PROSPETTIVE DI RICERCA SULLA PRODUZIONE VITIVINICOLA … · 2012. 9. 9. · rativa turistica...

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307 PROSPETTIVE DI RICERCA SULLA PRODUZIONE VITIVINICOLA ANTICA A LICATA (AGRIGENTO) 1 1. La Montagna di Licata: cenni topografici e geomorfologici La «Montagna di Licata» corrisponde all’intero sistema collinare che corre parallelo alla linea di costa e si estende, per un tratto di circa 5 km, dal colle Sant’Angelo (a est) al colle Giannotta (a ovest). Lungo le pendici settentrionali e orientali di quest’ultimo sorge l’odierna città di Licata, divisa in due dal fiume Salso, che ha origine dalle Madonie e, dopo un percorso di 144 km, sfocia nelle acque del Canale di Sicilia (Fig. 1). Nell’antichità il Salso è stato sia una via di penetrazione verso l’interno dell’isola, sia un limite di demarcazione naturale che, fin dalla Protostoria, ha opposto Siculi e Sicani e in seguito ha segnato i confini di territori molto vasti: quello geloo da quello akragantino, l’eparchia siracusana da quella akragantina e infine il territorio di influenza greca da quello cartaginese. Il tratto finale del fiume, in prossimità dello stretto, si articola in due diramazioni: la principale attraversa la piana e lo stesso abitato, terminando con andamento tortuoso subito a est del porto; della seconda rimane il paleoalveo, di cui si ha un riscontro nella cartografia e nei testi antichi, dove compare con l’idronimo di Fiumicello (MASSA 1709, Parte II, p. 371) 2 . Tale ramo secondario si distaccava dal corso principale e continuava verso sud per sfociare alla Mollarella, formando un’interruzione tra la Montagna di Licata e il promontorio della Poli- scia (83 m s.l.m.), posto più a ovest. Da ciò si deduce come il monte di Licata e la piana a nord formassero un triangolo di terra racchiuso tra le due diramazioni del fiume e il mare. Dal punto di vista idrografico, questo territorio in passato doveva essere irrigato da numerosi corsi d’acqua che nascevano dalla montagna e dalle colline circostanti la piana, alimentando il tratto finale del fiume, come testimoniano le sorgenti di Donna Vannino, di San Michele, i pozzi della Grangela, della Gradiglia e le numerose canalizzazioni in pietra che sopravvivono sulla Montagna. Dal punto di vista geologico, la Montagna di Licata presenta, in quasi tutta la sua estensione, una struttura calcarea marnosa, che ha favorito fino alla prima metà del Novecento l’utilizzo del suolo per pian- tagioni di vite e ulivo. Oggi il paesaggio della Montagna è profondamente mutato rispetto al secolo scorso: infatti, sebbene sopravvivano alberi d’olivo secolari, le vigne sono quasi completamente scomparse e l’uso 1 Questo lavoro è una rielaborazione della tesi di Laurea Specialistica in Archeologia, dal titolo La produzione vitivinicola a Licata (Agrigento) in età antica, discussa nell’anno accademico 2007-2008 presso l’Università degli Studi di Siena (relatore il prof. Andrea Zifferero, correlatore il dott. Andrea Ciacci). I dati sul terreno sono stati acquisiti grazie alla disponibilità della dott.ssa Gabriella Costantino, già Soprintendente ai Beni Culturali e Ambientali di Agrigento e delle dott.sse Armida De Miro, responsabile del Servizio Beni Archeologici e Maria Concetta Parello, che ringrazio per le autorizzazioni concesse e per l’attenzione con cui hanno seguito il lavoro. Sono grato a Maurizio Cantavenera e a Filippo Todaro, dell’Associazione Archeologica Licatese, per le informazioni e le fotografie in merito a scavi di emergenza e recuperi effettuati nel territorio di Licata; al dott. Silvio Errante per la consulenza geologica nel corso dei sopralluoghi e ad Angelo Schembri, della Coope- rativa turistica Sikania, che ha fornito importanti indicazioni per il ritrovamento di due palmenti; a Carla Cugno Garrano, per aver curato i disegni della ceramica, al dott. Fabrizio Mollo, dell’Università degli Studi di Messina, per aver verificato testo e disegni e al geometra Gaetano Ripellino dell’Ufficio Urbanistica del Comune di Licata per i dati catastali forniti. I sopralluoghi sono stati autorizzati dai signori Nunzio Brancato, Angelo Cantavenera, Fabio De Ninnis, Maria Liguori e dalla società Marenostrum a.r.l., che hanno consentito di procedere con la documentazione delle emergenze archeologiche nei terreni di loro proprietà. 2 In una descrizione del litorale e del territorio di Licata, Giovanni Andrea Massa nomina, in successione, i nomi dei luoghi: la “baia di Fiumicello”, compresa tra la Mollaga e il monte della Caduta, rappresenta certamente la baia di Mollarella, in cui sfociava il ramo secondario del Salso.

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    PROSPETTIVE DI RICERCA SULLA PRODUZIONE VITIVINICOLA ANTICA A LICATA (AGRIGENTO)1

    1. La Montagna di Licata: cenni topografici e geomorfologici

    La «Montagna di Licata» corrisponde all’intero sistema collinare che corre parallelo alla linea di costa e si estende, per un tratto di circa 5 km, dal colle Sant’Angelo (a est) al colle Giannotta (a ovest). Lungo le pendici settentrionali e orientali di quest’ultimo sorge l’odierna città di Licata, divisa in due dal fiume Salso, che ha origine dalle Madonie e, dopo un percorso di 144 km, sfocia nelle acque del Canale di Sicilia (Fig. 1).

    Nell’antichità il Salso è stato sia una via di penetrazione verso l’interno dell’isola, sia un limite di demarcazione naturale che, fin dalla Protostoria, ha opposto Siculi e Sicani e in seguito ha segnato i confini di territori molto vasti: quello geloo da quello akragantino, l’eparchia siracusana da quella akragantina e infine il territorio di influenza greca da quello cartaginese.

    Il tratto finale del fiume, in prossimità dello stretto, si articola in due diramazioni: la principale attraversa la piana e lo stesso abitato, terminando con andamento tortuoso subito a est del porto; della seconda rimane il paleoalveo, di cui si ha un riscontro nella cartografia e nei testi antichi, dove compare con l’idronimo di Fiumicello (MASSA 1709, Parte II, p. 371)2.

    Tale ramo secondario si distaccava dal corso principale e continuava verso sud per sfociare alla Mollarella, formando un’interruzione tra la Montagna di Licata e il promontorio della Poli-scia (83 m s.l.m.), posto più a ovest. Da ciò si deduce come il monte di Licata e la piana a nord formassero un triangolo di terra racchiuso tra le due diramazioni del fiume e il mare. Dal punto di vista idrografico, questo territorio in passato doveva essere irrigato da numerosi corsi d’acqua che nascevano dalla montagna e dalle colline circostanti la piana, alimentando il tratto finale del fiume, come testimoniano le sorgenti di Donna Vannino, di San Michele, i pozzi della Grangela, della Gradiglia e le numerose canalizzazioni in pietra che sopravvivono sulla Montagna. Dal punto di vista geologico, la Montagna di Licata presenta, in quasi tutta la sua estensione, una struttura calcarea marnosa, che ha favorito fino alla prima metà del Novecento l’utilizzo del suolo per pian-tagioni di vite e ulivo.

    Oggi il paesaggio della Montagna è profondamente mutato rispetto al secolo scorso: infatti, sebbene sopravvivano alberi d’olivo secolari, le vigne sono quasi completamente scomparse e l’uso

    1 Questo lavoro è una rielaborazione della tesi di Laurea Specialistica in Archeologia, dal titolo La produzione vitivinicola a Licata (Agrigento) in età antica, discussa nell’anno accademico 2007-2008 presso l’Università degli Studi di Siena (relatore il prof. Andrea Zifferero, correlatore il dott. Andrea Ciacci). I dati sul terreno sono stati acquisiti grazie alla disponibilità della dott.ssa Gabriella Costantino, già Soprintendente ai Beni Culturali e Ambientali di Agrigento e delle dott.sse Armida De Miro, responsabile del Servizio Beni Archeologici e Maria Concetta Parello, che ringrazio per le autorizzazioni concesse e per l’attenzione con cui hanno seguito il lavoro. Sono grato a Maurizio Cantavenera e a Filippo Todaro, dell’Associazione Archeologica Licatese, per le informazioni e le fotografie in merito a scavi di emergenza e recuperi effettuati nel territorio di Licata; al dott. Silvio Errante per la consulenza geologica nel corso dei sopralluoghi e ad Angelo Schembri, della Coope-rativa turistica Sikania, che ha fornito importanti indicazioni per il ritrovamento di due palmenti; a Carla Cugno Garrano, per aver curato i disegni della ceramica, al dott. Fabrizio Mollo, dell’Università degli Studi di Messina, per aver verificato testo e disegni e al geometra Gaetano Ripellino dell’Ufficio Urbanistica del Comune di Licata per i dati catastali forniti. I sopralluoghi sono stati autorizzati dai signori Nunzio Brancato, Angelo Cantavenera, Fabio De Ninnis, Maria Liguori e dalla società Marenostrum a.r.l., che hanno consentito di procedere con la documentazione delle emergenze archeologiche nei terreni di loro proprietà.

    2 In una descrizione del litorale e del territorio di Licata, Giovanni Andrea Massa nomina, in successione, i nomi dei luoghi: la “baia di Fiumicello”, compresa tra la Mollaga e il monte della Caduta, rappresenta certamente la baia di Mollarella, in cui sfociava il ramo secondario del Salso.

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    del suolo non è più agricolo, ma in prevalenza residenziale. Limitati settori sono lasciati al pascolo e all’allevamento di caprovini, suini e asini.

    2. Approfondimento degli aspetti storici

    Secondo la tradizione tucididea, coloni di Rodi guidati da Antifemo, insieme a coloni cretesi comandati da Entimo, fondarono Gela nel 689-688 a.C. (Tucidide, Hist. 6, 4, 3). Un secolo dopo, nel 581 a.C., i discendenti dei Rodio-Cretesi stanziati a Gela si spostarono più a occidente, dove dedussero una subcolonia cui diedero il nome di Akragas (Tucidide, Hist. 6, 4, 4).

    Se si guarda oggi la fertile ed estesa piana di Licata intorno al basso corso del Salso, proprio tra Gela e Agrigento, non si comprende il motivo della scarsa presenza della componente geloa in questa area durante il VII secolo a.C.; se si prova tuttavia a ricostruire il paesaggio antico integrando fonti archeologiche, geologiche e storiche, ci si accorge che vari fenomeni contribuirono a condizionare il popolamento dell’area tra la fine del Bronzo Medio e l’occupazione geloa.

    Gli storici antichi, soprattutto Diodoro Siculo, narrando le battaglie combattute dai Greci di Sicilia contro i Cartaginesi e contro le truppe ateniesi, tramandano un abbozzo del paesaggio siciliano con maggiore dettaglio, descrivendo un clima con piogge molto frequenti che provocavano straripamenti e inondazioni con formazione di acquitrini e zone paludose. Il Salso, identificato con il ramo meridionale dell’Himera, citato dalle fonti antiche (Vitruvio, De Arch. 8, 3, 7; Diodoro Siculo, Biblioth. 19, 109; Strabone, Geographia 6, 211; Polibio, Storie 7, 4, 2; Livio, Ab urbe condita 24, 6; Tolomeo, Geographia 3, 4; Solino, Collectanea rerum memorabilium 5, 17; Vibio Sequestre, De fluminibus fontibus lacubus nemoribus paludibus montibus gentibus per litteras libellus 14, 234; Silio Italico, Punica 14, 230), descritto come fiume impetuoso e vorticoso, quasi infernale, non sarà stato estraneo a questa situazione climatica, come sembrano confermare i depositi alluvionali della piana licatese.

    L’abbandono della vasta area che comprende sia la piana sia le colline circostanti, potrebbe essere collegato all’insorgere di epidemie, o comunque di gravi cataclismi, che colpirono la zona a partire dalla fine del Bronzo Medio e che lasciarono memoria fino all’arrivo dei primi coloni rodio-cretesi. Sarebbe altrimenti inspiegabile perché siti come quello di contrada Pernice (AMATO 2003-2004), che domina assieme al Monte Petrulla la strettoia del fiume Salso e che ha una continuità di vita ininterrotta dal Neolitico (facies di Stentinello) al Bronzo Medio (facies di Thapsos), sia stato abbandonato proprio in un periodo, quale quello protostorico, in cui i presidi di zone strategiche risultavano di notevole importanza.

