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1 PROVINCIA DI AREZZO Assessorato alle Politiche del Territorio Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale Relazione Risorse Naturali

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PROVINCIA DI AREZZO Assessorato alle Politiche del Territorio

Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale

Relazione Risorse Naturali

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LE RISORSE NATURALI

La L.R n. 5/ 95 individua come Risorse Naturali da tutelare: l’Aria, l’Acqua, Il Suolo e

gli Ecosistemi Naturali della fauna e della flora, patrimonio della collettività indispensabile per assicurare la vita degli Esseri Viventi. L’uso di tali risorse è legittimo ed ammissibile purché ciò avvenga in termini di compatibilità ambientale e quindi non se ne provochi degrado sia sotto l’aspetto quantitativo che qualitativo.

“Esse esprimono (recita la legge) gli equilibri ambientali e lo stato di salute dell’ecosistema naturale a fronte dei quali è valutata la sostenibilità ambientale delle trasformazione del territorio”.

Per la loro tutela il P.T.C.P., in armonia con gli orientamenti che discendono da Piano di Indirizzzo Territoriale della Regione Toscana (P.I.T.) e nel rispetto delle Leggi e Norme vigenti in materia, fornisce ai Comuni indirizzi per la redazioni dei Piani Strutturali (P.S.) e rappresenta strumento di autogoverno per la struttura operativa della Provincia stessa.

Le norme, facente parte dei contenuti del P.T.C.P., all’art. 21 forniscono per la tutela delle Risorse Naturali i seguenti indirizzi: - per la risorsa aria: • la ricerca dell’ecocompatibilità delle nuove localizzazioni degli insediamenti produttivi

rispetto allo stato delle risorse essenziali del territorio; • il recupero delle situazioni di degrado.

- per la risorsa acqua: • la conservazione del patrimonio idrico per non pregiudicare la vivibilità dell’ambiente,

l’agricoltura la fauna e la flora, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologici, la corretta gestione delle risorse idriche superficiali e sotterranee nonché opportuni interventi di risanamento;

• il mantenimento di una efficiente rete idraulica, irrigua ed idrica, garantendo comunque che l’insieme delle derivazioni non pregiudichi il minimo deflusso vitale degli alvei sottesi, nonché la qualità delle acque.

-per la risorsa suolo: • la conservazione, la sistemazione e recupero del suolo nei sottosistemi territoriali ed

idrografici; • l’individuazione delle aree soggette a rischio di frana o di intensa erosione, sia per cause

naturali che artificiali; • l’attuazione delle necessarie misure di difesa per la diminuzione della pericolosità

geomorfologica e della vulnerabilità degli insediamenti, delle attività antropiche e delle emergenze paesistico-ambientali:

• la riperimetrazione delle zone sottoposte a vincolo idrogeologico

- per gli ecosistemi naturali della fauna e della flora e degli habitat di pregio naturalistico: • la conservazione degli ecosistemi intesa come salvaguardia, tutela e difesa delle risorse

naturali considerate nel loro complesso con particolare riguardo alla biodiversità; • la promozione di interventi di miglioramenti ambientale finalizzati alla ricostruzione degli

equilibri ecologici; • la compatibilità delle attività (anche produttive), con particolare attenzione a quelle che

impiegano risorse naturali, con gli obiettivi di cui alle precedenti lettere;

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• la promozione di attività compatibili per il tempo libero, per il turismo naturalistico, rurale e storico-artistico;

• l’incremento e la diffusione della conoscenza della risorsa attraverso la realizzazione di attività di studio e ricerca scientifica.

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RISORSA SUOLO

Per Suolo, ai sensi della Legge n. 183/1989 - “Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo” si deve intendere: Il territorio, il suolo, il sottosuo lo, gli abitati e le opere infrastrutturali.

Il suolo, ove si sviluppano processi complessi biologici e chimici, rappresenta il substrato indispensabile soprattutto per la vita delle piante e quindi per la stessa attività agricola.

Per Difesa del Suolo si intende qualsiasi attività, qualsiasi azione tendente a limitare, per quanto è possibile, la capacità erosiva delle acque e consequenzialmente contenere, per intensità ed estensione, i processi erosivi che possono determinare, tra l’altro, la scomparsa dell’orizzonte superficiale del suolo con perdita di fertilità.

Per Corso d’acqua si intendono: i corsi d’acqua, i fiumi, i torrenti, i canali, i laghi, le lagune gli altri corpi idrici.

Ciascun corso d’acqua, anche se canalizzato, va considerato come sistema naturale complesso e non come collettore idraulico.

Per Bacino Idrografico si intende: “…il territorio dal quale le acque pluviali o di fusione delle nevi e dei ghiacciai, defluendo in superficie, si raccolgono in un determinato corso d’acqua direttamente o a mezzo di affluenti, nonché il territorio che può essere allagato dalle acque del medesimo corso d’acqua, ivi compresi i suoi rami terminali con le foci in mare ed il litorale marittimo prospiciente;….”.

Il bacino idrografico – sottosistema territoriale idrografico - rappresenta inoltre l’ambito omogeneo di riferimento per l’attività conoscitiva di pianificazione, di programmazione e di attuazione delle attività programmate inerenti la Difesa del Suolo.

Sottosistemi territoriali idrografici.

Per quanto si è già detto in precedenza, ai sensi e per gli effetti della Legge 183/1989 e successive modificazioni ed integrazioni e relativamente al territorio provinciale, l’attività conoscitiva, di pianificazione, di programmazione e di attuazione, inerente la difesa del suolo, il risanamento delle acque e la gestione del patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale, devono essere riferite ai seguenti bacini idrografici (sottosistema territoriale idrografico), a sua volta articolato in “sottobacini idrografici”:

• Bacino Idrografico di rilievo nazionale del Fiume Arno distinto in:

1) sottobacino del “Casentino” individuato nel territorio di alimentazione riferito alla sezione dell’Arno all’altezza della confluenza della Chiana,

2) sottobacino della “Val di Chiana” individuato nel territorio di alimentazione riferito alla sezione della Chiana all’altezza della confluenza con l’Arno,

3) sottobacino del “Valdarno Superiore” individuato nel territorio di alimentazione riferito al tratto del fiume compreso tra la sezione di interesse posta all’altezza della confluenza del fiume Sieve e quella posta all’altezza della confluenza della Chiana;

• Bacino Idrografico di rilievo nazionale del “Fiume Tevere” relativamente alla quota del

territorio ricadente in Provincia di Arezzo; • Bacino idrografico del “Fiume Marecchia e del Fiume Conca” distinto nel:

1) bacino idrografico del “Fiume Marecchia” per la quota parte del territorio di alimentazione ricadente in Provincia di Arezzo,

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2) bacino idrografico del “Fiume Foglia” per la quota del territorio di alimentazione ricadente in Provincia di Arezzo;

• il territorio della Provincia di Arezzo per superfici insignificanti per estensione, interessa

anche i bacini idrografici, di rilievo regionale, del “Fiume Ombrone” che sfocia nel Mar Tirreno, e del “Fiume Metauro”, che sfocia nel Mar Adriatico.

Nei due bacini di rilievo nazionale dei fiumi Arno e Tevere e nel bacino di rilievo

interregionale del fiume Marecchia sono state istituite ai sensi della stessa L. 183/89 le relative Autorità di Bacino che, articolate in Comitato Istituzionale, Comitato Tecnico, Segretario Generale e segreteria tecnico-operativa, hanno il compito di adottare, anche per stralci funzionali, il Piano di Bacino, le cui risultanze sono sovraordinate rispetto agli altri livelli di pianificazione territoriale: Regionali, Provinciali, Comunali.

Comprensori di bonifica.

Inoltre con deliberazione del Consiglio regionale n. 315 del 15 ottobre 1996, in attuazione dell’art. 5 della L.R. n. 34/94 sono stati delimitati, con criteri di omogeneità sotto il profilo idrografico, i seguenti comprensori di bonifica : • Comprensorio di bonifica n. 23 “Valdarno” coincidente con il sottobacino del “Valdarno

Superiore”, • Comprensorio di bonifica n. 24 “Casentino” coincidente con il sottobacino del Fiume

Arno “Casentino”, • Comprensorio di bonifica n. 25 “Valtiberina” coincidente con la quota parte del bacino

idrografico, di rilievo nazionale, del Fiume Tevere ricadente in provincia di Arezzo, • Comprensorio di bonifica n. 26 “Alto Marecchia” coincidente con la quota parte del

bacino idrografico, di rilievo interregionale, del Fiume Marecchia e Conca ricadente in Provincia di Arezzo,

• Comprensorio di bonifica n. 27 “Alto Foglia” coincidente con la quota parte del bacino idrografico, di rilievo interregionale, del Fiume Foglia ricadente in Provincia di Arezzo,

• Comprensorio di bonifica n. 31 “Val di Chiana Aretina” pressoché coincidente con la quota parte del sottobacino idrografico Val di Chiana ricadente in Provincia di Arezzo.

Per esigenze di coordinamento e di organicità dell’attività di bonifica sono state

attribuite alla Provincia di Arezzo, relativamente ai citati comprensori, le funzioni amministrative di competenza regionale in materia di bonifica, ivi comprese le funzioni di vigilanza e controllo sui consorzi di bonifica.

Quadro Giuridico di Riferimento.

Le direttive, gli indirizzi e gli orientamenti, contenuti nelle norme del P.T.C.P, discendono dalle leggi e disposizioni vigenti emanate dalla C.E.E, dallo Stato e dalla Regione Toscana di cui, qui di seguito, riportiamo i provvedimenti più significativi: • la Legge n.183/89 “ Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della Difesa del

Suolo” e sue successive modificazioni ed integrazioni; • il R.D. n. 523/1904 “Testo Unico delle disposizioni intorno alle opere idrauliche delle

diverse categorie” con il relativo regolamento di esecuzione R.D. n. 2669/1937 ivi comprese le loro successive modificazioni ed integrazioni;

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• la legislazione statale e regionale in materia di bonifica: R.D. n. 215/1933 “Nuove norme sulla bonifica integrale”, L. n. 991/1952 “Provvedimenti in favore dei territori montani”, L.R. n. 34/ 1994 “Norme in materia di bonifica” e la D.C.R. n. 315/1996 “Delimitazioni dei comprensori di bonifica ed individuazione delle Province competenti. L.R. 34/94 art. 5 e art. 11”;

• il R.D. 8 maggio 1904 n. 368 “Titolo VI - Capo I Disposizioni per la conservazione delle opere di bonificamento e loro pertinenze”;

• la D.C.R. n. 230/1994 “Provvedimenti sul rischio idraulico ai sensi degli artt. 3 e 4 della L.R. 74/84 - Adozione prescrizioni e vincoli. Approvazione direttive”;

• il R.D. n. 3267/ 1923 “Riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi e di terreni montani” e successive modificazioni ed integrazioni;

• la D.C.R: n. 94/1985 “L.R. 17 aprile 1984, n. 21. Norme per la formazione e l’adeguamento degli strumenti urbanistici ai fini della prevenzione del rischio sismico. Direttiva - indagine geologico-tecniche di supporto alla pianificazione urbanistica”,

• la D.C.R. n. 155/1997 “direttive concernenti criteri progettuali per l’attuazione degli interventi di competenza regionale (opere pubbliche) in materia di difesa del suolo nel territorio della Toscana”;

• la D.C.R. n. 226/1995 “Piano dell’Area Protetta “0” Arno”; • la Delibera n. 107 del 15 luglio 1997 del Comitato Istituzionale dell’Autorità di Bacino

del Fiume Arno “Misure di salvaguardia per garantire l’attuazione del progetto di piano per la riduzione del rischio idraulico nel Bacino dell’Arno”;

• la Delibera n.4 del 26.06.1997 del comitato Istituzionale dell’Autorità dei Bacini Conca e Marecchia “Direttiva a Salvaguardia delle Aree del Demanio Pubblico”;

• Legge 24.02.1992 n. 225 “Istituzione del Servizio Nazionale di Protezione Civile”; • DPR 236/88 “Attuazione della direttiva CEE n.80/778 concernente la qualità delle acque

destinate al consumo umano”; • R.D. 1775/1933 “T.U. delle disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici”; • L. 319/1976 “Norme per la tutela delle acque dall’inquinamento”; • L. 36/1994 “Disposizioni in materia di risorse idriche”; • L. 37/1994 “Norme per la tutela ambientale delle aree demaniali dei fiumi, dei torrenti, dei

laghi e delle altre acque pubbliche”; • L.R. 81/1995 “Norme di attuazione della Legge 5.1.1994, n. 36, ‘Disposizioni in materia

di risorse idriche’ “; • D.M. 11/03/1988 “Norme tecniche riguardanti le indagini sui terreni, ...”;

Rivestono inoltre rilevante importanza per lo svolgimento di un’azione efficace di

conservazione e difesa del suolo i seguenti provvedimenti: • il programma degli interventi strutturali finalizzati alla messa in sicurezza dei Bacini

idrografici toscani ai sensi e per gli effetti della L.R. 50/94 approvato con D.C.R. n.126/1995;

• l’accordo di programma per la messa in sicurezza idraulica del Bacino del Valdarno Superiore approvato con D.P.G.R. n. 17/1996;

• il Piano Regionale degli interventi di ripristino e prevenzione - L. n. 265/1995 approvato con D.C.R. n. 815/1996;

• il programma degli interventi di realizzazione di nuove opere pubbliche di bonifica e manutenzione di quelle approvato con Del. C.P. n.179 del 3.12.1997;

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Gli atti di cui sopra indicati vengono assunti dal Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale con le integrazioni contenute nel P.T.C.P. stesso e costituiscono elementi di indirizzo per gli S.U. comunali e per la pianificazione territoriale di settore.

