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Psicologia Psicoterapia e Salute, 2015, Vol. 21, No. 1-2, 35-57. Promuovere l’efficacia della terapia breve in un’ottica di Analisi Transazionale Socio-Cognitiva Carla de Nitto 1 e Maria Luisa De Luca 2 L’articolo mette in luce il valore dell’Analisi Transazionale So- cio-Cognitiva (ATSC) nel promuovere l’efficacia dell’intervento nella psicoterapia breve. 12 All’interno di un modello antropologico umanistico-personalistico si evidenzia come l’ATSC sia una linea-guida nell’analizzare i processi narrativi e quelli che si attuano all’interno della relazione terapeutica e nell’intervenire in modo specifico e mirato sui processi disfunzionali del paziente, potenziando l’efficacia dell’intervento stesso. A partire da una breve rassegna di attuali studi e ricerche sulla psicoterapia breve, si evidenzia come essa costituisca una scelta legata al contesto di for- mazione, consentendo agli allievi del III e del IV anno della Scuola di Specializzazione in psicoterapia di avviare e portare a termine il lavoro con i pazienti del Centro Clinico (CEPI). Vengono brevemente richia- 1 Psicologa, Psicoterapeuta, docente stabilizzato all’Università Pontificia Salesiana a Roma (cattedra di Psicologia clinica e dinamica), Analista Transazionale Didatta e Supervisore, docente nelle scuole di specializzazione SSPC-IFREP, SSSPC-UPS e SSPT-SAPA, membro del LAbora- torio di Ricerca sul Sè e sull’Identità (LARSI) dell’Istituto di Formazione e Ricerca sui Processi Intrapsichici e Relazionali (IRPIR) e Co-Direttore della Rivista Psicologia,Psicoterapia e Salute. E-mail: [email protected] 2 Psicologa, Psicoterapeuta, docente stabilizzato all’Università Pontificia Salesiana a Roma (cattedra di Psicopatologia), Analista Transazionale Didatta e Supervisore, docente nelle scuole di specializzazione SSPC-IFREP, SSSPC-UPS e SSPIG, membro del LAboratorio di Ricerca sul Sè e sull’Identità (LARSI) dell’Istituto di Formazione e Ricerca sui Processi Intrapsichici e Relazionali (IRPIR) e Co-Direttore della Rivista Psicologia,Psicoterapia e Salute. E-mail: [email protected]

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Psicologia Psicoterapia e Salute, 2015, Vol. 21, No. 1-2, 35-57.

Promuovere l’efficacia della terapia breve in un’ottica di Analisi Transazionale

Socio-CognitivaCarla de Nitto1 e Maria Luisa De Luca2

L’articolo mette in luce il valore dell’Analisi Transazionale So-cio-Cognitiva (ATSC) nel promuovere l’efficacia dell’intervento nella psicoterapia breve.12

All’interno di un modello antropologico umanistico-personalistico si evidenzia come l’ATSC sia una linea-guida nell’analizzare i processi narrativi e quelli che si attuano all’interno della relazione terapeutica e nell’intervenire in modo specifico e mirato sui processi disfunzionali del paziente, potenziando l’efficacia dell’intervento stesso. A partire da una breve rassegna di attuali studi e ricerche sulla psicoterapia breve, si evidenzia come essa costituisca una scelta legata al contesto di for-mazione, consentendo agli allievi del III e del IV anno della Scuola di Specializzazione in psicoterapia di avviare e portare a termine il lavoro con i pazienti del Centro Clinico (CEPI). Vengono brevemente richia-

1 Psicologa, Psicoterapeuta, docente stabilizzato all’Università Pontificia Salesiana a Roma (cattedra di Psicologia clinica e dinamica), Analista Transazionale Didatta e Supervisore, docente nelle scuole di specializzazione SSPC-IFREP, SSSPC-UPS e SSPT-SAPA, membro del LAbora-torio di Ricerca sul Sè e sull’Identità (LARSI) dell’Istituto di Formazione e Ricerca sui Processi Intrapsichici e Relazionali (IRPIR) e Co-Direttore della Rivista Psicologia,Psicoterapia e Salute. E-mail: [email protected]

2 Psicologa, Psicoterapeuta, docente stabilizzato all’Università Pontificia Salesiana a Roma (cattedra di Psicopatologia), Analista Transazionale Didatta e Supervisore, docente nelle scuole di specializzazione SSPC-IFREP, SSSPC-UPS e SSPIG, membro del LAboratorio di Ricerca sul Sè e sull’Identità (LARSI) dell’Istituto di Formazione e Ricerca sui Processi Intrapsichici e Relazionali (IRPIR) e Co-Direttore della Rivista Psicologia,Psicoterapia e Salute. E-mail: [email protected]

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mati alcuni elementi centrali dell’Analisi Transazionale Socio-Cogniti-va e, mediante un esempio clinico, illustrate le caratteristiche concrete dell’intervento terapeutico ad essa ispirato.

The article highlights the value of Socio-Cognitive Transactional Analysis, in italian (ATSC) in promoting the effectiveness of the inter-vention in brief psychotherapy.

Within a humanistic-personalistic anthropological model, ATSC is a guideline in analyzing both the narrative processes and those that take place within the therapeutic relationship as well as for the specific and focused clinical intervention on patient’s dysfunctional processes, enhancing the effectiveness of the intervention itself.

