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IL COMMISSARIO STRAORDINARIO Progetto preliminare: Ricomposizione ambientale della cava dimessa in località Chiaiano nel comune di Napoli EX ART. 1, COMMA 2, LEGGE N. 1/2011 E D.P.G.R. CAMPANIA N. 64/2011 INDICAZIONI GEOLOGICHE IDROLOGICHE E GEOTECNICHE D 1 1 PREMESSA ................................................................................... 2 2 INQUADRAMENTO GEOMORFOLOGICO ......................................................................... 2 2.1 Condizioni di stabilità dell’area .................................................................................................. 4 3 INQUADRAMENTO GEOLOGICO ................................................................................. 10 3.1 Caratteri litostratigrafici locali .................................................................................................. 15 3.2 Assetto strutturale ..................................................................................................................... 17 3.3 Caratteri litologici di superficie ................................................................................................ 19 3.4 Piroclastiti litoidi ........................................................................................................................ 22 3.5 Piroclastiti sciolte ....................................................................................................................... 22 4 INQUADRAMENTO SISMICO ................................................................................. 22 5 CARATTERI IDROGEOLOGICI GENERALI ..................................................................... 29 5.1 Andamento piezometrico della falda principale .................................................................... 32 6 CARATTERIZZAZIONE GEOTECNICA ............................................................................. 37 6.1 Parametrizzazione fisico-meccanica dei litotipi (da fonti bibliografiche) .......................... 37 6.2 Tufo Giallo Napoletano ........................................................................................................... 38 6.3 Pozzolana ................................................................................................................................... 41 7 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE ................................................................................. 43 8 BIBLIOGRAFIA ................................................................................. 46

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1

1 PREMESSA ................................................................................... 2

2 INQUADRAMENTO GEOMORFOLOGICO ......................................................................... 2

2.1 Condizioni di stabilità dell’area .................................................................................................. 4

3 INQUADRAMENTO GEOLOGICO ................................................................................. 10

3.1 Caratteri litostratigrafici locali .................................................................................................. 15

3.2 Assetto strutturale ..................................................................................................................... 17

3.3 Caratteri litologici di superficie ................................................................................................ 19

3.4 Piroclastiti litoidi ........................................................................................................................ 22

3.5 Piroclastiti sciolte ....................................................................................................................... 22

4 INQUADRAMENTO SISMICO ................................................................................. 22

5 CARATTERI IDROGEOLOGICI GENERALI ..................................................................... 29

5.1 Andamento piezometrico della falda principale .................................................................... 32

6 CARATTERIZZAZIONE GEOTECNICA ............................................................................. 37

6.1 Parametrizzazione fisico-meccanica dei litotipi (da fonti bibliografiche) .......................... 37

6.2 Tufo Giallo Napoletano ........................................................................................................... 38

6.3 Pozzolana ................................................................................................................................... 41

7 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE ................................................................................. 43

8 BIBLIOGRAFIA ................................................................................. 46

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1 PREMESSA

La seguente relazione geologica, idrologica e geotecnica viene redatta a supporto della

progettazione preliminare dell’impianto che dovrà sorgere sulla cava identificata con codice

P.R.A.E. 63049-027 sita in località Chiaiano, nel Comune di Napoli.

La relazione è stata redatta sulla base della raccolta ed analisi di studi e di lavori svolti negli

anni da diversi Autori nell’area di studio, oltre che dall’analisi dei documenti relativi ai Piani

Territoriali del Comune e della Provincia di Napoli.

2 INQUADRAMENTO GEOMORFOLOGICO

La cava di Chiaiano è ubicata nella zona nord/nord-occidentale del comune di Napoli, e

in particolare nel settore nord-orientale dei Campi Flegrei, oltre le colline dei Camaldoli.

La morfologia del Comune di Napoli è quella tipica di un territorio vulcanico

caratterizzato da attività prevalentemente esplosiva con depositi di ceneri e scorie, l’apparato

collinare è invece caratterizzato da tavolati più o meno estesi e da rotture con pendenze anche

molto accentuate.

A grande scala la depressione vulcano-tettonica rappresenta l’elemento morfologico

predominante. Gran parte dell’assetto morfologico attuale si è impostato circa 12.000 anni fa,

con l’evento del Tufo Giallo Napoletano, i cui materiali hanno ricoperto tutta l’area e hanno

dato nuova forma alla topografia precedentemente esistente.

La fase o le fasi di calderizzazione, hanno portato alla formazione di una depressione del

diametro di circa 14 km, centrata sulla città di Pozzuoli, e attualmente per metà invasa dal mare,

che ospita al suo interno un cospicuo numero di apparati vulcanici monogenici, di differenti

tipologie.

I fenomeni vulcanici hanno avuto sicuramente un ruolo di primaria importanza per la

configurazione dell’assetto morfologico attuale, caratterizzato dalla presenza di un paesaggio dai

rilievi non molto elevati (il punto più elevato è a 439 m s.l.m., nei pressi della Collina dei

Camaldoli) che costruiscono un complesso pattern di edifici vulcanici che si incastrano gli uni

dentro gli altri.

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Insieme ad essi hanno agito anche processi vulcano-tettonici, che hanno portato alla

formazione di ampie zone depresse che spesso separano gli edifici vulcanici, e fenomeni di

dinamica costiera, che hanno favorito nella maggior parte dei casi il modellamento degli edifici

vulcanici. L’interazione tra questi processi ha contribuito alla formazione di grandi strutture

terrazzate. Inoltre l’azione erosiva e deposizionale del mare ha portato alla formazione di baie e

di laghi costieri, ospitate spesso all’interno di crateri, dal caratteristico andamento planimetrico

semicircolare.

Lo studio geomorfologico ha permesso il riconoscimento di forme e processi legati a

diversi agenti geomorfici nonché alla influenza di altri fattori; di essi viene di seguito riportata la

descrizione limitatamente alle zone di interesse.

Forme di origine vulcano-tettonica e strutturale

L’aspetto rilevante diinteresse morfologico è dato dalla presenza di versanti da

moderatamente a fortemente acclivi di origine strutturale, connessi al verificarsi di fenomeni di

collasso vulcano-tettonico. Tali versanti si impostano in rocce litoidi e in terreni piroclastici

sciolti; in particolare, lecreste tufacee che bordano la collina dei Camaldoli è interessata da

un’intensa fatturazione che contribuisce ad isolare blocchi in precarie condizioni di equilibrio,

spesso soggetti a fenomeni di crollo, i cui effetti sono testimoniati da numerosi massi presenti

nelle aree pedemontane. I versanti della collina dei Camaldoli sono intagliati sia nei depositi

piroclastici precedenti il Tufo Giallo Napoletano sia nel tufo giallo stesso. Anche in questo caso

il versante interno alla depressione, quello meridionale, ha un andamento caratterizzato da due

falcate molto arcuate, di cui la prima raccorda il versante alla dorsale di Posillipo, la seconda alla

piana di Quarto. Il versante esterno immerge, con deboli pendenze, verso la parte settentrionale

dell’entroterra napoletano.

Forme, processi e depositi legati all’azione delle acque correnti superficiali.

Forme di erosione e accumulo quali: solchi da ruscellamento concentrato, alvei poco

incisi, alvei da moderatamente a molto incisi, orli di scarpata, vallecole a conca, vallecole a

fondo piatto, gomiti lungo aste fluviali a forte gradiente, soglie di valle sospesa, conoidi

alluvionale attivo, fasce di raccordo versante fondovalle di origine alluvio-colluviale o di origine

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fluviodenudazionale, e settori di glacis alluvio-colluviale interessati da diffusi fenomeni di

deiezione.

Forme, processi e depositi di versante di origine gravitativa.

I fenomeni franosi riconosciuti sono ascrivibili prevalentemente a scorrimenti traslativi,

colate e frane complesse, quest’ultime rappresentate da crolli o scorrimenti traslativi evoluti in

colate. Gli scorrimenti, gli scorrimenti- colata e le colate sono in larghissima parte di modesto

volume, e si sono attivati lungo versanti ad inclinazione variabile, per lo più compresa tra 40° e

50° circa. Nel complesso, gli eventi di frana sono distribuiti in maniera abbastanza omogenea

lungo tutte le aree di versante caratterizzate da elevata acclività e energia di rilievo spesso

concentrati in corrispondenza degli orli di scarpata a controllo strutturale (vedi i versanti legati a

fenomeni di collasso vulcano-tettonico). In corrispondenza delle pareti subverticali impostate in

materiali litoidi di natura tufacea e lavica, sono frequenti fenomeni di crollo s.l..

2.1 Condizioni di stabilità dell’area

Per quanto riguarda l’area flegrea ed il territorio urbano di Napoli i terreni affioranti sono

riconducibili a tre diverse tipologie: materiali piroclastici sciolti, in sede (“pozzolane”) e

rimaneggiati; tufi litoidi (Tufo Giallo Napoletano); rocce laviche in aree singolari dei Campi

Flegrei. Fra i fenomeni di dissesto frequenti risultano essere i crolli da pareti tufacee o in

pozzolana e gli scorrimenti-colata in materiali piroclastici sciolti.

I settori più colpiti sono le aree collinari di Napoli ed i versanti più acclivi, di diversa

origine, dell’area flegrea. In particolare, nell’ambito del territorio in esame i settori più esposti

sono la collina dei Camaldoli (versanti lato Soccavo e Pianura e versante di NE lato Chiaiano)

ed alcune aree attorno alla “dorsale” di Capodimonte.

