La "Shock Economy" Dei Rifiuti in Campania. Le Opposizioni Locali Di Gianturco e Chiaiano.
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Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Facoltà di Sociologia Corso di Laurea in Sociologia
Prova Finale
La “shock economy” dei rifiuti in Campania
Le opposizioni locali di Gianturco e Chiaiano
ANNO ACCADEMICO 2008 - 2009
Relatore Candidato Ch.ma Prof.ssa De Stefano Giuseppe
Daniele Anna Maria Zaccaria Matr. 551/2005
b
Indice
Introduzione................................................................................................. pag. I
Capitolo I
1. I grandi progetti di modernizzazione, i suoi oppositori, gli interessi
divergenti.................................................................................................pag. 1
2. La modernità e i suoi prodotti entrano in crisi (o in una nuova fase): crisi
ecologica, espansione della scienza, valutazione del rischio................pag. 6
3. La crisi della pianificazione territoriale “dall’al to” e “unidirezionale”. Le
opposizioni locali: “ABBIAMO GIÀ DATO”, LULU, NIMBY, NOPE,
NIABY ...................................................................................................pag. 11
4. La difficoltà delle rappresentanze: la questione democratica, la crisi dei
partiti, il deficit partecipativo ..............................................................pag. 18
5. «No globalization without representation!»: il movimento no global
5.1 Breve analisi dei “nuovi movimenti sociali”: contestualizzazione
geopolitica, simbolica, discorsiva...............................................pag. 26
5.2 Modi di (ri)organizzazione territoriale fuori dai partiti: breve
analisi dei comitati in Italia e forme di attivazione, piccolo excursus
sul movimento ambientalista.......................................................pag. 31
6. Un’analisi dei movimenti ambientalisti..............................................pag. 37
Capitolo II
1. L’emergenza rifiuti in Campania: 15 anni di soluzioni temporanee in
deroga alle norme vigenti.....................................................................pag. 47
c
2. L’inizio dell’emergenza e l’approvazione del piano di risoluzione del
problema................................................................................................pag. 50
3. Genealogia di un disastro
3.1 La prima violazione del Decreto Napolitano: il bando di gara non
rispetta le normative vigenti.......................................................pag. 53
3.2 La posta in gioco è alta: intervengono le banche................pag. 54
3.3 La seconda violazione: una gara d’appalto con un vincitore non
qualificato...................................................................................pag. 56
3.4 Il progetto passa/non passa la Valutazione di Impatto Ambientale
e peggiora in corso d’opera.......................................................pag. 58
3.5 La terza violazione: scompaiono alcune clausole dai contratti per
lo smaltimento dei rifiuti, comincia l’invasione delle
Ecoballe......................................................................................pag. 60
3.6 Quarta violazione, “emergenza nell’emergenza”: i siti di
stoccaggio provvisorio diventano a tempo indeterminato, un business
imperdibile per la camorra.........................................................pag. 61
3.7 Quinta violazione: il CDR non è più formalmente a norma, uso
sistematico della deroga.............................................................pag. 63
3.8 Tutto va a rotoli. Ergo, tutto va secondo i progetti..............pag. 64
3.9 Le localizzazioni avvengono senza criterio: alla Fibe non viene
imposto nessun vincolo o parametro, si rafforza la protesta della
popolazione.................................................................................pag. 65
4. I rifiuti in Italia diventano il nuovo business: le ecomafie ne approfittano
e fanno affari d’oro con le imprese italiane. È l’inizio dell’emergenza
sanitaria e ambientale..........................................................................pag. 70
5. Le crisi principali
5.1 La crisi del 2001...................................................................pag. 81
d
5.2 La crisi del 2007-2008: vengono annichiliti i meccanismi di
partecipazione, arrivano i provvedimenti repressivi dei
Governi.......................................................................................pag. 82
6. Il fattore di Shock: una possibile interpretazione dell’emergenza rifiuti
in Campania..........................................................................................pag. 89
Capitolo III
1. Dopo Pianura viene individuato il sito di trasferenza temporaneo a
Gianturco: le azioni dei comitati per Napoli Est...............................pag. 98
2. Il sito di stoccaggio nelle cave di Chiaiano e Marano: le opposizioni dei
comitati dei comitati popolari............................................................pag. 109
3. Una possibile conclusione: il rilancio della partecipazione attraverso il
presidio permanente...........................................................................pag. 126
3.1 La lotta più dura spetta alle donne: presidiare il territorio,
ricucire le relazioni frammentate, guardare al futuro.............pag. 128
3.2 Le “buone pratiche comunicative” dei comitati e dei movimenti sociali a Gianturco e Chiaiano................................................pag. 137
3.3 Resistere allo “shock” dei rifiuti: la costruzione di un network di resistenze locali, il ruolo di “Rete Campana Salute e Ambiente” verso l’obiettivo «Rifiuti Zero»..........................................................pag. 142
4. Ringraziamenti....................................................................................pag. 151
5. Bibliografia ..........................................................................................pag. 152
I
Introduzione
La questione dell’accettabilità sociale degli impianti industriali e delle grandi
infrastrutture ha da tempo assunto in tutto il panorama mondiale una notevole
rilevanza a causa della grave crisi di consenso che investe i progetti a maggior
impatto ambientale (Molocchi 1998). Durante l’attuale processo di allargamento
delle filiere produttive e dei progetti di sviluppo a livello globale assistiamo, oggi più
che in passato, alla costruzione di opere dalla portata molto ampia, ma con ricadute
ambientali e costi sociali nel locale talmente alti da destare preoccupazioni sulla reale
bontà dei progetti (Shiva 2006). Rappresentano ormai cronaca quotidiana i casi in cui
mega-progetti di modernizzazione o di produzione, fortemente voluti dai governi
centrali progettati su un territorio, incontrino detrattori e ostacoli nella successiva
realizzazione sia da parte delle comunità locali che dalle stesse amministrazioni
locali che denunciano uno scavalcamento di competenze.
Nel 1980 Peter Hall intitolava “Great planning Disaster” un suo noto studio sulle
politiche dei processi decisionali. Per Hall Grande è una decisione che comporta un
ingente investimento di risorse (economiche, territoriali, ambientali), che per questo
viene valutato e discusso prima di essere intrapreso. Ma aggiunge a questa
definizione il termine disastro, riferendosi alle complicazioni che la progettazione di
queste opere genera. Nella fattispecie può trattarsi di disastri negativi o di disastri
positivi. I primi consistono in progetti che sono stati in seguito sostanzialmente
modificati – rovesciati o abbandonati – dopo un considerevole impegno in termini di
attività e risorse; i secondi, invece, equivalgono a progetti attuati nonostante molte
critiche e opposizioni, ma che in seguito sono giudicati come un errore da una parte
consistente del pubblico informato. Sulla base di queste definizioni, molti processi
decisionali inerenti la localizzazione di grandi opere a forte impatto territoriale e
ambientale possono considerarsi “grandi disastri negativi”. Hall quindi utilizzava il
termine “negativo” indicando la mancata attuazione di un piano o comunque la
modifica in corso d’opera di quest’ultimo, stigmatizzandola come un fallimento della
pianificazione. Ma queste accezioni sembrano piuttosto sbilanciarsi verso un solo
lato dell’articolata rete di attori che interagiscono nella progettazione e
nell’implementazione delle grandi opere, ed in particolare quello delle grandi
II
aziende. In questo modo si tralasciano tutti gli altri soggetti che oggi concorrono alla
pianificazione del territorio e che sono – o dovrebbero essere – coinvolti nella
progettazione delle grandi opere; tra questi, le amministrazioni pubbliche e le
rappresentanze dei residenti, composte da un multiverso di comitati, associazioni di
cittadini e movimenti promotori a loro volta di altri progetti sul territorio.
Sovente i progetti osteggiati rappresentano interessi generali, come lo
smaltimento dei rifiuti e le grandi opere di stoccaggio o incenerimento che vi si
accompagnano. Un insediamento sgradito presenta uno squilibrio tra costi e benefici:
mentre i costi sono concentrati su gruppi ristretti, a beneficiarne è l’intera collettività;
una situazione difficilmente sostenibile sia sul piano etico che su quello politico. Dal
punto di vista dell’equità, essa presenta i tratti inequivocabili dell’ingiustizia ed
invita le potenziali vittime a ribellarsi. Dal punto di vista politico, si determina uno
squilibrio di risorse mobilitabili tra chi osteggia e chi promuove il progetto: la
comunità che percepisce chiaramente di essere danneggiata opporrà una resistenza
molto energica; la collettività che beneficerà del progetto non ne percepisce i
vantaggi e difficilmente si mobiliterà per sostenerlo.
I tratti e l’intensità dello squilibrio si fanno ancor più evidenti nella cosiddetta
“tarda modernità” o del “rischio”. La sfiducia nelle scelte attuate dai governi, lo
scetticismo nella bontà di un’opera o nelle dichiarazioni di intenti dei soggetti
promotori può infatti leggersi anche come atteggiamento tipico della società attuale,
in cui i rischi ambientali derivati dalla continua espansione industriale e tecnologica
destano sospetto e impopolarità nel momento in cui si materializzano agli occhi di
una comunità. Il sociologo Beck, autore di uno dei più significativi libri sulla
“società del rischio” causata dall’industrializzazione, pone la scienza e le valutazioni
prodotte da essa in una posizione molto più incerta e discutibile sottolineando che
fino agli anni settanta la scienza poteva contare su un pubblico non controverso, che
credeva in ciecamente in essa e che invece oggi segue con diffidenza tutti i suoi
progressi.
A questo quadro si aggiungono poi i tratti intensificatisi dei processi di
globalizzazione. La sfiducia dei cittadini si acuisce, infatti, anche di fronte alla
evidenza che molte imprese promotrici di grandi opere, il più delle volte
multinazionali, hanno una enorme libertà di azione sui territori di loro interesse. A tal
III
proposito, Vandana Shiva ha affermato più volte che la globalizzazione ha
deregolamentato i rapporti tra stato, comunità e grandi imprese. Chi sostiene queste
politiche sostiene che attraverso il decisionismo sviluppista si limitano i problemi
connessi alla centralizzazione, al controllo e alle lungaggini della burocrazia; ma è
inevitabile che tale passaggio di poteri dallo stato-nazione all’attore economico non
comporti una maggiore partecipazione dei cittadini. Al contrario, anche solo per il
fatto che le grandi imprese, specie multinazionali, sono più potenti e meno affidabili
dei governi, i cittadini si ritrovano a essere sempre più esclusi.
Nel caso italiano questi timori verso le mega-imprese e le grandi opere si sono
materializzati nella più grande devastazione ambientale e sociale che si sia perpetrata
negli ultimi anni in Europa, annoverata come “L’emergenza rifiuti in Campania”,
oggetto di questo studio. Questa grave crisi democratica e sociale, oltre che
ambientale e sanitaria, sembra inscriversi in un particolare modello di sviluppo
economico mondiale, che Naomi Klein pone sotto il nome di “Shock Economy”;
nello specifico, siamo di fronte ad una economia che sviluppa enormi profitti
attraverso l’intervento straordinario in periodi di crisi sui disastri naturali o su quelli
creati per mezzo delle attività dell’uomo. In altre parole, le imprese tenderebbero a
sfruttare lo stato di eccezionalità di un Paese per poter effettuare politiche industriali
precedentemente impensabile nello stato coinvolto dal disastro.
Anche il caso campano può inscriversi in queste dinamiche. Qui l’emergenza più
che decennale crea i presupposti per una politica di “deroga”, che solleva le scelte
cruciali – e sensibili – inerenti l’ambiente e la gestione del territorio a imprese
appaltanti o a commissari straordinari; un approccio che paga prezzi elevati in
termini di stabilità e di consenso, provocando la diffusione a macchia d’olio di
proteste e opposizioni locali, sovente violente.
Il problema delle opposizioni ad impianti sgraditi è considerato diffusamente in
letteratura come un chiaro esempio di sindrome NIMBY (Not In My Back Yard),
ovvero di rivendicazioni di carattere localista e, dunque, particolarista. Un’etichetta
negativa che bolla le proteste locali come egoistiche. Un acronimo più neutrale è
quello di LULU (Locally Unwanted Land Uses), con cui si vuole solo indicare che
certi usi del territorio sono sgraditi alla comunità locale. Tale ‘sindrome’ ha per
oggetto localizzazioni indesiderate, ovvero quegli insediamenti ad impatto negativo
IV
nelle aree circostanti, percepiti come rischiosi per la salute e la qualità della vita e per
l’integrità del paesaggio. Le accuse del cosiddetto “nimbysmo”, in ogni caso,
tendono spesso a mescolare letture contrastanti di egoismo individuale e
ideologizzazione, estrema razionalità e oscure paure. Definizioni come questa
assumono inevitabilmente un valore negativo e ritraggono gli oppositori locali come
velleitari e minoritari, gettando discredito sulle loro argomentazioni all’interno dei
processi concertativi con le istituzioni. Il rischio che si corre nell’etichettare
velocemente queste opposizioni è purtroppo quello di semplificare e disinnescare dei
discorsi, delle motivazioni che hanno basi molto più articolate e pongono
problematiche anche più ampie. La problematizzazione del nimbysmo è dunque un
primo aspetto trattato in questa tesi, dimostrando – a partire dalla letteratura in
materia e della ricostruzione del caso campano – come le opposizioni locali
rappresentino dei veri e propri laboratori di democrazia.
Ciò che rende particolari i comitati campani è la loro strenua opposizione a tutti i
piani di localizzazione degli impianti di stoccaggio dei rifiuti e dei termovalorizzatori
che dopo quindici anni di risoluzioni temporanee in un regime eccezionale di
emergenza e decine di siti realizzati non avevano risolto il problema. I comitati non
solo premevano per una partecipazione alla progettazione di un nuovo piano rifiuti,
ma rivendicavano l’impossibilità ad accogliere altre strutture o discariche perché già
altamente penalizzati da sversamenti di rifiuti di ogni genere provenienti da tutta
Italia. Per queste motivi si può individuare in Campania una “sindrome” differente
che parafrasando il famoso “Not in My Back Yard” “Non nel mio giardino”,
denunciava un “We Haven't Got Gardens”, cioè “Non abbiamo più giardini”.
Se dunque non è possibile pretendere che una comunità accetti un impianto a
forte impatto ambientale senza neanche essere stata coinvolta nella decisione relativa
alla sua localizzazione, ancora più arduo sarà convincere i gruppi di cittadini che,
dopo tanti anni di provvedimenti provvisori in regime emergenziale, si vedono
costruire ulteriori discariche a cielo aperto. Le comunità locali campane, per riuscire
a dimostrare la ragionevolezza delle proprie posizioni hanno dovuto pertanto
argomentare scientificamente e puntualmente un progetto completamente alternativo
a quello proposto. In più essi hanno dovuto disporre di una forza formidabile nel
fronteggiare eventuali intrusioni sgradevoli sul loro territorio, spesso operate da
V
istituzioni, enti locali, grandi industrie; tutti attori organizzati e capaci di strutturare il
conflitto nel lungo periodo. Nonostante le immense difficoltà, nella stragrande
maggioranza dei casi le comunità locali oppongono un sistema di interazioni e di
risorse tale da bloccare i progetti temporaneamente e, a volte, definitivamente.
Specie per quanto concerne la localizzazione di impianti di termodistruzione e di
stoccaggio dei rifiuti, questo sistema di interazioni riguarda alleanze tra comitati dei
cittadini e istituzioni locali (che posseggono comunque il diritto di veto per le
decisioni inerenti il proprio territorio), interessi economici locali (si pensi ai
proprietari di immobili o agli agricoltori), politici di partito.
A partire dunque dal caso campano, e sullo sfondo delle numerose proteste
ambientali ivi registrate, oggetto di questo lavoro è la cronaca di due campagne di
opposizione alle scelte di localizzazione di due nuove discariche e di una riapertura
forzata di una storica ormai satura. I casi di studio scelti sono quelli delle opposizioni
locali ai nuovi siti di stoccaggio dei rifiuti, avvenuti nel primo semestre del 2008
nell’area metropolitana di Napoli, e nella fattispecie nei quartieri di Gianturco e
Chiaiano. La scelta di soffermarsi nella descrizione di queste sole due campagne è
dettata da due fattori principali: il primo è di ordine metodologico, in quanto si è
avuta la possibilità di effettuare in quei due casi un’osservazione partecipante del
fenomeno durante le fasi di mobilitazione; il secondo fattore riguarda la
constatazione di un modello similare per la costruzione del conflitto nei due quartieri
coinvolti. Tali opposizioni hanno visto, infatti, sviluppare una fittissima rete di
cittadini anche non propriamente esperti in materia ma seriamente allarmati per il
futuro del proprio quartiere. A questi si affiancavano le istituzioni locali, scavalcate
dalle priorità di emergenza nazionale e pronte a “dar battaglia” per poter partecipare
alle decisioni. Ancora, i movimenti sociali, che producevano una base di opposizione
politica e sociale attraverso la diffusione di contro-expertise accumulato nelle
precedenti opposizioni locali.
Nel corso dell’azione di protesta, come testimoniato anche da della Porta e Diani
in altri casi di studio, in entrambi i casi analizzati si registra una trasformazione degli
attivisti, che molte volte presentano una crescita “sia delle capacità di utilizzare le
protesta sia delle competenze tecniche di un processo di autoeducazione” (Rootes
VI
1997) o, come sostiene Bobbio, l’intraprendere l’esperienza associativa provoca un
cambiamento anche individuale e sociale e tenderebbe a educare al bene comune.
Per la ricostruzione delle campagne di protesta, un primo livello di analisi ha
riguardato la ricostruzione nella stampa locale e nazionale degli articoli riferiti alle
campagne oggetto di studio. Per ogni caso sono stati raccolti gli articoli a partire
dalle prime proteste – in genere le più “clamorose” per contenuti e mole1 e fino al
calare dell’interesse sulla notizia. Solitamente l’attenzione dei media per le
campagne di protesta si riduce al momento in cui vengono fornite delle risposte o
date delle soluzioni, anche se temporanee. Questa scelta di metodo ha alcune
conseguenze. In primo luogo, la durata della campagna di protesta è delimitata dai
quotidiani locali e nazionali analizzati; in secondo luogo, gli articoli consentono di
discutere solo sulla fase finale del processo di policy, ricostruendolo limitatamente
alle informazioni storiche pubblicate in quei giorni dai quotidiani. Infine, questo
lavoro di esposizione è soggetto a tutti i limiti che il metodo dell’analisi dei
quotidiani comporta. La stampa è la fonte più economica e facilmente accessibile per
l’analisi e la memoria dell’azione collettiva, ma tale metodo presenta vari limiti:
innanzitutto la selezione praticata dai giornalisti. L’attenzione riservata agli eventi di
protesta segue criteri di “notiziabilità”2 e perciò risulta incostante nel tempo. Se si
hanno cali dell’attenzione sui quotidiani di livello nazionale in genere sono più
affidabili le “cronache locali”, meno soggette a vincoli di spazio, meno condizionate
dal riferimento alla novità assoluta di una notizia e più attente all’importanza
sostantiva che un certo evento può assumere per la popolazione locale (ibidem). Ai
fini della ricerca ci siamo dunque avvalsi delle pubblicazioni di un quotidiano
nazionale, di più quotidiani locali e settimanali che si occupavano dei movimenti
sociali.
Focalizzando l’analisi sulle “campagne di protesta”, l’interesse non è stato rivolto
unicamente sulle proteste, anche se queste ultime rimangono una parte fondante delle
1 In genere la partecipazione agli eventi di protesta che ha maggiori probabilità di essere divulgata deve superare il numero di 500 dimostranti (della Porta e Diani 2004, 37). 2 La notiziabilità segue diversi criteri. Può riflettere orientamenti editoriali (difficilmente un quotidiano vicino ad una coalizione di governo tratta facilmente forme di dissenso anti-governative); contingenze storiche (ad esempio una catastrofe naturale o una guerra di sicuro monopolizzano l’attenzione dei media che tenderanno a tralasciare le altre notizie); “vendibilità” della notizia (collegata alla sua drammaticità, alla spettacolarità, alla carica emotiva: tutti caratteri destinati a spegnersi nel tempo ed lasciar posto ad assuefazione e disinteresse).
VII
strategie d’azione a disposizione degli attori. Ci si è soffermati, infatti, anche sulla
pratica della costruzione e dell’suo dei presidi territoriali. Questa sorta di presenza
permanente sui territori oggetto di contestazione è stata diffusamente usata negli
ultimi anni nelle opposizioni locali in Italia per presidiare le zone, monitorarne i
cambiamenti e proporre laboratori. In Campania sono stati usati principalmente per
comunicare e diffondere alla popolazione le ragioni di un’opposizione talmente
radicale da non chiedere lo spostamento della localizzazione degli impianti, bensì di
cambiare i criteri per i quali si deve arrivare ad effettuare le localizzazioni stesse.
Essendo gli attori in gioco molteplici e le strategie da essi utilizzate numerose, ci si è
soffermati su caratteristiche e modalità di azione solo degli attori che hanno avuto
maggior peso nell’evoluzione della vicenda, con particolare attenzione ai comitati dei
cittadini ed alle interazioni che essi hanno costruito nel corso della campagna,
ricostruendo i contorni del decision making: il fine di questo lavoro è quello di
descrivere3 il caso campano attraverso la configurazione di modelli di azione
utilizzati dalla comunità nell’affrontare “situazioni critiche”, nella fattispecie di
natura ambientale, e l’individuazione di fattori o configurazioni di fattori che
traducono questa azione in successo.
La tesi si articola in tre capitoli. Nel primo si presenta un’analisi dei principali
elementi sociali e politici che attualmente interessano la pianificazione locale, e degli
attori più spesso vi intervengono. Nel secondo capitolo viene analizzata la cosiddetta
“Emergenza Rifiuti in Campania”, guardando con attenzione la gestione
commissariale, gli interessi delle ecomafie e le ripercussioni sulla salute e
sull’ambiente. È stata effettuata poi un’interpretazione del fenomeno partendo dagli
elementi emersi nell’argomentazione, quali la distribuzione asimmetrica dei rischi
ambientali e la shock economy.
3 Occorre distinguere tra due livelli di analisi: il livello prescrittivo ed il livello descrittivo. Nel primo caso l’analisi avviene in genere con modalità ex ante (o in itinere) ed ha il fine di produrre prescrizioni per il raggiungimento di obiettivi specifici; nel secondo caso l’analisi avviene generalmente con modalità ex post (o in itinere) ed ha come fine la ricostruzione delle dinamiche di un fenomeno per una maggiore comprensione dello stesso. Lasswell (1951) definendo la policy sciences, distingue anche tra “scienza per il policy making” e “scienza del policy making”, alludendo alle finalità della ricerca (rispettivamente di tipo prescrittivo o descrittivo). Le analisi prescrittive esaminano i processi di formulazione e di attuazione di una politica pubblica in chiave diagnostico-terapeutica; quelle descrittive mirano alla ricostruzione dei contorni dei processi decisionali, dei loro esiti, delle caratteristiche degli attori che vi partecipano: il fine è la formulazione di modelli più realistici per la comprensione di come le nostre società complesse affrontano le situazioni critiche (Cfr. Regonini 2001).
VIII
Nel terzo ed ultimo capitolo si riporta una breve cronologia delle opposizioni
locali prese in considerazione, attraverso l’utilizzo di fonti giornalistiche di varia
entità e l’analisi delle forme di mobilitazione assunte dai comitati in lotta. Attraverso
la lettura dei quotidiani ed una ricognizione di fonti secondarie (dati di archivio,
documenti ufficiali, verbali di sedute ed incontri collettivi, protocolli di intesa,
volantini e manifesti ecc.) si è tentato di fornire una chiave di lettura della vicenda. In
particolare, si sono ricostruite alcune dinamiche ricorrenti nel conflitto per cogliere le
strategie e le configurazioni relazionali che hanno condotto la comunità locale ad una
nuova forma di consapevolezza del territorio e di partecipazione alle politiche
pubbliche e del riemergere della percezione di comunità in un territorio
metropolitano altamente frammentato.
1
Capitolo I
«Le tendenze globalizzanti e localizzanti sono reciprocamente rafforzanti
ed inseparabili, ma i loro rispettivi prodotti sono sempre più separati»
Zygmunt Bauman
«Noi vogliamo un mondo dove ci sia posto per tutti i mondi»
Marcos Subcomandante dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale
1. I grandi progetti di modernizzazione, i suoi oppositori, gli interessi divergenti.
Negli ultimi cinquanta anni il sistema economico è entrato nella fase più ampia
della mondializzazione del processo di produzione delle merci. Questo processo ha
fatto sì che ogni luogo di produzione fosse messo in relazione con altri luoghi
attraverso le integrazioni delle filiere economiche, scambi commerciali intensi e
target di mercato specializzati. In breve tempo, si è assistito al passaggio dalla
produzione fordista, basata sulla produzione centralizzata e macro strutturale, alla
produzione delocalizzata territorialmente e basata su una rete di appalti e sub-appalti.
David Harvey descrive in maniera esemplare questa trasformazione:
«L’accumulazione flessibile, come proverò a chiamarla, è caratterizzata da un
confronto diretto con le rigidità del fordismo. Poggia su una certa flessibilità nei
confronti dei processi produttivi, dei mercati del lavoro, dei prodotti e dei modelli di
consumo. È caratterizzata dall’emergere di settori di produzione completamente
nuovi, nuovi modi di fornire servizi finanziari, nuovi mercati e, soprattutto, tassi
molto più elevati di innovazione commerciale, tecnologica e organizzativa»4.
Sia pure in maniera iniqua e alle volte al limite della coercizione, questa quasi
totale interdipendenza ha creato delle relazioni di tipo economico, culturale e sociale
4 Harvey D., 1990.”The condition of Postmodernity”, Basil Blackwell; trad. it. “La crisi della modernità, riflessioni sulle origini del presente” Ed. Net aprile 2002.
2
talmente intense che ogni modifica allo scenario esistente, determina conseguenze
significative anche in altri territori, pur contando su distanze considerevoli5.
Siamo entrati dunque in un’epoca in cui il processo totalizzante
dell’industrializzazione rivela il suo carattere pervasivo a livello ambientale, sociale
attraverso l’uso delle tecnologie. «L’aspetto più interessante dell’attuale situazione,
infatti, è rappresentato dal modo in cui il capitalismo sta diventando sempre meglio
organizzato attraverso la dispersione, la mobilità geografica e le risposte flessibili sui
mercati del lavoro, nei processi produttivi e nei mercati al consumo, il tutto
accompagnato da robuste dosi di innovazione nelle istituzioni, nei prodotti e nella
tecnologia» [Harvey 2002].
Durante il processo di allargamento delle filiere produttive e dei progetti di
sviluppo a livello globale, assistiamo pertanto, alla applicazione di nuovi impianti
tecnologici attraverso la costruzione in determinati territori di opere dalla portata
molto ampia, ma con ricadute ambientali e costi sociali nel locale talmente alti, da
destare preoccupazioni sulla reale bontà del progetto6 [Shiva 2006].
E’ infatti cronaca odierna di casi in cui mega-progetti di modernizzazione o di
produzione fortemente voluti dai governi centrali progettati su un territorio,
incontrino detrattori e ostacoli nella successiva realizzazione sia da parte delle
comunità locali che dalle stesse amministrazioni locali che denunciano uno
scavalcamento di competenze.
Nel presente capitolo si cercherà di analizzare i principali strumenti progettuali e
concertativi, i maggiori attori politici e sociali che compongono solitamente i
conflitti locali contro l’installazione di impianti sgraditi sul territorio. L’attenzione
sarà concentrata principalmente su quegli elementi che hanno composto, seppur in
maniera alle volte differente, le proteste e le mobilitazioni contro la gestione dei
rifiuti in regime di emergenza a Napoli negli ultimi anni, cercando di tracciare
un’analisi multifattoriale del fenomeno in questione. Prima di arrivare alla cronaca
odierna è dunque indispensabile fornire un quadro delle analisi svolte in precedenza
su altri casi simili; scopo di questa ampia rassegna della letteratura esistente è quello
5 Si veda anche Wallerstein I., 2000. “Capitalismo storico e civiltà capitalistiche” Asterios, Trieste; Klein N., 2001. “No logo, economia globale e nuova contestazione”, Baldini & Castoldi. 6 Shiva V., 2005. “Earth democracy”; trad. it. “Il bene comune della terra” Feltrinelli settembre 2006.
3
di evitare una lettura riduttiva delle proteste locali: queste non nascono infatti come
pura e irragionevole opposizione ad un fenomeno visibilmente pericoloso come può
essere l’ammassarsi per le strade dei rifiuti solidi urbani. In più, per una corretta
interpretazione dei fenomeni di protesta locali, occorre riuscire a superare l’idea che
chi si oppone alla creazione dell’ennesima discarica o di un inceneritore (per la
cronaca il secondo più grande in Europa) sia affetto solamente da un irresistibile
egoismo sino a mettere a repentaglio la salute pubblica. Si cercherà dunque di
spiegare i motivi latenti e manifesti che possono sottendere a tali opposizioni e di
svelarne gli attori principali.
In questo paragrafo cominceremo nel delineare i nodi, gli attori e i concetti che
ruotano attorno alla questione delle opposizioni alle scelte di localizzazione e
costruzione di “grandi opere” sul territorio.
Nel 1980 Peter Hall intitolava “Great planning Disaster” il suo lavoro incentrato
sulle politiche dei processi decisionali. «Per Hall Grande è una decisione che
comporta un investimento di risorse (economiche, territoriali, ambientali) molto
rilevante che per questo viene valutato e discusso prima di essere intrapreso»7. Ma
aggiunge a questa definizione il termine disastro, riferendosi alle complicazioni che
la progettazione di queste opere generano. Per Hall infatti disastro si riferisce «(…) a
qualsiasi processo di pianificazione in cui le cose, secondo la percezione di molti
siano andate male» ed aggiunge che si può distinguere tra disastri negativi e disastri
positivi. I primi infatti consistono in «(…) decisioni da intraprendere un corso
d’azione (…) che sono state in seguito sostanzialmente modificate (rovesciate o
abbandonate) dopo un considerevole impegno in termini di attività e risorse». I
secondi invece sono «decisioni di intraprendere un corso d’azione (…) che sono state
attuate nonostante molte critiche e anche opposizioni, e che in seguito sono state
giudicate come un errore da una parte consistente del pubblico informato».
