PROGRAMMA ESAMI DI IDONEITA ECONOMIA AZIENDALE · economia aziendale indice il contratto di mutuo...

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PROGRAMMA ESAMI DI IDONEITA' ECONOMIA AZIENDALE INDICE IL CONTRATTO DI MUTUO IL MERCATO DI CONCORRENZA PERFETTA TEORIA DELL’IMPRESA SOGGETTI AZIENDALI: L’IMPRENDITORE OFFERTA PUBBLICA D’ACQUISTO IL REPORTING LE COOPERATIVE IL BUSINESS PLAN LE FONTI DI FINANZIAMENTO IL SISTEMA INFORMATIVO IL BILANCIO DI ESERCIZIO LA PRODUTTIVITA’ LA SOCIETA’ IL PATRIMONIO NETTO LA CAMBIALE IL CONTRATTO DI VENDITA LO STATO PATRIMONIALE LA NOTA INTEGRATIVA IL CONTO ECONOMICO I PRINCIPI CONTABILI ITALIANI ED INTERNAZIONALI

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PROGRAMMA ESAMI DI IDONEITA'

ECONOMIA AZIENDALE

INDICE

IL CONTRATTO DI MUTUO

IL MERCATO DI CONCORRENZA PERFETTA

TEORIA DELL’IMPRESA

SOGGETTI AZIENDALI: L’IMPRENDITORE

OFFERTA PUBBLICA D’ACQUISTO

IL REPORTING

LE COOPERATIVE

IL BUSINESS PLAN

LE FONTI DI FINANZIAMENTO

IL SISTEMA INFORMATIVO

IL BILANCIO DI ESERCIZIO

LA PRODUTTIVITA’

LA SOCIETA’

IL PATRIMONIO NETTO

LA CAMBIALE

IL CONTRATTO DI VENDITA

LO STATO PATRIMONIALE

LA NOTA INTEGRATIVA

IL CONTO ECONOMICO

I PRINCIPI CONTABILI ITALIANI ED INTERNAZIONALI

CONTRATTO DI MUTUO Con il contratto di mutuo una parte detta MUTUANTE (la banca) consegna all’altra

detta MUTUATARIO (il cliente) una determinata quantità di denaro con l’obbligo di

restituire l’equivalente alla scadenza stabilita.

Il MUTUO è un contratto reale perché per il suo perfezionamento è necessaria anche

la consegna del bene (il denaro); nonostante il linguaggio corrente, non si tratta di

un prestito ma del passaggio di proprietà del denaro perché il MUTUATARIO ha

l’obbligo di restituire non le stesse banconote ma lo stesso importo. Si distingue

quindi, sotto questo aspetto, da contratti come il COMODATO o il DEPOSITO.

Il MUTUO si presume oneroso, cioè con la corresponsione di interessi. Se gli

interessi non sono espressamente previsti, la loro misura si presenta corrispondente al

tasso legale, cioè al costo del denaro stabilito dalla BCE (Banca Centrale Europea);

le parti però possono stabilire una diversa misura e si parlerà, in tal caso, di

“INTERESSI CONVENZIONALI”.

Sono vietati dalla legge gli INTERESSI USURARI cioè con un tasso superiore di oltre il

50% alla media dei tassi bancari. In tal caso, la misura degli interessi dovuti, sarà pari

a zero.

Le parti possono anche stabilire, per motivi vari, un mutuo gratuito, cioè senza

pagamento di interessi.

Nel MUTUO ONEROSO il termine di restituzione delle somme si presume

convenuto a favore di entrambe le parti; di conseguenza il MUTUANTE non potrà

chiedere la restituzione delle somme prima della scadenza e il MUTUATARIO non

potrà effettuare una restituzione anticipata in quanto farebbe così perdere al mutuante

una parte degli interessi dovuti.

MUTUO FONDIARIO

L’operazione di MUTUO FONDIARIO viene stipulata con una banca e prevede

l’erogazione in un’unica soluzione o a stadi di avanzamento, di una somma

finalizzata all’acquisto di una casa di abitazione (se il MUTUATARIO acquista con

le agevolazioni per la prima casa, gli interessi passivi saranno in parte deducibili dall’

IRPEF (Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche).

Il mutuo è sempre garantito dalla accenzione di una IPOTECA su un bene immobile;

tale bene può essere di proprietà dello stesso MUTUATARIO o di una terza persona

detta: TERZO DATORE D’IPOTECA.

L’importo finanziabile è pari, al massimo, al 70 % del valore del bene ipotecato,

anche se generalmente le banche non concedono mai più del 50%.

L’ipoteca deve essere normalmente di PRIMO GRADO, cioè non preceduta da altre

ipoteche sullo stesso bene. Se però il bene è di particolare valore economico,

potrebbe essere sufficiente anche un’ipoteca di 2° grado. L’erogazione concreta del

finanziamento avviene solo dopo la cosiddetta CONSOLIDAZIONE dell’ipoteca,

cioè trascorsi 10 gg. dalla sua iscrizione.

Il MUTUO verrà restituito secondo un piano di ammortamento la cui struttura viene

concordata con la banca (Es.: rate di valore fisso nelle quali però l’importo degli

interessi è decrescente).

MERCATO DI CONCORRENZA PERFETTA

La caratteristica principale del mercato di concorrenza perfetta è che nessuno dei

soggetti possiede il potere di influenzare in qualsiasi direzione il prezzo di vendita del

bene e la quantità. Esiste un n° definito di consumatori, esiste un n° alto di

consumatori, è necessario che sia lo stesso prodotto, si devono sapere le condizioni

del mercato, è importante che non ci siano barriere ne in entrata ne in uscita.

Nel modello di concorrenza perfetta – se aumenta l’offerta il prezzo diminuisce – se

aumenta il numero di consumatori allora vince chi ha la possibilità di pagare di più e

quindi aumenta il prezzo – così facendo aumenta il n°di consumatori e tutto si

equilibra – c’è un tipo di concorrenza virtuosa.

La determinazione del prezzo di equilibrio:

se il prezzo di vendita ad esempio di un paio di scarpe aumenta ne deriverà che la

quantità di scarpe complessivamente acquistata dai consumatori diminuirà.

Aumenterà invece se il prezzo diminuisce.

Di conseguenza la curva di domanda aggregata è ottenuta sommando tutte le curve di

domanda individuali. In corrispondenza di ogni livello del prezzo essa indica la

quantità del bene complessivamente domandata dai consumatori.

Il prezzo di equilibrio corrisponde al punto di incontro delle curve di domanda e

offerta di mercato e di conseguenza ogni impresa sarà costretta a applicare quel

prezzo se vuole vendere.

Nel mercato di concorrenza perfetta i costi che sostiene un impresa devono essere

minori dei ricavi che essa dovrebbe ottenere quindi le curve vanno sotto il prezzo di

equilibrio.

Se un impresa fissa un certo costo per un certo prodotto ad esempio i propri costi

sono 100 fissa il prezzo a 150 se le altre imprese hanno gli stessi costi e gli vanno

bene il prezzo fissato si verifica la cosiddetta legge di Jevons. Ma se le imprese

fissano costi diversi il consumatore tenderà ad acquistare il prodotto che viene meno.

Di conseguenza le imprese che avevano fissato prezzi più alti sono costretti ad

abbassare il prezzo per poter vendere fino a che tutte le imprese vendono lo stesso

prodotto allo stesso prezzo.

Così risulta applicata la legge di Jevons che dice che in un mercato di concorrenza

perfetta il bene viene offerto allo stesso prezzo da tutti i venditori.

LA CONDIZIONE DI EQUILIBRIO

Un impresa è in equilibrio quando avrà prodotto quella quantità di prodotto in

corrispondenza della quale la differenza tra costi totali e ricavi totali sarà massima.

Quindi il profitto totale raggiunge il livello massimo quando il costo addizionale e il

ricavo addizionale dell’ultima unità prodotta coincidono. In tutti i costi di produzione

è incluso per convenzione un piccolo margine di profitto.

Si può dire che la condizione di equilibrio del mercato di concorrenza perfetta è

costo marginale = prezzo

L’EQUILIBRIO DI BREVE PERIODO:

le possibili situazioni dell’equilibrio di breve periodo sono 3.

1)l’impresa è insufficiente: qualunque sia il n° di unità prodotte ogni unità costerà

all’impresa un importo maggiore del prezzo di vendita. Naturalmente l’impresa è in

perdita.

2)l’impresa è un po’ più efficiente: essa riesce a produrre il bene a costi inferiori. In

questo caso i costo sono uguali al prezzo di mercato.

3)l’impresa è efficiente: il costo medio minimo è molto inferiore al prezzo di vendita.

Questa impresa è in grado di ottenere degli extraprofitti.

il caso 1 ed il caso 3 possono fondersi assieme per dare il 2° caso.

L’EQUILIBRIO NEL LUNGO PERIODO:

nel breve periodo le imprese non sono in grado di modificare le quantità impiegate di

tutti i fattori produttivi.

nel lungo periodo l’imprenditore può modificare le tecniche produttive variando le

quantità impiegate di tutti i fattori produttivi. Le imprese esistenti possono uscire dal

mercato e imprese nuove possono entrarvi.

Alla fine tutte le imprese si trovano nella situazione che la quantità di equilibrio è

quella in corrispondenza della quale il costo medio è quello coincidente con il prezzo

di vendita. Le imprese ne saranno in perdita ne avranno l’extraprofitto ma il profitto

normale.

Mercato monopolistico:

la caratteristica principale del mercato monopolistico è che esistono un numero

elevatissimo di compratori e venditori. Il monopolio puro è un mercato dove opera

una sola grande impresa che controlla tutta la produzione. Le altre caratteristiche

sono che il prodotto che l’impresa produce deve essere fortemente diverso da quello

che producono le normali imprese, devono esserci forti barriere all’entrata e all’uscita

del mercato da parte di nuove imprese.

Nel mercato monopolistico l’impresa ha il potere di fissare il prezzo che vuole al

contrario della concorrenza perfetta. Infatti questa impresa è un price-maker cioè è

in grado di imporre il prezzo che i consumatori dovranno pagare per acquistare il

prodotto.

LA CONDIZIONE DI EQUILIBRIO: per raggiungere l’equilibrio il monopolista

dovrà fissare nello stesso tempo sia il prezzo che la quantità prodotta. Quindi la

condizione di equilibrio del monopolio deve essere costo marginale = ricavo

marginale

� (concorrenza perfetta) il costo marginale è sempre uguale al prezzo e quindi il

prezzo non è modificabile e quindi è sempre uguale.

� (mercato monopolistico) il costo marginale è uguale al ricavo marginale e quindi

l’offerta totale viene da una sola impresa e il prezzo può spostarsi cioè è

modificabile.