From a review of current studies and research on brief psychothe-rapy, it is evident that it constitutes a choice linked to the training con-text, allowing the students of III and IV year of the Postgraduate School in Psychotherapy to start and lead to term clinical work with patients of the Clinical Center (CEPI). In the second part of the article are briefly recalled some key elements of Socio-Cognitive Transactional Analysis and, by means of a clinical example, are described the specific characte-ristics of therapeutic intervention inspired by it.

Introduzione

L’Analisi Transazionale Socio-Cognitiva (ATSC) (Scilligo, 2009) è la nostra cornice di riferimento: mostreremo come tale modello possa essa essere utile per accrescere l’efficacia dei processi terapeutici, in particolare in un’ottica di terapia breve.

Ci focalizzeremo sull’uso clinico dell’ATSC per illustrare come possa essere un’utile linea-guida per orientare l’osservazione dei processi in corso nella relazione terapeutica e nella narrazione del cliente, per fare ipotesi sulla patogenesi del suo disagio attuale, per individuare strategie d’intervento ad esse correlate e per verificare l’efficacia dell’intervento stesso mediante strumenti di analisi dei contenuti e dei processi.

Da più di trent’anni ci occupiamo di formazione alla psicoterapia in varie Scuole3 di specializzazione con una matrice comune nel modello

3 Ci riferiamo alla Scuola Superiore in Psicologia Clinica dell’Istituto di Formazione e Ricer-ca per Educatori e Psicoterapeuti (SSPC-IFREP) a Roma, Cagliari e Venezia, alla Scuola Supe-

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antropologico di base, di tipo umanistico-personalistico. Abbiamo ri-scontrato che è potentemente arricchente promuovere circolarità tra for-mazione, attività clinica e ricerca sui processi e sui risultati: in tal modo gli allievi possono avvalersi di un quadro teorico chiaro che orienti l’in-tervento, mettere in pratica ciò che apprendono ed avere strumenti di indagine quantitativa e qualitativa a supporto del lavoro clinico con le persone e come ausilio nella verifica dell’efficacia dell’intervento. I no-stri allievi del terzo e del quarto anno di specializzazione, infatti, svolgo-no interventi di psicoterapia breve nei Centri Clinici delle Scuole con il modello dell’ATSC, seguendo un percorso guidato e sotto supervisione, con delle persone che accedono al centro clinico della nostra scuola. Qui illustreremo l’attuazione di tale circolarità nella formazione clinica.

Psicoterapia breve: perché?

Una prima ragione è legata alla specificità della formazione, ad una esigenza, cioè, di tipo formativo: vogliamo infatti accompagnare i no-stri allievi nel seguire un certo numero di casi e la “brevità” del percor-so garantisce loro la possibilità di sperimentarsi nell’uso del modello te-orico di riferimento nei tempi di durata della scuola, attuando interventi mirati, calibrati su quel paziente specifico, sul suo problema, con con-tratti chiari e ben definiti. L’intervento “breve” ci consente anche di fare ricerca di esito, puntando a verificare nell’immediato l’efficacia dell’in-tervento dell’ATSC, con strumenti di tipo qualitativo e quantitativo. La nostra scelta della terapia breve non è tanto un’opzione di tipo teorico quanto una scelta funzionale alla realizzazione di obiettivi formativi per i nostri allievi che hanno in questo modo l’opportunità di seguire diver-si pazienti nel corso del terzo e quarto anno di training e di consolidare in questo modo le abilità di base di uno psicoterapeuta efficace. Non intendiamo quindi sminuire in alcun modo la complessità della psico-terapia; per la risoluzione di un disturbo grave, come ad esempio un disturbo di personalità, è ritenuto necessario da molti esperti un tempo

riore di Specializzazione in Psicologia Clinica dell’Università Pontificia Salesiana (SSSPC-UPS) a Roma; più recentemente, alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Transazionale della SAPA a Latina (SSPT-SAPA) e alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Interpersonale e di Gruppo (SSPIG) a Palermo.

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più lungo, non meno di 3-5 anni. L’intervento di psicoterapia breve e la possibilità di seguire per un ciclo completo un numero congruo di pa-zienti durante il periodo della scuola, garantisce che alla fine della loro formazione i futuri psicoterapeuti dispongano delle capacità necessarie ad avviare un cambiamento significativo del paziente e che su questo nucleo solido di competenze possano poi continuare ad affinare la loro capacità di gestire processi terapeutici di medio-lungo termine.

La seconda ragione che ci ha orientati verso la scelta strategica della terapia breve è legata ai significativi dati di ricerca presenti già dagli anni ’80, ad esempio nello studio di Howard et al. (1986), che hanno dato ampio sostegno alla terapia breve come intervento d’elezione rivol-to ad un ampia popolazione clinica. Per molto tempo si è ritenuto che la terapia breve fosse superficiale e che la terapia efficace fosse un processo a lungo termine (ad esempio in uno studio sulla psicoanalisi pubblicato da Voth e Orth nel 1973 si riportava un numero medio di sedute pari a 853). Oggi invece, in molte parti del mondo il sistema sanitario supporta solo terapie brevi. Negli Stati Uniti la psicoterapia breve domina netta-mente il campo al punto che già nell’edizione 2004 del Bergin and Gar-field’s Handbook of Psychotherapy and Behavior Change, al contrario delle edizioni precedenti, i curatori scelsero di non dedicare uno specifico capitolo alle terapie brevi in quanto “Quasi tutte le terapie che vengono studiate (specialmente negli Stati Uniti) sono brevi, di durata inferiore alle 20 sedute” (Lambert, Bergin, & Garfield, 2004, p. 10). Nell’edizio-ne 2013 del manuale (Lambert, 2013) si specifica che studi su terapie lunghe, europei e di ambito psicodinamico, vengono citati nell’apposito capitolo, e sono quindi considerati un’eccezione rispetto al trend generale che si mantiene focalizzato sulle terapie brevi. I primi studi sulla ‘dose’ di trattamento che permettesse un miglioramento significativo (Howard et al., 1986) indicavano che il 75% dei pazienti mostravano buoni risul-tati dopo 26 sedute (formato simile a quello utilizzato nel Centro Clinico delle nostre scuole). Anche studi successivi, che si sono basati sul cam-biamento percepito nelle singole settimane di trattamento, dimostrano un rapido cambiamento iniziale seguito da miglioramenti di minore entità nelle settimane successive (Lambert, 2013): il 50% dei pazienti mostra un cambiamento significativo dopo 13-18 sedute mentre un ulteriore 25% ottiene lo stesso tipo di miglioramento dopo 50 sedute settimanali e