    Ad eccezione della Caduta di Mollarella (settore occidentale della Montagna di Licata), da dove provengono gli unici reperti ceramici protocorinzi (seconda metà del VII secolo a.C.), la Mon-tagna fu occupata soltanto dalla seconda metà del VI secolo a.C. Secondo le fonti, infatti, in questo periodo Falaride, tiranno di Akragas, edificò una rete di phrouria (fortificazioni militari strategiche) sulle principali alture del sistema collinare, allo scopo di arginare il tentativo di riconquista della zona compresa tra Palma e il Salso da parte di Gela (Diodoro Siculo, Biblioth. 19, 108, 1).

    Il V e il IV secolo a.C. rappresentano un periodo denso di incertezze: dopo la distruzione di Selinunte, Agrigento, Gela e Camarina (406-405 a.C.), il tratto di costa meridionale che comprendeva i territori di queste città fu sottoposto al controllo cartaginese. Venne, infatti, firmato un trattato che prevedeva che le poleis distrutte fossero ripopolate, senza però poter erigere mura di fortificazione, divenendo tributarie di Cartagine (Diodoro Siculo, Biblioth. 14, 66, 4; 68, 2).

    Dal momento che tra Agrigento e Gela non esisteva, in quel periodo, alcuna polis greca, le fonti non si soffermano sulla descrizione di questo settore: soltanto Plutarco (Dione, 26) informa dell’esistenza di duecento cavalieri agrigentini che, nel 357 a.C., abitavano nei pressi dell’Ekno-mos e che si unirono alla spedizione di Dione contro Dionigi di Siracusa; l’impresa militare è confermata da Diodoro (Biblioth. 16, 82), che però tace sul reclutamento dei cavalieri agrigentini dell’Eknomos.

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    Tale indicazione storica rappresenta il punto di inizio dell’indagine archeologica qui presentata. Sin dalla fine del V secolo a.C. le fonti tramandano l’immagine di una Sicilia dilaniata dalle guerre, afflitta dalle tirannidi e scarsamente popolata: dopo il lungo periodo di antagonismo tra Cartaginesi e Siracusani, Timoleonte viene inviato in Sicilia da Corinto, su richiesta di Iceta di Leontini, per porre fine alla tirannide e ristabilire la democrazia. Timoleonte sconfigge dapprima Dionigi II e poi i Cartaginesi. I centri sottomessi alla dominazione punica vengono rioccupati da nuovi coloni, come Gela, insediata da genti provenienti da Ceo e da vecchi cittadini rifugiati in altre città che tornano per riappropriarsi delle loro terre. Alla morte di Timoleonte, il siracusano Agatocle cerca di impossessarsi del governo dell’isola, sostenuto dalle masse popolari (PANVINI 1996, p. 101).

    Nel 311-310 a.C. si riacutizzano i conflitti tra i Greci di Agatocle e i Cartaginesi guidati da Amilcare; leggendo il passo di Diodoro Siculo (Biblioth. 19, 104, 3), ritornano alla memoria i phrouria falaridei descritti precedentemente: Amilcare si schiera presso il capo Eknomos (secondo la tradizione, la fortificazione in cui era posto il toro bronzeo all’interno del quale il tiranno Falaride aveva fatto bruciare vivo il suo ideatore, Perilao: Diodoro Siculo, Biblioth. 19, 108, 1; Timeo, Fr. 18), a ovest del fiume, mentre Agatocle si accampa nel Phalarion, posto su un’altura situata sulla sponda orientale. Agatocle è sconfitto in questa battaglia, ma vince la guerra, dopo aver condotto una spe-dizione in Africa. Pochi anni dopo la morte di Agatocle, avvenuta nel 289 a.C., Phintia, tiranno di Akragas, distrugge Gela e deporta i suoi abitanti nel territorio dell’odierna Licata, nei pressi del Salso e di quel capo Eknomos, già teatro di sanguinose battaglie. Decide, quindi, di edificare proprio qui, presso il mare, una nuova polis: secondo Diodoro prende il nome di Finziade, dal nome del tiranno che in poco tempo provvede alla costruzione di una cinta muraria, di un’agorà e di templi dedicati alle divinità (Biblioth. 12, 2). L’iscrizione Kaibel 256, rinvenuta sul monte, testimonierebbe anche l’esistenza di un ginnasio (MANGANARO 1993).

    Polibio tramanda che nel corso della prima guerra punica, mentre la flotta romana è impegnata contro i Cartaginesi nelle acque del Canale di Sicilia, le truppe di terra si stanziano presso il «Capo Eknomos» (Polibio, Storie 1, 25).

    I racconti di Polibio e di Diodoro riportano l’attenzione su un episodio di questa guerra, av-venuto nel 249 a.C.: Polibio racconta che «i Romani, non ritenendosi in grado di affrontare il nemico, si stabilirono presso una delle cittadine in loro possesso, non fornita di un vero e proprio porto, ma di cale e di prominenze sulla spiaggia che potevano servire più o meno da ricovero. Sbarcati qui, prepararono le catapulte e le baliste fornite dalla città e rimasero in attesa dell’attacco dei nemici» (Polibio, Storie 1, 53-54, trad. SCHICK). In Diodoro il nome della città in possesso dei Romani è Finziade (Biblioth. 24, 1). Incrociando le due fonti si può comprendere che nel 249 a.C. Finziade non avesse ancora un porto. Con l’ultima vittoria conseguita da Marcello sui Cartaginesi, ancora una volta presso il basso corso dell’Himera meridionale e con la riduzione della Sicilia in provincia senatoria, la città diviene un fiorente centro commerciale e portuale, dedito allo smistamento dei cereali, coltivati nella fertile piana di Licata. Lo sviluppo economico permette anche la costituzione di un nuovo e scenografico assetto urbano, per premiare la fedeltà della città e l’appoggio strategico fornito alle truppe romane (LA TORRE 2005a, p. 84).

    Intorno al 70 a.C., Cicerone ricorda Finziade quale città e porto della costa meridionale della Sicilia (In Verrem Actio Secunda, III, 192). La conquista dell’Egitto da parte di Ottaviano rappresenta un duro colpo per l’economia di Finziade, dal momento che il primato cerealicolo della Sicilia passa alla neoprovincia imperiale d’Egitto. Le esportazioni diminuiscono e ha inizio anche la decadenza della città (LA TORRE 2005a, p. 84).

    Dei periodi successivi si hanno poche notizie: Plinio ricorda l’etnico Phintientes e informa che in periodo imperiale fu «civitas stipendiaria» (Plinio, N.H. 3, 91); Strabone non menziona la città nella sua Geographia. Mentre Finziade viene man mano abbandonata, nelle campagne circostanti si diffonde il latifondo: anche se per la Montagna di Licata non si hanno dati riferibili al periodo tardoimperiale, insediamenti a carattere rurale dovettero trovarsi nei pressi di Contrada Apaforte e Poggio Mucciacqui, dove, in posizione più arretrata, circa 5 km a nord rispetto alla linea di costa,

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    sulle due colline alluvionali poste rispettivamente a ovest e a est del fiume, sono state messe in luce due necropoli attive tra il IV secolo a.C. al VI secolo d.C.3.

    L’ultima citazione è contenuta nell’Itinerarium Antonini, degli inizi del III secolo d.C., che riporta il percorso viario e per maritima loca da Agrigento a Siracusa: tra le diverse stazioni di sosta ricordate nei pressi di scali portuali, dopo la menzione del Dedalium, a 18 miglia da Agrigento, com-pare il refugium chiamato Plintis, probabile distorsione del nome romano di Phintiam (Itinerarium Antonini 95, 5).

    Sulle rovine dall’agglomerato urbano di Finziade dovettero sorgere, secondo alcuni, la chiesa di S. Maria La Vetere (detta anche S. Maria del Gesù o S. Maria del Monte) e un piccolo cenobio, uno dei sei complessi monastici benedettini fatti edificare in Sicilia dalla beata Silvia, madre di papa Gregorio Magno; si tratta delle più antiche testimonianze, seppure non ancora suffragate da scavi, di una possibile frequentazione altomedievale della zona (SERROVIRA, ms. del XVII-XVIII secolo, ff. 278r ss.; PIRRO 1735, p. 740; VITALI 1909, p. 252; CARITÀ 1976, p. 22 ss.).

    Sulle pareti della chiesa, durante i lavori di restauro, sono stati scoperti dipinti in stile bizan-tino che raffigurano un santo sacerdote e un santo papa, probabilmente datati al XIII-XIV secolo, e che rappresentano forse proprio quel Gregorio Magno al quale la tradizione locale attribuiva la fondazione del monastero (CARITÀ, MELI 1990, pp. 29-36).

    Con il VII secolo d.C. iniziano le incursioni dei Saraceni e le comunità risalgono il fiume abbandonando gli insediamenti e i casolari posti in pianura, per cercare rifugio presso luoghi più sicuri e lontani dalle coste di Licata.

    È, questo, un periodo di spopolamento per la Montagna di Licata, che tornerà a essere occu-pata solo agli inizi dell’XI secolo, da parte di monaci eremiti che fonderanno qui le loro comunità monastiche.

    3. Storia degli studi e delle ricerche sulla Montagna di Licata

    La fascia collinare che da Castel Sant’Angelo si estende fino a Pizzo Caduta è ricca di testi-monianze archeologiche che vanno dal Mesolitico e Neolitico all’età bizantina. Le ricerche sono state limitate soprattutto a indagini di superficie, condotte dall’Associazione Archeologica Licatese e a scavi d’emergenza, compiuti in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Agrigento, il più delle volte non seguiti da adeguate pubblicazioni scientifiche. Molti dei reperti custoditi presso il Museo Archeologico Badia di Licata si sono salvati grazie alla tenacia e alla com-petenza dei membri dell’Associazione Archeologica Licatese i quali, sin dagli anni Sessanta, si sono opposti all’azione distruttiva degli scavatori clandestini e all’abusivismo edilizio.

    Allo stato attuale delle ricerche, dopo una frequentazione preistorica che si protrae fino e non oltre il Bronzo Antico, un’occupazione stanziale sulla Montagna di Licata sembra essere avvenuta soltanto a partire dal VI secolo a.C. (DE MIRO 1962, pp. 122-125).

    È, infatti, attribuibile al periodo la fondazione di un santuario greco-arcaico dedicato alle divinità ctonie Demetra e Kore e di una necropoli di sepolture a incinerazione entro anfore corinzie (VI secolo a.C.), rinvenuti presso la baia della Poliscia, antico approdo naturale utilizzato sin dai primi naviganti orientali che dall’Egeo si spinsero lungo le coste meridionali della Sicilia (DE MIRO, FIORENTINI 1976-1977; FIORENTINI 1980-1981, p. 583).

    La situazione della Poliscia non rappresenta un unicum: il santuario greco-arcaico presenta, infatti, analogie molto strette con quello del Casalicchio-Agnone, sia per quanto riguarda la scelta del sito, sia per la composizione delle deposizioni votive (DE MIRO 1986, pp. 100-101).

    3 Da ricognizioni di superficie in contrada Apaforte, chi scrive ha constatato la presenza, oltre che di ceramica a vernice nera, dipinta e non, di frammenti di anfore grecoitaliche e rodie, di anfore tardoantiche, di terra sigillata italica e africana; è visibile anche una tomba a camera, costruita in opera isodoma in età greca. Al Museo Archeologico Badia di Licata sono esposti i reperti rinvenuti al suo interno, che daterebbero le sepolture al III secolo a.C. Una vetrina è dedicata anche ai materiali di Poggio Mucciacqui.

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    In entrambi i casi si possono osservare i resti di possibili fortificazioni militari (phrouria) sul punto più alto della collina, mentre a una quota inferiore, quasi a valle e in prossimità di un corso d’acqua, sono state rinvenute le tracce archeologiche riferibili a un rituale ctonio. I materiali più antichi provenienti dal santuario sono successivi al 580 a.C., data della fondazione di Agrigento, testimoniando quindi più che un’occupazione geloa del sito, la conquista operata da Falaride.