In particolare vengono assunti e recepiti i contenuti della Del. C.T.R. n.230/94 in ordine: ai criteri di individuazione dell’ambito A1 e A2, all’elenco dei corsi d’acqua ed ai criteri di individuazione dell’ambito denominato “B” per cui i Comuni nell’elaborazione dei Piani Strutturali dovranno conformarsi: • alle prescrizioni e vincoli di cui agli artt. 3 e 4 della delibera medesima, • alle direttive contenute negli artt. 6 e 7 previste, rispettivamente, sia per l’ambito A1 e B

che relativamente all’intero territorio comunale.

Come atto sovraordinato è stata recepita nel P.T.C. la Delibera n. 107 del 15 luglio 1997 del Comitato Istituzionale dell’Autorità di Bacino del Fiume Arno “Misure di salvaguardia per garantire l’attuazione del progetto di piano per la riduzione del rischio idraulico nel Bacino dell’Arno” che pone sotto vincolo di non edificazione, per motivi idraulici ed idrogeologici e per consentire l’attuazione del Piano stesso:

a) le aree delimitate nella “Carta degli interventi proposti per la riduzione del rischio idraulico nel bacino dell’Arno” allegata al progetto di piano medesimo, inerenti le aree di espansione, le casse ed i serbatoi di laminazione e gli interventi di laminazione con “bocche tarate”;

b) le aree golenali e di prima pertinenza fluviale indicate con P1 e P nella legenda della “Carta delle aree di pertinenza fluviale disponibili per la regimazione dell’Arno e dei suoi affluenti” allegata anch’essa al Progetto di Piano allegato.

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TUTELA IDRAULICA

Il Piano Territoriale di Coordinamento pone tra gli obbiettivi principali da conseguire la difesa e la conservazione del suolo ed in specie la difesa delle aree di fondovalle e delle aree collinari e montane dagli eventi di piena e dall’azione erosiva delle acque di scorrimento superficiale.

E’ noto come qualora si verificano piogge di particolare intensità le aree di fondovalle, contermini ai corsi d’acqua, vengono invase dalle acque di piena sia per sormonto delle sponde che per rotte arginali. Sempre più spesso le aree agricole di pianura vengono interessate da prolungati allagamenti e ristagni d’acqua dovuti all’inesistenza ed all’inefficienza del reticolo idraulico minore. Nelle periferie urbane poi queste manifestazioni si verificano quasi ad ogni piovasco perché con l’urbanizzazione di queste aree il terreno è stato impermeabilizzato e le preesistenti affossature sono state intercettate e sconvolte senza per lo più essere state sostituite da un efficace sistema scolante.

In collina ed in montagna sia nei terreni abbandonati dall’agricoltura che in quelli tuttora destinati ad attività agricole si manifestano processi erosivi, dovuti alla capacità di trasporto delle acque, che sono particolarmente intensi e gravi laddove le sistemazioni dei terreni sono fatiscenti e le affossature sono inesistenti. Ciò comporta, per l’aumento della velocità di deflusso delle acque, la diminuzione dei tempi di corrivazione con il conseguente aumento dei picchi di piena a parità di precipitazioni.

Quanto osservato in precedenza assume maggior rilevanza se si tiene in considerazione il grado di intensità sistematoria a cui è stato assoggettato la gran parte del nostro territorio, intendendosi per intensità sistematoria il rapporto percentuale fra la superficie complessiva dei terreni interessati da sistemazioni e la superficie complessiva del territorio di riferimento. Ad es., prima delle grandi trasformazioni avvenute anche nella nostra provincia dagli sessanta in poi, nel Casentino (inteso come sottobacino idrografico) circa il 50 ÷ 70 % della superficie catastale fu interessata da sistemazioni, mentre nella Vadichiana si sale ad un coefficiente pari al 70 ÷ 80 % della sua superficie catastale complessiva.

Da ciò si ricava quanto anche il territorio aperto sia stato interessato da attività antropiche e quindi si può facilmente dedurre quali conseguenze, soprattutto in termini di sicurezza, potrebbero derivare dall’abbandono e da comportamenti impropri. Carta della pericolosità geomorfologica ed idraulica.

La “ Carta della pericolosità geomorfologica ed idraulica”, facente parte della parte propositiva degli elaborati costitutivi il P.T.C.P., è stata redatta in scala 1:50.000 e fornisce ai Comuni indicazioni, utili per la redazione dei Piani Strutturali, sulle aree che sono soggette frequentemente ad essere interessate da fenomeni alluvionali. Considerate le caratteristiche geomorfologiche e fisiche in generale sono da considerarsi aree di pertinenza idraulico-fluviale.

Anche se non è stata codificata una definizione comune si precisa che per aree di pertinenza idraulico-fluviale si intendono quelle aree contermini ai corsi d’acqua che sono soggette, anche saltuariamente, ad essere invase dalle acque di piena. L’avere aggiunto l’aggettivo idraulico significa aver voluto sottolineare in questo caso l’aspetto legato alla dinamica delle piene non tenendo conto degli altri aspetti quali quelli naturalistici, biologici ecc… che, pur importanti nel contesto generale dell’ecosistema fluviale, sono meno significativi in termini di sicurezza idraulica

L’elaborato cartografico in esame non è altro che la sintesi di indagini, ricerche approfondite e di maggior dettaglio, elaborate ad una scala ridotta rispetto alla scala 1:50.000, che sono a disposizione dei Comuni per l’elaborazione dei Piani Strutturali stessi.

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Metodologia applicata per la individuazione delle aree soggette a rischio idraulico. Per la perimetrazione delle aree soggette a rischio idraulico, soprattutto localizzate nei fondovalle, non è stato possibile basarci su criteri idrologici ed idraulici perché il nostro territorio e la rete idrografica stessa non sono sufficientemente dotati di stazioni di misurazione delle portate e della piovosità. Esistono solo tre stazioni idrometrografiche: due sono sull’asta principale dell’Arno a Stia e Subbiano, la terza si trova sul canale maestro della Chiana in località Ponte alla Nave. Le stazioni di misurazione della pioggia sono più numerose ma non sono ben distribuite sul territorio. Per la valutazione della dinamica d’alveo sono a disposizione solo le sezioni trasversali rilevate periodicamente dall’idrografico nel tratto del fiume Arno che va dal confine provinciale sino alla diga di Levane. Solo in occasione della elaborazione del “Piano di Bacino dell’Arno inerente lo stralcio relativo all’attenuazione del rischio idraulico” il rilevamento delle sezioni è stato esteso anche al tratto superiore. Si è operato quindi con metodo induttivo tenendo conto di: • criteri legati ai passati eventi di piena.

Sulle tavolette della C.T.R., in scala 1:10.000, sono state perimetrate e definite come “aree esondate” le superfici interessate dagli eventi alluvionali del 1966, del 1992 e 1993 e per la Valdichiana quello verificatosi nel 1991, purché sia stato possibile documentarlo in modo inequivocabile. Non abbiamo preso in considerazione eventi alluvionali verificatisi in anni precedenti o perché scarsamente documentati sia perché i dati rilevati non potrebbero essere del tutto attendibili per le modificate caratteristiche fisiche ed antropiche del bacino di alimentazione sotteso alla sezione di interesse. Così come non sono state riportate in cartografia le aree interessate da eventi alluvionali localizzati perché queste stesse aree sono state coinvolte anche dalle alluvioni del 1966,1992 e 1993.

• Criteri geomorfologici. Sono state perimetrate come aree esondabili quelle superfici che i Comuni, nei P.RG. hanno individuato come ambito “ B” ( D.C.R. n. 230/94) o che la morfologia e la presenza di sistemi di arginature testimonino che queste siano a rischio di alluvione.

• Criteri storici. Si è provveduto, limitatamente ai tratti vallivi dei principali corsi d’acqua e dei loro affluenti, ad un analisi delle modificazioni subite dagli alvei nel corso degli ultimi secoli mediante sovrapposizione su cartografia attuale, in scala 1:10.000, degli andamenti degli alvei rilevabili dal catasto “lorenese”. Le ricerche di archivio sono state estese a periodi precedenti per quei tratti di corsi d’acqua che risultano ave re assunto l’andamento attuale precedentemente all’effettuazione dei rilevamenti catastali stessi. L’individuazione dei paleoalvei è importante perché in occasione di alluvione perché lungo le loro direttrici si sviluppano le correnti più veloci essendo, di norma, in basso morfologico rispetto al terreno circostante. E’ ovvio purché non siano avvenuti riempimenti e modellamenti artificiali. Non sono stati riportati nella “ Carta della pericolosità geomorfologica ed idraulica” perché la scala di 1:50.000 non è adeguata per simili elaborazioni. Comunque tali informazioni sono a disposizione per l’elaborazione dei Piani Strutturali medesimi.

• Criteri legati all’analisi dei sistemi di opere idrauliche. Si è provveduto a rilevare, riportandoli in cartografia, i complessi di opere idrauliche, soprattutto arginature, che furono realizzate per la difesa ed il presidio idraulico delle aree di fondovalle esistenti prima delle grandi trasformazioni subite con l’urbanizzazione e con la riorganizzazione dei terreni agricoli, aumento della superficie dei campi, consequenziale all’impiego delle macchine operatrici per la conduzione dei fondi. La presenza di queste opere testimonia chiaramente che le aree così presidiate erano in origine soggette a frequenti inondazioni. Il grado di rischio idraulico in queste aree dipende dallo stato di efficienza di queste opere. E’ elevatissimo laddove queste opere

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sono state danneggiate o asportate da eventi di piena o sono state manomesse da interventi antropici.

Comunque si forniscono ai Comuni informazioni ed elementi più che sufficienti per la individuazione delle aree a rischio idraulico secondo i criteri di pericolosità definiti dalla D.C.T. n. 230/94. Si deve considerare inoltre che per le altre aree ( bianche in cartografia ) e per i restanti tratti di corsi d’acqua sono comunque operanti i contenuti della D.C.R.T. citata in quanto, come si è detto, sono stati assunti e recepiti nel P.T.C.P. per cui i Comuni nell’elaborazione del Piani Strutturali dovranno conformarsi sia al dettato di cui agli artt. 3 e 4 ed alle direttive contenute negli artt. 6 e 7. In conclusione il quadro conoscitivo, gli elaborati propositivi e i contenuti delle norme rappresentano indirizzo ed orientamento per conseguire in materia di difesa e conservazione del suolo i seguenti obiettivi specifici: • restituire ai corsi d’acqua, anche se canalizzati, le funzioni di sistema naturale complesso,

cessando quindi di considerarli esclusivamente come collettori idraulici; • ridurre il rischio idraulico entro limiti accettabili in tutto il territorio, con particolare

riguardo alle aree di fondovalle contermini alle aste fluviali, ora soggette frequentemente ad esondazione incontrollata;

• mettere in sicurezza idraulica le aree urbanizzate e le infrastrutture presenti nei fondovalle, almeno per piene con tempo di ritorno duecentennale;

• operare sui territori pianeggianti, collinari e montani con interventi di sistemazione idraulica, idraulico agraria ed idraulico forestale finalizzati a contenere i picchio di piena, aumentando i tempi di corrivazione e riducendo il coefficiente di deflusso e la produzione di sedimenti;

• salvaguardare e restituire efficienza e funzionalità ai sistemi di arginature longitudinali e trasversali presenti nelle aree di fondovalle ed alle opere trasversali (briglie o traverse) presenti nei tratti montani dei corsi d’acqua.

