H (Fattibilità geotecnica di opere su grandi aree) indica il ruolo

delle analisi geologiche nell’elaborazione dei piani urbanistici e nel progetto di insiemi di manufatti

che interessano vaste superfici.

• C.M.LL.PP. 24 settembre 1988 n°30483, Legge 2 febbr aio 1974 n°64, Art.1, D.M. 1 marzo 1988.

Norme tecniche riguardanti le indagini sui terreni e sulle rocce, la stabilità dei pendii naturali e delle

scarpate, i criteri generali e le prescrizioni per la progettazione, l’esecuzione e il collaudo delle opere

di sostegno delle terre e delle opere di fondazione. Istruzioni per l’applicazione”; tale circolare,

sempre al punto H (Fattibilità geotecnica di opere su grandi aree) prescrive che lo studio geologico

definisca i lineamenti geomorfologici e la loro tendenza evolutiva, i caratteri stratigrafici e strutturali, il

grado di alterazione, la degradabilità e la fessurazione degli ammassi rocciosi, nonché lo schema

idrogeologico; lo studio geotecnico deve definire le proprietà fisico-meccaniche dei principali tipi di

terreni, la posizione e le caratteristiche delle eventuali falde idriche.

• O.P.C.M. 20 marzo 2003, n. 3274 “Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione

sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica”;

• D.M. 14 settembre 2005, “Norme tecniche per le costruzioni (testo base)”: introduce la

classificazione dei terreni sulla base delle onde di taglio (art. 3.2) e fornisce nuove indicazioni per la

progettazione geotecnica (art. 6);

• D.M. 14 gennaio 2008, “Approvazione delle nuove norme tecniche per le costruzioni”: normativa che

introduce l’utilizzo dei coefficienti di sicurezza parziali, rispettivamente definiti per le azioni, per i

parametri geotecnici e per le resistenze;

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• C.M.I.T. 02 febbraio 2009, n. 617, “Istruzioni per l’applicazione delle “Nuove norme tecniche per le

costruzioni” di cui al Decreto Ministeriale 14 gennaio 2008”: fornisce indicazioni sull’utilizzo del DM

14 gennaio 2008.

3.2 Normativa regionale

• C.R. 2 novembre 1972, n° 5555, indica per la relazione geologica i seguenti obiettivi principali:

a) definire le scelte di localizzazione compatibilmente alle potenzialità e alle vocazioni del territorio;

b) verificare puntualmente che gli interventi riguardino zone geologicamente idonee, che le variazioni

all’ambiente non costituiscano pericolo, e non arrechino danni alle risorse naturali e agricole;

c) elevare la qualità dei vincoli territoriali (vincolo idrogeologico, vincolo paesaggistico, etc.);

• L.R. 7 dicembre 1978, n°47, premesso che la pianificazione regionale e provinciale individua la

vocazione del territorio e che attraverso i vincoli definisce le localizzazioni degli interventi, la

pianificazione comunale (P.S.C., P.A.E.) puntualizza la localizzazione e dimostra la compatibilità fra

gli interventi e la vocazione del territorio; questa prospettiva, nell’ambito delle indagini geologiche di

vasta area, presuppone la realizzazione di un’indagine generale di prima approssimazione;

• L.R. n°23 del 1980, che con l'Art. 48 punto 6 rende obbligatoria la relazione geologica a corredo del

P.S.C., e con gli Artt. 13 e 33 riqualifica i contenuti dell’indagine geologica;

• C.R. n° 1288 del 11 febbraio 1983, oltre che riprendere quanto definito nella normativa emanata

precedentemente, specifica le caratteristiche salienti delle indagini geologiche, quali:

a) la necessità dell’approfondimento delle indagini di carattere geologico nelle aree d’intervento

urbanistico, per mezzo d’indagini geotecniche o geofisiche;

b) l’analisi specifica per individuare i fattori e le possibili cause di alterazione dell’equilibrio

idrogeologico; per le zone di pianura vengono sottolineati gli aspetti idrogeologico, morfologico,

geotecnico e per le aree di collina i caratteri geolitologici e geomorfologici;

c) il raggiungimento dell’approfondimento tecnico sufficiente a stabilire l’edificabilità di massima delle

aree inserite (fermi restando gli obblighi derivanti dal D.M. del 21/01/1981, e dal D.M.LL.PP.

11/03/1988, per i singoli progetti);

• L.R. n° 20 del 24 marzo 2000, (modificata e integrata ai sensi della L.R. n°34 d el 16 novembre

2000), “Disciplina generale sulla tutela e l’uso del territorio” e Delibera C.R. n°173 del 04/04/2001 ,

“Atto di indirizzo e coordinamento tecnico per l’attuazione della L.R. 24 marzo 2000, n°20 . Contenuti

conoscitivi e valutativi dei piani e conferenza di pianificazione”. La Regione Emilia Romagna con tale

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legge e con la successiva deliberazione, nella quale vengono precisati gli indirizzi per l’attuazione

della stessa, disciplina la tutela e l’uso del territorio al fine di: realizzare un efficace ed efficiente

sistema di programmazione e pianificazione territoriale al servizio dello sviluppo economico e

sociale, e del miglioramento della qualità della vita della popolazione civile; promuovere un uso

appropriato delle risorse ambientali, naturali e territoriali. Le principali innovazioni introdotte da tali

legge sono di due ordini: il primo elemento di innovazione stabilisce la necessità di un equilibrato

rapporto tra lo sviluppo e la salvaguardia del territorio, espressa con la nozione di sostenibilità

territoriale e ambientale dei piani. Il processo di pianificazione deve muovere da un’approfondita

conoscenza del territorio, attraverso un’attività conoscitiva e valutativa i cui esiti devono essere

illustrati in appositi elaborati tecnici rispettivamente il “quadro conoscitivo” e la “valutazione

preventiva della sostenibilità ambientale e territoriale (VALSAT)”, che rappresentano elementi

costitutivi del piano approvato. Il secondo ordine di innovazioni del processo pianificatorio attiene

all’imprescindibilità di un’attività di concertazione tra gli enti territoriali, le amministrazioni preposte

alla cura degli interessi pubblici e le associazioni economiche e sociali sin dall’avvio

dell’elaborazione dei piani.

• D.G.R. 24 ottobre 2005, n. 1677, “Prime indicazioni applicative in merito al Decreto Ministeriale 14

settembre 2005 recante norme tecniche per le costruzioni”: fornisce prime indicazioni applicative

della Regione Emilia-Romagna in merito al DM 14 settembre 2005;

• D.G.R. 13 febbraio 2006, n. 167, “Aggiornamento dell’elenco della perimetrazione delle aree della

Regione Emilia-Romagna designate come Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e come Zone di

Protezione Speciale (ZPS) ai sensi delle direttive 92/43/CEE e 79/409/CEE”: fornisce un elenco

specifico con la relativa perimetrazione delle aree definite SIC e ZPS vincolate;

• D.A.L.R. 02 maggio 2007, n. 112, “Disciplina generale sulla tutela e l’uso del territorio in merito ad

indirizzi per gli studi di microzonazione sismica in Emilia-Romagna per la pianificazione territoriale

ed urbanistica”;

• L.R. 30 ottobre 2008, n. 19, “Norme per la riduzione del rischio sismico”.

3.3 Documenti pianificatori

Per quanto riguarda la pianificazione territoriale alla scala sovraregionale , ai fini del presente studio

e per l’area in esame, i documenti pianificatori di interesse sono:

• Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico (PAI): (ai sensi della Legge 18 maggio 1989, n. 183,

art.17, comma 6-ter) adottato con deliberazione del Comitato istituzionale 26 aprile 2001, n. 18 e

approvato con D.P.C.M. 24 maggio 2001. Esso ha scopo di assicurare, attraverso la

programmazione di opere strutturali, vincoli e direttive, la difesa del suolo rispetto al dissesto di

natura idraulica e la tutela degli aspetti ambientali ad esso connessi. Le fasce fluviali, individuate dal

PAI con apposito segno grafico, sono classificate come segue:

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1 - Fascia di deflusso della piena (fascia A), è definita come la porzione di alveo che è sede

prevalente delle acque costituenti la piena di riferimento oppure l’insieme delle forme fluviali

riattivabili in seguito ad un evento di piena;

2 - Fascia di esondazione (fascia B), è esterna alla precedente ed è individuata dalla porzione di

territorio interessata da inondazione al verificarsi della piena di riferimento;

3 - Area di inondazione per piena catastrofica (fascia C), è la porzione di territorio esterna alla

precedente che può essere interessata da inondazione al verificarsi di episodi di piena più

gravosi di quella di riferimento.

Per quanto riguarda la pianificazione territoriale alla scala provinciale , ai fini del presente studio e

per l’area in esame, i documenti pianificatori di interesse sono:

• Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PT CP): approvato con Delibera del Consiglio

Provinciale 17 giugno 2010, n. 124.

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4. CARTOGRAFIA DEL QUADRO CONOSCITIVO

Gli elaborati cartografici realizzati in questa prima fase di quadro conoscitivo, sono i seguenti:

• TAV A15: USO REALE DEL SUOLO – scala 1: 10.000

• TAV A18: CARTA DELLA LITOLOGIA SUPERFICIALE – scala 1:10.000

• TAV A19: CARTA DEGLI ELEMENTI FISICO-GEOMORFOLOGICI – scala 1:10.000

• TAV A20: CARTA DELL’IDROLOGIA E PIEZOMETRIA – scala 1:10.000

• TAV A21: RISCHIO SISMICO – CARTA DEGLI EFFETTI LOCALI – scala 1:10.000

• TAV A22: CARTA CON UBICAZIONE DATI GEOGNOSTICI E GEOFISICI – scala 1:10.000

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5. LINEAMENTI GEOGRAFICI E FISICO-GEOMORFOLO GICI

5.1 Geomorfologia della bassa pianura

Risulta difficile a chi percorra la pianura lungo la Via Emilia o l’Autostrada del Sole riconoscere le

piatte conoidi dei corsi d’acqua che escono dal rilievo appenninico, le quali si saldano dolcemente le une alle

altre in maniera caratteristica a formare la “bassa pianura alluvionale”. È pure poco evidente che gli alvei di

questi corsi d’acqua sono quasi tutti pensili ancor prima di giungere alla Via Emilia; lo stesso F.Po è già

sopraelevato sulla pianura all’altezza della città di Piacenza. Questo aspetto è stato determinato da eventi

naturali ed è secondo ogni evidenza imputabile ad un eccesso di sedimentazione in un’area soggetta a

subsidenza.

La forma delle conoidi, sulle quali emergono le aste fluviali, è caratterizzata da differenze di quota

estremamente esigue ma determinanti per l’evoluzione del territorio. Le conoidi dei fiumi e torrenti

appenninici, hanno una superficie a forma di “becco d’anatra”; la sua leggera convessità, maggiormente

marcata in corrispondenza dell’alveo fluviale, sottolinea la sopraelevazione dell’alveo rispetto alla pianura

circostante.

Queste conoidi sono costituite da sedimenti di età relativamente recenti; infatti, lo spessore più

superficiale dei depositi alluvionali che costituiscono la pianura è attribuibile all’Olocene.

Nell’evoluzione della pianura in epoca storica e in particolare nell’evoluzione della rete idrografica è

difficile distinguere quanto incida l’intervento umano e quanto il naturale processo geologico. L’opera

dell’uomo sulla rete idrografica naturale può essere stata localmente determinante e non sempre l’intervento

è databile; le opere di canalizzazione sono poi estremamente diffuse su tutto il territorio e da particellari

divengono via via più importanti fino ai grandi canali colatori che convogliano le acque di drenaggio e di

scolo nella rete naturale.

Sono dunque due i fattori che condizionano l’evoluzione delle pianure oloceniche: il fattore naturale

(evoluzione tettonica e sedimentaria, con le variazioni di drenaggio ad esse conseguenti) ed il fattore

antropico (il lavoro delle comunità umane per rendere il drenaggio compatibile con le esigenze

dell’agricoltura e dell’insediamento).

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In Val Padana, dove le pratiche agricole sono in atto senza sostanziali interruzioni da circa 6.000

anni, il fattore antropico acquista un rilievo particolare ed agisce in rapporto di mutuo condizionamento con il

fattore naturale a determinare l’aspetto della pianura.

Il tessuto idrografico, in specie quello minore, direttamente determinato dalla parcellazione agraria, è

la risultante delle varie vicende che nel tempo e nello spazio hanno portato alla formazione della pianura:

l’analisi di detto reticolo permette di discernere tali vicende e, con l’ausilio di dati storici ed archeologici, di

datarle.

In letteratura è possibile ritrovare una classificazione della rete di drenaggio superficiale descritta da

Cremaschi, (1978) secondo la quale si possono distinguere tre tipi di drenaggi prevalenti:

• drenaggio libero : si tratta di corsi d’acqua ad andamento non incanalato né rettificato, sono

frequenti andamenti sinuosi che tagliano il regolare mosaico della parcellazione agraria;

• drenaggio di antica sistemazione agraria : è caratterizzato da maglie con segmenti principali

orientati nord/nord-est - sud/sud-ovest e segmenti minori ortogonali, esso ricalca, a grandi linee,

l’orientamento della centuriazione romana; si trova principalmente nelle aree stabili (cioè non

esondabili), sui dossi wurmiani e sui terreni dell’Olocene antico;

• drenaggio di recente sistemazione agraria : è caratterizzato da una densa rete di canali a maglie

strette, aventi in genere la stessa orientazione del drenaggio di antica sistemazione agraria, ma con

miglior conservazione; in vicinanza dei corsi d’acqua segue talora l’orientazione di questi; tale

drenaggio è caratteristico delle aree bonificate dal XV al XIX secolo (CREMASCHI M., 1980).

Tuttavia, se l’antropizzazione anche in passato è stata intensa, sono sempre i fattori geologico-

climatici quelli che hanno condizionato e condizioneranno in maniera sostanziale il tracciato del reticolo

idrografico e che ne determineranno l’evoluzione futura.

Nell’area in oggetto, l’evoluzione prevalente dei corsi d’acqua consiste in fenomeni di

sedimentazione che vengono accompagnati da una costante subsidenza del bacino quantificabile in circa 1

millimetro all’anno.

La costante subsidenza e il continuo apporto sedimentario fluviale hanno collaborato alla

sovrapposizione dei depositi, di natura terrigena, che oggi costituiscono il substrato della Pianura Padana.

Questo processo era governato, un tempo, dalle costanti e regolari tracimazioni dei corsi d’acqua che, grazie

al loro apporto di sedimenti, hanno permesso di colmare la pianura. Le acque uscendo dagli alvei

depositavano i materiali prevalentemente sabbiosi nelle immediate vicinanze, contribuendo così alla

costruzione degli argini naturali, e più fini (limi ed argille) nelle aree distali (piane interfluviali) dove l’energia

del flusso, e quindi la capacità di trasporto, diminuiva progressivamente.

Questo meccanismo naturale è stato interrotto dall’uomo, che, per poter creare un ambiente stabile

per i propri insediamenti e per le attività agricole, ha costretto i fiumi padani entro argini artificiali.

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Il processo di esondazione da parte dei corsi d’acqua appenninici può essere visto come

conseguenza della tettonica recente ed in atto che ha guidato e guida tuttora i processi di sedimentazione

dei corsi d’acqua e condiziona l’aspetto morfologico della pianura; si tratta di movimenti essenzialmente

areali, verticali, complessi, differenziati fra strutture sinclinaliche ed anticlinaliche sepolte che testimoniano il

sollevamento continuo delle strutture appenniniche (PAPANI G. & SGAVETTI M., 1975).

5.2 Il bacino idrogeologico della pianura Emiliano - Romagnola

Il “materasso alluvionale” depositatosi sui sedimenti marini che costituisce la Pianura Emiliano -

Romagnola, risulta essere formato dalla saldatura delle conoidi dei corsi d’acqua appenninici che hanno

sovente cambiato percorso con spostamento dell’alveo anche di molti chilometri, fino a far interferire le

alluvioni di un corso d’acqua con quelle di un altro in una stessa zona (PETRUCCI F. et alii, 1975) (Figura 1). È

quindi ormai noto che, per le profondità studiate, la media pianura parmense è stata costruita dall’attività dei

fiumi appenninici, rappresentata da processi di migrazione laterale, eventi di avulsione e ripetuti episodi di

alluvionamento delle piane adiacenti. Gli antenati degli attuali fiumi del parmense risultano quindi i veri

protagonisti della storia geologica locale, una storia in cui i singoli corsi d’acqua hanno avuto importanza

diversa tra loro (VALLONI R. & BAIO M., 2003).