L’EQUILIBRIO DI BREVE PERIODO: per massimizzare il proprio profitto il

monopolista adotterà la regola dell’equilibrio spingendo la produzione fino al livello

in corrispondenza il quale costo marginale e ricavo marginale sono uguali.

Confronto di equilibrio tra concorrenza perfetta e monopolio: nel monopolio il prezzo

di vendita è superiore mentre la quantità prodotta è inferiore, nella concorrenza

perfetta no. Il monopolio è una forma di mercato inefficiente in quanto comporta

l’esistenza di un margine inutilizzato di capacità produttiva.

CONCORRENZA MONOPOLISTICA

mentre in concorrenza perfetta il bene o il servizio offerto da tutte le imprese è

identico, nel mercato della concorrenza monopolistica il prodotto si differenzia da

impresa ad impresa.

Per differenziazione del prodotto si intende il processo che crea differenze reali o

immaginarie in prodotti simili. Le differenze reali sono quelle riguardanti la qualità, il

gusto… le differenze immaginarie sono quelle che puntano sulla psicologia del

consumatore come la confezione o il colore…

Ma la differenziazione del prodotto induce i consumatori a credere che i prodotti

simili siano del tutto diversi. Nella concorrenza monopolistica ogni venditore dispone

di un certo potere di mercato cioè aumentare il prezzo di vendita senza che la quantità

venduta cada a zero.

L’EQUILIBRIO DI BREVE E LUNGO PERIODO: l’impresa massimizza il proprio

profitto quando produce nella quantità in corrispondenza la quale costo marginale =

ricavo marginale. Il costo medio di equilibrio coincide con il prezzo di equilibrio e

così si ha solo un profitto normale.

TEORIA DELL’IMPRESA La Teoria dell’impresa, I’ economia, e’ l’analisi delle strategie adottate dalle imprese

in merito all’assetto produttivo, alle tecniche di produzione, alle quantità prodotte e

alla determinazione dei prezzi. Secondo la teoria economica tradizionale, lo scopo

delle imprese consiste nella massimizzazione dei profitti. Teorie più recenti

sottolineano, invece, la complessità delle realtà imprenditoriali moderne, costituite da

gruppi decisionali più o meno decentralizzati, i quali si trovano a perseguire anche

altri obiettivi fondamentali, tra cui la crescita delle vendite oppure della quota di

mercato.

Nell’ambito delle imprese di grandi dimensioni si viene a creare un conflitto

inevitabile tra i singoli individui e i sottogruppi che compongono la struttura

organizzativa nel suo complesso; a questo riguardo la teoria dell’impresa sottolinea

come gli obiettivi di ogni impresa possano venire raggiunti solo attraverso la costante

interazione tra le persone e le funzioni che ne fanno parte.

In qualunque contesto aziendale sono individuati gli obiettivi (tra i quali la

produzione, la quota di mercato, le vendite e il profitto) da ripartire tra i vari manager

di settore. In contrasto con la teoria dell’impresa tradizionale, secondo la quale le

decisioni imprenditoriali vengono adottate in maniera razionale, di recente si è

iniziato a capire che in realtà la razionalità è solo uno degli elementi, e spesso

nemmeno quello più importante, che guidano i manager nelle loro decisioni. Inoltre, è

indispensabile sottolineare come i fini dell’impresa subiscano considerevoli

variazioni nel corso del tempo.

Nelle imprese di grandi dimensioni la proprietà risulta essere perlopiù separata dal

potere decisionale; in altre parole, gli obiettivi imprenditoriali sono definiti dai

dirigenti piuttosto che dagli azionisti. I manager, più che al profitto, sono interessati

alla produzione o alle vendite, in quanto sono queste a definire la loro “capacità

manageriale” e, dunque, il loro valore per l’impresa.

La teoria dell’impresa presenta alcune interrelazioni con la teoria

dell’organizzazione, che e’ un modello per analizzare le modalità del processo

decisionale di organizzazioni grandi e complesse. Per l’analisi economica

tradizionale, l’azienda è un tutto unico che prende decisioni. La teoria

dell’organizzazione riconosce, invece, che in aziende di grandi dimensioni questo

processo è spesso decentrato e le scelte sono dettate non solo dall’obiettivo di

massimizzare il profitto, ma anche dalla struttura organizzativa esistente.

In queste aziende si può sovente rinunciare a massimizzare il profitto per riuscire a

conciliare gli interessi e gli obiettivi delle varie componenti dell’organizzazione.

Quanto più il processo decisionale è collettivo, tanto più è autentico, benché più lento

(fenomeno spesso evidente nelle imprese giapponesi).

SOGGETTI AZIENDALI: L’IMPRENDITORE

Un imprenditore è una persona o un ente che istituisce o gestisce un'attività

economica d'impresa. Le norme che definiscono la figura dell'imprenditore e che

disciplinano le attività imprenditoriali - sebbene presentino dei tratti comuni -

differiscono, ovviamente, da paese a paese.

L'imprenditore nel diritto italiano

In Italia viene definito imprenditore chi esercita professionalmente un'attività

economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.

Il codice civile parla di "imprenditore" e non di impresa; l'impresa, sostiene la

dottrina, è il frutto dell'attività che dall'imprenditore sortisce: una definizione

mediata, dunque, come accade per il lavoro subordinato, di cui non esiste definizione

giuridica esplicita mentre c'è quella di lavoratore subordinato.

La definizione presente nel codice risente di un forte influsso dell'indirizzo

economico, tra i diversi orientamenti esistenti al momento della redazione del codice.

In merito alla definizione giuridica di imprenditore vanno sottolineati alcuni aspetti:

1. può essere imprenditore sia una persona fisica che una persona giuridica; anzi nel

V libro si crea quel particolare status di tertium genus: cioè le società di persone, che

non sono enti personificati, ma che sono trattati alla stregua delle persone fisiche;

2. per attività economica si intende ogni attività volta ad utilizzare i fattori

produttivi (capitali, lavoro e materie prime) per ottenere un prodotto (bene o

servizio): fine dalla produzione;

3. i beni e servizi che costituiscono il prodotto dell'impresa sono solo quelli che

hanno un valore economico; i beni o servizi eventualmente prodotti dall'attività

d'impresa privi di un valore di scambio non costituiscono "prodotto" in senso

economico;

4. la destinazione al mercato dei consumatori è fondamentale perché si possa parlare

di attività imprenditoriale: chi coltiva il proprio terreno per consumarne i frutti o vi

costruisce sopra per poi abitarvi non può essere considerato imprenditore dal

momento che l'attività imprenditoriale deve essere volta a soddisfare i bisogni altrui:

fine dello scambio;

5. organizzazione: come contraltare al fatto che sull'imprenditore ricada il rischio

d'impresa ovvero il rischio del risultato economico dell'attività intrapresa,

l'imprenditore ha il potere di organizzare come meglio crede i fattori produttivi che

concorrono all'impresa operando le scelte relative alla conduzione dell'impresa stessa:

cosa produrre (o scambiare), come, dove, quando e con quali mezzi;

6. professionalità: per professionalità si intende l'"abitualità" all'esercizio

dell'impresa; il concetto non va però confuso con quello di continuità (imprenditore è

anche chi esercita un'attività solo in un determinato periodo dell'anno, ad esempio un

hotel aperto nei mesi invernali) né con quello di esclusività (o prevalenza) dell'attività

esercitata dal momento che è imprenditore anche chi esercita tale attività come

attività secondaria o delega ad altri la gestione dell'attività: la titolarità dell'impresa

può dunque essere disgiunta dall'effettiva partecipazione alla gestione dell'azienda (in

capo all'imprenditore rimane, in ogni caso, il rischio d'impresa);

7. nella norma non si fa accenno allo scopo che l'imprenditore si prefigge con

l'attività imprenditoriale: così, sebbene sia lo scopo "normalmente" perseguito

nell'attività d'impresa, non è necessario il fine di lucro; un impresa è infatti tale (con

riguardo alla norma del Codice Civile) anche se gestita con il criterio

dell'economicità (ottenimento dell'uguaglianza tra costi e ricavi) ed, al limite, anche

quando si tratti di un impresa "di erogazione" nella quale, cioè, non si badi al

rapporto tra costi e ricavi (ad esempio una mensa per poveri).

Importante quanto difficile da individuarsi è il momento in cui inzia e termina

l'attività di impresa: al momento risulta sterile la disquisizione fatta in passato circa la

distinzione tra atti di organizzazione e atti di impresa vera e propria.

L'attitudine ad affrontare il rischio è un elemento specifico dell'attività

imprenditoriale: l'imprenditore (perlomeno nella piccola impresa) deve spesso

mettere in gioco la propria sicurezza economica e finanziaria pur di mettere in pratica

la propria idea, profondendo nella realizzazione del progetto imprenditoriale gran

parte delle proprie risorse economiche e temporali.

L'imprenditore in economia

In ambito economico, la figura dell'imprenditore contribuisce a sviluppare nuovi

prodotti, nuovi mercati o nuovi mezzi di produzione. Nelle economie industrializzate

del tardo XX secolo la costituzione di imprese di grandi dimensioni ha ampiamente

rimpiazzato il tradizionale rapporto fra singolo proprietario e amministratori

dell'azienda.

OFFERTA PUBBLICA DI ACQUISTO

Per Offerta Pubblica di Acquisto o OPA, in inglese tender offer, s'intende ogni

offerta, invito a offrire o messaggio promozionale finalizzato all'acquisto di prodotti

finanziari: è quindi una sollecitazione al disinvestimento.

Esse sono divisibili in due tipologie:

volontaria: l'iniziativa proviene esclusivamente dall'offerente e può avere ad oggetto

qualsiasi tipo di strumento finanziario

obbligatoria: è l'ordinamento a costringere l'offerente se sussistono determinate

condizioni e può avere ad oggetto solo azioni ordinarie di società italiane quotate in

mercati regolamentati italiani.

A loro volta, queste possono configurarsi come OPA:

consensuale: quando il consiglio di amministrazione della società oggetto di scalata si

pronuncia favorevole all'offerta stessa;

ostile: quando il consiglio di amministrazione della società oggetto della scalata si

pronuncia contrario all'offerta stessa.

L'OPA non è dunque un'operazione d'acquisto sul mercato, bensì un'offerta, in quanto

quest'ultimo potrà aderire o meno. L'offerta pubblica d'acquisto non è nemmeno

definibile come contratto ma, invece, come procedimento attraverso il quale un

soggetto si rivolge al mercato.

Del controllo circa il corretto svolgimento delle OPA si occupano gli organismi di

vigilanza della Borsa, la Consob in Italia.

