Prospettiva Myanmar. Scontri etnico-religiosi ed equilibri regionali
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Transcript of Prospettiva Myanmar. Scontri etnico-religiosi ed equilibri regionali
ASSOCIAZIONE OLTREILLIMES ��� SOCIETÀ ITALIANA PER L’ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE
“Caos & Poteri: le equazioni del mutamento” V edizione del Master di Geopolitica Online
Dicembre 2013 – Aprile 2014
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INDICE INTRODUZIONE………………………………………………………………………........p.3 CONFLITTI ETNICI E SPINTE AUTONOMISTE: PREMESSE STORICHE E POSSIBILI SVILUPPI…………………………………………………………………………………….p.3 CONFLITTI ETNICO-‐RELIGIOSI: ROHINGYIA, “IL POPOLO Più PERSEGUITATO DEL MONDO”……………………………………………………………………………………………...p.7 ASPETTI GEOPOLITICI: INSTABILITA’ INTERNA E INVESTIMENTI INTERNAZIONALI……………………………………………………………………………………...p.12 CONCLUSIONI…………………………………………………………………………………………...p. 17 SITOGRAFIA…………………………………………………………………………………..................p.20
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PROSPETTIVA MYANMAR Dopo cinquant’anni di isolamento politico ed economico, la Birmania, ora Myanmar, torna ad essere presente sulla carta geografica della comunità internazionale. Dal 2011, il paese guidato dall’ex generale Thein Sein, arrivato al potere proprio grazie alla giunta militare e poi entrato in parte in collisione con questi per quanto riguarda l’indirizzo delle riforme, ha avviato un lento processo di democratizzazione. Dopo le elezioni-‐farsa del 2010, a cui non partecipò il partito di opposizione della Lega Nazionale per la Democrazia, guidato dal nobel per la pace Aung San Suu Kyi e le successive rimostranze internazionali, la scarcerazione di centinaia di prigionieri politici tra cui la stessa Suu Kyi (che Costituzione permettendo si candiderà alle elezioni 2015), una serie di riforme e la liberalizzazione dei mercati stanno gradualmente mutando il volto del paese. La nuova apertura democratica apre importanti prospettive alla ristagnante economia del paese, a partire dalla normalizzazione dei rapporti con Ue e Usa, che hanno in parte sospeso le sanzioni da decenni imposte contro un regime irrispettoso dei diritti umani. Tuttavia, il percorso intrapreso non è privo di ostacoli, a cominciare dalla transizione dello stesso potere politico: il governo nominalmente democratico vede ancora la partecipazione maggioritaria degli stessi militari che soppressero nel sangue la “rivolta zafferano” di monaci e civili nel 2007, e le stesse forze che l’hanno fin qui diretto rischiano facilmente di beneficiare dei frutti della nuova apertura economica di un paese ricchissimo di materie prime (tra cui gas, petrolio ed energia idroelettrica), a discapito della poverissima popolazione locale. Lo stesso processo di liberalizzazione dei mercati determina per Naypydaw una ricollocazione a livello internazionale, dopo decenni di stretti rapporti col vicino cinese. Le sfide maggiori sembrano tuttavia essere quelle interne per Myanmar, le cui le numerosissime minoranze etniche e religiose sono state tenute assieme con la forza dal governo centrale per decenni, e sembrano ora riaffiorare con rinnovata virulenza come indiretta conseguenza di una nuova libertà espressiva e di nuove prospettive a lungo accantonate. CONFLITTI ETNICI E SPINTE AUTONOMISTE: PREMESSE STORICHE E POSSIBILI SVILUPPI La Nazione chiamata oggi Myanmar (ufficialmente Repubblic of the Union of Myanmar) è un’invenzione del colonialismo britannico. In tre guerre a metà dell’Ottocento, l’Impero della Corona inglese ha annesso una serie di territori su cui vivevano popolazioni distinte governate da distinte amministrazioni. Nel 1947, nel corso dei negoziati per l’indipendenza nazionale, il generale birmano Aung San ha riunito i diversi gruppi etnici siglando il Panglong Agreement1 e unendo i territori precedentemente divisi nella nazione unica ed indipendente chiamata Union of Burma. Il nome Burma, (in italiano Birmania ndr) fa riferimento all’etnia tutt’oggi egemone in Myanmar, quella dei Bamar. Di maggioranza buddista, questa rappresenta quasi il 70% della popolazione della popolazione totale, ed ha sempre avuto l’appoggio della giunta militare al potere; ma si contano altre 135 etnie che rientrano in otto macro-‐gruppi: Kachin, Kayah, Kayin, Chin, Mon, Rakhin, Shan e appunto Bamar. Questa suddivisione, che si basa sulla distribuzione delle etnie per area geografica anziché per
1 http://en.wikipedia.org/wiki/Panglong_Agreement
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affiliazione linguistica o culturale, non tiene tuttavia conto dei diversi gruppi etnici non riconosciuti dalle autorità governative, tra cui la problematica minoranza musulmana dei Rohingyia.
Suddivisione etno-‐linguistica
Proprio le tutt’oggi frustrate richieste di riconoscimento e tutela della propria cultura all’interno di uno stato federale sono alla base delle guerre etniche che si sono succedute, con diversa intensità, dall’indipendenza ai nostri giorni. L’accordo di Panglong , che schematizzava i diritti delle minoranze e , in modo specifico, conferiva alle popolazioni Shan e Karenni la
Suddivisione statuale
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facoltà di staccarsi dall’Unione dieci anni dopo l’indipendenza, non venne infatti mai completamente rispettato. Le principali rivendicazioni delle minoranze etniche consistono nel conseguimento di una vera autonomia delle loro regioni e nella richiesta di voce in capitolo sugli affari nazionali, mentre solo in pochi desiderano una vera e propria indipendenza, ma anche una più equa divisione delle risorse naturali. Nel 1962 un’insurrezione dell’esercito, con a capo il generale Ne Win, destituì il fragile governo democratico, indirizzando il paese sulla strada del socialismo. I venticinque anni che seguirono furono segnati da un costante declino economico, isolamento politico, violazioni dei diritti umani e nei confronti delle minoranze etniche (l’intenzione dichiarata era quella di eliminare le identità culturali e politiche non birmane, a partire dalla messa al bando nelle scuole l’insegnamento di lingue non nazionali), fino a quando, nel 1988, la popolazione decise che era giunto il momento di avviare il cambiamento. Gigantesche manifestazioni di massa (passate alla storia come Rivolta 8888) chiesero le dimissioni di Ne Win, che risposte con feroci repressioni. Dopo la nomina di alcuni personaggi fantoccio da parte di Ne Win, un nuovo colpo di stato, presumibilmente ispirato dallo stesso militare, portò al potere il generale Saw Maung, a capo del Consiglio di Stato per la legge e l’ordine sociale (SLORC), che promise nuove elezioni per l’anno successivo. L’opposizione si coagulò allora attorno al partito di coalizione NLD (Lega Nazionale per la Democrazia), capeggiato da Aung San Suu Kyi, figlia dell’eroe dell’indipendenza Bogyoke Aung San, immediatamente posta agli arresti domiciliari. NLD vinse le elezioni, ma la giunta militare impedì all’opposizione di governare. Seguirono altri disordini tra cui una feroce repressione dei Karen. Sin dal 1962, governo e gruppi etnici hanno firmato (e violato) molti accordi di cessate il fuoco, il SLORC non fu da meno, negoziando tregue con molti gruppi etnici armati