I depositi fluviali a conoide presentano il vertice in corrispondenza degli sbocchi delle valli torrentizie

e si allargano a ventaglio verso la pianura con una sedimentazione eterogenea, a forma lenticolare, variabile

dalle ghiaie alle argille.

Figura 1 - Sistema idrogeologico plurifalda tipico dell’alta (a) e della

medio-bassa (b) pianura alluvionale della provincia di Parma.

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L’architettura degli ambienti sedimentari sviluppati nel Pleistocene superiore - Olocene è quindi

illustrata dalle relazioni spaziali fra corpi di:

• ghiaie e sabbie deposte in ambiente di canale fluviale;

• sabbie e limi deposti in ambiente di canale, argine e dosso fluviale;

• limi e argille deposti in ambiente di piana alluvionale;

• argille e vegetali deposti in ambiente alluvionale con acque subaffioranti o stagnanti.

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Nel sottosuolo della pianura e sul Margine Appenninico Padano sono stati riconosciuti tre Gruppi

Acquiferi separati da barriere di permeabilità di estensione regionale, informalmente denominati Gruppo

Acquifero A, B e C a partire dal piano campagna (RER - ENI - AGIP, 1998).

Il Gruppo Acquifero A è attualmente sfruttato in modo intensivo, il Gruppo Acquifero B è sfruttato

solo localmente, il Gruppo Acquifero C, isolato rispetto alla superficie per gran parte della sua estensione, è

raramente sfruttato.

L’architettura interna e le caratteristiche petrofisiche delle Unità Idrostratigrafiche descritte sono il

risultato della storia tettonica e deposizionale del bacino sedimentario. I meccanismi naturali che controllano

questo processo sono due:

1. alternanze di fasi di sollevamento tettonico con fasi di subsidenza regionale;

2. oscillazioni climatico-eustatiche ad alta frequenza.

Nel Bacino Idrogeologico della Pianura Emiliano - Romagnola il limite tra acqua dolce e salmastra

definisce la base degli acquiferi utili per uso idropotabile e agricolo-industriale. La profondità di tale limite è

nota in corrispondenza di alcuni pozzi per acqua particolarmente profondi e dei pozzi pubblicati dall’AGIP sui

volumi “Acque dolci sotterranee” (1972 - 1994); in questi ultimi il limite tra acqua dolce e salmastra è stato

posto convenzionalmente in corrispondenza del valore di 10 ohm*m dei log di resistività, equivalente ad una

conducibilità di 1000 mS/cm.

Per Unità Idrostratigrafica si intende la formazione, o la parte di una formazione oppure un gruppo di

formazioni con caratteristiche idrologiche omogenee o distribuite in modo da permettere una suddivisione

interna in acquiferi e barriere di permeabilità associate (DOMENICO P.A. & SCHWARTZ F.W., 1990). Secondo

tale definizione, l’Unità Idrostratigrafica può essere considerata come sinonimo di Formazione Idrogeologica

o Unità Idrogeologica.

Attualmente le conoscenze idrogeologiche del Bacino della Pianura Emiliano - Romagnola sono

raccolte nella pubblicazione “Riserve idriche sotterranee della Regione Emilia - Romagna” (1998) a cura di

Di Dio a cui si fa riferimento per la parte teorica introduttiva.

In tali studi si definisce Unità Idrostratigrafico - Sequenziale (UIS) una particolare sottoclasse di Unità

Idrostratigrafiche (MAXEY G.B., 1964) i cui componenti presentano le seguenti caratteristiche:

Figura 2 – Sezione sedimentologica sul tracciato alta velocità della media

pianura parmense: ambienti sedimentari e corsi d’acqua responsabili del

trasporto sedimentario (VALLONI R. & BAIO M., 2003).

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• sono costituiti da una o più Sequenze Deposizionali;

• sono comprensivi di un livello geologico basale, scarsamente permeabile (acquitardo) o

impermeabile (acquicludo), arealmente continuo (la continuità areale va intesa in senso geologico e

non letterale).

Dalla prima caratteristica consegue che un’UIS è un corpo geologico complesso, formato da gruppi

di strati con geometrie e caratteri petrofisici variabili ma legati geneticamente, cioè deposti in ambienti

sedimentari contigui ed in continuità di sedimentazione; questo comporta che le superfici di strato possano

toccare ma non intersecare i limiti di un’UIS. Dal momento che, se si escludono le aree di ricarica diretta,

negli acquiferi regionali i flussi idrici avvengono con componente parallela alle superfici di strato molto

maggiore di quella ortogonale, si può concludere che tali flussi sono necessariamente confinati all’interno

della medesima UIS.

Dalla seconda caratteristica consegue che ogni UIS può essere considerata idraulicamente isolata

da quelle adiacenti, sicchè il livello piezometrico misurato in un acquifero appartenente ad una determinata

UIS è di norma indipendente dai livelli piezometrici misurati, sulla stessa verticale, in acquiferi contenuti in

altre UIS.

Come brevemente descritto in precedenza, ogni Unità Idrostratigrafica è costituita da un corpo e un

tetto composto da sedimenti non coesivi, essenzialmente ghiaioso-sabbiosi prodotti nella fase deposizionale

di alta energia, e da una base prevalentemente fine che costituisce una barriera di permeabilità regionale

prodotta nella fase deposizionale di bassa energia (disattivazione) dei sistemi sedimentari, che

generalmente prende campo, per motivi climatici, nell’intervallo tra la fine della risalita eustatica e l’inizio

della caduta successiva; essa corrisponde all’intervallo tra il tardo “Trasgressive Systems Tract” e il tardo

“Highstand Systems Tract” (POSAMENTIER H.W. & VAIL P.R., 1988).

In sintesi l’individuazione di Unità Idrostratigrafiche, in particolare di Unità Idrostratigrafiche -

Sequenziali, comporta il notevole vantaggio pratico di poter studiare l’idrodinamica sotterranea locale (aree

di decine di km2) considerando ciascuna unità idraulicamente isolata dalle altre.

Come accennato all’inizio del capitolo, il quadro stratigrafico della Pianura Emiliano-Romagnola è

composto da tre Unità Idrostratigrafiche - Sequenziali, informalmente denominate Gruppo Acquifero A, B e C

a loro volta suddivise in tredici UIS, gerarchicamente inferiori, denominate Complessi Acquiferi (cfr. Figura

2). La differenza gerarchica si basa essenzialmente sullo spessore, sulla continuità ed estensione areale del

livello acquitardo o impermeabile di ciascuna unità.

5.3 Lineamenti geografici, geomorfologici, idrogeolo gici ed idrologici del territorio

comunale

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Il Comune di Bibbiano si sviluppa ai piedi della collina, in un territorio estremamente caratteristico

soprattutto per la particolare morfologia data dai terrazzi paleofluviali. L’estensione complessiva del territorio

comunale è di 28,05 Km2, rappresentata totalmente da alta pianura.

I due corsi d’acqua principali della zona, il T.Enza ed il T.Quaresimo, scorrono all’esterno del

territorio comunale, il primo parallelo al suo limite occidentale e a una distanza di poco più di 1,5 Km, il

secondo a S e SW, ove per un breve tratto costituisce il limite amministrativo con i territori dei comuni di

Quattro Castella e di Reggio Emilia.

I comuni limitrofi a quello di Bibbiano, oltre ai citati, sono il comune di S.Polo d’Enza a SW, di

Montecchio Emilia a NW, di Cavriago a NE.

Il confine amministrativo sudoccidentale con il comune di S.Polo d’Enza è dato dal corso del Rio di

Monte e da strade comunali, quello nordoccidentale con il comune di Montecchio Emilia è in corrispondenza

di due canali, il Canaletto e lo Scolo Bandirola, una volta denominato Fossaccia, e di suddivisioni poderali.

La parte terminale dello stretto lembo di territorio comunale all'estremo N, delimitata dallo Scolo

Bandirola e dal canale S.Giacomo, confina con il comune di Reggio Emilia.

Ancora il Canale S.Giacomo, per un breve tratto il Canale Demaniale, strade comunali e

interpoderali, suddivisioni poderali rappresentano il tormentato limite territoriale con il comune di Cavriago.

All’altezza del ripiano terrazzato del Ghiardo, prima la strada provinciale n. 72 Codemondo-Quattro

Castella, poi suddivisioni poderali e infine il citato T.Quaresimo rappresentano i limiti ancora con il territorio

del comune di Reggio Emilia. Infine a SE ancora il T.Quaresimo e le strade sono il limite amministrativo con

il territorio del comune di Quattro Castella.

5.3.1 Tavola A19 – Carta degli elementi fisico-geomorfologici

La Tavola A19 – Carta degli elementi fisico-geomorfologici presente negli Allegati, contiene:

• dossi fluviali (retino di colore giallo ocra);

• tracce dei paleoalvei con relativa direzione (linea tratteggiata di colore blu);

• centri abitati (retino a tratto inclinato di colore rosso);

• aree a deflusso difficoltoso (retino a tratto inclinato di colore verde chiaro);

• unità di paesaggio (descritte nel capitolo 5.4 e 5.5).

La caratteristica saliente del territorio comunale è data dalla presenza di alti terrazzi molto estesi e

debolmente inclinati verso N che rappresentano antichi paleoalvei e da dossi fluviali orientati nel medesimo

verso.

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I paleoalvei, corrispondono ai terrazzi principali che sono quelli di Bibbiano e Barco nella parte

centrale e quello del Ghiardo in quella orientale del comune. Sono incisi da modesti corsi d’acqua attuali

come il Rio Enzola, il Rio del Ghiardo e il T.Quaresimo. I dossi fluviali, generalmente si intervallano in modo

sistematico con i menzionati terrazzi costituendo la tipica morfologia a larghi gradoni che contraddistingue i

tratti di alta pianura Appenninica. Nel caso in questione, alla base della scarpata del terrazzo di Bibbiano –

Barco, si estende un ampio dosso fluviale che ha origine in Via Ludovico Ariosto, poco più ad ovest della

piazza, in corrispondenza del centro storico del comune e si stende all’incirca parallelamente alla linea

ferroviaria Reggio – Ciano fino al confine sud-ovest in corrispondenza dell’abitato di Piazzola. Prosegue poi

la sua direzione, mantenendo per tutto il tratto una larghezza di circa 200-250 m, entrando nel territorio

comunale di San Polo d’Enza.

Si ritiene pertanto che i vasti terrazzi pleistocenici che interessano il comune di Bibbiano siano opera

dell'Enza quando scorreva nel vecchio alveo orientale.

L’intero territorio comunale si estende, infatti, sull’apice meridionale della conoide dell’Enza, la quale

ha acquisito l'attuale aspetto in seguito a processi di erosione e di deposito ai quali si è accennato in

precedenza. I terrazzi di Bibbiano e Barco e quelli del Ghiardo rappresentano il residuo morfologico delle

deiezioni più antiche; per tale ragione sono costituiti da litologie limoso-argillose superficiali che in profondità

passano a livelli ghiaiosi rubefatti, a testimonianza dell’antica origine di queste depositi ormai costituiti da

clasti ossidati e con evidenti fratture permeate da sali di manganese. In taluni casi si ritrovano livelli

cementati a causa dell’abbondante presenza di carbonati nelle falde superficiali. La forte alterazione delle

ghiaie, conferisce alle stesse un colore bruno-giallastro o marrone, per sottolineare gli intensi processi di

pedogenesi a cui essi sono sottoposti. I suoli prevalentemente costituiti da limi-argillosi, presentano scarsi e

sporadici livelli di humus che tende a prevalere nelle poche aree boschive rimaste o nelle pertinenze dei rii e

canali che presentano abbondante vegetazione.

Nel territorio comunale i terreni a bosco sono ridottissimi, limitati a piccole emergenze nel settore

orientale su ripide pendici rivierasche di incisioni fluviali di tributari del T.Quaresimo.

La fascia dei terrazzi, dal punto di vista vegetazionale, è inserita nel "climax" del querceto a

roverella, nel suo margine inferiore e sovrastante il querco-carpineto della pianura.

La ragione principale della scarsità di bosco nel territorio di Bibbiano è dovuta al fatto che questo è

situato in quella fascia di alta pianura interessata da quelle manifestazioni a morfologia caratteristica dolce e

piatta che sono i terrazzi pleistocenici. In questo substrato, geologicamente giovane e praticamente privo di

impedimenti, l’uomo si è insediato da lunghissimo tempo, al sicuro dalle inondazioni e dalle paludi della

pianura, e ha esercitato la sua attività agricola. A tutt’oggi essa viene ancora attivamente praticata, in lotta

con la scarsità d’acqua. La coltivazione prevalente è data da foraggere in normale rotazione con cereali.

Discretamente diffuse sono le coltivazioni specializzate, soprattutto i vigneti. Le attività agricole sono

accompagnate da insediamenti per l’allevamento di bovini e, in misura minore, di suini.

Nei due sistemi terrazzati citati sono molto evidenti le scarpate occidentali, entrambe disposte in

direzione SSW-NNE. Quella di Bibbiano e Barco, al cui piede è posta la linea ferroviaria Reggio Emilia-

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Ciano d’Enza, ha altezze modeste, comprese tra i 5 e i 7 metri, mentre quella del Ghiardo, fortemente incisa

dal rio omonimo, raggiunge altezze di oltre 25 metri.

I terreni morfologicamente più bassi a occidente dell'allineamento Bibbiano-Barco, in particolare la

fascia compresa tra Barco e Madonna di Montecchio, sono la sede del più ampio e ben riconoscibile

paleoalveo del T.Enza, assieme a quello di Praticello.

La quota del punto più elevato del territorio comunale (167 m s.l.m.) corrisponde a quello più

meridionale. Esso è posto sulla strada provinciale pedemontana n. 23 a fianco del Rio Montebellone, in

prossimità del monastero di Montefalcone. Il punto più basso e più settentrionale è posto all’estremità della

stretta propaggine incuneata nel territorio del comune di Reggio Emilia poco sopra la Via Emilia, delimitata

dai canali Scolo di Bandirola e S.Giacomo, in una località denominata la Becca, a quota 57 m s.l.m. della

zona sono il T.Enza e il T.Quaresimo.

Negli anni settanta, nel territorio del comune di Bibbiano sono stati estratti limi di copertura in due

posizioni sui terrazzi rissiani. Questi limi venivano utilizzati in miscela con le argille grigio azzurre del

Pliocene estratte in una cava nei calanchi di Quattro Castella per rifornire di materia prima la fornace per

laterizi sempre di Quattro Castella. In questo modo il materiale miscelato, grazie alla maggior porosità dei

limi che ne vengono a costituire lo scheletro, raggiungeva le caratteristiche fisiche e chimiche idonee ad un

prodotto di fornace. I limi venivano estratti in una cava posta ove ora corre la strada Bibbiano - Quattro

Castella, a cavallo del limite amministrativo tra i due comuni. Più recentemente l’estrazione dei limi argillosi

era stata spostata in una zona posta a E della strada provinciale Codemondo-Quattro Castella, tra le località

Ghiardo e Mangalana. Una terza area, anch’essa probabilmente destinata all’estrazione di limi, corre

parallelamente alla ferrovia Reggio Ciano nella parte O del comune di Bibbiano.

In tutte le cave la coltivazione ha interessato mediamente lo spessore di circa due metri, in

superficie, con punte massime fino a tre metri laddove il livello di limo argilloso di colore giallastro era

maggiore. Le cave presso Bibbiano sono state abbandonate con livello leggermente ribassato rispetto al

piano campagna, mentre quella presso il Ghiardo è stata ricondotta a piano campagna iniziale. Per questo

motivo, tutte le aree ribassate, vengono classificate, come aree a deflusso difficoltoso.

