ProgrèDire. La donna s'è desta?

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N ° 1 2011 LA DONNA S’È DESTA?

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Esattamente due anni fa - l'8 marzo 2011 - usciva il primo numero di ProgrèDire, dedicato alle donne.

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N°12011

LA DONNAS’È DESTA?

Progrédire, la rivista che avete in mano, è uno dei primi atti pubblici di Progré, la nostra neonata associazione. Non riteniamo che la nascita di una ennesima realtà as-sociativa nell’università di Bologna sia in se stessa una notizia, le notizie speriamo verranno dalla nostra attività. Abbiamo quindi scelto di non porre noi stessi al centro di questo primo numero che tratta di tutt’altro e ci limitere-mo a descrivere brevemente qui quello che siamo e quello che vorremo essere in futuro. Ci rivolgiamo naturalmente in maniera primaria a chi è studente universitario ora e a chi ha smesso di esserlo da poco e lavora o cerca lavoro in quella che è la statisticamente non felice condizione di questa generazione. Progré nasce dalla presa di coscien-za che c’è una forte voglia di fare politica nelle persone che abbiamo intorno. Persone che appartengono alla generazione che ormai proverbialmente rischia di es-sere più povera dei propri genitori, quella che è oggetto dell’altissima disoccupazione giovanile e sconta la preca-rizzazione del lavoro. Queste persone esprimono un desi-derio politico molto forte che rischia di non poter trovare applicazione. Le associazioni dedite alla rappresentanza studentesca assorbono, o dovrebbero assorbire, in essa buona parte delle loro energie e non paiono per loro na-tura adatte a svolgere l’elaborazione politico generazio-

nale di cui si parla. Le giovanili di partito molto ridotte nei numeri rispetto al passato non sembrano certo i luoghi in cui persone di sensibilità molto diverse possano lavo-rare vedendo in questo lavoro un fine. Periodicamente si creano movimenti molto grandi che caratterizzano una stagione che però perdono poi energia forse anche per-ché legati ad una solo battaglia, prendiamo ad esempio due fenomeni diversissimi come l’Onda e il Popolo Viola. Progré nasce per dare un luogo a questa voglia. Per tra-sformare attraverso l’esperienza di gruppi di lavoro già avviati questa esigenza in una critica puntuale, motivata e circoscritta dell’esistente. Per poter maturare attraver-so lo studio un’opinione più consapevole sulle tematiche del lavoro, dell’università e delle politiche giovanili in un ambiente che non subisca condizionamenti maggiori di quello di riconoscersi in un ambito culturale progressista. Non credo che a questo stadio il progetto sia definibile in una maniera molto più approfondita di questa perché a partire da questo sfondo saranno le opinioni e le riunioni delle prossime settimane e dei prossimi mesi a definirlo sempre più. Con la speranza che sarete in molti a voler partecipare a ciò che saremo vi saluto.

Luca Rossi

Salve a tutti ragazzi e ragazze!Quello che avete in mano è il primo numero di progrè-dire,la rivista della neonata associazione ProgrE’. Uno strumento di comunicazione, di trasmissione, di espor-tazione di idee giovani, nate in menti giovani, che hanno deciso di mettersi insieme e formare una rete. Perchè leg-gerci? Perchè siamo nuovi, la nostra età media è 24 anni e vogliamo portare un po’ di colore nel vecchiume della società attuale, che ci dipinge come generazione senza valori, attratta solo dai vestiti alla moda e dalle feste in discoteca. Abbiamo invece scelto di dire che ci siamo, e non solo in maniera effimera, nascosti dai cartelloni nel-le manifestazioni di piazza, ma in maniera costante, con riflessioni sincere e lucide della nostra società. Questo primo numero è dedicato alla donna, alle sue mille sfac-cettature, e agli uomini che le sono complementari. Ma è dedicato anche ai lavoratori, alle “vite stonate”, a tutte le popolazioni del mondo che necessitano di cooperare tra loro. E’ dedicato a personaggi di ieri,di cui avremmo bisogno oggi. E’ dedicato a chi si sente stretto in una so-cietà che corre così veloce,e sembra non abbia tempo di ascoltarsi. E’ dedicato a voi che avete deciso di leggerlo e a noi che, forse con qualche errore, abbiamo messo la pancia,e non solo la penna, nel realizzarlo

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L’analisi

All’inizio fu Termini Imerese, poi ven-nero Pomigliano e Mirafiori, adesso è il turno di Melfi e Cassino. Si scrive Fabbrica Italia, si pronuncia Moder-nità. È una modernità delineata da Marchionne il 21 aprile 2010 a mar-gine della riunione del Cda Fiat, in cui presentò il suo piano Fabbrica Italia: «Si tratta di aumentare i volumi e di ridurre i costi. Non c’è null’altro. Non è complicato». A chi chiede dettagli, numeri, spiegazioni “l’Italiano scomo-do secondo la definizione del Corriere della Sera (controllato guardo caso al 10% dalla Fiat), risponde: «Vi dò un consiglio: se si dovesse presentare un altro Amministratore delegato di un’azienda estera con un assegno da 5-10 miliardi dicendo ‘voglio investire

gna fiaccare, umiliare, sconfiggere il nemico fabbrica per fabbrica. Per capire cosa sia successo è necessario ripercorrerle queste tappe, bisogna tornare indietro ed osservare i campi in cui si è giocata la partita. Se il letto-re vorrà seguirmi, dovremo risalire la corrente, e provare a vedere uno per uno i nemici di Marchionne e della sua Modernità.

Termini ImereseTutto partì da Termini Imerese, mil-lecinquecento addetti e un indotto di oltre cinquecento posti di lavoro: bisognava chiudere. L’impianto pro-duce in perdita, ha costi di logistica enormi, «Termini non ha ragione di esistere». E chiusura fu, o meglio

in questo Paese’, facciamoci un gran-dissimo favore e cerchiamo di non importunarlo con i dettagli di un pro-getto che viene finanziato dalla sua società e fa il bene del Paese». Una modernità semplice, insomma, che si raggiunge a piccoli passi, senza fare domande, senza dare spiegazioni. Si chiude uno stabilimento, si sposta la produzione di qualche vettura in Pa-esi con manodopera a basso costo, si mettono in competizione gli operai italiani con quelli serbi e polacchi. La modernità di Marchionne è una sfida rivolta allo status quo, alle incrosta-zioni dei diritti sedimentati nel corso del ‘900, una sfida che prevede solo vittorie e non ammette contraddit-torio. È un percorso a tappe, biso-

FIATpiù catena, meno dirittiviaggio negli ultimi due anni dell’eraMarchionne

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L’analisi

sarà, entro il 31 dicembre 2011. An-nuncio fatto, decisione presa, perché nel mondo di Marchionne non c’è spazio per la contrattazione. La storia di quei millecinquecento operai sulla via del licenziamento è finita dalla pri-ma alla quinta pagina, per poi rapida-mente sparire. Solo il 16 febbraio gli stabilimenti di Termini hanno ricon-quistato l’attenzione dei media, con la firma dell’accordo di programma “per il rilancio e la reindustrializzazio-ne del polo”, che prevede un investi-mento di 1 miliardo di euro (di cui 350 milioni pubblici) e 3300 posti di lavo-ro. Non sappiamo come andrà a fini-re, ma speriamo che i grandi annunci, che si sono accompagnati alla firma, non si perdano nel cumulo di promes-

se di rilancio che la Sicilia colleziona da decenni.

Pomigliano d’ArcoNell’estate 2010 è il turno di Pomi-gliano d’Arco. Gli operai napoletani alla catena di montaggio, spiegava Marchionne, si assentavano per le partite dell’Italia e del Napoli, l’assen-teismo cronico dello stabilimento era da curare con una medicina amara. E medicina amara fu, come chiede-va quello che il Sole 24 Ore ha eletto ‘l’Uomo dell’anno’. Il 15 giugno 2010 arriva l’accordo di rilancio per Pomi-gliano. Firmano Cisl, Uil e Ugl. Dico-no no Fiom-Cgil e Cobas. L’accordo rispecchia la massima marchionniana del 21 aprile, e allora: meno pause

(da due da 20 minuti a tre da 10), più straordinario (da 40 a 200 ore, di cui 120 obbligatorie), più turni di lavoro (con uno schema articolato in 18 tur-ni settimanali, dal lunedì al sabato 24 ore su 24), meno diritto alla malattia, meno diritto di sciopero: le deroghe al contratto collettivo nazionale sono difese in nome dell’eccezionalità del caso-Pomigliano. Il 3 novembre l’at-to finale: a Pomigliano a produrre non sarà più Fiat in prima persona ma la Fipo (Fabbrica Italia Pomiglia-no), nuova società di proprietà della Fiat partecipazioni, non aderente a Confindustria. Il contratto nazionale, dunque, non si deroga: semplicemen-te non viene applicato.

MirafioriDa quel momento le voci che voglio-no anche Mirafiori fuori da Confindu-stria si fanno sempre più insistenti, fino ad essere confermate, il 10 di-cembre 2010, dalla stessa presiden-tessa dell’associazione degli indu-striali Emma Marcegaglia, all’uscita da un lungo incontro con l’Ad di Fiat: «La newco di Mirafiori nasce fuori da Confindustria». Anche per gli operai torinesi non esisterà più il sistema della contrattazione collettiva nazio-nale. Il 23 dicembre 2010 è il giorno del nuovo accordo separato. L’inte-sa sul futuro di Mirafiori vede Cisl, Uil e Ugl d’accordo, ma non la Fiom e i Cobas. L’accordo non si discosta molto da quello previsto a Pomiglia-no: meno pause, più straordinario, più turni di lavoro, meno diritto alla malattia, meno diritto di sciopero. Il fronte del no mette sotto accusa la finta trattativa e svela il diktat di

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L’analisiMarchionne: prendere o lasciare. Ma non si era detto che Pomigliano era un caso eccezionale e irrepetibile? Si era detto, ma così non era, a Mirafiori se ne ha la certezza. Non si tratta più di medicine amare da somministra-re per curare problemi patologici, si tratta di un nuovo modello delle rela-zioni industriali, che da eccezione si fà regola, per divenire il paradigma della modernità.

I referendumIn entrambi gli stabilimenti, comun-que, i due accordi sono sottoposti a una condizione: i lavoratori si devono esprimere tramite referendum azien-dale. Il quesito che si pone agli ope-rai è semplice, si tratta di accettare o respingere la proposta. Se vincono i sì si va avanti, se vincono i no si chiude l’impianto e si va a produrre all’este-ro. Difficile non scorgere l’imposta-zione ricattatoria. E infatti gli accordi passano, a Pomigliano, il 22 giugno, col 63%, a Mirafiori, il 14 gennaio, col 54%.

Lo spin-offIl 3 gennaio 2011, un nuovo pezzo del puzzle va a posto: lo spin-off, ovvero la divisione di Fiat in due società, votato a settembre 2010 dall’assemblea dei soci, esordisce in borsa. Quotati sepa-ratamente, Fiat spa, che comprende esclusivamente il comparto auto, e Fiat Industrial, che comprende invece i veicoli commerciali e i camion, ripor-tano segno positivo: rispettivamente +4,91% e +3,05%. Marchionne esulta e, forte dell’approvazione della borsa all’operazione di scissione, lancia un chiaro segnale al fronte sindacale:

«La Fiat è capace di produrre vetture con o senza la Fiom», e pure senza Confindustria, alla quale le due socie-tà non aderiscono.