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si può quindi ipotizzare che il restante 25% riguardi pazienti più comples-si, quali quelli con disturbi di personalità, che necessitano di trattamenti di più lunga durata. Dati simili sono stati rilevati anche in Australia, dove il 50% dei pazienti migliorava significativamente dopo 14 sedute e il 70% dopo 23 sedute (Harnett, O’Donovan, & Lambert, 2010) ed è spesso stato verificato il mantenimento dei risultati o addirittura l’ulteriore migliora-mento al follow-up (Anderson & Lambert, 2001); lo studio di Lambert, Hansen e Finch (2001) su 6.000 pazienti riporta, infine, un 50% dei sog-getti che ottiene cambiamenti significativi in 21 sedute.

Nel progettare il nostro percorso formativo ci siamo avvalsi quindi di studi che hanno dato un sostegno forte al fatto che si potesse raggiun-gere una buona efficacia anche con un intervento breve ma vogliamo anche sottolineare, con Lambert (2013) la necessità di rivedere le poli-tiche eccessivamente orientate al trattamento breve, che non si prendo-no cura di quel 50% di pazienti che non migliorano significativamente dopo 13-18 sedute e riteniamo che i nostri allievi possano avvalersi del-la formazione realizzata nel training che contempla un impianto teorico e metodologico adatto a portare avanti terapie a medio-lungo termine con i pazienti che ne necessitano.

Dopo aver evidenziato le due ragioni principali che hanno orien-tato la scelta formativa verso la terapia breve, vogliamo nominare un altro aspetto rilevante nel nostro modello: la centralità dei fattori comu-ni piuttosto che delle tecniche e teorie specifiche e l’importanza della persona del terapeuta come promotore del cambiamento. La ricerca sul risultato e sul processo della psicoterapia conferma costantemente il maggior impatto (globale) dei fattori comuni rispetto ai fattori legati allo specifico approccio psicoterapeutico e questo, a nostro avviso, rap-presenta un aspetto chiave per chi si vuole formare alla luce delle linee filosofiche umanistico-personalistiche.

Tra i fattori più importanti per promuovere l’efficacia della terapia c’è l’Alleanza Terapeutica, un costrutto sul quale come scuola e come laboratorio di ricerca4 abbiamo lavorato molto (De Luca, 1996; 2004;

4 Il LaRSI (Laboratorio di Ricerca sul Sé e l’Identità) è il centro di ricerca fondato da Pio Scilligo, che vede uniti nella collaborazione docenti della SSPC-IFREP e della SSSPC-UPS, in stretta collaborazione con l’Istituto di Formazione e Ricerca sui Processi Intrapsichici e Relazion-ali (www.irpir.it).

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Scilligo & De Luca, 1997). Sintetizzando i dati più significativi che sono emersi da decenni di ricerca l’alleanza spiega una parte signifi-cativa dell’efficacia della terapia ed è rilevabile già dalle prime sedute; questo, come afferma Lambert (2013), ha una ricaduta importante an-che nella formazione in psicoterapia: “I dati sull’alleanza rafforzano gli argomenti a favore dei fattori comuni come mediatori principali del cambiamento e questo fatto deve essere riconosciuto dagli organismi che sviluppano le linee guida per il trattamento, i programmi di for-mazione e similari. Imparare a coinvolgere il cliente in un processo di collaborazione è più determinante ai fini dell’esito positivo di quanto lo sia il tipo di processo (teoria del cambiamento) utilizzato” (versione elettronica, pos. 8480).

Nel nostro protocollo rileviamo l’alleanza con diversi strumenti5 e sia dal punto di vista del terapeuta sia dal punto di vista del paziente dalla 9° seduta (su 25 totali). Inoltre anche il terapeuta in formazione che svolge il ruolo di osservatore, rileva la qualità della relazione tera-peutica. Il dato sull’alleanza è importante per monitorare come si sta avviando la relazione terapeutica e apportare gli opportuni correttivi grazie al processo di supervisione.

