Prometeo cyborg - Carocci

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46 L’ECO DI BERGAMO DOMENICA 18 MARZO 2018 Domenica Cultura Prometeo cyborg Chimera proiettata nel futuro high-tech Frankenstein / 1. Francesca Guidotti, anglista: «È un personaggio che appartiene come pochi altri alla cultura alta e alla cultura di massa. Il romanzo, pur nella sua linearità, è vicino al mondo del web, almeno in senso prospettico» VINCENZO GUERCIO A pochissimi personaggi della letteratura fanta- stica è toccata una così straordinaria fortuna in termini di riprese, rivisitazio- ni, citazioni, in ambito lettera- rio, cinematografico, televisivo, internautico, e nelle chiavi più varie: orrorosa, fantascientifica, drammatica, elegiaca, parodi- stica. Duecento anni fa, nel 1818, usci- vano, anonimi, a Londra, i tre volumi di Frankenstein. Inizial- mente nessuno voleva credere che una simile opera, presto de- stinata a diventare best seller, classico, ipotiposi universale, fosse opera di una donna, Mary Shelley, moglie del poeta ro- mantico Percy B. Shelley. Opera in cui arcanamente, inestrica- bilmente si intrecciano miti, fa- vole, suggestioni, paure ance- strali, metastoriche e, insieme, storicissime: mistero della crea- zione, terrore dell’incontrolla- bilità della scienza, della rivolta della macchina, della creatura contro il creatore, secolare labo- ratorio dell’automa, umanoide, robot, replicante, cyborg, soli- tudine del titano, ambiguità/re- versibilità delle categorie etiche di Bene e Male. Di letteratura fantascientifica anglosassone, libro della Shelley compreso, è specialista France- sca Guidotti, docente di Lettera- tura inglese all’Università di Bergamo («Cyborg e dintorni. Le formule della fantascienza», Sestante, 2003). Professoressa, quali sono le ragioni della «modernità»-«archetipicità» del testo? «Frankenstein è un classico sempre attuale, un’opera dalle mille vite che, come poche altre, appartiene tanto alla cultura al- ta che a quella di massa. In prin- cipio la critica la accoglie sfavo- revolmente, ma il suo successo commerciale è immenso. Cin- que anni dopo il romanzo viene ripubblicato sotto il nome del- l’autrice in Francia, dove era già stata diffusa una sua traduzione, e poi nel 1831 viene scelto dal- l’editore Bentley per la serie de- gli Standard Novels, dove appa- re in forma emendata e con una nuova introduzione». Perché tanta attenzione alle prefa- zioni? «Figlia di due pensatori radicali, William Godwin e Mary Wol- lstonecraft, Mary sa che da tem- po circola una voce insistente: quel romanzo gotico non può essere stato scritto da una don- na e andrà quindi attribuito a suo marito, il poeta romantico P.B. Shelley, l’uomo con cui è fuggita giovanissima sfidando la disapprovazione paterna. Per- ciò, nell’introduzione del 1831, si dice “molto restia a dare alle stampe le […] [sue] vicende per- sonali”, ma comunque consape- vole della necessità di risponde- re alla domanda che le viene posta “così di frequente: ovvero, come abbia potuto allora una ragazza così giovane arrivare a concepire e ad elaborare un’idea così agghiacciante”. Le prefa- zioni – quella del 1818 (successi- vamente attribuita al marito) e quella del 1831 – vengono frap- poste a mo’ di scudo tra l’autore e il testo, a testimonianza di un L'INTERVISTA GIULIO GIORELLO. Docente di Filosofia della scienza all’Università di Milano «Siamo già arrivati al Frankenfood» GIULIO BROTTI «T i ho chiesto io, Creatore, dal fan- go / di farmi uo- mo? Ti ho solleci- tato io / a trarmi dal buio?». I versi incuiAdamopiangelapropriacon- dizione dopo lo caduta, nel Paradi- so perduto di John Milton (1667), furono riportati da Mary Shelley sotto il titolo del suo Frankenstein, o il moderno Prometeo. Secondo GiulioGiorello,ordinariodiFiloso- fia della scienza all’Università di Milano, «il protagonista del ro- manzo prende appunto a modello il titano Prometeo, che secondo il mito greco aveva plasmato l’uomo dal fango. Victor Frankenstein si prefigge a sua volta di animare una creatura umanoide, assemblata con parti di cadaveri: subito dopo aver realizzato il progetto, però, lo scienziato ripudia la propria crea- zione. Forse è proprio questo l’ele- mento più significativo e inquie- tante del racconto». Quello che siamo abituati a chiamare «il mostro» è una creatura sofferen- te, portata a ribellarsi perché il suo artefice, per primo, l’ha respinta? «Da questo punto di vista, il Frankenstein di Mary Shelley si presta a una lettura di tipo “teolo- gico”, anche se in una forma deci- samente eterodossa. Nel roman- zo, la creatura impara a leggere, da autodidatta, su alcuni libri che ha rinvenuto in una sacca da viag- gio, abbandonata in un bosco: tra questi, insieme a un volume delle Vite di Plutarco e a I dolori del giovane Werther di Goethe, c’è appunto il Paradiso perduto di John Milton, un poema in cui si racconta la caduta dal cielo di Satana, dopo che si è ribellato a Dio, ma anche la cacciata di Ada- mo e di Eva dal giardino del- l’Eden». Nel 1818 fu pubblicata la prima edi- zione di «Frankenstein, o il moderno Prometeo». Due anni dopo il marito di Mary, il poeta Percy Bysshe Shel- ley, diede alle stampe il dramma in versi «Prometeo liberato», in cui il titano può infine lasciare la rupe a cui era stato incatenato, come puni- zione per aver sottratto il fuoco agli dèi. In quale rapporto sono queste due opere dei coniugi Shelley? «Non stabilirei una gerarchia di valore tra i due testi, entrambi bel- lissimi: il Prometeo liberatoespri- me una potente attitudine creati- va, mentre nel Frankenstein que- sta energia tende ad assumere un aspetto distruttivo, con la creatura che si vendica del suo artefice col- pendo le persone a lui più care. Ai delitti segue però il pentimento; il mostro annuncia, nelle ultime pagine del libro, che intende met- ter fine alla sua esistenza tramite un fuoco purificatore: “Brucerò fino alla cenere questo corpo mi- serevole, così che i suoi resti non siano di aiuto a qualche altro di- sgraziato curioso e sacrilego che voglia creare un altro essere come me”. Si può osservare, a titolo di curiosità, che quest’autoimmola- zione dovrebbe avvenire al Polo Nord, dove oggettivamente non è facile trovare il legname per una pira funeraria…». Il sogno di infondere la vita nella materia inerte aveva già ispirato le leggende dell’«homunculus» di Pa- racelso o del Golem di Praga. La cre- atura del «Frankenstein», però, ha avuto un successo letterario e cine- matografico senza precedenti. «Tra i moltissimi libri pubblicati per il bicentenario del romanzo di Mary Shelley, ne ho appena letto uno, edito da Carocci, che mi pare rRZSEerdH/M2xgKAjkDYXUDDw76BL1V+2n1W4ydpG/c=