Il destino comune degli operaiSiamo all’oggi. Il 18 gennaio 2011 Marchionne, in un’intervista a Re-pubblica, svela il prossimo obiettivo. Rispondendo alla domanda se “dopo Pomigliano e Mirafiori il nuovo con-tratto investirà anche Melfi e Cas-sino”, l’Ad risponde: «Non c’è alter-nativa. Non possiamo vivere in due mondi. Io spero che, visto l’accordo alla prova, non vorranno vivere nel secondo mondo nemmeno gli ope-rai». I cinque stabilimenti Fiat in Italia saranno dunque legati dallo stesso destino: lavorare di più e con meno diritti. Un destino cupo, ma si sa, la modernità non è cosa per tutti. Sicu-ramente non lo è per gli operai con i muscoli spezzati dal lavoro seriale e ripetitivo, condannati dalla com-petizione globale a ritmi sempre più intensi di lavoro. Sicuramente non lo è per le famiglie in cui entrambi i ge-nitori sono operai Fiat e i cui figli sono costretti a vedere (poco) un genitore (stanco) per volta. Sicuramente non lo è per i giovani addetti alla catena di montaggio, schiavi di una vita pro-grammata sul binomio casa-fabbrica, anche il sabato. Sicuramente non lo è per i figli degli operai di Pomigliano, Mirafiori, Melfi, Cassino, che negli occhi del padre e della madre vedo-no la stanchezza delle ore passate in fabbrica; il sacrificio di ingoiare saliva resa amara dai fumi delle vernici; il ricatto di chi dice, con uno stipendio equivalente a quello di cinquemila

operai, “o lavoro o diritti”.La modernità non ha mai avuto un sa-pore tanto medievale.

Nicola Usai

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Le interviste di

Segreterio organizzativo Fim-Cisl Bologna con delega alle politiche per la contrattazione, il proselitismo e il coor-dinamento, ci accoglie nella sede della Cisl in Via Milazzo e accetta di rispondere alle nostre domande. È di ritorno da un’assemblea in cui si è parlato proprio di Fiat e Miarafiori, tema di cui si è occupata molto nelle ultime settimane.

1- Negli ultimi mesi due argomenti, a lungo trascurati, hanno guadagnato l’attenzione del grande pubblico: la questione della dignità delle donne e le tematiche del lavoro. Vede una connessione fra questi due argo-menti?Se per temi attinenti le donne ti riferisci agli scandali del Presidente del Consiglio, devo registrare che fra le donne le preoccupazioni sono altre. In questo periodo di crisi, le lavoratrici si rivolgono al sindacato se hanno problemi sul posto di lavoro, il problema del premier resta marginale rispetto a esigenze come la flessibilità negli orari di la-voro, la questione del part-time, etc. Certo, come donna disapprovo l’atteggiamento del premier nei confronti del sesso femminile, ma resta il fatto che nelle aziende si af-frontano altre problematiche.

2- Agli accordi di Pomigliano e Mirafiori sono segui-ti due tipi opposti di reazioni: da una parte sono stati esaltati come simboli della modernità, con il segreta-rio della Cisl Bonanni che ha rivendicato “10, 100, 1000 Pomigliano”, dall’altra sono stati duramente criticati, con l’accusa di colpire i diritti dei lavoratori. Lei che ne pensa?Io sono d’accordo con il mio segretario quando dice che dobbiamo fare accordi per mantenere posti di lavoro. Il compito del sindacato non è dire sempre “no”, ma deve sedersi al tavolo e contrattare. Anche noi sul territorio di Bologna abbiamo firmato accordi difficili come quello di Pomigliano, anche unitari ma, per mantenere posti di la-voro e per garantire un futuro ai giovani. Comunque se-condo me le due reazioni a cui fai riferimento sono due

RobertaCastronuovo

ElenaGiustozzi

È molto difficile raggiungere telefonicamente Elena Giu-stozzi, membro della segreteria Fiom-Bologna, in questi giorni. Ci dice di essere molto impegnata, gira il territorio e le fabbriche per parlare della grave situazione del tes-suto industriale. Trova comunque il tempo per rispondere alle nostre domande e parlare di quello che sta succeden-do, non solo in Fiat.

1- Negli ultimi mesi due argomenti, a lungo trascurati, hanno guadagnato l’attenzione del grande pubblico: la questione della dignità delle donne e le tematiche del lavoro. Vede una connessione fra questi due argomen-ti?Il risveglio della coscienza collettiva. Non vi e’dubbio che la crisi economica da una parte e quella culturale, forse ancora più grave, dall’altra, abbiano fatto da detonatore a un’energia sociale che negli anni si era assopita, dando nuova visibilità alla connessione fra individuo e società, attraverso le importanti e bellissime manifestazioni paci-fiche di lavoratori, giovani e donne, che hanno mostrato una nuova consapevolezza dell’idea che diritti e riconosci-mento sociali sono una conquista da rinnovare ogni volta.

2- Agli accordi di Pomigliano e Mirafiori sono segui-ti due tipi opposti di reazioni: da una parte sono stati esaltati come simboli della modernità, con il segreta-rio della Cisl Bonanni che ha rivendicato “10, 100, 1000 Pomigliano”, dall’altra sono stati duramente criticati, con l’accusa di colpire i diritti dei lavoratori. Lei che ne pensa?Sono molto critica rispetto a quegli accordi. Prima di tut-to, perché i lavoratori hanno dovuto votare sotto la mi-naccia, esplicita da parte di Marchionne, che la vittoria dei no avrebbe di fatto annullato l’investimento della FIAT in quei territori. La maggior parte dei lavoratori ha vissuto quel referendum come un ricatto, e poiché il portato di quegli accordi sul sistema delle relazioni industriali e del diritto del lavoro va ben oltre i cancelli di Pomigliano e

interviste di:Nicola Usai

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Le interviste diMirafiori, quei lavoratori sono stati costretti ad assumersi una responsabilità troppo grande.

3- Quali sono, a suo avviso, gli aspetti più rilevanti dei nuovi accordi?Oltre agli aspetti relativi al peggioramento dei ritmi di lavoro, in quegli accordi viene messo in dubbio il diritto alla retribuzione durante la malattia e il diritto di sciope-ro. Ma non basta: vi è anche una ferita gravissima alla li-bertà sindacale, sancita dalla Costituzione, e al diritto dei lavoratori di eleggere i propri rappresentanti. Inoltre, la decisione della FIAT di uscire da FEDERMECCANICA e di non applicare il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, rappresenta un attacco frontale a quello che per noi è lo strumento cardine per il riconoscimento su tutto il terri-torio nazionale dei diritti fondamentali conquistati in anni di lotte sindacali.

4- Come si è arrivati a una rottura così profonda sul fronte sindacale, che ha portato ad accuse reciproche e a forti tensioni?L’unità del mondo del lavoro è sempre stata l’arma che ha permesso le maggiori conquiste sindacali. La perdita di questa consapevolezza ha portato, a mio avviso, alcune organizzazioni sindacali a illudersi di poter prendere scor-ciatoie per far prevalere il proprio modello di sindacato, scegliendo come interlocutori privilegiati le controparti e l’attuale Governo, anziché i lavoratori e le altre organizza-zioni sindacali. Per cercare di porre rimedio a queste ten-sioni, ritengo sia necessario una legge che misuri la reale rappresentanza delle organizzazioni sindacali nei luoghi di lavoro, nonché le modalità di partecipazione demo-cratica dei lavoratori alle decisioni che riguardano le loro condizioni di lavoro e i loro diritti.

5- Quali interventi sarebbero a suo avviso necessari per migliorare la posizione della donna nel mondo del la-voro?Finché il carico delle cure parentali sarà appannaggio quasi esclusivo delle donne, sarà secondo me difficile superare le discriminazioni nel lavoro. Allora servono più servizi nel territorio, e un’applicazione migliore delle leg-gi, che già esistono, mirate ad agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e le pratiche per la Pari Op-portunità fra uomo e donna. E, naturalmente, serve una cultura del rispetto che accetti e valorizzi le differenze.

modi di fare sindacato. La Fim è dal 2001 che firma accor-di non condivisi da altre organizzazioni sindacali e nelle aziende c’è sempre stata una risposta positiva, tant’è che l’organizzazione continua a crescere.

3- Quali sono, a suo avviso, gli aspetti più rilevanti dei nuovi accordi?La salvaguardia dell’occupazione la metterei al primo posto; gli aspetti economici senz’altro, con un appesan-timento delle buste paga; e infine l’organizzazione del lavoro. Considero fondamentale che il nuovo metodo di lavoro consenta di migliorare le condizioni di lavoro, quindi di anche di ridurre il rischio di malattie professio-nali e infortuni. I lavoratori ci chiedono di lavorare meglio, non meno.

4- Come si è arrivati a una rottura così profonda sul fronte sindacale, che ha portato ad accuse reciproche e a forti tensioni?Inizialmente c’è stata un’ipotesi di accordo, ad un’orga-nizzazione sindacale non piaceva, ad un’altra pareva la migliore possibile, cioè non la migliore in assoluto, ma la migliore in quelle precise condizioni, ad esempio a Pomi-gliano con lo stabilimento fermo e tutti gli operai in cassa integrazione. In seguito, su questi argomenti, si è perso il senso della misura e del rispetto, e questa è la cosa peg-giore. La Fiom ha usato addirittura l’espressione “l’accor-do della vergogna”, sono state usate parole come :“boia chi firma”, mi è stata tappata la bocca in più di un’assem-blea.

5- Quali interventi sarebbero a suo avviso necessari per migliorare la posizione della donna nel mondo del la-voro?Innanzitutto credo che sarebbe da migliorare il contrat-to collettivo nazionale per quanto riguarda i permessi e il diritto al part time. Poi trovo che ci sia un’incoerenza sconcertante tra quanto dice il ministero della salute, cioè che i figli vanno allattati almeno fino all’anno di vita e in maniera esclusiva fino al sesto, e il fatto che la materni-tà obbligatoria arriva solo fino al terzo, massimo quarto mese. Anche l’organizzazione degli asili nido sarebbe da rivedere, perché in quelli pubblici il bimbo viene ammesso solo a 9 mesi e solo a partire da settembre, ma la mam-ma cinque mesi prima deve rientrare al lavoro. Gli orari di apertura, poi, dalle 8 alle 17, coincidono con gli orari di lavoro, creando gravi disagi ai genitori.

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L’analisi

“Noi non solo pensiamo in una lingua, ma la lingua pensa con noi o, per es-sere ancora più espliciti, per noi”. Così si legge in un magnifico saggio Sulla lingua del tempo presente di Gustavo Zagrebelsky, e in effetti, ancora una volta, siamo di fronte ad un equivoco, o meglio, ad un abuso linguistico uti-lizzato per aggirare la realtà e fornir-ne una scorretta rappresentazione. L’occasione è la discussione e l’appro-vazione di quello che politicamente e giornalisticamente viene definito “federalismo municipale”. Esso al-tro non è se non una semplice legge di autonomia finanziaria dei comuni che nulla ha a che vedere col concet-to molto più serio, complicato e am-pio di federalismo, che descrive un processo di progressiva unificazione di stati sovrani verso un unico stato gestore. Tolta alla Lega il vessillo col quale si forgia e col quale ha costrui-to la sua forza politica in questi ultimi anni, passiamo ad analizzare nel me-

detta “Bicameralina”) con il compito di approvare i decreti attuativi, ossia i provvedimenti che stabiliscono le norme di dettaglio su come realizzare in concreto l’autonomismo fiscale. Fino ad oggi ne sono stati approvati tre: quello sull’impropriamente detto “federalismo demaniale” che attribu-isce parte del patrimonio dello Stato, soprattutto edifici e aree pubbliche, a comuni, province e regioni; quello sull’ordinamento di Roma Capitale, dotata provvisoriamente di autono-mie speciali; e quello sui “fabbisogni standard”, cioè una norma che nelle intenzioni del legislatore dovrebbe modificare il criterio attuale di distri-buzione delle risorse agli enti locali, a oggi finanziati sulla base della loro “spesa storica”.A concludere questo iter il Governo ha approvato, salvo poi essere stoppato dal Presidente Napolitano e rispedito alle Camere, il decreto sul nuovo fisco municipale. Esso prevede lo sposta-

rito il provvedimento normativo che chiameremo, più appropriatamente, “autonomismo municipale”.Per ca-pire di che cosa si tratta bisogna tor-nare al 2001, quando la riforma del titolo V della Costituzione introdusse il principio della proporzionalità di-retta, il quale prevede che le imposte vadano, almeno in parte, a beneficio dell’area in cui sono riscosse, secondo il principio dell’autonomismo fiscale ( anche impropriamente chiamato “fe-deralismo fiscale”), da concretizzare, successivamente, con legge ordina-ria. Un primo passo in questo senso è stata la legge delega 42 del 2009, con la quale si è introdotta l’idea di premiare gli enti locali “virtuosi”, ossia quelli che non spendono più di quanto incassano, e si è fissata per il 21 maggio di quest’anno la data di at-tuazione vera e propria della riforma. In vista dell’appuntamento è stata istituita una Commissione bicame-rale di trenta parlamentari (la cosid-