La morfologia del Comune di Napoli è quella tipica di un territorio vulcanico mentre

l’apparato collinare è caratterizzato da tavolati più o meno estesi e da rotture con pendenze

anche molto accentuate. Analizzando la Collina dei Camaldoli questa si può suddividere in due

macroaree aseconda che l’evoluzione sia stata condizionata da fattori antropici o naturali.

Macroarea governata da fattori naturali

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I versanti sud/sudorientali: sono caratterizzati da alti valori di pendenza; il versante è

stato interessato dai fenomeni di sprofondamento connessi con la fine dell’attività vulcanica e

quindi è stato regolarizzato dagli agenti atmosferici. Sussistono in alcune fasce di altitudine

numerose nicchie di distacco di vecchie frane, alcune delle quali sono state riattivate dagli

insediamenti abitativi che incanalano le acque reflue direttamente sui bordi dei valloni

accelerando l’erosione e i distacchi delle coltri superficiali;

Versante occidentale: tale area è caratterizzata da una fitta coltre boschiva che ha quindi

preservato il versante da fenomeni di dissesto, tuttavia la presenza di strade senza opere di

canalizzazione delle acque superficiali e di costruzioni abusive che hanno impermeabilizzato la

parte alta della collina (alterando quindi la naturale circolazione idrica) hanno attualmente

innescato frane anche di grosse dimensioni.

Macroarea governata da fattori antropici

� Zoffritta: si tratta di un’area in passato agricola che fu sistemata con opere di

terrazzamento che si intrecciavano lungo le linee di impluvio accrescendo così la

stabilità del versante. Con lo sfruttamento delle cave presenti nella zona e con

l’edificazione di nuovi centri abitati si è profondamente alterato il profilo del versante

innescando pericolosi fenomeni di dissesto. La conseguenza è la creazione di numerosi

fossi la cui testata è in continuo arretramento, attualmente l’erosione superficiale è così

alto che durante gli eventi piovosi l’abitato di Pianura viene invaso da una grossa

quantità di detriti (con spessori anche di 40 centimetri);

� Vallone delle Orsolone: si tratta di un’area fortemente urbanizzata con una serie di

problematiche legate sia alla presenza di sottoservizi che alla presenza di fronti di cava

con pareti dissestate e con crolli di blocchi tufacei di dimensione anche notevoli. Il

crollo dei materiali tufacei, arretrando i costoni, coinvolge anche i materiali sciolti di

copertura.

Con riferimento al sito preso in esame, analizzando la carta della pericolosità relativa da

frana, si nota come l’area oggetto di studio viene definita “area di cava in cui il livello di pericolosità è

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associato a fenomeni di dissesto idrogeologico generati nelle porzioni di versante poste a monte o ad episodi di

esondazione di alvei.”(Figura 1)

FIGURA 1

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Analizzando invece la carta del rischio idraulico, l’area in esame è considerata area a

rischio molto elevato (Figura 2), mentre nella carta della pericolosità idraulica viene definita

"area di cava a suscettibilità alta per fenomeni di trasporto liquido e trasporto solido da alluvionamento."

(Figura 3).

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FIGURA 2

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FIGURA 3

3 INQUADRAMENTO GEOLOGICO

Dal punto di vista geologico tutto il territorio della Provincia di Napoli è ubicato

all’interno diuna grande depressione tettonica nota come “Piana Campana”.

La città in particolare è stata edificata su di un substrato geologico costituto da

roccevulcaniche di età compresa tra il Pleistocene Superiore e l’Olocene medio, mentre la

restanteparte del territorio si sviluppa su zone pianeggianti costituite, per lo più, da sedimenti

alluvionalie su rilievi collinari costituiti da rocce vulcaniche, lapidee e sciolte la cui morfologia è

stata governata dalla tettonica recente e da importanti processi geomorfologici verificatisi

durante l’Olocene.

Nel settore in esame, le cave di tufo utilizzate per l’estrazione di materiale da costruzione,

hanno portato in affioramento i depositi vulcanici appartenenti al II Periodo Flegreo Superiore.

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Si tratta di tufo con pomici alterate e scorie, in banchi, noto in letteratura con il nome di Tufo

Giallo Campano [tg].

Nel dettaglio l’area che sarà adibita a discarica è situata a Nord Est dei Campi Flegrei che

rappresentano un sistema vulcanico complesso formato da un insieme di piccoli

apparatipiroclastici monogenici, disposti secondo un allineamento Est-Ovest.

L’area dei Campi Flegrei corrisponde a uno dei distretti vulcanici attivi, dal Quaternario,

lungo il margine tirrenico. Quest'area ha subito una complessa evoluzione vulcano-tettonica, a

carattere eminentemente esplosivo, a partire dal Pleistocene superiore fino in tempi storici,

come testimoniano sia la netta prevalenza di prodotti piroclastici a composizione alcalitrachitica

che i numerosi crateri geneticamente connessi ad eventi esplosivi. (FIGURA 4).

FIGURA 4 (da Celico F. et al., 2001)

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L’attività vulcanica dei Campi Flegrei abbraccia all’incirca gli ultimi 50.000 anni e può

essere schematicamente suddivisa in quattro cicli:

1° ciclo: inizia con l’attività di Vivara, vulcano localizzato sull’isola di Procida, e comprende

altri centri eruttivi situati nell’isola. La prima attività sembra essere avvenuta in un

ambiente sottomarino ed una successiva emersione è testimoniata dalla presenza di

lave eruttate in ambiente subaereo, come quelle che costituiscono il rilievo su cui

sorge l’acropoli di Cuma.

2° ciclo: copre un arco temporale che si estende da circa 35.000 a 30.000 anni fa, caratterizzato

dalla messa in posto dell’Ignimbrite Campana (o Tufo Grigio Campano). Questo

deposito ricopre quasi tutta la Campania (ca. 10.000 Km2) con spessori che talvolta

superano il centinaio di metri e si ritrova sui primi versanti dell’Appennino fino a

quote di 600-800 metri. Si tratta con molta probabilità della maggiore eruzione

avvenuta in Italia nel Quaternario.

3° ciclo: dopo la terribile eruzione dell’Ignimbrite Campana si sa poco circa l’attività eruttiva

dei Campi Flegrei. Si assiste alla formazione di alcuni crateri per lo più subacquei e i

primi prodotti di questo ciclo di attività che si ritrovano nella città di Napoli sono dei

tufi biancastri che hanno un’età di circa 16.000 anni. Chiude il terzo ciclo l’attività

responsabile della messa in posto del Tufo Giallo Napoletano (T.G.N.) intorno a

12.000 anni fa. Un’enorme eruzione, oforse una serie di eruzioni, sconvolse in quel

periodo nuovamente i Campi Flegrei conl’emissione del Tufo Giallo Napoletano che

costituisce l’ossatura della città di Napoli. Il volumestimato del T.G.N. è dell’ordine

dei 10 km3 e la superficie ricoperta di ca. 350 km2. Secondo iricercatori napoletani

dopo questa eruzione avvenne il collasso della parte centrale dei CampiFlegrei, e la

Collina dei Camaldoli sarebbe la testimonianza relitta dell’originario conovulcanico.

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4° ciclo: a tale ciclo vengono fatte risalire le formazioni dei vulcani di tufo giallo

pseudostratificate (Gauro, Archiaverno, Monte ruscello), dei vulcani piroclastici

monogenici, dei coni di scorie e delle cupole laviche fino all’eruzione storica di Monte

Nuovo nel 1538: in pratica tutti i vulcani che danno all’area flegrea l’attuale

morfologia. L’attività vulcanica del 4° ciclo è controllata dall’assetto vulcano-tettonico

venutosi a creare dopo l’eruzione del T.G.N. Una delle più importanti eruzioni del 4°

ciclo si verificò circa 10.000 anni fa (>8.600: età del paleosuolo soprastante): la

cosiddetta eruzione delle Pomici Principali. I materiali di questa eruzione si trovano

ad est di Napoli e coprono una superficie di alcune centinaia di chilometri quadrati.

Sebbene sitratti di un’eruzione la cui entità fu senz’altro inferiore alle due precedenti,

essa è tuttavia paragonabile a quella del Vesuvio del 79 d. C. (pressappoco in questo

periodo vi furono anche le eruzioni dell’Archiaverno e del Gauro). Seguirono poi le

eruzioni di Monte Spina, La Pietra, Nisida, Montagna Spaccata, Monte Ruscello,

vulcano di Pisani, Cigliano, complesso vulcanico di Agnano, Capo Miseno, Porto

Miseno, Bacoli, Fondi di Baia, cupole di Monte Olibano e della Caprara, Solfatara,

Astroni, Averno, Senga ed infine Monte Nuovo.

Il susseguirsi dei numerosi eventi esplosivi, d’intensità decrescente nel tempo, ha

determinato una stratigrafia complessa derivante dalla sovrapposizione di prodotti piroclastici

variabili in granulometria, spessore, stato di costipazione ed estensione laterale. Nell'ambito dei

diversi litotipi legati all'attività eruttiva flegrea, l’Ignimbrite Campana e il Tufo Giallo

Napoletano rappresentano degli orizzonti guida sia per quanto concerne i loro spessori sia per

l’elevata estensione areale.