Soggetti coinvolti e tutele del legislatore

I soggetti coinvolti sono:

* l'emittente, società target dell'operazione;

* l'offerente, chi fa l'offerta (anche soggetti privati);

* eventuali intermediari.

Le tutele del legislatore sono di tipo:

formale, a garanzia della trasparenza per tutelare, sul piano informativo, le parti più

deboli (risparmiatori). È dunque una tutela strumentale alla parità di trattamento;

sostanziale, a garanzia dei così detti comportamenti corretti durante la negoziazione,

intesi come di buona fede, che non siano tali d'alterare le condizioni negoziali del

mercato.

Obblighi informativi offerente

L'articolo 102 del T.U.F. disciplina che l'offerente è tenuto ad una preventiva

comunicazione alla Consob con documento, destinato alla pubblicazione, contenente

le informazioni necessarie per consentire ad i destinatari de pervenire ad un fondato

giudizio sull'offerta. La Consob poi indica le eventuali informazioni integrative,

specifiche modalità di pubblicazione e garanzie da prestare (reali o personali), entro

un termine predeterminato[3]. Questo va' dai 15 ai 30 giorni a seconda che i prodotti

finanziari ad oggetto siano quotati o meno (anche diffusi tra il pubblico). Se entro i

15-30 giorni la Consob non abbia espresso alcun parere vale il silenzio-assenso e il

documento potrà essere pubblicato.

Il Nuovo regolamento Consob ha poi specificato che l'offerente è tenuto in primo

luogo alla pubblicità della comunicazione e quindi a dare senza indugio alla Consob,

l'emittente ed al mercato un comunicato che deve indicare gli elementi essenziali

dell'offerta, le finalità, le garanzie offerte e le partecipazioni già detenute

dall'offerente.

Contestualmente l'offerente deve consegnare alla Consob altri documenti.

Una bozza del documento d'offerta laddove, nel caso vi siano contenute

informazioniin grado di stupire il mercato, l'offerente dovrà fare un comunicato

avvertendo il mercato e l'emittente di ciò che sta facendo.

Eventuali richieste d'autorizzazioni dell'autorità competenti si pensi ad esempio ad

un'opa sul mercato bancario dove operazioni di questo tipo necessitano della previa

autorizzazioni della Banca d'Italia

Condizioni dell’offerta

Dopo la comunicazione dell’OPA, il prezzo del titolo va generalmente a rialzo per

via della forte relazione che lega l’informazione alle variazioni di prezzo, ciò richiede

il rispetto di determinate condizioni:

l’offerta è irrevocabile e quindi che ogni clausola contraria è nulla;

la parità di condizioni a tutti i titolari dei prodotti finanziari che formano oggetto

dell’OPA escludendo così, che vengano stabilite condizioni d’offerta diverse. È

stabilito, in particolare, che se l’offerente lancia un’OPA e poi compra fuori mercato

(trattativa privata) ad un prezzo maggiore, il prezzo dell’OPA si adeguerà a questo.

Per quanto riguarda l’OPA volontaria:

* non è previsto un quantitativo minimo anche se per l’applicazione della

disciplina v’è una soglia minima di valore che ammonta a 40 mila euro;

* l’offerente indica la quantità di strumenti finanziari che vuole acquistare, se non

indicata, essa è uguale al quantitativo massimo;

* l’offerente può comunque riservarsi la possibilità di accettare la totalità degli

strumenti finanziari anche se oltre la quantità massima che aveva indicato;

* l’offerente può anche indicare di non essere obbligato all’acquisto se le adesioni

non raggiungono una soglia minima da lui indicata;

* l’offerente può comunque riservarsi la facoltà di accettare un quantitativo minore

purché coerente con i suoi progetti sulla target (coerenza valutata dalla Consob).

Le OPA volontarie, quindi, possono essere sottoposte a condizioni purché non

meramente potestative (sono ammesse le condizioni legali)

È prevista la possibilità di modificare l’offerta aumentando, ad esempio, il

corrispettivo (rilancio) REF non può accompagnarsi ad una riduzione del quantitativo

REF.

IL REPORTING Il reporting è una forma di comunicazione che i responsabili di budget fanno agli

organi direttivi, a vari livelli, e che questi, a loro volta, rivolgono al management,

affinché esso sia costantemente in grado di valutare l'andamento della gestione.

Nell'impostare il sistema di reporting occorre innanzi tutto stabilire la frequenza e il

tipo di rapporti, il contenuto e la forma che devono assumere, le relazione e i

collegamenti che devono tra loro sussistere.

Riguardo la frequenza è opportuno che essa sia bene calibrata, perché rapporti troppo

frequenti possono sommerge gli organi direttivi e il management di dati di

informazioni, così come rapporti troppo sporadici finiscono per non assicurare quella

tempestività di informazioni sull'andamento della gestione, che è un elemento

essenziale del controllo.

Comunque i rapporti sulla gestione devono essere elaborati e distribuiti a intervalli

regolari e sono definiti nel cosiddetto " manuale di budget".

Essi possono essere quindi giornalieri, settimanali, mensili e così via, solitamente i

rapporti sono per lo più mensili. Ciò non toglie che possono essere redatti anche

rapporti straordinari, in particolari situazioni e o per eseguire particolari progetti.

Riguardo la forma e al contenuto è evidente che possono assumere forme e contenuti

diversi, a seconda di come viene impostato il controllo e lo stesso sistema

informativo.

I rapporti devono comunque fornire per lo più alcune informazioni di base: i dati

previsti e inseriti del budget, i dati a consuntivo e lo scostamento quale risulta dal

controllo budgetario il tutto corredato da un commento sulla natura e sulle cause dello

scostamento e talvolta anche da proposte, avanzate dagli organi superiori, e circa i

correttivi e i provvedimenti da prendere per riallineare la gestione agli obiettivi di

budget. Le informazioni devono dunque essere più possibili sintetiche, chiare,

selezionate e affidabili, oltreché tempestive. Un altro elemento da definire sono i

destinatari dei rapporti. Un primo livello di destinatari è rappresentato dai

responsabili settoriali delle diverse aree nelle quali si articola l'attività dell'azienda,

per lo più dirigenti intermedi.

Questi a loro volta analizzano ed elaborano i diversi rapporti ricevuti e li trasmettono

con opportune osservazioni e proposte, al top management il quale valuta l’eventuale

opportunità di ridefinire gli obiettivi, le politiche e le strategie aziendali.

La crescita aziendale in termini di dimensioni unita alla maggiore complessità dello

scenario economico comportano una maggiore difficoltà nel coordinare tutte le aree

caziendali in modo che vengano perseguiti e raggiunti gli obiettivi prescelti.

Per questa ragione diventa ancora più impellente la necessità di fornire informazioni

a coloro che all’interno dell’organizzazione aziendale devono assicurare i risultati.

Con una corretta ed efficace divulgazione di informazioni potranno quindi essere

fatte le verifiche e le correzioni necessarie a mantenere ciascuno nel proprio ambito la

“rotta” concordata.

Per venire incontro a questa necessità risulta importante sviluppare ed implementare

un sistema di reporting non solo finalizzato alla semplice comunicazione ma anche

come strumento di crescita per le singole aree ed in definitiva per tutta l’azienda.

Senza un adeguato sistema di reporting il processo decisionale aziendale sarebbe

privo di efficacia in quanto in seguito alle fasi di definizione degli obiettivi e di

implementazione delle azioni necessarie a raggiungerli non ci sarebbe un tempestivo

riscontro che evidenzi i risultati raggiunti e le cause degli eventuali insuccessi.

L’aspetto critico nell’implementazione di un sistema di reporting è la scelta del tipo e

del numero di informazioni da produrre. Bisogna evitare l’errore di produrre un

numero eccessivo di informazioni, nel quale risulterà poi difficile orientarsi, ma è

necessario concentrarsi solo su quelle più significative ed utili a definire le scelte e le

misure correttive (aspetti critici di successo). Per fattori critici di successo intendiamo

tutti quegli aspetti che contribuiscono ad avere una posizione vincente nel mercato in

cui si opera. In base all’ambiente in cui si è chiamati a competere cambiano gli

aspetti critici da curare. Un numero eccessivo di dati può produrre solo confusione ed

alla fine è valida l’equazione che troppi dati corrispondono molto spesso a nessun

dato utile.

LE COOPERATIVE Introduzione

Cooperativa: Società mutualistica la cui attività ha come scopo il vantaggio reciproco

dei soci.

Basate sul principio di mutualità, cioè sull’aiuto reciproco tra i soci che si impegnano

per uno scopo comune, in Italia le cooperative devono essere costituite

obbligatoriamente per atto pubblico, cioè alla presenza di un notaio, e possono essere

a responsabilità limitata, se i soci sono responsabili solo con il capitale versato, o

illimitata, e in tal caso i soci devono rispondere in via sussidiaria con il patrimonio

personale in caso di fallimento o di liquidazione coatta.

A favore delle cooperative sono previste facilitazioni contabili, fiscali,

amministrative. Il numero dei soci, a partire da un minimo di nove persone, e l’entità

del capitale sociale possono variare, ma a garanzia dei creditori e in aggiunta alle

riserve legali la legge impone di destinare a riserve un quinto degli utili netti

conseguiti ogni anno. Ciascun socio dispone di un solo voto, indipendentemente dal

suo ruolo nell’organizzazione e dal capitale eventualmente apportato, e può recedere

o essere escluso dalla società se non ha più interesse a parteciparvi, mentre è limitata

la possibilità di trasferire ad altri (ad esempio ai figli) la propria posizione di socio.

È discussa sul piano teorico, ma consentita in pratica, la possibilità di essere soci solo

in quanto apportatori di capitale ma non di lavoro; in ogni caso, il capitale è retribuito

con un interesse annuo, in proporzione alla quantità, non con un dividendo sugli utili

come avviene in altri tipi di società.

Cenni storici

Teorizzata a partire dal 1820 da Robert Owen in Gran Bretagna e da Charles Fourier

in Francia, e in seguito anche in Italia da Luigi Luzzatti, la costituzione delle prime

cooperative, che in genere operavano anche come società di mutuo soccorso per le

malattie, come associazioni sindacali e come centri di cultura popolare, risale al 1831,

quando a Parigi furono fondate le associazioni dei falegnami e dei tipografi, alle quali

fecero seguito, nel 1835, il Commerce veridique et social di Lione, prima cooperativa

di consumo, e nel 1844 i Pioniers, tessitori di Rochdale, in Gran Bretagna.