(NON)FEDERALISMO

made in Lega“Noi non solo pensiamo in una lingua,

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L’analisi

mento dallo Stato ai comuni del get-tito di numerosi tributi erariali: impo-sta di registro, ipotecaria e catastale, Irpef sui redditi fondiari non agrari, imposta di registro e bollo sui con-tratti di locazione relativi ad immobili ed istituisce una imposta sostitutiva sui canoni di locazione (cedolare sec-ca sugli affitti). In una prima fase di avvio, della durata di tre anni, (2011-2013), gli enti locali riceveranno il get-tito dei tributi immobiliari, che man-terranno per questo periodo l’assetto attuale; poi, dall’anno 2014, saranno introdotte nell’ordinamento fiscale due nuove forme di tributi comunali: l’imposta municipale propria (IMU) e l’imposta municipale secondaria.I tributi in questione alimenteranno un Fondo sperimentale di equilibrio, isti-tuito con la finalità di assicurare una devoluzione ai comuni della fiscalità immobiliare che risulti progressiva e territorialmente equilibrata, la cui du-rata è fissata per un periodo di cinque anni. Il riparto del Fondo fra i singoli comuni avverrà tenendo conto dei fabbisogni standard di spesa (D.Lgs. n. 216 del 26 novembre 2010) e dei risultati conseguiti dalle amministra-zioni locali nel recupero dell’evasione fiscale. Per i comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti si preve-dono modalità di attribuzione diffe-renziate e semplificate. In corrispon-denza del gettito che confluisce nel Fondo vengono ridotti i trasferimenti erariali spettanti ai comuni. Al mede-simo fine viene stabilita l’attribuzione allo Stato di una compartecipazio-ne sul gettito dei tributi devoluti ai comuni. Viene infine istituita – con decorrenza dall’anno 2011 - una nuo-

sta di soggiorno, ossia si da la possi-bilità a comuni capoluogo di provin-cia, unioni di comuni e comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte di istituire una tassa di soggiorno a carico di chi al-loggia nelle strutture ricettive del proprio territorio. L’imposta sarà ap-plicata con gradualità, fino a un mas-simo di 5 euro per notte di soggiorno, in proporzione al prezzo. Il gettito è destinato a finanziare interventi in materia di turismo, manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali locali e dei relativi servizi pubblici locali.Infine a partire dal 1° aprile 2011 qua-druplicano le sanzioni sugli immobili non dichiarati. Il 75% dell’importo delle sanzioni è devoluto al comune dove è ubicato l’immobile.In sostanza si sostituiscono vecchie tasse con nuove e si stabiliscono nuo-vi criteri di finanziamento dei comu-ni che porteranno, secondo quanto

va imposta sostitutiva sui canoni di locazione, denominata cedolare sec-ca che, previa opzione da parte del contribuente, sostituisce l’Irpef sulle locazioni, le addizionali regionale e comunale all’imposta sul reddito e le imposte sui canoni di locazione. Sono previste due aliquote, una al 21 per cento per il canone libero e una al 19 per cento per il canone concordato. La tassa non varierà in base al reddi-to, ma la percentuale sarà uguale per tutti i proprietari; oggi invece vengo-no detratte le spese forfettarie e gli affitti entrano a far parte del reddito, su cui poi si pagano le tasse.Scompare il bonus di 400 milioni pre-visto come fondo di sostegno per le famiglie numerose in affitto, ma i proprietari che sceglieranno di paga-re le tasse con un’aliquota secca non potranno chiedere un aumento del canone agli inquilini e nemmeno ade-guarlo all’indice Istat.A tutto ciò si affianca la nuova impo-

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L’analisi

emerge da recenti studi di settore, ad un aumento della tassazione per i cit-tadini proprietari di immobili colpiti dalla nuova cedolare secca sugli affitti e ad una diminuzione complessiva di quasi 500 milioni di euro delle entrate per i redditi da locazione.Tutto ciò ha portato a sollevare nu-merose e variegate critiche al prov-vedimento anche da parte di coloro che si dichiarano convinti sostenitori e promotori del federalismo.Emblematiche in tal senso sono le posizioni di Luca Ricolfi, federalista convinto e autore del libro “Il sacco del nord” , il quale si esprime in questi termini in un editoriale pubblicato su La Stampa. “[…] oggi fra coloro che si oppongono ai decreti sul federali-smo ci sono per la prima volta anche i veri federalisti, coloro che al federa-lismo hanno sempre creduto più della Lega stessa. Politici, amministratori, studiosi, commentatori politici, il cui timore non è che il federalismo possa

funzionare, eliminando ogni forma di parassitismo e assistenzialismo, ma che il federalismo possa non funzio-nare affatto, lasciando le cose così come sono, o addirittura peggioran-dole, ad esempio con più tasse e più spese, o semplicemente con una sel-va di norme ancora più barocche e in-tricate di quelle che cerchiamo di la-sciarci alle spalle. Oggi capita sempre più di frequente di leggere e di sentir dire, non già «sono contro il federa-lismo, quindi mi oppongo al decreto sul federalismo municipale», ma piut-tosto, «sono federalista, quindi non posso votare questo decreto».[...] la novità è questa: oggi chi è veramente federalista non può non chiedersi se sia meglio (meno peggio) che il fe-deralismo «à la Calderoli» passi, o sia meglio che tutto venga affossato per l’ennesima volta. Io, che ho sempre difeso il federalismo, il dubbio ce l’ho. E vi posso dire che altri federalisti convinti, almeno in privato, confes-

sano di augurarsi che tutto si blocchi, tali e tante sono le concessioni che gli artefici del federalismo sono stati costretti a fare alla rivolta degli inte-ressi costituiti e alla miopia del ceto politico locale.Questo, che ci piaccia o no, è l’impropriamente detto “fede-ralismo municipale” modello di quel federalismo all’italiana, o meglio, in stile Lega che alla luce dei fatti altro non è che un semplice spot elettorale.

Michele Forlivesi

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La società di

Buon giorno, Buenos dias, Bom dia, Good Morning, e chi più ne ha più ne metta! Si lo so, sarà una banalità, ma è davvero così:biologicamente parlando le persone tra loro sono tutte uguali, ed è solo la cultura, la lingua, la storia che differenzia i popoli, che crea questa varietà davvero splendida ed intri-gante. Però spesso succede che le differenze, invece di essere considerate un valore aggiunto, un fattore positivo della so-cietà, sono viste con diffidenza e attaccate poiché considerate portatrici del male. Per questo è necessaria la Cooperazione. Cooperazione fra i popoli, fra le diverse genti di uno stesso Sta-to, ma anche fra le diverse comunità appartenenti a Stati diffe-renti, affinché nessuno sia emarginato, sia considerato feccia. Collaborazione, perché nessuno debba sentirsi escluso ma al contrario tutti partecipino attivamente e positivamente alla Vita del Mondo. Questa rubrica, nella più grande umiltà pos-sibile si pone l’obiettivo di informare e far riflettere riguardo l’ambito della Cooperazione e del Mondo Sociale. Spesso non ci si pensa, o lo si fa superficialmente, ma il fenomeno della compensazione vale anche per gli esseri umani, per la nostra società. Se da una parte vi e’ un livello di benessere media-mente alto, significa che da un’ altra parte si ha un livello di be-

nessere mediamente basso. Il problema della nostra realtà so-ciale è che questa compensazione è stravolta : c’è pochissima gente che sta bene, molto bene, mentre la maggior parte dei miliardi di persone vive nella povertà più triste, scoraggiante e indignante. Mentre Noi, nel parlamento UE, combattiamo per il diritto al peer to peer, più che legittimo, ci sono tantissime persone che lottano per un sorso d’acqua, per riuscire ad avere un tozzo di pane, per difendersi dai continui abusi, violazioni e torture. Combattono affinché non gli venga strappato l’ultimo pezzo di terreno, loro unica fonte di sostentamento. Terreno che poi andrà in proprietà di una qualche multinazionale, la quale produrrà beni rivolti esclusivamente ai ricchi consuma-tori occidentali. Intanto, quei poveracci ai quali è stata rubata la terra, saranno morti di fame. Ovvio, non è solo colpa Nostra. I popoli dei Paesi del Sud del Mondo dovrebbero ribellarsi di più. Poi però succede che quando lo fanno, i Nostri governi ci mettono la manina, tappando le bocche della protesta, e cosi il tutto finisce in un niente. E quindi sta a noi, alla gente comu-ne che gode di un benessere mediamente alto, fare qualcosa. Informarsi, informare, aiutare, agire. In una parola: Cooperare.

COOPERAREocchi fissi sul mondo

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La società di

Dittature nei principali Stati dell’Ame-rica Latina.Come si può ben vedere, le varie leggi di impunità, indulto o riconciliazione nazionale hanno hanno reso possibile l’impunità di queste persone, nonostan-te gli atroci crimini commessi.

Un uni-verso giusto?Un’azione nel segno del-la Cooperazione e nel nome della fratellanza fra popoli, è la difesa del Principio di Giustizia Uni-versale.

Noi occidentali dobbiamo lottare affin-ché questo Principio non scompaia dai nostri ordinamenti giuridici. Attraverso la Giustizia Universale, vi è la possibi-lità che tutti i dittatori, tutti gli autori di delitti di genocidio, di lesa umanità ed altri crimini atroci siano giudicati da qualsiasi tribunale nazionale, indi-pendentemente dal luogo nel quale sia stato compiuto il reato e dalla na-zionalità dell’autore e delle vittime. In questa maniera, le vittime avrebbero la possibilità di ottenere giustizia e verità, nonostante il proprio sistema giuridico non sia dotato dell’ impar-zialità e indipendenza necessaria per portare a compimento un processo

così complesso. Incapacità data anche dall’importanza e dalla notorietà delle persone implicate ed accusate, spesso occupanti i vertici del potere di uno Stato. La Giustizia Universale la si può vedere come una sorta di solidarietà giuridica globale. Non scordiamoci che nel secolo passato, quasi tutti i Paesi dell’America latina sono stati gover-nati da dittature, nelle quali sono stati compiuti gli atti più orripilanti : delitti, violazioni massive di donne di interi vil-laggi, violazioni dei diritti umani..E se-condo voi, gli autori sono stati proces-sati, incarcerati?Chiaramente no! Tutti a piede libero, grazie all’approvazione delle varie leggi di indulto e di amnistia. Ma così facendo, si frustra il diritto alle

vittime e ai familiari di queste di cono-scere la verità ed ottenere giustizia. Bisogna invece permettere a queste persone, che hanno subito abusi inim-maginabili, di provare a costruirsi una nuova vita, ad avere nuovamente fi-ducia nel Sistema che regola la nostra Società.Riporto le parole di Rigoberta Manchù, premio Nobel per la Pace nel 1992, at-tivista guatemalteca per i diritti delle popolazioni indigene. E’ l’appello ri-volto al Parlamento spagnolo, il qua-le voleva modificare la definizione di Giustizia Universale, per restringere i possibili casi di istruzione di processi. Rigoberta Manchù dichiara che, gra-zie alle imputazioni a Pinochet (Cile) e a Videla (Argentina), operate dall‘Au-dencia Nacional (Corte Spagnola): “se abrió una esperanza para las víctimas. Se abrió una esperanza donde podre-mos ser eschudas las personas que vivimos las torturas, las desaparición forzad, los secuestos, el terrorismo de estado y el aniquilamiento de muchos de nuestros pueblos. Por esto creemos que la Audiencia Nacional ha sentado un gran precedente en el corazón de la humanidad”.