    Un limite alla comprensione di questa facies archeologica è dato dalla provenienza dei mate-riali esclusivamente da contesti sepolcrali e/o cultuali: considerando che la ricerca è stata fortemente limitata dalla presenza in questa area della proprietà privata, al momento non si conoscono consistenti evidenze di età arcaica e classica, ad eccezione di pochi frammenti di ceramica corinzia rinvenuti alla Caduta di Mollarella e della notizia, fornita da F. La Torre, di lembi di strutture e ceramiche corinzie recuperate in recenti indagini di scavo sul Monte Giannotta, all’estremità occidentale della Montagna (LA TORRE 2005a, p. 78).

    Maggiori sono, invece, le testimonianze archeologiche riscontrate nella parte orientale della Montagna e relative a una fase di occupazione ellenistico-romana. Nel 1962, lungo la via panora-mica Sant’Antonino, sono stati messi in luce i resti di una necropoli con tombe monumentali del tipo a epitymbia. Un altro nucleo di tombe, di cui alcune con sarcofago acromo in terracotta, è stato rinvenuto nel 1972 durante i lavori di sistemazione di via Cotturo e piazza Sicilia (DE MIRO 2005, p. 134). Si tratta probabilmente di sepolture, la cui cronologia sembra ascrivibile al IV-III secolo a.C. (DE MIRO 2005, p. 134).

    Nel corso degli ultimi anni sono state avviate nuove indagini archeologiche sul Colle Sant’An-gelo che hanno permesso di chiarire e confermare la notizia, riportata dalle fonti storiche antiche, della fondazione di una neocolonia agli inizi del III secolo a.C.

    Sin dal Seicento, a seguito di scavi condotti da eruditi locali, storici e archeologi si sono af-frontati in una secolare diatriba riguardo l’esatta ubicazione dell’antica Gela, alimentata dalle scoperte eseguite sulla Montagna di Licata: da una parte, diversi studiosi – primo tra tutti P. Clüver – volevano l’antica Gela sorta nel luogo della città attuale; dall’altra, gli studiosi seguaci dello storico T. Fazello la collocavano nel territorio di Licata (tra i sostenitori della tesi Gela in Licata: FAZELLO 1558, I, 5, 3; PIZZOLANTI 1763; LINARES 1845; CANNAROZZI 1870; VITALI 1905; PAGOTO 1933; NAVARRA 1964; CELLURA 1971; CARITÀ 1972a; CARITÀ 1978; RIZZO 2001. Tra gli studiosi contrari alla tesi: CLÜVER 1619, p. 213; CARUSO 1745, I, pp. 55-56; AMICO 1856, I, p. 492; SCHÜBRING 1873, p. 76; PAIS 1888; PARETI 1920, pp. 214 ss.; ADAMESTEANU 1959; DELORME 1960, pp. 221 ss).

    La polemica, protrattasi fino ai giorni nostri, ha lasciato un numero considerevole di scritti storici, contenenti soprattutto importanti informazioni in merito a ritrovamenti archeologici casuali, dei quali altrimenti non si avrebbe alcuna menzione.

    Nell’ultimo decennio, comunque, la situazione archeologica è apparsa più chiara: le ricerche condotte nei territori di Gela e Licata hanno dimostrato, in modo certo, che l’antica Gela non può essere individuata sulla Montagna di Licata, carente di testimonianze di età arcaica e classica, ma va collocata sulla collina dell’odierna Gela, a conferma delle teorie cluveriane.

    La Montagna di Licata è, infatti, ricca di attestazioni di età ellenistico-romana, che sembrano coincidere con il periodo di vita di Finziade. Il testo dell’iscrizione Kaibel 256 già menzionata, graffito su una lastra litica in caratteri greci, riporta l’onorevole riconoscimento ottenuto dall’istruttore dei lottatori e da undici efebi ginnasiarchi che si distinsero per merito; l’incoronazione, è scritto, avvenne «per volontà del senato e del popolo di Gela» (LINARES 1845, p. 57; CANNAROZZI 1870, p. 131; PATERNÒ 1817, p. 117; HOLM 1896, p. 278; DELL’ARIA 1966; CARITÀ 1988, pp. 47-49).

    Tale iscrizione, rinvenuta sul Colle Sant’Angelo, fu utilizzata dai seguaci di Fazello quale prova inconfutabile per collocare l’antica Gela sulla Montagna di Licata, mentre è stata ritenuta un falso del Seicento da D. Adamesteanu, creata per dimostrare una tesi ubicazionale, sebbene tale interpretazione non abbia ricevuto molti consensi (ADAMESTEANU 1959).

    Altri autori hanno attribuito l’iscrizione a un’epoca posteriore al 282 a.C., anno della distru-zione di Gela, e cioè opera dei deportati geloi i quali, in ricordo della loro patria, continuarono a

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    chiamarsi con l’antico etnonimo (SCHÜBRING 1873, p. 76; KAIBEL 1890, XIV, p. 42; PARETI 1920, pp. 214 ss.; FEYEL 1935, nn. 226-227; MOMMSEN 1963, X, p. 737).

    L’esistenza di una popolazione geloa a Finziade è comunque confermata dall’iscrizione Kaibel 257 e da quella di Cos del 242 a.C., quest’ultima riportante una precisa annotazione: «i Geloi non risiedevano più nell’originaria città, ma a Finziade» (SEG, XII, 380).

    Resti di abitazioni ellenistiche sono stati rinvenuti sulla sommità e lungo le pendici orientali e sudoccidentali di Colle Sant’Angelo: alcuni ambienti sono stati riportati alla luce negli anni Ot-tanta, sul terrazzo sommitale, durante i lavori di restauro dell’omonimo castello seicentesco (CARITÀ 1986).

    Successivamente, ha avuto inizio lo scavo del settore nord di via S. Maria, che ha permesso l’esplorazione di una parte dell’antico abitato ellenistico, posto su terrazzamenti artificiali (FIOREN-TINI 1988-1989).

    Altre sette case sono state individuate e riportate alla luce lungo il versante meridionale, immediatamente a sud del Castel Sant’Angelo, restituendo importanti informazioni in merito all’antica urbanizzazione del sito (FIORENTINI 1997-1998; DE MIRO 2005; LA TORRE 2005b, LA TORRE 2008).

    Dall’indagine condotta dall’Università degli Studi di Messina, è emerso che sulla sommità del colle Sant’Angelo, a un più antico impianto (probabilmente rurale) datato alla metà del IV secolo a.C., si sovrapposero strutture abitative riferibili agli inizi del III secolo a.C., e cioè al periodo della nascita di Finziade. Le abitazioni poste sulla parte più alta della collina vennero progressivamente abbandonate e l’insediamento urbano si spostò sempre più verso la parte orientale del colle. Gli edifici di via S. Maria, infatti, sarebbero collocabili tra la seconda metà del III secolo a.C. e il I secolo d.C.

    Un particolare interesse ha suscitato, negli anni Settanta, il rinvenimento di una statua ace-fala femminile, in marmo bianco, scoperta casualmente durante i lavori di sistemazione di via S. Maria, nei pressi della vecchia sede dell’ospedale S. Giacomo d’Altopasso. L’opera, ancora inedita, oggi conservata al Museo Archeologico Badia di Licata, è considerata da gran parte degli studiosi locali un originale del V secolo a.C. anche se il ritrovamento fuori contesto, nei pressi dell’abitato tardo-ellenistico, potrebbe far pensare a una copia di età romana, come ipotizzato da A. De Miro (DE MIRO 2005, p. 132).

    Non si sa con certezza dove si trovasse l’agorà, sebbene sia probabile, sotto il profilo geografico e paesaggistico, una sua posizione sull’unico pianoro a sud che si affaccia sul mare, in prossimità del-l’attuale cimitero vecchio. Da questo luogo provengono numerosi reperti rinvenuti occasionalmente (ceramiche, rocchi di colonne, elementi architettonici), che fanno supporre l’esistenza del foro. Del circuito murario è stato esplorato nel 1960 soltanto un breve tratto nel settore sudoccidentale del Colle Sant’Angelo, laddove il pendio si presenta più ripido (CARITÀ 1981, p. 15; 1986).

    Secondo i dati emersi dall’ultima campagna di scavi condotta dall’Università di Messina, l’assetto urbano della città non si daterebbe agli inizi del III secolo a.C., ma tra la fine del III e gli inizi del II secolo a.C., cioè agli ultimi anni della seconda guerra punica. Dei templi citati da Diodoro non si ha alcuna traccia: anche in questo caso si può solo ipotizzare si trovassero sul punto più alto del colle, nel luogo in cui nel Seicento venne edificato l’omonimo castello aragonese. Inol-tre, nell’estremo lembo di terra che formava una piccola penisola sul mare, su cui si ergeva Castel S. Giacomo, sorgeva forse un altro tempio: l’attuale toponimo del luogo, “Olimpia”, potrebbe richiamare un possibile culto dedicato a Zeus Olimpo. La necropoli della città doveva estendersi sulle pendici settentrionali e occidentali del colle: le sepolture a epitymbia già ricordate, scoperte casualmente in contrada Sant’Antonino, potrebbero appartenere a questa fase di occupazione (DE MIRO 2005, p. 134).

    È mancata, per questa area, un’attività di indagine archeologica rivolta allo studio più che dei singoli siti, della loro distribuzione nel contesto più ampio della Montagna. Per tale motivo non è stato ancora possibile identificare i due phrouria descritti dalle fonti, l’Eknomos e il Phalarion (CONSOLO LANGHER 1993; NAVARRA 1993).

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    Ernesto De Miro e F. La Torre hanno abbracciato la tesi di G. Navarra, erudito e studioso locale: sulla base del racconto di Diodoro Siculo, Navarra interpreta il fiume che divideva i due accampamenti non con il ramo principale del Salso-Himera, ma con il corso secondario, quello che compare nella cartografia antica con il toponimo di Fiumicello. Secondo questa tesi, l’Eknomos dovrebbe trovarsi presso l’altura della Poliscia, a ovest del fiume, mentre il Phalarion andrebbe ricercato presso il punto più alto della Montagna di Licata, il Monte Sole (171 m), nel quale tuttora sopravvivono i resti di una fortificazione di età ellenistica (CARITÀ 2005; NAVARRA 1964, pp. 213-232).

    Pochi frammenti ceramici rinvenuti tra la terra rimossa di uno degli ambienti del phrourion di Monte Sole non possono stravolgere la tesi del notaio Navarra, ma il fatto che tra questi reperti ci sia un frammento d’anfora di importazione africana di tipologia indeterminabile, riconoscibile per la presenza di un timbro quadrangolare a due lettere puniche (cfr. scheda 5), permette di esprimere alcune considerazioni.

    Occorre anche ricordare che graffiti libici e iberici sono stati individuati da C. Cellura sulle pareti dello Stagnone Pontillo, e si daterebbero al IV-III secolo a.C., confermando il passaggio, presso il Monte Sole, delle milizie cartaginesi in una circostanza ancora da definire.

    Sia i frammenti d’anfora, sia le iscrizioni potrebbero risalire a un periodo compreso tra la fine del IV e la metà del III secolo a.C.: si può, infatti, ipotizzare che si tratti di un’anfora circolata in Sicilia tra la fine del IV e la metà del III secolo a.C. e abbandonata da quelle stesse truppe mercenarie che stazionarono sull’Eknomos e lasciarono le proprie firme sulle pareti dello Stagnone (CELLURA 1978; ROCCO 1977-1978).

    Se questa cronologia venisse confermata, sarebbe più facile riconoscere il Monte Sole con l’Eknomos citato da Diodoro; il Phalarion di Agatocle, invece, andrebbe ricercato sulla riva opposta del Salso, a est del fiume, presso una delle alture che sovrastano la fascia collinare che si estende da Monte Petrulla a Poggio Marcato d’Agnone, dove sono ancora visibili tracce di fortificazioni di età ellenistica.