In Italia, la prima cooperativa di consumo fu il Magazzino di provvidenza

dell’Associazione generale degli operai di Torino (1854), mentre la prima

cooperativa di lavoro fu la Società artistico-vetraria di Altare (Savona), del 1856; le

prime cooperative di credito furono la Banca mutua popolare di Lodi (1864) e la

Banca popolare di Milano (1865). Dopo il 1880 si diffusero le cooperative dei

ferrovieri: tra le principali si ricordano l’Unione cooperativa di Milano del 1886 e

l’Unione militare di Roma, fondata nel 1889. Diverse e fiorenti forme

cooperativistiche sorsero anche nel settore del credito e in agricoltura: verso la fine

del XIX secolo furono costituite varie cooperative di produzione, in particolare

latterie, cantine sociali ed essiccatoi di bozzoli.

Con l’avvento dei regimi fascista e nazionalsocialista, i movimenti cooperativistici

furono sistematicamente soppressi in Italia e in Germania e in seguito nei paesi

occupati durante la seconda guerra mondiale. La situazione fu nettamente diversa in

tutti i paesi socialisti, dove, dopo il 1917, sull’esempio dell’Unione Sovietica, si

affermò l’idea di cooperativa con capitale e mezzi di produzione forniti dallo stato e i

lavoratori furono aggregati a strutture collettive come i kolchoz, le fattorie

collettivizzate; mancava tuttavia, ai soci di queste associazioni, l’elemento

fondamentale della libertà di adesione e di recesso.

Il movimento cooperativistico risorse dopo la fine della seconda guerra mondiale ed

entrò a far parte della vita economica di diversi paesi in Europa orientale, Africa,

Asia, Australia e America.

Mentre si valutavano i risultati di queste e altre esperienze come i kibbutz, le comuni

agricole in Israele, nel 1966 il 23° congresso dell’ICA (International Cooperative

Alliance) approvò un documento che, richiamandosi ai sette principi originari dei

tessitori di Rochdale, fissava alcuni caratteri essenziali per la costituzione di una

cooperativa.

Anzitutto la partecipazione libera e volontaria, senza discriminazioni sociali,

politiche, razziali o religiose, e l’uguaglianza tra i soci. A conferma di questo

principio di democraticità, ai fini di una corretta gestione la cooperativa sarebbe stata

diretta da una o più persone scelte tra i soci o da essi designate tra professionisti

esterni alla società. Il reddito netto ricavato alla fine di ciascun esercizio sarebbe stato

suddiviso tra i soci in parti uguali, mentre per remunerare con un interesse equo gli

apporti di capitale si sarebbe provveduto con un apposito stanziamento in fase di

bilancio.

Le cooperative, inoltre, avrebbero perseguito anche finalità educative e culturali e si

sarebbero impegnate a lavorare d’intesa con le altre strutture cooperative operanti a

livello locale, nazionale e internazionale. Restavano aperte alcune questioni, ad

esempio il fatto che i soci fossero allo stesso tempo imprenditori e lavoratori, la

legittimità dell’esistenza di soci “esterni”, apportatori di solo capitale e non di lavoro,

e soprattutto la validità del loro voto.

Tipi di cooperativa

Le “cooperative di produzione” hanno l’obiettivo di produrre beni o fornire servizi

con l’attività dei soci, che sono gli imprenditori di se stessi in quanto apportano il

capitale iniziale o di rischio necessario ad acquistare macchinari e materie prime. Il

capitale viene remunerato con un interesse in proporzione alla sua entità; il reddito

netto dell’esercizio viene diviso in parti uguali tra i soci. Una cooperativa di

produzione può a volte ricorrere a un aumento del capitale, a una direzione aziendale

esterna o a lavoratori subordinati non soci.

Le “cooperative di lavoro” intraprendono senza capitali, a spese e a rischio dei

lavoratori, un determinato lavoro, ad esempio la manutenzione di un impianto o

l’assemblaggio di un prodotto. Nel corso degli ultimi decenni del XX secolo si sono

diffuse in molti paesi dell’Europa occidentale, Italia compresa, le “cooperative

sociali”, che svolgono prestazioni prevalentemente nell’area socio-sanitaria ed

educativa, come ad esempio assistenza ai disabili o agli anziani, e che coinvolgono

come soci soggetti che altrimenti troverebbero difficoltà a entrare nel mondo del

lavoro, come detenuti e tossicodipendenti.

Le “cooperative di consumo” hanno l’obiettivo di acquistare beni o servizi a basso

prezzo a vantaggio dei soci, che in tal modo possono realizzare consistenti risparmi.

La categoria forse più importante di cooperative di consumo, in Italia, è quella delle

cooperative edilizie, che comprano case o appartamenti attribuendo ai soci il diritto di

risiedere nell’immobile; la proprietà rimane alla cooperativa, mentre i costi di

manutenzione vengono suddivisi tra tutti.

Simili a queste ultime sono le “cooperative di dettaglianti”, attraverso cui i soci, di

solito piccoli negozianti, centralizzano gli acquisti realizzando, sulla quantità globale,

risparmi sul costo delle merci. Ciascuno dei soci, poi, può utilizzare per il proprio

negozio il nome della cooperativa e determinare in autonomia, entro certi limiti, il

prezzo finale di ciascun prodotto.

Le “cooperative agricole”, come cantine sociali, allevamenti, latterie sociali, possono

essere secondo i casi di produzione, di trasformazione dei prodotti e di vendita, di

acquisto in comune, ad esempio di macchine agricole, di servizio (come nel caso

della raccolta della frutta).

Le “cooperative artigiane” in genere acquisiscono in comune macchinari e materie

prime, a beneficio dei soci che esercitano individualmente la propria attività; in

questo gruppo rientrano le cooperative di pesca.

Le “cooperative edilizie” si propongono di ottenere benefici a favore dei soci in

campo abitativo e a questo fine assumono aspetti diversi, a seconda che conferiscano

ai soci un titolo di proprietà o di uso individuale, oppure conservino la proprietà

collettiva attribuendone a ciascun socio una quota, o ancora si occupino della

gestione o della costruzione vera e propria di uno o più edifici.

Piccola società cooperativa

Al fine di facilitare lo sviluppo della piccola imprenditoria, la legge numero 266 del

1997 ha introdotto nell’ordinamento italiano la “piccola società cooperativa”. Questa

nuova figura giuridica è soggetta a una normativa semplificata in alcuni punti rispetto

a quella delle cooperative tradizionali. La piccola società cooperativa deve avere

scopo mutualistico ed essere composta esclusivamente da un minimo di tre a un

massimo di otto persone. Per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il

suo patrimonio; la responsabilità dei soci è quindi limitata al capitale che questi

hanno investito nella società. Altre semplificazioni sono previste nell’ambito

dell’amministrazione e del controllo interno della società.

IL BUSINESS PLAN Un business plan è un riassunto di come un imprenditore o un manager intende

organizzare un'attività imprenditoriale e implementare attività necessarie e sufficienti

alla sua buona riuscita. Si tratta di una spiegazione scritta del modello di business

dell'impresa.

I business plan sono usati internamente per la pianificazione e gestione dell'azienda, e

all'esterno per convincere terze parti come banche o altri investitori a finanziare

l'impresa.

I business plan possono diventare rapidamente obsoleti. Opinione comune è che

abbiano poco valore effettivo (soprattutto se fatti solo per uso interno), ma comunque

attraverso il processo di stesura del piano il management acquisisce una più profonda

comprensione del funzionamento dell'impresa e delle opzioni disponibili.

Un business plan da presentare a una finanziaria deve contenere:

1. Descrizione sommaria del progetto d'investimento ed illustrazione del tipo di

impresa che si intende creare.

2. Presentazione dell'imprenditore e del management (esperienze pregresse e ruoli

nella nuova iniziativa).

3. Indicazioni sul mercato, sulle caratteristiche della concorrenza e su fattori critici

(punti di forza e punti di debolezza rispetto al mercato). Obiettivi di vendita ed

organizzazione commerciale.

4. Descrizione della fattibilità tecnica del progetto d'investimento relativamente al

processo produttivo, alla necessità di investimenti in impianti, alla disponibilità di

manodopera e di servizi quali trasporti, energie, telecomunicazioni, ecc…

5. Piano di fattibilità economico - finanziaria quadriennale con indicazione del

fabbisogno finanziario complessivo (per investimenti tecnici, immateriali e per

capitale circolante) e delle relative coperture.

6. Informazioni sulla redditività attesa dell'investimento e sui fattori di rischio che

possono influenzarla negativamente, partendo da ipotesi realistiche e prudenziali.

7. Indicazione degli investitori coinvolti e la proposta di partecipazione richiesta

alla Finanziaria.

8. Sintetica valutazione dell'impatto ambientale del progetto.

9. Piano temporale di sviluppo delle attività.

Un business plan si compone di almeno tre parti fondamentali: una prima parte

introduttiva in cui si presenta l'idea imprenditoriale e l'imprenditore stesso con le sue

principali qualità; una seconda parte tecnico/operativa in cui si deve fornire un

quadro chiaro di cosa si vuole fare, come e dove si vuole farlo; una terza parte in cui

verranno inserite le previsioni economico/finanziarie.

Prima parte: l'imprenditore e l'idea

La descrizione del progetto imprenditoriale consiste innanzitutto in una presentazione

dell'attività che si vuole avviare e della motivazione che spinge a farlo. Sarà utile far

leva su 3 elementi:

1. Quali bisogni si vuole soddisfare

2. Qual è il mercato in cui si vuole operare

3. Quali sono le attitudini personali e le capacità professionali che spingono

l'aspirante imprenditore ad entrare in quel determinato settore.

Parte seconda: cosa, dove, come

COSA

In questa sezione del piano d'impresa dovrà essere fornita una dettagliata descrizione

di cosa si va ad offrire al mercato, cioè le caratteristiche del prodotto o del servizio

che si vuole offrire e a quali clienti potenziali si rivolge.

DOVE

In questa fase inizia una vera e propria raccolta di informazioni sull'ambiente dove la

nuova attività andrà ad operare. Si dovrà quindi fare particolare attenzione al macro-

ambiente ed al micro-ambiente. Il macro-ambiente riguarda tutto quello che l'impresa

non può controllare direttamente:

* la pubblica amministrazione

* il clima politico

* il clima sociale

* il clima economico

* il clima culturale

Si pensi per esempio alle nuove mode, alle nuove leggi ecc. cioè elementi che

indirettamente possono influenzare la vita di un impresa.

Il micro-ambiente rappresenta in sostanza il campo di battaglia sul quale si cimenterà

la nuova impresa. Esso è composto da:

* clienti

* concorrenti

* fornitori

* intermediari commerciali

COME

Si dovranno ora prendere decisioni relative all'identità dell'impresa, cioè alla quantità

di merce che si vorrà produrre, alla struttura dell'impianto, al livello di redditività del

capitale investito. Una volta definiti questi obbiettivi bisognerà indicare come si vorrà

raggiungerli.