Federico Ticchi

STATO

Cile Riconciliazione NazionaleSenatore a Vita

1983: Ergastolo

1990: Indulto

1979: Legge di amnistia1990: Indulto

2007: Corte Penale Federale conferma l’ergastolo

Argentina

GuatemalaBrasile

Pinochet

Videla

Castillo ArmasCastelo Brancoe altri

1973 - 1990

1976 - 1981

1960 - 19961964 - 1984

DITTATOREA NNI PENAA

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La copertina di

Non voglio saperne di delusione, tristez-

za e insofferenza,mi vesto solo di quella

rabbia sana,tanto più forte quanto più

grande è l’amore verso l’alternativa a ciò

cui ci stiamo ribellando. So che è tardi per

farci sentire, che non avremmo dovuto

aspettare le debolezze del solito poten-

te contornato da prostitute,quel potente

che fin dall’antichità ci perseguita ricor-

dandoci quanto sia facile(?) per noi don-

ne riempirci di oro. So che non avremmo

dovuto mai fermarci,mai credere di esse-

re arrivate, ma oggi non m’importa. Oggi

voglio urlare che ci sono, che sono stanca

di essere offesa in tutte le componenti del

mio essere donna. Sono stanca di seni nudi

sui link di facebook, di donne bellissime e

discinte in televisione, senza parole da

dire e con tanta carne da mostrare, sono

stanca delle pubblicità ripetitive e vuote, di

donne senza sguardo che parlano coi loro

fianchi. Oggi voglio vedere l’umanità,e la

scorgo piena,in tutta la sua irruenza,dal

primo istante. Vedo signore coi capelli

volta, godo del fatto che non m’interessa

cosa dirà Minzolini. Oggi la piazza, ci ser-

ve per guardarci in faccia. Per ricordarci di

come siamo fuori dalle realtà fasulle tra-

smesse dai media e oggi assurte a impro-

babile modello politico, serve per dirci che

non siamo nemici quando lottiamo, che le

diverse generazioni possono essere fonte

di scambio e dialogo,non solo di scontro.

Oggi non ci sono litigi nelle piazze, né

energumeni vestiti di nero ad oscurare la

bellezza dei cortei. Non ci sono bandiere

politiche a far da mantello alle idee che

sfilano entusiaste, anche se raramente

la politica è stata così presente. La politi-

ca come cosa pubblica, quella che non si

limita a ridondare discorsi triti e sputarli

senza ritegno, quella costruita dal basso,

quel meraviglioso principio secondo cui a

fare il nostro destino sono le nostre mani,è

il nostro stomaco,è la nostra grinta. Mi

guardo intorno,vedo un altro gruppo di

donne adulte, coi capelli coloratissimi e i

fischietti attaccati al collo. Alzano le brac-

bianchissimi e le padelle in mano, a ribel-

larsi con gli stessi oggetti che un tempo le

relegavano a “regine del focolare”,per dir-

la alla Simone De Beauvoir. “Hai visto quel

cartellone?Sembra quello del ‘77”,dice

un’anziana al suo compagno,che la tiene

per mano chiedendole di non urlare,di ral-

lentare il passo o si sentirà male. Ma lei non

lo ascolta e accelera: “dobbiamo fare un

coro sui giovani,qua ce ne sono tanti”.E a

me,vengono i brividi. Poi mi guardo attor-

no, ecco perché mi piacciono tanto le ma-

nifestazioni: Vedo i passeggini, i bambini e

le mamme trafelate accompagnare le loro

figlie in bagno, vedo gruppi di ragazzine

tenersi per mano, disegnarsi entusiaste

sulle guance il simbolo della pace. Vedo

un gruppo di amiche adulte,sorridere

mostrando le loro rughe di espressione

mentre si chiedono quale slogan cantare

successivamente. “Chissà cosa diranno-

sento dire- Minzolini dirà che siamo cento-

centocinquanta,ammesso che trasmetta

la notizia”; ascolto senza amarezza sta-

LA DONNAS’È DESTA?13 Febbraio 2011. Oggi,scendo in piazza per amore.

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La copertina di

cia, uniscono le dita fino a formare il sim-

bolo del femminismo, quell’organo geni-

tale mimato rivendicato con forza come

simbolo di appartenenza ad un genere che

troppo spesso era rimasto al margine. E mi

fermo ad immaginarle le donne di allora,

senza uomini nei loro cortei, oppresse da

un patriarcato cieco e da una religione che

le relegava all’angolo,con l’unico compito

di perpetuare la specie. Immagino la fie-

rezza nei loro occhi, la necessità di nascon-

dere quelle forme che le differenziavano

dall’uomo,come se così facendo potesse-

ro eliminare le diversità, riappropriarsi di

un mondo che,cavolo, tiravano fuori pro-

prio da quell’organo rivendicato coi loro

gesti. Chiedevano di andare alle urne, di

poter abortire, di poter divorziare. Chie-

devano alle loro congeneri di squarciare il

silenzio,di denunciare le violenze fisiche e

mentali che ogni giorno le colpivano.

Oggi,tutto,è uguale è diverso. Ci hanno in-

segnato che siamo uguali agli uomini,che

qualcuno ha lottato per darci quello che

abbiamo e nessuno potrà togliercelo. Le

tv non parlano più delle violenze sessuali

(oggi in aumento anche sugli uomini),a

meno che a compierle non sia un immigra-

to ubriaco. Oggi non ci dicono che siamo

regine del focolare,oggi ci mostrano che

possiamo essere regine dello show. Ce lo

dicono nelle pubblicità, nei cartelloni, sui

giornali. I corpi che più spesso riempio-

no i mass media, e che inevitabilmente si

impongono nella visione collettiva sono

sempre più magri e perfetti. Non c’è spa-

zio per parlare delle donne anoressiche

o bulimiche ,uccise da una malsana idea di

bellezza, né degli abusi subiti ancora oggi

tra le mura domestiche (il 67% degli stupri

in Italia è opera del partner, fonte ISTAT).

Oggi però, è una lotta diversa,una lotta

comune. Oggi non vogliamo sterminare

l’”uomo nemico” né essere come lui. Oggi

lo vogliamo accanto,per riprenderci la di-

gnità di una lotta di cui abbiamo tratto i

benefici. E lo sappiamo che questa gior-

nata verrà strumentalizzata, lo sappiamo

che non dev’essere ora,ma anche domani,

dopodomani, sempre. Sappiamo che il

rispetto per noi deve partire dalle piccole

scelte di ogni giorno,dal decidere se ci stia-

mo a far parlare il nostro corpo al posto

della bocca. Sappiamo che la prostituzione

è di troppi tipi, sappiamo che chi prostitu-

isce le sue idee è più pericoloso di chi pro-

stituisce il suo corpo ma oggi siamo qui per

scegliere da che parte stare. E non sceglie-

remo la tristezza di una rappresentanza

femminile politica basata su tacchi a spillo

e frasi vuote atte a difendere l’indifendibi-

le. Oggi siamo deste,e scegliamo l’amore

per quei diritti che ci sono stati donati, per

la libertà di poter avere un corpo desidera-

bile e poterlo donare gratis,a chi ci pare a

noi,per voglia o per amore che sia.

Il corteo è finito,ora tocca ai discorsi. Par-

la una partigiana, voce ferma,capelli grigi

raccolti. Non posso far altro che commuo-

vermi a sentir parlare chi ha costruito un

pezzo della nostra storia, chi ha ridato di-

gnità ad un Paese uscito perdente e scon-

volto dalla guerra. Poi,rifletto sulla parola

resistenza, e il mio pensiero va in Iran, a

quelle donne imprigionate nel loro velo

che hanno trovato la forza di scrivere ed

esportare la loro sottomissione. Va chi re-

siste ogni giorno, in un mondo in cui non

vendersi è considerato (ahinoi) di per sé un

atto eroico. Va a chi cerca di costruire gior-

no dopo giorno, a chi sceglie di guardare in

faccia i volti delle proteste, e non a schivar-

le dicendo che non servano a nulla. E poi

va a chi sta zitto, criticando dietro un com-

puter, dicendo a se stesso e agli altri che

siamo tutti un popolo di servi, che tanto

questo è il modo in cui il mondo gira,e non

possiamo farci nulla. E allora sorrido, con-

tenta di essere scesa in piazza, di essere in-

namorata della forza collettiva delle idee,

di non essermi persa lo spettacolo di gen-

te che magari voterà partiti differenti,ma

oggi,oggi è tutta insieme. Oggi ha scelto di

essere sostanza.

Francesca Antonella De Nisi

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La società di

Sguardi di donne e ragazzine appa-iono un po’ dappertutto negli ultimi tempi, i giornali e le televisioni sem-brano calderoni ribollenti di strilli, frustrazioni e sdegno, espressioni diverse di un comune senso di rival-sa nei confronti della costruzione mediatico-commerciale della donna dell’ultimo ventennio; un arco di tem-po durante il quale è avvenuta una robotizzante trasformazione della sensualità femminile in un prodotto codificato e standardizzato in base a regole, dettate dal copione della irre-ale tv commerciale.Gli strilloni della politica, in molti casi, hanno descritto gli occhi delle mani-festanti del “se non ora, quando?”e la loro forza e voglia di emozionarsi insieme , scaturita da gravi proble-matiche sociali e realmente esistenti , con un linguaggio stereotipato, inap-propriato, il famoso “politichese”.Tuttavia, tralasciando il Palazzo e la scatola parlante, cosa pensano e che faranno le dirette interessate riguar-do l’8 Marzo, festa della donna?“Sono una mamma che lavora circa otto ore al giorno, dal lunedì al vener-dì, per poter uscire solo la Domenica

palestrati, il tutto chiaramente in as-senza dei fidanzati rompiscatole!”, afferma entusiasta, e quando le vie-ne chiesto il motivo di questa scelta, risponde “a me non piace la politica, non sono una tipa che va in piazza a gridare senza un motivo, da grande vorrei fare la giornalista sportiva”. Sara siede in biblioteca, sfoglia una rivista di attualità, mostra freschezza e irradia di idee chi le parla: “nessuno conosce bene sé stesso, figuriamo-ci se sia in grado di inquadrare alla perfezione la situazione femminile al giorno d’oggi..Si parla tanto e troppo della donna, eppure sento dire sem-pre le stesse cose; discutere sull’8 Marzo per me è inutile, sarebbe come discutere su San Valentino..Se voglia-mo porre fine al silenzio dei media sulle questioni che più ci interessa-no, dovremmo puntare sulle nostre capacità: ad esempio, noi donne, col nostro modo di pensare, potremmo rendere una discussione banale sul testo di una canzone, meravigliosa-mente femminile e unica in quanto tale, e allo stesso modo riusciremmo a volare in alto con la nostra curiosi-tà, la nostra operosità e sensibilità,

a mangiare una pizza con la mia fami-glia, altroché shopping e serate con le amiche..Io l’8 Marzo lavorerò, per me non è una giornata diversa dalle altre”, spiega Teresa, precipitandosi verso la fermata dell’autobus, assor-bita dai suoi pensieri. Marina si mo-stra alquanto indifferente sull’argo-mento: “ non so cosa farò, penso nulla di speciale, a parte andare a lezione e studiare, come tutti i giorni..Per me queste feste sono inutili, non hanno senso, è un fatto commerciale”. Mi-chela, mentre serve con gentilezza i soliti caffè ai soliti colletti bianchi nel bar in cui lavora, dice: ” io penso sia importante parlare di noi donne tutti i giorni, non solo l’8 Marzo, perché, ad esempio, se io volessi chiedere, in questo momento, al mio titolare di poter organizzare il mio orario di la-voro, in modo da renderlo più legge-ro, dovrei avere la possibilità di poter-lo fare tutti i giorni, e senza che questi mi rida in faccia..”. Nel frattempo Deborah, bramando una borsa rossa in vetrina, sembra non veder l’ora di festeggiare: “andremo in un locale, ci sarà uno schiuma-party, saremo tan-tissime ragazze e ci saranno ragazzi

PERCHÈ l’8 MARZO?La donna al tempo del radical-chic

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La società ditrattando di questioni socio-politiche rilevanti; dovremmo solamente ot-tenere anche l’aiuto degli uomini su questo punto; il fatto che gli uomini abbiano più possibilità di far carriera rispetto a noi donne, dipende dall’as-senza di una criticità diversa dal loro modo di pensare; se riuscissimo a conquistare lo spazio di criticità quo-tidiana che ci spetta di diritto, la vita sarebbe senz’altro meno monotona e, di certo, più interessante”.Emergono opinioni difformi tra loro, segno tangibile di come la società viva contrasti, evidenziati maggior-mente in tal caso, a causa della in-fluenza dei mezzi di comunicazione e dall’efficacia che alcune parole pos-sono avere se pronunciate in maniera ripetitiva, in primis dalle personalità pubbliche.Si parla in genere del tema legato all’8 Marzo in vario modo,vengono compiute analisi che poco hanno a che fare con la sociologia, che per nulla rendono l’idea di come il Paese stia vivendo effettivamente le mani-festazioni e i moti dell’ultimo perio-do; a riguardo, una volta Alda Merini disse “mi sveglio sempre in forma e mi deformo attraverso gli altri”; forse “la novità” potrebbe consistere nello svegliarsi e pretendere di poter dar forma alle idee, sperando di non esse-re additati di comportamenti da “ra-dical chic”, soltanto per aver richiesto maggiore parità salariale tra uomini e donne.