Nell'area metropolitana di Napoli, sia in affioramento, sia in profondità, si rinvengono

altri depositi piroclastici sottostanti al T.G.N., spesso anch'essi tufacei (Complesso Piroclastico

Antico; SCHERILLO et al., 1967). Sottoposti a questi ultimi si ritrovano, nell'area

settentrionale ed orientale, i prodotti legati all'eruzione dell'Ignimbrite Campana rappresentati

generalmente da tufo di colore grigio-violaceo, ricco di scorie grossolane nerastre [Di

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Girolamo,1987]. Sondaggi profondi hanno evidenziato la presenza di numerosi livelli sabbioso-

limosi di ambiente marino, pirolclastiti e paleosuoli di età ancora più antica [D’Erasmo, 1931].

Al di sopra del T.G.N. si rileva, quasi ovunque, una successione piuttosto regolare di

pomici e cineriti incoerenti (nella quale si trovano intercalati, a varie altezze, più livelli di paleo

suoli), messa in posto durante le eruzioni recenti dei Campi Flegrei e nota come Complesso

Piroclastico Prossimale Recente [Scherillo & Franco, 1960 e 1967].

FIGURA 5

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3.1 Caratteri litostratigrafici locali

Le indagini di campo appositamente condotte da ARPAC nei mesi di maggio e giugno

2008 e, nello specifico la perforazione di un sondaggio profondo in corrispondenza dell’area di

cava, hanno permesso di ricostruire la stratigrafia locale del sito interessato dal progetto del

nuovo impianto di discarica. In particolare i risultati emersi dal sondaggio hanno evidenziato

che al di sopra del Tufo Giallo Napoletano, che rappresenta il prodotto dell’attività esplosiva

verificatasi circa 12.000 anni fa, si rileva una successione regolare di cineriti rimaneggiate, legate

alla deposizione dei prodotti delle eruzioni recenti dei Campi Flegrei, nella quale si trovano

intercalati livelli di radici vegetali parzialmente carbonizzati e pomici subcentimetriche alterate

ed arrotondate. Si tratta di depositi di eruzione distali che si depositano con meccanismi da

caduta, da nubi eruttive a volte di altezza notevole.

Al di sotto del Tufo Giallo Napoletano è presente uno strato di cinerite semilitoide con

intercalazioni di livelli scoriacei e di lapillo alternati a livelli di cinerite fine con rare e minute

inclusioni. Talora si rinvengono anche frammenti di lava di dimensioni subcentimetriche (tale

orizzonte è comunemente noto quando riscontrato a tetto del tufo con il nome

“Cappellaccio”).

Al di sotto dei tufi si osserva la presenza di cineriti grigio chiare con pomici grigio chiaro

biancastro assimiliabili ai “Tufi biancastri” riconosciuti nella serie del Vallone del Verdolino (da

PRG), a cui seguono depositi costituiti da ceneriti grigi e brecce laviche intercalati da livelli di

paleosuoli, che rappresentano periodi di quiete in cui è possibile la formazione di suoli vegetali

più o meno sviluppati. Questa serie, che nell’area dei Camaldoli è denominata Piperno-Breccia

Museo, è

correlabile ai depositi dell’Ignimbrite Campana (circa 35.000-30.000 anni fa) rappresentati

da tufi di colore grigio violaceo, ricchi di scorie nere, più o meno saldati.

Infine si rinviene un banco trachitico sovrastante una serie di cineriti addensate correlabili

ai tufi di “Torre di Franco” riconosciuti nella località omonima e costituiti da pomici da caduta,

livelli cineritici da flusso e livelli humificati.

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L’analisi dei prodotti di Torre di Franco (età superiore a 42.000 anni fa) evidenzia che

sitratta di accumuli legati ad almeno sette eventi eruttivi, separati da periodi di

quiete(paleosuoli), di vulcani flegrei i cui centri eruttivi non sono identificabili. Tale unità è sede

di unafalda profonda di tipo confinato.Il Piperno secondo gli Autori più antichi, era associato

ad un’attività locale di un vero eproprio lago di lava che lanciava brandelli di lava che si

accumulavano e si saldavano per laloro temperatura. Studi più recenti correlano questi prodotti

al meccanismo di formazione dellacaldera flegrea e al deposito dell’Ignimbrite Campana, a

seguito di una devastante eruzione acarattere esplosivo (nube ardente).

I Tufi biancastri sono essenzialmente legati ad eruzioni freatomagmatiche, di

grandeenergia, caratterizzate da meccanismi esplosivi a seguito del contatto del magma con

l’acqua.

Anche il Tufo Giallo è il prodotto di un’eruzione fortemente esplosiva con meccanismi di

messa in posto prevalentemente per flusso. Per questa eruzione mancano ancora elementi

attendibili per una localizzazione della bocca eruttiva e sulla successione degli eventi e dei

meccanismi eruttivi.

Gli ultimi prodotti della serie mostrano una significativa diminuzione dell’energia liberata,

tuttavia i meccanismi sono ancora esplosivi. Questo è un elemento dominante del vulcanismo

flegreo e di quello osservato nell’area napoletana.

In sintesi nell’area in esame si osservano i prodotti di almeno quattro grandi cicli eruttivi:

l’Ignimbrite Campana (Piperno-Breccia Museo) di circa 35.000 anni fa, i Tufi Biancastri e il

Tufo Giallo Napoletano riferiti a circa 11.000 anni fa e i prodotti della fase recente dei campi

Flegrei, emessi tra 10.000 e 3.800 anni fa.

L’unica altra informazione litostratigrafica disponibile per l’areale di studio e riportata nel

PRG del Comune di Napoli, si riferisce ad un pozzo ubicato in località Calori di Sopra(Masseria

Varriale) ubicato circa 1.2 km a Sud-Est dalla Cava del Cane, ad una quota topografica di circa

220 m s.l.m.

La successione stratigrafica riportata è la seguente:

− da 0 a 120 m: tufo giallo napoletano;

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− da 120 a 190 m: sequenza di piroclastiti correlabili ai Tufi Biancastri e alla Breccia

Museo;

− da 190 a 240 m: banco trachitico verosimilmente appartenente a una cupola lavica

localizzata in quest’area.

3.2 Assetto strutturale

Il territorio napoletano, occupa la parte centrale del graben della Piana Campana.

Quest’ultima è bordata quasi completamente dai rilievi dell’Appennino Meridionale, una catena

montuosa che si è formata in seguito alla deformazione, in regime compressivo, del margine

continentale Africano; ciò ha generato l’accavallamento di una serie di thrusts, per uno spessore

di circa 25-30 km [D’Argenio et al., 1973], di rocce sedimentarie Triassico-Plioceniche. L’evento

deformativo, iniziato già nel Miocene, ha interessato oltre che le coperture sedimentarie anche il

basamento cristallino-metamorfico (Figura 6).

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FIGURA 6 (Mappa geologico-strutturale della Piana Campana (da Orsi et al., 1996, mod)

I Campi Flegrei sono ormai da lungo tempo interpretati come una caldera all’interno della

quale si è sviluppato un sistema vulcanico complesso formato da un insieme di apparati

piroclastici monogenici, collegati a un trend di fratture NE-SW che, attraverso un basso

strutturale, collegano il lato sud-orientale del sistema caldera all’horst su cui giace il Somma-

Vesuvio [Orsi et al., 1998].

La carta morfostrutturale del Comune di Napoli (Figura 7) evidenzia tre settori caratterizzati

da un motivo strutturale differente:

a) area calderica sudoccidentale: caratterizzata dalla presenza di faglie vulcano

tettoniche, esplosioni laterali, caldere, domi, recinti craterici, astroni e antichi centri e

bocche di esplosione;

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b) area orientale: dominata dalla presenza di strutture lineari ad andamento SW-NE

corrispondenti a faglie del substrato Mesozoico Paleo e Neogenico e da Falesie in

relazione a zone di frattura del substrato;

c) area collinare settentrionale: priva di strutture tettoniche ad eccezione di un

allineamento di faglie di impostazione profonda, a direzione grossomodo N-S, passante

perl’abitato di Chiaiano.

FIGURA 7 .Carta morfotettonica del Comune di Napoli (da De Vivo et al., 2005)

3.3 Caratteri litologici di superficie

Il centro antico della Città di Napoli si trova su di un’area pianeggiante caratterizzata

prevalentemente da terreni alluvionali, marini e palustri depositatisi dopo il T.G.N.

Buona parte dell’area urbana si sviluppa, comunque, nella zona collinare all’interno della

quale è ubicata l’area di cava presa in esame, posta in località Chiaiano. Questa porzione di

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territorio dal punto di vista litologico è costituito da un substrato di T.G.N. di spessore

variabile, ricoperto da terreni piroclastici sciolti formatisi durante le varie eruzioni degli apparati

flegrei. (FIGURA 8)

FIGURA 8 .Carta geolitologica della Provincia di Napoli (tratta da De Vivo et al., 2005 mod.)

In Figura 8 si evidenzia che in corrispondenza dell’area dove è localizzata la cava di

Chiaiano (contrassegno in nero) affiorano depositi piroclastici di caduta, mentre nelle vicinanze

dei centri eruttivi dominano i depositi piroclastici da flusso tipo Surges e Lahars.