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46 L’ECO DI BERGAMO

DOMENICA 18 MARZO 2018

Domenica Cultura

Prometeo cyborgChimera proiettata nel futuro high-techFrankenstein / 1. Francesca Guidotti, anglista: «È un personaggio che appartiene come pochi altri alla cultura alta e alla cultura di massa. Il romanzo, pur nella sua linearità, è vicino al mondo del web, almeno in senso prospettico»

VINCENZO GUERCIO

Apochissimi personaggidella letteratura fanta-stica è toccata una cosìstraordinaria fortuna

in termini di riprese, rivisitazio-ni, citazioni, in ambito lettera-rio, cinematografico, televisivo,internautico, e nelle chiavi piùvarie: orrorosa, fantascientifica,drammatica, elegiaca, parodi-stica. Duecento anni fa, nel 1818, usci-vano, anonimi, a Londra, i trevolumi di Frankenstein. Inizial-

mente nessuno voleva credereche una simile opera, presto de-stinata a diventare best seller,classico, ipotiposi universale,fosse opera di una donna, MaryShelley, moglie del poeta ro-mantico Percy B. Shelley. Operain cui arcanamente, inestrica-bilmente si intrecciano miti, fa-vole, suggestioni, paure ance-strali, metastoriche e, insieme,storicissime: mistero della crea-zione, terrore dell’incontrolla-bilità della scienza, della rivoltadella macchina, della creaturacontro il creatore, secolare labo-

ratorio dell’automa, umanoide,robot, replicante, cyborg, soli-tudine del titano, ambiguità/re-versibilità delle categorie etichedi Bene e Male.Di letteratura fantascientificaanglosassone, libro della Shelleycompreso, è specialista France-sca Guidotti, docente di Lettera-tura inglese all’Università diBergamo («Cyborg e dintorni.Le formule della fantascienza»,Sestante, 2003).

Professoressa, quali sono le ragioni

della «modernità»-«archetipicità»

del testo?

«Frankenstein è un classicosempre attuale, un’opera dallemille vite che, come poche altre,appartiene tanto alla cultura al-ta che a quella di massa. In prin-cipio la critica la accoglie sfavo-revolmente, ma il suo successocommerciale è immenso. Cin-que anni dopo il romanzo vieneripubblicato sotto il nome del-l’autrice in Francia, dove era giàstata diffusa una sua traduzione,e poi nel 1831 viene scelto dal-l’editore Bentley per la serie de-gli Standard Novels, dove appa-

re in forma emendata e con unanuova introduzione».

Perché tanta attenzione alle prefa-

zioni?