Emanuele Vitale

Nelle realtà diverse dalla nostra, esiste una giornata dedicata alla donna? Per soddisfare questa curiosità, ci pensano tre mie amiche che vivono di là dell’oceano Atlantico: Livia, una solare ragazza di Recife (Pernambuco), nord-est del Brasile, che studia nella Universidade Federal de Pernambu-co. Andrea , simpaticissima peruviana di Lima, studentessa della Ponti-ficia Universidad Catolica de Perù. Ana, una divertentissima mexicana di Aguascalientes, frequentante la Universidad Autonoma de Aguascalien-tes.1) L’8 marzo, festa della donna,è un giorno particolare nel tuo Paese?E’ una ricorrenza sentita e partecipata?Livia(Brasile): Si, è una giornata particolare. Gli uomini e le donne regala-no fiori e cioccolata. Dovunque, nella strada, nei negozi, le donne ricevo-no dei presenti. Quest’anno, la giornata di apertura del Carnival di Recife cade esattamente l’8 marzo, e per omaggiare questa data, canteranno solo donne. Andrea(Perù): Solamente da pochi anni la televisione ed i quotidiani men-zionano l’8 marzo come festa della donna, ma non si celebra ne si festeg-gia. Non vengono regalati fiori. Molte donne neppure sanno che esiste un giorno dedicato a loro! Ana(Mexico): Non è molto popolare. Molte donne non sono a conoscenza che l’8 marzo sia la loro giornata.Non riceviamo alcun regalo!!2) Come festeggiano le ragazze (per esempio qui in Italia solitamente vanno negli StripClub)?Livia:Una semplice uscita riservata alle amiche.Andrea: anche qui dovremmo andare negli Strip club, ma sfortunatamen-te no(risata)!Le poche donne che celebrano l’8 marzo, e soprattutto le pochissime che possono permetterselo, al massimo vanno a cenare fuori o bere qualcosa.Ana: Disgraziatamente in Messico non festeggiamo negli StripClub, ma penso che inizerò questa tradizione con le mie amiche (risata)!4)Nel tuo Paese, il movimento femminista è forte e ben radicato?Livia: Ci sono solo alcuni gruppi isolati, senza molto seguito. Solo il grup-po che difende i diritti delle lesbiche è abbastanza radicato.Andrea:Esistono, ma non sono forti come dovrebbero essere. Al massi-mo, denunciano le imprese di birra che pubblicizzano il prodotto con foto di donne in bikini.Ana:Dopo le marce e le proteste degli anni ‘’60, attualmente il movimen-to femminista continua la sua attività nella vita sociale, in quanto il mer-cato del lavoro e dell’università è dominato dalle donne .Abbiamo avuto

E AL DI LA’ DELL’OCEANO?

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La società didelle icone femministe molto famose e conosciute : Sor Juana Ines de la Cruz, scrittrice e religiosa; Frida Kahlo, famosissima pittrice.5) Il maschilismo è ancora presente?Livia:Certamente!Per esempio, le donne guadagnano molto meno che gli uomini!Andrea:Si tantissimo. Nonostante che sulla carta le donne abbiano pieno accesso al mondo del lavoro, il fenomeno del maschilismo è ancora forte e radicato. Nelle Ande poi la situazione è ancora più triste:le ragaz-ze non vanno a scuola e la maggioranza fa la casalinga. In alcune comunità andine esiste una pratica, chiama-ta “servinacuy”(parola quechua, la lingua degli Incas), con la quale i padri danno in prestito le proprie figlie ai possibili futuri mariti, affinché questi le provino, e nel caso in cui la donna non “funzioni”, la restituiscono alla famiglia!!Ana:Tristemente in Messico il maschilismo è molto comune.La donna viene trattata come un essere infe-riore, soprattutto nei piccoli villaggi, molto legati alle tradizioni6)Sono frequenti i casi di violenze sulle donne?

Livia:Si molto. La Ley Maria da Penha punisce proprio questo illecito.Andrea: Ci sono moltissimi casi di violenze domestiche. Solo in gennaio, sono state uccise 7 peruviane.Ana:Si sono frequentissimi. Basti ricordare il femmini-cidio di Ciudad Juarez:Tragico e sconvolgente.7) Vi sono donne che occupano ruoli importanti, sia nel-le istituzioni Pubbliche che nel Privato?Livia:Certo! E’ da poco stata eletta la “presidentA” Dil-ma Roussef!La maggioranza dei brasiliani confida in lei. Sicuramente è tra le donne più potenti del Mondo!Andrea:Si. Ci sono Ministre,Amministratrici di gran-di imprese,funzionarie pubbliche. Il sindaco di Lima è donna!Ana: La proprietaria della Corona (la birra!) è donna. Il presidente del PRI( Partido Revolucionario Institucio-nal), partito più importante del Paese, è donna!Inoltre ci sono molte governatrici e sindachesse.Il sindaco di AguasCalientes, la mia città, è donna!

Federico Ticchi

Erano i primi anni del novecento quando diversi nuclei del movimento femminista incominciarono a muo-versi, anticipando una corrente che diverse volte nel corso della storia del secolo ventesimo si rese prota-gonista . Erano quelli gli anni delle suffragette, impegnate in una lotta alimentata da una speranza, quella dell’estensione del diritto al voto alle donne, destinata a tramutarsi in re-altà, seppur in momenti diversi a se-conda delle nazioni. Ma erano anche gli anni della “Belle Epoque”, anni in cui, sorretta dalla spinta conferitagli dalla Seconda rivoluzione industria-le prima e da altri fenomeni come la corsa agli armamenti poi, la produ-zione si manteneva florida, la richie-sta di manodopera aumentava e nelle fabbriche erano impegnate, in un cre-

lasciando le vittime al loro destino, furono assolti. Una sconsiderata po-litica interna alle fabbriche, foriera di eventi come il disastro del colosso industriale newyorkese e totalmente incurante dei diritti e della sicurezza delle operaie aveva spinto, stando a quel che riportano le fonti storiche, già nel 1910, in occasione del Con-gresso dell’internazionale socialista tenutosi a Copenaghen, la compo-nente femminile della convention a proporre l’istituzione di una giornata internazionale dedicata alla donna. A quanto pare però, non fu però scelta all’unisono la data da destinare alla celebrazione, anzi l’istituzione venne ufficializzata in anni diversi a secon-da dei Paesi (in Italia ad esempio nel 1922). Difatti, come ha ricordato uno speciale de La Repubblica uscito l’ 8

scendo che vedrà il suo apice duran-te la grande guerra, anche le donne. Proprio nelle fabbriche andava sem-pre più consolidandosi fra gli operai il senso d’appartenenza ad una vera e propria classe, e la componente femminile, soggetta a non poche ves-sazioni, non poteva non far sentire la propria voce per chiedere il rispetto e l’acquisizione dei propri diritti. A New York le cronache del tempo riportano la notizia di un tragico incendio di-vampato presso la Triangle Factory il 25 Marzo del 1911. In seguito a que-sto drammatico evento morirono più di 140 persone, per lo più donne, an-che giovanissime, emigrate dall’Eu-ropa. I proprietari della Triangle pur-ché responsabili di aver tenuto sotto chiave le operaie (il timore era che potessero rubare), e messisi in salvo

SPACCATO STORICO

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La società di

ANNAMARIA TAGLIAVINIPer comprendere meglio la nuova fase che sembra essersi inaugurata nella politica italiana il 13 febbraio 2011 diamo la parola ad Annamaria Tagliavini, Direttrice della Biblioteca Italiana delle Donne di Bologna.Dottoressa Tagliavini, il 13 febbraio 2011 oltre un milione di donne e uomini ha invaso 230 piazze italiane, riunito sotto un unico slogan «Se non ora, quando?». Come giudica questo evento e quali sono, a suo avviso, le motivazioni che hanno portato alla protesta?Mi pare sia stata una giornata importantissima sulla scena politica italiana. Io, che viaggio molto all’estero, e che mi trovavo all’estero in quei giorni, non faccio altro che ricevere domande alle quali non so ri-spondere: perché le donne italiane sopportano il governo Berlusconi, soprattutto l’immagine che il governo Berlusconi propone della don-na. In questo caso, mi sento di dire che la risposta è arrivata dalle piaz-ze, nel senso che le stesse donne italiane hanno deciso di far vedere, e di far vedere pubblicamente, che non hanno più voglia di sopportare questa rappresentazione, da un lato irreale, dall’altro fortemente lesi-va del loro valore. A me pare che questa manifestazione abbia contri-buito al recupero non solo della dignità della donna, che è una parte del problema, ma anche di un concetto stesso di civiltà che è, in que-sto momento, sotto scacco nel nostro Paese. I rapporti fra l’uomo e la donna infatti sono, a mio parere, un’unità di misura del grado di civiltà di una società. Quindi, evviva la manifestazione del 13 febbraio, e mi auguro ce ne siano tante altre.Diverse commentatrici vi hanno descritto criticamente: qualcuna vi ha definito bacchettone e moraliste o radical chic, altre, come Ele-na Loewenthal de La Stampa, hanno sostenuto che la dignità della donna si difende nella vita quotidiana, non in una manifestazione che chiede le dimissioni del Presidente del Consiglio. Come giudica queste prese di posizione?Le giudico queste abbastanza pretestuose. Io sono stata una delle prime firmatarie dell’appello lanciato da Concita De Gregorio «Se non ora, quando?», con la consapevolezza che quel documento era un testo, se vogliamo, abbastanza generico. D’altra parte, è così che si fa quando si vogliono chiamare in piazza un gran numero di donne e non un ristretto gruppo di femministe teoricamente schierate. Se si ha l’obiettivo di mobilitare un gran numero di donne si fa un appello molto generale, che sia capace di toccare le corde del sentimento popolare. Io non credo che quel documento avesse alcun contenuto moralistico: l’ho letto, l’ho riletto e credo che fosse un documento, se vogliamo, forse un po’ generico, ma utile. La prova che fosse un docu-mento utile sta nella risposta delle persone: è un testo che ha toccato il cuore di tantissima gente, non soltanto donne peraltro, ma anche uo-