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TUTELA GEOMORFOLOGICA

Il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale pone fra gli obiettivi primari la difesa del suolo, da attuarsi attraverso la conservazione, la sistemazione ed il recupero del suolo nei sottosistemi territoriali attraverso interventi idrogeologici, idraulici, idraulico-forestali, idraulico-agrari, silvo-pastorali, di forestazione e di bonifica, nonché la concertazione delle attività pianificatorie alle varie scale. Fondamentale risulta pertanto l’individuazione delle aree soggette a rischio di frana o di intensa erosione, sia per cause naturali che artificiali, per la realizzazione delle misure di difesa per l’attenuazione del rischio attraverso interventi diretti sia alla diminuzione della pericolosità geomorfologica che della vulnerabilità degli insediamenti, delle attività antropiche e delle emergenze paesistico-ambientali esposte al rischio stesso.

Ai fini del quadro conoscitivo del piano è stata elaborata per il settore della difesa del suolo la “Carta della pericolosità geomorfologica ed idraulica”, che rappresenta la zonizzazione a livello provinciale del grado di dissesto idrogeologico del territorio e che fornisce la base per la programmazione delle indagini di dettaglio per le aree di potenziale pericolo. Tale elaborato, valido come quadro conoscitivo preliminare per le problematiche relative alla stabilità dei versanti e al rischio idraulico, viene assunto dal PTCP come inquadramento generale ai fini della determinazione delle linee di evoluzione dei sistemi urbani e delle conseguenti localizzazioni di insediamenti ed infrastrutture.

Nei paragrafi che seguono sono illustrate le modalità di redazione della carta della pericolosità geomorfologica, le cui linee guida sono da ritenersi valide anche per gli approfondimenti a cui dovranno uniformarsi gli strumenti urbanistici comunali.

La Carta della Pericolosità Geomorfologica Premessa

La probabilità di occorrenza di processi di instabilità geomorfologica, caratterizzati da una data intensità, in una determinata area ed in un determinato intervallo di tempo viene espressa dalla pericolosità geomorfologica. Tale definizione implica che la valutazione completa della pericolosità geomorfologica del territorio comprende molteplici aspetti previsionali legati sia a valutazioni di carattere spaziale e temporale, che a previsioni circa la severità con cui potrà manifestarsi ed evolversi l’evento di instabilità.

A tale scopo si rende necessaria la conoscenza di informazioni dettagliate ed omogeneamente distribuite sul territorio che risulta onerosa quando si operi su ampia scala come nel caso del territorio provinciale. Appare dunque opportuno limitare la valutazione della pericolosità geomorfologica ad alcuni suoi aspetti ed in particolare al suo aspetto spaziale che assume un carattere prioritario ai fini della pianificazione territoriale, tralasciando così la valutazione della probabilità d’occorrenza dei processi d’instabilità in termini assoluti o temporali.

Con questo tipo di approccio si ottiene una valutazione della pericolosità relativa e cioè una stima della differente probabilità d’occorrenza di fenomeni di instabilità geomorfologica fra le diverse porzioni del territorio, attraverso la sua zonizzazione in differenti classi di pericolosità relativa.

Dal punto di vista operativo l’approccio prevede una prima fase di raccolta di tutte le informazioni esistenti sui fenomeni di instabilità presenti nel territorio studiato, allo scopo di definire un quadro quanto più esaustivo possibile circa lo stato di dissesto. Tali informazioni possono essere sia di tipo areale (cartografia geomorfologica, cartografia della dinamica delle forme) che di tipo puntuale (schedatura dei fenomeni franosi, segnalazioni di dissesti), e provenienti da diverse fonti (Enti locali , Università).

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Il risultato di questa prima fase porta alla definizione di un quadro, obiettivo e sistematico (in quanto privo di interpretazioni personali o di sintesi) delle forme di instabilità presenti sul territorio, senza tuttavia assumere un carattere previsionale sulla possibile evoluzione spaziale dei fenomeni di dissesto. Tale elaborato viene spesso indicato come carta della stabilità dei versanti.

Il passaggio dal quadro conoscitivo a quello previsionale richiede la conoscenza di ulteriori elementi che consentano di valutare la possibilità di evoluzione e/o l’innesco di nuovi processi di instabilità geomorfologica in aree dove questi non sono attualmente presenti; a tale scopo si rende necessaria l’integrazione del quadro conoscitivo con una serie di elaborati tematici che contengano quei fattori che influiscono sulla genesi e sull’evoluzione dei processi di instabilità. Tali elementi, definiti fattori d’instabilità, comprendono le caratteristiche territoriali quali ad esempio la litologia, il clima, la topografia, etc. che costituiscono le possibili cause d’innesco e di evoluzione dei processi geomorfologici.

Poiché i fattori d’instabilità sono molteplici e la loro elaborazione presenta un oggettiva difficoltà, operando su vasta scala è opportuno limitare il numero dei tematismi a quei fattori di più facile acquisizione e che al tempo stesso siano direttamente correlabili all’innesco ed all’evoluzione dei processi di instabilità nel contesto ambientale considerato.

La sintesi fra i fattori d’instabilità (cause dell’instabilità) ed il quadro attuale del dissesto (effetti dell’instabilità) è l’operazione che conduce alla suddivisione del territorio in classi di pericolosità relativa e, in ultima ana lisi, alla stesura della carta della pericolosità geomorfologica.

Circa le procedure di elaborazione dei dati raccolti esistono numerose esperienze basate su procedure statistiche o sull’analisi della distribuzione dei processi in atto (indicizzazione degli effetti) o dei fattori della franosità (indicizzazione delle cause). Tali procedure che presentano il vantaggio di essere condotte in maniera rigorosa e quindi oggettive e riproducibili, richiedono un notevole dettaglio nella raccolta dei dati di base, cosa difficilmente attuabile operando a vasta scala.

In tal caso si può ovviare a tale inconveniente ricorrendo a metodologie semplificate, basate sull’osservazione dei processi in atto e su valutazioni relative alle modalità di innesco ed evoluzione di tali fenomeni di instabilità.

Carta della pericolosità geomorfologica della provincia

La procedura adottata per la realizzazione della carta della pericolosità geomorfologica della Provincia di Arezzo si inquadra in quest’ultimo tipo di metodologie avendo come fine ultimo la valutazione della pericolosità relativa su base empirica.

Alla luce della caratteristiche geomorfologiche presenti sul territorio studiato e della loro distribuzione, ai fini della valutazione della pericolosità geomorfologica si è ritenuto di focalizzare l’attenzione su quei processi morfogenetici più diffusi sul territorio e cioè ai movimenti gravitativi, ai processi di erosione idrica ed ai processi antropici che nel complesso costituiscono la quasi totalità dei dissesti presenti sul territorio provinciale.

Rimangono esclusi alcuni processi morfogenetici legati all’azione sismica (liquefazione dei terreni, instabilità connessa a fenomeni di amplificazione della risposta sismica) per i quali non si dispone, a scala provinciale, di un quadro sufficientemente esauriente di informazione per una corretta valutazione della pericolosità.

La procedura adottata ha previsto l’utilizzo di una cartografia geomorfologica di base (SOTECO, 1985) che è stata integrata da ulteriori informazioni secondo i criteri che verranno descritti di seguito. L’aggiornamento della cartografia di base ha portato ad un’integrazione del quadro conoscitivo del dissesto del territorio dal quale si è resa possibile una suddivisione preliminare del territorio come segue:

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• Zone in cui sono presenti rilevanti evidenze di fenomeni di instabilità geomorfologica in atto (attivi o quiescenti);

• Zone in cui sono presenti alcune evidenze o indizi di fenomeni di instabilità geomorfologica incipiente ovvero zone in cui sono presenti evidenze di fenomeni di instabilità geomorfologica avvenuti in passato ed attualmente stabilizzati;

• Zone in cui non sono presenti evidenze di instabilità geomorfologica.

Tale suddivisione ha costituito una prima base per la valutazione spaziale della pericolosità geomorfologica relativamente ai processi attivi o a quelli passibili di riattivazione. Ad ognuna delle classi individuate è stato infatti attribuito un diverso grado di pericolosità geomorfologica basato sulla presenza o meno di processi di instabilità e sul loro stato di attività.

In particolare alle aree ricadenti nella prima classe è stata attribuito il grado di pericolosità più elevato in quanto si tratta di aree interessate da processi che non hanno raggiunto condizioni di equilibrio e quindi da forme in evoluzione più o meno continua. Viceversa le aree incluse nella seconda classe comprendono sia zone in cui sono state rilevate evidenze geomorfologiche e litologiche di potenziale instabilità che i fenomeni franosi stabilizzati (paleofrane).

Il confronto la cartografia geomorfologica SOTECO (1985) e la schedatura dei fenomeni franosi (1997) ha evidenziato che la maggioranza delle frane attive rilevate nel censimento sono ubicate nell’ambito di aree già individuate da SOTECO come paleofrane ovvero come aree che presentano sintomi di instabilità. Tenendo presente che tale confronto è stato operato fra rilevamenti compiuti a distanza di circa un decennio si può ritenere che molti dei fenomeni franosi attualmente presenti sul territorio provinciale siano legati alla riattivazione di frane preesistenti o all’evoluzione di zone interessate da processi di instabilità generalizzata. L’insieme di tali considerazioni ha portato ad attribuire a tali aree un grado intermedio di pericolosità in quanto comprendono zone potenzialmente instabili.

Infine alle aree non interessate da processi di instabilità né da evidenze di instabilità incipiente è stato attribuito un basso grado di pericolosità.

Mentre la prima fase ha portato alla valutazione spaziale della pericolosità basata prevalentemente su considerazioni geomorfologiche e quindi connessa alla possibilità di riattivazione o evoluzione dei processi geomorfologici già presenti sul territorio, la fase successiva ha previsto la zonazione del territorio alle aree attualmente non interessate da processi di instabilità geomorfologica dove tuttavia non si può escludere l’innesco di processi di neoformazione.

A tale scopo la zonazione del territorio in classi di pericolosità relativa si è basata sulle caratteristiche fisiche e morfologiche del territorio che sono comunemente correlabili alla stabilità dei versanti quali le caratteristiche litologiche dei terreni affioranti e l’acclività dei versanti. L’approccio utilizzato è stato quindi di tipo qualitativo; l’insieme delle elaborazioni hanno condotto alla definizione di 4 classi di pericolosità geomorfologica relativa:

Classe di pericolosità

Colore

Descrizione

Elevata Rosso • Zone in cui sono presenti frane attive • Zone caratterizzate dalla presenza di scarpate att ive • Zone calanchive

Media Arancio • Paleofrane • Zone in cui sono presenti intensi fenomeni di erosione incanalata • Aree coinvolte in movimenti di massa generalizzati • Aree caratterizzate da elevate pendenze • Aree di affioramento di terreni con scadenti caratteristiche meccaniche

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Bassa Giallo • Aree distanti da aree interessate da processi morfogenetici attivi o inattivi (frane, orli di scarpate, paleofrane)

• Zone in cui non sono presenti evidenze di instabilità geomorfologica né caratteristiche litologiche e/o di acclività dei versanti tali da farle ritenere potenzialmente instabili

Assente Bianca • Aree di fondovalle non soggette a fenomeni gravitativi Dati di base sullo stato di dissesto

Il documento di base utilizzato per la stesura della carta della pericolosità geomorfologica è costituito dalla carta geomorfologica in scala 1:25.000 redatto da SOTECO (1985) che a tutt’oggi costituisce l’elaborato geomorfologico di maggior dettaglio, che al tempo stesso copre uniformemente tutto il territorio provinciale.