Nel dettaglio si osserva in Figura 9 il prevalere, nell’area settentrionale del comune di

Napoli, di prodotti piroclastici indifferenziati provenienti da vari centri eruttivi flegrei costituiti

in particolare da cineriti e pozzolane chiare.

La zona sub-pianeggiante, a quota variabile da 100 fino a circa 70 m comprendente le

zone dei Camaldoli, Capodimonte e Secondigliano è caratterizzata dall’affioramento di terreni

vulcanici prevalentemente sciolti costituiti da livelli di pozzolane, pomici, sabbie con

intercalazioni di paleosuoli e localmente torbe. I terreni vulcanici presenti sono riferibili

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all’attività dei Campi Flegrei e comprendono anche uno spessore di T.G.N. che si presenta nella

sua facies non litificata. Queste piroclastiti poggiano sull’Igrimbrite Campana e su vulcaniti più

antiche comprendenti anche colate di lava riferibili a eruzioni locali.

FIGURA 9 – Carta geolitologica del Comune di Napoli (tratta da De Vivo et al., 2005 mod.)

In sintesi nell’area flegrea i terreni affioranti sono riconducibili a tre diverse tipologie:

• materiali piroclastici sciolti e rimaneggiati (pozzolane);

• tufi litoidi (Tufo Giallo Napoletano e Tufo Grigio Campano);

• rocce laviche in aree specifiche dei Campi Flegrei.

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3.4 Piroclastiti litoidi

Fra i prodotti piroclastici litoidi quello affiorante nei pressi della cava di Chiaiano, che

ospiterà la discarica oggetto di valutazione, è il tufo giallo, che si presenta fortemente stratificato

e ricoperto da una coltre di materiale sciolto (probabilmente pozzolana).

Dal punto di vista litologico è una roccia a matrice prevalente; la frazione ghiaiosa è

rappresentata da pomici, spesso degradate, e da frammenti litici di origine lavica a

composizione prevalentemente trachitico-latitica e subordinatamente alcalino-trachitica e

trachibasaltica. Generalmente la roccia si presenta di colore giallo paglierino più o meno

intenso, in funzione della varietà.

3.5 Piroclastiti sciolte

Le piroclastiti sciolte, presenti sul territorio di Napoli, sono dei materiali di origine

vulcanica, dovuti ad eruzioni di tipo esplosivo, la cui granulometria varia, generalmente tra 5

mm e 0,05 mm. La frazione più grossa (5 mm) è costituita generalmente da pomici che si

rinvengono sotto forma di banchi e/o lenti di varia grandezza e spessore. Molto più' diffusi

sono i depositi a granulometria inferiore contenenti solo frammenti di dimensioni più grosse.

Nel dettaglio si definiscono:

-pomici: brandelli di lava soffiati, leggeri e porosi; con una struttura essenzialmente

vetrosa. Presentano dimensioni massime di un centimetro e si trovano in strati

dello spessore variabile da pochi centimetri fino al massimo a 2 metri.

- pozzolana: con questo termine a Napoli si definiscono le piroclastiti sciolte che si

trovano a tetto del Tufo Giallo Napoletano; hanno una granulometria

mediamente fine (tra sabbia e limo) e costituiscono la maggior parte dei

terreni affioranti nell’area cittadina.

4 INQUADRAMENTO SISMICO

La valutazione della Pericolosità Sismica di un’area si pone come obiettivo una Zonazione

Sismica che valuti e quantifichi quale sarà il livello dell’Azione Sismica attesa. In un tale

contesto oltre a delimitare a grande scala aree soggette al rischio (Macrozonazione Sismica del

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Territorio Nazionale o Zonazione di Primo Grado-Int. Geot. Ass, TC4, 1999) si suddivide il

territorio comunale anche in Sottozone, o Microzone omogenee (Microzonazione Sismica o

Zonazione di Secondo Grado - Int.Geot.Ass.,TC4,1999) che forniscono indicazioni circa il

comportamento medio di un’area. Infine la valutazione della Risposta Sismica di Sito

(Zonazione di Terzo Grado-Int.Geot.Ass.,TC4,1999) ha lo scopo di definire le caratteristiche

dello specifico sito di fondazione e del sottosuolo significativamente interessato da un’opera

edile.

Macrozonazione Le nuove norme sono state introdotte con l’Ordinanza n. 3274 “Primi elementi in materia

di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche

per le costruzioni in zona sismica” del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 20 marzo

2003 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale in data 08/05/2003.

L’ordinanza, contiene modifiche sostanziali in termini di riclassificazione delle zone a

rischio

sismico e di criteri costruttivi. Negli ultimi anni il punto di riferimento per la valutazione

della pericolosità sismica nell’area italiana è stata la zonazione sismogenetica ZS4 [Meletti et al.,

2000; Scandone e Stucchi, 2000]. Gli studi più recenti in materia di sismogenesi ne hanno però

evidenziato alcune incoerenze, e hanno verificato la sua scarsa compatibilità con il catalogo dei

terremoti CTPI (GdL CPTI,1999).

A partire da un sostanziale ripensamento della zonazione ZS4, è stata quindi sviluppata

nel 2004 una nuova zonazione sismogenetica, denominata ZS9, alla luce delle nuove evidenze

di tettonica attiva e delle valutazioni sul potenziale sismo genetico acquisite negli ultimi anni.

Per quanto riguarda la Campania e, più in generale, l’Appennino Meridionale (zone da 56

a 64 in ZS4 e zone da 924 a 928 in ZS9), si nota che la geometria delle sorgenti è stata

notevolmente modificata rispetto a ZS4 (Figura 26). La zona 927 (Sannio-Irpinia-Basilicata)

comprende l’area caratterizzata dal massimo rilascio di energia legata alla distensione

generalizzata che, da circa 0.7 ma, sta interessando l’Appennino meridionale.

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FIGURA 10. Zonazioni sismogenetiche a confronto 2000 e 2004

La parte rimanente della zona 57, insieme alla zona 56 sono rappresentate dalla zona 928

(Ischia-Vesuvio), che include l’area vulcanica napoletana con profondità ipocentrali comprese

nei primi 5 km. Per quanto riguarda la mappa di pericolosità sismica elaborata dal INGV

(AA.VV., 2004) (Figura 11). Nella Regione Campania sono presenti 8 classi di accelerazione

massima (a) con valori che variano gradualmente tra 0.075g, lungo la costa, a 0.275g nell’area

dell’Irpinia, ad eccezione delle aree vulcaniche Vesuvio – Ischia - Campi Flegrei dove si hanno

valori mediamente compresi tra 0.175g e 0.200g [Secomandi, 2004]. L’area di interesse è

caratterizzata da valori di a compresi tra 0.15 e 0.175g (Figura 12).

Secondo la nuova classificazione sismica del 2003, il territorio nazionale è suddiviso in 4

zone omogenee a cui corrisponde un’accelerazione di riferimento variabile da meno di 0.05 g

nella quarta zona fino a 0.35 g nella prima zona (Tabella 1).

Tabella 1 - Livelli energetici delle azioni sismiche previste dall’OPCM 3274/03 per le varie Zone.

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Nella prima colonna è riportato il valore di picco orizzontale del suolo espresso in

percentuale di “g” (accelerazione di gravità) mentre nella seconda colonna sono riportati i valori

dell’accelerazione orizzontale di ancoraggio dello spettro di risposta elastico nelle norme

tecniche sulle costruzioni. I valori di cui alla Tabella 1 sono tutti riferiti alle accelerazioni che

sono attese a seguito di un evento sismico laddove il sottosuolo interessato è costituito da

formazioni litoidi o rigide definite quali suoli di fondazione di Categoria A ( Vs ≥ 800 m/s).

Nell’ambito della zona 4 sono inclusi tutti quei territori che sono stati esclusi sino ad oggi

da ogni classificazione sismica. È da sottolineare quindi che in base al nuovo elenco tutto il

territorio nazionale è in pratica considerato potenzialmente sismico (Cfr. Figura 13 -

Recepimento da parte delle Regioni e delle Province autonome dell’ordinanza PCM 20 marzo

2003, n. 3274).

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FIGURA 13. Zone sismiche Regione Campania con recepimento delle variazioni operate dalle singole Regioni (fino a marzo 2004).

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Ai sensi della Normativa Sismica OPCM 20/03/03 n. 3274 il comune di Napoli è inserito

in zona 2, in cui il valore di accelerazione sismica orizzontale al suolo da assumere per il calcolo

del coefficiente sismico è ag=0.25 g.

La zona 2 è caratterizzata da una copertura di prodotti piroclastici recenti e di materiale di

riporto poggianti sulla formazione del tufo giallo napoletano.

Secondo la Delibera di Giunta Regionale n. 5447 del 7/11/2002 - Aggiornamento della

Classificazione Sismica dei Comuni della Campania – l’area di interesse è caratterizzata da una

“media sismicità” (Figura 14).

Figura 14 – Classificazione sismica Regione Campania. D.G. R. n. 5447 del 7/11/2002; aggiornamento della Classificazione Sismica dei Comuni della Campania

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Microzonazione La Microzonazione sismica tiene conto di quanto espressamente citato nella citata legge

regionale 9/83 relativamente alla programmazione dell’uso del territorio ed ai Piani Regolatori

Generali e nella più recente normativa della Regione Campania (Delibera n. 5447 G. R.