    4. La carta archeologica

    CATASTO TERRENO AGRIGENTO (U2AV): FOGLIO DI MAPPA N. 96

    1. Poliscia (Unità Territoriale 1, da qui in poi UT 1)(Foglio di mappa 96, particella 121)Definizione: necropoliCronologia: periodo arcaico (VI secolo a.C.)Descrizione: il sito occupa la parte occidentale della lingua di terra che, allungandosi verso il mare, divide le due spiagge della Mollarella e della Poliscia. Tra il 1972 e il 1974 l’Associazione Archeologica Licatese ha messo in luce una necropoli con sepolture a incinerazione, attribuibile alla fine del VI secolo a.C.– Prima sepoltura: posta in direzione N/S, presenta all’interno di un circolo di pietre un’anfora con collo cilindrico, spalle spioventi, corpo ovoide e piede ad anello semplice; la bocca risulta chiusa da un tappo litico di forma irregolare. Accanto ad essa un cratere frammentato con decorazione dipinta a vernice nera su fondo chiaro, raffigurante due figure umane.– Seconda sepoltura: posta in direzione SE/NO, è formata da grandi pietre che circoscrivono un’anfora, la cui bocca è chiusa da una pietra tufacea. All’estremità inferiore si trova una kotyle con decorazione a linee concen-triche e un frammento di coppa corinzia di imitazione.– Terza sepoltura: posta in direzione SO/NE, è costituita da un’anfora a grande punta cilindrica terminale, mancante del collo. All’altezza della spalla, è collocata una piccola brocca acroma.– Quarta sepoltura: posta in direzione NE/SO è formata da un’anfora, una piccola anfora con decorazione dipinta a vernice nera baccellata, una statuina fittile di Atena Lindia, frammenti di vasi a vernice nera di tipo ionico.Bibliografia: CARITÀ 1988, pp. 37-38.

    2. Mollarella (UT 2)(Foglio di mappa 96, particella 121, 246)Definizione: emporioCronologia: periodo greco

  • Fig.

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    Fig. 1a, b, c – Quadri di dettaglio della Carta Archeologica di Licata (AG).

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    Descrizione: sulla sommità della rocca Mollarella, a pochi metri di distanza dal sito della necropoli arcaica e a circa 22 m s.l.m., un muro circolare, costruito a secco con pietre irregolari, ingloba al suo interno un ambiente a pianta quadrata del quale si intravedono alcuni blocchi squadrati in prossimità dell’ingresso, seminascosti dalla fitta vegetazione. Nella parte orientale della serra Mollarella una galleria scavata nel banco roccioso, dal lato nord del promontorio, conduce direttamente sul mare; a una quota inferiore, si trova una cisterna cilin-drica con imboccatura circolare, collegata a canali per l’adduzione delle acque piovane. Sulle pareti sono visibili incassi scavati a intervalli regolari (pedarole) che dovevano servire per facilitare la discesa e la risalita del pozzo. Più difficile, ma non da escludere, l’ipotesi che la cisterna fosse alimentata da falde di acqua sorgiva. La cisterna captava con probabilità le acque piovane e garantiva il rifornimento idrico delle navi, dal momento che, a sud, sommersi dalle acque marine, si intravedono le gettate di due piccoli moli. Sulla cresta si notano anche nume-rose conche scavate nella roccia calcarea, interpretabili come presunte fosse di combustione che servivano per segnalare la presenza di un approdo costiero.Materiali: scarsi frammenti di ceramica a vernice nera.Bibliografia: sito inedito.

    CATASTO TERRENO AGRIGENTO (U2AV): FOGLIO DI MAPPA N. 973. San Michele-Giannotta (UT 4-9, UT67-68)(Foglio di mappa 97, particelle 81, 84, 92, 93, 105, 156, 159, 224, 448)Definizione: insediamento rurale e produttivoCronologia: periodo ellenistico (fine IV-III secolo a.C.)Descrizione: UT 5: un impianto di pigiatura dell’uva, con due vasche rettangolari scavate nella roccia, orientate in direzione SE/NO, è localizzato in contrada San Michele (60 m s.l.m.). Il palmento (Fig. 2, a-b) è ricoperto di terra, per cui non è stato possibile verificare la presenza, nella vasca di fermentazione, della scodella centrale sul fondo e del gradino angolare. Entrambe le vasche sono ricoperte da uno strato di intonaco impermeabiliz-zante; numerosi ambienti intagliati nella roccia sono dislocati intorno al palmento, probabilmente riferibili a un impianto rurale per lo sfruttamento agricolo dell’area, dotato di cisterne idriche per la raccolta delle acque. Nella zona di San Michele si trova una sorgente naturale (68 m s.l.m.) le cui acque, a carattere torrentizio, dovevano scorrere presso un profondo canale che si trova subito a ovest del sito. In seguito fu costruita un’opera di canalizzazione, che costeggia il lato est della fattoria, nella quale si alternano condutture scavate nella roccia e canalette in blocchi di pietra (Fig. 2, e). Lungo il percorso, l’acqua si getta in pozzetti circolari che hanno la funzione di decantazione e dai quali gli agricoltori potevano attingere l’acqua depurata. Prima di raggiungere la pianura, la condotta risulta distrutta dai lavori agricoli moderni. Con il passare degli anni la canalizzazione è caduta in disuso e l’acqua ha formato un secondo canale che costeggia sempre a est la fattoria. Nel suo tratto finale si incontrano, oltre a pozzetti scavati nella roccia con gradini per accedere all’imboccatura ovale, lembi di strutture abitative, interamente scavati nella roccia, in alcuni casi con nicchie sulle pareti.UT 7: il settore nord dell’insediamento, che arriva quasi ai margini della pianura, sembra delimitato da due ambienti quadrangolari, dei quali restano fondazioni ricavate su due affioramenti di roccia, posti a una distanza di circa 50 m l’uno dall’altro.UT 67: il sito risulta frequentato anche in periodo protostorico, come dimostrerebbe il ritrovamento, meno di 200 m più a sud, in prossimità della sorgente, di frammenti ceramici pertinenti alla facies di Castelluccio, frammenti di pietra levigata e tombe a grotticella artificiale. Sulle due colline ai margini dell’insediamento, a sud (UT 4) e sud ovest, sono visibili le tracce di altre strutture: sulla prima (85 m s.l.m.) sono localizzati alcuni ambienti a pianta rettangolare scavati, mentre l’altura sudoccidentale non è stata esplorata per l’inaccessibilità del fondo.UT 8: sulla sponda opposta del torrente, a pochi metri da un rudere (53 m s.l.m.), sono state rinvenute due vasche di forma rettangolare, scavate nella roccia e intonacate, orientate in direzione NO/SE, riferibili a un impianto di pigiatura dell’uva (Fig. 2, c-d).UT 9: nelle immediate vicinanze sono stati ritrovati lembi di strutture, con muri perimetrali ricavati dal taglio della roccia di base e una piccola scodella emisferica, con un foro di scolo alla base. Dall’area provengono frammenti di tegole di età greca.UT 6: circa 100 m a sud est, come nel caso precedente, un altro rudere è stato costruito sulle fondamenta di un ambiente probabilmente di epoca ellenistica, riutilizzando i muri perimetrali intagliati nella roccia.UT 68: circa 120 m a ovest del palmento, nei pressi di una grotta abitata anche in tempi recenti, è stata rinvenuta un’ansa di anfora greco-italica. Sull’estradosso della grotta (48 m s.l.m.) è presente un piccolo vano quadrangolare scavato nella roccia, di circa 1,5×1,5 m, mentre un altro, simile, è stato localizzato circa 40 m più a sud rispetto al primo (58 m s.l.m.); si tratta probabilmente di due torri, simili a quelle scoperte tra gli ambienti a valle del-l’insediamento di San Michele. Quest’area era frequentata anche in periodo protostorico, come testimoniano i rinvenimenti di ceramica eneolitica e le tombe a grotticella artificiale scavate nella roccia.

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    Fig. 2 – S. Michele-Giannotta, scheda n. 3.

    a

    d

    b

    c

    e

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    Materiali:In prossimità dell’UT 5:Anfore di tipo MGS VI:– un frammento di orlo a sezione triangolare, con superfici superiori concave, inclinato verso l’esterno e solcatura orizzontale sulla superficie inferiore. Argilla arancio-rosata, contenente minuscoli inclusi litici e micacei di colore dorato e bruno (media frequenza); superfici con ingobbio nocciola tendente al beige;– un frammento di orlo a sezione triangolare, con superfici superiori concave, inclinato verso l’esterno. Una leggera solcatura segna lo stacco tra orlo e collo. Argilla rosata con minuscoli inclusi litici e micacei di colore dorato e nero brillante (media frequenza); superfici con ingobbio nocciola tendente al beige;In prossimità dell’UT 68:– un frammento di ansa a sezione ovale, il cui tipo anforico non è determinabile. Argilla nocciola-rossastra, con minuscoli inclusi micacei dorati (elevata frequenza) e piccoli inclusi di tritume ceramico (media frequenza); all’esterno superfici nocciola.Bibliografia: sito inedito.

    4. Giannotta (UT 10)(Foglio di mappa 97, particella 120)Definizione: insediamento rurale?Cronologia: periodo arcaico-ellenistico (VI-IV secolo a.C.)Descrizione: su un affioramento di roccia calcarea (85 m s.l.m.) è stata localizzata una cisterna di tipo diverso rispetto alle cisterne (a campana) identificate nelle case di età ellenistica. È simile al tipo “a bagnarola” con vasca rettangolare stretta e lunga, in antico ricoperta da lunghe lastre di chiusura in pietra, e con una botola semicircolare, generalmente alle estremità, che serviva per attingere l’acqua. Manufatti simili sono certamente di tipo punico e ben documentati in Sardegna e a Pantelleria (BULTRINI et alii 1996; MANTELLINI 1999-2000; CASTELLANI, MANTELLINI 2001).Inoltre, nei pressi di questo sito, a circa 350 m in direzione NO, sono stati recuperati frammenti di ceramica corinzia, durante uno scavo condotto dalla Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Agrigento.Bibliografia: sito inedito.

    CATASTO TERRENO AGRIGENTO (U2AV): FOGLIO DI MAPPA N. 985. Monte Sole (UT 11)(Fogli di mappa 98 e 118, particelle 118, 21, 22, 23, 134)Definizione: insediamento fortificato (phrourion)Cronologia: periodo ellenistico (IV-III secolo a.C.)Descrizione: un pianoro sommitale – già frequentato in periodo protostorico per la presenza di tombe a grotticella artificiale dell’età del Bronzo, e che costituisce il punto più alto della Montagna di Licata – è stato fortificato in periodo greco, come testimoniano le possenti mura realizzate in tecnica mista (alternando blocchi di calcare per-fettamente squadrati, blocchi di pietra di forma irregolare e, in alcuni tratti, operando sul banco roccioso per creare uno strapiombo) (Fig. 3, a-b). Il banco calcareo che forma il pianoro è stato lavorato creando ambienti regolari (cisterne, buche di palo, canalette, fondazioni di torri quadrate e gradini, Fig. 3, c). Si notano anche due o più vani, con pareti alte più di 2 m, ricavate interamente nella roccia e con nicchie per l’alloggio di travi lignee, che dovevano sostenere ballatoi dai quali i soldati potevano presidiare le fortificazioni. Per questo motivo, infatti, uno degli ambienti conserva ancora la caratteristica architettonica della merlatura, Fig. 3 a. Inizialmente identificato con l’Eknomos, oggi si tende invece a considerarlo come il Phalarion (cfr. supra). Il rinvenimento, nel corso delle ricognizioni, di un frammento di anfora da trasporto di tipo punico, tra la terra rimossa di uno degli ambienti, potrebbe forse indicare la frequentazione della fortificazione da parte di truppe cartaginesi. Il tipo dell’anfora non è definibile, ma il frammento, d’impasto rosa-arancio, presenta superfici esterne rivestite da un sottile ingobbio colore beige, mentre l’attaccatura superiore dell’ansa reca un timbro quadrangolare con due lettere puniche a rilievo, che trova confronto con alcuni bolli punici rinvenuti in Tunisia (RAMON TORRES 1995, p. 583, fig. 220, nn. 736-737).Materiali:Anfore puniche:– un frammento di collo con attacco dell’ansa a sezione ovale, con cartiglio quadrangolare riproducente due lettere puniche, affiancato da due impressioni digitali. Argilla arancio-rosata con piccoli inclusi bianchi e grigi (bassa frequenza). Superfici esterne con ingobbio beige tendente al bianco (Tav. 1, n. 1).Anfore di tipo MGS IV:– un frammento di orlo a sezione triangolare, inclinato verso l’esterno, con solcature sulle superfici inferiori, di cui una posta tra orlo e collo. Argilla arancio/rosso-arancio, con piccoli inclusi litici bianchi (elevata presenza), bruni (bassa frequenza) e micacei dorati.Bibliografia: CARITÀ 1981, pp. 23-29; LA TORRE 2008, p. 7.