Parte terza: le previsioni economico finanziarie

L'analisi del progetto dovrà essere ora completata con la valutazione degli aspetti

finanziari e della fattibilità del business. Attraverso tale valutazione l'imprenditore

deve: definire i capitali necessari per avviare l'impresa (piano degli investimenti),

individuare le fonti di finanziamento (fonti di copertura), valutare i profitti dei primi

anni di vita (conto economico previsionale), valutare la situazione patrimoniale

dell'impresa nei suoi primi anni di vita (stato patrimoniale preventivo). Questa parte

del business plan è la più importante per chi deve finaziare l'impresa

LE FONTI DEL FINANZIAMENTO Il finanziamento è l’operazione mediante la quale un’impresa ottiene i mezzi

necessari allo svolgimento della sua attività.

Con i finanziamenti l’impresa ottiene i mezzi monetari per alimentare gli

investimenti. Alla sua accensione un finanziamento dà luogo ad una entrata di

denaro, ma può anche comportare un’entrata di beni. Alla sua estinzione il

finanziamento dà luogo generalmente ad una uscita di denaro (disinvestimento).

Ogni impresa ha necessità di finanziamenti, sia nella fase della sua costituzione, sia

successivamente durante la normale attività di gestione.

Il fabbisogno finanziario dell’impresa è strettamente connesso agli investimenti

programmati e alle caratteristiche del ciclo monetario (uscite ed entrate). La

quantificazione del fabbisogno finanziario è effettuata dalla funzione finanza che si

occupa anche di valutare la disponibilità delle diverse fonti di finanziamento. Per

quanto riguarda quest’ultime, è importante sottolineare che i finanziamenti possono

essere acquisiti da un’impresa a titolo di capitale proprio o di terzi.

I finanziamenti a titolo di capitale proprio sono effettuati dall’imprenditore

individuale o dai soci, vale a dire dalle persone che hanno la proprietà dell’azienda e

si assumono il rischio di gestione. Questi finanziamenti corrispondono: ai

conferimenti apportati al momento della costituzione dell’impresa oppure in sede

d’aumento di capitale; agli utili conseguiti che l’imprenditore individuale o i soci

decidono di non prelevare ma di reinvestirli nell’attività senza ricorrere ad altre fonti

di finanziamento (autofinanziamento).

I finanziamenti a titolo di capitale proprio presentano queste caratteristiche:

1. Non hanno una scadenza perché l’imprenditore individuale o i soci potranno

tornare in possesso dei conferimenti effettuati, solo in caso di liquidazione o di

cessione dell’impresa.

2. Non comportano un obbligo di remunerazione poiché il capitale proprio sarà

remunerato con l’utile solo se si otterrà un risultato economico positivo; in caso

negativo l’imprenditore individuale o i soci non saranno corrisposti d’alcuna

somma.

3. Sono completamente soggetti al rischio d’impresa e quindi al rischio di perdite.

I finanziamenti a titolo di capitale di terzi sono concessi all’impresa da terzi

finanziatori. Questo tipo di finanziamento rappresenta per l’impresa un debito.

Secondo la natura dell’operazione, i finanziamenti di capitale di terzi si distinguono

in:

- Debiti di finanziamento, veri e propri prestiti, attraverso i quali l’impresa si

procura i mezzi monetari necessari alla sua attività. Rappresentano sempre

un’entrata monetaria e sono gravati da un interesse esplicito regolato

all’estinzione del prestito se a breve termine; mentre se a medio-lungo termine

pagato periodicamente a scadenze prefissate (es. ogni 3, 6, 9, 12 mesi).

- Debiti di regolamento, sorgono quando l’impresa acquista beni o servizi con

dilazioni di pagamento più o meno brevi. L’acquisto di beni con regolamento

differito da luogo a un investimento in beni o servizi accompagnato dal sorgere di

un debito; l’estinzione del debito provoca un’uscita di denaro. I debiti di

regolamento rappresentano un’entrata di beni o servizi e sono sempre dei debiti a

breve termine gravati da interessi sia impliciti sia espliciti.

Anche il capitale di terzi presenta delle caratteristiche:

1. Ha una scadenza prefissata e deve essere obbligatoriamente rimborsato alla

scadenza prevista. I debiti possono avere diverse scadenze: breve (fino a un anno),

media (da 1 a 5 anni), lunga (oltre 5 anni).

2. Sull’impresa gravano degli interessi da pagare indipendentemente dal risultato

economico a fine esercizio. L’interesse può essere esplicito se le parti hanno

concordato un tasso percentuale indicato nel contratto; oppure implicito quando è

già compreso nell’importo da pagare alla scadenza.

3. È soggetto limitatamente al rischio d’impresa poiché i creditori non otterranno il

rimborso dovuto solo in caso di perdite molto elevate.

Le possibilità di reperimento dei finanziamenti sono influenzate notevolmente dalla

forma giuridica dell’impresa. Secondo il Codice Civile tutte le società per azioni e le

società in accomandita per azioni possono ricorrere all’emissione di valori mobiliari

(azioni e obbligazioni) da collocare direttamente tra il pubblico e sono dunque

agevolate nella raccolta di mezzi monetari. Le altre imprese ricorrono generalmente

al sistema bancario per ottenere i finanziamenti.

Nella realtà solo le grandi società per azioni possono facilmente ricorrere ai mercati

organizzati, alla Borsa Valori, dove collocano i titoli fra il pubblico dei risparmiatori

ottenendo numerosi vantaggi.

Invece le società per azioni di piccole e medie dimensioni e le società in accomandita

per azioni non ricorrono alla quotazione di Borsa perché talvolta mancano i requisiti

necessari e i costi relativi alla procedura sono elevati. Così anche queste imprese

devono ricorrere a finanziamenti di tipo bancario.

Affinché un’impresa possa svilupparsi è necessario che essa possegga una situazione

finanziaria equilibrata.

IL SISTEMA INFORMATIVO Il sistema informativo è costituito dall'insieme delle informazioni utilizzate, prodotte

e trasformate da un'azienda durante l'esecuzione dei processi aziendali, dalle modalità

in cui esse sono gestite e dalle risorse, sia umane, sia tecnologiche, coinvolte. Non va

confuso con il sistema informatico, che indica la porzione di sistema informativo che

fa uso di tecnologie informatiche e automazione.

Definizione

1. Attività che si devono svolgere per la gestione delle informazioni,

2. Modalità organizzative con cui devono essere condotte tali attività,

3. Strumenti tecnologici con cui svolgerle.

In un ambiente sempre più dinamico come quello odierno, le imprese si trovano in

una situazione di grande complessità gestionale e nell'esigenza di dover gestire

quantità sempre maggiori di informazioni in modo sempre più efficace, efficiente e

tempestivo per poter così rispondere ai continui cambiamenti del mercato e delle sue

esigenze: prendere decisioni velocemente richiede la possibilità di disporre di tutte le

informazioni necessarie in tempi rapidi, il che è possibile solo se l'impresa è dotata di

un sistema informativo in grado di rendere disponibili le informazioni in tempo reale.

Possiamo dunque comparare il sistema informativo aziendale ad un vero e proprio

sistema nervoso dell'azienda stessa. Le tecnologie informatiche offrono oggi grandi

potenzialità (informatizzazione del sistema informativo aziendale): - consentono alle

aziende di controllare, pianificare e gestire in modo integrato tutte le attività; -

consentono di elaborare velocemente una maggiore quantità di dati ed informazioni

di quanto fosse possibile in passato.

La parte del sistema informativo composta dai calcolatori, dalle reti informatiche,

dalle procedure per la memorizzazione e la trasmissione elettronica delle

informazioni prende il nome di sistema informatico. Infatti, i concetti fondamentali

alla base di un sistema informativo sono dati, informazioni e processi, e non

presuppongono l'utilizzo di tecnologie informatiche. Ciononostante, anche se

l'esistenza del sistema informativo è indipendente dalla sua automazione, il relativo

sistema informatico ricorre quasi sempre all'utilizzo di uno o più database per

l'archiviazione e il reperimento delle informazioni, e ad appositi moduli software per

l'inserimento e la gestione.

Evoluzione dei sistemi informativi

Già a partire dal 1970 si compiono i primi studi sull'applicazione dell'informatica ai

sistemi informativi aziendali da parte per lo più di software house, tesi a coprire

particolari esigenze o particolari funzionalità.

Il passo successivo avviene attorno al 1980, quando si sviluppano i Materials

Requirements Planning (MRP), cioè moduli software dedicati alle esigenze di

informatizzazione legate soprattutto alle problematiche di approvvigionamento dei

materiali necessari alla produzione dell'azienda, con l'obiettivo di mantenere

consistenti le informazioni nelle varie fasi di pianificazione dell'approvvigionamento,

trasporto e consegna dei materiali.

Negli anni a seguire, iniziano a comparire i primi sistemi di Enterprise Resource

Planning (ERP), che oggi rappresentano uno standard de facto all'interno dei sistemi

informativi aziendali.

Infine negli ultimi anni hanno iniziato a diffondersi gli ERP estesi che, permettendo

l'accesso contollato al sistema informativo aziendale da parte dei fornitori e dei

clienti, mira a migliorare la collaboratività tra tutti i cointeressati alla realizzazione di

un prodotto.

Negli ultimi anni i sistemi informativi sono entrati a far parte delle architetture

telematiche nel duplice ruolo di punto di partenza tecnologico e scopo ultimo del

lavoro di organizzazione delle informazioni prodotte.

Ciclo vita dei sistemi informativi

Le fasi di realizzazione di un sistema informativo sono generalmente le seguenti:

* nascita dell'esigenza: tende a migliorare la situazione esistente tramite il

perseguimento di determinati obiettivi.

* studio di fattibilità: serve a definire in maniera per quanto possibile precisa i costi

delle varie alternative possibili, ad effettuare la conseguente analisi costi/benefici ed a

stabilire le priorità della realizzazione delle varie componenti del sistema.

* raccolta e analisi dei requisiti: consiste nell'individuazione e nello studio delle

proprietà e delle funzionalità che il sistema informativo dovrà avere. Questa fase

richiede un'interazione con gli utenti del sistema e produce una descrizione completa

ma generalmente informale dei dati coinvolti e delle operazioni su di essi. Vengono

inoltre stabiliti i requisiti software e hardware del sistema informativo.