Anche nei nostri studi è emerso che lo stabilirsi di una valida allean-za è molto legato al livello di integrazione personale raggiunto dal tera-peuta (De Luca, 2004). Questo ha un chiaro riflesso sulla formazione: nel nostro percorso formativo è previsto il lavoro di terapia personale, individuale e di gruppo. Una valida alleanza si concretizza in transa-zioni Terapeuta-Paziente caratterizzate da transazioni efficaci, impron-tate dalle dimensioni Libertà e moderati livelli di controllo amorevole (Henry & Strupp, 1994); queste transazioni sono quelle tipicamente riscontrate nell’agire dei terapeuti meglio integrati a livello persona-le. Dai nostri dati risulta infatti che i terapeuti con un buon livello di integrazione personale sono in grado di interagire in maniera efficace e promuovere una valida alleanza affettiva e di lavoro con vari tipi di pazienti, sia nel breve che nel lungo termine; essi non rimangono ag-

5 L’Alleanza viene rilevata, dalla prospettiva del terapeuta e del paziente, sia attraverso l’Help-ing Alliance Questionnaire (Alexander & Luborsky, 1986) nell’adattamento italiano a cura di De Luca e Scilligo (De Luca, 1996), sia attraverso il sistema SASB della Benjamin (ANINT- D della relazione Terapeuta-Paziente).

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ganciati dalle modalità transazionali disfunzionali che il paziente può proporre (De Luca, 2004).

I presupposti antropologici di base

Prima di avviarci alla descrizione del modello teorico di riferimento della nostra Scuola di Psicoterapia, diamo un accenno al modello an-tropologico di base, umanistico-personalistico (Scilligo, 2009, 61-87).

In questa ottica la persona è il centro di qualsiasi intervento psicolo-gico mentre i modelli teorici sono solo uno strumento al servizio della persona stessa, volti ad individuare la natura del suo disagio e a fornire chiavi di lettura che ne orientano la risoluzione; il paziente è “l’esperto” rispetto alla unicità della propria esperienza.

La persona è considerata libera dai condizionamenti genetici e con-testuali ed ha possibilità di dialogare con questi, di scegliere e di rispon-dere creativamente, è agente e responsabile. Il potere del cambiamento è nella persona, non nello psicoterapeuta. La relazione stessa, la rela-zione reale tra terapeuta e paziente, è fondamentale nella promozione del cambiamento, ma richiede che il terapeuta sia genuinamente pre-sente e si muova da una posizione esperienziale integrata e congruente con se stesso, in qualità di facilitatore di processi funzionali ed efficaci.

La persona è essenzialmente relazionale, pertanto la relazione e la qualità delle relazioni sono centrali per la comprensione della natura del disagio psichico e centrali nella risoluzione dello stesso. È consi-derata in più dimensioni articolate fra loro, individuale ed esistenziale, con il suo proprio sistema di valori, anche di natura spirituale, sociale e culturale; pertanto è fondamentale la dialettica che la persona stessa costruisce con il suo ambiente, fisico ed interpersonale, in senso lato.

Il benessere della persona si fonda sulla consapevolezza delle pro-prie condizioni esistenziali, per cui ciascuno tiene in considerazione la propria libertà personale e quella degli altri, la limitatezza delle risorse possibili, realtà come la sofferenza, la morte stessa. È nel fare respon-sabilmente i conti con queste ed altre dimensioni significative dell’esi-stere che la persona scopre e realizza il proprio ben-essere (de Nitto, & Messana, 2008; Bianchini & de Nitto, 2012).

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L’ATSC guarda alla persona nelle sue diverse prospettive, intrapsichi-ca, interpersonale, in un’ottica intersoggettiva e socio-culturale, con una grande attenzione al contesto interpersonale ai fini di comprendere e dare senso alla realtà psicologica del singolo, in quanto essere relazionale.

Gli assunti del nostro modello antropologico costituiscono la tela dentro cui tessiamo i concetti teorici del nostro modello integrato, un modello che fa proprio alcuni dei concetti portanti della teoria dell’AT, del modello esperienziale, di quello interpersonale e di quello psicodi-namico relazionale, avendo come filo conduttore una teoria della moti-vazione di carattere relazionale.

Processi, concetti chiave e strumenti dell’Analisi Transazionale So-cio-Cognitiva6

Quali i processi che analizziamo usando l’ATSC? Sia quelli inter-personali che quelli intrapsichici. Tra i primi consideriamo i processi che la persona attua nelle sue relazioni con gli altri, quelli di cui ci parla nella situazione clinica, sia quelli in corso nella stessa relazio-ne terapeutica, di cui facciamo direttamente esperienza e che ci coin-volgono direttamente. Tra i processi intrapsichici includiamo invece i diversi modi con cui noi osserviamo che la persona tratta se stessa, i suoi processi autoriflessivi, che talora manifesta sotto forma di con-flittualità verso sé, talora di trascuratezza o qualsiasi modalità emerga nella relazione della persona con se stessa. La lettura combinata di tali processi ci consente di organizzare e comprendere la molteplicità dei linguaggi espressivi (de Nitto, 2006, 115-138) del cliente. Attraverso il modello dell’ATSC siamo in grado di esaminare i suddetti processi de-codificandoli mediante strumenti ad hoc. Ci avvaliamo, nello specifico, del modello di codifica dello strumento Structural Analysis of Social Behaviour (SASB) (Benjamin, 1979; 1999) in italiano definito Analisi Strutturale del Comportamento Interpersonale (ASCI) (Scilligo, 1993) che l’ATSC usa come modello per descrivere gli stati dell’Io. L’alle-namento a leggere la narrazione del cliente e i processi relazionali e intrapsichici secondo le dimensioni del modello consente di avere delle

6 Per una dettagliata analisi del modello, si rimanda a Scilligo, 2009.

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lenti di osservazione che guidano la comprensione della narrazione del cliente in un’ottica processuale e di effettuare interventi mirati, modu-lati in modo specifico sulla persona stessa.