«Figlia di due pensatori radicali,William Godwin e Mary Wol-lstonecraft, Mary sa che da tem-po circola una voce insistente:quel romanzo gotico non puòessere stato scritto da una don-na e andrà quindi attribuito asuo marito, il poeta romanticoP.B. Shelley, l’uomo con cui èfuggita giovanissima sfidando ladisapprovazione paterna. Per-

ciò, nell’introduzione del 1831,si dice “molto restia a dare allestampe le […] [sue] vicende per-sonali”, ma comunque consape-vole della necessità di risponde-re alla domanda che le vieneposta “così di frequente: ovvero,come abbia potuto allora unaragazza così giovane arrivare aconcepire e ad elaborare un’ideacosì agghiacciante”. Le prefa-zioni – quella del 1818 (successi-vamente attribuita al marito) equella del 1831 – vengono frap-poste a mo’ di scudo tra l’autoree il testo, a testimonianza di un

L'INTERVISTA GIULIO GIORELLO.

Docente di Filosofia della scienza all’Università di Milano

«Siamo già arrivati al Frankenfood»GIULIO BROTTI

«Ti ho chiesto io,Creatore, dal fan-go / di farmi uo-mo? Ti ho solleci-

tato io / a trarmi dal buio?». I versiin cui Adamo piange la propria con-dizione dopo lo caduta, nel Paradi-so perduto di John Milton (1667),furono riportati da Mary Shelley sotto il titolo del suo Frankenstein,o il moderno Prometeo. Secondo Giulio Giorello, ordinario di Filoso-

fia della scienza all’Università di Milano, «il protagonista del ro-manzo prende appunto a modelloil titano Prometeo, che secondo ilmito greco aveva plasmato l’uomodal fango. Victor Frankenstein si prefigge a sua volta di animare unacreatura umanoide, assemblata con parti di cadaveri: subito dopoaver realizzato il progetto, però, loscienziato ripudia la propria crea-zione. Forse è proprio questo l’ele-mento più significativo e inquie-tante del racconto».

Quello che siamo abituati a chiamare

«il mostro» è una creatura sofferen-

te, portata a ribellarsi perché il suo

artefice, per primo, l’ha respinta?

«Da questo punto di vista, il Frankenstein di Mary Shelley sipresta a una lettura di tipo “teolo-gico”, anche se in una forma deci-samente eterodossa. Nel roman-zo, la creatura impara a leggere,da autodidatta, su alcuni libri cheha rinvenuto in una sacca da viag-gio, abbandonata in un bosco: traquesti, insieme a un volume delle

Vite di Plutarco e a I dolori del giovane Werther di Goethe, c’è appunto il Paradiso perduto di John Milton, un poema in cui siracconta la caduta dal cielo di Satana, dopo che si è ribellato aDio, ma anche la cacciata di Ada-mo e di Eva dal giardino del-l’Eden».

Nel 1818 fu pubblicata la prima edi-

zione di «Frankenstein, o il moderno

Prometeo». Due anni dopo il marito

di Mary, il poeta Percy Bysshe Shel-

ley, diede alle stampe il dramma in

versi «Prometeo liberato», in cui il

titano può infine lasciare la rupe a

cui era stato incatenato, come puni-

zione per aver sottratto il fuoco agli

dèi. In quale rapporto sono queste

due opere dei coniugi Shelley?

«Non stabilirei una gerarchia di valore tra i due testi, entrambi bel-lissimi: il Prometeo liberato espri-me una potente attitudine creati-va, mentre nel Frankenstein que-sta energia tende ad assumere unaspetto distruttivo, con la creaturache si vendica del suo artefice col-pendo le persone a lui più care. Aidelitti segue però il pentimento;il mostro annuncia, nelle ultimepagine del libro, che intende met-ter fine alla sua esistenza tramiteun fuoco purificatore: “Brucerò fino alla cenere questo corpo mi-

serevole, così che i suoi resti nonsiano di aiuto a qualche altro di-sgraziato curioso e sacrilego chevoglia creare un altro essere comeme”. Si può osservare, a titolo di curiosità, che quest’autoimmola-zione dovrebbe avvenire al Polo Nord, dove oggettivamente non èfacile trovare il legname per unapira funeraria…».

Il sogno di infondere la vita nella

materia inerte aveva già ispirato le

leggende dell’«homunculus» di Pa-

racelso o del Golem di Praga. La cre-

atura del «Frankenstein», però, ha

avuto un successo letterario e cine-

matografico senza precedenti.

«Tra i moltissimi libri pubblicatiper il bicentenario del romanzo diMary Shelley, ne ho appena lettouno, edito da Carocci, che mi pare

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carsi le maniche; se l’autore èdistante dal testo – proprio co-me accade alla destinataria dellelettere di Walton, MargaretWalton Saville, di cui non a casoMary Wollstonecraft Shelleycondivide le iniziali – chi leggesi deve calare nel sublime pae-saggio del Circolo Artico, tra ifreddi ghiacci che attanaglianola nave dell’esploratore; o forsesarebbe meglio dire che quellanave, con tutto il suo carico diorrori, ha fatto irruzione nel no-stro mondo».

Cosa rappresenta la creatura che,

con sintomatica «metonimia», vie-

ne perlopiù citata con il nome del

suo creatore, Frankenstein?