mini. Quando il documento è arrivato a me, ho iniziato a farlo circolare fuori dai giri del femminismo, delle reti delle donne che io frequento di solito, verso un altro tipo di pubblico. Ho avuto immediatamente un consenso enorme, anche da parte di donne e uomini che normal-mente non fanno politica e che non sono particolarmente interessati al movimento delle donne. Questo è stato un segno positivo: se si fos-se fatto un documento più approfondito, o più sofisticato dal punto di vista teorico, ci saremmo trovate in 50 in piazza invece che in 50.000. Io quindi credo che esistano strumenti diversi per finalità diverse: è chiaro che se vogliamo analizzare il nesso sesso-potere-politica nel nostro Paese non è certo un volantino di una mezza cartella che può fare questo tipo di analisi. Se vogliamo scendere in piazza e far vedere che siamo in tante contro questo tipo di andazzo della società, allora si fa un volantino più generale, forse anche un po’ demagogico, ma che sia capace di dare il via, appunto, a questo tipo di mobilitazione. Penso quindi che le critiche che ci sono state rivolte siano davvero un pochino pretestuose.In séguito al successo della manifestazione, il 14 febbraio l’Unità apriva con il titolo È solo l’inizio: è un fatto, una speranza o un’illusione?Io penso che sia una volontà. Dopo la manifestazione, infatti, moltis-sime sono state le donne che ci hanno contattato per chiederci: «E adesso? Adesso che cosa facciamo?». Il prossimo 8 marzo, invece del-le solite manifestazioni, magari anche di notevole spessore culturale, ma trite e ritrite, cerchiamo di dare continuità a quello che è uscito da questa piazza. A tal fine, so che è in previsione per l’otto marzo un altro presidio della piazza, di un paio d’ore, per richiamare l’attenzione su questo problema. In ogni caso, sono convinta che molte delle persone che erano alla manifestazione il 13 febbraio, e che hanno voglia di con-tinuare, sapranno darsi i modi per fare di questa giornata qualcosa che duri appunto tutte le giornate dell’anno, attraverso momenti di mobi-litazione, di riflessione, di discussione, di partecipazione, che faranno di questo 13 febbraio uno spartiacque.Per concludere, ha dunque senso, nel 2011, festeggiare l’8 marzo?Sì, penso di sì. Perché dopo questo 13 febbraio questo 8 marzo sarà ancora più dotato di senso. Il 25 aprile, il primo maggio, l’8 marzo, è vero, c’è il rischio di fare il solito corteo per portare, in certi casi, le co-rone di fiori ai caduti, però sono date che non possono essere dimen-ticate. Sono date di eventi che sono stati pagati con la vita: l’8 marzo è tale, perché ricorda un gran numero di donne morte in una fabbrica durante un incidente sul lavoro. Allora non sono episodi da dimenti-care, sono episodi da ricordare, magari non soltanto andando a cena con le amiche o regalando una mimosa, come per anni si è fatto, ma cercando di riempire questa giornata di contenuti, di una riflessione comune in un momento che lo richiede assolutamente.FEDERICA NUZZO

Marzo dello scorso anno, nel 2010 si è festeggiato il centenario della giornata internazionale della donna, ma proprio dalla lettura dei giornali è deducibile una certa confusione ri-guardo alle origini della medesima. Nel 2004 Il Resto del Carlino riman-da all’incendio della industria tessile Cotton di New York, incendio secon-do le leggende divampato il giorno 8 Marzo del 1908 (alcune fonti, come Wikipedia, chiamano in causa l’even-to come “manipolazione” del disastro

parte e addirittura lo stesso incontro di Copenaghen dall’altra all’istituzio-ne all’8 Marzo, che risulterebbe esse-re una pura invenzione, dal punto di vista “storico”. Fu nel dopoguerra che la giornata internazionale della don-na incominciò ad essere celebrata con più “chiarezza”, all’ alba di un’era che vedrà impegnato su nuovi fronti (aborto, divorzio ecc.) il movimento femminista.

Enea Conti

della Triangle Factory), e il quotidiano Bolognese non è di certo l’unica fon-te a far risalire l’istituzione della festa della donna all’incendio della Cotton. Dall’altra parte “La Repubblica” cele-brando nel 2010 il centenario, ricordò altresì come momento chiave il con-gresso di Copenaghen, lo stesso quo-tidiano nel 1987 pubblicò tuttavia un articolo dove richiamando le “indagi-ni” di due studiose femministe, ven-gono smentite le voci che ricollegano il fatidico incendio del 1908 da una

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La società di

Il linguaggio attuale, da quello giuridico a quello economico a quello dell’infor-mazione, descrive la società` in termi-ni di categorie distinte, connotate di proprie peculiarità e interessi specifici, impedendo una visione d’insieme e del-le interazioni tra queste. Servendoci di questo stesso linguaggio, nonostante la limitatezza che comporta, possiamo dire che una delle più rilevanti di queste categorie nella nostra società è quella delle donne immigrate. In Italia, rap-presentano più della metà tra gli immi-grati regolari, come riportano i rapporti statistici del 2010 e degli ultimi anni. La maggior parte di loro svolge mansioni di collaborazione domestica, ovvero attività di colf e badanti. I profili sia so-ciali che economici di questo fenomeno incidono non soltanto sull’assetto della società italiana, bensì anche su quello dei paesi d’origine delle stesse migranti e sulla crescita ed emancipazione del ruolo femminile a livello globale.La sensibile crescita occupazionale di donne straniere nei ruoli di aiuto dome-stico e assistenza alla persona ha fatto conseguire la necessità di una sanato-ria che permettesse di far emergere il rapporto di lavoro irregolare tra datori e colf e badanti ai fini di un più stringen-te controllo del fenomeno sul territorio. Non va poi dimenticato che, per le cas-se italiane, sanatoria equivale a entrate economiche, poiché la regolarizzazione di tali lavoratrici comporta spese a ca-rico del datore di lavoro ed è subordi-nata al requisito di determinate soglie reddituali dello stesso. Inoltre, la messa

donne alla famiglia italiana per la qua-le lavorano, uniti alla lontananza dalla propria, finiscono per divorare le loro aspettative di intraprendere altri tipi di carriera lavorativa e soprattutto la possibilità di dedicarsi ai propri affetti. Il disagio è reso ancora più forte dalla rigida disciplina dei ricongiungimenti familiari, che spesso rendono arduo per i familiari rimasti in patria riunirsi alla propria congiunta e dal fatto che, in realtà, la maggior parte delle lavoratrici vorrebbe poi ritornare nel proprio pae-se una volta garantito il sostentamento alla famiglia. Le lavoratrici di cui si è sin qui parlato, dunque, rappresentano una forza economica, ma ancor di più socia-le che spinge a riflettere su quale sia il ruolo della donna a livello globale, nei paesi poveri e in quelli più sviluppati, ma altresì nella famiglia e nelle relazio-

ni di interdipendenza tra queste e le persone non autosufficienti. Si impo-ne , quindi, la necessità di ripensare a un model-lo di società che concili

lo sviluppo della personalità della don-na con attività lavorative e di assistenza storicamente svolte dalla stessa, che riducono sensibilmente altre possibilità di scelte di vita.

Giulia Travain

in regola impone al datore una retribu-zione non inferiore ai minimi previsti dal contratto collettivo nazionale di lavoro. Secondo i dati 2010 sarebbero già emerse circa 300.000 richieste di regolarizzazione, sebbene la procedura di esamina delle stesse proceda molto a rilento e, con molta probabilità, la poca convenienza per il datore di rego-larizzare funga da disincentivo a farlo. Unico deterrente contro la mancata attivazione della procedura è quello del rischio di sanzioni connesse al fenome-no dell’immigrazione irregolare, che colpiscono sia le prestatrici di lavoro che i datori stessi. Le donne che svol-gono le mansioni di colf e badanti sono anello di sostegno di ben due famiglie: la propria e quella acquisita per moti-vi di lavoro. Da una lato, infatti, larga parte del loro stipendio è destinato alle proprie famiglie d’origine tramite rimesse all’estero, e va a costituire una delle maggiori fonti di ricchezza dei loro stati di provenien-za, prevalentemente dell’ Europa dell’est e dell’ America latina. D’altro canto arginano un grosso pro-blema della nostra società, legato alla carenza di assistenzialismo dello Stato e di servizi verso le persone dipenden-ti e non autosufficienti. Colf e badanti vengono a ricoprire un ruolo che nelle famiglie vecchio stampo veniva svolto dalla “donna di casa”, destinata a oc-cuparsi delle cose di famiglia per per-mettere al marito di dedicarsi al lavoro. Il tempo e le energie rivolti da queste

MADRE DI FAMIGLIE

parte del loro sti-pendio è destina-to alle proprie fa-miglie d’origine

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La società di

DONNE FEMMINE E FEMMI-NE NON DONNEChe l’uomo medio sia intrinsecamente maschilista è cosa a cui siamo ben abituate. Lo è dal giorno in cui fu cacciato dall’eden per colpa della donna tentatrice, che venne pu-nita (da un Dio maschio) con la maledizione di “partorire con dolore” . E come biasimarlo,il nostro uomo, se le sue bislacche tesi di superiorità sono state sistematicamente avallate da buona parte di regimi mono e democratici, e ancor di più, da tutte le religioni monoteiste- e sappiamo bene quanto la religione sia in grado di condizionare intere popolazioni .Il maschilismo dell’uomo, tuttavia, è un mo-vimento di scarsa fantasia, che affannosamente ha cer-cato di adattarsi al cambiamento dei tempi, adducendo improbabili giustificazioni storiche, biologiche, culturali (?). Per ogni epoca il suo clichè,dunque, e il maschilismo dell’uomo è in men che non si dica smascherato. Già. Se non ci fossimo noi ad accorrere in soccorso di un’ ideologia che alla luce delle “moderne legislazioni occidentali”(?) ap-parirebbe completamente senza senso. Già, proprio noi, perchè essere donne non è di per sé un valore aggiunto. La distinzione tra donne e femmine si fa sempre più net-ta, e pur nell’unità che contraddistingue tutte le ribellioni, dobbiamo chiederci a chi vogliamo affidare il rispetto del-la nostra dignità. Sì,perché oggi non attacca più la scusa del “Non avere scelta” quando si accetta di fare da spalla silente al presentatore di turno. Quando si sorride compia-ciute alla battuta volgare di chi ci guarda il seno e non il viso,quando si osserva superficialmente, magari sorriden-do, quei mondi fatati dei media e di una nuova politica che costantemente propongono il modello grottesco della donna sempre più nuda e sempre più zitta. Non siamo qui a giudicare altre donne, non entriamo nel merito delle vite di chi ha scelto di farsi pagare per dare un po’ di sé,anche se il nostro pensiero va a chi è stato costretto a farlo.Un tempo eravamo educate ad essere obbedienti, oggi siamo educate ad essere belle fin da bambine:non ci sono

più le principesse in attesa di essere salvate a farci da modello, ma nemmeno le eroine combattenti apparse di riflesso ai primi movimenti di emancipazione femminili. Oggi,ci sono le protagoniste bambine già formose e truc-cate, e il diktat torna ad essere quello di ieri, solo che un po’ meno sottile e molto più volgare: piacere all’uomo o, me-glio ancora, agli uomini. L’invito alla seduzione è costan-te in sempre più aspetti della comunicazione sociale:per pubblicizzare un divano, c’è bisogno di una donna sedutaci sopra,possibilmente a gambe aperte e col sorriso ammic-cante. Ad un presentatore brillante si affianca sempre più spesso un corpo senza voce,e ogni programma ha la sua presenza femminile , molte (troppe) volte al limite dell’i-nutilità. Maria De Filippi è il nuovo idolo delle moderne ge-nerazioni, padrona di casa il cui salotto si riempie di uomini oggetto e femmine urlanti (e viceversa). Certo, la progres-siva lobotomizzazione della comunicazione di massa è un fenomeno trasversale, che tocca tutti i generi e , ahinoi, tutte le generazioni. Ma quando questo tocca la donna gli effetti sono più gravi e devastanti, e un tragico esempio ci viene dato dalla trasmissione “la pupa e il secchione”, in cui femmine deliberatamente decidono di essere stupide, farsi applaudire come tali, e avere successo grazie alla pro-pria ignoranza.Di trasmissione in trasmissione, di spot in spot, ecco che i corpi femminili si decuplicano,i capi di abbigliamento si ri-ducono e, come sempre accade, i media influenzano gran parte dei soggetti che ne sono attratti. Per cui non sor-prendiamoci se vediamo bambine truccatissime e semi-nude, già consce del ruolo di seduzione che giocheranno in società. Non sorprendiamoci se non sappiamo rispondere alle tesi dello scarso maschilista di turno che ci dirà “sie-te voi donne che lo volete, è inutile che fate le vittime”. E stiamo attente a non cadere nel tranello di chi vuol farci credere che l’ideologia della supremazia maschile si fermi al concetto patriarcale della società, al lasciare la donna a casa a badare ai figli. Quale oppressione è più violenta, in-fatti, di quella che predica l’incapacità di ragionare del sog-getto oppresso? E privilegiare sempre e comunque il corpo a discapito del pensiero non produce forse gli stessi effet-ti? Effetti inevitabili se ci trattiamo come dei corpi vuoti da utilizzare come lasciapassare, anche se ciò avviene in piccoli contesti, come l’ammiccamento al professore per farci alzare un voto o l’ accettazione delle infelici battute di chi dice che “abbiamo il mondo in mano grazie alla figa” .Se vogliamo ribellarci, dunque, prendiamo le distanze da questo maschilismo rosa latente ma violento, che parte dalla più triste delle mancanze umane,la scarsa coscienza del proprio essere, e si nutre della più grande debolezza trasversale del nostro tempo: la ricerca dell’apparire, dei soldi e del potere (mediatico o politico che sia), a qualsiasi costo.

