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PPRROOGGEETTTTOO CCOOMMUUNNIISSTTAAPeriodico delPartito di Alternativa Comunista sezione dellaLega Internazionale dei Lavoratori (Quarta Internazionale)ALTERNATIVACOMUNISTA.org EEssttaattee 220011 33 99 NN°°4411 99 22€€ 99 AAnnnnoo VVII II 99 NNuuoovvaa sseerriiee

Il patto della vergogna: respingiamolo con la lotta!LL''aaccccoorrddoo ssuullllaa rraapppprreesseennttaannzzaa ssiinnddaaccaalleeCorrispondenza dai compagni di Red Movement (Lit­ci)MMoobbiilliittaazziioonnii rriivvoolluuzziioonnaarriiee iinn TTuurrcchhiiaa

412

Quattro pagine a cura dei giovani del PdacSSuupppplleemmeennttoo aall CCoorrrreeoo IInntteerrnnaacciioonnaall14­15 Con un testo inedito di Lev TrotskyAApppprrooffoonnddiimmeennttoo:: cchhee ccooss''èè iill cceennttrriissmmoo??10­11 ll''iinnsseerrttoo ddeeiiGGIIOOVVAANNII ddii AALLTTEERRNNAATTIIVVAA CCOOMMUUNNIISSTTAAnellepagineinterne

SPED.A

BB.POST.A

RT.1COMMA2D.L.353/03DEL24/12/2003(CONV.INL.46/04DEL27/02/2004)DCBBARI

La rivoluzione in Siria

Fabiana Stefanoni

Dopo un travagliatoparto postelettorale, ènato un governo­foto­copia del precedente

governo Monti. Il governo Letta –sostenuto da Pd (di cui Letta èuno dei dirigenti), Pdl, Scelta ci­vica (Monti) e Unione di centro –rappresenta interessi sociali benprecisi: quelli della grandeborghesia italiana (industriale efinanziaria), che si unisce a difesadei propri interessi di fronte al ri­schio di un'esplosione sociale.

La borghesia nel pantanoIn Italia la crisi economica si fasentire con sempre maggiore vi­rulenza: la disoccupazione –stando ai dati ufficiali, che nontengono conto delle centinaia dimigliaia di persone che hanno ri­nunciato a cercare un lavoro enon sono quindi registrati negli

uffici di collocamento – è pari al10%. La disoccupazione giovani­le è stimata al 30%: ma i dati realisono molto più drammatici. Aquesti, vanno aggiunti milioni dilavoratori che non figurano uffi­cialmente come disoccupati malo sono di fatto: esodati, cassinte­grati, lavoratori precari concontratti in scadenza.Significativamente, il presidentedei giovani industriali recente­mente, aprendo un convegno daltitolo beffardo (“Scateniamoci.Liberiamo l'Italia da vincoli ecatene”) ha dovuto ammettereche “senza prospettive per il futu­ro, l'unica prospettiva diventa larivolta”. E ha continuato: “Le isti­tuzioni democratiche vengonocontestate e possono arrivare alladissoluzione quando non riesco­no a dare risposte concrete a bi­sogni economici e sociali”. Unadichiarazione che ha messo inimbarazzo i rappresentanti del

nuovo governo, in particolare ilneo­ministro dell'economia, cheha cercato di correggere il tiro conun commento che è apparso ri­dicolo: “è una crisi che non vuoleandare via, ma passerà”.Vale la pena di soffermarsi sulleparole del giovane padroneperché ci indicano chiaramentequali sono le preoccupazionidella grande borghesia (e dei suoirappresentanti al governo): vi è laconsapevolezza che la crisi delcapitalismo non ha vie d'uscitanel breve periodo. Fino a qualchetempo fa i ministri azzardavanoprevisioni relativamente ottimi­stiche – “ancora un paio d'anni epoi la crisi finirà” – che sono statesistematicamente smentite daifatti. Oggi quelle previsionihanno lasciato il posto a unosconsolato “passerà”...La verità è che i padroni non

IlgovernoLettaincontinuitàcolgovernoMontiLanecessitàdiunarispostaunitariaediclasse

Ultim'oraBBrraassiillee:: ssii eesstteennddee llaa pprrootteessttaa ddii mmaassssaa 14Il Pstu (Lit) in prima fila nella lotta

SSVVIILLUUPPPPAARREE EE CCOOOORRDDIINNAARREE LLEE LLOOTTTTEECCOONNTTRROO IILL GGOOVVEERRNNOO DDEEII PPAADDRROONNII!!

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2 Estate 2013 PROGETTO COMUNISTAPOLITICA

hanno più briciole da distribuirealle masse popolari ed è prevedi­bile – come è costretto adammettere anche il presidentedei giovani industriali – che siaprirà una stagione di conflittosociale di massa (come già in altriPaesi europei). In questo conte­sto, il governo Letta svolge il ruolodel dottore che dà un po' di se­dativo al paziente gravementemalato, ma che nessuno sperapiù di far guarire. Letta, dopo averannunciato, nel discorso d'inse­diamento, lo stop all'aumentodell'Imu e l'intenzione di ri­nunciare all'aumento dell'Iva, adistanza di due mesi fa una bru­sca retromarcia. Mentre scrivia­mo, il ministro del TesoroSaccomanni annuncia che non cisaranno sconti su Iva e Imu:“servirebbero 8 miliardi e non cisono, servono tagli severi”.

Un governo di ripiego?Il governo Letta non è proba­bilmente il governo migliore chela grande borghesia nostrana e laTroika auspicavano. È un go­verno che appare instabile, per leforti tensioni esistenti tra i dueprincipali partiti che lo sostengo­no (Pd e Pdl). Il Pdl, in cambio delsostegno al governo Letta, alza laposta e chiede garanzie perl'immunità di Berlusconi,spingendosi fino alla richiesta –accolta da Napolitano e dallostesso Letta – di modificare la Co­stituzione nel senso del presi­denzialismo (per assecondare leambizioni di Berlusconi di di­ventare presidente della Re­pubblica). Tuttavia, è un governonecessario per la tenuta della

stessa Unione europea.Per alcuni giorni l'Italia si è tro­vata in una situazione di“vuoto dipotere”: senza un governo, senzaun presidente della Repubblica,senza – in questo caso per ironiadella sorte – il capo della polizia.Si è trattata di una paralisi, dettataanche dal risultato elettorale (invirtù dell'exploit elettorale diGrillo), che dimostra la difficoltàin cui si trova la borghesia persinonella gestione delle proprie isti­tuzioni, cioè le istituzioni demo­cratico borghesi: a moltirappresentanti del padronato èprobabilmente apparso chiaroche una situazione del genere, inun contesto sociale diverso, po­trebbe diventare molto rischiosaper la conservazione del poterecapitalistico.Ecco perché i timori del presi­dente dei giovani industriali sonorivolti non solo verso possibiliascese delle lotte operaie e giova­nili nel nostro Paese, così comegià avviene in altre piazze d'Euro­pa; i padroni riflettono anchesulla capacità del loro Stato, delleloro istituzioni, di conservare eamministrare il potere di fronte auna esplosione di rabbia e di lottacome quella che stainfiammando in queste ore lepiazze della Turchia, dove unanuova rivoluzione (l'ennesima diquesti mesi) sta muovendo i pri­mi passi.È presto per dire se i padroniopteranno in un prossimo futuroper una svolta in senso autorita­rio e bonapartista, ma senzadubbio non è un'ipotesi da esclu­dere. Per ora la grande borghesiabrinda al primo importante ri­sultato ottenuto all'ombra delgoverno Letta: l'ignobile accordo

concertativo sulla rappre­sentanza, siglato da Cgil, Cisl e Uilcon Confindustria, e sostenutodalla Fiom di Landini (si vedal'articolo nelle pagine interne). Èun accordo che ha lo scopo, nelleintenzioni dei firmatari, dismorzare ogni possibile conflittonelle fabbriche. Ma, come la sto­ria insegna, gli accordi truffaldinitra le burocrazie diventano cartastraccia quando le masse prole­tarie scendono in campo.

Socialdemocraziae grillismo

Le ultime elezioni politiche, conil risultato disastroso della listaRivoluzione civile di Ingroia,hanno accelerato la crisi della so­cialdemocrazia. Rifondazionecomunista è in via di scomposi­zione e i suoi dirigenti stanno va­lutando il da farsi, senzaescludere la possibilità di decre­tarne lo scioglimento: una partedel gruppo dirigente proba­bilmente andrà con Vendola,un'altra parte guarda con inte­resse il progetto politico di Cre­maschi (Ross@). Sel di Vendola,in virtù dell'alleanza col Pd, no­nostante lo scarso risultatoelettorale è riuscita ad entrare inparlamento: attorno a Sel po­trebbe nascere un nuovosoggetto socialdemocratico, maad oggi il progetto di Vendola –quello di creare una sorta dipartito del lavoro con settori delPd e la Fiom di Landini – apparearenato. Nel frattempo Vendolaalza un po' la voce contro il go­verno ma si guarda benedall'ostacolarlo realmente, tantonelle piazze come in parlamento.Per quanto riguarda il grillismo, è

un fenomeno che si spiega soloalla luce del contesto sociale ita­liano: massacro sociale, crisi eco­nomica devastante, assenzatuttavia di un'ascesa di massadelle lotte (in particolare a causadel freno imposto dagli apparatisindacali concertativi di Cgil, Cisle Uil). In questo quadro, il disagiosociale, in particolare dei settoripiccolo­borghesi, si è tradotto inun'ondata di indignazione neiconfronti della corruzione del si­stema politico italiano. Èun'indignazione che ha raccoltoBeppe Grillo col suo partito(perché di partito si tratta, perquanto a conduzione individua­le, da parte del comico miliona­rio), traducendola in unlinguaggio interclassista e qua­lunquista “contro i partiti” in ge­nerale: nella retorica grillina “ipartiti” – indifferentemente dallaloro base sociale, borghese o ope­raia – vengono indicati come i re­sponsabili del disastroeconomico e sociale. È una reto­rica a cui, inizialmente, hannostrizzato l'occhio anche settoridell'alta borghesia, con la conse­guente benevola accondi­scendenza da parte della stampaborghese e di numerose trasmis­sioni televisive. Del resto, indica­re come unico colpevole ilsistema dei partiti significava (eancora significa) nasconderenell'armadio i veri colpevoli, cioèil capitalismo e i padroni.Il risultato elettorale di Grillo (di­ventato da un momento all'altroil secondo partito in termini diconsenso elettorale) ha fattocambiare atteggiamento a questisettori, tanto che oggi le princi­pali testate giornalistiche lo addi­tano come un nemico. La grande

borghesia comprende che nonpuò permettersi di giocare conGrillo in un momento così deli­cato per i propri equilibri di pote­re: per questo oggi ha dichiaratoguerra al comico, contribuendo adeterminarne il calo elettorale inoccasione delle ultime ammini­strative.Il M5s è riuscito a guadagnare fa­vori pure in ampi settori dellaclasse operaia, anche per l'as­senza di partiti operai in gradooggi di rappresentare un riferi­mento credibile agli occhi dellaclasse lavoratrice. Nell'ultimoperiodo si è andato tuttaviaaccentuando l'aspetto concretodel grillismo: quello di essere unmovimento a forte caratterizza­zione piccolo­borghese. Grillo,guru indiscusso e indiscutibile diun partito­movimento privo distrutture e di democrazia interna,rincorre gli umori della sua basesociale piccolo­borghese: perquesto associa vaghe (e spessoambigue) rivendicazioni pro­gressiste (“reddito sociale”) a ri­vendicazioni reazionarie epersino esplicitamente razziste(basta pensare alla sua ferma egridata opposizione alla cittadi­nanza per i figli degli immigrati).Non è possibile prevedere oggi glisviluppi di questo fenomeno me­diatico­elettorale: può scompa­rire in breve tempo o, invece,tramutarsi in un soggetto politicostrutturato, cementando unapropria base sociale stabile tra lapiccola borghesia. Ciò che è certoè che finché saranno le paroled'ordine della piccola borghesiaimpoverita dalla crisi a fare datraino alla classe operaia nulla dibuono potrà nascere per i lavo­ratori.

Per una prospettivadi classe

Ciò che è realmente è necessarioper le classi sfruttate è che la clas­se operaia si ponga alla guida diuna crescita delle lotte nei luoghidi lavoro e nelle piazze e sia ingrado di egemonizzare per que­sta via anche settori della piccolaborghesia in cerca di una solu­zione radicale alla crisi. Perchéquesto accada, occorre anzituttorafforzare le lotte, coordinarle suscala nazionale e internazionale,al fine di contrastare laframmentazione in cui oggi sitrovano per volontà congiuntadel padronato e delle burocraziesindacali (ma una parte di re­sponsabilità ricade anche suigruppi dirigenti del sindacalismonon concertativo, chiuso in ge­nere nel suo ristretto orizzonte,nella sua autoreferenzialità).Occorre rafforzare gli organismidi coordinamento delle lotte (co­me il Coordinamento No Auste­rity). Ma non basta. Bisognacostruire un partito rivoluziona­rio, che mostri ai milioni di lavo­ratori e di giovani che subisconola crisi del sistema che l'unica viad'uscita è quella del rovescia­mento del sistema capitalistico edella costruzione di una societàsocialista basata sulla proprietàcollettiva dei mezzi di produzio­ne. Al rafforzamento e all'unifi­cazione delle lotte, ma anche allacostruzione in Italia e su scalainternazionale di quel partito(che ancora manca), il Pdac de­dica le proprie energie militanti.(14/6/2013)

segue dalla prima

PROGETTO COMUNISTAPeriodico del PARTITO DI ALTERNATIVACOMUNISTAsezione della Lega Internazionale dei Lavoratori 9 Quarta Internazionale

Estate 2013 – n.41 – Anno VII – Nuova serieTestata: Progetto Comunista – Rifondare l'Opposizione dei Lavoratori.Registrazione:n. 10 del 23/3/2006 presso ilTribunale di Salerno.Direttore Responsabile:Riccardo Bocchese.Direttore Politico:Fabiana Stefanoni.

Redazione e Comitato Editoriale:Giovanni“Ivan” Alberotanza, Mauro Buccheri, Patrizia Cammarata,Nicola De Prisco, Adriano Lotito, Claudio Mastrogiulio,Fabiana Stefanoni,ValerioTorre.

Grafica e Impaginazione: Giovanni“Ivan” Alberotanza[Scribus+LibreOffice su Debian GNU/Linux]

Stampa:Litografica '92 – San Ferdinando di PugliaEditore:ValerioTorre, C.soV.Emanuele, 14 – 84123 Salerno.

Per scrivere alla redazione mandare una e–mail a:[email protected]

Recapito telefonico:328 17 87 809

LafintaopposizionealgovernodiSeleM5s

Claudio Mastrogiulio

La formazione del go­verno Letta, nato sottole insegne delle largheintese tra Pd e Pdl, ha se­

gnato un elemento di continui­tà con quello che harappresentato il governo Monti.La sola differenza esistente tra ledue compagini governative ri­guarda il criterio delle scelte mi­nisteriali: appannaggio totaledei tecnici per il governo Monti;un miscuglio di rappresentantidell'alta burocrazia con espo­nenti di Pd e Pdl il governo Letta.

Le opposizioniparlamentari

La grande coalizione tra i duepartiti dominanti della borghe­sia italiana ha di fatto tagliatofuori, costringendole ad unapresunta opposizione, le dueorganizzazioni che, nel corsodel periodo di stallo istituziona­le, erano state in procinto diformare un governo di coalizio­ne con il Pd.Stiamo parlando del M5s e diSel. Si tratta di due organizza­zioni che, in occasione delleultime elezioni amministrative,hanno subito un arretramentosostanziale sul piano elettorale.L'opposizione parlamentare diqueste organizzazioni, e ciò èevidente a chi osservi le loro ma­novre tattiche e strategiche, nonha nulla di effettivamentealternativo rispetto alle dinami­che sociali e politiche domi­nanti.

Sel: le parole e i fattiIl partito di Vendola, alleandosiorganicamente col Pd in occa­sione delle ultime elezioni poli­tiche ed amministrative, haavallato tutte le sue scelte antio­peraie ed antipopolari, dall'Imu

alla controriforma delle pensio­ni elaborata dalla ministraFornero, passando per i rifi­nanziamenti continui alle mis­sioni imperialistiche italiane.Appare lampante, dunque, co­me un partito che abbial'obiettivo strategico di go­vernare con il maggior rappre­sentante della borghesiaitaliana, non possa offrire nulladi nuovo e radicalmentealternativo ai lavoratori,pensionati e giovani che quoti­dianamente subiscono un arre­tramento delle propriecondizioni di vita e, quando c'è,di lavoro.Dopo la formazione del governoLetta, Vendola, da buon parola­io opportunista quale è, ha ri­vendicato la propriaopposizione alla formazione diun esecutivo con Berlusconi.Ciò è stato fatto con il soloobiettivo di ricostruire unaverginità politica al comitatoelettorale vendoliano che,seppur già in crisi elettorale ne­gli ultimi tempi, senza questascelta avrebbe addirittura finitoper scomparire. Il rischio diun'implosione della propria ba­se militante ha fatto sì cheVendola chiamasse per l'11maggio a raccolta vari espo­nenti della sinistra riformista(tra cui settori della Fiom) e libe­rale per imbastire una piatta­forma politica che portasse adun polo a sinistra del Pd. Un polodi sinistra, però, che nonavrebbe certamente messo indiscussione l'alleanza strategi­ca col partito di Epifani, unavolta terminata l'esperienza delgoverno Letta. Ecco, dunque, ilvero motivo dell'opposizione diSel al governo; un'opposizionenon solo fasulla perché nonoffre alcunché di alternativo,ma addirittura autoreferenzialee opportunista.

L'opposizione del M5s

Il Movimento 5 Stelle, natosull'onda dell'indignazione neiconfronti degli sprechi e dei pri­vilegi della politica dominante,dopo aver ottenuto un risultatoclamoroso alle scorse elezionidi febbraio, ha intrapresoun'attività parlamentare indi­rizzata ad un'opposizione soloapparentemente dura. In realtà,l'opposizione che connotal'operato del M5s ha i caratteritipici delle organizzazionipiccolo­borghesi, conciliandoal tempo stesso un'apparenterottura con l'esistente e unatendenza a deviazioni reazio­narie. Il primo punto, quelloinerente ad una presunta radi­calità del M5s è il discrimine trachi ha una visione autentica­mente di classe della realtà so­ciale e chi no. L'organizzazionedi Grillo e Casaleggio, infatti,nelle sue tirate “radicali”, arrivatutt'al più a criticare i finanzia­menti pubblici ai partiti, glisprechi e le ruberie che dissemi­nano la cronaca politica italia­na. Ma l'analisi dei grillini, nonpartendo da presupposti diclasse, non coglie lo stretto lega­me che esiste tra l'esta­blishment dell'economiaitaliana ed i servi sciocchi dellapolitica dominante. Gli espo­nenti dei partiti politici che daanni gestiscono l'amministra­zione dello Stato possonopermettersi di perpetrareimpunemente questo scempiosemplicemente perché sonoconnessi a doppio filo con i po­tentati economici nazionali edinternazionali di cui pervicace­mente fanno gli interessi. Noncomprendere questa connes­sione e farneticare a propositodi una “politica trasparente”, “aservizio del cittadino”, “della co­sa pubblica”, significa discuteredi aria fritta. Perché, ed è la sto­

ria ad insegnarcelo, gli apparatistatali non rappresentanoun'entità astratta, posta al di là eal di sopra delle classi, mascendono essi stessi nell'arenadella lotta e dei contrasti di clas­se, prendendovi attivamenteparte con l'obiettivo di tutelaregli interessi dei loro mandanti.Spunti reazionari, come in tutti imovimenti piccolo­borghesi, siravvisano nel momento in cuialcune delle rivendicazioni solomillantate dai grillini debbanotradursi in realtà. Ad esempio, sipuò parlare di eguaglianza, di­ritti, giustizia finché si vuole, mase si sposano tesi anacronisti­che come quella per cui il dirittodi cittadinanza spetti solo a chi ènato in Italia e non anche a chi inItalia lavora da anni, strizzandocosì l'occhio alle più becerepulsioni razziste, non si

inganna nessuno.Un atteggiamento del genere hail solo obiettivo di continuare amantenere ad un livello inde­cente le condizioni di vita e di la­voro degli immigrati, creandoquella spirale di “guerra tra po­veri” tra lavoratori nativi e mi­granti che fa comodo ai padroni.

ConclusioniIn conclusione, dunque, ciò cheappare chiaro è la considerazio­ne per cui se non si mettono indiscussione gli assi fonda­mentali del sistema economicodominante, vale a dire la pro­prietà privata dei mezzi di pro­duzione e lo sfruttamento di unmanipolo di avvoltoi sulla stra­grande maggioranza della po­polazione produttiva diricchezza, non ci sarà alcunapossibilità di ingannare le mas­

se. Potranno esservi amori fu­gaci, attrazioni temporanee,com'è accaduto qualche annofa con Sel e come sta avvenendocon il M5s in questi mesi, ma allaprova dei fatti, quando i lavo­ratori, i pensionati ed i precariosserveranno il venir meno delvelo mistificatorio di cui siammantano queste organizza­zioni, allora i rivoluzionari po­tranno raccogliere i frutti di ciòche ora stanno seminando.Perché è soltanto in una pro­spettiva genuinamentealternativa e internazionalistache si potranno guadagnareanche quelle fette di sfruttatiche, per mancanza di alternati­ve, si sono fatte abbindolare daquesti pericolosissimi e subdoliservi del sistema capitalistico.(13/6/2013)

In Parlamento nessuna voce a difesa dei lavoratori

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PROGETTO COMUNISTA Estate 2013 3POLITICA

Valerio Torre

La crisi economica colpiscein particolare alcuni setto­ri e l'edilizia è uno di que­sti: di cantieri in giro

nemmeno a parlarne. La crisi delriformismo e della socialdemocra­zia, invece, produce un proliferaredi “cantieri” che nascono dal pro­cesso di scomposizione a sinistra.Dopo la rapida parabola di Rivolu­zione civile di Ingroia, l'ulterioreconferma del disfacimento di Ri­fondazione comunista ha fatto ri­prendere fiato a un soggetto – ilComitato No debito di GiorgioCremaschi – che era rimasto oscu­rato dal progetto del magistratopalermitano.Abbiamo a più riprese sostenutoche questo pateracchio riformistacomposto dagli stalinisti Carc e Re­te dei comunisti, dal Prc e da Usb,da Sinistra critica e dal Pcl, erafunzionale alle pretese elettoralidel suo portavoce Cremaschi, chea lungo ha accarezzato l'idea, unavolta che la Fiom l'aveva pensio­nato, di buttarsi in politica occu­pando lo spazio lasciato libero da

Ferrero e Diliberto. Tutto ilpercorso della “creatura” dell'exsindacalista puntava esattamentein questa direzione. Figurarsiperciò la sua delusione quandoIngroia lo ha bruciato sul tempo fa­cendo sfumare il suo progetto. Èquesto che spiega la piccata di­chiarazione con cui non gli è re­stato che esprimere “la rabbia dichi insieme a tanti altri ha provatoper un anno a costruire sul campouna forza ed una rispostaalternativa. E che ha visto il 31marzo a Milano e soprattutto il 27ottobre a Roma delinearsi una pos­sibilità reale di successo. Ma non èandata così”(1).

Dal Comitato No debitoa Ross@

Ma il pessimo risultato elettorale diRivoluzione civile ha riacceso lesperanze di Cremaschi, chedunque ha subito inaugurato unaltro di quei “cantieri” da cui,impastando sempre la stessamalta, spera di tirar su un “nuovo”manufatto. E così, l'11 maggioscorso, è nata a Bologna, a partire

dall'appello “Per un movimentopolitico anticapitalista e liberta­rio”, Ross@, acronimo di Resi­stenza, Organizzazione,Solidarietà, Socialismo, A comeanticapitalismo, antipatriarcato,antirazzismo, antifascismo,ambientalismo (e chi più ne ha,più ne metta).Si tratta, a ben vedere, del tentativoartificiale, sulla base di presuntecomuni “radici comuniste e li­bertarie”, di mettere insieme espe­rienze politiche tra loro moltodiverse. Tra i firmatari ci sono di­chiarati difensori dello stalinismo(come i rappresentanti della Retedei comunisti) e attivisti che si pro­clamano antistalinisti (come lametà turigliattiana di Sinistra Cri­tica che è confluita in questo pro­getto). Per questo, nel testo noncompare alcuna chiara e nettacondanna dello stalinismo per lasconfitta che ha inferto alla classeoperaia nel secolo scorso; mentre,parallelamente, si strizza l'occhioalle deviazioni opportuniste delcastrochavismo (significativol'elogio del presunto “socialismodel XXI secolo”).Di più: nel programma propostonon si mette in discussione il capi­talismo in quanto tale. Comeemerge dalla piattaforma rivendi­cativa, si attacca solo “questo capi­talismo”, neoliberista e finanziario,come se esistessero modelli capi­talistici più “umani”. E non è finita,perché il documento finale appro­vato dall'assemblea annovera fragli “avversari il governo Napolita­no Letta Berlusconi, il suo pro­gramma e chi lo sostiene”, nonché“la politica di austerità della Troikaeuropea e la sua traduzione nellerelazioni sindacali con il pattocorporativo tra Cgil Cisl Uil(2) eConfindustria”, mentre invece,con una bella strizzatina d'occhio,il centrosinistra viene blandito conun ben più indulgente “altro danoi”.

Un progetto che nondecolla

Mentre scriviamo, è passato unmese da quell'assemblea(3). La li­sta delle adesioni sul sito web delnuovo soggetto – rigorosamenteindividuali(4) – elenca malinco­nicamente poco più di trecentonomi. Le assemblee territoriali(secondo lo schema già praticatoda Rivoluzione civile), che do­vrebbero preparare un altroincontro nazionale a settembre epoi una manifestazione nazio­nale in ottobre, stentano a de­collare e si respira molto pocoentusiasmo negli ambienti diquella sinistra che dovrebbe darelinfa e gambe a questo progetto.Cremaschi stesso si è perciò vistoobbligato a scrivere una lettera achi ha aderito al documento persollecitare un maggiore impegnonella costruzione territoriale chead oggi latita.Abbiamo dichiarato che un pro­getto così raccogliticcio, confu­so, posticcio e ambiguo non ciinteressa. Nondimeno, lungi dalguardare con sufficienza al suopercorso, torneremo ad ana­lizzarne gli sviluppi. Certamente,però, ad oggi non può nontornarci in mente la scaramanti­ca osservazione che lo stesso

Cremaschi ha fatto nella relazio­ne introduttiva dell'assembleadell'11 maggio, notando che, infondo, non è stato esattamentebeneaugurante organizzare unatto di nascita proprio nel luogoche celebrò una ben più famosasepoltura. Quella del più grandepartito comunista occidentale:la Bolognina!

Note

(1) Http://blog­micromega.blo­gautore.espresso.repubbli­ca.it/2012/12/18/giorgio­cremaschi­io­ci­sto­ma­per­fare­che/.(2) Non sono dunque le burocra­

zie sindacali in sé ad essereconsiderate “avversarie” di unsimile progetto!(3) Sì e no un centinaio di pre­senti – e non già i 300strombazzati dagli organizzatori– di età media parecchio alta,molti burocrati sindacali o dipartito, una serie di piagnucolosiinterventi e dolenti recrimina­zioni sugli errori commessi:insomma, non proprio unbell'inizio!(4) Ma si riconoscono, benchétravestiti da militanti qualunque,i “colonnelli” ferreriani, piazzatilì dentro per occupare per tempoi primi posti.

UnaBologninaperRoss@?Il “cantiere”di Cremaschi arranca

FFrroossiinnoonneeProsegue la vertenza dei 270lavoratori della ex Multiservizi dicui era maggiore azionista laRegione fino al 2006 (con il 49%delle azioni) che svolgevanoattività presso tre enti pubblici –Provincia di Frosinone, Comune diAlatri e Comune di Frosinone – eche adesso sono aggrappati allacassa integrazione che termina il30 giugno, con scarse possibilità direimpiego. Questi lavoratori, exlavoratori socialmente utili, sonostati retribuiti per dieci anni dallaRegione, anche se erano alservizio degli altri enti citati, per poipassare alla “Frosinonemultiservizi” che, grazie alle lottedei lavoratori negli anni, ha dovutofare altre assunzioni.Successivamente, per unagestione scriteriata la societàmultiservizi è stata posta inliquidazione e sono stati tagliatisalari e posti di lavoro. Dopo variping pong di responsabilità tra glienti suddetti, non si è approdati auna soluzione che permettesse ai270 lavoratori di mantenere ilposto di lavoro. Nonostante la

situazione drammatica dal puntodi vista occupazionale, la vertenzacontinua nelle lotte quotidiane.GGrroosssseettooLe ex lavoratrici della Mabro hannocontestato a muso duro ilpresidente della Regione ToscanaEnrico Rossi e l'assessoreGianfranco Simoncini nell'ultimoincontro avuto con negli scorsigiorni sul loro futurooccupazionale. Dopo la chiusuradell'azienda, le lavoratrici sono sullastrico, aggrappate soloall'elemosina sociale della cassaintegrazione, mentre le istituzioniborghesi e i loro rappresentantipolitici sono impegnati nelprendere tempo attraverso tavoliistituzionali per cercare nuovipadroni che sostituiscano l'altro. Inquesta situazione d'impasse, lelavoratrici continuano, per quantopossibile, a tenere in piedi uncomitato di lotta.BBeerrttiinnoorroo ((FFCC))Prosegue la lunga vertenza deilavoratori della Cte, fabbrica diBertinoro, paese della Provincia diForlì­Cesena, in lotta contro il

licenziamento. Gli operai avevanoanche occupato la fabbrica dopouna lunga mobilitazione che vaavanti dalla fine dello scorso anno.GGuurrggaaoonn ((IInnddiiaa))È partito un appello internazionalein appoggio ai lavoratori dellaMaruti Suzuki, incarcerati perinsubordinazione in seguito a unavera e propria cospirazioneantioperaia. Infatti, dopol'annuncio di 2500 licenziamenti ela conseguente mobilitazione, 147lavoratori tra essi sono statiarrestati e sono incarcerati dalluglio dello scorso anno perché sisono ribellati all'espulsione dallafabbrica. Un'azienda dove èproibito rivolgersi all'infermeria seun lavoratore sta male durante iturni di lavoro, o andare in bagnose non durante le due pauseprogrammate; se un lavoratore stain malattia per 3­4 giorni gli vienedecurtato la metà del salario; isuperiori possono schiaffeggiaree ridicolizzare gli operai sul postodi lavoro. In sostanza siamo inpresenza di un regime lavorativo disemischiavitù. La presa di

coscienza operaia ha portatoall'arresto di buona parte di loro.Per questo chiediamo l'immediatorilascio degli arrestati eesprimiamo la nostra solidarietàinternazionalista ai lavoratori inlotta della Maruti Suzuki WorkersUnion.LLaatteerrzzaaProsegue la mobilitazione deilavoratori della Natuzzi di Laterzache dopo lo sciopero di qualchesettimana fa continuano adopporsi all'intento della famigliaNatuzzi e del suo management diridurre la presenza in fabbrica deilavoratori al 50%. Queste misureantioperaie avvengonononostante Regione Puglia,Regione Basilicata e governonazionale abbiano regalato circa100 milioni di euro in tre anni perconvincere i padroni del salotto anon dare seguito ai paventatilicenziamenti annunciati circa unanno fa. La tattica è sempre quella.Minacciare licenziamenti perottenere tanti soldi pubblici difinanziamenti mentre si continua amaltrattare i lavoratori, tra cassa

integrazione e nuovi annunci diesuberi. Alternativa comunistaPuglia è stata l'unica forza politicache ha sempre ritenuto che laNatuzzi andasse espropriatasenza indennizzo e dovesseessere gestita direttamente da uncomitato di lavoratori elettodemocraticamente al propriointerno. La tattica padronale è

sempre la stessa. Alzare il tiro conminacce di licenziamenti,lavoratori in cassa integrazioneper poi chiedere (ed ottenere)cospicui soldi pubblici specie dalgovernatore Vendola, abituato adelargire ricche prebende a tutti ipadroni che fanno affari sulterritorio pugliese.