Per l’integrazione e l’aggiornamento della cartografia geomorfologica di base sono stati utilizzati i documenti disponibili presso l’amministrazione provinciale e le elaborazioni cartografiche e gli studi sul territorio aretino reperibili in letteratura. A tale scopo ci si è avvalsi sia di informazioni di tipo estensivo cartografico (varie cartografie geomorfologiche di dettaglio) che di archivi di tipo puntuale censuario (schedatura delle aree degradate, segnalazioni di dissesti).

Oltre alla summenzionata cartografia geomorfologica i principali documenti utilizzati per un aggiornamento della cartografia SOTECO hanno compreso: • Documenti cartografici:

- Carta del Valdarno - Carta del Casentino

• Archivi - Censimento delle frane - Censimento delle cave - Censimento AVI

Un ulteriore aggiornamento alla cartografia geomorfologica di base è stato possibile utilizzando la Carta geomorfologica in scala 1:25.000 dei bacini idrografici del T. Conca e del F. Marecchia in corso di realizzazione, per la porzione inclusa nella Provincia di Arezzo, presso questa amministrazione. Criteri di elaborazione della cartografia geomorfologica

In generale per una corretta interpretazione delle forme e dei processi riportate sulla cartografia di base, oltre che per un aggiornamento delle informazioni, ci si è avvalsi sia della fotointerpretazione sui fotogrammi del volo 1996, che dei sopralluoghi condotti sul terreno; tali verifiche hanno consentito un confronto fra le forme riportate in cartografia ed i processi in atto sui versanti.

Per quanto riguarda le informazioni relative ai fenomeni franosi s.s. nella cartografia geomorfologica SOTECO viene operata una distinzione fra frane attuali e recenti, paleofrane ed aree soggette a franosità per crollo.

Per quanto riguarda tali fenomeni oltre alle suddette verifiche effettuate con la fotointerpretazione ed i sopralluoghi condotti sul terreno, ci si è avvalsi anche delle informazioni derivanti dalla schedatura dei fenomeni franosi.

Malgrado che la maggioranza delle frane sia riportata nelle schede in maniera puntuale, facendo cioè riferimento alle coordinate del baricentro dell’area in frana e non ai suoi limiti, le informazioni ricavabili dalle schede hanno consentito in primo luogo la classificazione dei fenomeni franosi e la definizione del loro stato di attività. Inoltre sono state acquisite informazioni circa le cause dell’innesco delle frane censite che hanno consentito di individuare i criteri da adottare per la previsione delle loro possibili evoluzioni spaziali.

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Per alcune aree particolarmente critiche dal punto di vista della franosità (Chiusi della Verna, area del Sasso di Simone e Simoncello) le informazioni riportate dalla cartografia SOTECO sono state integrate con le cartografie di dettaglio redatte nell’ambito di pubblicazioni scientifiche impostate su tali aree.

Infine per quanto riguarda i bacini intermontani del Valdarno Superiore e del Casentino un’ulteriore fonte di aggiornamento è stata la cartografia geomorfologica del bacino idrografico dell’Arno realizzata dal Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze.

L’insieme delle indagini e delle verifiche hanno evidenziato che le simbologie indicate da SOTECO come nicchia di distacco ed accumulo di frane recenti ed attuali comprendono le frane classificabili come scivolamenti di tipo rotazionale e traslativo. Si tratta in entrambi i casi di movimenti che si verificano a causa dell’azione concomitante della gravità e delle acque di infiltrazione.

Nel primo caso la dinamica del movimento, che avviene lungo una superficie di scorrimento concava, produce l'abbassamento della parte sommitale, talvolta con la formazione di contropendenze e di una o più scarpate principali (nicchia di distacco), mentre nella zona a valle si forma un rigonfiamento dovuto all'accumulo del materiale franato (corpo di frana).

Viceversa nelle frane di scivolamento traslativo, la massa si sposta lungo una o più superfici piane spesso corrispondenti a discontinuità preesistenti (strati) in corrispondenza del passaggio tra livelli a diversa composizione litologica; in altri casi il movimento si verifica al contatto tra roccia in posto e detrito sovrastante, ovvero tra roccia alterata e roccia fresca sottostante.

Dal punto di vista dello stato di attività delle forme la categoria include sia fenomeni franosi attivi (forme in evoluzione al momento del rilevamento ovvero soggette a movimenti con tempo di ritorno stagionale), che le frane quiescenti (fenomeni franosi passibili di riattivazione in quanto le cause che le hanno generate non sono state rimosse e pertanto possono subire ulteriori evoluzioni nel tempo e nello spazio). In ogni caso, ai fini previsionali, tali aree sono da considerare ad elevata pericolosità in quanto le forme sono da considerarsi in continua (o intermittente) evoluzione.

Un’ulteriore tipologia di frane viene indicata da SOTECO come aree soggette a franosità per crollo; queste comprendono sia le pendici dalle quali avviene il distacco di frammenti di roccia, in caduta libera, a balzi oppure rotolando lungo il versante, che le aree soggette all’accumulo di tali materiali. Il verificarsi di tali fenomeni, che interessano principalmente rocce coerenti, è favorito dalla presenza di fessurazioni e fratture preesistenti.

Altri movimenti franosi peculiari dei depositi fluviolacustri del Valdarno Superiore sono costituiti da frane di crollo presenti lungo le scarpate nelle aree di affioramento dei materiali più cementati e ne determinano il progressivo arretramento (le Balze). Il distacco del materiale, in genere in forma di lame, è preceduto dalla formazione di fratture sub-verticali, parallele alla scarpata, che si formano per sforzi di trazione a cui il materiale è sottoposto, soprattutto per cedimento ed erosione delle unità limoso-argillose sottostanti.

In questo caso le forme cartografate sono da considerarsi attive e di conseguenza sia l’area interessata dall’accumulo che un congruo intorno della scarpata sono state considerate ad elevata pericolosità.

Viceversa le forme cartografate da SOTECO come paleofrane corrispondono ai fenomeni franosi stabilizzati ossia quei fenomeni che non possono essere riattivati dalle stesse cause che li hanno generati in quanto queste ultime sono state rimosse naturalmente o artificialmente. In realtà la sovrapposizione delle frane censite con la cartografia di base ha evidenziato parziali riattivazioni di paleofrane che tuttavia hanno coinvolto porzioni marginali di queste, ovvero nuove porzioni di versante in aree adiacenti ai limiti della

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paleofrana (es. frane retrogressive, avanzanti, etc.) ma con una dinamica diversa rispetto al movimento originario.

Tali osservazioni hanno confermato che le aree indicate da SOTECO come paleofrane così come le aree ad esse adiacenti sono da interpretare come zone potenzialmente instabili e quindi, sono state incluse fra le aree a media pericolosità.

Ulteriori forme riconducibili a movimenti gravitativi sono le zone definite come aree coperte da detriti soggette a franosità per forte acclività. In questo caso i controlli sulle foto aeree ed i sopralluoghi sul terreno hanno evidenziato che in molti casi si tratta di zone di accumulo di detriti di versante ovvero di residui di corpi di frana in fase di smantellamento da parte dei processi di erosione s.l.. Anche in questo caso sono state osservate parziali riattivazioni di tali forme favorite dalle scadenti caratteristiche meccaniche dei materiali e anche dalla elevata pendenza. In generale l’evoluzione degli accumuli avviene sia ad opera dei processi di erosione idrica con la formazione di fossi di ruscellamento concentrato che per movimenti gravitativi del tipo scivolamento traslazionale; ciò viene confermato dalle numerose frane attive segnalate nel censimento dei fenomeni franosi e localizzate in queste aree. Anche in questo caso le aree interessate da questi processi sono da considerarsi potenzialmente instabili e quindi da includere in una classe di pericolosità intermedia.

Un’altra tipologia di dissesti rappresentati nella cartografia SOTECO è relativa alle aree interessate da movimenti di massa generalizzati in particolari situazioni geolitologiche: vengono infatti individuate le aree prevalentemente argillose soggette a scivolamenti gravitativi e le aree prevalentemente argilloso-sabbiose soggette a franosità.

In entrambi i casi si tratta di forme prodotte da movimenti gravitativi, caratterizzati da un’estrema lentezza e dall’assenza di una superficie di scorrimento definita, e che pur denunciando un movimento di massa lungo il versante, non rientrano in una ben definita tipologia di fenomeni franosi. Tuttavia, anche in questo caso, la sovrapposizione delle aree in frana rilevate nell’ambito del censimento dei fenomeni franosi ha evidenziato l’evoluzione dei processi attivi in queste aree in frane di scorrimento traslazionale o rotazionale. Dal punto di vista della potenziale instabilità le forme ora descritte sono da considerarsi instabili nella stessa misura in cui sono state considerate le aree precedenti e quindi caratterizzate da una pericolosità intermedia.

Passando a esaminare i processi connessi all’azione delle acque superficiali nella cartografia di base vengono indicate le aree soggette a franosità per scalzamento al piede da parte di un corso d’acqua; le verifiche effettuate hanno evidenziato che con la stessa simbologia vengono indicati due differenti tipi di forme accomunate tuttavia dallo stesso meccanismo d’innesco e cioè dall’azione di erosione lineare e laterale operata dalle acque di scorrimento superficiale incanalato. In particolare rientrano in detta categoria sia le forme di erosione spondale, che si verificano lungo i corsi d’acqua nelle aree di pianura, che le frane sui rilievi che si innescano per mancanza di sostegno al piede del versante provocata dall’azione di incisione del corso d’acqua.

In entrambi i casi le forme cartografate sono caratterizzate da uno stato attività di tipo attivo o quiescente per cui si ritiene che debbano essere considerate zone ad elevata pericolosità.

Altre forme dovute all’azione delle acque superficiali, diffuse ed incanalate sono presenti nelle aree caratterizzate dalla presenza di calanchi. Com’è noto si tratta di forme derivanti dall’azione combinata di processi di erosione idrica e movimenti di massa. L’azione dei primi avviene in forma concentrata lungo le linee di impluvio e diffusa lungo i versanti delle vallecole mentre i movimenti di massa coinvolgono spessori abbastanza superficiali in scivolamenti traslativi o rotazionali.

Tenuto conto della rapida evoluzione delle forme calanchive si è resa necessaria una riperimetrazione di tali aree che è stata effettuata sulle base dell’osservazione delle foto aeree.

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Sintesi dello stato del dissesto geomorfologico nella Provincia di Arezzo

Nel territorio provinciale, articolato nelle quattro vallate principali, è presente una grande varietà di fenomeni franosi che riflettono le diverse situazioni geologiche esistenti.

Nel Casentino sono diffusi numerosi fenomeni franosi, talora di notevole estensione, che coinvolgono le formazioni rocciose arenacee delle dorsali con scivolamenti che si verificano lungo gli strati argillitici (Serelli, Valdalena, Le Mottacce, Monte di Gianni, Ortaglia, Banzena). Molto estesi arealmente sono i fenomeni franosi individuati nell’area de La Verna caratterizzati da frane di colamento nei litotipi argillosi sottostanti il monte della Verna soggetto a sua volta a crolli di roccia lungo il suo perimetro che compromettono la stabilità del Convento Francescano.

In Valtiberina sono assai frequenti parziali riattivazioni di antiche frane o di accumuli detritici, che in molti casi sono innescate dall’erosione alla base delle pendici ad opera dei corsi d’acqua (Cerignone; zona di Valsavignone, frane lungo il tratto della SS Valtiberina 3 bis a monte di Valsavignone). Altri fenomeni franosi, che talora si estendono a gran parte dei versanti, si verificano lungo le pendici argillose con scivolamenti talora associati a locali fenomeni di colamento (Cercetole; Bulciano, Bulcinella, Poggio Sambuco - Viamaggio).

La porzione aretina della Valmarecchia è caratterizzata da diverse tipologie di frane che si verificano sia sulle formazioni lapidee (Pozzale, San Patrignano) che su quelle argillose (Tramarecchia), in entrambi i casi favorite dai processi di erosione da parte dei corsi d’acqua alla base dei versanti. Molto estesi in quest’area sono anche i fenomeni di erosione calanchiva che si sviluppano sulle marne presenti nell’area di Badia Tedalda.

Nella valle del Foglia i più evidenti fenomeni di instabilità geomorfologica si localizzano nell’area Sasso di Simone – Simoncello dove sono assai diffusi sia processi di erosione idrica (estesi aree calanchive) che fenomeni franosi di diversa estensione e tipologia simili a quelli descritti per l’area della Verna. Altri processi di instabilità sono frequenti su gran parte del territorio con frane complesse di tipo scorrimento – colamento (Bacino del fosso di Martigliano, Caipasqua).