Secondo queste definizioni, un gran numero di processi decisionali che
riguardano la localizzazione di grandi opere a forte impatto territoriale e ambientale
possono essere classificati come “grandi disastri negativi”. Hall quindi utilizza il
termine “negativo” la mancata attuazione di un piano o comunque la modifica in
corso d’opera di quest’ultima e pare stigmatizzarla come un fallimento della 7 Bobbio L., Zeppetella A., 1999. “ Perché proprio qui? Grandi opere e opposizioni locali”, Franco Angeli.
4
pianificazione. Questa accezione sembra però sbilanciarsi verso un solo lato
dell’articolata rete di attori che interagiscono nella progettazione e
nell’implementazione delle grandi opere. Si tralasciano nell’analisi gli altri soggetti
presumibilmente coinvolti o che dovrebbero essere implicati nella pianificazione,
come le amministrazioni pubbliche e il contesto locale composto di comitati,
associazioni, movimenti promotori a loro volta di altri progetti sul territorio.
Dobbiamo quindi tener conto per una corretta valutazione dei fenomeni di
localizzazione due versanti in qualche modo contrapposti: da un lato investitori e
grandi interessi in termini monetari, logistici e strategici (ci riferiamo per esempio a
costruzioni di opere di collegamento viario, di produzione di energia cosiddetta
alternativa, costruzione di impianti e basi militari ecc...), dall’altro interessi riportati
da soggetti che rivendicano determinate priorità decisionali e specifiche peculiarità
locali messe in pericolo da questi progetti [Logan e Molotch 1987]. Bobbio osserva
che «I progetti di grandi interventi suscitano quasi sempre vivaci controversie. (…)
La loro realizzazione rimette in discussione gli equilibri esistenti per quanto riguarda
gli usi del suolo e delle risorse ambientali, e questo facilmente produce problemi
nuovi o riacutizza conflitti sopiti» [Bobbio e Zeppetella 1999].
Queste controversie trovano molte volte contrapposti interessi definiti come di
portata generale ai possibili danni subiti da una più ridotta comunità che ne denuncia
la scelta illegittima. Le impasse che si verificano in tali situazioni sono spesso
stigmatizzate dagli osservatori italiani e non solo, come una tipica espressione
dell’incapacità di decidere propria del nostro paese. Si palesano proprio in queste
vicende tutti quei tratti endemici che ostacolano la governabilità intralciando le
misure “cosiddette” di modernizzazione: il municipalismo, la litigiosità dei gruppi
dirigenti, la fragile coscienza nazionale, il disprezzo dei dati scientifici, la
politicizzazione per alcuni fin troppo esasperata. Inoltre «le istituzioni pubbliche che
dovrebbero avere sotto controllo tali aspetti disgreganti, finiscono invece per
esasperarli a causa della frammentazione delle competenze, della farraginosità delle
procedure, dell’impossibilità di individuare responsabilità certe» [ibidem].
Come è evidente, siamo di fronte all’enorme complessità del processo decisionale
riguardante l’utilizzo del territorio, che coinvolge diversi attori su più livelli, in quel
processo di negoziazione tra più parti che potremmo definire come governance.
5
Nella politica urbana e del territorio sovente si sviluppano fitte interazioni e
contingenze di gruppi, attori e organizzazioni che entrano in conflitto o che si
coordinano e che producono proprie rappresentazioni per istituzionalizzare forme di
azione collettiva, per mettere in atto politiche, per strutturare disuguaglianze e per
difendere i propri interessi. Questi gruppi di interesse come vedremo, partecipano
attivamente alle politiche territoriali giungendo per esempio alla costruzione di un
attore collettivo e/o alla formazione di una localité8 per dirla con Le Galès, o a quello
che invece Vandana Shiva auspica e definisce come localismo in cui ogni decisione e
ogni piano di sviluppo decisivo a livello nazionale o globale debba essere discusso,
determinato o approvato anche dalle democrazie locali [Shiva 2006]. Resta perciò da
capire perché, nonostante si auspichi una governance del territorio sempre più
orizzontale e contrattuale, che ambisce al “coordinamento” degli interessi in gioco,
perché assai di frequente nelle politiche territoriali si moltiplicano invece fenomeni
di localismo e di apparente chiusura delle popolazioni residenti, che il più delle volte
portano ad una esasperazione del confronto, superando gli auspici di democrazia che
lo stesso modello di governance ha in essere.
Bobbio, nella sua analisi di alcuni casi di opposizioni locali a grandi opere di
diversa entità e pericolosità ambientali, riscontra che «Uno degli ostacoli
fondamentali alla riuscita dei progetti consiste nel fatto che le localizzazioni degli
impianti “indesiderati” vengono solitamente scelte in modo poco trasparente e senza
alcun coinvolgimento delle comunità destinate a riceverli. Molti conflitti si
radicalizzano per ragioni molto contingenti: perché tra i soggetti coinvolti si crea
un’atmosfera di reciproco sospetto o di immotivata ostilità, o perché essi rimangono
prigionieri di una certa definizione del problema che li obbliga al ruolo di nemici
giurati» [Bobbio; Zeppetella 1999]. La sfiducia nelle scelte attuate dai governi, lo
scetticismo nella bontà di un’opera o nelle dichiarazioni di intenti dei soggetti
promotori potrebbero essere letti come atteggiamenti tipici della società attuale, in
cui i rischi ambientali derivati dalla continua espansione industriale e tecnologica
destano sospetto e impopolarità nel momento in cui si materializzano agli occhi di
una comunità. Il sociologo Beck, autore di uno dei più significativi libri sulla società
del rischio causata dall’industrializzazione, pone la scienza e le valutazioni prodotte
8 Le Galès P., 2002. “Le città europee, società urbane, globalizzazione, governo locale”, Il Mulino.
6
da essa, in una posizione molto più incerta e discutibile sottolineando che: «Se fino
agli anni settanta la scienza poteva contare su un pubblico non controverso, che
credeva in essa, oggi i suoi sforzi e i suoi progressi sono seguiti con diffidenza. Si
sospetta qualcosa di non dichiarato, si aggiungono gli effetti collaterali e ci si aspetta
il peggio»9.
Nel paragrafo successivo si cercherà di analizzare in modo più puntuale la
trasformazione avuta dalla scienza nell’età moderna; gli aspetti che hanno
caratterizzato tale periodo storico e le conseguenze che esso ha prodotto, sancendone
poi la attuale crisi. Il tentativo è quello di spiegare su quali presupposti oggi nascono
le diffidenze della popolazione rispetto ai progetti in atto in un determinato luogo e
su quali basi si possono muovere le motivazioni che si oppongono ad alcune opere e i
successivi dibattiti scientifici e politici che ne scaturiscono.
2. La modernità e i suoi prodotti entrano in crisi (o in una nuova fase): crisi
ecologica, “espansione della scienza”, valutazione del rischio.
L’apice dell’espansione industriale, le rivoluzioni tecnologiche, la
delocalizzazione verso paradisi fiscali e zone fortemente deregolamentate, non solo
messo hanno in connessione i territori per quanto riguarda i mercati, ma ne hanno
anche socializzato i danni e polarizzato fortemente i vantaggi. Questa
deregolamentazione del mercato, unita ad una fede nello sviluppo unilineare degli
stati (promossa da varie organizzazioni transnazionali come WTO e FMI) ha portato
i paesi cosiddetti emergenti a percorrere in breve tempo le stesse tappe dei paesi
occidentali già industrializzati10. Percorrere le stesse fasi, alle volte anche in tempi
estremamente più rapidi, ha significato però commettere errori simili e
sovraccaricare gli ecosistemi ospitanti portando all’ipersfruttamento del territorio con
una pesante impronta ecologica11. Tali critiche sono state mosse solo quando il mito
dello sviluppo ha mostrato i suoi limiti, o per meglio dire i suoi eccessi, provocando
9 Beck U., 1986. “La società del rischio, verso una seconda modernità”, Carocci. 10 Di Meglio M., 1997. “Lo sviluppo senza fondamenti”, Asterios Delithanassis. 11 Pellizzoni L., Osti G., 2003. “Sociologia dell’ambiente” , Il Mulino, Bologna.
7
disastri ambientali e sociali di varia entità, che sotto molti aspetti potremo definire
come segnali evidenti di una vera e propria crisi ecologica.
Ci stiamo riferendo dunque, all’attuale ed ultima fase del processo di
modernizzazione, che pone le sue radici lungo un periodo molto più ampio e che
nasce da differenti circostanze. Tale periodo fa riferimento a profonde trasformazioni
che potremmo definire di portata storica, identificabili in quell’insieme di
«cambiamenti sociali, economici, politici e culturali su larga scala che hanno
caratterizzato la storia mondiale degli ultimi duecento anni e che traggono origine
dalla duplice rivoluzione (economico-sociale e politico-culturale) della seconda metà
del XVIII secolo» [Martinelli 1998 cit. in Pellizzoni e Osti, 2003].
Analizzando alcuni aspetti fondanti della modernità possiamo individuare gli
aspetti che fanno da sfondo all’attuale idea di crisi ecologica. Osti e Pellizzoni
sottolineano tre caratteristiche della modernizzazione che sembrano essere
costituenti dell’individuo moderno e della produzione scientifica di quest’epoca: in
primo luogo gli autori individuano la razionalizzazione intesa come centralità di
«elementi quali la regolarità, la ripetibilità, la controllabilità, la dominabilità […] e
soprattutto la conformità allo scopo sulla base di criteri soggettivi, in cui emerge in
primo piano l’aspetto dell’efficienza calcolabile» [Schnädelbach 1997 in Pellizzoni;
Osti]. La seconda caratteristica è poi la Differenziazione che viene in genere
ricondotta alla «divisione del lavoro»: la ripartizione dei compiti necessari alla
sopravvivenza e alla prosperità di un gruppo sociale, non solo in senso tecnico o
organizzativo (le fasi in cui si suddivide il processo produttivo), ma anche in senso
sociale (la suddivisione dei compiti necessari alla produzione di beni e servizi).
Terzo elemento determinante è l’Individualizzazione, inteso come una crescente
centralità dell’individuo moderno. La modernizzazione comporta infatti
«conseguenze senza precedenti per quella forma di esistenza che chiamiamo
individuo» [Ferrara 1997 in Pellizoni;Osti]. Il termine prende diverse accezioni in
diverse epoche dall’individualizzazione, consistente nella rottura del legame sociale,
nel venir meno della solidarietà, nell’isolamento sociale, morale e politico delle
persone, originata nella Francia post-rivoluzionaria; un secondo significato che
emerge nel romanticismo tedesco, connette il termine all’idea di unicità e
autorealizzazione. Una terza accezione compare negli Stati Uniti nel corso del XIX
8
secoli e assume il significato di autonomia da controlli e vincoli, fiducia in se stessi
libertà di stabilire e perseguire le proprie aspirazioni [Lukes 1971 in Pellizzoni;Osti]
Queste caratteristiche sono però tutte e tre fondanti del comportamento sociale e
soggettivo degli individui nell’età moderna, che attraverso le attività produttive e
giornaliere potrebbero produrre delle crisi ecologiche in quanto, questa particolare
crisi si verifica quando «vi è qualcuno, un soggetto autonomo, razionale, competente,
per il quale le condizioni future dell’ambiente dipendono in qualche misura dai
comportamenti che egli decide di assumere» [ibidem]. In questo contesto di
incertezza e di molteplicità di fattori che concorrono alla creazione di una crisi,
assume un carattere saliente il concetto di rischio. Vale la pena approfondire
l’argomento.
Nota Beato che «la crisi ambientale si produce, e soprattutto si disvela, quando
l’insieme delle alterazioni ecosistemiche assume la figura della minaccia, quando la
società […] si è mutata in società del rischio».
Questa idea di una società del rischio è insita nella modernità che incorpora al suo
interno la razionalizzazione, individualizzazione e specializzazione funzionale.
Questi fattori precedentemente analizzati concorrono a far sì che il termine rischio
designi sempre più qualcosa che ha a che fare con il calcolo, la previsione e il
controllo. Come ha messo in luce Luhmann (1991) infatti, l’idea di rischio è
strettamente correlata alla trasformazioni sociali e culturali proprie della modernità.
Essa si afferma nel XVII e, soprattutto, nel XVIII secolo, in parallelo con lo sviluppo
dell’attività economica che apre la via all’industrializzazione e con lo sviluppo del
paradigma scientifico basato sull’analisi dei rapporti tra cause ed effetti 12.
Sono quindi protagonisti di quest’epoca le nuove tecnologie e le valutazioni
scientifiche, i quali producono nuovi pericoli o presunti tali e, a un tempo, pongono
anche nuove soluzioni e analisi dei rischi.
Ulrick Beck, nel teorizzare la sua società del rischio, annota una trasformazione
significativa della scienza attuale, la quale ha perduto definitivamente le sue pretese
di infallibilità e di verità monolitica. Questa trasformazione sarebbe data, secondo
Beck, da una seconda modernità: si radicalizzano gli elementi caratteristici della
prima modernità e le questioni ecologiche diventano espressione del successo e non
12 Mela A., Belloni M. C., Davico L.,”Sociologia e progettazione del territorio”, Carocci.
9
della crisi dell’industrialismo [Pellizzoni e Osti 2003]. Si passa in definitiva da una
scientifizzazione primaria, in cui vigeva una fede nella scienza come metodo
infallibile, indiscutibile e “ultrastabile” [Beck 1986], ad una scientifizzazione
riflessiva, in cui cade il tabù delle certezze, si moltiplicano le analisi scientifiche su
qualsiasi argomento ammette l’inevitabile fallibilismo.
Tratto essenziale della nuova modernizzazione è la riflessività, l’attitudine critica
rispetto all’agire proprio e altrui; in altre parole, «il fatto che le pratiche sociali
vengano costantemente riesaminate e riformate alla luce dei nuovi dati acquisiti in
merito a queste stesse pratiche» [Giddens 1990]. Questa continua trasformazione
delle analisi scientifiche è – secondo Beck – frutto di una iperspecializzazione dei
settori della scienza e appunto della sua riflessività, cioè la costante autocritica che
permette alla scienza stessa di espandersi in campi finora sconosciuti e di essere più
largamente prodotta.
Nelle nuove prospettive di analisi alle quali sottoporre il sapere scientifico, è
possibile evidenziare due caratteristiche della scienza moderna: da un lato, la
“ipercomplessità” del sapere scientifico [Beck 1986]; dall’altro, lo sviluppo
tecnologico è inteso come prodotto del sapere scientifico e come tale viene
sottoposto a continue verifiche: «nel processo di modernizzazione si produce tutto,
su larga scala e su scala ridotta, anche i punti di riferimento e l’oggetto della critica,
anche le possibilità di scoperta e di fondazione. In questo senso, dunque, con la
società almeno potenzialmente de-tradizionalizzata e autocritica» [ibidem].
L’applicazione su scala mondiale delle tecnologie prodotte riscuote però reazioni
anche a livello locale, tanto da trovare detrattori spesso estremamente informati che
hanno la capacità di mettere in discussione anche le tesi più accreditate. La
possibilità è data secondo diversi autori anche dalla mediatizzazione del sapere
scientifico, che diventa divulgatore e raccoglitore delle analisi più disparate. I mass
media dunque giocano il ruolo fondamentale di “semplificatori” e di “amplificatori”
del dibattito scientifico13.
Assistiamo quindi ad una sorta di rinascita in senso più democratico della
scienza, che concede la possibilità alle persone anche non strettamente addette ai
13 Davico L., “Sviluppo sostenibile le dimensioni sociali”, Carocci.
10
lavori, di riuscire ad individuare i rischi e la pericolosità di alcune scelte effettuate
sul territorio portando sul tavolo del dibattito le proprie ragioni scientifiche.
Nelle parole di Wolfgang Bonβe Heinz Hartmann: «La differenza tra “plebe non
illuminata” e “cittadini illuminati” o, in termini moderni, tra profani ed esperti,
svanisce e si trasforma in una concorrenza tra diversi esperti. Praticamente in tutti i
sottosistemi sociali al posto dell’interiorizzazione delle norme e dei valori subentra la
riflessione alla luce di componenti concorrenti della conoscenza sistematica».
A favore di questa tesi interviene anche Beck che annota più semplicemente «in
generale, le ideologie e i pregiudizi, ora provvisti di armi scientifiche, sono
nuovamente in grado di difendersi dalla critica scientifica. Essi ricorrono alla scienza
proprio per rigettarne le pretese. Si deve soltanto leggere di più, includendo la lettura
delle ricerche alternative. Le obiezioni vengono recepite prima dei risultati, per così
dire una forma di preavviso» [Beck 1986]. Siamo di fronte pertanto alla espansione
della scienza, che ora fornisce e detiene più strumenti di analisi e critica contro i
rischi prodotti da se stessa, dall’industrializzazione e dalla tecnologia. Si viene a
creare pertanto un nuovo modo di dialogare a più livelli, tra esperti, investitori,
organi decisori e popolazioni, che sempre subiscono in qualche modo il
cambiamento ambientale, sociale e culturale che sta avvenendo attorno ad essi.
L’analisi del rischio comporta per esempio, per le istituzioni che sono preposte al
controllo del territorio, anche lo sforzo di individuare nel modo più sistematico
possibile, le catene di cause ed effetti. «Ciò che diventa ogni giorno più chiaro è che i
soggetti che generano pericoli hanno una natura ed una struttura organizzativa
transnazionale (siano esse imprese multinazionali, forme di criminalità organizzata o
altro ancora), mentre il controllo sul rischio è ancora pienamente affidato ai decisori
pubblici statali – o a quelli locali – i quali operano in base ad una legittimazione
nazionale sulla scorta di sistemi giuridici essi stessi dotati di campi di applicazioni
territorialmente delimitati. La situazione che si configura, dunque, è quella di uno
squilibrio strutturale tra il raggio di azione (mondiale) dei soggetti della cui azione
deriva il rischio e quello (nazionale, regionale o locale) dei soggetti dotati di poteri
per il controllo o la mitigazione dei danni potenziali» [Mela, Belloni, Davico, anno].
Oggi dunque, con una conoscenza più “espansa” e critica della scienza (per dirla alla
Beck) è possibile denunciare e individuare con più chiarezza i retroscena del
11
processo di globalizzazione, dei liberi mercati e dell’industrializzazione dove alla
deregolamentazione della produzione e circolazione delle merci si aggiunge la
globalizzazione dei pericoli generati da tali processi.
3. La crisi della pianificazione territoriale “dall ’alto” e “unidirezionale”. Le
opposizioni locali: “ABBIAMO GIÀ DATO”, LULU, NIMBY, NOPE, NIABY.
Come abbiamo accennato nella ultima parte del paragrafo precedente, il processo
di globalizzazione (culturale e politico, economico e sociale) tende per sua natura a
localizzare i pericoli della sua espansione globale. E’ evidente che negli ultimi
decenni i privilegi economici dati da un determinato modello di sviluppo hanno
portato con sé anche le cosiddette “esternalità negative”14 sui territori, alle volte
anche in luoghi differenti da dove si svolge il processo di produzione della ricchezza
o dei benefici, creando quegli squilibri sociali e territoriali che provocano
pesantissime ingiustizie sociali.
In questo senso quindi, la percezione dei pericoli e dei rischi a livello locale
diventa una prospettiva centrale nel controllo delle attività economiche di portata
transnazionale ed evidenzia la fase più controversa delle filiere di progettazione di
grandi opere di modernizzazione e di sviluppo. «Oggi il “locale” è un terreno, anzi il
vero terreno di scontro. Tutti hanno bisogno del locale: dall’impresa virtuale
delocalizzata ai sistemi degli stati nazione in crisi, ai sistemi economici e alle città in
competizione sulla qualità e sulla differenziazione dei prodotti»15.
Il processo di progettazione e sviluppo territoriale appare come abbiamo visto,
come una procedura molto delicata in quanto deve tener conto di più soggetti
coinvolti a più livelli di strutturazione e di capacità decisionale. Fanno la loro
comparsa nell’arena politica più soggetti che avanzano dubbi o certezze rispetto alla
pericolosità e i rischi che alcuni progetti potrebbero apportare ad un territorio. «Nella
maggioranza delle situazioni in cui si rende presente un pericolo potenziale, si assiste
ad una complicata sovrapposizione di fattori globali e locali, per quanto concerne
14 Magnier A., Russo P., 2003. “Sociologia dei sistemi urbani”, il Mulino, Bologna . 15 Magnaghi A., 2000 “Il progetto locale”, Bollati Boringhieri.
12
tanto le fonti di rischio, quanto le loro presumibili conseguenze. Spesso, infatti, cause
di natura globale sono potenziate (o, al contrario, parzialmente neutralizzate) da
condizioni specifiche presenti su scala locale e, in ragione di ciò, producono effetti
differenziati nei vari ambiti territoriali» [Mela;Belloni;Davico].
Data l’importanza dell’implementazione delle grandi opere, si sono moltiplicate
recentemente le teorie di pianificazione territoriale, creando diversi rapporti tra il
locale e il globale. Si è registrata negli ultimi anni infatti, una diversificazione della
pianificazione territoriale, dove ogni approccio è frutto di un determinato modello,
che descrive la filiera esecutiva di un’opera in progetto sopra un determinato
territorio, dal promotore al ricevente. Alberto Magnaghi a tal proposito tenta di
evidenziare i più importanti aspetti su cui si differenziano tali progetti di sviluppo
locale, individuando quali sono i referenti e le modalità d’uso del patrimonio locale.
Un primo approccio viene definito dall’autore come approccio funzionale alla
globalizzazione ( o top down, dal centro al locale). Qui il progetto di sviluppo locale
si appiattisce a parere dell’Autore, da un lato, sulla ricerca di differenziali salariali e
ambientali da parte delle imprese multinazionali e attraverso la mobilizzazione
estrema degli investimenti sullo scacchiere mondiale; dall’altro lato, sulla
competizione fra aree produttive, città, regioni, nella corsa a posizionarsi «verso
l’alto», attraverso lo sfruttamento crescente da parte degli attori locali forti delle
risorse territoriali (ambientali, produttive, antropiche) in chiave economica nel
contesto competitivo dato.
Un secondo modello individuato invece, è quello della ricerca di equilibri fra
locale e globale («glocale»). Si tratta di «ipotesi correttive che perseguono un
rapporto di equilibrio fra necessità di valorizzazione delle peculiarità locali per la
qualificazione e la differenziazione competitiva delle merci sul mercato, con il
contemporaneo rafforzamento delle società locali come strumento di allargamento
dei centri di decisione nel processo di globalizzazione». (Magnaghi 2000, p. 79). Il
rischio presente in questo approccio sta nel sottovalutare il fatto che, attualmente, la
relazione fra locale e globale è una relazione fortemente squilibrata a favore del
globale. Il rischio della teoria cosiddetta “glocalista” è che il locale sia «irretito»
dalle reti lunghe del globale e che riesca a inserirsi nella competizione solo
13
adeguandosi alle regole di sviluppo date, cioè sia subordinato alle forti tendenze
globali.
Infine, terza prassi progettuale indicata è lo sviluppo locale versus globale
(approccio bottom up , globalizzazione dal basso, dal locale al centro). «Si tratta di
approcci che interpretano la crescita di società locali e stili di sviluppo peculiari ad
ogni contesto come avvio di un multiverso in grado di attivare relazioni non
gerarchiche, cooperative, fra città, regioni, nazioni verso un sistema di relazioni
globali costruite “dal basso” e condivise» [ibidem].
Queste tendenze della pianificazione territoriale non vanno interpretate come
semplici linee guida, ma possono essere direttamente applicate nell’analisi del
contesto reale, individuando gli attori che parteciperanno al processo decisionale. E’
proprio sui conflitti decisionali che molti scienziati sociali ripongono, nell’ambito
della politica locale, la loro maggiore attenzione, analizzando gli squilibri di potere
dei soggetti decisionali e le loro responsabilità sui danni e pericoli che provocano le
loro opere.
Gli attori promotori/decisionali vengono identificati spesso come grandi interessi
corporativi o multinazionali che premono sui governi degli Stati affinché accettino i
propri progetti spesso percepiti dalla popolazione locale invece come pericolosi, in
cambio di benefici monetari o politici che possano promuovere lo sviluppo e la
crescita di un paese. «Dai sostenitori (dei progetti N.d.A.), l’insediamento della
grandi infrastrutture è presentato come una sorta di regalo alla comunità, che sarebbe
testimoniato dal loro essere finanziati con capitali provenienti dall’estero» [Gould et
al. 1993 in della Porta; Piazza]16. Vandana Shiva annota che «la globalizzazione ha
deregolamentato i rapporti tra stato, comunità e grandi imprese. I suoi sostenitori
affermano che in questo modo si limitano i problemi connessi alla centralizzazione,
al controllo e alle lungaggini della burocrazia (…). Tale passaggio di poteri dallo
stato-nazione alle grandi imprese non comporta una maggiore partecipazione dei
cittadini. Al contrario, anche solo per il fatto che le grandi imprese, specie le
multinazionali, sono più potenti e meno affidabili dei governi, i cittadini si ritrovano
a essere sempre più esclusi» [Shiva 2006]; in definitiva, quindi, possiamo rilevare
due tendenze contrapposte in cui «se la globalizzazione implica un controllo
16 Della Porta D., Piazza G., 2008. “Le ragioni del no”, Feltrinelli.
14
centralizzato da parte delle grandi imprese, la localizzazione è l’alternativa proposta
dalle comunità per la salvaguardia dell’ambiente, della sopravvivenza e della qualità
della vita. In mancanza di una regolamentazione da parte dei governi nazionali, il
popolo elabora il proprio progetto ecologista e democratico» [ibidem] .
Anche Beck, nella sua trattazione della società del rischio, individua queste due
tendenze divergenti, in cui da una parte ci sono diversi attori che concorrono alla
creazione del rischio e della pericolosità sul territorio, e dall’altro versante si
attestano attenti oppositori che denunciano la gravità dell’operato dei primi. Per Beck
siamo di fronte ad un’epoca dove si fa strada la sub-politica: da un lato si tratta di
una politica del fatto compiuto, in cui decisioni di importanza cruciale vengono prese
in totale autonomia da corporation, scienziati, organismi burocratici; le istituzioni
democratiche si trovano così svuotate di reali poteri decisionali e in balia di pesanti
conseguenze date da innovazioni su cui manca una vera discussione pubblica. A ciò
fa da contraltare «l’apparire di forme di attivazione popolare non assimilabili alla
partecipazione politica o al movimentismo tradizionale, e che hanno per oggetto temi
apparentemente non politici quali la salute e i consumi» [Osti; Pellizzoni]. Si attua
anche così l’apertura dei confini della politica, «vale a dire tutto lo spettro di politica
principale, politica secondaria, sub-politica e politica alternativa che si è delineato
nelle condizioni di una democrazia evoluta all’interno di una società differenziata. La
politica si è in un certo senso generalizzata e quindi è diventata “senza centro”»
[Beck 1986]. I nuovi soggetti sociali che nascono nell’ambito della accesa
discussione politica su temi di interesse comune e collettivi, diventano così dei
soggetti decisionali importanti e significativi a pari merito delle istituzioni nazionali
e locali: «(…) il divario sempre più chiaro tra le esigenze della popolazione e la loro
rappresentanza entro lo spettro dei partiti politici fa sì che le iniziative civiche e i
nuovi movimenti sociali acquistino un’incisività politica e un consenso sorprendenti»
[ibidem].
I nuovi attori sociali che prendono forma proprio in queste circostanze possono
essere comitati di cittadini o di quartiere, movimenti sociali urbani o transnazionali,
organizzazioni più strutturate che incentrano i loro interessi attorno a specifiche
tematiche come WWF, Legambiente o Greenpeace. I primi due soggetti menzionati,
seppur in modalità variabili, nascono dalla percezione di qualche rischio che la
15
popolazione locale avverte, dalla voglia di partecipare alla politica pubblica o dalla
spinta al protagonismo popolare nelle decisioni delle politiche pubbliche. I terzi,
invece, si strutturano nel tempo e organizzano le proteste e le azioni secondo schemi
che possiamo leggere come istituzionali.
In questa trattazione riporremo la nostra attenzione sui fenomeni dell’opposizione
alle scelte di localizzazione di impianti sgraditi o ritenuti pericolosi in particolar
modo delle opposizioni a strutture con probabili conseguenze negative di tipo
ambientale che fanno temere rischi per la salute, per la qualità della vita, per
l’integrità del paesaggio17.
Abbiamo tentato di spiegare nei paragrafi precedenti che la politica locale per
quanto riguarda la progettazione di varie opere, si arricchisce di nuovi attori, gli
stessi che di fronte a progetti o impianti sgraditi attivano diverse modalità di
opposizione con mutevole intensità, rispetto al rischio che un impianto o un
infrastruttura può apportare alle comunità locali. Le scienze sociali classificano
questi conflitti territoriali sull’uso e la pianificazione dello sviluppo del territorio con
l’acronimo “Lulu” (Locally Unwanted Land Uses), cioè uso del territorio localmente
non voluto [della Porta; Piazza 2008]. Va segnalato però che la letteratura scientifica
e la cronaca giornalistica non sempre hanno valutato positivamente la partecipazione
popolare (alle volte non strettamente specializzata) e la costituzione di comitati ad
hoc, accusando le popolazioni in rivolta di assumere comportamenti conservatori e
mossi da motivazioni egoistiche e materialistiche, tendenzialmente resistenti al
mutamento sociale ed alla crescita economica18. Per queste ragioni molti eventi
oppositivi vengono definiti anche come fenomeni NIMBY (acronimo di Not In My
Back Yard – “non nel mio giardino”), che, come spiega Bobbio «è un’etichetta
malevole che riflette il punto di vista dei portatori degli interessi generali; lascia
infatti intendere che le opposizioni siano mosse dal cieco egoismo di chi non vuole
un certo impianto a casa propria, ma non muoverebbe un dito se esso fosse proposto
a casa d’altri. E non è un caso: all’inizio le opposizioni locali sono sempre
17 Per la cronaca, va detto che esistono opposizioni localistiche anche di altro tipo, come quelle contro l’insediamento di alcuni gruppi etnici differenti da quelli ospitanti; infatti sono «frequenti casi, più inquietanti, di “NIMBY sociali” (Dear 1992), in cui i residenti si oppongono all’apertura di servizi sociali che minacciano di abbassare lo status del loro quartiere o di metterne in pericolo la sicurezza.» [ibidem]. 18 Della Porta D., Diani M., 2004. “Movimenti senza protesta?”, Il Mulino, Bologna.
