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1 Provincia di Crotone ASSESSORATO ATTIVITÀ PRODUTTIVE . TURISMO . AGRICOLTURA .RISORSE NATURALI . FORESTE . ACQUE . ENERGIA . LINEE GUIDA DEL PROGETTO MARCA TERRITORIALE PER IL SISTEMA TURISTICO PROVINCIA DI CROTONE

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Provincia di Crotone

ASSESSORATO ATTIVITÀ PRODUTTIVE . TURISMO . AGRICOLTURA .RISORSE NATURALI .

FORESTE . ACQUE . ENERGIA .

LINEE GUIDA DEL PROGETTO MARCA TERRITORIALE

PER IL SISTEMA TURISTICO PROVINCIA DI CROTONE

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Assessorato Provinciale Attività Produttive . Turismo . Agricoltura . Risorse Naturali . Foreste . Acque . Energia . Assessore / Dr. Francesco Pugliano Dirigente Settore 07/ Vito Barresi

Questa ricerca è stato effettuata per la Provincia di Crotone-Settore 07 da Key People, Milano, 2006 “Realizzazione di una Marca Territoriale per il sistema turistico della Provincia di Crotone” Delibera Giunta Provinciale. n. 491 - 23.11.2005 / Determina Dirigenziale n. 2148 - 2005

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Brevi cenni sulla Marca territoriale crotonese. Un progetto innovativo per l’immagine e la

comunicazione turistica della provincia. Con il titolo “Marca Territoriale Crotonese ” si vuole indicare un “campo aperto” (open field) di idee, confronti, linguaggi, approfondimenti tematici, sociologici e storici, nonché tradizioni, luoghi, siti, percorsi, itinerari, economie, paesaggi, geografie, mappe, saperi, gusti di una determinata area del Mezzogiorno d’Italia e del Mediterraneo contemporaneo, ma anche un posto dove il viaggiatore può cogliere, nel tempo della propria vacanza, “Tutto il piacere del sud in un'unica provincia. Crotone.” La “marca territoriale crotonese” è qui intesa come spazio strutturale e strutturante (personal space/land space ) ove tutti i soggetti, singoli e associati, accanto all’articolata presenza delle istituzioni, possano, in un quadro monitorato di programmazione, governare insieme lo sviluppo locale, contribuendo alla promozione dell’immagine turistica, agricola, naturale e produttiva del territorio provinciale e dei suoi connessi sistemi locali. La “marca territoriale crotonese” è un concreto snodo operativo, un contesto progressivo in cui la Provincia, in quanto espressione della funzione pubblica esercitata in tema di sviluppo locale, ha come proprio obiettivo la mediazione comunicativa della soggettività territoriale (rappresentanza), con l’incarico di trasmetterla all’esterno, promuovendo una competitività sostenibile e una internazionalizzazione dialogale, al fine di valorizzare il patrimonio di intraprese, produzioni, arte, cultura, accoglienza, artefatti e manufatti, oltre che la propria identità storica di “provincia del pensiero” nella nuova dimensione globale e multiculturale, avvalendosi di uno o più marchi di riconoscimento, tracciabilità e rintracciabilità, in forma di simbolo ed eventualmente logotipo. La “marca territoriale crotonese” potrà assumere anche forma di associazione e di osservatorio tale che i soggetti protagonisti del sistema provinciale delle imprese (pmi), della concertazione e della coesione sociale, gli enti e le istituzioni aderenti nei diversi settori del turismo, agricoltura, agro-alimentare, enogastronomico, attività produttive, acque, energia, caccia, pesca, foreste, politiche di sviluppo territoriale, risorse naturali e tempo libero, nell’ambito della specifica autonomia, potranno darsi una struttura e coordinare le proprie attività in tema di politiche commerciali, logistica, politica del consumatore, tutela dei marchi, questioni legali, scambi informativi, studi e ricerche, formazione, con l’obiettivo di promuovere gli interessi di sviluppo turistico, agroalimentare e di crescita del territorio provinciale e dei propri sistemi locali. Si dirà, in termini meno riduttivi, che la diversità metodologica e concettuale tra la “marca territoriale” e i marchi si esprime sui piani di una differenziazione tra la marca territoriale intesa come un “presidio”, una struttura funzionale di comunicazione, un’osservatorio delle tendenze istituzionali, sociali, economiche, culturali e relazionali e il marchio inteso come concrezione stilistica, coordinata e stilizzata di segni ed emblemi, simboli e colori, espressione di appartenenza e di identità che non si appiattiscono dentro l’angusta logica del mero blasone. La Marca Territoriale Crotonese promuoverà studi, ricerche e progettualità in tema d’immagine, sistema di segni locali, posizionamento mediale, innovazione e internazionalizzazione, anche collegandosi e coordinando in materia le azioni delle agenzie di sviluppo locale, quali ad esempio l’Agenzia Sviluppo Turistico (Asvitur), l’Agenzia per la Promozione e la Tutela del Patrimonio Agroalimentare Crotonese (Buona Terra Crotonese), raccordando le loro politiche di marketing di prodotti, servizi, con i processi di “internazionalizzazione” e competitività della cultura locale e territoriale.

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La “marca territoriale” va intesa in quanto strategia che si avvale di un progetto comunicativo di identità forte, che si attiva esprimendo e manifestando i segni basilari di un sistema di comunicazione (quali il marchio, i colori di bandiera e ogni altra applicazione) collegato agli strumenti dell’informazione, della conoscenza e della promozione di un marketing territoriale . Attivare i processi di ideazione e “lavorazione” di un marchio territoriale, realizzarlo e introdurlo nei circuiti della comunicazione e della fidelizzazione, costituisce un fatto inedito che si estrinseca in varie innovazioni a livello sia di processo deduttivo, determinativo e operativo che di “elaborazione” del prodotto finale. Da qui la necessità di mettere insieme politiche di marketing, riguardanti i prodotti, intesi come “pacchetti turistici”, i servizi territoriali disponibili e fruibili dall’utente viaggiatore (carta del turista, tutela del consumatore, standard minimi di prestazione sanitaria, Asl, presidi medici infermieristici, informazioni e pronto intervento, tempo libero, sport spettacoli, card di spesa culturale ecc.) e, per questa via, il complesso della “commercializzazione” del prodotto locale e ambientale nella gamma della sua interezza. Tutto questo impone un alto livello di selettività, l’attivazione di competenze adeguate allo sforzo di delineare l’immagine di uno specifico e originale luogo di “destinazione”, inteso, percepito e “consumato” in quanto variabile multidimensionale, fonte sia del benessere del singolo utente-turista sia di quello della collettività territoriale che lo fabbrica, lo propone e lo scambia sui mercati turistici nazionali ed esteri . Molto più che nel passato, il turismo si è strutturato in quanto “fabbrica” di servizi ad alto valore aggiunto, industria del tempo libero e della vacanza che richiede procedimenti e componentistiche di filiera. Non casualmente generare, nel ciclo continuo delle stagioni annuali, una logica programmata di misure e azioni promozionali, richiede una raffinata capacità previsionale, l’elaborazione intelligente di “un’agenda turistica” locale provvista di una propria articolazione semantica di snodi, soste, eventi, piattaforme e incontri. Cioè, un movimento turistico, un “sistema turistico aperto”, chiamato ad una dialettica permanente con le istituzioni e il mercato, ma anche a ” tarare” una continua sintonizzazione con i gusti e le mode predominanti nelle borse di riferimento. In sintesi, siamo di fronte a fattori strategicici e tecniche innovative per il successo dell’impresa turistica, a cui devono essere affiancati atti direzionali e impulsi manageriali specialisticamente rivolti al miglioramento degli indici di qualità e alla salvaguardia dell’immagine del territorio. Nei termini complessivi, indicizzabili e quantificabili, delle ricadute economico – sociali – culturali e ambientali.

Vito Barresi

Dirigente Settore 07 Provincia di Crotone

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…Allorché fui sul punto di dare l’ultimo sguardo verso il Mar Ionio, avrei desiderato peregrinare

all’infinito nel silenzio del mondo antico, scordandomi del presente e di ogni suo rumore…

George Gissing 1897 “By the Ionian Sea”

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CAPITOLO 1

IL TERRITORIO TRA PIANTA E MAPPA

Analisi della situazione di partenza, dei bisogni e delle potenzialità

(Sociological Outline)

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1. Il territorio. Uno spazio in tensione tra globale e locale.

Nelle dinamiche evolutive della vita contemporanea, il territorio - oltre ad essere inteso secondo il convenzionale schema concettuale della fisicità geografica - è analizzato (matematizzato e computerizzato) come campo d’indagine, luogo in cui agiscono e si muovono forze convergenti e divergenti; in quanto circolo di mentalità, idee, procedure e modelli, vi si strutturano i rapporti economici e sociali, astratti e operativi, i contesti attuativi delle attività produttive ed ecologiche delle comunità che vi risiedono, non solo stabilmente ma anche temporaneamente o di passaggio. Con l’avvento delle nuove tecnologie informatiche e delle multimedialità, il territorio è entrato nella nuova era di una spazialità nomadica. Ragion per cui, se prima esso misurava e configurava il rapporto d’equilibrio tra ordine e mutamento, terra e uomini, geografia e politica, storia e memoria, oggi ha radicalmente cambiato ruolo e connotazione. Oltre ogni criticità, al di là di specifiche contraddizioni cicliche e di fase, generate dal declino del vecchio ordine del libero mercato, al territorio è stata assegnata la funzione di specchiare e strutturare localmente la tendenza generale alla stabilità internazionale, nonché il controllo periferico di ogni spinta, disfunzionale ed entropica, ai danni del sistema e della centralizzazione delle decisioni e delle sovranità. Nel processo di assestamento di questa inedita dimensione postmoderna della vita, l’ordine mondiale tende a consolidarsi su una norma fondamentale di garanzia e di controllo, finalizzata al sostegno e alla priorizzazione delle politiche di stabilità economica, sicurezza internazionale dei flussi comunicativi, commerciali, politici e militari. Questa norma si propone come un modello operativo, munito di specifiche clausole di convergenza, per agire e svolgere ogni legittima attività in una società in cui il rischio rappresenta una realtà effettiva ed effettuale, la cui minaccia sull’ordine e la tranquillità pubblica è costante ed incombente. Terrorismo, approvvigionamenti energetici, stati canaglia, manipolazioni tecniche, criminalità, disastri ecologici e naturali, crisi economiche e commerciali, sono le variabili di un quadro multiplo e multipolare di scenari entropici, in cui scatta il conflitto incontrollato, la violenza prodotta e indotta da disfunzioni latenti e manifeste, sia in sede di sovranità nazionale che in ambito di diritto e relazioni internazionali.

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Il luogo nativo, il toponimo, lo spazio di collegamento tra sviluppo della comunità entro cui tutto questo avviene, è inteso come limite, sorgente di rischi e minacce, ma anche come baluardo, avamposto, piattaforma dislocativa della sicurezza, dove allestire un sistema di monitoraggio, basato sul controllo geografico ed anagrafico del territorio e delle sue popolazioni. Tuttavia, in questo sistema di controllo integrato e globale, il territorio continua ad essere anche e più semplicemente un punto di mediazione tra istituzioni intermedie e cittadinanza amministrata. Proprio per questo, è ancora in atto una laboriosa opera di ridefinizione concettuale del territorio. Il punto di svolta, in termini di superamento dei tradizionali paradigmi geopolitici del territorio, si è manifestato apertamente con il poderoso balzo in avanti dei processi di globalizzazione. La globalizzazione si è imposta, nella specificità di una propria configurazione geofisica, in quanto spazio non derivato dal territorio, situandosi al di fuori delle relazioni fra gli stati, per collocarsi dentro una linea di interconnessione, ove si proclama e pubblicizza, un proprio e autonomo territorio d’eccellenza, il luogo virtuale della rappresentazione globale ormai da tutti conosciuto, attraversato e praticato: la rete delle reti, Internet. Con l’avvento di Internet, il territorio è apparso sempre più minacciato nella propria fisicità, rapidamente travolto, oltre che dai processi di omologazione culturale, anche e sopratutto da più devastanti fenomeni di riduzione del proprio mondo e dei propri riferimenti valoriali ad una sola dimensione. L’unidimensionalità di segno globale (in parte coincidente con la fine delle ideologie), la conclusione della logica dei blocchi e del bipolarismo delle superpotenze, il superamento della guerra convenzionale, l’avvento di nuovi aggregati di sovranità tra cui l’Unione Europea, il conio della moneta unica, è certamente all’origine della crisi del modello italiano, con il conseguente ripiegamento e riflusso del “made in italy”. La rottura dei vecchi assetti, ha generato un processo di “periferizzazione” della vita italiana, che si è rinchiusa nella corte difensiva di vaste aree metropolitane. Nel quadro di queste trasformazioni, il territorio è divenuto una sorta di “not space”, un “non luogo” ma anche una “contact-zone”, una zona di confine, demarcazione e, dunque, di contatto tra globale e locale. Il territorio è stato in questi decenni il luogo di una complessa mediazione di questi effetti negativi.

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Per cui esso, superato questo convulso ciclo, torna a riproporre la propria centralità non come sopravvivenza o resto del passato, archeologia e vestigia dell’eredità culturale, ma in quanto circuito agente, evento strutturante sia della contemporaneità che del perdurante, luogo dello scambio e delle “performances” tra un già e un non ancora. La crisi (e per questa via anche il riscatto e il rinascimento del sistema italiano) oltre ad essere la risultante della dissoluzione dei tradizionali collegamenti (e delle relative contraddizioni) tra città e campagna, centro e periferia, istituzioni e cittadinanza è anche il prodotto della segmentazione delle memorie e delle identità collettive sociali, nazionali, regionali e locali. In questo senso il futuro di una realtà locale sarà duplice. Da un lato essa è destinata ad autenticarsi, (a “marcarsi”, contrassegnarsi) in quanto specifico e originale microambiente, nella nuova e dominante rappresentazione dello spazio virtuale, della rete Internet, del web. Dall’altro è chiamata a ridefinire e riqualificare la propria identità, rimotivando con una nuova e specifica narrazione (nella forma e nello stile dell’ipertestualità) la propria storia e le proprie memorie, i segni e gli stemmi, i simboli e le marche di un luogo geograficamente e territorialmente identificabile. Per cui la tradizionale dimensione "locale", con i propri spazi di strada, vicolo, quartiere, comunità, frazione, villaggio, paesino, sarà esistente e reale solo se riuscirà a riemergere all'interno di questi più ampi circuiti comprensivi. Quando, ad esempio, i comuni dell’antico Marchesato crotonese, la Provincia di Crotone con le proprie comunità dislocate tra le valli del fiume Neto e del fiume Tacina, saranno in grado di ridefinirsi nei termini di “marca territoriale”, potranno essere riconoscibili e sintetizzabili al punto di tutelare la propria identità. La nuova connotazione di marca, potrà così agevolare il ricentraggio dell’identità locale aiutando il territorio a non disperdersi, favorendo il suo inserimento nel circuito più complesso dell’innovazione, della competitività, e della comunicazione.

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2. La marca come mediazione comunicativa.

Al giorno d’oggi il territorio è sempre più utilizzato, vissuto e rappresentato come un vero e proprio bene di consumo. Il territorio, inteso come un bene patrimoniale, materiale ed immateriale, è sempre più sottoposto ai parametri ed agli indicatori economici, sia per quanto riguarda gli standard di valutazione che per quel che concerne ogni eventuale utilizzo delle sue strutture, infrastrutture e risorse naturali e storico-culturali. Tale valutazione tecnico-economica, si manifesta anche nella consolidata tendenza a strutturarsi in specifiche quotazioni economiche e di mercato, così come avviene nelle principali borse nazionali ed internazionali del turismo, dei percorsi enogastronomici e delle risorse naturali, ove si attua la “commercializzazione” del territorio turistico, ricettivo ed insediativo da parte delle imprese, anche usufruendo delle iniziative di promozione pubblica nazionale e locale. In questo mutato scenario nazionale e internazionale, le autonomie provinciali che intendano definire una propria politica attiva e concertata di sviluppo turistico del territorio, devono dotarsi di una specifica certificazione di garanzia, rappresentata da una “marca territoriale” turistica e agroalimentare, che sintetizzi gli obiettivi di sistema che si intendono perseguire. Tra tali obiettivi, assumono particolare rilevanza il processo di destagionalizzazione del turismo provinciale, il riposizionamento dell’offerta turistica territoriale e la sua immagine sui mercati europei, la qualificazione dell’offerta ricettiva, commerciale e di servizio, lo sviluppo territoriale secondo principi di sostenibilità e di autocertificazione, la tutela del mare, dei fiumi e delle risorse naturali quali fattori propulsivi e qualificanti del sistema turistico territoriale. Pertanto definire una marca per il sistema economico e produttivo della Provincia di Crotone, richiede l’attivazione e l’attuazione di un processo nuovo ed originale, che abbia l’obiettivo di mettere insieme politiche di marketing di prodotti e servizi, nonché la “commercializzazione” di cultura locale e risorse naturali, in modo che gli attori del sistema possano avere a disposizione uno strumento di comunicazione territoriale, che veicoli la propria immagine ed i propri programmi, che sia direttamente fruibile da tutti gli operatori, in una logica di “business community” orientata all’ospite. Proprio perché oggi i prodotti si possono clonare con facilità occorre avvantaggiarsi di ogni differenziale competitivo, specie se rappresentato dall’unicità del territorio, del suo patrimonio diretto e derivato, nonché dal complesso delle proprie eredità culturali.

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La “marca territoriale crotonese” deve far diventare questa provincia, cittadina del mondo. La marca, se ben strutturata, possiede una identità deduttiva chiaramente identificabile, in quanto oggetto di un costante “fine tuning”. Tuttavia, nella sensibilità contemporanea, la questione dell’identità non può più presentarsi con il volto di una equivoca eticità, ma nella dimensione dinamica di un innovativo e comprensivo multiculturalismo, cioè un’identità che gioca la propria credibilità e i propri valori nel perimetro di una “società aperta”, in cui l’identità intesa come autenticità di un luogo, di un territorio, di una comunità, può essere costantemente sottoposta alla verifica di una sua falsificabilità e/o autenticazione, proprio attraverso una procedura e un principio di autenticazione di marca. Come ha osservato Giampaolo Fabris: “la marca deve conservare, anche in giro per il mondo, una propria identità e fisionomia adattandola però, costantemente alle culture locali. La marca deve rinunciare alle velleità, con miopia e arroganza, in termini monolitici:ignorando la dialettica sociale con i Paesi in cui intende diffondersi. L’identità di fondo della marca non può che essere messa in discussione soprattutto a fronte del nuovo consumatore cosmopolita, socialmente mobile e/o cybernauta che non può certo essere esposto ad opzioni molto diverse o contraddittorie.” In origine la parola "marco" non aveva niente a che fare con la moneta. Nella lingua antica tedesca 'marcha' significa confine, delimitazione. Ancora oggi le parole "marcare" (in tedesco: "markieren") testimoniano questa origine. "Markstein" è ancora oggi il nome della pietra che indica il limite di un territorio. "Mark" divenne poi il nome del territorio di confine, infatti da lì vengono nomi come "Danimarca" (regione dei danesi), "Mark Brandenburg" (nome tradizionale della regione tedesca di Brandeburgo) e anche "le Marche". Le Marche erano infatti zona di confine con il Sacro Romano Impero. I feudi che gli imperatori davano ai nobili da condurre si chiamavano marchesati, da cui presero il nome la Marca di Fano, la Marca di Camerino, la Marca di Ancona. Ecco perché oggi, pur essendo una singola regione, la regione ha il nome al plurale. “Marchese” in tedesco è “Markgraf”, cioè conte di una zona di confine.