Campania del 07/11/2002; Delibera n. 248 G. R. Campania del 24/01/2003; Delibera n. 334

G. R. Campania del 31/01/2003; Delibera n.816 G. R. Campania del 10-6-2004) riguardante la

zonazione del territorio in prospettiva sismica, ed è congrua ed omogenea con quanto previsto

dalla Ordinanza 3274 relativamente alle costruzioni ed ai relativi siti.

La microzonazione individua le aree ove non può essere consentita l’edificabilità (a causa,

ad esempio, di instabilità dei versanti, di potenzialità alta di liquefazione, ecc.) e, per tutte le altre

aree, suddivide il territorio comunale in aree a comportamento similare dal punto di vista della

pericolosità sismica.

Essa, utilizza come parametro significativo il modulo di taglio dinamico G, ovvero la

Velocità delle onde sismiche trasversali Vs30 (Vs=√G/densità), che caratterizza il pacco di

terreno più superficiale (media ponderale della velocità delle onde sismiche per i primi 30 m). In

base ai valori di Vs30 si applicano, nelle varie Microzone o Sottozone individuate, dei fattori di

incremento all’accelerazione sismica relativa allo spettro elastico di ancoraggio da applicare

come prevista dal punto 3.2.1 della stessa normativa (Cfr. Tabella 1) che, si riferisce a suoli di

fondazione corrispondenti alla Categoria A. Ovviamente laddove affiorassero formazioni di

Categoria A si avrebbe fattore di incremento 1 rispetto a quanto previsto dalla Classificazione.

I valori di incremento assegnabili alle varie Microzone danno una valutazione generale del

livello massimo dell’amplificazione dell’evento sismico che si avrà nelle varie sottozone

individuate rispetto a quello che si avrà nelle sottozone ove affiori il basamento o in ogni caso

affiori un mezzo rigido.

Sulla base di tale considerazione si distinguono:

• Microzone caratterizzate in media da suoli di cui alla Cat. A: fattore di incremento 1.00;

• Microzone caratterizzate in media da suoli di cui alla Cat. B: fattore di incremento 1.25;

• Microzone caratterizzate in media da suoli di cui alla Cat. C: fattore di incremento 1.25;

• Microzone caratterizzate in media da suoli di cui alla Cat. D: fattore di incremento 1.35;

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29

• Microzone caratterizzate in media da suoli di cui alla Cat. E: fattore di incremento 1.25.

Il PRG di Napoli individua 27 aree omogenee dal punto di vista geofisico, caratterizzate

da un diverso grado di sismicità (S), diversa irregolarità topografica (i) e diversa accelerazione

sismica (G), per le quali si adottano differenti coefficienti di fondazione (f).

L’area omogenea alla quale appartiene l’area di cava è la sottozona denominata “Area 3a”

contraddistinta, nella sua parte settentrionale, dalla presenza di un versante che dalla collina dei

Camaldoli degrada dolcemente verso N e verso E. Questo versante è interessato da

numerosissime cave a cielo aperto che hanno profondamente modificato la morfologia

originaria. L’area è caratterizzata dalla presenza del substrato tufaceo ad una profondità non

superiore ai 15 m; questo strato è caratterizzato da una velocità delle onde S pari a 850 m/s. Al

di sopra del bedrock tufaceo si rinvengono le piroclastici sciolte che sono caratterizzate, ad una

quota prossima al p.c., da una velocità delle onde S pari a 180 m/s. Questa velocità aumenta

con la profondità fino a raggiungere, intorno ai 10 m di profondità, la velocità circa di 250 m/s.

Fra i 10 e i 15 metri si rinviene uno strato di piroclastici debolmente cementate con Vs

pari a circa 550 m/s.

Per l’area in oggetto risulta:

• coefficiente di fondazione pari a f = 1.15

• irregolarità topografica i = 1.00

5 CARATTERI IDROGEOLOGICI GENERALI

In base ai dati bibliografici raccolti ed analizzati è possibile suddividere, da un punto di

vista idrogeologico, l’area metropolitana di Napoli in tre settori distinti:

• Settore Orientale – Vesuviano (indicato con la sigla OV in cartografia); • Settore Centrale – alluvionale (indicato con la sigla CA in cartografia); • Settore Occidentale – Flegreo (indicato con la sigla OF in cartografia).

La nostra area di studio ricade nel settore “Occidentale-Flegreo” tale settore si

contraddistingue per una struttura vulcanica molto eterogenea ed un assetto stratigrafico -

strutturale variabile da zona a zona; ciò è da porre in relazione con la giacitura, la potenza, la

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granulometria dei termini sciolti, il grado di fessurazione dei termini lapidei e la presenza di

numerose lineazioni vulcano-tettoniche [ROSI et al., 1983].

Ne deriva, pertanto, uno schema di circolazione idrica sotterranea per "falde

sovrapposte", ma tra loro interconnesse, sia per l'interdigitazione di depositi a vario grado di

permeabilità, sia tramite flussi verticali di "drenanza" [CELICO, 1983; CELICO &

STANZIONE, 1988; CELICO et al., 1991].

Nell'ambito di tale schematizzazione si è osservato che le falde maggiormente produttive

sono localizzate tutte nei prodotti sciolti giustapposti al Tufo Giallo Napoletano [CELICO,

1983] e che le relative quote di livellamento non si discostano in modo rilevante tra loro

[VIPARELLI, 1967]. I diversi Autori [CIVITA et al., 1973; CELICO et al., 1988] concordano

pertanto nel ritenere valido uno schema idrico a falda unica, costituita da vari orizzonti

idraulicamente interconnessi per la mancanza di orizzonti impermeabili sufficientemente estesi

arealmente.

L'andamento della morfologia piezometrica ed il chimismo delle acque, ben

differenziabile da quello della restante area urbana, hanno consentito di considerare il settore

“Occidentale –Flegreo” come una struttura sostanzialmente autonoma e indipendente rispetto

al sistema delle falde della Piana Campana [CIVITA et al., 1973; CELICO et al., 1991].

L’area di ricarica principale è stata individuata da diversi Autori in una zona di alto

piezometrico compreso tra l’abitato di Marano ed il retroterra di Pozzuoli [CELICO et al.,

1991], dove si rinvengono numerose conche endoreiche responsabili della riduzione delle

aliquote d’acqua di ruscellamento superficiale.

Nel settore “Centrale – Alluvionale”, che corrisponde al bacino del Fosso Volla, studi

eseguiti hanno dimostrato che l’acquifero è costituito principalmente da piroclastiti Flegree e

Vesuviane, più o meno rimaneggiate in ambiente alluvionale, a cui sono intercalati, localmente,

sedimenti marini e palustri [CIVITA et al., 1973; CELICO, 1993, BELLUCCI et al., 1990,

CELICO et al., 1992, ESPOSITO, 1996].

Essa rappresenta il recapito preferenziale di parte delle acque provenienti dai

settori“Occidentale-Flegreo” ed “Orientale – Vesuviano”. Anche in questo caso si ha una

circolazione idrica sotterranea articolata in più falde sovrapposte, ma idraulicamente interagenti,

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anche per la presenza di migliaia di pozzi privi del condizionamento necessario per isolare, dal

punto di vista idraulico, i diversi livelli idrici sovrapposti [CELICO, 1990, CELICO e DE

PAOLA, 1991, CELICO et al., 1997].

Infine, nel settore “Orientale-Vesuviano” che si sviluppa lungo le pendici sud –

occidentali del Somma Vesuvio, la circolazione idrica interessa alternanze di lave e depositi

piroclastici, sovente intercalati ai prodotti flegrei. Anche in questo caso si è in presenza di un

acquiferomultifalda, riconducibile ad un unico corpo idrico [CELICO, 1983; ESPOSITO, 1996;

CELICOet al., 1997].

Studi di dettaglio effettuati da Celico et al., 2001 riportano che nel settore "Occidentale-

Flegreo" esiste una circolazione idrica superficiale all’interno del “Complesso

piroclasticoprossimale recente” costituito da una successione regolare di pomici e cineriti

incoerenti nellaquale si intercalano, a varie altezze, più livelli di paleosuoli. Il complesso

piroclasticoprossimale recente formerebbe dunque un acquifero mediamente trasmissivo (10-

2<T<10-4m2/s), poggiante sul T.G.N., che rappresenta un setto impermeabile“relativo”.

Si differenzia da questo assetto generale la zona di Pianura, parte della piana di Soccavo

ela fascia costiera di Bagnoli; nella prima, infatti, la circolazione idrica sotterranea si

sviluppa,almeno fino al livello di riferimento considerato, nel tufo fessurato (in ogni caso, la

circolazioneidrica più attiva si ha nelle piroclastiti sottostanti al tufo stesso, con l'ovvia

conseguenza di unafalda che defluisce in condizioni di semiconfinamento); nella seconda,

invece, la falda permea idepositi detritici derivanti dallo smantellamento del versante

meridionale dei Camaldoli(stratigraficamente sottoposti al suddetto Complesso piroclastico

prossimale recente); infine,l’area di Bagnoli è interessata da una circolazione idrica sotterranea

sviluppata in misurasempre maggiore, a mano a mano che si procede verso mare, nelle sabbie

marinestratigraficamente sovrapposte ai prodotti vulcanici (T ≈ 10-2 m2/s).