16
accompagnate da un pregiudizio sfavorevole in quanto dotate di un orizzonte
particolaristico e meschino» [Bobbio, Zeppetella 1999]. Alle volte però
l’opposizione avviene dopo che su uno stesso territorio siano state già impiantate
strutture ad alto impatto ambientale e quindi la eventualità di un ennesima
costruzione smuove la popolazione verso forti proteste. Gli abitanti in questione,
denunciano di aver già contribuito alla modernizzazione del paese sacrificando i
propri interessi e la salubrità del territorio: questa opposizione viene definita come
“Abbiamo Già Dato” o come alcuni comitati si sono autoassegnati – parafrasando il
famoso “Non nel mio giardino” – “We haven’t got gardens” (Non abbiamo giardini)
ed è uno dei casi che sarà preso in considerazione in questo lavoro.
Le accuse del cosiddetto “nimbysmo”, in ogni caso, tendono spesso a mescolare
letture contrastanti di egoismo individuale e ideologizzazione, estrema razionalità e
oscure paure. Definizioni come questa assumono inevitabilmente un valore negativo
e ritraggono gli oppositori locali come velleitari e minoritari, gettando discredito
sulle loro argomentazioni all’interno dei processi concertativi con le istituzioni. Il
rischio che si corre nell’etichettare velocemente queste opposizioni è purtroppo
quello di semplificare e disinnescare dei discorsi, delle motivazioni che hanno basi
molto più articolate e pongono problematiche anche più ampie. «La scientificità
dell’analisi del fenomeno Nimby è stata infatti contestata sia dagli attivisti sia
dall’interno stesso delle scienze sociali, dove si osservato come i “discorsi Nimby
tendono a rinchiudere i residenti in una posizione illegittima” (Jobert 1998)
indicando invece una realtà complessa con comitati caratterizzati da una diversa
capacità o volontà di presentare le proprie rivendicazioni all’interno di discorsi più
complessi» [della Porta; Piazza 2008].
I soggetti che compongo queste famose opposizioni locali sono spesso gruppi di
cittadini che, preoccupati per il futuro del territorio dove vivono, si riuniscono in
comitati e danno vita a diverse forme di opposizione. Come riportano della Porta e
Piazza, «i principali promotori delle mobilitazioni contro grandi infrastrutture – i
comitati di cittadini, per l’appunto – sono stati definiti come “la specifica forma
organizzativa che si accompagna alla sindrome Nimby” (Bobbio 1999) e ritenuti
caratterizzati dalla “portata limitata delle loro richieste e rivendicazioni” (Buso
1996)» [ibidem]. Ma il protagonismo alle volte anche improvviso dei cittadini,
17
“risvegliati” da qualche incombente pericolo, è il dato più interessante del processo
decisionale della localizzazione degli impianti, perché riporta sotto i riflettori i tratti
salienti della democrazia contemporanea. Molti scienziati sociali e politologi leggono
l’attivazione dei cittadini come una pratica sottovalutata del sistema democratico, che
necessiterebbe una revisione metodologica: «Non è un caso che i paesi democratici
siano afflitti dalla sindrome NIMBY. Essa è figlia diretta della democrazia, delle sue
promesse di cittadinanza, di autogoverno e del diritto alla pursuit of happines. E
nello stesso tempo costituisce una sfida per la democrazia dal momento che apre un
solco, difficilmente colmabile, tra il generale e il particolare, tra il nazionale e il
locale, tra il benessere dei più e il sacrificio dei meno. Mette impietosamente in luce
il logoramento dei tradizionali strumenti di articolazione e aggregazione degli
interessi e sollecita una ricerca – notevolmente incerta – di strumenti alternativi»
[Bobbio, Zeppetella 1999].
Le campagne di protesta riportano i cittadini in una sorta di centralità decisionale
che permettono di cominciare ad allargare gli orizzonti della protesta e delle
argomentazioni. Per uscire dallo stigma della sindrome Nimby, i comitati sviluppano
teorie che abbiano soluzioni virtuose, utilizzano concetti applicabili anche su altri
territori e rendono generalizzabili i temi della protesta ad altre popolazioni. «I
comitati locali che si oppongono a un uso indesiderato del territorio cercano infatti di
sviluppare una retorica che allontani le accuse di particolarismo, passando da un
discorso locale a uno globale. Alle autorità che li accusano di opporsi, per interessi
individualisti, al bene comune, essi rispondono costruendo un discorso “Nope” (Not
on The Planet Earth – non sul pianeta Terra) (Trom 1999), affermando cioè di non
volere la costruzione delle opere contestate né “nel proprio giardino”, né in nessun
altro posto, in quanto considerate dannose proprio per il bene comune» [della Porta;
Piazza 2008].
L’attacco dei comitati spesso si scaglia contro tutte quelle istituzioni e soggetti
imprenditoriali che investono risorse in progetti presumibilmente vantaggiosi solo
per pochi, ma che hanno poi ripercussioni negative su un grande numero di persone.
La critica è sovente quella di utilizzare i beni comuni ed inalienabili, ad uso della
collettività, a scopi meramente di profitto individuale. «Spesso la generalità del
conflitto è affermata a partire da una retorica procedurale, definendo la propria
18
azione come opposizione ad abusi di potere e mancanza di trasparenza nel processo
decisionale pubblico, oltre che a un’alleanza collusiva tra governo e interessi
imprenditoriali (Gordon, Jasper 1996)» [ibidem]. La cittadinanza esprime dunque
non solo delle precise esigenze, ma rilancia e ravviva i processi democratici che
dovrebbero sottendere le localizzazioni delle grandi opere: «Da questo punto di vista,
le mobilitazioni locali sono state considerate un esercizio di cittadinanza attiva,
espressione di resistenza a progetti di intervento sul territorio che spesso travestono
da “bene comune” interessi particolari. Non solo “il loro orizzonte non è sempre
particolaristico” (Bobbio 1999), ma esse si appellano a valori universali (Williams,
Matheny 1995). In queste mobilitazioni, si esprimerebbero non egoisti individualisti
ma citizen-workers che, esercitando i loro diritti come cittadini, difendono la qualità
della vita nella loro comunità (Gould et al. 1996)» [ibidem]. Si allargano dunque gli
orizzonti politici di lotta ed «Il gretto “non a casa mia!” (NIMBY Not In My Back
Yard) può diventare “a casa di nessuno!” (NIABY – Not In Anybody’s Back Yard)
(Williams e Matheny 1995)» [Bobbio, Zeppetella 1999].
I fenomeni Nimby, in definitiva, emergono come un fenomeno consueto e alle
volte atteso sul territorio, possono risultare come indicatori della competenza e del
consenso che hanno nel locale gli organi di pianificazione e le aziende investitrici.
Sono spia infatti del successo o meno della concertazione sul territorio, tra gli attori
coinvolti nell’arena deliberativa, per quanto riguarda l’implementazione delle
politiche territoriali. Questi fenomeni oppositivi sono solo l’altra faccia di quel
complesso di investimenti nel locale, alle volte troppo verticale e chiuso, che
definiamo come “marketing urbano” [Russo; Magnier 2002].
4. La difficoltà delle rappresentanze: la questione democratica, la crisi dei
partiti, il deficit partecipativo.
L’attivazione politica della popolazione nei momenti più cruciali della
concertazione territoriale può essere visto come un momento emblematico
dell’attività politica di un paese, in particolar modo perché in queste mobilitazioni
emerge una certa conflittualità delle persone nei confronti della politica istituzionale
19
nonché la sfiducia rispetto alla ratio che guida determinate scelte sul territorio. Per
capire da dove (ri)nasce questa attenzione per la questione locale, dovremmo
analizzare perché le popolazioni ricorrono sempre più spesso a forme dirette di
partecipazione popolare togliendo in qualche modo ai loro rappresentanti la fiducia
della delega politica. Per carpirne i maggiori fattori di cambiamento, dobbiamo
risalire alle trasformazioni che ha avuto la politica nazionale ed internazionale negli
ultimi venti anni. Analizzeremo pertanto come è stato possibile passare in pochi
decenni dalla fiducia e adesione diffusa per la forma partitica, intesa come grande
contenitore di prospettive ed ideali e di modello di società, si sia passati alla caduta
dei grandi partiti di massa e alla personalizzazione della politica sino ad arrivare alla
mediatizzazione della politica e alla politica dello scandalo. Controverso nell’ultimo
decennio sembra essere pertanto, l’appellarsi dei cittadini all’azione politica
attraverso i rappresentanti eletti democraticamente, comportando una seria crisi di
queste forme di mobilitazione e militanza.
L’argomento risulta alquanto ostico sia per la complessità del tema, sia per le
innumerevoli sfaccettature che ogni tradizione politica di un paese porta con sé e che
non sempre sono generalizzabili come tendenza. Ci serviremo nella trattazione
principalmente dell’analisi sulla crisi della democrazia che Manuel Castells sviluppa
nella sua trilogia sulla età dell’informazione, ed in particolar modo nel secondo
volume “Il potere dell’identità”. Il testo è abbastanza corposo da risultare esaustivo e
descrive in breve anche la storia recente della politica italiana.
Come finora illustrato, il conflitto locale nasce spesso dalla consapevolezza degli
abitanti che gli interessi in gioco nella costruzione delle grandi opere non risiedano
nel mero ambito nazionale, ma che con il libero mercato globale, gli investitori-
promotori abbiano un ambito d’azione talmente largo e interessi talmente vasti, che
raramente rischiano di riporre attenzione per il destino di determinate popolazioni; e,
in misura ancora minore, è la percezione che queste imprese si impegnino in un
confronto con i riceventi di tali opere. Molte volte si ha dunque l’impressione che il
potere decisionale della politica locale e nazionale sia eroso dall’economia globale e
dalle regolamentazioni internazionali.
Castells, citando Nicos Poulantzas, afferma che prima la specificità dello stato
capitalista consisteva nel fatto che «esso assorbiva il tempo e lo spazio sociali,
20
determinava le matrici spazio-temporali e monopolizzava l’organizzazione del tempo
e dello spazio, facendoli diventare, attraverso la sua azione, reti di dominio e di
potere. Nasceva così la nazione moderna che risultava essere prodotto dello stato»
[cit. in Castells 2004].
Oggi però secondo il sociologo spagnolo la situazione non è più la stessa e «Il
controllo esercitato dallo stato sullo spazio e sul tempo viene sempre più eluso da
flussi globali di capitali, merci, servizi, tecnologia, comunicazione e informazione.
La cattura del tempo storico da parte dello stato mediante l’appropriazione della
tradizione e la (ri)costruzione dell’identità nazionale è messa in discussione dalle
identità plurali quali definite soggetti autonomi»19. La perdita della sovranità politica
a livello nazionale secondo l’Autore, sarebbe causata anche dalla crescente
interdipendenza internazionale degli Stati, frutto dell’enorme espansione del nuovo
sistema economico. Questa nuova configurazione economica costringerebbe a
rimpiazzare le vecchie competenze degli Stati con vari organi istituzionali i quali
ricompongono il potere dei singoli Paesi a livello più alto: cioè ad un livello in cui
fosse possibile esercitare un certo grado di controllo sui flussi globali di ricchezza,
informazione e potere. In questo sistema ancora più interconnesso e organico,
nascono molteplici istituzioni internazionali che secondo Castells condividono la
gestione dell’economia, della sicurezza, dello sviluppo e dell’ambiente di questo
mondo del primo XXI secolo20.
19 Castells M., 2004. “Il potere delle identità”, Università Bocconi. 20 Le istituzioni internazionali che assolvono al compito di ricomporre a livello sovranazionale lo stato-nazione possono essere individuati in istituzioni di recente creazione. Questa breve rassegna può essere utile per capire anche i suoi detrattori, dei quali parleremo in seguito, su quali basi li contestano. «L’Organizzazione Mondiale del Commercio è stata creata per rendere compatibili (…), il libero scambio con vincoli e esso posti. Le Nazioni Unite invece cercano di legittimarsi nel duplice ruolo di forza di polizia in difesa della pace e dei diritti umani e di centro informativo mondiale che ogni sei mesi indice convegni globali sulle più importanti questioni dell’umanità: ambiente, popolazione, esclusione sociale, donne, città e via dicendo. Il club del G-8 si è autonominato supervisore dell’economia globale, dando istruzioni al Fondo Monetario e alla Banca Mondiale di tenere sotto controllo valute e mercati finanziari, sia regionalmente sia globalmente. La NATO del dopo guerra fredda ha perso il suo status come nucleo di una incredibile forza di polizia internazionale nel nuovo disordine mondiale, ma Stati Uniti e Regno Unito hanno costruito su basi ad hoc questa capacità di polizia globale intorno alla loro potenza militare (…). Il NAFTA sta rafforzando l’integrazione economica dell’emisfero occidentale con la possibile inclusione del Cile, nonostante contraddica l’etichetta «nordista» del trattato. Il MERCOSUR, dall’altra parte amplia l’indipendenza del Sudamerica intensificando gli scambi con l’Europa più che con gli Stati Uniti. Svariate istituzioni di cooperazione internazionale sorte nell’area del pacifico cercano di stabilire una comunione di interessi superando le storiche diffidenze (…) (Giappone, Cina, Corea, Russia). Vari paesi utilizzano vecchie istituzioni come l’ASEAN, l’organizzazione dell’Unità Africana o addirittura istituzioni postcoloniali, vedi il Commonwealth britannico o il sistema di cooperazione francese» [ibidem].
21
Castells riconduce poi in un quadro storico le trasformazioni della politica
nazionale ed internazionale, analizzando alcuni fattori che hanno portato ad una
trasformazione dello stato-nazione e del processo politico in corso nelle società
contemporanee. Queste trasformazioni individuate anche da più studiosi rivelano la
crisi della democrazia e dello stato-nazione cui abbiamo assistito nel secolo scorso.
Oltre alle dinamiche destabilizzanti dei flussi globali e delle reti transorganizzative
della ricchezza e dell’informazione, un altro elemento «Particolarmente importante
per la sua crisi di legittimità è l’incapacità dello stato di adempiere ai propri impegni
di stato sociale, a causa dell’integrazione di produzione e consumo in un sistema
globale interdipendente e del correlato processo di ristrutturazione capitalistica. (…)
l’abbandono delle politiche keynesiane e il declino del movimento operaio possono
accentuare il declino dello stato-nazione sovrano a causa dell’indebolimento della
sua legittimazione» [ibidem].
Alla crisi della legittimità dello stato-nazione dobbiamo aggiungere poi, la crisi di
credibilità del sistema politico fondato sull’aperta competizione tra partiti diversi.
Castells dedica infatti un intero capitolo alla trasformazione dei sistemi partitici e sul
loro modus operandi, tracciando alcune tendenze che si possono riscontrare a livello
globale e che vanno a formare quella che lui chiama la Politica Informazionale. In
quest’ottica la politica attuale si svolge soprattutto attraverso i media elettronici che
diventano elemento chiave e luogo privilegiato della politica. Lo studioso si riferisce
però a tutti i mezzi di comunicazione e quindi non solo a radio e televisione; dai
giornali dunque, sino ad arrivare ad internet. L’utilizzo di queste nuove tecnologie
dell’informazione, comporta conseguenze talmente pesanti anche sul dibattito
politico e sulle strategie di ricerca del potere che viene stravolto inevitabilmente il
percorso democratico di un paese. Attraverso i mass media infatti, si esplica la
politica recente e quella attuale, una modalità nuova che ha modificato sensibilmente
il rapporto tra cittadini e rappresentanti politici, la dialettica politica tra le parti,
influenzando le elezioni, l’organizzazione politica, la formazione delle decisioni e la
governance snaturando il rapporto tra stato e società. L’impotenza dei vecchi sistemi
politici in quest’epoca è palese «in quanto ancora fondati su forme organizzative e
strategie politiche tipiche dell’Età industriale, gli attuali sistemi di governo sono
diventati politicamente obsoleti, e la loro autonomia risulta continuamente negata dai
22
flussi di informazione da cui essi dipendono. Questa è la causa fondamentale della
crisi della democrazia nell’Età dell’informazione» [ibidem].
Oggi si dà per assunto che il primo passo verso l’attuale cambiamento della
politica mondiale sia avvenuto con il dissolversi dei due grandi “blocchi politici” che
durante la Guerra Fredda si sono contrapposti21, e che dunque il momento della
caduta del muro di Berlino è corrisposto alla caduta delle grandi ideologie che
sottendevano a questi due fronti. È innegabile d’altronde che dopo quel periodo i
grandi partiti di massa hanno avuto una battuta d’arresto enorme e non semplici
conseguenze sulle politiche nazionali. I grandi partiti prima percepiti come un grande
fiume nel quale affluire, hanno visto in poco tempo parcellizzare i propri
schieramenti, diluire la loro coesione, frammentare e personalizzare i propri
interessi22. Guéhenno partendo da simili constatazioni descrive il frammentarsi dei
partiti e la personalizzazione della politica nell’ attuale epoca di pervasività
mediatica: «La democrazia liberale si fondava su due postulati attualmente messi in
discussione: l’esistenza del luogo della politica, luogo del consenso sociale e
dell’interesse generale; e l’esistenza di attori provvisti di energia propria che
esercitavano i rispettivi diritti, manifestavano i rispettivi poteri già prima che la
società li costituisse come soggetti autonomi. Oggi al posto dei soggetti autonomi, ci
sono soltanto situazioni effimere che fungono da supporto ad alleanze provvisorie
sostenute dalle capacità di volta in volta mobilitate. Invece dello spazio politico
esistono solo percezioni dominanti, effimere quanto gli interessi che le manipolano.
Si registra un fenomeno che è simultaneamente di atomizzazione e di
omogeneizzazione. Una società sempre più frammentata, senza memoria né
solidarietà, una società che recupera la propria unità solo nella sequenza delle
immagini che i media rimandano di settimana in settimana. È una società senza
cittadini: in sostanza una non-società»23.
Seguendo il ragionamento di Castells, dunque, le trasformazioni in atto
potrebbero essere ricondotte in prima istanza ai luoghi dove si esplica la politica dei
21 Parliamo ovviamente del versante filo-americano caratterizzato dalla ideologia liberista, dalla deregolamentazione statale in tutti gli ambiti della società e dal fervente individualismo contro il blocco filo-sovietico del comunismo, della pianificazione economica statale e della società intesa come un organismo collettivo. 22 Wallerstein I., 2002; Harvey D., 2002; Di Meglio M., 1997; Klein N.,2001. 23 Cit. in Castells M., 2004.
23
partiti che sviluppatasi nei grandi raduni e comizi di piazza (oggi solo una parte
marginale della politica istituzionale) ora si raccoglie intorno ai mezzi di
comunicazione, che godono di un ambivalenza essenziale: quella di essere per un
verso abbastanza vicini alla politica e al governo per accedere alle informazioni,
dall’altro devono essere abbastanza neutrali e distaccati da conservare la propria
credibilità e fungere da intermediari tra cittadini e partiti nella produzione e nel
consumo di flussi informativi. «Una volta che la politica è circoscritta allo spazio dei
media, sono gli attori politici stessi a chiudere il campo della politica mediatica
organizzando l’iniziativa politica principalmente intorno ai media: per esempio,
lasciando trapelare informazioni per promuovere una determinata posizione
personale o politica. Ciò porta, inevitabilmente, alla diffusione di informazioni
riservate di segno opposto che trasformano perciò i media in un campo di battaglia
dove forze e personalità politiche, così come i gruppi di pressione, cercano di
danneggiarsi a vicenda per ottenere benefici a livello di sondaggi d’opinione,
appuntamenti elettorali, votazioni parlamentari e decisioni governative». La
divulgazione di informazioni riservate è in questo caso uno degli elementi che
diventano cardine nella politica informazionale, tanto da essere chiamata da Castells
come Politica dello scandalo.
Sembra quindi chiaro che diversi elementi hanno concorso alla crisi della
credibilità del sistema politico fondato sull’aperta competizione tra partiti diversi
diventati per certi aspetti autoreferenziali. Appaiono lapidarie le parole di condanna
di Castells dopo l’analisi da lui effettuata: «rinchiuso nell’arena mediatica, costretto
ad affidarsi ad una leadership personale, dipendente dal finanziamento (anche)
illegale, guidato da e verso la politica scandalistica, il sistema dei partiti ha perso il
suo fascino e la sua affidabilità, trasformandosi praticamente in un residuo
burocratico deprivato della fiducia pubblica» [ibidem]. E ancora «Ci sono consistenti
segnali di una crescente estraneità alla politica in tutto il mondo, nel momento in cui
la gente si rende conto dell’incapacità dello stato a risolvere i problemi dei cittadini e
fa esperienza del cinico strumentalismo dei politici di professione» [ibidem].
L’analisi dell’Autore rileva però anche dei meccanismi ciclici di controllo della
società civile innescati puntualmente dai partiti tradizionali per contenere la sfiducia
galoppante nei loro riguardi, causa quest’ultima di inevitabili crisi politiche. Quando
24
questi controlli però non funzionano più, il sistema si apre a nuove componenti,
riuscendo così a incanalare le pressioni politiche. «Tuttavia, ogni nuova
riconfigurazione aumenta il rischio di disaffezione ulteriore se non viene data la
soluzione alle proteste che hanno scatenato la crisi. Quando i cittadini si sentono
frustrati, si rivolgono a forme non istituzionali di politica» [ibidem]. Ed è proprio in
questo quadro che il ritorno al localismo sembra una riconfigurazione politica più
che naturale «(…) non siamo di fronte in termini generali alla defezione della gente
dalla scena politica, ma alla penetrazione del sistema politico da parte di politica
simbolica, mobilitazioni su temi specifici, localismi, politica referendaria, e
soprattutto il sostegno ad hoc a forme personalizzate di politica» [ibidem]. In questa
nuova partecipazione politica Castells vede in tre principali tendenze la ricostruzione
della democrazia. La prima consiste nella ricostruzione dello stato locale che sembra
rifiorire in rapporto alla democrazia nazionale. Affermazione che trova riscontro nei
casi in cui i governi regionali e locali cooperano tra loro e si estendono a un livello di
decentramento che coinvolge i quartieri stessi, favorendo la partecipazione dei
cittadini. Ovviamente, il localismo avrebbe anche i suoi limiti accentuando la
frammentazione dello stato-nazione. Una seconda prospettiva consiste
nell’opportunità concessa dai mezzi di comunicazione elettronici, di accrescere la
partecipazione politica e la comunicazione orizzontale tra i cittadini. L’accesso
all’informazione sulla Rete e la comunicazione via computer facilitano la diffusione
e il reperimento di informazioni e danno possibilità di interazione e dibattito in un
ambito autonomo fuori dal controllo dei media. Ancora più importante è il fatto che i
cittadini possono formare proprie costellazioni politiche e ideologiche eludendo le
strutture politiche prestabilite e creando così, un campo flessibile ed adattabile.
Anche qui il limite consiste nell’accesso alla rete e all’informazione che permette ad
un’élite ristretta, colte e ricca, in pochi paesi e centri urbani di accedervi, mentre le
masse incolte ed emarginate del mondo e dei singoli paesi rimarrebbero escluse dal
nuovo circuito. Senza contare che la politica on-line potrebbe accentuare
l’individualizzazione della politica e della società a un livello in cui l’integrazione, il
consenso e la costruzione istituzionale diventerebbero difficili da conseguire.
L’autore auspica che se la rappresentanza politica e il processo decisionale
riuscissero a trovare un punto di contatto con queste nuove forme di input
25
provenienti da cittadini attivi, pur senza arrendersi a un élite tecnologicamente
esperta, si potrebbe ricostruire un nuovo tipo di società civile, permettendo un
diffuso radicamento elettronico della democrazia. La terza tendenza che potrebbe
intervenire nel processo di ricostruzione è lo sviluppo della politica simbolica e della
mobilitazione politica su questioni «non-politiche», con mezzi elettronici o meno.
Questi casi fanno direttamente affidamento alla solidarietà della gente, consistono nel
favorire l’influenza dei membri della società sull’amministrazione di essa: «gran
parte di queste mobilitazioni si collocano a metà strada tra movimenti sociali e
azione politica, perché si rivolgono direttamente ai cittadini, chiedendo loro di fare
pressione su istituzioni pubbliche o imprese private in grado di incidere sulle
questioni oggetto delle singole mobilitazioni. (…) Queste forme di mobilitazione,
che rientrano nella categoria della politica non di parte e orientata alle singole
questioni, stanno conquistando crescente legittimazione in tutte le società e sembrano
in grado di condizionare le regole e gli esiti della competizione politica ufficiale»
[ibidem].
Attualmente proprio su queste prospettive i movimenti sociali, i comitati e le
associazioni ambientaliste sembrano muoversi politicamente e nel prossimo
paragrafo descriveremo le principali caratteristiche di queste nuove forme di
attivazione sociale, le loro modalità di azione e la loro struttura. A Napoli per
esempio, durante la campagna di proteste contro la gestione emergenziale dei rifiuti,
sembrano aver avuto una sinergia molto forte alcuni soggetti provenienti dalle file
delle organizzazioni o movimenti sopra citati, riconfigurandosi anche in reti costruite
ad hoc. Cercheremo in alcuni punti di trattare con più dovizia di particolari alcuni di
questi attori per dotare il lettore di quanti più possibili strumenti storici e analitici.
26
5. «No globalization without representation!»: il movimento no global24.
5.1 Breve analisi dei “nuovi movimenti sociali”: contestualizzazione geopolitica,
simbolica, discorsiva.
In questo paragrafo si traccerà una breve biografia di quello che è stato
denominato dalla stampa popolo di Seattle e poi movimento no global, ma che ha
trovato detrattori sull’utilizzo di questo termine proprio tra i suoi militanti. Scopo di
questa rassegna è ripercorrere la storia dei nuovi movimenti sociali, gli stessi che
negli ultimi dieci anni hanno ridato al panorama politico istituzionale un canale di
comunicazione con le classi sociali popolari meno rappresentate, permettendo a
quest’ultime di partecipare alla costruzione di prospettive politiche alternative a
quelle esistenti. Molti soggetti provenienti da queste proficue esperienze in
Campania hanno anche partecipato alla costruzione delle mobilitazioni in difesa della
salute e dell’ambiente, per un nuovo piano rifiuti capace portare la Regione fuori
dallo stato di emergenza. Il carattere popolare e orizzontale della politica che si
praticava nei movimenti globali è risultato estremamente confacente con le istanze
dei comitati neonati nella regione partenopea tanto da creare reti di interesse sia
radicati sul territorio, che fortemente critiche rispetto all’attuale modello sistemico.
Sin dall’inizio della sua attività politica il “movimento no global” ha sempre
disconosciuto questa etichetta e ha spesso precisato le proprie aspirazioni. I soggetti
che vi hanno aderito hanno sovente dichiarato di essere partecipanti al movimento
per la giustizia globale anche inteso come movimento per la globalizzazione
anticapitalista, come movimento per la globalizzazione anticorporate [Castells 2004]
o movimento per una globalizzazione dei diritti o per una globalizzazione dal basso25
o altri termini che indicassero un prospettiva altermondista a quell’esistente, in
aperto contrasto con la prospettiva neoliberista dominante.
Alcuni autori sottolineano che la particolare difficoltà di definizione di una
identità collettiva non è del resto un fenomeno nuovo: «dal movimento del
24 Il titolo è stato preso in prestito dal titolo del paragrafo di Manuel Castells dedicato al movimento contro la globalizzazione neoliberista. Lo slogan gridato più volte alla manifestazione di Seattle è una trasposizione storica della parola d’ordine dei patrioti americani che lottavano per l’indipendenza: “No taxation without representation!”. Abbiamo ritenuto opportuno riportare il medesimo titolo anche sulle basi delle affermazioni del paragrafo precedente riferito alla crisi della rappresentanza e i nuovi movimenti sorti in risposta ad essa. 25 Andretta M., della Porta D., Mosca L., Reiter H., 2002. “Global, noglobal, new global” , Carocci.
27
Sessantotto o a quello del Settantasette o alla “Pantera” , la genericità dei nomi
palesa le difficoltà di «nominare» soggetti che non si riferiscono – come avveniva
per il movimento operaio – a una comune base sociale (della Porta, Diani 1997, p.
24). (…) Come ha scritto Alberto Melucci: gli attori collettivi del passato erano più
profondamente radicati nella specifica condizione sociale in cui si trovavano, così
che la questione dell’identità collettiva era risolta sin dall’inizio […] oggi, che siamo
sempre più in presenza di movimenti che non possono essere ricondotti ad una
specifica condizione sociale, la questione di come un collettivo diventi tale diventa
più urgente (1996, p.84) [ibidem].
Il movimento prende corpo ufficialmente per la stampa il 30 novembre 1999 a
Seattle durante le pesanti proteste di decine di migliaia di manifestanti contro il
vertice del WTO (World Trade Organization) che provocarono poi la sospensione
dell’incontro. Questo accedeva dopo più di un decennio di lotte sociali che
rigettavano senza mezzi termini la globalizzazione capitalista senza vincoli né freni e
di rivolte contro le politiche di austerità richiesta dal FMI a vari paesi in via di
sviluppo. Si trattava anche di insurrezioni di tipo identitario, che richiamavano alla
resistenza globale contro il dominio globale prendendo spunto da quella particolare
esperienza che è stata l’insurrezione zapatista. Le manifestazioni di Seattle
suscitarono l’interesse di tutto il mondo al pari della rivolta zapatista, proprio per
l’impatto che ebbero sui media globali, portando all’attenzione di tutti il fatto che la
globalizzazione non era un processo naturale, ma una decisione politica. Castells
afferma che: «i dimostranti di Seattle sottoposero a dibattito pubblico la loro
posizione secondo la quale i modi specifici con cui il processo di globalizzazione si
stava dispiegando erano determinati da potenti interessi economici e ideologici di
un’élite globale dominante. Non era la globalizzazione in quanto tale a cui la
maggior parte degli attivisti si opponevano, ma quella particolare forma di
globalizzazione» [Castells 2004].