Il territorio della Valdichiana è quello che presenta a livello provinciale la minore percentuale di aree instabili; gli unici fenomeni franosi sono da ricondursi a scivolamenti su roccia (formazioni arenacee) diffusi nella zona di Cortona ed a limitati movimenti superficiali che coinvolgono i sedimenti fluviolacustri nelle aree collinari intensamente coltivate.

Il territorio del Valdarno costituisce una situazione a se stante nel panorama provinciale in quanto caratterizzato da estesi affioramenti di depositi fluviolacustri fortemente incisi dai corsi d’acqua affluenti dell’Arno. In particolare, nell’area compresa tra il corso principale e le pendici della dorsale del Pratomagno, tali incisioni hanno dato luogo alle caratteristiche forme delle balze; queste sono delimitate da scarpate subverticali nei livelli sabbioso-conglomeratici lungo le quali si verificano crolli associati a frane di colamento dei depositi argillosi sottostanti. A quest’ultima tipologia di fenomeni sono ascrivibili le estese frane di Valdilago e di Poggilupi che coinvolgono anche la sede dell’autostrada. Ulteriori fenomeni di instabilità sono connessi alla presenza dell’attività estrattiva di lignite nel comprensorio di S.Barbara che ha determinato ingenti trasformazioni morfologiche in un’area caratterizzata dall’affioramento di litologie argillose. La normativa del PTCP in materia di rischio geomorfologico

Nel PTCP nei riguardi del rischio geomorfologico sono stati indicati gli indirizzi per la redazione della pianificazione urbanistica riguardante gli interventi di trasformazione in funzione del grado di pericolosità delle varie aree. In particolare nelle aree ad elevata instabilità le trasformazioni più consistenti (es. nuove edificazioni, viabilità, …) sono da subordinarsi a studi e ad interventi tesi alla mitigazione del livello di rischio.

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Sempre nell’ambito degli studi per la redazione del PTCP è stata predisposta la revisione del Regolamento provinciale del vincolo idrogeologico insieme alla proposta di riperimetrazione delle aree soggette a tale vincolo. In questo modo la Provincia si dota di uno strumento aggiornato di tutela dai fenomeni legati al dissesto idrogeologico, dettando precise norme sugli interventi sul territorio soggetto a vincolo, che comprenderà con la nuova perimetrazione anche le aree classificate instabili e potenzialmente instabili finora escluse (come ad es. tutta l’area delle balze nel Valdarno).

Dall’ubicazione geografica delle aree instabili e potenzialmente instabili rilevabili dalla carta della pericolosità illustrata nei paragrafi precedenti e dalle tipologie di dissesti rilevate nel corso della redazione di tale documento emerge che le attività che meglio si prestano ad essere svolte nei terreni geomorfologicamente instabili sono rappresentate dall’agricoltura, dall’allevamento e/o pascolo e dalla selvicoltura, peraltro già in parte presenti in queste zone. Al fine di rendere queste attività efficaci per una corretta difesa del suolo, è opportuno che i Comuni predispongano all’interno dei propri strumenti urbanistici direttive mirate alle modalità di conduzione delle attività agro-silvo-pastorali e al recupero funzionale dal punto di vista idrogeologico delle aree abbandonate in stato di degrado. Poiché inoltre uno dei fattori più ricorrenti dei processi di instabilità è rappresentato dalle acque di deflusso superficiale (ruscellamento diffuso e incanalato) e di infiltrazione, qualsiasi attività o intervento nelle aree instabili deve essere proceduto dalla razionalizzazione della regimazione delle acque nei versanti e nelle aste fluviali. Così pure ogni forma di immagazzinamento idrico a qualsiasi scopo adibito (e le conseguenti opere accessorie) deve essere realizzata con tutti gli accorgimenti atti a non pregiudicare la stabilità dei versanti e l’innesco dei processi erosivi.

Le linee guida per la conduzione delle attività nelle aree instabili si basano sui seguenti criteri di validità generale: • attività agricole: l’agricoltura nelle aree a forte propensione al dissesto deve essere

condotta adottando tutte le pratiche dirette alla conservazione del suolo e tendenti a ridurre l’effetto erosivo prodotto dall’impatto delle piogge e delle acque di ruscellamento superficiale. A tale scopo le pratiche agricole sono finalizzate a garantire una adeguata copertura vegetale mantenendo al tempo stesso una buona fertilità fisica e chimica del suolo. In particolare nella conduzione delle pratiche agricole dovranno essere adottate quelle pratiche di tipo conservativo quali, ad esempio, l’utilizzo di piante di copertura durante i periodi in cui il suolo rimarrebbe scoperto, la pacciamatura, ecc. . Allo scopo di evitare che le acque di ruscellamento superficiale raggiungano velocità eccessive e per evitare il ristagno di acque in eccesso rispetto alla capacità di trattenuta del terreno, lo smaltimento deve essere regolato attraverso adeguate sistemazioni idraulico-agrarie, quali fossi di guardia, fossi livellari e acquidocci opportunamente dimensionati. Le modalità di lavorazione del terreno dovranno inoltre evitare le arature profonde e comunque privilegiare l’andamento secondo le curve di livello. I lavori di spietramento, qualora si rendessero necessari, dovranno essere condotti con i normali mezzi agricoli limitandosi alla rimozione dei materiali presenti in superficie.

• gestione dei pascoli: la destinazione a prato-pascolo per la sua elevata capacità di coprire la superficie del suolo rappresenta uno dei mezzi più efficaci di difesa dai processi erosivi, specialmente nei terreni instabili per la presenza di litotipi argillosi. Lo svolgimento di tale attività richiede tuttavia l’adozione di tutti gli accorgimenti tecnici atti a garantire la conservazione del suolo evitandone una eccessiva degradazione. A tale scopo il dimensionamento del carico animale e le modalità di utilizzazione dovranno essere stabiliti, anche in funzione delle caratteristiche del suolo, al fine di evitare fenomeni di sovra o sottopascolamento che portano alla degradazione del cotico erboso con un conseguente innesco di processi erosivi.

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• selvicoltura: la copertura forestale esercita la migliore difesa nei confronti del dissesto idrogeologico. Tuttavia, nelle aree interessate da processi attivi di instabilità, gli interventi di forestazione devono essere opportunamente valutati in quanto in alcune circostanze possono risultare non idonei, come nelle fasi di prima sistemazione dei dissesti. Interventi di forestazione sono particolarmente efficaci nella stabilizzazione del piede di frana e nelle aree sottostanti alle pareti rocciose soggette a crolli.

Più in generale per interventi di trasformazione del territorio o delle modalità di

conduzione delle attività, indipendentemente dalla classe di pericolosità geomorfologica, i comuni dovranno prevedere indirizzi di carattere generale per la progettazione del tipo: • per i movimenti di terreno (ad es.: limitazioni delle superfici e dei volumi degli

sbancamenti e dei riporti anche attraverso il modellamento degli interventi edilizi e infrastrutturali secondo la morfologia esistente, in particolare nelle trasformazioni interessanti terreni di natura detritica o terreni argillosi, argilloscistosi, marnoscistosi o con rocce stratificate a franapoggio con pendenze inferiori a quella dei versanti);

• per la regimazione delle acque superficiali (ad es.: i piani attuativi degli S.U. dovranno contenere un progetto complessivo delle acque pluviali, individuante le linee di impluvio, le superfici impermeabilizzate e le opere di regimazione e di smaltimento, corredato da un’analisi quantitativa dei vari flussi idraulici al fine di limitare le modifiche indotte sul regime idraulico naturale ed escludere o per lo meno ridurre di conseguenza fenomeni erosivi; accorgimenti tecnici da seguire affinché le condotte idrauliche interrate siano costruite in modo da evitare rotture o perdite con conseguente scadimento delle caratteristiche meccaniche dei terreni, specie in quelli a matrice argillosa; limitare l’incremento delle acque canalizzate a seguito di estese opere di impermeabilizzazione attraverso il convogliamento in serbatoi muniti di dispositivo di troppo pieno a svuotamento lento, riversanti in fognatura o in impluvio naturale, dimensionati con opportuni parametri idrologici - questi serbatoi oltre alla funzione di normalizzazione delle acque di deflusso provenienti dalle superfici impermeabilizzate dovranno costituire anche una riserva idrica estiva);

• per la sistemazione del suolo (ad es.: inerbimento e messa a dimora di essenze arbustive e/o arboree idonee per le aree non edificate o impermeabilizzate dei singoli interventi; creazione di una rapida copertura vegetale nelle scarpate di nuova realizzazione utilizzando per altezze e pendenze elevate geosintetici e biostuoie per facilitarne l’inerbimento; pavimentazione delle superfici a viabilità carrabile, pedonale o parcheggi in modo da garantire la permeabilità naturale delle formazioni geologiche interessate, al fine di mantenere il regime naturale di infiltrazione);

• per la conduzione delle pratiche agricolo/pastorali (ad es.: creazione di una rete di fossi e capofossi ad andamento a girapoggio; per le lavorazioni condotte secondo la pratica a “rittochino” predisposizione di scoline trasversali a bassa pendenza per limitare la velocità di scorrimento delle acque superficiali; evitare i pascoli intensivi nelle aree in forte propensione al dissesto).

Come già detto nella premessa, la carta della pericolosità geomorfologica e idraulica

rappresenta la zonizzazione a livello provinciale del grado di dissesto idrogeologico del territorio e fornisce la base per la programmazione delle indagini di dettaglio per le aree di potenziale pericolo. Pertanto è stato previsto che i Comuni, con gli studi di supporto alla pianificazione urbanistica (del. C.R.T. 94/85), riperimetrino a scala di maggior dettaglio e per l'intero territorio comunale la cartografia relativa alla pericolosità geomorfologica. Nella normativa è stato previsto un dettaglio maggiore di indagini ai fini della determinazione della fattibilità delle trasformazioni e/o delle attività nelle aree instabili e potenzialmente instabili.

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TUTELA DELLE RISORSE IDRICHE

Per la tutela delle risorse idriche il PTCP persegue come obbiettivi la corretta gestione delle risorse idriche superficiali e sotterranee attraverso interventi di risanamento e di razionale utilizzo al fine di preservare il patrimonio idrico per non pregiudicare la vivibilità dell’ambiente, l’agricoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologici, nonché razionalizzare l’uso delle risorse idriche con una efficiente rete idraulica, irrigua e idrica, garantendo comunque che l’insieme delle derivazioni non pregiudichi il minimo deflusso vitale degli alvei sottesi nonché la pulizia delle acque.

Sintesi del quadro conoscitivo delle risorse idriche della Provincia

Lo stato della qualità delle acque superficiali nel territorio della Provincia di Arezzo è monitorato dall’attività del Dip.to ARPAT (ex Servizio Multizonale di Prevenzione), che attraverso la sua struttura effettua controlli periodici da più di venticinque anni, con un numero di stazioni e con frequenze di campionamento superiori a quelle richieste dalla L. 319/76. In questo modo è stato possibile “fotografare” nel tempo e con sufficiente chiarezza la qualità biologica, chimica e microbiologica delle acque superficiali della Provincia, valutare le cause del loro stato di salute e formulare alcune proposte di risanamento.

Il reticolo idrografico della Provincia di Arezzo è costituito dai tratti iniziali di due tra i sei bacini idrografici classificati di rilievo nazionale e organizzati in Autorità di Bacino, oltre ad un bacino di rilievo interregionale (Fiume Marecchia).