e intraprendendo feroci guerre nei confronti di altri. La popolazione musulmana Rohingyia ne fu vittima nel 1991, quando oltre 250.000 persone dovettero trovare rifugio nel vicino Bangladesh. Una nuova ondata di scontri si registrò alla fine del 2000, quando almeno 140.000 persone, in gran parte Karen, Karenni e Mon, proveniente dalla Birmania orientale, fuggirono in Thailandia in seguito all’intensa offensiva militare dell’esercito birmano, iniziata sin dal 1984. Anche gli Shan possono annoverarsi tra le minoranze più perseguitate. Oggi in numerose aree del Myanmar vivono sfollati interni, principalmente contadini che hanno abbandonato le loro case per sfuggire al reclutamento militare forzato2, o ad altri tipi di abuso. In svariate zone sussistono tregue precarie: i primi “cessate il fuoco” furono conclusi con i gruppi etnici armati Wa e Kokang, che fino al 1987 avevano militato nel Partito Comunista Birmano. Gli accordi sottoscritti dall’esercito birmano con questi gruppi etnici consente loro la coltivazione dell’oppio e il commercio senza interferenze da parte birmana. Il risultato è stato un importante incremento della produzione e del traffico di eroina dalla Birmania, con un’impennata del consumo interno e della dipendenza dalla stessa. La giunta militare ha sfruttato le divisioni all’interno dei gruppi etnici per rafforzare il suo regime, ad esempio nel 2000 la rilocazione di migliaia di contadini Wa in aree tradizionalmente Shan ha causato tensioni e scontri tra i due gruppi. 3 L’etnia Wa, dotata di un suo partito politico (United Wa State Army, USWA), e di uno tra i più pericolosi eserciti 2 Sia l’esercito birmano sia l’esercito regionale Kachin sono stati accusati di reclutamento forzato di bambini soldato: http://www.irrawaddy.org/burma/kachin-‐rebels-‐release-‐21-‐forcibly-‐recruited-‐civilians.html 3 Cenni sulla storia della Birmania: http://it.wikipedia.org/wiki/Storia_della_Birmania ; http://www.birmaniademocratica.org/ViewCategory.aspx?catid=4778b47d4d404723bf09cefbb15bd851 ; http://www.osservatorioasiaorientale.org/la-‐transizione-‐democratica-‐della-‐birmania/; http://www.treccani.it/enciclopedia/birmania_(Dizionario-‐di-‐Storia)/
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regionali perché ben finanziato dal governo cinese di cui condivide l’origine etnica, è inoltre coinvolta nell’enorme traffico di stupefacenti dell’area, e pone una questione ulteriormente delicata, in quanto reclama il riconoscimento di una propria conformazione statuale Wa nell’area settentrionale dello Stato Shan. Non è difficile credere che una concessione di questo tipo comporterebbe una reazione a catena sui sentimenti federalisti dell’intero paese4. La normalizzazione dei rapporti con gli insorti delle varie etnie è uno dei principali obiettivi del nuovo Myanmar che dal 2010 ha imboccato un processo di riforme democratiche. La comunità internazionale, ma anche gli investitori stranieri, guardano con attenzione al banco di prova delle autonomie locali e del rispetto dei diritti umani per conferire allo stato asiatico la legittimità di cui necessita per una ricollocazione internazionale, che gli consenta di potersi definire pienamente democratico e di uscire dalle difficilissimi condizioni economiche in cui versa. Risultati tangibili su questo versante sarebbero inoltre funzionali allo stesso governo di Thein Sein nei confronti dell’opposizione, e diversi passi avanti sono stati fatti. A partire dal 2012 la maggioranza dei gruppi armati presenti sul territorio ha firmato accordi di tregua, compreso lo Shan State Army. Ma vi è una profonda differenza tra l’imbastire un cessate il fuoco e il passo successivo di un vero e proprio riconoscimento delle autonomie locali, in special modo su un territorio come quello birmano non controllato totalmente dall’esercito centrale e dove gli scontri armati sembrano ripetersi ciclicamente. Nel gennaio 2012 uno storico accordo è stato firmato con il principale gruppo politico Karen (il Karen National Union, KNU) in rappresentanza del suo braccio armato (Karen National Liberation Army, KNLA), ponendo fine ufficialmente alla “più lunga guerra civile del mondo”, iniziata nel 1948. Le tensioni sono perdurate anche dopo la firma degli accordi, in particolare nella zona a nord dello stato del Karen, al confine con la Thailandia. Qui la guerriglia del National Liberation Army, contraria allo sfruttamento incontrollato dei propri territori in favore di grandi multinazionali, sta opponendo strenua resistenza contro la costruzione della diga Hat Gyi, sul fiume Salween. “Molti Karen sono stati cacciati dalle proprie terre per far spazio alle costruzioni idroelettriche”, testimonia Saw Greh Moo del Salween Institute for Public Policy, che afferma inoltre i militari birmani stiano avanzando nei territori e rafforzando le proprie basi5. Ancora più problematici sono i rapporti con i gruppi armati che rappresentano i popoli Kachin e Palaung. Il governo, che ha impostato una strategia di cessate il fuoco a livello nazionale concordata con i gruppi uniti nel NCCT, ipotizzava un’eventuale ingresso successivo nello stesso delle due etnie, ma i recenti scontri tra truppe ribelli ed esercito hanno rimesso in discussione qualsiasi possibilità di trattativa con i Kachin, gettando un’ombra lunga sull’intero processo di pace. Aung Thaung, discusso ex ministro dell’industria, ha incontrato in più riprese i rappresentanti del KIO, l’esercito Kachin, senza giungere ad una soluzione, per la sostanziale mancanza di fiducia tra le parti. Nel 2011, dopo 17 anni di tregua, sono difatti ripresi gli scontri nelle aree Kachin, quando le forze governative hanno attaccato le posizioni del KIA (il braccio armato della Indipendence Organisation Kachin, KIO), nei pressi della centrale idroelettrica Ta-‐Pein. Dal 2012 ad oggi diverse battaglie si sono registrate principalmente intorno alla strada Mytkyna-‐Bhamo, con numerose perdite per l’esercito nazionale. Dopo una fase di moderata calma, la situazione è nuovamente sfuggita di mano nel settembre 2013, con accuse reciproche: KIO e governo avevano infatti accettato di ridurre i combattimenti durante i 4 http://www.cronacheinternazionali.com/verso-la-federazione-birmana-il-caso-shan-5418 5 http://www.repubblica.it/solidarieta/diritti-‐umani/2013/07/30/news/birmania_repressioni_senza_fine_sui_dissidenti_e_le_diverse_etnie-‐64017146/