Da quella data in poi si sono seguite una serie di iniziative analoghe, alcune più
piccole, altre molto più grandi, in vari luoghi del pianeta, sempre organizzate
secondo lo stesso modello di azione e sempre aventi obiettivo i summit di alcune
delle istituzioni politiche responsabili della gestione della globalizzazione
neoliberista: l’elenco è troppo lungo per citarlo integralmente in questa sede ma per
28
dare l’idea dell’estensione e della capacità di mobilitazione del movimento si pensi
che sono state organizzate manifestazioni e azioni di vario genere contro meeting,
riunioni, summit, incontri e vertici in ogni zona del mondo da Miami a Cancún
passando per Québec City, Göteborg, Genova e Johannesburg, ognuno organizzato
con sistemi di sicurezza ingenti e dispiegamento di militari imponente per dissuadere
la popolazione dal protestare. Le istituzioni contestate vanno dal Fondo Monetario
Internazionale e Banca Mondiale, ai vertici del G-8 e i suoi successivi ampliamenti o
declinazioni, ai summit dell’Unione Europea, World Economic Forum a Davos, al
summit delle Americhe e via discorrendo.
C’è da aggiungere a questa lista di eventi, i ripetuti contro-vertici e i social forum
(il più famoso quello di Porto Alegre dove si scrisse la carta costituente del
movimento) in cui si discutono le proposte alternative a quelle avanzate dalle élite
globali.
Possiamo individuare diversi elementi caratterizzanti di questo movimento: in
primo luogo, più autori sono concordi nell’affermare che si tratta di un movimento
dalla forma composita, flessibile, acefala e non gerarchica, in definitiva reticolare.
«Rispetto ai movimenti che lo hanno preceduto più “dinamico”, “connesso”
attraverso “legami deboli” tanto da essere utilizzata la metafora di “movimento dei
movimenti” cioè in qualche modo ancor più “reticolare”. (…) Questi legami
sembrano andare al di là delle organizzazioni, presentandosi come legami tra
“segni”, tra “microsignificati” e “microinterpretazioni” all’interno di una “macro” o
“meta” interpretazioni del conflitto contemporaneo che ha come nucleo centrale la
globalizzazione, ma che mantiene la complessità e l’articolazioni delle componenti
minime» [Andretta; della Porta; Mosca; Reiter; 2002]. Come è stato anche
specificato: «Un movimento che si sviluppa in rete la cui unità di misura è la Rete»
[Castells 2004]. La cooperazione in rete, soprattutto quella fondata sull’uso di
internet, è infatti un aspetto essenziale del movimento no global. Le numerosissime
lotte, iniziative e organizzazioni che negli anni Novanta che si sono opposte alle
politiche neoliberiste sono infine confluite in una rete di reti grazie alle possibilità
offerte dalla comunicazione elettronica. Utilizzando internet, il movimento non
necessitava di una struttura di comando centralizzata investita dell’autorità e del
potere decisionale. Gruppi diversi lanciavano appelli su temi diversi e presentavano
29
le loro posizioni e i loro conflitti a tutti pubblicamente, sulla Rete. Prima di ogni
iniziativa globale, si tengono riunioni di coordinamento, solitamente nella città in cui
sono in programma gli eventi. E’ stato grazie alla Rete che movimenti relativamente
isolati sono riusciti a costruire reti globali di solidarietà e di sostegno e ad diffondere
informazioni in tempo reale, diventando meno vulnerabili alla repressione sul
territorio. L’esempio straordinario proviene ancora una volta dalla strategia
comunicativa degli zapatisti messicani e il loro uso dei media.
In secondo luogo, si tratta di un movimento globale, e questa sua natura
mondiale rappresenta «una trasformazione qualitativa rispetto alle lotte contro la
globalizzazione capitalista verificatesi in varie parti del mondo, che erano sì riuscite,
in alcuni casi, a innescare la solidarietà di altri movimenti e siti di conflitto, ma non
erano arrivate a raggiungere l’unità globale in tempo reale» [ibidem].
In terzo luogo questo movimento afferma con la sua esistenza, a prescindere dal
suo contenuto e dalla sua futura evoluzione, la regola più antica della dinamica delle
società umane: «dove c’è domino c’è resistenza al dominio; laddove emergono
nuove forme di dominio, nuove forme di resistenza insorgeranno per incidere sulle
strutture di dominazioni specifiche» [ibidem].
La composizione del movimento è dunque eterogeneo e conta al suo interno le
ONG umanitarie e quelle solidali con i poveri del mondo tra cui quelle per la
cancellazione del debito estero dei paesi poveri; i gruppi religiosi; i lavoratori con i
loro sindacati che si battono per difendere i diritti acquisiti e posti di lavoro; gli
agricoltori e i contadini che si rifiutano di accettare gli accordi sulla liberalizzazione
dei mercati; i movimenti di contadini in tutto il mondo con le loro reti di solidarietà; i
movimenti ambientalisti; i movimenti delle donne; gli artisti rivoluzionari; i gruppi
anarchici e autonomi con diverse ideologie e tradizioni; i giovani in rivolta violenta
contro la società; «i partiti politici della vecchia sinistra, sia quella più tradizionale
(comunisti, socialisti di sinistra) sia quella più radicale (trotzkisti); gli intellettuali
critici e indipendenti come i membri di ATTAC e i partecipanti all’International
Forum on Globalization» [ibidem]. Questa grande varietà di anime all’interno del
movimento e la sua nuova forma di organizzazione reticolare ha fatto parlare spesso
di esso come il “movimento dei movimenti”, dove al suo interno convergevano
interessi altrimenti impossibili da conciliare come l’incontro tra “Teamsters and
30
Turtles” cioè sindacati dei camionisti e ambientalisti in difesa delle tartarughe
marine26.
Possiamo inoltre considerare come tendenza generale la composizione giovanile
dei manifestanti generalmente di classe media – anche se il movimento può essere
definito, di fatto, di «natura interclassista» [Andretta; della Porta; Mosca; Reiter;
2002] – e nella stragrande maggioranza provenienti dai paesi industrializzati. Ma
anche su questo punto non possiamo ridurre le mobilitazioni solo ad attivisti dei
paesi sviluppati, dato che il movimento è costituito da una pluralità di lotte sociali in
corso in tutto il mondo.
I valori e gli obiettivi del movimento sono forse la parte più significativa della
costruzione dell’immaginario collettivo di questa rete politica. Viene individuato
come nemico comune e riconoscibile il neoliberismo anche se all’interno del
movimento c’è chi punta alla riforma delle istituzioni e a una globalizzazione dal
volto umano e quelli che si oppongono ala capitalismo o almeno a quello attuale del
capitalismo delle corporation, tra questi c’è la rete denominata People’s Global
Action, che può essere definita anarchica o neoanarchica. E’ però possibile riunire
sotto lo stesso obiettivo – e quindi usando un termine di analisi sociologica in un
unico master frame – le varie anime della rete dei movimenti, in modo da permettere
l’integrazione di questi gruppi, «esaltando e valorizzando gli elementi che i vari
attori hanno in comune, mettendo in secondo piano eventuali elementi di dissenso e
collegando rivendicazioni diverse ma comunque non incompatibili» [ibidem]. Uno
schema interpretativo dominante, pertanto, «deve essere in grado di collegare in
modo coerente gli schemi interpretativi delle singole organizzazioni che si
mobilitano (frame bridging). La costruzione di tale schema risponde a tre scopi:
definire un problema e identificare uno o più responsabili; proporre soluzioni al
problema e identificare strategie, tattiche e obiettivi; fornire una motivazione
all’azione (Snow, Benford 1988)» [ibidem]. Il problema che unisce le mobilitazioni,
come abbiamo detto, viene definito con il processo neoliberista e in opposizione a
questo vengono promossi programmi diversi. Se la globalizzazione neoliberista è
figlia di scelte politiche, allora è possibile porre rimedio alle sue conseguenze
negative restituendo dignità alla politica ed è quindi necessario mobilitarsi per
26 Aguiton C. “Il mondo ci appartiene”, Feltrinelli
31
spingere il sistema politica ad agire. Lo slogan “un altro mondo è possibile” è
indicativo di quello che possiamo definire «liberazione cognitiva» che permette
l’azione collettiva, considerandola come utile a raggiungere degli obiettivi concreti
[ibidem]. Per assistere a «l’emergere di movimenti collettivi» infatti «è necessario
(proprio) un processo di “liberazione cognitiva”, con una ridefinizione di se stessi
come attori collettivi capaci di influenzare i propri destini e, insieme,
l’individuazione di un avversario da combattere e di una posta in gioco sulla quale
mobilitarsi [Touraine 1978; Melucci 1982]»27.
5.2 Modi di (ri)organizzazione territoriale fuori dai partiti: breve analisi dei
comitati in Italia e forme di attivazione, piccolo excursus sul movimento
ambientalista.
Anche il fiorire dei comitati in Italia risiede nelle dinamiche illustrate sinora, che
vedono da un lato la crisi della rappresentanza partitica (par. Castells) e dall’altro
dall’incontro con i movimenti sociali (par. “no global”). Federico Toth, in un suo
lavoro sui comitati pro-ospedale nati nel ferrarese, imposta la sua analisi proprio a
partire dalla crisi dei partiti. Secondo l’Autore, i comitati sono organizzazioni
“effimere” di intermediazione e partecipazione politica che hanno successo
nell’occupare il vuoto lasciato dalle organizzazioni tradizionali di rappresentanza.
Egli afferma poi, che la crisi del sistema partitico italiano dei primi anni novanta ha
coinciso con «il collasso di un “ordine politico” che aveva retto con una continuità di
fondo per oltre quarant’anni (Cotta 2002)»28. Questo ordine politico era
caratterizzato dal monopolio dei partiti sui processi di mobilitazione politica. A
livello tanto nazionale quanto locale, le organizzazioni partitiche avevano il capillare
ed esclusivo controllo del processo di mediazione degli interessi e di aggregazione
delle domande emergenti dalla società civile (Morlino 1991) [ibidem]. Il sistema
partitico della prima Repubblica si rivelò per quello che in effetti era: un «gigante dai
piedi d’argilla» (Cotta e Isernia 1996) [ibidem]. La crisi, che fino a tutti gli anni
27 Andretta M., della Porta D., 2001. “Movimenti sociali e rappresentanza: i comitati spontanei dei cittadini a Firenze” in Rassegna italiana di Sociologia a. XLII n. 1 gennaio-marzo 2001 28 Cit. in Toth F., 2002. “Quando i partiti falliscono: i comitati cittadini come organizzazioni effimere” in Polis XVII, 2 agosto 2003 pp. 229-255
32
Ottanta era rimasta latente, «divenne improvvisamente manifesta e sfociò in una
diffusa e crescente protesta antipartitica» [Parisi 1995].
Anche secondo Andretta e della Porta la fase in cui i comitati cominciano ad
organizzarsi più spesso, coincide con gli anni della crisi politica che in Italia è stata a
più riprese definita crisi della Prima Repubblica. Questo dato per gli autori deve
essere comunque considerato con cautela, dal momento che una delle caratteristiche
di queste nuove forme di organizzazioni riscontrate nelle passate ricerche effettuate è
la loro estrema caducità. Perciò, potrebbero esservi stati comitati negli anni
precedenti alla crisi che non hanno resistito alla prova del tempo, né esiste prova che
quelli nati durante la seconda metà degli anni Novanta saranno più capaci di
resistervi. Tuttavia il quadro presentato dagli attori istituzionali coincide con l’idea
che il fenomeno sia in rapida ascesa. Del resto la crisi della rappresentanza è
tematizzata dagli stessi rappresentanti dei comitati che si lamentano spesso dello
scollamento delle istituzioni dalla società, della loro incapacità di risolvere i
problemi concreti della gente. Toth conferma questa tesi e afferma in modo
inequivocabile: «in relazione a determinate tematiche, di carattere locale e
congiunturale, i partiti, i sindacati e gli amministratori locali faticano a veicolare
efficacemente le istanze della cittadinanza. Le tradizionali organizzazioni di
rappresentanza politica non riescono a risolvere il dilemma esistente tra difesa degli
interessi locali e perseguimento di valori più generali. Questioni di disciplina di
partito a livello regionale e provinciale sembrano, infatti, legare le mani ai sindaci e
ai partiti di maggioranza. I comitati, essendo di propria natura radicati nel territorio,
si appropriano di tematiche ritenute salienti dalla popolazione locale; colmano così il
vuoto di rappresentanza lasciato dai partiti, rispetto ai quali si presentano come
“sfidanti” (Tilly 1978). Il fenomeno dei comitati si inserisce quindi in un più ampio
processo di erosione delle tradizionali forme di linkage politico (Key 1964; Eulau e
Prewitt 1973; Lawson 1988) ed evidenzia come i partiti siano scarsamente radicati
nelle singole realtà locali (Scalisi 1996)» [F.Toth 2002].
Questa incapacità dei partiti di dare voce alle istanze locali e localistiche è un
fenomeno relativamente recente. Va infatti tenuto presente che «il contesto locale
non era affatto estraneo all’offerta di rappresentanza della “prima Repubblica”. Al
contrario, i partiti di massa (e segnatamente la Democrazia Cristiana nelle aree
33
bianche e il Partito Comunista Italiano in quelle rosse) hanno sempre attribuito
grande importanza alla mediazione degli interessi fra centro e periferia e alimentato
le identità locali mediante il profondo radicamento a livello municipale. L’elemento
localistico era tuttavia stemperato dalla vocazione universalista e solidarista presente
nelle subculture cattolica e socialista. Questa tensione universalista appare invece
totalmente estranea all’offerta politica dei comitati cittadini» [ibidem].
Nell’articolo di della Porta e Andretta si porta in avanti quest’analisi
individuando anche diverse forme di organizzazione dei nuovi movimenti sociali
rispetto a quelli degli anni ‘70, che erano stati precursori delle organizzazioni
territoriali fuori l’arco parlamentare, ed oggi, proprio per via delle trasformazioni nel
tradizionale sistema della rappresentanza, hanno assunto forme che risultano essere
in parte diverse da quel modello. In particolare, le “classiche” organizzazioni di
movimento sociale degli anni ‘70 sembrano essersi evoluti verso (almeno) quattro
diverse forme che è possibile riscontrare in tutto il Paese e proprio alcuni di queste
nuovi aggregati sono stati in vario modo attori nelle proteste di Napoli sulla gestione
dei rifiuti. Una prima forma è il gruppo di interesse pubblico caratterizzato da
identità universalistiche, ma single issue; struttura organizzativa burocratizzata con
membership formale; strategie di intervento di lobbying e concertazione; una
seconda forma individuata è l’ associazione di nuovo volontariato caratterizzato da
identità universalistiche, struttura organizzativa permanente, partecipativa e
reticolare strategie di intervento di offerta di servizi; un terzo modello è per gli autori
il circolo controculturale che si distingue per identità universalistiche; struttura
organizzativa partecipativa e reticolare; strategie di intervento controculturali, con
momenti di protesta anche radicale; una quarta forma è il comitato: caratterizzato da
identità localistiche; struttura organizzativa partecipativa, flessibile e con bassi livelli
di coordinamento; strategie d’azione che privilegiano la protesta, seppure in forme
moderate [della Porta; Andretta 2001].
Alcune prime ricerche sul caso italiano (ad esempio, della Porta e Andretta 2001;
della Porta 1999; Bobbio e Zeppetella 1999) indicano che la perdita di radicamento
dei partiti tende a stimolare forme di protesta, anziché ostacolarle. Infatti, laddove le
rivendicazioni venivano presentate ai partiti e da essi incanalate – attraversale loro
sezioni o gli altri “terminali” di aggregazione del consenso – penetrando così nelle
34
istituzioni di governo, si cerca adesso di sensibilizzare gli amministratori,
rivolgendosi direttamente alla sfera pubblica attraverso azioni di protesta che
possano attirare l’attenzione dei media. In passato, la fiducia nei partiti (in particolare
nel proprio partito di appartenenza) aveva spinto a rinviare nel tempo le
rivendicazioni, attraverso il meccanismo della rappresentanza. «Oggi invece la
sfiducia nei partiti porta a ritirare quelle “deleghe in bianco” e a mobilitarsi su propri
bisogni immediati. La protesta viene spesso organizzata attorno a comitati spontanei
di cittadini, con radicamento locale sul territorio (a livello di paese, quartiere o anche
solo di strada). I comitati si formano su temi ad hoc, spesso affrontati in mondo
reattivo (opposizione su decisioni della pubblica amministrazione), chiedendo
interventi limitati. Se la loro durata è breve, le forme di azione adottate possono
comunque essere radicali»29.
Chiara Sebastiani afferma che il moltiplicarsi dei comitati sembra essere
diventato dunque, lo spauracchio degli amministratori locali che hanno coniato il
termine poco elogiativo di “comitatismo” per quelle mobilitazioni che si aggregano
nell’opposizione improvvisa e rabbiosa policies annunciate o che si coagulano
intorno a determinate parole d’ordine come “sicurezza” o “degrado” o
“inquinamento”30. «Invece di contestare radicalmente l’assetto istituzionale, l’azione
dei comitati tende a “smontarlo” a partire da quello che è il suo caposaldo: le forme
della rappresentanza, per affiancarvi forme di partecipazione diretta ai processi
decisionali. Ciò viene percepito dalle istituzioni politico amministrative da un lato
come un attacco alla legittimità dei rappresentanti, o perlomeno all’ampiezza del loro
mandato, dall’altro come una minaccia alla governabilità delle città, cioè a
quell’esercizio del potere politico che nella vita quotidiana è in larga parte
amministrazione come dice Max Weber, e questo spiega la preoccupazione con la
quale vengono guardati.» [ibidem].
Secondo molti degli autori finora citati, il comitato idealtipico degli anni Novanta
è una formazione tipicamente urbana, locale, territoriale. Dal punto di vista
dell’organizzazione è debolmente strutturato. I comitati secondo una citazione
riportata da della Porta e Diani infatti, tendono ad avere una struttura a
29 Della Porta D., Diani M., 2004. “Movimenti senza protesta? L’ambientalismo in Italia”. Il Mulino, Bologna. 30 Bonvecchio 1999 in Sebastiani C., 2007. “La politica delle città”, Il Mulino, Bologna.
35
“fisarmonica”, con pochi militanti stabili, capaci comunque di mobilitare
rapidamente, almeno in alcune occasioni gruppi numerosi all’interno di specifici
territori (Jobert 1998). Questa sua flessibilità data da una orizzontalità e da una
natura volontaristica permette una partecipazione politica più sentita, e con un
patrimonio di esperienze sempre rinnovabile: «alle origini dei comitati e delle
associazioni ci sono network, formali e informali. Accanto ai reticoli amicali e di
vicinato, ci sono anche passate esperienze di molti attivisti in partiti, associazioni e
sindacati. (…) Le stesse precedenti appartenenze ad altri comitati possono costituire
fonti di competenza sull’uso della protesta e anche reticoli di conoscenze: la fine di
un comitato, infatti, non sempre vuol dire la fine dell’impegno individuale (Epstein
1997; Szasz 1994; Schlosberg 1999)» [della Porta; Diani 2004].
Quando i comitati affrontano temi legati all’inquinamento, essi entrano in
contatto anche con le associazioni ambientaliste attive a livello locale, dando vita a
complesse relazioni di scambio, nel corso delle quali le associazioni ambientaliste
offrono risorse organizzative e di informazione, mentre i comitati mettono a
disposizioni risorse umane per le azioni di protesta. Le istituzioni decentrate del
governo locale, i giornali locali, singoli amministratori possono anche, in alcuni casi,
fungere da alleati in specifiche campagne. Da segnalare è l’esistenza di consistenti
interazioni tra i comitati che cercano di generalizzare il livello della mobilitazione e
quindi i temi per i quali protestano. Questo dato è importante perché sembra indicare
un processo di formazione di un movimento collettivo urbano che si mobilita sui
temi dei servizi e della qualità della vita della città. «Guardando alle trasformazioni
delle città, un’ipotesi emersa nelle recenti riflessioni sulle politiche cittadine ha
messo in evidenza un nuovo conflitto tra “regimi urbani” orientati allo sviluppo
economico locale e coalizioni debolmente strutturate di gruppi di vario tipo che
resistono alla growth machine (macchina per lo sviluppo)» [ibidem].
Se anche la politica dello sviluppo è un punto su cui scontrarsi, l’attenzione viene
quindi focalizzata sulla influenza dei diversi attori in conflitto. Secondo il modello
della macchina dello sviluppo (Logan e Molotch 1987), il governo locale è
controllato dalle élite affaristiche e immobiliari. «In una riproposizione aggiornata
del dibattito tra pluralisti ed elitisti, altri studiosi hanno sostenuto che vi è
compresenza di diversi gruppi in conflitto, con gruppi favorevoli allo sviluppo da un
36
lato (proprietari, banchieri, commercianti, imprenditori, stampa locale, professionisti,
spesso con l’appoggio di università e associazioni culturali) e gruppi (come
l’organizzazioni di residenti) che spesso si oppongono ai progetti di trasformazione
urbana dall’altro (per una discussione su questa evoluzione del dibattito: Goldsmith
(1991); Le Galès (1995). L’aumento del controllo sulle decisioni pubbliche da parte
delle imprese viene infatti spesso contrastato dai movimenti sociali urbani (Levine
1989)» [della Porta; Diani 2004].
La protesta, mediata dai mezzi di comunicazione, è stata vista infatti come una
risorsa politica per i gruppi “senza potere”, cioè senza risorse da scambiare
direttamente con chi prende le decisioni pubbliche. La protesta mette, in moto un
processo di influenza indiretta, mediata attraverso i mezzi di comunicazione e alcuni
gruppi dotati di capacità di influenza politica. «Attraverso di essa, i gruppi
relativamente senza potere possono creare delle risorse da investire nei negoziati,
conquistandosi alleati (Lipsky 1965, p. 2)» [Andretta; della porta 2001].
Per gli imprenditori della protesta, che si trovano a gestire notevoli disponibilità
all’azione collettiva “qui e subito”, la scommessa sembra invece riguardare la
capacità di stabilizzare nel tempo risorse di mobilitazione che appaiono al momento
estremamente effimere. Comune a molti comitati è la ricerca di un discorso generale
che permetta di superare la sindrome del particolarismo Nimby. Come è stato
osservato a proposito dell’ambientalismo locale, in altri paesi altresì, «anche gruppi
che cominciano a mobilitarsi sulla base di preoccupazioni di tipo essenzialmente
Nimby, una volta confrontati con l’accusa di essere localistici, devono reagire
(Doherty 2002)» [della Porta; Diani 2004]. Sebastiani ammette che «al pari del
partito politico , il comitato si presenta sia come articolazione della sfera pubblica
(luogo di produzione di opinione pubblica) sia come oggetto di rappresentanza (di
interessi particolari o diffusi). I comitati sono articolazione della sfera pubblica
perché per quanto possano nascere da interessi particolaristici ed egoistici (Andretta
2004) essi si sforzano comunque di presentarsi e legittimarsi con discorsi di natura
più generale e universalistica (Lewanski 2004)» [Sebastiani 2007]. Come abbiamo
già visto, si registra il cosiddetto passaggio dal non nel mio giardino – NIMBY – ad
una critica complessiva del modello di sviluppo. L’appartenenza locale, a una
comunità, è poi esaltata, anche a partire dalle maggiori possibilità di partecipazione e
37
identificazione a questo livello. Nel corso dell’azione vi è infine una trasformazione
degli attivisti, che molte volte presentano una crescita «sia delle capacità di utilizzare
le protesta sia delle competenze tecniche di un processo di autoeducazione (Rootes
1997)» [della Porta; Diani 2004]. «L’esperienza associativa» scrive Bobbio provoca
un cambiamento anche individuale e sociale e «tenderebbe a educare al bene
comune. L’attaccamento al territorio sarebbe già una forma di identificazione
collettiva, sostitutiva della identificazione con gruppi sociali più ampi. Patti sociali,
concertazione, programmazione partecipata sono stati proposti all’interno dei nuovi
modelli di elaborazione di politiche pubbliche che, superando l’illusione di una
possibile programmazione «sinottica», si adeguino invece a procedure incrementali
(Bobbio 1994)» [ibidem].
6. Un’analisi dei movimenti ambientalisti.
In quest’ultimo paragrafo tenteremo un breve accenno sui movimenti
ambientalisti, fenomeno sociale che ha avuto nel XX secolo la più larga diffusione e
che secondo Castells ha provocato un forte impatto sui valori culturali e le istituzioni
della società [Castells 2004]. Cercheremo di tracciare un veloce profilo, dato il suo
sviluppo storico relativamente breve riconducibile ai movimenti sociali degli anni
settanta [Diani; della Porta; Osti; Pellizzoni; Andretta] descrivendo le caratteristiche
più significative.
Secondo autorevoli analisti, lo sfaccettato movimento ambientalista emerso a
partire dagli anni settanta in molti parti del mondo, e con particolare intensità negli
Stati Uniti e in Europa, è alla base di un capovolgimento dei modi in cui siamo soliti
pensare la relazione tra economia, società e natura, dando così origine a una nuova
cultura. «La ragione dell’enfasi su questa prospettiva è forse da rintracciare nel fatto
che alcuni autori, la cui fama va oltre le questioni ecologiche (Inglehart 1977;
Melucci 1984; Habermas 1981; Beck 1986; Touraine 1987), hanno visto nel sorgere
dell’ambientalismo un passaggio epocale. Le mobilitazioni in difesa della natura,
contro l’energia nucleare, per la vivibilità di città e fabbriche sono state interpretate
come un punto di svolta. In ciò si coglie una duplice attenzione alla cultura: da un
38
lato si parla di un passaggio epocale verso una società postmaterialista, postfordista,
postmoderna, la quale non ha più il suo centro nella fabbrica ma nell’elaborazione di
simboli, dall’altro, si nota come siano aumentati in maniera enorme i processi di
riflessività e le capacità di analisi degli attori sociali. (…) In altre parole, la cultura
risulta essere allo stesso tempo il segnale e lo strumento di una svolta storica. Il
movimento ambientalista sembra rappresentare emblematicamente questo
passaggio» [Osti e Pellizzoni 2003].
Klaus Eder ritiene che l’ambientalismo sia un caso di masterframe. Un fenomeno
cioè che modifica in profondità riferimenti culturali e criteri di giudizio e che funge
da modelli per eventi successivi [ibidem]. È in una certa misura però arbitrario
parlare di un unico movimento ambientalista, vista la sua variegata composizione e la
molteplicità delle sue espressioni da paese e nelle diverse culture.
Osti e Pellizzoni sottolineano inoltre l’innovazione sociale e culturale dei nuovi
movimenti ambientalisti: «anche Strassoldo (1996, 93) si dice orientato sulla scia di
Milbrath (1984) a vedere l’ambientalismo come una nuova avanguardia culturale. Si
tenga conto poi della classica distinzione fra ecologia politica e conservazionismo
(Dalton 1994; Diani 1988)» [ibidem]. Nello specifico l’ecologia politica enfatizza la
necessità di un cambiamento delle istituzioni, mentre il conservazionismo insiste di
più sugli atteggiamenti culturali: modi di pensare, stili di vita, convinzioni morali.
Manuel Castells in linea con le teorie appena citate effettua una distinzione similare,
cioè dividendo tra i riformisti delle istituzioni e conservazionisti del sistema
ambientale. Preferisce però parlare più semplicemente di ecologia e ambientalismo:
«Con il termine ambientalismo mi riferisco a tutte quelle forme di comportamento
collettivo che, nel discorso o nella pratica, puntano a correggere le forme distruttive
della relazione tra attività umana e ambiente naturale, in contrasto con la logica
strutturale e istituzionale dominante. Per ecologia, nel quadro di un approccio
sociologico, intendo quell’insieme di credenze, teorie e progetti che considera
l’umanità come elemento di un più ampio ecosistema e vuole conservare l’equilibrio
del sistema, sia pure in una prospettiva dinamica e in continua evoluzione» [Castells
2004].
Seppur rischiando di effettuare un’eccessiva semplificazione, l’autore spagnolo
ha tentato di identificare le tematiche fondamentali. Anche se con un’attenzione
39
particolare al proliferare dei sistemi informativi e mediatici, questa analisi sui
contenuti più utilizzati dai movimenti ambientalisti, può risultare significativa per
l’individuazione dei temi che sono ormai assunti implicitamente nei discorsi e nelle
pratiche dalle popolazioni in rivolta contro l’inquinamento ambientale e per la difesa
del territorio. Per il lettore sarà dunque più semplice effettuare in seguito delle
analogie con i casi che sono alla ribalta della cronaca odierna. Il risultato auspicabile
è che il lettore riesca a evitare di stigmatizzare affermazioni di determinati attori in
conflitto sul territorio come inutili e strumentali. Useremo quindi come canovaccio
teorico l’analisi di Castells che si è prodigato in un’estrema sintesi delle analisi dei
maggiori studiosi mondiali dei movimenti ambientalisti e quelli sociali più in
generale.
Il sociologo spagnolo rileva nei movimenti ambientalisti un ambiguo quanto
profondo legame con la scienza e la tecnologia. In effetti si è più volte riscontrato
che scienza e tecnologia svolgono un ruolo fondamentale, benché contraddittorio, in
seno al movimento ambientalista. «Da una parte, regna una profonda sfiducia sulla
bontà della tecnologia avanzata, che porta a manifestazioni estreme ideologie
neoluddiste, come quella di Kirkpaatrick Sale. D’altro canto, il movimento fa ampio
ricorso alla raccolta, l’analisi, l’interpretazione e la diffusione di informazioni
scientifiche, talvolta di livello assai sofisticato, sull’interazione tra prodotti delle
attività umane e ambiente» [ibidem]. Le più importanti organizzazioni ambientaliste
annoverano di solito nelle loro fila numerosi scienziati, e nella maggior parte dei
paesi del mondo c’è un solido legame tra scienziati e accademici da un lato e attivisti
ambientali dall’altro. L’ambientalismo è dunque per l’autore spagnolo un movimento
basato sulla scienza. Criticando il dominio della scienza sulla vita, gli ecologisti
ricorrono spesso alla scienza per opporsi a essa in nome della vita. Si invoca,
insomma, non la negazione del sapere, ma una conoscenza superiore: la saggezza di
una concezione olistica, capace di superare gli approcci frammentari e le strategie
miopi imperniate sulla soddisfazione degli istinti più elementari.