  • Fig. 3 – Monte Sole: scheda n. 5 (a-c); scheda n. 6 (d-e); scheda n. 7 (f-g); scheda n. 8 (h).

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    6. Monte Sole (UT 12)(Foglio di mappa 98, particella 118)Definizione: insediamento rurale e produttivoCronologia: periodo ellenistico (IV-III secolo a.C.)Descrizione: a 144 m s.l.m., sull’affioramento roccioso che delimita a nord ovest il phrourion di Monte Sole, due vasche rettangolari, ricavate da un affioramento di roccia calcarea e orientate in direzione NO/SE, sono completamente colme di terra: sono visibili tracce di malta impermeabilizzante sulle pareti, mentre non è stato possibile constatare la presenza del gradino angolare e della scodella nella vasca di fermentazione (Fig. 3, d, e). Nel risparmio di roccia che separa i due recipienti è stato creato un incavo a U, che non sembra fungere da elemento di comunicazione, dal momento che i pavimenti di entrambe le vasche si trovano a un livello più basso della base del canale. La ripulitura del palmento potrebbe restituire informazioni in merito al funzionamento di questo impianto che, a differenza degli altri finora esaminati, potrebbe conservare elementi di pressa meccanica.Materiali: nelle immediate vicinanze del palmento sono presenti frammenti di tegole greche in giacitura secon-daria. Il sito è interessato da una discarica abusiva.Bibliografia: sito inedito.

    7. Monte Sole (UT 13-14)(Foglio di mappa 98, particella 120, 121, 126)Definizione: insediamento rurale e produttivoCronologia: periodo ellenistico (IV-III secolo a.C.)Descrizione:UT 13: all’interno della proprietà Licata, circa 100 m a nord ovest dal sito fortificato di Monte Sole, a 149 m s.l.m., è localizzato un impianto di pigiatura dell’uva con due vasche rettangolari scavate nella roccia, orientate in direzione NE/SO, sistemate a quote differenti e collegate tra loro da un foro circolare, successivamente (in età moderna?) ristretto con l’aggiunta di pietrame e con l’inserimento di una tegola curva che fungeva da canale di scolo. Il pavimento di entrambe le vasche è coperto da un battuto di ceramica forse successivo all’originaria struttura, mentre le pareti presentano diversi strati di intonaco impermeabilizzante. La seconda vasca ha il caratteristico scalino angolare e la scodella concava sul fondo (Fig. 3, f, g).UT 14: questo palmento doveva sicuramente essere annesso a un’antica fattoria rurale. Il lato nord ovest della proprietà privata, che si affaccia sulla piana di Licata, risulta fortificato naturalmente e artificialmente con l’ag-giunta di una torre, di cui sono visibili le fondamenta intagliate nella roccia, accessibile per mezzo di gradini ricavati nella roccia.Materiali: in prossimità dell’UT 13 è stata raccolta ceramica comune e materiale edilizio di età greca, in impasto nocciola con nucleo interno arancio-rosato e superfici esterne con ingobbio beige tendente al verde.Un frammento d’ansa, per i tratti dell’impasto, sembra appartenere a una MGS III o IV. L’argilla arancio/rosso-arancio presenta nucleo interno di colore grigio-scuro; elevata presenza di piccoli e medi inclusi litici bianchi, bruni (bassa frequenza) e micacei dorati (media frequenza).Anfore MGS IV:– un frammento di orlo a sezione triangolare, con superfici superiori leggermente concave, inclinato verso l’esterno; lievi solcature orizzontali sulle superfici inferiori. Argilla nocciola-rossastra, con inclusi litici bianchi (bassa frequenza), e micacei (media frequenza).Bibliografia: sito inedito.

    8. Monte Sole (UT 15-16)(Foglio di mappa 98, particelle 108, 118, 137, 138)Definizione: abitato e luogo di cultoCronologia: periodo medievale (X-XIII secolo d.C.)Descrizione: lungo le pendici del versante settentrionale di Monte Sole sono visibili varie grotte frequentate a scopo cultuale e/o adibite ad abitazioni. Una di esse (99 m s.l.m.) presenta nicchie sulle pareti, mentre sul tetto si apre un foro circolare dal quale si accede a un piano superiore, illuminato da finestrelle rettangolari.UT 15: la funzione religiosa di un’altra grotta (106 m s.l.m.) a due vani, all’interno della proprietà Cantavenera, è confermata da un affresco bizantino, datato tra il X e il XIII secolo. Sulle pareti sono presenti anche diverse nicchie e altre tracce di intonaco dipinto (Fig. 3, h). Uno dei due accessi originari è stato obliterato, mentre nei pressi dell’ingresso dell’apertura principale è stata ricavata nella roccia una scodella concava, probabilmente con funzione di acquasantiera.UT 16: un’altra grotta (129 m s.l.m.), riutilizzata come stalla nel Novecento, venne probabilmente riservata al culto cristiano, come testimonia la zona absidale posta di fronte all’ingresso. L’ipogeo è chiuso da una cancellata in ferro, per cui non è stato possibile individuare eventuali tracce di affreschi sulle pareti.Bibliografia: MELI, SCUTO 1977, pp. 25-26; CARITÀ 1988, pp. 320-321.

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    9. Monte Sole (UT 17)(Foglio di mappa 98, particella 70)Definizione: insediamento rurale e produttivoCronologia: periodo ellenistico (IV-III secolo a.C.)Descrizione: lungo le pendici settentrionali di Monte Sole (72 m s.l.m.), in prossimità degli ipogei supra descritti, circa 400 m a nord rispetto al phrourion di Monte Sole, l’area già frequentata in età protostorica, per la presenza di tombe a grotticelle artificiali scavate nel banco calcareo, è stata trasformata in un insediamento produttivo durante il periodo greco. Appartengono, infatti, a questa fase quattro vasche scavate su un affioramento roccioso e poste in successione altimetrica (Fig. 4, a-b).Le prime due, orientate in direzione N/S, sono vuote e presentano i caratteri tipici dei palmenti ellenistici a pianta quadrata o rettangolare: la vasca secondaria ha la scodella centrale sul fondo, il gradino angolare e l’intonaco antico. Si differenziano, però, per la vasca terminale non molto profonda, di forma subrettangolare, con le pareti arroton-date, mentre il foro di comunicazione, più o meno circolare nella vasca di pigiatura, assume un profilo ogivale nella vasca di fermentazione. Alla base del foro, attraverso un risparmio di roccia, è stato ricavato un piccolo canale per facilitare lo scolo del mosto. Il palmento è stato costruito scavando un masso di roccia che si eleva per circa 2 m: per arrivare alla vasca di pestaggio gli antichi utilizzatori intagliarono, sul lato ovest, tre piccoli gradini.Altre due vasche, apparentemente separate dalle precedenti, si trovano immediatamente a nord ovest e a una distanza di 2 m circa. Sono perpendicolari alle prime, orientate in direzione E/O e del tutto simili alle precedenti: anche in questo caso sono presenti tracce di intonaco impermeabilizzante sulle pareti, mentre il riempimento di terra non ha permesso l’individuazione della scodella e del gradino angolare. Il foro di comunicazione ha una forma differente nelle due vasche (il diametro è maggiore nella vasca di pestaggio) e, in questo caso, un risparmio di roccia proprio al di sopra del foro, funge da tettoia a protezione del canale di scolo. Considerata la vicinanza e l’altitudine decrescente tra le quattro vasche, potrebbe trattarsi di un’unica struttura, comunicante tramite canalette, al momento ricoperte da terra. A sud ovest, a una quota maggiore, si notano lembi di strutture ricavate dal taglio regolare della roccia.Materiali: nelle immediate vicinanze dell’UT 17 è stato raccolto un solo frammento d’ansa a sezione ovale schiacciata, il cui tipo anforico non è determinabile. Argilla nocciola con nucleo interno rossastro, con elevata presenza di piccoli inclusi litici dorati, nero-brillanti, e bianchi; superfici esterne beige, tendenti al verde.Bibliografia: sito inedito.

    CATASTO TERRENO AGRIGENTO (U2AV): FOGLIO DI MAPPA N. 9910. Monte Sole (UT 18)(Foglio di mappa 99, particella 9)Definizione: necropoliCronologia: periodo ellenisticoDescrizione: circa 50 m a sud est rispetto ai palmenti descritti (82 m s.l.m.) è stata rinvenuta una fossa di piccole dimensioni, rivestita da lastre di pietra (del tipo a cista) (Fig. 4, c). La fossa è stata svuotata da scavatori clandestini e non si esclude ve ne siano altre nelle immediate vicinanze. A breve distanza, un’altra fossa rettangolare scavata nella roccia, di circa 2 m di lunghezza e orientata in direzione NO/SE, risulta violata e ricolma di terra.Bibliografia: sito inedito.

    11. Cannavecchia (UT 19 e UT69)(Foglio di mappa 99, particelle 136, 147, 153, 203, 217, 373, 909)Definizione: insediamento rurale e opera idraulicaCronologia: periodo ellenisticoDescrizione:UT 19: in questa area è localizzato un sistema di canalizzazione, scavato nella roccia, per raccogliere le acque pro-venienti da una vicina sorgente naturale. Sulla cima della collina (112 m s.l.m.) si intravedono, tra la vegetazione di una proprietà recintata (particella n. 147), due pozzetti di incerta funzione, forse utili alla decantazione delle acque canalizzate. Uno di questi è posto tra gli olivi situati più in basso ed è collegato con una canaletta scavata nella roccia (104 m s.l.m.). A causa della fitta vegetazione non è possibile seguire il percorso della condotta.UT 69: scalando il fianco della collina a sud est si notano alcuni gradini ricavati nella roccia (114 m s.l.m.), che continuano all’interno di un fondo recintato (particella n. 203).Materiali: sulla UT 69 è stato raccolto un solo frammento di ceramica, probabilmente pertinente ad anfora, con impasto ricco di inclusi nero-brillanti.Bibliografia: sito inedito.

    12. Cannavecchia (UT 20-22)(Foglio di mappa 99, particelle 137, 314, 1039)Definizione: necropoli

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    Fig. 4 – Monte Sole: scheda n. 9 (a-b); scheda n. 10 (c). Cannavecchia: scheda n. 12 (d-f ).

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    Cronologia: periodo ellenistico (IV-III secolo a.C.)Descrizione:UT 20: nella parte bassa della collina sulla quale sorge il sito, uno sperone di roccia è stato sezionato per la realizzazione di una strada privata. Su entrambi i lati della carreggiata (80 m s.l.m.) sono visibili tombe a fossa rettangolari, scavate nella roccia. In media le sepolture presentano dimensioni di 2 m di lunghezza, 0,80 m di larghezza, 1 m di profondità e sono orientate in direzione NO/SE. In alcune di esse è ancora visibile una risega a rilievo che circonda la sepoltura, per l’alloggiamento di coperchi fittili o in pietra. La necropoli sembra correlabile a un presunto insediamento rurale, di periodo ellenistico, posto sulla sommità della collina.UT 21: circa 100 m a sud ovest di questa necropoli, una scala (Fig. 4, d) costituita da una decina di gradini scolpiti nella roccia introduce in un’area all’interno della quale le pareti, perfettamente verticali, sono state scavate per ricavarne tre ambienti ipogei (92 m s.l.m.). Due di essi sono chiusi da porte e risultano inaccessibili mentre il terzo, in stato di abbandono, mostra elementi che potrebbero essere legati alla sfera sacra e/o sepolcrale: esternamente, una panchina segue l’andamento del taglio della roccia, mentre in prossimità dell’ingresso un piccolo dromos immette all’interno della grotta. Si segnala un interessante particolare architettonico: la porta, di forma esagonale (Fig. 4, e), presenta al centro dell’architrave un altorilievo raffigurante un volto, oggi in stato di degrado a causa sia di fattori naturali, sia di interventi antropici successivi, responsabili della rubricazione degli occhi, del naso e della bocca; le acque meteoriche hanno inoltre contribuito ad arrotondare i tratti del volto (Fig. 4, f ). L’interpretazione della figura resta ignota.UT 22: all’interno dell’area dell’Ospedale S. Giacomo d’Altopasso, circa 50 m a nord dell’eliporto (80 m s.l.m.), si apre l’accesso a un’altra grotta, la cui funzione risulta incerta per le ripetute modifiche operate nel corso degli anni.Bibliografia: sito inedito.