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3. Il Marchesato di Crotone e le protomarche territoriali.

In questo senso la costruzione di una nuova marca richiederà necessariamente un’ampia opera di ricognizione, scavo e sondaggio nel campo aperto del vissuto territoriale. Questa analisi, anche segmentata e diacronica, deve essere impostata e intesa sopratutto come ricostruzione di nessi logici, variazioni permanenze, rotture dei paradigmi culturali locali, rotazioni d’epoca, sia del “parlato” territoriale che delle sue dislessie, sia del rumore di fondo del cosmico silenzio che del fragore dello scontro di civiltà. A tal punto che dentro la storia di lunga durata di una “città dei tre millenni”, è già ipotizzabile individuare profili e colori di una marca che si delinea nella trasparenza della prospettiva storica, seguendo specifiche fasi: a. un primo stadio, indistinto di paleomarca territoriale rappresentato dalla Magna Grecia, epoca in cui il territorio viene contrassegnato e distinto in termini archeologici (segni-simbolo, monetazione, numismatica); b. un secondo stadio, marcato dall’espandersi della religione-mondo del cristianesimo con la fondazione del presidio territoriale cattolico rappresentato dalla diocesi di Crotone e da altri vescovati locali (segni simbolo, stemmi vescovili); c. un terzo stadio, contraddistinto dalla marcatura geopolitica-militare del crotonese nel contesto del Mediterraneo, con la istituzione del Marchesato di Crotone, la costruzione della piazzaforte spagnola quale base dell’espansionismo imperiale nel Mediterraneo di Carlo V; d. un quarto stadio, contraddistinto dalla marcatura economico-sociale del sistema agro-silvo-pastorale locale del latifondo che definisce i contorni del rapporto tra costa e bosco, tra mare e montagna; e. un quinto stadio con la definitiva e nuova configurazione dell’autonomia territoriale, avvenuta con l’istituzione della Provincia di Crotone. Una volta impostato tale schema sarà più evidente, ma non solo, il collegamento soprattutto tra nuova marca territoriale e antico “marchesato” e, dunque, con Crotone. Un legame forte e distintivo tra i soggetti preposti al comando e il territorio da comandare. Storicamente con il termine “marchesato” si individuava una signoria territoriale controllata, nei secoli centrali del Medioevo, da una famiglia che nei secoli precedenti era stata investita della carica e delle funzioni di marchese.

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Non si differenziava da altre analoghe signorie territoriali se non per la possibilità di legittimare questo potere in base al precedente esercizio di funzioni pubbliche di governo. Comprendeva diversi comitati, grazie all'assunzione diretta dei titoli di conte da parte del marchese, o alla sottomissione dei titolari dei diversi comitati. Nella carica erano prevalenti le funzioni militari. Nuove famiglie vi giunsero grazie all'opera di riforma di Ottone I e dei suoi successori nella seconda metà del X secolo, particolarmente rilevante nell'Italia settentrionale. Le famiglie marchionali furono in seguito tra i principali protagonisti del processo di profonda trasformazione delle istituzioni: basandosi infatti su un ampio patrimonio, sulla forza militare e sul prestigio derivante dal tradizionale esercizio di poteri pubblici, furono spesso in grado di creare, tra XI e XII secolo, ampie signorie territoriali, che assunsero, appunto, il nome di marchesati. Il titolo nobiliare di marchese si conservò anche in età moderna. E’ come se tutto ciò che ci circonda ci stia suggerendo il percorso da seguire, ed è ciò che proveremo ad indicare riempiendo di contenuti tangibili il concetto di marca territoriale a cui aspiriamo. A tal fine, per la mappatura storico-culturale della nostra provincia devono essere tenuti in considerazione i seguenti elementi: qualità del paesaggio colture connotanti il paesaggio presenza di sistemi infrastrutturali connotanti particolari architettonici connotanti l'architettura e il paesaggio rete storica delle strade accessibilità e centralità storica connessioni storiche tra centri vicini presenza di fiere e mercati riferimenti storici amministrativi e giurisdizionali E' importante la connessione dei beni in sistemi territoriali, anche al fine di preludere alla formazione di parchi tematici integrati. Il territorio è un contesto che è diventato ormai maturo per sviluppare nuove idee, per aiutare nuove professionalità e per sostenere la crescita ed il consolidamento dell’economia. Il territorio diventa fonte di creatività, dove le diverse espressioni dei tempi possono prendere forma: economia, tecnologia, storia, arte, tradizione, natura. Il marketing territoriale, ad esempio, è uno strumento utile a tal fine. Il Marchesato è già una “marca”, un segno riconoscibile, oltre che riconosciuto, che si identifica in un territorio e identifica una comunità.

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Un territorio ed una comunità generano, o possono generare, “brand”: la comunità sostiene il brand con il modo di parlare, il modo di vivere, il modo di vestire, i tratti somatici, la tradizione culinaria ed il carattere della gente. Nell’accezione meno comune il brand non è soltanto uno strumento di comunicazione indotta, ma diventa l’elemento chiave di identificazione del territorio e della comunità che lo popola, che deve risultare riconoscibile in ogni circostanza e da ogni target audience a cui si rivolge. La marca territoriale deve essere uno strumento di comunicazione immediato ed efficace, semplice da comunicare e univoco da riconoscere, per costruire un’offerta integrata per il turista, che sia in grado di orientarlo all’interno delle varie risorse del territorio. L’analisi delle prassi storicamente strutturata della marcatura e ogni sua rappresentazione segnica e culturale permette anche di inquadrare correttamente il rapporto di interessenza e di dipendenza che si stabilisce tra marca e marchio ove quest’ultimo artefatto come ha rilevato Giovanni Baule : “non si ferma al segno in quanto tale, ma al contenuto, al senso ultimo di questa operazione;il marchio riconduce proprio al segno profondo che si imprime sulla carne viva e che ha un riscontro ’fisico’:è il lato profondo della comunicazione perché entra negli immaginari, nei desideri, nei progetti collettivi e individuali e li modifica in questo senso. In tal modo, l’essere brandizzati o marchiati evoca una traccia indelebile che attraversa lo spessore dei corpi e dele vite. La questione del marchio, anche per il progettista visivo, non si ferma più all’ultima scheda o all’ultima pagina del manuale di identità, ma tocca al cuore una delle sue principali aree di intervento.” Evitare la facile trappola del rispecchiamento e dell’autoreferenzialità, significa soprattutto superare il rischio di riprodurre un’immagine compiacente del territorio. Occorre rappresentare il carattere della popolazione e lo stile del luogo disegnandoli su una “mappa”, definendo un “territorio immaginario” in cui si distribuiscono i soggetti dello sviluppo. In questa prospettiva, è necessario saper inquadrare il territorio nel lungo periodo, senza confonderne i piani differenziati della tradizione, dell’identità e dell’autenticità, peraltro presenti nei marchi e nei marchionimi, localmente storicizzati, della storia del Mediterraneo. Il tutto a partire da un’adeguata comprensione e ricollocazione dei “marker” rappresentativi di culture-mondo, quali i castelli, la croce, la mezzaluna.

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Nel contesto dell’economia globale, il Mediterraneo continua ad essere il centro del sistema turistico internazionale. La Provincia di Crotone usufruisce - in quanto inserita in questa vasta area - di una posizione geografica di straordinaria centralità, che in termini strutturali ed infrastrutturali resta ampiamente sottovalutata e sottostimata, soprattutto per una carenza di stock ricettivi da mettere a disposizione della domanda turistica. Tutto questo è dovuto anche ad un’immagine non adeguatamente conosciuta e qualificata, che fa da freno ed inibizione nei confronti di concrete e oggettive chances di sviluppo dell’economia turistica territoriale. Tenuto conto di questa oggettiva debolezza e di un posizionamento penalizzante nell’immaginario turistico nazionale, come pure delle difficoltà di immediata identificazione delle stesse localizzazioni turistiche della provincia, si pone l’obiettivo di un riposizionamento concettuale dei principali siti turistici provinciali, per la riconoscibilità e rintracciabilità territoriale della provincia nel contesto del mercato turistico nazionale. La produttività e le ricadute positive di questa necessaria azione di “ascolto” e analisi sociosemiotica del vissuto storico e contemporaneo del territorio, appare tanto più importante alla luce delle osservazioni del sociologo Giampaolo Fabris secondo cui: “il primo passo del communication auditing è quindi quello di un rigoroso inventario di tutte le espressioni della marca che hanno potenziale comunicativo. E’ un’operazione che fornisce sovente risultati inattesi. Nel senso che la marca realizza - come quel personaggio di Moliere che si accorge di aver parlato in prosa tutta la vita senza saperlo – che molte delle sue attività hanno un importante risvolto comunicativo. Sovente inespresso o che si esprime con un linguaggio non armonico e non sinergico con la comunicazione intenzionalmente emessa. Si tratta di rivedere – subspecie comunicativa – anzitutto gli strumenti del mix di marketing per attribuire loro una funzione aggiuntiva.” In questa prospettiva si può affermare che la Provincia di Crotone è un territorio ricco di risorse paesaggistiche, enogastronomiche e ambientali, con un patrimonio storico e artistico d’eccezione, risalente fin dal periodo paleolitico, articolato in un’ampia e stratificata eredità culturale che passa per le epoche e le civilizzazioni della Magna Grecia, dell’Impero Romano, del Cristianesimo, dell’intreccio multiculturale mediterraneo d’influsso arabo e turco, nonché di realtà etno-linguistiche greco-albanesi. Essa si trova ubicata in una posizione geografica originale e unica nel contesto del Mediterraneo, quale ultima città di medie dimensioni, urbanisticamente rilevante, situata all’estremità sud dell’areale geo-storico del Golfo di Taranto.

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Quali propri obiettivi strategici, la Provincia di Crotone intende realizzare programmi tendenti ad organizzare e razionalizzare la domanda di servizi provenienti dalle imprese turistiche, agricole ed agroalimentari italiane, in una logica di successiva internazionalizzazione del sistema. Progettare e definire strategie di posizionamento internazionale per il sistema turistico e agroalimentare provinciale, comporterà coordinare le azioni a carattere internazionale nel sistema Fiere nazionale, europeo e internazionale. Serve inoltre progettare ed implementare, mediante intese istituzionali con altre amministrazioni, un sistema di certificazione delle scuole di cucina, di gastronomia, di enologia e dei corsi di Sommelier; concorrere, anche giuridicamente, alla tutela delle produzioni territoriali - procedendo alla registrazione dei marchi - e delle denominazioni d’origine. Crotone è una provincia con tradizioni agricole ed enogastronomiche antiche, la cui offerta di prodotti e piatti della cucina tradizionale - appartenenti al patrimonio agroalimentare provinciale e al comune retaggio culturale del Mediterraneo - ben si integra con le risorse artistiche, culturali e naturali del territorio e della città capoluogo. Con l’obiettivo di scoprire e valorizzare questo giacimento di sapori crotonesi, s’intende sviluppare ogni valida azione amministrativa atta ad individuare un Paniere di prodotti tipici, originali, locali e territoriali da collocare in nuovi percorsi enogastronomici, artigianali e turistici, puntando all’identità del gusto territoriale, all’unicità dei prodotti locali, alla tracciabilità, visibilità e riconoscibilità delle nostre produzioni, alla realizzazione di politiche e iniziative pubbliche integrate e programmate, all’individuazione di un marchio promozionale delle produzioni e dei sistemi locali in cui queste sono insediate. Così letto e inteso, il territorio si presenta in quanto spazio multifattoriale di una teatralizzazione dello sviluppo (scenario), rendendo possibile la proliferazione di modi e forme di espressione nuove, che per comunicare ricorreranno alla formalizzazione di un contesto operativo composto da un cartellone annuale in quattro cicli stagionali, da un palcoscenico degli eventi, dentro un determinato tempo-spazio (cronoprogramma).

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4. La mappa territoriale.

Il territorio provinciale crotonese è tra i più variegati, dal punto di vista geografico, dell’intera nazione. Mare e colline, campagna e montagne, si alternano a breve distanza fra loro creando un senso di discontinuità visiva del territorio. Ma questa discontinuità, è effettivamente reale? Non si possono individuare delle linee di contatto territoriali che portino a riconsiderare la prima (e superficiale) visione? Proviamo ad esplorarlo con lo sguardo di un viaggiatore: il viaggio è una delle grandi esperienze della vita. Seguendo un percorso, un itinerario, un cammino, anche il più piccolo e insignificante momento diventa fonte di ricordo e poi di memoria. Un viaggio nel sud, inoltrandosi nelle mappe di luoghi da ritrovare e scoprire, rappresenta, tra ieri e oggi, una straordinaria occasione per conoscere, divertirsi, ricaricarsi di inattese motivazioni ma anche avvicinarsi a un modo di vivere e di pensare il Mediterraneo. Un viaggio attraverso la provincia di Crotone permette di cogliere paesaggi diversi in archi temporali ridotti: dalle coste baciate dal rossore delle albe alle campagne sfiorate da quello dei tramonti, dalle colline verdi di uve ed ulivi ai monti imbiancati dalle nevi invernali. Gli sguardi verso il cielo, le visioni delle argille agricole, i fuochi estivi e i tenui tratti dell’autunno segnano il bordo di un mondo unico e meridionale. Il turismo è accoglienza fatta di persone, incontri, assorti momenti di raccoglimento, festa collettiva, dialoghi di strada. I paesaggi e le riviere sono solo apparentemente vuoti. Quanto basta per comprendere che ogni angolo ha un proprio significato, che ogni contrada rimanda a più antiche, profonde e sussurrate storie. La popolazione crotonese è cresciuta insieme alla storia dei luoghi. Il mare, nel suo eterno fluire, ha sempre portato sulle nostre coste il vento del nuovo e del differente, abituando la gente al contatto umano, stimolandone la curiosità per lo sconosciuto, sollecitandone una sorta di atavico ed ereditario senso di accoglienza. Anche la fortezza sul mare di Le Castella, bastione dei misteriosi aragonesi, nato in una logica di protezione della costa, è oggi un punto di contatto, un afflato sussurrato sospeso tra occidente ed oriente, e continua a recitare la sua poesia sul palcoscenico smosso da maree alla ricerca di un’ isola di pace. Qui il tempo non si ferma, ma sempre ricomincia nel suo segnacolo eterno. Il mare intorno a noi è una grande risorsa di giovani emozioni. Segnate da questa speciale e originale caratura di luoghi, angoli e panorami, i presidi e le attività turistiche, le tante iniziative di accoglienza, risuonano istanti da vivere e ricordare.

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Crotone con il suo porto, il primo ad oriente per chi risale lo stivale da sud, è strategicamente posizionato, in quanto riduce le distanze tra i porti più vicini, di Taranto e Messina, consentendo lo sfruttamento del c.d. doppio corridoio fra l’Adriatico a nord e il Tirreno ad Est. Oltre ad essere un punto di sosta importante per gli utenti turistici del mare, il porto di Crotone è destinato ad acquisire sempre maggiore rilevanza economica, nell’ambito di una attenta politica infrastrutturale, in quanto è idoneo all’attracco di navi commerciali di piccolo e medio cabotaggio. Dal punto di vista economico, giova sottolineare che il tratto di mare al largo delle coste crotonesi è oggetto di sfruttamento da parte dell’Eni, in quanto ricco di giacimenti metaniferi. La Provincia di Crotone inoltre, essendo geograficamente collocata lungo la strada che collega la Puglia e la Sicilia, estremo lembo del Golfo di Taranto, oltre che verso lo stretto di Messina guarda a nord, verso Gallipoli e S. Maria di Leuca, e si presenta nell’immaginario di chi la scopre come una linea azzurra di meridiane lontananze. Crotone e provincia sono un mix di mare e montagna, forse unico in Italia. A pochi chilometri dalla costa… la Sila, austera, maestosa e misteriosa, intrigante, generosa e difficile quanto i briganti che l’hanno abitata. Eppure, anche qui, camminando tra i suoi boschi, il rumore dell’acqua lo senti dappertutto, sgorga da copiose sorgenti, scorre in limpidi corsi che arrivano al mare, dando l’idea del ciclo della vita. I boschi sono alberghi naturali, dove viaggiare nel verde di pini cantastorie, accompagnati dalla percezione di legno e nerume di carbonelle. Sila e collina scendono a valle, dove cime di pini sono già il vessillo di una regione attesa. Non va trascurata la tradizione gastronomica provinciale, che risente anch’essa del mix tra mari e monti che contraddistingue tutta l’area, un giacimento di gusto e gastronomie raccolti in un cucchiaio. Cibi in forma di pane, incavati e talvolta grezzi, ma con sapore pronunciato e schietto. Crotone, marca e provincia delle cucine pitagoriche. Da queste, all’insegna del grano e del pesce, parte il percorso gastronomico, che è una escursione di cultura materiale, uno stile di vita, una storia di mestieri. I piatti tipici sono un piccolo universo, un osservatorio gastronomico in cui si specchiano gli arcani del “mare nostrum”. Dove si tocca, con le mani e il palato, tutto il piacere del sud in pochi piatti: veri, abbondanti, autentici. In che modo è possibile creare un continuum tra le immagini e le suggestioni fin qui esplorate?

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Partendo inevitabilmente da Crotone in quanto capoluogo, cosa mette in relazione il mare su cui la città si affaccia – con il suo porto, le sue spiagge, la sua costa – e le montagne della Sila crotonese? Cos’è che ha unito negli scorsi decenni i territori boschivi della Sila al nucleo industrializzato della città di Crotone, le strade o i rapporti umani e commerciali? Ad unire luoghi tanto diversi sono stati i mezzi o i fini? Se trascendiamo per un attimo dalla visione geografica strictu sensu, interfacciandola con valutazioni di storia passata e (soprattutto) presente, forse riusciremo ad individuare percorsi tanto trasparenti da risultare quasi invisibili, se non guardati nell’ottica cui appartengono. Fin dall’antichità, risulta che i Romani fabbricassero le navi (che venivano varate sulle coste ora appartenenti alla Provincia di Crotone) utilizzando gli alberi della Sila, cosa che da il senso della reale continuità tra la montagna e il mare, quasi che la montagna, attraverso il suo legno e la sua gente, potesse scendere e vivere nello “spazio liquido”, non nel mare inteso come massa d’acqua, ma come fluire di storia e di popoli tra territori lontani. In un passato più recente, il fiume Neto, che taglia diagonalmente buona parte del territorio provinciale e lungo il quale avvenivano i più frequenti passaggi di uomini e di merci ed i relativi scambi, rappresentava quasi un’istmo che apriva in due un territorio aspro geograficamente ed umanamente. In epoca più attuale, le fabbriche crotonesi, in particolare la Cellulosa Calabra, hanno sovente fatto fronte alle necessità di materia prima attingendo al patrimonio boschivo, ricreando un flusso umano e commerciale tra il mare e la montagna.