«È un simbolo da indagare edecifrare, una rappresentazioneenigmatica che ha tutta la forzadel mito e che, nel tempo, hasaputo dischiudere orizzonti disenso sempre nuovi. Il mostrosenza nome è un eroe tragico,votato alla sconfitta, un misera-bile dai sentimenti umanissimi,

ribelle per disperazione ma –non dimentichiamolo – incu-rante di travolgere nella sua di-scesa agli inferi degli esseri in-nocenti, tra cui un bambino. Ilcreatore Frankenstein, dal can-to suo, è una sorta di rappresen-tazione parodica della divinità,una riedizione del mito prome-teico tanto caro al romantici-smo inglese e che, proprio in P.B.Shelley, si carica di valenze con-traddittorie, facendosi iconatanto del titanismo poetico chedel fallimento del superuomo.Dal binomio creatore-creaturasono scaturite, nel corso deltempo, varie interpretazioni: c’èchi ha voluto leggere l’inevitabi-le ribellione come una prefigu-razione della dittatura del pro-letariato, chi l’ha ritenuta fon-dativa della fantascienza – ilmostro ha, in effetti, molti trattiin comune con il robot, il repli-cante e l’IA, come documentaun immaginario ben sintetizza-to dal film Blade Runner –, chiriflette, a partire dal romanzo,

sul potenziale e sui limiti eticidella scienza applicata, dell’eu-genetica, della robotica».

Che ruolo hanno le donne nel ro-

manzo?

«Frankenstein parla delle don-ne, forse con difficoltà, nei modie termini che erano consentitiin quel momento storico, maanche con la vividezza immagi-nativa e la capacità precognitivache solo una personalità del ca-libro di Mary Shelley avrebbepotuto esprimere. Le donne, nelromanzo, rivestono una posi-zione marginale e, soprattutto,sono tutte destinate a una fineorribile: la madre di Victor,morta di scarlattina, la sposaElizabeth, brutalmente uccisanella sua notte di nozze, la ser-vetta Justine, costretta a pagarecon la vita per un omicidio com-messo dal mostro. Di contro a unfemminile virtuoso, costretto asoccombere alla sorte avversa,campeggiano gli scellerati eroimaschili, forieri di sventura per-

ché accecati dall’ambizione odall’odio; questi uomini, tutta-via, sono più vicini alle donne diquanto potrebbe sembrare aprima vista. Frankenstein, loscienziato, si arroga indebita-mente un potere che spetta nonsolo a Dio, ma anche alle madri:quello di dar vita a una creatura,che poi, però, abbandona».

L’iconografia del mostro, fra illu-

strazioni, cinema, tv, internet, è

quanto mai varia.

«In virtù della sua incompletez-za, l’immagine della “creatura”appare nebulosa e sfumata. Dilui sappiamo solo che ha staturagigantesca e figura abominevo-le, o poco più; non ci è dato sape-re se abbia un aspetto robotico,come nella celebre interpreta-zione di Boris Karloff che ne hasancito la fortuna cinematogra-fica (1931), o se sia più simile alDe Niro del film di Branagh del1994, umanissimo nella sua de-formità. Nella sua incessantetrasmigrazione dalla carta (tra

narrativa e graphic novel) alloschermo (tra cinema, televisio-ne e videogame), la creaturacambia forma e, soprattutto,volto, trasformando l’originariacarenza in uno strumento di pe-renne seduzione. Duttile e pla-smabile fin quasi al parossismo,Frankenstein è un palinsestoproiettato nel futuro, come ilcyborg e la chimera tecnologica.Il romanzo, pur nella sua linea-rità, è per molti versi vicino almondo del web, almeno in sensoprospettico: perché, come fa ilmostro quando legge il ParadiseLost di Milton, possiamo sce-gliere con quale personaggio econ quale punto di vista identifi-carci, ma, qualunque sia la no-stra scelta, sappiamo anche chepotremo sempre cambiare idea.In un certo senso il testo propo-ne, in nuce, un superamento del-la stessa idea di libro, perché viè in esso un potenziale di svilup-po che ha bisogno, per esprimer-si, di altri mezzi e strumenti».

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distanziamento che continuanella struttura a scatole cinesidel romanzo, sviluppata su trelivelli e con altrettanti narrato-ri: l’esploratore polare RobertWalton, che nelle proprie letterenarra alla sorella Margaret levicende di Victor Frankestein;Frankenstein, che a Walton rac-conta la sua folle impresa scien-tifica e la devastazione prodottadalla ribellione del mostro; ilmostro stesso, che, parlandocon Frankenstein e Walton, ri-percorre la sua storia, l’abban-dono, la solitudine, la vendettae la decisione di morire dopo lascomparsa del creatore. Comela figura deforme della creatura,il romanzo è un agglomerato diframmenti provenienti da di-verse fonti: l’una suscita orroreper le sue membra incongrue,prelevate a vari cadaveri e ricu-cite con il filo da sutura; l’altro,per la sua storia spaventosa, fat-ta di segmenti incompleti. Inassenza di una voce privilegiata,al lettore non resta che rimboc-

interessantissimo: si intitola Frankenstein. Il mito tra scienza eimmaginario. Gli autori, Marco Ciardi e Pier Luigi Gaspa, docu-mentano l’enorme successo già incontrato dall’opera della Shelleyquando lei era in vita, anche graziea una serie di trasposizioni teatra-li. C’è poi una data fondamentale,a determinare la fortuna del Frankenstein come “mito moder-no”: è il 1931, anno di uscita del-l’omonimo film sonoro di JamesWhale, in cui la parte del “mostro”è interpretata da Boris Karloff».