Come già in precedenza accennato, nell'ampia fascia corrispondente alla zona collinare

eda quella del denso tessuto urbano, separata dalla precedente da faglie vulcano-

tettonichesuccessive alla deposizione del T.G.N. [ROSI et al., 1983; ROSI & SBRANA, 1987],

le acque di falda defluiscono principalmente nei depositi del “Complesso piroclastico antico”,

come confermato dal sondaggio S7 realizzato da TECNO IN S.p.A durante le indagini di

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caratterizzazione effettuate da ARPAC nei mesi di maggio-giugno 2008, nel quale il livello della

falda è stato misurato a 157.6 m dal p.c. (area di fondo cava), ossia a circa 35.5 m s.l.m.,

all’interno delle cineriti addensate. Tale livello della falda profonda principale risulta pertanto

essere protetto dalla superficie da un notevole spessore di sedimenti rappresentati dapprima da

una successione di oltre 40 m di tufo giallo napoletano, poi da alternanze di cineriti

diversamente addensate a cui si intercalano livelli di paleosuoli per uno spessore complessivo di

altre 80 m ed, infine, direttamente al tetto del complesso piroclastico antico, dalla presenza di

un banco lavico trachitico a consistenza litoide, spesso oltre 15 m.

Nel settore "Centrale-alluvionale" la falda ritorna in condizioni freatiche ed è sviluppata

preferenzialmente nelle alluvioni del Fosso Volla (T≈ 10-2 m2/s). Infine, lungo la fascia

costiera del centro cittadino, la circolazione idrica sotterranea si sposta nelle sabbie di origine

marina (T ≈ 10-2 m2/s), anch'esse poggianti sul complesso tufaceo.

5.1 Andamento piezometrico della falda principale

Per una descrizione dei caratteri piezometrici della falda principale presente nel territorio

comunale di Napoli sono stati analizzati più studi redatti con diverse finalità da vari

Autori(VIPARELLI, 1967, 1978; CORNIELLO et al., 1995; CELICO, 1983; GEOLAB,

1988;BELLUCCI et al., 1990; BUDETTA et al., 1994; CELICO et al., 2001; PROVINCIA DI

NAPOLI,2001, 2004).

Di questi studi si riferirà nello specifico di quelli di Celico et al. (anni 2001 e 2003) e di

quelli redatti dalla Provincia di Napoli in quanto i più recenti e i più completi ed omogenei per

l’areale di studio.

Lo schema della circolazione idrica sotterranea del territorio comunale di Napoli è stato

delineato con dettaglio in Celico et. al. (2001) sulla base dell'elaborazione di specifiche carte

piezometriche oltre che da altri studi bibliografici in precedenza redatti nell’areale di studio.

Dalla lettura dell’elaborato piezometrico proposto e relativo all’andamento piezometrico

riferito al maggio 1997 (Figura 15), emerge subito un importante elemento idrogeologico per il

settore di studio appartenente al dominio idrogeologico “Occidentale - Flegreo”.

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E’ ben evidente difatti un importante spartiacque sotterraneo che, dalla periferia settentrionale

di Napoli (località Chiaiano), si sviluppa dapprima in direzione NO-SE e, successivamente,

all'altezza di Capodimonte, devia verso Sud fino a raggiungere il mare in prossimità di Castel

dell'Ovo. Tale spartiacque impedisce dal punto di vista idraulico interconnessioni

idrogeologiche tra l'area "Occidentale-Flegrea" e le aree "Centrale-Alluvionale" ed "Orientale-

Vesuviana".

Questa condizione trova conferma anche nell’analisi dei caratteri chimico – fisici delle

acque ivi circolanti, come verrà meglio specificato nel paragrafo relativo alle caratteristiche

idrochimiche delle acque sotterranee.

E’ interessante inoltre notare che i suddetti settori idrogeologici si distinguono anche

perdifferenti gradienti idraulici della falda; infatti nell'area "Occidentale - Flegrea", oltre che a

una maggiore complicazione della morfologia piezometrica, si rileva un gradiente idraulico più

elevato (0.2% < i < 0.8%) di quello osservabile ad est di detto spartiacque sotterraneo (0.1 % <

i < 0.3%). Questa differenza potrebbe essere interpretata come la diretta conseguenza

dellaminoretrasmissività dei complessi piroclastici in posto, rispetto a quella dei depositi

generalmente rimaneggiati in ambiente alluvionale dei settori "Centrale-alluvionale" ed

"Orientale-Vesuviano".

Ad Est dello spartiacque sotterraneo sopradescritto si evidenziano inoltre marcati assi di

drenaggio preferenziale che convogliano le acque defluenti dalla porzione orientale della Piana

Campana (poste a Nord-Est del Fosso Volla) verso il mare.

Sempre con riferimento al settore "Occidentale-Flegreo" si evidenzia un altro importante

elemento idrogeologico rappresentato da un'ampia zona di alimentazione coincidente con un

"alto" piezometrico, ubicato tra il limite comunale nord-occidentale di Napoli e l'abitato di

Marano.

L'esistenza di questo elemento idrogeologico condiziona, in misura rilevante, lo schema di

circolazione idrica sotterranea dell'area. I deflussi, a partire dal suddetto "alto", sembrano

orientarsi in modo radiale, ma con gradienti differenti, a seconda delle direttrici di flusso. Se,

infatti, quelli responsabili della dinamica delle acque in direzione NO-SE (lato lungo il quale si

sviluppa il versante a debolissima pendenza dei Camaldoli) sono estremamente bassi, quelli

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verso le piane flegree appaiono molto più elevati (i ≈0.8%). Secondo i vari Autori le cause che

potrebbero determinare il suddetto assetto piezometrico di tipo radiale potrebbero essere

molteplici; tra queste si citano ad esempio il particolare schema "morfo-strutturale" dell’area, i

differenti valori di trasmissività degli acquiferi in cui trova sede la falda principale o, infine,

l’andamento della linea di costa che rappresenta il recapito finale delle acque sotterranee.

L’andamento piezometrico sopra descritto trova conferma anche dall’analisi della

cartografia piezometrica più recente riportata nel “Secondo Rapporto sullo Stato dell’Ambiente

nella Provincia di Napoli” Provincia di Napoli, Assessorato all’Ambiente (2004), proposta in

Figura 16 e riferita alla campagna eseguita nel mese di febbraio 2003. L’assetto piezometrico

della falda principale sopra illustrato mostra un’alimentazione legata a significativi travasi

sotterranei dai rilevi carbonatici che limitano la Piana Campana. Sempre secondo gli estensori di

tale cartografia, un’ulteriore alimentazione deriva da apporti sotterranei originati nell’ambito del

Vulcano del Somma-Vesuvio (ciò in accordo con quanto noto in letteratura scientifica), mentre

a Ovest di Acerra è presente uno spartiacque sotterrano che si collega a un alto piezometrico

posto in corrispondenza delle colline flegree ove la falda si trova a quote superiori ai 20 m

s.l.m..

Questi due elementi (spartiacque e alto piezometrico) sono importanti fattori di

condizionamento del flusso idrico sotterraneo; difatti in corrispondenza dello

spartiacquesotterraneo e dell’alto flegreo la falda della Piana si divide in due rami: il primo

raggiunge il mare a Nord dell’area flegrea, l’altro devia verso Sud-Ovest e giunge al Golfo di

Napoliattraverso la depressione del Sebeto che di fatto rappresenta una sezione di flusso

limitata dagli alti piezometrici flegreo (a Nord-Ovest) e vesuviano (ad Est).

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Legenda: 1) Sorgenti principali; 2) punti di misura del livello di falda; 3) curve isopiezometriche e relative quote in m S.l.m. (l'equidistanza è pari a 5 metri); 4) assi di drenaggio preferenziali delle acque sotterranee; 5) spartiacque sotterranei principali. Figura 15 - Piezometria (m s.l.m.) dell'area urbana di Napoli riferita a un periodo idrologico di piena (maggio 1997) – tratta da Celico et al., 2001

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FIGURA 16. Piezometria della falda principale (m s.l.m.) - campagna Febbraio 2003 (tratta da “Secondo Rapporto Stato Ambiente” Provincia di Napoli, 2004)

Un andamento piezometrico sostanzialmente simile nelle linee generali a quello in

precedenza descritto è riportato nella carta idrogeologica elaborata da Celico et al. (2003) e

fornita da ARPAC (stralcio in Figura 17). La differenza maggiore sembrerebbe però riguardare

l’ubicazione dello spartiacque piezometrico allungato all’incirca tra Pianura e Marano e del

relativo “alto piezometrico” che risulterebbero essere localizzato più verso Nord-NordOvest

rispetto a quanto non evidenziato nelle precedenti cartografie. Da tale ricostruzione, basata sui

punti di monitoraggio indicati sul medesimo elaborato, risulterebbe pertanto che in

corrispondenza dell’areale interessato dall’impianto di rifiuti in progetto la falda idrica

principalesi troverebbe a una quota di circa 17-18 m s.l.m. e non più in corrispondenza

dell’altopiezometrico che invero risulterebbe essere localizzato tra gli abitati di Marano di

Napoli e Calvizzano posti più a monte, in senso idrogeologico, rispetto all’area di studio,

mentre il gradiente idraulico medio è pari allo 0.24%.

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FIGURA 17. Andamento piezometrico tratto da “Carta idrogeologica” (Celico , 2003)

6 CARATTERIZZAZIONE GEOTECNICA

Nel seguente paragrafo si tratteranno le proprietà geotecniche dei terreni affioranti in

corrispondenza dell’area sulla quale sorge l’ex-cava di Chiaiano.