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colloqui di pace, pur non raggiungendo il cessate il fuoco, ma l’intervento armato dell’esercito è stato ufficialmente giustificato come lotta al contrabbando illegale di legname di cui i Kachin sarebbero artefici. Alcuni esperti vedono i recenti combattimenti come un modo per l’esercito di circondare lentamente il quartiere generale KIO di Laiza, conquistando strategicamente le strade su cui corrono gli approvvigionamenti. “il governo sta facendo apposta, in modo da ottenere il controllo dei territori in prima linea dopo che è stato firmato l’accordo per il cessate il fuoco”6, ha detto l’ufficiale KIO Lan Nan.7 Intanto i rappresentanti politici di 16 etnie si sono riunite nell’NCCT (Nationwide Ceasefire Team) per trattare con il Comitato per la pace del governo (UPWC, Union of Peacemaking Working Commitee) il cessate il fuoco. Le ultime notizie del maggio 2014 riportano di una bozza di accordo, di cui si discuterà nel corso della prossima tornata di colloqui, previsti per giugno. 8 In maggio anche i rappresentanti Kachin hanno pubblicamente incontrato i corrispettivi del NCCT per negoziare un cessate il fuoco desiderato dalla popolazione (e in cui gioca un ruolo non indifferente di mediatore la Cina, come si vedrà nei successivi paragrafi), in attesa di nuovi incontri che affrontino la delicata tematica dell’autonomia senza secessione9. Di fatto Thein Sein, espressione della casta militare e probabilmente improntato all’unità nazionale, gioca su un difficile equilibrio: risolvere la decennale problematica delle etnie regionali darebbe legittimità al suo governo in vista delle elezioni del 2015 e toglierebbe Myanmar dall’imbarazzo internazionale per la violazione dei diritti umani, ma per porre fine ai combattimenti nello stato del Kachin e in generare per conferire l’agognata autonomia alle regioni interessate, il presidente dovrebbe riprendere il contenuto degli storici accordi di Panglong,, con il suo impegno per i diritti civili e le autonomie, ed in definitiva rimescolare le carte del suo governo, riducendo la centralizzazione del potere nella capitale Naypydaw e conseguentemente il peso della componente maggioritaria birmana e delle forze armate. CONFLITTI ETNICO-‐RELIGIOSI: ROHINGYIA, “IL POPOLO Più PERSEGUITATO DEL MONDO”
I Rohingyia sono un’etnia priva di riconoscimento politico e cittadinanza, classificati dalle autorità come Bengalesi, in riferimento al pensiero, diffuso, dell’appartenenza di questa comunità al vicino Bangladesh. Secondo i dati ONU, in Myanmar vivrebbero all’incirca 750.00 Rohingyia, concentrati in larga maggioranza nello stato del Rakhine (o Arakan) , mentre un altro milione o più risultano suddivisi tra Bangladesh, Tahilandia e Malaysia. Professano la religione musulmana e sono osteggiati sia dal governo centrale, sia da parte della popolazione, che non
considera la loro cultura assimilabile nel Paese, riconoscendola come “Kalar” (un termine birmano dispregiativo applicato ai musulmani, specie quelli con carnagione scura). 6http://www.elevenmyanmar.com/index.php?option=com_content&view=article&id=5792:why-‐conflict-‐continues-‐in-‐kachin-‐state&catid=44:national&Itemid=384 7 Cronaca degli scontri tra Kachin ed esercito si possono ritrovare sui principali media nazionali ed internazionali. 8 http://www.elevenmyanmar.com/index.php?option=com_content&view=article&id=6252:top-‐leaders-‐of-‐ethnic-‐armed-‐groups-‐to-‐meet-‐next-‐month&catid=32:politics&Itemid=354 9http://www.elevenmyanmar.com/index.php?option=com_content&view=article&id=6131:kio-‐ncct-‐meets-‐with-‐kachin-‐public-‐in-‐myitkyina&catid=32:politics&Itemid=354
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L’origine della presenza dei Rohingyia nel paese è dibattuta, ma sembrerebbe essi siano presenti nella regione del Rakhine almeno dalla dominazione britannica e probabilmente da epoche precedenti 10. Tuttavia, la legge sulla cittadinanza del 1982 non li include tra i gruppi etnici ufficialmente riconosciuti, di fatto catalogandoli come immigrati clandestini ed esponendoli a discriminazioni che vanno dalle restrizioni negli spostamenti al limite di due figli per coppia. Questa limitazione di personalità giuridica è acuita dal fatto che lo stesso Bangladesh, in cui molti di loro hanno negli anni cercato rifugio, non riconosce ai Rohingyia cittadinanza, e non essendo in grado di sostenere l’emergenza umanitaria ha recentemente respinto migliaia di profughi alle frontiere.11 I report di svariate organizzazioni per i diritti umani12 hanno cercato di sottoporre la situazione all’attenzione internazionale e di fare pressioni sul neonato governo, ma la situazione appare bel lungi dall’essere risolta, se anche nell’importantissimo censimento che si sta stilando in questo giorni è stato impedito ai membri della comunità di dichiararsi Rohingiya13 , e se solo un anno fa, nonostante gli inviti statunitensi ed europei ad un maggiore rispetto dei diritti umani14, il presidente Thein Sein dichiarava che la vera soluzione al problema sarebbe stata la deportazione in Bangladesh15 Persino i partiti dell’opposizione, tra cui il….di….non ha mai preso una netta posizione in difesa della minoranza, ed interpellata in merito alla loro appartenenza identitaria Suun Kyi ha dichiarato di “non sapere” se considerarli o meno birmani, spostando le responsabilità sul Bangladesh e l’immigrazione clandestina e sostenendo di non poter esercitare alcun primato morale in merito alla questione.16 Va detto che l’atteggiamento di Suun Kyi, che non ha mancato ovviamente di scatenerare polemiche e accuse di tradimento alla causa democratica, è determinato anche da alcune motivazioni di real politik: in primo luogo, il suo collegio elettorale è noto per avere una posizione estremamente anti-‐Rohingyia; in secondo luogo, vi è una percezione molto negativa sulla minoranza musulmana anche tra alcuni membri chiave del suo stesso partito; in terzo luogo, è attualmente molto difficile per la Leader prendere posizione contro l’opinione corrente di stampo populista.17 Negli ultimi anni gli scontri tra Rohingyia e cittadini birmani si sono intensificati, provocando un numero non precisato (ma nell’ordine delle centinaia) di morti e migliaia di sfollati, e sconfinando in episodi di violenza e tensioni tra musulmani genericamente intesi e buddisti. Sul fuoco delle tensioni religiose soffia il movimento 969, il cui leader, il monaco Ashir Wirathu, è divenuto celebre anche in occidente “grazie” alla copertina (censurata ed aspramente criticata dalle autorità birmane) del New York Times che lo presenta come “il volto del terrore buddista”18
10 http://asianhistory.about.com/od/Asian_History_Terms_N_Q/g/Who-‐Are-‐The-‐Rohingya.htm 11 http://www.asianews.it/notizie-‐it/Dhaka-‐respinge-‐un-‐migliaio-‐di-‐birmani-‐Rohingya.-‐Sittwe-‐pattugliata-‐dall’esercito-‐25015.html ; 12 Tra gli altri: http://www.hrw.org/news/2012/06/11/burma-‐protect-‐muslim-‐buddhist-‐communities-‐risk ; http://www.fortifyrights.org/downloads/Policies_of_Persecution_Feb_25_Fortify_Rights.pdf ; http://www.hrw.org/sites/default/files/reports/burma0413_FullForWeb.pdf 13 http://www.elevenmyanmar.com/index.php?option=com_content&view=article&id=5965:citizenship-‐for-‐rohingya-‐impractical-‐and-‐impossible&catid=32:politics&Itemid=354 ; http://www.elevenmyanmar.com/index.php?option=com_content&view=article&id=5594:myanmar-‐begins-‐national-‐census-‐amid-‐controversy&catid=44:national&Itemid=384 14 http://www.asianews.it/notizie-‐it/Usa-‐e-‐Ue-‐chiedono-‐la-‐fine-‐delle-‐violenze-‐fra-‐buddisti-‐e-‐musulmani-‐birmani-‐25002.html; http://www.unimondo.org/Notizie/Myanmar-‐si-‐riaccende-‐il-‐conflitto-‐etnico-‐135554 15 http://www.biu.ac.il/SOC/besa/docs/perspectives188.pdf 16http://transitions.foreignpolicy.com/posts/2013/03/26/leadership_failure_in_the_latest_wave_of_religious_violence_in_burma ; 17 http://www.rsis.edu.sg/publications/Perspective/RSIS1212012.pdf 18 http://content.time.com/time/magazine/article/0,9171,2146000,00.html