LLoottttee ee MMoobbiilliittaazziioonniiRubrica a cura di MMiicchheellee RRiizzzzii

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4 Estate 2013 PROGETTO COMUNISTALAVORO E SINDACATO

Cgil,Cisl e Uil (con l'avallo della Fiom)consegnano i lavoratori ai padroni

Ilpattoscelleratosullarappresentanza

Alberto Madoglio

Come abbiamo giàscritto in passato, la cri­si economica mondialenon si limita a falcidiare

il salario e il welfare pubblico deilavoratori, ma intacca in pro­fondità anche diritti “democrati­ci” che sembravano acquisitiuna volta per sempre.Dopo l'accordo del 28 giugno2011, attraverso il quale si èschiusa la possibilità che ilcontratto nazionale di lavoropossa essere derogato in peggioa livello locale e aziendale, alla fi­ne di maggio è stato siglato daConfindustria, Cgil, Cisl e Uil,l'accordo sulla rappresentanzanelle imprese, che infligge unaltro durissimo colpo ai dirittidei lavoratori.Con la sigla di questo patto sicerca, non di normalizzare, madi espellere il conflitto di classedalle fabbriche e dagli uffici,concedendo nei fatti ai padronila possibilità di agire indi­sturbati, senza che i sindacatipossano in qualche modoopporsi.Imprenditori, burocrati sinda­cali e la totalità dei mezzi diinformazione borghesi, parlanodi accordo storico che consenti­rà a tutti, padroni e operai, dioperare in un clima di maggiorecollaborazione per il bene ditutti.

Cosa prevede l'accordoNon ci sono assolutamentedubbi che si tratti di un avveni­mento di importanza storica, mache questo possa in qualche mo­do favorire anche la classe lavo­

ratrice è assolutamente falso.Dicevamo che l'accordo del 28giugno aveva nei fatti cancellato,con la possibilità di deroghepeggiorative, l'importanza delcontratto nazionale di lavoro. Leclassi dominanti italiane non ri­tenevano però sufficiente questapur rilevante vittoria. Bisognavacompletare l'opera, rendendoimpossibile ogni opposizioneorganizzata da parte dei lavo­ratori ai diktat padronali. E quiinterviene l'accordo sullarappresentatività sindacale chetentiamo di analizzare.Si stabilisce che possano parte­cipare alle contrattazioni nazio­nali solo i sindacati che, in base auna media tra iscritti certificati,cioè noti ai padroni, e voti nelleelezioni in azienda, rappresenti­no almeno il 5% dei lavoratori inuna categoria. A prima vista po­trebbe sembrare una grandeconquista democratica, ma inrealtà non è così. È noto, infatti,che in moltissime aziende sidiscriminano lavoratori per ilsolo fatto che aderiscano asindacati non graditi ai padroni.Per evitare tutto ciò molti operaidecidono di iscriversi diretta­mente al sindacato: questecentinaia di migliaia di proletarisfuggono quindi alla “certifica­zione ufficiale” e vedono negati illoro diritto a essere rappre­sentati.Si prevede la cosiddetta esigibili­tà degli accordi, il fatto cioè cheuna volta siglati dal 50% più unodei sindacati rappresentati inazienda e ratificati da unaconsultazione dei lavoratori(che può avvenire anche senza ilvoto segreto, limitando dunque

la possibilità per un lavoratore diesprimersi senza il timore di mi­nacce o rappresaglie), questinon solo diventano validi, macontro di essi non ci si puòopporre: il sindacato che volessescioperare sarebbe passibile disanzioni e perderebbe la possi­bilità di fare propaganda, prose­litismo e di partecipare alleelezioni delle rappresentanzesindacali in azienda. Ma la veradiscriminante, quella che de­termina il carattere assoluta­mente reazionario dell'intesa, èla premessa che stabilisce chesolo i sindacati che la firmanopossono entrare nei luoghi di la­voro.Quindi cosa abbiamo in so­stanza? Un accordo in cui, neifatti, si creano dei sindacati diStato, aziendali nel senso più de­leterio del termine, che cioè nontutelano i lavoratori ma gli inte­ressi delle aziende e dei loro pa­droni. Chi non accetta lapremessa è condannato a unasorta di clandestinità, oggi solosostanziale, ma in futuro, nonpossiamo escluderlo, ancheformale.E non basta. Se un sindacatocambiasse idea e volesse sciope­rare (o anche soltanto ricorrerein tribunale) contro accordi cheritiene ingiusti, passerebbe, co­me già spiegato, automatica­mente in questa specie di“illegalità”.

La burocrazia Fiom gettala maschera

Se non stupisce che l'accordo siastato sottoscritto dalla Camusso,qualcuno potrebbe essere

sorpreso dal fatto che Landini,segretario della Fiom, abbiaapplaudito all'intesa. Noi, alcontrario, non siamo assoluta­mente sorpresi da una similescelta.Negli ultimi mesi la Fiom ha viavia abbandonato i toniconflittuali: parliamo di toniperché la sostanza della suaazione rivendicativa è statasempre molto moderata.Prima ha offerto a Federemecca­nica la pace sociale nelle fabbri­che in cambio del suo ritorno altavolo della trattativa. In Fiat hasostituito gli scioperi, isolati e li­mitati nel tempo, con i ricorsialla magistratura borghese. Daultimo ha accettato di ricono­scere l'accordo del 28/6/11.Perché stupirsi dunque? Si ètrattato solo dell'approdo finaledi un percorso iniziato tempo fa,e che ha subito un'accelerazionegrazie al clima di unità nazionaleche il governo delle “larghe inte­

se” (con l'opposizione compia­cente di Sel di Vendola, che haavuto il pieno sostegno dellaFiom alle ultime elezioni politi­che) ha creato.

Un accordo repressivonon fermerà i lavoratori

Il senso di questo accordo è chia­ro. Di fronte a una crisi che siavvita sempre di più, con il calodrammatico dell'occupazione econ il crollo dei salari, padroni,partiti borghesi e burocraziesindacali si attrezzano peraffrontare l'esplosione socialeche tutti prevedono scoppierà inItalia in un prossimo futuro.Purtroppo per loro ogni tentati­vo sarà inutile. Gli eventi di que­sti anni, e da ultimo lo scoppiodella rivolta in Turchia, in cuicentinaia di migliaia di giovani elavoratori protestano controuna situazione per loro non piùsostenibile, provano che nessu­

na repressione preventiva, nes­sun apparato sindacalepreoccupato solo di tutelare sestesso, possono nulla quandoesplode la rabbia delle massesfruttate.I militanti classisti presenti ogginella Fiom, nella Rete 28 Aprilecosì come nei vari sindacati dibase (Cub, Usb, Si.Cobas, ecc.),devono abbandonare ogni titu­banza, ogni settarismo e co­minciare a coordinarsi a partiredalle varie lotte presenti oggi nelPaese, contribuendo a far sì chesi unifichino e estendano, pre­parando le condizioni diquell'esplosione sociale cheterrorizza padroni e burocrazie,ma che è l'unica possibilità dellemasse per salvarsi dalla miseria edalla disperazione. Come Partitodi Alternativa Comunista ciimpegniamo perché ciò avvengaal più presto.

Massimiliano Dancelli*

Dopo l'illusione di po­ter tornare al tavoloverde delle trattativedalla porta principa­

le delle elezioni, con la speranzaper niente celata, anzi aperta­mente suffragata, di una nettavittoria del centrosinistra, laFiom e il suo segretario Landinisi sono rassegnati a chinarsi allelogiche di chi questo gioco ge­stisce: i padroni.

Una resa di fattoDopo mesi di assurde e nefastepolitiche di attendismo ecompromesso – politiche cheAlternativa comunista hasempre denunciato – l'ultimaspiaggia rimasta al segretariogenerale della Fiom e ai suoicortigiani per sperare di poterattingere ancora dalla tortadella concertazione (un'altraFiat non sarebbe sopportabileper la sopravvivenza della bu­

rocrazia e dell'apparato Fiom)era quella di alzare definitiva­mente bandiera bianca, propo­nendo a Confindustria a aglialtri due sindacati confederali(Fim­Cisl e Uilm­Uil) una tre­gua dal sapore della resa, sulpiano non solo della conflittua­lità (già scarsa da tempo) mapersino per quanto riguarda ilritiro di tutte le cause aperte neitribunali della giustizia borghe­se. Una distensione offerta incambio di un ritorno al dialogotra le parti, atto a poter esserenuovamente riconosciuti, dalmomento che la legge sullarappresentatività e agibilitàsindacale in ambito contrattua­le pareva naufragata con lo tsu­nami elettorale subitodall'accoppiata Pd­Sel.Subito dopo Landini ha espres­so soddisfazione per l'accordosulla rappresentanza recente­mente firmato dalla Camusso(Cgil) con Cisl, Uil e Confindu­stria: “in mancanza della legge,

ben vengano intanto gliaccordi, anche se inapplicabiliper il momento in Fiat, inquanto fuori da Confindustria”:queste le parole espresse daLandini, ben rappresentativedel definitivo passo indietro deivertici del maggiore sindacatoitaliano dei metalmeccanici.L'accordo del 28 giugno 2011sulla possibilità di derogare alcontratto nazionale e persinoalle leggi, tanto osteggiato a suotempo, viene ora applauditodurante la sua formalizzazione:si tratta di un patto ignobile, sti­pulato tra padroni e coloro chedovrebbero rappresentare gliinteressi dei lavoratori che ha ilsolo intento di eliminare le altreorganizzazioni sindacali dallefabbriche, dando modo adentrambe le “parti sociali” di re­primere meglio il dissenso tra ilavoratori e negando di fatto, adifferenza di come viene pre­sentato, la democrazia nei luo­ghi di lavoro.

Le tranquille passeggiatein compagnia

Per nascondere la realtà ai lavo­ratori e indorare la pillola spe­cialmente alla propria base e aidelegati, si continua a propina­re una finta opposizione basatasu piattaforme di generico ri­chiamo ai diritti e al lavoro masenza soluzioni concrete. Èstata organizzata a maggio unamanifestazione a Roma a cuinon verrà data la giusta conti­nuità e che ha avuto più il sapo­re di una tranquilla gita incompagnia che di una realegiornata di lotta. Del resto noi

già in passato abbiamo de­nunciato la mancanza di veraopposizione (al di là dei procla­mi) da parte della Fiom allepolitiche anti­operaie che i varigoverni ci hanno propinato.Non a caso e non per mancanzadi volontà loro, negli ultimidue­tre anni i lavoratori me­talmeccanici hanno subito ognigenere di attacco: dall'innalza­mento dell'età pensionabile alpeggioramento delle condizio­ni di vita nelle fabbriche. E laFiom? prima alzava la voce e poisi barricava nei tribunali e orga­nizzava di tanto in tantotranquille passeggiate nellecittà, preoccupandosi tra l'altrodi tenere fisicamente ben divisii lavoratori.Le necessità per la classe opera­ia erano ben altre, c'era bisognodi unità tra i lavoratori, ma nonl'unità tra i sindacati al tavolodella concertazione a cui si ri­chiama ora Landini, piuttostoun'unità d'intenti su piatta­forme di lotta e di conflitto fortecontro gli interessi del padro­nato. Del resto la politica dellaFiom di rinuncia alla lotta da unlato e di opposizione parolaiadall'altro non ha giovatoneanche alla propria burocra­

zia. Se per un verso i lavoratorivedevano nella Fiom l'unicobaluardo a difesa dei propri di­ritti, di contro i padroni hannocolto la palla al balzo per estro­mettere il sindacato dallefabbriche e da tutte le trattative,cioè allontanandoli dai lavo­ratori e mettendone a rischio lasopravvivenza stessa, da qui ivistosi passi indietro degli ulti­mi tempi.

Cosa serve ai lavoratori?Ai lavoratori, serve ben altro checontrattare coi padroni au­menti di orario di lavoro, ridu­zioni salariali, restrizioni deidiritti o cassa integrazione,ovverosia solo quanto hanno daoffrire i padroni in tempo di cri­si. Bisogna rompere con la logi­ca della concertazione cara soloai padroni e utile soltanto per ilmantenimento dei privilegi deifunzionari sindacali. Ai lavo­ratori non serve un sindacato diservizi, ma un sindacato che di­fenda realmente i loro interessiimmediati e futuri, un sinda­cato che tuteli il posto di lavoro,che sappia mettere gli interessidegli operai davanti agli inte­ressi di un qualunque funzio­nario. Per ottenere qualcosa

non ci si deve né sedere ad untavolo né scendere a patti igno­bili col padrone, e neppure ci sideve barricare nelle aule di unagiustizia che non ha mairappresentato né tutelato laclasse degli sfruttati.Solo la lotta paga! Ne sono unesempio i facchini delle coope­rative del settore della logistica,che stanno dimostrando comesolo non piegando la testa,senza compromessi, senza farsiintimidire sono riusciti astrappare dei risultati concreti ebuone prospettive per il futuro.Per questo motivo noi diAlternativa comunista conti­nueremo ad appoggiare la lottadi questi lavoratori, a portareloro la nostra solidarietà ed ilnostro aiuto militante. E per lostesso motivo, fino a che la lineapolitica non prenderà una dire­zione rivoluzionaria, seguire­mo a dare battaglia econtinueremo ad opporci allescelte di Landini, della Camus­so e di tutto il gruppo dirigentedi quei sindacati: o state coi pa­droni o state con gli operai!(13/6/2013)*Direttivo Fiom Cremona,Rete

28 aprile

L'appoggio di Landini all'accordo siglatoda Cgil, Cisl, Uil e Confindustria

LaresadelladirezioneFiomalpadronato

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PROGETTO COMUNISTA Estate 2013 5LOTTE DELLA LOGISTICA

Oraesempre...facchiniinrivolta!Continua la lotta esemplaredel movimento operaio della logisticaAdriano Lotito

Non accenna a pla­carsi il ciclo di lottenel campo logistico,una mobilitazione

senza dubbio all'avanguardianel panorama piuttosto smortodel conflitto sociale nel nostroPaese. Il movimento dei lavo­ratori delle cooperative dellalogistica ha dimostrato in tuttiquesti mesi una combattivitàradicale e una determinazionesenza pari nel portare avanti leproprie giuste rivendicazioni,andando incontro a una siste­matica repressione da partedelle istituzioni e della polizia.

Lo sciopero del 15maggio

Dopo lo scorso sciopero del 22marzo, il 15 maggio si è avuto ilsecondo sciopero generale delsettore, indetto da Si Cobas, AdlCobas e Conf. Cobas Privato, ri­scuotendo una grande adesio­ne ed estendendosi a moltecittà. Dall'Interporto di Bolo­gna, alla Cittadella della Logi­stica di Padova, a tutte le altrerealtà della logistica (Bartolini,Tnt, Artoni, Gls, Dhl, Sda, ecc),per l'intera giornata del 15 si so­no susseguiti blocchi totalidella circolazione delle merci emolti magazzini hanno dovutochiudere interamente. A Mila­no, Piacenza, Brescia, Bologna,Verona, Padova, Treviso, Tori­no, Ancona, Roma i lavoratorisono scesi in sciopero, sostenu­ti da numerose organizzazionipolitiche e sociali, tra cui ilCoordinamento di lotte No Au­sterity, che fin dall'inizio a so­

stenuto le lotte del settore e hapartecipato agli scioperi indettinel Milanese, a Piacenza e allaGranarolo di Bologna.Il perno dello sciopero ruotavaintorno al rinnovo delContratto nazionale di catego­ria, scaduto il 31 dicembre2012, ma in realtà questa mobi­litazione guarda oltre, mira amettere in discussione il siste­ma capitalista in quanto tale, equando lotta, fa male ai padro­ni. Non a caso questa lotta èstata costellata da una serie si­stematica di tentativi repressi­vi, culminata proprioall'indomani del 15, quandouna delibera della Commissio­ne di garanzia per gli scioperiha inserito la movimentazionee il trasporto merci tra i servizipubblici essenziali, con laconseguente applicazione diuna dura normativa anti­scio­pero. Questo è il ritratto delcapitalismo giunto al suo statodi massima putrefazione eparassitismo: si paragona ilservizio col quale si riempionogli scaffali dei supermercati,con il lavoro in ospedale; lemerci divengono persone, e lepersone divengono merci. Unadelibera accompagnata da unacinquantina di licenziamentipolitici ai danni dei lavoratoriin lotta nel bolognese (Grana­rolo, Interporto, Coop. Adriati­ca).

La manifestazione del 1°giugno a Bologna

La risposta operaia a questoennesimo duro attacco al di­ritto di sciopero si è tradotta inuna partecipata manifestazio­

ne tenutasi sabato 1 giugno aBologna, che dopo Milano ePiacenza, è ormai diventata ilterritorio centrale della batta­glia della logistica. Il corteo del1 giugno è stato partecipato daalcune centinaia di lavoratori,sostenuti dai centri sociali econ un presenza consistentedei militanti di Alternativa Co­munista, che hanno sostenuto ilavoratori della logistica findalla lotta alla Esselunga diPioltello. Durante la manife­stazione si sono avuti slogan inparticolare contro le istituzionie la Commissione di garanzia,accusate a ragione di applicaredelle politiche repressive inau­dite e giuridicamente nonfondate. L'unica nota manife­stamente negativa è stata l'as­senza pressoché totale di altresigle sindacali di base,all'infuori di singoli attivisti.

La lotta non si ferma: ilblocco alla Tnt di

Orbassano

La mobilitazione riparte seigiorni dopo, il 7 giugno, con losciopero e un serrato fermodelle merci alla Tnt di Orbassa­no (Torino) dove i lavoratori so­no riusciti a ottenere dalpadrone della cooperativa lecondizioni avanzate nella lotta.Ma il presidio permanente ri­mane a oltranza fin quandonon verranno ratificati gliaccordi. Un'altra dimostrazio­ne del livello avanzato dellamobilitazione, che non cededavanti alle promesse dei pa­droni, che non si fida del padro­ne! A ragione! Questa lotta ci hainsegnato che solo rifiutando le

dinamiche concertative soste­nute dalle direzioni dei sinda­cati confederali è possibileottenere anche le più minimerivendicazioni salariali e occu­pazionali. Tutto questo mentreCamusso e Landini accettanol'accordo sulla rappresentanzache sigilla la controffensivaconfindustriale. Non a caso laCgil è stata uno bersagli princi­pali della manifestazione del 1giugno di Bologna, quando i la­voratori si sono fermati davantialla sede regionale del sinda­cato, lanciando invettivecontro la Camusso.

Le prospettive delconflitto

Sempre a Bologna, il percorsoriapre il 16 giugno, in occasione

di un'assemblea di confronto ediscussione in cui si decide­ranno le azioni per il prossimoperiodo, a partire dall'opposi­zione alle misure repressive neiconfronti dei lavoratori, in pri­mis quelli della Granarolo. Cre­diamo che la lotta debbacontinuare ed estendersi ad unsempre maggior numero direaltà del settore della logisticae non, cercando di unificaretutte le vertenze combattiveche nascono nel nostro Paese eche, rimanendo isolate, sispengono velocemente. Que­sta mobilitazione, lo abbiamogià scritto, è di fondamentaleimportanza ed è fondamentaleche continui allo stesso livellodi combattività: una mobilita­zione che colpisce un settore,quello della logistica, che è di­

venuto strategico nell'econo­mia italiana a seguito dellaprogressiva delocalizzazione dinumerosi settori produttivi.Come confermano vari progettiinfrastrutturali in costruzione,dai treni ad alta velocità allaTem (Tangenziale esterna diMilano), la movimentazionedelle merci è centrale dal puntodi vista produttivo per i profittipadronali. Bloccare ad oltranzala circolazione è dunque dove­roso per danneggiare il ciclo diaccumulazione del capitale. Èquello che da ormai molti mesista facendo il proletariato deimagazzini. Alternativa comu­nista è al suo fianco, lo sostieneincondizionatamente e saràpresente a tutte le prossimeiniziative del movimento. Inprima linea. (13/6/2013)

a cura di Riccardo D'Ercole eFabiana Stefanoni

Abbiamo incontrato JaanAli, delegato sindacaleSi.Cobas alla Granarolodi Bologna, che ci ha

raccontato dell'esperienza di lottadel settore della logistica che dapiù di un mese sta mettendo indifficoltà padroni e padroncinidell'Emilia Romagna. Ali è stato li­cenziato, come tanti suoi altricompagni di lavoro, per lamaggiore immigrati, per non averchinato la testa davanti ai soprusidella cooperativa Sgb, che operanella Granarolo, azienda leadernella produzione di latte e derivatiin Italia. Alternativa Comunista haseguito fin dall'inizio gli sviluppidella lotta delle cooperative – dallaprima lotta all'Esselunga diPioltello a quella all'Ikea di Pia­cenza fino ai recenti scioperi pro­lungati nelle cooperative delbolognese – e continua a interes­sarsi e a portare nelle piazze e da­vanti ai luoghi di lavoro lasolidarietà attiva ai lavoratori chelottano contro le pessime condi­zioni di lavoro a cui sono sottopo­sti e contro i ricatti dei padroni.IlprimoscioperoallaGranarolori­sale a poco più di un mese fa,quando i lavoratori della coope­

rativa Sgb (che aveva l'appalto deltrasporto merci da parte della Gra­narolo) hanno protestato control'abbassamento del salario del35%. Dall'azienda, dopo i tavoliconcertativi con la Cgil, non ègiunta alcuna risposta: la Cgil haaccettato le condizioni dei padro­ni, rinunciando a qualsiasi formadi protesta. Così i lavoratori hannodeciso di autorganizzarsi con ilSi.Cobas: come per i facchini delpolo logistico di Piacenza, il sinda­cato di base è diventato unimportante strumento di lotta perportare avanti una battaglia duracontro il padrone, come ricorda illoro slogan più urlato nelle mani­festazioni: “Lotta dura senza Pau­ra!”. Di sicuro ciò che ci interessasottolineare è che la battaglia deilavoratori della logistica è il puntopiù avanzato dello scontro di clas­se in Italia: una lotta animata, nonacaso,dalavoratoriimmigrati,chesubiscono una doppia oppressio­ne nei luoghi di lavoro, anche acausa del ricatto della legge Bossi­Fini (che li obbliga ad avere uncontratto di lavoro per ottenere ilpermesso di soggiorno). La situa­zione di riscatto e sfruttamentoselvaggio si è trasformata in unalotta dura, senza compromessi,che sta mettendo in seria difficoltài padroni e i loro profitti.

Le mancate risposte della Sgbhanno spinto i lavoratori a prose­guire sulla strada della lotta, conscioperi e picchetti prolungati da­vanti alla Granarolo. Uno scioperoriuscitissimo, con partecipazionealtissima. La Granarolo, con il so­stegno degli apparati repressividello Stato borghese (la polizia inassetto antisommossa era semprepresente durante i picchetti) e conla complicità della commissionedi garanzia sugli scioperi, ha ri­sposto dichiarando illegittimo losciopero perché “non ha garantitol'usufrutto di merce pubblica ne­cessaria”. Subito dopo decine difacchini sono stati licenziati.Il 1° giugno una grande manifesta­zione a Bologna (a cui erano pre­senti anche i compagni diAlternativa Comunista) ha chiestoil reintegro dei lavoratori li­cenziati. Mentre scriviamo, la Gra­narolo ha annunciato di volertogliere l'appalto alla Sgb (“perdanno d'immagine”): la logisticapasserà alla cooperativa Ctl. Nes­sunagaranziaperoraperifacchinilicenziati, anzi: provocatoria­mente, la Ctl ha annunciato che“rientreranno solo quelli che nonhanno mai partecipato ai blocchi”.Una dichiarazione che dimostral'arroganza dei padroni, che vo­gliono discriminare chi ha eserci­tato un proprio diritto: il diritto discioperare contro la decurtazionedei salari. I lavoratori non sifermano e intendono portareavanti la lotta fino a quando tutti ilavoratori che sono stati licenziatinon saranno reintegrati e siriapproprieranno di un posto dilavoro tale da permettere condi­zioni di vita dignitose.

Siamo qui con Jann Ali, lavorato­re originario del Pakistan, dele­gato sindacale del Si.Cobas allaGranarolo di Bologna, che ciracconta con le sue parole la loro

lotta e ci parla anche dei licenzia­menti politici che hanno subito ilavoratori. Ci racconti come eperché è iniziata la vostra lottaalla Granarolo?La nostra lotta è cominciataintorno al primo maggio, quandoavevamo comunicato all'aziendala volontà di scioperare contro i ta­gli agli stipendi del 35%. Ad oggi (5giugno, ndr) è un mese e diecigiorni che siamo in lotta. Andiamoavanti nella battaglia consapevolidel fatto che questa è una lotta du­ra e lunga. Ciò che si legge negliarticoli non è quello per cui lottia­mo. A noi non interessa se la Gra­narolo manda via Sgb e haintenzione di appaltare il lavoro adun'altra cooperativa. A noi inte­ressa che i licenziamenti venganocancellati e che ci sia il reintegroper tutti. Per questo andiamoavanti e attendiamo risposteconcrete.

Avete deciso di organizzarvi nelSi.Cobas, in un sindacato di base.Infatti dalle vostre dichiarazionirisulta che avevate constatato laCgil si è schierata con i padroni, eha approvato i tagli agli stipendi.Sì hanno firmato, come fannoovunque. Si siedono al tavolo delletrattativeesvendonoidirittidei la­voratori scendendo a compro­messi con i padroni.Tutto qua.

Avete dato vita a questi scioperimolto partecipati, avete fatto deipresidi davanti alla Granarolo edavanti ad altre aziende del bolo­gnese e sempre i lavoratori si so­no dimostrati compatti e decisinella lotta.Ce ne parli?Si questo è vero. Abbiamo parteci­pato a tutti gli scioperi indetti finoadoraessendosolidalicontutti.Sesi sciopera per i nostri diritti noiandiamo avanti e ci dimostriamouniti nella lotta, ovunque. Non c'èdifferenza fra i lavoratori della

Granarolo o quelli della coopAdriatica o delle altre cooperative.La lotta ormai riguarda tutti, è unabattaglia per i diritti dei lavoratori.Tutti.

Proprio perché lo sciopero è riu­scito danneggiando la produzio­ne, c'è stata una dichiarazionedella commissione di garanziache sosteneva l'illegittimità degliscioperi in quanto non hannopermesso la regolare distribuzio­ne di “merce pubblica essenzia­le”. Di sicuro un pretesto perlegittimare i licenziamenti. Se­condo noi è la dimostrazione chela vostra lotta ha fatto paura aipadroni.Sei d'accordo?Sì,questoinfatti risultaesserestra­no.LamercedellaGranarolononèaffatto come le medicine che, senon arrivano dove è necessarioche arrivino, c'è gente che ne ri­sente in maniera grave. Durante lamanifestazione di sabato 1° giu­gno siamo stati davanti alla pre­fettura contro la commissione digaranzia sostenendo la legittimitàdi questo sciopero. Lo sciopero èregolare perché lottiamo per i no­

stri diritti che sono dimenticati daipadroni. Lottiamo perché vengacancellata la disposizione del ta­glio degli stipendi del 35 % e per ilreintegro di tutti i licenziati.Quando avremo raggiunto questoobiettivo potremo considerare labattaglia vinta.

Un licenziamento politico.Mentre sabato per le strade diBologna sfilava la bellissima ma­nifestazione (a cui abbiamopartecipato), la Cgil firmava conConfindustria un vergognosoaccordo che ridimensiona forte­mente il diritto di sciopero. Que­sto sottolinea l'importanza dellavostra lotta anche sul terreno na­zionale. Credi che il diritto disciopero debba essere garantitosempre?Sì, lo credo. Il diritto di scioperodeve essere sempre garantito pro­prio perché è un modo con cuiaffrontareiproblemiedifenderelanostra dignità. Ci siamocomportati sempre in modo re­golare, avvisandoli del fatto che

Granarolo:lottaduracontroilicenziamenti!Intervista a Jaan Ali,delegato sindacale Si.Cobas alla Granarolo di Bologna

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6 Estate 2013 PROGETTO COMUNISTALOTTA DI CLASSE

a cura dellasezione PdAC Vicenza

Alle Accierie Valbruna diVicenza, quasi 1.500 di­pendenti nel solo sito diviale della Scienza, si sta

procedendo al licenziamentocollettivo, per riduzione di perso­nale, di 52 lavoratori.I nomi dei lavoratori che farannoparte di questo gruppo, mentrescriviamo, non si conosconoancora, a parte dieci che, invece,sono già stati individuati e chefanno parte della“Squadra MinutoMantenimento”, unità del riorga­nizzato servizio di manutenzioneche ora l'azienda ha deciso disopprimere per prima, li­cenziando i dieci lavoratori.L'azienda, per giustificare il li­cenziamento di questi operai,afferma che questo gruppo ècomposto di personale caratte­rizzato da “skill professionali ina­deguate e di basso livello privipressoché di qualsiasi specializza­zione..”I lavoratori, invece, denunciano:“la costituzione di quella 'squa­dretta'èstatopernoiunveroepro­prio declassamento. Noi eravamooperai in produzione, ci hannomesso a spazzare il piazzale, spala­re la neve, tirar su l'acqua piovananegli uffici, ripulire armadietti. Un'demansionamento' completo” eci dicono: “la Valbruna cavalca lacrisie licenziaoperai invalidiepro­venienti da malattia o infortuni,nel frattempo apre nuovicapannoni e assume nuovo perso­nale”.“Sono licenziamenti odiosi e chepotrebbero essere letti in una logi­ca di selezione della razza”commenta un ex sindacalista, cheora ha ottant'anni, intervenuto persolidarizzare con la lotta dei lavo­ratori.Gli operai sono stati abbandonati alorostessidaiburocratisindacalidiFiom­Fim­Uilm nonostante que­sti stessi burocrati avessero dichia­rato alla stampa: “sonolicenziamenti ingiustificati ediscriminatori”. Nel frattempo,anche perché in fabbrica non sonoancora conosciuti i nomi degli altri42 interessati al licenziamento, ilricattoelapaurasonofortie lasoli­darietà stenta a manifestarsi.I lavoratori della “Squadra Minuto

Mantenimento” si sono rivolti alsindacato Cub (ConfederazioneUnitariadiBase)chedapocopiùdiun anno ha aperto una sede sinda­cale a Vicenza. La Cub ha orga­nizzato momenti di lotta, presidi,volantinaggi e conferenze stampaperdenunciarequantosivolevafarpassare sotto silenzio. Di partico­lare importanza il presidio orga­nizzato, il 24 maggio scorso, con lacollaborazione di “No Austerity­Coordinamento delle lotte”. Sottouna pioggia battente, operai dele­gati della Fiom e della Cub Ferraridi Maranello, come portavoci delcoordinamento, sono stati davantiai cancelli della fabbrica, insiemeai lavoratori della famosa “squa­dretta” della Valbruna, ai rappre­sentantidellaCubVicenzaeadunadecina fra lavoratori e studenti ecompagni del Pdac arrivati in soli­darietà. Anche in quest'occasionele burocrazie sindacali concertati­ve non si sono smentite. È arrivatoun comunicato dalla Fiom di Mo­dena, appeso in bacheca dentro lafabbrica e diffuso alla stampa, incui la Fiom di Modena smentiva lapresenza di suoi delegati al presi­dio del 24 maggio e diffidava diusare il simbolo e il nome dellaFiom!Incredibile! Non solo i delegatiFiom c'erano veramente (comepoi confermato da un comunicatoreso pubblico dallo stesso Coordi­namento No Austerity) ma so­prattutto quest'atto rendeevidente la reale preoccupazionedi queste burocrazie sindacali:hanno paura e ostacolano, in tutti imodi, l'unità e la solidarietà dei la­voratori!È chiaro che quello che sta succe­dendo all'interno dellaValbruna, ilclima di ricatto, di divisione fra i la­voratori e di paura, è possibile solocon l'attiva collaborazione di certisindacalisti.Prima di questi annunciati“esube­ri” in azienda sono avvenuti altri li­cenziamenti, in questo caso“individuali”, come il licenzia­mento di G., operaio che si trova aVicenza dopo aver, anni fa,abbandonato la sua città nel sudd'Italiaperaverelapossibilitàdiunlavoro, e al quale chiediamo diraccontarci la sua storia.