Nel territorio comunale, infine, non mancano le attività industriali e artigianali, concentrate soprattutto

nei pressi dei tre centri abitati più importanti, vale a Bibbiano nel settore Sud, a Barco e al Ghiardo.

5.3.2 Tavola A20 – Carta dell’idrologia e piezometria

La Tavola A20 – Carta dell’idrologia e piezometria presente negli Allegati, contiene:

• posizione e direzione dei corsi d’acqua principali (la rete idrografica principale a cielo aperto è

evidenziata con linee continue di colore azzurro, mentre la rete idrografica principale tombata è

evidenziata con linee tratteggiate di colore rosso). Le informazioni presenti in questa tavola, sono

state ricavate ed integrate dal connubio di numerosi studi idrogeologici e da dati di pozzi esistenti, ed

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in particolare dallo “Studio sul Rischio Idraulico nel Territorio Comunale di Bibbiano” eseguito

dall’Ing. Raffaele Monica dell’ex Consorzio Bonifica Bentivoglio Enza nell’Aprile 2009 (lo studio in

oggetto viene allegato integralmente al presente lavoro sotto forma di documento digitale);

• direzione della falda sotterranea con relativa altezza in m s.l.m. (linee di colore blu scuro);

• ubicazione dei pozzi utilizzati per l’individuazione della piezometria e della litologia superficiale

(cerchi di colore azzurro);

• ubicazione pozzi IREN con relative aree di rispetto;

• aree a deflusso difficoltoso (retino a tratto inclinato di colore violetto).

Per quanto riguarda i corsi d’acqua si distinguono quelli naturali dalle canalizzazioni realizzate

dall’uomo a scopo principalmente irriguo. I corsi d’acqua naturali si sviluppano principalmente nel settore

orientale del territorio comunale, che rappresenta la fascia terrazzata più elevata, con direzione prevalente

da SW verso NE.

Come si è detto in precedenza, i corsi d'acqua principali della zona sono il T.Enza e il T.Quaresimo,

ma procedendo da W ad E si trovano, sebbene con minore importanza, il Rio di Monte che verso valle

diviene il Rio di Montalcone, il Rio Montebellone, il Rio Enzola, il Canale Varana e il Rio del Ghiardo che più

a valle diventa il Rio Costa. Il settore occidentale è interessato, per contro, da una serie di canalizzazioni che

attingono dal T.Enza quali il Canale di Bibbiano, il Canaletto, il Canale Demaniale, lo Scolo Bandirola e il

Canale S. Giacomo.

Nonostante la stretta vicinanza con il T.Enza, il territorio comunale è completamente contenuto

all’interno del bacino idrografico del T.Crostolo, come dimostrato dallo Studio sul rischio idraulico nel

territorio comunale di Bibbiano prodotto dall’Ing. Monica del Consorzio della Bonifica Bentivoglio-Enza

Gualtieri (cfr. Figura 3)

Figura 3 – Bacini idrografici principali del Comune di Bibbiano (ING. MONICA, 2009).

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La presenza di numerosi canali nella zona occidentale del Comune e l’assenza di questi nei ripiani

terrazzati orientali fanno si che i pochi laghetti irrigui siano concentrati in quest’ultima parte di territorio,

insediamento agevolato anche dalla presenza in superficie di coperture argilloso limose notoriamente

impermeabili.

Sulla base dello schema geologico-stratigrafico ed idrostratigrafico proposto da Di Dio (1998), e

grazie ai risultati delle prove penetrometriche eseguite nell’area in studio e all’osservazione delle stratigrafie

dei pozzi limitrofi è stata rinvenuta l’Unità Idrostratigrafico - Sequenziale (UIS) superficiale che è presente in

tutto il bacino Emiliano-Romagnolo denominata Acquifero A1.

Tale acquifero attesta la sua profondità basale alla quota di circa 110 m s.l.m a sud di Bibbiano

presso l’abitato di Piazzola, per arrivare a circa 30 m s.l.m. a nord dell’abitato di Barco.

Gli Acquiferi A2, A3, A4, B e C non sono stati presi in considerazione perché si attestano ad elevate

profondità e quindi non verranno interessati dalle opere di urbanizzazione.

La profondità della falda assume carattere variabile: presso l’abitato di Piazzola si attesta alla

profondità di circa 128 m s.l.m., quindi con soggiacente di circa 17 m rispetto al p.c., considerando una quota

topografica di circa 145 m s.l.m. In prossimità dell’abitato di Corniano la falda presenta una profondità di

circa 120 m s.l.m., con una soggiacenza di circa 12 m rispetto al p.c. posto ad una quota di circa 132 m

s.l.m. In corrispondenza della piazza di Bibbiano la falda si attesta a circa 105 m s.l.m., con una soggiacenza

di circa 21 m rispetto al p.c. posto a circa 126 m s.l.m. Presso la piazza dell’abitato di Barco la falda presenta

una quota di circa 80 m s.l.m., quindi con una soggiacenza di circa 21 m considerando un p.c. posto a 102 m

s.l.m. Infine, presso la zona industriale dell’abitato del Ghiardo la falda assume quota 90 m s.l.m., con una

soggiacenza di circa 40 m rispetto al p.c. posto a 130 m s.l.m.

Tuttavia, a seguito di un’intensa attività meteorica, si creano con ricorrenza piccole falde superficiali

temporanee (falde sospese) che hanno carattere stagionale e oscillazioni di quota di diversi metri rispetto

alla quota della falda principale.

5.3.3 Tavola A23 – Carta delle criticità

La Tavola A23 – Carta delle criticità, non presentata in questo studio, ma presente nello studio

generale del quadro conoscitivo, contiene:

• aree storicamente inondate (P.T.C.P. Q.C. All.6 Tav.6) (retino a tratto inclinato di colore azzurro).

Tali aree sono come specificato indicate come a rischio dalle analisi effettuate dai relatori del

P.T.C.P. di Reggio Emilia. Nello “Studio sul Rischio Idraulico nel Territorio Comunale di Bibbiano”

eseguito dall’Ing. Raffaele Monica dell’ex Consorzio Bonifica Bentivoglio Enza nell’aprile 2009, sono

state individuate 3 aree nella zona sud del comune, in località Corniano (colore blu scuro) che sono

le zone effettivamente allagate a partire dall’anno 2005. Tali aree, oltre ad essere state inondate in

tempi recenti, sono state individuate come potenzialmente a rischio grazie all’esame dei calcoli

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idraulici relativi alle portate dei rii, canali e torrenti presenti nella zona. Va tuttavia sottolineato che,

esistono zone che presentano un deflusso difficoltoso delle acque a causa di restringimenti naturali

o artificiali (tombamenti) della rete idraulica superficiale. In questi punti lo scarso smaltimento delle

acque può provocare innalzamenti del loro livello e potenziali esondazioni.

• aree a deflusso difficoltoso (retino a tratto inclinato di colore violetto);

• dossi fluviali e sabbie di canale, aree soggette ad amplificazione per caratteristiche litologiche ed a

potenziale liquefazione, approfondimento di III livello (P.T.C.P. Art. 75 N.T.A.) (retino di colore

arancione).

Gli abitati di Piazzola, Corniano e la parte meridionale del Comune stesso, sono censiti come aree

storicamente allagate dal 1936 al 2006 in seguito ad importanti eventi alluvionali o di crisi idraulica locale

come descritto nel P.T.C.P. vigente. Si tratta di zone con una vasta rete idrografica superficiale che in molti

casi risulta essere tombata. Le alluvioni storiche che si sono verificate, sono essenzialmente state causate

da una cattiva gestione dei canali e rii in oggetto che in molti casi risultavano occlusi dalla vegetazione o da

detriti e limi trasportati dalle acque. Per garantire il corretto deflusso delle acque e per scongiurare futuri

pericoli di alluvioni, sarà necessario pianificare una manutenzione periodica della rete idrografica che

prevederà lo spurgo dei canali per eliminare il detrito che li occlude assieme a costanti potature delle

essenze vegetali che in essi si propagano.

Le aree a deflusso difficoltoso, sono tutte quelle zone che nel passato sono state adibite a cava per il

prelievo di limi da destinare alle fornaci di laterizi come precedentemente descritto nel Capitolo 5.3.1.

I dossi fluviali e le sabbie di canale, corrispondono ai principali paleoalvei presenti nel territorio

comunale; si tratta di zone che dal punto di vista sismico sono soggette ad amplificazione per caratteristiche

litologiche e a potenziale liquefazione, per tale motivo, tutti gli interventi antropici di carattere strutturale che

sorgeranno in tali aree sono soggetti ad approfondimento sismico di III livello.

5.3.4 Tavola A15 – Carta dell’uso del suolo

La Tavola A15 – Carta dell’uso del suolo presente negli Allegati, contiene la descrizione e la

distinzione delle categorie di uso del suolo presenti nel territorio comunale.

La tavola è stata realizzata mediante sopralluoghi in situ e mediante l’utilizzo di foto aeree e contiene

le seguenti categorie principali:

• seminativo in rotazione;

• prati polifiti permanenti e medicai;

• vigneto;

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• siepe arborea-arbustiva;

• vivaio;

• frutteto;

• campo sportivo;

• parchi e giardini privati;

• incolto;

• bacino idrico;

• centro ricreativo;

• centri abitati.

Il 70% del territorio comunale è occupato da prati polifiti permanenti e medicai, come testimonianza

dell’importanza dell’economia di tipo agricolo per la produzione di Parmigiano Reggiano che caratterizza il

territorio. Sono inoltre presente molte aree dedicate alla coltivazione dei vigneti così come le aree destinate

a seminativo in rotazione per lo più caratterizzato da frumento, orzo e mais per l’alimentazione animale.

Carattere distintivo del territorio è la presenza di numerosi rii e canali, per lo più utilizzati a scopo

irriguo, che sono contornati da siepi arboree-arbustive; ciò permette al territorio, ormai completamente privo

di aree boschive, di mantenere in parte un carattere naturale con vegetazione autoctone e spontanee.

5.4 La matrice ambientale fisica nella definizione d elle unità di paesaggio a rango

comunale e del relativo grado di vulnerabilità: met odologia di sintesi

Il presente lavoro di elaborazione e sintesi si avvale di quanto descritto nella relazione geologica

generale e nella cartografia tematica ad essa allegata, parte a corredo della realizzazione del P.S.C. del

Comune di Bibbiano.

Dalla suddetta documentazione si estraggono i caratteri salienti che definiscono le strutture

geologiche e gli altri fattori principali (morfologia, idrologia superficiale e profonda, stabilità, vulnerabilità,

ecc.) della matrice ambientale fisica utili alla individuazione delle Unità di Paesaggio di rango comunale.

Per quanto riguarda il territorio comunale di Bibbiano vengono ritenuti significativi i seguenti aspetti:

• GEOLOGIA, che si differenzia in:

o alti terrazzi intervallivi del Riss e del Wurm della zona pedecollinare sull’alta pianura;

o aree di pianura delle zone più distali dei terrazzi connessi al T.Enza;

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o aree di pianura fortemente incise connesse ai corsi d’acqua principali e ubicate fra i terrazzi

antichi.

• MORFOLOGIA, che si differenzia in:

o altopiani dei terrazzi con relative scarpate;

o fasce di pertinenza ai corsi d’acqua, con riferimento al Rio Costa e al T.Quaresimo, intendendo

con queste le scarpate delle loro incisioni;

o aree pianeggianti alla base dei terrazzi.

• IDROLOGIA DI SUPERFICIE, che si differenzia in:

o aree a canali artificiali che occupano la parte del territorio comunale ad occidente dei terrazzi

wurmiani;

o corsi d’acqua naturali, dei quali i principali risultano il Rio Costa e il T.Quaresimo, per i quali non

sono distinguibili aree di possibile esondazione.

• IDROLOGIA PROFONDA, per il quale aspetto si ritiene utile sfruttare un’elaborato di sintesi prodotto

a corredo dello studio geologico, vale a dire la carta nella quale vengono rappresentate le isopieze

(Cfr. Tavola A20 tra gli Allegati), si ritengono discriminanti i seguenti caratteri della falda:

o soggiacenza;

o direzione del flusso;

o grado di vulnerabilità.

5.5 Descrizione delle unità di paesaggio

L’individuazione delle Unità di Paesaggio a rango comunale risulta dalla sovrapposizione delle

tematiche menzionate in precedenza.

Vengono quindi delimitate zone omogenee dal punto di vista dell’ambiente fisico, della vulnerabilità,

oppure aree dove sia presente un carattere dominante; esse sono individuate nella Tavola A19 presente tra

gli Allegati.

Nonostante sia il paesaggio il fattore ambientale del quale si cercano le componenti minime

omogenee, in questa sede esso viene inteso non come fattore percettivo, bensì come prodotto di un insieme

di fattori, dei quali solo quelli del sistema fisico vengono qui analizzati.

In merito alla necessità di valutare se la permeabilità di spazi adibiti a parcheggio od a deposito

possa confliggere nei siti maggiormente vulnerabili con gli obiettivi di protezione della qualità delle acque

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profonde, sulla scorta delle indagini geologiche redatte a corredo del PSC si è verificato che la maggioranza

dei parcheggi o dei piazzali sono ubicati nei centri abitati che si trovano al di sopra dell’Unità Terrazzo di

Bibbiano-Barco e sull’Unità Terrazzo del Ghiardo (cfr. Tavola A19 tra gli Allegati) dove i valori di permeabilità

-k- nei primi 10 m circa dal p.c., ricavati da un’ampia serie di indagini esistenti, sono mediamente maggiori di

10-7 m/s.

Si può pertanto dedurre che la permeabilità dei suddetti depositi sia sufficientemente bassa da poter

escludere fenomeni di inquinamento della prima falda superficiale e a maggior ragione di quelle situate a

profondità maggiori.

Per quello che attiene le zone presente nell’Unità Fascia Occidentale (cfr. Tavola A19 tra gli Allegati)

che si estende ad ovest della ferrovia Reggio-Ciano, dove il grado di permeabilità -k- nei primi 10 m circa

dal p.c. è mediamente minore di 10-7 m/s, si dispone che tale aree vengano adeguatamente

impermeabilizzate e provviste di una rete fognaria efficace in grado di accogliere tutte le acque di

smaltimento superficiale. Tali aree presentano, infatti, un grado di vulnerabilità maggiore rispetto alle

precedenti. Va tuttavia sottolineato che al di sotto dei primi 10 m circa dal p.c., costituiti prevalentemente da

litotipi di natura ghiaioso-sabbiosa con lenti argilloso-ghiaiose mediamente rubefatte e alterate, sono presenti

degli orizzonti argillosi e argilloso-limosi che garantiscono comunque un’ulteriore protezione per gli acquiferi

più profondi.

5.5.1 Paesaggi dei terrazzi dell’alta pianura

I terrazzi dell’alta pianura sono stati scelti dall’uomo per erigervi i propri villaggi già da lunghissimo

tempo, pertanto i paesaggi dei terrazzi risultano un’ampliamento dei paesaggi urbani.

Ritroviamo infatti quasi tutti i medesimi toponimi nelle Unità di Paesaggio dei terrazzi:

• Terrazzo di Piazzola (individuato con colore azzurr o nella Tavola A19), grado di vulnerabilità

basso;

• Terrazzo di Bibbiano – Barco (individuato con color e verde nella Tavola A19), grado di

vulnerabilità medio-basso;

• Terrazzo del Ghiardo (individuato con colore rosso nella Tavola A19), grado di vulnerabilità

basso.

GEOLOGIA: i terrazzi del Riss (Ghiardo) e del Wurm (Piazzola, Bibbiano-Barco), si compongono di

limi e argille con lenti di ghiaie subordinate e suolo argilloso.

MORFOLOGIA: altopiani dei terrazzi debolmente inclinati verso nord con relative scarpate alte da 7

m nei terrazzi wurmiani a 25 m nei terrazzi del Riss.

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IDROLOGIA DI SUPERFICIE: reticolo minuto composto dalle incisioni che confluiscono nei corsi

d’acqua principali.

IDROLOGIA PROFONDA: falda a profondità di 10÷20 m dal p.c. con direzione del flusso verso nord-

est e con grado di vulnerabilità basso (Piazzola, Ghiardo) e medio (Bibbiano-Barco).