Tra i concetti-chiave dell’Analisi Transazionale c’è quello di stato dell’Io e Pio Scilligo (2009) con l’ATSC ha voluto favorire il collega-mento tra la teoria clinica dell’AT con i modelli contemporanei della mente, certamente ben diversi da quelli di cui disponeva Berne al tempo della creazione della teoria e sulla cui base fondava la distinzione tra aspetti strutturali e funzionali della mente, distinzione oggi poco soste-nibile (De Luca & Tosi, 2012; Giordano, 2012; Allen, 2014; Tosi, De Luca & Messana, 2014). La ridefinizione del concetto di stato dell’Io operata dall’ATSC mira da una parte ad allineare il costrutto con i mo-delli neurobiologici contemporanei e dall’altra ad agganciarlo, a livello descrittivo, con il modello SASB per operazionalizzarlo e facilitare così la ricerca.

In ATSC definiamo quindi gli stati dell’Io come schemi mentali e comportamentali che sono in gran parte interiorizzati a partire dai pro-cessi interpersonali vissuti sia nel passato sia nel presente, sottolinean-do in particolare il ruolo delle relazioni di attaccamento. Gli stati dell’Io sono definiti quindi come schemi di natura processuale (sottolineando quindi la distanza dai modelli di tipo strutturale) su cui si basano le rappresentazioni di sé, dell’altro e della loro relazione (in modo simile al concetto di MOI) e che viene a costruirsi come una ‘rete schemati-ca’ (Schemi Sé-Altro) che viene di volta in volta attuata (esemplata) in modi di ‘essere’ (stati dell’Io) osservabili (Scilligo, 2009).

Il modello SASB della Benjamin ha ispirato molta ricerca sui pro-cessi relazionali ed intrapsichici, grazie a superfici cartesiane costruite dalle due dimensioni ‘Affiliazione’ e ‘Interdipendenza’ dove vengono mappati i comportamenti interpersonali e i vissuti e le rappresentazioni del sé in modo tale da poter rappresentare graficamente i vari atteg-giamenti della persona nella relazione con l’altro e con se stessa. Per una sintetica analisi delle superfici con le quali si descrive la relazione interpersonale (inclusa la relazione terapeutica) e la relazione con sé (livello intrapsichico) rimandiamo al contributo di Bianchini e Cerido-no in questo numero. Questo stesso modello è stato utilizzato in varie prospettive, come ad esempio anche da Greenberg per analizzare det-

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tagliatamente il processo di risoluzione delle scissioni nel ‘lavoro delle due sedie’ (Greenberg & Webster, 1982) a da Safran e Muran (2003) per descrivere la costruzione, rottura e riparazione dell’alleanza.

Uno dei punti di forza del SASB, e quindi dell’ATSC, è quello di fa-cilitare il collegamento tra i processi relazionali (inclusi quelli attuati in terapia), analizzati transazione per transazione, e i pattern relazionali in-teriorizzati a partire dalle relazioni di attaccamento e attuati anche in rela-zione a se stessi. Il valore di queste connessioni non è solo diagnostico ma anche terapeutico: analizzando questi pattern facilitiamo gli psicoterapeuti in formazione ad usare strategicamente la relazione terapeutica in modo da poter essere trasformativa anche del modo in cui il paziente tratta se stesso, processo complesso ma attuabile anche in un contesto di terapia breve.

Le dimensioni suddette ci consentono di individuare e descrivere i tre stati dell’Io, che Berne ha distinto in Genitore, Adulto e Bambino. Noi individuiamo come processi centrali di ciascuno degli stati dell’Io: per il Bambino la creatività, per il Genitore la normatività e per l’Adul-to l’analisi e la descrizione della realtà. In Analisi Transazionale (AT) classica gli stati dell’Io sono diagrammati come nella fig. 1.

Fig. 1 – Rappresentazione grafica degli stati dell’Io secondo Berne: G = Genitore, A = Adulto, B = Bambino

Nell’ATSC invece come nella fig. 2: in ciascuno dei quattro quadranti definiti dall’incrocio della dimensione affiliazione con quella dell’Inter-dipendenza possiamo identificare ciascuno dei tre stati dell’Io, distribuiti progressivamente, dall’asse dell’Affiliazione a quella dell’Interdipenden-za, secondo il seguente ordine: il Bambino, l’Adulto e il Genitore, tenen-

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do conto delle diverse fasce evolutive (Mahler, Benjamin). Pertanto, de-scrivendo la fig. 2 in senso antiorario, possiamo identificare come Liberi il Genitore, l’Adulto e il Bambino caratterizzati da Libertà amorevole – e indicano la capacità della persona di individuarsi e di stare in contatto benevolo con se stesso - ; come Protettivi il Bambino, l’Adulto e il Geni-tore caratterizzati da Controllo amorevole – e indicano la capacità della persona di stare in contatto con le realtà fisica ed interpersonale, tenendo conto dei vincoli da esse derivanti - ; come Critici il Genitore, l’Adulto e il Bambino caratterizzati da Controllo ostile – per cui la persona tende ad imporsi normativi non dialogici, imperativi di natura critica - ; ed infine come Ribelli il Bambino, l’Adulto e il Genitore caratterizzati da Libertà ostile – che implica, infine, la non capacità di stare in contatto armonioso con sé, dandosi, appunto, una libertà ostile.