Francesca Antonella De Nisi

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La società di

Riflesso di oggi….Cose d’altri tempi? Sarebbe così se non vi fosse una vasta fetta dell’opinione pubblica a sostenere il contrario. Nel 1997 la celebre rivista scientifica “Nature” pubblicò un dossier secondo cui, una ricercatrice deve dimostrarsi due volte e mezzo più brava per ottenere delle promozioni pari a quelle di un collega(Wenneras - Wold).Citare una sola tra le tante Jocelin “di oggi” non solo con-durrebbe all’imbarazzo della scelta , ma risulterebbe l’en-nesimo modo per far navigare le nostre menti nella comu-ne insoddisfazione , nel pensiero per cui “nel mondo non funziona niente”.

Proviamo a darci un taglio :se vi trovate a navigare in rete fate un salto nel sito www.noppaw.org. Vi accorgerete che una riconciliazione tra il genere femminile ed il pre-mio Nobel è ancora possibile.Noppaw (Nobel peace prize for African women) è l’idea di conferire il Nobel per la pace non ad una donna , ma a tutte le donne africane , segnando la data storica del pri-mo premio collettivo dal 1901- anno di nascita del premio -ad oggi.Dalla Liberia alla Sierra Leone , le donne africane vengono considerate elemento fondamentale proprio per il modo con cui affrontano i disastri che colpiscono questi territori . Per questi specchi di oggi , per Suzane Quare , presiden-

Riflesso di ieri….Cose d’altri tempi? Sarebbe così se non vi fosse una vasta e statistiche sono chiare , solo il 4% dei premi Nobel della storia è stato assegnato a donne.La maggior parte delle volte infatti , pur avendo parte-cipato brillantemente alle attività di ricerca , importanti scienziate , medici , ricercatrici, personaggi straordinari , hanno dovuto lasciare il posto ai colleghi uomini una volta arrivate alla soglia della gratificazione.. L’idea diffusa in molti ambienti è stata – ed è- che una donna renda meno dell’altro sesso.“Gli uomini sono più analitici” , o anche “gli uomini affron-tano le questioni in modo completamente diverso” sono le frasi più utilizzate per spiegare perché , a conti fatti , il sapere universale ha sempre avuto la “firma” di un uomo , pur di fronte all’evidenza di donne che smentiscono gior-

nalmente le varie discussioni “da bar”lavorando sul cam-po, con cattedre , riconoscimenti , premi nobel o no.Specchio di “ieri” è Jocelin Bell-Burnell . La storia della scienziata di Belfast è molto singolare.In un’epoca in cui non si ipotizzava neppure l’esistenza di tale corpo celeste , ancora studentessa l’astronoma scoprì il “pulsar”. Il premio Nobel verrà assegnato al professore Anthony Ewish , relatore della sua tesi con il quale, dicono le fonti, ella stesse collaborando al momento della sco-perta.Professoressa alla Cambridge University nonostante i nu-merosi e prestigiosi premi e le lauree honoris causa ricevu-te , il nostro peronaggio “di ieri” non verrà mai annoverato tra i premi Nobel della storia. Un errore casuale?Sarebbe stato tale se la sua storia non ci rimandasse a quella di Ro-salind Franklin , Lise Meitner , Chien Shiung-Wu , Nettie M.Stevens e tante altre ancora.

TIMEMIRRORS

Va bene ,starete pensando : “Ecco la solita rubrica nostal-gica della serie la scuola non è più quella di una volta...quant’erano belli gli anni settanta , la mia prozia mi rac-contava che gli uomini non sono più galanti come ai tempi suoi” , mentre l’amico scettico commenta : “e va bene lo sappiamo che non è più il mondo di una volta…basta!”: poi cambierete pagina .Non temete, lasciando le analisi storiche a chi di competen-za , in questa rubrica ci concentreremo sulle persone e sulle loro vite che , accomunate da esperienze , luoghi , battaglie comuni si specchieranno sfidando le leggi del tempo .

Donne e nobel : 2011 , anno del risarci-mento morale o ennesima delusione?

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I dossier

MA CHE STAI A DI’?

te dell’Association Paglayiri ,Minata Sokodogo ,assisten-te sociale in Costa D’avorio , per Natalie Denà , associata all’Enfantes et Jeunes Travailleurs de la Cote d’Ivoire , per tutte le donne che come loro ogni giorno lottano per la difesa dei diritti umani in Africa ,questa premiazione sa-rebbe un traguardo unico non solo per la gratificazione a livello mondiale , ma soprattutto per lo spirito solidale con cui il Nobel verrebbe conferito ,quello stesso spirito che tutte insieme mettono ogni giorno quando affrontano le non poche difficoltà.Riportiamo l’appello fatto ai direttori di quotidiani da par-te di Solidarietà e Cooperazione Cipsi e “chiAma l’Africa”: “L’8 marzo dedicate le prime pagine delle vostre testate

alle donne africane e alla loro candidatura al Premio No-bel per la Pace 2011”.Per aderire all’iniziativa è possibile anche firmare online visitando un apposito spazio che troverete all’interno del-la pagina web.Considerandolo un ottimo risarcimento morale per tutte le donne a cui questo premio tanto ambito è stato nega-to , nonché un forte segnale di crescita , non ci resta che sperare in un sì da parte di Stoccolma .

Laura Pergolizzi

Escort è una parola inglese che si-gnifica “scorta”, o , al maschile, “ac-compagnatore”. Importato in Italia, tale termine ha per lo più un’acce-zione femminile, e si utilizza per indicare le cosiddette “prostitute di altro borgo”, elegantemente chia-mate “accompagnatrici”, in riferi-mento al fatto che spesso, in proprio o tramite delle agenzie, si offrono di accompagnare il cliente (o la clien-te, esistono anche escort uomini) a cene di lavoro o di semplice intrat-tenimento, dietro pagamento di cospicue somme di danaro. Non ne-cessariamente il servizio di accom-pagnamento si concluderebbe con l’atto sessuale ed è questa una delle componenti che farebbero differire l’escort dalla prostituta. In realtà, di-gitando su google la parola “escort”,

la escort rispetto ad una prostituta quindi, non sembra giacere tanto negli atti compiuti, quanto nel diver-so scenario in cui essi si consumano. E’ ragionevole pensare, pertanto, che chi condanni la prostituzione come atto in sé, ugualmente debba comportarsi nei riguardi dei “servizi di accompagnamento”, se non vuo-le esser considerato un ipocrita. Chi invece crede nel libero arbitrio e nel-la facoltà di scelta di ognuno di fare del proprio corpo ciò che più gli ag-grada non ha motivo di enfatizzare sottili differenze e ancor di meno, di utilizzarle come fossero caratteriz-zanti di “eleganza” di un mestiere rispetto ad un altro.

Francesca Antonella De Nisi

tra i primi risultati ottenuti si ha una pagina di annunci di “top escort”, allegati a immagini di donne impe-gnate in atti di autoerotismo e rigo-rosamente in biancheria intima. Tali annunci riportano i numeri di telefo-no delle prestatrici di lavoro e le loro abilità migliori, tutte riguardanti atti sessuali. Pare difficile immaginare quindi, come l’attività di una escort possa limitarsi a un semplice accom-pagnamento a cena, anche se tale possibilità è demandata all’arbitrio della escort stessa. Le altre diffe-renze tra escort e prostitute si rav-visano poi nella diversità di budget (le escort sono sorprendentemente costose), nella volontarietà dell’at-to e nel luogo della prestazione, che spesso è un hotel o la casa del cliente (mentre le ordinarie prosti-tute si accontentano generalmente di auto, angoli di strada o case for-nite dal protettore). L’ eleganza del-

ESCORT

Il linguaggio è la nostra chiave d’accesso al mondo. E’ l’arma più potente di descrizione della realtà,che diventa costruzione quando si tratta di una realtà a noi sconosciuta e percepita quindi solo tramite quello stesso linguag-gio, che a sua volta può diventare distruzione quando viene manipolato per stravolgere la percezione della realtà stessa. Questa rubrica si propone di analizzare alcuni dei termini più utilizzati in ambito politico,giornalistico e mediatico al fine di restituirci una più corretta visione della realtà.

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I dossier

Giuseppe avanza lungo un viotto-lo ciondolando, indossa degli stivali in pelle bucati, tra le braccia stringe una coperta di lana raggomitolata. “Qui dentro c’è la mia vita”, dice, fis-sando rabbuiato l’ingresso di un bar e incrociando lo sguardo truce di un cameriere; è difficile, quasi impossi-bile, pensare che un individuo possa filtrare la propria vita, in modo da estrapolare da essa pochi oggetti che la rappresentino, tanto più pensare di riuscire a raccattare il tutto in un fagotto logoro;“non ho avuto scelta, erano le uniche cose che mi erano ri-maste, mi hanno sfrattato e non tro-vo lavoro”.Quando ci si trova a vivere una simile esperienza, la vita sembra diventare una pressa d’acciaio, sotto il peso della quale la propria dignità viene irrimediabilmente sbriciolata, ridotta in macerie; “mi rendo conto di essere l’ultimo della classe, come si dice..Lo so..Lo leggo negli occhi della gente che mi fissa..”.Durante i primi giorni di povertà, gli sguardi della gente appaiono compassione-voli oppure indifferenti; dopo anni e anni vissuti in ginocchio per strada, i volti delle persone quasi si deforma-no orribilmente contro te stesso, le sconfitte personali si conformano ad essi, e con occhi sbarrati ti ricordano ogni giorno di far parte di una catego-ria di persone deboli. Vivere una tale prova di vita, significa affrontare quo-

ancora!”, spiega Giuseppe, offrendo un sorriso in cambio di un piccolo dono da un passante; ogni mattina un signore gli offre un caffè, e poter entrare per un attimo in un bar al pari degli altri alleggerisce il fardello dei luoghi comuni e delle sconfitte che Giuseppe si porta dietro da tanti anni di solitudine. Di solito, comunemen-te si pensa “eh, fanno finta, troppo facile star lì seduti a chiedere soldi alla gente..Che vadano a lavorare”: questa è la voce dell’indifferenza, un atteggiamento che ci omologa alla massa informe, al pool genico, un atteggiamento sviante dinanzi al timore di poter fare la stessa fine di un diseredato; la maggior parte degli uomini fugge da se stessa, ma non Giuseppe. Nei pochi attimi di intimi-tà che riesce a riservarsi un uomo che vive in strada, sistema le sue cose in una specie di fagotto di lana, che por-ta in spalla, ed ogni giorno trascina il cumulo delle proprie sconfitte e si trascina sempre in avanti, a rilento, sforzandosi di non fermarsi prima di aver raggiunto una meta, ogni gior-no diversa e sconosciuta, “ non ho paura di affrontare ciò che non posso conoscere..fa parte del gioco ormai, secondo me. Purtroppo il mio destino è quello di dipendere dalla carità al-trui”; essere costantemente in bilico, in equilibrio precario, non viene anno-verato nel catalogo dei lavori che una

tidianamente la fragilità della propria condizione, ed è quando si è immersi nell’incertezza più oscura, che si cer-ca di pescare dal proprio mare tutto ciò che possa nutrire una reazione contraria alle innumerevoli avversi-tà che vorticano attorno a te stesso. “Mi rincuora svegliarmi al mattino..Ogni sera, prima di addormentarmi, temo sia l’ultima volta che possa te-nere gli occhi aperti..Cerco di ascolta-re quanto più a lungo il mio respiro”.La routine ci spinge a compiere gesti ripetitivi e impersonali, quasi incon-sciamente; elaboriamo pensieri in continuazione, discutiamo col nostro ego di argomenti diversi, evitando con cura quelli scomodi, quelli che al solo pensiero ci rendono vulnerabili; la straordinarietà dell’uomo consiste nel costituire, al pari dei suoi simili, un flusso di idee e opinioni diverse tra loro, sia che ci si trovi in un’ aula universitaria o in una affollata via del centro; chi vive perennemente la so-cietà perché frequenta esclusivamen-te la strada, più di ogni altro assorbe i sentimenti della gente, ed impara ad osservare e ascoltare.“Osservo la gente..Sono tutti così indaffarati..Al-cuni fingono, sono depress, ma non lo danno a vedere, vogliono far credere di aver da fare anche mentre fissano un volantino per terra. Magari aves-si io la sicurezza di lavorare o trova-re una famiglia a casa che mi accetti

VITE STONATE

IL MENDICANTE

Questa rubrica sarà composta da racconti: racconti di persone, conosciute e non , che vivono diversamente dalla me-dia, che osservano la realtà da una prospettiva differente, a volte innovativa, a volte suscettibile di critiche.