INTERVENTI:

1) per gli interventi che interessano le scarpate dei terrazzi, i progetti di vasta area e di singoli lotti

devono contenere la valutazione della stabilità delle scarpate ai sensi del D.M.LL.PP. 11 marzo

1988;

2) è opportuno individuare fasce di rispetto ai corsi d’acqua del reticolo minuto e ai bacini artificiali;

3) è opportuno controllare che non avvengano scarichi nei corsi d’acqua;

4) può essere utile favorire il rimboschimento sulle scarpate dei terrazzi, sulle scarpate delle incisioni

dei corsi d’acqua e sulle sponde degli stessi.

5.5.2 Paesaggi dell’alta pianura

I terrazzi menzionati in precedenza dominano delle aree pianeggianti aventi caratteri morfologici

comuni.

Le Unità di Paesaggio dell’alta pianura individuate sono le seguenti:

• Fascia occidentale (individuata con colore violetto nella Tavola A19), grado di vulnerabilità

alto.

La parte occidentale del territorio comunale occupa la parte più distale dei terrazzi fluviali

connessi al T.Enza. Ciò nonostante i confini di Bibbiano non raggiungono le sponde del suddetto

corso d’acqua : per questo motivo questo paesaggio, se preso nella sua limitata definizione

amministrativa, risulta apparentemente non connesso al sistema fluviale.

Di ciò terremo la dovuta considerazione in fase di proposte degli interventi.

GEOLOGIA : terreni wurmiani composti prevalentemente da ghiaie in matrice sabbiosa o in matrice

limoso-argillosa; da questa zona passa uno dei più importanti paleoalvei del T.Enza.

MORFOLOGIA: pianeggiante e debolmente inclinata verso nord.

IDROLOGIA SUPERFICIALE: questa zona è attraversata da un reticolo di canali artificiali utilizzati

per l’irrigazione, oltre che da rii naturali canalizzati; detti corsi d’acqua, data la natura permeabile dei

terreni attraversati, risultano fortemente disperdenti.

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IDROLOGIA PROFONDA: falda a pelo libero con soggiacenza inferiore a 10 m (dossi all’interno

della fascia occidentale) ed intorno ai 15 m (dosso Rio Costa), direzione del flusso verso nord-est; il

grado di vulnerabilità risulta essere alto.

INTERVENTI:

1) è opportuno limitare l’uso dei fertilizzanti chimici e degli antiparassitari;

2) impedire l’insediamento di attività produttive aventi scarichi nocivi o introdurre norme restrittive in

materia di scarichi;

3) è opportuno controllare il buon funzionamento degli scarichi delle attività produttive, e verificare che

non vi siano scarichi diretti ai corsi d’acqua;

4) istituire fasce di rispetto ai corsi d’acqua;

5) favorire il rimboschimento con essenze autoctone delle sponde dei corsi d’acqua;

6) evitare il tombamento dei corsi d’acqua.

• Dossi fluviali (all’interno della fascia occidental e ed attinente al Rio Costa) (individuati con

colore giallo scuro nella Tavola A19), grado di vul nerabilità alto.

Queste fasce di pianura si trovano a diretto contatto con la base delle scarpate dei terrazzi.

GEOLOGIA: terreni wurmiani composti prevalentemente da limi e argille con livelli di ghiaie in

matrice limoso-sabbiosa e sabbie-limose.

MORFOLOGIA: pianeggiante e debolmente inclinata verso nord.

IDROLOGIA SUPERFICIALE: queste zone sono attraversate da alcuni canali artificiali e da rii

naturali; in esse sono contenute aree a deflusso difficoltoso.

IDROLOGIA PROFONDA: falda a pelo libero con soggiacenza inferiore a 10 m e direzione del flusso

verso nord-est; il grado di vulnerabilità varia da alto (al piede del terrazzo Bibbiano-Baro) a medio (al

piede del terrazzo del Ghiardo).

INTERVENTI :

1) gli interventi di vasta area devono avere fra gli obiettivi quello di garantire il deflusso delle acque

superficiali dove ora risulta difficoltoso;

2) istituire fasce di rispetto ai corsi d’acqua sia naturali che artificiali, dove limitare l’utilizzo di fertilizzanti

chimici e di antiparassitari, nonchè dove inserire norme restrittive in termini di scarichi;

3) favorire il rimboschimento con essenze autoctone lungo le sponde dei corsi d’acqua;

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4) evitare i tombamenti dei corsi d’acqua.

5.5.3 Paesaggi Fluviali – Torrente Quaresimo

Il torrente Quaresimo scorre verso settentrione lambendo il confine orientale del territorio comunale

di Bibbiano, e solo la sponda sinistra viene quindi ad essere interessata dalla presente suddivisione; in ogni

caso si ritiene doveroso assumere la tutela anche della sola porzione sulla quale il Comune di Bibbiano

esercita la propria autorità.

L’Unità di Paesaggio individuata è:

• Torrente Quaresimo (individuato con colore nocciola chiaro nella Tavola A19), grado di

vulnerabilità basso.

GEOLOGIA: terreni wurmiani composti da argille e limi con sporadiche lenti di ghiaie.

MORFOLOGIA: profonde incisioni alla base delle scarpate dei terrazzi del Riss.

IDROLOGIA DI SUPERFICIE: i corsi d’acqua citati scorrono verso nord-est ed hanno una serie di

incisioni trasversali alla valle principale, dove scorrono gli affluenti minori, dando luogo alla forma

complessiva di tipo dendritica.

IDROLOGIA PROFONDA: la soggiacenza della falda a pelo libero si assottiglia nei pressi

dell’incisione dei corsi d’acqua fino a divenire di pochi metri; l’andamento della superficie

piezometrica diviene complesso nella porzione meridionale del territorio, ma in ogni caso il flusso è

prevalentemente diretto verso nord-est; il grado di vulnerabilità è basso.

INTERVENTI :

1) è opportuno delimitare fasce di rispetto e di tutela ai corsi d’acqua, possibilmente comprendenti le

intere Unità;

2) nelle fasce di rispetto bisogna vietare l’insediamento di attività produttive con scarichi nocivi.

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6. INQUADRAMENTO GEOLOGICO STRUTTURALE

L’assetto fisico e paesaggistico dell’area in esame ha seguito le sorti del bacino padano, nel corso

della sua storia evolutiva. Dal Cretaceo (≈ 100 Ma) fino ai giorni nostri la regione padana è stata soggetta ad

alterne fasi di compressione e stasi tettoniche, instaurate dalle interazioni tra la microplacca dell’Arco

Appenninico settentrionale e la microplacca Adriatica.

L’Appennino settentrionale è una catena costituita da una serie di unità tettoniche impilate come

falde alloctone, con una generale direttrice dello spostamento verso nord-est (ELTER P., 1973).

Figura 4 – Traiettoria della Placca Africana rispetto alla

Placca Europea, assunta come riferimento fisso. A)

Giurassico inferiore - Cretaceo superiore. B) Cretaceo

superiore – attuale (GASPERI G.F., 1995).

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Il modello evolutivo più accreditato, che spiega tale evoluzione geodinamica, è quello di un prisma di

accrezione sviluppatosi a seguito della convergenza della placca africana verso quella europea (PRINCIPI B.

& TREVES G., 1984).

All’interno dell’Appennino settentrionale vengono tradizionalmente distinti due insiemi di unità, in

base al senso di movimento delle falde verso l’avanpaese adriatico: le unità esterne e quelle interne. Le

unità esterne, tettonizzate nel Neogene, sono costituite da un basamento continentale paleoafricano e da

una copertura meso-cenozoica (Dominio tosco-umbro-marchigiano). Le unità interne, tettonizzate a partire

dal Cretaceo superiore, sono costituite da sedimenti depositatisi sulla crosta oceanica della neotetide

(Dominio ligure) e sul margine distale della zolla africana (Dominio subligure). A partire dal Miocene (≈ 14

Ma), le unità interne, si sono sovrapposte a quelle esterne andando a costituire quella che è l’odierna catena

appenninica.

A partire dal Cretaceo superiore (≈ 80 Ma), un regime di tipo compressivo, da imputarsi alla

formazione dell’Oceano Atlantico, ha instaurato un processo di subduzione di tipo B, con la formazione di un

prisma di accrezione (cfr. Figura 4). In questa fase, che è durata fino all’Eocene, le unità interne sono andate

ad occupare la parte sommitale della catena emergente, mentre sui margini della placca in subduzione si

sono depositate le unità flyschoidi Liguri: stadio oceanico (cfr. Figura 5) (BOCCALETTI M. et alii, 1980).

Figura 5 – Modello di stadio oceanico a due fasi, con

cambiamento del piano di subduzione (BOCCALETTI M. et alii,

1980).

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PSC – Piano Strutturale Comunale (QUADRO CONOSCITIVO).

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La collisione tra i margini continentali inizia tra l’Eocene inferiore e l’Eocene medio (≈ 45 Ma) (cfr.

Figura 4); poco dopo all’interno di bacini della scarpata interna e in bacini satellite incominciano a deporsi le

successioni Epiliguri: stadio ensialico (BOCCALETTI M. et alii, 1980). Durante le prime fasi di questo stadio la

geometria e la vergenza della catena è incerta, probabilmente verso ovest.

Nell’Eocene medio, posteriormente alla collisione continentale tra le placche Sardo-Corsa ed

Adriatica, si venne a delineare, a nord e ad est degli accavallamenti e duplicazioni crostali relativi alla

formazione della neo-catena Appenninica, il bacino perisuturale padano-adriatico (BALLY A.W. & SNELSON

S., 1980).

La messa in posto delle prime unità tettoniche con vergenza adriatica si ha tra l’Oligocene e il

Miocene (≈ 25 Ma), la deformazione compressiva migra verso est attraverso zone di taglio ensialico,

parallelamente alle quali si formano le avanfosse (Principi B. & Treves G., 1984).

A partire dal Miocene superiore (≈ 7 Ma), si imposta una tettonica di tipo estensionale che determina

assottigliamento crostale con formazione di bacini di piggy-back1 (ORI G.G. & FRIEND P.F., 1984; RICCI

LUCCHI F. & ORI G.C., 1985). Contemporaneamente, sul versante esterno della catena continuano i

movimenti compressivi con la migrazione verso nord e nord-est del fronte di accavallamento.

La coesistenza e simultaneità fra compressione adriatica e distensione tirrenica fanno ritenere che i

due fenomeni possano essere geneticamente legati; potrebbero cioè rappresentare la risposta di superficie

alla subduzione attiva della Placca Adriatica al di sotto della catena appenninica.

All’inizio del Pliocene (≈ 5,3 Ma) la parte di bacino, oggi nota come Pianura Padana, costituiva

l’estrema propaggine nord-occidentale del Mare Adriatico e creava un grande golfo invaso dalle acque

marine, limitato a nord dalle Alpi, a sud-ovest dagli Appennini e a nord-est dalle Dinaridi (catena montuosa

dell’ex Jugoslavia). Tale bacino, sotto l’azione delle spinte orogenetiche, era gradualmente ridotto dalla

traslazione verso nord/nord-est delle falde di ricoprimento tettonico dell’Appennino settentrionale.

Successivamente il mare si ritirò gradualmente dai suoi margini alpini ed appenninici cedendo da ovest

verso est, fino a lasciare scoperto con alterne vicende trasgressive e regressive anche l’Adriatico

settentrionale, per poi raggiungere, nella prima metà dell’Olocene (≈ 0,01 Ma), le posizioni attuali.

La crescente estensione di terre emerse, soggette ad erosione, consentì ai corsi d’acqua alpini ed

appenninici di colmare di sedimenti il bacino padano, conferendone l’attuale assetto e morfologia.

Dal punto di vista geologico, la Pianura Padana è un bacino sedimentario Terziario che comprende

un’area di circa 46.000 Km2, posto sulla terminazione settentrionale del blocco Adriatico - Pugliese,

1 BACINI PIGGY-BACK: bacini sedimentari, in genere di forma allungata parallelamente all’asse della catena, formatisi

su un’unità soggetta a traslazione tettonica e trasportati quindi passivamente “in groppa” all’unità in questione mentre la

loro successione sedimentaria continua a depositarsi. Possono rappresentare originari depositi del margine interno

dell’avanfossa, in seguito traslati assieme al loro substrato per propagazione dei thrust frontali dell’orogene, oppure

formano successioni depositatesi, fin dall’inizio, su un’unità alloctona dell’orogene stesso. In questo secondo caso sono

stati definiti anche come “bacini satelliti”.

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compreso tra il fronte degli opposti accavallamenti, le falde sud-vergenti delle Alpi meridionali (separate da

quelle a vergenza europea dalla Linea Insubrica2) e le strutture appenniniche nord-vergenti, e soggetto

quindi al duplice fenomeno di compressione delle opposte catene.

6.1 Evoluzione del Bacino Padano

Nel sottosuolo dell’Emilia Romagna, il riempimento del bacino marino ed il passaggio alla

sedimentazione continentale non sono avvenuti in maniera continua e progressiva, ma sono il risultato di

eventi tettonico-sedimentari “parossistici”, separati nel tempo da periodi di forte subsidenza bacinale e

movimenti ridotti delle strutture compressive. Tale subsidenza è quantificabile in circa 1 mm/anno, anche se

sicuramente tale valore non è stato costante nel corso degli anni.

Le strutture tettoniche della zona frontale si sono formate in concomitanza con un’intensa

deposizione che risulta fortemente controllata dagli elementi strutturali principali. L’andamento delle strutture

maggiori è delineato all’interno di grandi cunei sedimentari che si sono depositati e originati sotto il diretto

controllo del modellamento tettonico. Tali depositi costituiscono pertanto le “controimpronte” delle strutture

tettoniche, definendone geometria e caratteri esterni talora in modo perfetto (CASTELLARIN A. et alii, 1985).

Nelle fasi di attività tettonica si hanno i seguenti effetti:

• sollevamenti regionali che coinvolgono principalmente le zone di margine del bacino;

• modificazione delle geometrie del bacino e delle condizioni di sedimentazione;

• segmentazione della zona di margine bacinale per mezzo di faglie e superfici di scorrimento;

• formazione di superfici di erosione, con estensione regionale, sui margini del bacino e sulle strutture

sepolte;

• migrazione della Zona di Transizione Scarpata sottomarina - Piana Bacinale (TSB)3 e

conseguentemente quella del depocentro bacinale (cfr. Figura 6).

2 LINEA INSUBRICA: antica cicatrice ercinica che sutura la Placca Europea e quella Africana.

3 TSB: definita in sismica come il punto in cui i riflettori clinoformi della scarpata sottomarina si raccordano alla base con

i riflettori piano-paralleli della piana bacinale. Generalmente corrisponde con il margine del bacino.

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Nell’intervallo di tempo tra un evento tettonico di sollevamento regionale e quello successivo si

assistono, invece, ad importanti fenomeni di subsidenza con notevole sviluppo della sedimentazione (sotto

forma di cunei sedimentari sintettonici), soprattutto per progradazione dei prismi di accrezione, in

corrispondenza dei margini di bacino. Durante questi eventi, in cui si registra un notevole aumento della

sedimentazione, si formano delle unità che sono definite da Mitchum et alii (1977)4 “Sequenze

Deposizionali”. Tra due diverse Sequenze Deposizionali si rinviene sempre una superficie, definita superficie

di non deposizione o superficie erosiva (generalmente identificabile nel tetto di uno strato ghiaioso) che

corrisponde ad un periodo di cambiamento climatico in cui si registra un generale abbassamento del livello

marino, con relativa regressione della linea di costa. Lo step successivo coincide con un innalzamento del

livello del mare, con trasgressione della linea di costa e con l’inizio della sedimentazione di una nuova

Sequenza Deposizionale.