Per quanti anni hai lavoratonell'AcciaierieVabruna?

Ho lavorato circa undici anni. I pri­mi mesi tramite agenzia interinale,poi sono stato assunto concontratto formazione e poi è arri­vata l'assunzione a tempo inde­terminato. Lavoravo nel repartotrafila, facevoancheiturnidinotte.Ho fatto delle proposte per miglio­rare il lavoro che era pesantissimoe che, ad un certo punto, non riu­scivo più ad affrontare da solo, hochiesto in alcuni momenti di esse­re affiancato da un'altra persona.Inoltre, a causa del ritmo veloce dellavoro, in quelle condizioni, hosubito un infortunio al braccio. Lemie proposte avrebbero, secondome, risolto diversi problemi e miavrebbero messo in condizioni dilavorare in modo più efficace e conminor rischio. Queste mie richie­ste hanno causato lo scontro conalcuni preposti e caporeparto.Senza giustificazioni mi hannotolto dalla macchina su cui lavora­vo e mi hanno spostato su unamacchina obsoleta e vecchia, daquel momento intorno a me si èsviluppata un'ostilità nei mieiconfronti da parte dei capi ed'alcuni colleghi. Uno dei prepostiha ordinato ai miei compagni di la­voro che non dovevano più ri­volgermi la parola. Alcuni hannoobbedito, quelli che sempre dimo­stravano ossequio al capo e chepuntavano in qualche modo adavere delle migliori condizioni dilavoro dicendo sempre di sì, altriinvece mi hanno dimostrato soli­darietà.

Era meno pesante il lavoro ri­spetto a quello di prima?No, al contrario. Nonostante il la­voro fosse giornaliero e non facessipiù i turni di notte, il tipo di lavoroera più pesante del precedente, piùmanuale e meno professionale. Daquel periodo è iniziato il climad'isolamento nei miei confronti, ilperiodo dello svuotamento dellemie mansioni professionali ed èiniziata una lunga serie di richiamidisciplinari a mio avviso chiara­mente pretestuosi, come quandomi è stato ordinato di spostarmi edi andare a prendere degli attrezzie poi mi è arrivato il provvedi­mento disciplinare per abbando­no del posto di lavoro. Lasituazione continuava a peggiora­re e si è aggravato l'attrito fra me e ilcapoarea.

Ti sei rivolto ai sindacati? A chesindacato eri iscritto?Ero iscritto alla Uil, come lamaggior parte degli operai del mioreparto. Ho chiesto aiuto al sinda­cato ma non ho avuto nessuna ri­sposta, nel frattempo il clima èpeggiorato, alcuni dei mieicompagni di lavoro, in alleanzaconilcapoareaeilcaporeparto,mifacevano addirittura dei dispetticome nascondermi gli attrezzi, omi sporcavano di grasso e polverela macchina su cui lavoravo. La Uil,al posto di far calmare il capo e

condannare il mio isolamento, miha detto che avrei dovuto risolvereil problema mettendo per iscrittola richiesta di cambio del reparto.Ho seguito queste indicazione e hofatto la richiesta scritta e sono statospostato al reparto laminatoio.Dopo un anno circa è cominciata agirare la notizia della creazione diuna“squadretta”, era chiaro a moltiche in quella “squadretta”l'azienda stava facendo confluireoperai con problemi fisici e operaiche si erano, in qualche modo, evi­denziati per essersi scontrati conl'azienda. Dopo qualche settima­na il caporeparto mi ha detto, a vo­ce, che ero stato convocato daldirettore al personale, in un orarioin cui io non potevo andare permotividi famiglia(dovevoandareaprendere il bambino a scuola). Eroanche molto spaventato perchétemevo i toni arroganti cheavrebbe potuto usare il direttore emisentivofragileperchél'incontrosarebbe stato senza la presenza disindacalisti, sarei stato da solo conlui. Non mi sono quindi pre­sentato. Così è stato il caporepartoad informarmi che dovevocambiare lavoro e sono stato,infatti, inserito nella famosa“squadretta” che chiamavanoallora Squadra di Assistenza Ma­nutenzione.

Che lavoro facevi?Un lavoro “demansionato” e nonpiù in produzione: spazzare ipiazzali, pulire gli uffici dei capi, gliarmadietti dei colleghi, tinteggiarenelle condizioni più disagiate e neiluoghi più disagiati, ecc.Io ho chiesto ai sindacalisti comemai eravamo stati inseriti in unasquadra che si chiamava “Squadradi assistenza manutenzione”mentre nella realtà non assisteva­mo nessun manutentore e in se­guito a questa mia domanda,rivolta ai sindacalisti, è arrivata larisposta dell'azienda che con unmessaggio di posta elettronicainformava il cambio del nomedella squadra in“Squadra di minu­to mantenimento”…Nel frattempo il clima di umiliazio­

ni, isolamento e disprezzo nei mieconfronti aumentava. Ho de­nunciato anche che nel repartoerano affissi immagini di Mussoli­ni e della Lega, ho chiesto anche adalcuni sindacalisti di intervenirema non è successo nulla.In tutto questo io ho avuto uncrollo psicofisico e mi sono amma­lato gravemente, con forti depres­sioni, stati d'ansia e attacchi dipanico. Quando sono stato co­stretto a rimanere a casa per ma­lattia è successo anche che,nonostante fossi stato giustificatodall'Inps, l'azienda non mi ha giu­stificato e si è trattenuta due setti­mane di soldi dal mio salario e mi èanche stato fatto un provvedi­mento disciplinare. È tutto certifi­cato. Dopo quattro anni in cui hocercato giustizia e risposte (hoanche fatto intervenire lo Spisal),in cui mi sono rivolto ai sindacatisenza ottenere né risposte né aiuto(mi rispondevano “non sappiamocosafare”),mièarrivatalaletteradilicenziamento individuale chesubito non ho impugnato perché,dopo dieci anni di iscrizione allaUil, l'avvocato della Uil, sumandato del sindacato, si è rifiu­tato di farmi la causa e mi ha pro­posto la conciliazione.Conciliazione che non hoaccettato di fare. Ho capito chiara­mente che i sindacati concertativisono dalla parte dei padroni.

Ora, nonostante attualmente seilicenziato e fuori della fabbrica,hai portato la solidarietà e haipartecipato ai presidi,organizzatidalla Cub, contro i licenziamentiannunciati.Non è molto comune,purtroppo,questa reazione.Avere incontrato i compagni dellaCubdiVicenzaèstatocomevederela luce in fondo ad un lunghissimotunnel buio in cui mi sentivo solo,ora non mi sento più solo. La Cubnon aveva iscritti o delegatiquando è successo tutto questo,altrimenti penso che la situazionesarebbe stata diversa. Credo cheanche se non si è sicuri di vinceresicuramente una lotta seria ci sa­rebbestataeanchecisarebbestato

un lavoro per unire la classe, che èla cosa più urgente.HovistocompagnisiadellaCubsiadella Fiom che, senza conoscerci,sono arrivati da Maranello con ilCoordinamento No Austerity esotto la pioggia sono stati insiemecon noi per protestare. Ho capitoche se anche noi dentro la Valbru­na fossimo uniti i sindacati nonpotrebbero stare dalla parte delpadrone come fanno e non succe­derebbero le situazioni di gravesfruttamento e ingiustizia cheaccadono in tanti posti di lavoro.Era necessario respingere subitocon gli scioperi tutte le situazionid'ingiustizia e i licenziamentiavvenuti e annunciati, non soloqualche ora di sciopero ma scio­peri e presidi fino al raggiungi­mento dell'obiettivo. Invece isindacati proclamano qualche orae poi basta e non incoraggiano lalotta,anzidiffondonoladivisioneela paura.In queste settimane io con altrisiamo andati a fare volantinaggionon solo davanti alla fabbrica maanche in città e davanti all'ospe­dale perché tutti devono saperecosa sta accadendo, invece Fiom­Fim­Uilm hanno fatto di tutto pertenere un basso profilo.Spero che alcuni lavoratori dentrola Valbruna possano leggere que­sta intervista. Non sono purtroppoil primo ad aver subito questa si­tuazione e non sarò l'ultimo. Il miomessaggio è che dobbiamo stareuniti e organizzare la lotta operaia,dobbiamo cacciare i burocratisindacali all'interno dell'aziendache ci hanno portato a questa si­tuazione.Nondobbiamoaccettareil concetto che “chi è licenziato èperché non ha voglia di lavorare” o“se lo meritava”: questo è ilconcetto dell'azienda e dei sinda­cati che ci tradiscono.Sto lottando, ora, per riavere il mioposto di lavoro che mi è stato toltoingiustamente e lo voglio fare perme ma anche per tutti gli altri.(10/6/2013)

Sfruttamento,divisioni,paura,silenzi,menzogneevogliadiriscatto

AcciaierieValbrunadiVicenza:licenziamentiindividualiecollettivi

stavamo scioperando per i nostridiritti, contro il taglio degli sti­pendieicontroilicenziamenticheci rendono impossibile vivere.Dalla commissione di garanzia èvenuto fuori che non possiamoscioperare. Secondo me lo sciope­ro è fra i più fondamentali dei no­stri diritti. Se non possiamo vedergarantiti i nostri diritti alloradobbiamo fare sciopero. Ma comepotremmo dimostrare i nostriproblemi se non facciamo sciope­ro? Se i padroni non ci ascoltano?Scioperiamo per questo!

Sono in gran parte lavoratoriimmigrati i protagonisti di que­ste lotte e questo ci ricorda lavergognosa legge Bossi­Fini chelegittima i ricatti reiterati dai pa­droni nei confronti dei lavoratoriimmigrati. Se un lavoratoreimmigrato non possiede uncontratto di lavoro non ottiene ilpermesso di soggiorno: i padronine approfittano per cercare diimporre condizioni salariali e dilavoro da sistema schiavistico...

Ho rinnovato da poco il permessodisoggiorno–diceconunsorriso–ma la legge Bossi­Fini non vaaffatto bene per gli stranieri.Perché? Perché per esempio ades­so che siamo stati licenziati e nonabbiamo possibilità di trovare unlavoro come possiamo pensare dipoter rinnovare il permesso disoggiorno? Se non c'è lavoro dovelo prendo un contratto per ga­rantirmi la permanenza in Italia?Credo che l'intento sia anchequello di mandarci via da questoPaese o di utilizzarci come schiavi.Ci sono casi in cui stranieri che vi­vono da molti anni qui non si ve­dono rinnovato il permesso disoggiorno a causa della mancanzadi un regolare contratto di lavoro.Questa legge non è un bene per glistranieri.

Quali le ultime novità?Il direttore di Granarolo Gianpie­tro Corbari si è detto in passatodisponibile a risolvere questo pro­blema. Qualche giorno fa hannodichiarato che loro manderannovia sia Sgb per lasciare l'appaltoalla Ctl o noleggiare un'altra coo­perativa. Questa è la soluzione che

propongono. Io dico che questanon è una soluzione. Non hannodetto nulla per facchini licenziati.Allora noi non siamo stupidi,pensano che abbiamo preparatouna bella tavola con deliziosi cibiper fare un piacere all'azienda e aifacchini che hanno accettato di la­vorare al posto nostro e in cambioveniamo licenziati e fatti morire difame.No! laGranarolodeveridarcii nostri posti di lavoro con tutti inostri diritti.

Adesso la lotta non si arresta. No­nostante la repressione avete de­ciso di andare avanti con la lotta,vero?La lotta va avanti. Noi andiamo fi­no in fondo e vogliamo prenderci inostri diritti. Li pretendiamo e vo­gliamo vederli applicati. Comeabbiamo urlato in piazza sabatoprimo giugno: lotta dura senzapaura!

Il Partito di Alternativa Comuni­sta sarà al vostro fianco nellalotta!(7/6/2013)

segue da pagina 5

Il Pdac alla manifestazione del 1° giugno a Bologna in solidarietà ai lavoratori Granarolo

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PROGETTO COMUNISTA Estate 2013 7LOTTA DI CLASSE

I compagni di Alternativa comunista in prima fila:solo la lotta paga!

Nicola Porfido

Il 17 maggio, dinanzi icancelli della fabbricaOm Carrelli di Bari,appartenente al gruppo

tedesco Kion, ha luogo un'as­semblea pubblica presso ilpresidio permanente dei lavo­ratori che affrontano l'ennesi­ma minaccia per il proprioposto di lavoro in seguitoall'ulteriore fallimento delletrattative di riconversionedell'azienda.

Due anni di prese in giroCitiamo la dichiarazione diFrancesco Carbonara, operaioOm in lotta nonché militantedi Alternativa comunista, laquale sostiene in toto la lottadei lavoratori Om: “Dopol'annuncio della chiusura delsito di Bari da parte della OmCarrelli, il 5 luglio 2011, e dopodue anni di passione segnati davari tentativi di riconversioneindustriale falliti, sembravache le cose si fossero messe sulbinario giusto. Il 15 gennaio si

era, infatti, firmato al Ministe­ro dello Sviluppo Economicoun accordo con gli inglesi dellaFrazer Nash che si impegnava­no a rilevare lo stabilimento e aconvertire la produzione percostruire i famosi taxi londine­si. A seguito di questa enuncia­zione, acquisite le varierassicurazioni dalle istituzio­ni, MiSE e Regione Puglia, sullabontà dell'accordo firmato, ilavoratori sotto direttiva deisindacati ultimavano la pro­duzione residua di carrelli Om.Si pensava finalmente a unastoria a lieto fine in nettacontrotendenza con quellache è la situazione disastrosain cui versa oggi il mondo dellavoro, non fosse che il 29 apri­le arrivava l'ennesima docciafredda, ovvero l'annuncio(arrivato anche nel peggioredei modi, attraverso una e­mail) di ritiro da parte di FrazerNash, che faceva piombare i la­voratori in un nuovo incubo.Anche se oggi i lavoratori, congrande spirito di sacrificio,hanno organizzato un presidio

permanente davanti i cancelliper non far uscire i macchinarigià smontati, non si può nonnotare come questa vertenzasia stata gestita con sufficienzadalle istituzioni. MiSE e Regio­ne Puglia si sono fatte raggiraree non hanno avuto la minimainfluenza sulle decisioni dellamultinazionale inglese, laquale notiamo può svincolarsicon estrema facilità da qua­lunque legame senza pagarealcuna conseguenza, anchedopo aver firmato un accordoquadro in sede ministeriale.Anche il sindacato in questastoria ne esce con le ossa rotte.Oggi gli ex lavoratori Om,affermando che se avranno lafortuna di avere un futuro la­vorativo non avranno più unatessera sindacale in tasca, giu­dicano negativamente l'ope­rato delle parti sociali,colpevoli di non aver fattoaltro che affidarsi alle notizieche arrivavano da Roma, de­terminando così la scelta di fi­nire la produzione di carrelli.In questo modo Om va viasenza aver subito il benché mi­nimo danno”.Questa ed altre testimonianzesi susseguono, conl'intervento di lavoratori Om,lavoratori di altre realtà delterritorio, dei giovani diAlternativa comunista,dell'associazionismo del terri­torio e del Coordinamento Pu­gliese dei Lavoratori in Lotta(aderente al coordinamento dilotta No Austerity). Il filo co­mune degli interventi si dipa­na sul tradimento delleistituzioni e delle parti sociali,incapaci di far rispettare i di­ritti dei lavoratori nemmenoinnanzi ad un accordo al mini­stero, e sulla necessità di nonaffidare più al padroneaziendale o alla multinaziona­

le la direzione della produzio­ne, lasciando nelle mani deilavoratori stabilimento emacchinari (ottenuti a suon difinanziamenti pubblici). Temaconclusivo dell'assembleapubblica è l'organizzazione diuna manifestazione nella cittàdi Bari.

La manifestazione del29 maggio

Ha dunque luogo, il 29 maggio,la manifestazione dei lavo­ratori dinanzi alla sede dellaRegione Puglia sul lungomaredi Bari. Alla manifestazioneaccorrono un buon numero dilavoratori dell'Om e di altrerealtà lavorative e associazio­nistiche. Pieno appoggioall'iniziativa ovviamente vieneda Alternativa comunista e daisuoi militanti presenti al sit in.Così, coi lavoratori armati ditamburi e megafoni, il presidioprende vita improvvisando amezzo di altoparlanti un'as­semblea pubblica sul mo­mento. Scontati i tentativi disgombrare la strada da partedegli agenti, prima con le buo­ne e poi con la minaccia di de­nuncia e l'azioneintimidatoria da parte di unagente a volto coperto il qualeprende a scattare foto ai pre­senti. Le parti sociali entranonel palazzo e dopo un'ora emezza tornano in stradaportando la testimonianza diimpegni presi a parole da partedell'assessore e del prefetto(contattato telefonicamente)in un continuo ringrazia­mento alle istituzioni, nono­stante il tema di cori e slogandei lavoratori manifestanti ri­cordasse chiaramente e senzaambiguità come, ad esempio,in campagna elettorale la si­tuazione dell'Om era data per

risolta da parte del governato­re Vendola, salvo poi ritrovarsial punto di partenza ancorauna volta. Insomma, niente dinuovo viene fuori dai palazzi digoverno, tranne il solito rinvioal solito tavolo istituzionale aRoma il 5 giugno.

Solo la lotta paga!Come ci si poteva aspettare,l'incontro a Roma si concludecon il ritiro della Frazer Nashdalle trattative senza fornirealcuna spiegazione per unpatto di segretezza tra leaziende. L'unica risposta datada istituzioni e parti sociali difronte a quest'ennesima presain giro è stata l'intenzione di ri­correre nel prossimo futuro adun'azione legale in virtù delmancato rispetto dell'accordo.Un'azione legale nata nelleistituzioni borghesi e che sisvolgerà nei tribunali borghe­si, un mondo che si è dimo­strato a conti fatti ben lontanodalla realtà dei lavoratori edelle loro famiglie lasciatiancora una volta nell'incubodella miseria.

Mentre scriviamo, i lavoratoriin assemblea hanno deciso diproseguire la lotta ponendoall'ordine del giorno la gestio­ne operaia e l'esproprio dellafabbrica. Sono intenzionati aproseguire per riprendersi illavoro che è stato loro tolto.Alternativa comunista e i suoimilitanti appoggiano i lavo­ratori nella loro intenzione dinon cedere ai tavoli istituzio­nali e sostengono la gestioneoperaia dell'azienda. La crisidel sistema capitalistico hamostrato fin troppo chiara­mente come le istituzioniborghesi e le aziende privateconcorrano assieme versol'unica via che questo sistemaè in grado di dare: la pri­vatizzazione dei profitti e lasocializzazione delle perditesulle spalle dei lavoratori. Oramancano persino quelle pochebriciole che i padroni lascia­vano cadere dai tavoli istitu­zionali in passato. Mai comeora solo la lotta paga!(15/06/2013)

Reportdaunafabbricainlotta:OmCarrellidiBari

E la partita non è ancora finita!

Stefano Bonomi

La vertenza dell'ospedaleSan Raffaele di Milano inquesti mesi ha rappre­sentato senza ombra di

dubbio uno dei momenti più si­gnificativi del conflitto sociale inambito sanitario a livello naziona­le, anche e soprattutto conside­rando tutto il contesto in un cui si ècollocato. La vertenza ha, infatti,rappresentato un progetto pilotanella strategia padronale che nelcorso degli anni ha favorito losmantellamento del servizio sani­tario pubblico a favore dei profittiprivati. La vicenda del San Raffaeleha dimostrato ampiamente

l'intento di consegnare un serviziodi qualità nelle mani di pochegrandi caste imprenditoriali. Unprocesso degenerato nel corso deltempoecheoggisipalesaintuttalasua mostruosità: la conversionedella salute in merce. Dopo mesi dilottefattedapresidi,blocchiescio­peri con lo spettro di una repres­sionesemprepiùevidentedapartedell'Amministrazione, dopo unatrattativa in Regione durata dicias­sette ore, il 10 maggio è stata siglatala nuova ipotesi d'accordo che èstato poi ratificato il 17 maggiodallaRsuedatutteleorganizzazio­ni sindacali a seguito di sei as­semblee con i lavoratori.Le assemblee, alle quali hanno

partecipato oltre 1500 lavoratori, sisono concluse con un pressochétotale plebiscito. Appoggiamoalcune considerazioni contenutein vari comunicati diramati dalsindacato di base che proprio alSan Raffaele ha la maggioranza as­soluta degli iscritti e dei delegati:riteniamo positivo che rispetto alprecedente accordo firmato a Ro­ma e bocciato dai lavoratori, sonocambiati alcuni punti di grande ri­lievo. A seguito di questo accordosono salvi tutti i posti di lavoro eazzerati i licenziamenti, respinta laderoga alle voci salariali delContratto nazionale e respinto ilpassaggio al contratto della Sanitàprivata. Sono ritirati, inoltre, tutti i

pesanti provvedimenti disciplina­ri, emanati dall'amministrazionenei confronti dei lavoratori che nelcorso delle lotte avevano superatole ore d'assemblea previste.

Una lotta importantePur valorizzando gli obiettiviraggiunti con la lotta, nonintendiamo esaltare l'accordo, co­sì come stanno facendo alcune si­gle sindacali e politiche. Unaccordo che in ogni caso ha dei li­miti da un punto di vista sindacalee nello specifico in merito alloscambio tra salario e occupazione.Quella del San Raffaele è stata unalunga e difficile vertenza, in rispo­sta ad un pesante attacco da partedell'Amministrazione,

che ha salvato non so­lo posti di lavoro, ma anche l'ero­gazione di servizi ai pazienti. Unavertenza molto forte poiché haprodotto uno scontro, con i lavo­

ratori e con la Rsu, partico­larmente duro, e i delegati hannodovuto far fronte, oltre agli attacchirepressivi della direzione azienda­le, anche agli attacchi dei sindacaticonfederali, che in varie circo­stanze non hanno perso l'occasio­ne per cercare di screditare tutta la

Rsu arrivandopersino ad additarla come re­sponsabile dei licenziamenti.Lagrandeegenerosaresistenzadeilavoratori, della Rsu, e l'azione di­retta e solidale del Coordinamento

dei Lavoratori Ospedalieri Mila­nesi, queste sì sono le cose chevanno esaltate!La lotta, pur con i sacrifici ad essaconnessi, paga sempre e quella delSan Raffaele ne è la dimostrazionepiù evidente. Solo la perseveranza

e la lotta dei la­voratori portanoad ottenere deirisultati concretianche se, al mo­mento, parziali.I militantid'AlternativaComunistainvitano tutti ilavoratori a ri­manere vigili ea non smobili­tare rispettoalla tutela deipropri posti dilavoro.Costruiamocomitati dilotta territo­riali collegatitra di loro, a li­vello nazio­nale einternazio­nale, comitatidei lavoratoridella Sanità e

contro le privatizzazioni. Perservizi sociali pubblici e gratuitisotto il controllo dei lavoratori edegli utenti! Uniti e in lotta si vince!(13/6/2013)

San Raffaele: lavoratori 1 – speculatori 0

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8 Estate 2013 PROGETTO COMUNISTANO AUSTERITY!

Si rafforza il coordinamento delle lotteNuovi passi in avanti del Coordinamento No Austerity

Matteo Bavassano

Dalla sua nascita sei mesi fa, ilcoordinamento No austerityha fatto una serie di passi inavanti verso il suo obiettivo

cardine: riuscire a coordinare le princi­pali lotte operaie e popolari. Dopo leprime due assemblee nazionali – scatu­rite dalle necessità di una serie di lavo­ratori in lotta, dagli operai della Fiom edella Cub dello stabilimento Ferrari diMaranello ai lavoratori dell'Esselungadi Pioltello agli immigrati del Coordina­mento migranti di Verona, per citarnesolo alcuni – è stata definita una piatta­forma rivendicativa del coordina­mento.Particolarmente importante è stato ilsupporto dato da No Austerity lavo­ratori in lotta delle cooperative della lo­gistica: dopo la loro partecipazione alNo padroni day (2 febbraio) orga­nizzato a Maranello da No austerity edopo la partecipazione di No austerityagli ultimi due scioperi generali dellalogistica nonché a varie manifestazionie presidi promossi dai lavoratori delSi.Cobas (la manifestazione del 6 aprilea Piacenza contro il foglio di via ad AldoMilani, coordinatore nazionale delSi.Cobas; il 1° maggio a Piacenza; il 1°giugno a Bologna contro i licenzia­

menti subiti dai lavoratori della Grana­rolo), No Austerity è ormai parteintegrante delle lotte della logistica.

Uno strumento per le lotteParallelamente all'intervento a soste­gno dei lavoratori delle cooperative,che, in quanto rappresentano al mo­mento il settore di lotta più avanzato eattivo, sono uno dei settori principalidell'intervento di No austerity, è conti­nuato il lavoro per unire le lotte, che si èconcretizzato nel supporto portato da­gli operai della Ferrari di Modena, tracui i delegati della Fiom e della Cub, aglioperai delle acciaierie Valbruna a Vi­cenza che, col supporto della Cub di Vi­cenza (che aderisce a No austerity)hanno scioperato contro i licenzia­menti decisi dall'azienda.Nei primi mesi di vita, No austerity ècresciuto includendo nuove realtà (ve­di l'adesione del Coordinamento pu­gliese lavoratori in lotta) ed hacominciato a strutturarsi operativa­mente, per esempio con la stampa e ladiffusione di un bollettino informativonei luoghi di lavoro e nelle varie mani­festazioni e presidi. Si sta lanciando a li­vello nazionale una cassa di resistenzaper sostenere i licenziati politici, checon i primi proventi cercherà di aiutare ilicenziati dell'Esselunga di Pioltello e

del Gigante di Basiano. È già partitainvece una campagna internazionaledi solidarietà con i lavoratori della FiomFerrari di Modena, che subiscono nellostabilimento in cui lavorano una durarepressione a causa della loro indispo­nibilità a piegarsi al modelloMarchionne.

Una dimensioneinternazionale

Anche la dimensione internazionale èfondamentale per No austerity: se, co­me ormai è chiaro, il capitale attacca ilavoratori in tutto il mondo, anche la ri­sposta dei lavoratori deve essere il piùpossibile unitaria a livello internazio­nale. Per quanto questo sia un compitoimpegnativo, No austerity ha dato e stadando il suo modesto contributo: comedeciso all'assemblea fondativa di di­cembre in seguito a un invito fatto allastessa assemblea da un compagno diri­gente del sindacato di base Csp­Conlu­tas, No Austerity ha partecipato allaConferenza sindacale internazionaleche si è tenuta a Parigi alla fine del mesedi marzo e che ha dato vita alla Retesindacale internazionale di solidarietàe di lotta, alla quale No austerity ha de­ciso di aderire.Da qualche mese si è aperta una nuovafase nella costruzione di questo coordi­namento: dopo l'iniziale aggregazionea livello nazionale, stanno prendendovita comitati locali di No Austerity.Particolarmente importante quello diMilano, sorto a seguito di un'assembleatenutasi l'11 maggio a Pioltello, con lapartecipazione di lavoratori del SanRaffaele, della Ri­Maflow, della Jabil­Nokia e di altre realtà del territorio co­me il movimento No Tem. Da quella as­semblea si è costituito un gruppo dilavoro con diverse realtà, da cui è scatu­rito un primo nucleo di attivisti di Noausterity formato dai compagni piùattivi delle lotte nella zona della Marte­sana (zona est di Milano), tra cui espo­nenti del movimento No tem e dellaRete di sostegno attiva Jabil­Nokia. Almomento, il comitato No austerity Mi­

lano ha partecipato alla importantegiornata di manifestazione degli immi­grati a Milano del 15 giugno ed ha anchecominciato a programmare delle ini­ziative per raccogliere fondi per la cassadi resistenza per i licenziati politici.Ovviamente a queste iniziative siaggiungerà il supporto militante a scio­peri e lotte, come alla Ibm di Vimercatee di Segrate, dove l'azienda ha giàannunciato forti tagli al personale:abbiamo preso contatto con un dele­gato Rsu della Fiom che ci ha chiesto dipartecipare alle prossime iniziative chei lavoratori stanno programmando.

È solo l'inizio!Milano non è la sola città dove è statocreato un vero e proprio coordina­mento territoriale: sono già in pro­gramma altre assemblee per lanciare

No austerity nei vari territori.Un'importante iniziativa mentre scri­viamo è in programma a Lecco il 20 giu­gno. Questi sono solo i primi passi perdare una struttura territoriale a No au­sterity, coordinando le lotte dal basso,partendo dagli attivisti più coscienti ecombattivi, sempre nella prospettiva dicoordinarsi a livello nazionale, sullabase di una piattaforma di classe. Adoggi questa piattaforma non ha pari inItalia per radicalità.I militanti del Pdac partecipano conconvinzione alla costruzione di No au­sterity nei vari territori: come sempre,infatti, ci battiamo per l'unità delle lottedei lavoratori e delle lotte sociali nellaprospettiva di rovesciare questo siste­ma di sfruttamento. Solo con l'unità ditutte le lotte si può farla finita una voltaper tutte con il capitalismo. (15/6/2013)

DemocraziainFerrariecassadiresistenzaLe prime campagne di No Austerity ­ Coordinamento delle lotte

Daniele Cortinovis

Il 15 Dicembre 2012, con un'as­semblea tenutasi a Cassina De'Pecchi (Mi), convocata da lavorato­ri rappresentanti delle lotte più ra­

dicali dell'Italia settentrionale, nascevaNo Austerity ­ Coordinamento dellelotte. Uno dei metodi d'azione delcoordinamento, a cui ha aderito anchePdac, è quello di creare una reale unitàfra le lotte (il contrario di quello che vienefatto sistematicamente dalle burocraziesindacali) con l'obiettivo di favorire lacrescita delle mobilitazioni ancoratroppo deboli in rapporto agli attacchipadronali, guardando all'esempio degliscioperi e delle imponenti manifestazio­ni che si svolgono negli altri paesi euro­pei come Grecia, Spagna e Portogallo.Fra i primi lavoratori in lotta che hannosentito l'esigenza di creare questocoordinamento – e che continuano a so­stenerlo attivamente – ci sono (il nomeNo Austerity arriva proprio da una loroproposta) gli operai in lotta di Fiom eFlmuniti Cub della Ferrari di Maranello.