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Secondo il movimento, ma anche secondo un malessere che serpeggia in modo sempre più preoccupante tra gli abitanti di Myanmar, i musulmani, stanno lentamente prendendo possesso degli strumenti culturali ed economici per soppiantare la cultura buddista birmana, benché essi rappresentino ad oggi solo un 5% della popolazione. 19 Già nel 2003 U Wirathu era stato condannato a 25 anni di prigione per aver istigato, nella sua città natale, le violenze in cui hanno perso la vita dieci musulmani. Nel 2009, grazie ad un’amnistia è tornato in libertà ed ha iniziato la produzione e la distribuzione di DVD propagandistici e ad utilizzare i sociali media per diffondere il suo programma razzista. Gli adesivi del 969 ( il movimento da lui fondato nel 2001 i cui numeri rappresentano le virtù del Budda, le sue fatiche e i suoi
fedeli) si stagliano ormai dalle vetrine dei negozi aderenti o dalle carrozzerie delle automobili, e benché egli neghi un coinvolgimento diretto negli scontri interreligiosi che hanno insanguinato il Rakhine a partire dal giugno 2012, il suo pensiero sulla loro comunità è quanto mai chiaro e per nulla celato:” E’ necessario essere persone gentili e amorevoli, ma non è possibile dormire accanto ad un cane rabbioso”, ha detto. “Noi buddisti siamo troppo morbidi, ci manca l’orgoglio patriottico”; “I musulmani sono timorati finchè sono deboli, ma quando diventano forti sono come un lupo o uno sciacallo, che caccia in branco gli altri animali”. E ancora :“negli ultimi cinquant’anni abbiamo fatto acquisti nei negozi musulmani, e loro sono diventati più ricchi di noi. Possono comprare e sposare le nostre donne, e in questo modo stanno distruggendo non solo la nostra nazione, ma anche la nostra religione.”; “loro sono bravi negli affari , controllano i traporti, l’edilizia…ora stanno prendendo i nostri partiti politici e se continua così finiremo come l’Afghanistan o l’Indonesia”; “la loro popolazione sta crescendo troppo in fretta. Quando si lascia un seme da un albero, a crescere in una pagoda, esso sembra così piccolo in un primo momento, ma sai di doverlo eliminare prima che crescendo distrugga l’edificio”. E ancora: “in passato non vi era alcuna discriminazione di religione o razza, ma da quando il piano musulmano (di dominio ndr) è stato rivelato, non possiamo più stare tranquilli”. 20 Il buddismo birmano risulta oggi spaccato tra “moderati”, dalle cui file non mancano di arrivare moniti di condanna ed inviti al dialogo 21, ed “estremisti”, ma anche tra le file moderate cresce la paura per il boom demografico musulmano. Il governo difficilmente può prendere posizione contro la maggioranza Bamar di cui è esso stesso rappresentanza, e da più parti si mormora di un ruolo non solo passivo ma di un vero e proprio coinvolgimento nelle violenze di piazza, funzionali al mantenimento per la giunta militare del proprio ruolo di garante dell’ordine. In questa chiave vanno lette le accuse a Suun Kyi di eccessiva vicinanza ai Rohingyia, per altro contemporanee alle diametralmente opposte
19 Nb, il dato non è aggiornato non essendo ancora stati pubblicati i risultati del censimento in corso. Alla luce dell’incremento demografico si presume la popolazione musulmana sia cresciuta di alcuni punti percentuali. 20 Alcuni stralci dalle interviste di Wirathu: http://www.bbc.com/news/world-‐asia-‐23846632 ; http://www.lettera43.it/cronaca/wirathu-‐il-‐bin-‐laden-‐buddista_4367592098.htm ; http://thediplomat.com/2013/06/ashin-‐wirathu-‐the-‐monk-‐behind-‐burmas-‐buddhist-‐terror/ ; http://www.bbc.com/news/world-‐asia-‐22023830 21 http://www.ilpost.it/2013/06/25/estremisti-‐buddhisti-‐birmania/; http://thediplomat.com/2013/06/ashin-‐wirathu-‐the-‐monk-‐behind-‐burmas-‐buddhist-‐terror/ ; http://www.foreignpolicy.com/articles/2013/04/23/weren_t_buddhists_supposed_to_be_pacifists ; http://www.nytimes.com/2013/03/23/world/asia/toll-‐rises-‐as-‐sectarian-‐violence-‐in-‐myanmar-‐spreads.html?_r=0 ; http://www.minimaetmoralia.it/wp/cronache-‐dallasia-‐2/
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critiche da parte delle istanze umanitarie alla stessa Lady, rea di non aver preso una posizione netta in difesa della minoranza etnica. In vista delle elezioni del 2015 l’eventuale appoggio del movimento 969 e del suo leader potrebbero risultare di importanza rilevante per Thein Sein, e c’è chi sostiene Wira Thu vi prenderà attivamente parte, anche se per ora il monaco smentisce qualsiasi candidatura22. Gli scontri figli dell’odio latente per i Rohingyia sono stati innescati da una scintilla casuale sul finire del maggio 2012, quando allo stupro e omicidio di una donna Rakhine ad opera di tre musulmani è seguito il linciaggio, avvenuto il 3 giugno, a danno di dieci musulmani in viaggio su un autobus della regione, aggrediti da un centinaio di buddisti che avrebbero individuato a bordo del mezzo gli aguzzini della donna (i reali responsabili sono stati in realtà identificati dalle forze dell’ordine e condannati 23 ndr). La ritorsione ha a sua volta innescato una serie di scontri razziali, tra cui l’assalto dei Rohingyia alle abitazioni buddiste nei villaggi di
Maungdaw e Buthidaung, con almeno 1500 abitazioni date alle fiamme, cui sono seguite violenze nella capitale rakhine Sittwe e nei centri limitrofi.24 L’11 giugno il governo di Thein Sein ha proclamato lo stato d’emergenza, instaurando il coprifuoco e conferendo poteri speciali alle forze di sicurezza, mentre parte delle delegazioni Onu e di alcune ong presenti nella regione sono state evacuate. Centinaia di
Rohingyia hanno cercato di trovare riparo al di là del confine col Bangladesh, venendo però respinti dalle autorità locali. A seguito degli scontri generalizzati centinaia di migliaia di profughi vivono nei campi birmani e bengalesi in condizioni ben al di sotto dello standard previsto dai diritti umani e più volte segnalate da Medici Senza Frontiere. Il bilancio delle violenze di giugno stando alle fonti governative è di 88 morti (57 musulmani e 31 buddisti) e almeno 90.000 sfollati, mentre alcuni media ampliano ulteriormente la cifra. Le tensioni sono poi riaffiorate nuovamente nel mese di Ottobre dello stesso anno, con altri 80 morti , ulteriori 22.000 sfollati e oltre 4600 abitazioni date alle fiamme. In questo caso i disordini sono scoppiati nelle città di Min Bya e Mrauk Oo, per poi diffondersi in tutto lo stato Rakhine e coinvolgere, stando ad alcune testimonianze, l’intera minoranza musulmana anche non Rohingyia. Nel marzo 2013 altri scontri si sono verificati al di fuori della regione tradizionalmente abitata dai Rohingyia, a Meiktila, una città al centro del paese, nel distretto del Mandalay. Dal 20 al 22
22 http://www.lastampa.it/2013/07/03/blogs/asian-‐express/wirathu-‐il-‐crociato-‐buddista-‐F0WKHg9x1OdolfscMxNnwJ/pagina.html 23 http://edition.cnn.com/2012/06/19/world/asia/myanmar-‐rakhine-‐death-‐sentence/ 24 Un riassunto degli scontri di giugno e ottobre 2012 si può trovare all’indirizzo http://en.wikipedia.org/wiki/2012_Rakhine_State_riots#cite_note-‐US-‐15 ; i fatti di cronaca sono stati riportati dai principali giornali nazionali e internazionali e consultabili online. La ricostruzione degli eventi è fondamentalmente concorde al netto delle reciproche accuse razziali, mentre diverge leggermente nelle differenti fonti il bilancio delle vittime.