L’accumulo di sedimenti terrigeni all’interno del Bacino Perisuturale Padano, come detto, ne causa il

progressivo riempimento. Questo fenomeno avviene lungo due principali fronti di progradazione, il primo

assiale ed il secondo trasversale rispetto al F.Po. I sedimenti trasportati dal F.Po si ritrovano interdigitati con

i sedimenti trasportati dai fiumi e torrenti appenninici che oggi sono suoi diretti affluenti. Studiando

4 SEQUENZE DEPOSIZIONALI: unità stratigrafiche costituite da una successione relativamente continua di strati

geneticamente legati e delimitati alla base e alla sommità da discontinuità o dalle corrispondenti superfici di continuità.

Figura 6 – Fasi di migrazione della Transizione Scarpata Sottomarina - Piana Bacinale dal

Pliocene medio al Pleistocene medio (RER - ENI - AGIP, 1998).

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composizione, geomorfologia, granulometria e petrografia delle alluvioni e possibile riconoscere all’interno

delle Sequenze Deposizionali, definite da Mitchum et alii (1977) diversi Ambienti Deposizionali.

Un fiume che tracima dal suo alveo, non si limita, infatti, ad accumulare materiale nella pianura

circostante, ma la modella e la plasma determinando complesse forme geomorfologiche, ognuna delle quali

è costituita da una precisa granulometria e forma dei sedimenti che generalmente sono tipici di quella

particolare struttura.

Studiando questi elementi, si è giunti alla definizione di diversi Ambienti Deposizionali, che si

possono distinguere chiaramente nel territorio padano in virtù della loro composizione, geomorfologia,

granulometria e petrografia.

Da monte verso valle, i fiumi e torrenti appenninici trasportano sedimenti di granulometria via via

decrescente, che vanno a deporsi in ambienti deposizionali morfologicamente e litologicamente differenti.

6.2 Stratigrafia dei depositi Quaternari

I depositi presenti nell’area in esame sono contraddistinti dalla potente successione terrigena del

Quaternario.

Le unità stratigrafiche definite e utilizzate nel presente studio rientrano nella classe delle Sequenze

Deposizionali descritte da Mitchum et alii (1977) (cfr. Figura 7).

Dal punto di vista gerarchico si distinguono due Sequenze Principali (Supersintemi, secondo la

terminologia delle UBSU5) denominate come segue (dal più recente al più antico):

• Supersintema (o Allogruppo) Emiliano - Romagnolo , costituita da depositi di ambiente

continentale; può essere ulteriormente suddiviso in 2 sintemi principali (dal più recente al più antico):

o Alloformazione (o Sintema) Emiliano - Romagnolo superiore (AES) - (Pleistocene medio? -

Olocene);

o Alloformazione (o Sintema) Emiliano - Romagnolo inferiore (AEI) - (Pleistocene medio).

• Supersintema (o Allogruppo) del Quaternario Marino , costituito da depositi di ambiente marino;

può essere ulteriormente suddiviso in 3 cicli progradazionali (dal più recente al più antico):

5 UBSU - Unità a Limiti Inconformi (Unconformity-bounded Stratigraphic Units): corpo roccioso delimitato alla base e alla

sommità da superfici di discontinuità specificatamente designate, significative e dimostrabili, aventi preferibilmente

estensione regionale o interregionale. I criteri diagnostici utilizzati per stabilire e riconoscere queste unità stratigrafiche

sono le due discontinuità che le delimitano. Le unità a limiti inconformi possono includere poche o molte altre unità

stratigrafiche (litostratigrafiche, biostratigrafiche, magnetostratigrafiche, cronostratigrafiche, ecc…) sia in successione

verticale che laterale.

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o Allomembro (o Sintema del Quaternario Marino 3) (Qm3) - (Pleistocene medio);

o Alloformazione di Costamezzana (o Sintema del Quaternario Marino 2) (Qm2) - (Pleistocene

inferiore - medio);

o Alloformazione del Torrente Stirone (o Sintema del Quaternario Marino 1) (Qm1) - (Pliocene

superiore - Pleistocene inferiore).

6.3 Inquadramento geo-litologico del territorio comu nale

La metodologia è la stessa utilizzata per la carta precedente avendo raccolto i dati dalle stratigrafie

dei pozzi, delle prove penetrometriche statiche meccaniche e dinamiche, prove sismiche stratigrafiche,

prove sismiche con elaborazione MASW, analisi del microtremore sismico con metodologia TROMINO,

tomografie elettriche di resistività, dalla bibliografia esistente in materia geologico-geotecnica (cfr.

Bibliografia) e dalla pratica professionale.

Dal punto di vista strettamente geologico il territorio comunale è formato da depositi esclusivamente

continentali e quaternari, ma di età, nell'ambito del Quaternario, antica (Pleistocene medio - superiore); le

Figura 7 – Schema geologico-stratigrafico e idrostratigrafico del Bacino Pleistocenico della Pianura Emiliano -

Romagnola (AGIP - RER - ENI, 1998).

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unità fanno quindi parte del Supersintema (o Allogruppo) Emiliano-Romagnolo ed in particolare

nell’Alloformazione (o Sintema) Emiliano-Romagnolo superiore (AES) - (Pleistocene medio? - Olocene).

Questi depositi hanno avuto un'ampia evoluzione accompagnata da fenomeni di trasformazione, tra

cui processi di decalcificazione, di trasporto di sali, di rideposizione.

Ne derivano un colore rossastro (rubefatto) o bruno o giallastro dei sedimenti, caratteristico di quasi

tutta l’area del Comune e la presenza di livelli pisolitici di idrossidi di ferro o di carbonato di calcio.

L’indagine geologica e studi bibliografici hanno identificato nel territorio di Bibbiano quattro diverse

formazioni distinguibili anche per caratteristiche litologiche e per posizione morfologico stratigrafica.

In corrispondenza degli abitati di Bibbiano e di Barco, nonchè a Sud di Corniano e sul Ghiardo, si ha

la formazione geologica più antica, quella attribuita al periodo glaciale del Riss, la penultima grande

glaciazione quaternaria. La larga fascia compresa tra i tre centri abitati sopra detti e il Ghiardo appartiene

invece all'ultimo glaciale, ossia il Wurm, che ha avuto diverse pulsazioni. Sempre Wurmiani, ma più recenti,

sono i sedimenti a Ovest di Corniano e Bibbiano e a Nord di Barco.

Al Quaternario recente, perciò post-glaciale, sono infine attribuiti i terreni ad Ovest di Barco, sede del

citato paleoalveo del fiume Enza.

I litotipi presenti nel territorio comunale sono perciò sedimenti sciolti o poco coerenti a granulometria

diversa. Sono presenti ghiaie in strati e lenti con elementi di solito grossi, ma quasi sempre interessati da

processi di decalcificazione, sabbie, non molto abbondanti, per lo più miste alla ghiaia e ai limi, molto diffusi,

ma difficilmente in livelli potenti. Questi possono ricoprire le ghiaie, come ultimo atto dell’alluvionamento dei

paleoalvei o essere intercalati alle ghiaie stesse.

Non mancano argille, spesso miste a limi, costituenti il paleosuolo dei terrazzi, attribuite secondo

recenti studi a deposi eolici del periodo glaciale, noti col nome di loess.

Complessivamente questi sedimenti ricoprono con molte decine di metri le sottostanti argille marine.

La determinazione delle classi litologiche è risultata però più difficoltosa in quanto la maggior parte

delle stratigrafie analizzate, sia di pozzi domestici che di sondaggi geognostici, derivavano da

interpretazione spesso soggettive e non da analisi dirette.

In particolare le stratigrafie dei pozzi domestici esistenti, nella maggior parte dei casi non facevano

distinzione fra le classi granulometriche più fini. A queste difficoltà interpretative si aggiungeva anche la

necessità di delimitare aree a litologia omogenea.

6.3.1 Tavola A18 – Carta della litologia superficiale

Sono state definite quattro unità litologiche di dettaglio:

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• ghiaie e sabbie (retino di colore azzurro);

• ghiaie in matrice argillosa e/o limosa (retino di colore rosso);

• limi ed argille con subordinate lenti di ghiaia (retino di colore violetto);

• argille e limi (retino di colore arancione).

Le suddette unità litologiche si possono così descrivere:

• ghiaie e sabbie : si trovano in una unica fascia nel settore occidentale del territorio comunale ubicata

ad Ovest di Bibbiano e a Nord di Corniano. Anche questa zona è interessata dal paleoalveo del

Torrente Enza;

• ghiaie in matrice argillosa e/o limosa : compongono una fascia unica nel settore nord-occidentale

del territorio che inizia in corrispondenza della strada che collega Bibbiano a Montecchio e si

estende verso N-NE fino ad insinuarsi nella stretta zona compresa fra i canali Scolo Bandirola e

canale S.Giacomo. Tale fascia corrisponde ad un tratto del più volte citato paleoalveo del Torrente

Enza;

• limi ed argille con subordinate lenti di ghiaia : occupano una fascia di terreni che attraversa la

parte centrale del territorio comunale da Sud-Ovest a Nord-Est, nella quale sono ubicati i principali

centri abitati quali Piazzola, Corniano, Bibbiano e Barco. Corrispondono al terrazzo alto di Bibbiano-

Barco e marginalmente alle piane occidentali ad esso sottostanti. Compaiono anche in altre due

sottili fasce che lambiscono i confini occidentali con i territori dei Comuni di S.Polo d’Enza e di

Montecchio E.

• argille e limi: sono distribuiti in una piccola fascia a Sud-Est di Piazzola e Corniano in prossimità del

confine con Quattro Castella e in una plaga estesa comprendente la zona Sud-Orientale del territorio

comunale che vede al centro l’abitato di Ghiardo.

In base a questa classificazione litologica, con la metodologia utilizzata per la carta precedente,

sono state definite le seguenti tre classi di permeabilità :

• terreni permeabili per porosità: rappresentati dalle ghiaie in matrice sabbiosa;

• terreni limitatamente permeabili per porosità: rappresentati dalle ghiaie con matrice argillosa e/o

limosa, argille e/o limi con lenti di ghiaia subordinate;

• terreni a permeabilità scarsa o nulla: rappresentati dalle argille prevalenti e dai limi prevalenti.

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7. CAMPAGNA DI INDAGINI GEOGNOSTICHE: DESCRI ZIONE DELLE

TECNICHE E DELLE METODOLOGIE UTILIZZATE

Ai fini del presente studio sono state eseguite le seguenti indagini geognostiche:

• n°116 prove penetrometriche statiche meccaniche (CP T), l’ubicazione è riportata in Tavola A22

tra gli Allegati (Cfr. Capitolo 7.1 e 7.2);

• n°23 prove penetrometriche dinamiche (DPSH-B) , l’ubicazione è riportata in Tavola A22 tra gli

Allegati (Cfr. Capitolo 7.3 e 7.4);

• n°19 prove sismiche con valenza stratigrafica (SISM ), l’ubicazione è riportata in Tavola A22 tra

gli Allegati;

• n°2 tomografie elettriche verticali (ERT) , l’ubicazione è riportata in Tavola A22 tra gli Allegati (Cfr.

Capitolo 7.5 e 7.6).

La scelta della campagna di indagini si è orientata verso tale prova in sito sia per la velocità con la

quale si possono ottenere i valori cercati, sia per i costi relativamente contenuti. Essa consente di ricavare

dati utili al riconoscimento preliminare, in base alle resistenze incontrate, delle caratteristiche

granulometriche dei terreni attraversati, permettendo così di ricavare il profilo stratigrafico degli orizzonti

attraversati.

7.1 Prova penetrometrica statica meccanica (CPT, Cone Penetration Test )

Il penetrometro statico-dinamico a punta meccanica Begemann, lo strumento utilizzato dallo

scrivente per l’esecuzione delle prove in sito, è il tipo maggiormente diffuso nella pratica corrente: si tratta

del modello Pagani statico dinamico TG 63/200 presente sul mercato italiano in diverse versioni.

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Esso è su mezzo cingolato fornito di autoancoraggio per sopportare la spinta massima di 20

tonnellate che deve fornire l’adeguato contrasto all’atto della penetrazione delle aste e della punta; viene

trasportato su un autocarro fuoristrada tipo Bremach GRV35.

Nella prova penetrometrica statica meccanica (CPT, Cone Penetration Test), una punta conica tipo

Begemann (cfr. Figura 9) viene infissa nel terreno, mediante una batteria di aste a velocità costante (20

mm/s ± 5 mm/s), misurando ad un prefissato intervallo (ogni 20 cm) la resistenza alla punta (qc o rp) e la

resistenza laterale (fs).

Figura 8 – Esecuzione di una prova penetrometrica statica/dinamica con

penetrometro Pagani TG 63/200 da 20 ton.

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La punta penetrometrica è raccordata alla superficie da una serie di aste metriche cave le une

avvitate sulle altre. All’interno delle aste è collocato un tondino in metallo pieno che è libero di scorrere

all’interno dell’asta. Il motore idraulico esercita una spinta sul tondino e permette alla punta di avanzare nel

terreno e di misurare qc (fase 1). Successivamente, quando il tondino è arrivato a fine corsa all’interno della

punta, avanza il manicotto laterale e misura fs (fase 2), infine, il motore idraulico esercita la sua spinta sul

rivestimento di aste cave e permette alla punta di avanzare nel suo complesso per 20 centimetri e di

richiudersi completamente per poter passare alla misura successiva (fase 3).

La prova penetrometrica statica permette di individuare la successione stratigrafica di un terreno e la

sua variabilità spaziale (BEGEMANN H.K.S., 1953, 1969); Begemann fu il primo ad affermare che sulla base

del rapporto di frizione (Rf) (cfr. 1) e del rapporto delle pressioni interstiziali (Bq) (cfr. 2) è possibile

identificare la natura degli strati attraversati (cfr. Figura 10), inoltre la prova è in grado di fornire una stima dei

parametri geotecnici per una vasta gamma di terreni che vanno dalle sabbie dense alle argille tenere.

Per rapporto di frizione (Rf) si intende:

s

cf f

qR = o

Rl

RR p

f = (1)

Per rapporto delle pressioni interstiziali (Bq) si intende:

0vtq q

uB

σ−∆= (2)

dove:

• qc = resistenza all’avanzamento della punta;

• fs = resistenza all’avanzamento del manicotto laterale;

• ∆u = eccesso della pressione interstiziale (u - u0);

• u0 = pressione

interstiziale

presente in sito;

• σv0 = tensione

Figura 9 – Schema della punta del penetrometro costruito da

Begemann (TANZINI M., 2002).

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verticale totale.

Tale prova è un

mezzo di indagine dei terreni molto efficiente, in virtù di un costo di esecuzione relativamente modesto e a

fronte dei risultati che possono essere ottenuti, la prova fornisce, infatti, la misura continua delle grandezze

sopraccitate, i cui valori sono caratterizzati da un buon grado di affidabilità, essendo ripetibili ed indipendenti

dall’operatore che le esegue. L’elevata versatilità, permette a questa prova di essere un’utile guida per la

scelta appropriata delle altre indagini da eseguire in quanto è in grado di individuare aree critiche o

particolari strati all’interno dei quali è importante eseguire altre prove maggiormente costose e mirate per

una migliore stima dei parametri geotecnici.

Tutti i tipi di penetrometro sono caratterizzati da una geometria della punta “standardizzata”, come

indicato dalle raccomandazioni internazionali (ISSMFE, 1989). L’attrezzatura per le prove penetrometriche

statiche comprende la punta conica, un motore idraulico per la spinta ed il sistema di acquisizione dati. La

punta conica (conicità pari a 60°) deve avere un’ar ea totale pari a 10 cm2 al di sopra della quale si ha il

manicotto, con una superficie di circa 150 cm2, sul quale è misurata la resistenza laterale (fs). Si registra una

coppia di dati (qc ed fs) ogni 20 centimetri di avanzamento della punta nel terreno (cfr. Figura 9).

7.2 Elaborazione dei dati delle prove penetrometrich e statiche meccaniche (CPT)

I dati misurati in campagna, vengono successivamente rielaborati. È importante ricordare che i valori

di partenza sono:

• prf: = profondità alla quale vengono letti i valori riportati nelle colonne successive (la lettura

avviene per intervalli di 20 cm);

• LP = valore letto in campagna tale e quale, corrisponde a qc;

• LL = valore letto in campagna tale e quale, corrisponde a qc+fs;

Figura 10 – Classificazione dei terreni sulla base del rapporto di frizione

(Rf) (Begemann H.K.S., 1969).