Con questa pellicola, si è fissato

l’«aspetto canonico» della creatura

di Victor Frankenstein? Con la fron-

te altissima, l’arcata sopraccigliare

prominente e due bulloni che fuo-

riescono dal collo?

«Ma questo film, soprattutto,induceva il pubblico a interro-garsi sulle possibili conseguenzedi una ricerca scientifica incon-trollata».

C’è chi afferma che in un prossimo

futuro, mediante le biotecnologie,

si potranno ricreare ex novo le spe-

cie viventi. Citando ancora un film:

il personaggio di Magneto, in «X-

Men», sostiene che non saremmo

tenuti a rispettare i ritmi naturali

dell’evoluzione. «Dio lavora troppo

lentamente», egli dice.

«La questione si pone già attual-mente: pensiamo anche solo allepolemiche sugli alimenti prodotticon organismi geneticamente modificati, cibi per cui si è coniatala denominazione di “Frankenfo-od”. Oggi si profila l’eventualità di

intervenire a livello genico sullastessa specie umana, magari conle migliori intenzioni, allo scopodi prevenire delle malformazionio la trasmissione di malattie ere-ditarie. Pur senza lasciarsi frena-re da pregiudizi moralistici, la co-munità scientifica (perché ap-punto di una comunità si tratta,non di un singolo sperimentatorechiuso nel suo laboratorio) do-vrebbe adottare un atteggiamen-to prudente nei riguardi dei possi-bili esiti di queste ricerche».

Occorre attenersi a un «principio di

precauzione», quando si valuta se

avviare nuovi programmi scientifi-

ci di ricerca?

«Se lo si presenta astrattamente,come succede in alcuni dibattiti, ilprincipio di precauzione non ha un

grande significato: non si può au-torizzare una sperimentazione so-lo quando si è assolutamente certiche non avrà conseguenze indesi-derabili, per il semplice fatto cheuna sicurezza di questo tipo nellastragrande maggioranza dei casi non l’avremo mai. Mi pare più sen-sato dire che andrebbero soppesatirealisticamente i possibili effetti positivi e negativi dell’impiego diuna particolare tecnologia. Tutta-via, dobbiamo pur sempre ricono-scere che anche facendo così ci muoveremmo non “nella piena luce del giorno” – come diceva John Locke –, ma “nel crepuscolodella probabilità”. Dagli scienziatipossiamo pretendere che agiscanoresponsabilmente, non che esibi-scano certezze incontrovertibili».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Mary Shelley nel ritratto di

Richard Rothwell (1840 circa)

Il filosofo Giulio Giorello FOTO MARIA ZANCHI

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48 L’ECO DI BERGAMO

DOMENICA 18 MARZO 2018

Domenica Cultura

Scienziato pazzo«L’800 aveva un incubo: la tecnica»Frankenstein / 2. Gianni Canova, critico e saggista cinematografico: «Non è un caso se il secolo della grande

industrializzazione si apre con l’immagine di un mostro. Esprime la paura inconscia del lavoro meccanizzato»

ANDREA FRAMBROSI

Film tratti direttamentedal romanzo di MaryShelley o ispirati al per-sonaggio di Frankenstein

non si contano, ormai, nella sto-ria del cinema. Trasposizioni fe-deli o infedeli, parodie, ibrida-zioni con altri generi (compresoil cinema di animazione), horrorpuri o commedie, dagli anniTrenta ad oggi, la fortuna delpersonaggio di Frankensteinsembra non dover tramontare.Ne abbiamo ragionato con il

professor Gianni Canova, criticocinematografico, saggista, pro-fessore ordinario di Storia delcinema e Filmologia, nonchéPro-Rettore Vicario, Pro-Retto-re con delega alla Didattica allaComunicazione e agli Eventipresso la Libera Università diLingue e Comunicazione Iulmdi Milano.

Professor Canova, parliamo della for-

tuna cinematografica della figura di

Frankenstein ma non possiamo non

partire dalla sua origine letteraria.

«Sì, perché non è un caso se l’Ot-

tocento, il secolo della grandeindustrializzazione, il secolodella Rivoluzione Industriale siapre con l’immagine di un mo-stro: Frankenstein, secondo me,esprime la paura inconscia dellasocietà del primo Ottocento neiconfronti della meccanizzazio-ne, del lavoro meccanizzato.Frankenstein è un mostro creatoda un “mad doctor”, uno scien-ziato pazzo, che mette insiemepezzi di cadaveri raccolti negliobitori e riesce a dare loro vita,riesce a dare vita all’inanimato.Crea una vita artificiale che poi