La classificazione della qualità delle acque del reticolo idrografico provinciale, rappresentata attraverso carte sintetiche elaborate dal Dip.to ARPAT provinciale, sarà a disposizione dei Comuni come quadro conoscitivo al fine di orientare le linee evolutive urbanistiche e le conseguenti localizzazioni degli insediamenti e delle infrastrutture. Le carte della qualità suddividono il territorio provinciale nelle seguenti classi:

a) Classe A: Tratti o sistemi non inquinati. Comprende quei sistemi territoriali in cui i fattori di pressione antropica sull’ambiente (insediamenti civili, produttivi, agricoli, zootecnici) non determinano un deterioramento, diretto e/o indiretto delle capacità autodepurative dell’ecosistema acquatico e della qualità della risorsa idrica. In questi tratti i fattori inquinanti ed i prelievi idrici sono sostenuti dal corso d’acqua superficiale e la qualità della risorsa risulta non inquinata o non alterata in modo sensibile.

b) Classe B: Tratti o sistemi inquinati. Comprende quei sistemi territoriali in cui i fattori di pressione antropica determinano un deterioramento, diretto e/o indiretto, delle capacità autodepurative dell’ecosistema acquatico e della qualità della risorsa idrica. In questi tratti i prelievi idrici sono dello stesso ordine di grandezza delle soglie di ricarica dell’acquifero o della portata minima vitale, e/o denotano caratteristiche qualitative tipiche di un ambiente inquinato o comunque alterato.

c) Classe C: Tratti o sistemi nettamente o eccezionalmente inquinati, con stato di crisi. Comprende quei tratti o sistemi territoriali in cui i fattori di pressione antropica sull’ambiente ed i prelievi idrici determinano un forte deterioramento, diretto e/o indiretto, delle capacità autodepurative dell’ecosistema acquatico e della qualità della risorsa. In questi sistemi gli effetti dei prelievi, superiori alle soglie di ricarica dell’acquifero o alla portata minima vitale, evidenziano caratteristiche qualitative pessime tipiche di ambienti eccezionalmente inquinati o alterati.

La normativa del PTCP in tema di tutela delle risorse idriche

Anche in considerazione della filosofia della nuova Legge Quadro in materia di inquinamento idrico in corso di formazione, che prevede il raggiungimento ed il

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mantenimento di obiettivi di qualità ambientali, per ogni corpo idrico, gli scarichi nel corpo recettore devono essere tali da non alterarne significativamente la qualità ed in ogni caso devono risultare sostenibili dal corpo idrico ricevente. Tali concetti sono stati peraltro anticipati dalla Regione Toscana con DCRT 558/89 e successivamente con il D.L.vo 130/92 e con la L. 36/94 e la collegata L. 37/94.

Nella normativa del piano territoriale di coordinamento relativa al settore delle risorse idriche particolare importanza è stata data alla trattazione delle tematiche idrogeologiche da affrontare dai Comuni ai fini della redazione del Piano Strutturale, in quanto generalmente trascurate nell’ambito della pianificazione territoriale. È stato previsto infatti oltre alla redazione della carta idrogeologica (costruita secondo i criteri della Del.C.R. n. 94/85) anche la zonizzazione qualitativa e della vulnerabilità degli acquiferi presenti nel proprio territorio. Per eseguire tale zonizzazione sono stati indicati dei criteri di validità generale, prevedendo comunque studi più approfonditi in corrispondenza delle pianure alluvionali sedi di acquiferi di particolare importanza. Questi elaborati dovranno costituire la base per la valutazione delle trasformazioni in relazione alle risorse idriche locali: le trasformazioni nei settori civile, agricolo e industriale, saranno normate nei Piani Strutturali a seconda della situazione di equilibrio o di squilibrio quali-quantitativo della risorsa idrica locale derivante dalla zonizzazione.

In particolare, sulla base della zonizzazione della vulnerabilità idrogeologica dei corpi idrici, i Comuni nel redigere i Piani Strutturali dovranno evitare la localizzazione di impianti e infrastrutture ad alto rischio di inquinamento nelle zone risultate ad elevata vulnerabilità. Sono quindi da evitarsi in queste zone discariche di RSU, stoccaggi di sostanze inquinanti, impianti di depurazione, depositi di carburanti, pozzi neri a dispersione, spandimenti di liquami, attività estrattive.

Per l'inserimento di attività e trasformazioni potenzialmente inquinanti nelle aree ad elevata vulnerabilità idrogeologica, analogamente a quanto indicato per le zone geomorfologicamente instabili, deve essere condotto uno studio idrogeologico di dettaglio che preveda la caratterizzazione geometrica e parametrizzazione idrogeologica degli acquiferi e dei parametri idrogeologici dei terreni di copertura. Sulla base degli studi idrogeologici di dettaglio dovranno essere presi gli opportuni accorgimenti relativamente alla minimizzazione del rischio di inquinamento della risorsa idrica legati alla realizzazione dell'opera o dell'attività.

La Provincia, ai sensi del D.L.vo 275/93, ha provveduto alla redazione di un catasto pozzi della Provincia, nel quale sono riportate le schedature e le georeferenziazioni di circa 40.000 pozzi. Da questo catasto, facente parte del quadro conoscitivo del PTCP (riassunto nella carta del catasto pozzi in scala 1:100.000), emerge una situazione critica di sovrasfruttamento della risorsa idrica sotterranea concentrata soprattutto in corrispondenza delle pianure alluvionali.

Al fine di una corretta gestione a livello locale della risorsa idrica sotterranea è stato quindi indicato ai Comuni di dotarsi di uno specifico regolamento per la costruzione dei pozzi per la captazione di acque dal sottosuolo, come fra l’altro previsto dalle raccomandazioni del Piano stralcio sulla qualità delle acque dell’Autorità di Bacino del Fiume Arno adottato dal Comitato Istituzionale il 15.07.97.

Con i periodici aggiornamenti del PTCP, ottenuti anche attraverso l'acquisizione degli studi relativi alla zonizzazione derivante dai P.S., verranno delimitate le aree a diverso grado di rischio e quindi soggette a particolari prescrizioni di tutela e di trasformazione.

Nella normativa del PTCP è stato indicato ai Comuni inoltre di identificare le fonti di approvvigionamento idropotabile di uso pubblico e stabilire idonee fasce di salvaguardia ai sensi del DPR 236/88 mediante criteri idrogeologici (ad es. mediante la costruzione delle isocrone dei 60 gg.). Le aree di salvaguardia così delimitate dovranno essere oggetto di

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apposita disciplina (divieto di escavazione di pozzi, disciplina delle attività produttive e agricole, …).

Sempre gli S.U. comunali dovranno prevedere indirizzi specifici riguardanti gli accorgimenti necessari per il risparmio idrico e per la tutela delle risorse idriche del tipo: • adozione nelle nuove urbanizzazioni – sia di tipo civile che produttivo - e nelle

ristrutturazioni del patrimonio edilizio esistente di doppia rete di approvvigionamento idrico, al fine di ridurre i consumi impropri di acque di ottima qualità;

• creazione nelle aree di nuova urbanizzazione di serbatoi muniti di dispositivo di troppo pieno a svuotamento lento, con la funzione di normalizzare le acque di deflusso provenienti dalle superfici impermeabilizzate e di acquisire una riserva idrica estiva;

• estensione dell’approvvigionamento idropotabile acquedottistico al fine di limitare la richiesta di pozzi per l’approvvigionamento privato;

• incentivazione per la ricerca di risorsa idrica alternativa per l’uso irriguo – bacini di accumulo di acque meteoriche- e di metodologie colturali tese al risparmio nell’uso della risorsa;

• interventi del risparmio idrico nell’industria mediante incentivi per cicli tecnologici di risparmio e di riciclo delle acque di lavorazione e disincentivazione dell’uso dell’acqua di falda).

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TUTELA DELLE RISORSE FLORA, FAUNA E HABITAT NATURALI

La tutela del patrimonio naturale (flora, fauna ed habitat naturali) nella Provincia di

Arezzo, dispone attualmente di diversi strumenti di tipo conoscitivo ed attuativo. Gli strumenti conoscitivi più importanti per la loro organicità sono rappresentati dallo

studio “Carta del rispetto della natura, della flora spontanea e della fauna ” e dai risultati del progetto “Bioitaly”, mentre gli strumenti attuativi di salvaguardia sono riconducibili anzitutto all’istituzione di aree naturali protette ai sensi della L.R. 49/95 (legge di attuazione della l.q. 394/91), nella individuazione di Siti di Interesse Comunitario (SIC), in applicazione della Direttiva 92/43/CEE denominata “Direttiva Habitat”1 e nella normativa del presente P.T.C.P.. Gli strumenti conoscitivi La “Carta del rispetto della natura, della flora spontanea e della fauna ”

La Provincia di Arezzo ha avviato, a partire dal 1994, un programma di acquisizione, organizzazione ed elaborazione delle conoscenze del patrimonio naturale. L’obiettivo è stato quello di dotarsi di uno strumento di conoscenza, tutela e valorizzazione delle emergenze naturali presenti nel territorio aretino, chiamato Carta del rispetto della natura, dizione che trae origine dalla L.R. 8.11.82 n. 82, il cui significato è stato tuttavia ampliato per tener conto delle esigenze del PTCP e del nuovo quadro introdotto dalle direttive 92/43/CEE e 79/409/CEE come modificata dalla Dir. 91/244/CEE. Tale obiettivo concorre alla formazione di un sistema di tutele, a scala provinciale, specificamente orientato alla conservazione del patrimonio naturale.

Con questo strumento si sono perseguiti i seguenti obiettivi: • acquisizione e organizzazione delle conoscenze esistenti in campo naturalistico riferite al

territorio provinciale e in relazione sia alle specie animali e vegetali che agli habitat, alle biocenosi e agli ecosistemi di particolare valore naturalistico;

• approfondimento delle conoscenze nelle porzioni del territorio provinciale che risultano meno studiate, attraverso metodi speditivi e concentrando le osservazioni e i rilievi su ambienti potenzialmente interessanti ed esposti a maggiori rischi (aree umide, brughiere, vegetazione su ofioliti, praterie, ecc.);

• definizione delle misure di salvaguardia, tutela e valorizzazione da attuare attraverso le normative di settore (caccia, pesca, tutela della flora e della fauna, ...) e gli strumenti della pianificazione territoriale;

• monitoraggio delle specie e delle aree individuate ne lle fasi precedenti, aggiornamento e arricchimento delle informazioni, verifica dei risultati ottenuti con programmi di tutela avviati e in corso.

Il lavoro si è così sviluppato: a. Realizzazione di un archivio bibliografico relativo alla letteratura disponibile sulle

componenti naturali della provincia; b. Individuazione delle aree di particolare interesse naturalistico sulla base delle conoscenze

di natura bibliografica, segnalazioni, fotointerpretazione e verifiche sul campo; c. Realizzazione di cartografie tematiche eseguite in forma differenziata sulla base

dell'estensione dell'area e in relazione all'emergenza prevalente che ne ha motivato la segnalazione;

d. Schedatura delle aree individuate, contenente: d.1. Inquadramento del territorio in forma descrittiva, per i seguenti profili: geologia e

1 Direttiva 92/42/CEE del Consiglio della Comunità Europea in data 21 maggio 1992: “Conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche”.

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geomorfologia, clima, fitogeografia e fauna; d.2. Descrizione degli habitat presenti; d.3. Descrizione delle tipologie colturali e d’uso del suolo; d.4. Valutazione dello stato di conservazione delle tipologie descritte al punto precedente; d.5. Elenco delle specie animali di interesse provinciale; d.6. Descrizione delle dinamiche evolutive degli habitat; d.7. Emergenze naturalistiche; d.8. Siti puntuali:

d.8.1. Habitat; d.8.2. Aree; d.8.3. Linee di gestione ed indicazioni normative.

e. Individuazione ed aggiornamento di ulteriori "aree o zone speciali di conservazione", riferite ad habitat o a specie animali e vegetali di interesse comunitario da selezionare con i criteri di cui agli allegati della Direttiva 92/43/CEE e 79/409/CEE come modificata dalla Dir. 91/244/CEE. Questa indagine per ragioni economiche si è limitate alle zone umide, secondo la seguente procedura: e.1. Realizzazione di un inventario delle Aree Umide (specchi d'acqua e aree con

vegetazione igrofila), che ha portato all’individuazione di 323 situazioni ambientali classificabili come zone umide, utilizzando la seguente metodologia:

e.1.1. localizzazione mediante fotointerpretazione di aerofoto, volo Italia 1994 disponibile in Provincia, negli ingrandimenti in scala approssimativa di 1:25.000;

e.1.2. verifica e controllo di eventuali siti di cava presenti nel territorio provinciale; e.1.3. digitalizzazione per punti o per aree (a seconda della loro estensione); e.1.4. produzione di una scheda descrittiva basandosi su elementi definibili tramite

fotointerpretazione. f. Definizione di una “lista di attenzione” delle specie animali e vegetali di particolare

rilevanza; g. Definizione delle misure per la conservazione delle specie di cui al punto precedente; h. Realizzazione di carte di distribuzione con relativi indici di abbondanza o significatività; i. Realizzazione di un Archivio delle specie segnalate, organizzato in modo tale da

contenere, non solo le informazioni raccolte sulle singole specie, ma anche le notizie relative alle misure proposte per la conservazione delle medesime.