Sebbene individuata in maniera fisica, definita nei confini e nella formalità istituzionale, una provincia trattiene in sé ricchezze ed esperienze che esulano dai concetti finiti e definiti della storia sociale di un paese. La “mappa” a cui si fa riferimento, nulla ha a che vedere con l’indicazione territoriale in senso stretto, ma con un significato storico e culturale, che richiama le origini guardando al futuro. Una demarcazione, dunque, culturale, che richiama la natura stessa del palcoscenico sul quale si alternano attori materiali e immateriali, più o meno protagonisti di una sceneggiatura che abbiamo la possibilità e la capacità di dirigere. La mappa territoriale è lo strumento attraverso il quale poter inquadrare ed interpretare qualsiasi fenomeno o caratteristica della popolazione e del territorio, siano essi strutturali, piuttosto che relativi ad atteggiamenti e comportamenti. Si è imposto il concetto di nodo e, accanto a questo, quello di rete (di rete delle reti), di LAN (Local Area Network).

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Tuttavia nella misura in cui il territorio perde in fisicità continua a permanere la sua essenza di lunga durata, quella di un proprio “simbolico”, da ricollocare nel vissuto contemporaneo. Questo intreccio tra simbolico e vissuto, si esprime nella azioni di valorizzazione (o nella disvalorizzazione) della “texture territoriale”, cioè di quella vera e propria tessitura qui intesa come spazio di relazione in cui si struttura la comunicazione del territorio verso il mondo esterno, nella realizzazione del teatro dello sviluppo, in quanto promozione, valorizzazione e programmazione dei rapporti economici e sociali in esso vigenti. Per cui se la marca è qui intesa come la definizione comunicativa del territorio, la sua progettazione dovrà avvenire nella forma di un sistema d’identità sociale, un centro di comunicazione, una risorsa strutturata a disposizione dei soggetti attivi nel territorio. Disegnare la marca, delinearne gli aspetti grafici, comporta la segnalazione dei confini fisici, simbolici e strategici, tracciando i segni potenziali e progettuali del territorio. In questa logica la progettazione e la definizione di una marca territoriale deve tenere conto del: a. carattere storico del territorio e per questo delle antiche radici culturali del crotonese che attraggono creando valori emozionali e distinzione ma anche cogliendo una sempre più diffusa richiesta di ridefinizione dell’identità socio economica della provincia, venuta meno con la crisi e il declino di vecchi modelli di sviluppo industriale del secolo scorso. Il territorio della provincia di Crotone è entrato in una nuova fase di sviluppo, in un ciclo congiunturale complesso e articolato caratterizzato da una accentuazione dei processi di globalizzazione, adeguamento e convergenza fortemente accelerati dall’avvento della moneta unica europea, l’Euro. Nel frattempo, a chiusura del trascorso secolo del Novecento, nella provincia e nel suo capoluogo si è esaurita una lunga fase di transizione, caratterizzata dalla definitiva scomparsa del vecchio assetto industriale fordista e dall’affermazione di uno sviluppo autocentrato sul territorio. In questo nuovo quadro l’economia turistica (cfr. Anci-Upi, Il paese delle mille identità. I valori dell’Italia irriproducibile e non delocalizzabile, Roma 2005), l’industria dell’accoglienza, l’apertura e la realizzazione di una provincia intesa come porta del dialogo mediterraneo, sono divenuti l’orizzonte quotidiano ma anche lo stimolo a costruire il cantiere e il laboratorio di una provincia futura che gioca la carta dei servizi, della qualità della vita, della cultura, del mare e del paesaggio da offrire ai visitatori che raggiungono questi luoghi.

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b. carattere semiologico che deve assumere la marca a partire da una conoscenza dei consumatori e dalle relative strategie di nicchia che il contatto consumatore-territorio suscita e determina. Da alcune indagini di settore si desume che la potenzialità turistica della Provincia di Crotone è molto elevata ma anche fortemente sottostimata, scarsamente utilizzata, ampiamente inespressa. Rilevazioni statistiche, studi specializzati e documenti di pianificazione territoriale stimano che in larga parte il “turista” arriva in Provincia di Crotone da altre regioni del centro-sud, specie dalla Campania e dal Lazio. In termini di collocazione sociale appartiene la ceto medio; il livello istruzione è medio-basso; conosce la Provincia di Crotone attraverso canali informali quali amici, parenti e solo in misura minore tramite consiglio o suggerimento di un’agenzia turistica; la vacanza è prevalentemente di tipo familiare, il nucleo familiare è composto da tre/quattro persone; il soggiorno oscilla da un minimo di due a un massimo di tre settimane; le motivazione che spingono il turista a scegliere questo territorio sono molto convenzionali; la dominante è rappresentata dal desiderio/bisogno di mare, anche raccogliendo i consigli di amici e conoscenti i cui resoconti delle loro passate vacanze rappresentano il soggiorno nella provincia come un periodo rilassante, divertente e di mare pulito; tale percezione è affiancata da altre motivazioni sub-dominanti quali il desiderio di socializzazione, quello di natura e di cultura , della cura di sé, del benessere e della salute; si tratta di sensibilità latenti che occorre portare in superficie, intrecciandole con la propensione manifesta a fruire del “vacuum”, appunto la vacanza “sole-mare”; il turista che soggiorna a Crotone manifesta un basso interesse ad attraversare e percorre il territorio in cui si colloca la struttura ricettiva che lo accoglie; solo una parte esigua organizza itinerari e mostra apertura alla pur bassa offerta di itinerari in sede di sistema turistico locale. Nel contesto dell’economia globale, il Mediterraneo continua ad essere il centro del sistema turistico internazionale. La provincia di Crotone usufruisce - in quanto inserita nella più vasta area del Mediterraneo che continua a rimanere il polo turistico più rilevante a livello globale - di una posizione geografica di straordinaria centralità, che per ragioni strutturali ed infrastrutturali resta ampiamente sottostimata e sottovalutata, soprattutto per una carenza di stock ricettivi che l’offerta locale mette a disposizione della domanda turistica. Tutto questo è dovuto anche ad un’immagine non adeguatamente conosciuta e qualificata, che gioca un ruolo di freno e inibizione nei confronti di concrete e oggettive chances di sviluppo dell’economia turistica territoriale.

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c. carattere progettuale della marca territoriale che deve protendere a innalzare l'orizzonte delle ambizioni e sviluppare una visione su cosa vogliamo costruire per il futuro, effettuando scelte di programmazione per rendere più solida la soggettività del territorio in un quadro di scambi e alleanze; la mission della marca sarà quella di: aumentare la produttività degli enti che agiscono sul territorio, incentivare e inquadrare in un contesto di territorio, distretto e filiera i programmi, le misure e le azioni per rendere la provincia autosufficente e competitiva; agire sul sistema scolastico provinciale in termini di divulgazione e formazione a questa soggettività di territorio; indicare vettori di politica economica territoriale quale punto di orientamento per le imprese.

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CAPITOLO 2

VALORE & VALORI DELLA MARCA

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1. Valore e valori della marca.

Non è un gioco di parole. La marca ha valore quando trasmette forti valori. Nel suo lungo divenire storico – da semplice marcatore di proprietà/identificazione a motore semiotico ed identità – la marca è approdata adesso al variegato mondo dei valori e dell’etica. Valori nell’interpretazione sociologica corrente, come aggregati di senso – conditivi e affettivi - coerenti, duraturi, moralmente vincolanti, capaci di guidare le scelte individuali per un periodo di tempo sufficientemente prolungato. Sono elementi che fondano l’identità sociale e la specificità individuale e di gruppo ma, allo stesso tempo, sono i nuclei attraverso cui passano e si consolidano i processi di differenziazione sociale. Che la marca abbia un valore – anzi, come si legge sempre più spesso, nei testi di management, che “rappresenti l’asset più importante di cui l’impresa dispone” – vi sono ormai troppe evidenze per doverlo ancora documentare. Un valore che prescinde anche dalle sue quote di mercato, dalla sua distribuzione commerciale, dai suoi attributi più tangibili, dal valore delle sue shares e che ha fatto spesso parlare di alchimia della marca. La marca cioè come costruzione magica: come quando, in polverosi laboratori, l’alchimista tentava la prodigiosa trasmutazione del metallo in oro. Al limite la marca come un re Mida dei nostri giorni che trasforma in oro tutto ciò che tocca. La metafora – anche se seduttiva ed affascinante – è però solo parzialmente corretta. Presupposto, infatti, perché la marca possa trasformarsi in produttore di ricchezza è che comunque il materiale che firma non sia un vile metallo: la vera conditio sine qua non perché la marca possa esprimere il suo grande potenziale, trasformarsi in uno straordinario moltiplicatore di valore è che si contrapponga ad un buon prodotto o servizio. Esempi di marche che siano riuscite a sopperire a vistosi deficit sul fronte delle performance – del contratto cioè che la marca sottoscrive ontologicamente con il consumatore garantendo il rispetto di queste ed una costanza poi di qualità – e ad avere successo sono ben difficili da riscontrare. Al massimo si tratta di affermazioni momentanee di fenomeni dell’ordine delle mode: destinati cioè ad avere vita breve. Quando la marca – anche se inadempiente sotto il profilo qualità - diminuisce la sua attrattività, perde rapidamente di richiamo. A fronte di un consumo più competente, esigente e demanding, il rispetto e l’acritica reverenza di un tempo nei confronti della marca non trovano più spazi o ragion d’essere.

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L’allure che la marca riesce a creare, anche se questa si è consolidata nel tempo, non è sufficiente a contrastare le lacune sul fronte delle performance. Pensiamo, ma vi è purtroppo solo l’imbarazzo della scelta al proposito, a Jaguar – un nome mitico nel settore dell’automobilismo – le cui prestazioni erano andate progressivamente indebolendosi, nel corso degli anni, sino a scontentare fortemente i suoi utenti. Un’immagine consolidata da decenni e di grande prestigio non è riuscita a supplire alle vistose defaillance, e la marca ha perso rapidamente valore e quote di mercato imboccando un poco dignitoso viale del tramonto. È solo con l’intervento di Ford – che si fa massicciamente carico dell’attenuare prima ed eliminare poi la difettosità della vettura – che Jaguar torna ad essere una marca che genera valore: per i suoi azionisti e per la sua utenza. Tuttavia resta un’ombra sul suo blasone perchè le inadempienze, anche se superate, lasciano sempre una traccia. Ma, una volta adempiuto al rispetto a questa sorta di prerequisito rappresentato dalla qualità, considerato a tutti gli effetti un must, è proprio la marca che può attribuire caratteri totemici ai prodotti che firma. Per conseguire il successo, per creare valore non è più sufficiente per l’impresa avere buoni prodotti ad un prezzo equo: questo rappresenta una condizione certamente essenziale ma non sufficiente. Ci sono un’infinità di buoni prodotti e servizi sul mercato destinati a restare in una sorta di limbo o a scomparire perché non vivificati dall’affitto della marca. Di una marca che non sia pure denotazione, non sia cioè entrata con maestria e determinazione, nel mondo della connotazione. Tra l’altro è noto come le differenze tangibili tra produttori diversi tendano, all’interno dello stesso comparto, ad assottigliarsi sempre di più ed a divenire progressivamente indistinguibili sotto il profilo dei valori d’uso. Anche le innovazioni più sostantive, quelle che un tempo costituivano una duratura rendita di posizione, adesso rischiano di essere clonate quasi in tempo reale. Ferrero, una delle grandi marche italiane dell’industria dolciaria per decenni ha avuto nel suo portafoglio quei prodotti che l’imprenditore Michele Ferrero definisce come “prodotti d’impresa”: vale a dire prodotti che da soli possono costituire un’azienda e che è quasi impossibile riprodurre alla stessa struttura di costi, che hanno quindi caratteristiche uniche e differenzianti, che hanno una vita lunghissima e che sviluppano imponenti fatturati. Si pensi, per tutti, a Nutella e Rocher. Eppure, in tempi recenti, è stato sempre più difficile, per Ferrero, mantenere un vantaggio competitivo basato sulle caratteristiche di unicità dei suoi prodotti. Quando immette sul mercato un prodotto fortemente innovativo come le merendine refrigerate questo viene riprodotto dopo pochi mesi da una Centrale del Latte italiana. La marca invece è impossibile da clonare.

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La marca, sempre meno, può fruire di rendite di posizione basate sia su fattori distintivi strutturali od oggettivi sia sulla pregiudiziale fedeltà del consumatore che, come vedremo più oltre, rivendica invece una crescente autonomia, discrezionalità e sperimentalismo pur continuando a guardare alla marca con interesse e considerazione.

La marca deve costruirsi una propria equity di grande spessore e costruire poi un fertile terreno di dialogo con il consumatore. Deve continuamente elaborare, arricchire – mantenendo inalterati i suoi significati di forno ed intervenendo costantemente sui significanti – la propria identità se non vuol recitare un impotente soliloquio.

La metafora dell’alchimia, inoltre, ha un altro cotè debole: l’alchimista è sovente, almeno nella comune accezione, più un mago stregone che uno scienziato. Ed invece, perché la marca possa produrre valore, questa necessita sino in fondo l’apporto della scienza: se la creatività, l’immaginazione, la fantasia sono importanti per attribuire protagonismo alla marca, pure queste si devono coniugare ed essere comunque subordinate, ad un approccio rigoroso, sistemico al branding. Ad un pensiero strategico, la lista di marche che hanno equivocato il credito ottenuto in passato alla stregua di un lasciapassare che garantisse legittimazione ad un modo di procedere che prescindeva dai bisogni, desideri, aspettative del consumatore, insensibile alle conseguenze del cambiamento sociale, poco coerente con la propria mission o senza il necessario apporto della ricerca, se non sono scomparse del mercato sono ancora intente a curarsi le ferite.

Il forte credito del passato o di cui si gode attualmente non significa certo “licenza di…”, e può essere dilapidato in poco tempo. La marca deve essere consapevole del fatto che mette in gioco il proprio nome e la propria reputazione tutti i giorni. L’arroganza o la miopia di chi considera la marca – anziché una costruzione in progress a cui dedicare cura, attenzione e dedizione – come una sorta di cash cow da mungere e da spremere e da cui attingere soltanto profitti è stata duramente punita. La lista dei continui insuccessi sul fronte della marca non risparmia le più titolate. La marca sviluppa una equity quando sia correttamente gestita nella piena consapevolezza del suo valore e delle sue potenzialità. Altrimenti il concetto, recitato sempre più spesso, della marca come capitale più prezioso per l’impresa si svuota di contenuti. Sembra un paradosso ma sono poche le imprese a dedicare alla marca – alla costruzione e gestione della sua equity – quell’attenzione e quell’intelligenza strategica che mercati sempre più iper-competitivi e complessi richiederebbero.

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La testimonianza la si trova con immediatezza nei brief delle campagne pubblicitarie – che costituiscono da sempre uno degli strumenti privilegiati per potenziare il valore della marca - il più delle volte elusivi e generici; nella messa a punto di strategie di comunicazione sovente delegate quasi interamente all’esterno; nelle ricerche sulla marca che si basano ancora su dimensioni obsolete da “paleo-marketing” come l’awareness, l’immagine, il posizionamento; nell’assenza di un cruscotto – o di una cabina di regia – che indichi velocità, direzione, possibili ostacoli, mappatura del territorio che la marca intende percorrere e che sia davvero capace di generare sinergie tra i tanti media con cui questa comunica elevare la sua massa critica. Il branding, oggi, è diventato terreno fecondo di analisi e costruzione scientifica: l’ampliarsi a dismisura della letteratura in materia e il corpo sempre più consistente di ricerche condotte supportano autorevolmente questa considerazione. Una accezione di scienza – come tute le scienze umane, sociali e del comportamento – diversa da quella delle scienze esatte ma anche da quelle economiche che sovente millantano, grazie al ricorso ad un apparato statistico-matematico sempre più complesso, una pretesa oggettività ed attendibilità che sono ben lungi dal possedere. Tra l’altro, sia detto per inciso, il mondo dell’economia, macro e micro, ha sempre non considerato o sottovalutato il ruolo della marca: guardandola più come un fattore di disturbo che come un autonomo generatore di valore. La marca ha valore se, e in quanto, riesce a sedimentarsi con una identità chiara, distintiva e coinvolgente nella mente del consumatore. Il concetto di customer oriented brand equità - l’acronimo è COBE – parte proprio da questo assunto. La forza della marca, la sua capacità di produrre ricchezza, la sua equity si basa in realtà su ciò che il consumatore ha appreso, visto, sentito, percepito, sperimentato personalmente nel tempo. La COBE si attiva quando il consumatore elabora un elevato livello di conoscenza e familiarità con la marca che riesce a sedimentare nella sua mente un ricco patrimonio di associazioni positive in maniera consistente e duratura. Potremo anche vedere la equità di una marca come un sistema dinamico in continua evoluzione, fortemente interconnesso come una piramide che ha alla base la salienza della marca (la sua visibilità/awareness, la competenza nel settore in cui opera, la fiducia che suscita).

Ad un livello immediatamente superiore si trovano gli attributi frangibili, le caratteristiche oggettive e performative, i valori d’uso della marca, le esperienze pregresse e, in parallelo, il patrimonio associativo e simbolico che evoca, la sua immagine, il suo percepito ai diversi livelli di consapevolezza.

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Ad un livello ancora superiore troviamo una tradizione in termini valutativi dei valori d’uso, l’interesse per le performance attribuite, la customer satisfaction, le convinzioni sulla superiorità performativa della marca e – sullo stesso tempo – i sentimenti, le emozioni che suscita, l’attualità che manifesta. Al cuore di questo cono si trova l’essenza della marca (brand essente), il suo DNA, il suo patrimonio genetico e fondativo come viene percepito dal pubblico. All’apice della piramide del COBE vi è la relazione reale che la marca intesse col suo pubblico, il commitment nei suoi confronti, la fedeltà che genera. La marca senza questo presupposto è pura virtualità, una empty box da divenire poi, agli occhi del mercato, così trasparente da risultare invisibile.