Ferrari: di rampantec'è la repressione

Dall'inizio del 2012 nello stabilimentodella Ferrari di Maranello si applica il

contratto nazionale Fiat e il cosiddettomodello Pomigliano. Questo contratto siè subito svelato per quello che è: unattacco frontale ai lavoratori attraverso ilricatto che ha portato in regalo agli ope­rai aumenti dei ritmi di lavoro e decurta­zione di stipendi a chi si ammala e alledonne in maternità. Così, chi si è rifiu­tato di firmare il contratto ha subito unaforte repressione. I delegati della Fiom,primo sindacato per numero di adesioniin Ferrari, hanno perso tutti i minimi di­ritti sindacali e non possono convocareassemblee né partecipare a trattative. Gliunici che possono fare una contrattazio­ne sindacale restano quindi i sindacatiobbedienti (Film, Uilm, Fismic) checontinuano a ratificare le decisionidell'azienda.Il servilismo di questi sindacati hapermesso, ad esempio, all'azienda diimporre un aumento dell'orario di lavo­ro per alcuni operai della fonderia e dellameccanica da sette a otto ore notturne,un provvedimento grave che, oltre apeggiorare le condizioni dei lavoratori,aumenta anche il problema della crisioccupazionale del territorio. I lavoratori,in risposta a quest'imposizione, hannoraccolto centinaia di firme con la richie­sta di convocare un' assemblea controquesto provvedimento. Da quel mo­mento è partita la rappresaglia

dell'azienda che ha convocato i firmatarie ha inflitto ai delegati Fiom sospensionidal lavoro con conseguenti riduzionidella busta paga.Riteniamo intollerabile il comporta­mento dei sindacati filo­padronali che,anziché solidarizzare coi lavoratoricolpiti dalle sanzioni, li hanno attaccaticon comunicati in cui li definivano“bambini capricciosi”.Ci impegniamo a sostenere, con unappoggio militante, l'appello diffuso daNo Austerity, attraverso tutte le forme dilotta che saranno intraprese, richie­dendo che: siano ritirati i provvedimentidisciplinari inflitti ai danni degli attivistisindacali; sia garantito il diritto disvolgere assemblee in cui lavoratori chehanno raccolto centinaia di firme possa­no decidere sugli orari di lavoro; sia datain Ferrari e nel gruppo Fiat la possibilitàai lavoratori di eleggere i loro rappre­sentanti.Sono diverse centinaia le firme giàraccolte: tra i sostenitori della campagnaci sono rappresentanti delle principalirealtà di lotta in Italia, ma anche decinedi organizzazioni sindacali e combattivedi molti altri Paesi. Invitiamo tutti e tuttea leggere l'appello sul sito di No Austerity(www.coordinamentonoausterity.org) asottoscriverlo e a diffonderlo.

No Austerityapre una cassa di resistenza

Lo scorso 11 maggio, all'Arci Mala­brocca di Pioltello, si è tenuta un'as­semblea pubblica promossa da NoAusterity con il titolo “Viaggio nellosfruttamento. Le cooperative del lavo­ro”, un incontro dove, oltre agliinterventi di rappresentanti di lotte dilavoratori, come quelli dell'ospedaleSan Raffaele, della Ri.Maflow e della Ja­bil, sono state denunciate una volta dipiù le durissime condizioni di sfrutta­mento cui sono sottoposti i lavoratoridelle cooperative della logistica. Moltoimportanti sono state le relazioni didue compagni protagonisti nelle lottedelle cooperative: Luis Seclen leader

della lotta all'Esselunga di Pioltello eMohamed Arafat, principale dirigentedella lotta all'Ikea di Piacenza:entrambi, nei loro interventi, hanno ri­marcato l'importanza dell'unione fra ilproletariato nativo e quell'immigrato.Il dibattito ha portato alla decisione dicreare una cassa di resistenza che aiutieconomicamente i lavoratori in lotta.Numerose iniziative si stanno svi­

luppando in queste settimane a soste­gno dei lavoratori della logistica. NoAusterity contribuirà promuovendouna cassa di resistenza per i licenziatidell'Esselunga di Pioltello e del Gigantedi Basiano. Una campagna che vuoledimostrare concretamente ai lavo­ratori che nelle lotte non saranno maisoli. Solo uniti vinceremo!(13/06/2013)

No Austerity al presidio No Eternit al processo di Torino

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GGIIOOVVAANNII ddii AALLTTEERRNNAATTIIVVAA CCOOMMUUNNIISSTTAAFoglio dei giovani del Partito di Alternativa Comunista sezione italiana della Lit-Quarta Internazionale

Dal referendum di Bologna alle lotte di domaniAdriano Lotito

La scuola privata funzionameglio. Gli studenti sonopiù preparati. L'istruzioneha un livello di efficacia e

selettività maggiore. Bisognaadattarsi alle dinamiche globali.Non possiamo permetterci dispendere soldi pubblici per lascuola e le università statali.Quante volte abbiamo sentito que­ste affermazioni? Quante volte cihanno ripetuto questi dogmi?Tele­visioni, giornali, politici, ministri,specialisti di un qualche ramoparticolare del sapere accademico,non fanno altro che propinarci,ogni qualvolta si affrontano questotipo di discussioni, il grande co­mandamento della contempora­neità: privato è meglio! Eppure loscenario che si è concretizzato do­po vent'anni di logiche privatisti­che in campo scolastico euniversitario non è dei migliori, perutilizzare un eufemismo.A oggi, l'Italia è uno dei Paesi euro­peiconilpiùaltotassodidispersio­ne, e quindi con la più altapercentuale di popolazione tra i 18e i 24 anni in possesso solo della li­cenza di scuola secondaria supe­riore di primo grado: quasi il 20%,un ragazzo su cinque. Questo è ildato nazionale, ma ci sono regioninel Sud del Paese che arrivano al25%, uno su quattro, a cui siaggiunge un calo dei docenti del22% rispetto al 2006; mentre in me­rito all'università sono da registrareben50milaiscritti inmenonel2012rispetto all'anno precedente (co­me se un intero ateneo come laStatale di Milano sia sparito tuttod'un tratto). In questo articolo simetteranno a punto alcune rifles­sioni in merito alla questionepubblico/privato nelle scuole enelle università a partire dal tantolodato quanto vituperato refe­rendum di Bologna del 26 maggio.In conclusione si proverà a elabo­

rare una prospettiva alternativacon la quale approcciarsi al tema inquestione e per mezzo della qualearrivare preparati ai conflitti delprossimo periodo.

Il referendum di BolognaIl giorno 26 maggio, i bolognesi so­no stati chiamati ad esprimersi suifinanziamenti pubblici alle scuoleprivate:unmilionedieurocheognianno il Comune elargisce allematerne private, la cui quasi totali­tà è gestita da istituzioni cattoliche(25 su 27). Due le possibili sceltesullascheda: l'opzioneAprevedevache i fondi fossero destinati soloalle scuole pubbliche; l'opzione Balle private paritarie. Il voto per laprimaèstatosponsorizzatodalCo­mitato Articolo 33 (presieduto daRodotà e promotore del refe­rendum stesso) e sostenuto da Sel eM5s. Il voto per la seconda ha vistoinvece il sostegno di tutta la criccacittadina e nazionale del centrosi­nistra (giunta Merola, Prodi, Renzi,Fioroni) e chiaramente della Curia.Il referendum non aveva valoreabrogativo, ma solo consultivo. Lanostra posizione rispetto a tutte lecampagne referendarie noncambia: non bisogna nutrire illu­sioni in questi strumenti di “vo­lontà popolare” perché le decisionivengono prese in ultima istanzasempre in conformità agli interessidei potentati economici. Eppurel'indicazione espressa dalla citta­dinanza bolognese è inequivoca­bile: il 59% ha detto che quelmilione di euro oggi dato alle pari­tarie deve essere usato per le scuolecomunali e statali. Risultato chiarocome altrettanta chiara è stata lareazione del sindaco Virginio Me­rola, il quale ha subito affermatoche in ogni caso procederà con i fi­nanziamenti alle private, per darecontinuità al “virtuoso” modelloemiliano che vede affiancarsi allescuole pubbliche le cosiddetteparitarie. Un modello che è stato

inaugurato a livello nazionale pro­prio da un governo di centrosini­stra:si trattadelgovernoD'AlemaIIche il 10 marzo del 2000, nellapersona del ministro all'IstruzioneBerlinguer, promulgava la legge 62,“Norme per la parità scolastica edisposizioni sul diritto allo studio eall'istruzione”. Si tratta della primalegge che di fatto equiparava lescuole private alle scuole pubbli­che in materia di finanziamentipubblici. Anche in campo uni­versitario, il primo passo in direzio­ne dello smantellamento delpubblico è stato fatto da un go­verno di centrosinistra: il Prodi IIche nel luglio del 2007, con il decre­to Bersani, conferiva per la primavolta ad una università pubblica lapossibilità di convertirsi in “fonda­zioni di diritto privato”. Un segnoinequivocabile di come la scelta dicampo fatta dal Pd, e prima ancoradai Ds, non sia mai statacontingente, ma in linea con la suapropria essenza di classe: capitali­sta, per l'appunto, e dunque pri­vatistica. Ma la volontà disubordinare l'istruzione alle logi­che aziendali evidentemente nontrova il sostegno di larghe masse distudenti e lavoratori che da anni sibattono contro la privatizzazionedei saperi, trovando l'opposizionecompatta di quel blocco socialereazionario rappresentato dal Pd­Pdl, oggi finalmente uniti in mododa disilludere definitivamente ognipossibile credenza in una realeopposizione tra le due forze. Unapiccola nota anche su Sel, che aparole ha sostenuto l'opzione A alreferendum. Non ci spieghiamocome mai Vendola continui a fi­nanziare le scuole private nella re­gione che governa, la Puglia, in cuiogni anno nel bilancio regionale,compare una cifra di un milione dieuro destinata appunto all'istru­zione privata (mentre numerosescuole pubbliche consistono instrutture fatiscenti e c'è una forte

carenza di alloggi universitari).

Pubblico o privato? Peruna nuova prospettiva

Ma cosa significa per noi ripubbli­cizzazione dei saperi? Una do­manda per nulla scontata,sebbene possa apparire tale. Anzi,sarebbe meglio parlare di “pubbli­cizzazione” dei saperi. Infatti, puòsembrare assurdo, ma il sistemadell'istruzione in realtà non è maistato pubblico in quanto tale. Nonè mai stato posto al servizio del“bene comune” e non è mai statosubordinato alla “sovranità popo­lare” in quanto entrambi i concettiper noi non hanno alcuna ragiond'essere. Non è mai esistito un“be­necomune”,cosìcomenonsièmaiavuta una reale, e non soltanto co­stituzionale, “sovranità popolare”.La formazione e la trasmissionedel sapere sono state sempresubordinate a logiche private nellamisura in cui hanno sempre rispo­sto, nelle forme e nei contenuti,agli interessi di una specifica classesociale, la classe che ha in mano leleve dell'economia, la classe capi­talistica. Per questo, lottare controil processo di aziendalizzazionespietata cui stiamo assistendo ne­gli ultimi anni, non significa pernoi esprimere nostalgia nei

confronti della scuole come “entidi diritto pubblico” la cui gestioneanche in passato è sempre statalottizzata dai gruppi di potere poli­tici ed economici.Noi non vogliamo nessun “ri­torno”. Sia chiaro. Questo è l'ele­mento che ci distingue dal restodella sinistra “del pubblico”, che èstata definita più volte da Monti,non senza ragione, comeconservatrice nella misura in cuiguarda al passato. Noi guardiamoal futuro, lottiamo per una nuovaprospettiva sociale ed economica,una nuova prospettiva di gestionedei saperi. Una prospettiva sociali­sta, l'unica in grado di garantirel'effettiva liberazione dei saperidallemaglieasfissiantidelmercatoe della finanza globali. La scuola el'università per cui lottiamo devo­no superare le separazioni classi­ste di questa società, devonoridefinire il contenuto e il ruolo delsapere in modo che questo nonrappresenti più uno strumentomeramente funzionale alla ripro­duzione delle logiche capitalisti­che; e per far questo è necessarioinevitabilmente che il sapere nonsia astratto, ma si colleghi, nellalotta di studenti e lavoratori, a unaprospettiva di classe, alla pro­spettiva della classe operaia, allaprospettiva del potere operaio.

Nello stesso tempo, come causa econseguenza di quanto detto, è diprimaria importanza per noi ri­vendicare un piano di riorga­nizzazione della scuola edell'università sotto il controllo dilavoratori e studenti, di contro eoltre alle minimali ma inevitabilirivendicazioni della cancellazionedei finanziamenti alle scuole pri­vate e della cancellazione delleingerenze di enti privati nella ge­stione delle stesse. A ben vedere sitratta di una prospettiva diversa,realmente alternativa. Una pro­spettiva che si traduce inun'alternativa di potere e in altrerivendicazioni ugualmentefondamentali e in grado diconcretizzare i principi suddetti:lottiamo per un reddito studente­sco in forma indiretta, che prevedail comodato d'uso dei libri di testo,l'accesso libero e gratuito a mense,alloggi, trasporti, luoghi di culturae di intrattenimento; lottiamoperché gli studenti e le studentessepossano giocare realmente unruolo attivo e incisivo nella tra­smissione dei saperi, istituendonelle scuole superiori unacommissione paritetica docenti­studenti che abbia la possibilità dielaborare autonomamente i pro­grammi di offerta formativa e imetodi di didattica e lottando peruna democratizzazione so­stanziale degli organi di gestioneuniversitari, eliminando sia il po­tere cristallizzato delle baronie siala presenza degli enti privatiaziendali nei consigli di ammini­strazione degli atenei.Ma per fare questo è innanzituttoindispensabile rivendicare e lotta­re per la cancellazione di tutte lemisure repressive che punisconole lotte di studenti e lavoratori:cancellare voto di condotta, so­spensioni facili, bocciature politi­che, tetti massimi di assenze,ordini di servizio per i docenti. Lalottaelacapacitàchemetteremoincampo contro i dispositivi repres­sivi della macchina capitalisticasono le condizioni preliminari perogni successo futuro. Perché l'uni­ca cosa certa è che ci attacche­ranno, in modo spietato, comedimostrato dalle numerose e bru­tali repressioni cui abbiamo assi­stito nell'ultimo periodo. E noidovremo rispondere con determi­nazione, unendoci alle lotte delproletariato industriale e terzia­rizzato, costruendo una direzioneconsapevole e disciplinata delconflitto, lottando per un pro­gramma di rivendicazioni transi­torie che possa collegare, per quelcheriguardascuolaeuniversità,gliobiettivi immediati di fermare losmantellamento dell'istruzionepubblica con la prospettiva dilungorespirodicostruireunnuovomodello dei saperi per un nuovomodello di economia e società: ilsocialismo. (13/6/2013)

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II GIOVANI di ALTERNATIVA COMUNISTA

Davide Primucci

Qui di seguito, una brevecronaca di quantoaccaduto nel mese dimaggio a Milano e Bo­

logna, in merito a due casieclatanti di repressione del dis­senso universitario per manodella polizia: lo sgombero dellalibreria ex­Cuem di Milano e latentata occupazione poliziescadi Piazza Verdi a Bologna.

Ex­Cuem: lo sgomberobrutale e la resistenza

studentesca

Ai primi di maggio, gli occu­panti dell'Ex­Cuem hanno assi­stito all'ennesimo attacco daparte della dirigenza dell'ate­neo ad un'esperienza di lottadentro e contro l'università. Lalibreria autogestita Ex­Cuemaveva ridato vita ad un luogo datempo abbandonato,riempiendolo delle parolecardine dell'autogestione, dellacondivisione, della lotta politi­ca. La libreria autogestita Ex­Cuem di Milano è stata infattisgomberata e svuotata con bru­talità dal rettore, che ha decisodi mettere nuovamente sottoattacco un percorso che a parti­re dalla ripresa di un aspettocardine del diritto allo studio,l'accesso ai saperi, ha saputomuovere diversi passi in più,contestando l'intera strutturadel sapere universitario e deisuoi processi di governance.Quella mattina il rettore hachiamato la celere che ha fattoirruzione negli spazi occupatisgomberandoli con la forza. Glistudenti sono stati sgomberatidalla polizia dopo ripetute cari­che e manganellate. In questoperiodo di tagli al sistema uni­versitario, la gestione dell'uni­versità, i problemi di spazi,

libertà di cultura e saperi,vengono gestiti sempre più co­me problemi di ordine pubbli­co. Erano anni che non si vedevaentrare la celere in sede uni­versitaria per sgomberare unospazio occupato. Il giorno dopolo sgombero, mentre alla Stataledi Milano proseguono le ini­ziative per riappropriarsi dellalibreria autogestita Ex­Cuem,studenti e studentesse di di­verse città italiane hanno orga­nizzato azioni e presidi percondannare l'intervento dellapolizia all'interno dell'ateneomilanese e portare solidarietàall' Ex­Cuem.A Roma, gli studenti universita­ri della Sapienza hanno occu­pato la sede della Crui, laconferenza dei rettori italiani,tra le figure simbolo di chi inquesti anni, di fronte alle mobi­litazioni studentesche, hasempre agito in difesa dei pro­pri privilegi e interessi,appoggiando direttamente oindirettamente la distruzionedegli atenei italiani e auto­rizzando la chiusura di spaziautogestiti come nel caso delrettore Vago della Statale di Mi­lano. Con l'irruzione della poli­zia, richiesta da rettore e Cdaper sgomberare la libreria Ex­Cuem autogestita, anche larealtà è entrata nelle muraovattate dell'università. Unavergogna che crea un prece­dente inaccettabile per l'ateneomilanese e per gli atenei di tuttaItalia, ma un episodio perfetta­mente in linea con i tempi cheviviamo: da Niscemi alla Val Su­sa, da Napoli a Bologna, da Ro­ma a Torino a Palermo la logica èla stessa.L'austerity dipinge lo stessoscenario ovunque, dietro belleparole come democrazia e dia­logo, si nasconde un meccani­smo volto a tutelare gli equilibri

di potere (che comincianolentamente a sgretolarsi) e gliinteressi di pochi. Quando il ve­lo si squarcia e le contraddizio­ni si mettono a nudo,rimangono soltanto i manga­nelli e i dispositivi polizieschi.Ed è cosi che quegli stessisoggetti che hanno spro­fondato il presente in una palu­de di miseria, solitudine edisperazione hanno anche ilcoraggio di proporre delle solu­zioni presentandole come ne­cessarie, scagliando le forzedell'ordine su chiunque si orga­nizzi senza e contro di loro. Stu­denti universitari, lavoratori insciopero, famiglie sfrattate, mi­granti, popolazioni in lotta echiunque resiste sono sullastessa barca della crisi. E sonoconsiderate alla stessa streguacome problemi da cancellare.

Napoli: la solidarietà distudenti e lavoratori

contro sbirri e fascisti

Partendo da questi presuppo­sti, gli studenti dell'Ex­Cuemhanno lanciato una giornata disolidarietà in tutta Italia che haraccolto l'adesione degli stu­denti di diversi atenei. “Austeri­tà e polizia fuori dalle nostrevite”, queste le parole d'ordinedi una giornata in cui la rispostarepressiva dello Stato non si èfatta attendere: a Napoli, uncentinaio di studenti e ri­cercatori dei collettivi erano inpresidio sotto la Prefettura doveera presente il ministrodell'istruzione Carrozza. Nellastessa piazza, a pochi metri, inmezzo alla protesta di unatrentina di lavoratori, si sonoaggiunti, all'insaputa degli stu­denti, alcuni nazifascisti ade­renti a Forza Nuova che hannocominciato a provocare il presi­dio studentesco. A quel punto la

tensione è salita e la polizia haviolentemente caricato gli stu­denti ferendo e fermandonealcuni. Polizia e fascisti eranoevidentemente schierati insie­me, nel tentativo di aggredire edisperdere il presidio studente­sco in solidarietà all'Ex­Cuem. Icollettivi napoletani hannoanche denunciato e smentitocon forza qualunque ricostru­zione della giornata (già fatta daalcuni giornali, tipo Repubbli­ca), sconfessando la tesi della“rissa tra lavoratori e studenti”.Diversi lavoratori hanno infatti,in seguito alla duplice aggres­sione di fascisti e polizia, dimo­strato apertamente la lorosolidarietà agli studenti dichia­rando la loro estraneità ai fasci­sti.

Bologna: riprendiamociPiazza Verdi!

Dopo i fatti dell'Ex­Cuem, la re­pressione contro le iniziativestudentesche non si è certo

fermata. Il 23 maggio, nella sto­rica piazza Verdi a Bologna, du­rante un'assemblea pubblica distudenti e lavoratori, polizia ecarabinieri hanno tentato disciogliere l'assemblea e nono­stante le cariche, gli studentihanno resistito alla polizia. Po­chi giorni dopo i collettivi bolo­gnesi lanciano un'altraassemblea pubblica di analisisui fatti del 23. Questa volta glistudenti trovano lo schiera­mento di celerini che non vo­gliono lasciarli entrare inpiazza, ma dopo poco tempo siaggiungono altri studenti e allafine saranno loro a respingere ilcordone delle forze dell'ordineche viene letteralmentecacciato dalle centinaia di uni­versitari presenti. Un esempiodi conflitto sociale che pro­mette di avere la sua durata.Forte è stata la volontà degli stu­denti e delle studentesse diesercitare in manieraconflittuale il proprio diritto diriunirsi in assemblea tanto da

riuscire a mettere in fuga le isti­tuzioni dell'un per cento.Tornando sull'Ex­Cuem: rite­niamo inaccettabile che rettorie atenei rispondano con la forzae l'irruzione della polizia inUniversità. Non siamo nuovi aquesto tipo di episodi dove larichiesta di intervento delleforze dell'ordine contro gli stu­denti ogniqualvolta venganoespresse istanze di rottura econflitto diventa prassicorrente e testimonia dellaprogressiva riduzione deglistrumenti di mediazione messiin campo dalle istituzioni(accademiche e non) neltentativo di silenziare forme didissenso alla loro crisi ormaidilagante. I Giovani diAlternativa comunista espri­mono la massima solidarietà astudenti e studentesse in lottaper riappropriarsi degli spazicomuni, contro le prepotenzedi rettori e polizia. La lotta nonsi ferma! (13/06/2013)

Università: cresce la lotta, cresce la repressione!Gli ultimi episodi di repressione delle lotte

Nicola De Prisco

La A.Di.S.U. (Azienda peril Diritto allo StudioUniversitario) Ateneo“Federico II”è un organi­

smo dotato di personalità giuri­dica pubblica ed autonomiaamministrativa e gestionale. Isti­tuita con L.R.n.21 del 03/09/2002con lo scopo di rimuovere gliostacoli di ordine economico e so­ciale che impediscono agli stu­denti capaci e meritevoli l'accessoe la frequenza ai corsi universita­ri e post­universitari, l'Azienda,in conformità a quanto previstodal D.Lgs. 68/2012, fornisce aglistudenti iscritti all'Universitàdegli Studi di Napoli “Federico II”borse di studio, alloggi nelle casedello studente, ristorazione tra­mite esercizi convenzionatiall'interno e nei pressi delle fa­coltà. Questo è quello che ci dicela home page dell'Adisu dell'ate­neo più prestigioso dellaCampania. Purtroppo la realtà cidice tutt'altro. Vediamo perché.

Borse di studioQuest'anno, tra gli immatricolatidella Federico II, soltanto 433

studenti, su un totale di 2790aventi diritto, riceverannoeffettivamente la borsa di studio,quindi soltanto il 17% del totaledegli idonei. Le borse di studioda molto tempo ormai vengonoerogate sempre più a singhiozzoe gli arretrati si accumulano conuna semplicità disarmante, bastipensare che nel 2012 sono statiemessi mandati di pagamento,in maggioranza inerenti ad anniprecedenti, solo nel mese di di­cembre.

MenseIl servizio mensa è da tempoesternalizzato, affidato cioè a deiprivati, ai quali l'Adisu della Fe­derico II corrisponde 5,16 europer un pasto completo, 3,12 europer un pasto fast food. Lo stu­dente deve quindi recarsi pressoquesti esercizi commercialiconvenzionati, distanti dal ples­so universitario ora qualche me­tro, ora qualche chilometro,esibire una tessera da rinnovareogni anno e pagare 3 euro (adogni pasto). Moltiplicato per ilnumero medio di giorni nei qua­li si dispiega mediamente un se­mestre di corsi (4x4x3=48), fa

144. Ovvero 144 euro per tre mesidi corsi. La qualità del servizionon è sempre impeccabile: nonè raro trovare qualche capello inun piatto di pasta (scotta eraffreddata). Trovare un posto asedere tra l'altro può significareanche aspettare mezz'ora oun'ora: il che non è un dettaglioda poco per chi, come la maggio­ranza degli studenti, ha non piùdi un'ora di pausa tra una lezio­ne e un'altra. Questo quando ilservizio funziona. Succede però,sistematicamente, che almenouna volta per anno accademico,l'Adisu interrompa il servizio perun paio di settimane, causa“mancanza di fondi”.

StudentatiQuesta è forse la questione piùsottaciuta ma non per questomeno grave. Il numero di alloggiriservati agli studenti è estrema­mente basso, in relazione al nu­mero di iscritti: 2 sono leresidenze disponibili, per un to­tale di 209 posti letto, mentre lapopolazione studentesca dellaFederico II è 85769 iscritti:quindi la copertura è per lo 0.2%degli iscritti. Le condizioni perentrare e per rimanerci sonocomplicate: prevedono oltre chesituazioni economiche partico­larmente svantaggiose, ancheun rendimento universitarioparticolarmente elevato. Lecondizioni degli stabili invecesono a dir poco penose: evidentiinfiltrazioni d'acqua nelle mura,barriere architettoniche, dubbiasalubrità dell'acqua corrente,mancato rispetto delle ele­mentari norme di sicurezza. Larealtà è che la vera ragione per laquale poco o nulla si sa sullostato dell'arte degli studentati èche gli utenti stessi che vi abita­no sono costretti al silenzio daun implicito ricatto, per il qualedenunciare significherebbe

nella migliore delle ipotesi l'ini­zio della messa in sicurezza dellestrutture, quindi essere costrettiad abbandonare l'unico tettogratuito disponibile.

Amministrazioneaziendalistica

Quando diversi studenti, l'11marzo scorso sono entrati nelsuo ufficio, chiedendo spiega­zioni, il dir. Amministrativo Pa­gliarulo, non ha saputo fare altroche millantare una gestione piùefficiente e trasparente rispettoa quella precedente. Così traspa­rente che il bilancio dell'aziendanon è consultabile inte­gralmente sul sito dell'Adisu.Così efficiente che sono statispesi, nel 2012, 10.000 euro per il“supporto alla sicurezza

informatica e aziendale”, 29.865euro per il “servizio di supportolegale alle attività del responsa­bile”. Intanto la “tassa regionaleper il diritto allo studio” (ma se èun diritto, perché è a paga­mento?) è passata quest'anno da62 euro a 140 euro per unamaggiorazione complessiva del126%.Ma se l'Adisu ha sempre menoimpiegati (in pochi anni sonopassati da 500 a 94) e i verticidell'azienda si vantano di averottimizzato il lavoro aziendale edi aver eliminato molti sprechidelle amministrazioni prece­denti, che fine hanno fatto i soldipagati per le tasse regionali per ildiritto allo studio? La condizionedei lavoratori tra l'altro, tra arre­trati da percepire e arrogantiatteggiamenti dirigenziali, è in

progressivo peggioramento.Non è difficile quindi inquadrareanche questa questione nelcontesto più ampio dellosmantellamento dell'istruzionepubblica, dell'abbattimento delsalario indiretto o stato sociale,nelcomplessivorendicontocheigoverni borghesi stanno pre­sentando alle masse popolari,nel tentativo di frenare una crisiprovocata dal loro sistema, dellaloro economia, e per mettere alriparo i loro profitti: ultimoprovvedimento in tal senso, inordine cronologico ma non perimportanza, è il taglio, effettuatodal “governo dei tecnici” nellapersona del Ministro Profumo,del 92% del fondo stabilito per leborse di studio a partire dal 2014.(13/6/2103)

Napoli:AdisuFedericoIICome il capitalismo intende il diritto allo studio

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GIOVANI di ALTERNATIVA COMUNISTA III

VertenzaBrauIl racconto di una lotta

La vertenza Brau (Bibliotecadi ricerca di area umanisti­ca) è giunta ad un punto no­dale. Iniziato per le ulteriori

riduzioni di un orario già insuffi­ciente, con il coinvolgimento,seppure in misura diversa, di uncentinaio di persone, tra studenti ericercatori, questo percorso è statosegnato, come tutti i percorsi di lotta,da avanzamenti, stalli, nei quali nonsono mancati i momenti di forte dia­lettica interna e riflussi sconfortanti.Ma vuoi per il momento delicato chele masse popolari stanno attra­versando, vuoi per la voglia di rivalsache investe le parti attive di una ge­nerazione vessata, denigrata etroppo spesso ritenuta sconfitta inpartenza, l'assemblea permanenteBrau in Agitazione ha saputorialzarsi dopo la caduta, restituirecolpo su colpo e rimettere il matchsui giusti binari.

Siamo a dicembreSi concretizza l'ennesimo tassellodello smantellamento costante deldiritto allo studio. Durante l'anno treunità del personale vengono menoper motivi diversi (decesso, pensio­namento, trasferimento); a causa delblocco del turn over, (D.L. 95 del 6 lu­

glio 2012) in ogni università o ente diricerca può essere assunto personaleper una spesa pari al massimo al 20%del costo del personale uscente;aggiungiamoci i tagli all' FFO operatidagli ex ministri Tremonti­Gelmini,ed ecco che l'orario di apertura dellabiblioteca viene brutalmente ri­dotto: si chiude alle 14 per tre giorni asettimana. Tre ore in meno rispettoad un orario di chiusura (16.45) giàridicolo per una qualsiasi struttura diricerca degna di questo nome. Glistudenti si riuniscono in un'as­semblea permanente autodefinitasiBrau in Agitazione e decidono dioccupare il piano terra fino alle 19.

Le rivendicazioniSi rivendica la riapertura di tutti i pia­ni della struttura fino a tale orario,attraverso l'assunzione di nuovopersonale. Ben presto però, data lamassa sempre maggiore di utentiche rimangono oltre l'orario ufficialedi chiusura, si evidenzia una scarsitàdi posti a sedere per studiare. Questospinge gli studenti ad occupareanche il primo piano di palazzoSant'Antoniello. Tra ping pong con ilRettore Marrelli e scontri con la di­rettrice Golia, tra minacce e intimi­dazioni, gli occupanti continuano a

rimanere lì, a cucire i rapporti con ilavoratori nonostante la macchinadel fango messa in piedi dalla diri­genza; riescono a mantenere lastruttura aperta e a resistere. Ma lamancanza di un avanzamento nelleazioni di lotta, una non sempreimpeccabile capacità comunicativae organizzativa da parte delle realtàpolitiche e di movimento, interneall'assemblea, unito al parzialesvuotamento della Brau dovutoall'inizio dei corsi di marzo, determi­nano una fase di stagno e di riflusso,nel quale non mancano i momenti ditensione interna e dove si rischiaanche di buttare all'aria tutto il lavo­ro fatto fino a quel momento. Non èfacile capire esattamente comemuoversi, come uscire dall'isola­mento che si sta creando intornoall'Assemblea.

La strategia del RettoreI dirigenti hanno in mente unastrategia chiara: prendere tempo edattendere l'inevitabile logoramento,creare il vuoto intorno, screditarel'Assemblea agli occhi della largamaggioranza di studenti che vive laBrau, ma che non ha ancora piena fi­ducia nella lotta, e al momento giu­sto affondare il colpo. Quandol'Assemblea decide di occupareanche il secondo piano, la direzionepassa al contrattacco: la bibliotecaviene chiusa, dapprima per un sologiorno, per “mancanza d'acqua”, poia tempo indeterminato per la miste­

riosa sparizione di un testo. Si trattadi un duro colpo dritto allo stomaco,di quei ragazzi e quelle ragazze,utenti abituali o meno della Brau,che da mesi occupano studiando, li­tigando, organizzandosi ed orga­nizzando, giocando echiacchierando nel cortile oppuresocializzando visioni, utopie erabbia al chiuso di una sala compu­ter. Probabilmente, il provvedi­mento dovrebbe aizzare gli studenti“normali” contro quelli “facinorosi”,rei di aver causato la chiusura dellabiblioteca con quella loro mania di“fare i ribelli”.