    13. Stagnone (UT 23-24)(Foglio di mappa 99, particelle 251, 206, 256)Definizione: area cultuale e necropoliCronologia: periodo ellenistico (IV-III secolo a.C.) e medievale (XIII secolo)Descrizione:UT 23: situato sulle pendici settentrionali di Monte Sole, adiacente la Strada Provinciale 38, fino a pochi anni il sito faceva parte della proprietà Pontillo. Espropriato e reso fruibile, rientra nei beni del Demanio regionale. L’ipogeo, interamente scavato nella roccia, è inserito all’interno di un contesto funerario dell’età del Bronzo e del periodo ellenistico (Fig. 5, a). L’attuale ingresso (81 m s.l.m.), che si apre a nord, immette in un grande vano rettangolare di 15,75×9,70 m, la cui volta, spessa mediamente più di 2 m e a una distanza dal piano di calpestio di circa 5 m, risulta sostenuta da tre colonne rastremate verso l’alto, anch’esse ricavate dalla roccia e poste al centro dell’edificio. Sia le superfici verticali, comprese quelle delle colonne, sia il piano di calpestio erano interamente ricoperti da uno strato di intonaco levigato e policromo. Nonostante le incrostazioni dovute all’azione del tempo, C. Cellura ha identificato, sullo strato di malta, caratteri graffiti in alfabeto libico e iberico, dei quali alcuni incisi e altri dipinti. Nell’angolo sud est del vano si notano le basi di nove pilastrini, posti su due file non parallele, che probabilmente sostenevano un piano orizzontale (altare?). L’ambiente principale era chiuso, sul lato orientale, da un muro su cui poggiava l’ultima delle tre colonne; questa fungeva da elemento divisorio tra una finestra quadrata e una porta che immetteva in un altro vano, parzialmente interrato e che forse venne tagliato dalla costruzione della strada adiacente. Sul soffitto, fra le tre colonne, si aprono due fori circolari a forma di pozzo, che garantivano l’aerazione. Data la valenza cultuale e sacra dell’edificio, l’illuminazione era bassa e assicurata da lucerne collocate con proba-bilità nelle nicchie quadrate poste intorno alla cornice del tetto. A ovest un’altra stanza in asse con la precedente, di dimensioni minori, ma non comunicante con essa, risulta priva di colonne; al suo interno però si ritrovano le stesse nicchie, questa volta ricavate a metà altezza della parete. Vi si accede dall’esterno, tramite un’apertura che si trova di fianco all’ingresso del vano precedentemente descritto. All’esterno del complesso monumentale, sulla parete est, un sistema di scale scavate nella roccia conduce sull’estradosso dell’ipogeo, dove si aprono i pozzi per l’aerazione del sottostante locale e intorno ai quali sono state scoperte alcune tombe a fossa di età ellenistica.UT 24: oltre la proprietà Pontillo, circa 200 m a nord dello Stagnone (particelle 206 e 256), altri ipogei, riuti-lizzati fino ad età contemporanea, potrebbero essere in continuità con l’area cultuale.Materiali: dall’UT 24 proviene un frammento di maiolica, da considerare pertinente a una probabile fase di occupazione medievale.Bibliografia: ROCCO 1977-1978; CELLURA 1978, pp. 12-31; CARITÀ 1982.

    14. Stagnone-San Cataldo (UT 25-26)(Foglio di mappa 99, particelle 47, 49, 782)Definizione: necropoliCronologia: periodo ellenistico

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    Fig. 5 – Stagnone: scheda n. 13 (a); scheda n. 15 (b). Monte delle Vigne: scheda n. 16 (c-d); scheda n. 17 (e-f ).

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    Descrizione: a circa 75 m s.l.m. sono presenti scale ricavate nella roccia, su cui è stata edificata l’abitazione mo-derna mentre, in prossimità di esse, una canaletta corre in direzione E/O (UT 25). Sono visibili anche alcune fosse rettangolari scavate nella roccia con funzione sepolcrale (UT 26).Non si può escludere che la contiguità topografica di questo complesso con lo Stagnone Pontillo potrebbe suggerirne una funzione cultuale. Nel riempimento eseguito per il rialzamento della strada privata d’accesso poderale, inoltre, si notano alcuni blocchi squadrati e scanalati in pietra locale, pertinenti a una struttura andata distrutta nelle immediate vicinanze.Bibliografia: sito inedito.

    15. Stagnone (UT 27-28)(Foglio di mappa 99, particelle 110, 112, 350)Definizione: insediamento ruraleCronologia: periodo ellenisticoDescrizione:UT 27: circa 50 m a est dell’ipogeo Stagnone Pontillo, sul lato opposto della Strada Provinciale 38, un affiora-mento di roccia calcarea risulta perfettamente intagliato e squadrato, con un profilo simile a quello degli ipogei descritti in precedenza. Considerata la distanza minima tra i due siti, separati dalla strada, se ne deduce che in questo banco calcareo potrebbero conservarsi ulteriori vani connessi all’area di culto. Si notano alcuni ambienti scavati nella roccia e in particolare un ambiente rettangolare (85 m s.l.m.), con una nicchia quadrata sulla parete orientale. La struttura risulta parzialmente interrata, ma sono visibili tracce di intonaco che ricoprono le pareti dell’edificio, molto simile a quello riscontrato nei palmenti ellenistici. Si tratta probabilmente di un insediamento rurale, nel quale sono presenti anche tagli regolari nella roccia per la captazione delle acque che dovevano provenire, con molta probabilità, dalla vicina sorgente di Donna Vannino (Fig. 5, b).UT 28: la strada privata all’interno della particella 350 conduce all’ingresso di un’altra grotta (alla stessa quota altimetrica dello Stagnone Pontillo), su cui insiste un fabbricato moderno (particelle 110 e 111): una cancellata ne impedisce l’accesso, ma si osserva come il vano di ingresso introduca a un secondo vano posteriore. L’ipogeo viene attualmente utilizzato come magazzino e ripostiglio.Materiali: in prossimità dell’UT 27 sono stati raccolti pochi frammenti ceramici di forma non determinabile, dalle superfici rossastre, forse riferibili ad anfore.Bibliografia: sito inedito.

    16. Monte delle Vigne (UT 29-30)(Foglio di mappa 99, particelle 116, 117)Definizione: insediamento rurale e produttivo (e area cultuale?)Cronologia: incertaDescrizione:UT 30: circa 200 m a sud est rispetto allo Stagnone Pontillo, nella proprietà Racalbuto, uno sperone roccioso è stato interamente scolpito sulla parte settentrionale a formare una sorta di piramide a gradoni curvilinei e sinusoidi. Sul lato orientale, da un riparo sottoroccia, ostruito da una fitta vegetazione di rovi (107 m s.l.m.), sgorgava una sorgente naturale (Donna Vannino): non stupirebbe perciò una funzione cultuale della struttura, data l’architettura ad andamento curvilineo, che richiama la forma dello Stagnone Pontillo.UT 29: sulla sommità dello sperone (126 m s.l.m.) è localizzato un palmento, di incerta attribuzione crono-logica (periodo bizantino?), con due vasche ricoperte da uno strato di intonaco, orientate in direzione NO/SE e comunicanti tra loro per mezzo di un foro (Fig. 5, c-d). La forma differisce dai tipi finora registrati: la prima vasca per la pigiatura è ellittica e con il fondo piano, mentre la seconda ha una forma cilindrica, con pareti ver-ticali e fondo concavo. La terra che lo colma impedisce una corretta lettura della struttura: nell’area circostante il palmento si intravedono altre fosse circolari e ambienti rettangolari.Bibliografia: sito inedito.

    17. Monte delle Vigne (UT 31-32)(Foglio di mappa 99, particelle 102, 104, 105, 106, 214)Definizione: insediamento ruraleCronologia: incertaDescrizione:UT 31: il lato meridionale della proprietà Marenostrum s.r.l. (154 m s.l.m.) conserva, in prossimità del muro di cinta, lembi di strutture rettangolari, quadrangolari e circolari, scavate nel banco calcareo e ancora interrate (forse appartenenti a insediamenti produttivi).UT 32: l’abitazione dei primi anni del Novecento sita nella zona centrale del fondo custodisce, sotto le fonda-menta, un antico palmento scavato nel banco di marna calcarea. L’impianto si trova all’interno di una grotta,

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    sopra la quale è stato edificato il fabbricato: è costituito da una vasca cilindrica con scalino addossato alla parete, ricavato da un risparmio di roccia, con scodella sul fondo (Fig. 5, e-f ). A est della vasca si trovano due buche (di palo?), utili per alloggiare verosimilmente la pressa meccanica. Una canaletta attraversa l’ipogeo in direzione nord sud, prima di confluire all’interno del pozzetto di fermentazione. Della struttura manca la vasca destinata alla pigiatura dell’uva, trovata lungo una scarpata, a pochi metri di distanza dall’ingresso della grotta: essa era stata utilizzata, prima del definitivo abbandono, come invaso per una pianta ornamentale.Bibliografia: sito inedito.

    18. San Cataldo (UT 33-34)(Foglio di mappa 99, particelle 1158, 263, 823, 41)Definizione: abitato e luogo di cultoCronologia: periodo medievale (X-XIII secolo)Descrizione:UT 33: sotto l’abitazione della proprietà Brancato, una parete rocciosa è stata interamente scavata ricavandone tre grotte (87 m s.l.m.). Delle due scavate sul lato orientale e occidentale si può dire poco: quella occidentale è chiusa da una porta metallica, mentre la grotta orientale è parzialmente coperta da terrapieno della strada privata interna. L’ipogeo centrale, invece, fu adibito in età medievale al culto cristiano: la contrada, denominata San Cataldo, prende probabilmente il nome dal santo cui fu dedicata la chiesetta rupestre, che conserva scarse tracce di intonaci policro-mi rappresentanti il Crocefisso e databili tra il X e il XIII secolo (Fig. 6, a). Non si conosce l’originaria estensione dell’affresco, ma la figura centrale (il Cristo in croce) risulta racchiusa tra due nicchie arcuate (di epoca successiva rispetto al dipinto); i colori predominanti erano il giallo, il rosso e il blu. Al di sotto dell’affresco era presente un altare rialzato da gradini, mentre sulla parete opposta si trovano vari resti di un affresco policromo. Il vano d’ingresso accoglie gli intonaci dipinti, mentre agli angoli sud ovest e nord est si aprono due camere di dimensioni minori. All’interno dell’ambiente centrale è localizzato un palmento (Fig. 6, b-c), che conserva ancora il torchio in ferro per la spremitura delle vinacce. Del palmento manca la vasca mobile in pietra, tipica di questi impianti in grotta (cfr. la scheda 17), mentre si conserva ancora la canaletta, scavata nella marna, che costeggia la parete meridionale dell’ipogeo, confluendo in un pozzetto di forma cilindrica che scende sotto il piano di calpestio.UT 34: un’altra grotta (circa 67 m s.l.m.) – in cattivo stato a causa del riadattamento e dell’utilizzo prima come stalla, poi come abitazione durante la seconda guerra mondiale e infine come deposito – è stata individuata circa 50 m a nord ovest rispetto agli ipogei in proprietà Brancato. È praticamente impossibile rinvenire tracce di intonaco parietale, ma l’ipogeo è interessante per la presenza di un foro sul tetto, simile ai pozzetti di aera-zione presenti allo Stagnone Pontillo (cfr. scheda 13). Al centro di una delle pareti è stata scavata una piccola nicchia quadrata, mentre all’esterno una banchina, sempre ricavata nella roccia, costeggia il lato a ovest della porta d’ingresso. Nelle immediate vicinanze, sul fianco della Montagna, è stato ricavato nella roccia una sorta di pozzetto a semicerchio, che presenta sulla parete un rivestimento di malta idraulica. Perpendicolare a esso, ma a una quota maggiore, sembra esserci un’altra vasca completamente ricolma di terra. Potrebbe trattarsi di un palmento dello stesso tipo rinvenuto a Donna Vannino (e in questo caso la contiguità con la chiesa di S. Cataldo fa supporre una cronologia all’età bizantina), ma potrebbe essere anche uno dei tanti pozzetti di decantazione delle acque che si succedono a breve distanza nelle opere di canalizzazione della Montagna.Bibliografia: MELI, SCUTO 1977, p. 26; CARITÀ 1988, pp. 321-322.