si ribella al proprio creatore.Questo è il succo della mitologiadi Frankenstein. In questo succoio vedo appunto la paura neiconfronti delle macchine, la pa-ura che la macchina, la creaturaartificiale, possa ribellarsi al suocreatore. Un po’ come succede-rà, paradossalmente, a fine seco-lo, con la nascita della figura delDracula di Bram Stoker che in-vece esprime la paura della bor-ghesia ottocentesca di un ritor-no dell’aristocrazia. Nel sensoche Dracula è il conte che vivefuori dalla città, non lavora, vive

parassitariamente succhiandoil sangue dei suoi simili e quandotorna in città porta la peste. Allo-ra mi piace pensare all’Ottocen-to come il secolo che nasce conFrankenstein e finisce con Dra-cula, figure che incarnano, infondo, la paura della borghesianei confronti del proletariatoche si ribella. Frankenstein, lapaura della borghesia ottocente-sca nei confronti della forza la-voro che stava andando ad in-grossare le fabbriche, Draculaquella del ritorno dell’aristocra-zia».

E arriva il cinema...

«Il cinema ha preso questi duepersonaggi e li ha trasformati inmiti».

Anche perché quello di Mary Shel-

ley viene considerato come il primo

romanzo di fantascienza, genere

che verrà poi portato alla sua apote-

osi proprio dal cinema.

«Certo, è stato il cinema che li hatrasformati in miti, pensiamo a quanti altri mostri letterari sononati tra Otto e Novecento: quellidi Lovecraft, tanto per citarne uno, ma nessuno è riuscito ad ave-

L'INTERVISTA FRANCO PEZZINI.

Saggista e critico letterario

«In filigrana, è ben visibile la Bibbia»GIULIO BROTTI

Il 1816 fu «l’anno senza esta-te»: nell’aprile del 1815 lacatastrofica eruzione delvulcano Tambora, in Indo-

nesia, aveva rilasciato nellastratosfera un’enorme quanti-tà di ceneri e anidride solforo-sa, che causarono nei mesi se-guenti un calo delle tempera-ture in tutto il pianeta. Dall’Ir-landa alla Cina, i raccolti furo-no compromessi e si verificò la

peggiore carestia del XIX seco-lo; in Italia, in primavera, cad-de a lungo una neve rossa, colo-rata dalle polveri vulcaniche;in luglio, la superficie di alcunilaghi della Pennsylvania eragelata. Parte proprio da questeanomalie climatiche il saggistae critico letterario Franco Pez-zini, nel suo splendido volumeFuoco e carne di Prometeo. In-cubi, galvanisti e Paradisi per-duti nel Frankenstein di MaryShelley (Odoya, pp. 400, 22 eu-

ro). «Gli eventi del 1816 ispiraronomolti artisti europei – affermaPezzini -: si spiegano così an-che certi quadri di WilliamTurner, con cieli dalle tinteimprobabili. In quel periodo,il romanticismo si riappropriòdell’antica categoria del subli-me, di un “terribile” che tutta-via “affascina”: quella diFrankenstein è una storiaestrema fin dalla prima parte,ambientata nei pressi del Polo

Nord, dove lo scienziato Victorsta inseguendo la sua creatura.Alle suggestioni di ordine me-teorologico si aggiunse poi perMary Shelley, tra maggio e ago-sto del 1816, la circostanza delsoggiorno a Cologny, sul lagodi Ginevra, in compagnia diPercy Bysshe Shelley (che inrealtà non era ancora suo mari-to), di George Byron e del me-dico personale di questi, JohnPolidori. Insieme a loro eraanche Claire Clairmont, una

sorellastra di Mary, che daByron aspettava una figlia e siera unita agli Shelley proprioper poterlo reincontrare».

Percy e Mary, all’arrivo sul lago di

Ginevra, erano giovanissimi: non

ancora ventiquattrenne lui, diciot-

tenne lei.

«Però avevano entrambi unacultura impressionante, chespaziava dalla letteratura, pas-sando per la filosofia, allescienze naturali. Per ingannareil tempo in quelle giornatefredde e piovose, il gruppo diamici iniziò a leggere delle sto-rie tedesche di spettri raccoltein una famosa antologia, Fan-tasmagoriana. Di lì a poco, nac-que l’idea di una gara tra i pre-senti: ognuno avrebbe immagi-

nato un racconto che si basassesu eventi soprannaturali. In unsuo film del 1986, Gothic, KenRussell ha evocato l’atmosferasovraeccitata di quelle giorna-te e nottate: vi contribuivanoil laudano – la tintura di oppio– a cui Percy ricorreva abbon-dantemente per calmare i ner-vi, e il lutto recente di Mary peruna bambina che le era mortal’anno precedente, pochi giornidopo il parto. Una sera, dopoessersi ritirata e aver posato latesta sul cuscino, lei ebbe lavisione a occhi chiusi di un“pallido studioso di arti profa-ne inginocchiato vicino allacosa che aveva assemblato. Vi-di l’orrenda sagoma di un uomodisteso, e poi, all’entrata infunzione di un qualche potente

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L’ECO DI BERGAMO 49DOMENICA 18 MARZO 2018

«Frankenstein Junior» è un film

del 1974 diretto da Mel Brooks a

partire da un’idea di Gene Wilder,

che è anche autore della

sceneggiatura insieme al regista.