Assai meno caratterizzante, invece, il diffuso luogo comune secondo cui “la marca conta per i prodotti che contano”: nel senso che sarebbero quelle decisioni d’acquisto realmente coinvolgenti il consumatore – per l’esborso economico elevato che comportano o per le forti implicazioni emotive che mettono in moto (due dimensioni talvolta coincidenti, molto spesso no) – a valorizzare il ruolo e l’importanza della marca. Mentre, per i prodotti più banalizzati o di routine la marca sarebbe poco rilevante o del tutto irrilevante, esaurendosi nel suo significato primario prettamente identificativo. Anche se c’è un fondamento di varietà in questa teoria, crediamo che non si possa parlare di una legge invariabile e definitiva. Infatti, vi sono marche fortissime nel settore dei prodotti commodity, come pure beni di grandissimo valore per i quali il brand è sovente assente (ad esempio gran parte dei gioielli venduti risultano unbranded). Pensiamo nel primo caso a Barilla: vi è una continua ricorrenza di ricerche, condotte dalle fonti più disperate, a mettere in rilievo come questa marca sia al primissimo posto in Italia quando si studia l’empatia ed il commitment dei consumatori verso una marca. Eppure Barilla, sino ad un recentissimo passato, firmava esclusivamente il più basico dei prodotti nel nostro Paese: un prodotto acquistato di routine, poco costoso – e un tempo assai poco emozionalmente investito – come la pasta alimentare. Un tempo: perché nel corso degli anni, mano a mano che Barilla costruiva la sua equity di marca, la pasta da consumo povero e dimesso, socialmente poco qualificante e nutrizionalmente poco corretto (questi erano gli stereotipi che le venivano attribuiti, destinati inevitabilmente a mitigare la elevata gratificazione orale comunque riconosciutale) si è trasformata in un prodotto moderno e postmoderno, salutare, naturale, semplice e buono. Una singola marca è cioè riuscita – un’impresa solitamente ardua da conseguire – a divenire protagonista nell’affollatissimo empireo delle marche, oltre a bonificare un intero comparto merceologico trasformando la product image della pasta alimentare.

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2. Che cos’è il valore della marca?

Il valore della marca è innanzitutto valore per il consumatore mutato dalla capacità della marca di attribuire un cuore ed un’anima al mondo degli oggetti, di trasformare una mera prestazione d’uso in comportamento dotato di senso, di cambiare una transazione economica di una relazione (o almeno in una speranza di questa: la marca è largamente inadempiente su questo fronte); di prestarsi a divenire una nuova forma di linguaggio con cui comunicare a se stessi ed agli altri: di veicolare significati, mondi, valori che si condividono e di cui ci si compiace. Si viene così a fondare una sorta di contratto sociale, non scritto ma non per questo meno cogente, tra il pubblico e la marca. La marca deve essere cioè all’altezza delle aspettative e delle promesse e i consumatori le restituiranno, in cambio, fiducia e credibilità: un do ut des ben al di là della tradizionale asimmetria che ha sempre caratterizzato i rapporti tra produzione e consumo. Restituzione sotto forma anche di atti di acquisto e, laddove la equity sia davvero importante, fedeltà come premessa per una long lasting relationship. Il valore della marca per il consumatore può divenire così elevato da generare qualcosa di simile a ciò che si verifica, in medicina, con l’effetto placebo quando una sostanza inerte, avallata però dall’autorevolezza di un medico, dimostra di realizzare effetti terapeutici. In uno studio pubblicato dal British Medical Journal è segnalata una ricerca in cui i pazienti che usavano come antidolorifico la propria marca ottenevano effetti assai più consistenti di quando veniva solo somministrato un analgesico che pure aveva la stessa consistenza chimica ma privo della marca. Il valore della marca, se questa è correttamente gestita, genera per l’impresa un utile che eccede largamente i tradizionali indicatori.

Il valore della marca per l’impresa quindi come moltiplicatore del suo valore oggettivo in caso di vendita; come maggior prezzo che riesce a scontare sul mercato, sovente in un’area premium price.

3. Esistenza e divenire della marca.

La marca, nel suo divenire storico, ha interpretato ruoli e funzioni estremamente differenti, ogni volta incorporando ruoli e funzioni estremamente differenti, quasi avesse vissuto molteplici e distinte esistenze. E non è casuale: figlia del mercato e della comunicazione, portatrice di significati e di valori, contaminata dallo spirito del tempo e dai mutamenti di una società in continua evoluzione, la marca è soggetta al cambiamento e, come ogni altro soggetto che vive nella storia, è destinata a mutare se vuole sopravvivere.

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Tuttavia, questa continua evoluzione a fronte del cambiamento – lungi dall’essere il frutto di una condizione fragile ed incerta, oppure la risultante di un vagare provvisorio e debole – si rivela come un preciso dovere per la marca: una storta di percorso obbligato verso la modernità, l’attualità, il contatto/relazione quotidiani con i consumatori. Nondimeno, accanto alla vocazione al mutamento, la marca deve sempre riaffermare la propria coerenza e la propria stabilità.

È una sfida, perché richiede – da parte del management – una straordinaria attitudine ad affrontare la perenne tensione tra continuità e rottura, tra conservazione e crescita, tra classicità e contemporaneità. È proprio in nome di questa sfida che la marca moderna, nella sua esistenza, ha attraversato una serie di fasi e nuove aperture. Abbiamo ricostruito questo cammino per tappe, facendo luce su ciascun passaggio che non annulla ogni volta l’esperienza passata, ma la contiene e la tramanda. Otto momenti, otto “età” importanti che descrivono un iter che pare cercare una progressiva “affinità elettiva” con gli individui, dopo aver conquistato l’attenzione e la fiducia dei consumatori:

memorabilità e awareness _ fiducia _ goodwill_

posizionamento _ commitment _ emozioni_ attualità culturale _ valori

a. Memorabilità e awareness: il trademark.

Da tempo la marca s’è emancipata dal ruolo originario di mero marcatore della produzione, così come dall’iniziale equivalenza tra visibilità/notorietà e successo commerciale.

La necessità di segnalare l’appropriazione e l’identificazione del bene di consumo – che emerge visibilmente con l’avvento della rivoluzione industriale e acquista pieno significato con la produzione di mass – si trasforma in esigenza di differenziazione non appena il mercato dominato dalle merci volge in mercato dominato dalle marche. Diviene necessità inderogabile nel periodo storico in cui si passa dallo sfuso o dall’artigianale al confezionato e all’industriale.

Farsi riconoscere, e riuscire a distinguersi rispetto alla concorrenza appare come un’esigenza imprescindibile e una missione inevitabile della marca nella sua accezione moderna, industriale: una sorta di primum vivere. Diventa necessario, allora, rendere distinguibile e memorabile il trademark, il marchio di fabbrica, con il suo verbo e le sue icone, sviluppando la diffusione del nome e del logo e puntando sul ricordo. Coerente a questa fase è quindi perseguire la memorabilità e la notorietà presso il consumatore.

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Si tratta di un parametro di sicura importanza in tutti quei mercati in cui la marca deve entrare in un paniere o trovare legittimazione in una determinata categoria merceologica: una premessa necessaria ma assolutamente non sufficiente.

Il mondo del marketing e quello della pubblicità hanno tradizionalmente utilizzato una serie di parametri interpretativi e di test sul consumatore per stabilire la portata e la natura della relazione (una relazione basica ed elementare) tra il pubblico e la marca. La marca che viene citata per prima, all’interno di una categoria merceologica, è detta top of mind. È certamente, questa, la dimensione più significativa nell’ambito degli studi sul ricordo della marca. Gli altri indicatori afferenti al ricordo sono il ricordo spontaneo (tutte le marche evocate spontaneamente sulla base della sollecitazione che fa riferimento al prodotto) e il ricordo aiutato: di fatto il riconoscimento del nome della marca. Un indicatore troppo vago, quest’ultimo, per dar conto della presenza della marca nell’immaginario collettivo. Molte marche che fanno ormai parte del cimitero degli elefanti – marche un tempo affermate ma di cui resta solo una debole traccia nella memoria –ottengono solitamente scores elevati a questo tipo di sollecitazione. L’awareness è il primissimo step nel rapporto tra la marca e il suo pubblico, il traguardo iniziale della marca che vuole entrare a far parte di uno scenario competitivo, che intende stabilire una connessione, un legame, tra marchio e classe di prodotto. È l’obiettivo del branding in un’epoca di “primo approccio” alla comunicazione d’impresa.

Grazie agli effetti congiunti di pubblicità, pubblicizzazione, distribuzione e packaging – ma soprattutto con il ricorso alla prima – la marca può farsi conoscere in questa fase di start up, può apparire visibilmente e permanere nella mente del consumatore: una sorta di imprinting. Non è casuale che questa fase della marca, osservata in una prospettiva di tipo genetico-biologico, sia stata paragonata alle prime impressioni degli animali alla nascita. Sono sufficienti pochi secondi per incidere permanentemente, nella memoria di un animale appena nato, l’identità del suo genitore.

Allo stesso modo, è necessario un buon esordio affinché una marca possa essere accettata favorevolmente e definitivamente nella coscienza degli individui. La presenza nella memoria del consumatore è certamente un importante presupposto per la creazione di una relazione. Una volta che la marca s’è moltiplicata in una miriade di segni e di insegne, una volta che ha garantito visibilità alla produzione commerciale, una volta che ha costruito solidità e riconoscibilità del nome, la sua missione inizia ad assumere un nuovo, ben altro, spessore.

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La marca si trova adesso a muoversi in spazi fisici e semiotica dove beni e servizi paiono aumentare di densità, e, al contempo, caratterizzarsi per relativa fungibilità. Nomenclatura, etichette e sembianti memorabili, rischiano ora di perdersi e confondersi nel rumore di fondo.

Si rende allora necessaria la formulazione dell’addizione di contenuti e significati. La marca appare spesso obbligata a definire il suo ruolo strategico: il perseguimento della notorietà, non più variabile discriminante e missione essenziale del branding, cede ora il passo alla ricerca di fiducia e benevolenza.

La marca denotativa, quella del trademark della notorietà, quella che identifica il prodotto cede gradatamente il passo alla marca connotativa, depositaria di significati e valori. La marca, come funzione segnica, s’investe – grazie all’azione del tempo, alla memoria del consumo, alla stratificazione della comunicazione – di un contenuto proprio e – per certi versi – ereditario.

b. Fiducia: dal trademark al trustmark.

Il lungo iter evolutivo della marca prosegue nel tempo, emancipandosi dai contenuti originari e dalle missioni tipiche degli esordi. L’identificazione, il riconoscimento, la visibilità, la notorietà, vanno gradualmente ad iscriversi nel codice genetico del branding. Tendono, cioè, a divenire parametri tautologici e piuttosto marginali in termini di progettazione e pianificazione strategica. Il secondo momento “storico” della marca vede un decisivo spostamento di obiettivi: dalla visibilità alla fiducia. Una volta acquisita notorietà e riconoscibilità, ormai protagonista di mercati densi e competitivi, la marca tende a divenire garante della competenza specifica in quel settore, della buona qualità del bene che connota e della sua costanza nel tempo. Conferisce al prodotto la rassicurazione di saper svolgere bene, al meglio, le prestazioni che il consumatore si attende. È piuttosto significativo, a questo proposito, che il marketing anglosassone distingua i semplici trademarks dei ben più solidi trustmarks. I marchi di fabbrica dai marchi fiduciari.

Dunque non basta un marchio registrato per ricevere la confidenza e il favore del pubblico. Non è sufficiente una buona dose di notorietà per guadagnarsi il credito dell’individuo consumatore. È proprio il termine fiducia/conferire fiducia, quello che meglio esprime l’obiettivo strategico della marca in questa fase. A cui corrisponde, da parte del consumatore, un atteggiamento di generico apprezzamento, capace però di orientare le scelte.

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Questa esigenza di legittimazione sul mercato, in particolare verso il target di riferimento, si esprime attraverso standard di qualità, innovazione e servizio superiori rispetto alla concorrenza unbranded. Il prodotto di marca assicura migliori prestazioni, buone performance e un risultato imbattibile. In questo modo la marca può stipulare una sorta di contratto di fiducia, come credito per il futuro.

La preoccupazione nella gestione del brand, è ora quella di conoscere in che modo si è percepiti. Diventa fondamentale che il pubblico riceva una “buona impressione” dalle insegne e dalle etichette. Spetta dunque al consumatore definire la marca e il suo contenuto. È evidente che questo approccio non prevede la messa a punto di un “progetto di marca”, né la costruzione di una sua identità o di coerenza nel tempo. Siamo in una fase piuttosto acerba della gestione della marca: potremmo definirla una fase adolescenziale. Prima ancora di sapere chi si è, ci si preoccupa di come si è percepiti. Prima di avere ben chiara la propria verità, la propria essenza, la propria missione al mondo ci si preoccupa di quello che pensano gli altri. Queste marche paiono così incapaci di enunciare chiaramente il proprio ruolo ed i propri valori. Né di definire e comunicare la relazione con gli altri attori dello scenario competitivo, i propri tratti salienti e distintivi, la propria singolarità e, infine, il proprio “mestiere”. L’immagine, allora, arriva prima dell’identità. È giusto in questa fase che prende corpo il concetto del goodwill.

c. Il goodwill. Dopo gli anni del trademark, la marca trustmark si fa garante della qualità e s’impegna nella costruzione di rispettabilità e fiducia. Obiettivo della ricerca, del marketing e delle strategie è il perseguimento del goodwill. Il goodwill è una attitudine psicologica favorevole, una predisposizione alla benevolenza, da parte del consumatore (ma anche del distributore e di tutta la filiera distributiva) nei confronti della marca: una sorta di sintesi valutativa dell’immagine. Nient’altro che una simpatia preziosa, un sentimento da capitalizzare, in quanto fonte potenziale di benefici futuri.

Il goodwill diventa un obiettivo strategico nella costruzione di solide architetture di marca. Non è ancora l’atteggiamento o lo stato d’animo che orienterà la scelta, ma certamente si tratta di una importante predisposizione. Punto di ancoraggio di tutte le impressioni del consumatore, memoria storica delle esperienze d’uso del prodotto, la marca attraversa e percorre gli anni del goodwill. E infine li supera, fino a divenire forte, affidabile, confidenziale. Per approdare alla fase del commitment: un sentimento persistente e durevole. Più solido della stessa fedeltà.

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Talvolta una vera e propria rendita di posizione, una fiducia consolidata, capace di agire a lungo termine, come un’antica memoria. Una reputazione che non evapora nel tempo, resiste agli andamenti del mercato e ai flussi della comunicazione.

Un traguardo importante, comunque, quello del goodwill perché la marca è un concentrato di informazioni e di conoscenze: il suo valore, alla nascita, può dirsi pressoché nullo.

A parte il costo dei depositi giuridici e gli onorari degli studi legali e dei grafici, gli esordi della marca sono privi di ascendenze ereditarie e di stratificazioni simboliche. Dal punto di vista commerciale, gli albori dell’insegna sono ricchi di potenzialità ma poveri di storia. La marca giovane è debole. È soltanto col tempo – grazie agli investimenti economici e umani, mediante l’incessante ricerca della qualità, dell’innovazione e del servizio, attraverso l’adattamento alle nuove aspettative del consumatore e la prossimità del pubblico – che acquista valore. A differenza della pubblicità, col suo messaggio effimero, destinata all’oblio e a un rapido sorpasso, la marca resta nella memoria del consumatore con le sue promesse e i suoi risultati, con le sue parole ed il suo mondo. Una volta conquistata notorietà, memorabilità e fiducia presso il suo pubblico, la marca si appresta a “posizionarsi”: a presidiare, cioè, uno spazio unico, distintivo e caratteristico nella mente del consumatore. Alla marca viene collegato un insieme di associazioni, di rappresentazioni simboliche che ne costituiscono una sorta di prodromo di identità.

d. Posizionamento: la scelta del target. Nella vita della marca, nella sua inquieta e mutevole esistenza, esiste una fase, quella del posizionamento, che pare rappresentarne, per un lungo periodo, una sorta di conditio sine qua non per l’affermazione ed il successo. A partire dalla prima metà degli anni Settanta, la competizione crescente, la perdita di caratteri differenziali oggettivi tra le marche stesse e lo spostamento operato dal consumatore nel cercare la distintività a livello simbolico, rende il problema del posizionamento assolutamente cruciale e prioritario per l’impresa. Si delineano, cioè, la necessità di dare un senso alle strategie di marketing e comunicazione, l’urgenza di definire un progetto rispetto a ciò si trasmette all’esterno: alla marca devono essere attribuite caratteristiche uniche, facilmente riconoscibili, persistenti nel tempo, rilevanti per il consumatore. Si tratta di costruire, all’interno della personalità della marca, un segno forte e caratterizzante; quasi si volesse riprodurre, a livello simbolico, quelle differenziazioni strutturali che un tempo, agli albori dei mercati di massa, connotavano le prime marche.

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S’intuisce, cioè, che il posizionamento, se sufficientemente forte e intenso, può divenire il vero patrimonio della marca: saranno infatti le sue caratteristiche di unicità a differenziarla rispetto alle altre proposte del mercato.

La comunicazione di marca cessa di indicare il mero prodotto ed inizia ad evocare e suggerirne attributi. In maniera esplicita, attraente, chiara. La “legge del posizionamento”, in questa fase, postula che occorre, nell’ambito delle possibili prestazioni ricercate in un prodotto, impossessarsene di una (al massimo due) capace di stabilire associazioni forti con il marchio.

Cercare di appropriarsi di più caratteristiche rilevanti appare problematico e rischia di produrre generici goodwill anziché generare una chiara fisionomia di marca.

L’obiettivo è quello di creare una relazione sinonimica, diretta tra brand e performance. Ovvero, attribuire alla marca tratti di unicità e forte definizione, per renderla distintiva in un affollato scenario competitivo, associandola a specifici consumer benefit. In altre parole, si tratta ora di elaborare significati atti a qualificare la produzione. Di mettere a fuoco proporre con grande efficacia, caratteristiche, vantaggi e benefici che siano unici, distintivi, rilevanti per il consumatore e facilmente riconoscibili. Tutta la problematica del posizionamento – il presidio di un preciso spazio mentale nell’immaginario dei consumatori, la creazione di propri attributi esclusivi – è riconducibile a questa fase della storia della marca. La fase del posizionamento è quella che vede la marca ampliare i propri orizzonti in una prospettiva nuova: i prodotti ora sembrano incarnare discorsi, caratteristiche e funzioni in relazione allo scenario competitivo e a quello di consumo.

Il marchio autocratico, chiuso nel proprio perimetro circoscritto entro la propria immagine ed i propri benefici è destinato a soccombere. È necessario, ora, osservare il contesto e comprendere che tutte le scelte del consumatore sono di tipo comparativo. Benefici, attributi e prestazioni, possono dirsi determinanti e motivanti, unicamente in rapporto agli altri attori del mercato. Non solo: un posizionamento efficace è quello che gode di una lunghezza di vantaggio rispetto alla concorrenza, quello che per primo individua, occupa e tutela un campo definito nei bisogni e nei desideri dell’audience.