Dovrebbe...appuntoPerché nella mente della direttrice, odel rettore, o di qualsiasi altro buro­crate borghese, spesso accade chequelle categorie metafisiche e irreali,come “ i normali”, che costituisconole architravi di un'ideologia cheserve a nascondere il decadimentostorico del regime della loro classe, ea perpetrare il dominio della stessa,vengano inconsciamente conside­rati elementi fondanti della realtà:come in un famoso mito di Platonedove le ombre divengono elementireali. E accade infine che su di essevengono fondate analisi, destinateperò a decadere, come il regime didominio della classe sociale chequeste ombre tentano invano disalvare. Poi però la realtà, come i fatti,ha la testa dura. E hai voglia dicomprimerla, nasconderla, dissi­

mularla ed esorcizzarla. Questa ri­spunta sempre da qualche parte,violenta, razionale e reale, come lesagome di una moltitudine disoggetti che appaiono dietro allaporta di una biblioteca, che si spa­lanca brutalmente e che si apre defi­nitivamente.

O quasi...Perché nessuna vittoria è mai defini­tiva fino a quella definitiva… Matorniamo alla nostra storia. Gli stu­denti irrompono di forza nellastruttura, la aprono e calano unostriscione all'esterno che dice “BrauOccupata”, minacciando di restare lìdentro giorno e notte sino alla realeriapertura fino alle 19.00. Il pome­riggio si tiene un'iniziativa sulla Re­sistenza e l'Antifascismo (nella qualeemerge tra l'altro il nefasto ruoloavuto dalla direzione stalinista di To­gliatti) con il prof. Aragno, docente distoria presso la Federico II. È nel belmezzo di questa iniziativa che arrivaun comunicato, firmato dal RettoreMarrelli, e recapitata agli studenti daparte del Presidente del Cab (centrodi ateneo per le biblioteche), con ilquale si annuncia la riapertura dellaBrau dal 30 Aprile parzialmente e dal15 Maggio totalmente, fino alle19.00, come esigono gli occupanti. Aquel punto si tiene un'assemblea,dove la maggioranza, con tono festo­so, si esprime a favore della disoccu­pazione della struttura in attesadell'adempimento della promessa

fatta dal Rettore, stavolta nero subianco.Noi di Alternativa comunista espri­miamo certamente una parzialesoddisfazione, per aver costrettol'istituzione ad esporsi in modo cosìnetto, ma mettiamo subito inguardia rispetto alla dubbia affida­bilità delle promesse borghesi e po­niamo l'accento sul fatto che nelladelibera non si specifica come si sa­rebbe dovuta attuare questa pro­messa, nel timore che le modalitàpotrebbero ledere i lavoratori, adesempio obbligandoli a farestraordinari, oppure modificandonei turni di lavoro senza la loro appro­vazione e senza un'adeguata remu­nerazione. I nostri dubbi hanno poi(purtroppo!) avuto la conferma deifatti: ad oggi infatti, la Biblioteca nonè ancora aperta completamente ecostantemente fino alle 19.00, masolo a piani alterni e grazie aglistraordinari (volontari e adeguata­mente pagati) dei dipendenti. Ora sitratta di mettere il nemico all'angoloe finirlo: approfittare di questaparziale vittoria, di portarla fino infondo, come sempre, con la lotta; ditrasformare, forzatamente, le parolein fatti, reali, concreti e definitivi.Affinché la Brau continui a viveremomenti di condivisione, pranzisociali, iniziative, assemblee, ad es­sere luogo di cultura, socializzazionee resistenza. (13/06/2013)

Giovani di Alternativa ComunistaNapoli

Queimada:l'imperialismovistodaPontecorvoIl grande regista ha sempre rifiutato le analisi politiche convenzionali,Queimada ne è un esempio

Giovanni Bitetto

Queimada: “bruciata” in porto­ghese. L'isola che dà il nomeal film porta nella sua naturaun destino tragico e da queste

premesse non può che venirne fuoriun film cinico e duro. Gillo Ponte­corvo nella sua carriera registica si èsempre occupato di temi politici, rivi­sitando alcuni aspetti controversidella storia e fornendo una chiave dilettura che esula da quellaconvenzionale della storia ufficiale:dall'indipendenza algerina al sepa­ratismo basco, passando per l'orroredei campi di concentramento nazisti;senza dimenticare la sua prolificacarriera di documentarista anche inquesto caso concentrata sull'esplora­zione del modus vivendi delle classimeno abbienti. In Queimada vieneaffrontato lo scottante temadell'imperialismo e ne vien fuori unadura critica che non lascia spazio direplica alle ragioni dell'azione occi­dentale sulle colonie.

Una storia di sfruttamentoe ribellione

Queimada è un'isola immaginariadell'arcipelago delle Antille, da di­versi secoli sottoposta alla domina­zione politica ed economica delPortogallo. La corona britannica,interessata ad ampliare i propricommerci nella zona, appoggia lacausa d'indipendenza della riccaborghesia dell'isola ed invia WilliamWalker (un magistrale MarlonBrando), un agente inglese sotto co­pertura diplomatica incaricato di fo­mentare la rivoluzione borghese aQueimada. Questi, per perseguire ipropri interessi, riesce a coinvolgerenella rivoluzione anche gli schiavi ne­ri dell'isola, servendosi della lea­dership di un uomo moltocarismatico tra i diseredati, José Do­lores (indigeno e attore non profes­sionista, come gran parte di coloro

che interpretano il ruolo degli schia­vi) che lo stesso Walker si è incaricatodi indottrinare ideologicamente. Larivoluzione borghese avrà successo enell'isola s'instaurerà il debole eincapace governo borghese di TeddySanchez.Quando il giovane rivoluzionario JoséDolores infiammerà ancora una voltala sua gente per chiedere l'indi­pendenza economica dall'Inghilterrae l'uguaglianza di tutti gli uomini, sa­rà ancora Walker l'incaricato difermare questa nuova rivolta che saràdomata con l'intervento diretto deicannoni e delle truppe inglesi chebruciando le piantagioni di canna dazucchero faranno uscire allo scopertoi rivoltosi. Ancora una volta l'isola sa­rà bruciata. Walker, ormai disilluso ri­guardo i valori della civiltàoccidentale costretta a ragionare se­guendo solo le logiche del profitto econsumato dal senso di colpa peraver tradito un uomo valoroso come ilsuo antagonista a causa della sua mo­rale cinica e pragmatica, tenterà di farfuggire José Dolores, ma questi rifiu­terà ed accetterà il destinodell'impiccagione che lo attende, perrimanere un esempio da seguire per ifuturi rivoluzionari. Sarà proprio unodi questi ad uccidere, pugnalandolo,l'emissario inglese che stava pertornare in patria.

La violenza capitalistica nelmondo coloniale

Il film che presenta una regia scarna elimpida, per massimizzare la resa di­dascalica della pellicola, si regge sullatensione fra queste due tragiche figu­re: Brando/Walker, l'uomo occi­dentale guidato dalla freddezza e dalcalcolo razionale, che però dentro disé nasconde il disagio della civiltà dacui proviene, tanto da essere co­sciente dei valori ipocriti di cui si faportatore, e Josè Dolores che inseguecon la tenacia dell'istinto un valoreprimordiale da poco riscoperto, oltre

il quale intravede sangue e dolore, mache non vuol più perdere il sognodella libertà; non sa quale strada se­guire né con quali mezzi, ha soltantola certezza che comunque deve lotta­re (memorabile il suo: “Meglio saperedove andare senza sapere come, chesapere come andare senza sapere do­ve”). Alla fine diventerà martire,simbolo, mito perché “le fiamme chebruciano Queimada non possonovarcare il mare, ma non sarà possibilefermare le notizie”.La bravura di Pontecorvo sta nel riu­scire a raccontare una storia che nellasua realistica specificità riesce perinduzione a diventare esempio para­digmatico delle politiche imperiali­stiche atte nel sistema capitalistico.Particolare attenzione viene data alpassaggio dall'imperialismo direttodi stampo colonialista al feticciodell'indipendenza che nascondesemplicemente un neocolonialismodi tipo commerciale; senza dimenti­care la crudezza della guerra civile edel divide et impera: la violenzadell'esercito e delle truppe inglesi èorrenda nel mostrare gli incendi deivillaggi, l'uso dei cani contro i ribelli elo sradicamento della popolazione.D'altra parte anche i ribelli mostranoun aperto spirito di lotta violenta, gliex schiavi non sono tutti fratelli, alcontrario le truppe del costituitostato indipendente che danno lacaccia ai ribelli sono in maggioranzaneri e alcuni di loro deridono cru­delmente il prigioniero Dolores.Mai come in questo momento in cui leforze imperialiste occidentali cerca­no di mettere il cappello all'insurre­zione della masse della PrimaveraAraba un film come questo è attuale eindispensabile da vedere, poiché rie­sce nel difficile intento di svelare glispietati meccanismi che stanno die­tro le dinamiche della politica esteraborghese.

Cinema e rivoluzione

Brau 31/05: pranzo sociale con banchetto pro Rivoluzione Siriana

Il comunicato del Rettore

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IV GIOVANI di ALTERNATIVA COMUNISTA

Brasile:cronacadelCongressodiAnelSi riuniscono studenti provenienti da varie parti del mondo

H. Wilson Silva

Il 2° Congresso dell'Anel èstato caratterizzato dalla so­lidarietà alla lotta dei giovanie dei lavoratori in tutto il

mondo e dalla riaffermazione diuna delle caratteristiche principalidell'organizzazione fin dalla suanascita: l'internazionalismo.

“Hoo...indigeni,potetecombattere, perché l'Anel

vi appoggerà!”

L'evento ha avuto inizio conl'intervento di due giovani indiosdel Mato Grosso do Sul, Sergio Te­rena e Oriel Kayowá che, soddi­sfatti di fare parte del Congresso,hanno riferito di un altro criminecommesso contro le popolazioniindigene brasiliane: l'omicidio, daparte della polizia federale, la seraprima (29 maggio), di Oziel Ga­briel, uno studente della scuolamedia della loro comunità. Dopoun minuto di silenzio, Sergio ri­cordava:“Oggi siamo con un dolo­re profondo nei nostri cuori, masiamo venuti qui per unire le forzecon voi dell'Anel perché sappiamoche in questo congresso troviamosostegno per continuare a lottareper i nostri diritti e contro questotipo di codardia! E che sappiamoche la responsabilità di tutto è delgoverno federale”.

Le Americhe unite nella lottaIn seguito, gli studenti cileni Que­sadas Pedro e Felipe Baez hannopreso la parola per denunciare lasituazione della lotta studentescanel loro Paese. Pedro, che hapartecipato alla ribellione di stu­denti delle scuole superiori nel2006 (“Ribellione dei Pinguini”),ed è stato imprigionato per 72giorni nel 2011 a causa della sualotta per difendere l'istruzione, hadenunciato la mercificazione eprivatizzazione dell'educazione inCile e in tutta l'America latina,attuata dai vari governi, anche di“centrosinistra”, come ad esempioquello di Michele Bachelet nel loroPaese. Un progetto che, citandoFilipe, “può essere bloccato soloattraverso la lotta, cosa che, nelnostro Paese, inizia chiedendo algoverno di nazionalizzare la pro­duzionedelrameedellerisorsedelPaese, investendo i soldi necessariper avere l'istruzione pubblica,laica e di qualità che tutti noi meri­tiamo”.Priscilla Hernandez, poi, ha emo­zionato la plenaria portando i sa­luti degli studenti del Costa Rica alcongresso: “Oggi state facendo lastoria. Nel momento in cui la piùgrande crisi del capitalismo dal1929, spinge il mondo e in partico­lare i giovani, alla povertà e alladisoccupazione, state dando unesempio di forza e resistenza. Statedicendo a voce alta e chiara, che cirifiutiamo di pagare la crisi creatadai governi e dai padroni. Statedando un esempio per tutti noi,giovani e studenti di tutto ilmondo. Si può sognare! Si puòcombattere!” (…) “Purtroppo, intutto il mondo, non sono state po­che le organizzazioni studente­sche che si sono schierate concoloro che, oggi, implementanoprogetti che portano all'oppres­sione e allo sfruttamento dei gio­vani. E quindi, diciamo grazie adAnel!”.La voce successiva è giunta dalQuebec, Canada, rappresentatadall'Associazioneperlasolidarietàsindacalestudentesca(Asse),cheèstata una delle protagoniste degliscioperi che hanno caratterizzatoil Paese per sei mesi nel 2012.

La gioventù europea sognaancora.E lotta!

Nella continuità del congresso, laspagnola May El Assir ha iniziato ilsuo intervento sottolineando che,in Europa, la Troika (Bancamondiale, Fondo monetariointernazionale e l'Unione euro­pea)stacercandodi“rubareisognidella gioventù e socializzare labarbarie sul continente, portandomilioniemilionidipersoneadunasituazione disperata. Gli esempisono molti. In Spagna, più del 50%

dei giovani sono disoccupati, inGrecia, un terzo della popolazionevive sotto la soglia di povertà, inPortogallo, in Italia, in Irlanda e ingran parte del continente la situa­zione non è diversa. Ovunque, vo­gliono [i governi della Troika] che ilavoratori e i giovani paghino per lacrisiconil lorosangueesudore.Manon permetteremo che questoaccada. Continuiamo a sognare.Continuiamo a lottare” (…)“Abbiamo avuto il 15M, in Spagna,e poi il 14N ­ il primo sciopero ge­nerale continentale. Sono lotte co­me queste che ci ricordano chesiamo dei giovani che ancorahanno futuro”. Un futuro che,ancora secondo May, si può co­struire solo in stretta unione con ilavoratori e contro tutti glisfruttatori, tra cui “coloro che oggisi atteggiamo come rappre­sentanti del popolo, ma che nonfanno altro che tradirci: il PartitoSocialista Spagnolo, il Blocco di Si­nistra in Portogallo o i governi delPt in Brasile. Per tutti loro, la viad'uscita alla crisi è la stessa: massa­crarci. Ma stiamo percorrendoun'altra strada: quella dell'unitàdei lavoratori e dei popoli”.

Africa e Haiti: storie disfruttamento e di lotta

Presente come rappresentante delmovimento Quilombo Razza eClasse e dei gruppi organizzati da

Csp­Conlutas in solidarietà con ilpopolo haitiano, Júlio Condaqueha ricordato che in questo finesettimana si sono compiuti i noveanni di vergognosa occupazionedel Paese caraibico da parte delletruppe Minustah, guidate dai go­verni del Pt brasiliano: “Sono noveanni di dolore, di violenza e disofferenza imposti contro la primarivoluzione nera nel nostro conti­nente. Ma sono anche nove anni incui la Csp­Conlutas, alla qualel'Anel è iscritta, non ha smesso dilottare in difesa dei nostri fratellihaitiani”. Dall'altra spondadell'Atlantico, è stata la volta di Fa­lilu, studente senegalese, che haparlato della perversa combina­zione tra razzismo e sfruttamento,ricordando che “l'Africa è statasfruttata fin dall'inizio; in Senegaloggi, questo si traduce nella pri­vatizzazione di tutto (acqua,energia, trasporti, ecc.), mentremilioni dei nostri muoiono di fa­me”.

“Suria Bida ruriê”Così, in arabo, gli ospiti più attesidella serata, Thaer e Abdullah, so­no stati ricevuti dai partecipantidel congresso. “La Siria esige la li­bertà” è stato il grido di battaglia ditutti i partecipanti subito dopo chei loro nomi sono stati annunciati.Poco prima di loro, avevanoparlato Maren Mantevani,dell'organizzazione “Stop the

Wall” – che rivendica la finedell'apartheid e dei crimini sionisticontro il popolo palestinese – eHerbet Claros, del sindacato deimetalmeccanici di São José dosCampos che ha sottolineatol'importanza della solidarietàinternazionale, citando l'esempiodel Convegno Sindacale Interna­zionale, organizzato da Csp­Conlutas e Solidaires francese amarzo di quest'anno a Parigi.Nel suo discorso, Herbert ha ancheevidenziato l'enorme importanzache le rivoluzioni in corso in MedioOriente e Nord Africa hanno avutoper la gioventù di tutto il mondo:“Negli anni‘90, ci sono state perso­ne che dicevano che 'la storia erafinita, che il sogno del socialismoera scomparso'. Beh, Thaer eAbdullah sono qui per ricordarcicome questi signori si siano sba­gliati: la lotta in Siria e nell'interopianeta ci ricorda e ci insegna chela classe operaia e la gioventù nonhanno rinunciato al sogno. Non ri­nunciarono a lottare per la rivolu­zione!”. Prima di passare la parolaai compagni siriani, Clara Saraiva,del coordinamento esecutivo diAnel, ha ricordato come il congres­so si stesse svolgendo con alcuneore di anticipo rispetto alla“Giornata mondiale di solidarietàcon la Siria”, approvatanell'incontro di Parigi il 31 Maggio.

“Achab Iuríd escáte Nizam”“Il popolo vuole la fine del regime”èstatounaltroslogancheiparteci­panti hanno gridato mentrescorrevano le immagini di un filmche mostrava il processo di orga­nizzazione e le lotte dell'UnioneSiriana degli Studenti Liberi, orga­nizzazione della quale Thaer eAbdullah sono coordinatori. Thaerha detto che l'Usel si è formata nelvivo delle lotte rivoluzionarie e hagran parte della sua attività si èsvolta in clandestinità, a causadella sanguinosa repressione diBashar Al Assad. Nonostante que­sto, l'organizzazione ha svolto unruolo importante non solonell'organizzazione delle lotte deigiovani, ma anche a sostegno di ri­

fugiati, figli e parenti dei “martiri”.“La nostra lotta è iniziata pacifica­mente protestando contro il mas­sacro di innocenti da parte delleforze assassine di Al Assad. Tutta­via, a ogni segno di protesta, la re­pressione aumentava, il numero dimorti e prigionieri continuava acrescere ed è per questo che siamostati quasi 'costretti' a fare la rivo­luzione. Ma nonostante le moltedifficoltà, noi andremo avanti finoalla vittoria. E per questo, il soste­gno internazionale è fondamenta­le! Per questo che siamo qui!”.Abdullhah ha sottolineatol'importanza della solidarietànella lotta contro la politica geno­cida del dittatore siriano.“Solo tra igiovani studenti, sono migliaia ilnumero di morti, centinaia sottotortura. Né bambini né donne so­

no stati risparmiati. Al Assad è unassassino criminale” (...) “Voglia­molafinedelregime.Peravereunasocietà libera in cui poter vivere,studiare e costruire un futuro”.

Molti giovani,una sola lotta!Nel congresso, coperti da unabandiera siriana gigante, i delegatie i partecipanti hanno datoun'appassionante dimostrazioneche l'organizzazione non lesineràenergieesforziperaiutareigiovanisirianiatrasformareillorosognodilibertà in realtà. Un sogno che, co­me il congresso ha ribadito, oggi ècondiviso da giovani provenientida tutti gli angoli del mondo.(13/06/2013)

««LLaa QQuuaarrttaa IInntteerrnnaazziioonnaalleepprreessttaa ppaarrttiiccoollaarreeaatttteennzziioonnee aallllaa ggiioovvaanneeggeenneerraazziioonnee ddeellpprroolleettaarriiaattoo..TTuuttttaa llaa ssuuaa ppoolliittiiccaa ssiissffoorrzzaa ddii iinnffoonnddeerree nneellllaaggiioovveennttùù llaa ffiidduucciiaa nneelllleepprroopprriiee ffoorrzzee ee nneell ffuuttuurroo..

SSoolloo iill ffrreessccoo eennttuussiiaassmmooee lloo ssppiirriittoo bbeelllliiccoossoo ddeellllaaggiioovveennttùù ppoossssoonnooggaarraannttiirree ii pprriimmii ssuucccceessssiinneellllaa lloottttaa;;ssoolloo qquueessttii ssuucccceessssiippoossssoonnoo rriippoorrttaarree ssuullllaassttrraaddaa ddeellllaa rriivvoolluuzziioonnee iimmiigglliioorrii eelleemmeennttii ddeellllaavveecccchhiiaa ggeenneerraazziioonnee..CCoossìì èè ssttaattoo ee ccoossìì ssaarràà..»»

Lev TrotskyProgramma di transizione

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PROGETTO COMUNISTA Estate 2013 9

L'illusionedel“benecomunismo”Il caso Accorinti a Messina

Mauro Buccheri

Il 9 e 10 giugno scorsi si sonosvolte in Sicilia le elezioniamministrative, con 142 co­muni interessati, fra cui

quattro capoluoghi di provincia. ACatania e Messina notevole inte­resse ha suscitato a sinistra la pre­senza elettorale di liste civiche“benecomuniste”, che hannoportato con sé un certo carico diaspettative, e ottenuto l'appoggiodi partiti della sinistra riformista ecentrista. Ci riferiamo alla listaCatania Bene Comune, con MatteoIannitti candidato sindaco, e alla li­sta Renato Accorinti sindaco –Cambiamo Messina dal basso.Senza soffermarci sui risultatielettorali, nel presente articoloabbozziamo un'analisi politica,concentrandoci in particolare sullalistacivicamessinese,anostroavvi­so paradigmatica rispetto all'illu­sione istituzionalista alimentata daprogetti riformisti che ciclicamentecontinuano a presentarsi a livellolocale a diverse latitudini e longitu­dini.

La lista civica diRenato Accorinti

Notevole entusiasmo ha accompa­gnato a Messina la discesa in campodi Renato Accorinti, docente etecnico della federazione italiana diatletica leggera, pacifista, attivo ne­gli ultimi anni nella lotta contro ilPonte sullo stretto e in altre batta­glia ambientaliste. Nei mesi chehanno preceduto le elezioni, la suacampagna elettorale è stata giocatasugli slogan del programma rea­lizzato “dal basso” dai cittadini edella politica al servizio del “bene­comune”, espressione che con unartificio retorico pretende di farsparire le differenze fra le classi so­ciali in lotta, pacificandole nel ge­nerico concetto di cittadinanza.Contrariamente a quanto Accorinti

ha sostenuto pubblicamente primadella pubblicazione del suo pro­gramma elettorale, in quel progettopolitico non c'è traccia di proposteprogrammatiche non diciamo ri­voluzionarie ma che almenomettano in discussione sia purlontanamente il sistema. Né potevaessere altrimenti, data l'imposta­zione politica dei suoi promotori ela natura localistica del progetto,che in quanto tale risulta sganciatoda una radicale prospettiva antisi­stema e inevitabilmente destinatoalla dimensione utopica.Accorinti ha celebrato continua­mente la “sacralità” delle istituzio­ni, mettendo al centro della propriaazione politica la battaglia per la“trasparenza”, nonché alla casta e aicosti della politica, prendendoesempio evidentemente dal movi­mento 5 stelle del comico reaziona­rio Grillo, rispetto al quale del resto,lo stesso Accorinti ha detto chiara­mente che “molte cose sono in co­mune, quasi tutto”(1).Fino all'ultimo, Accorinti ha spe­rato di fare un accordo elettorale colM5s, memore evidentemente deglienormi consensi raccolti dai grillinia Messina alle politiche dello scorso

febbraio (27% con oltre 30 mila votialla Camera), accordo che non si èrealizzato, come egli stesso ha rico­nosciuto, per scelta del M5s.Tuttavia, se si considerano i succes­sivi responsi delle elezioni comu­nali a Messina, col tracollo del M5s(che non arriva nemmeno al 3%,con appena 3 mila voti!) e l'exploitdi Accorinti (che prende quasi 20mila voti), è ipotizzabile che ci siastato un notevole travaso di voti insua direzione dal M5s, tendenzaanche questa abbastanza signifi­cativa. E coi grillini, in effetti, Acco­rinti ha parecchio in comune,incluso il rifiuto delle “ideologie”,nonché il porsi opportunistica­mente“né a destra né a sinistra”(2).

Riformisti e centristi asupporto di Accorinti

Questo dettaglio non è sfuggito aRifondazione Comunista, cheinfatti ha appoggiato la candidatu­ra di Accorinti, rimarcandoneentusiasticamente (in un comuni­cato del Circolo Impastato) “lanaturale propensione a raccoglie­re attorno a sé tanti giovani, variesensibilità culturali e politiche”,

nonché il “carattere eterogeneo”del programma elettorale(3).Un programma riformista,all'insegna della gestione virtuosadell'esistente e del rispetto della“legalità” borghese, delle “interlo­cuzioni coi governi regionali e na­zionali”, dei tavoli vertenziali,senza che una parola sia spesacontro i finanziamenti pubbliciallescuoleprivate,clericalienon.Eancora, verde e piste ciclabili, bi­glietti integrati per i mezzi di tra­sporto (senza garanzia di accessogratuito per le fasce più debolidella popolazione), e poi, ma solo“compatibilmente con i vincoli dibilancio e le possibilità di investi­mento”, la Flotta Comunale perl'attraversamento dello Stretto(4).Del resto, Guido Signorino, asses­sore designato al bilancionell'eventuale giunta Accorinti,già nel periodo pre­elettorale ave­va criticato le gestioni ammini­strative precedenti rimarcandoneil mancato rispetto del “patto distabilità”, di cui dunque dava unalegittimazione.In campagna elettorale Accorintiaveva avanzato la proposta di so­stenere “i lavoratori che, in pre­senza di crisi aziendale o diimprovvide scelte di chiusura e/odelocalizzazione, proponessero dirilevare gli impianti e gestirli informa cooperativa”(5). Una propo­sta vaga, che sembra orientarsiverso soluzioni radicali, ma che inrealtà ne costituisce solo una cari­catura, dato che non contemplaalcun esproprio dei padroni chedelocalizzano. Eppure, è dovutasembrare anche troppo spinta adAccorinti e al suo staff, visto che diessa non vi è più traccia nel pro­gramma definitivo.Al supporto del Prc, Accorinti hapotuto aggiungere quello (“criti­co”!) del Pcl di Ferrando. Ormai aiminimi termini in Sicilia, il Pcl (sta­volta non presente alle elezioni),ha provato a intercettare un mini­

mo di considerazione dallastampa borghese attraverso un co­municato nel quale si scrive che,nonostante il programma “ri­formista­minimalista”, il Pcl dàindicazione di voto ad Accorinti,poiché presenta una coalizione ci­vica con “componenti [!] di sinistraindipendente e autonoma dal PdlocalediGenovese,espressionedelgruppo locale dominante (iFranza)”(6). Una presa di posizionepoliticamente molto discutibile,senza considerare che, come silegge nello stesso comunicato delPcl, in alcuni quartieri Accorintinon ha presentato candidati presi­denti, al fine di appoggiare deicandidati piddini, come adesempio il renziano Palano Quero.

Contro ogni illusioneriformista e centrista

Poco importa ai centristi del Pcl seAccorinti stesso rimarca la sualarga convergenza col M5s, forzapolitica che i ferrandiani passanogran parte del loro tempo adattaccare, denunciandone, come èvero, la natura di “tappo” rispetto

all'esplosione sociale. Lo stessotappo in verità costituito da Acco­rinti e dai suoi omologhi “beneco­munisti”, dispensatori di ulterioriillusioni,freniamanotiratirispettoallosviluppodellelotte,chenonhacerto bisogno di ulteriori pro­grammi socialdemocratici riciclatidietro un volto rassicurante, né disedicenti rivoluzionari che tra­smettono soltanto la loro confu­sione teorica e pratica, provando anasconderla dietro citazioni di Le­nin decontestualizzate.Il cambiamento non passa dallariproposizione di ricette riformi­ste, ma dalla costruzione dellaprospettiva rivoluzionaria su scalainternazionale. Questo è il pro­getto che il Pdac porta avantiinsieme alla Lit, e che sta svi­luppando anche in Sicilia.(13/06/2013)

Note

(1)http://bit.ly/pc41_14_01(2)http://bit.ly/pc41_14_02(3)http://bit.ly/pc41_14_03(4) http://bit.ly/pc41_14_04(5) http://bit.ly/pc41_14_05(6) http://bit.ly/pc41_14_06

IncidentemortalealpetrolchimicodiPrioloGestione operaia degli impianti contro la violenza dei padroniGianmarco Catalano

Si chiamava SalvatoreGanci, aveva 38 anni, unamoglie e due figli piccoli.L'hanno trovato steso a

terra, senza vita, nell'impiantoindustriale a cui era addetto, a se­guito di una fuga di acido solfori­co avvenuta all'interno dellaraffineria Isab Nord di Priolo.La tragica morte dell'operaiopriolese, a venticinque anni didistanza dall'ultimo casonell'area industriale siracusana,ha riportato l'attenzione suldramma della totale assenza disicurezza e sui pericoli con cuiquotidianamente sono costrettia convivere i lavoratori e la popo­lazione del “triangolo dellamorte”, come da tempo è stato ri­battezzato il comprensorioindustriale di Augusta­Priolo­Melilli. Il polo petrolchimico piùgrande d'Europa. Nell'area a piùelevato rischio sismico della re­gione.

Priolo, record di incidenti

A Priolo – tra i 55 siti d'interessenazionale per la bonifica (Sin), ilquarto in Sicilia accanto a Gela,Milazzo e Biancavilla – si è persoil conto del numero degli inci­denti industriali che si succedo­no quotidianamente tra i 17stabilimenti chimici e petrolchi­mici. Solo per citare gli ultimi datipubblicati dal Dipartimento re­gionale di protezione civile, nellasola Isab Nord, dove SalvatoreGanci ha trovato la morte – tra gliimpianti più vetusti e a rischio –nel periodo compreso tra ilgennaio 2007 e il dicembre 2009,si sono succeduti ben 96 inci­denti industriali (a cui siaggiungono quelli non dichia­rati), tra sfiaccolamenti, esplo­sioni, emissioni in atmosfera esversamenti.L'ultimo incidente grave in ordi­ne di tempo risale alla scorsaestate: la rottura di un oleodottocausò la perdita di oltre 450milalitri di cherosene, finiti dritti nelletto del vicino torrente Cantera –

a pochi passi da quel che restadell'area archeologica di MegaraHiblaea, tra le più antiche colo­nie greche del sud Italia, oggi co­perta dalle industrie –penetrando nel sottosuolo con laquasi certa contaminazionedella falda acquifera sottostante.L'ipocrisia dei sindacaticoncertativiAll'indomani della morte del la­voratore, le burocrazie sindacalidi Cgil, Cisl e Uil hanno procla­mato – “in attesa che il Sig. Pre­fetto convochi tutte le partiinteressate”, precisavano cauta­mente in un comunicatocongiunto – una risibileastensione dal lavoro di appenaquattro ore con concentramentonel piazzale antistante la porti­neria Isab Nord. Tutti uniti a ri­vendicare, attraverso annuncisulla stampa locale, “sicurezzanei posti di lavoro”, “salute deicittadini e lavoratori” e “tuteladell'ambiente circostante”,mentre nei fatti da decenni lapolitica portata avanti dai sinda­

cati concertativi siracusani si èsempre dimostrata totalmenteprona a Confindustria e asservitaal volere delle multinazionali delpetrolio che impunemente de­vastano, stuprano e saccheggia­no il territorio aretuseo, sullapelle dei lavoratori e a dannodell'ecosistema, fortementecompromesso.Basti pensare alla foga con cuiquesti burocrati spingevano perla realizzazione del mega­rigas­sificatore Ionio Gas (joint ventu­re paritetica Erg­Shell),nonostante gli acclarati rischiper la sicurezza e la volontàcontraria dei cittadini di Priolo eMelilli espressa attraverso duereferendum consultivi (98% diNo). Oppure, da ultimo, va citatoil recente accordo sulla produtti­vità siglato dal Confapi e sotto­scritto unitariamente da Cgil,Cisl e Uil, riguardante preva­lentemente i lavoratoridell'indotto del petrolchimico,in cui si riconosce “l'interessecomune di favorire l'obiettivo diattivare lo sviluppo e la diffusio­ne della contrattazione collettivadi secondo livello al fine di pro­muovere strumenti di articola­zione contrattuale mirati adassicurare le esigenze di specificicontesti produttivi”, che tradottosignifica derogare al contrattocollettivo nazionale sulla scia del“modello Marchionne”, incenti­vare la precarietà e assecondarele logiche di profitto con conse­guente arretramento del livellodi tutela dei lavoratori.