* progettazione: si divide generalmente in progettazione dei dati, progettazione

delle applicazioni e progettazione dell'architettura tecnica di sistema. Nella prima si

individua la struttura e l'organizzazione che i dati dovranno avere, nella seconda si

definiscono le caratteristiche dei progetti applicativi. Queste due attività sono

complementari e possono procedere in parallelo o in cascata. Le descrizioni dei dati e

delle applicazioni prodotte in questa fase sono formali e fanno riferimento a specifici

modelli. La progettazione dell'architettura tecnica di sistema, infine, rappresenterà

l'infrastruttura individuandone le caratteristiche in termini di sistemi (server),

connettività, sicurezza fisica e logica.

* sviluppo: consiste nella realizzazione del sistema informativo secondo la

struttura e le caratteristiche definite nella fase di progettazione. Viene costruita e

popolata la base di dati e viene prodotto il codice dei programmi.

* validazione e collaudo: serve a verificare il corretto funzionamento e la qualità

del sistema informativo. La sperimentazione deve prevedere, per quanto possibile,

tutte le condizioni operative.

* avviamento: è la fase di messa in funzione del sistema. Si erogano i corsi di

formazione, si travasano i dati da eventuali realizzazioni preesistenti che vengono

sostituite, si attivano i collegamenti con le altre applicazioni e si parte con

l'operatività reale.

* funzionamento: in questa fase il sistema informativo diventa operativo a regime

ed esegue i compiti per i quali era stato originariamente progettato. Se non si

verificano malfunzionamenti o revisioni delle funzionalità del sistema, questa attività

richiede solo operazioni di gestione e manutenzione.

* manutenzione: con la manutenzione correttiva si consolida il sistema, mentre con

la manutenzione evolutiva lo si completa ed arricchisce di funzionalità inizialmente

non individuate.

Va precisato che il processo non è quasi mai strettamente sequenziale, in quanto

spesso durante l'esecuzione di una attività citata bisogna rivedere decisioni prese

nell'attività precedente. Quello che si ottiene è un ciclo di operazioni. Inoltre alle

attività citate si aggiunge quella di prototipizzazione, che consiste nell'uso di specifici

strumenti software per la realizzazione rapida di una versione semplificata del

sistema informativo, con la quale sperimentare le sue funzionalità. La verifica del

prototipo può portare a una modifica dei requisiti e una eventuale revisione del

progetto.

Il suddetto ciclo di vita ha costituito la base sulla quale è stato poi formalizzato il

ciclo di vita delle architetture telematiche.

Sistema informativo aziendale

Nell'azienda il sistema informativo è uno dei sistemi operativi ed ha il compito di

* raccogliere i dati;

* conservare i dati raccolti, archiviandoli;

*elaborare i dati, trasformandoli in informazioni;

* distribuire l'informazione agli organi aziendali utilizzatori.

Per fare questo il sistema informativo si può avvalere di tecnologie informatiche: la

parte del sistema informativo aziendale che se ne avvale prende in nome di sistema

informatico. Oggi, con il diffondersi delle tecnologie informatiche, il sistema

informatico finisce per rappresentare la quasi totalità del sistema informativo, ma,

almeno a livello concettuale, il sistema informativo non implica di per sé l'uso

dell'informatica; del resto prima che fossero introdotte le tecnologie informatiche già

esistevano sistemi informativi.

Le informazioni fornite dal sistema informativo agli organi aziendali sono necessarie

agli stessi per assumere le decisioni e sono caratterizzate da:

* il contenuto (ossia la rilevanza per il destinatario e la correttezza intrinseca);

* il tempo nel quale sono rese disponibili;

* il luogo ove sono rese disponibili;

* la forma con la quale sono presentate.

IL BILANCIO D'ESERCIZIO Il bilancio d'esercizio è l'insieme dei documenti che un'impresa deve redigere

periodicamente, allo scopo di rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione

patrimoniale e finanziaria nonché il risultato economico della società.

Il bilancio d'esercizio si compone di tre documenti:

1. lo Stato patrimoniale

2. il Conto economico

3. la Nota integrativa

Altro documento giudicato di complemento è il rendiconto finanziario.

La redazione del bilancio ha due obiettivi: rispondere agli obblighi contabili e fiscali

previsti dal codice civile e mettere a disposizione di operatori esterni ed interni

all'impresa (fornitori, creditori, risparmiatori, analisti finanziari, Stato, soci,

dipendenti) informazioni sull'andamento dell'impresa.

Le norme in materia di bilancio prevedono che lo stesso sia corredato da una

relazione degli amministratori sulla situazione della società e sull'andamento della

gestione con particolare riguardo ai costi, ai ricavi e agli investimenti.

Anche se non è parte integrante del bilancio, la relazione sulla gestione assolve ad

una funzione descrittiva ed esplicativa e completa le informazioni desunte dallo Stato

Patrimoniale (SP), dal Conto Economico (CE) e dalla Nota Integrativa (NI).

Le sue funzioni sono di illustrare la situazione complessiva dell'azienda e

l'andamento della gestione, sia passata che in corso, nel suo insieme e nei vari settori

in cui l'azienda ha operato; nonché di illustrare l'andamento della redditività, gli

aspetti finanziari e la loro influenza sulla formazione del risultato economico

dell'azienda, con riferimento alle situazioni patrimoniali e finanziarie già

determinatesi ma anche in relazione alle previsioni relative all'evoluzione della

gestione

Un compito degli amministratori è, infatti, di delineare nella relazione sulla gestione

le prospettive di sviluppo della gestione attraverso piani e programmi di medio-lungo

e breve periodo.

Quindi, il bilancio d'esercizio non è soltanto un insieme di documenti da redigere

secondo gli obblighi di legge, ma è la fonte principale d'informazione dei dati

economici, patrimoniali e finanziari dell'impresa per tutte le classi di portatori di

interesse nei suoi confronti: creditori, dipendenti, clienti e fornitori, organi statali di

controllo, fisco ecc.

È lo strumento fondamentale d'informazione per i terzi e per i soci al fine di giudicare

(almeno in prima approssimazione) la convenienza a mantenere il legame con

l'azienda.

Nell'ottica di una maggiore trasparenza, i documenti di bilancio sono pubblici: gli

stessi devono essere depositati presso la Camera di commercio competente per

territorio che li archivia e li mette a disposizione di chiunque ne faccia richiesta, sia

in forma cartacea che informatica.

Lo Stato Patrimoniale

Lo Stato Patrimoniale è il documento che definisce la situazione patrimoniale di una

società in un determinato momento.

Nello Stato Patrimoniale vengono inseriti tra le attività, il valore dei beni materiali e

immateriali impiegati dalla società e tra le passività, le fonti di finanziamento.

Il Conto Economico

Il Conto Economico è il documento di bilancio che, contrapponendo i costi ed i ricavi

di competenza del periodo amministrativo, illustra il risultato economico della

gestione del periodo considerato; misurando, in questo modo, l'incremento o il

decremento che il capitale netto aziendale ha subito per effetto della gestione.

In particolare, il Conto Economico:

1. individua tutti i fattori che hanno partecipato al ciclo gestionale e costituisce una

verifica di come hanno contribuito al risultato d'esercizio le voci dello Stato

patrimoniale;

2. permette d'individuare i risultati parziali di tutte le fasi gestionali in cui può

essere scomposta l'attività dell'impresa;

3. permette di individuare, in via di prima approssimazione, le responsabilità di

ciascun dirigente (responsabili di funzione).

La Nota integrativa

La Nota integrativa, che del bilancio è parte integrante, ha i seguenti scopi:

- completare i dati dei prospetti contabili (Stato patrimoniale e Conto economico),

fornendo ulteriori informazioni quantitative e descrittive;

- motivare determinati comportamenti, soprattutto in merito alle valutazioni

effettuate, alle deroghe a determinate disposizioni di legge, ecc.

Le disposizioni di legge richiedono una serie di indicazioni che si possono così

raggruppare:

1) indicazioni riguardanti i Criteri di valutazione.

2) indicazione dei movimenti nelle voci del patrimonio.

3) composizione e dettaglio di talune voci del bilancio.

4) informazioni diverse ( es. il numero dei dipendenti, i compensi agli amministratori

ecc.)

LA PRODUTTIVITA’

In economia, la produttivita’ e’ la relazione esistente tra prodotto (beni e servizi) e

fattori di produzione (terra, capitale e lavoro) impiegati per ottenerlo. Nella sua

accezione comune, il termine si riferisce alla produttività del lavoro: prodotto per

addetto o per ora/lavoro; di solito si misura utilizzando numeri indici.

Massimizzare la produttività è infatti la chiave che porta al successo economico; è

però opportuno fare riferimento alla produttività globale di tutti i fattori, anziché

limitarsi a quella del lavoro. Per incrementare la produttività totale è necessario

aumentare l'apporto di capitale (investendo in macchinari) e ridurre l'apporto di

lavoro (incrementando quindi la produttività). In pratica, risulta difficile calcolare la

produttività totale dei fattori essendo complicato determinare quale sia il contributo di

ciascuno di essi alle variazioni della produzione. I fattori, inoltre, non sono costanti

ma variano nel tempo.

Date le difficoltà di ottenere misurazioni accurate della produttività (è infatti più

semplice il calcolo per l'attività manifatturiera che, ad esempio, per quella dei servizi

finanziari), occorre considerare le statistiche con molta cautela: incrementi di breve

periodo negli indici di produttività possono riflettere sovrautilizzo della capacità

produttiva piuttosto che un vero e proprio miglioramento dell'efficienza. In generale,

poi, è opportuno evitare di fare confronti diretti tra i dati raccolti in diverse nazioni, in

quanto i metodi di calcolo di uno stesso indice possono variare.

In alcuni paesi, gli aumenti salariali sono spesso legati alla produttività: molte

imprese adottano infatti un sistema di retribuzione legato alla performance, talvolta

stabilendo già in fase di contrattazione salariale che la concessione di aumenti

retributivi possa essere giustificata solo da incrementi nella produttività. Tali

politiche sono oggi motivo di acceso dibattito perché a giudizio di alcuni economisti

ciò equivarrebbe a dire, in un certo senso, che qualsiasi aumento salariale risulta

essere finanziato da perdite di posti di lavoro.

LE SOCIETA'

Nel diritto italiano le società è definita come un contratto in base al quale due o più

persone conferiscono bemi o servizi in comune di un'attività economica, allo scopo di

dividerne gli utili.

Caratteristiche proprie di una società sono il “fine di lucro”

La società semplice è il tipo più elementare di società; essa non può essere utilizzata

per l’esercizio di un’attività commerciale, dal 2001 è soggetta all’iscrizione presso la

sezione speciale del registro delle imprese, con finalità di pubblicità legale oltre alla

funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia, ma non è soggetta al

fallimento (es. svolgimento di attività agricole o professionali di modeste

dimensioni).