Fig. 2 – Rappresentazione degli stati dell’Io in ATSC: in ciascun quadrante, accanto alle sigle G, A e B, ci sono le iniziali degli aggettivi che lo caratterizzano, sulla base delle due dimensioni (Affiliazione e Interdipendenza): Libero, Protettivo, Critico e Ribelle

Il profilo del benessere psicologico si caratterizza con la prevalenza degli stati dell’Io Liberi e Protettivi rispetto a quelli Critici e Ribelli; più specificamente con livelli medio-alti dell’Adulto e Bambino Liberi

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e Protettivi, medio-bassi del Genitore Libero e Protettivo e bassi degli altri stati dell’Io, Critici e Ribelli (de Nitto, Messana, 2008; de Nitto, C., Messana, C (in preparazione) Scilligo, 2009). La familiarità con il modello promuove il riconoscimento degli stati dell’Io prevalenti nella realtà clinica, serve a spiegarci la natura del disagio e ad intervenire in modo specifico, monitorando l’effetto dell’intervento.

Questi principi teorici, se applicati con sistematicità nel processo terapeutico, potenziano l’efficacia dell’intervento breve: i dati degli studi condotti nei CePI dimostrano un buon livello di efficacia delle psicoterapie brevi condotte dagli allievi del terzo e quarto anno di spe-cializzazione (Ceridono & Bastianelli, 2013). I dati relativi a pre e post intervento terapeutico mostrano infatti un significativo aumento della presenza degli stati dell’Io caratterizzati da affettività positiva e da li-velli ottimali di interdipendenza e un abbassamento significativo degli stati dell’Io caratterizzati da affettività negativa e livelli disfunzionali di interdipendenza (Ceridono & Viale, 2013).

Dalla teoria alla pratica: un esempio clinico7

Prima di fare un esempio clinico per illustrare l’utilizzo dell’ATSC nella pratica clinica, mettiamo in luce la centralità della relazione te-rapeutica. In altra sede (de Nitto, 2010) si è evidenziato il potere della relazione terapeutica ai fini del cambiamento, identificando il valore di partire dai dati osservativi, per leggerli all’interno di una cornice teo-rica di riferimento al fine di comprenderne il significato e promuovere il cambiamento nella direzione desiderata e concordata con il paziente stesso. Ciascuna delle due persone che interagiscono nella relazione contribuisce alla costruzione dei processi emergenti nel qui ed ora.

L’ATSC ci guida nella lettura dei processi intrapsichici e interper-sonali usando il modello SASB e le sue dimensioni, avvalendoci anche di una lettura del contesto che serve come cornice essenziale per poter esaminare i dati processuali in corso. Considerando l’ottica interperso-nale ed intersoggettiva, ogni persona in interazione con l’altra esprime se stessa, comunica con l’altro, talora in modo implicito, rivela se stessa

7 Questo paragrafo è una parziale rielaborazione di: De Luca & de Nitto (2012).

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rispondendo ad un soggetto “presente” (Stern, 2005) in relazione a chi è davanti, anche in assenza di una storia tra le due persone. Con l’ATSC possiamo leggere i vari processi intersecantesi nella relazione clinica ed identificare le dinamiche intrapsichiche e quelle interpersonali in modo mirato, per intervenire efficacemente. La complessità nella lettura dei processi aumenta se consideriamo anche l’analisi del contesto ed i pro-cessi personali di ciascuno dei due soggetti interagenti nella relazione clinica: mentre il terapeuta e il cliente si relazionano all’interno del set-ting clinico, potrebbero attivare aspetti transferali e controtransferali, connessi alle loro rappresentazioni interne.

Facciamo un esempio tratto dalla pratica clinica per mostrare come la lettura dei processi osservabili in una relazione clinica alla luce dell’A-TSC ci guidi nella comprensione del problema della persona e nell’in-tervenire in modo mirato, promuovendo l’efficacia dell’intervento tera-peutico. Useremo un livello di analisi di tipo micro-processuale, e non daremo elementi relativi ad un inquadramento diagnostico classico né ad un’esplorazione di tipo anamnestico, dato il nostro scopo: individuare gli stati dell’Io in azione nella narrazione del cliente e nei processi inter-personali ed intrapsichici emergenti, per promuovere l’attivazione degli stati dell’Io Liberi e Protettivi, specialmente dell’Adulto. I trascritti, assai brevi, ci consentiranno di esaminare i processi in corso e di vagliare l’ef-ficacia di un intervento focalizzato alla luce dell’ATSC.

Una giovane donna di 30 anni, in un percorso terapeutico da pochi mesi, si rivolge al terapeuta dicendo: “Sono confusa, con mia madre è la solita storia!” E racconta, con sottile auto-biasimo, di una recente conversazione con la madre, finita male, “Come al solito!”.

Esaminiamo insieme alcune frasi della conversazione tra la madre e la figlia riportate in seduta, estrapolando poi dai vari contenuti alcuni processi chiave del loro modo di relazionarsi.

La madre dice, con tono arrabbiato:

“È tutta colpa tua se non riesco ad usare il mio nuovo pc!” La figlia, mortificata, risponde: “Ma io ho cercato di aiutarti!”.

Leggiamo questo scambio comunicativo, codificandolo con il SASB (fig. 3).

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• La madre si pone in modo ostile verso la figlia, attaccandola e criticandola (Controllo ostile).

• La figlia, con la sua risposta tesa a giustificarsi, risponde dallo stes-so quadrante, mostrando quindi una risposta complementare che mantiene la comunicazione stagnante, con il predominio, da parte di entrambe, di Controllo ostile, e cioè di stati dell’Io Critici.