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da cui si ricava:

• Rp (o qc) = resistenza alla punta (corrispondente alla fase 1): è ottenuta dalla seguente

operazione:

10t

p

CLPR

×= (3)

per lo strumento in questione la costante di trasformazione (Ct), è pari a 10 e rappresenta la

superficie della punta (10 cm²);

• Rl (o fs) = resistenza laterale locale (corrispondente alla fase 2): è ottenuta dalla

seguente operazione:

( )150

tCLPLLRl

−= (4)

per lo strumento in questione 150 rappresenta la superficie laterale del manicotto (150 cm²); si

precisa che a causa della distanza intercorrente (circa 20 cm) tra il manicotto laterale e la punta

conica del penetrometro, la resistenza laterale locale (RL) ad una data profondità è riportata, nella

colonna ad essa riservata, ad una profondità inferiore di 20 cm rispetto alle letture LL e LP impiegate

per il suo calcolo;

• Rp/RL = dato dal rapporto dei due precedenti parametri e corrisponde a quel rapporto Rf (cfr.

1) impiegato da Begemann per ricostruire la natura litologica dei terreni attraversati.

Utilizzando i valori sopradescritti il programma Static probing della ditta Geostru, calcola tutti i

parametri geotecnici utili per la progettazione dell’edificio, avvalendosi di diverse correlazioni empiriche

proposte dai vari autori citati in bibliografia. Il programma fornisce un primo elaborato grafico che riporta tutti i

valori di qc ed fs calcolati alle varie profondità con la relativa interpretazione stratigrafica secondo Begemann

(1965) per ogni prova penetrometrica. La seconda parte degli elaborati, sempre suddivisa per ogni singola

prova penetrometrica, prevede una tabella dove alle varie profondità vengono rispettivamente riportati i

valori di:

• LP = lettura punta (Kg/cm2);

• LP = lettura laterale (Kg/cm2);

• qc = resistenza alla punta (Kg/cm2);

• fs = resistenza laterale locale (Kg/cm2);

• qc/fs = o Rf, rapporto di frizione (Begemann);

• fs/qc*100 (Schmertmann).

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Una seconda tabella riporta l’interpretazione stratigrafica, strato per strato, fornendo i valori di:

• qc medio (Kg/cm2);

• fs medio (Kg/cm2);

• Gamma medio (γmedio) (t/m3)

• Composizione geotecnica

• Descrizione

Successivamente la stima dei parametri geotecnici viene effettuata utilizzando l’interpretazione

stratigrafica precedentemente proposta, riportando i valori medi di tutti i parametri geotecnici strato per

strato; essa è inoltre suddivisa in funzione della composizione geotecnica del suolo a seconda che il terreno

sia di tipo coesivo o di tipo incoerente. I parametri geotecnici stimati per i terreni di tipo coesivo sono:

• Cu = coesione non drenata (Kg/cm2);

• Mo = modulo edometrico (Kg/cm2);

• Eu = modulo di deformazione non drenato (Kg/cm2);

• G = modulo di deformazione a taglio (Kg/cm2);

• OCR = grado di sovra consolidazione;

• C = fattore di compressibilità;

• Crm = fattore di compressibilità;

• Puv = peso unità di volume (t/m3);

• PuvS = peso unità di volume saturo (t/m3).

Per i terreni di tipo incoerente i parametri geotecnici stimati sono:

• Dr = densità relativa (%);

• Fi (φ) = angolo di resistenza al taglio (°);

• Ey = modulo di Young (Kg/cm2);

• Mo = modulo edometrico (Kg/cm2);

• G = modulo di deformazione a taglio (Kg/cm2);

• OCR = grado di sovra consolidazione;

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• Ko = modulo di reazione;

• C = fattore di compressibilità;

• Crm = fattore di compressibilità;

• Puv = peso unità di volume (t/m3);

• PuvS = peso unità di volume saturo (t/m3);

• Liquefazione (considerando una data accelerazione sismica (g);

• K = permeabilità (cm/s);

• Coefficiente di consolidazione (cm2/s).

Si precisa inoltre che le elaborazioni sopra citate (effettuate mediante programma di calcolo

automatico) fanno riferimento a precise correlazioni empiriche proposte dai vari autori che sono direttamente

menzionati nelle tabelle.

Oltre alle informazioni riguardanti i caratteri geomeccanici e litologici dei terreni attraversati, è

possibile al termine dell’esecuzione della prova determinare la presenza di acqua nel sottosuolo. Attraverso

la semplice osservazione della punta delle aste si rileva la presenza di infiltrazioni acquifere o di una falda

vera e propria; calando poi nel foro lasciato nel suolo dall’infissione della punta e delle aste un freatimetro ad

avvisatore sonoro è possibile misurare la profondità alla quale si collocano le infiltrazioni o il livello della

superficie piezometrica.

7.3 Prova penetrometrica dinamica (DPSH-B)

La prova penetrometrica dinamica (SCPT) consiste nell’infissione verticale nel terreno di una punta

conica metallica posta all’estremità di un’asta di acciaio, prolungabile con l’aggiunta successiva di altre aste.

L’infissione avviene per battitura, facendo cadere da un’altezza costante un maglio di un dato peso (cfr.

Capitolo 7.3.2).

Si contano i colpi necessari per la penetrazione di un tratto di lunghezza stabilita pari a 20 cm (N20).

La resistenza del terreno è funzione inversa della penetrazione per ciascun colpo e, diretta, del numero di

colpi per una data penetrazione.

Il penetrometro statico-dinamico (DPSH-B), lo strumento utilizzato dallo scrivente per l’esecuzione

delle prove in sito, è il tipo maggiormente diffuso nella pratica corrente: si tratta del modello Pagani statico

dinamico TG 63/200 (standardizzato) presente sul mercato italiano in diverse versioni; viene trasportato su

un autocarro fuoristrada tipo Bremach GRV35.

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7.3.1 Procedura nazionale (AGI) ed internazionale (ISSMGE) di riferimento

L’Associazione Geotecnica Italiana (AGI) ha incluso la prova SPT (Standard Penetration Test)

eseguite con sonde, nelle Raccomandazioni per le Indagini Geotecniche (1977). Per quanto riguarda le

prove penetrometriche dinamiche, esistono diversi modelli di penetrometro, ma le raccomandazioni AGI

(1977) prendono in considerazione unicamente la prova con penetrometro super-pesante, penetrometro

utilizzato dallo scrivente e classificato in campo internazionale come DPSH-B. L’Associazione Geotecnica

Internazionale (prima ISSMFE, ora ISSMGE) ha emesso (1988-89) una Procedura di Riferimento aggiornata

in materia.

L’Eurocodice, nella versione attualmente pubblicata, “ENV 1997-3: 1999; Eurocodice 7:

Geotechnical Design: Part 3 – Design assisted by Fieltesting”, descrive la prova “standard”, l’attrezzatura, la

procedura esecutiva, i fattori di correzione, rendimento del sistema di battitura e influenza della lunghezza

della batteria di aste. È attualmente edito un documento di valore europeo ed internazionale: “EN ISO

22476-2: 2003”, elaborato dal “Technical Coimmittee CEN/TC 341 – Geotechnical Investigation and Testing”

che viene qui assunto come documento di riferimento per la prova DPSH-B.

7.3.2 Caratteristiche tecniche della prova DPSH-B descritte dalla normativa EN ISO

22476-2: 2003

Le caratteristiche tecniche dello strumento sono le seguenti (cfr. Figura 11):

• peso massa battente M = 63,50 kg;

• altezza caduta libera H = 0,75 m;

• peso sistema battuta Ms = 8,00 kg;

• diametro punta conica D = 35,70 mm;

• area base punta conica A = 20,00 cm²;

• angolo apertura punta α = 90°;

• lunghezza delle aste La = 1,00 m;

• peso aste per metro Ma = 6,30 kg;

• prof. giunzione 1° asta P1 = 0,80 m;

• avanzamento punta δ = 0,20 m;

• numero di colpi punta N = N(20) relativo ad un avanzamento di 20 cm;

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• energia specifica per ogni colpo2/66,11 cmkg

A

MHQ ==

δ (5)

[prova SPT: Qspt = 7,83 kg/cm² ]

• coeff. teorico di energia

• 504,1==sptQ

Qtβ (6)

[teoricamente: Nspt = β × t × N]

Per infiggere la punta conica si utilizza un maglio di massa M (63,50 kg) per un’altezza di caduta H

(0,75 m); il maglio batte su una testa di battuta che è rigidamente collegata alle aste di prolunga.

La resistenza alla penetrazione è definita come il numero di colpi richiesto per infiggere la punta

conica per un tratto definito. L’energia cinetica propria di ciascun colpo è il prodotto della massa del maglio

per l’accelerazione di gravità e per l’altezza di caduta (MgH).

7.4 Elaborazione dei dati della prova penetrometica dinamica (DPSH-B)

I dati misurati in campagna, vengono rielaborati utilizzano il programma Dinamic probing della ditta

Geostru; esso calcola tutti i parametri geotecnici utili per la progettazione dell’edificio, avvalendosi di diverse

Figura 11 – Punta conica dell’attrezzatura

EN ISO 22476-2:2003 (CESTARI F., 2005).

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correlazioni empiriche proposte dai vari autori citati in bibliografia. Il programma fornisce un primo elaborato

grafico che riporta tutti i valori del numero di colpi necessari per la penetrazione della punta (NSCPT) registrati

ogni 20 cm di avanzamento della stessa, il grafico della resistenza dinamica ridotta (Rpd) e la relativa

interpretazione stratigrafica per ogni prova penetrometrica. La seconda parte degli elaborati, sempre

suddivisa per ogni singola prova penetrometrica, prevede una tabella dove alle varie profondità vengono

rispettivamente riportati i valori di:

• prf: = profondità alla quale vengono letti i valori riportati nelle colonne successive (la lettura

avviene per intervalli di 20 cm);

• NSCPT = numero di colpi;

• Chi = coefficiente di riduzione sonda;

• Rpd = resistenza dinamica ridotta (Kg/cm2);

• resistenza dinamica (Kg/cm2);

• pressione ammissibile con riduzione (Herminier – Olandesi) (Kg/cm2);

• pressione ammissibile (Herminier – Olandesi) (Kg/cm2).

Successivamente la stima dei parametri geotecnici viene effettuata utilizzando l’interpretazione

stratigrafica precedentemente proposta, riportando i valori medi di tutti i parametri geotecnici strato per

strato; essa è inoltre suddivisa in funzione della composizione geotecnica del suolo a seconda che il terreno

sia di tipo coesivo o di tipo incoerente. I parametri geotecnici stimati per i terreni di tipo coesivo sono:

• Cu = coesione non drenata (Kg/cm2);

• Qc = resistenza alla punta del Penetrometro Statico (Kg/cm2);

• Mo = modulo edometrico (Kg/cm2);

• Ey = modulo di Young (Kg/cm2);

• Classificazione AGI;

• Puv = peso unità di volume (t/m3);

• PuvS = peso unità di volume saturo (t/m3).

Per i terreni di tipo incoerente i parametri geotecnici stimati sono:

• Dr = densità relativa (%);

• Fi (φ) = angolo di resistenza al taglio (°);

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• Ey = modulo di Young (Kg/cm2);

• Mo = modulo edometrico (Kg/cm2);

• Classificazione AGI;

• Puv = peso unità di volume (t/m3);

• PuvS = peso unità di volume saturo (t/m3);

• ν = modulo di Poisson;

• G = modulo di deformazione al taglio dinamico (Kg/cm2);

• V = velocità onde (m/s);

• Liquefazione (considerando una data accelerazione sismica (g);

• Ko = modulo di reazione (Kg/cm3);

• Qc = resistenza alla punta del Penetrometro Statico (Kg/cm2).

Si precisa inoltre che le elaborazioni sopra citate (effettuate mediante programma di calcolo automatico)

fanno riferimento a precise correlazioni empiriche proposte dai vari autori che sono direttamente menzionati

nelle tabelle.

Oltre alle informazioni riguardanti i caratteri geomeccanici e litologici dei terreni attraversati, è

possibile al termine dell’esecuzione della prova determinare la presenza di acqua nel sottosuolo. Attraverso

la semplice osservazione della punta delle aste si rileva la presenza di infiltrazioni acquifere o di una falda

vera e propria; calando poi nel foro lasciato nel suolo dall’infissione della punta e delle aste un freatimetro ad

avvisatore sonoro è possibile misurare la profondità alla quale si collocano le infiltrazioni o il livello della

superficie piezometrica.

7.5 Tomografie elettriche di resistività (ERT, Eletrical Tomography Resistivity) .

La Tomografia Elettrica di Resistività (ERT – Earth Resistivity Tomography) (Cfr. Figura 12), è una

prova geofisica che permette di ricostruire la stratigrafia del sottosuolo, caratterizzare zone di frana, di

caratterizzare acquiferi ed acquitardi, di localizzare discariche abusive in profondità, ecc…

Figura 12 - Esecuzione di una tomografia elettrica di resistività (ERT).

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50

Il sistema ERT è un’evoluzione (o anche una automazione) delle tradizionali tecniche attive in

corrente continua (es: Wenner, Schlumberger, dipolo-dipolo, ecc….), per la determinazione della

distribuzione di resistività (ρ) nel sottosuolo.

Per resistività (ρ) si intende:

KI

V∆=ρ (6)

dove:

• ρ = resistività;

• I = intensità di corrente;

• ΔV = differenza di potenziale;

• K = fattore geometrico (geometria del quadripolo di misura).

Viene utilizzata una corrente elettrica artificiale immessa nel terreno mediante due elettrodi di

corrente (C1 e C2 o A e B), mentre la differenza di potenziale, generata dall’immissione di corrente, viene

misurata con due elettrodi di potenziale (P1 e P2 o M ed N) (Cfr. Figura 13).

Figura 13 – Generica disposizione degli elettrodi nelle misure di resistività

(CASADIO M. & ELMI C., 1995).

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51

La geometria quadri polare può essere di diverso tipo, ad esempio nella disposizione Wenner, la

successione degli elettrodi è di tipo A, M, N, B cin progressivo aumento della distanza interelettrodica (d) in

d, 2d, 3d, ecc; nella disposizione Schlumberger è di tipo A, M, N, B con progressivo aumento della distanza

interelettrodica (d) tra A ed M e tra N e B in d, 2d, 3d, ecc; nella dipolo-dipolo è di tipo A, B, M, N con

progressivo aumento della distanza interelettrodica (d) tra B e M in d, 2d, 3d ecc.

Durante l’acquisizione dei dati della tomografia elettrica di resistività, si utilizzano stendimenti con

un numero variabile di elettrodi, da 18, 32, 64, con una distanza interelettrodica (d) variabile di 2, 5, 10

metri in modo da ricostruire un modello bidimensionale del sottosuolo. Il computer alterna

automaticamente la posizione degli elettrodi A, B, M ed N in modo da coprire tutta la lunghezza dello

stendimento ed in modo da variare progressivamente la distanza interelettrodica (d). La profondità di

indagine è pari a circa 1/5 , 1/6 della lunghezza totale dello stendimento.

Delle menzionate geometrie quadripolari, la Wenner è meno sensibile alle variazioni orizzontali di

resistività (pertanto è un ottimo metodo per individuare le stratigrafie orizzontali ma è scarso

nell’individuazione dei contatti verticali); la Schlumberger ha una discreta capacità di risolvere sia le

strutture verticali che quelle orizzontali; la dipolo-dipolo ha una buona capacità di risolvere le strutture

verticali mentre è meno indicata per individuare la stratigrafia geologica.

7.6 Elaborazione dei dati della tomografie elettrich e di resistività (ERT)

I dati registrati in campagna vengono trasferiti dall’Hard Disk dello strumento al programma di

elaborazione iterativa “ELETOM”; tramite questo è possibile ottenere un profilo interpretativo caratterizzato

da una pseudo sezione stratigrafica di resistività: in ordinata sono riportate le profondità, in ascissa la

distanza fra gli elettrodi. La mappatura a due dimensioni del suolo e del primo sottosuolo riporta i valori di

resistività assoluta registrati alle differenti profondità, i punti ad uguale valore di resistività sono uniti da linee

denominate isoresistive.