Campione d’incassi nel 1975, la

pellicola si rifà in senso

parodistico al romanzo di Mary

Shelley e agli altri celebri film da

esso ispirati, come il

«Frankenstein» di James Whale

del 1931. Il film è interamente

girato in bianco e nero,

adottando una fotografia e uno

stile anni Trenta

loff, con quel cranio con gli elet-trodi nelle tempie, gli occhi sbar-rati, l’andatura claudicante, iltaglio di capelli, quella iconogra-fia si è fissata indelebile nell’im-maginario e credo che da questopunto di vista quello di Karloffsia il Frankenstein per eccellen-za e gli altri che sono venuti do-po, e penso a quelli degli anniCinquanta diretti da TerenceFisher, riprendono per certi ver-si quell’iconografia facendo ognivolta delle variazioni sul tema».

Una storia e un personaggio che for-

se potevano nascere solo in Inghil-

terra...

«Sì, è la fusione, come semprenell’horror, di romanticismo ne-ro e tenebroso e un po’ funereo,la nebbia, il cimitero, la morte,con la fascinazione e repulsioneinsieme per la scienza, del fattoche questa possa in qualche mo-do sfidare la natura e generarela vita artificiale. Tra l’altro pen-siamo che soltanto negli ultimianni sono usciti quattro o cinque

nuovi film di Frankenstein comese fosse un personaggio immor-tale capace di parlare ad ogninuova generazione. Penso aduno dei film più interessanti,quello di Kenneth Branagh dovela creatura è interpretata da Ro-bert De Niro e dove Branagh fail dottore, un grande attore comeDe Niro ha sentito in qualchemodo la voglia e il desiderio diconfrontarsi con il personaggiodi Frankenstein».

Dagli anni Trenta in poi il personag-

gio si è andato ibridando con altri

generi.

«Assolutamente sì, ma questo ètipico dei grandi personaggi, èsuccesso anche a Sherlock Hol-mes, allo stesso Dracula, sonoarchetipi che funzionano ancheperché producono una serie dideclinazioni, di contaminazioniche sono fonte di narrazioni ine-sauribili, si serializzano moltofacilmente anche se vanno a on-date. È interessante notare cheil Frankenstein, quello fondati-

vo, a parte alcuni tentativi prece-denti, nasce negli anni Trenta,negli anni Quaranta è relativa-mente poco presente poi rie-splode negli anni Cinquanta conTerence Fisher, nei Sessanta eSettanta vive sugli allori del de-cennio precedente con qualcheibridazione. Poi si salta agli anniOttanta e riesplode negli anniNovanta, per esempio con“Frankenstein di Mary Shelley”che trovo sia uno dei film piùinteressanti, o “Frankenstein ol-tre le frontiere del tempo” diRoger Corman e poi pensiamoalle parodie…».

E arriviamo, naturalmente, a quella

vera e propria pietra miliare che è

«Frankenstein Junior» di Mel Broo-

ks.

«È una pietra miliare anche seporta il personaggio da tutt’altraparte, conservandone però i ca-ratteri di riconoscibilità: dal no-me alle fattezze fisiche e apreuna serie di parodie tra cui“Frankenweenie” di Tim Bur-

ton, fino ad arrivare a “HotelTransilvania” film di animazio-ne del 2012, che ha per protago-nisti tutti i mostri del cinema.Poi è interessante comeFrankenstein sia citato in unaserie di grandi film che parlanod’altro ma che lo evocano. E pen-so al bellissimo film spagnolo“Lo spirito dell’alveare” diVictor Erice ambientato neglianni del franchismo. È moltobello che Frankenstein diventiveramente un’icona dell’imma-ginario, che trovi dove meno telo aspetti, perché vuol dire chedice qualcosa. In questa sua as-soluta diversità, in questo suoessere altro da noi c’è qualcosain cui un pochino ci riconoscia-mo perché, in fondo, la mostruo-sità vera non è quella della crea-tura, ma quella del dottore cheha sfidato davvero le leggi di Dioe della natura per creare la vitaartificiale, non rendendosi con-to delle conseguenze».

Il che ci porta al clou di questo ragio-

namento, la scienza, rappresentata

nella figura del dottore, che sfida

Dio.

«Lo sfida e perde, perché la mo-struosità vera è la sua, e noiquando guardiamo i film parteg-giamo per la creatura e non peril creatore. Frankenstein, il mo-stro, è la vittima di uno scienti-smo assoluto che nella sua sma-nia di onnipotenza, nel suo orgo-glio superumano diventa disu-mano. Frankenstein il mostro hauna fragilità e anche una soffe-renza naturale che ci porta asimpatizzare per lui e a identifi-carci con lui, credo che nessunospettatore o lettore abbia maisimpatizzato o si sia identificatocol dottore».

Con un parallelo forse un po’ audace

potremmo paragonare la storia di

Frankestein alla sfida tra Achab e la

balena in Moby Dick?

«Beh sì, siamo in quell’ordine lì,quello della sfida assoluta, sfidache in genere si perde».