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I dossier

OTTO MARZOChi mi conosce lo sa che sono un po’ (tutto) rincoglionito, in-fatti quest’anno avevo pensato che la festa della donna fosse il 13 febbraio: una manifestazione bellissima dove la donna ha fatto capire di non essere un oggetto, ma una persona spe-ciale perchè, a differenza dell’uomo, ha con un cuore grande così. E a differenza di quei comodini con le tette e i culi, fatti con così tanta plastica che sembra carnevale 12 mesi all’anno, hanno anche una testa che sa pensare anche ad altro oltre che ai programmi di merdasec (o mediaset?).Il problema è che agli “uomini”, o meglio, ai “maschi” (che sono uomini le cui terminazioni nervose risiedono al 90% nella zona che va tra la coscia e pancia) piace molto più la suddetta mobilia in lattice (con libretto di montaggio ikea) che non una vera donna.C’è poi la categoria “nano malefico magrebino”, a cui non solo piacciono i mobili, ma adora anche cambiarla tutte le setti-mane assicurandosi solo prodotti appena usciti di fabbrica, in genere dalla mora&fede s.p.a. (società per andr...oidi); è tal-mente tanto ossessionato dalla novità del prodotto che per trovare roba proprio fresca fresca ne ha combinata una che...che solo io so, e che voglio raccontare in rima:

davanti a quei cancellidelle scuole di Milanosi accorsero i bidellidi un fatto alquanto strano

stava scritto in evidenzacon pallini di mimosa“se li segui con pazienzala serata avrai grandiosa”

ed infatti quei palliniche formavano una sciase seguiti da viciniindicavano una via!!

per capire mollan tuttoi bidelli preoccupatima non oso dir che luttoquando furono arrivati!

eran giunti più di centoed il posto era vicinonon capite lo sgomentoa legger “villa san martino”.

con in mano un gran frustinoaspetta silvio tra le sediecome l’orco a pollicinole studentesse delle medie.

ma i bidelli con sveltezzaspazzan tutto senza posae gettan via nella monnezzaquel tranello di mimosa.

resta senza la seratail sicofante nanoche infatti è terminataa nervi tesi e frusta in mano.

E menomale dai...che i bidelli ci hanno messo una pezza prima che la mettesse lui...Però la cosa mi fa pensare, ossia: se questa cosa succede vuol dire che i comodini di cui parlavo prima PURTROPPO esistono davvero (ad un prezzo di catalago di 7000 euro iva inclusa)!!!!!

A sto punto ripenso a tutto e capisco che quello che ho scritto prima sulle donne non è abbastanza, non rende a pieno...voi donne siete al contempo....

speciali, ma normalitranquille, ma aggressivespensierate, ma complessateinsicure eppure certesconclusionate, ma decise

siete luce e siete ombranotte eppure giornorabbia eppure amore sorriso eppure pianto.

siete dolci ma acidelleninfe ma anche furiecomplicatissime ma semplicemente donne.

Se di sola polvere è l’uomo, la donna è il soffio di vento che riesce a spostarla, anche se non si sa dove.Vi vogliamo bene per questo.AUGURI!!!

Alessandro Cubattoli

persona potrebbe compiere, questa gente non è soggetto di una frase che potremmo trovare nel comma di un disegno di legge, questa gente non fa parte del turbinio dei nostri pensie-ri. Un mendicante fa parte solo di se stesso, non possiede nulla, la propria esistenza è ancorata ad una zattera di

suo viso, sopracciglia folte, barba mal curata, ma tanta, tanta voglia di resi-stere alla tentazione di far scivolare dolcemente se stesso, in quel pozzo. Emanuele Vitale

fortuna lanciata verso di lui da un ma-rinaio che abbia voglia di ascoltarlo, una volta su mille. Chissà se un giorno Giuseppe riuscirebbe ad abbandona-re in un pozzo i timori ed i rimorsi che lo opprimono, come fanno tutti gli altri; per adesso, sul fondo giace ri-flessa soltanto l’immagine sfocata del

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I dossier

Emily nasce nel 1830 a Amherst nel Massachussetts, muore nel 1886 nella sua città natale, la sua opera è co-stituita da poesie pubblicate per la maggior parte po-stume. Della sua biografia ci limitiamo a riferire questo. L’Emily Dickinson che conosciamo è infatti quella delle sue liriche: ne riportiamo due integrali che ci parlano di “speranza” ed “esperienza,” temi simbolici, sia che ci si rivolga al singolo individuo, sia che ci si rivolga alla collettività, e alcuni estratti da altri due componimenti, che ci regalano immagini a dir poco suggestive.

La speranza è al centro di sostenute riflessioni nel pa-norama letterario, sin dai tempi più antichi. Ecco che la Dickinson ci offre una metafora quanto mai soave della speranza: un piccolo uccello che canta una melodia sen-za parole . Forse la speranza non è da considerarsi dal punto di vista assoluto come “positiva”. Può essere in-gannevole, può costituire l’illusione massima, può esse-re salvifica. E come una melodia senza parole, forse, su-scita in noi emozioni diverse a seconda dei nostri umori, a seconda delle nostre emozioni, ispirazioni, che dob-biamo sforzarci di interpretare. La speranza rasserena, quieta gli animi, (- e la senti dolcissima – nel vento -), difficilmente non è ricorsiva nelle situazioni, dona forza di sopravvivenza per molti (quel “calore” evocato dalla poetessa). Anche la speranza è dunque assimilabile ad una divinità bendata, ma capace di ispirare (è diversa dalla Fortuna), come la piccola creatura “plasmata” da Emily Dickinson?

La “Speranza” è quella cosa piumata -Che si viene a posare sull’anima -Canta melodia senza parole-E non smette – mai –

E la senti – dolcissima – nel vento –E dura deve essere la tempesta –Capace di intimidire il piccolo uccelloChe ha dato calore a tanti –

Io l’ho sentito nel paese più gelido –

LA LIBRERIA

EMILY DICKINSONNei giorni in cui si andava organizzando la manifestazione del 13 Febbraio, più volte sono stati fatti riferimenti a per-sonaggi femminili di rilievo. In alcune piazze le loro “ico-ne” sono state affisse ai muri con lo scopo di sottolineare il loro operato civile, il loro contributo offerto all’umanità. Interessante è stato l’atto di affiancare personalità di altri tempi con personalità a noi contemporanee (in una del-

le piazze figuravano, ad esempio, Margherita Hack, John Baez, Grace Slick, ma anche Virginia Woolf , Rosa Luxem-burg, Madre Teresa di Calcutta e tantissimi altri volti, ci teniamo a dirlo, più o meno noti). Noi portiamo in scena un personaggio storico di riferimento nel panorama lette-rario, citando alcuni versi della poetessa americana Emily Dickinson.

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I dossier

E sui mari più alieni –Eppure mai, nemmeno allo stremo,ha chiesto una briciola – di me.

Le emozioni, i sentimenti, fra cui il dolore e la soffe-renza, sono insiti nella natura biologica dell’uomo, a prescindere dai contesti. L’esperienza, tante volte chia-mata in causa, ci porta sulla cattiva strada, ed è da qui che nascono la presunzione, l’arroganza, forse pure la frustrazione e l’orgoglio. Questa è una lirica intrisa di un velo di pessimismo equilibrato, allegorica dell’idea stessa di esperienza, nella sua accezione “negativa” , ricordando la duplice natura propria ad ogni idea e ad ogni concetto.

L’esperienza è una strada tortuosaChe la mente – paradossalmente –Preferisce alla mente stessa –Con la presunzione di far strada

Proprio al contrario – Quanto contorta L’autodisciplina dell’uomo –Che lo costringe a scegliersi con le sue stesse maniI dolori cui è stato destinato in precedenza

La natura incontaminata è un motivo che ricorre nella tradizione poetica in tutta la sua periodizzazione. In questi versi la Dickinson ci offre una visione totalizzante della natura, non tralascia neppure il riferimento al divi-no (spesso presente nella sua opera poetica). Bring me the sunset in a cup, per citare l’originale verso iniziale (la poesia reale è quella in lingua originale!) suggerisce un’intonazione romantica associata al desiderio di frui-zione di ciò che la natura offre. Straordinario l’accenno al motivo musicale, laddove la musica è elemento di natura, solo codificato dall’uomo, la melodia del petti-rosso non può che esser fatta di suoni corrispondenti a note musicali che attraversano le fronde degli alberi.

Portami il tramonto in una tazzaSommami le caraffe del mattinoE dimmi quante stillano di rugiada.Dimmi fin dove salta il mattino –Dimmi fin quando dorme coluiChe intreccio e lavorò le vastità d’azzurro.

Scrivimi quante sono le noteTra i rami incantatiRaccolte nell’estasi del nuovo pettirosso

[…..]

Chiudiamo con due immagini. Come negli alberi i rami sono quella componente che meglio rappresenta il loro essere vita, nella mano la visibilità delle vene è espres-sione della vita stessa. Vene che ricordano piccoli rami. Potremmo forse azzardarci a dire che quest’immagine rappresenta la capacità stessa dell’anima poetica di rintracciare quelle corrispondenze che meglio ci per-mettono di comprendere la nostra natura così come la realtà che ci circonda. Ed Il bicchiere che si appanna a contatto con le labbra accoglie un’impronta insolita, un’impronta che prova un’esistenza, non quindi un pas-saggio, non quel viaggio rappresentato dalle piante dei piedi o dai palmi delle mani.

Sospetto di essere – viva –Nella mia mano i ramiSono ricchi di campanuleE sulla punta delle dita –

Tiepido punge il carminio –E se contro le labbra premoUn bicchiere s’appanna –E questa è la prova media che sono – viva –

[….]

Enea Conti

DIRETTRICEFRANCESCA ANTONELLA DE NISI

REDAZIONEENEA CONTI, MICHELE FORLIVESI, LAURA PERGOLIZZI, LUCA ROSSI, FEDERICO TICCHI, NI-COLA USAI, EMANUELE VITALE

GRAFICAIVAN ANDRES SAAVEDRA ROSAS

COPERTINATERESA SAVIANO

HANNO COLLABORATOALESSANDRO CUBATTOLI, FEDERICA NUZZO, GIULIA TRAVAIN

CONTATTIinfo_progrè@gmail.it

EVENTI23 MARZO, FESTA PROGRE', AL LORD LISTER, VIA ZAMBONI 56 (IN FONDO)

24 MARZO, INCONTRO-DIBATTITO SULLA COMPLICATA SITUAZIONE DELLE CARCERI, IN ITA-LIA E ALL'ESTERO

Rivista mensile dell'associazione Progrè, realizzata con il contributo dell'Alma Mater Studiorum.