A fianco del grafico, in una scala verticale, sono evidenziati gli intervalli di resistività assoluta

registrata associati diversi tipi di colore che con l’aumento del valore della resistività tendono alla tonalità del

rosso. Successivamente i valori di resistività assoluta registrati vengono associati a litologie precise.

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52

8. RELAZIONE SISMICA

8.1 Brevi cenni sulla riclassificazione sismica

Il territorio dell’Emilia - Romagna è interessato da una sismicità che può essere definita di intensità

medio-bassa rispetto alla sismicità nazionale come è raffigurato nella carta delle zone sismiche Italiane (Cfr.

Figura 14).

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53

La recente riclassificazione sismica del territorio nazionale (Ordinanza del Presidente del Consiglio

dei Ministri 20 marzo 2003, n. 3274, pubblicata nel Supplemento Ordinario n. 72 della Gazzetta Ufficiale 08

maggio 2003 “Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio

nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica”), ha modificato il quadro dell’Emilia-

Romagna (cfr. Figura 15): da 89 comuni classificati di II categoria dalla precedente classificazione (gli altri

252 non erano classificati sismici) si è passati a 105 comuni in zona 2 (0,15 < ag/g < 0,25), 214 in zona 3

(0,05 < ag/g < 0,15) e i restanti 22 comuni in zona 4 (ag/g < 0,05);

dove:

• ag = accelerazione di picco orizzontale al suolo con probabilità di superamento del 10%

in 50 anni;

• g = accelerazione di gravità.

Gli effetti di un terremoto in superficie possono variare a seconda delle caratteristiche litologiche,

idrogeologiche e morfologiche. Accumuli detritici, alluvionali, terreni di riporto, creste e cucuzzoli possono

amplificare il segnale sismico; terreni granulari con falda superficiale possono essere soggetti a liquefazione

o addensamento con conseguenti cedimenti; frane e detriti di versante possono essere rimobilizzati.

La definizione della pericolosità locale e la microzonazione sismica sono gli strumenti più idonei per

la conoscenza e la prevenzione degli effetti dovuti a fattori locali; rappresentano quindi strumenti di base

propedeutici e necessari per la prevenzione e la riduzione del rischio sismico.

Le norme tecniche delle costruzioni, approvate con il Decreto Ministeriale 14 settembre 2005 e

modificate con il Decreto Ministeriale 14 gennaio 2008, definiscono le verifiche da effettuare al fine di ridurre

il rischio sismico.

Figura 14 – Carta delle zone sismiche Italiane.

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La Delibera di Giunta Regionale 24 ottobre 2005, n. 1677 contiene le “prime indicazioni applicative”

in merito al Decreto Ministeriale 14 settembre 2005 mentre la Delibera dell’Assemblea Legislativa della

Regione Emilia-Romagna 2 maggio 2007, n. 112 definisce gli indirizzi per gli studi di microzonazione sismica

per la pianificazione territoriale ed urbanistica che diventano effettivi con la Circolare Ministero delle

Infrastrutture e dei Trasporti 2 febbraio 2009, n. 617.

8.2 Zona sismica

Si ritiene opportuno riportare una tabella riassuntiva che esplica i valori di ag, espressi come frazione

dell’accelerazione di gravità g, da adottare come valore generale di riferimento in ciascuna delle zone

sismiche del territorio nazionale.

Zona sismica

Accelerazione orizzontalemassima scaricata sul suolo

(ag)

1 0,35 g

2 0,25 g

3 0,15 g

4 0,05 g

Tabella 1 – Valore dell’accelerazione orizzontale massima scaricata sul suolo

(ag) in funzione della zona sismica.

Figura 15 – Riclassificazione sismica della Regione Emilia Romagna (OPCM 20 marzo 2003, n. 3274).

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Sulla base dei valori riportati in Tabella 1, il territorio comunale di Bibbiano rientra nella seguente

zona sismica con relativa accelerazione orizzontale massima scaricata sul suolo (ag):

Zona sismica

Accelerazione orizzontalemassima scaricata sul suolo

(ag)

3 0,15 g

Tabella 2 – Accelerazione orizzontale massima scaricata sul suolo (ag) per

l’area oggetto di studio.

8.3 Categorie di sottosuolo

Per definire l’azione sismica di progetto, si valuta l’effetto della risposta sismica locale (RSL)

mediante specifiche analisi, dove:

• Risposta Sismica Locale (RSL) : è l’azione sismica quale emerge in superficie a seguito delle

modifiche in ampiezza, durata e contenuto in frequenza, subite trasmettendosi dal substrato rigido.

Per poter definire la categoria di suolo è necessario disporre di apposite indagini mirate

all’individuazione della velocità delle onde S nei primi 30 metri di terreno al di sotto del piano di posa delle

fondazioni (Vs30).

Ai fini della definizione dell’azione sismica di progetto si definiscono le seguenti categorie di profilo

stratigrafico del suolo di fondazione (le profondità si riferiscono al piano di posa delle fondazioni):

A - Formazioni litoidi o suoli omogenei molto rigidi , caratterizzati da valori di Vs30 superiori a 800

m/s, comprendenti eventuali strati di alterazione superficiale di spessore massimo pari a 5 m;

B - Depositi di sabbie o ghiaie molto addensate o argil le molto consistenti , con spessori di diverse

decine di metri, caratterizzati da un graduale miglioramento delle proprietà meccaniche con la

profondità e da valori di Vs30 compresi tra 360 m/s e 800 m/s (ovvero resistenza penetrometrica NSPT

> 50, o coesione non drenata Cu > 250 kPa);

C - Depositi di sabbie e ghiaie mediamente addensate, o di argille di media consistenza , con

spessori variabili da diverse decine fino a centinaia di metri, caratterizzati da valori di Vs30 compresi

tra 180 e 360 m/s (15 < NSPT < 50, 70 < Cu < 250 kPa);

D - Depositi di terreni granulari da sciolti a poco add ensati oppure coesivi da poco a mediamente

consistenti , caratterizzati da valori di Vs30 < 180 m/s (NSPT < 15, Cu < 70 kPa);

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E - Profili di terreno costituiti da strati superficial i alluvionali , con valori di Vs30 simili a quelli dei tipi

C o D e spessore non superiori a 20 metri, posti sul substrato di riferimento con Vs30 > 800 m/s.

In aggiunta a queste categorie, per le quali vengono definite le azioni sismiche da considerare nella

progettazione, se ne definiscono altre due, per le quali sono richiesti studi speciali per la definizione

dell’azione sismica da considerare:

S1 - Depositi costituiti da, o che includono, uno strato spesso almeno 10 metri di argille/limi di bassa

consistenza, con elevato indice di plasticità (PI > 40) e contenuto di acqua, caratterizzati da valori di

Vs30 < 100 m/s (10 < Cu < 20 kPa);

S2 - Depositi di terreni soggetti a liquefazione, di argille sensitive, o qualsiasi altra categoria di

terreno non classificabile nei tipi precedenti.

Nelle definizioni precedenti Vs30 è la velocità media di propagazione entro 30 metri di profondità

delle onde di taglio e viene calcolata con la seguente espressione:

∑ =

=

Nii

iS

V

hV

,1

30

30(8)

dove:

• hi = spessore (m);

• Vi = velocità delle onde di taglio (m/s) per deformazioni di taglio λ < 10-6 dello strato

iesimo, per un totale di N strati presenti nei 30 metri superiori.

8.4 Indagini geofisiche eseguite nel territorio comu nale

Ai fini del presente studio sono state eseguite le seguenti indagini geofisiche:

• n°20 stendimenti sismici (MASW) la cui ubicazione è riportata in Tavola A22 tra gli Allegati (Cfr.

Capitolo 8.5);

• n°12 analisi del microtremore (TROMINO) la cui ubicazione è riportata in Tavola A22 tra gli

Allegati (cfr. Capitolo 8.6).

Tali tecniche abbinate permettono di ricostruire un profilo stratigrafico completo; il tipo di stratigrafia

si basa sul concetto di contrasto di impedenza. Per strato si intende cioè un’unita distinta da quelle sopra e

sottostanti per un contrasto di impedenza, ossia per il rapporto tra i prodotti di velocità delle onde sismiche

nel mezzo e densità del mezzo stesso.

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57

Come è possibile evincere dalla Tavola A20, le alluvioni di tipo ghiaioso, ghiaioso-sabbiose e/o limo-

argillose della media pianura, sono soggette ad amplificazione nel caso si verifichi un sisma; per tale motivo

in tali aree dovrà essere valutato il coefficiente di amplificazione litologico. Nelle suddette areee è pertanto

previsto un II livello di approfondimento come anche specificato nel PTCP vigente della provincia di Reggio

Emilia.

I dossi fluviali e le sabbie di canale, soprattutto se incoerenti e ben classate, nei primi 20 m dal p.c.,

con falda acquifera a profondità minore di 15 m dal p.c., favoriscono il verificarsi del fenomeno della

liquefazione in caso di forti scosse sismiche (magnitudo uguale o maggiore di 5). In queste zone, pertanto,

dovranno essere valutati, oltre al coefficiente di amplificazione litologico, anche il potenziale di liquefazione e

gli eventuali cedimenti. Nelle suddette areee è pertanto previsto un III livello di approfondimento come anche

specificato nel PTCP vigente della provincia di Reggio Emilia.

8.5 Modalità di classificazione della Categoria di S ottosuolo del terreno oggetto di

studio e del suo Vs 30 mediante metodologia MASW: descrizione del metodo utilizzato

Il metodo geofisico utilizzato in questa sede per la caratterizzazione della categoria di sottosuolo in

base al valore delle Vs è la sismica a rifrazione attiva elaborata mediante metodologia MASW (Multichannel

Analysis of Surface Waves): essa permette di modellizzare il sottosuolo mediante l’analisi delle onde di

Rayleigh (Park et alii, 1999).

Il metodo consente di stimare la velocità delle onde di taglio (Vs) dei terreni a partire dalla velocità

delle onde di superficie (Rayleigh nel caso del presente studio). La velocità delle onde di taglio e legata alla

rigidità µ dei terreni tramite la formula:

2Vsρµ = (9)

dove:

• ρ = densità;

Poichè la densità dei suoli varia relativamente poco con la profondità (almeno nelle prime decine di

metri), dalla formula si evince che i valori di Vs sono i primi indicatori della rigidità di un terreno.

Le onde Rayleigh sono onde di superficie e sono generate dall’interazione tra onde di pressione (P)

e le onde di taglio verticali (Sv) ogni qualvolta esiste una superficie libera in un mezzo omogeneo ed

isotropo. In presenza di un semispazio omogeneo la loro velocità non presenta dipendenza dalla frequenza

(no dispersione). Alla superficie libera hanno moto ellittico retrogrado che si inverta ad una profondità di

λ/2π.

L’ampiezza dello spostamento decresce con legge esponenziale. Per questo diviene rapidamente

trascurabile con la profondità. La propagazione di queste onde non è influenzata dalle caratteristiche del

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58

mezzo al di sotto di una profondità pari a λ. Esse possono essere viste come la sovrapposizione di due

componenti separate: una longitudinale e l’altra trasversale, che si propagano lungo la superficie con la

stessa velocità ma con differente attenuazione con la profondità.

Il vantaggio di utilizzare il metodo MASW sta nel fatto che non è limitato dalla presenza di inversioni

di velocità in profondità; ha una buona risoluzione e poi perché la propagazione delle onde Rayleigh è

funzione soprattutto delle Vs (parametro di fondamentale importanza nella caratterizzazione geotecnica di

un sito). Esso è particolarmente indicato per suoli altamente attenuanti ed ambienti rumorosi.

La dispersione è la deformazione di un treno d’onda dovuta ad una variazione di velocità di

propagazione al variare della frequenza. Per la onde Rayleigh questa deformazione non si manifesta

all’interno di un semispazio omogeneo ed isotropo ma solo quando questi presenta una stratificazione. La

velocità di propagazione per una certa lunghezza d’onda λ (quindi frequenza) è influenzata dalle proprietà

che il mezzo possiede fino ad una profondità di circa λ/2. Tale velocità delle onde di Rayleigh (Vr) è pari a

circa il 90% delle onde di taglio Vs.

L'indagine sismica è finalizzata alla determinazione delle velocità delle onde sismiche di taglio (Vs)

nei terreni attraversati mediante la valutazione della Vs30 come richiesto dall’OPCM 20 marzo 2003, n. 3274,

dal DM 14 settembre 2005, dal DM 14 gennaio 2008 e dalla Circolare Ministero delle Infrastrutture e dei

Trasporti 2 febbraio 2009, n. 617.

Si ricorda che la nuova normativa definisce l’azione sismica di progetto, sulla base della zona

sismica assegnata al comune di appartenenza e la categoria sismica del suolo dell’area di intervento,

ricavata dalle indagini sismiche dirette.

All’interno del territorio nazionale fino ad oggi sono state individuate 4 zone sismiche, contraddistinte

dal valore ag dell’accelerazione di picco al suolo, normalizzata rispetto all’accelerazione di gravità (cfr.

OPCM 20 marzo 2003, n. 3274, allegato 1). La classificazione del suolo (come precedentemente indicato) è

invece convenzionalmente eseguita sulla base della velocità media di propagazione delle onde di taglio

entro 30 m di profondità al di sotto delle fondazioni.

Lo strumento impiegato è un sismografo PASI modello 16SG12 (strumento certificato) a 24 canali

con energizzatore che può essere: a esplosione, tipo minibang o massa battente (martello) che è quella

impiegata nel caso in studio (Cfr. Figura 16).

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Generalmente viene effettuato uno stendimento di 46 m energizzando mediante massa battente a 5

metri dall’origine dello stresso (offset), utilizzando 24 geofoni a componente verticale con distanza pari a 2 m

(si tratta di geofoni da 4,5 Hz, particolarmente sensibili alla basse frequenze) ed 1 geofono starter (trigger)

da 10 Hz posto a fianco dell’energizzazione.

La prova consiste nel produrre sulla superficie del terreno, in corrispondenza del sito da investigare,

una sollecitazione (mediante battuta con mazza in modo da simulare un sisma) e nel registrare le vibrazioni

prodotte sempre in corrispondenza della superficie, a distanze note e prefissate.

Le registrazioni avvengono impostando i seguenti parametri strumentali e con le seguenti geometrie

di acquisizione:

Figura 16 – Esecuzione di una prova sismica a rifrazione

con elaborazione MASW mediante sismografo PASI a 24

canali.

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60

Parametri strumentali e geometria diacquisizione MASW

Valori

Lunghezza stendimento 46 m

Offset energizzazione 5 m

N° geofoni 24

Distanza intergeofonica 2 m

Sensibilità geofoni 4,5 Hz

Sensibilità geofono starter (trigger) 10 Hz

Durata 1024 ms

Campionamento 250 µs

Tabella 3 – Parametri strumentali e geometria di acquisizione della prova

sismica con elaborazione MASW.

8.6 Stima della Frequenza di Risonanza (fr) del terr eno oggetto di studio mediante

l’utilizzo di TROMINO Zero: descrizione del metodo utilizzato

Lo strumento geofisico utilizzato in questa sede per la registrazione del microtremore ambientale ai

fini della individuazione degli intervalli di frequenza di risonanza (fr) del terreno, tramite opportuna

modellazione vincolata, è il TROMINO Zero Micromed (strumento certificato) (Cfr. Figura 17); esso permette

di ricostruire una stratigrafia sismica.

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61

L’attuale normativa antisismica italiana ricalca l’EC8, il quale a sua volta ha recepito in toto la

normativa californiana basata sui dati ricavati da Earthquake Spectra (1994).

Questa duplice traduzione ha purtroppo portato a travisare lo spirito originale, che era quello di

fornire una base quantitativa a basso costo, seppure molto approssimata, per la classificazione dei suoli in

termini di effetti di sito. In realtà il parametro chiave rappresentato dalla velocità media delle onde S,

presenta una modesta correlazione con gli effetti di sito.

E’ stato quindi proposto un metodo basato sulle misure a stazione singola del tremore sismico.