Dal punto di vista economico, non costituisce un tipo societario particolarmente

rilevante, mentre dal punto di vista giuridico, la sua disciplina, dettata dagli articoli

2251 - 2290 del Codice civile si applica anche agli altri tipi di società personali, salvo

quanto espressamente disposto dalla normativa specifica (art. 2293 c.c. e 2315 c.c.).

In forza della disposizione contenuta dall'art. 2249 c.c., secondo comma, quello della

società semplice è il regime residuale per l'attività societaria non commerciale, a cui

si fa riferimento nel caso i contraenti non abbiano deciso di adottare un diverso tipo

sociale.

La società in nome collettivo (o s.n.c.) è un tipo di società di persone disciplinato

dagli artt. 2251-2290 del codice civile in cui tutti i soci rispondono solidalmente e

illimitatamente per i debiti sociali (art. 2291 c.c.). Ha normalmente a oggetto

l’esercizio delle attività commerciali di dimensioni medio-piccole, è soggetta

all’iscrizione presso il registro delle imprese, alla tenuta delle scritture contabili e al

fallimento.

Il codice distingue due tipologie di società in nome collettivo:

• la società in nome collettivo regolare che si ha allorquando la società sia

iscritta nel registro delle imprese. In tal caso l'atto costitutivo della società deve

essere stipulato per atto pubblico o scrittura privata autenticata

• la società in nome collettivo irregolare che si ha quando la società non è

iscrittanelregistrodelleimprese.

Differenza tra società semplice e società in nome collettivo

Le differenze tra la società semplice e la società in nome collettivo sono:

• inefficacia nei confronti di terzi del patto che limita la responsabilità: il patto di

limitazione della responsabilità non è mai efficace verso i terzi, ma vale tra i

soci;

• obbligo della preventiva escussione del patrimonio sociale: il creditore deve

agire prima contro la società e il suo patrimonio (art. 2304 c.c.);

• il creditore particolare del socio, finché dura la società, non può chiedere la

liquidazione della quota del socio debitore (art. 2305 c.c.).

La società in accomàndita semplice (o S.a.s.) è una società di persone che può

esercitare sia attività commerciale sia attività non commerciale e che si caratterizza

per la presenza di due categorie di soci:

• i soci accomandanti: che rispondono delle obbligazioni contratte dalla società

limitatamente alla quota conferita (responsabilità limitata).

• i soci accomandatari: che rispondono solidalmente ed illimitatamente per le

obbligazioni sociali. Solamente ad essi è attribuita l'amministrazione della

società.

Essa è disciplinata dagli articoli 2313-2324 del codice civile, sul modello della

società in nome collettivo con gli adattamenti resi necessari dalla presenza delle due

categorie di soci.

Un eventuale creditore potrà rivalersi sul capitale della società (come per le S.r.l.) ed

in parte sul patrimonio personale degli accomandatari (come per le S.n.c.)

Sono soggette nell'esercizio ad avere una partita IVA, una iscrizione alla camera di

commercio per le attività soggette ed un registro societario. La S.a.s. si distingue

dalla Società in accomandita per azioni dal fatto che la prima fa parte della categoria

delle società di persone, dunque si applicherà la disciplina della Società in nome

collettivo con i normali adattamenti previsti per la presenza di soci a responsabilità

limitata, alla seconda, invece, viene applicata la disciplina della Società per Azioni,

infatti fa parte della categoria delle Società di Capitali; Il Capitale sociale della

Società in Accomandita semplice è divisa in quote, in modo tale che ogni socio ha

una quota di grandezza diversa proporzionale ai conferimenti apportati.

SONO SOCIETA' DI CAPITALI

La Società per azioni (S.p.A.) è una società di capitali, in cui le partecipazioni dei

soci sono espresse in azioni. Questo significa che il capitale sociale è frazionato in un

determinato numero di titoli, ciascuno dei quali incorpora una certa quota di

partecipazione ed i diritti sociali inerenti alla quota stessa.

In quanto società di capitali, le S.p.A. sono caratterizzate anche dall'autonomia

patrimoniale perfetta, ossia dal massimo grado di autonomia patrimoniale. Il

patrimonio della società, in altre parole, risulta essere completamente distinto da

quello dei soci che, quindi, non sono chiamati a rispondere delle obbligazioni sociali.

La responsabilità dei soci è limitata, in via di principio, alla sola quota di

partecipazione.

La Società a responsabilità limitata (S.r.l. o Srl) appartiene alla categoria delle

società di capitali e che, quindi, risponde delle obbligazioni sociali solamente con il

suo patrimonio (art. 2462 c.c.).

Società in accomandita per azioni

responsabilità mista, in quanto alcuni soci (accomandatari) sono

responsabili illimitatamente e solidalmente per le obbligazioni sociali,

mentre gli altri soci (accomandanti) sono responsabili soltanto nei limiti

del proprio conferimento (art. 2462).

La denominazione sociale dove contenere il nome di uno o più soci

accomandatari. L'amministrazione della società spetta di diritto ai soci

accomandatari, che lo sono a tempo indeterminato.

Gli amministratori possono essere rimossi dal loro incarico con la

deliberazione a maggioranza dell'assemblea straordinaria, se tale

rimossione avviene senza giusta causa, gli amministratori hanno diritto ad

un risarcimento (art. 2466).

La revoca degli amministratori deve essere deliberata con la maggioranza

prescritte per le deliberazioni dell'assemblea straordinaria della società

per azioni (art. 2456)

IL PATRIMONIO NETTO In ragioneria, il patrimonio netto o capitale netto esprime la consistenza

del patrimonio di proprietà dell'impresa. Esso rappresenta, infatti, le così

dette fonti di finanziamento interne (vedi Bilancio d'esercizio), ossia

quelle fonti provenienti direttamente o indirettamente dal soggetto o dai

soggetti che costituiscono e promuovono l'azienda.

In altri termini, ci si riferisce al capitale proveniente:

* dall'imprenditore, nel caso di aziende individuali;

* dai soci, nell'ipotesi di azienda collettiva;

* dall'autofinanziamento, ossia utili realizzati e reinvestiti all'interno

della stessa azienda.

Il patrimonio netto è pertanto l'insieme dei mezzi propri (rappresentano

capitale di pieno rischio, poiché si tratta di capitali sottoposti

integralmente alle sorti dell'azienda ed operanti come garanzia nei

confronti dei terzi) determinato dalla somma del capitale conferito dal

proprietario (o dai soci) in sede di costituzione dell'azienda o durante la

vita della stessa con apporti successivi e dall'autofinanziamento.

In concreto, il patrimonio netto si scompone in più voci, dette parti ideali

di patrimonio netto, per distinguere la parte derivante dall'apporto dei

soci dalla parte derivante dall'autofinanziamento proprio. Tali parti ideali

possono essere di segno positivo (incrementi) o negativo (decrementi).

In particolare, nelle imprese con veste di società è costituito dalle

seguenti voci:

* capitale sociale, che rappresenta il capitale conferito dai soci al

momento della costituzione dell'impresa. Versamenti a titolo di capitale

sociale possono essere operati anche in seguito, quando la vita

dell'impresa lo richiede. Il capitale sociale è frazionato in quote, ognuna

rappresentativa di una parte di esso. Le quote vengono assegnate in

proporzione al capitale versato. Nel corso della vita dell'azienda, il

capitale sociale può aumentare (quando si rendono necessari nuovi

finanziamenti e non si vuole o non si può ricorrere a finanziamenti

esterni) o diminuire (in caso di perdite consistenti oppure in caso di

esubero).

* riserve, in prima approssimazione vengono costituite trattenendo

nell'impresa gli utili conseguiti che non vengono distribuiti ai soci, e che

quindi rappresentano una forma di autofinanziamento adottata

dall'impresa stessa. Quindi le riserve costituiscono la più autentica fonte

interna di finanziamento, ancor più propria dell'azienda di quanto possa

essere il capitale sociale. Quest'ultimo, infatti, non è prodotto dall'impresa

ma acquisito da soggetti terzi, cioè i soci. Le riserve di utili possono

essere: obbligatorie (o legali), statutarie, facoltative.

* utili da destinare, costituiti dall'utile d'esercizio conseguito

nell'ultimo esercizio e dal residuo utile di un esercizio precedente in

attesa di destinazione. Tali utili, in base alle decisioni dei soci, possono

essere distribuiti ai soci o portati in aumento di riserve o a copertura di

perdite pregresse.

* perdite in sospeso, che possono riguardare la perdita d'esercizio

subita nell'ultimo periodo amministrativo o perdite di esercizi precedenti.

Tali perdite potranno essere coperte con varie modalità a seconda delle

decisioni dei soci.

Bisogna notare che il capitale sociale, le riserve e gli utili da destinare

sono parti ideali positive, mentre le perdite in sospeso sono parti ideali

negative.

Si ha, dunque, la seguente relazione:

Patrimonio Netto = capitale sociale + riserve + utili conseguiti in attesa di

destinazione - perdite in sospeso in attesa di copertura

In sintesi, il patrimonio netto rappresenta la misura dei mezzi propri

investiti dall'imprenditore o dai soci nell'azienda, mentre il patrimonio

lordo rappresenta il totale degli impieghi (o investimenti) effettuati anche

con il concorso del capitale di credito.

Pertanto il patrimonio netto:

* a un punto di vista contabile è rappresentato dalla differenza tra

attività e passività dello stato patrimoniale;

* da un punto di vista finanziario rappresenta la fonte di finanziamento

interna;

* da un punto di vista concreto rappresenta l'effettiva ricchezza di

competenze dei soci, ricchezza che si ricava dalla liquidazione dell'attivo

e dopo aver rimborsato il passivo.

LA CAMBIALE

La cambiale è redatta su appositi moduli prestampati, che vengono

predisposti dall’amministrazione finanziaria, con l’assolvimento

dell’obbligo di bollatura. Vale anche come cambiale qualsiasi foglio che

presenta i requisiti essenziali. I requisiti formali sono quelli essenziali e

quelli naturali.

Quelli essenziali sono tali quando la loro mancanza determina la nullità

della cambiale. Essi sono:

* denominazione di cambiale (vaglia o pagherò cambiario)

* ordine o promessa incondizionata di pagamento verso il portatore del

titolo

* indicazione nella cambiale del nome di chi è designato a pagare,

ossia il trattario. Trattario può essere lo stesso traente

* nome del primo prenditore

* data della emissione della cambiale

* sottoscrizione del traente o emittente

Quelli naturali sono tali quando la loro lacuna viene colmata da norme

suppletive. Essi sono:

* scadenza: se manca la cambiale si considera pagabile a vista.