I conflitti sulla trasformazione strutturale equivalgono a lottare per la
ridefinizione storica delle due fondamentali espressioni materiali della società: lo
spazio e il tempo. E, in effetti, anche il controllo sullo spazio e l’enfasi sul locale
sono temi che ricorrono in diverse componenti del movimento ambientalista. «(…)
40
l’idea secondo cui emerge in rete una fondamentale opposizione tra due logiche
spaziali: quella dello spazio dei flussi e quella dello spazio dei luoghi. Lo spazio dei
flussi organizza la simultaneità delle pratiche sociali a distanza, grazie ai mezzi di
telecomunicazione e informazione. Lo spazio dei luoghi privilegia l’interazione
sociale e l’organizzazione istituzionale sulla base dalla contiguità fisica» [Ibidem].
Attualmente “la disgiunzione delle due logiche spaziali” afferma Castells «è un
meccanismo essenziale del dominio delle nostre società, in quanto consente di
dirottare i fondamentali processi economici, simbolici e politici al di fuori della sfera
in cui si costruisce senso sociale e si esercita controllo politico» [ibidem]. Pertanto,
l’importanza attribuita dagli ecologisti alla dimensione locale e al controllo dei
luoghi da parte di chi li abita è una sfida a una delle leve fondamentali del nuovo
sistema di potere. «Anche nelle sue espressioni più difensive (si pensi al cosiddetto
movimento “Not in my back yard!”), l’idea di privilegiare la vivibilità locale contro
gli usi di un dato spazio da parte di “interessi esterni” (per esempio imprese in cerca
di una discarica di rifiuti tossici o aeroporti bisognosi di spazio per nuove piste di
decollo e di atterraggio) implica, in fondo, la negazione del prevalere di astratti
interessi tecnici o economici sull’esperienza concreta dalla vita materiale della gente
in carne e ossa. Ciò a cui il movimento ambientalista si oppone è la dissoluzione di
questi diversi interessi o funzioni in nome del principio della rappresentanza
mediatica a opera della razionalità astratta e tecnica esercitata da gruppi affaristici
incontrollabili e tecnocrazie svincolate dal principio di responsabilità» [ibidem].
Conseguenza di questa posizione è l’aspirazione a una forma di governo su
piccola scala, che privilegi le comunità locali e la partecipazione dei cittadini: «la
democrazia di base è il modello politico implicito di gran parte dei movimenti
ecologici» [ibidem]. Nelle forme più elaborate, il controllo sullo spazio, l’asserzione
dei luoghi quali fonti di dissenso e l’enfasi sul governo locale sono collegati agli
ideali di autogestione della tradizione anarchica, in cui rientrano anche la produzione
su piccola scala e l’autosufficienza, che conducono al principio professato di
austerità, alla critica al consumo ostentativo e a sostituire valore d’uso della vita al
valore di scambio del denaro. Certamente, osserva ancora lo scrittore, coloro che
protestano contro le discariche tossiche vicino casa non sono affatto anarchici, e ben
pochi tra loro sarebbero disposti a trasformare alle radici il tessuto delle loro vita. Ma
41
la logica intrinseca dell’argomento, il legame tra difesa del proprio luogo contro gli
imperativi dello spazio dei flussi e il rafforzamento delle basi economiche e politiche
della dimensione locale consentono l’immediata identificazione di alcuni di questi
nessi nella conoscenza pubblica in presenza di eventi simbolici (come per esempio,
la costruzione di una centrale nucleare). «In questo modo, vengono a crearsi le
condizioni per una saldatura tra problemi della vita quotidiana e progetti di
alternativa sociale: è così che nascono i movimenti sociali» [ibidem].
Accanto al controllo dello spazio, nella società in rete è in gioco anche il
controllo del tempo, e il movimento ambientalista è probabilmente l’attore più
importante nella prefigurazione di una nuova temporalità rivoluzionaria.
Rifacendosi alle teorie del tempo e dello spazio di Leibniz e Innis, Castells distingue
fra tre forme di temporalità: il tempo dell’orologio, caratteristico dell’industrialismo
(nelle sue forme capitalista statalista), era/è caratterizzato dalla sequenzialità
cronologica degli eventi e dall’adeguamento disciplinare del comportamento umano
a un programma predeterminato che produce scarsità di esperienza al di fuori della
misurazione istituzionalizzata. Il tempo acrono, che caratterizza i processi
attualmente dominanti nelle nostre società, subentra quando le caratteristiche di un
dato contesto – vale a dire, il paradigma informazionale e la società in rete –
inducono una perturbazione sistemica nell’ordine sequenziale dei fenomeni che si
verificano. Questa perturbazione può manifestarsi sotto forma di compressione della
durata dei fenomeni fino alla tendenziale istantaneità (come nel caso delle «guerre
istantanee» o come introduzione di discontinuità aleatoria nella sequenza temporale
(come si osserva nell’ipertesto dei mezzi di comunicazione elettronici integrati). Vi è
poi un’ulteriore forma di tempo, (quella più teorizzata dai movimenti ambientalisti)
concepita e avanzata nell’ambito della pratica sociale: il tempo glaciale.
Nell’originale formulazione datane da Lash e Urry, il concetto di tempo glaciale
suppone che «tra esseri umani e natura sussista una relazione di lungo periodo di tipo
evolutivo, che si muove all’indietro fuori dalla storia umana, e in avanti verso un
futuro totalmente indeterminabile». Come sviluppo della loro elaborazione, l’autore
qui continuamente citato, propone l’idea che il movimento ambientalista è per
l’appunto caratterizzato dal progetto di introdurre la prospettiva del “tempo glaciale”
nella nostra temporalità, sul piano della coscienza su quello del comportamento. «In
42
parole semplici, il tempo glaciale ci chiede di misurare la nostra esistenza, quella dei
nostri figli e dei loro nipoti. Pertanto, organizzare la vita e le istituzioni in vista del
loro bene, oltre che del nostro, non è un culto New Age, ma l’antico prendersi cura
dei nostri discendenti, carne della nostra carne e sangue del nostro sangue. La
proposta dello sviluppo sostenibile come forma di solidarietà intergenerazionale,
combina sano egoismo e pensiero sistemico in un’ottica evolutiva» [ibidem]. In un
certo senso, l’interesse «per la salvaguardia delle culture indigene estende
retroattivamente il rispetto per tutte le forme dell’esistenza umana, da qualunque
temporalità esse provengano, affermando che noi siamo loro e loro sono noi»
[ibidem]. È questa unità della specie, e quindi della materia nella sua totalità, e della
sua evoluzione spazio temporale cui fanno appello il movimento ambientalista
(implicitamente) e i teorici dell’ecologia profonda e dell’eco-femminismo
(esplicitamente). Gli ecologisti inducono la creazione di una nuova identità:
un’identità biologica, una cultura della specie umana come parte della natura.
Eppure il loro nemico oggettivo risulta essere il nazionalismo di stato, «perché lo
stato-nazione è, per definizione tenuto ad affermare il proprio potere su un dato
territorio. In tal modo, esso spezza l’unità della specie umana e l’intima
interrelazione tra i territori, mettendo a repentaglio la condizione del nostro
ecosistema globale. (…) con una contraddizione tale solo in apparenza, gli ecologisti
adottano una prospettiva che è al contempo localista e globalista: globalista quanto
alla gestione del tempo, localista quanto alla difesa dello spazio. Un pensiero e una
politica evolutivi richiedono una prospettiva globale. L’armonia degli esseri umani
con il loro ambiente ha origine nelle comunità locali» [ibidem]. Questa nuova
identità di specie, che è un’identità biologica, può essere agevolmente sovrapposta a
una notevole varietà di tradizioni storiche, lingue e simboli culturali, ma si mescola a
fatica con un’identità statal-nazionalista.
Benché gran parte del movimento si fondi su organizzazioni di base, l’azione
ambientalista lavora alla creazione di eventi mediatici. L’attenzione per i media
come anche nel caso dei nuovi movimenti sociali sopra citati è assai significativa.
Nel caso dell’attivismo ambientalista globale (si pensi a Greenpeace) però, la logica
è interamente orientata a creare eventi in grado di mobilitare l’opinione pubblica su
questioni specifiche, così da esercitare pressioni su poteri costituiti ed avere un ruolo
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di primo piano nello sviluppo per esempio delle lotte ambientaliste locali. «Tv, radio
e giornali locali sono la voce degli ambientalisti, al punto che le grandi imprese e i
politici si lamentano spesso del fatto che sono i media, più che gli ambientalisti, i
veri responsabili della mobilitazione ecologista» [ibidem]. Molti attivisti
ambientalisti a tal proposito hanno creativamente mutuato la tradizionale tattica
dell’anarchismo francese dell’action exemplaire, mettendo in scena un atto
spettacolare che colpisce l’immaginario, provoca dibattito e produce mobilitazioni.
«(…) inoltre, le notizie sui rischi per la salute causati dal degrado ambientale
producono sugli organi di informazione locali problemi ben più consistenti di quanto
non faccia qualsivoglia discorso ideologico tradizionale» [ibidem] .
L’ambientalismo, però non è solo un movimento di sensibilizzazione. Fin dalle
origini, ha esercitato la sua azione per introdurre cambiamenti a livello legislativo e
di governance e persino organizzazioni non tradizionali e dedite all’azione diretta
come Greenpeace hanno in misura crescente orientato la propria iniziativa verso
un’attività di pressione sui governi e sulle istituzioni internazionali per ottenere
norme, decisioni e misure concrete su questioni specifiche. «Analogamente, a livello
locale e regionale, gli ambientalisti si sono battuti per nuove forme di pianificazione
urbana e regionale, per provvedimenti in difesa della salute pubblica, per vincoli allo
sviluppo edilizio controllato» [ibidem]. In alcuni paesi, soprattutto europei, gli
ambientalisti sono entrati anche nella competizione politica, presentando candidati
alle elezioni con risultati alterni (Poguntke 1993; Dalton 1994; Diani 1995;
Richardson e Rootes 1995). Dati alla mano, si può dire che i partiti verdi ottengono
risultati elettorali migliori a livello locale, dove esiste ancora una relazione diretta tra
movimento e i suoi rappresentanti politici. «In generale, si osserva una tendenza
mondiale al “rinverdimento” – per quanto assai pallido – della politica tradizionale,
insieme al rafforzamento dell’autonomia del movimento ambientalista. Quanto a
quest’ultimo, il suo rapporto con la politica comporta un intreccio sempre più esteso
di attività di lobbying, di campagne mirate a favore o contro determinati candidati e
di iniziative su questioni concrete per influenzare l’elettorato» [ibidem]. Adottando
queste diverse tattiche, l’ambientalismo è diventato una forza nell’opinione pubblica,
con cui, in molti paesi, partiti e candidati sono costretti a fare i conti. D’altra parte,
molte delle organizzazioni ambientaliste si sono istituzionalizzate, hanno cioè
44
accettato la necessità di agire nel quadro delle istituzioni esistenti, secondo le regole
del produttivismo dell’economia del mercato globale e secondo pratiche concertative
talvolta criticate per la poca trasparenza. A riprova di tali affermazioni Castells
conclude la sua argomentazione proprio insistendo sulla varietà degli obiettivi dei
movimenti ambientalisti: «(…) in definitiva, con la straordinaria crescita della
coscienza, dell’influenza e delle capacità organizzative ambientalista, il movimento
si è progressivamente diversificato – sia sul piano sociale sia a livello di contenuti –
fino a comprendere consigli di amministrazione delle corporation come le frange più
estreme della controcultura, passando per consigli comunali e aule parlamentari.»
[ibidem]. Il processo di istituzionalizzazione delle organizzazioni ambientaliste è una
prassi alquanto diffusa in Italia ed è accompagnato spesso dall’offerta di “contro-
expertise” e dalla partecipazione in organi consultivi più o meno formalizzati con
l’obiettivo, in parte, di bilanciare la prepotenza di gruppi antiambientalisti. Alle volte
il risultato di tale operazione può risultare deludente proprio perché in alcuni ambiti
determinate istanze ambientaliste di associazioni sembrano cedere il passo
all’ordinaria amministrazione poco lungimirante. «In una governance sempre più
opaca, però, gli ambienti associativi cedono talvolta alle sirene del partenariato
permanente, divenendo cogestionari a tutti i livelli politici» (ibidem, 31) [ibidem].
Il processo di istituzionalizzazione dei movimenti si appunta, come si è visto,
sull’organizzazione interna del movimento e sul caratteristico passaggio “dalla
protesta alla pressione” [Osti e Pellizzoni 2003]. Le associazioni ambientaliste nel
nostro Paese mostrano alcuni segni di questa istituzionalizzazione. Ottenuti sostegno
nella pubblica opinione e risorse materiali, esse infatti, cercano di coltivare i canali di
influenza sul decision making attraverso un’ideologia pragmatica, una struttura
organizzativa formalizzata e un repertorio d’azione moderato. «(…) in questo senso,
le associazioni ambientaliste presenti a livello nazionale hanno teso ad allontanarsi
dall’immagine di una ortodossa organizzazione di movimento sociale per avvicinarsi,
invece, a quella di gruppi di interesse pubblico» [Diani e della Porta 2004].
Le associazioni italiane – come le loro controparti europee – «sembrano sempre
più interessate a influenzare le politiche pubbliche attraverso contatti con i decision
makers, attraverso sia consultazioni, sia la gestione dei servizi pubblici mediante
specifiche commesse» [ibidem]. L’opinione pubblica rimane così il principale
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interlocutore della maggior parte delle attività delle associazioni ambientaliste (in
particolare per quanto riguarda le campagne di informazione). Se il discorso è
pragmatico, vi è comunque una bassa specializzazione e una tendenza invece a
collegare la difesa dall’ambiente a tematiche quali la giustizia sociale e la pace.
La struttura organizzativa delle associazioni italiane è per Diani e della Porta in
linea con quelle descritte come tipiche di un modello pluralista: con unità
organizzative multiple, volontarie, in reciproca competizione, non gerarchicamente
organizzate (Schmitter 1974, 55). Se la struttura organizzativa delle associazioni
ambientaliste si adatta al modello pluralista, i risultati sono per gli autori più
ambivalenti per quanto riguarda le forme d’azione. «Se alcune di esse sono in effetti
tradizionalmente diffuse nei paesi pluralisti – dal lobbying di politici e burocrati, alle
campagne di opinione, al ricorso alla magistratura (Lowi 1999, 292 ss.) -, c’è stata
comunque una crescente attenzione a strategie di concertazione e gestione di servizi,
più tipiche invece di un modello neocorporativista, caratterizzato dalla
partecipazione delle organizzazioni degli interessi non solo alla elaborazione, ma
anche all’implementazione delle decisioni pubbliche (Lehbruch 1984)» [ibidem].
L’assenza di controlli affidabili e sistematici affermano infine i due studiosi «ha
ridotto le possibilità di valutare l’impatto delle politiche ambientali e, se necessario,
correggerle (Freddi 2001, 415)» [ibidem]. In questa situazione, il passaggio da un
sistema pluralistico degli interessi a un modello misto, con un ruolo crescente per la
concertazione, presenta sicuramente un’opportunità ma anche rischi per le
organizzazioni ambientaliste: «la debolezza organizzativa dei gruppi ambientalisti si
somma con quella della pubblica amministrazione (ministeri e relative
amministrazioni) con l’effetto potenziale di una subordinazione delle politiche
ambientali agli interessi più forti» [ibidem].
Dagli elementi emersi finora possiamo concludere che i movimenti ambientalisti
presentano una vocazione altamente universalista, ma trovano il loro riscontro
empirico proprio nel locale, percorrendo in senso deduttivo il discorso della
salvaguardia ambientale. Le ragioni del discorso ambientalista trovano infatti la loro
forza, nel calare la contestazione sul territorio dove i danni ambientali si perpetrano e
concorrono a compromettere il futuro del pianeta.
46
Nel senso inverso invece, sembrano convergere i comitati cittadini che, da istanze
prettamente locali, spesso attuano una generalizzazione degli obiettivi iniziali per
uscire fuori dallo stigma del discorso egoistico e campanilista. Proprio con
l’esperienza associativa i cittadini riscoprono le tematiche più ampie che sono alla
base del problema che ha costretto la popolazione a riunirsi in comitato. Il
ragionamento si evolve pertanto lungo una linea induttiva che ambisce a
generalizzare i problemi di una sola località a istanze riscontrabili anche in altri
luoghi del pianeta. La critica infatti non è più effettuata su basi locali, ma si riversa
contro alcune tendenze del sistema economico, politico e sociale mondiale. Punto di
convergenza di queste due linee di ragionamento e di conflitto, pare essere lo spazio
politico del governo locale (inteso come ambito di implementazione delle politiche
territoriali) dove si concentrano tutte le istanze per la gestione del territorio. Proprio
su questo livello sembrano sovente agire i nuovi movimenti sociali che si attivano
politicamente secondo un famoso slogan “pensare globale, agire locale”. I nuovi
movimenti sociali in questo senso partono dalla constatazione che le politiche
economiche globali imposte dagli organi sovranazionali, siano cause di ingiustizia ed
ineguaglianza sociale, proprio partendo dai territori dove queste misure vengono
applicate. A livello locale dunque, oggi si celebra la sfida più grande per la
democrazia globale perché già all’interno dei territori si incrociano tutte le istanze di
conflitto per la difesa della salute, dell’ambiente; si accendono conflitti per la
partecipazione alle politiche del territorio e si concretizzano le ambizioni di
cambiamento per un altro mondo possibile.
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CAPITOLO II
«Soltanto una crisi – reale o percepita – produce vero cambiamento. Quando quella
crisi si verifica, le azioni intraprese dipendono dalle idee che circolano. Questa, io credo, è
la nostra funzione principale: sviluppare alternative alle politiche esistenti, mantenerle in
vita e disponibili finché il politicamente impossibile diventa politicamente inevitabile»
Milton Friedman premio Nobel per l’Economia cit. in N.. Klein “Shock Economy, l’ascesa del capitalismo dei disastri”
«La questione rifiuti in Campania è comunque un concentrato di tutte le crisi del nostro
paese: crisi culturale, politica, amministrativa, economica, occupazionale, ambientale,
sanitaria, securitaria: insomma una bancarotta della democrazia»
Guido Viale in “Azzerare i Rifiuti”
«Abbiamo messo alcuni paletti fondamentali e abbiamo risolto l’annosa vicenda di chi
comanda: in campo di protezione civile bisogna sapere chi è il capo, non ci può essere
democrazia in emergenza»
Guido Bertolaso sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’emergenza rifiuti, Capo della Protezione
Civile
1. L’emergenza rifiuti in Campania: 15 anni di soluzioni temporanee in
deroga alle norme vigenti.
Descrivere l’emergenza rifiuti in Campania è come sfogliare un noir d’autore
dove ogni pagina apparirebbe al lettore come una storia a sé e magari non importante
presa singolarmente. Continuando questa ardita analogia, se queste storie le
leggessimo in ordine sparso darebbero l’impressione di un quadro costellato di
sfortunate combinazioni, ma se lo leggessimo invece in ordine cronologico
disegnerebbero un intrigo spaventosamente limpido e logico che porterebbe a
individuare un colpevole di uno spaventoso delitto. Ma in questa storia in ogni
pagina emerge un “colpevole” o, come spesso accade, un responsabile che, attraverso
piccole mosse dettate da altrettanti interessi, contribuisce ad un vero e proprio
disastro ambientale e sanitario nella Regione Campania. È questa la vera vittima,
48
insieme alla popolazione residente che cerca di resistere ogni giorno agli abusi
perpetrati. Per usare le parole del gip di Napoli Rossana Saraceno, nell’ambito
dell’Operazione “Rompiballe”, si tratta di una «colossale opera di inquinamento del
territorio»31.
In questa sede risulta molto complicato riuscire ad elencare tutte i reati che sono
stati commessi, presunti o accertati (parliamo delle accuse mosse dalla magistratura
in attesa di verifica a conclusione dei processi), tutte le deroghe alle leggi vigenti, le
omissioni, ecc. Ci limiteremo pertanto ad illustrare la storia di questa emergenza, la
nascita della gestione commissariale e delle ditte vincitrici degli appalti indetti per la
risoluzione della crisi. Ci si soffermerà dunque su quelli che possono essere elencati
come gli elementi principali che costituiscono i pezzi di un disastro che ha a dir poco
dell’incredibile solo per il semplice fatto che si sia perpetrato per quindici anni senza
che le istituzioni locali e nazionali, anche in regime di emergenza (e quindi con
ingenti risorse economiche sbloccate appositamente per la risoluzione della vicenda)
siano riuscite a risolvere la questione in modo definitivo.
Scopo di questo capitolo è di illustrare la storia, i soggetti e i luoghi
dell’emergenza rifiuti, per permettere al lettore di capire quali siano stati i motivi
principali che hanno provocato uno scempio di una portata tale da catturare
l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale. Gli autori da me esaminati e i testi letti
in questi anni portano quasi all’unanimità ad una spiegazione meramente economica
che vede nella gestione dei rifiuti (sia solidi urbani che industriali) uno dei più grandi
business legali e non in piena attività nel globo, sia in termine di diffusione del
fenomeno sia in termini di guadagni32. Le cause alla base dell’emergenza rifiuti in
Campania sono state ricondotte dalla magistratura e dalla letteratura contemporanea
a diversi fattori, collegabili ad una ambigua commistione di errori tecnico-
amministrativi e di interessi politici, industriali e malavitosi. In particolare, le cause
possono essere individuate nei ritardi di pianificazione e di preparazione di
discariche idonee, avvenute solamente dal 2003; nell’inadeguato trattamento dei
rifiuti urbani nei sette impianti di produzione di combustibile derivato dai rifiuti
31 Cit. In Morandi S., 2009. “Emergenza rifiuti S.p.a., come piazzare una bomba chimica a effetto ritardato e farla franca” Castelvecchi, Roma. 32 Pelanda D., 2008. “ ‘A munnezza, ovvero la globalizzazione dei rifiuti”, Sensibili alle foglie.
49
(CDR), originariamente costruiti e gestiti da società del Gruppo Impregilo33; nei
ritardi della pianificazione e costruzione di inceneritori, dovuti anche a prescrizioni
della magistratura sui progetti in essere e finalizzate ad una maggiore tutela
dell’ambiente e a contrastare la camorra; nei ritardi nella pianificazione e nella
costruzione di impianti di compostaggio della frazione organica dei rifiuti
proveniente da raccolta differenziata; e, per concludere, nei bassi livelli medi di
quest’ultima, che nel 2007 nella Provincia di Napoli si fermava ad un risicato 8%34.
Il quadro nel quale ci muoveremo è quello dell’emergenza, cioè una condizione
di eccezionalità istituita dal Governo Ciampi nel 1994 con la nomina del primo
Commissario di Governo con poteri straordinari. Da allora si sono avvicendati dieci
Commissari e diversi governi, ma a quanto risulta dalle inchieste in corso fu proprio
la gestione dei commissariamenti, unita alle irregolarità degli appalti, che ha finito
per creare una situazione in cui anche gli affari illeciti della camorra e della
criminalità organizzata in generale hanno potuto proliferare distruggendo quella terra
una volta chiamata Campania Felix. L’emergere negli anni delle responsabilità di
organi di governo, politici conniventi o “distratti”, di multinazionali favoreggiate
negli appalti e naturalmente dell’azione parassitaria-affaristica della camorra, hanno
creato nella popolazione una diffidenza tale da determinare una indisponibilità degli
abitanti delle aree coinvolte nella vicenda ad accettare allocazioni di discariche e
impianti di smaltimento dei rifiuti soldi urbani (RSU). È accaduto infatti che la
pianificazione e le localizzazioni degli impianti sia ricaduta ciclicamente sulle stesse
aree proprio a causa di un presunto “esaurimento delle opzioni” individuate dai
tecnici del Commissariato dell’emergenza ai rifiuti e soprattutto su una «quanto
meno incongrua, sotto il profilo astratto» e «(…) poi in concreto azzardata» scelta
33 La Impregilo è leader mondiale nel campo delle grandi dighe e delle centrali idroelettriche, settore di particolare impatto ambientale e sociale, soprattutto nei paesi del sud del mondo. «L’azienda è infatti una vera multinazionale, con più di 70 succursali sparse per il pianeta e partecipazione in circa 700 società. (…) Oltre alle dighe costruiscono strade, linee ferroviarie, metropolitane, porti e aeroporti, ma anche stadi, fabbriche e ospedali”. (…) Possiede un capitale sociale di 716 milioni di euro, un portafoglio ordini superiore ai 13 miliardi di euro e oltre 10 mila dipendenti» [Morandi 2009]. In Italia è coinvolta nella costruzione delle più grandi opere pubbliche: ospedali in Umbria, tratte della linea dell’alta velocità come la Firenze-Bologna, è la favorita nella costruzione del Ponte sullo Stretto, è proprietaria dell’inceneritore ad Acerra, ha moltissimi appalti in Veneto dal Mose di Venezia e il passante autostradale del «valico» di Mestre, all’autostrada di Pedemontana. Fonte: AA.VV. “Imprezilla”, «Carta» settimanale, anno XI n. 15. 34 Wikipedia: emergenza rifiuti.
50
dei siti effettuata dall’impresa aggiudicataria dell’appalto35. Una indisponibilità della
popolazione definita dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti
del 2006 come una “prevedibile ed evidente impraticabilità sociale” che poteva
essere evitata dall’azienda e dagli organi di controllo, ma che invece fu provocata e
creò un ampio margine di azione per le infiltrazioni camorristiche sulla gestione delle
aree individuate36.
Ai processi in corso è demandato l’accertamento delle responsabilità penali degli
imputati, ma sul meccanismo che ha portato a sommergere sotto cumuli di rifiuti
sfusi o imballati strade e territori della Campania ormai non ci possono essere più
dubbi: questo meccanismo è la sistematica violazione da parte della gestione
commissariale e del raggruppamento industriale che si era aggiudicato la gestione di
tutti i rifiuti campani dell’ordinanza con cui l’allora ministro degli Interni Giorgio
Napolitano aveva, fin dal marzo del 1998, delineato in termini generali con cui
avrebbe dovuto essere affrontata la crisi dei rifiuti in regione.
Ma procediamo per gradi; gli stralci degli atti sopra riportati sono solo la
conferma di una disarticolata e poco lungimirante gestione commissariale, che solo
adesso mostra i suoi limiti e i suoi sprechi, ma che già dai suoi inizi riscontrava delle
irregolarità molto gravi.
2. L’inizio dell’emergenza e l’approvazione del piano di risoluzione del
problema.
Lo stato di emergenza dei rifiuti in Campania viene proclamato l’11 febbraio
1994, attraverso l’emanazione di un decreto dell’allora Presidente del Consiglio dei
35 Atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite a esso connesse, XIV legislatura, Relazione territoriale sulla Campania del 26 gennaio 2006 cit. in Rabitti P., 2008 “Ecoballe, tutte le verità su discariche, inceneritori, smaltimento abusivo dei rifiuti”, Aliberti, Roma. 36Ancora la Commissione parlamentare afferma che: « (…) la localizzazione era lasciata del tutto libera senza un criterio guida che tenesse conto delle situazioni territoriali pregresse, in modo da evitare di far ricadere nuovi interventi impiantistici in aree geografiche oggetto in precedenza di altri interventi in materia di rifiuti. (…) Era facile immaginare che il sistema di libera scelta logistica avrebbe reso possibile situazioni speculative, che dovevano invece essere evitate non solo per una ragione di tipo economico-finanziario, ma anche perché avrebbero costituito la vera fragilità del sistema, rendendolo facile preda delle infiltrazioni della criminalità organizzata, capace in Campania di un controllo pressoché capillare del territorio» [ibidem].
51
Ministri, Carlo Azeglio Ciampi. Con questo provvedimento il Governo italiano
prendeva atto dell’emergenza ambientale che si era venuta a creare nelle settimane
precedenti in numerosi centri campani, a causa della saturazione di alcune discariche.
Si individuava nel Prefetto di Napoli l’organo di Governo in grado di sostituirsi a
livello territoriale a tutti gli altri enti locali coinvolti a vario titolo e preposto quindi
ad esercitare i poteri commissariali straordinari.
Il prefetto Improta diventa dunque il primo dei dieci Commissari all’emergenza
rifiuti in Campania che si avvicenderanno in questi anni. Tra il 1994 ed il 1996
l’intervento più significativo della gestione dell’emergenza rifiuti passa attraverso
l’ampliamento della capacità di sversamento del sistema di smaltimento dei rifiuti
grazie alla requisizione di diverse discariche private in tutta la regione, poi affidate in
gestione all’ENEA. Nel marzo 1996 il Governo Dini, allora in carica, interviene
nuovamente nella gestione commissariale: al prefetto rimane la gestione del servizio
di raccolta, mentre al Presidente della Regione viene affidato il compito di
predisporre un Piano Regionale, nonché la competenza per gli interventi urgenti in
tema di smaltimento. Nel giugno 1997 il Presidente in carica, Antonio Rastrelli,
pubblica il Piano Regionale per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani che prevede,
tra l’altro, la realizzazione di due termovalorizzatori e sette impianti per la
produzione di combustibile derivato dai rifiuti (C.D.R. ricavato dalle ecoballe) in
ottemperanza con le direttiva europea e con il conseguente Decreto legislativo 22/97,
(Decreto Ronchi).