La politica filo­padronaledi Crocetta

Pochi giorni prima dell'inci­dente accaduto all'Isab, il go­vernatore Crocetta eraimpegnato a incontrare, a Pa­lazzo D'Orleans, Vagit Alekperov,presidente della compagnia pe­

trolifera russa Lukoil – proprieta­ria per l'80% proprio dellaraffineria Isab dopo la cessione diErg – per accogliere e sbandierareai quattro venti la notizia di unfantomatico piano di investi­menti da un miliardo di euroannunciato dal colosso indu­striale, anticipando al contemponuovi vertici anche con i padronidi Eni, cioè con la principaleazienda responsabile della deva­stazione ambientale a Priolo eGela. Scopo sotteso a questiincontri: dare rassicurazioni allemultinazionali sulla velocitàdell'iter burocratico per il rila­scio delle autorizzazioni neces­sarie alle realizzazione di nuoviimpianti. Che tradotto dal gergocapitalistico significa niente sto­rie sulla pericolosità degli stabili­menti, sui rischi e sui pericoli perla sicurezza di lavoratori e popo­lazioni.Questo il commento entusiastadi Crocetta al termine della riu­nione con Alekperov, come ri­portato dal Sole 24 ore: “laRegione ha manifestato la massi­ma disponibilità ed è molto inte­ressata ad accogliereinvestimenti stranieri: è già quasipronta la legge sulla sburo­cratizzazione, che accelereràl'iter per le autorizzazioni. Sonofelice che il presidente della Lu­koil mi abbia invitato in Russiaper incontrare gli industriali rus­si”.

Per una gestione operaiadegli impianti

Al cospetto di questo desolantescenario, tra l'arroganza del pa­dronato industriale siracusano, ilservilismo dei sindacaticoncertativi e dei politicanti,l'unicasoluzioneperraggiungeredelle conquiste sul piano dellatutela della salute, della sicurezzae dell'ambiente è affidare ai lavo­ratori stessi la gestione degliimpianti. Nell'immediato, è ne­cessario che i lavoratori – riti­rando ogni delega ai sindacaticollaborazionisti – costituiscanocomitati di lotta, insieme allerealtà associative e ai movimentiambientalisti che non hanno maicedutoairicatti,alleavancesealleregalìe degli industriali e non siarrendono allo scempio capitali­stico. Solo l'unione intorno a unalotta radicale e a oltranza, infatti,può strappare risultati e può co­stringere i padroni ad arretrare.La neonata sezione di Alternativacomunista a Siracusa sarà impe­gnata in questa direzione di lotta.Per iniziare a rivendicare a granvoce una gestione della produ­zione e dell'economia compati­bile con il rispetto dell'ambientee della salute, che significa porsinell'ottica della costruzione diun'economia pianificata, sotto ilcontrollo dei lavoratori, chesappia conciliare sviluppo delleforze produttive e tutele.(13/06/2013)

DAL TERRITORIO

Paolo Ferrero, segretario del Prc, a sostegno di Accorinti

Le rovine di Megara Hiblaea e sullo sfondo a 1km circa il petrolchimico di Priolo

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10 Estate 2013 PROGETTO COMUNISTATEORIA E PRASSI

Francesco Ricci

“La lotta contro i centristi corri­sponde alle necessità del nostroobiettivo fondamentaleall'interno della classe operaia:distruggere le organizzazioniopportuniste e riunire la largamaggioranza dei lavoratoriattorno alla bandiera comuni­sta.”(Lev Trotsky, in “Diplomazia opolitica rivoluzionaria?”, 1 lu­glio 1929)

Talvolta ci capita di co­statare che anchecompagni addentro aldibattito politico

fraintendono l'uso che faccia­mo del termine “centrista”. Nelvocabolario politico correntecon questo termine ci si riferisceai partiti borghesi “di centro”(Fli, Casini, Monti, ecc): ma inambito comunista invece desi­gna quelle organizzazioni cheoccupano una posizione a metàstrada tra rivoluzionari e ri­formisti.

I centristi sottola penna di Lenin

Forse il primo a utilizzare, inambito marxista, il termine“centrista” con il significato so­pra detto è stato Lenin. È neisuoi scritti del periodo della Pri­ma guerra mondiale checompare questo termine. Adesempio, nel saggio “Il sociali­smo e la guerra” (dell'estate1915) Lenin attacca non solo isocialsciovinisti (cioè i partitisocialdemocratici che si eranoschierati con i rispettivi governiborghesi, sostenendo il macelloimperialista nel 1914) ma anchequei gruppi, singoli dirigenti,partiti, che, collocandosi a sini­stra della socialdemocrazia, “ri­fiutavano” da posizioni“pacifiste” astratte la guerrasenza arrivare alla conclusionedella necessità di trasformarlain guerra civile, cioè in guerra diclasse per rovesciare i governiborghesi.Tipica espressione di questocentrismo era la maggioranzadel Psi (Serrati e Lazzari), l'Uspdtedesca, ecc.

Il centrismo analizzatoda Trotsky

Il centrismo torna... al centrodell'analisi e della battaglia deirivoluzionari dalla fine deglianni Venti: stavolta ci si riferiscea un nuovo tipo di centrismo,sorto all'interno del partitobolscevico e cresciuto con la de­generazione stalinista. Fino a

metà degli anni Trenta, Trotskydefinisce lo stalinismo appuntocome una variante speciale dicentrismo, il “centrismo buro­cratico”; termine che dal 1935riterrà inadeguato per classifi­care lo stalinismo ormai passatocompletamente nel campocontrorivoluzionario.Il termine “centrismo”, tuttavia,abbonda proprio nei testi diTrotsky degli anni Trenta: ma ri­ferito stavolta a quelle numero­se organizzazioni che sicollocano a metà strada tra ilpolo costituito da socialdemo­crazia e stalinismo (che anima­no i fronti popolari) e il poloopposto dei rivoluzionari (cioè itrotskisti o, come si diceva allo­ra, i bolscevico­leninisti).Rientrano in questa ampia cate­goria forze come il Sap tedesco,l'Ilp inglese, il Poum spagnolo,l'Osp olandese, il Psop francese,citate nell'articolo che pubbli­chiamo in queste pagine. Sitratta soprattutto di quelle orga­nizzazioni che danno vita al Bu­reau di Londra (detto ancheBureau di Amsterdam) deiPartiti socialisti rivoluzionari,che raggruppa le forze non affi­liate né all'Internazionale so­cialista né alla TerzaInternazionale stalinizzata mache, al contempo, rifiutano ilprogetto di costruzione di unaQuarta Internazionale.

L'essenza del centrismoRivoluzionario nella forma,opportunista nella sostanza:ecco come Trotsky dipinge ilcentrismo. La politica concretadel centrismo è, nella maggiorparte dei casi, opportunista main tutti i casi sempre rivestita diuna forma e di una fraseologiapiù o meno “rivoluzionaria”.Mentre il riformismo è l'adatta­mento profondo alla borghesiae ai suoi governi, il centrismoocculta la sua reale natura, spes­so riuscendo così ad attrarresettori e militanti che si allonta­nano dalle organizzazioni ri­formiste. È per questo che ilperiodo di maggior fioritura delcentrismo ha sempre coincisocol periodo di più profonda crisidel riformismo (il 4 agosto 1914della socialdemocrazia e ilsuccessivo “4 agosto” dello stali­nismo, cioè il fallimento difronte all'ascesa del fascismo diHitler in Germania).Anche oggi vi è la tendenza, invari Paesi, a fronte del falli­mento del riformismo classico,alla nascita di organizzazionicentriste. In Italia, come vedre­mo tra poco, per ora non assi­stiamo ancora a questofenomeno e anzi, viceversa, ve­

diamo una crisi parallela di ri­formisti e centristi. Ma nuoveforze centriste potrebberosorgere nel prossimo periodoanche da noi: per contrastarequesto rischio futuro, così comeper combattere le scarse forzecentriste già esistenti, è utiletornare sul concetto di centri­smo, conoscere meglio l'es­senza distruttiva di questoautentico morbo per il movi­mento operaio.Carattere essenziale del centri­smo è l'abbandono di uno o piùpilastri del marxismo rivoluzio­nario: il programma transitoriooppure la costruzionedell'Internazionale rivoluzio­naria o del partito di tipo bols­cevico (ocontemporaneamente di piùd'uno tra questi elementi).

Il centrismo odiernoin Italia

Nella definizione di centrismorientrano in Italia varie forzecollocate a sinistra dellamaggioranza dirigente di Ri­fondazione.È centrista (di destra) Falce­martello, area interna al Prc cheha revisionato il concetto diindipendenza di classe dai go­verni borghesi (sostiene la pos­sibilità di governi borghesi“neutri” e “influenzabili”: comela giunta De Magistris a Napoli;si riconosce in posizioni filo­chaviste, ecc.) e ha rimosso ilconcetto stesso di partito rivo­luzionario indipendente (sosti­tuito da un entrismo senza finenelle organizzazioni riformi­ste).Era centrista (oggi è difficile di­re, essendo di fatto scomparsacome organizzazione unificata)Sinistra Critica, la cui politica siè caratterizzata per l'abbando­no del concetto di opposizionedi classe strategica ai governiborghesi (sostenne per un pe­riodo “criticamente” il secondogoverno imperialista di Prodi,teorizzando la necessità di “ve­rificare” di volta in volta quandosia necessario fare opposizio­ne); e per la negazione delconcetto di Internazionale rivo­luzionaria, sostituito dal pro­getto di “nuovi partitianticapitalisti”, unione tra ri­formisti “onesti” e rivoluzionari(progetto che di rivela in tutto ilsuo fallimento in Francia, con lacrisi dell'Npa).È centrista il Pcl di Ferrando, cheè caratterizzato da un pro­gramma nazionale apparente­mente corretto, ma declinato inmille programmi locali cheoscillano tra posizioni franca­

mente riformiste e altre simili aquelle rivoluzionarie (l'ele­mento predominante, co­munque, salvo eccezioni, èl'estraneità o il disinteresse de­gli attivisti per il trotskismo, cioèper il marxismo odierno); ed ècentrista anche e soprattuttosul piano organizzativo, federa­zione di gruppi eterogeneiattorno all'anziano leader, conuna struttura che richiamaquella del menscevismo storico(tesseramento senza criteri le­ninisti e dunque indifferenziatotra attivisti e simpatizzanti). Dalpunto di vista della costruzioneinternazionale, manifesta uninternazionalismo platonicoche si traduce nel coordina­mento (privo di congressi, di­battito interno, organismipermanenti, ecc.) con altre dueorganizzazioni (il Po argentino eun gruppo greco). Lo stessoprincipale dirigente del Crqi,Altamira, ha recentemente ri­conosciuto (nel congresso delPo) che “ormai il Crqi è inattivo”(e difficilmente sarà rivita­lizzato da una estemporaneaassemblea che è stata orga­nizzata in Grecia).Rientrano nella casistica delcentrismo anche una mezzadozzina di gruppi che discendo­no in qualche modo dal bordi­ghismo (per quanto Bordiganon li avrebbe mai riconosciu­ti). Sono caratterizzati dal rifiu­to (talvolta teorizzato) di unprogramma di tipo transitorio elimitano l'internazionalismo aun auspicio, non essendo partedi nessun effettivo partitomondiale centralizzato.Su ciascuna di queste forzeabbiamo avuto modo di scrive­re analisi critiche più detta­gliate: non limitandoci aicaratteri generali ma alle politi­che quotidiane che nediscendono (in vari casi anchesegnate da forti elementi diopportunismo, specie sul pianosindacale) ci scusiamo per laschematizzazione resa qui ne­cessaria dalla mancanza di spa­zio. Ma quanto ci premeva erasemplicemente verificare comele caratteristiche che Trotskyattribuisce al centrismo nonappartengano, ahinoi, a unastoria passata ma si riproduca­no anche ai giorni nostri.

La dinamicadel centrismo

Trotsky sottolinea varie voltecome il centrismo non sia maiimmobile ma abbia un'originee una direzione di marcia.Oscilla da destra a sinistra e dasinistra a destra, ma queste

oscillazioni non sono tutteuguali. C'è un centrismo chetende a degenerare completa­mente (e che viene prima o poiriassorbito dal riformismo), vene può essere un tipo che, nelquadro dello sviluppo dellalotta di classe e per l'azione deirivoluzionari, evolve verso sini­stra. Il centrismo infatti costi­tuisce spesso (nonobbligatoriamente) uno stadiotransitorio per settori di lavo­ratori e giovani in rottura col ri­formismo.

La battaglia per ladistruzione del

centrismo

Non essendo possibile unasintesi tra il programma dei ri­formisti o dei centristi e quellodei rivoluzionari, il compito deirivoluzionari è quello didistruggere politicamente leorganizzazioni riformiste ecentriste, guadagnandone isettori migliori al programmarivoluzionario, l'unico pro­gramma che garantisce l'indi­pendenza di classe deilavoratori in lotta. Guadagnarequesti settori, aiutandoli nelcorso della loro esperienzaconcreta a separarsi dai diri­genti riformisti e centristi ossi­ficati, è un passaggioineludibile nella strada dellacostruzione di un partito rivo­luzionario.Questo obiettivo tuttavia nonpresuppone per niente, comequalcuno crede, il porre lasordina sulla battaglia politicaper evidenziare le differenze trarivoluzionari e centristi (e ri­formisti): al contrario, senzaalcuna illusione sulla “unitàdella sinistra” (o “unità dei co­munisti”), si tratta piuttosto,nel corso della comune parte­cipazione alle lotte, di mante­nere la massima intransigenzaideologica e politica e di evi­denziare ad ogni passo, anche especialmente quando si

raggiunge una momentaneaunità d'azione, le differenze trail programma rivoluzionario ele concezioni organizzative chene discendono e il programmae l'organizzazione di centristi eriformisti. È quanto intendevadire Lenin ripetendo il mottochiave dell'Iskra: “Prima diunirci e per unirci, dobbiamoanzitutto delimitarci risoluta­mente e con precisione”.La lotta implacabile contro i di­rigenti centristi, autenticoostacolo sulla via della costru­zione del partito rivoluziona­rio, ha spesso fatto meritare airivoluzionari l'etichetta di“settari”: una definizione, co­me commentava Trotsky, chesulla bocca di un opportunistasuona per noi come un compli­mento.

Il testo di Trotsky chepresentiamo

La battaglia per la costruzionedel partito rivoluzionario nonavviene solo nello scontrocontro la borghesia, i suoi go­verni, il suo Stato: ma si svi­luppa anche contro i partitiriformisti (“agenti dellaborghesia nel movimento ope­raio”) e contro i centristi.Tra i tanti testi di Trotsky dedi­cati alla battaglia contro ilcentrismo presentiamo qui“The centrism and the FourthInternational” in una nostranuova traduzione (fattacomparando la versione ingle­se e quella in spagnolo). Il testoreca come data di elaborazioneil 22 febbraio 1934 e fu qualchesettimana dopo pubblicato suThe Militant (la rivista deitrotskisti statunitensi). Per nonappesantire il testo ci siamo li­mitati a poche note indi­spensabili all'interno diparentesi quadre: in quanto, aldi là di riferimenti contingenti,l'attualità delle generalizza­zioni di Trotsky risulterà subitoevidente al lettore.

Cosaèilcentrismo,comecombatterloCon un articolo di Trotsky (inedito in italiano)

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PROGETTO COMUNISTA Estate 2013 11TEORIA E PRASSI

IlcentrismoelaQuartaInternazionale«Il centrista odia il principio rivoluzionario del dire le cose come sono»

Lev Trotsky

1. Gli accadimenti in Austria[l'imposizione, all'inizio del 1934,di norme contro i partiti operai daparte di Dollfuss, che costrinsero lasocialdemocrazia austriaca aconvocare uno sciopero generale,nel quale si produssero scontriarmati a Vienna contro le truppedel governo: con decine di morti earresti, ndt], che seguirono quelli inGermania [l'avvento al potere diHitler, nel 1933, ndt] hanno postouna lapide sul riformismo “classi­co”. Da ora in poi solo i più sciocchitra i dirigenti del sindacalismo bri­tannico e statunitense, e il loro se­guace francese Jouhaux [segretariodella Cgt, riformista e social­tradi­tore], il presidente della SecondaInternazionale Vandervelde e altrisimili dinosauri politici oserannoparlare apertamente di sviluppopacifico, di riforme democratiche,ecc. Ora la grande maggioranza deiriformisti deliberatamente impie­ga altri colori dalla propria tavo­lozza. Il riformismo si adatta alleinnumerevoli varietà del centri­smo che predominano nel movi­mento operaio di tutti i Paesi. Siviene così a creare una situazionetotalmente nuova, in un certosenso senza precedenti, per il lavo­ro del marxismo rivoluzionario(bolscevismo). La nuova interna­zionale non potrà costruirsi peraltra via che non sia quella dellalotta contro il centrismo. Intransi­genza ideologica e una politicaflessibile di fronte unico sono, inqueste condizioni, due strumentiper conseguire il medesimoobiettivo.2. Prima di tutto bisogna capirequali sono i tratti caratteristici delcentrismo moderno. Non è facile:primo, perché a causa della suaambiguità fisiologica, il centrismoè difficile da definire a positivo: sicaratterizza più per ciò che glimanca che per ciò che esprime. Se­condo, mai come ora il centrismoha riflesso tutti i colori dell'arcoba­leno, perché la classe operaia non èmai stata in una situazione difermento come lo è ora. Unfermento politico che produce unariorganizzazione, una ricolloca­zione tra i due poli, riformismo emarxismo, con un passaggio attra­verso i diversi stadi del centrismo.3. Per quanto sia difficile dare unadefinizione generale del centri­smo, che necessariamente avràsempre un carattere “congiuntura­le”, possiamo e dobbiamo segnala­re le caratteristiche peculiari piùsignificative dei gruppi centristiche sono nati dal naufragio dellaSeconda e della Terza Internazio­nale:a) Nel terreno della teoria, il centri­smo è impressionista ed eclettico;per quanto possibile elude gliobblighiinmateriaditeoriaetende(a parole) a privilegiare la “praticarivoluzionaria” rispetto alla teoria,senza comprendere che solo la teo­ria marxista può fornire unorientamento rivoluzionario allapratica.b) Sul piano ideologico, il centri­smo conduce una esistenza paras­sitaria. Utilizza contro i marxistirivoluzionari i vecchi argomentimenscevichi (quelli di Martov,

Axelrod, Plechanov), gene­ralmente senza nemmenorendersene conto. Al contempo,prende in prestito dai marxisti, inparticolare dai bolscevico­lenini­sti, i propri argomenti principalicontro la destra [intesa qui comedestra del movimento operaio, cioèi semi­riformisti, ndt] ma,ammorbidendogliaspettipiùacutidella critica e evitando di assumereconclusioni pratiche, smarrisce ilsenso di quegli argomenti.c) Il centrismo è sempre disposto aproclamare la sua ostilità neiconfronti del riformismo, però nonmenziona mai il centrismo. Inoltre,ritiene che la definizione stessa dicentrismo sia “poco chiara”, “arbi­traria”,ecc.; inaltreparole,alcentri­smo non piace essere chiamatocentrismo.d) Il centrista, sempre insicurodelle sue posizioni e dei suoi meto­di, odia il principio rivoluzionariodel dire le cose come sono. Tende asostituire la politica basata suiprincipi con le manovre personali ei diplomatismi tra organizzazioni.e) Il centrista dipende sempre spi­ritualmente dai gruppi della destra[la destra del movimento operaio,ndt] ed è incline ad accodarsi ai piùmoderati tra essi, a tacerne gli erro­ri opportunisti e ad occultarnel'attività di fronte ai lavoratori.f) Il centrista spesso nasconde leproprie oscillazioni parlando delpericolo del “settarismo”, terminecol quale allude non all'astrattopropagandismo passivo, tipoquello dei bordighisti, ma piuttostoalla cura attenta per i principi poli­tici, la chiarità delle posizioni, lacoerenza politica e organizzativa.g) Tra l'opportunista e il marxista ilcentristaoccupaunaposizionecheè, in un certo senso, analoga aquella del piccolo borghese tra ilcapitalista e il proletario: pietiscel'approvazione del primo edisprezza il secondo.h) Sul piano internazionale ilcentrista si caratterizza, se non perla sua cecità, per lo meno per la suamiopia. Non comprende chenell'epoca attuale un partito rivo­luzionario nazionale può esserecostruito solo come parte di unpartito internazionale. Nello sce­gliere i suoi alleati internazionali èancora meno giudizioso che nelloscegliere quelli nazionali.i) Nella politica del Comintern[l'Internazionale a quell'epoca di­retta da Stalin, ndt] il centrista vedesolo le deviazioni “ultrasinistre”,l'avventurismo e il putchismo,ignorando completamente gli zig­zag opportunisti di destra (la politi­ca verso il Kuomintang, sul Comi­tato anglo­russo, la politica esterapacifista, il blocco antifascista,ecc.).j) Il centrista è sempre pronto adaderire alla politica di fronte unico,però la svuota di ogni contenuto ri­voluzionario, trasformandola daespediente tattico a principio su­premo.k) Il centrista si avvale di un morali­smo patetico per occultare la pro­pria nullità ideologica; noncomprende che la morale rivolu­zionaria si forgia unicamente sullebasidiunadottrinaediunapoliticarivoluzionaria.Sottolapressionedellecircostanze,

il centrista eclettico può arrivare adaccettare anche le conclusioni piùestreme, salvo poi negarle nellapratica. Accettata la dittatura delproletariato, si prenderà un ampiomargine per interpretarla in ma­niera opportunista; proclamata lanecessità della Quarta Internazio­nale, lavorerà per la costruzione diuna Internazionale Due e mezzo,ecc.4. L'esempio peggiore di centrismoè, volendo, quello del gruppo tede­sco Neu Beginnen (Nuovo Inizio,ndt). Dopo aver ripetuto superfi­cialmente la critica marxista al ri­formismo, arriva alla conclusioneche tutte le disgrazie del proleta­riato derivano dalle sue divisioni ela salvezza sta nel difendere l'unitàdei partiti della sinistra. Questi si­gnori mettono al di sopra degliinteressi storici del proletariato ladisciplina organizzativa di Wels ecompagnia. E così come Wels e isuoi subordinano il partito alladisciplina della borghesia, ilgruppo Neu Beginnen, masche­randosi con la critica di sinistra ru­bata ai marxisti, costituisce inrealtà una dannosa agenziadell'ordine borghese, per quantosia una agenzia di seconda catego­ria.5. Il cosiddetto Bureau di Londra(ora di Amsterdam) è un tentativodi creare un polo di attrazioneinternazionale per l'eclettismocentrista che pretende di unificare igruppi opportunisti di destra e disinistra, cioè tutti coloro che non siorientano in base a un programma.In questo come in altri i centristicercano di dirigere il movimento inmodo obliquo. Gli elementi checompongono questo bloccospingono in direzioni opposte: ilNap norvegese si dirige, con caute­la, verso la Seconda Internaziona­le; l'Ilp inglese in parte verso laTerza e in parte verso la QuartaInternazionale; il Sap tedesco el'Osp olandese – con dubbi eoscillazioni – verso la QuartaInternazionale. Utilizzando econservando l'ambiguità ideologi­caditutti isuoimembri,ecercandodi competere nella creazione diuna nuova internazionale, il bloccodi forze riunite nel Bureau diLondra gioca un ruolo reazionario.Il collasso di questo raggruppa­mento è assolutamente inevitabi­le.6. La definizione della politica delComintern come centrismo buro­cratico mantiene tutta la sua validi­tà. Di fatto, solo il centrismo puòsaltare costantemente dal tradi­mento opportunista all'avventuri­smo ultrasinistro, solo la poderosaburocrazia sovietica poteva assicu­rare per dieci anni una base stabileper questa melanconica politica dizig­zag. A differenza dei gruppicentristi che si formarono a partiredalla socialdemocrazia, il centri­smo burocratico è il prodotto delladegenerazione del bolscevismo;conserva – in forma caricaturale –alcuni dei suoi tratti, dirige unaquantità considerevole di lavo­ratori rivoluzionari e può contaresu enormi mezzi materiali e tecni­ci. Però la sua influenza politica co­stituisce la più grossolana,pericolosa e disorganizzatrice va­rietà del centrismo. La sconfitta

politica del Comintern, evidente atutti, comporterà necessaria­mente un'ulteriore decomposizio­ne del centrismo burocratico. Inquesto ambito il nostro obiettivoconsiste nel guadagnare i migliorielementi alla causa della proleta­ria. Insieme a una instancabile cri­tica basata sui principi, il nostroprincipale strumento per influiresui lavoratori che sono nel Co­mintern è una maggiore penetra­zione delle nostre idee e dei nostrimetodi tra ampie masse che, inmaggioranza, sono esterne al Co­mintern.7. È proprio ora, mentre il riformi­smo si vede obbligato a rinunciarea sé stesso trasformandosi incentrismo o diluendosi in esso, chealcuni gruppi centristi di sinistra, alcontrario, interrompono la propriaevoluzione o persino retrocedono.Sembra loro che i riformisti giàabbiano compreso quasi tutto, chesia necessario solo evitare richiesteeccessive, critiche e fraseologiaestrema, così, in men che non si di­ca, si potrà creare il partito “rivolu­zionario” di massa.In realtà, il riformismo, obbligatodai fatti a screditarsi da solo, senzaun programma chiaro, senza tatti­ca rivoluzionaria, può soloaddormentare i lavoratori avanzatiinculcando loro l'idea che sarebbegià stata ormai conseguita la rige­nerazione rivoluzionaria del loropartito.8.Perunmarxistarivoluzionario, inquesto momento, la lotta contro ilcentrismo ha sostituito quasi to­talmente la lotta contro il riformi­smo. Nella maggioranza dei casirisulta inutile la semplicecontrapposizione della lotta legalecon quella illegale, dei mezzi paci­fici con la violenza, della democra­zia con la dittatura. Ora, ilriformista terrorizzato, desauto­randosi da solo, è disposto adaccettare le formule più “rivoluzio­narie”: purché non lo obblighino arompere con la sua indetermi­natezza, la sua indecisione e la suaattesa passiva. È per questo che lalotta contro gli opportunisti,occulti o mascherati, deve svi­lupparsi totalmente sul terrenodelle conclusioni pratiche che deri­vano dalle premesse rivoluzionarie.Prima di accettare le chiacchierecentriste sulla “dittatura del prole­tariato”, è necessario pretendere unimpegno serio contro il fascismo,una rottura totale con la borghesia,la costruzione sistematica di mili­zie operaie, il loro addestramentoin uno spirito militante, la creazio­ne di centri di difesa interpartiticiche siano roccaforti antifasciste. E

ancora, dobbiamo pretendere daicentristi che eliminino dalle loro fi­le i parlamentari e i sindacalisti tra­ditori, i lacchè della borghesia e icarrieristi. Esattamente su questopiano deve svilupparsi la principa­le lotta contro il centrismo. Per riu­scire a farlo con successodobbiamo tenerci le mani libere,cioè mantenere la più completaindipendenza organizzativa el'intransigenza critica rispetto allemanifestazioni più “a sinistra” delcentrismo.9. I bolscevico­leninisti di tutti iPaesi devono comprendere chia­ramente le peculiarità di questanuova fase della lotta per la QuartaInternazionale. Le vicende di Au­stria e Francia spingono con forzaverso un riallineamento delle forzedel proletariato in direzione rivolu­zionaria. Però proprio questo feno­meno universale di sostituzionedel riformismo palese con il centri­smo esercita una poderosa attra­zione sui gruppi centristi di sinistra(Sap, Osp) che ancora ieri eranodisposti a unirsi con i bolscevico­leninisti.Questo processo dialettico puòprodurre l'impressione superfi­ciale che il settore marxista è nuo­vamente isolato dalle masse.Errore clamoroso! Le oscillazionidel centrismo verso destra e versosinistra fanno parte della sua inti­ma natura. Nel nostro camminoincroceremo ancora decine ecentinaia di episodi come questi.Sarebbe una miserabile codardiaavere timore di proseguire sullanostra strada solo perché ciimbattiamo in ostacoli o perchénon tutti i nostri compagni distrada intendono accompagnarcifino in fondo.Le condizioni generali per laformazione della Quarta Interna­zionale sulla base del genuinobolscevismo divengono semprepiù favorevoli, indipendente­mente dal fatto che le nuove va­cillazioni opportuniste dei nostrialleati centristi si rivelinocongiunturali o definitive (inrealtà avremo esempi di entrambii tipi). L'accodarsi alla sinistra daparte della “estrema sinistra”centrista, o ai moderati da partedella sinistra, o ai destri da partedei moderati, che ricordano glisforzi di un uomo che cerca diafferrare la sua ombra, non puòdar vita a nessuna organizzazionedi massa stabile; la miserabileesperienza dell'Uspd tedesco ne èla riprova. Sotto la pressione degliavvenimenti e con l'aiuto dellanostra critica e delle nostre paroled'ordine, gli operai avanzati su­

pereranno le vacillazioni dellamaggior parte dei dirigenticentristi di sinistra e, se sarà ne­cessario, supereranno i dirigentistessi.Nel camino verso una nuovainternazionale, l'avanguardiaproletaria non troverà altre rispo­ste da quelle elaborate dai bols­cevico­leninisti sulla base diun'esperienza internazionaleaccumulata in dieci anni di co­stante lotta teorica e pratica.10. Dall'anno scorso la nostrainfluenza politica è aumentataconsiderevolmente. Alle seguenticondizioni potremo sviluppare eampliare questi risultati in un pe­riodo di tempo relativamentebreve:a) non prenderci gioco del pro­cesso storico, non giocare a na­scondino ma viceversa dire lecose come stanno;b) fare un bilancio teorico deicambi della situazione generale,che nell'epoca attuale, spesso,sono molto bruschi;c)valutareaccuratamentelostatod'animo delle masse, senza pre­giudizi, senza illusioni, senza au­toingannarci e, così, sulla base diuna corretta stima delle relazionidi forza nel proletariato, evitarel'opportunismo e l'avventurismoe guidare le masse in avanti, nonfarle retrocedere;d) tutti i giorni, ora dopo ora,dobbiamo riflettere su quale deveessere il nostro prossimo passo inavanti pratico, prepararloinstancabilmente e,appoggiandoci sull'esperienza,spiegare ai lavoratori le differenzedi principio tra il bolscevismo etutti gli altri partiti e tendenze;e) non confondere gli obiettivitattici del fronte unico conl'obiettivo storico fondamentale,la creazione di nuovi partiti e diuna nuova internazionale;f) non disprezzare nemmeno ilpiù debole degli alleati in funzio­ne dell'attività pratica;g) valutare criticamente anche ilpiù “a sinistra” degli alleati comeun possibile avversario;h) rapportarci con grandeattenzione ai gruppi cherealmente si approssimano a noi;ascoltare pazientemente eattentamente le loro critiche, idubbi e le esitazioni; aiutarli adavanzare verso il marxismo; nonspaventarcideilorocapricci,delleminacce e degli ultimatum (icentristi sono sempre capricciosie suscettibili); non fare loro nes­suna concessione di principio;i) e, ancora una volta, non averetimore di dire le cose come sono.