6.1 Parametrizzazione fisico-meccanica dei litotipi (da fonti bibliografiche)

Dalle informazioni raccolte per l’area in esame emerge che i terreni affioranti sono

sostanzialmente riconducibili a due categorie di materiale, quali:

• tufi litoidi (Tufo Giallo Napoletano);

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• materiali piroclastici sciolti e rimaneggiati (pozzolane).

6.2 Tufo Giallo Napoletano

Il Tufo Giallo Napoletano (T.G.N.) si presenta con struttura e con caratteristiche

geotecniche variabili nell’ambito del territorio cittadino.

Il T.G.N. si presenta generalmente con buone caratteristiche meccaniche e con un

elevato rapporto resistenza [σ]/peso dell’unità di volume [γd].

Per poter inquadrare la roccia e comprendere i motivi dell'ampio utilizzo che se ne è fatto

a Napoli nel corso dei secoli, bisogna definire le seguenti caratteristiche:

- resistenza meccanica;

- densità;

- lavorabilità;

- resistenza agli agenti atmosferici;

- capacita di legare con le malte.

Resistenza meccanica Nelle varietà normali il Tufo Giallo Napoletano è scalfibile con l’unghia, ciononostante la

resistenza allo schiacciamento, che è il parametro che definisce la capacita di una roccia a

resistere a dei carichi, è sufficientemente alto per poter permetterne l'utilizzo. Questo parametro

è molto variabile da varietà a varietà anche nell'ambito dello stesso.

Nelle varietà più scadenti la resistenza allo schiacciamento si aggira intorno ai 20 Kg/cm2

per arrivare a circa 175 Kg/cm2 in quelle più resistenti. Un valore medio si aggira sui 50 Kg/

cm2.

Per essere utilizzata la pietra deve avere una resistenza di almeno 30 Kg/cm2 in quanto le

varietà più scadenti possono dare luogo, nel tempo, a fenomeni di schiacciamento

Anche il Tufo Giallo Napoletano, come tutte le rocce, se ridotto in forma di lastre offre

una resistenza maggiore rispetto al concio.

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Il T.G.N.: è generalmente interessato da una serie di fratture subverticali e da

discontinuità orizzontali (suoli). Le prime, sono in genere serrate, e di frequente capillari. I suoli

derivano da sottili orizzonti incoerenti e sono molto meno frequenti delle fratture.

L'identificazione nel sottosuolo delle discontinuità del tufo, con perforazioni di sondaggio o

con altri mezzid'indagine, è molto difficile ed incerta.

Densità

Il Tufo Giallo Napoletano è una roccia molto porosa; questa porosità gli deriva, oltre che

dai vuoti intergranulari, dalla presenza di pomici molto soffiate che normalmente hanno una

densità inferiore a quella dell'acqua. Da ciò la roccia si presenta leggera con un peso di volume

variabile da 1,1 a 1,4 t/m3 anche se in genere l'intervallo di variabilità e più ristretto

mantenendosi tra 1,2 e 1,3 t/m3.

Altri Autori (Cfr. Guadagno et al., 1987) hanno studiato il comportamento dinamico di

campioni di T.G.N. prelevato nella zona di Piana di Quarto nell’area flegrea ottenendo

valori del peso di volume secco (γd) variabili tra 1.13 e 1.19 g/cm3 e valori del contenuto

d’acqua w compresi tra 5.15 e 7.8%.

Degradazione chimico-fisica

Per la sua scalfibilità il Tufo Giallo Napoletano è facilmente attaccabile dai fattori fisici

quali pioggia e vento. Non è infrequente, infatti, vedere nelle pareti esposte, in particolare verso

il mare, degli incavi di erosione ad andamento concoide che isolano dei picchi sporgenti di

maggiore resistenza o degli inclusi lavici che sporgono dalla massa tufacea. Come nel caso della

resistenza allo schiacciamento anche quelle all'erosione varia da tipo a tipo di tufo e nell'ambito

dello stesso giacimento da posto a posto; in effetti in alcune pareti la differente erodibilità dà

luogo a rientranze e sporgenze che danno l'impressione di una stratificazione.

La roccia presenta una composizione chimica tale da non poter essere soggetta né a

ossidazione né a idratazione. Da ciò non sono possibili fenomeni di rigonfiamento o comunque

di degradazione chimica. L’unica trasformazione possibile è quella della magnetite ad ematite,ma

data la scarsa presenza di questa minerale questa fattore e del tutto ininfluente.

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Aderenza con le malte

L'aderenza delle malte con il Tufo Giallo Napoletano è facilitata dalla porosità della roccia

in quanto il grassello di calce si insinua nei pori andando ad aumentare la superficie d'azione del

legante. Inoltre, come è noto, il processo di indurimento e presa della calce consiste nella

trasformazione dell'idrossido di calcio (calce spenta) in carbonato di calcio. La scabrosità e la

porosità esistente nella roccia aumentano la superficie di contatto facilitando il processo

chimico. Nella pratica due conci di tufo legati con calce, una volta avvenuto l'indurimento,

costituiscono un tutt'uno.

Lavorabilità

Per sua stessa natura il Tufo Giallo Napoletano si presta ottimamente ad essere lavorato e

ridotto in conci regolari. Oggi questa dote ha un'importanza relativa in quanta il materiale viene

estratto in cava con mezzi meccanici che ne isolano dei piccoli blocchi di dimensione standard

già pronti per essere utilizzati. In passato, invece, i conci venivano estratti a mano e quindi la

lavorabilità era un fattore di estrema importanza in quanto la buona lavorabilità abbassava

notevolmente i costi di produzione.

Coesione e Angolo di attrito

La grande varietà di tufo presente sul territorio campano determina una variabilità dei

valori di coesione e angolo d’attrito, in funzione di diversi fattori quali il grado di cementazione,

il grado di alterazione, la profondità, la percentuale di frazione fine, etc..

Sulla base sia di prove di campo che di laboratorio raccolte da diverse fonti bibliografiche,

è emerso che il campo dei valori del parametro coesione è compreso all’incirca fra 0 e 1 MPa,

mentre i valori di angolo d’attrito variano generalmente in un intervallo compreso fra 27° e

36°÷40°.

Porosità e permeabilità Numerose determinazioni effettuate su campioni di tufo giallo prelevati in più punti della

città hanno evidenziato che la porosità n della roccia risulta essere sempre molto elevata tra il 50

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e il 60%. Per quanto riguarda la permeabilità del tufo, i valori riportati in bibliografia si

riferiscono al coefficiente di permeabilità assoluta K0 che è risultato pari a 1.1·10-10 cm2 (valori

equivalenti a una conducibilità idraulica di circa 1·10-7 m/s).

In generale K risulta basso in accordo con quanto determinato sulla dimensione dei pori.

La ridotta permeabilità rende tecnicamente impossibile l’impiego di liquidi consolidanti di

elementi ad elevata viscosità. Gli studi condotti hanno dimostrato l’efficacia di tecniche di

consolidamento che sfruttano la tecnica di impregnazione profonda mediante miscele di

monometilmetacrilato (MMA) che, polimerizzando a basse temperature, dà origine a un

materiale composito dalle nuove e migliori proprietà meccaniche (Cfr. Evangelista et al., 1980 e

Aurisicchio et al., 1981, 1982).

6.3 Pozzolana

Rivestono una grande importanza, da un punta di vista tecnico, in quanto costituiscono il

substrato fondale di buona parte degli edifici esistenti sul territorio cittadino. Inoltre è da tenere

presente una caratteristica pecuIiare delle pozzolane, cioè quella di avere una reattività idraulica

se mischiate con calce idrata o con cemento, cioè hanno la capacità di reagire, cementandosi,

anche se immerse in acqua.

Questa proprietà, che era conosciuta già all'epoca di Roma, viene detta "proprietà

pozzolanica". Oggi questi materiali vengono utilizzati per produrre i cementi idraulici che

vengono detti "cementi pozzolanici".

Le pozzolane hanno una granulometria non omogenea che varia dalla sabbia limosa al

limo sabbioso. Vi è anche presenza di una piccola componente ghiaiosa costituita da pomici e

in subordine da piccoli frammenti litici. Tale variabilità è legata alle origini dei materiali costituiti

sia da depositi di caduta, che da flusso e surge (Piccarelli et al., 2006).

I granuli hanno una superficie molto irregolare, scabrosa. Questa irregolarità fa si che

lamassa dei granuli, una volta depositati, si incastrino in maniera tale da dare alla massa una

coesione che gli consente di reggere fronti di scavo quasi verticali.

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Questa coesione viene detta "apparente" in quanto se questi materiali vengono saturati

d'acqua questa proprietà viene a mancare. Questo fatto fa si che in caso di perdite d'acqua nei

sottoservizi cittadini gli edifici, prossimi alla perdita, se fondati su pozzolane vanno soggetti a

cedimenti a volte anche notevoli.

Questo fatto può essere spiegato con un aumento della pressione interstiziale, dovuta

all'acqua, che tende a far assumere alle particelle una configurazione più stabile, con una

conseguente diminuzione di volume che si esplica con cedimenti fondali.