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re la potenza simbolica che il cine-ma dà a questi personaggi a co-minciare dai grandi film degli an-ni Trenta, quelli in bianco e nero».

Cosa c’è dietro alla fascinazione di

questo personaggio rispetto ad altri

mostri?

«Innanzitutto, ripeto, alla basec’è la paura dello sviluppo tecno-logico…».

Non dimentichiamo che il titolo

completo del romanzo è «Franken-

stein o il moderno Prometeo».

«Colui che in qualche modo rubai segreti degli dei e quindi va asfidare gli uomini portando lapaura della scienza e della tecno-logia e questo credo sia un po’ ilsegreto del fascino che questomostro ha avuto. Dopo di chespesso noi dimentichiamo cheFrankenstein è il nome del dot-tore, nome che poi nell’immagi-nario passerà dal creatore allacreatura già prima del Franken-stein diretto da James Whale nel1931. Interpretato da Boris Kar-

politico, figurava tra i padrifondatori degli Stati Uniti; co-me scienziato, era noto peraver studiato il fenomeno del-l’elettricità, benché la storicitàdel famoso esperimento in cuiavrebbe usato un aquilone perattirare i fulmini sia contro-versa. In Frankenstein si fa an-che esplicitamente riferimen-to al galvanismo: il pubblico diLondra era rimasto impressio-nato dagli esperimenti condot-ti da un nipote di Galvani, Gio-vanni Aldini, che nel 1803, ap-plicando l’elettricità tramiteuna grande pila al corpo di unimpiccato era riuscito a “riani-marlo” per breve tempo, pro-vocando l’apertura di un oc-chio e alcuni movimenti degliarti. In un suo saggio, Aldini

sosteneva che in determinatecondizioni sarebbe stato possi-bile riportare in vita un cada-vere attraverso stimoli elettri-ci. Mary Shelley conoscevainoltre gli scritti di ErasmusDarwin, il nonno di Charles:egli sosteneva che piccole partidi animali morti, se opportu-namente trattate, avrebberopotuto riacquisire un certogrado di vitalità».

Nel romanzo della Shelley non ri-

corrono anche molti riferimenti

alla Bibbia?

«Moltissimi, e la presenza diquesti “sottotesti biblici” ac-cresce il fascino dell’opera.Troviamo allusioni all’Eden,per esempio, nella descrizio-ne della famiglia d’origine di

Victor, perfino “troppo per-fetta”, prima che una serie disciagure si abbatta su di essa.Pensiamo anche al raccontodella progressiva animazionedell’essere assemblato dalloscienziato Frankenstein: “Lamia creatura aprì gli occhi,opachi e giallastri, trasse unrespiro faticoso e un motoconvulso ne agitò le membra”.Solo a questo punto Victor sirende conto, sconvolto, di checosa ha creato. “Allora si apri-rono gli occhi di tutti e due eseppero di essere nudi”, leg-giamo in Genesi 3, 7; a fare taleesperienza, nel romanzo, nonsono Adamo e la sua complice– che rimarrà comunque perlui di aiuto e consolazione -,ma un falso Adamo e un falso

creatore, ciascuno abbando-nato alla propria solitudine».

È appunto questo il tema centrale

del «Frankenstein»? È la condanna

della pretesa faustiana di dare ini-

zio a nuova «creazione», trasgre-

dendo i limiti fissati da Dio o dalla

stessa ragione umana?

«Questo aspetto è evidente,anche se non si può piegareil significato del romanzo inchiave reazionaria, come sela Shelley avesse voluto cen-surare la scienza e la tecnicain generale. Non solo: forseancora più che una condannadel “prometeismo”, Franken-stein è una tragedia della ce-cità, dell’insensibilità neiconfronti di coloro che ci so-no affidati. All’inizio dell’Ot-

tocento, mentre procedeva laprima rivoluzione industria-le, andava crescendo il nume-ro dei reietti della società. Nelromanzo della Shelley, VictorFrankenstein si allontanainorridito dall’essere a cuipoco prima ha dato vita; equesto abbandono costituiscein certo modo la premessadegli orrendi delitti che lacreatura priva di nome com-pirà poi. Il lettore è autoriz-zato a domandarsi: che cosasarebbe successo se il “mo-stro” non fosse stato subitoabbandonato da chi l’avevacreato, se fosse stato ricono-sciuto il suo bisogno di nonrestare per sempre “un estra-neo nel mondo”?».

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macchinario, lo vidi dar segnidi vita e fremere con un movi-mento impacciato, vitale soloa metà”. In settembre, gli Shel-ley tornarono in Inghilterra;l’11 marzo del 1818, ripartita intre volumetti, apparve nellelibrerie la prima edizione diFrankenstein, o il moderno Pro-meteo».

Alcuni ritengono che, per il nome

dello scienziato protagonista del

romanzo, Mary Shelley si fosse

ispirata a un castello tedesco, Burg

Frankenstein. Lei, invece, propone

un’altra ipotesi.

«Mary potrebbe aver avuto inmente l’americano BenjaminFranklin, che corrispondevasicuramente all’idea di un“Prometeo moderno”: come

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