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12 Estate 2013 PROGETTO COMUNISTAINTERNAZIONALE

La nostra resistenza aTaksim ha raggiunto unanuova dimensione dopogli attacchi effettuati la

mattina dell'11 giugno a piazzaTaksim dalla dittatura dell'Akp.Nonostante le assicurazioni deigovernatori di provincia che“non avrebbero attaccato”, a cau­sa dei duri attacchi delle forze dipolizia coi gas molte persone so­no state ferite e molte arrestate.Alcune delle persone feritestanno lottando tra la vita e lamorte...Nonostante tutta questa vio­lenza, il nostro movimento, che èdiventato un'aperta ribellione dimassa contro la dittaturadell'Akp, non si è ritirato. La resi­stenza, che è durata tutto ilgiorno a Taksim, in serata è conti­nuata in tutta Istanbul e in tutta laTurchia con un sostegno di mas­sa. In molte parti di Istanbul lestrade principali sono state chiu­se al traffico da centinaia dipersone. Inizialmente a Izmir eAnkara e in molte altre città e

anche in piccoli paesi le manife­stazioni sono durate lungo tuttala notte.D'altra parte, nella serata la poli­zia ha lanciato gas e liquidi urti­canti ancora una volta ed èriuscita a disperdere le nostrebarricate ma non le masse. No­nostante il fatto che hanno signi­ficativamente danneggiato ebruciato le tende della resistenzadi Gezi Park, le tende sono statericostruite nella mattinata. La re­sistenza continua!Fino a che le condizioni della re­sistenza di Taksim poste al go­verno non saranno accettate,difenderemo la dignità umanastrada per strada. Vorremmoanche rilevare alcuni problemiche abbiamo notato e che sonoimportanti per il successo dellaresistenza.1. Il governo è debole di frontealla resistenza. L'Akp che non siera ritirato fino a questo mo­mento, ha fatto la proposta di unreferendum. Le masse popolariche non si fidano del governo so­

no nelle strade e la polizia attaccale masse con violenza; l'Akp vuo­le riprendere fiato con l'aiuto delreferendum. Mentre ci sono mi­gliaia di feriti, tre morti e compa­gni che lottano con la morte, nonaccetteremo un referendum perdimenticare tutto. Il governo do­vrà accettare le nostre disposi­zioni e dovrà rendere conto ditutto!2. La resistenza è ancora disorga­nizzata. Taksim è davvero affa­scinante per come èautoorganizzata per risolvere lenecessità di rifugi e cibo, così co­me nel creare ricoveri tempora­nei per i feriti o nelladistribuzione di maschere anti­gas ovunque, ma questo non cideve fuorviare. Bisogna creareuna forza di autodifesacongiunta per supportare la resi­stenza, per essere in grado diriorganizzarsi se dispersi e pre­venire le provocazioni. Solo cosìsaranno respinti i metodi e glistrumenti usati per colpire lemasse che si sono unite alla resi­stenza.3. La classe lavoratrice deve esse­re parte attiva della resistenza. Sì,molti lavoratori stanno parteci­pando alle proteste nei lorodistretti ed escono in strada alle21 ogni sera con le loro pentole.Ma questo apporto non trova unvero sostengo nel campo dellaproduzione. La resistenza ha unaperto supporto da alcune orga­nizzazioni sindacali (Kesk eDisk) ma altre sono assenti, co­me il Türk­iş. Il Türk­iş, insiemecon “cooperazione inattiva” econ l'opposizione PiattaformaUnione Collaborazione, devechiamare tutti i sindacati a orga­nizzare uno sciopero generale.Per la realizzazione dello sciope­ro generale è necessario fare ognitipo di pressione sulla direzione

del Türk­İş.4. È necessario condurre una ve­ra lotta contro il nazionalismo.Lo scorso weekend, circa 20 pro­vocatori che sono stati mandatial grande raduno a Taksim dalgoverno, hanno provocato lemasse contro i curdi e volevanoiniziare degli attacchi. Il nostrointervento insieme con i compa­gni di altri gruppi è riuscito abloccare questa provocazione.Dall'altro lato, tenendo in consi­derazione il fatto che ognicomportamento che può divide­re la resistenza darà più potere algoverno, è essenzialeconcentrarci sulle nostre richie­ste. Tutte le persone coinvoltenella resistenza devono agire conquesto senso di responsabilità.5. Inoltre, anche gruppi mu­sulmani anticapitalisti e rivolu­zionari stanno supportando lanostra resistenza. Questi gruppisono nostri compagni di lotta.Hanno inferto uno schiaffo al go­verno pregando in piazza Taksimmentre Tayyip Erdogan sta anco­ra cercando di far leva sui senti­menti religiosi delle masse. E lapolizia ha dimostrato chi sta ve­ramente attaccando i musulma­ni distruggendo la moscheacostruita in Gezi Park. Nonpermetteremo alcuna discrimi­nazione verso i gruppi mu­sulmani coinvolti nellaresistenza. Invitiamo tutti ad es­sere sensibili in questo senso.6. La nostra resistenza, invece diprendere posizioni giorno pergiorno, dovrebbe individuare unpercorso. Finché non riusciremoa imporre al governo le nostrecondizioni, dobbiamo difenderecon forza piazza Taksim aIstanbul. Dall'altro lato, quelliche non possono venire a Taksimdevono sostenere la resistenzanei loro quartieri e nelle loro stra­

de. Azioni di solidarietà devonoessere organizzate anche in altrecittà. Per la fine della prossimasettimana, il partito che governalo Stato organizzerà due manife­stazioni ad Ankara e a Istanbul.La nostra resistenza in entrambi igiorni, che sono anche il 43esimoanniversario della grande resi­stenza dei lavoratori, dal 15 al 16giugno, sabato e domenica allastessa ora: dobbiamo riunircinelle maggiori piazze delle città.Bısogna prendere le piazze ditutte le città. Dobbiamo mostra­re al partito che governa lo Stato ea tutto il mondo la forza della no­stra resistenza. Chiediamo a tuttii sostenitori di Red Movement diessere alla testa delle dimostra­zioni.7. Il governo dell'Akp, nel tentati­vo di screditare la resistenza agliocchi della popolazione sostieneche gli Usa e Israele hanno provo­cato la resistenza. Anche unbambino non crederebbe a que­sta demagogia. Poiché è lo stessoAkp che ha camminato abraccetto con gli imperialisti e isionisti fino ad oggi. L'esplosionedi rabbia iniziata aTaksim e che sidiffonde attraverso il Paese è unrisultato delle politiche arro­ganti, repressive e nemiche deilavoratori del governo dell'Akp. Irivoluzionari stanno condu­cendo la rivolta. Finora, i rivolu­zionari di Turchia hanno

condotto una fiera lotta contro ilsionismo e l'imperialismo. Nes­suno si berrà le bugie del go­verno. Inoltre, la nostraresistenza non termineràsemplicemnete con l'accogli­mento delle condizioni richieste,ma anche con la caduta del go­verno dell'Akp. Inoltre, le masseche scendono nelle piazze spes­so lanciano slogan per le dimis­sioni del governo. Noi adottiamoquesti slogan. Il governo non èl'unica alternativa: l'alternativadeve essere costruita nelle stra­de.8. Dal primo giorno della rivoltain diverse città nel Paese i nostricompagni e sostenitori sono allatesta delle barricate. In questoestenuante processo i nostricompagni sono stati feriti, avve­lenati con i gas, picchiati, colpitidai cannoni ad acqua ma nonhanno mai fatto un solo passoindietro. Siamo determinati.Vinceremo e non abbandonere­mo mai la lotta. Unisciti a noi!Conquistiamo le strade e lepiazze insieme! Sconfiggiamo ildittatore! Costruiamo il futuroinsieme!

Barrıcate! Scıopero! Rıvoluzıo­ne!Rıvoluzıone permanente fınoalla vıttorıa!(14/6/2013)

Turchia:larivoluzioneèappenainiziata!Corrispondenza dai compagni della Lit in Turchia (Red Movement),in prima fila nella mobilitazione rivoluzionaria

Valerio Torre

Il 5 marzo scorso, dopo avergovernato il Venezuela perquattordici anni, è mortoHugo Chávez Frias. Le elezio­

ni del successivo 14 aprile hannoincoronato come successore il vicepresidente Nicolás Maduro,consegnandogli però una risicatavittoria (meno di 240.000 voti) sulcandidato della destra HenriqueCapriles.Il grande seguito popolare di cuigodeva Chávez si è tradotto nel do­lore espresso dalle centinaia di mi­gliaia di persone che seguivano ilcorteo funebre: un dolore sincerodi chi ha significativamente vistocambiare la propria vita da unacondizione di estrema miseria amiglioramenti sul terreno della sa­nità, dell'istruzione e dell'ali­mentazione.La maggioranza della sinistramondiale, anche di quella che siproclama “trotskista”, sostiene cheChávez aveva avviato, o stavaavviando, il Venezuela sulla stradadel socialismo: il socialismo delXXI secolo. Noi pensiamo che nonsia così.

Il chavismo comemovimento nazionalista

borghese

Il chavismo ha sicuramente datoluogo a un regime diverso dal pre­cedente. Ma quello venezuelano,sotto i vari governi di Chávez, era eresta uno Stato capitalista poichéfondato sul riconoscimento, la di­fesa e la protezione giuridico­poli­tica della proprietà privata deimezzi di produzione, e sul pilastrofondamentale di uno Statoborghese, le forze armate, di cuiegli era esponente e sulle quali si èappoggiato, dopo averle ricostrui­te, per fondare il suo potere.Il chavismo si è costruito come un

movimento nazionalista borghesemolto simile a quelli del XX secolo(Cárdenas in Messico, Perón inArgentina, Nasser in Egitto),espressioni cioè di settori dellaborghesia nazionale in attrito conl'imperialismo, che volevano gua­dagnare la prima fila nella sparti­zione del “bottino” derivante dallosfruttamento del proprio Paese, e icui governi, deboli sia rispetto alproletariato locale che al capitalestraniero, oscillavano fra que­st'ultimo e quello nazionale, fra larelativamente debole borghesianazionale e il relativamente po­tente proletariato. Trotsky definivaquesti governi “bonapartisti suigeneris”:perpotergovernare,ode­vono trasformarsi in uno stru­mento del capitale stranierosottomettendo a una dittaturapoliziesca il proletariato, oppuredevono manovrare con quest'ulti­mo facendogli persino delleconcessioni per poter fronteggiarei capitalisti stranieri appoggiando­si sulle masse popolari(1). Si tratta,in quest'ipotesi, di una variante “disinistra”, del bonapartismo sui ge­neris: progressiva quando siscontra con l'imperialismo fa­cendo concessioni alle masse; rea­zionaria in ragione del suocontrollo totalitario su queste e peril freno imposto alla dinamicaantimperialista.

Un governo bonapartistasui generis

È stato proprio questo il caso diChávez, che ha manovrato dasubito con la classe lavoratrice perpoter godere di una base di massache gli permettesse di non doversisottomettere incondizionata­mente all'imperialismo. Ma conun'importante differenza rispettoai governi Cárdenas, Perón e Nas­ser: che, nell'attuale fase storica (dibrutale offensiva imperialista sulle

economie semicoloniali), si sonoenormemente ridotti i marginipolitico­economici per un giocorelativamente autonomo delleborghesie nazionali. E dunquequello chavista ben può essere de­finito un nazionalismo borghese“tardivo”, con margini molto limi­tati per potersi sviluppare. Eccoperché i suoi provvedimentiantimperialisti sono ridotti ri­spetto a quelli di Cárdenas o di Pe­rón, così come le concessioni allemasse sono più ristrette, limi­tandosi all'assistenza sociale nelcampo della sanità e dell'istruzio­ne(2).In ogni caso, storicamente, nessungoverno bonapartista sui generis,perilsuocaratterediclasse,sièmaispinto oltre i limiti dello Statoborghese nello scontro conl'imperialismo, prima o poi capi­tolando a esso. E lo stesso Chávez,godendo di margini molto più ri­stretti, ha sempre più ridotto le fri­zioni con l'imperialismo e i suoiagenti(3).

Una vera prospettivasocialista

Eppure, l'argomento principeaddotto da chi ritiene che il Vene­zuela fosse già – o si stesseavviando a essere – uno Stato so­cialista è quello delle “naziona­lizzazioni”. In realtà, si è trattatodell'acquisto a prezzo di mercato ea seguito di negoziati, secondo leregole del capitalismo, di pacchettiazionari in mano a privati(4).Basterebbe già solo questo per ri­badire il carattere capitalista delVenezuela “bolivariano”,confermato dalla brutale repres­sione delle lotte operaie (Petroca­sa, Sanitarios Maracay,Mitsubishi) da parte del regime:chiunque si sia opposto alle misu­re del governo o al padronato èstato etichettato come “destabi­

lizzatore” o “controrivoluziona­rio”. Intanto, mentre i settori piùpoveri hanno ricevuto qualche be­neficio dalla politica chavista, i sa­lari e le condizioni di lavoro dellaclasse operaia sono peggiorati,mentre quadri militari e politici delregime si sono arricchiti dandoluogo al sorgere della “boliborghe­sia” (borghesia bolivariana).Il risultato elettorale così risicatoha sancito la progressiva dinamicadiscendente del chavismo, cheoggi vive una crisi segnata dal cre­scente allontanamento di alcunisettori popolari e di lavoratori chestanno rompendo politicamentecol governo.Il programma nazionalistaborghese del chavismo, benché siastato sempre limitato, ha consu­mato le sue possibilità. Per usciredalla grave crisi economica e so­ciale, sarebbe necessario fare ciòche Chávez non ha fatto, né ha maiavuto intenzione di fare (e ancormeno Maduro): attaccare gli inte­ressi dell'imperialismo espro­priando le sue proprietà, imprese,banche e terre, nazionalizzandolesotto il controllo dei lavoratori;porre fine alle “imprese miste” con

cui le multinazionali imperialistedepredano le risorse del Venezue­la; rifiutare di pagare l'immensodebito interno ed estero, dedi­cando tutte le risorse allo sviluppoeconomico al servizio delle massepopolari.È necessario, per questa prospetti­va socialista, costruireun'alternativa politica al chavi­smo, oltre che alla destra golpista,attraverso la riorganizzazione e lamobilitazione indipendente dellaclasse operaia e delle masse popo­lari venezuelane.

Note

(1) L. Trotsky, Escritos latinoameri­canos, Ceip, 2007.(2) Le “misiones” sono misurecompensative destinate ad alle­viare le situazioni più disperateevitando esplosioni sociali. Fi­nanziate dalle briciole della rendi­ta del petrolio, esse hanno fatto sìche molti venezuelani per la primavolta nella loro vita abbiano avutoaccesso a cure mediche e odonto­iatriche o abbiano avuto un mae­stro nei loro quartieri: ciò spiegaanche il dolore collettivo per lamorte di Chávez, oltre ad aver

rappresentato la propria forzaelettorale negli anni.(3) Basti pensare che Chávez nonha mai smesso di rifornire di pe­trolio gli Usa (neanche quando èstatochiaroil lororuoloneltentatogolpe del 2002), ha religiosamentepagato il debito estero osservandoscrupolosamente tutti i dettamidelFmi,haattuatounavergognosacollaborazione con il governo co­lombiano di Santos (lacchè degliStati Uniti) consegnandogli attivi­sti legati alle Farc. Da ultimo, haabbandonato ogni retoricaantimperialista nei confronti dellanuova presidenza di Obama.(4) L'art. 115 della Costituzionevenezuelana garantisce il diritto diproprietà e la possibilità di espro­priazione solo pagando un “giustoindennizzo”. L'art. 113 garantiscel'iniziativa privata nello sfrutta­mento delle risorse naturali e neiservizi pubblici: è ciò che rendepossibile alle multinazionaliimperialiste Chevron o Exxon­Mobil di controllare il 40% dellaproduzione ed esportazione dipetrolio. Nel settore automobili­stico tale quota sale fino a oltre il90%!

UnchavismosenzaChávezVenezuela:“socialismodelXXIsecolo”onazionalismoborghese?

Qui (e a sinistra) i compagni di Red Movement, sezione della Lit in Turchia

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PROGETTO COMUNISTA Estate 2013 13INTERNAZIONALE

Grecia,Spagna,Portogallo:proletarid'Europainlotta!Il capitalismo produce crisi,disoccupazione,discriminazioni sociali e... lotte!

Riccardo Bocchese

Decine di migliaia di la­voratori, lo scorso 1°giugno, sono scesi inpiazza in tutta Europa

contro la dittatura della Troika: aMadrid, Barcellona, Lisbona, Pari­gi, Londra, Bruxelles, Francofortee numerose altre città. Unione Eu­ropea, Fondo Monetario Interna­zionale e Banca Centrale Europeasono i complici e i responsabiliprimi delle politiche di tagli e pri­vatizzazioni dei servizi pubblici edei piani d'austerità che stannoaffamando migliaia di lavoratoriin tutta Europa.

I dati ufficialiI dati della disoccupazione: 26,5milioni di disoccupati nel vecchiocontinente (19,2 milioni nell'Eu­rozona). Nell'ultimo anno il tassodi disoccupazione dell'Unioneeuropeaèsalitodal10,3%al10,9%,nell'Eurozona dall' 11 al 12,1%: ilpiù alto dato registrato da quandoc'è la moneta unica.I disoccupati in Grecia sono il27,2%: 1,35 milioni (una recentelegge di fine aprile approvata inaccordo con la Troika prevede unulteriore licenziamento di altri 15mila dipendenti pubblici dopoche già 25 mila sono stati messi inmobilità); in Spagna il 26,7% (6,2milioni i disoccupati); in Porto­gallo, nonostante il dato abbiaraggiunto il 18%, il governo preve­de un ulteriore taglio del 10% deidipendenti pubblici. In questaclassifica l'Italia è al decimo postocon una disoccupazionedell'11,5%, con quasi tre milioni didisoccupati.Infine va ricordata Cipro: poco piùdi un milione d'abitanti, i disoccu­pati ufficialmente passano da34.162 a maggio 2012 a 44.424 nelmaggio 2013 con un aumentodella disoccupazione del 30%. ACipro il Fondo monetario interna­zionale ha accordato un prestitopari a 10 miliardi d'euro a condi­zione che fossero applicate misurestraordinarie come il prelievoforzoso sui depositi bancari supe­riori ai 100 mila euro e il taglio deidipendenti statali.Per tutti i Paesi è da sottolineareche sono sempre di più coloro chenonhannounpostodilavoroechenon si iscrivono nelle liste stataliperché hanno rinunciato a cercareun lavoro e, quindi, fuoriesconodalle statistiche ufficiali.La disoccupazione giovanile sottoi 25 anni: in Grecia il 62,5% dei gio­vani sotto i 25 anni è senza lavoro,la Spagna raggiunge il 56,4%, ilPortogallo il 42,5%, l'Italia il 40,5%.DatuttiquestiPaesisiassisteaunamigrazione verso i Paesi del norddell'Europa dove la disoccupazio­ne giovanile rimane più bassa(Germania, Austria e Olanda dal7,7 al 10,4%).Il prodotto interno lordo nel 2012:secondo i dati Eurostat la Greciaperde il 6% rispetto al 2011; Porto­gallo meno 3,8%; Cipro meno 3%

maperil2013siattendeuncalodel13%; Italia meno 2,7%; Spagnameno 1,4%.

Le politiche imposte dallaTroika

È dei primi di giugno la notizia diun documento riservato, pubbli­cato dal Wall Street Journal, delFondo Monetario Internazionale.In questo documento si de­nunciano gli effetti devastantidell'austerità, frutto di una “pe­sante sottovalutazione” dellastrategia dell'austerità estremaapplicataallaGrecia.IlFmi(Fondomonetario internazionale) avevaprevisto un calo del Pil (prodottointerno lordo) greco per il periodo2009­2012 del 5,5% mentre il datoreale è stato di un calo del 17%.Anche sulla disoccupazione si eraprevisto un aumento del 17%.L'aumento verificato è stato, inve­ce, del 25%. Un'altra parzialeammissione di quali siano imeccanismi che comandanoquesti enti è arrivata con la sottoli­neatura che alcuni Paesi europei(leggi Germania e Francia), carichidi titoli del debito pubblico greco,hanno fatto in modo che il debitopubblico greco rimanesse tale (enon fosse cancellato con un de­fault) facendolopagareinmanieraparticolare ai lavoratori greci, mapiù in generale a tutti i lavoratorieuropei con il blocco o il taglio de­gli stipendi, l'innalzamentodell'età pensionabile, il taglio deiservizi sociali e della sanità, la pri­vatizzazione di moltissimi benistatali. Tutto questo per permette­re alle banche, le principali pro­prietarie dei titoli di Stato greci, dicontinuare a guadagnare.

Le protesteIn Portogallo centinaia di migliaiadi persone hanno manifestato aLisbona lo scorso 25 maggio perchiedere le dimissioni del go­verno, contestato per le politichedi austerity messe in atto per farfronte alla recessione e alladisoccupazione. Il malcontentosociale si è acuito dopo l'annunciodell'esecutivo di un nuovo pianodi rigore che prevede l'allunga­mento dell'età pensionabile, daiprecedenti 65 anni a 66, lasoppressione di 30 mila funziona­ri pubblici e l'allungamento delleore di lavoro settimanali, da 35 a40. Il tutto accompagnato da unulteriore peggioramento del pro­dotto interno lordo, che scendedel 4% su base annua a causadell'ulteriore diminuzione delladomanda interna. Mentre scrivia­mo circola la notizia di un nuovoimminente sciopero generale chesarà organizzato per il 27 giugno,in forma unitaria, dal Cgtp e dalsecondo sindacato nazionale,l'Ugt, assieme a numerose asso­ciazioni di consumatori e di cate­goria.Èlaquartavolta,negliultimi25 anni, che le due principali orga­nizzazioni sindacali del Porto­gallo – rappresentative di oltre 1,3

milioni di lavoratori – convocanocongiuntamente uno scioperogenerale. La protesta del 27 giu­gno sarà la quarta dall'inizio delgoverno guidato da Passos PedroPasso Coelho. I 78 miliardi avutinel 2011 dalla Troika hanno pro­vocato la conseguenza di una se­rie di tagli che per le massepopolari sono diventati insoste­nibili.In Spagna la giusta rabbia dellemasse popolari, che si stava espri­mendo contro il Parlamento a fineaprile, ha visto Rajoy schierare1400 poliziotti per difendersi daicortei organizzati nel centro diMadrid con le parole d'ordine“Occupiamo il Congresso”.Ad Atene ed in Grecia gli sciopericontinuano tra i diversi settori la­vorativi. Ultimi, in ordine ditempo, quelli dei medici ospeda­lieri e dei lavoratori della sanitàche il 7 giugno scorso sono scesi inpiazza per uno sciopero di 24 orecontro lo sfascio del sistema sani­tario nazionale che ha portato aduna drammatica mancanza dipersonale medico e paramendiconegli ospedali pubblici. In parti­colare è stata denunciata lamancanza di ben 6.500 medici e dialmeno 20 mila addetti sanitari.

Generalizziamo laprotesta anche in Italia!

In Europa, con le manifestazionidel 1° giugno contro la Troika, conlo slogan di “Unite the resistence ­People United Against the Troika”è iniziato il tentativo della genera­lizzazione della lotta e della mobi­litazione dei lavoratori europei. InItalia, pur essendoci molti esempidi lotte condotte con forme moltoradicali, manca a tutt'oggi la co­scienza della necessità di unirsiper sovvertire questo sistema chenon è riformabile e che staportando un numero sempremaggiore di lavoratori alla fame,alla disperazione e talvolta al sui­

cidio.Nel frattempo, come ci indicano idati statistici, i ricchi capitalistidiventano sempre più ricchi e laforbice tra ricchi e poveri si allargasempre di più. Jacopo Morelli,presidente dei giovani industrialidi Confindustria, parlando delladisoccupazione giovanile haaffermato dal palco del 43°Convegno di Santa Margherita Li­gure, che “senza prospettive per ilfuturo, l'unica prospettiva di­venta la rivolta”.Il giorno dopo, ospite del conve­gno, su questa affermazione ètornato il presidente di Confindu­stria, Giorgio Squinzi, dichia­rando che il rischio di una rivolta èun “discorso serio. Non avere cre­scita né opportunità di lavoro per igiovani comporta un rischio di te­nuta per il sistema sociale. Pensoche nelle piazze scenderanno co­loro che non hanno il lavoro e chenon vedono opportunità per il lo­ro futuro. Noi dobbiamomettercela tutta per evitare chequesto succeda”.Quello che per gli industriali è untimore, cioè quello di piazzeriempite da giovani e lavoratori inlotta per il loro futuro, per i comu­nisti rappresenta una speranza: ilPartito di alternativa comunistalavora quotidianamente affinchéi timori di Confindustria diventi­no una realtà e finalmente anchequi in Italia i lavoratori si uniscanoper uno sciopero generale e adoltranza che porti all'espropriodegli espropriatori. Per questo èurgente ripartire dalla coscienzadi classe e dalla necessità di orga­nizzazione tra i lavoratori che, fi­nalmente, devono unirsi anchecon gli altri lavoratori europei,nelle lotte contro un sistema,quello capitalista, che affama lamaggioranza della popolazioneper mantenere al potere una mi­noranza di ricche sanguisughe.(8/6/2013)

Un giornale che vede continuamente ampliarsi ilnumero dei suoi lettori, a cui dedica un numerocrescente di pagine (ora sono venti, con un fogliocentrale scritto dai Giovani di AlternativaComunista), notizie di lotta, interviste, articoli diapprofondimento sulla politica italiana einternazionale, traduzioni di articoli dalla stampadella Lit-Quarta Internazionale, testi di teoria e storiadel movimento operaio.Progetto comunista è un prodotto collettivo: ad ogninumero lavorano decine di compagni.E' scritto da militanti e si rivolge a militanti e attivistidelle lotte.Viene diffuso in forma militante dalle sezioni delPdac e da tutti i simpatizzanti e da coloro che sonodisponibili a diffonderlo nei loro luoghi di lavoro o distudio.Abbonarsi a Progetto comunista non è soltantoimportante per leggere il giornale e sostenere unacoerente battaglia rivoluzionaria:è anche un'azione utile per contribuire a far crescerele lotte, il loro coordinamento internazionale, la lororadicalità. Se vuoi conoscere PROGETTO COMUNISTA,puoi leggere i pdf dei numeri precedenti sualternativacomunista.org

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La crisi capitalista morde i salari. La crisi capitalistacrea disoccupazione di massa.La crisi capitalista distrugge la vita di milioni dipersone con nuova precarietà e oppressione,miseria, razzismo, sfruttamento!Ma contro la crisi e il tentativo della borghesia e deisuoi governi, di centrodestra e di centrosinistra, discaricarne i costi sui proletari, crescono lemanifestazioni in tutta Europa, dalla Spagna allaGrecia, proteste studentesche in Italia, lotte (per oraancora isolate) in diverse fabbriche del nostro Paese.Lotte contro la Troika europea che detta la linea delpiù pesante attacco ai diritti delle masse popolaridegli ultimi decenni.La situazione è straordinaria e vede un impegnostraordinario del Pdac per far crescere le lotte indirezione di una coerente prospettiva di classe, dipotere dei lavoratori.

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14 Estate 2013 PROGETTO COMUNISTAINTERNAZIONALE

Fermarelacatastrofesociale:lottareperun'EuropadeilavoratoriedellemassepopolariIn risposta al manifesto“Che fare con il debito e con l'euro?”

Èstato da poco reso pubbli­co il manifesto “Che farecon il debito e con l'euro?”,fra i cui firmatari spicca

Francisco Louçã, ex deputato delBloco de Esquerda del Portogalloe membro del Comitato Interna­zionale IV (il vecchio SegretariatoUnificato), insieme allo spagnoloDaniel Albarracín. Viene pre­sentato come la proposta strate­gica per affrontare la crisi deldebito che ha condannato la pe­riferia europea alla catastrofe so­ciale e liquidato la sua sovranità.Il manifesto non è altro che unaspecie di ultima trincea di difesadell'Unione Europea (UE) edell'euro, dato che sostiene che“le alternative sociali e popolari aquesta crisi esigono una audacerifondazione dell'Europa. Tutta­via – si rammaricano i firmatari –“dato che questa rifondazioneglobale sembra fuori dellaportata, visto l'attuale rapportodi forza, in diversi Paesi si propo­ne l'uscita dall'euro come solu­zione immediata”. Ma – cosìaffermano – questo sarebbe un“falso dilemma”: la permanenzanell'UE e nell'euro non deve as­solutamente essere messa indiscussione. Si tratta invece diformare un “governo di sinistra”che negozi con l'UE la “ristruttu­razione del debito” (cioè, conti­nuare a pagare).Da parte nostra, ci rivolgiamo alleorganizzazioni e agli attivisti, acoloro che combattono e resisto­no alla catastrofe sociale. Non c'èaltra soluzione se non la mobili­tazione massiccia della classe la­voratrice e dei giovani contro chici sprofonda nella catastrofe. Unacatastrofe che non può esserefermata se non sappiamo controchi lottare: l'Europa del capitale ela borghesia di ciascuno dei no­

stri Paesi. Non c'è riforma possi­bile dell'UE, bisogna romperecon essa, prendere il destino nellemani della classe lavoratrice eaprire il cammino all'Europa uni­ta dei lavoratori e delle masse po­polari.

Un “governo di sinistra”…per continuare a pagare il

debito

Siamo di fronte allo smantella­mento delle conquiste storichedei lavoratori con il saccheggio ela devastazione dei Paesi dellaperiferia. Per affrontare questacatastrofe, il manifesto proponeun “governo di sinistra” con una“strategia realistica”, propostasintetizzata in “tre rotture conl'euroliberalismo”.La prima rottura, pensata “a bre­ve termine e come misura imme­diata”, consiste nel “trovare mezziper finanziare il debito pubblicoal di fuori dei mercati finanziari”.Questa “rottura” (se così possia­mo chiamarla) non rappresente­rebbe – come riconosconopersino i firmatari – nessuncambiamento per il debito e gliinteressi. L'unica cosa checambierebbe sarebbe il loro fi­nanziamento. Tutto uncontorsionismo, insomma, chepuò essere riassunto in una frase:mantenere il pagamento del de­bito.La “seconda rottura” già non sa­rebbe a breve termine:“L'alternativa a lungo termine èdunque la seguente: oun'interminabile austerità,oppure una politica di cancella­zione del debito e una moratoriaimmediata del debito pubblico”.A tale moratoria seguirebbe “unaudit civico per determinare ildebito legittimo”, ciò che, a sua

volta, aprirebbe la strada a “unoscambio di titoli del debitoannullandone gran parte se­condo necessità”. Ci sarebbe,infine, “una terza rottura: ilcontrollo dei movimenti interna­zionali di capitale, il controllo delcredito e la socializzazione dellebanche”.Ma è necessario andare al sodo,perché, di queste tre “rotture”, so­lo la prima è operativa, l'unicache viene definita “a breve termi­ne e come misura immediata”. Lealtre puntano già ad una pro­spettiva lontana. La formulazio­ne volutamente confusanasconde il fatto che questo “go­verno di sinistra” non prevedeaffatto la “immediata sospensio­ne del pagamento del debito” eneppure “la socializzazione dellebanche”. Questi provvedimentidebbono essere messi da parteperché l'unico vero obiettivo è ri­negoziare il debito.I firmatari, insomma, nascondo­no l'enorme prezzo che la classelavoratrice e le masse popolaridovrebbero continuare a pagareper una politica di rinegoziazio­ne del debito nel quadro dell'UE.Al di là del loro falso realismo, la“strategia realistica” non è altroche la ricerca del “male minore”,una politica per rendere pi dige­ribili i piani di saccheggio e deva­stazione della Troika.