Immagine satellitare di Meiktila dopo gli scontri
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marzo almeno 40 persone sarebbero rimaste uccise e oltre 60 ferite nell’area in cui oltre 24 ettari di abitazioni, in prevalenza di abitanti musulmani, sono state date alle fiamme.25 Altri scontri si sono verificati nelle città di Okpho, Gyobingauk e Minhla, nella regione di Bago, ed una grossa area commerciale è stata chiusa a Yangon. Gli eventi, scaturiti da una rissa tra un venditore d’oro musulmano e un cliente monaco buddista in un mercato locale (terminata con la morte in ospedale di quest’ultimo), sembrano confermare l’atteggiamento della polizia birmana (che non è intervenuta se non tardivamente e spesso a sostegno della maggioranza birmana), e se anche il governo non può considerarsi responsabile della violenza, diversi osservatori affermano che i membri della classe dirigente hanno istigato ed efficacemente sfruttato per i propri fini le controversie etnico-‐religiose26. Gli incidenti hanno coinvolto la popolazione musulmana in quanto tale e non possono non ricollegarsi al clima di violenza verbale fomentato dagli estremisti buddisti e quantomeno tollerato dalle autorità; mentre il presidente della regione del Mandalay, U Ye Myint, suggerisce che i disordini siano stati organizzati27. Timori di un attentato si stagliano anche sull’incendio divampato in una scuola islamica di Yangon il 2 aprile seguente, in cui hanno perso la vita 13 ragazzini musulmani. Le violenze sono continuate nell’agosto e poi nell’ottobre 2013. Le tensioni sono andate avanti e continuano tutt’ora: nell’agosto 2013 alcuni rivoltosi hanno bruciato case e negozi nella città di Kanbalu dopo che la polizia ha rifiutato di consegnare loro un uomo musulmano accusato di violenza su una donna buddista; in ottobre almeno sette persone sono state uccise in nuovi scontri nel Rakhine; il 9 gennaio di quest’anno altri otto uomini Rohingyia sono stati uccisi in un villaggio della regione e almeno altri 40, stando ai rapporti Onu, hanno perso la vita negli scontri con polizia e buddisti del 13 gennaio.28 Il sito internet del popolo Rohingyia29 riporta notizia di 16 nuove vittime il 16 febbraio, assalite da estremisti armati durante uno spostamento dalle citta di Minpya e Mrauk e Yangon senza permesso (la condizione di apolidi non permette loro liberi spostamenti all’interno del paese). Finora gli appelli delle organizzazioni internazionali per i diritti umani rimangono inascoltate, ed è anzi del febbraio scorso la decisione del governo di espellere dal paese Medici Senza Frontiere 30 , i cui operatori sono accusati di agire in maniera parziale in favore dei Rohingyia.31 Il lento processo verso la democrazia birmano, con la nuova libertà espressiva dei media, sembra dunque aver paradossalmente portato un peggioramento nella situazione delle
25 http://www.hrw.org/news/2013/04/01/burma-‐satellite-‐images-‐detail-‐destruction-‐meiktila 26http://transitions.foreignpolicy.com/posts/2013/03/26/leadership_failure_in_the_latest_wave_of_religious_violence_in_burma 27 http://www.nytimes.com/2013/03/26/world/asia/worries-‐over-‐violence-‐prompt-‐shutdown-‐in-‐myanmar.html?_r=1& 28 http://www.bbc.com/news/world-‐asia-‐18395788 29 http://www.thestateless.com/ 30 http://www.medicisenzafrontiere.it/notizie/comunicato-‐stampa/msf-‐costretta-‐cessare-‐le-‐attività-‐myanmar-‐preoccupazione-‐la-‐sorte-‐di 31 http://www.repubblica.it/solidarieta/diritti-‐umani/2014/02/27/news/tra_i_rifugiati_rohingya_il_popolo_dimenticato-‐79808084/
Incendi a Meiktila
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minoranze, in un tessuto sociale frastagliato tenuto assieme con la forza e con l’isolamento forzato dalla giunta militare nel recente passato. Lo stesso governo sembra approfittare delle sollevazioni per rallentare le riforme e continuare ad esercitare il suo potere. Ma il perdurare delle violazioni dei diritti umanitari rischia di rappresentare un serio ostacolo per l’evoluzione dello stesso Myanmar. L’Unione Europea nell’aprile 2012 ha ritirato le sanzioni ristabilendo rapporti economico-‐commerciale con Myanmar, una decisione teoricamente legata al rispetto di quattro condizioni: il rilascio dei prigionieri politici; la fine dei conflitti armati; il riconoscimento del popolo Rohingyia; una più facile penetrazione degli aiuti umanitari nelle aree interessate da conflitti interni. Condizioni solo in parte rispettate, e l’UE si aspetta ora un diverso atteggiamento da parte di Naypyidaw per un maggiore rispetto dei diritti umani. Per gli stessi motivi anche gli Stati Uniti hanno revocato parte delle sanzioni, ma con un atteggiamento più prudente e rimarcato recentemente da Barak Obama 32 , che pur apprezzando i passi fatti in questi anni dal governo ha confermato la necessità di ulteriori sviluppi democratici, rimandando la piena normalizzazione delle relazioni tra i due paesi proprio per non interferire col processo. ASPETTI GEOPOLITICI: INSTABILITA’ INTERNA E INVESTIMENTI INTERNAZIONALI Gli scontri interreligiosi influenzano i rapporti tra potenze straniere e nuovo Myanmar ben oltre le questioni di principio. Così come i già citati focolai di rivolte indipendentiste dei vari eserciti regionali, essi contribuiscono a determinare quel clima di instabilità ed insicurezza che minaccia seriamente gli investimenti stranieri nel paese. Dopo che alcuni grandi progetti hanno subito bruschi stop a seguito di proteste della società civile per i danni arrecati al territorio e agli interessi degli agricoltori locali (questi sì un primo segnale dei rinnovati spazi di manovra della società civile), la Cina, il principale partner economico del Paese, ma anche gli altri investitori presenti e futuri, possono dirsi preoccupati dell’instabilità del paese, in particolare per i disordini verificatisi nelle aree attraversate da grandi infrastrutture. Le potenzialità del territorio birmano sono quanto mai ampie: secondo i dati ufficiali, possiede un totale di riserve di gas stimate in 2.540 miliardi di metri cubi (10° al mondo); 3,2 miliardi di barili di riserve petrolifere (1° nel sud-‐est asiatico); un ampio potenziale idroelettrico; 33 vaste foreste tropicali di legno teak; giada, rubini e minerali ambiti dalle multinazionali straniere. Tuttavia, le politiche inefficienti del regime, la corruzione e il nepotismo hanno contribuito al degrado economico di un paese che rimane uno dei più poveri dell’Asia, con oltre il 30% della popolazione sotto la soglia di povertà.