Il meccanismo di deposizione delle pozzolane comporta che all'interno di questa

formazione le caratteristiche meccaniche varino con la profondità. Queste variazioni sono

legate alle caratteristiche granulometriche, all'alterazione subita dopo la messa in posto, alla

porosità, al grado di addensamento. I valori meccanici quindi variano al variare della profondità,

con un andamento molto irregolare che alterna pozzolane con caratteristiche meccaniche

elevate con pozzolane con caratteristiche basse. Molto accentuate sono anche le variazioni

laterali.

Dall'analisi di numerose prove di laboratorio effettuate su questi materiali si

possonoriassumere le seguenti caratteristiche:

- granulometria: da sabbia limosa a limo sabbioso;

- angolo di attrito interno: da 30° a 38°;

- coesione: mediamente 0,25 Kg/cm2;

- porosità: mediamente 25%;

- peso specifico apparente: mediamente 1,4 t/m3.

Studi effettuati sulle coltri superficiali del napoletano campionati nell’area della collina

diCamaldoli, Posillipo e nella conca di Agnano (Scotto di Santolo, 2000; Evangelista e Scotto

diSantolo, 2001) hanno evidenziato valori di indice dei pori compreso fra un massimo di

1.8(corrispondente a una porosità del 64%) fino a 0.9 (corrispondente a una porosità del

47%),mentre il valore più frequente risulta pari a 0.26 (corrispondente a una porosità del 56%).

Anche in questo caso i terreni risultano parzialmente saturi con un grado di saturazione

che piùfrequentemente oscilla intorno al 30%.

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L’angolo d’attrito a stato critico è risultato di circa 35°.

7 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Dall’analisi condotta si possono riassumere nei seguenti punti sintetici gli aspetti salienti

che contraddistinguono da un punto di vista geologico, idrogeologico e sismico l’area in cui si

inserirebbe il nuovo impianto di discarica in progetto.

Da un punto di vista geomorfologico l’area in esame viene classificata come altamente

suscettibile ai fenomeni franosi; il profilo originario delle colline è stato modificato in seguito

alle attività estrattive e attualmente le pareti perimetrali della cava risultano subverticali. Un

possibile utilizzo dell’area deve prevedere una idonea sistemazione delle pareti.

Geologicamente l’areale di studio ricade entro l’unità geologica denominata “Prodotti

piroclastici indifferenziati provenienti da vari centri eruttivi flegrei: cineriti e pozzolane chiare”;

nel settore di studio le attività estrattive hanno portato in affioramento i sottostanti depositi

vulcanici appartenenti al II Periodo Flegreo Superiore; si tratta di tufo con pomici alterate e

scorie in banchi denominato Tufo Giallo Campano. L’area interessata dalla discarica è situata a

Nord-Est dei Campi Flegrei che rappresentano un sistema vulcanico complesso formato da un

insieme di piccoli apparati piroclastici monogenici, disposti secondo un allineamento Est-Ovest.

Il susseguirsi di numerosi eventi esplosivi, di intensità descrescente nel tempo, ha determinato

una stratigrafia complessa derivante dalla sovrapposizione di prodotti piroclastici variabili in

granulometria, spessore, stato di costipazione ed estensione laterale.

Dai dati bibliografici raccolti emerge come in corrispondenza del futuro impianto di

discarica la successione litologica sia rappresentata dalla seguente sequenza a partire dall’alto

verso il basso:

Pozzolane con intercalazioni di pomici e sabbie di spessore variabile (valore massimo 3

m); questa successione è stata messa in posto durante le eruzioni recenti dei Campi Flegrei ed è

nota come Complesso Piroclastico Prossimale Recente. La permeabilità d’insieme del

complesso è per porosità e si attesta su valori bassi e medio bassi.

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Tufo giallo napoletano la cui potenza varia tra 70 e 100 m. Si tratta di un orizzonte molto

importante da un punto di vista idrogeologico in quanto condiziona l’intera circolazione idrica

sotterranea; la permeabilità può essere definita da bassa a medio bassa per fatturazione (facies

litoide). Le fratture, anche dove risultano localmente diffuse, presentano in genere scarse

condizioni di continuità; inoltre non sono mai stati osservati fenomeni di infiltrazione

attraverso la rete di fratture anche durante periodi di forte piovosità. Non si esclude comunque

localmente, in corrispondenza di ammassi tufacei particolarmente fratturati si possano rinvenire

fenomeni di modesta e locale circolazione idrica. I valori di permeabilità riscontrati in pozzi

variano tra 3·10-4 e 2·10-6 m/s (dati riportati nel PRG di Napoli). Nella zona collinare in

esame, il complesso tufaceo si rinviene al tetto dell’acquifero regionale e ciò determina una

parziale protezione dell’acquifero da eventuali contaminazioni; ivi le permeabilità riscontrate

variano tra 1.4·10-5 e 9.5·10-7 m/s (dati ARPAC).

Le acque di falda che sulla base dei dati bibliografici risulterebbero essere contenute

principalmente nei depositi del Complesso piroclastico antico sottostante al Tufo Giallo

napoletano. Questa falda risulta essere profonda e protetta dalla superficie da un notevole

spessore di sedimenti rappresentati dapprima da una successione di oltre 40 m di tufo giallo

napoletano, poi da alternanze di cineriti diversamente addensate a cui si intercalano livelli di

paleosuoli per uno spessore complessivo di altre 80 m ed, infine,direttamente al tetto del

complesso piroclastico antico, dalla presenza di un banco lavico trachitico a consistenza litoide,

spesso oltre 15 m.

Da un punto di vista idrogeologico il nuovo impianto di discarica si inserisce nel

cosiddetto settore “Occidentale – Flegreo”; esso è contraddistinto da una circolazione idrica

sotterranea che risulta scollegata e indipendente rispetto la più importante circolazione che si

realizza invece nella zona orientale della Piana Campana; ciò alla luce sia di elementi

piezometrici che idrochimici riportati in sintesi nello studio di Celico et al., 2001. Sebbene lo

schema di circolazione idrica metta in evidenza un sistema di falde sovrapposte, essendo queste

interconnesse tra loro sia per l’interdigitazione di depositi a vario grado di permeabilità sia per

flussi di drenanza verticale i diversi Autori concordano nel ritenere valido uno schema idrico a

falda unica. La morfologia piezometrica indica l’esistenza in prossimità dell’area interessata

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anche dall’ex cava di un alto piezometrico che condiziona in modo rilevante le modalità di

deflusso delle acque sotterranee; i deflussi sembrano infatti orientarsi, a partire da tale alto,

inmodo radiale, ma con gradienti differenti (variabili da 0.5 a 1%), a seconda delle

principalidirettrici di flusso verso O e Ee verso il principale recapito finale rappresentato dal

mare.

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8 BIBLIOGRAFIA

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COMUNE DI NAPOLI (1999) - Variante al PRG di Napoli centro storico, zona orientale,zona nord-occidentale – Relazione Geologica CORNIELLO A., DE RISO R., DUCCI D., NAPOLITANO P., GUARINO P., BELLUCCI F. (1995) –Cartadella vulnerabilità delle falde del settore orientale della Piana Campana 1/50.000. Quadernidi Tecniche di Protezione Ambientale – Quaderni di Geologia Applicata, 1, Pitagora, Bologna. CORNIELLO A., DE RISO R., DUCCI D. (1990) – Idrogeologia ed idrogeochimica dellaPiana Campana. Mem. Soc. Geol. It., 45. COCOZZIELLO B. ET AL., (2005) - “L’Arsenico nelle acque sotterranee della Campania” DE VIVO, D. CICCHHELLA (2005) - Atlante geochimico – ambientale dei suoli dell’area urbana e della Provincia di Napoli. Dip. di Geofisica e Vulcanologia Università degli Studi di Napoli “Federico II”. DE VIVO B. (2003) – Indagini e risultati per il risanamento dei siti ex industriali dell’area di Bagnoli” DUCCI D., ONORATI G. (1993) – Analisi di una lunga serie di dati piezometrici in PianaCampana. Atti 2° Convegno Nazionale di Geoidrologia- Quaderni di Tecniche di ProtezioneAmbientale – Protezione delle acque sotterranee, 49, Pitagora, Bologna. GEOLAB (1988) – Indagini integrative e di dettaglio per lo studio idrogeologico della PianaCampana, dal fiume Savone allo spartiacque con il bacino del Sarno tra Ottaviano e Palma Campania. Relazione idrogeologica, ASMEZ, Agenzia per la Promozione dello Sviluppo delMezzogiorno, Rip. CSI, Div. 4, Napoli. GUADAGNO et al.(1981, 1982) – Parametrizzazione dinamica di piroclastici sciolte e litoididei campi flegrei. mem. Soc. Geol. It., 37 (1987), 215-229, 19 ff, 4 tabb. ENEA (2001) - Studio sugli effetti ambientali determinati, nell’ambito del Bacino dei RegiLagni, dallo smaltimento delle acque reflue nei corpi idrici ricettori e dal loro riutilizzoagronomico. Carta della vulnerabilità degli acquiferi. Convenzione tra l’ENEA ed il Dipartimentodi Ingegneria Idraulica ed Ambientale Girolamo Ippolito dell’Università degli Studi Federico II. Relazione inedita. PROVINCIA DI NAPOLI, ASSESSORATO ALL’AMBIENTE (2001): Primo rapportosull’ambiente della Provincia di Napoli

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