Fig. 3 – Gli stati dell’Io nell’interazione recente tra madre e figlia

La qualità dello scambio comunicativo nel rapporto interpersonale tra madre e figlia, nell’esempio riportato, può essere per il terapeuta non solo informativa sulla qualità dei processi interattivi in corso con la madre, che costituiscono per la paziente fonte di disagio, ma anche oc-casione per promuovere nuova crescita e benessere della persona, me-diante un’esperienza antitetica a quella del Controllo ostile, stimolando la stessa ad una esplorazione libera, nella relazione terapeutica. Pertan-to, con tale intento, osserviamo il seguente scambio comunicativo:

La terapeuta chiede alla paziente: “Cosa senti tu mentre mamma ti dice questo?”. E la paziente risponde:

49Promuovere l’efficacia della terapia breve

“Ehm … rabbia dentro (con tono secco), …. (e velocemente e a bassa voce) ma mi sento in colpa per questo. Non devo arrabbiarmi con mia madre, lei ha bisogno, ha sempre avuto bisogno!”.

Rileggiamolo con l’ATSC, focalizzandoci prima sui processi inter-personali (tra terapeuta e paziente) per poi focalizzarci sui processi in-trapsichici, identificando il dialogo interno che la persona esplicita nella sua narrazione, in risposta alla terapeuta (fig. 4).

Fig. 4 – Gli stati dell’Io nell’interazione con il terapeuta

• La terapeuta, con la sua domanda sul vissuto emozionale, stimo-la la paziente all’esplorazione di sé – stimola, cioè, il quadrante Libero.

• La paziente le comunica pensieri e sentimenti, quindi si esprime in libertà – rispondendo dal quadrante Libero.

• Dal contenuto dell’ultima frase della paziente rileviamo il suo dia-logo interno: ancora una volta riscontriamo che la paziente tratta se stessa con Controllo ostile, si incolpa e si biasima per la sua mancata adesione a normativi interni di contenuto critico (Controllo ostile).

I processi relazionali con il terapeuta

stimola l’esplorazione di sé

50 Carla de Nitto e Maria Luisa De Luca

Dal breve scambio comunicativo con la terapeuta possiamo osser-vare quindi che lo stimolo dato con l’intervento antitetico di promuo-vere lo spostamento da una posizione Critica, percepita nel rispondere alla madre, a quella Libera è stato effettivamente efficace: la persona, infatti, si manifesta nella relazione interpersonale con la terapeuta, in modo aperto. Tuttavia rileviamo come sia facile per la stessa pazien-te richiamarsi, nel dialogo con se stessa, all’auto-biasimo (quadrante Critico): mostra la sua conclusione critica rispetto a se stessa, facendo peraltro riferimento alla sua storia di relazione con la madre, in cui è lei che si “deve” prendere cura del bisogno della madre, mettendo da parte il proprio vissuto (Non devo arrabbiarmi), lasciando ipotizzare un ap-prendimento di tale schema relazionale nel passato, che ora ricorre nel qui ed ora. Pertanto, a partire da tale ipotesi e con l’intento di ampliare la consapevolezza adulta della paziente, al fine di poter scegliere come muoversi nel presente, la terapeuta avvia l’esplorazione riguardo alla storia con la madre nel passato, con l’intento di dare senso ai dati emersi nel contenuto, per stimolare, da una posizione amorevole, la riflessione su di sé della paziente stessa. E l’interazione tra terapeuta e paziente continua così:

La terapeuta (con tono accogliente) avvia l’esplorazione del conte-sto interpersonale infantile, chiedendo specificità:

“A cosa ti riferisci? Che cosa succedeva con lei quando eri piccola? Prendi un esempio.”

La paziente, commossa e in contatto con sé, inizia a raccontare di una situazione in cui lei aveva 6 anni:

“Rivedo mia madre sola e molto depressa, presa dal suo dolore per la perdita di sua madre”. E racconta di come ella si incapacitasse nella cura della casa e, senza neppure chiedere, si aspettasse che fosse lei (la paziente) a badare a tutto, ai fratelli di poco più piccoli di lei. “E lo pretende, con urla e rimproveri. Ma non è mai abbastanza!”.

E continua: “Giorno dopo giorno, cerco di darle supporto, di pen-sare a tutto ciò che avrei potuto fare per alleviarle qualsiasi peso. Ma qualsiasi tentativo non è mai efficace: lei è lì nel letto, inerte, totalmen-te in preda delle sue fantasie. Ed io …. sempre più confusa … sommersa da tanta responsabilità”.

51Promuovere l’efficacia della terapia breve

Effettivamente il nuovo racconto evidenzia uno schema ripetuto in cui si coglie la complementarietà tra madre e figlia. Più specificamente (fig. 5):

• La madre persa nelle sue fantasie, in un contesto che invece ri-chiederebbe cura (la madre è in casa con tre bambini piccoli, di cui la paziente è la più grande); la madre quindi, si prende una libertà ostile e tratta la figlia con trascuratezza (quadrante Ri-belle); inoltre pretende che la figlia si occupi dei fratellini senza accontentarsi mai, trattandola con Controllo ostile, e imponendo un fardello sproporzionato alle possibilità di un bambino.

• La figlia si sente confusa, cerca sollievo dalle critiche nella fan-tasia (Libertà ostile), rispondendo in modo complementare alla madre trascurante. Inoltre risponde in modo complementare alle urla e alle pretese materne cercando di adattarsi e aderire come può ai suoi normativi impossibili da raggiungere (Controllo osti-le) e sperimentando impotenza.