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e. Commitment, coinvolgimento, rappresentazione di sé, relazione.

Apparentemente una fase evoluta della fase di goodwill, una sorta di goodwill potenziato, in realtà questo nuovo step implica un netto scarto di marcia. Dalla simpatia, al sorriso, ad una predisposizione favorevole si passa all’empatia, all’identificazione, al legame, alla rappresentazione sociale del sé. La marca diviene un’amica fidata, con cui si sta volentieri in compagnia, che fa parte del nostro cotè affettivo ed emozionale, che offre agli altri una buona rappresentazione di ciò che siamo o vogliamo essere, quasi una sorta di biglietto da visita.

Il coinvolgimento è la risultante di tutto il variegato plesso di attributi in cui si può dipanare la marca, ma le emozioni che questa suscita ne costituiscono l’asse portante. In realtà il commitment dell’adozione – da parte della marca – anche delle dimensioni.

f. Emozioni. Se c’è un’emergenza su cui gli osservatori del cambiamento sociale concordano è quella di un inedito protagonismo, nel vivere sociale, delle emozioni. Sempre più ci affidiamo alle emozioni nelle relazioni con gli altri, per valutare quello che abbiamo intorno, per indirizzare i nostri comportamenti. Persino il mondo dell’economia –tradizionalmente diffidente nei confronti di tutto ciò che si discosti dalla razionalità –sembra riconoscere, adesso, l’importanza di questo nuovo paradigma. Tuttavia, il rilievo della componente emotiva negli atti di acquisto non rappresenta certo una novità.

Già alcuni decenni fa, con la nascita delle ricerche motivazionali, si era presa consapevolezza del ruolo delle emozioni nelle decisioni di consumo. Ma da qua a sottolinearne, come adesso accade, l’assoluta centralità nella costruzione e nell’identità della marca, la differenza è davvero sostantiva. Gli attributi intangibili stanno acquisendo uno spesso crescente: diventano dimensioni “motivanti” e desiderabili per il consumatore contemporaneo. Ed entrano, a pieno titolo, nella dimensione e nel mondo dei valori della marca. Nondimeno i tangibile asseta, lungi dall’essere abbandonati dal marketing contemporaneo, risultano comunque sempre più marginali, forse parametri tautologici o inscritti in forma genetica nella sostanza del brand.

Nelle strategie di marca le emozioni stanno assumendo un ruolo del tutto prioritario. Nel senso che – in questo periodo storico - le marche debbono, per rapportarsi efficacemente al mercato, essere in grado di suscitare esperienze altamente emotive.

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Devono riuscire a dialogare con le emozioni del consumatore con altrettanta incisività ed immediatezza con cui, tradizionalmente, hanno saputo comunicare con altri livelli della vita affettiva e mentale. In altre parole, si tratta adesso di enfatizzare quelle che gli americani chiamano le human connections between corporations and consumers. È una sorta di branding delle emozioni e delle sensazioni: un nuovo paradigma per stabilire un fertile dialogo e autentici punti di contatto tra gli individui e le marche di largo consumo. Un cocktail dinamico fatto di antropologia, immaginazione, sensorialità, esperienze, passione, desiderio. Nel suo divenire, la marca, ormai definitivamente assolta la funzione identificativa legata ad un approccio meramente cognitivo, ha dovuto sviluppare nuove, inedite, dimensioni. Il passaggio dalla fase della ricerca di memorabilità (awareness) alla costruzione di relazioni ed emozioni è lento e graduale.

La marca, s’è via via impossessata di consumer benefit esclusivi, di valori riferiti al settore merceologico di riferimento e, in alcuni casi, di grandi valori sociali. Tuttavia, l’obiettivo che ha attraversato la mutazione del branding negli ultimi 15/20 anni, è rimasto lo stesso: creare una identità esclusiva, fortemente caratterizzata, una personalità diversa da tutte le altre per competere con successo in uno scenario, anche semiotico, sempre più denso ed affollato.

La priorità diviene quindi, adesso, di riscaldare la marca perché questa possa traslare calore e colore alle merci. Parlare un linguaggio che non solo non è razionale ma nemmeno verbale. Il linguaggio delle emozioni parla al cuore più che alla mente, ai sentimenti più che alla ragione. È un codice capace di forgiare relazioni profonde e durature, di individuare punti di contatto vivi e vitali tra imprese ed individuo, di trascendere la soddisfazione materiale e orientarsi verso mete aspirazionali e motivazioni umanissime. La marca deve essere in grado di flirtare col mondo magico dell’immaginazione, dei sentimenti, dell’affettività e della sensibilità. Per ottenere una risposta forte e chiara dal consumatore essa deve poter creare delle vibrazioni, un mood positivo, esprimere un linguaggio che parli – pure all’interno di un medesimo spartito – alla globalità dei sensi. Persino il servizio, se non arricchito da un dialogo centrale e costitutivo col consumatore, se non investito di una nuova e più ampia significazione appare una dimensione asfittica e riduttiva. Si parla sempre più spesso, oggi, di marca relazionale.

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Se venisse realmente intesa e interpretata per quello che è, o può divenire, rappresenterebbe davvero la nuovo frontiera della marca: purtroppo appare l’argomentarne più una sorta di tributo, di ossequio ad una problematica di moda e culturalmente attuale che sintomo di un reale impegno – da parte del branding – ad avventurarsi su questi fronti. La quasi totale assenza di internet – un mezzo in cui l’interattività non solo è possibile ma rappresenta anche la dimensione più qualificante – nei siti delle marche di rapporti personalizzati one-to-one, di reali feedback ne è una vistosa testimonianza. Relazione significa interazione, scambio, condivisione, dialettica, reale confronto: significa transizione dal broadcasting al narrow casting. È allora che subentra il commitment, che la marca assume il significato di “per me” e non “per tutti”, che si antropomorfizza in un reale – e non allucinatorio e mistificato – e caldo rapporto tra simili.

g. Attualità culturale e valori. La marca deve essere strettamente connessa con quella che è l’attualità culturale e rappresentarne valori e abitudini. Deve cioè diventare uno specchio in cui il consumatore riesce a riflettere le proprie motivazioni, credenziali e opinioni fino a trovare una compenetrazione tra almeno due di queste aree. I valori sono l’aspetto più intrinseco nella personalità di un individuo e che più ne condizionano il comportamento e ne determina le scelte. Nel momento in cui il consumatore nota una corrispondenza tra la propria base di valori e ciò che la marca rappresenta, ci sarà una naturale attrazione tra le due entità.

4. Costruire l’identità di marca oggi.

Grazie all’identità la marca prende forma, s’investe di un contenuto, si rende concreta, vitale ed afferrabile. Permanenza nel tempo, coerenza dei segni emessi e realismo, diventano allora i presupposti di una nuova fase della marca, quella dell’identità. Un momento moderno, un concetto recente ed essenziale. L’identità della marca non è una dimensione cristallizzata, inerte, chiusa. È soggetta ad una significazione dinamica. Si configura attraverso i continui discorsi della marca, assume spessori sempre nuovi. È in perenne evoluzione, pur rimanendo coerente e a se stessa.

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Il problema dell’identità della marca trascende i tradizionali concetti di immagine e posizionamento per assumere uno spessore sconosciuto in passato. L’identità della marca è il frutto di una sapiente alchimia tra valori di prodotto, contenuti emotivi, valori sociali e cultura d’impresa. È la risultante di una consapevole e coerente regia di quell’articolato sistema di segni con cui essa si rapporta all’esterno. Segni che, il più delle volte, parlano invece linguaggi incoerenti. Ecco perché il processo di costruzione dell’identità vede la marca impegnata su fronti diversi. Anzitutto nel presidio di valori di prodotto che rappresentano la legittimazione stessa dell’esistenza della marca. La sua capacità di saturare nella maniera più compiuta, i bisogni che il consumatore si attende vengano soddisfatti con l’atto di consumo. Sono quei valori d’uso che erano stati messi in ombra nel recente primato attribuito all’immagine, privilegiando più la loro apparenza che le oggettive performance.

Fra queste, è necessario che alcune abbiamo caratteri di assoluta eccellenza e di esclusività entrando a far parte del patrimonio genetico della marca. Nell’ambito quindi delle tante componenti che concorrono alla qualità, alcune dovranno assumere nella promozione dell’identità, uno statuto del tutto speciale. Divenire patrimonio esclusivo della marca.

5. La Marca come una persona.

Che la marca possa essere interpretata in chiave umana, vista cioè come se fosse una persona, non è una cosa nuova. Tra le tante metafore applicate (ed applicabili) alla marca, quella che la vede come antropomorfa e pensante, pare rilevarsi la più naturale, la più evidente, la più intelligibile. E non è casuale. La marca è un organismo vivente, è un territorio, è un racconto, è un generatore semiotico: ma, più di ogni altra cosa, è un soggetto animato da una vitalità emozionale, razionale, relazionale. Non si tratta soltanto, dunque, di un’istanza biologica che nasce, cresce, si riproduce, lotta per sopravvivere e per difendersi dalle minacce dell’ambiente esterno. Non solo dimensione geografica, definita ed abitata, circoscritta ed omogenea, con una bandiera, un inno e una cultura. Soprattutto, la marca è una personalità ben precisa, che al di là del sembiante – con i suoi tratti fisionomici, il suo portamento, l’aspetto complessivo – ha anche uno sguardo sul mondo, interagisce con l’Altro, ha il dono della parola sensata, ha un’anima e persino un cuore.

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E’ dunque una persona a tutti gli effetti. Capace di provare ed evocare emozioni, di incarnare stati d’animo ed assumere atteggiamenti differenti a seconda del contesto o del suo stesso carattere. Se c’è un’area di debolezza nella metafora della marca-persona è che la marca, se ben gestita, a differenza degli uomini può essere immortale. Fanno ormai parte della più sedimentata letteratura manageriale e pubblicitaria i celebri psicodrammi utilizzati da Ernest Dichter, uno dei padri fondatori della ricerca qualitativa e motivazionale, che nei suoi test chiedeva alle persone di identificarsi in un prodotto:”immaginate di essere Ivory soap. Che età avete? Siete uomo o donna? Che tipo di personalità avete? Quali sono i vostri hobby?”. Nondimeno, oggi, non c’è istituto di ricerca che non utilizzi la metafora della persona per studiare ed interpretare la marca.

Descrivendo una marca come fosse una persona riesce più facile a chi risponde condensare i tratti più salienti della personalità di una marca che non riferendosi in astratto. Grazie al processo di antropomorfizzazione si calano nella concretezza e nella fisicità della persona descritta le dimensioni peculiari della marca. E’ un semplice test proiettivo di facile decodifica che può anche essere somministrato sotto forma di scale. Nella marca la gente ricerca quelle affinità, quelle concordanze, quella simpatia, tipiche delle relazioni amicali, affettive, familiari. Il punto centrale che muove l’operazione di trasferimento delle caratteristiche di una persona in quelle di un marchio di largo consumo è da ricercarsi nel fondamentale concetto di associazioni di marca: è associabile alla marca tutto ciò che nella mente del consumatore risulta collegato ad essa.

Le associazioni di marca offrono un ricco ventaglio di metafore e possibilità, di allegorie e simbolismi, di tratti peculiari ed elementi di differenziazione. Il tutto si presta ad una formidabile declinazione in chiave umana. Non va assolutamente dimenticato, inoltre, che la forte spinta all’individualità, il rifiuto crescente del conformismo, la ricerca dell’autenticità e della propria verità che caratterizzano le istanze dell’individuo e del consumatore postmoderno, offrono ampie possibilità di traslazione anche nell’ordine del branding. In altre parole, persino nelle marche, così come nelle persone, oggi si è a caccia dell’unicità, della distintività, della personalità forte, accattivante, che non sia omologata o “normalizzata”, alla massa indistinta.

Siamo nell’ ”era dell’uno”, della “singolarità” e dell’”alta definizione”. La gente cerca relazioni dirette, one-to-one, dense di contatto e vibranti di senso. In ogni settore del consumo le marche riconoscibili per tratti distintivi e forte singolarità hanno sempre avuto successo rispetto a quelle con caratteristiche vaghe, indefinite e multiformi. La tendenza del mercato andrà un questa direzione.

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Il branding sarà sempre più orientato all’affermazione, alla difesa, e al potenziamento della diversità della marca.

Soltanto attraverso la costruzione di questa peculiarità – che è anche ricchezza e spessore di significati, profondità, poesia, complessità, autenticità – la marca potrà dirsi davvero “amica”. Una marca dotata di una forte personalità, ma anche di una psicologia tutta sua e persino di un proprio senso della vita: una marca pensante ed effettiva, dunque una marcapersona, che avrà la probabilità di incontrare un’altra persona, l’individuo consumatore. Alla base della metafora della marca-persona sta dunque la relazione: uno scambio interlocutorio e umano, tra il soggetto e l’oggetto del consumo, tra il pubblico e la marca, tra produttore e consumatore. Si tratta di un orientamento piuttosto recente del branding e della gestione dei marchi, che abbraccia una vastissima estensione di significati: dalla ricerca affannosa di un life-long relationship tra marca e cliente, alla nuova poligamia del consumo, fino ad arrivare a sentimenti come la stima, la familiarità, l’amicizia che un tempo appartenevano alla sfera dell’umano e ora contaminano massicciamente i discorsi delle aziende e le strategie commerciali. Basti pensare fedeltà, tema caldo del marketing contemporaneo, accezione che – fino ad un recente passato – era saldamente inscritta degli umanissimi discorsi. Nondimeno si parla oggi di stato di salute della marca, di anamnesi e terapie, di cure ricostituenti e guarigioni prodigiose. Stiamo passando dalla brand personalità alla brand psichology.

a. Il volto.

Come ogni persona anche la marca ha un volto. Per la marca è tutto ciò che si vede. Si tratta del luogo in cui s’addensano quei frequenti fremiti vitali e discorsivi che mettono in relazione il soggetto col mondo esterno. Lo sguardo è l’occhio degli altri e sulle cose, l’espressione più vera e più umana dell’individuo, l’indicatore di gioia o di tristezza, di cinismo o di bontà, di allegria o di preoccupazione. La bocca, sede della parola e del sorriso, del desiderio e dell’oralità, accesso al nutrimento, portatrice di emozioni e stati d’animo. E poi il naso, segno di personalità e carattere; la fronte, del pensiero e dell’intelletto, della storia e dei segni del tempo; l’incarnato pallido e delicato, coriaceo o bruciato dal sole. Ogni frammento del volto partecipa all’espressione, alla comunicazione di sé, allo scambio di informazioni e passioni con altre persone, col contesto, con la realtà, i sentimenti: con la vita.

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È, probabilmente, l’ambito in cui avviene il riconoscimento della persona. Non a caso ogni documento d’identità riporta l’effigie del volto. Esso contiene i connotati e le caratteristiche salienti di ciascuno di noi, garantisce l’unicità e la distintività del singolo.

La dimensione della marca che più si approssima al volto è il suo patrimonio iconico: quelle immagini che affiorano nella mente del consumatore quando evoca una marca: i colori pastello e il coccodrillo per Lacoste: il fiore e il pay off “ti colora la vita” di Deborah; l’apparecchio e le cabine telefoniche per Telecom con i suoi negozi, i servizi brandizzati, le immagini delle sue più fortunate campagne pubblicitarie. L’icona del volto è quella che noi usiamo per riconoscere una persona, per evocarne il ricordo o la presenza se non è con noi: alla stessa stregua delle icone della marca. Non quelle che esistono astrattamente ma quelle che si sono impresse nella mente del consumatore. Il volto della marca è l’immagine istantanea ove avviene il riconoscimento. È il primo ordine del discorso: visivo, ma anche simbolico. La faccia: è il manifesto dell’identità e condensa il carattere della marca. Qui ritroviamo quegli stilemi, quei codici e quei tratti unici e particolarissimi che alludono all’anima (la marca persona ne ha una) e che evocano la sostanza, la vera natura del brand (mostrate il vero volto). Il volto è, in buona sostanza, l’immagine mentale che arriva al consumatore ogni volta che questi pensa alla marca. Non accade forse lo stesso quando pensiamo ad una persona? La prima cosa che affiora è il suo viso, il suo sorriso, il suo sguardo. Può trattarsi del nome, del simbolo o dello slogan, quando uno di questi sia particolarmente forte e memorabile, capace di produrre un’immagine mentale. Oppure il prodotto-simbolo, il prototipo, il progenitore. Il volto di Look sono gli attacchi da sci, anche se oggi il celebre marchio francese s’è avventurato nel mercato della bici da corsa. Il volto di Ferrero è Nutella.

Il volto di Mulino Bianco è con tutta probabilità il luogo bucolico e rurale: il casale tinteggiato di bianco con le pale per la macina del frumento, da sempre accompagnato dalle spighe di grano coi papaveri. Nondimeno, è un volto che assume le sembianze del prodotto da forno, sia esso frollino, merendina o cracker.

Per McDonald’s è dato da un insieme di colori e di atmosfere e, più di tutti, da una componente del menù che pare incarnare il marchio per esteso: Big Mac con patatine. In ogni angolo del globo, tutta la comunicazione pubblicitaria McDonald’s insiste su queste pietanze: non si tratta soltanto di pane, carne trita e frittura di solanacee, piuttosto di un menù altamente semiotico, capace di racchiudere il valore e i valori del marchio. Ma nel volto di McDonald’s troviamo anche il pagliaccio Ronald, gli archi dorati, le scritte luminose, la policromia del neon: insomma le icone che la marca ha impresso nei suoi consumatori.

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b. I caratteri fisionomici.

La straordinaria estensione di significati cui si presta la marca consente di introdurre –all’interno della metafora della persona – un nuovo tentativo epistemologico - la fisiognomica applicata al branding. Sappiamo che i physco-gnomici cercavano di intuire il carattere di un uomo confrontandone le caratteristiche fisiche con certi tipi di animali di cui si supponeva nota la natura morale (il più antico trattato di fisiognomica risale ad Aristotele). Tra l’altro l’associazione di una marca ad un animale, che ha condensato nell’immaginario collettivo una serie di stereotipi (il cane la fedeltà, il leone la forza, la volpe l’astuzia, la gazzella la flessibilità e via dicendo), è una tipologia di test a cui si fa abitualmente ricorso negli studi sulla marca. Cercare di svelare i tratti della personalità attraverso i lineamenti del viso, della struttura del corpo e più in generale dell’aspetto fisico, è una operazione singolare e per certi versi contraddittoria. È mossa da una duplice tensione interna: da un lato si tratta di un ragionamento altamente intuitivo, nel senso che potrebbe sembrare infondato, arbitrario, creativo; dall’altro appare come un’analisi profondamente rigorosa, perché senza una sistematizzazione scientifica ed una osservazione analitica delle ricorrenze e degli indici statici, nessuna teoria è verificabile. Questa apparente contraddizione non fa altro che legittimare la nostra bizzarra metafora, perché incarna la stessa dualità che caratterizza la marca: da un lato essere discorsivo, imprevedibile, cangiante ed elastico, opera aperta, pronta ad accogliere varianti, libere interpretazioni, mutamenti di senso, contaminazioni socioculturali; dall’altro soggetto razionale, modello analitico, prevedibile, complesso ma non caotico, sottoposto alle leggi del mercato e a quelle di una equity valutabile.