Altrimenti le scadenze previste sono: a vista, a certo tempo vista, a certo

tempo data, a giorno fisso

* indicazione del luogo di emissione. In mancanza si considera

sottoscritta nel luogo accanto al nome del traente o emittente. In

mancanza anche di questo la cambiale è nulla

* indicazione del luogo di pagamento. In mancanza la cambiale è

pagabile accanto al nome del trattario o luogo di emissione. È possibile

anche indicare anche il domicilio di un terzo (cambiale domiciliata)

IL CONTRATTO DI VENDITA

La compravendita è il contratto con il quale una parte (detta venditore)

trasferisce ad un’altra (detta compratore) la proprietà di una cosa od un

altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo. Nella compravendita il

corrispettivo è sempre rappresentato da un prezzo, cioè da una somma di

denaro; qualora venisse dato in corrispettivo un’altra cosa si avrebbe un

contratto diverso e cioè la permuta.

Il prezzo è di solito determinato nel contratto, ma le parti possono

affidarne la determinazione ad un terzo, scelto nel contratto stesso o da

scegliere posteriormente. Qualora, infine, le parti non si accordassero

sulla scelta, esso verrebbe nominato dal Presidente del Tribunale.

Se il contratto ha per oggetto cose che il venditore vende abitualmente e

le parti non hanno determinato il prezzo, né hanno convenuto il modo di

determinarlo, né esso è stabilito per atto della pubblica autorità, si

presume che le parti abbiano voluto riferirsi al prezzo normalmente

praticato dal venditore; per le cose, invece, che hanno un prezzo di borsa

o di mercato, il prezzo si desume dai listini o dalle mercuriali del luogo in

cui deve essere eseguita la consegna, o da quelli della piazza più vicina.

Qualsiasi cosa può formare oggetto della compravendita, purchè sia in

commercio. Il codice civile prevede e disciplina anche la vendita di una

cosa futura (ad esempio i raccolti); in tale caso l’acquisto della proprietà

si verifica non appena la cosa viene ad esistere, altrimenti la vendita è

nulla. Anche un semplice diritto, come ad esempio un credito, può

formare oggetto di compravendita; come anche una universalità di beni o

di diritti, quale può essere per intenderci la vendita di una eredità.

Per quanto riguarda la forma, essa è libera quando la vendita ha per

oggetto cose mobili; se, invece, ha per oggetto beni immobili, il contratto

deve essere fatto per iscritto, a pena di nullità, e deve pure essere reso

pubblico, per poter valere di fronte ai terzi, con la trascrizione nei registri

immobiliari (catasto e tavolare).

La compravendita è un contratto che trasferisce la proprietà da un

venditore ad un compratore (si dice anche tecnicamente che è un

contratto “traslativo di proprietà”) e quindi è molto importante capire

quale sia il momento esatto in

- 1-cui avviene tale passaggio di proprietà. In linea di massima possiamo

dire che la compravendita è un “contratto consensuale” e ciò significa che

la proprietà passa dal venditore al compratore nel momento in cui le parti

hanno raggiunto l’accordo, anche se la cosa non è stata ancora consegnata

ed il prezzo non ancora pagato.

Se mi è concesso fare un paragone, sia pur fuori luogo, ma tanto per fare

un esempio chiarificatore, con il matrimonio, quando si intendono

sposati i due fidanzati? nel momento stesso in cui si scambiano il

consenso, indipendentemente da quello che può succedere dopo......un

po’ come avviene appunto nel contratto di compravendita......ecco perché

si dice che la compravendita ha effetto“consensuale”.

Se la compravendita ha, invece, per oggetto cose determinate solo nel

genere (si dice meglio “cose fungibili”, come se vendessi una quantità

generica di vino, da individuare con precisione solo in un secondo

momento), la proprietà si trasferisce solo nel momento in cui le parti

hanno ben individuato le cose.

Nella compravendita di una cosa altrui (come, se ad esempio, un

commerciante mi vendesse una cosa che ancora egli stesso non ha

acquistato dalla fabbrica), infine, il compratore diventa proprietario nel

momento in cui il venditore acquista la proprietà dal titolare della

medesima.

L' ASSEGNO

L'assegno bancario (detto anche, alla francese, chèque) è uno strumento

di pagamento (da ricomprendersi fra i titoli di credito) che consente al

titolare di un conto corrente bancario il pagamento di una somma ad un

altro soggetto o a se stesso. Il primo assegno bancario fu emesso dalla

"Hoare's banck" di Londra nel 1763. In Italia diverse disposizioni di

legge trattano dell'assegno bancario, la norma organica in materia è il

Regio Decreto 21 dicembre 1933 n° 1736.

i sono due condizioni affinché un assegno bancario sia valido:

• Il rapporto di provvista ovvero la presenza della somma di denaro

all'interno del conto (altrimenti l'assegno viene considerato

scoperto)

• La concessione da parte della banca di emettere assegni

(convenzione assegno)

Fisicamente, gli assegni bancari sono moduli compilabili raccolti in

libretti distribuiti dagli stessi enti bancari in cui deve essere indicata la

denominazione ed indirizzo della banca trattaria. Compete al soggetto che

emette l'assegno l'indicazione di:

• Data e luogo riguarda i giorni di valuta. La data che si scrive

sull'assegno indica l'ultimo giorno in cui la banca paghera al

correntista gli interessi per quella cifra

• Importo da pagare deve essere indicato in cifre e in lettere. In

entrambi i casi la cifra deve terminare con l'indicazione dei

centesimi

• Nome del soggetto a cui è destinata la somma

• Firma di colui che l'ha emesso

La banca può rifiutare di pagare un assegno se esso non è stato compilato

secondo precisi criteri (rifiuto di traenza). L'importo in numeri deve

essere indicato con virgola seguita da due decimali (00 se è una cifra

tonda). Prima del numero e dopo l'ultima cifra decimale è consigliabile

apporre una barra del tipo "#" ("sharp" o segno di "cancelletto") per

impedire a terzi la modifica dell'importo. Analoga è la modalità di

compilazione dell'importo in lettere: in particolare, in lettere deve essere

indicato la parte intera della somma seguita dal segno "/" e dalla parte

decimale in cifre (anche se è inserita nel campo dedicato alla scrittura

letterale).

In caso di diversa indicazione dell'importo, legislativamente prevale la

parte letterale ma è ormai consuetudine rifiutare l'assegno e farlo

rinegoziare dal beneficiario dopo le opportune modifiche da parte del

traente (colui che emette l'assegno).

Gli utenti che firmano assegni scoperti e che non provvedono a coprirli

entro i termini di legge vengono protestati qualora il titolo sia stato

presentato per tempo all'incasso. I nominativi sono iscritti nella Centrale

d'allarme Interbancario (CAI) se entro sessanta giorni non provvedono a

pagare l'assegno comprensivo della penale (10% dell'importo facciale) +

interessi oneri e accessori. L'iscrizione alla CAI comporta l'interdizione

ad emettere assegni per un periodo di 6 mesi. In passato la firma di

assegni scoperti era un reato, attualmente ha natura di illecito

amministrativo.

LO STATO PATRIMONIALE

Lo Stato Patrimoniale è il documento che definisce la situazione

patrimoniale di una società in un determinato momento.

Lo Stato patrimoniale è a sezioni contrapposte, a sinistra vi è l'attivo e a

destra il passivo.

Nell'attivo vengono inserite le attività o investimenti, nel passivo le fonti

di finanziamento, ossia le passività e il capitale netto.

Attività o Investimenti:

• Liquidità immediate

• Liquidità differite

• Rimanenze (che possono essere riassunte con la voce Attività

correnti o attivo circolante)

• Immobilizzazioni tecniche (materiali e immateriali)

• Immobilizzazioni finanziarie, che possono essere riassunte nella

voce Attività fisse (o attivo immobilizzato)

Fonti di finanziamento:

• Passività a breve scadenza

• Passività a media e lunga scadenza (che rappresentano le fonti

esterne)

• Capitale sociale

• Riserve di utili, che rappresentano le fonti interne

Il Conto Economico

Il Conto Economico è il documento del bilancio che contiene i costi e i

ricavi di competenza dell'esercizio preso in considerazione dal bilancio.

La differenza tra costi e ricavi illustra il risultato economico conseguito

dalla società: se positivo è detto utile e va ad incrementare il capitale

netto, se negativo è detto perdita e va a decrementare il capitale netto.

In particolare, il Conto Economico:

1. individua tutti i fattori che hanno partecipato al ciclo gestionale e

costituisce una verifica di come hanno contribuito al risultato

d'esercizio le voci dello Stato patrimoniale;

2. permette d'individuare i risultati parziali di tutte le fasi gestionali in

cui può essere scomposta l'attività dell'impresa;

3. permette di individuare, in via di prima approssimazione, le

responsabilità di ciascun dirigente (responsabili di funzione).

Nota Integrativa

Documento che illustra le decisioni prese dagli amministratori

dell’impresa nel redigere il bilancio, in modo da favorirne l’intelligibilità,

spiegando dettagliatamente le voci inserite nello SP (Stato Patrimoniale)

e nel CE (Conto Economico).

La Nota integrativa svolge quindi: a) Una funzione descrittiva di voci

iscritte nei documenti contabili del bilancio b) Una funzione esplicativa

delle decisioni assunte in sede di valutazioni c) Una funzione informativa

e integrativa per quei dati che per la loro natura qualitativa o

extracontabile non fanno parte dello stato patrimoniale e del Conto

economico.

Le società che redigono il bilancio in forma abbreviata secondo l’art.

2435-bis, possono omettere alcune voci come indicato nell’ art. 2435-bis

comma 3. Abbiamo una suddivisione tra Contenuto Obbligatorio e

contenuto Omettibile

Principi italiani e internazionali

La forma del bilancio suindicata è quella richiesta dai principi nazionali

contenuti nel Codice Civile Italiano e utilizzata dalla grande maggioranza

delle società italiane.

L'Unione Europea, con il regolamento n. 1606 del 2002, ha tuttavia

introdotto l'obbligo di utilizzare i principi contabili internazionali, noti

come IFRS (International Financial Reporting Standards), evoluzione

degli standard IAS (International Accounting Standards), con i quali

tuttora coesistono, tanto che gli standard effettivamente in uso sono

denominati IAS/IFRS.

Tale obbligo è entrato in vigore con i bilanci chiusi o in corso al 31

dicembre 2005 per i bilanci delle banche, delle società di assicurazione,

delle società finanziarie e per i bilanci consolidati di tutte le società per

azioni quotate in Borsa. L'obbligo si è esteso anche ai bilanci d'esercizio

delle società quotate con i bilanci chiusi o in corso al 31 dicembre 2006.

L'intento dell'introduzione di questo obbligo è quello di rendere più

facilmente confrontabili i bilanci delle società quotate dello stesso settore

di diversi paesi ed anche con le società americane.