Una dimenticanzaimportante:

lo sfruttamento dellaclasse lavoratrice

Per fermare la crisi di indebita­mento il capitale finanziarioespropria il bilancio pubblico(con lo smantellamento e la pri­vatizzazione dei servizi pubblicie delle pensioni) e aumenta lo

sfruttamento dei lavoratori attra­verso l'abbassamento dei salari,l'aumento della giornata di lavo­ro, i licenziamenti facili, l'aboli­zione della contrattazionecollettiva. Questo processo, bru­talmente portato avanti, rappre­senta l'asse centrale dei piani delcapitalismo, destinati a pro­lungare il saccheggio a tempoindeterminato.Per questo, la sospensione delpagamento del debito va di paripasso con la battaglia per espro­priare le banche, fermare einvertire lo smantellamento deiservizi pubblici, abolire la ri­forme del lavoro e ripartire il la­voro stesso. Ciò si aspetta laclasse lavoratrice da un vero “go­verno di sinistra”, ma queste mi­sure implicano la rottura conl'UE.La soluzione alla crisi: romperecon l'UE, applicare un pro­gramma anticapitalistad'emergenza, aprire la stradaall'Europa dei lavoratoriI firmatari dicono che l'uscitadall'euro ci porterà nell'abisso:aumento del debito, fallimentodel sistema bancario e un'altainflazione che divorerà salari epensioni e senza che il Paese gua­dagni la sovranità. Lo stesso argo­mento dei governi e deglieconomisti borghesi.La rottura con l'euro e l'UE è as­solutamente necessaria, ma dasola non potrà risolvere nulla senon sarà accompagnata dalle mi­sure anticapitaliste di base, ne­cessarie per difendere il Paese dalboicottaggio estero: espropriodelle banche, nazionalizzazionedi imprese e settori industrialistrategici sotto controllo dei la­voratori, controllo dei movi­menti di capitale e monopolio delcommercio estero, riorganizza­

zione dell'economia riaprendo leimprese chiuse e le terreabbandonate, ripartendo il lavo­ro esistente tra tutti i lavoratori. E,quel che è più importante, orga­nizzare la solidarietà e la lottaunita con i lavoratori e le massepopolari del Sud e di tutta Euro­pa. Perché senza distruggere tuttiinsieme l'UE e costruire al suoposto un'Europa socialista dei la­voratori e delle masse popolarinessun Paese da solo potràsalvarsi.

Il vero dilemmaLa sopravvivenza del decadentecapitale finanziario della perife­ria e la sua collocazione nelmercato mondiale dipendonodalla sua permanenza nell'UE enell'euro. Ma il prezzo per questapermanenza è la soggezionecompleta agli ordini della Troika,la disoccupazione massiccia el'imposizione di uno standard disfruttamento che non ha nulla dainvidiare a quello di un Paese se­micoloniale.Il programma del manifesto nonriconosce questa realtà perchénon è disposto a scontrarsi con laborghesia dei Paesi periferici.Non si definisce grazie alla suaopzione di classe, bensì per eufe­mismi come programma “rea­lizzabile” e “progressista”.Non è casuale che il suo grande ri­ferimento sia Syriza che rinunciaad utilizzare il magnificoappoggio concesso alle elezionidai lavoratori greci per fare

appello alla mobilitazione e ro­vesciare il governo fantoccio, nonandando un millimetro oltre i li­miti istituzionali del regime gre­co. Rinunciando alla strada dellamobilitazione per fermare lacatastrofesocialeneinostriPaesi,il manifesto limita il nostroobiettivo alla conquista dimaggioranze parlamentari eperciò propone un programma“realizzabile” che resti nei limitidell'attuale regime di domina­zione.Il “falso dilemma” con cui ifirmatari aprono il manifesto èsolo una cortina di fumo per na­scondere il vero dilemma: quelloche contrappone da un lato i di­fensori del mantenimentodell'Europa del capitale e,dall'altro, coloro che propugna­no la mobilitazione di massa perla sua distruzione e l'edificazio­ne, sulle sue rovine, di un'Europasocialista unita dei lavoratori edelle masse popolari. I firmataridel manifesto hanno già sceltol'UE, applicandole la chirurgiaestetica della “rifondazione”.

Mas (Movimento alternativasocialista – Portogallo)Corriente roja (Spagna)Pdac (Partito di alternativacomunista – Italia)

Coordinamento europeo della Lit­Ci (Lega Internazionale deiLavoratori–QuartaInternazionale)

di Fabiana Stefanoni

Le strade di molte città delBrasile sono in queste oreinvase da decine di miglia­ia di manifestanti ­ in gran

parte giovani studenti o lavoratoriprecari­chesibattonocontrol'au­mento delle tariffe del trasportopubblico, ma anche per rivendica­re un futuro diverso di quello che ilcapitalismo offre loro. Una mobili­tazione che si è unita alle protestecontroilgovernodiDilmaRousseff(ilgovernodelPtdiLula)perlespe­se faraoniche per l'organizzazionedei Mondiali di calcio del 2014:mentre il governo privatizza la sa­nità e chiude gli ospedali pubblici(con larga parte della popolazionebrasiliana che non ha coperturasanitaria), mentre vengono tagliatii finanziamenti all'istruzionepubblica, Dilma investe miliardiper un evento sportivo.

La repressione brutale...Le mobilitazioni sono iniziate laprima settimana di giugno. Il 10 e

l'11giugno,primaaRiodeJaneiroepoi a San Paolo, sono scese inpiazza migliaia di studenti e giova­ni lavoratori per protestare control'aumento delle tariffe del tra­sporto urbano. Importanti risultatiimmediati sono stati ottenuti conla lotta fin dall'inizio: a Porto Ale­gre, Natal e Goiânia le proteste so­no riuscite a bloccare il rincarodelle tariffe.La repressione è stata da subitobrutale: a Rio la polizia ha arrestato31 persone, a San Paolo sono stateutilizzate le forze di polizia specialiche hanno sparato lacrimogeni epallottole di plastica ad altezzad'uomo dando dato vita a una veraepropriacacciaall'uomonelcuoredella metropoli. Anche qui sonostate arrestate circa 20 persone.Il governatore dello Stato di SanPaolo(Alckmin,delPsdB,partitodidestra) ha elogiato la repressione eha bollato i giovani come "vandali"e "rivoltosi". Non diverse sonostate le reazioni di esponenti del Ptdi Dilma e Lula, che hannoappoggiato la repressione (come il

sindaco di San Paolo, FernandoHaddad, esponente del Pt, che haringraziato la polizia). Il ministrodella giustizia del governo Dilma,Eduardo Cardoso, ha dichiaratoalla stampa di aver ordinato allapolizia federale di reprimere leproteste. Gli organi di informazio­ne borghesi hanno avviato unacampagna contro i giovani mani­festanti, riprendendo gli epiteti delgovernatore Alckmin: "sono deivandali".

...ma la protesta non siferma e cresce!

La repressione ha avuto come uni­co effetto quello di fomentare laprotesta. Ai giovani studenti si so­no uniti importanti settori popola­ri e sindacali: in primo luogo laCsp­Conlutas, la più grandeconfederazione sindacale di classedell'America Latina (3 milioni diaderenti), promotrice della ReteSindacale Internazionale di Soli­darietà e di Lotta nata a Parigi lascorsa primavera. Anel, il sinda­cato studentesco che aderisce allaCsp­Conlutas (e che ha da pococelebrato il suo III congresso, conla partecipazione di migliaia distudenti: si veda l'articolo pubbli­cato sul numero in uscita di Pro­getto comunista), è alla testa delleproteste studentesche.Il sostegno dei lavoratori e di setto­ri popolari e di lotta ha rafforzato laprotesta: dopo giorni di mobilita­zioni continue, il 17 giugno sonoscesi in piazza 100 mila persone aRio de Janeiro, 65 mila a San Paolo,50 mila a Belo Horizonte, 20 mila aPorto Alegre, 15 mila a Belem, 10mila a Brasilia e così in decine dicittà del Brasile. A Brasilia centina­ia di studenti e giovani lavoratorisono riusciti a sfondare il cordonedellapoliziaeaoccupareil tettodelParlamento al grido di "il parla­mento è nostro" e "facciamo comein Turchia!". Mentre scriviamo, la

protesta non si ferma e si estende amacchia d'olio: non si vedevano inBrasile manifestazioni così impo­nenti da oltre vent'anni.

Il Pstu in prima fila nelleproteste

Il Pstu (la sezione brasiliana dellaLega Internazionale dei Lavorato­ri­Quarta internazionale, di cui ilPdac è sezione italiana) è in primafila nelle proteste. Per le strade ditutte le città del Brasile nei corteioceanici sventolano le bandiererosse dei nostri compagni brasilia­ni. Non solo: i militanti del Pstuhanno reso possibile l'unificazio­ne delle proteste studentesche consettori importanti della classe la­voratrice e dei movimenti di prote­sta popolare. Molti settoristudenteschi che stanno diri­gendo le manifestazioni di questigiorni hanno tra i loro dirigenti mi­litanti del Pstu.Il Pstu è un partito radicato,d'avanguardia e con influenza dimassa, che dirige importantisettori della classe operaia brasi­liana: da quando è nato, nel 1972,ha guadagnato progressivamenteun'influenza crescente, co­struendosi come partito di mili­tanti, sulla base del proprioprogramma rivoluzionario, trots­kista, e mantenendo sempre unaposizione di ferma opposizione diclasse ai governi di fronte popolaredi Lula e Dilma: governi che hannofavorito investimenti di capitalestraniero (si pensi alla Fiat) in

cambio della progressiva dismis­sione di diritti sindacali. Anchegrazie a una politica di concessionicaritatevoli agli ampi settori disottoproletariato presenti in Brasi­le (si calcola che siano più di 12 mi­lioni gli abitanti delle favelas)tramite la cosiddetta "Bolsa famí­lia" (una sorta di assegno caritate­vole elargito alle famiglie piùpovere), i governi di fronte popola­re sono riusciti a mantenere ilcontrollo delle masse: un controlloche ora, per la prima volta, co­mincia seriamente a vacillare. Lostesso tanto decantato "miracolo"dell'economia brasiliana (chetanto ha entusiasmato da sempreanche la sinistra governista nostra­na) si sta progressivamente sgreto­lando: le contraddizioni diun'economia dipendente dagliinvestimenti delle multinazionalistanno esplodendo.Oggi in queste imponenti proteste

di massa svolgono dunque unruolo fondamentale i compagnidel Pstu del Brasile, che in questianni di relativa pace sociale hannocostruitoun'influenzasuisettoridiavanguardia della classe operaia edelle lotte popolari (si pensi al ruo­lo di direzione svolto nella celebreribellione della favela di Pinheri­nho lo scorso anno; o alla presenzamassiccia tra gli operai della Ge­neral Motors).

Unità internazionaledelle lotte!

Gli slogan che gridano i giovani perle strade delle città brasiliane sonoslogan internazionalisti: "Faccia­mo come in Grecia! Facciamo co­me in Turchia! Riprendiamoci ilfuturo!". E particolarmenteimportante è il fatto che i militantidi Red (la sezione turca della Lit­Quarta Internazionale) in Turchiastanno diffondendo comunicati disolidarietà alla lotta in Brasile e alPstu: un esempio di solidarietàinternazionale che dimostral'importanzadicostruireerafforzaun'organizzazione politica su sca­la internazionale per dirigere eunificare le lotte contro il sistemacapitalistico e l'imperialismo. E' ilcompito che si pongono i compa­gni del Pstu in Brasile, i compagnidi Red in Turchia, i compagni delPdac in Italia, insieme a decine dialtri partiti in Europa e nel mondoche aderiscono alla Lega Interna­zionale dei Lavoratori ­ QuartaInternazionale. (19/06/2013)

Brasile:siestendelaprotestadimassaIl Pstu (Lit) in prima fila nella lotta

Brasilia: occupazione del parlamento

spezzone del Pstu (Lit­Ci) in una delle imponenti manifestazioni

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PROGETTO COMUNISTA Estate 2013 15INTERNAZIONALE

Circondiamodisolidarietàattivalarivoluzionesiriana!Supplemento al Correo Internacional ­ periodico della Lit­Ci

All'inizio del suo terzo anno, la rivoluzione siriana continua e siacutizza. Le masse popolari che hanno impugnato le armi perliberarsi dalla sanguinaria dittatura di Bashar Al Assad conti­nuano a dimostrare eroismo e sacrificio impressionanti

affrontandounnemicochedisponedisuperioritàmilitareechehadimo­stratodiesseredispostoacommettereicriminipiùatrocieperfinounge­nocidio, pur di conservare il potere.Una sanguinosa guerra civile attraversa il Paese. Morte e distruzionerendono la situazione drammatica e le conseguenze dureranno decenni.L'Osservatorio siriano dei Diritti Umani informa che il numero di mortidall'inizio del conflitto armato oscillerebbe tra 94.000 e 120.000 persone.In questa stima, approssimata per difetto, si contano 47.387 civili, di cui4.788 bambini e 3.048 donne.A ciò si aggiunge il dramma di coloro che hanno dovuto abbandonare leloro case. L'Onu informa che ci sono più di quattro milioni di sfollati nelPaese, mentre il numero dei rifugiati all'estero supera il milione e mezzo.Ogni giorno, circa 10.000 persone, di cui la metà bambini, attraversano lefrontiere.Nelleultimesettimanesicontano500.000civilifuggitiall'estero.È comune che, in questo penoso esodo, gli abitanti di interi villaggi, dopodiversi giorni di marce a piedi e sotto attacco delle truppe fedeli al regime,giungano alle frontiere di Libano, Giordania, Turchia o Iraq, dove so­pravvivonoincondizionidisumane,sopportandolafameeleintemperie.Inquestoquadro,prodottodeicriminidiAssad,sisviluppanolarivoluzio­neelaguerracivileinSiria,indubbiamentelapuntadilanciaelaprincipa­le arena in cui si definisce la continuità dell'ondata di rivoluzioni chescuotono il Nord Africa e il Medio Oriente dalla fine del 2010.Qualèilcorsodellasituazionepolitico­militare?Qualiiproblemichelari­voluzione affronta per poter trionfare? Quali sono le prospettive? Qualeposizione debbono tenere i rivoluzionari rispetto al principale scontrodella lotta di classe oggi?

Una controffensiva di Assadcon il protagonismo di Hezbollah

Alcuni mesi fa, il corso della guerra civile vedeva una serie di progressidelleforzeribelliche,inuncertosenso,avevanoparzialmenteequilibratol'enorme differenza di potenziale militare.Tuttavia,nelleultimesettimanequestasituazionehapresoacambiareesisviluppa oggi una forte controffensiva delle truppe fedeli al tiranno, chesono riuscite a riprendere importanti postazioni controllate dai ribelli.La controffensiva di un regime che sembrava sfinito poggia su un ele­mento nuovo e di grande importanza politico­militare: l'entrata in scenaafavoredelladittaturasirianadeicombattentidiHezbollah,ilpartito­mi­lizia sciita libanese.Hezbollah è una delle più potenti organizzazioni politico­militari del Me­dio Oriente. Di fatto, la partecipazione di migliaia di combattenti al servi­zio del regime siriano si è dimostrata qualitativa ad Homs, uno dei centridella rivoluzione e terza città per importanza del Paese, che si trova sottoassedio permanente. Senza l'aiuto di Hezbollah, ad esempio, diffi­cilmente la dittatura avrebbe ripresoWadi Al Sayeh, un quartiere strategi­co. Il bombardamento di Homs è incessante ed infernale e sta riducendola città in cumuli di macerie. Alla pioggia di proiettili seguono incursioniterrestri dirette da Hezbollah, le cui forze hanno avuto un ruolod'avanguardiaanchenellevittorieparzialicheilregimehariportatoaDa­masco,dovehariconquistatopostidicontrolloaZamalkaeconsolidatolaripresa di Qaysa, entrambe ubicate ad est della città. Da questi punti dellaperiferia il regime può ora bloccare importanti rotte di invio di armi eapprovvigionamenti per l'Esercito libero della Siria (Els).In tal modo, Hezbollah, che aveva guadagnato grande autorità e l'ammi­razionedimigliaiadiattivisti intuttoilmondoperaversconfittol'invasio­ne di Israele nel Libano nel 2006, sta svolgendo in questa guerra civile inSiria un ruolo controrivoluzionario, ponendo tutta la sua autorevolezzapolitica e il suo potere militare al servizio della dittatura della famiglia As­sad.Quest'elemento ci porta a una conclusione: a questo punto della guerracivile, la dittatura mantiene il potere fondamentalmente grazieall'appoggio esterno che com'è noto riceve non solo da Hezbollah, maanche dal regime teocratico e reazionario dell'Iran, che fornisce missili especialisti militari; dalla Russia, che fornisce armi moderne e dispositiviantiaerei, oltre a tutta l'attività diplomatica e al peso della sua base navaleaTartus(ilsecondoportodellaSiria:ndt);edaPaesicomeilVenezuela,go­vernato dal chavismo, che fornisce una parte del combustibile utilizzatodall'aviazione del regime per bombardare i ribelli e la popolazione civile.

Intensificazione dei metodi genocidiA quest'appoggio esterno, tutt'altro che disprezzabile, si aggiunge unapolitica di intensificazione dell'uso del terrore e di promozione dei mas­sacri contro la popolazione civile da parte del regime. Poche settimane fa,nella zona costiera, culla della famiglia Assad, le truppe della dittatura e leloro bande di shabihas (feroci mercenari al soldo del regime) hannocommesso atroci massacri nelle località di Banias e Baydas, nella pro­vincia di Tartus, dove i mercenari sono entrati casa per casa persaccheggiare, sgozzare e violentare più di 150 persone, molte delle qualidonne e bambini, in ognuno dei due villaggi. Nel quadro di questa dina­mica genocida, i ribelli hanno denunciato che Assad impiega contro lemilizieelapopolazionecivileletaliarmichimiche,soprattuttoilgassarin.Difatto,nonèunsegretocheAssaddispongadiunodeipiùgrandiarsena­lidiarmichimichedellaregione:1.000tonnellatedigassarin,gasalpepe­roncino eVX, che agisce sui centri nervosi, oltre a cianuro, immagazzinatiin almeno 17 punti differenti del Paese (fonte: El País).

La politica dell'imperialismo …Lastrategiadell'imperialismopersconfiggerelarivoluzioneestabilizzareil Paese e la regione si fonda sull'obiettivo di rimuovere Assad dal potere

primachesianolemasseinsorteafarloeche,conlaloroazionevittoriosa,fomentinoancordipiùlasituazionerivoluzionariainunaregionecentra­le per gli interessi delle grandi potenze.Le denunce formali sull'utilizzazione da parte di Assad di armi chimichehanno creato un clima di pressione nel senso di un intervento militarestatunitense in Siria, dal momento che Obama aveva mesi fa annunciatoche questa sarebbe stata la “frontiera” per iniziare un'azione militare delsuo governo contro il regime di Damasco.Tuttavia, la politica dell'imperialismo non prevede un intervento militarecon truppe di terra: e ciò non solo a causa della crisi economica, allamancanza di consenso internazionale e alla relativa forza dell'esercito diAssad (superiore a quello di Gheddafi), quanto fondamentalmente perragioni politiche che hanno a che fare con la sconfitta militare dell'impe­rialismonordamericanoinIraqeAfghanistan(coneffettiall'internodellastessa società statunitense) e la necessità di muoversi con cautela in unaregione attraversata da un forte processo rivoluzionario che gli Usaintendonocontenere.Inquestosenso,lostessoObamahaenfaticamentedichiarato: “Non riesco a immaginare uno scenario in cui la presenza ditruppe nordamericane possa essere vantaggiosa, né per la Siria, né per gliStatiUniti”(ElPaís),aggiungendochenonagiràalprezzodi“provocareuncaos” in tutta la regione. Benché abbia detto che non potrebbe scartarel'ipotesi di “altre azioni militari” meno “rischiose”, è chiaro che, per il suocosto politico, un'invasione con truppe di terra non figuri fra le sue attualiopzioni.Neppure rientra nei piani dell'imperialismo, ad esempio, armare tutte letruppe ribelli con quanto servirebbe per vincere (aerei, sistemi antiaereo,carriarmati,ecc.),perchécosìarmerebbeerafforzerebbeunarivoluzionepopolare che minaccia i suoi interessi. Tutt'al più, attraverso il Qatar,l'Arabia Saudita e altri Paesi del Golfo, vengono inviate armi leggere adalcuni settori e alcune brigate ribelli, soprattutto quelli legati all'islami­smo salafita, come denunciano attivisti siriani e come conferma El País:esattamente perché questi sono i settori più affini a queste petromo­narchie e che, benché ora si scontrino con il regime, hanno una visionesettaria della lotta, di matrice confessionale religiosa, fra sciiti­alawiti esunniti e non del popolo siriano contro la tirannia del Baath.In tal modo, dividendo e allontanando altri settori etnici e religiosi dallalotta rivoluzionaria, milizie come il Fronte Al Nusra (che ha dichiarato fe­deltàaAlQaedaedèprobabilmentefinanziatodalQatar)finisconoperfa­re il gioco della dittatura. Dunque, non è casuale che esse ricevano piùarmi e appoggio rispetto ai settori laici, come l'Els, che hanno maggioridifficoltà nel rifornirsi.

La politica dell'imperialismo per sconfiggere la rivoluzione siriana preve­de una soluzione negoziata che allontani Assad dal potere (garantendogliimpunità) e che salvi l'essenziale del regime ottenendo la stabilizzazionedella regione. Questo piano è riassunto nelle parole del Segretario di StatodegliUsa,JohnKerry:“Tuttelepartisisiedanoaltavolonegozialeesiformiun governo di transizione con il consenso di tutti, il che, a nostro giudizio,significa chiaramente che il presidente Assad non ne farà parte” (Abc).Con quest'obiettivo, la diplomazia statunitense ha incontrato il presi­dente russoVladimir Putin e, successivamente, il premier britannico Da­vid Cameron. L'orientamento stabilito è stato di realizzare una“conferenzadipace”sullaSiriaagliinizidigiugno,incui–secondoquantoaffermato da Obama –“riuniremo membri del regime e dell'opposizionea Ginevra per giungere a un accordo su un governo transitorio che possaassumere il potere dopo l'uscita di scena di Bashar Al Assad” (El País).

… e gli attacchi di IsraeleI recenti attacchi aerei di Israele contro installazioni militari sirianevannoanalizzatinelquadrodiquestapolitica. Inprimoluogo, leaggres­sioni sioniste meritano senz'altro la nostra più categorica condanna eopposizione.È anche importante chiarire che, benché indeboliscano in qualche mi­sura il potenziale militare di Assad, essi non possono essere assoluta­mente visti dai combattenti siriani come un “aiuto” alla causarivoluzionaria, dal momento che Israele è uno dei maggiori interessatialla sconfitta della rivoluzione, non solo in Siria ma in tutta la regione.E neppure Assad può essere presentato – come egli stesso o la maggio­ranza della sinistra pretendono – come un “combattente antisionista”,dato che da quarant'anni (lui e suo padre prima di lui) non spara un solcolpo contro Israele, né ha fatto nulla per recuperare le Alture del Golan(territoriosirianooccupatodaisionistinel1967),nétantomenopensadifarlo ora.Come ha dichiarato il Consiglio Militare Rivoluzionario di Damasco,un'importante organizzazione ribelle, “(…) evidenziamo che la nostralotta contro il regime di Assad non ci ha fatto e non ci farà dimenticareche il nostro maggior nemico è Israele (…). Alla luce di ciò, condannia­mo inequivocabilmente la recente aggressione israeliana in territoriosiriano e la consideriamo una violazione della sovranità del nostro Pae­se, la Siria. E finché l'Esercito siriano non tornerà ad essere patriotticodopo il rovesciamento della mafia di Assad, la nostra risposta a qualsiasiattacco israeliano si concreterà in azioni, non in parole come l'inconse­guente regime di Assad è abituato a fare” (http://syriafreedomfore­ver.wordpress.com/2013/05/09/statement­of­the­revolutionary­military­council­in­damascus­on­the­israeli­aggression/).Dunque, analizzando i motivi degli attacchi sionisti sarebbe superficia­le soffermarsi sul presunto invio a Hezbollah di sofisticate armi (missiliiraniani)dapartediAssad,comesostengonoIsraeleelastampainterna­zionale. Soprattutto perché, nel mezzo di una guerra civile in cui il regi­me si gioca la sopravvivenza, è ben difficile che il regime si privi,mandandole fuori dei suoi confini, armi di questo tipo di cui ha invecebisogno nel Paese.Perciò,volendoapprofondireil tema,èpossibilechegliattacchiselettividi Israele (che neppure è interessato ad una guerra col regime di Assad),siano funzionali alla politica generale dell'imperialismo, cioè puntino aforzare il regime a negoziare una transizione. Rappresentano un invito

alla calma, soprattutto in un momento in cui Assad, ringalluzzito daisuoi progressi militari e dall'appoggio dei suoi alleati esterni, è pocoincline a sedersi al tavolo delle trattative, né vuole partecipare alla citata“conferenza di pace”.In sintesi, l'imperialismo, impossibilitato ad intervenire militarmente,da un lato si pone al fianco dell'opposizione al regime e in particolaredella moderata Coalizione Nazionale Siriana, ma condizionandola e ri­fiutandosi di armare i ribelli per rovesciare Assad, mentre dall'altro nonpuòconsentirecheladittaturaschiaccimilitarmenteiribelli: insomma,un delicato equilibrio che mira a un logoramento generale in grado diforzare una soluzione negoziata. Per questo si è servito della forza mili­tare di Israele, sua enclave nella regione, per dimostrare ad Assad e allasua guardia pretoriana che la miglior soluzione al conflitto sarebbe se­guire la strada che gli Usa e i suoi alleati stanno tracciando: un accordodall'alto per evitare un trionfo rivoluzionario delle masse siriane.

Tutto perché la rivoluzione trionfi!La Giornata Mondiale di Solidarietà

con la Rivoluzione siriana

Nel momento in cui il regime di Assad lancia, con la collaborazione diHezbollah e con armi e consiglieri militari di Iran e Russia, una brutalecontroffensiva basata su azioni genocide contro il popolo siriano comeatroci massacri e l'uso di gas tossici, non c'è compito più urgente checircondare la causa della rivoluzione siriana di ogni appoggio e solida­rietà attiva.Si tratta del principale scontro, attualmente, fra la rivoluzione e lacontrorivoluzione mondiale. Una vittoria o una sconfitta in Siriaavrebbero un impatto molto forte nella regione mediorientale e nelmondo.Nonsitrattadiuncombattimentolontano,senzarelazioneconla realtà degli altri Paesi, ma è parte di una lotta globale degli oppressicontro gli oppressori.Tuttavia, a differenza purtroppo dei precedenti processi di Egitto o Tu­nisia, la rivoluzione siriana (com'è accaduto con quella libica) si trovaisolata, dato che la maggioranza della sinistra mondiale, influenzata dalcastrochavismo, in maniera criminale si pone al fianco del dittatore econtro le masse che lo mettono in discussione. Per giustificare questocrimine politico, utilizza argomenti fallaci come ad esempio che questidittatori sanguinari sarebbero leader “antimperialisti” o “antisionisti”,vittime di una “cospirazione internazionale”, quando invece è da de­cenni che essi si sono prostrati all'imperialismo e oggi si scontrano (o sisono scontrati, come nel caso di Gheddafi) con i loro popoli in lotta, dasempre oppressi e brutalmente repressi.Difronteaquestotradimentodellamaggioranzadellasinistra,èurgenterompere l'isolamento politico­militare che colpisce la rivoluzione siria­na, esprimendo un appoggio incondizionato alla lotta delle masse po­polari per rovesciare la dittatura assassina di Assad.La Lit­Ci ha assunto questa posizione sin dall'inizio della rivoluzione,appoggiando senza se e senza ma la rivoluzione siriana, indipendente­mente da chi la dirige, e sostiene che la parola d'ordine centrale degliattivistiedeicombattentionestiedellasinistradeveessere,oggipiùchemai,“ViaAssad!Noall'interventoimperialistaesionista!Ogniappoggioperché trionfi la rivoluzione!”.È necessario esigere che tutti i governi del mondo, a cominciare dai Pae­si della regione che sono parte del processo rivoluzionario, come Egitto,TunisiaoLibia,rompanolerelazionidiplomaticheecommercialiconladittaturadiAssadeinviinoaerei,carriarmatiearmipesanti,medicinali,generi alimentari e ogni forma di appoggio concreto, direttamente allemilizie ribelli perché possano sconfiggere definitivamente questo regi­mecheopprimeilpopolosirianoechesièmostratofedelegarantedegliinteressi di Israele e degli Stati Uniti.In questo senso, ci pronunciamo contro il criminale embargo di armi aicombattenti ribelli in Siria imposto dall'Unione Europea e dall'Onu.È urgente organizzare una forte campagna internazionale, la più ampiapossibile, di appoggio alla rivoluzione siriana. Perciò, è stata convocatadalMovimentoGlobalediSolidarietà–unaretediattivistididiversiPae­si – una Giornata Mondiale di Solidarietà con la Rivoluzione siriana chesi è tenuta il 31 maggio scorso in decine e decine città di ogni Paese delmondo con cortei, manifestazioni davanti alle ambasciate di Assad,eventiculturali,dibattiti,ecc.,peraprireladiscussionesullanecessitàdiappoggiare la rivoluzione in Siria e raccogliere appoggio materiale per isuoi combattenti.Questaèlastradache,anostroavviso,debbonopercorrereleorganizza­zioni socialiste rivoluzionarie e qualsiasi organizzazione che difenda lelibertàdemocratiche,laloroliberaorganizzazioneedespressione,echestia contro le tirannie nel mondo: la strada della solidarietà attiva, mili­tante, internazionalista,conlelotteelerivoluzionidellemassepopolaricontro i loro governi e l'imperialismo. Il popolo siriano e i suoicombattenti, lesuemiliziepopolari,nondebbonosentirsiabbandonatidalla sinistra internazionale pensando che la“sinistra” stia con i dittato­riacausadelruolonefastodelcastrochavismoedellostalinismointuttelesuevarianti.Ènecessariochelasinistramondialeetuttoilmovimentosindacale, sociale, popolare, studentesco e dei diritti umani, assumanounaposizionechiaradiappoggioallavittoriamilitareribelleesiunisca­no per realizzare tutto quanto necessario perché la rivoluzione trionfi.In questo compito la Lit­Ci, nella sua modestia ma con enormeconvinzione, è impegnata. Lottiamo perché le masse popolari sirianesconfiggano, con le loro armi e le mobilitazioni, la dittatura di Assad. Sa­rebbeunenormetrionforivoluzionariodeisirianiedituttelemassepo­polari del mondo e un impulso poderoso per il progresso dellarivoluzione socialista. La rivoluzione in Siria deve trionfare e nonfermarsi alla caduta del tiranno; deve avanzare fino alla presa del poteredella classe lavoratrice siriana e delle masse popolari, iniziando così lacostruzione di una Siria socialista come tassello per la realizzazione diunaFederazionediRepubblicheSocialistedelMedioOrienteedelNordAfrica.(Maggio 2013)

Bologna­17/03: manifestazione pro Rivoluzione Siriana

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16 Estate 2013 PROGETTO COMUNISTASEMINARIO NAZIONALE del PdAC - RIMINI 7/8 SETTEMBRE 2013