Anche se studi recenti hanno confermato che c’è scarsa relazione tra misurazioni somatiche, proporzioni corporee e caratteristiche psicologiche, dimostrando una sostanziale infondatezza del sistema, noi crediamo che quello della fisiognomica possa essere considerato un utile modello di riferimento per intraprendere una lettura della marca a partire dalle sue manifestazioni esteriori.

Non c’è dubbio: la marca è un costrutto culturale, un essere discorsivo, un generatore di senso. Tuttavia, essa si offre al mondo del consumo con un sembiante che non è mai casuale, non è mai un rivestimento cosmetico o un empaquetage alla Christo. Riprendendo la linguistica di de Suassurre, potremmo dire che – in quanto segno – la marca non può prescindere dal significante.

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E dunque, l’ordine del suo discorso s’innesta sulla sua visibilità: la sua “faccia”, il suo sguardo. “I fisionomici sostenevano che si potesse ricostruire il carattere di un individuo da tratti specifici del suo aspetto, specialmente da quei tratti che non erano soggetti a mutamenti nel tempo [come] il mento e la fronte. Sull’esempio di un curioso maialetto anglosassone dal titolo “Character Reading from the Face”, anche noi, siamo tentati qui di leggere il carattere della marca dalla sua faccia, dal suo volto. Non è certo un caso che Lombroso sia nato in Italia. E anche noi crediamo che le dimensioni che consentono questo tipo di interpretazione siano quelle immutabili, quelle che non variano al variare delle mode e dei mercati, dei climi socioculturali e delle tendenze del momento. Ma a cosa corrispondono, per la marca, il mento, la fronte, il naso, la bocca? Sono i tratti originari, quelli che accompagnano la marca nel suo continuo divenire, senza partecipare allo stesso inevitabile ed incessante mutamento, conservando stabilità e coerenza. Il nome, il logo, il simbolo grafico, il payoff, non sono altro che le manifestazioni esteriori di un’anima, di una brand essente o una brand personality che è inscritta nel profondo. Ecco allora la fisionomica che si incontra col marketing. Prendiamo Nike e consideriamo – come se fossero la struttura ossea del cranio, l’apertura dell’angolo facciale, il naso, la bocca.. – lo swoosh (il logo), il “just do it” (il pay off) e il nome.

Disegnato per soli 35 dollari nel 1971 da Carolyn Davidson, studentessa di Belle Arti di Eugene, nell’Oregon, lo swoosh convive con le 4 lettere del marchio Nike fino al 1992. L’emancipazione avviene quando, dopo una serie di performance travolgenti, Andrè Agassi vince il torneo di Wimbledon. È il 1992 ed Andrè indossa un berretto nero, con ricamato lo swoosh, senza alcuna scritta aggiuntiva. La sua foto appare su tutte le copertine e le prime pagine del mondo: nel giro di poche settimane cappellini come quello diventano popolarissimi e richiestissimi.

Se fosse una parte del volto umano, lo swoosh forse sarebbe un naso: un naso aquilino, sintomo di un carattere forte, di dinamismo e volontà. Ma anche di dedizione, lealtà, senso di missione. Lo swoosh è uno di quei segni che produce un discorso in assenza della parola, una sorta di immagine sacra dotata di aura, uno dei marchi più potenti della nostra epoca. Dunque un logo che consente uno straordinario ragionamento fisionomico. In possesso di una singolare capacità metonimica, lo svolazzo Nike evoca il tutto attraverso una parte. La sua forma assomiglia a quella di un boomerang. Somiglia al segno di well done che si usa – nel rapporto tra maestra e allievo – nella scuola anglosassone. È una specie di linea curva, una sorta di scarabocchio applicato con nonchalance, come quando si controlla un elenco segnando ciascuno dei dati che sono stati vistati, puntati. Come quei check-sign, segni di conferma o di “visto” che si fanno accanto ad un testo approvato, un compito corretto, una lista verificata.

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Ma è uno scarabocchio che produce senso. È l’emblema dello sport e dell’atleta che c’è in ognuno di noi, è l’immagine di campioni eroici e di festa mitiche, è il simbolo di uno stile di vita e di un’azienda che porta il nome della dea greca della vittoria: Nike. E proprio dell’olimpo dei marchi e dei logo sembra venire questo swoosh. Forse, in origine contrazione grafica dell’ala piumata della divinità vincente. Naomi Klein racconta che la sua amica Monica “dice che suo figlio di sette anni non segna i compiti con asterischi o altro ma con piccoli loghi rossi della Nike.”

Lo swoosh sembra suggerire l’idea di movimento e di dinamicità, sembra dire “muoviti, alzati e cammina!”. Una voce intensa, piena di significato e di corpo, “una costante globale che parte dai manifesti del centro città ai berretti degli operai immigrati del Terzo mondo. Lo swoosh è stato definito un “folletto egoista” per la sua vocazione a comparire da solo, a bastarsi da sé, in completa autosufficienza, senza bisogno di parole o di nomi. Una figura fondata sulla sostituzione tra un segno grafico e un’azienda globale. Se un marchio, come motore semiotico, è tanto più potente quanto meno è obbligato a parlare di sé stesso, allora lo swoosh è dotato di una forza propulsiva e di un potere discorsivo senza precedenti nella storia della comunicazione. Segno muto eppure straordinariamente eloquente, lo swoosh possiede autonomia e notorietà non comuni. “il culto della marca si è trasformato in culto dei segni, dotato di vita propria, e non più indice servile. E ancora, proviamo ad applicare il nostro ragionamento fisionomico al “just do it”: il “you can do it” è un modo di dire colloquiale, molto usato in inglese, una sorta di “forza, puoi farcela”.

Un payoff divenuto ormai un motto feriale, amalgamato al nostro dire quotidiano: tre parole che sembrano un concentrato di Nike, che ne racchiudono tutta la vocazione al movimento, all’intraprendenza, alla semplicità dello sport come gesto individuale e volontario.

La leggenda vuole che nel 1988 un pubblicitario, parlando dell’azienda ai dipendenti Nike, urlò: ”you Nike guys, you just do it”. Era un appello all’azione, allo spirito d’iniziativa, al dinamismo. Era un grido che parlava di sport ma anche di vita, che invitava a muoversi, in ogni senso, col corpo e con la mente. Darsi da fare. Incitava a sognare e a credere nei propri sogni, perché non ci sono scuse quando vuoi qualcosa veramente. Devi farlo e basta, senza ascoltare la tua pigrizia, le tue giustificazioni, le voci degli altri. Una sorta di licenza ad essere creativi, coraggiosi, un po’ irriflessivi. Un invito a fare tutto ciò che ti passa per la testa e per il cuore, perché lo puoi fare se ne sei davvero convinto. Niente è impossibile. Devi soltanto farlo. Ecco allora un segno esteriore, componente silenziosa del sembiante di Nike, che evoca un intera ideologia dello sport, che condensa tutto spirito dell’aziende dell’Oregon.

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Un inno all’ottimismo e alla fiducia in se stessi. Potremmo accostarlo ad una fronte spaziosa ed ampia: indice di un carattere volitivo. Energico, ma anche costante e sognatore, amante della libertà e del successo individuale. Moltiplicato e riprodotto su cartelloni pubblicitari e filmati televisivi, sopra felpe e t-shirt, questo motto incarna il volto di Nike dunque rimanda alla facoltà dell’animo, alla vista intellettuale, al carattere e alla missione originaria del marchio.

E poi c’è il nome. Nike: come una bocca dalle labbra carnose, che si accompagna ad una volontà imperiosa e a un ideale di vittoria e libertà, di riuscita individuale e capacità imprenditoriale. Queste quattro lettere che evocano la dea greca della vittoria sembrano contenere i tratti fondamentali dell’essenza del marchio. Una dea alata, ispirata da grandi missioni e alti ideali, come quelli dello sport, appunto. Una nomenclatura non casuale, dunque, perché condensazioni di segni e significati, meccanismo semiotico, chiave d’accesso ad un mondo possibile. Dietro questi tre segni: nome, payoff, e simbolo, è possibile intravedere il valore ed i colori del marchio. Tre dimensioni capaci di indicare un verso, un orientamento, uno sguardo sul mondo. Come lineamenti del volto umano, questi tratti fondamentali della marca, suggeriscono un legame indissolubile tra significante e significato, tra corpo e anima, tra parola e contenuto. Forse, ha ragione Corrigan quando scrive che “è la cultura dei consumi che ha reso universale il ragionamento fisionomico”.

c. L’età/il sesso.

Esistono marche giovani e marche meno giovani, marche sorprendentemente agili e dinamiche nonostante l’età avanzata e marche anagraficamente in fase puberale e tuttavia già miopi, già provate da fastidiosi acciacchi, da malanni stagionali o da serie compromissioni dello stato di salute. Marche inesperte, adolescenti, banderuole ed instabili e marche mature, solide, con una propria missione, un percorso già avviato, delle esperienze sedimentate. La storia del marketing e quella del consumo insegnano che per la marca l’età anagrafica non conta. La biografia commerciale di marchi e imprese di successo dimostra ampiamente che lo spauracchio del ciclo di vita – famigerata parabola alla quale nessun umano può sottrarsi – può essere cancellato. Certi prodotti di culto, alcune longseller brand, una serie di marche sempreverdi, sono l’esempio che per la marca esiste l’elisir di lunga vita, e dunque, si può sconfiggere la morte.

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L’invecchiamento a cui sono soggetti i marchi commerciali contemporanei appartiene all’ordine dell’usura semantica. Una marca che voglia attraversare indenne il proprio percorso esistenziale dovrebbe aggiornare costantemente ed incessantemente i propri significati. Adattarsi all’ambiente. Rivedere i propri discorsi. Nutrirsi dell’attualità culturale. Ascoltare le molteplici istanze di una società cangiante e frammentata. Sintonizzarsi col consumatore. Non è facile, ne siamo consapevoli. Ma è l’unico modo con cui le imprese possono oggi sopravvivere agli scenari densi di insidie, ai mercati ad altissima complessità ed altissima competizione che si trovano ad affrontare. Questo non significa che la marca sia destinata ad un frenetico mutamento di senso, ad un nevrotico susseguirsi di personalità e caratteri, pena l’estinzione. Il rinnovamento semantico prevede che la marca osservi una certa coerenza interna nei propri discorsi e che – a lungo termine – non perda di vista la propria essenza, il proprio nocciolo centrale, il senso profondo della sua identità. È soltanto attraverso questo ordine di significati permanente, stabile, sedimentato che è possibile innovare senza distruggere, cambiare d’abito senza travestirsi.

In alcuni casi eccezionali – nel settore della moda giovanile, della telefonia mobile, dell’abbigliamento sportivo, delle sneakers – il turnover semantico è così frenetico ed inarrestabile che certe marche si trovano a pianificare l’obsolescenza dei propri prodotti. Un paio di calzature Nike Air Jordan acquistate due anni fa, pur nella loro integrità funzionale, oggi sono assolutamente demodè. Le stesse air Jordan oggi si offrono al consumatore nella versione stilisticamente più attuale, più up-to-date.

Lo stesso vale per i prodotti ad alto contenuto tecnologico, dalla telefonia ai computer, in cui ogni minima variante stilistica. Ogni infinitesimale aggiustamento qualitativo, determina il sorpasso rispetto al modello precedente. Non parliamo poi del pret à porter, della jeanseria, degli articoli sportivi. In altri casi la marca sembra guardarsi allo specchio ed assistere ad un lento ma progressivo invecchiamento. Invecchiamento di chi? Invecchiamento di cosa? Può accadere, per certe marche tradizionali, storiche, diciamo pure delle “mature signore” del branding, che ad invecchiare siano i clienti. È quello che è capitato a Mercedes quando agli inizi degli anni Novanta dovette constatare che la sua clientela stava invecchiando. Persino i possessori del modello più “utilitario”, quello di dimensioni ridotte, la classe C, avevano un’età avanzata. Mercedes allora si convinse che occorreva sradicare rapidamente questa tendenza pericolosa che l’avrebbe condotta ad una eccessiva connotazione del proprio mercato, l’avrebbe portata a crearsi una nicchia di ultracinquantenni: un’oasi sicura e stabile, ma pur sempre una nicchia. Mercedes si rese conto che era necessario abbandonare certi tratti d’immagine da sempre inscritti nella stella a tre punto: lusso, vettura di grandi dimensioni, auto-blu diplomatica.

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Occorreva adesso proporre segni e discorsi nuovi: parlare di edonismo, empatia e dinamismo. Mercedes crea così la nuova classe A, una piccola 4x4, monovolume, densa di freschezza, glamour, innovazione e brio. Come osserva Kapferer: ”l’esempio Mercedes insegna che, per ringiovanire, la marca deve creare dei nuovi prototipi”. Quello della Classe A costituisce a tutti gli effetti un prototipo, in quanto è il prodotto più rappresentativo in una determinata fase del mercato. Esso incarna un condensato di segni e significazioni talmente potenti da riscrivere l’identità di marca, da proporsi come nuovo stemma familiare, nuovo blasone. Mercedes classe A, ha esordito accompagnata da uno straordinario successo, inscrivendosi nello spazio mentale di nuovi segmenti di consumatori, presidiandone l’immaginario e l’immagine di marca. “per cambiare l’immagine di una marca bisogna creare un nuovo prototipo. Tenuto conto delle difficoltà di rimpiazzare una rappresentazione con un’altra presso uno stesso cliente, questo nuovo prototipo si fisserà più facilmente nella memoria dei nuovi target”.

L’innovazione di prodotto si rivela come una delle condizioni necessarie al ringiovanimento della marca. Accanto ad essa, un rinnovamento del bacino semantico della marca, ovvero un turnover di segni e significazioni, il linea con l’attualità socioculturale. Infine, un continuo fine tuning col consumatore.

Brand come Dior, Gucci, Ferragamo, Chanel, insegnano che l’età anagrafica può diventare un dettaglio insignificante quando l’impresa riesce a cavalcare l’attualità culturale, rivedere l’immagine e i significati della marca, “pensare” e comunicare attraverso i segni e gli stilemi dello Spirito del Tempo.

La marca ha un’età e un sesso. Esistono marche femminili – e quindi stereotipicamente più dolci, gentili, accuditive, ma anche più fragili – e marche maschili – che lo stereotipo vuole, appunto, più forti energetiche, prepotenti ma anche rigorose e affidabili. A monte sono spesso rintracciabili i due tipi di figure genitoriali che ci ha descritto la psicoanalisi: la madre generosa che nutre e cura, disinteressata e affettuosa che niente (o poco) chiede in cambio e il padre severo e castratore. Una sorta di inflessibile super-ego che impone, vieta, a cui si deve ubbidire, che si rispetta ma non si ama. Una figura inquietante per la marca, sovente impersonata dalle marche pubbliche e monopoliste. Ma anche per il percepito della marca come donna può suscitare paure o ambivalenza: in qualche caso – sempre in termini di psicologia del profondo – l’archetipo della vagina dentata è sempre lì, dietro la porta.

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d. Il carattere.

Anche una marca, così come una persona possiede un carattere. Possiede, cioè, una serie di tratti unici e particolari che e configurano il modo di esprimersi, di rapportarsi agli altri, di manifestare i propri stati d’animo. Nondimeno, anche una marca, così come una persona, possiede un’indole: allegra o melanconica, estroversa o chiusa, socievole o solitaria, effervescente o pacata, ipercinetica o tranquilla, amichevole o scostante. Una carattere forte, singolare, riconoscibile, conferirà alla marca qui connotati di distintività e peculiarità così necessari per emergere e competete negli affollati scenari contemporanei. Pensiamo ad una marca come Virgin: anticonformista, trasgressiva e allo stesso tempo straordinariamente aperta all’attualità culturale, open-minded, mobile e dinamica. Il suo carattere è chiaro: estroverso, socievole, sperimentatore, amante del rischio. Virgin è capace di passare con grande disinvoltura dalla discografia ai soft drink. Senza dimenticare le compagnie aeree. Certo non è da tutti. Il suo è un carattere chiaro e deciso, che le permette di estendersi nei comparti merceologici più disparati senza perdere di credibilità. Forse fra tutte le marche – data la fortissima presenza e caratterizzazione del suo padrepadrone Richard Branson – quella in cui è in realtà la figura dell’imprenditore a venir tratteggiata nella descrizione della marca-persona.

Diversamente, una marca che manifesti un carattere incerto, nebuloso, non ancora definito, o peggio ancora contraddittorio ed ambiguo, rischia di appannare e sgretolare la propria identità. Marche camaleontiche ed opportuniste, che paiono mutare radicalmente i propri tratti caratteriali al cambiare delle stagioni o delle mode, sono destinate alla perdita di fiducia da parte del pubblico.

La relazione col cliente, necessaria ad una salda fedeltà, ad una amicizia durevole, necessita di solidità caratteriale. Come fidarsi di un soggetto (marca o persona) imprevedibile, scostante, incoerente?

Il carattere della marca è simbiotico alla sua identità. Esso partecipa alla generazione di senso e alla creazione di una essenza di marca.

e. La cultura.

Ogni marca possiede una propria cultura: che non corrisponde necessariamente ad una erudizione dotta, ad una istruzione accademica o tradizionale. Per cultura di marca noi intendiamo un condensato di esperienza ed i saperi, di vicissitudini imprenditoriali ed umane, di contaminazioni sociali e di valori aziendali, di sensibilità e di influenze ambientali.

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Si tratta di un humus culturale più che di una cultura nell’accezione più condivisa del termine. Nient’altro che una stratificazione di conoscenze e di storie, comprensiva di radici, senso delle origini e della missione. Ma cultura è, per la marca, anche innovazione e tecnologia, sapere produttivo ed eccellenza performativa. Cultura è anche attualità socioculturale, sintonia col core target, immersione totale nello Zeitgeist. Nescafè, ad esempio, è un marchio che detiene il primato di una straordinaria cultura produttiva. Non a caso nel 1996 la Nestlè è una delle prime imprese a controllare industrialmente la liofilizzazione: un procedimento di essiccazione a freddo che permette di ottenere una polvere solubile senza perdere le caratteristiche di aroma e sapore del prodotto originario. Nasce il Nescafè liofilizzato, che grazie al modernissimo (e allora costosissimo) sistema di fabbricazione, conserva al meglio i gusti Arabica e Colombia, qualità di caffé dall’aroma particolarmente intenso ma allo stesso tempo sensibile e fugace. Si tratta di una formidabile innovazione di prodotto figlia della cultura imprenditoriale e del sapere produttivo del marchio. L’esclusivo know-how tecnologico dell’azienda.