    19. San Cataldo (UT 35)(Foglio di mappa 99, particella 1158)Definizione: insediamento rurale e produttivoCronologia: periodo ellenistico (IV-III secolo a.C.)Descrizione: sempre nella proprietà Brancato, in prossimità dell’ingresso principale si notano due o forse tre vasche scavate nella roccia (94 m s.l.m.), di forma rettangolare e perfettamente allineate, ricolme di terra. Il proprietario le descrive come antichi serbatoi di raccolta delle acque meteoriche, ma è più probabile si tratti di un palmento a vasche rettangolari di età greca. A pochi metri di distanza dall’ingresso dell’ipogeo si conserva una cisterna di età ellenistica, del tipo a campana.Materiali: la conferma della frequentazione del sito in periodo ellenistico è fornita dal rinvenimento da parte dei proprietari, durante i lavori agricoli, di numerosi frammenti ceramici, ora collocati all’interno della chiesetta rupestre: frammenti di anfore Ramon Torres (puniche), di anfore MGS III (greco-italiche), di macine in pietra lavica (i frammenti sono stati lasciati in situ).Bibliografia: sito inedito.

    CATASTO TERRENO AGRIGENTO (U2AV): FOGLIO DI MAPPA N. 11620. Monte Sole (UT 36)(Foglio di mappa 116, particella 158)

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    Definizione: necropoli?Cronologia: incertaDescrizione: su una rupe, a circa 114 m s.l.m., sono visibili alcuni ambienti regolari intagliati nel banco roccioso. All’esterno del complesso si può ancora seguire l’andamento dei muri perimetrali scavati nella roccia, mentre all’interno, nella zona centrale, si apre a livello del piano di calpestio una fossa rettangolare ricolma di terra. Più a sud alcuni scalini portano sul punto più alto della roccia, in cui è stata ricavata una piccola conca.Bibliografia: sito inedito.

    21. Caduta (UT 3)(Foglio di mappa 116, particella 70)Definizione: non è possibile formulare ipotesi poiché i reperti esposti nel Museo Archeologico Badia di Licata non sono accompagnati da adeguate schede descrittiveCronologia: periodo arcaico (fine VII-VI secolo a.C.)Descrizione: seguendo la linea costiera dalla spiaggia di Mollarella verso est, si giunge alla scogliera della Caduta nel punto in cui il pendio diventa più lieve (circa 40 m s.l.m.). L’area pare essere densamente frequentata durante il periodo preistorico (Neolitico-età del Rame-Bronzo), come testimoniano i frammenti litici e ceramici recuperati durante la ricognizione e i reperti rinvenuti a partire dagli anni Settanta dall’Associazione Archeologica Licatese e oggi esposti nel Museo. L’area sembra essere stata abbandonata a partire dall’età del Bronzo e rioccupato con la prima colonizzazione greca.Materiali: durante una perlustrazione di superficie sono stati rinvenuti una decina di frammenti di ceramica corinzia. Nelle vetrine del Museo, accanto ai reperti preistorici, sono esposti alcuni reperti di ceramica greca di produzione corinzia.Bibliografia: sito inedito.

    CATASTO TERRENO AGRIGENTO (U2AV): FOGLIO DI MAPPA N. 11722. Monte Sole (UT 37)(Foglio di mappa 117, particelle 354, 360, 632)Definizione: insediamento ruraleCronologia: periodo ellenisticoDescrizione: su un pianoro a circa 95 m s.l.m. sono localizzate mura e strutture interamente intagliate nel banco roccioso, probabilmente parte di un insediamento ellenistico analogo a quelli identificati sui terrazzi circostanti Monte Sole. Nell’area è stato edificato, intorno alla fine del XIX secolo, un fabbricato rurale che all’interno custodiva un palmento. La sua datazione resta incerta, poiché la casa è stata ristrutturata di recente cancellando ogni traccia dell’antico impianto. Si conserva ancora, invece, presso il lato settentrionale dell’edificio, un pozzo per la raccolta delle acque piovane, riadattato circa un secolo fa, ma con buona probabilità risalente ad età ellenistica.Bibliografia: sito inedito.

    CATASTO TERRENO AGRIGENTO (U2AV): FOGLIO DI MAPPA N. 11823. Monte Sole (UT 38-48)(Foglio di mappa 118, particelle 8, 13, 11, 17, 21, 81, 858, 860, 861, 862, 863, 864, 865, 867, 868, 869, 870, 875, 882)Definizione: insediamento rurale e produttivo, necropoliCronologia: periodo ellenistico (IV-III secolo a.C.)Descrizione: nei fondi di proprietà Pintacorona e Urso è stato localizzato un importante sito rurale di età elleni-stica. Per facilitarne la descrizione è stato suddiviso in due terrazze, rispettivamente superiore e inferiore.UT 42: la terrazza superiore (150 m s.l.m.), sulla quale è stato edificato un fabbricato rurale, domina l’area circostante ed è contenuta da un basso muretto, ricavato dal taglio della roccia, che delimita il lato meridionale del pianoro; nell’area sono presenti cisterne per la raccolta delle acque meteoriche, forse collegate da sistemi di canali sotterranei.UT 40: nel settore nord est della terrazza inferiore (136 m s.l.m.), a ridosso della parete rocciosa, è stata rinve-nuta una concentrazione di ceramica comprendente anfore vinarie greco-italiche e puniche (IV secolo a.C.), di cui alcune recanti sull’ansa il timbro del fabbricante. Il luogo sembra essere interpretabile come un magazzino, il cui muro perimetrale, a nord, è ricavato dalla roccia stessa, mentre i lati sud, est e ovest sono costruiti con scaglie irregolari di pietre di piccole dimensioni (Fig. 6, d).UT 41: un’altra concentrazione di reperti è a metà tra il pianoro superiore e quello inferiore, in cui sembra presente un ulteriore terrazzamento artificiale e un piccolo ambiente rettangolare.UT 43: all’estremità orientale del sito doveva trovarsi la necropoli, dal momento che vi sono state scoperte due fosse rettangolari scavate nella roccia, di certo parte di un piccolo sepolcreto.

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    Fig. 6 – San Cataldo: scheda n. 18 (a-c). Monte Sole: scheda n. 23 (d-f ).

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    Tav. 1 – n. 1, scheda n. 5 (UT 11); nn. 2-12 scheda n. 23 (UT 40).

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    Tav. 2 – nn. 13-16, scheda n. 23 (UT 40); nn. 17-18, scheda n. 23 (UT 39); n. 19, scheda n. 23 (UT 46); nn. 20-21, scheda n. 23 (UT 44).

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    UT 38: circa 150 m a nord ovest dall’area del deposito di anfore è stata rinvenuta parte di una piccola vasca di forma rettangolare (135 m s.l.m.), scavata nella roccia e orientata in direzione NO/SE, con le pareti e il pavimento ricoperti da uno strato di intonaco costituito da malta idraulica, analoga agli impianti di pigiatura localizzati sulla Montagna (Fig. 6, e-f). Il resto della vasca risulta asportato, probabilmente durante i lavori per la costruzione della strada poderale, mentre quella di fermentazione, di solito posta a una quota inferiore, potrebbe essere ancora interrata.UT 39: pochi metri a sud dell’UT 38 è stata rinvenuta una concentrazione di ceramica.UT 46: circa 100 m a nord ovest rispetto al palmento precedentemente descritto, a 137 m s.l.m., su un banco di roccia calcarea, immerso nella fitta vegetazione di macchia mediterranea, è localizzato un taglio regolare nella roccia, di forma rettangolare, parzialmente interrato. L’assenza di intonaco impermeabilizzante e la sua prossimità all’estremità nord orientale del sito fanno propendere per una presunta struttura di avvistamento (torre?).UT 47: più a ovest la roccia risulta interamente intagliata, a formare ambienti di dimensioni maggiori, di forma quadrangolare e rettangolare (142 m s.l.m.).UT 44: sull’affioramento roccioso (132 m s.l.m.), circa 100 m a sud ovest rispetto all’UT 40, si notano tre vasche parzialmente interrate, due delle quali comunicanti tramite un piccolo canale di scolo che si innesta nella parete della vasca.UT 48: un palmento di età moderna è all’interno del rudere nella proprietà De Ninnis (132 m s.l.m.): l’impianto ha una vasca in pietra per la pigiatura dell’uva (fuori contesto), costruita modellando e scavando un grosso blocco di pietra non ancorato al suolo, di forma parallelepipeda, con tre lati perfettamente rettilinei e uno curvilineo, con un foro stretto da cui defluiva il mosto. Per mezzo di canalette mobili in pietra il mosto confluiva nella vasca circolare, situata all’interno dell’abitazione. L’impianto dovrebbe risalire con probabilità al periodo di costruzione del caseggiato rurale (1860), anche se è stato realizzato sulle fondamenta di una struttura di età greca.UT 45: un altro luogo fortificato di età greca sembra essere l’altura posta circa 200 m a sud est rispetto al fabbricato di proprietà De Ninnis (141 m s.l.m): anche in questo caso, sulle sue fondamenta fu edificato, alla metà del XIX secolo, un caseggiato rurale. Questo settore sembra integrarsi con un sistema di fortificazioni che seguiva la pendenza naturale dei rilievi, alle sommità dei quali dovevano sorgere postazioni di controllo.Materiali: dall’UT 40 provengono:Anfore di tipo MGS III:– un frammento di orlo a sezione a quarto di cerchio, internamente svasato, su collo cilindrico appena bomba-to. Superfici superiori leggermente convesse e inclinate verso l’esterno e superfici inferiori convesse; una lieve solcatura segna lo stacco tra l’orlo e il collo. Argilla arancio-rosata con piccolissimi inclusi micacei dorati; la superficie interna ed esterna del collo presenta in alcuni tratti colorazioni rosse più intense dovute alla cottura (Tav. 1, n. 2) (cfr. CORRETTI, CAPELLI 2003, tav. LV, 38);– un frammento di orlo a sezione triangolare, inclinato verso l’esterno, con superfici superiori lievemente convesse e superfici inferiori concave; doppia linea incisa tra orlo e collo. Argilla marrone-camoscio, con piccoli inclusi litici bianchi e bruni (bassa frequenza) micacei, di colore nero e dorato (media frequenza); all’esterno superfici camoscio (Tav. 1, n. 3) (cfr. CAMPAGNA 1999, p. 475, fig. 4, c).– puntale cilindrico con piede a bottone, interno cavo e allargato alla base, in cui sono visibili le tracce di tornitura. Fondo esterno concavo. Argilla arancio-rossiccio con inclusi litici bianchi di piccole e medie dimen-sioni, e minutissimi inclusi micacei dorati; superfici esterne di colore arancio-rosata (Tav. 1, n. 4) (cfr. VAN DER MERSCH 1994, p. 66, fig. a).Anfore di tipo MGS IV:– un frammento di orlo a sezione triangolare, con superfici superiori leggermente inclinate verso l’esterno e lievi solcature orizzontali sulle superfici inferiori. Argilla marrone-camoscio, con piccoli inclusi litici bianchi e bruni (bassa frequenza) e micacei, di colore nero e dorato (media frequenza); all’esterno superfici camoscio (Tav. 1, n. 5);– due frammenti di orlo a sezione triangolare, con superfici superiori leggermente concave e inclinate verso l’esterno; lievi solcature sia sulle superfici superiori che inferiori, delle quali una è posta tra l’orlo e il collo. Argilla rosso-arancio4, che varia a seconda dello spessore del frammento; presenza di piccoli inclusi litici di colore bianco (media frequenza) e bruno (bassa frequenza); le superfici esterne presentano un ingobbio grigio-scuro, steso anche internamente nella parte superiore del collo (Tav. 1, n. 6) (cfr. VAN DER MERSCH 1994, p. 74, fig. a).Anfore di tipo MGS III o IV:– un frammento di orlo a sezione triangolare, con superfici superiori leggermente inclinate verso l’esterno, sottolineato da una linea incisa che si interrompe in corrispondenza dell’attacco dell’ansa a sezione ovale e im-postata orizzontalmente, con impressione alla base. Argilla a pasta compatta arancio-bruna con piccoli inclusi

    4 Alcuni frammenti riferibili a porzioni di collo mostrano un impasto dal colore rosso intenso, con nucleo di colore grigiastro dovuto alla cottura; altri, di forma non determinabile ma probabilmente riferibili al medesimo tipo, presentano un impasto meno depurato di colore arancio-rosato che, oltre ai frequenti piccolissimi inclusi litici e micacei di colore bianco e dorato, contengono inclusi litici di maggiori dimensioni, rossicci e bruni.