Il lavoro è stato realizzato mediante incarico di collaborazione affidato ad esperti del

settore della D.R.E.AM. Italia, S.c.a.r.l. di Poppi (AR), e della NEMO S.n.c. di Firenze, che hanno operato secondo le direttive e con il coordinamento dell’U.O. Protezione della natura, Parchi e Riserve Naturali – Servizio Difesa del Suolo. Un contributo importante allo studio è inoltre venuto da un gruppo di esperti che si è formato nel tempo ed è cresciuto fino ad includere esponenti delle istituzioni scientifiche (Università di Siena e di Firenze, Museo Zoologico de “La Specola”, Istituto Sperimentale di Selvicoltura), insegnanti, tecnici delle amministrazioni territoriali (Comunità Montane, C.F.S., ), esperti di associazioni ambientaliste, semplici appassionati.

Lo studio ha individuato 17 siti di prevalente interesse floristico-vegetazionale, 18 di prevalente importanza faunistica, 1 di importanza geomorfologica e 3 zonizzazioni di interesse naturalistico, sia per la presenza di specie da conservare che per la naturalità dell’ambiente (area di vegetazione della Rovere e area di vegetazione della Sughera, corsi d’acqua di particolare valore naturalistico). Le ultime tre emergenze necessitano di una definizione areale più puntuale.

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La tabella sotto riportata elenca tutte le aree individuate, la loro superficie, la diffusione dell’emergenza prevalente segnalata, il tipo di emergenza (V=floristico-vegetazionale; F=zoologica; G=geotopo):

DENOMINAZIONE SUPERF.

(stimata) ha

EMERGENZA PREVALENTE

1. M. Falterona (P.N.F.C.) 145 V 2. Valle Santa 2912 F 3. Foresta della Verna (P.N.F.C.) 288 V 4. Monte Nero 190 V 5. Alta valle del Tevere 1627 F 6. Pratieghi 130 V 7. Sasso di Simone 257 V 8. Sasso di Simone e Simoncello 1636 F 9. Monte Calvano 1427 F 10. Montalto 30 V 11. Alpe della Luna 1318 V 12. Alpe della Luna 4155 F 13. Monti Rognosi 1572 V 14. Montedoglio 1476 F 15. Alpe di Catenaia 415 V 16. Alpe di Catenaia e Monti Rognosi 4785 F 17. Praterie Pratomagno 748 V 18. Betulla Pratomagno 97 V 19. Pratomagno 8051 F 20. Monte Acuto Montrago 1432 F 21. Poggio Sarno 765 F 22. Le Balze 3089 G 23. Sughera della Traiana 1 V 24. Renacci 280 V 25. Castelnuovo dei Sabbioni 206 F 26. Arboreto Monumentale di Moncioni 3 V 27. Sargiano 10 V 28. Poti 1194 F 29. M. Dogana 1169 F 30. Colmata di Brolio 1618 F 31. Zuccherificio Castiglion Fiorentino 249 F 32. Monte Ginezzo 1650 F 33. Valle dell'Inferno e Bandella 526 F 34. Ponte Buriano e Penna 665 F 35. Serpentine di Pieve S. Stefano 126 V 36. Nuclei di Taxus Baccata di Pratieghi 62 V

E’ da evidenziare che, rispetto alla Delib. C.R.T. 296/88, il lavoro è stato mirato

esclusivamente su emergenze naturalistiche e pertanto questo spiega: • la non coincidenza con la perimetrazioni delle zone “b, c, d” a suo tempo individuate; • la segnalazione di aree nuove rispetto a quelle della citata Delib. 296/88; • la segnalazione di emergenze che pur ricomprese nella perimetrazione delle zone “b, c, d”

non erano state adeguatamente descritte o erano assenti nella schedatura delle aree protette.

Il progetto Bioitaly e la Direttiva “Habitat”

Con la direttiva 92/43 CEE, detta “Direttiva Habitat”, si è inteso avviare in Europa un progetto per il mantenimento della biodiversità in considerazione del fatto che “… nel territorio europeo degli Stati membri, gli habitat naturali non cessano di degradarsi e che un numero crescente di specie selvatiche è minacciato; che gli habitat e le specie minacciati

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fanno parte del patrimonio naturale della Comunità e che i pericoli che essi corrono sono di natura transfrontaliera, per cui è necessario adottare misure a livello comunitario per la loro conservazione;…”.

La direttiva non si limita a tutelare le singo le specie vegetali e animali ma prende in esame l’habitat o gli habitat che consentono alle specie di vivere e moltiplicarsi.

Nell’ambito della direttiva, a cura del Ministero dell’Ambiente e della Regione Toscana, è stato realizzato il progetto Bioitaly finalizzato all’individuazione dei siti naturalistici di interesse comunitario (pSIC). In particolare, il progetto ha permesso la schedatura dei siti ritenuti idonei a far parte della rete ecologica europea denominata “Natura 2000”. L’elenco dei siti individuati costituiscono un’importante base conoscitiva e su queste aree si ritiene di dover provvedere, nell’ambito del presente piano, con specifiche azioni di tutela in attesa che, attraverso le procedure della direttiva comunitaria e del D.P.R. 8.9.97 n.352, Regolamento di attuazione della Direttiva “Habitat” (vedi successivo paragrafo relativo ai Siti di interesse Comunitario, Zone di protezione Speciale, Siti di interesse Nazionale e Siti di interesse Regionale), vengano impartite ulteriori indicazioni.

L’introduzione delle misure di tutela, basata al momento sulle indicazioni della “Carta della Natura”, è essenziale anche per consentire l’attivazione degli strumenti finanziari come già avvenuto per il complesso dei SIC della Valtiberina Toscana. Il Life-natura rappresenta al momento lo strumento finanziario specifico per realizzare progetti finalizzati alla “Tutela degli habitat e della natura” e quindi per l’attuazione della Direttiva “Habitat”; solo i progetti coerenti con le finalità della direttiva possono ottenere il cofinanziamento comunitario.

Tutti i siti del progetto Bioitaly rientrano tra quelli segnalati con la “Carta della Natura”, salvo che per alcuni di quelli ricadenti nel Parco Nazionale, in quanto già da tempo oggetto di particolare tutela, e il S.I.C. “Monti del Chianti”, in quanto ricadente prevalentemente nel territorio senese. I perimetri delle aree non sempre sono sovrapponibili a causa delle differenti metodologie adottate dai gruppi di indagine.

Le aree sono riportate ad un successivo punto (Siti di interesse Comunitario, Zone di protezione Speciale, Siti di interesse Nazionale e Siti di interesse Regionale) in quanto si è ritenuta prevalente lo strumento attuativo di salvaguardia rispetto all’ambito conoscitivo. Strumenti attuativi di salvaguardia Aree Naturali Protette

Le aree naturali protette, ricadenti all’interno del territorio provinciale e già istituite alla data dell’entrata in vigore del presente P.T.C.P. sono le seguenti: Parchi Nazionali: • Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna istituito con D.P.R.

del 12.07.93 ed iscritto all’Elenco Ufficiale delle Aree Naturali Protette (Delibera del Comitato Per le Aree Naturali Protette presso il Ministero dell’Ambiente del 2.12.96); comprende al suo interno il “M. Falterona” e “La Foresta della Verna”, aree segnalate nella “Carta della Natura” e i S.I.C. 69, 70, 71 e 86, la S.I.R B15 e la Z.P.S. 72.

Riserve Naturali Statali: • “Formole” istituita con D.M. del 28.04.1980 ed iscritta all’Elenco Ufficiale delle Aree Naturali Protette

dal 2.12.96; • “Fungaia” istituita con D.M. del 13.07.1977 ed iscritta all’Elenco Ufficiale delle Aree Naturali Protette dal

2.12.96 (ex Riserva Biogenetica); • “Zuccaia” istituita con D.M. del 13.07.1977 ed iscritta all’Elenco Ufficiale delle Aree Naturali Protette dal

2.12.96 (ex Riserva Biogenetica); • “Scodella” istituita con D.M. del 13.07.1977 ed iscritta all’Elenco Ufficiale delle Aree Naturali Protette

dal 2.12.96; (ex Riserva Biogenetica)

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• “Poggio Rosso” istituita con D.M. del 13.07.1977 ed iscritta all’Elenco Ufficiale delle Aree Naturali Protette dal 2.12.96 (ex Riserva Biogenetica).

Riserve Naturali Regionali in gestione alla Provincia • “Ponte a Buriano e Penna”

Istituzione: Del. C.R.T. n. 133 del 1.03.95 e Del. C.P. n. 112 del 10.07.1996 Superficie in ha: 665 Area Contigua in ha: 421 Comuni interessati: Arezzo, Civitella in V. d. Chiana e Laterina Qualificazioni: iscritta all’Elenco Ufficiale delle Aree Naturali Protette dal 2.12.96; Proposta come S.I.C. ai

sensi della direttiva Habitat • “Valle dell'Inferno e Bandella”

Istituzione: Del. C.R.T. n. 133 del 1.03.95 e Del. C.P. n. 112 del 10.07.1996 Superficie in ha: 526 Area Contigua in ha: 2164 Comuni interessati: Laterina, Montevarchi, Pergine V.no e Terranuova B.ni Qualificazioni: iscritta all’Elenco Ufficiale delle Aree Naturali Protette dal 2.12.96; Proposta come S.I.C. ai

sensi della direttiva Habitat • “Sasso di Simone”

Istituzione: Del. C.R.T. n. 133 del 1.03.95 e Del. C.P. n. 112 del 10.07.1996 Superficie in ha: 1575 Comuni interessati: Sestino Area Contigua in ha: Assente Qualificazioni: iscritta all’Elenco Ufficiale delle Aree Naturali Protette dal 2.12.96; Proposta come S.I.C. ai

sensi della direttiva Habitat • “Alta Valle del Tevere (Monte Nero)”

Istituzione: Del. C.R.T. n. 256 del 16.07.97 e Del. C.P. n. 31 del 18.03.1998 Superficie in ha: 405 Area Contigua in ha: Assente Comuni interessati: Pieve S. Stefano Qualificazioni: Proposta come S.I.C. ai sensi della direttiva Habitat

• “Monti Rognosi” Istituzione: Del. C.R.T. n. 256 del 16.07.97 e Del. C.P. n. 31 del 18.03.1998 Superficie in ha: 156 Area Contigua in ha: 1362 Comuni interessati: Anghiari e Caprese Michelangelo Qualificazioni: Proposta come S.I.C. ai sensi della direttiva Habitat

• “Alpe della Luna” Istituzione: Del. C.R.T. n. 256 del 16.07.97 e Del. C.P. n. 31 del 18.03.1998 Superficie in ha: 1503 Area Contigua in ha: Assente Comuni interessati: Badia Tedalda, Sansepolcro, Pieve S. Stefano Qualificazioni: Proposta come S.I.C. ai sensi della direttiva Habitat

• “Bosco di Montalto” Istituzione: Del. C.R.T. n. 256 del 16.07.97 e Del. C.P. n. 31 del 18.03.1998 Superficie in ha: 22 Area Contigua in ha: Assente Comuni interessati: Pieve S. Stefano Qualificazioni: Proposta come S.I.R. nell’ambito del progetto Bioitaly

Aree Naturali Protette di Interesse Locale • Le Balze

Istituzione: Del. C.R.T. n. 256 del 16.07.97; Del. C.C. Terranuova B.ni n. 9 del 27.02.98; Del. C.C. Pian di Scò n. 10 del 27.02.98; al 24.04.98 è in fase di approvazione la deliberazione del comune di Loro Ciuffenna. Superficie in ha: 3.089 Area Contigua in ha: Assente Comuni interessati: Castelfranco di Sopra, Loro Ciuffenna, Pian di Scò, Terranuova B.ni

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• Le Serpentine di Pieve S. Stefano Istituzione: Del. C.R.T. n. 256 del 16.07.97 e Del. Assemblea della C.M.V.T.T. n. 7 del 26.02.98 Superficie in ha: 126 Area Contigua in ha: Assente Comuni interessati: Pieve S. Stefano Qualificazioni: S.I.N. B16 del progetto Bioitaly