Ha contaminato l’intero comparto merceologico. In breve tempo, Nescafè s’è trasformata, grazie al pionierismo industriale di Nestlè e alla sua incessante ricerca sul miglioramento della qualità del prodotto, in marca dominante, l’unica marca ricordata da una percentuale elevata di intervistati all’interno di una determinata categoria merceologica.

Nescafè è un ottimo esempio di marca colta: marca, cioè che ha messo a frutto le proprie conoscenze e la propria esperienza in materia di innovazione di prodotto e di sistema. Che è stata in grado di unire capacità industriale, ricerca e comunicazione.

Oggi la produzione di caffé solubile è accessibile a molte industrie. Ma Nescafè ha saputo accumulare knowhow negli anni. E, contemporaneamente è stata in grado di rinnovare i significati del suo caffé, adeguandolo costantemente alla propria epoca e alle aspettative dei propri consumatori. Infatti, dal primissimo Nescafè, nato nel 1938, sino a quello di oggi, la marca è rimasta la stessa, ma il prodotto è cambiato, in quanto costantemente rinnovato. La ricerca di base applicata, la conoscenza tecnologica sui metodi di fabbricazione e trasformazione delle molecole del caffé costituiscono l’importante calore aggiunto del marchio Nescafè. Nato, all’origine, grazie al procedimento di disidratazione che utilizza gli zuccheri per fissare la polvere di caffé, il prodotto è stato migliorato a partire dal 1954, data in cui i progressi tecnologici hanno premesso di eliminare il gusto caramellato dello zucchero dal sapore originale e di ottenere la polvere solubile con la sola polverizzazione grazie ad aria calda.

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Nel 1962 prosegue la ricerca verso la riconquista e la conservazione degli aromi. Nel 1966 il prodotto viene rivoluzionato a seguito del nuovo processo di liofilizzazione.

Nel 1976 vengono isolate le fragranze più rappresentative del caffé fatto in casa e del caffé appena torrefatto. Nel 1981 Nescafè riesce a diversificare i profili di gusto e a proporre una segmentazione aromatica. Nel 1985 il processo di liofilizzazione viene perfezionato e viene lanciata una nuova miscela di caffé d’Africa e del Brasile. L’esempio di Nescafè è particolarmente significativo: questo lungo ed incessante percorso verso l’eccellenza qualitativa ed il miglioramento delle prestazioni organolettiche è segnato da tappe “industriali” che si sono tradotte in altrettanti fasi del marketing. Peccato che queste non siano state all’altezza delle straordinarie innovazioni di prodotto e Nescafè, in Italia, ha sempre avuto quote di mercato marginali, da comprimario, che non danno ragione della elevata qualità del prodotto.

Anche Nike possiede una cultura, ma è una cultura differente. Più che di un sapere industriale si tratta di una conoscenza diretta, umanissima e popolare, dello sport e degli sportivi. Bill Bowerman, ex allenatore di mezzofondisti e maratoneti e Phil Knight ex runner, sono i soci fondatori di Nike. Jeff Johnson ex podista, è il primo dipendente. Come loro Belson Farris, Geoff Hollister e tanti altri dirigenti ed impiegati, autentici pionieri dell’impresa Nike sono stati atleti. E non è casuale. Lo spirito dello sport per lo sport è quello che ha da sempre guidato questa impresa dell’Oregon. E che, in particolare, ha rappresentato la missione aziendale nel primo decennio di marketing e comunicazione. Per questo Nike si definisce, da sempre, un’impresa “ispirata da atleti” che “ascolta gli atleti e risponde direttamente dall’anima dello sport”.

Questa è dunque la cultura di Nike, una cultura profondamente radicata nel senso più profondo dello sport, potremmo dire una cultura fatta di allenamenti, sudore e di fatica da mezzofondista. Una cultura “da spogliatoio”. Ma se questa è la cultura delle origini di Nike, non va dimenticato che in un secondo tempo, quasi dieci anni dopo, l’azienda di Bowerman e Knight s’investe di un altro sapere, un’altra conoscenza. Pur rimanendo nell’ordine “della gente per la gente”, della straordinaria sintonia col consumatore, Nike questa volta si sposta dalle piste d’atletica ai suburbi delle metropoli statunitensi. Negli anni Ottanta. La vera fonte di idee, di stili, di tendenze è, per l’industria delle sneaker, il ghetto. Per sondare gli atteggiamenti dei giovani consumatori, per analizzare il gradimento rispetto a nuovi prodotti e modelli o per tracciare l’andamento della moda, le grandi aziende Nike in primis, sguinzagliano dei veri e propri “cacciatori di tendenze” nei suburbi delle grandi metropoli americane.

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Per esempio, la regola empirica della Reebok è che se ai ragazzini di Harem e Bronx, o a quelli delle periferie di Chicago o Detroit, piace una determinata scarpa, questa sarà sicuramente un successo.

I designer e gli uomini del marketing Nike realizzano autentiche incursioni nelle strade di New York, Chicago, Philadelphia. I primi per sondare le reazioni dei ragazzini del ghetto a cui fanno provare campioni e nuovi modelli. I secondi, per capire come e dove va a definire il loro prodotto.

Una cultura di strada dunque, quella di Nike nella seconda metà degli anni Ottanta, perché il Bronx ispira, gli afro-americani offrono suggestioni stilistiche, la cultura hip-hop contamina l’intera produzione.

f. La professione.

Che ruolo ha una determinata marca nell’agire di consumo dell’individuo? A cosa serve? Quale delle sue funzioni è maggiormente presente? Orientamento? Identificazione? Ludica? Etica? Garanzia? Esistono marche problem solving e marche affettive, marche stile di vita e marche rassicuranti. Ogni marca ha una professione, una missione, un incarico da svolgere. Si tratta di un impegno preciso nei confronti del consumatore, ma anche l’espressione di un talento di una naturale vocazione. La professione è oggi assai meno discriminante ai fini della definizione dell’identità sociale di un individuo di quanto accadesse un tempo. La professione era l’indicatore più espressivo del ruolo sociale dell’individuo e consentiva una precisa collocazione di rank sociale: non è certo un caso che la sociologia abbia elaborato una mole imponente di studi e teorie sul rapporto identità, classe e professione, adesso quando accade qualcosa di simile alla generazione dei nostri studenti è assai più importante – per inquadrare l’Altro – conoscere i suoi gusti musicali, la frequentazione di certi locali, attività di tempo libero.

Anche per la marca l’importanza della professione ai fini di una sua definizione va scemando: sono più importanti semmai gli stili di vita. Marche, ad esempio, come Sperry Top Sider, Polo Ralph Lauren, BMW sono state a lungo associate con la tipologia sociale degli yuppies.

g. La biografia.

Ogni marca, lo abbiamo visto, possiede una storia. Così come per una persona anche per il brand è possibile tracciare una biografia individuale che è frutto di una stratificazione di vicende e di eventi, di segni e di esperienze.

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Si tratta dell’epopea dei pionieri che hanno costruito il successo e la leggenda di tanti fenomeni commerciali moderni, come pure dei fatti e delle fortune economiche di tante imprese, della saga di certe famiglie che hanno incarnato la discendenza di un sapere manageriale e produttivo. Chi non conosce, almeno per grosse linee, la biografia di Coca-Cola, nata sul finire del 1800 nel retrobottega del dott. Pemberton, farmacista di Atlanta, in Georgia? E chi non associa automaticamente la storia del marchio FIAT, con le vicende umane ed imprenditoriali della famiglia Agnelli? Addirittura per il caso della marca Absolut, la celeberrima vodka svedese, è stata scritta una vera e propria biografia.

La storia di Absolut vodka, infatti, è la perfetta dimostrazione di un successo straordinario ed impensabile costruito attraverso la modalità espressive dall’advertising e della comunicazione creativa. Tuttavia, esiste una fondamentale differenza tra la biografia di un essere umano e quella di una marca. Se la narrazione delle vicende umane può prevedere un ciclo di vita, una parabola comprensiva di nascita, giovinezza, maturità, senescenza, morte, quella della marca – lo abbiamo già sottolineato più volte – dovrebbe esserne immune. In altre parole, se ben gestita, una marca dovrebbe trasformarsi in evergeen, e permanere in un perenne stato di giovinezza. Dunque una biografia assolutamente anomala, o se vogliamo particolarissima, quella del brand, in cui il tempo dovrebbe sfuggire alle leggi dell’umana senescenza e – forse – abbracciare quelle del mito. Non è azzardata, allora, la teoria di George Lewi, il quale individua tre grandi periodi nel ciclo di una marca:”eroismo, saggezza e mito”.

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CAPITOLO 3

I PRINCIPI ISPIRATORI DELLA MARCA

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Nell’immaginario collettivo per secoli la città di Crotone è stata spesso associata alla sua antica tradizione greca - che ha fortemente influenzato la cultura e il folklore locali - e alla scuola di Pitagora, che qui ha avuto la sua sede. La valorizzazione di tali dati, di indubbio fascino e rilevanza, è andata spesso a discapito di altri elementi di ordine culturale, geografico e antropologico, religioso e artistico che offrono a loro volta spunti di riflessione assai interessanti e terreno fertile per l’elaborazione di una marca davvero innovativa e originale. Basti pensare al suo bel litorale, che accoglie bellezze di ordine paesaggistico e naturale, al parco archeologico di Capo Colonna, alla Madonna di Capo Colonna, protettrice della città, al castello di Crotone e al porto, testimonianza del passato glorioso della città e scalo commerciale di grande importanza. Immagine e posizionamento geo-turistico di una località sono gli elementi costitutivi di un vero e proprio marchio territoriale, quale segno-sintesi strategico in un programma di marketing territoriale e di differenziazione dell’offerta locale . Le fonti informative, il progetto immagine di una località, la ridondanza e la sedimentazione degli attributi di una marca territoriale, producono una specifica accentazione per quel che riguarda le scelte di comunicazione e di cooperazione fra i diversi soggetti interessati, stakeholders, operatori commerciali, istituzioni, popolazione residente, turisti. Tuttavia, la marca territoriale resta concettualmente diversa dal marchio così com’è ordinariamente inteso tout-court. Il marchio, e i marchi connessi, oltrepassando la linea di demarcazione tra ogni parzialità e specifica sfaccettatura del teatro-territorio, potrà esporsi e presentarsi nella sua peculiare configurazione di tratto sintetico, segno-simbolo, nell’interezza della sua tipicità unitaria e nella completezza delle sue qualità integrate, solo quando è una diretta derivazione della marca territoriale. In questa accezione la marca territoriale rappresenta una vera e propria innovazione di processo e di percorso che s’inquadra nell’ambito di quella transizione dallo specifico storico, ormai tradizionale e convenzionale, delle autonomie istituzionali degli enti provinciali a quello di una nuova “autonomia funzionale”.

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Come hanno osservato Giuseppe De Rita e Luca Diotallevi: ”negli anni recenti sono state due le linee… la strada del rafforzamento delle ‘istituzioni pivotali’, di quelle strutture cioè che fanno snodo di relazione fra cittadini e amministrazione, fra sfera pubblica e sfera privata, fra poteri di vertice e territorio, fra sedi decisionali e rappresentanza d’interessi; dall’altro lato c’è stata in Italia, una promettente stagione delle cosiddette “autonomie funzionali”, di quelle strutture cioè che si qualificano per la loro specifica operatività e non per la loro collocazione nella gerarchia della piramide statuale… Non sfugge infatti a nessuno la forza dei concetti che stanno alla loro base: quella della relazione, che innerva l’idea che le istituzioni devono promuovere e regolare le relazioni tra i soggetti sociali e non promuovere e regolare se stesse; e quello di “autonomie funzionali”, dove si combinano le dimensioni di autonomia cioè di sganciamento dall’antica unitaria macchina dello stato e una dimensione di funzione sociale, quasi che i poteri possano e debbano essere riconosciuti solo in quanto esercitino con efficienza ed efficacia ruoli che vengano incontro ai bisogni dei cittadini visti come utenti, come “customers”. La strada per uscire dalla crisi è a nostro avviso proprio quella di esaltare il ruolo relazionale e quello funzionale delle istituzioni, addirittura di promuovere istituzioni relazionali (o pivotali per citare l’esperienza inglese) e istituzioni funzionali, più o meno autonome.”

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1. Scopi nella creazione della marca. Molto di frequente per riferirsi alla marca si utilizza una parola anglosassone la cui origine è quanto mai curiosa ed esplicativa. Il brand – termine tecnico derivato dal norvegese brandr (in italiano, “bruciare”), è un segno di identificazione che viene impresso a fuoco su un oggetto attraverso un ferro o un legno incandescenti. Un segno, quindi, immediatamente visibile e indelebile. La funzione assolta dal brand è quindi più che mai coerente con la sua etimologia: cioè quella di contribuire a creare una impressione immediatamente percepibile, e, a voler essere letterali, “impressa a fuoco” sull’oggetto di cui si intende creare un’immagine universalmente condivisa. La Provincia ha scelto di elaborare un nuovo stemma per comunicare alla cittadinanza una volontà di rinnovamento, di avvicinamento ai bisogni della comunità, un obiettivo di rappresentatività e trasparenza che caratterizza l'idea , anche del legislatore, di un ente locale che sia effettiva "casa" della comunità che rappresenta. La marca della provincia di Crotone dovrà rappresentarne quindi l’anima e tenere conto degli elementi che maggiormente la rappresentano. Dovrà rispondere all’esigenza di fidelizzare il turista e il cittadino ad un’immagine unica e condivisa, che ne renda immediata la diffusione e il riconoscimento anche al di fuori del territorio d’origine. Per conseguire questo risultato la marca dovrà avere una sua ben precisa personalità, dovrà suscitare emozioni e incarnare veri e propri stati d’animo, dovrà tendere all’individualismo, all’unicità, rifiutare ogni tipo di conformismo e di omologazione, abbandonando obsoleti retaggi di ordine istituzionale e burocratico e coniugando la scelta di nuovi elementi di ispirazione ad una spiccata abilità creativa. La Marca può essere ricondotta a quattro diverse aree, anche interagenti tra loro che rappresentino non solo il biglietto da visita di Crotone, ma anche il suo abito, il suo corpo, le sue idee. Che rendano evidenti le risorse facilitanti della città per chi la abita, per chi ci lavora, per chi la visita, per chi la attraversa, per chi la comunica. Di seguito vengono riportate le quattro aree.

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1. culturale Rientrano in questa categoria elementi di ordine storico, artistico, religioso e quelle tradizioni strettamente legate al territorio - immediatamente riconoscibili tanto all’interno che all’esterno della comunità - che rappresentano per la stessa motivo di vanto e orgoglio. La Provincia sostiene le attività e le iniziative culturali, finalizzate principalmente allo svolgimento di attività di promozione culturale nell'ambito del territorio provinciale come iniziative teatrali e musicali di pregio artistico, iniziative di valorizzazione delle opere d'arte, delle bellezze naturali e monumentali, delle biblioteche, pinacoteche, musei, delle tradizioni storiche, culturali e sociali che costituiscono patrimonio della comunità provinciale. Sempre in questo ambito vanno inserite le celebrazioni solenni di anniversari, ricorrenze civili, religiose e politiche oltre all'organizzazione nel territorio provinciale di convegni, mostre, esposizioni, rassegne aventi finalità culturali, artistiche, scientifiche, sociali, che costituiscono rilevante interesse per la comunità e concorrono alla sua valorizzazione.

2. relazionale Gli aspetti relazionali afferiscono al comune rapportarsi dei cittadini tra loro, all’insieme di valori condivisi nella comunità, alle consuetudini, alle mentalità e agli aspetti emozionali che condizionano i comportamenti. Ad esempio, la solarità, l’estroversione, l’ospitalità, il dinamismo, la simpatia. Per descrivere elementi astratti di tal sorta, assume un ruolo decisivo l’uso dei colori - caldi, limpidi, luminosi – unito all’abilità di umanizzare la marca, perché sia lo specchio in cui l’utente rivede se stesso e gli altri. La combinazione di tali elementi deve emozionare ed entrare nei cuori di target estremamente eterogenei e differenziati: dai turisti agli investitori, non dimenticando le istituzioni, i cittadini e gli “user”. Sarà quindi fondamentale calibrare il tono, individuare i valori visivi da enfatizzare e racchiudere in un segno nuovo, ma che diventi subito amico, che sia condiviso e sia riconosciuto proprio, nel minore tempo possibile

3. naturalistico

Sono elementi geografici e territoriali che possono dare utili indicazioni tanto della fisionomia del territorio, tanto degli aromi, dei colori e dei sapori che la caratterizzano.

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La terra crotonese offre infatti numerosi spunti da questo punto di vista: basti pensare al centro medievale di S. Severina, un borgo molto ben conservato, da cui è possibile ammirare la vallata del Neto, al capo di Punta Alice ed ai primi vigneti che fanno verdi le colline già molto prima di Cirò nota non solo per il vino eccezionale ma anche per i resti del tempio di Apollo Aleo. Molto suggestivo dal punto di vista naturalistico è anche Capo Colonna, a cui si arriva dopo aver attraversato la città di Crotone, dove spicca il tempio di Hera Lacinia. In altre terre, ad esempio, hanno una forte carica rappresentativa l’Etna a Catania, la laguna a Venezia, le mele in Trentino, i campi di girasoli in Toscana.

4. istituzionale Sono tutti quegli elementi che individuano una funzione specifica o un servizio all’interno della Provincia e che la rappresentano in forma visiva. Devono quindi perseguire in primo luogo l’obiettivo di rendere riconoscibile un’attività, e quindi hanno solitamente una fisionomia caratterizzata in funzione da esplicitare il senso di organizzazione e struttura. Esprimono una necessità comunicativa molto significativa, fanno conoscere la Provincia, ma sempre riconducendola alla identità del servizio o della funzione proposta. Sono questi gli strumenti attuativi della promozione urbana, che possono al tempo stesso esprimere una potenzialità comunicativa che oltrepassa lo specifico da rappresentare. Bisogna quindi tenere conto che il marchio rappresenta il dato visivo di un vero e proprio brand: è la forma visiva, la dote comunicativa di un prodotto che non è solo la Provincia nella sua forma amministrativa, e neppure solo in quella performativa del turismo o di altre strategie economiche, ma è molto di più. È l’insieme di tutte queste risorse, ma anche e soprattutto il loro essere valori spendibili per la distinzione, la riconoscibilità, la concorrenzialità. Il “nome” visivo si trasforma in un vero e proprio prodotto, la Provincia diventa una marca, il centro di una strategia di marketing ad ampio spettro. Diventa anche “sigillo di qualità” per i comportamenti degli attori locali, per le molteplici azioni di promozione e per le infinite gamme di articoli e merci che possono essere prodotti. In questa direzione il volto del marchio deve esprimere una notevole capacità sintetica, offrire con grande efficacia una sintesi dei possibili scenari visivi della città, ma soprattutto deve possedere una grande espressività.