È nel 1998 che però cominciano le irregolarità ed avvengono a poco tempo dal
giorno in cui il governo decide, attraverso l’ordinanza dell’allora ministro
dell’Interno Giorgio Napolitano, di dare il via ad una moderna e sostenibile filiera
dello smaltimento dei rifiuti. Con l’Ordinanza n. 2774 il 31 marzo 1998 Giorgio
Napolitano dà disposizioni per un progetto di realizzare una avanzata filiera dei
rifiuti, disponendo l’attivazione della raccolta differenziata, con l’obiettivo del 20%
entro il 31 dicembre 1998 e del 35% nei successivi due anni. Il commissari delegato,
presidente della Regione Campania (Rastrelli) è incaricato di stipulare entro
centoventi giorni, a seguito di procedure di gara comunitarie, contratti per la durata
massima di dieci anni di conferimento dei RSU (Rifiuti Solidi Urbani), a valle della
raccolta differenziata, prodotti nei Comuni della Regione Campania, con operatori
52
industriali che si impegnino a rispettare rigorosamente alcuni parametri imposti
dall’ordinanza. In particolare, gli operatori che avrebbero vinto la gara d’appalto
dovevano obbligatoriamente impegnarsi, in primo luogo, a realizzare impianti di
selezione e trattamento della frazione secca e umida del rifiuto indifferenziato, per la
produzione di CDR (Combustibile Da Rifiuto: cioè la frazione secca del rifiuto
indifferenziato, trattata in modo da superare una soglia minima del potere calorifico
per essere bruciate nell’inceneritore) da porre in attività subito (dicembre 1998); in
secondo luogo, a costruire appositi inceneritori predisposti per la combustione del
CDR. In terzo luogo, per evitare indebiti accumuli tra il completamento degli
impianti di selezione del rifiuto indifferenziato e la realizzazione degli inceneritori, il
CDR doveva essere bruciato in altri impianti, anche fuori regione; e per non
pregiudicare la raccolta differenziata, il CDR non doveva eccedere la metà dei rifiuti
complessivamente prodotti in Campania. L’elettricità poi prodotta dagli inceneritori
avrebbe goduto, per un periodo di otto anni, degli incentivi CIP637, cioè di un prezzo
di cessione dell’elettricità generata con i rifiuti quattro volte superiore al costo di
produzione di un normale impianto termoelettrico. Secondo Guido Viale, autore di
diversi libri sulla gestione corretta e virtuosa dei rifiuti e coordinatore dal 2008 del
Forum Rifiuti Campania, «il decreto Napolitano era perfettamente in linea con le
esperienze all’epoca più avanzate di gestione dei rifiuti urbani e ne riproduceva le
fasi e le caratteristiche più importanti»38.
37Questi incentivi hanno un ruolo fondamentale nella questione campana. Questi finanziamenti fanno talmente gola alle imprese appaltatrici nella gestione rifiuti e nel loro successivo incenerimento che più volte hanno fatto carte false pur di riceverli. In origine il CIP6 era un provvedimento del Comitato Interministeriale Prezzi (da qui Cip) che è stato adottato il 29 aprile 1992 con cui vengono stabiliti dei prezzi incentivati per l’energia elettrica prodotta con impianti alimentati da fonti rinnovabili. Nella delibera viene stabilita una maggioranza del 6% del prezzo dell’elettricità pagato dai consumatori finali. Nello stilare la delibera l’Italia però aggiunge alla dicitura «fonti rinnovabili», la voce «ed assimilate». Questa categoria è l’enorme ambiguità sulla quale hanno fatto affari decine di gruppi industriali. Questo perché sul reale significato dell’aggettivo “assimilate” e sui criteri per l’identificazione delle energie “assimilate alle rinnovabili”, non è mai stata fatta chiarezza, con la conseguenza che svariati miliardi, prima di lire e poi di euro sono stati utilizzati per produzioni energetiche tutt’altro che “rinnovabili”. «Ricordiamo le centrali termoelettriche, le produzioni di gas e carbone da residui di raffineria, gli inceneritori di rifiuti non biodegradabili; con la beffa finale che addirittura la produzione di energia dal petrolio in certi casi è riuscita a rientrare nel concetto “di assimilare” alle energie rinnovabili» [Pelanda 2008]. Si calcola che i finanziamenti per queste “dubbie tecnologie verdi” ammontano a circa 30 miliardi di euro tra il 1991 e il 2003 che invece, nel resto d’Europa sarebbero andati tutti alle vere fonti di energie rinnovabile quali il sole, l’acqua, l’aria. Scrive Sabina Morandi «i cip6 (…) hanno reso l’Italia il posto migliore dove bruciare spazzatura: per il futuro di un Paese, non ci potrebbe essere incentivo peggiore». 38 Viale G., 2008. “Azzerare i rifiuti, vecchie e nuove soluzioni per una produzione e un consumo sostenibili”, Bollati Boringhieri.
53
3. Genealogia di un disastro.
3.1 La prima violazione del Decreto Napolitano: il bando di gara non rispetta le
normative vigenti.
Il 12 giugno, tuttavia, con i decreti commissariali n. 58 e 59 avvengono le prime
violazioni, approvando la stesura del bando di gara indetto dal
presidente/commissario Rastrelli. Avvenne quello che Paolo Rabitti – perito della
procura di Napoli e autore di un importante libro di denuncia sulla questione
campana – chiama un vero e proprio «sabotaggio al sistema integrato di gestione dei
rifiuti progettato da Ronchi e Napolitano» [Rabitti 2008 p. 34]. L’autore precisa che
«i decreti commissariali nn.58 e 59 del 12 giugno 1998 che approvano il bando di
gara, il capitolato d’oneri e la lettera d’invito, stravolgono l’impostazione originaria
del progetto, volta a favorire lo sviluppo della raccolta differenziata». Il bando viene
irregolarmente «dimensionato per il trattamento di tutti i rifiuti prodotti dalla
regione e non soltanto quelli che residuavano dalla raccolta differenziata» [Viale
2009 p. 96-97].
Nel bando e nella lettera d’invito relativi si richiedono inoltre referenze solo per
l’impianto di incenerimento (l’aver costruito almeno un’altro inceneritore in passato)
e la produzione di energia. Nulla si richiede in relazione all’esperienza necessaria per
gestire gli impianti dedicati alla produzione di CDR. La richiesta lacunosa di queste
referenze farà si che «la gara sarà vinta da una ATI che non riuscirà mai a produrre
CDR né a norma né, tanto meno, compost»39 [Rabitti 2008]. Gli impianti di
compostaggio risultavano fondamentali nel progetto Napolitano, proprio perché
attraverso questo processo si trasforma il rifiuto organico, frutto della raccolta
differenziata, in un ammendante per suoli agricoli, permettendo il riuso della parte
putrescente dei rifiuti, la stessa che fermentando nei rifiuti nelle discariche e per
strada crea il percolato, un liquido altamente inquinante.
Il 12 ottobre 1998, il ministro dell’Ambiente Ronchi invia al commissario
Rastrelli una nota di forte critica, scrivendo che innanzitutto il dimensionamento
degli impianti non è consentibile in base all’Ordinanza e, comunque, non è conforme
39 L’ATI vincitrice era la Fibe (sigla ottenuta dai nomi delle imprese Fisia, Impregilo, Babcok, Evo Oberrhausen), con capofila Fisia del gruppo Impregilo. L’Impregilo si occuperà delle opere civili e la Fisia dovrà invece costruire e gestire gli impianti.
54
agli obiettivi ambientali perseguiti. Secondo, che il combustore non può bruciare
altri rifiuti al di fuori di quelli prodotti dal trattamento degli RSU a valle della
raccolta differenziata. Terzo, che il dimensionamento degli impianti in
coordinamento con gli obiettivi di raccolta differenziata costituisce una precisa ed
esplicita prescrizione. Quarto, che non è stato considerato l’obbligo di realizzare gli
interventi necessari per la produzione di compost da frazione umida raccolta
separatamente. Il ministro contesta categoricamente lo stravolgimento della politica
mirante all’aumento della raccolta differenziata e ritiene illegittimo il procedimento
adottato dalla Regione Campania con il suo presidente, il commissario Rastrelli.
3.2 La posta in gioco è alta: intervengono le banche.
Il giorno successivo alla lettera di Ronchi interviene “l’artiglieria pesante”, come
viene definita da Rabitti. Giuseppe Zadra, direttore generale dell’ ABI (Associazione
Bancaria Italiana), «invia al commissario delegato Rastrelli alcune considerazioni
del sistema bancario sulle problematiche di finanziamento degli impianti da
realizzarsi nella Regione Campania, in relazione alle prescrizioni descritte nel bando
di gara e al capitolato d’oneri» [Rabitti 2008]. L’ABI, infatti, in base al suo ruolo di
erogatore di moneta sonante e di finanziatore, avanza delle richieste ben precise.
Zadra richiede modifiche alle tariffe, pretende che venga prevista una penale per quei
Comuni che non conferissero la quantità totale dei rifiuti alla futura ditta appaltatrice,
secondo una formula Deliver or Pay, penalizzando di fatto la raccolta differenziata: i
Comuni dovevano conferire la quantità minima di rifiuti fissata e l’obbligo a pagare
anche per la quantità non apportata. In poche parole, «i Comuni che fanno la raccolta
differenziata devono comunque pagare a chi gestisce gli impianti la stessa tariffa che
dovrebbero pagare se non avessero fatto alcuna raccolta differenziata» [Viale 2009].
Questa richiesta, secondo il gip Rossana Saraceno, avviene perché la diminuzione di
un terzo dei rifiuti da conferire agli impianti CDR avrebbe avuto conseguenze
economiche negative per chi avesse vinto la gara d’appalto40. Riassume dunque
Rabitti: «più un Comune si impegna a limitare la produzione di rifiuti più deve
40 Nota Rabitti: «dietro le solite parole in inglese c’è un’italica fregatura: deliver or pay vuol dire che, se i Comuni non conferiranno la prevista quantità dei rifiuti perché sono riusciti al limitarla con la raccolta differenziata, dovranno essere obbligati a versare la tariffa anche per la quantità non apportata».
55
pagare. Pagare perché fa la raccolta differenziata costa e perché non conferisce
abbastanza rifiuti a Impregilo» (vedi nota 37 N.d.A.). E dunque, «i soldi a chi devono
andare? All’Impregilo e alle banche. Altrimenti si esporrebbero troppo. Come
farebbero a produrre energia pagata a così caro prezzo dallo Stato se, come previsto
dal piano rifiuti, si raccogliesse in modo differenziato il 25% tra gli imballaggi e
frazione secca, cioè quella che brucia meglio e produce calore?» [Rabitti 2008].
Proprio per la capacità calorifica di determinati materiali l’ABI propone come una
delle clausole di legare la tariffa per lo smaltimento dei rifiuti alla loro capacità di
produrre calore, per consentire di determinare i mutamenti in grado di influire sul
potere calorifico finale del combustibile. «Quindi, i Comuni dovrebbero pagare
anche per raccogliere carta e plastica. L’inceneritore è il vero affare, e non si deve
toccare» [ibidem] 41.
Ma le richieste non si fermano qui, e Zadra propone l’esplicita modifica del
bando in cui il recupero energetico del CDR prodotto (e di conseguenza gli incentivi
CIP6 ad esso connessi) non sia obbligatoriamente effettuato in altre regioni con altri
impianti, ma che possano giacere sul suolo campano fino a dieci anni sino alla
scadenza dell’affidamento. Allegata alla lettera vi è una nota datata ottobre 1998 e
non firmata, che riporta alcune considerazioni volte a consentire il finanziamento
degli investimenti previsti con tecniche di project financing. Semplificando, la
tecnica che viene proposta consiste nel finanziamento della realizzazione di un’opera
in cambio della cessione dei proventi derivanti dall’esercizio dell’opera stessa per un
certo numero di anni42. Sottolinea l’Autore in modo inequivocabile: «Il direttore
dell’ABI, a nome dell’intero sistema bancario italiano, si intromette in una procedura
d’appalto europea in corso, chiedendo di modificare le condizioni» [ibidem]. Il
Commissario delegato Rastrelli invece di rispondere negativamente e denunciare la
vicenda come una intromissione in una procedura d’appalto, in data 24 ottobre 1998,
risponde al presidente dell’ABI che la gara d’appalto è in corso, e quindi non si
possono modificare le condizioni, ma che dopo la gara, attraverso i successivi
41 Con le parole di Viale: «lo scopo è massimizzare i rifiuti da bruciare, cioè gli incassi da produzione di energia elettrica. La logica è chiara: con incentivi del genere, più rifiuti ci sono più si guadagna». 42 Rabitti porta l’esempio della costruzione di un’autostrada finanziata ipoteticamente da una banca. Questa però richiede di incamerare per un certo numero di anni i pedaggi pagati dagli automobilisti. Prima di finanziare la costruzione dell’infrastruttura, la banca evidentemente cercherà di capire se l’opera potrà ripagarsi , verificando il volume di traffico, la durata della concessione, il costo e le frequenze della manutenzione e così via.
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strumenti di definizione dei rapporti (accordo di programma, contratti), sarà possibile
prendere in esame le considerazioni esposte nella nota. «In realtà, Rastrelli non può
rispondere a Zadra che gli accordi li faranno dopo, perché questo vuol dire che le
condizioni specificate nel bando e nel capitolato valgono solo per qualcuno (cioè il
vincitore della gara N.d.A.) e non per tutti» [Rabitti 2008].
Questo interevento, alquanto insolito, potrebbe passare in secondo piano dato che
si tratta di una missiva tra l’ABI e il commissario Rastrelli, e che la gara d’appalto
ancora non è chiusa (si svolge infatti tra il 30 ottobre data di presentazione delle
offerte e il 23 dicembre 1998 verbale di aggiudicazione) e ci sono più offerenti. Ma
l’anomalia appare ancora più evidente il 30 ottobre 1998 alla presentazione
dell’offerta dell’ATI capeggiata da Fisia Italimpianti, facente capo a Impregilo.
3.3 La seconda violazione: una gara d’appalto con un vincitore non qualificato.
Il 30 ottobre 1998 l’ATI Fisia-Impregilo presenta l’offerta con allegata la
dichiarazione richiesta nella prequalificazione, a firma di Paolo Romiti, che si
impegna ad assicurare, nelle more della costruzione del termovalorizzatore di CDR,
il recupero energetico del combustibile prodotto in altri impianti. Il significato del
termine “recupero energetico” – per essere più chiari – è definito dal Decreto Ronchi
come «utilizzazione principale come combustibile o come altro mezzo per produrre
energia».
La dichiarazione di Romiti si rivelerà falsa dato che le vere intenzione
dell’Impregilo erano altre. Sergio Pomodoro, dirigente della Impregilo preposto al
settore concessioni, dichiarerà al pubblico ministero di aver verificato personalmente
«che lo smaltimento del CDR prodotto dall’entrata in funzione degli inceneritori
previsti dal bando di gara era una clausola tecnicamente irrealizzabile, perché
avrebbe dovuto sfruttare le possibilità di incenerimento di tutti i cementifici e degli
impianti a carbone dell’Enel. C’era, inoltre, il problema non secondario del prezzo
che Impregilo avrebbe dovuto pagare per smaltire il CDR» [cit. in Rabitti 2008]. In
pratica, Impregilo partecipa alla gara d’appalto sapendo di non poterne rispettare le
prescrizioni. In questo quadro, la società può permettersi di esporre condizioni
economiche molto più favorevoli degli altri concorrenti e, quindi, vincere la gara
anche con un progetto assolutamente inefficiente. In più, nell’ambito della stessa
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dichiarazione Romiti scrive che si impegna a smaltire il CDR nelle more dell’entrata
in funzione dell’inceneritore. Però, vincola l’offerta alla lettera inviata due settimane
prima dall’ABI (che è in relazione al bando un privato, un estraneo alla procedura di
gara) che richiede esattamente il contrario, cioè di accumulare il CDR fino all’entrata
in funzione dell’inceneritore e bruciarlo entro dieci anni di durata del contratto.
L’offerta subordinata alle richieste dell’ABI risulta essere stranamente molto
dettagliata e precisa; come nota Rabitti: «il carteggio tra Zadra e Rastrelli non era
rivolto a nessun altro destinatario. Come faceva Romiti a conoscerlo? E come poteva
permettersi di citarlo come condizione vincolante per l’offerta senza che la
Commissione aggiudicatrice rilevasse che non era un documento di gara e che
l’offerta contrastava con quanto previsto dagli stessi documenti di gara e dalle norme
sugli appalti?». Una parziale risposta a questa domanda la troveremo in seguito, nella
decisione finale della Commissione aggiudicatrice dell’appalto.
Nel frattempo passano i giorni e il 2 dicembre 1998, Antonio Rastrelli si dimette
da presidente della Regione: «Rastrelli si chiama fuori, e sostiene di non avere alcuna
responsabilità in questo sfacelo, avendo rassegnato le dimissioni da presidente della
Regione poco dopo la conclusione della gara d’appalto» [Rabitti 2008].
Se analizzassimo da vicino la gara d’appalto, scopriremmo che a gareggiare
c’erano partecipanti molto più qualificati a vincere e a gestire efficacemente la filiera
dei rifiuti. Il risultato delle valutazioni della Commissione per l’appalto fornirà
tuttavia, conclusioni “inaspettate”. Alla gara partecipano tre ATI, una delle quali in
seguito non presenterà un’offerta «ritenendo la gara stessa viziata da irregolarità
formali e sostanziali rispetto alla normativa vigente in materia di appalti pubblici».
Ne rimangono altre due capeggiate rispettivamente da Fisia Italimpianti e Forster
Wheeler. La Commissione di valutazione apprezza molto il secondo progetto. «Il
progetto è perfetto, completo in ogni sua parte e prevede tre discariche, correttamente
dimensionate per accogliere circa il 30% dei rifiuti in ingresso. È quello che vince?
No, è l’altro» [Rabitti]. E di fatti il 23 dicembre 1998 vince la gara d’appalto per
l’intera Regione Campania il progetto Fisia Impregilo grazie ad un’offerta
condizionata alla positiva soluzione dei problemi posti dall’ABI, in evidente
contrasto con la dichiarazione di impegno e con l’espressa accettazione di tutte le
clausole e previsioni del capitolato.
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Viene scelto dunque il progetto che la commissione tecnica giudica peggiore:
«che prospetta di produrre compost senza fare la raccolta differenziata della frazione
organica, ma ricavandolo dal rifiuto indifferenziato, e in quantità decisamente
superiore alla capacità di trattamento degli impianti: prova evidente che fin
dall’inizio non si intende produrre compost, per il quale ci vuole la raccolta
differenziata, né stabilizzare – cioè rendere inoffensiva – la frazione «umida» del
rifiuto indifferenziato; bensì solo scartare e chiamare «compost» tutto ciò che non è
rifiuto combustibile da avviare all’incenerimento» [Viale 2009]43.
La Fibe prometteva inoltre di consegnare il termovalorizzatori entro il 31
dicembre 2000, ma proprio in quella data «non solo non c’era il termovalorizzatore,
non c’erano neppure le autorizzazioni alla costruzione edile!» [Gribaudi 2008].
3.4 Il progetto passa/non passa la Valutazione di Impatto Ambientale e peggiora in
corso d’opera.
Passa poco tempo e il 19 gennaio 1999 Andrea Losco diventa presidente della
Regione Campania e commissario all’emergenza rifiuti.
Alcuni mesi dopo, nel giugno dello stesso anno, i progetti degli impianti CDR
della provincia di Napoli sono inviati alla Commissione ministeriale per la
valutazione dell’impatto ambientale (VIA) in ossequio al capitolato d’oneri: «il
progetto esecutivo sarà redatto conformemente alle indicazioni progettuali proposte
in sede d’offerta, con le sole variazioni che si rendessero necessarie a seguito del
rilascio dal parere per la valutazione degli aspetti ambientali». Il progetto però è già
fallacce, e difficilmente potrebbe avere parere positivo dalla Commissione VIA, che
il 30 luglio 1999 si esprime disapprovando negativamente tutta la proposta Fisia:
critica il dimensionamento degli impianti per l’intera produzione di RSU della
Regione, che non tiene conto dei flussi di materiali che dovrebbero essere recuperati
43 Nelle parole di Gabriella Gribaudi, docente e studiosa di storia contemporanea, possiamo trovare un’estrema sintesi di quello che è avvenuto durante questa famigerata gara d’appalto: «Il valore tecnico del progetto Fibe era stato giudicato con 4.2 punti, meno della metà della concorrente che aveva ottenuto il punteggio di 8,6 punti. Nonostante ciò l’impresa si aggiudicò l’appalto. Vinse offrendo un prezzo inferiore per lo smaltimento e una messa in esercizio più veloce. Il termovalorizzatore proposto era tecnologicamente arretrato, come si evince dal diverso punteggio acquisito, non dava garanzie dal punto di vista ambientale e dal punto di vista di una buona realizzazione di energia. Come sottolinea la relazione della commissione parlamentare d’inchiesta del 2007 l’emergenza fu interpretata nel senso solo del tentar di fare presto e non, più ragionevolmente, del fare presto e bene».
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separatamente con la raccolta differenziata; la «mancata individuazione dei siti e
delle modalità di stoccaggio del CDR prodotto prima dell’attivazione dei
termovalorizzatori (complessivamente circa 1.300.000 m3) e delle discariche e degli
impianti di trattamento e smaltimento degli scarti prodotti dai cicli di selezione; la
scarsa innovatività delle tecnologie proposte per gli aspetti impiantistici, peraltro
sviluppati in modo ripetitivo e spesso identico negli elaborati presentati caratterizzati
da estrema sinteticità e generalità». Ma la Commissione VIA sottolinea che il suo
ruolo non è quello di approvare i progetti, ma solo esprimere un parere sugli impatti
ambientali. E così precisando, il suo compito limitato, l’ente «si dichiara quasi
impotente: la carenza di alternative progettuali non consente un confronto, e quindi
di valutare se la realizzazione degli impianti proposti sia la soluzione che garantisce i
maggiori benefici ambientali» [ibidem]. Il VIA si limita quindi a fornire alcune
prescrizioni generiche atte a mitigare gli impatti, e «non affronta in alcun modo le
tematiche impiantistiche né la discrepanza tra quanto previsto dal bando e quanto
proposto da Fisia relativamente al CDR prodotto prima dell’entrata in funzione degli
inceneritori» [ibidem]. Ma questo parere decisamente critico, viene però spacciato
come approvazione da parte della commissione VIA.
Potrebbe dunque, andar peggio di così per la salute e l’ambiente della
popolazione campana? La risposta, come abbiamo visto tutti, purtroppo è sì. Lo
schema dei progetti degli impianti localizzati a Caivano e Giuliano ed inviati alla
Commissione VIA inoltre, era molto diverso rispetto a quello approvato
successivamente dal commissario nel maggio 2000. «È come se Fisia-Impregilo
inviasse al commissario un proclama che tecnici come Vanoli e Acampora (tecnici
del Commissariato N.d.A.) non possono non capire: “il progetto presentato in gara
era pro forma. Non ci interessa affatto produrre CDR di qualità né compost.
Vogliamo solo separare i rifiuti producendo più frazione secca possibile, tanto il
nostro inceneritore può bruciare anche i rifiuti urbani». Rispetto al progetto valutato
precedentemente dalla Commissione VIA a quelli autorizzato dal commissario è
nettamente peggiore, lo scopo ultimo della Impregilo è evidentemente quello di
ricalibrare gli impianti per fare in modo che si produca quanto più materiale
calorifero da bruciare negli inceneritori. Lo scopo per l’ennesima volta non è quello
di attuare un corretto ciclo di smaltimento dei rifiuti e salvaguardare l’ambiente e la
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salute dei cittadini, ma quello più utilitaristico di manipolarne la filiera per riuscire
ad avere quanto più carburante da smaltire negli inceneritori, fonte a loro volta di
ingenti finanziamenti statali dei CIP6.
3.5 La terza violazione: scompaiono alcune clausole dai contratti per lo smaltimento
dei rifiuti, comincia l’invasione delle Ecoballe.
Il 16 aprile 2000 Antonio Bassolino diventa presidente della Regione e
commissario dell’emergenza rifiuti. Già da maggio di susseguiranno una serie di
Ordinanze che approveranno – dopo dei collaudi alquanto superficiali effettuati da
tecnici qualificati – in via definitiva i CDR di Pianodardine, Giugliano, Caivano e
Santa Maria Capua Vetere.
Il 7 giugno avviene la terza violazione in cui Bassolino firma il contratto per lo
smaltimento dei rifiuti nella Provincia di Napoli. Nel contratto viene saltata la frase
che avrebbe costretto Fisia a smaltire all’esterno il CDR prodotto prima dell’entrata
in funzione dell’inceneritore (venti parole di un’importanza fondamentale). Salta la
clausola dell’ordinanza Napolitano n. 2774/98 che stabiliva l’erogazione del CIP6
solo su CDR prodotto con al massimo metà dei rifiuti urbani conferiti prima della
raccolta differenziata per non disincentivare la raccolta differenziata. Il contratto
viene dichiarato conforme, ma non è così. Bassolino si è difeso davanti ai magistrati
sostenendo che non ha letto i provvedimenti che ha firmato, ma il gip obietta: «Deve
ritenersi che al momento della firma dei provvedimenti gli siano state almeno
illustrate le soluzioni adottate dalla struttura tecnica, e formalmente validate con la
firma delle Ordinanze, soluzioni che, secondo la comune esperienza, non possono
non essere precedute sia per chi le propone sia per chi li ascolta, dalla necessaria,
ancorché sintetica, illustrazione del problema tecnico che intendono risolvere» [cit.
in Rabitti 2008]44. I pezzi del mosaico dell’industria dell’emergenza cominciano a
44 Rabitti, per rendere l’idea di come l’omissione di sole venti parole dal contratto in questione siano economicamente vantaggiose effettua una semplice operazione matematica. Calcola che il contributo dei CIP6 si aggira sui 300 £/kg e moltiplicato per il CDR prodotto in 2 anni (più o meno 2.500.000. tonnellate) avremmo dei finanziamenti pari 227 milioni di euro (450 miliardi del vecchio conio). Se invece il contratto fosse stato rispettato e quindi si erogassero fondi CIP6 solo su CDR con “solo” la metà dei rifiuti urbani conferiti prima dell’inizio della raccolta differenziata, tenendo presente che il contributo riguarda i primi otto anni, il mancato guadagno per la Impregilo sia aggirerebbe intorno ai 453 milioni di euro (900 miliardi di lire). «è questo il vero motivo per cui Impregilo non può sottoporsi alle condizioni stabilite dal bando di gara e del capitolato d’oneri. Se dovesse cedere ad altri il CDR, non solo perdere le 300 £/Kg di contributo, ma dovrebbe pagarne lo smaltimento» [ibidem].
61
incastrarsi. «Le modifiche contrattuali caldeggiate dall’ABI, tenute in caldo da
Rastrelli e approvate da Bassolino comportano in teoria un maggior guadagno per
Impregilo di quasi settecento milioni di euro. Ecco perché Impregilo non vuole
mollare i CDR» [ibidem].
Si da così il via ufficiale all’invasione in Campania di milioni di Ecoballe45 che
hanno «determinato le proteste delle popolazioni locali e comportato la ricerca
spasmodica di nuove e sempre più vaste aree di stoccaggio a fronte di quantitativi di
CDR prodotto in misura assai superiore rispetto alle percentuali previste dagli
originari bilanci di massa» [dichiarazioni del gip in Rabitti 2008].
Finora il contratto “non letto” e firmato da Bassolino è solo quello riferito alla
Provincia di Napoli, quindi si potrebbe pensare ad una fatale quanto improbabile
leggerezza. La prima volta è la tragedia, dice una vecchia massima; ma quando il 5
settembre 2000 Bassolino firma il contratto per lo smaltimento dei rifiuti nelle altre
province campane recante le stesse omissioni, il sapore è evidentemente quello della
farsa.
Avvengono ulteriori collaudi provvisori agli impianti CDR di Santa Maria Capua
Vetere, Tufino, Casalduni, Battipaglia, Giugliano, Caivano (poi diventato definitivo
nel 2005).
3.6 Quarta violazione, “emergenza nell’emergenza”: i siti di stoccaggio provvisorio
diventano a tempo indeterminato, un business imperdibile per la camorra.
Nell’agosto 2002 il vicecommissario all’emergenza rifiuti Vanoli adotta due
Ordinanze a distanza di pochi giorni l’una dall’altra. Il 5 agosto 2002 con la n.275,
dispone l’apertura degli impianti di produzione di CDR anche nei giorni festivi e
prefestivi. Dopo tre giorni, con la n. 286, dispone che la Fibe aumenti le capacità di
conferimento di ogni impianto nei limiti di portata oraria di esercizio previsto per la
singola linea nel corso del periodo. «Le motivazioni delle Ordinanze sono singolari»
45 Ecoballe è il nome dato al CDR impacchettato in grossi parallelepipedi che di ecologico a questo punto ha ben poco data la sua pessima qualità. La magistratura in seguito a un esposto del senatore Tommaso Sodano nel 2005 ha sequestrato gli impianti per il CDR perché irregolari, ma poi sono stati successivamente riaperti perché necessari per la filiera del trattamento degli RSU. La stessa magistratura ha infine declassato il combustibile derivato dai rifiuti (codice CER 19 12 10), a rifiuto prodotto dal trattamento meccanico dei rifiuti (CER 19 12 12). Insomma, quelle balle prodotte “non si potevano bruciare”. Il tempo al passato è d’obbligo perché lo stato di emergenza come vedremo ha cambiato molti paradigmi.
62
afferma Rabitti: «non è accertato alcun aumento di produzione di RSU»46. In base a
una previsione mai verificata di un aumento nei conferimenti RSU, e dando per
scontato che il CDR possa non essere conforme ai parametri prescritti, il
commissario consente la verifica delle caratteristiche del prodotto al momento ancora
indefinibile della sua combustione, consentendo lo stoccaggio a tempo
indeterminato.
Questi stoccaggi perlomeno “illeciti” secondo il Decreto Ronchi non possono
avere giacenza superiore a un anno. «Dopo un anno gli stoccaggi cessano di essere
depositi temporanei, autorizzati dalle legge e diventano discariche: costano troppo, e
si mette a carico del commissario – cioè di tutta la nazione – la differenza tra il
prezzo pagato alla camorra, proprietaria delle aree di stoccaggio, e quello che
l’appaltatore aveva concordato nella sua offerta al ribasso» [Viale 2009] »47.
La legge in vigore (Decreto Legislativo n. 36/2003, art. 2 lett. g.) stabiliva che
doveva essere considerato come discarica lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero
o trattamento per un periodo superiore a tre anni o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di
smaltimento per un periodo superiore a un anno. Ma si può fare di meglio – o di
peggio, se pensiamo alla sorte dei cittadini campani – traducendo i contenuti del D.L.
in Legge attraverso un particolare iter. Così sarà nel 2005, come vedremo al termine
del prossimo paragrafo.