32 http://www.elevenmyanmar.com/index.php?option=com_content&view=article&id=6146:obama-‐extends-‐economic-‐sanctions-‐against-‐myanmar&catid=32&Itemid=354 33 https://knowledge.wharton.upenn.edu/article/status-‐quo-‐revisited-‐evolving-‐ties-‐china-‐myanmar/
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Prima delle ultime elezioni, la scelta dei Paesi occidentali, in primo luogo li Stati Uniti, nei confronti della Birmania è stata improntata più all’uso del “bastone” delle sanzioni che alla “carota” dei finanziamenti per le riforme. Con l’amministrazione Obama il continente asiatico è però tornato nel novero delle aree sensibili per Washington, e Myanmar risulta di elevato profilo strategico, per potenziale economico e posizione strategica di ponte tra India e Cina. In quarant’anni di ostracismo imposto dall’Occidente, proprio Pechino ha stretto legami solidissimi con la giunta militare al potere del 1962, basati soprattutto sullo sfruttamento di risorse energetiche presenti nel paese e sulla sua posizione strategica per i traffici commerciali nel Pacifico. Un rapporto evidentemente asimmetrico ma funzionale ad entrambi i governi. L’apertura democratica del nuovo corso giocoforza aprirà a Myanamar un nuovo ventaglio di partnership che potrebbero in parte sottrarla alla dipendenza dall’illustre vicino, aprendo all’opportunità di un sostegno tecnico da parte di istituzioni come il FMI, che non incontrerebbero più l’opposizione di Washington. Per questo occorre però una piena riabilitazione agli occhi della comunità internazionale, anche a rischio di irritare Pechino con decisioni audaci, quali la sospensione della costruzione della diga di Myitsone, nel nord del Paese. Il progetto, dal costo di 3,6 miliardi di dollari, è stato fortemente osteggiato dalla popolazione per motivi ambientali e politici, e la sua interruzione per decisione unilaterale di Naypyidaw ha dato un forte segnale, in una fase in cui il paese si muoveva in vista della presidenza ASEAN 2014. Difficilmente altre potenze potranno scalfire il rapporto preferenziale con la Cina, tanto più che gli Stati Uniti risultano ancora titubanti ed i loro investimenti concentrati sulla produzione di elettricità e beni di consumo: Pechino rimane il partner più interessato, più culturalmente affine e più logisticamente vicino a Myanmar. Tuttavia altre preoccupazioni guastano il sonno del gigante economico, e la stessa vicenda di Myitsone ne è un’anticipazione. Una delle motivazioni che hanno spinto il governo birmano a sospendere i lavori nel 2011 è stata infatti la pressione dei militanti Kachin che abitano la regione. Sin dal 2007, la popolazione Kachin ha denunciato la mancanza di qualsiasi coinvolgimento decisionale dei locali negli accordi per la costruzione di una serie di dighe sul fiume Irrawaddy, verso il confine. La costruzione della diga avrebbe messo a serio repentaglio l’ecosistema e la sopravvivenza dei villaggi locali a causa del deforestamento e delle alluvioni, ed avrebbe inoltre costretto centinaia di persone a lasciare le proprie case. La ripresa degli scontri con le milizie regionali ha così convinto Thein Sein a sospendere il progetto, pur non chiudendo in via definitiva la questione.34 Secondo il progetto cinese quella di Myitsone sarebbe stata solo una delle sette dighe sul fiume Irrawaddy, uno dei cardini dell’enorme potenziale idroelettrico di Myanmar (si stima vanti più di 24.164 metri cubi d’acqua pro capite all’anno, più di dieci volte la dotazione pro capite di Cina ed India). Analoghi rischi corrono tutti i grandi progetti infrastrutturali disegnati dai cinesi e dalle altre potenze interessate al territorio birmano. Scendendo più nel dettaglio è immediatamente evidente l’esposizione che mette a repentaglio i maggiori investimenti strategici nel paese, tutti concentrati sul settore energetico e dei trasporti. Il primo di questi grandi progetti è il progetto Shwe35, che ha visto la costruzione da parte della China National Preoleum Corporation (CNPC), in accordo con la Myanmar Oil and Gas Enterprise (MOGE) e le forze di sicurezza dello Stato del Myanmar, di un oleodotto da 982 km
34 Le proteste sono nuovamente in atto in seguito alle pressioni della società costruttrice per una ripresa dei lavori, sospesi solo fino alle elezioni del 2015: http://www.asianews.it/notizie-‐it/La-‐lunga-‐marcia-‐degli-‐attivisti-‐birmani-‐per-‐la-‐chiusura-‐della-‐diga-‐di-‐Myitsone-‐30658.html 35 http://geopoliticamente.wordpress.com/2012/06/12/macche-‐democrazia-‐gli-‐scontri-‐in-‐birmania-‐minacciano-‐gli-‐interessi-‐di-‐india-‐e-‐cina/; http://www.banktrack.org/manage/ajax/ems_dodgydeals/createPDF/shwe_gas_and_pipelines_projects
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dal porto di Kyaukpyu, non lontano da Sittwe, alla località cinese di Kunming, nella provincia dello Yunnan. Allo stesso tempo la compagnia ha costruito un gasdotto in grado di erogare 12 miliardi di mq di gas naturale all’anno, dal campo di Shwe sino a Kunming.36 E’ inoltre in fase di realizzazione un sito di deposito di petrolio presso l’isola di Maday, futuro capolinea per le petroliere proveniente dal Medio Oriente e dall’Africa orientale, principali fonti di approvvigionamento da parte di Pechino. Entro il 2015 sarà pronta anche una nuova ferrovia, sempre da Kyaukpyu a Kunming. L’obiettivo per la Cina è garantirsi un posto al sole nell’Oceano Indiano e bypassare lo stretto del Malacca, attraverso cui transita oggi la stragrande maggioranza del commercio cinese, e che per sua conformazione è concretamente minacciato dalla
pirateria e teoricamente pericoloso in caso di conflitto37. Un oleodotto che tagli in due il fragile equilibrio, sia geografico che politico. birmano, dimezzerebbe tempi e costi di trasporto del petrolio. Tuttavia l’instabilità interna rischia di mettere a repentaglio il valore strategico-‐commerciale dell’imponente progetto. I residenti locali e le Ong operanti sul luogo hanno protestato sin dagli albori per una realizzazione che non ha visto consultare la società civile e che verosimilmente la escluderà da benefici concreti, senza considerare gli inevitabili danni ambientali. Anche se le autorità governative non hanno mai ostacolato il progetto, Pechino è preoccupata per i precedenti della diga di Myitsone e per le analoghe proteste presso la miniera di rame di Letpadaung, nella regione centrale di Monywa, dove dopo anni di impegno delle organizzazioni contadine e ambientaliste (e dopo l’avvio delle riforme anche di una parte della classe politica), il governo ha deciso di rivedere gli accordi per lo sfruttamento della miniera: contrariamente ai precedenti protocolli che prevedevano una condivisione quasi paritetica dei proventi tra compagnia mineraria cinese Wanbao e Myanmar Economic Holding, ora il 51% finirà nelle casse pubbliche, e l’azienda cinese dovrà mettere a disposizione tre milioni di dollari per attività di carattere sociale. Nel caso della pipeline gemella la situazione è ancora più delicata perché ci troviamo nei pressi di Sittwe, la capitale dello stato Rakhine, territorio dei già visti violentissimi scontri contro l’etnia Rohingiya. Peggio ancora, le condotte passano attraverso aree in cui agiscono le truppe separatiste del KIA Kachin, i cui scontri con l’esercito centrale hanno minacciato non poche volte il tracciato della pipeline.
36 http://www.cesi-‐italia.org/asia/item/638-‐geopolitical-‐weekly-‐n°114.html 37 http://www.ft.com/intl/cms/s/faf733ae-‐63b6-‐11e2-‐af8c-‐00144feab49a,Authorised=false.html?_i_location=http%3A%2F%2Fwww.ft.com%2Fcms%2Fs%2F0%2Ffaf733ae-‐63b6-‐11e2-‐af8c-‐00144feab49a.html%3Fsiteedition=intl&siteedition=intl&_i_referer= -‐ axzz32GQMloAi ; http://www.csc.iitm.ac.in/?q=node/375 ; http://www.economist.com/news/asia/21571189-‐over-‐border-‐kachin-‐conflict-‐causes-‐headaches-‐china-‐kachin-‐dilemma ; http://www.china.org.cn/business/2013-‐06/21/content_29188744.htm ; http://www.china.org.cn/business/2013-‐06/21/content_29188744.htm
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La Cina ha in realtà stretti rapporti con l’etnia Kachin, per motivi etnici e commerciali. Lo stato Kachin confina in gran parte col gigante asiatico e visti i conflitti col governo i ribelli dipendono in gran parte dal vicino di casa, da cui importano dalle armi ai medicinali.38 La maggior parte della giada e del legno che formano la spina dorsale del commercio per le città dello Yingijang, provengono dallo stato Kachin. Negli ultimi anni si sono così sviluppati fiorenti legami economici, di cui ha beneficiato anche parte della popolazione locale. Ma per contro, c’è chi vede nell’azione cinese una forma di sfruttamento, e proprio per non fomentare
forme di risentimento Pechino cerca di mantenere un equilibrio non schierandosi apertamente con l’esercito birmano, pur premendo per una normalizzazione dei rapporti che ponga le condotte al riparo dal fuoco incrociato39 Il valore di Myanmar per la Cina si spiega anche per la sua posizione geo-‐strategica: Pechino utilizza il suo vicino meridionale come uno degli elementi della politica di accerchiamento dell’India, la “strategia del filo di perle”. Dal Pakistan a Myanmar passando per Bangladesh e Sri Lanka, finanzia la costruzione di porti che la Marina dell’Impero potrebbe un giorno utilizzare come basi navali a protezione dei propri interessi commerciali in caso di conflitto 38 http://mondediplo.com/2012/06/12kachin 39 http://www.economist.com/news/asia/21571189-‐over-‐border-‐kachin-‐conflict-‐causes-‐headaches-‐china-‐kachin-‐dilemma
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regionale. In quest’ottica in Birmania ha partecipato alla modernizzazione del già citato porto di Sittwe, e di quelli di Merguei e Dawei, accedendo all’oceano indiano. Quest’ultimo progetto trasformerà completamente 250kmq dell’area costiera meridionale, e con un triplice imbarco per le navi transoceaniche permetterà il passaggio delle merci e del petrolio da Africa, Medioriente e Occidente, cn strade di collegamento per la Thailandia e la Cina, passando da Malesia, Cambogia, Laos e Singapore, oltre a snodi viari verso l’India. Il progetto potrebbe assestare un duro colpo all’economia di Singapore, un po’ come avvenuto a suo tempo per lo sviluppo di Shanghai, e c’è chi sostiene che il governo dell’isola sia preoccupato al tal punto da finanziare e sostenere il movimento ambientalista che si batte contro la realizzazione del polo industriale.40 Al progetto, privato a capitale internazionale e gestito dalla compagnia Italian-‐Thai, vede la partecipazione di diverse potenze tra cui la Cina, che ha in progetto un collegamento stradale tra Dawei e Yunnan, e soprattutto Thailandia, mentre anche Giappone ed India guardano con interesse41.