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2. Criteri esecutivi. Di seguito abbiamo indicato alcuni criteri da tenere in considerazione nella ideazione delle diverse proposte di marchio. Tutte le proposte di marchio presentate dovranno osservare alcuni requisiti:

1. Non contenere lo stemma araldico ufficiale della Provincia di Crotone, riservato alla comunicazione istituzionale.

2. Prevedere un grado di versatilità affinché il marchio possa essere declinato su tutte le aree dell’Amministrazione.

3. Il marchio dovrà avere caratteristiche di originalità e innovazione e potrà essere composto da elementi grafici e alfabetici.

4. Essere adatto a qualunque media utilizzato. 5. Essere distintivo, originale, riconoscibile e rappresentativo delle

caratteristiche distintive della Provincia di Crotone. 6. Essere riproducibile mantenendo la sua efficacia in qualsiasi

dimensione, dal molto grande (p.e. manifesti), al molto piccolo (p.e. biglietti da visita)

7. Rispondere efficacemente ai criteri strategici dell’Amministrazione, che ne ha ispirato la realizzazione.

8. Il marchio deve avere una forte valenza innovativa visto l’orientamento della Provincia al futuro e alla dinamicità che si distacca dalla storia e dalle tradizioni.

9. Il marchio dovrà essere rappresentativo anche se non accompagnato dalla scritta e realizzato considerando come target principale i cittadini della Provincia di Crotone.

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CAPITOLO 4

MARCA TERRITORIALE, MARCHIONIMI, MARCHI E

IMMAGINE COORDINATA DELLA PROVINCIA DI CROTONE

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1. Marca, marchionimi e immagine coordinata. Si riporta un’indicazione riguardo le azioni da intraprendere e gli strumenti da utilizzare per comunicare in modo ottimale la nuova immagine della provincia di Crotone. Si consiglia la stesura di un Manuale della Marca Territoriale di Crotone, approvato con deliberazione di organo preposto, concettualmente suddiviso in tre sezioni: - Manuale d’uso della Marca territoriale Crotone; - Regolamento per la disciplina d’uso della Marca territoriale

Crotone; - Manuale di immagine coordinata;

2. Manuale d’uso della Marca.

Il Manuale d’uso della Marca contiene le tavole con la costruzione ed i rapporti grafici degli elementi che la compongono; il simbolo ed eventualmente il logotipo. Di questi devono essere indicate: - I colori pantone e le rispettive percentuali in quadricromia; - Le percentuali di colore nero per la versione in bianco e nero; - Le percentuali di colore per la versione monocromatica; - I colori pantone e le rispettive percentuali per la versione in

negativo; - I rapporti di riduzione in positivo e in negativo; - Il carattere tipografico del logotipo; - Le versioni (orizzontale e verticale) diversi dalla versione

originale del Marchio, laddove lo spazio utile di posizionamento dello stesso ne precluda l’identificazione visiva e la leggibilità.

Ulteriori aspetti che saranno sottolineati: - Il marchio non deve essere alterato, le sue proporzioni sono

invariabili per qualsiasi utilizzo o metodo di riproduzione; - Non è consentito l’utilizzo di cromie non idonee a valorizzare o

rafforzare la percezione visiva del marchio quale elemento visivo del territorio e delle sue risorse.

Verranno inoltre riportati alcuni esempi di applicazione scorretta od erronea dell’uso della marca.

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3. Regolamento per la disciplina d’uso della Marca. Il regolamento per la disciplina d’uso della marca contiene tutte quelle indicazioni che sono indispensabili per definire le condizioni e le modalità per l’ammissione alla MARCA TERRITORIALE CROTONESE e alla concessione in uso dei marchi. Il documento, suddiviso in articoli, avrà la struttura in bozza sotto indicata.

Articolo 1

Ambito di applicazione Con il termine “MARCA CROTONESE ” si intende il progetto immagine e comunicazione turistico-territoriale, agro-silvo-pastorale, enogastronomico, paesistico, archeologico monumentale, parchi, foreste, energia… ecc. del territorio della Provincia di Crotone, che si avvale di uno o più marchi di riconoscimento, tracciabilità e rintracciabilità, in forma di simbolo ed eventualmente logotipo, che costituisce l’oggetto del presente regolamento. Il Marchio è stato elaborato dal vincitore del Concorso d’idee… con deliberazione numero … del … e depositato presso l’ufficio del Dirigente Settore 07 della Provincia di Crotone. La struttura geometrica e morfologica del marchio è rappresentata nel manuale d’uso della Marca facente parte integrante del presente manoscritto. Le norme volte a regolare il rilascio, l’utilizzo e la revoca del detto marchio sono dettate dal presente regolamento.

Articolo 2 Registrazione della marca e dei marchionimi

La registrazione della marca territoriale e dei suoi marchi e marchionimi avviene ai sensi della normativa vigente.

Articolo 3 Utilizzo della marca e del marchio

La marca territoriale e i suoi marchionimi sono utilizzati dalla Provincia di Crotone come strumento di comunicazione turistico territoriale e istituzionale secondo le indicazioni del Manuale di immagine coordinata parte integrante del Manuale della Marca. Si distingue inoltre con il marchio la partecipazione provinciale ad iniziative comunicative intraprese da altri soggetti.

Articolo 4

Autorizzazione all’utilizzo della marca e del marchio L’utilizzo da parte di un soggetto esterno (di seguito indicato “Licenziatario”), è preventivamente autorizzato dall’organo preposto, al quale dovrà essere sottoposta l’istanza. La domanda di autorizzazione dovrà essere recapitata al Protocollo Generale della Provincia e nella stessa dovranno essere indicate le finalità della richiesta e le modalità d’uso.

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Le manifestazioni patrocinate dalla provincia, organizzate in collaborazione o per le quali è stato concesso un contributo, si intendono implicitamente autorizzate all’utilizzo del marchio. In ogni caso, prima di procedere alla stampa, le bozze dovranno essere vistate dal Dirigente del Settore 07, per verificarne il corretto utilizzo. A seguito dell’autorizzazione all’utilizzo, il marchio potrà essere acquisito dal Licenziatario in forma cartacea o digitale, quest’ultimo anche attraverso il sito ufficiale della Provincia.

Articolo 5 Obblighi del Licenziatario

Il Licenziatario si impegna a fare uso della Marca e del Marchio con continuità nelle proprie attività di realizzazione, pubblicità e promozione. Il Licenziatario non può cedere la licenza, concedere sub-licenze, o altrimenti disporre del Marchio nei confronti di terzi. Il Licenziatario non può usare il Marchio parzialmente o con modifiche, ma deve sempre usarlo nella sua interezza, così come risulta dal relativo manuale d’uso. Il Licenziatario può usare il Marchio sia da solo, sia affiancato a propri marchi. Il Licenziatario si impegna a non depositare e a non utilizzare marchi, insegne, ragioni o denominazioni sociali e altri segni distintivi che possano dar luogo a rischio di confusione con il Marchio o con singoli elementi dello stesso.

Articolo 6 Controlli e vigilanza

L’Ufficio del Dirigente Settore Provinciale 07, vigila sull’osservanza del presente regolamento e sull’utilizzo del Marchio da parte di soggetti terzi. Qualora si riscontrasse la non conformità dell’utilizzazione del marchio al regolamento d’uso ed alle prescrizioni dei disciplinari, si diffiderà il Licenziatario dall’utilizzo in maniera irregolare del marchio, invitandolo ad adeguarsi al presente regolamento.

4. Manuale di immagine coordinata.

Il Manuale di immagine coordinata è uno strumento che regola, in modo organico e vincolante, l’uso degli strumenti di comunicazione, dal marchio del progetto immagine “Marca Crotonese” alla impostazione grafica della carta intestata, buste da lettera, biglietti da visita, cover fax ecc.. Il Manuale deve interpretare e rappresentare l’Ente comunicandolo in modo efficace ai destinatari, affinché il valore degli elementi che compongono l’immagine si conservi integro e inalterato nel tempo. Le specifiche riportate su questa guida pratica devono essere rigorosamente rispettate senza possibilità di adattamenti e di interpretazioni personali.

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Il Manuale è anche uno strumento di controllo della qualità del prodotto. La vastità e la varietà della materia trattata non consentono di prevedere tutti i casi reali possibili. Tuttavia, l’impostazione assegnata è tale però da permettere agevolmente le integrazioni che si dovessero rendere necessarie, senza compromettere le regole definite. Il rispetto delle indicazioni, la correttezza della loro applicazione e la cura della qualità delle realizzazioni sono le regole fondamentali affinché si possa tradurre in realtà il sistema di identità visiva, ottimizzandone i benefici. L’immagine coordinata è costituita dai seguenti elementi: - Stemma in quadricromia; - Font e colori; - Proporzioni; - Esempio di leggibilità e limite di riproduzione; - Stemma in scala di grigi; - Stemma colore grigio; - Stemma in negativo; - Carta da lettera; - Segui foglio; - Carta intestata; - Biglietto da visita; - Busta; - Block Notes, - Modello Cover Fax; - Manifesto per eventi turistici, enogastronomici, economici; - Invito per eventi turistici, enogastronomici, economici; - Esempi di cartelline porta documenti; - Ordinanza; - Supporti per l’informatica (Esempio: CD-Rom); - Supporti audiovisivi (Esempio: Videocassette); - Personalizzazione mezzi (Esempio: Autoveicoli); - Segnaletica esterna ed interna (Esempio: Cartelli turistici stradali,

attività produttive, caccia, pesca, agricoltura, foreste, risorse naturali, energia, allestimento spazi, targhe uffici)

- Omogeneità grafica delle pagine al sito internet; - Realizzazione della guida ai servizi provinciali con coordinate

grafiche simili a manifesti e sito. Per facilitare l’uso dell’immagine coordinata si consiglia la creazione di modelli di documento da installare su ogni PC. I modelli consentono di mantenere l’omogeneità dell’immagine e dell’impostazione grafica, permettendo tuttavia la personalizzazione con i dati indicativi dei singoli assessorati/settori/uffici secondo indicazioni prefissate. I modelli danno inoltre la possibilità di eliminare i prestampati.

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5. Il livello di gradimento dei cittadini. Per il conseguimento degli obiettivi di efficacia del piano di rinnovamento dell’immagine e della comunicazione della Provincia di Crotone, si consiglia una valutazione, ancorché empirica, del grado di percezione della qualità e valenza dell’immagine e degli strumenti di comunicazione turistica e territoriale verso la popolazione. In ogni rapporto di comunicazione, infatti, ciò che viene in rilievo è il “feedback” all’emissione del segnale da parte dell’Ente: in altri termini, il cuore del rapporto della comunicazione di un’immagine rinnovata è la verifica dell’effettiva ricezione del messaggio stesso e la reazione del ricevente allo stimolo. La risposta, nel nostro caso, deve considerare, in particolare: - Le abitudini dei cittadini del territorio provinciale circa l’accesso

agli strumenti dell’informazione con riferimento all’attività della Provincia;

- La qualità percepita circa i differenti strumenti di comunicazione utilizzati;

- Il grado di conoscenza ed apprezzamento (chiarezza, reperibilità, completezza delle informazioni, ecc.) ed al livello di affidabilità che i cittadini attribuiscono ai diversi mezzi di comunicazione sia dell’Ente che privati (radio-tv, giornali, ecc.).

Le azioni da intraprendere per l’indagine di customer satisfaction sono: - sondaggio sul sito della Provincia di Crotone mediante

compilazione di apposita form anonima; - indagine mediante invio postale di un questionario ad un panel di

cittadini selezionati del territorio provinciale. In tale contesto assume particolare valore l’impegno ad uniformare e coordinare la comunicazione pubblica istituzionale della Provincia di Crotone che deve rispondere alla necessità di fornire ai cittadini un’immagine univoca e quindi meglio riconoscibile dall’Istituzione Provincia. Il miglioramento e l’affermazione dell’identità di un’Istituzione si conseguono, infatti, solo se l’attenzione alla comunicazione diventa uno stile, un vero e proprio modo di essere dell’intera struttura della Provincia di Crotone e non solo un’attività aggiuntiva ed opzionale, o peggio ancora casuale. L’univocità del messaggio e dello stile del medesimo è, in questo senso, essenziale.

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Repertori e Letteratura

Giovanni Baule L’ossessione del marchio

LineaGrafica, 350, 2.2004 ,pag.15

Transizioni della marca LineaGrafica, 331, 1.2001,pag. 20

I volti delle istituzioni LineaGrafica,4.2001 pag.18

Logo/no Logo LineaGrafica,335, 5.2001, pag.16

Mappe dell’invisibile LineaGrafica,337,1.2002, pag.18

Vito Barresi Luoghi di Magia

Italia Turistica, Padova, .2002 Materiali per le Linee Guida del PIS Rete Centri Storici Eccellenza Calabria

Regione Calabria documento del 23.01.2002 Il territorio delle nuove mafie

il Crotonese,

Valeria Bucchetti

La Brand Silenziosa LineaGrafica, 348, 6.2003, pag. 32

Giuseppe De Rita - Luca Diotallevi Istituzioni come pivot per far giocare la società

Il Sole 24 Ore, 24 febbraio 2006

Giampaolo Fabris

La gestione della marca è ancora troppo tradizionale, Il Sole 24 Ore Dopo gli yuppies, ecco i “Bobos”. Così cambiano gli stili di vita, Il Sole 24 Ore

Il lusso ha problemi di qualità, Il Sole 24 Ore La nuova parola d’ordine:recupero (selettivo) dei valori del passato, Il Sole 24 ore

Perché gli italiani non spendono più, Il Sole 24 Ore C’era una volta il “Paese delle meraviglie”, il cliente è cresciuto, Il Sole 24 Ore

La rivincita dei valori femminili apre nuovi mercati, Il Sole 24 Ore La marca deve adattarsi alle culture locali, Il Sole 24 Ore La marca globale è più forte delle ideologie, Il Sole 24 Ore

La marca scopre la comunicazione a tutto campo, Il Sole 24 Ore

Marco Fortis Il Made in Italy nel “nuovo mondo”: protagonisti,sfide, azioni

Ministero delle Attività Produttive, 2005

Gallarza M.G. - Saura I.G. - Garcia H.C. Destination image. Towards a conceptual framework

Annals of Tourism Research, vol.29. 2002, n.1, pp.56-78

Gnoth J.

Branding Tourism Destinations Annals of Tourism Research, vol.25, n.3, 1998, pp.758-760

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Roberto Monachesi Marchio

Lupetti & Co., 1993, Milano

Morgan N. - Pritchard A.

Tourism Promotion and power. Creating images, creating identities Wiley, 1999, Chichester, England

Ministero Attività Produttive La posizione competitiva dell’Italia nell’economia internazionale

Area studi dell’ICE, Roma, 2005

Provincia di Crotone

Scenari di sviluppo

Saskia Sassen Globalizzazione? Un progetto tutto da creare

il manifesto, 5/01/2001 Atlante di un'altra economia

manifestolibri, Roma.

UnionCamere Sistema/Italia Rapporto 2004 sulle economie e le società locali

Franco Angeli, 2005, Milano

Illustrazioni Jacques Benoit,

tratte da Agrisiel Rapporto di Gruppo 1993

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INDICE

Brevi cenni sulla Marca territoriale crotonese. Pag. 4…………………………………………….….Un progetto innovativo per l’immagine e la comunicazione turistica della

provincia.

CAPITOLO 1 Pag. 8……………………………….……………….……………………………………………IL TERRITORIO TRA PIANTA E MAPPA

Pag. 9……………………………..……….……………………………...1. Il territorio. Uno spazio in tensione tra globale e locale.

Pag. 12.………………………….……………….…………………………………………. 2. La marca come mediazione comunicativa.

Pag. 14………………………….………….…………………………….. 3. Il Marchesato di Crotone e le protomarche territoriali.

Pag. 20..………………………..…………………….…………………………………………………………………. 4. La mappa territoriale.

CAPITOLO 2 Pag. 27………………………………………………….……………………………………………..VALORE & VALORI DELLA MARCA

Pag. 28………………………………………………….………………………………………………………… 1. Valore e valori della marca.

Pag. 33……………………….……………………….……………………………………………………. 2. Che cos’è il valore della marca?

Pag. 33……………………..……………………….…………………………………………………… 3. Esistenza e divenire della marca.

Pag. 34……………………….…………………..…………………………………………… a. Memorabilità e awareness: il trademark.

Pag. 36……………………….…………………..………………………………………………... b. Fiducia: dal trademark al trustmark.

Pag. 37………………………..…………………………….………………………………………………………………………...... c. Il goodwill.

Pag. 38…………………………………………….………………………………………………... d. Posizionamento: la scelta del target.

Pag. 41...………………………………..…………………. e. Commitment, coinvolgimento, rappresentazione di sé, relazione.

Pag. 41………………………………………………………..…………………………………………………………………………… f. Emozioni.

Pag. 43……………………….………………………..…………………………………………………………. g. Attualità culturale e valori.

Pag. 43……………………….……………………..………………………………………………….. 4. Costruire l’identità di marca oggi.

Pag. 44……………………….……………………….……………………………………………………….. 5. La Marca come una persona.

Pag. 46………………………….…………………………….……………………………………………………………………………… a. Il volto.

Pag. 48………………………………………………….………………………………………………………………. b. I caratteri fisionomici.

Pag. 51………………………..……………………………………………………………………………………………………... c. L’età/il sesso.

Pag. 54……………………..…...………………………….………………………………………………………………………….. d. Il carattere.

Pag. 54.…………………………...……………………………………………………………………………………………………… e. La cultura.

Pag. 57…………………………..…………………………………………………………………………………………………. f. La professione.

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Pag. 57...………………………...………………………….………………………………………………………………………… g. La biografia.

CAPITOLO 3 Pag. 60…………………………..………………….…………………………………………..I PRINCIPI ISPIRATORI DELLA MARCA

Pag. 64…………………………..………………….………………………………………………….. 1. Scopi nella creazione della marca.

Pag. 67…………………………………………………….…………………………………………………………………….. 2. Criteri esecutivi.

CAPITOLO 4 MARCA TERRITORIALE, MARCHIONIMI, MARCHI E IMMAGINE COORDINATA DELLA

Pag. 69…..……………………………………………..…………………………………………………………..PROVINCIA DI CROTONE

Pag. 70……………………………………………………………………….…………. 1. Marca, marchionimi e immagine coordinata.

Pag. 70…………………………..……………………………………………….……………………………… 2. Manuale d’uso della Marca.

Pag. 71.………………………….……………………………………….……….. 3. Regolamento per la disciplina d’uso della Marca.

Pag. 72.……………………………………………………………………….………………………... 4. Manuale di immagine coordinata.

Pag. 74……………………………………………………………………….……………………... 5. Il livello di gradimento dei cittadini.

Pag. 75………………………..…………………………………………………..…………………………………...… Repertori e Letteratura.

Pag. 77…………………………………………………………………………………….…………………………………………..………….. Indice.