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    litici bianchi e bruni (bassa frequenza) e micacei dorati (media frequenza); all’esterno superfici nocciola-rosato (Tav. 1, n. 7) (cfr. BARRA BAGNASCO 1989, p. 95, tavv. XXXVII-XXXVIII, 24);– un frammento di collo con attacco di ansa; sezione ovale con impressione alla base. Bollo fratturato entro cartiglio rettangolare. Di difficile lettura, si intravede a malapena l’ultima lettera ]…M]. Argilla arancio-bruno, con piccoli inclusi litici bianchi e bruni (bassa frequenza) e micacei, di colore nero brillante (media frequenza); all’esterno superfici nocciola (Tav. 1, n. 8) (cfr. VAN DER MERSCH 1994, p. 74, fig. b);– ansa a sezione ovale. Argilla a pasta compatta di marrone-rossastra con piccolissimi inclusi micacei dorati e litici di colore nero brillante (media frequenza); all’esterno superfici nocciola-rosato (Tav. 1, n. 9);– ansa a sezione ovale impostata sulla spalla obliqua; sulla curva sommitale dell’ansa, bollo fratturato entro cartiglio rettangolare [A[. Argilla marrone-rossastra, con piccoli inclusi micacei, di colore nero brillante (media frequenza); all’esterno superfici camoscio (Tav. 1, n. 10) (cfr. VAN DER MERSCH 1994, p. 74, fig. b);– un frammento di ansa a sezione ovale, con bollo fratturato entro cartiglio rettangolare. Due lettere a rilievo ]AM]. Argilla nocciola, con piccoli inclusi litici dorati (media frequenza) e neri (elevata frequenza); all’esterno superfici nocciola (Tav. 1, n. 11) (cfr. VAN DER MERSCH 1994, p. 178, fig. b).Anfore di tipo MGS VI:– un frammento di orlo a sezione triangolare, con superfici superiori concave e inclinate verso l’esterno; lievi solcature orizzontali sulla superficie inferiore. Argilla nocciola-rossastro, con inclusi litici bianchi (bassa frequenza), e micacei (media frequenza); all’esterno superfici nocciola (Tav. 1, n. 12).Anfore corinzie di tipo B’:– ansa a sezione ovale; sulla curva sommitale è stato impresso un bollo entro cartiglio circolare, raffigurante un grappolo d’uva stilizzato. Argilla nocciola-rosato, con rari e minutissimi inclusi litici dorati; superfici esterne dello stesso colore dell’impasto, con una tonalità leggermente più chiara (Tav. 2, n. 13) (cfr. BARRA BAGNASCO 1989, pp. 94-95, tavv. XXXVII-XXXVIII, 21 a, b).Anfore puniche di tipo Ramon Torres 4.2.1.5:– due frammenti di orlo e parete di anfora a siluro, con ansa a maniglia impostata sul corpo, riconducibili a un unico contenitore, di tipologia nordafricana; orlo pressoché orizzontale e rientrante, “a disco”. Argilla beige, con nucleo arancio-rosato; piccolissimi inclusi di colore bianco (bassa frequenza); superfici esterne beige tendenti al verde, in cui sono marcate le solcature sulle pareti (Tav. 2, n. 15) (cfr. RAMON TORRES 1995, p. 524, fig. 161, n. 144).Sempre nella stessa area, a ridosso della parete di roccia, ma forse provenienti dal terrazzo mediano, sono stati rinvenuti:Vernice nera:– un frammento di orlo di coppa;Anfore corinzie di tipo A’:– puntale troncoconico, pieno all’interno; una leggera solcatura lo separa dal ventre a profilo ovoide. Argilla nocciola con elevata presenza nell’impasto di tritume ceramico di colore rosso e di inclusi litici bianchi, grigi e micacei dorati; le superfici esterne presentano la stessa colorazione dell’impasto (Tav. 2, n. 14).Ceramica comune:– piede di brocca con fondo piano. Argilla beige con nucleo arancio-rosato e scarsissima presenza di inclusi; superfici esterne non perfettamente lisciate di colore beige (Tav. 2, n. 16).Dall’UT 41 provengono:– un frammento di macina in pietra lavica;– una moneta in bronzo emessa con probabilità dalla zecca di Entella (D/cavallo in corsa; R/elmo), del peso di 2,7 g (Fig. 7, a) (FREY-KUPPER 2000);– una conchiglia con foro sull’umbone;– tre frammenti di intonaco di colore celeste.Nell’UT 39 è stata rinvenuta una concentrazione di frammenti di ceramica con impasto e superfici omogenee, riferibili con buona probabilità ad anfore di produzione locale:Anfore di tipo MGS III o IV:– puntale con piede cilindrico a bottone, internamente cavo e allargato alla base; fondo esterno concavo. Argilla arancio-chiaro, ricca di minuti inclusi litici bianchi (elevata frequenza), bruni e dorati (media frequenza); le superfici esterne si presentano polverose al tatto (Tav. 2, n. 17);– puntale con piede cilindrico a bottone, internamente cavo. Argilla arancio-chiaro5, ricca di minuti inclusi litici bianchi, micacei (elevata frequenza), e piccoli e grandi inclusi rossi e grigi (media frequenza); le superfici esterne si presentano polverose al tatto (Tav. 2, n. 18).

    5 Alcuni frammenti che, per le caratteristiche dell’impasto, sembrano riferibili allo stesso tipo anforico, presentano un nucleo interno di colore grigiastro. Sui frammenti di anse rinvenute è frequente la presenza di una o due impressioni digitali presso il punto di attacco con il corpo.

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    Fig. 7 – Monte Sole: scheda n. 23 (a). Colle S. Angelo: scheda n. 26 (b-c). Colle S. Angelo-Marianello: scheda n. 27 (d-e).

    a

    e

    b

    c

    d

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    Dalle UT 46 e 47 provengono diversi frammenti di ceramica comune e acroma tra i quali:– un frammento di ansa di anfora a sezione ovale recante impresso un bollo frammentato entro cartiglio rettan-golare (caratteri non leggibili); tipo non determinabile. Argilla camoscio contenente piccoli inclusi litici bianchi, grigi (bassa frequenza), nero brillanti e micacei dorati (elevata frequenza) (Tav. 2, n. 19).Dall’UT 44 provengono:Anfore di tipo MGS III:– un frammento di orlo a sezione a quarto di cerchio; superfici superiori convesse e inclinate verso l’esterno e superfici inferiori convesse. Argilla rosso-arancio con nucleo leggermente più scuro (tendente al grigiastro), con minuti inclusi litici bianchi, grigi (bassa frequenza) e micacei di colore dorato e nero brillante (elevata frequenza) (Tav. 2, n. 20).Anfore di tipo MGS V:– un frammento di orlo a sezione triangolare; superfici superiori inclinate verso l’esterno e superfici inferiori convesse. Una lieve solcatura segna lo stacco tra l’orlo e il collo. Argilla nocciola con minuti inclusi bianchi, rossi e grigi (bassa frequenza) e micacei di colore dorato e nero brillante (elevata frequenza); Le superfici esterne presentano un ingobbio beige tendente al giallo (Tav. 2, n. 21) (cfr. CAMPAGNA 1999, p. 475, fig. 4, c).Bibliografia: sito inedito.

    24. Monserrato (UT 49)(Foglio di mappa 118, particelle 278, 321)Definizione: insediamento fortificatoCronologia: incertaDescrizione: a circa 123 m s.l.m., blocchi squadrati di pietra locale di grandi dimensioni appaiono fuori conte-sto, ma sono collocati in prossimità dalla loro originaria ubicazione: dovevano far parte di un sistema difensivo che inglobava anche fondamenta di torri quadrangolari scavate nella roccia. La struttura non trova confronti puntuali con la fortificazione ellenistica del phrourion di Monte Sole (cfr. scheda 5), ma potrebbe far parte di una linea difensiva che controllava il tratto di costa antistante.Bibliografia: sito inedito.

    CATASTO TERRENO AGRIGENTO (U2AV): FOGLIO DI MAPPA N. 11925. Colle Sant’Angelo (UT 50-52)(Foglio di mappa 119, particelle 509, 1875, 99, 2454, 2456)Definizione: area urbana; nella parte più alta della collina le case ellenistiche hanno tagliato strutture più antiche (fattorie?)Cronologia: periodo ellenistico e romano (IV-I secolo d.C.)Descrizione:UT 50: nel 1986, durante i lavori di restauro del Castel Sant’Angelo, uno scavo condotto dalla Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Agrigento ha permesso l’esplorazione di una serie di ambienti (131 m s.l.m.), probabilmente con funzione di botteghe, scavati nel banco di roccia calcarea, orientati in senso N/S e aperti a est. Gli edifici, contenenti materiali di età ellenistica (metà IV secolo a.C.), disponevano di impianti di canalizzazione delle acque meteoriche, raccolte all’interno di cisterne imbutiformi.UT 51: tra il 1988 e il 1989, invece, è iniziata l’indagine di un settore dell’abitato ellenistico che si estendeva lungo le pendici orientali di Colle Sant’Angelo (50 m s.l.m.), sui terrazzi artificiali che costeggiano via S. Maria. Dei ventuno ambienti scoperti, diciotto, sia per il cattivo stato di conservazione, sia per l’incompletezza dei dati di scavo, non hanno fornito elementi utili alla ricostruzione della consistenza planimetrica. Un solo caso ha chiarito la pianta di un edificio domestico: cinque ambienti si distribuivano intorno a un cortile centrale, munito di una cisterna per la raccolta delle acque piovane. Le pavimentazioni erano di solito in opus signinum, in alcuni casi con inserzioni di quadretti musivi, mentre gli elevati erano costruiti in opus africanum. Del piano superiore non rimane traccia, se non della pavimentazione in cocciopesto rinvenuta in molti casi all’interno degli strati di crollo. L’intonaco parietale e i rilievi architettonici in stucco, anch’essi staccatisi dalle pareti in seguito al disfacimento delle murature, rientrano tra i motivi del primo e del secondo stile, e quindi sono ascrivibili tra la seconda metà del II e la prima metà del I secolo a.C.La ceramica ha consentito di accertare che il settore indagato è stato edificato nella seconda metà del III secolo a.C., poco dopo la conquista della Sicilia da parte dei Romani ed è stato abbandonato alla fine del I secolo a.C. o al più tardi all’inizio del I secolo d.C.UT 52: nel 1994 è iniziata l’esplorazione della casa 1, ubicata a una quota altimetrica più elevata (112 m s.l.m.) e quindi meno soggetta al dilavamento e alle frane. La casa aveva un piano superiore, intonaci e stucchi dipinti e modanati sulle pareti e pavimenti che, ad eccezione di un’unica porzione del cortile ricoperta da piastrelle quadrate in terracotta, erano generalmente in malta e ciottoli. Si tratta di una tipica casa ellenistica, con ambienti

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    distribuiti intorno a uno spazio aperto compluviato e cisterna per la raccolta delle acque piovane. La casa era dotata anche di un sacello domestico (vano 6), con altare a dado e una nicchia ricavata nella parete di fondo, decorata con figure panneggiate di cariatidi. Tra gli strati di crollo del piano superiore, nel vano 7 (probabilmente un triclinium), si è rinvenuto un tesoro composto da oltre 400 monete d’argento, datate agli anni terminali del III secolo a.C. e da vari monili d’oro.L’indagine è ripresa nel 2003, con il completamento dello scavo della casa 1 e la scoperta di altre sei case, tutte con pianta quadrangolare e ingresso est. I materiali rinvenuti al loro interno sono riferibili a un periodo compreso tra il II e il I secolo a.C.: l’assenza di sigillata