Strumentale o concreta e giustificata che sia, c’è poi un’altra preoccupazione che preme sui vicini del Myanmar, ed è la possibilità che la questione Rohingyia rientri in un più ampio contesto di jihadismo internazionale. Ai primi di settembre 2012, la polizia nazionale indonesiana ha scoperto un complotto jihadista volto ad attaccare la comunità buddista in Indonesia, presumibilmente in segno di rappresaglia per il maltrattamento dei Rohingyia del Rakhine. La situazione è ancora più sensibile in Malaysia, dove un sistema di quote razziali vecchio di decenni favorisce etnie musulmane rispetto alla minoranza cinese. Secondo alcune analisi dunque gli scontri tra musulmani e buddisti in Myanmar potrebbero influenzare analoghe tensioni in Malesia ed Indonesia e in generale nel Sud-Est Asiatico.42In un articolo pubblicato il 2 maggio 2013 43 l’ideologo radicale indonesiano Abu Bakar Bashir ha 40 http://temi.repubblica.it/limes/in-‐birmania-‐prove-‐di-‐democrazia-‐con-‐aung-‐san-‐suu-‐kyi/32285 41 http://www.daweiport.net/dawei-‐port-‐thailands-‐megaproject-‐burma/ 42 http://www.cttajournal.org/issues/CTTA-‐June13.pdf -‐ page=14 43 http://www.heraldsun.com.au/news/world/abu-‐bakar-‐bashir-‐threatens-‐war-‐if-‐myanmar-‐harms-‐muslim-‐rohingyas/story-‐fnd134gw-‐1226442628062
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chiamato alla jihad per terminare il genocidio Rohingyia. La violenza ha innescato un deflusso massiccio di rifugiati Rohingyia in paesi del Sud e Sud-est asiatico, che vivono in condizioni miseri nei campi profughi dove il loro risentimento può divenire facile preda dei gruppi jihadisti locali. Inoltre alcuni gruppi radicali che operano in Asia meridionale, in Asia centrale e nel sud-est asiatico, tra cui il Tekreek-e-Taliban Pakistan, i talebani afghani, il Movimento islamico dell’Uzbekistan e il Jama’ah Ansharut Tauhid, utilizzano la questione Rohingyia per infiammare le piattaforme di social media, incitando all’odio contro Myanmar. Una comunità considerevole di Rohingyia vive in una parte di Karachi, in Pakistan, e alcuni dei suoi membri sono stati attivamente coinvolti nell’Organizzazione di Solidarietà Rohingyia , un gruppo militante che ha un campo di addestramento nelle zone di confine col Bangladesh, mentre gruppi di militanti distribuisce materiale in arabo e urdu spingendo alla jihad44. La tematica potrebbe essere discussa tra i vertici in seno all’ASEAN vista la presenza di stati a maggioranza musulmana, e si presta sia alle critiche per la discriminazione brutale subita dai Rohingyia, sia ad un’analisi del rischio di spill-over regionale.45 Mentre all’interno di alcuni media nazionali la problematica è sollevata con toni accesi46, preoccupazioni sorgono anche per i due giganti Cina ed India. Il porto di Sittwe è la pietra angolare del Kaladan Multimodal Transit Transport Project indiano, che mira a connettere l’est dell’India con Myanmar attraverso la rotta marittima tra Calcutta e Sittwe e attraverso una strada e collegamento fluviale tra quest’ultima e lo stato Mizoram, nell’India nord-orientale. Mizoram e gli altri sei stati indiani orientali confinanti col Myanmar sono tutti alle prese con le proprie insurrezioni separatiste, e questi gruppi ribelli hanno già collaborato in passato con i guerriglieri nepalesi e con le organizzazioni jihadiste pakistane: lo stesso potrebbero fare con i militanti islamici in Myanmar47. Già detto dei rischi per le condotte cinesi dirette nello Yunnan attraverso il territorio Kachin, vale la pena ricordare come lo stesso Yunnan sia tra le provincie cinesi più irrequiete, con una minoranza di cinesi non-han in agitazione. All’inizio di maggio intanto, i leader musulmani hanno annunciato l’intenzione di tenere un Congresso musulmano dell’Unione nei prossimi mesi, nel tentativo di contrastare l’incitamento all’odio interreligioso.48 Una proposta improntata al dialogo, ma che non ha mancato di scatenare l’immediata risposta di Wirathu, secondo cui soltanto all’etnia musulmana Kaman, ufficialmente riconosciuta, dovrebbe essere consentito partecipare all’evento. 44 http://www.eastasiaforum.org/2013/06/27/communal-‐harmony-‐a-‐missing-‐cornerstone-‐of-‐reform-‐in-‐myanmar/ 45 http://www.eastasiaforum.org/2013/07/04/myanmars-‐religious-‐violence-‐a-‐threat-‐to-‐southeast-‐asias-‐security/ ; http://thediplomat.com/2013/07/constitutional-‐reform-‐needed-‐for-‐myanmars-‐ethnic-‐challenges/2/ 46http://www.elevenmyanmar.com/index.php?option=com_content&view=article&id=6233:terrorist-‐war-‐spreading-‐to-‐western-‐part-‐of-‐myanmar&catid=57:editorial&Itemid=406 47 http://www.eastasiaforum.org/2013/05/24/myanmars-‐anti-‐muslim-‐violence-‐a-‐threat-‐to-‐chinese-‐and-‐indian-‐interests/ 48 http://www.mmtimes.com/index.php/national-‐news/10276-‐muslim-‐leaders-‐announce-‐conference-‐to-‐tackle-‐hate-‐speech.html
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CONCLUSIONI Le riforme politiche che si svolgono in Myanmar dal 2011 aprono una rara finestra di opportunità per la democratizzazione del paese e la sua piena reintegrazione nella comunità internazionale. Ma il processo è reversibile e dipende dal sostegno degli attori internazionali e, soprattutto, dalla lungimiranza degli attori interni. Il paese deve ancora affrontare enormi problemi: la crescita economica si vede, ma la povertà della popolazione civile perdura.; solo il 16% della popolazione ha elettricità; parte di questa è malnutrita ed analfabeta; l’assistenza medica fuori Yangon è spesso utopica. I conflitti etnici persistono e le sommosse antimusulmane dimostrano la presenza ormai tangibile di un inedito estremismo di stampo buddista. Infine, serviranno volontà ed impegno per evitare che gli investimenti internazionali portino benefici solo alle oligarchie indigene o agli investitori esteri, concentrandosi esclusivamente sull’estrazione delle materie prime di cui il paese è ricco. La stessa costruzione di infrastrutture fondamentali per il rilancio dell’economia rischia di avere pesanti ripercussioni sull’ambiente e sulle attività economiche ad esso legate di cui vive parte della popolazione. Occorreranno una sensibilità e un controllo maggiori di quanto avvenuto in passato per evitare il deturpamento di aree come quella di Hapkant nello stato del Kachin, razziata per l’abbondanza di giada. In quest’ottica il mastodontico progetto di Dawei è una cartina di tornasole che molto potrà dire sull’equilibrio tra interessi economici, rispetto del territorio e creazione di nuovi posti di lavoro. Tre difficili sfide attendono il Myanmar: portare avanti le riforme politiche per una piena transizione democratica; sostenere i diritti delle minoranze e la cultura del