• Nuclei di Taxus baccata di Pratieghi Istituzione: Del. C.R.T. n. 256 del 16.07.97 e Del. Assemblea della C.M.V.T.T. n. 7 del 26.02.98 Superficie in ha: 62 Area Contigua in ha: Assente Comuni interessati: Pieve S. Stefano

• Bosco di Sargiano Istituzione: Del. C.R.T. n. 256 del 16.07.97 e Del. C.C. Comune di Arezzo n. 66 del 25.03.98 Superfic ie in ha: 10 Area Contigua in ha: Assente Comuni interessati: Arezzo Qualificazioni: S.I.C. 83 del progetto Bioitaly

• Arboreto Monumentale di Moncioni Istituzione: Del. C.R.T. n. 256 del 16.07.97; Del. C.C. di Montevarchi n°30 del 24.04.98 Superficie in ha: 3 Area Contigua in ha: Assente Comuni interessati: Montevarchi

Siti di interesse Comunitario, Zone di protezione Speciale, Siti di interesse Nazionale e Siti di interesse Regionale

In attuazione della direttiva “Habitat” (Dir. 92/43/CEE del 21.05.92 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche), le aree di seguito indicate sono state ridefinite dal progetto “Bioitaly”, e proposti come Siti di Interesse Comunitario (SIC), Zone di Protezione Speciale (ZPS), Siti di Interesse Nazionale (SIN) e Siti di Interesse Regionale (SIR); le superfici a lato riportate sono quelle ricadenti in Provincia di Arezzo. • SIC 69 - Crinale M. Falterona, M. Falco e M. Gabrendo ha 106 • SIC 70 - Foreste Alto Bacino dell’Arno ha 4.947 • SIC 71 - M. Fagiolo – Giogo Seccheta ha 110 • ZPS 72 - ZPS Camaldoli, Scodella, Campigna, Badia Prataglia ha 1.500 • SIC 73 - Alta Valle Santa ha 2.901 • SIC 74 - Alta Valle del Tevere ha 1.701 • SIC 75 - Monte Calvano ha 1.544 • SIC 76 - Sasso di Simone e Simoncello ha 1.623 • SIC 77 - Monti Rognosi ha 973 • SIC 78 - Alpe della Luna ha 2.276 • SIC 79 - Pascoli montani e cespuglieti del Pratomagno ha 6.584 • SIC 80 - Valle dell'Inferno e Bandella ha 483 • SIC 81 - Ponte Buriano e Penna ha 1.030 • SIC 82 - Brughiere dell’Alpe di Poti ha 1.200 • SIC 83 - Bosco di Sargiano ha 10 • SIC 84 - M. Dogana ha 1.180 • SIC 85 - M. Ginezzo ha 1.654 • SIC 86 - Foresta di Camaldoli e Badia Prataglia ha 2.133 • SIC 88 - Monti del Chianti ha 72 • SIR B15 - La Verna - M. Penna ha 304 • SIN B16 - Serpentine di Pieve S. Stefano ha 105 • SIR B17 - Boschi di Montalto ha 35

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Al riguardo è importante ricordare che il D.P.R. 8.9.97 n. 352, Regolamento di attuazione della direttiva “Habitat”, ha stabilito che “nella pianificazione e programmazione territoriale si deve tener conto della valenza naturalistico-ambientale dei siti di importanza comunitaria” (art. 5). E’ prevista una procedura di esame, da parte del Ministero dell’Ambiente o della Regione, dei piani territoriali, urbanistici e di settore, compresi i piani agricoli e faunistico venatori, per “valutare i principali effetti che il piano può avere sul sito di importanza comunitaria, tenuto conto degli obiettivi di conservazione del medesimo”. Anche i progetti riferibili alle tipologie di cui all’art. 1 del D.P.R. n. 377/88 e agli allegati A e B del DPR 12.4.96, riferiti ad interventi ai quali non si applica la procedura di valutazione di impatto ambientale, sono soggetti ad una procedura semplificata denominata “valutazione di incidenza”.

L’art. 3 e l’art. 4 del D.P.R. n. 352/97 prevedono, successivamente alla definizione da parte della Commissione europea dell’elenco dei siti (SIC) che entrano a far parte di “Natura 2000”, una procedura in due fasi:

a) la definizione da parte delle Regioni di “misure per evitare il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie, …” per i SIC, entro tre mesi dall’inclusione nell’elenco comunitario;

b) la definizione sempre da parte delle regioni di “misure di conservazione necessarie che implicano all’occorrenza appropriati piani di gestione specifici … e le opportune misure regolamentari, amministrative o contrattuali che siano conformi alle esigenze ecologiche dei tipi di habitat naturali degli habitat naturali … e degli habitat di specie, …” riferiti agli allegati della Dir. Habitat, per le “zone speciali di conservazione”, entro sei mesi dalla loro designazione da parte del Ministero dell’Ambiente, a seguito dell’approvazione dell’elenco comunitario;

E’ quindi importante che già nell’attuale edizione del P.T.C., vengano introdotte delle

prime norme di tutela, che richiamano le indicazioni della Carta della Natura, normativa che dovrà essere adeguata a seguito delle disposizioni specifiche che emanerà il Ministero dell’Ambiente e la Regione, sulla base delle decisioni della Commissione europea.

Il quadro di riferimento normativo inserito nel PTC Provinciale Il quadro di riferimento normativo inserito nel PTC prende in considerazione tutti i vari

strumenti del quadro conoscitivo. In questo contesto le direttive, le prescrizioni e le azioni di tutela della fauna, della flora e degli habitat naturali hanno per oggetto: • le aree individuate dalla “Carta del rispetto della natura”; • le aree definite nel “Progetto Bioitaly” in via transitoria, in attesa dell’inserimento nella

rete ecologica europea denominata “Natura 2000” da parte dell’Unione Europea; • Gli habitat vegetazionali, non inseriti all’interno delle aree della “Carta del rispetto della

natura”: a) Praterie e prati-pascoli di crinale, escluse le aree intercluse; b) Vegetazione rupicola e dei litosuoli (62.1); c) Formazioni a dominanza di Ericacee (31.4) d) Vaccinieti (31.44); e) Vegetazioni delle ofioliti (32.4); f) Vegetazione mesofila Tilio-Acerion (41.4) g) Vegetazione mesofila a faggio ed abete bianco (43.1); h) Stazioni con specie arboree di particolare interesse e rarità (rovere, farnia, sughera,

leccio, etc); • Aree umide di interesse naturalistico aventi indice di naturalità superiore a 40;

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• Specie inserite nelle liste di attenzione provinciale della flora e della fauna.

Gli elementi dell’elenco sopra riportato costituiscono le aree, gli habitat e le specie che si intende proteggete e conservare.

Il PTC della provincia di Arezzo, oltre a recepire al suo interno quanto già esistente per

la tutela della risorsa ambientale, provvede a definire misure di salvaguardia specifiche per tutti gli elementi definiti nel quadro conoscitivo. Pertanto le direttive, le prescrizioni e le azioni che si ritrovano nel disciplinare del piano vanno ad aggiungersi, quando espressamente dichiarato, o a sostituire quanto già esistente, sempre che si tratti di normativa discendente dalle competenze provinciali o comunque subalterna.

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TUTELA DELLA RISORSA ARIA INQUINAMENTO ACUSTICO

La normativa di riferimento che regolamenta l’inquinamento acustico è la legge-quadro L. 447/95 che fissa i principi generali per la tutela dal rumore negli ambienti di vita e nell’ambiente esterno. Nella stessa legge viene demandato a specifici organi dello Stato, alle Regioni, alle Province ed ai Comune l’emanazione di decreti e regolamenti di attuazione. Alla data odierna sono stato approvati solo alcuni decreti attuativi; tra questi quello che maggiormente entra nel merito del governo del territorio è il D.P.C.M. 14/11/97 ”Determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore” che riconferma le classi acustiche già previste nel D.P.C.M. 01/03/91 e fissa limiti di emissione, immissione, attenzione e qualità ammissibili al variare delle classi di destinazione d’uso.

Le sorgenti principali di rumore presenti nel nostro territorio sono costituite dalle infrastrutture stradali e ferroviarie ed in generale dal traffico nelle aree urbane. Queste sorgenti danno un contributo preponderante rispetto al rumore di origine indus triale.

Per l’attività di pianificazione e regolamentazione in materia di inquinamento acustico costituiscono due atti fondamentali la zonizzazione acustica e la valutazione di impatto acustico e di clima acustico. Zonizzazione acustica:

La suddivisione del territorio comunale in classi di destinazione d’uso incide sulla pianificazione in quanto pone dei vincoli per gli aspetti acustici sulle azioni di trasformazione del territorio quali localizzazione di nuovi insediamenti produttivi, realizzazione di nuove infrastrutture, localizzazione di recettori sensibili (zone residenziali, ospedali, poli scolastici, aree particolarmente protette dal punto di vista acustico). Valutazione di impatto acustico e di clima acustico:

Alla base del sistema di valutazioni della L.R. 5/95 si trova la regola generale che tutte le azioni di trasformazione contenute nei piani urbanistici sono soggette a procedure preventive di valutazione degli effetti ambientali; dal punto di vista acustico questo concetto è presente anche nella L. 447/95 che prevede una valutazione sia per opere che presentano un impatto acustico sull’ambiente sia per opere che richiedono un loro inserimento in una zona acusticamente idonea (recettori sensibili). INQUINAMENTO ATMOSFERICO

In tema di tutela della risorsa aria un obbiettivo del PTCP è quello di individuare prescrizioni ed indicazioni per scelte di piano eco-compatibili, anche con riferimento alla localizzazione degli insediamenti produttivi ed alla loro coesistenza con insediamenti residenziali.

La realtà produttiva della Provincia di Arezzo è caratterizzata dalla presenza di un elevato numero (circa 2000) di piccoli insediamenti produttivi che singolarmente presentano un modesto contributo emissivo e da alcuni grandi impianti che per le loro caratteristiche potrebbero da soli modificare lo stato della risorsa aria in un ambito territoriale vasto.

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Sulla base delle conoscenze attualmente disponibili non risultano zone con superamento degli standards di qualità dell’aria per effetto delle emissioni industriali, infatti i valori più elevati sono quelli rilevati nella aree urbane in relazione alle emissioni da traffico.

Tra le aree industriali che necessitano di particolare attenzione poiché si trovano nelle condizioni di maggior rischio rispetto alla risorsa aria anche in relazione alla presenza di i insediamenti civili ed alla loro collocazione territoriale, dobbiamo tenere presenti: Aree industriali: 1) Area industriale di San Zeno – rilevante zona industriale di piccoli insediamenti a ridosso

di centri abitati, nelle vicinanze entrerà in funzione il nuovo inceneritore di RSU; 2) Fondovalle del Valdarno – da Levane fino al confine di Provincia;

Per la valutazione dello stato della risorsa aria allo stato attuale e per successive verifiche è indispensabile individuare uno o più indicatori in grado di descrivere in modo sintetico, attendibile ed a costi sostenibili il fenomeno in osservazione; nel caso specifico si tratta di valutare la presenza in aria di sostanze inquinanti che per qualità e quantità possono pregiudicare lo stato presente e futuro della risorsa.

Non è purtroppo proponibile come indicatore la misura diretta del fenomeno secondo le sue variabili spazio-temporali poiché comporterebbe costi eccessivamente onerosi e tempi non compatibili con gli obbiettivi.

Si ritiene pertanto che come indicatore di “screening” possa essere utilizzato il risultato ottenuto dall’applicazione di modelli matematici in grado di simulare scenari diversi in cui siano coinvolte le variabili legate alle caratteristiche del sito (orografia, meteorologia) e degli insediamenti (caratteristiche delle emissioni) e solo nei casi ritenuti a rischio più rilevante può essere prevista la misura diretta sul campo per via strumentale.

Gli inquinanti da valutare come indicatori dovranno essere scelti di volta in volta in quanto legati alle caratteristiche emissive degli impianti coinvolti.

L’utilizzo i modelli presenta inoltre il vantaggio di permettere la valutazione anche in modo preventivo e rispetto a ipotesi diverse e quindi possono essere efficacemente utilizzati anche come strumenti di supporto decisionale.