46 Nota Rabitti riferendosi a quel preciso periodo: «(…) Sono attivi sul territorio regionale solo quattro su sette degli impianti di produzione del CDR e la quantità di rifiuti conferita presso gli impianti attivi è inferiore alla produzione giornaliera di RSU; pertanto si ritiene necessario che la Fibe attivi al massimo la capacità di ricevimento dei rifiuti». 47 Gli stralci di un articolo da «Il Corriere del Mezzogiorno» sono emblematici: «(…) Quando si capisce che il piano rifiuti decolla, ma che langue la costruzione dei termovalorizzatori (tre anni di ritardo sulla tabella di marcia), la Fibe si mette alla disperata ricerca di suoli per stoccare le migliaia di balle di Cdr […]. A un certo punto della storia dell’emergenza campana, ci si rende conto che occorrono la bellezza di due milioni di metri quadrati per stoccare tutta questa schifezza. Una schifezza che fa gola, eccome. Perché? I conti sono presto fatti: si tratta di guadagnare oltre 25 milioni di euro (cinquanta miliardi di vecchie lire, per intenderci) su aree di scarsissimo (o nessun) pregio. Ed ecco che tutta questa corte dei miracoli, composta da faccendieri, camorristi e colletti bianchi, fa a gara per offrire location alla Fibe». Articolo di Nino Femiani “Terreni d’oro per le discariche – Pagati 24 volte il valore iniziale – La Fibe li ha comprati da società e strani intermediari. Indaga la Procura antimafia”, «Il Corriere del Mezzogiorno», 22 settembre 2005; cit. in “Bollettino delle Assise della città di Napoli e del Mezzogiorno” anno I ottobre-novembre 2007
63
3.7 Quinta violazione: il CDR non è più formalmente a norma, uso sistematico della
deroga.
Dopo pochi mesi arriva un’altra Ordinanza che suggella la disfatta dei CDR. Con
l’Ordinanza n. 391 del 3 dicembre 2002, il subcommissario Vanoli consente a Fibe di
produrre CDR con caratteristiche qualitative inferiori a quanto richiesto dal contratto.
Prescrive inoltre che, nel caso di mancato rispetto di questi limiti, la Fibe dovrà
provvedere all’attivazione dei trattamenti necessari per il rientro nei parametri,
oppure a smaltire il prodotto. Vanoli proroga però sino alla fine del 2003 anche i
provvedimenti con i quali ha disposto la verifiche delle caratteristiche del CDR al
momento della combustione. «In parole povere, Fibe può produrre quello che vuole,
rimandando a un futuro più o meno lontano l’analisi del prodotto» [ibidem].
La situazione diventa nel frattempo sempre più critica, ma non si esegue neanche
la manutenzione ordinaria degli impianti a causa del funzionamento anche nei giorni
festivi e prefestivi. Pertanto, dopo aver ordinato ingiustificatamente che gli impianti
lavorino anche nei giorni festivi, si stabilisce che proprio per tale motivo non si
possono eseguire le manutenzioni. Dal momento che gli impianti non lavorano a
regime si decide che non debbano rispettare le prescrizioni contrattuali. «La
situazione è paradossale», sintetizza Rabitti: «il commissario, senza che nessuno mai
ammetta che ve ne sia la necessità e in base a una situazione emergenziale mai
verificata, impone di far lavorare gli impianti anche nei giorni festivi. Così può
giustificare le mancate manutenzioni e quindi la produzione di materiale non a
norma. Per questo motivo emana una serie di Ordinanze che permettono a Fibe di
produrre CDR con caratteristiche inferiori di quelle richieste dal contratto. E invece
di essere incenerito come da capitolato in impianti dedicati (nelle more…), finisce in
stoccaggi provvisori che non sono stoccaggi provvisori, ma discariche non
autorizzate. Le faranno ridiventare stoccaggi a colpi di Ordinanze e Decreti Legge o
Leggi» [ibidem].
Come si fa allora a cambiare la legge, in particolar modo il Decreto Ronchi che
ne limita la giacenza per più di un anno? Rabitti spiega concordando con i giudici
che lavorano sul caso, che ci sia stato un uso speculativo e sistematico dello
strumento della deroga: «che significa deroga? Significa che, per motivi di
emergenza, un’amministrazione può essere autorizzata a non tener conto di quanto
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disposto da una determinata norma. (…) la legge, però dispone che la deroga sia
giustificata da situazioni di necessità e di temporaneità, che nella situazione campana
non sussistono come afferma il gip». L’uso sistematico della deroga non consente di
distinguere più tra esigenze ordinarie ed esigenze straordinarie imposte da situazioni
di necessità. Un esempio dell’uso proficuo (per la Impregilo) della deroga è il
Decreto Legge del 17 Febbraio 2005 n. 14, recante “Misure urgenti per fronteggiare
l’emergenza nel settore dei rifiuti nella Regione Campania”. Il Decreto stanzia venti
milioni di euro per iniziative di adeguamento tecnico-funzionale degli impianti
medesimi da parte di Fibe. Rabitti denuncia che questa «è la conferma che il
Governo sa benissimo che gli impianti producono materiale non conforme. Ma i
soldi non bastano, bisogna giustificare gli stoccaggi». Il Decreto legge è convertito in
Legge il 15 aprile 200548. Il progetto della Fibe si è dispiegato in tutta la sua
redditizia incapacità gestionale. Ormai l’invasione delle discariche non a norma e
con evidenti problemi strutturali – gli stessi che fanno sollevare la popolazione –
sono a norma di legge. A breve parleremo delle discariche e della loro gestione che
ha provocato in Campania gravi danni sanitari e ambientali.
3.8 Tutto va a rotoli. Ergo, tutto va secondo i progetti.
L’indagine sul sistema dei rifiuti campani viene avviata solo in seguito a un
esposto del senatore Tommaso Sodano che denuncia numerose irregolarità.
Nell’aprile 2004, i consulenti ai quali era affidato il compito di appurare eventuali
illeciti, depositano la loro relazione, in cui dimostrano che gli impianti non
producono né CDR né FOS. I pm contestano i reati di inadempimento di contratti di
pubbliche fornitura (art. 355 C.P.) e di frode nelle pubbliche forniture (art. 356 C.P.).
I sette impianti vengono posti sotto sequestro il giorno 3 maggio 2004. Nel frattempo
lo smaltimento ordinario in regime d’emergenza diventa così pressante che il sistema
non si può bloccare. Dopo un lungo tira e molla la Procura della Repubblica
dissequestra gli impianti (26 febbraio 2005) e tra Commissariato e ATI affidataria si
arriva a un accordo: «non si produrranno più nemmeno nominalmente né CDR né
48 Il Decreto legge è convertito nella Legge 15 aprile 2005. n. 53. Al comma 1 dell’art. 2 la Legge di conversione che recita: «i materiali destinati a recupero, prodotti negli impianti di lavorazione dei RSU, sono mantenuti a riserva negli attuali siti di stoccaggio provvisorio sino alla definitiva messa a regime del sistema regionale integrato di smaltimento dei RSU…(corsivo nostro)» [ibidem].
65
FOS con le caratteristiche richieste dal contratto» [ibidem]. Ormai il progetto di
Napolitano e Ronchi è acqua passata. L’emergenza guida a tutti i livelli le decisioni
dei commissari ai rifiuti e lascia la strada al progetto delle Fibe: «con quegli impianti
fuori uso e le discariche piene, i rifiuti si accumulano per le strade e l’emergenza
torna a farsi pressante. Tanto da giustificare nuove ordinanze, nuove deroghe: cioè
l’autorizzazione a produrre compost che non è compost e CDR che non è CDR, ma
solo «merdaccia» per usare il termine usato dai vertici della Protezione civile nelle
conversazioni intercettate» [Viale 2009]. Ultimo strumento da usare periodicamente
e che penderà sulla testa della popolazione campana come una spada di Damocle sarà
il blocco degli impianti CDR. Scrive Rabitti «da diverse conversazioni intercettate
emerge il sistematico ricorso al blocco della ricezione di RSU (Rifiuti Solidi Urbani)
come strumento di pressione per avere le autorizzazioni agli stoccaggi e per
giustificare i provvedimenti».
Giovanni Laino, docente di urbanistica, dà una lettura a questa vicenda:
«l’inefficacia dipende anche da una straordinaria assenza di cura nella
programmazione e nella previsione. Alcuni effetti non sono per niente inattesi:
risultano prevedibili a partire da un lavoro molto approssimativo svolto dai tecnici e
dall’imposizione di decisioni sciagurate. Il caso della crisi dei rifiuti in Campania si
può inserire fra quelli in cui è forte l’intreccio fra gravi carenze del contesto,
condotte illecite e una scadente cultura della pianificazione»49. Un meccanismo che è
cresciuto e si è ingigantito negli anni, ha trovato diversi attuatori e due soli grandi
beneficiari: l’Impregilo e l’ABI. Un meccanismo che aveva come perno l’emergenza
usato come alibi, per agire in deroga alle norme vigenti, per sbloccare ingenti fonti.
Ecco spiegata l’emergenza rifiuti in Campania, ma per capire il perché del suo
aggravarsi e incancrenirsi, se ancora ce ne fosse bisogno, dobbiamo allargare la
nostra analisi ad ulteriori fattori.
3.9 Le localizzazioni avvengono senza criterio: alla Fibe non viene imposto nessun
vincolo o parametro, si rafforza la protesta della popolazione.
La decisione sui siti che dovranno ospitare gli inceneritori, impianti di stoccaggio
CDR, trasferimento e discarica dei rifiuti è un compito molto delicato in una 49 Cit. in Gribaudi G., 2008.”Il ciclo vizioso dei rifiuti” , rivista “Il Mulino” sez. “Osservatorio Italiano”.
66
condizione di ordinarietà e richiede la partecipazione di più attori coinvolti
direttamente nella localizzazione degli impianti. Figuriamoci quale sia la sua
importanza in una condizione di emergenza, di irregolarità e di sfiducia nelle
istituzioni dove l’oculatezza è d’obbligo e la riflessività indispensabile. «Per
un’amministrazione si tratta di scelte difficili, spesso dolorose, che devono passare
sotto la lente di ingrandimento di chi è direttamente interessato e dovrebbero essere
frutto di processo trasparente e ripercorribile. Dovrebbero essere il risultato di una
pianificazione a livello almeno provinciale» [Rabitti 2008].
A partire dal 1988 i singoli interventi, se superano le soglie dimensionali previste
dalle norme, dovrebbero essere sottoposti a valutazione di impatto ambientale. I piani
ora devono passare al vaglio della cosiddetta VAS (valutazione ambientale strategica
dei piani e dei programmi)50. In Campania non è avvenuto niente di tutto questo.
Anzi, accade il contrario. Gli impianti di incenerimento, stoccaggio e smaltimento
dei rifiuti sono stati localizzati sul territorio campano da Impregilo/Fibe/Fisia senza
alcun criterio di programmazione territoriale e tutela ambientale. Una clausola
gravissima nel contratto alla Impregilo e conferma di ciò, è l’indicazione che il sito
del termovalorizzatore venisse scelto liberamente dalla ditta vincitrice. Oltretutto, per
i poteri di deroga del commissariato straordinario dovuti all’emergenza, non veniva
richiesta la valutazione di impatto ambientale (VIA). Poi successive modifiche
all’ordinanza non resero comunque mai obbligatoria una vera valutazione51.
I due termovalorizzatori furono progettati in due località vicine con un impatto
elevatissimo sul contesto ambientale52. Oggetto di forte contestazioni è stato il
50 Direttiva 2001/42/ce del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 giugno 2001 concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente. In Italia è stata recepita nel Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152: Norme in materia ambientale, modificato dal Decreto legge n. 300 del 28 dicembre 2006, convertito in Legge n. 17 del 26 febbraio 2007 51 «La procedure di VIA ha caratteristiche ben codificate sia a livello nazionale che internazionale.(…) La norma precisa chiaramente gli argomenti che devono essere affrontati in uno studio di impatto ambientale, tra cui la valutazione delle alternative del progetto proposto. Le alternative da valutare sono in genere le seguenti: non fare niente (do nothing), fare come da progetto, fare in altro modo, fare con mitigazioni (gli impatti vengono ridotti con misure di mitigazione), fare con compensazioni (gli impatti inevitabili sono compensati con risarcimenti economici o con miglioramenti ambientali in altri settori), fare altrove. In Campania la scelta delicatissima dei luoghi in cui incenerire o accatastare temporaneamente (?) o definitivamente i rifiuti è stata compiuta da Fibe in base a propri criteri mai specificati» [Rabitti 2008] 52 «Il consorzio che vince la gara decide di costruire gli inceneritori a 40 chilometri uno dall’altro, ad Acerra e Santa Maria la Fossa. Difficile immaginare una scelta peggiore: sono aree agricole, niente affatto strategiche per le esigenze di trasporto e anzi difficilmente raggiungibili dalle zone interne della Campania e da quelle a sud di Salerno. Oltretutto nella zona a forte concentrazione camorristica,
67
megainceneritore di Acerra (è notizia di poco tempo fa dell’inaugurazione
“mediatica” – dato il funzionamento intermittente dell’impianto per via dei permessi
sui filtri antiparticolato – del Presidente del Consiglio Berlusconi), la cui storia è nota
ormai a livello nazionale per la strenua lotta che la popolazione ha condotto contro la
sua realizzazione. «Esponenti politici nazionali, organi di stampa, programmi
televisivi hanno spesso descritto la battaglia degli acerrani in termini di arretratezza
culturale e di campanilismo. La realtà è un’altra: la zona di Acerra, che ha già
sofferto i danni di impianti industriali altamente inquinanti come la Montefibre, è
stato definita, da innumerevoli studi, zona ad elevatissimo inquinamento, da
sottoporre a bonifica. È dei primi di luglio del 2006 il decreto che definisce il
territorio di Acerra in stato di emergenza a causa della diossina»53 [Gribaudi 2008].
Dunque, invece della bonifica la cittadina ottiene un altro impianto inquinante. A
causa della tecnologia obsoleta il termovalorizzatore emetterà gas che avranno un
effetto negativo nel raggio di 10 chilometri. Gli esperti lo definiscono, infatti, un
inceneritore, perché non avrebbe affatto le capacità di termovalorizzare, limitandosi a
bruciare i rifiuti con scarsa produzione di energia e alto volume di emissioni
atmosferiche54. L’altro inceneritore, non ancora in costruzione e che dovrebbe
comunque essere edificato dalla Fibe (ora indagata), è previsto a Santa Maria La
Fossa, a circa 20 chilometri di distanza da quello di Acerra. I due grandi impianti,
che dovrebbero bruciare i rifiuti dell’intera regione, sono concentrati, dunque, in una
zona specifica, dove pure si dovranno situare gli impianti di produzione di CDR, i
siti di stoccaggio delle ecoballe, le vie di comunicazione attraverso cui giungeranno
gli autotrasporti da centinaia di chilometri di distanza. Ed è la zona dove viene
prodotto il 70% della mozzarella di bufala campana, uno dei più noti e più venduti
prodotti della regione.
sono già stati riscontrati alti livelli di diossina dovuti probabilmente, alla presenza di numerose discariche abusive» [Morandi 2009]. 53 Il Governo Prodi ha dichiarato lo stato di emergenza con Decreto del presidente del Consiglio dei Ministri n. 4 del 23 giugno 2006 recante dicitura “dichiarazione dello stato di emergenza nel territorio del Comune di Acerra, in Provincia di Napoli, per fronteggiare l’inquinamento da diossina”. 54 «In seguito all’inchiesta della magistratura e alla rescissione del contratto con la Fibe è previsto un revamping dell’impianto per renderlo più moderno e funzionale, quindi meno inquinante, ma la popolazione, giustamente, non ha alcuna fiducia in istituzioni e imprese che si sono dimostrate incapaci e inaffidabili» [Gribaudi 2008]
68
Paolo Rabitti afferma chiaramente la drammatica situazione che si è creata in
Campania è causa proprio dell’arbitrarietà di alcune scelte delicatissime55.
Guido Viale proprio sulla scelta delle localizzazioni osserva che «il litorale
campano da Castelvolturno a Castellammare è una delle aree più densamente
popolate del mondo. Realizzare impianti dall’indubbio impatto ambientale e sanitario
in un contesto del genere non è certo impossibile, ma richiede rigore, selezionando
soluzioni meno lesive dei diritti della popolazione. (…) Invece la localizzazione dei
nuovi impianti sembra seguire una logica opposta: gli impianti vanno fatti nelle aree
già compromesse. Ma questo in un territorio densamente popolato e inquinato dai
rifiuti, equivale a voler avvelenare la popolazione. Ovvio che le reazioni siano
drastiche».
Purtroppo sembrano non bastare le parole degli autori finora citati, seppur
autorevoli e preparati, a denunciare il disastro perpetrato. Un disastro in cui la
camorra fa affari e ha creato uno dei suoi più grandi indotti finanziari.
Una relazione della Corte dei Conti che riporta ampi stralci del lavoro della
Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, dimostra chiaramente che
la possibilità lasciata a Fibe di scegliere i siti in cui smaltire i rifiuti al di fuori di
qualsiasi pianificazione e eludendo ogni valutazione ambientale ha spianato la strada
anche alle ecomafie. «Non può che suscitare perplessità il fatto che i due
termovalorizzatori siano stati allocati a una distanza, in linea d’aria, inferiore ai venti
chilometri. Perspicuamente, la Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei
rifiuti, sottolinea, riguardo a questa scelta né trasparente né partecipata, che il «fatto
(…) che la scelta dei terreni fosse stata affidata alla società aggiudicataria ebbe a
provocare una serie di ricorsi giurisdizionali in sede amministrativa da parte dei
Comuni e altri enti locali, sui cui territori erano stati acquistati a tale scopo i terreni
(…)». Questa stessa relazione, ricordando i ritardi della realizzazione degli impianti,
giustifica le preoccupazioni e le opposizioni della popolazione e delle relative
amministrazioni: «si deve anche ricordare le difficoltà di realizzazione sorte per le
55 «Comitati di cittadini, spalleggiati anche da autorità religiose, che protestano per localizzazioni sbagliate e irrispettose dei loro diritti, autorità che sanno – a volte – mostrare i denti solo contro chi ha poche armi per difendersi, ma non sanno, non vogliono o non possono chiedere il rispetto degli impegni ad aziende di grande nome che hanno creato un disastro per miopi interessi, altri cittadini che chiedono di non annegare nel proprio pattume, anche perché pagano tasse altissime per lo smaltimento dei rifiuti»
69
forti opposizioni locali, sostenute anche dalle amministrazioni comunali e altre
istituzioni, le cui preoccupazioni trovavano in parte fondamento nell’assenza (…) di
una preventiva valutazione di impatto ambientale». La Corte dei Conti si richiama
poi alla medesima relazione in cui si condanna l’intero metodo della gestione
dell’emergenza che, nella speranza di accelerare l’iter della costruzione degli
impianti per la risoluzione della questione, ha creato “un’emergenza
nell’emergenza”.
Nella relazione è sottolineato come «utilizzando misure ritenute idonee ad
accelerare i tempi dell’agire amministrativo, in realtà si è prodotto il risultato di un
rilevantissimo rallentamento della attività stesse che probabilmente sarebbero giunte
a compimento più celermente utilizzando le normali procedure, rispettose delle
esigenze ambientali e della considerazione degli enti esponenziali delle comunità
locali. Infatti, il sottovalutare gli aspetti ambientali ha portato a considerarli
semplicemente come un adempimento solo formale di un’esigenza di accertamento
che richiedeva, necessarie e ineludibili. Tanto ineludibili da riproporsi in tutta la loro
pienezza e imprescindibilità ancor oggi» [cit. in Rabitti 2008].
In buona sostanza - concluderà la Corte dei Conti all’inizio del 2007 – il ciclo dei
rifiuti è, dopo tredici anni di emergenza, ancora aperto, con la parte centrale di esso,
gli impianti di selezione del rifiuto indifferenziato, congestionata dalla mancanza, a
monte, della raccolta differenziata e, a valle, dei termovalorizzatori. «Si è venuta così
a creare una situazione endemica di emergenza, che non trova riscontro in alcun altra
realtà locale d’Europa e che non è degna di un Paese civile» [ibidem]. Parole dure,
accuse chiarissime che ora dovranno ricadere sui diretti responsabili.
Il motivo del perché le aziende in Italia addette alla gestione dei rifiuti abbiano
abdicato la prospettive di riciclaggio per una funesta corsa “all’incenerimento
indiscriminato” – peraltro in contrasto con tutte le leggi precedentemente adottate per
la svolta verso il riciclaggio – consiste nelle migliori delle ipotesi nell’erogazione dei
fondi CIP6 di cui possono usufruire le imprese appaltatrici. Ma anche qui la portata
dell’affare va ben oltre le dichiarazioni ufficiali e gli intenti latenti, come vedremo,
molte volte nascondo anche profitti e guadagni spalleggiati sovente dalle
organizzazioni criminali.
70
4. I rifiuti in Italia diventano il nuovo business: le ecomafie ne approfittano e
fanno affari d’oro con le imprese italiane. È l’inizio dell’emergenza sanitaria e
ambientale.
La nuova frontiera delle mafie e degli illeciti, dunque, pare proprio essere lo
smaltimento fraudolento di rifiuti urbani ed industriali. Non è una novità dato che
praticamente tutti i report di Enti istituzionali e le relazioni documentate di
associazioni della più svariata entità, ne parlano in modo molto dettagliato. In questo
paragrafo se ne riporterà una breve rassegna. Tutto quello che è stato scritto è
abbastanza esplicativo sul nuovo business dei rifiuti e rimandiamo alle numerose
pubblicazioni prodotte in questi anni. Cominciamo subito col dire che il 30% dei
rifiuti tossici in Italia viene smaltito in modo irregolare. «Un giro d’affari sporchi da
132 miliardi di euro negli ultimi dieci anni»56. Da tempo la fonte più autorevole e la
sintesi più puntuale degli affari dell’ecomafia in Italia viene stilata da Legambiente
che, analizzando i flussi dei rifiuti che circolano nel nostro Paese, è riuscita a mettere
a fuoco le nuove frontiere delle mafie operanti in Italia e la loro stretta connivenza
con le industrie, desiderose di risparmiare sul costo delle loro “esternalità negative”.
Nel dettaglio Legambiente osserva che «il rapporto tra le organizzazioni criminali e
il mondo imprenditoriale non è più fondato sull’estorsione e sul ricatto, ma si sta
evolvendo a causa del tentativo da parte dei primi di creare un rapporto di tipo
“simbiotico” con i secondi, al fine di poter trarre vantaggio comune. Infatti, in
passato, il pagamento di una “tangente”, spesso periodica, a esponenti criminali,
induceva a ritenere l’imprenditore vittima del clan, mentre le indagini più recenti
hanno evidenziato che quelle dazioni di denaro spesso vanno considerate alla stregua
di “contributi associativi”, correlati a un aumento del volume di affari conseguente
alla aggiudicazione di gare d’appalto, in virtù dell’illecita interferenza delle
organizzazioni criminali»57. L’azione delle ecomafie secondo popolari giornali
economici «si è dunque dimostrata un’azienda florida, in grado nel 2004 di inserirsi
tra i dieci big dell’industria nazionale subito alle spalle di colossi come Eni, Fiat,
Enel con un fatturato di 24 miliardi e 600 milioni di euro»58. Il piatto è ghiotto e
56 “Rapporto Noe” 2004. cit. in “Il Manifesto”, 23 dicembre 2004 57 Legambiente, 2007. “Rapporto ecomafia, 2007” 58 «il denaro» 1 giugno 2005.
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nessuno si fa sfuggire l’occasione e molti imprenditori entrano nel circuito
perpetrando però dei veri e propri crimini. «Il mondo dei rifiuti si è andato popolando
sempre più di una varietà di soggetti che, nella gran parte dei casi, non ha un
precedente criminale, ma si collega con i criminali: in generale si tratta di imprese
legali, uomini d’affari, funzionari pubblici, operatori del settore dei rifiuti, mediatori,
faccendieri, tecnici di laboratorio, imprenditori del settore dei trasporti. Questi
soggetti sono inseriti nel gangli essenziali del mercato legale ma iniziano a fare
dell’illegalità, della simulazione, dell’evasione sistematica di qualsiasi regola e della
corruzione, le regole ispiratrici della propria condotta»59. La magistratura e i
procuratori antimafia infatti, si trovano sempre più spesso ad indagare sulle nuove
attività della criminalità “molto” organizzata e denunciano un sistema produttivo
industriale malato e criminale che scarica sulla salute delle persone i propri costi di
produzione. «L’impressione generale suggerisce che il grosso affare dell’emergenza
rifiuti non sia semplicemente il frutto di un’attività criminale occasionale, ma sia
legato ad un preciso orientamento di alcuni settori del mondo produttivo, sia locale
che nazionale, desiderosi, come può essere logico per un’impresa, di ridurre i costi –
conseguentemente aumentando i profitti – e disponibili a far ciò anche attraverso una
costante violazione delle regole del gioco. Se tutto ciò potesse essere giustificato
nell’ottica di un’impresa, diventa però criminale dal punto di vista della violazione
delle leggi e, soprattutto, riprovevole da un punto di vista etico»60.
Il quadro comincia a essere chiaro: il nuovo settore di punta della criminalità
organizzata è il crimine ambientale, che rende molto, è poco rischioso e apprezzato
dal sistema produttivo nazionale, che in Campania e nel Mezzogiorno trova numerosi
canali di collegamento. Come confermato anche dalle analisi dell’Osservatorio
Nazionale di Legambiente in collaborazione con l’Arma dei Carabinieri: «La
direttrice nord-sud resta a lungo quella privilegiata dai trafficanti, che partendo
dall’aree di maggior produzione dei rifiuti, trasformano in enormi discariche abusive
vaste zone del Mezzogiorno. Si possono individuare, in questo contesto, una “rotta
adriatica” con terminale in Puglia, ma anche in Abruzzo e Romagna, e una “rotta
59 Grasso P., Procuratore nazionale antimafia, 2007. in “Rapporto Ecomafia, 2007”. 60 Grasso P., Procuratore nazionale antimafia, 2007. in “Rapporto Ecomafia, 2007”.
72
tirrenica” con terminale in Campania, Lazio e Calabria»61. Il business imprese del
Nord e sversatoi al Sud mette d’accordo tutti, anche i gruppi mafiosi più competitivi.
«Camorra e ‘ndrangheta, una volta contrapposti, hanno fatto pace proprio sul tavolo
dei rifiuti – non c’è ciclo industriale che non abbia da affrontare il tema dello
smaltimento dei rifiuti»62.
Cosche e famiglie mafiose pronte a gemellarsi per un indotto economico che ha
cambiato radicalmente la faccia della malavita organizzata. Un’organizzazione
criminale che ha “pulito i volti” dei committenti e degli esecutori, sempre più
integrati nel sistema economico italiano, e ha definitivamente infangato gli intenti
dell’industria italiana, rivolta al profitto e sprezzante delle leggi e della salute della
popolazione. Come denuncia Roberto Saviano, «un business capace di mettere in
ombra quello della cocaina. Una rete di discariche, cave , camion, finanziamenti
pubblici e rapporti tra privati che è determinata da una borghesia imprenditoriale
capace di condizionare la salute di milioni di persone e di fatturare capitali
elevatissimi, riuscendo a influenzare amministrazioni politiche e finanziamenti
pubblici. La scelta di trafficare in rifiuti espone a minori rischi di natura penale. Da
questo guadagno ne hanno ricavato vantaggio le maggiori imprese italiane»63.
Complice è stata anche la legislazione italiana carente in materia ambientale che,
come vedremo, oggi è resa ancora più complicata in Campania dalle deroghe e
liberatorie in regime di emergenza e dei decreti legge che autorizzano quelli che
prima venivano come rifiuti speciali nelle discariche autorizzate. Ma in tutta l’Italia
la situazione non è delle più rosee e desta preoccupazioni: « È abbastanza prevedibile
che, in un Paese caratterizzato dalla mitezza delle pene per i reati contro l’ambiente,
le organizzazioni criminali siano passate dalle classiche attività tradizionali – come
gli omicidi, le estorsioni, l’usura, la prostituzione e il traffico di stupefacenti – al
traffico di rifiuti» [Morandi 2009].
61Dossier realizzato dall’Osservatorio Nazionale Ambiente e Legalità di Legambiente in collaborazione con il Comando Carabinieri per la tutela dell’ambiente. Roma, 25 gennaio 2005 in “Bollettino Assise ottobre-novembre 2007. in collaborazione con il Comando Carabinieri per la tutela dell’ambiente. Roma, 25 gennaio 2005 in “Bollettino Assise ottobre-novembre 2007. 62 Giuseppe Bianco, DDA di Reggio Calabria, Atti del Convegno del Centro Studi Giuridici “Diritti e libertà”, Sorrento 15-17 settembre 2006. 63 Saviano R., 2007. «L’espresso » 6 giugno 2007.