dissenso; costruire mercati sostenibili e sistemi finanziari. La diversificazione dei partner commerciali potrebbe essere un buon presupposto per lo sviluppo dell’ultimo punto, anche se la Cina rimarrà a lungo il partner preferenziale. Il fatto che essa stessa, pur temendo in parte di perdere il monopolio relazionale, prema per una maggiore sicurezza interna a protezione dei propri investimenti, può essere un altro aiuto alla piena transizione democratica, favorendo il ricongiungimento etnico regionale. Questo però non sarà possibile senza una ferrea volontà politica di tutte le parti in causa che porti ad una maggiore flessibilità del governo centrale nella concessione delle agognate autonomie locali. Dopo decenni di ostinata guerriglia appare difficile immaginare una soluzione che non preveda una qualche forma di “federalismo”: alla base di questi conflitti etnici sono due visioni controverse del futuro di Myanmar, una governata da una maggioranza birmana culturalmente buddista, l’altra fedele allo “spirito di Panglong”, con un sistema federale che offra ai gruppi etnici un’uguaglianza di diritti e autodeterminazione politica. La soluzione dev’essere politica e deve istituzionalizzare i diritti delle minoranze etnico-‐religiose, consentendo loro di mantenere le proprie terre, condividendo i benefici dei ricavi ottenuti dalle risorse naturali. Tali diritti non possono che essere espressi da una nuova Costituzione, che non sarà però possibile senza il benestare delle forze militari, ancora saldamente al potere dietro le quinte. L’esercito controlla ancor oggi parte dei seggi del parlamento sufficienti a bloccare qualsiasi modifica della Costituzione e non è un mistero che lo stesso assetto politico sia progetto del vecchio generale Than Shwe che ha suddiviso il potere prima monolitico da lui detenuto in quattro persone fisiche di sua fiducia. Lo stesso volto dell’opposizione, Aung Suu Kyi non può tirare troppo la corda in quanto la sua stessa candidatura alle prossime elezioni dovrà passare sotto il benestare dei generali e la modifica della Costituzione (la candidatura gli è tecnicamente impedita perché i figli hanno cittadinanza straniera, un evidente cavillo per limitarne il peso politico). Sono in gioco equilibri di potere delicati, tuttavia apre una finestra di ottimismo il fatto che il dialogo con le minoranze etniche non si sia limitato alle dichiarazioni programmatiche ma abbia al contrario fatto importanti passi avanti negli ultimi due anni, con un’accelerazione in questi giorni.
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D’altronde a Thein Sein e a parte dell’esercito non sfuggono i pericoli insiti nella transizione da un regime autoritario a una politica maggiormente liberale né la necessità, imboccata la strada della democrazia, di utilizzare nuove strategie per perpetuare in nuove forme il proprio potere. In questo senso è possibile che il vecchio regime, consapevole della necessaria riduzione del proprio peso politico, abbia cercato di bilanciare questa perdita tramite una gestione dell’economia in senso a lui più favorevole e abbia allo stesso modo cercato legittimazione nazionale ed internazionale attraverso il nuovo atteggiamento di apertura. La riduzione delle sanzioni e la presidenza ASEAN hanno in qualche modo sdoganato il nuovo governo, e prese di posizione fino a pochi anni fa impensabili come l’interruzione dei lavori alla diga di Myitsone hanno lanciato segnali importanti. Se questa politica darà i suoi frutti, non solo favorirà gli investimenti esteri, compreso il sostegno di istituzioni come il FMI, ma, accompagnata ad una più lungimirante suddivisione della ricchezza, potrebbe addirittura dare modo al governo di competere in qualche modo con l’immagine dell’opposizione in vista delle elezioni 2015. Se, restando ottimisti, le minoranze etniche possono in qualche modo beneficiare della “propaganda” interna e delle pressioni internazionali (in favore dei diritti umani o a difesa dei propri investimenti che siano), più problematica appare la posizione dei Rohingyia. In questo caso infatti nemmeno l’opposizione ha preso le difese dell’etnia musulmana, mentre il governo è stato durissimo, tanto da tacciare recentemente la comunità internazionale e le Ong di interferenza su questioni di interesse nazionale interno49. Considerando la chiusura delle frontiere da parte del Bangladesh, dove la loro presenza non è mai stata gradita e incide sulle condizioni economiche già misere del paese, e nonostante si levino anche voci di dissenso invitanti al dialogo, l’aumento del peso politico di Wirathu e della fazione “estremista” dei monaci buddisti (che hanno tradizionalmente anche un peso politico in Myanmar), non lascia purtroppo presagire sviluppi positivi per la minoranza etnica musulmana del paese.
49http://www.elevenmyanmar.com/index.php?option=com_content&view=article&id=4895:u-‐n-‐and-‐international-‐agencies-‐are-‐fuelling-‐conflict-‐ald&catid=32:politics&Itemid=354
Un’immagine dai colloqui di pace di questi giorni
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SITOGRAFIA: Dei principali quotidiani e delle riviste di approfondimento geopolitico si segnala solo l’homepage per praticità dato l’alto numero di pagine consultate:
-‐ http://temi.repubblica.it/limes/ -‐ http://www.internazionale.it/ -‐ http://www.repubblica.it/ -‐ http://www.corriere.it/ -‐ http://www.lastampa.it/ -‐ http://www.nytimes.com/ -‐ http://www.iht.com/ -‐ http://www.bbc.co.uk/ -‐ http://edition.cnn.com/ -‐ http://thediplomat.com/ -‐ http://www.monde-‐diplomatique.it/ -‐ http://www.economist.com/ -‐ http://www.ispionline.it/ -‐ http://www.bnionline.net/ -‐ http://www.mmtimes.com/ -‐ http://www.dvb.no/ -‐ http://www.elevenmyanmar.com/ -‐ http://www.irrawaddy.org/ -‐ http://www.aljazeera.com/ -‐ http://www.foreignpolicy.com/ -‐ http://www.atimes.com/ -‐ https://www.iiss.org/ -‐ http://www.cesi-‐italia.org/ -‐ http://it.wikipedia.org/ -‐ http://www.ilpost.it -‐ http://www.china-‐files.com -‐ www.asianews.it -‐ www.globalpost.com -‐ http://www.eastonline.eu/it/ -‐ http://www.ilcaffegeopolitico.org/ -‐ www.geopolitica-‐rivista.org -‐ www.notiziegeopolitiche.net -‐ http://www.eurasia-‐rivista.org/ -‐ www.thehuffingtonpost.com -‐ http://www.eastasiaforum.org
Altri link consultati singolarmente:
Investimenti e rapporti con paesi stranieri:
-‐ http://www.dw.de/myanmar-‐china-‐pipelines-‐pump-‐up-‐tension/a-‐16851935 -‐ http://www.china.org.cn/business/2013-‐06/21/content_29188744.htm -‐ http://www.china.org.cn/opinion/2014-‐01/09/content_31137458_2.htm -‐ http://www.china.org.cn/opinion/2013-‐01/23/content_27772083_2.htm
21
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