Queste ultime, attraverso i rapporti spettrali, portano infatti alla misura immediata della frequenza

fondamentale di risonanza del sottosuolo, parametro la cui correlazione con gli effetti di sito è ben più

significativa di quella del Vs30.

Le misure di microtremore opportunamente invertite, permettono anche di stimare in maniera rapida

il valore del Vs30 in particolare mediante l’elaborazione congiunta di MASW e TROMINO.

La prova sismica passiva a stazione singola mette in luce le frequenze alle quali il moto del terreno

viene amplificato per risonanza stratigrafica. La prova, comunemente nota con il termine H/V (rapporto tra le

componenti spettrali orizzontali (H), e verticale (V)) fu applicata per la prima volta da Nogoshi e Igarashi

(1970) e resa popolare da Nakamura (1989). In un sistema costituito da uno strato tenero (es: coperture)

sovrastante un semispazio rigido (es: bedrock) (Cfr. Figura 18), un’onda tenderà a rimanere intrappolata

nello strato tenero per riflessioni multiple (alla superficie libera, nuovamente al bedrock e cosi via) e darà

luogo a fenomeni di risonanza per lunghezze d’onda incidenti λ = n 4 H. Le frequenze a cui si manifesta la

risonanza sono descritte dalla legge:

H

Vsnfr

4= n = 1,3,5,…. (10)

dove:

• n = ordine del modo di vibrare;

• Vs = velocità delle onde di taglio dello strato che risuona;

• H = spessore dello strato.

Figura 17 – Esecuzione di una registrazione del microtremore ambientale

mediante TROMINO Zero.

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62

Nel caso, più comune, in cui il sistema studiato sia a più strati, occorre determinare il valore di Vs

tramite una media pesata delle velocità delle onde di taglio che caratterizzano gli strati presenti al di sotto

della fondazione dell’edifico per tutto la profondità investigata; più precisamente:

∑=

⋅=

n

1i

isi

H

HVSV (11)

dove:

• Hi = spessore dello strato i-esimo;

• Vs = velocità delle onde di taglio dello strato i-esimo;

• H = spessore totale del deposito investigato.

Un suolo vibra con maggiore ampiezza a specifiche frequenze (per l’appunto di risonanza) non solo

quando è eccitato da un terremoto ma anche quando è eccitato da un tremore di qualsiasi origine. Questo fa

si che la misura delle frequenze di risonanza dei terreni sia possibile ovunque ed in modo semplice, anche in

assenza di terremoti. L’equazione 10 permette di comprende come la tecnica H/V possa fornire anche

indicazioni di carattere stratigrafico: a partire da una misura di microtremore che fornisce la frequenza di

risonanza (fr), nota la Vs delle coperture, si può infatti stimare la profondità dei riflettori sismici principali o

viceversa.

Le serie temporali registrate nelle tre componenti del moto vengono analizzate secondo procedure

spettrali di vario tipo (FFT, wavelet, ecc.) fino alla produzione delle curve H/V, dove H e la media di due

componenti spettrali orizzontali ortogonali.

Nel 2005 il progetto SESAME stabilì una serie di criteri per la valutazione della significatività

statistica dei picchi H/V. La prima parte di questi criteri, individuata la frequenza del picco di risonanza,

verifica se la registrazione è stata effettuata per un periodo statisticamente significativo e se l’analisi è stata

Figura 18 – Intrappolamento per trasmissione e successive riflessioni di un’onda

sismica in uno strato di coperture di spessore H sovrastanti un bedrock rigido

(Castellaro S. & Mulargia F., 2009).

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63

base della statistica. La seconda parte di questi analizza la geometria del picco e dice semplicemente se il

picco ha una forma ben definita. Questa parte dei test SESAME va interpretata con cognizione di causa

perche solo un contatto netto tra litotipi diversi dal punto di vista meccanico genera picchi netti. Al contrario,

le transizioni graduali (es: roccia fratturata su roccia sana, passaggi da limo-argilloso a sabbia-limosa,

alternanze di lave con vario grado di alterazione ecc.) generano più spesso amplificazioni in una banda larga

di frequenze. In questo caso eventuali non superamenti dei criteri SESAME non significano che non ci siano

risonanze importanti ma solo che non ci sono picchi singoli ben definiti.

Prima di qualsiasi interpretazione delle curve H/V sono indispensabili tre accorgimenti:

• la curva H/V deve essere statisticamente significativa, ossia essere caratterizzata da una deviazione

in ampiezza e in frequenza ridotta. Quando questa caratteristica non sia presente sin dall’inizio, essa

va ricercata tramite una pulizia del tracciato. Esistono diversi metodi per “pulire” una curva H/V.

SESAME (2005) propone la rimozione nella serie temporale di quelle finestre caratterizzate da una

deviazione del segnale (STA, media a breve termine) maggiore della media a lungo termine (LTA).

Tuttavia le procedure che propongono la rimozione dei disturbi sulla base della serie temporale non

appaiono le più indicate quando l’obiettivo e pulire una curva che e funzione della frequenza. La

pulizia deve infatti essere rivolta alla ricerca di un rapporto H/V stabile e quindi alla rimozione delle

sole finestre in cui questo rapporto risulti alterato, a parità di frequenza, tra i canali H e i canali V.

Questo tipicamente avviene in presenza di segnali di natura impulsiva, che presentano cioè spettri

bianchi;

• le curve H/V non vanno mai osservate da sole ma sempre congiuntamente agli spettri delle singole

componenti da cui derivano. Questo permette di discernere agevolmente i picchi di natura

stratigrafica da quelli di natura antropica. In condizioni normali le componenti spettrali NS, EW e Z

(verticale) hanno ampiezze simili. Alla frequenza di risonanza si genera un picco H/V legato ad un

minimo locale della componente spettrale verticale che determina una forma “a occhio” o “a ogiva”

(la componente verticale di colore magenta scende al di sotto delle altre due componenti). Questa

forma e indicativa di risonanze stratigrafiche. E’ evidente però che in una misura di tremore entrano

anche vibrazioni monofrequenziali (artefatti) indotte da macchinari o simili. Queste si traducono in

picchi stretti (delta) ben definiti su tutte e tre le componenti spettrali e quando l’ampiezza sulle tre

componenti non e simile, danno luogo a picchi o gole artefattuali nelle curve H/V;

• valutare con attenzione le inversione di velocità. Per inversioni di velocità si intende la presenza di

uno strato meno rigido sottostante uno strato più rigido. Questa caratteristica non e il normale trend

in natura (dove ci si aspetta un aumento di rigidità scendendo verso il basso, per l’incremento dello

stato tensionale geostatico) ma e una condizione relativamente frequente in presenza di alternanze

litologiche quali ghiaie sopra argille, in presenza di cavità (la cavità è l’esempio estremo di

inversione di velocità) e anche in presenza di suoli artificiali rigidi (pavimentazioni, lastricati ecc.)

sovrastanti suoli naturali teneri. Una inversione di velocità interessa pesantemente le componenti

spettrali orizzontali del microtremore mentre lascia la componente verticale quasi inalterata. Ne

consegue che in presenza di una inversione di velocità il rapporto H/V si colloca su ampiezze

inferiori ad 1 per larghi intervalli di frequenze. Questo può impedire l’individuazione di risonanze

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esistenti. In questi contesti i picchi di risonanza vanno individuati osservando gli spettri delle singole

componenti del moto e non rispetteranno i requisiti SESAME (2005) (Castellaro S. & Mulargia F.,

2009).

Se la frequenza di risonanza del suolo coincide con quella degli edifici, si produce un’amplificazione

molto grande delle onde sismiche e vengono indotte sollecitazioni con forte potere distruttivo (fenomeno

della doppia risonanza). Pertanto per prevedere e prevenire questa coincidenza di risonanza è sufficiente

misurare la frequenza propria di risonanza del sito, quella di ciascun edificio e confrontarle.

E’ la coincidenza di risonanza tra terreno e struttura ad essere particolarmente pericolosa perché

può dar luogo alla massima amplificazione.

Le registrazioni avvengono impostando i seguenti parametri strumentali:

Parametri strumentali Tromino Valori

Frequenza di campionamento 128 Hz

Durata 14 min

Orientamento strumento nord-sud

Tabella 4 – Parametri strumentali dell’acquisizione dei microtremori con

Tromino.

8.7 Rischio sismico, carta degli effetti locali

8.7.1 Effetti locali

La pericolosità sismica di un’area dipende dalle caratteristiche sismiche e da aspetti locali.

Le caratteristiche sismiche di un’area sono definite dalle sorgenti sismogenetiche, dall’energia, dal

tipo e dalla frequenza dei terremoti. Questi aspetti sono comunemente indicati come pericolosità sismica di

base e sono quelli considerati per la classificazione sismica. Da queste caratteristiche deriva il moto di input

atteso, per il calcolo del quale non vengono considerate le caratteristiche locali e il territorio è trattato come

se fosse uniforme ed omogeneo, cioè pianeggiante e costituito da suolo rigido, in cui la velocità di

propagazione delle onde S è maggiore di 800 m/s.

Il moto sismico può essere però modificato dalle condizioni geologiche e morfologiche locali. Alcuni

depositi e forme del paesaggio possono amplificare il moto sismico in superficie e favorire fenomeni di

instabilità dei terreni quali cedimenti, frane o fenomeni di liquefazione. Queste modificazioni, dovute alle

caratteristiche locali, sono comunemente definite effetti locali.

La zonazione del territorio sulla base della risposta sismica del terreno è perciò uno dei più efficaci

strumenti di definizione e rappresentazione della pericolosità sismica, oltre che strumento di prevenzione e

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riduzione del rischio sismico, poiché fornisce un contributo essenziale per l’individuazione delle aree a

maggiore pericolosità sismica, agevola la scelta delle aree a minor rischio e la definizione degli interventi

ammissibili.

Tali carte sono particolarmente efficaci sia per la scelta delle aree di nuova previsione edificatoria,

sia per la definizione delle indagini di approfondimento e degli interventi ammissibili, anche nelle aree già

urbanizzate, soprattutto se utilizzate fin dalle fasi preliminari dei processi di pianificazione territoriale e

urbanistica.

Esiste ormai un generale accordo su quali depositi e forme del paesaggio possono, durante o a

seguito di un terremoto, determinare amplificazioni del moto sismico in superficie o concorrere a modificare

in maniera permanente l’assetto del territorio causando cedimenti, franamenti e rotture del terreno.

Le conoscenze territoriali oggi disponibili in Emilia-Romagna, soprattutto grazie alle carte

geologiche, alle banche dati geognostiche, alle carte topografiche e ai modelli digitali del terreno, permettono

la rapida individuazione degli elementi geologici e morfologici che possono favorire gli effetti locali

(Provincia di Reggio Emilia, Approvato il 17 giugno 2010, delib. n. 124)

Per quanto riguarda l’amplificazione stratigrafica (S S), per le categorie di sottosuolo B, C, D ed E, i

coefficienti SS e CC possono essere calcolati in funzione dei valori di F0 e di TC* relativi al sottosuolo di

categoria A (che quindi assumerà valori di SS e CC pari ad 1), mediante le seguenti espressioni:

Categoria

sottosuoloSS CC

A 1,00 1,00

B 20,140,040,100,1 0 ≤−≤g

aF g 1,10(TC*)-0,20

C 50,160,070,100,1 0 ≤−≤g

aF g 1,10(TC*)-0,33

D 80,150,140,290,0 0 ≤−≤g

aF g 1,10(TC*)-0,50

E 60,110,100,200,1 0 ≤−≤g

aF g 1,10(TC*)-0,40

Tabella 5 – Espressioni del coefficiente di amplificazione stratigrafica (SS) e del coefficiente funzione della categoria di

sottosuolo (CC) (da: Tabella 3.2.V NTC 2008).

L’influenza del profilo stratigrafico sulla risposta sismica locale può essere valutata in prima

approssimazione con riferimento alle categorie di sottosuolo. Il moto sismico alla superficie di un sito,

associato a ciascuna categoria di sottosuolo, è definito mediante l’accelerazione massima (amax) attesa in

superficie, secondo l’espressione:

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gSaSa =max (12)

Quanto sopra come descritto dalla normativa naziona le; la Regione Emilia-Romagna, ove

previsto, ha formulato un tabulato specifico dei fa ttori di amplificazione stratigrafica di cui ai pun ti

A2.1.1 e A2.1.2 del DR 2 maggio 2007.

Per quanto riguarda l’amplificazione topografica (S T), nel caso in cui siano presenti condizioni

topografiche complesse, è necessario predisporre specifiche analisi di risposta sismica locale. Per

configurazioni superficiali semplici si può adottare la seguente classificazione:

Categoria Caratteristiche della superficie topografica

T1 Superficie pianeggiante, pendii e rilevati isolati con inclinazione media i≤15°

T2 Pendii con inclinazione media i>15°

T3 Rilievi con larghezza in cresta molto minore che alla base e inclinazione media 15°≤i≤30°

T4 Rilievi con larghezza in cresta molto minore che alla base e inclinazione media i>30°

Tabella 6 – Categorie topografiche (da: Tabella 3.2.IV NTC 2008).

Sulla base dei valori riportati, l’area oggetto di studio è stata utilizzata la seguente categoria

topografica:

Categoria topografica

T1

Tabella 7 – Categoria topografica per l’area oggetto di studio.

In assenza di specifiche analisi di risposta sismica locale dovute ad amplificazione topografica si

utilizzano dei valori di ST che variano in funzione delle categorie topografiche definite in Tabella 6 e

dell’ubicazione dell’opera o dell’intervento:

Categoria

topograficaUbicazione dell’opera o dell’intervento ST

T1 - 1,0

T2 In corrispondenza della sommità del pendio 1,2

T3 In corrispondenza della cresta del rilievo 1,2

T4 In corrispondenza della cresta del rilievo 1,4

Tabella 8 – Valori massimi del coefficiente di amplificazione topografica (ST) (da: Tabella 3.2.VI NTC 2008).

Alla base del pendio ST assume valore 0.

La valutazione dell’amplificazione topografica può essere effettuata mediante analisi di risposta

sismica locale o utilizzando il coefficiente di amplificazione topografica ST, secondo l’espressione:

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gTS aSSa =max (13)

Quanto sopra come descritto dalla normativa naziona le; la Regione Emilia-Romagna, ove

previsto, ha formulato uno schema specifico dei fat tori di amplificazione topografica di cui al punto

A2.2 del DR 2 maggio 2007, n. 112.

Lo scrivente rimane a disposizione per ulteriori chiarimenti o sopralluoghi.

Il tecnico Il tecnico

Dott. Geol. Simone Barani Dott. Geol. Domenico Barani

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ALLEGATI

ALLEGATO 1: STUDIO SUL RISCHIO IDRAULICO NEL TERRITORIO COMUNALE DI

BIBBIANO, APRILE 2009 A CURA DELL’ING. RAFFAELE MONICA DELL’EX CONSORZIO

DELLA BONIFICA BENTIVOGLIO-ENZA – ALLEGATO 4.1 – RETE IDROGRAFICA GENERALE

– Scala 1:25.000

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PSC – Piano Strutturale Comunale (QUADRO CONOSCITIVO).

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ALLEGATO 2: STUDIO SUL RISCHIO IDRAULICO NEL TERRITORIO COMUNALE DI

BIBBIANO, APRILE 2009 A CURA DELL’ING. RAFFAELE MONICA DELL’EX CONSORZIO

DELLA BONIFICA BENTIVOGLIO-ENZA – ALLEGATO 4.2 – TIPOLOGIA MORFOLOGICA –

Scala 1:25.000

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PSC – Piano Strutturale Comunale (QUADRO CONOSCITIVO).

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ALLEGATO 3: STUDIO SUL RISCHIO IDRAULICO NEL TERRITORIO COMUNALE DI

BIBBIANO, APRILE 2009 A CURA DELL’ING. RAFFAELE MONICA DELL’EX CONSORZIO

DELLA BONIFICA BENTIVOGLIO-ENZA – ALLEGATO 10 – CARTA DEGLI ALLAGAMENTI DAL

2005 – Scala 1:25.000

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PSC – Piano Strutturale Comunale (QUADRO CONOSCITIVO).

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