• Inoltre nel rapporto con se stessa si sente impotente, si attacca e si incolpa, imponendosi rigidi e impossibili normativi (si control-la in modo ostile – processo intrapsichico).

Fig. 5 – Gli stati dell’Io Relazionali della madre e della figlia nel passato e gli stati dell’Io Sé (Introietto) della figlia

52 Carla de Nitto e Maria Luisa De Luca

L’intervento terapeutico relativo all’esplorazione del passato ha ef-fettivamente confermato l’ipotesi, e ha consentito di individuare non solo la complementarietà nella relazione tra madre e figlia ma anche il “processo di copia” (Benjamin, 1999) con la madre: l’“introiezione”, quando tratta sé come la madre la trattava (AC, GC), mantenendo così la prossimità psichica con una madre trascurante e estremamente ri-chiedente.

Abbiamo visto come l’ATSC sia stata una preziosa guida all’osser-vazione e alla comprensione dei fenomeni interpersonali in corso nella relazione clinica e una guida all’intervento, avendo una cornice teorica del disagio psichico che coglie la stretta interrelazione della problema-tica attuale in riferimento agli schemi di relazione costruiti nel tempo ai fini di mantenere la prossimità psichica con le figure di attaccamento.

In questa situazione tale cornice teorica è stata utile per dare sen-so, nella relazione clinica, all’iniziale “confusione” della paziente nel parlare di un recente “incidente” relazionale con la madre, conclusosi come al solito, con suo auto-biasimo, nel ripetere “sempre la stessa sto-ria”. Mediante questa breve esplorazione, che parla di una relazione terapeutica solida, è la stessa paziente a dar senso e a riflettere sulla propria storia, emotivamente in contatto con la sua stessa esperienza. Inizia a cogliere come la sua soluzione di adattamento rabbioso (con l’attivazione di uno stato dell’Io Adulto Critico) sia il risultato di una “valutazione” che teneva conto del suo obbligo interno (l’attivazione del suo Genitore Critico) nel rispondere alle richieste smodate della madre (che si proponeva con lei attivando il proprio Genitore Critico), e della sua rabbia nel vivere tale attacco.

A questo punto la terapeuta stimola la paziente a riesaminare l’inci-dente con la madre di oggi, che era il punto di partenza dell’incontro, alla luce di questa più ampia cornice di riferimento (fig. 6):

“E oggi? Qual è la situazione? Chi ha comprato quel nuovo stru-mento tecnologico, il nuovo pc?”.

E la paziente, riflettendo sull’esperienza, recupera l’informazione adulta sui fatti dando una nuova definizione dei fatti:

“Ah, lei! E io, a ripensarci, ho fatto il possibile per spiegarle come funzionava ‘sto strumento! La sua è una pretesa assurda!”.

53Promuovere l’efficacia della terapia breve

La terapeuta a questo punto stimola il contatto con la sua espe-rienza emozionale per verificare l’impatto di questa nuova lettura dei dati su di lei e la paziente, in contatto con sé, si esprime sentendosi sollevata!

Fig. 6 – Gli stati dell’Io del terapeuta e della paziente nell’interazione descritta

L’esempio mostra come la terapeuta, attraverso l’uso di stati dell’Io antitetici rispetto a quelli usati dalla paziente, promuova l’atti-vazione di stati dell’Io che la persona ordinariamente non utilizzava, favorendo come in questo caso una rapida “decontaminazione”. Le virgolette stanno a significare l’utilizzo di un termine che richiama l’ottica strutturale, coerente con la concezione dell’AT classica ma non in linea con la prospettiva processuale dell’ATSC. Il puntare sulle dinamiche interpersonali per la promozione del cambiamento è un punto essenziale nel lavorare con i pazienti, nel rispetto della loro capacità di pensare, di decidere e di cambiare, coerentemente con i presupposti filosofici dell’AT.

Stimola l’esplorazione di sé pensieri

54 Carla de Nitto e Maria Luisa De Luca

Conclusione

I principi di complementarietà e di antitesi tipici del modello ASCI sono stati applicati dalla Benjamin nella terapia ricostruttiva interper-sonale dei disturbi di personalità (Benjamin, 1999; 2004) e utilizza-ti dall’ATSC all’interno della cornice teorica analitico-transazionale. L’applicazione sistematica di questi principi all’interazione terapeu-ta-paziente può arrivare a modificare, nel medio e lungo termine, un introietto distruttivo nel paziente; certamente il processo sarà piuttosto lungo nei casi di disturbi di personalità gravi, ma abbiamo citato prece-dentemente i buoni risultati ottenuti nei nostri centri clinici anche nella terapia breve.

Abbiamo documentato e verifichiamo costantemente, nel processo formativo degli allievi nelle nostre Scuole di Specializzazione, la rea-lizzazione del cambiamento attraverso una relazione terapeutica siste-maticamente ispirata alla realizzazione della complementarietà positiva e strategicamente ispirata allo sviluppo degli stati dell’Io correlati al benessere psicologico. I terapeuti si pongono in modo antitetico ai pro-cessi disfunzionali dei pazienti piuttosto che rimanervi agganciati, arri-vando così a promuovere il cambiamento negli schemi che la persona usa per gestire se stessa e la relazione con l’altro.

Il paziente, nel tempo, è sempre più in grado di operare scelte libere e autonome, coerentemente con l’approccio umanistico-personalistico che fonda l’ATSC.

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