73
Nei tempi della new economy, quello dei traffici e degli smaltimenti illeciti dei
rifiuti inoltre, è inevitabilmente un universo in continua trasformazione. Anno dopo
anno, rotte e metodologie di smaltimento illecito si sono adattate, plasmate alle
esigenze della domanda del mercato. La mole di profitti generati dal traffico illecito
di rifiuti e la continua flessibilità e innovazione nell’occultare le scorie industriali ha
portato gli inquirenti ha soprannominare il business malavitoso «Rifiuti S.p.A.», a
riprova che siamo di fronte ad un sistema collaudato e articolato. In più le tecniche di
sversamento si sono diversificate e affinate64. La Campania su questo fronte è
diventata negli ultimi anni crocevia dei traffici di veleni, che grazie all’estrema
confusione causata dal perpetrarsi dell’emergenza, ha permesso il crescere del
business illegale con zone ben definite di competenza. «Si stima che negli ultimi
cinque anni in questa regione siano stati smaltiti illegalmente circa 3 milioni di
tonnellate di rifiuti di ogni tipo, di cui un milione solo nella provincia di Caserta,
un’area, quest’ultima, che nel “piano regolatore” della camorra è stata assegnata alla
sepoltura illecita dei rifiuti»65. Un traffico che si è strutturato col passare del tempo,
con dei responsabili e meccanismi ben precisi, come confermato anche dalla
relazione già citata di Legambiente in collaborazione con i Carabinieri. «All’origine
dei traffici, come è stato accertato in sede giudiziaria, ci sono le cosiddette “lettere
liberatorie” dell’assessorato all’Ambiente della provincia di Napoli, che
“autorizzavano” qualsiasi discarica della Campania a ricevere rifiuti extraregionali: il
primo, indispensabile, atto di una vasta gamma di meccanismi truffaldini e l’ampia
disponibilità di società appaltatrici, di intermediazione e trasporto, di discariche
formali di destinazione e discariche abusive»66. In quegli stessi anni si saldano i
primi accordi tra camorristi ed imprenditori (rivelati da diversi collaboratori di
64 «In questi dieci anni le modalità di smaltimento illegale dei rifiuti si sono sempre più evolute. Se nel primo periodo di attività della Rifiuti S.p.A. bastava una cava o una buca per scaricare rifiuti di ogni genere senza nessun tipo di accortezza e spesso alla luce del sole, con l’intensificarsi dell’attività di contrasto, affiancate da una maggiore conoscenza del fenomeno e delle introduzioni di nuove norme in materia, le attività di smaltimento di tipo occasionale decrescono e gli smaltimenti vengono effettuati sempre più in modo organizzato» stralci del Dossier di Legambiente in collaborazione con il Comando dei Carabinieri. 65 Dossier realizzato dall’Osservatorio Nazionale Ambiente e Legalità di Legambiente in collaborazione con il Comando Carabinieri per la tutela dell’ambiente. Roma, 25 gennaio 2005 in “Bollettino Assise ottobre-novembre 2007. 66 Dossier realizzato dall’Osservatorio Nazionale Ambiente e Legalità di Legambiente. in collaborazione con il Comando Carabinieri per la tutela dell’ambiente. Roma, 25 gennaio 2005 in “Bollettino Assise ottobre-novembre 2007.
74
giustizia) che segnano anche un salto di qualità nella gestione dei traffici illeciti.
«Non si tratta soltanto di avere l’autorizzazione dei clan per utilizzare, ad esempio, le
cave abusive di sabbia del litorale domizio flegreo, in provincia di Caserta. Soggetti
affiliati, in particolare, al clan dei Casalesi, costituiscono società per entrare a pieno
titolo nel business complessivo dello smaltimento, dal trasporto alla discarica. La
Rifiuti S.p.A. (corsivo nostro N.d.A. ) entra sul mercato e attraverso un vorticoso giro
di prestanomi ed aree di intervento disegna nuove rotte e metodologie di smaltimento
illecito. La base realizzata dalla criminalità organizzata in Campania, ed in particolar
modo nelle province di Napoli e Caserta, fa da trampolino di lancio per il business
illegale in altre regioni dell’Italia centrale e meridionale» [ibidem]. Come in ogni
mercato legale ogni corporation trova una specializzazione e in Campania le
condizioni sono molto feconde per aggiudicarsi la supremazia nel campo dei rifiuti
come rileva il procuratore Piero Grasso: «(…) le organizzazioni criminali del
casertano sembrano avere una particolare vocazione per il settore della raccolta,
trasporto e smaltimento illecito dei rifiuti, forse perché favoriti dalle numerosissime
cave abusive presenti sul territorio»67. Grazie ai numerosi territori in possesso e alle
cave utilizzate, la camorra campana ha dato vita alla più devastante economia da loro
gestita e al più grande profitto degli imprenditori del Nord Italia. «Negli ultimi
trent’anni le discariche campane sono state riempite, le cave rese satolle, ogni
possibile spazio utilizzato, la spazzatura di Napoli, non è la spazzatura di Napoli. Il
costo di mercato per smaltire i rifiuti tossici è fino a sei volte superiore a quello
offerto dai clan. Sei i rifiuti illegali gestiti dai clan fossero accorpati diverrebbero una
montagna di 14.600 metri con una base di 3 ettari. La camorra ha fatto risparmiare
capitali astronomici alle imprese del nord Italia. A ogni luogo i clan hanno fatto
adottare un veleno. Un intero Paese che sversa i suoi rifiuti a Sud e che dal Sud
prende risorse. La vera tragedia è che attraverso il meccanismo dei rifiuti hanno
contaminato per sempre ciò che sarà» [Saviano 2007]. È noto per esempio il caso di
una ditta, i cui beni sono stati sequestrati dai carabinieri nell’ambito di un’inchiesta
partita il 2006, che smaltiva illegalmente rifiuti provenienti da industrie del Veneto e
della Toscana riversandoli nei territori di Bacoli, Giugliano e Qualiano, per un totale,
in tre anni, di circa un milione di tonnellate e per un fatturato di 27 milioni di euro.
67Grasso P., Procuratore nazionale antimafia, 2007. in “Rapporto Ecomafia, 2007”.
75
Fanghi industriali provenienti da Porto Marghera, per un ammontare di ottomila
tonnellate, sarebbero stati smaltiti nelle campagne di Acerra dai clan dei Casalesi,
grazie a proprietari dei terreni compiacenti, mascherandoli da compost fertilizzante.
Irregolarità negli sversamenti nella discarica di Villaricca emergono anche nelle
intercettazioni telefoniche ordinate della Procura di Napoli sulla gestione dei rifiuti
da parte della FIBE.
Eccoli dunque i nuovi re della “munnezza”, un intera filiera di tecnici, burocrati e
imprenditori, settori deviati delle amministrazioni che approfittano di tutte le faglie
poste nel sistema di gestione rifiuti e nella regolamentazione ambientale: «(…) le
operazioni illegali avvengono durante l’intera fase del “ciclo dei rifiuti”. Nel corso
del trasferimento iniziale dal produttore alle imprese specializzate nello smaltimento
dei rifiuti, nella fase di trasporto e stoccaggio per arrivare a quella vera e propria di
trattamento, riciclaggio e smaltimento. Spesso ad approfittare delle procedure di
semplificazione della normativa del trattamento dei rifiuti speciali, pericolosi e non,
sono stati trafficanti ed imprenditori senza scrupoli, perfettamente a loro agio tra
codici CER, formulari di trasporto, certificati di analisi» [Dossier Legambiente/CC
2005].
Le denunce col tempo sono arrivati da tutti i mezzi di comunicazione a dagli
organi della magistratura. La popolazione negli anni è venuta a conoscenza di tutto o
quasi, su quello che è avvenuto, e periodicamente si è mobilitata per resistere a
quella sorta di mostruoso sistema creato a beneficio del profitto delle grandi aziende,
calibrato ad hoc per non finire. Una macchina che ha attratto in Campania uno dei
più grandi business per le ecomafie che grazie a sversamenti in discariche
autorizzate, discariche temporanee e discariche abusive ha trovato la nuova età
dell’oro contaminando questa terra in modo spaventoso. Con l’avvio dei traffici
illeciti e dell’industria dei rifiuti il grande pregio ambientale e le coltivazioni tipiche
sono andate definitivamente compromesse; e il tasso di “malattie da
industrializzazione” è in pareggio con le terre del Nord Italia, con l’aggravante però
che le industrie che almeno avevano l’alibi dell’occupazione, qui al Sud sono state
solo brevi parentesi. Un affare para-industriale legale e non, che ha portato questa
terra agli onori della cronaca per via delle numerose malattie correlate allo
smaltimento dei rifiuti. Le denunce arrivavano già dagli inizi del 2000 con le
76
segnalazioni delle associazioni, medici locali e privati cittadini, ma le confermano
arrivano solo nel 200468. L’analisi dei dati epidemiologici raccolti tra il 1995 e il
2002 ha consentito ai ricercatori di mettere in correlazione diretta i problemi
osservati sulla salute pubblica con la mancata gestione del ciclo dei rifiuti urbani e
con la presenza di discariche abusive, gestite dalla criminalità organizzata, dove sono
stati versati enormi quantitativi di rifiuti industriali, provenienti prevalentemente
dall’Italia settentrionale e talvolta dall’estero. In particolare, è stato misurato un
aumento del 9% della mortalità maschile e del 12% di quella femminile, nonché
l’84% in più dei tumori del polmone e dello stomaco, linfomi e sarcomi, e
malformazioni congenite. Ma la principale denuncia mediatica avviene per mezzo di
una rivista scientifica ben affermata, che riporta alcuni dati del registro tumori
dell’Asl Na4. Nello stesso anno infatti la rivista scientifica internazionale Lancet
Oncology (edita da Elsevier) localizza il problema in un’area ben precisa.
Nell’articolo si definisce l’area compresa tra i comuni di Acerra, Nola e Marigliano
come “Il triangolo della morte” e viene lanciato con forza l’allarme sanitario. L’area
a cui si fa riferimento era un tempo nota per essere tra le più fertili della Campania,
nella quale è stato riscontrato negli ultimi anni un forte aumento della mortalità per
cancro che per alcune patologie raggiunge livelli molto più alti della media italiana.
Lo studio viene effettuato da due ricercatori Kathryn Senior e Alfredo Mazza,
quest’ultimo ricercatore del CNR di Pisa. Nel triangolo che è stato individuato,
attualmente abitano circa 550.000 persone e l’indice di mortalità (numero di morti
l’anno per ogni 100 mila abitanti) per tumore al fegato sfiora il 38.4 per gli uomini e
il 20.8 per le donne, dove la media nazionale è del 14. La mortalità è più alta che nel
resto d’Italia anche per quanto riguarda il cancro alla vescica e al sistema nervoso,
per quanto in maniera più modesta. Questo a fronte di una mortalità generale per
tumori in Campania in generale inferiore della media italiana. L’incremento della
mortalità viene attribuito all’inquinamento causato dallo sversamento illegale di
sostanze tossiche di varia provenienza, in particolare dalle industrie del nord Italia,
operata da parte della Camorra.
68 Quell’anno la Protezione Civile commissiona uno studio scientifico sulle conseguenze sanitarie della mancata gestione dei rifiuti in Campania ad un’equipe di specialisti provenienti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, dal Centro Europeo Ambiente e Salute, dall’Istituto Superiore di Sanità, dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, dall’Osservatorio Epidemiologico della Regione Campania e dall’Agenzia Regionale per la Protezione Ambiente
77
tab. 1 – le tabelle effettuano una comparazione tra gli indici di mortalità per tumori tra Italia,
Campania e nell’area di competenza dell’ ASL NA4 denominata “Triangolo della morte”. Fonte “The Lancet Oncology”
La gestione commissariale in regime di emergenza, ha dato poi il colpo di grazia
provocando un’enorme confusione tra rifiuti urbani, speciali e tossici: «oggi la
differenza tra una gestione dei rifiuti legale e una manipolazione illegale, per quanto
Indice di mortalità per tumori (Italia, Campania, A SL NA4) Fonte “The Lancet Oncology”
Tumore Italia Campania ASL NA4
Fegato (uomini) 14.0 15.0 38.4
Fegato (donne) 6.0 8.5 20.8
Vescica (uomini) 16.6 21.7 22.9
Vescica (donne) 3.8 4.2 4.3
Sistema nervoso (uomini) 6.2 7.1 8.5
Sistema nervoso (donne) 4.8 4.1 5.6
78
riguarda il rispetto delle disposizioni sanitarie, è molto piccola, e i rischi per la salute
sono in crescita (…) Anche le strutture più moderne costituiscono un rischio per la
salute pubblica, perché contengono ammassi di rifiuti non classificati»69. I dati sopra
riportati in tabella sono sconcertanti quanto esplicativi. Un ulteriore studio del 2007
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Istituto Superiore di Sanità, Consiglio
Nazionale delle Ricerche e Regione Campania ha monitorato in 196 comuni campani
la mortalità per tumori e le malformazioni congenite nel periodo dal 1994 al 2002.
Lo studio ha evidenziato che «la mortalità per tutte le cause è risultata in eccesso
significativo per gli uomini del 19% nei comuni della provincia di Caserta e del 43%
nei comuni della provincia di Napoli; per le donne del 23% nella provincia di Caserta
e del 47% nella provincia di Napoli». Sono stati inoltre riscontrati eccessi di
malformazioni congenite. La relazione evidenzia che «Le zone a maggior rischio
identificate negli studi sulla mortalità e sulle malformazioni congenite in buona
parte si sovrappongono e sono interessate dalla presenza di discariche e siti di
abbandono incontrollato di rifiuti», ma sostiene che «è comunque difficile stabilire
se la corrispondenza dei numerosi eccessi con la possibile occorrenza di esposizioni
legate allo smaltimento dei rifiuti sia di natura causale e, nel caso, stimare l’entità di
tale impatto».
La presenza di pericolose sostanze inquinanti, come la diossina, in particolare
nella zona di Acerra, è comunque accertata, oltre che per le attività illecite di
smaltimento dei rifiuti, anche in relazione all’attività della Montefibre, e già nel 1987
un decreto del Ministero dell’Ambiente definiva Acerra territorio “ad elevato rischio
di crisi ambientale”. La tesi che collega l’aumento dell’incidenza dei casi di tumore
all’inquinamento ambientale, che in realtà coinvolge anche altre aree della
Campania, è avvalorata dalle confessioni del boss Gaetano Vassallo, legato al clan
dei Casalesi, che avrebbe per vent’anni lavorato per sversare sistematicamente in
Campania rifiuti tossici corrompendo politici e funzionari del commissariato di
Governo. Nelle campagne campane e nel sangue di alcuni abitanti sono state
misurate per esempio, alte concentrazioni Policlorobifenili (PCB), che sono prodotti
da industrie chimiche assenti in regione.
69 Mazza A., 2004. “Italian Triangle of death” linked to waste crisis - Il “Triangolo della morte italiano collegato alla crisi dei rifiuti” in The Lancet Oncology, vol. 5, settembre 2004
79
Come abbiamo purtroppo constatato in regime di emergenza tutto è possibile,
pertanto lo sversamento di rifiuti industriali altamente inquinanti riguarda anche le
discariche legali. Già nel 2000 infatti, un’inchiesta della commissione parlamentare
sui rifiuti70 ha messo in luce che probabilmente fanghi dell’ACNA di Cengio sono
stati smaltiti nella discarica di Pianura, a Napoli, per un ammontare di almeno
ottocentomila tonnellate. Tra gli abitanti delle zone limitrofe alla discarica di
Pianura, un’indagine epidemiologica ordinata dalla Procura di Napoli ha dimostrato
che almeno 60 persone hanno contratto il raro linfoma di Hodgkin. L’Oncologo
Marfella commenta i dati epidemiologici e conferma lo spaventosa accelerazione che
in pochi anni gli abitanti della Campania hanno avuto nel contrarre malattie tumorali
al pari degli abitanti delle zone del Nord inquinate ormai già da tempo. «I dati
epidemiologici ufficiali affermano che le province di Napoli e di Caserta registrano
la maggiore incidenza e mortalità di cancro, con tassi analoghi a Milano e alla
Lombardia, in alcuni casi oltre il massimo nazionale e con una tendenza all’aumento,
pur avendo la popolazione residente più giovane d’Italia e nessuna attività industriale
importante (quanto meno legale). Ciononostante, Caserta è ancora priva di un
registro tumori provinciale, che costa circa 100.000 euro all’anno, pressappoco il
costo della terapia per il prolungamento della sopravvivenza di qualche mese di due
(e dico due!) pazienti con cancro del colon retto avanzato!71». Il fatto che questo giro
da affari sia micidiale per la salute e devastante per l’ambiente è un dato
inoppugnabile. Quando però questi dati sanitari sulle malattie ambientali sono stati
rilevati dalle autorità sanitarie in Italia e poi massicciamente diffusi dai mass media,
era già troppo tardi ed è parso quasi che l’opinione pubblica italiana si fosse
risvegliata di colpo da un torpore lunghissimo. I comitati in difesa della salute e della
ambiente nati in tutta la regione Campania in diversi periodi della crisi, infatti erano
anni che denunciavano gli sversamenti illeciti e le irregolarità delle gestioni
commissariali: si organizzavano in presidi territoriali e autonomamente informavano
la popolazione, arrivando anche a chiamare a proprie spese gruppi di giornalisti
internazionali per cercare una condanna corale dall’Unione Europea. I dati erano così
allarmanti e i casi di tumore così sconcertanti che la popolazione campana ha
70 Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse. 71 Marfella A. 2007, “Una seria politica di prevenzione dei tumori” in “Bollettino delle Assise della città di Napoli e del Mezzogiorno d’Italia de11 febbraio 2007.
80
cominciato a ribellarsi a qualsiasi risoluzione temporanea. Non si accettava nessuna
proposta che veniva dal commissario all’emergenza rifiuti di turno, figura ormai
ritenuta succube dell’enorme meccanismo della famigerata “Rifiuti S.p.A”. La
popolazione stava avviando in un certo qual modo, un percorso autonomo di uscita
dall’emergenza rifiuti, basando la propria azione sulla protesta popolare, informando
le comunità in modo capillare, motivando politicamente le proprie azione di
contestazione anche le più radicali, e costituendo veri e propri comitati scientifici
che organizzavano le informazioni e le semplificavano nell’esposizione anche alle
persone non addetti ai lavori.
Il sistema mediatico italiano che ha tenuto per anni in sordina l’emergenza rifiuti,
relegandola ad un problema di civiltà della popolazione partenopea, ha dovuto
arrendersi all’evidenza e cominciare a trattare il problema in tutte le sue
sfaccettature. Il problema che veniva considerato unicamente di stampo scientifico-
sanitario – e pertanto relativizzabile e contestabile dalla letteratura specializzata – è
stato riconsiderato politicamente e socialmente solo quando è sfociato in un grave
problema di ordine pubblico. Sui giornali era ormai cronaca quotidiana la notizia di
vere e proprie rivolte in tutto l’hinterland di Napoli e Caserta; resistenze che hanno
raggiunto i loro picchi massimi nelle rivolte della popolazione di Pianura culminate
in una vera e propria guerriglia urbana, nei blocchi ferroviari a Gianturco e nelle
enormi proteste popolari contro la discarica nel quartiere di Chiaiano.
I paragrafi che seguono sono una piccola sintesi dei periodi di crisi più acuti
dell’emergenza rifiuti in Campania, sono una tappa obbligata per giungere all’analisi
dell’ultimo fattore da analizzare che tratta la svolta autoritaria dei Governi recenti.
Questi ultimi come vedremo, hanno emanato delle ordinanze speciali per imporre
alla popolazione – in protesta contro l’attuale piano rifiuti – anche coercitivamente
delle direttive alquanto discutibili dal punto di vista giuridico, ambientale e sociale.
81
5. Le principali crisi.
5. La crisi del 2001.
Quando parliamo di crisi nella gestione commissariale dei rifiuti ci riferiamo a
quei particolari momenti in cui i Rifiuti Solidi Urbani prodotti giornalmente dalla
popolazione, non riescono ad avere sbocchi verso gli impianti nominalmente preposti
alla loro differenziazione e al successivo smaltimento o stoccaggio. In pratica si
blocca tutto il meccanismo di conferimento dei rifiuti agli impianti di trattamento o
in mancanza di specifici trattamenti si saturano velocemente le discariche disponibili
facendo rimanere per strada tonnellate di rifiuti.
In Campania, come confermato dalla magistratura, si faceva per esempio un uso
strumentale delle crisi che si venivano a creare e addirittura si creavano i presupposti
per essa. Il caso è quello del blocco degli impianti di produzione del CDR usati come
strumento di pressione da parte della Fibe verso gli organi di Governo per convincere
a intraprendere misure speciali in deroga alle norme vigenti.
Una grave crisi si verifica ad esempio nell’anno 2001, in mancanza della piena
attuazione del piano regionale e al mancato decollo della raccolta differenziata per la
quale erano stati assunti migliaia di lavoratori presso i vari Consorzi di Bacino
costituiti ad hoc nel 1993. L’emergenza viene superata riaprendo provvisoriamente le
discariche di Serre e Castelvolturno, ed inviando mille tonnellate al giorno di rifiuti
verso altre regioni, quali la Toscana, l’Umbria e l’Emilia-Romagna, nonché
all’estero, in Germania. Alla fine del 2001 entrano in funzione gli impianti di
produzione di combustibile derivato da rifiuti di Caivano, Avellino e Santa Maria
Capua Vetere, seguiti nel 2002 da quelli di Giugliano, Casalduni e Tufino, ed infine
di Battipaglia nel 2003. Ciononostante la Campania, in mancanza di una percentuale
di raccolta differenziata apprezzabile e dei termovalorizzatori, non è ancora
autosufficiente, mancando un’autonoma capacità di trattare quasi un milione di
tonnellate annue di combustibile derivato dai rifiuti, e più di un milione di tonnellate
annue da conferire direttamente in discarica o stoccare in attesa di trattamento
speciale.
82
5.1 La crisi del 2007-2008: vengono annichiliti i meccanismi di partecipazione,
arrivano i provvedimenti repressivi dei Governi.
Il problema viene attenuato per anni, con dei palliativi che non agiscono fino in
fondo nel riformare un piano rifiuti integrale che possa portare alla normalità. Nel
corso del 2007 dunque, si verifica così una nuova e più grave crisi nella gestione dei
rifiuti, che induce il Governo Prodi in carica ad intervenire direttamente
individuando nuovi siti da destinare a discarica ed orientando la soluzione del
problema verso la regionalizzazione dello smaltimento dei rifiuti, autorizzando la
costruzione di tre nuovi inceneritori e superando, in questo modo, l’impostazione
della gestione commissariale di Antonio Bassolino, che ormai ruotava tutta intorno
alla travagliata costruzione del megainceneritore ad Acerra. L’ordinanza per la
costruzione degli inceneritori viene firmata il 31 gennaio 2008.
Per la gestione delle nuove criticità emerse, quindi, con ordinanza n. 3639 dell’11
gennaio 2008, il Presidente del Consiglio Romano Prodi nomina nuovo commissario
per l’emergenza rifiuti l’ex capo della Polizia di Stato Gianni De Gennaro, con
l’obiettivo di risolvere la situazione entro quattro mesi. Riprendono così i
trasferimenti di rifiuti verso la Germania tramite ferrovia, con un costo nettamente
inferiore rispetto a quanto il commissariato per l’emergenza spendeva per smaltirli in
Campania.
Ma la situazione è pesantissima nel centro urbano napoletano, mentre si fa
drammatica nell’hinterland. La popolazione insorge per chiedere e proporre un
nuovo piano rifiuti, resistendo nel frattempo alle aperture indiscriminate delle
vecchie discariche già sature e quelle previste in aree protette. I cittadini campani si
ritrovano con un nuovo Commissario all’emergenza rifiuti con un curriculum di ex-
capo della polizia e che evidentemente non conosce fino in fondo la questione come
da sua stessa ammissione durante la conferenza stampa di insediamento. A gettare
benzina sul fuoco ci pensano i mezzi di comunicazione che gridano allo scandalo
internazionale, alla devastazione ambientale e incolpano la popolazione rea di
impedire una veloce risoluzione della questione. «Anche con la forza si può restituire
Napoli a Napoli, ridare pulizia e splendore alle strade della Campania, dove oggi si
aggira il peggiore e il più sordido dei diavoli: la forza al servizio della tecnica
moderna prima di abbandonare Napoli a San Gennaro». Con questo editoriale in
83
prima pagina il quotidiano «la Repubblica» del 4 gennaio 2008 Francesco Merlo ha
chiesto l’uso della forza. «Il governo ha il dovere di separare le esigenze giuste dal
plebeismo violento. Tocca a Prodi ed Amato a fronteggiare gli enormi interessi
criminali, i rapporti della politica locale con la camorra ma anche estremismi
ideologici. Non è possibile che si discuta ancora della spazzatura come se fosse un
problema accademico, una questione sociologica, una faccenda di storia e di
geografia»72.
Appena insediata la nuova direzione del Commissariato all’emergenza rifiuti,
subito vengono individuate ulteriori nuove aree da adibire, tra i quali la discarica
chiusa nel quartiere di Pianura, a Napoli, già sversatoio regionale trentennale. De
Gennaro col passare del tempo però si addentra nel disastro dell’emergenza campana
e la determinazione paventata alla prima conferenza stampa scema in poco tempo. Le
conferme avvengono proprio da lui a febbraio: «il prefetto De Gennaro ammette che
sulle discariche in Campania “la gente aveva ragione”: nessuno dei vecchi siti è
utilizzabile. Dopo i controlli del genio militare, è emerso che a Pianura, Parapoti,
Difesa Grande, Villaricca e negli altri siti ci sono infiltrazioni, sottostanti discariche
abusive, rischi gravi di crolli. Ora si tratta di individuare subito nuove discariche in
siti contaminati…»73. Il mandato del commissario viene nel frattempo prorogato alla
scadenza dal dimissionario governo Prodi, e la situazione, ancora lontana dall’essere
risolta, degenera con gravi ripercussioni sull’ordine pubblico. Il 21 maggio 2008,
quindi, il nuovo Governo appena insediato, presieduto da Silvio Berlusconi, tiene il
suo primo Consiglio dei Ministri proprio a Napoli, ed approva un decreto legge74 con
cui, allo scopo di avviare definitivamente un ciclo integrato dei rifiuti, si stabilisce la
costruzione di quattro nuovi inceneritori (anziché tre), si individuano dieci siti in cui
realizzare altrettante nuove discariche – che vengono contestualmente dichiarate
zone di interesse strategico nazionale di competenza militare – e si prevedono
sanzioni dure fino al commissariamento per i Comuni che non dovessero portare a
regime la raccolta differenziata. Si prevede, inoltre, la cessazione dello stato di
emergenza per il 31 dicembre 2009, nonché la nomina a sottosegretario alla
Presidenza del Consiglio con delega all’emergenza rifiuti del capo della Protezione
72 F. Merlo, 2008. “Democrazia uccisa dalla spazzatura”, «La Repubblica», 4 gennaio 2008 73Ansa, Roma, 16 febbraio 2008 cit. in Rabitti 2008 74 si tratta del D.L. n. 90 del 23 maggio 2008, convertito in legge n. 123 del 14 luglio 2008
84
civile Guido Bertolaso. In modo inaspettato poi, in deroga a tutte le norme vigenti in
materia, comprese quelle comunitarie, il decreto autorizza lo smaltimento nelle
nuove discariche anche dei rifiuti pericolosi.
Il decreto del governo Berlusconi del 23 maggio 2008 è un vero e proprio diktat75
che solleva un vespaio di critiche tra giuristi, scienziati, sindaci e comitati che lo
contestano in ogni suo punto. Ma il Governo appena insediato sembra voler chiudere
la questione con rimedi drastici, ignorando tutte le norme di tutela ambientale e
impedendo di dare agibilità ed eco alle proteste e proposte dei cittadini. Dall’altra
parte gli eletti locali e nazionali non paiono gradire la partecipazione popolare e la
loro attivazione sul territorio, che sembra scavalcare la loro rappresentanza anche
nelle sedi che finora frequentavano.
Il punto dell’ordinanza a riscontro immediato, riguarda proprio le discariche che
vengono dichiarate zone di interesse strategico nazionale di competenza militare:
«La costituzione di aree di interesse strategico nazionale, ovvero la militarizzazione
di parti del territorio, a presidio degli impianti di termodistruzione e dei siti indicati
come discariche si pone in evidente contrasto con principi e valori
costituzionalmente garantiti, quali la libertà di circolazione»76, denuncia Alberto
Lucarelli in varie sedi di intervento. Dieci discariche costruite ex novo che, insieme a
quelle vecchie, vengono dichiarate per decreto zone di interesse strategico nazionale
di competenza militare. «Il motivo è presto detto: nelle zone di interesse strategiche
le normali garanzie democratiche sono interrotte e chi proteste rischia cinque anni
di carcere (corsivo nostro)» [Morandi 2009]. Oltretutto «la costituzione di aree di
interesse strategico nazionale è in contrasto con il principio della trasparenza e quindi
viola direttamente il diritto di informazione e il collegato diritto di critica, così come
tutelati dall’art. 21 della Costituzione. Diritti che sono il presupposto ad una
partecipazione dei cittadini, matura e consapevole» [Lucarelli 2008]. In definitiva la
75 Con le parole di Guido Viale, il decreto «abolisce di fatto in Campania l’intera normativa su gestione del territorio, difesa dell’ambiente, tutela delle acque, salvaguardia della salute, sicurezza sul lavoro e persino fondamentali garanzie della procedura penale; decreta la realizzazione di 11 discariche e 4 inceneritori ammessi al trattamento di quasi ogni tipo di rifiuti, con il rischio di perpetuare – questa volta in modo “autorizzato” – il ruolo della regione di attrattore dei rifiuti tossici di tutto il paese. A dargli man forte è intervenuta l’«opposizione» del Partito democratico, che con un emendamento approvato all’unanimità ha proposto l’estensione degli incentivi CIP6 a tutti gli inceneritori» [Viale 2009]. 76 Lucarelli A., 25 maggio 2008. “Osservazione al decreto di maggio” www.ambienti.worpress.com; www.napoliassise.it .
85
repressione è pesantissima per i comitati in lotta, infatti «Sono introdotte regole e
sanzioni penali estremamente dure che di fatto negano il diritto di riunione, così
come tutelato dall’art. 17 della Costituzione, e in senso più ampio le istanze
partecipative» [ibidem]. Le limitate soluzioni che si vogliono intraprendere per
informare e far partecipare i cittadini alle decisioni in materia ambientale si
allontanano dalle direttive comunitarie. «Le norme relative all’informazione e alla
partecipazione dei cittadini sono illegittime ed insoddisfacenti, in quanto difformi da
quanto previsto dalla Convenzione di Arhus» [ibidem].
Continuando nell’analisi del decreto, si dichiara la cessazione dello stato di
emergenza per il 31 dicembre 2009, nonché la nomina a sottosegretario alla
Presidenza del Consiglio con delega all’emergenza rifiuti del capo della Protezione
civile Guido Bertolaso, già commissario nel 2006-2007. Bertolaso è una persona già
nota alla popolazione campana. «Bertolaso era già stato commissario straordinario
nello stesso ruolo e si era dimesso con un atto da molti assimilato a una fuga. Una
fuga dovuta alla mancata realizzazione del piano di nuove discariche in cui smaltire i
rifiuti che si andavano accumulando per strada. Pochi giorni dopo la sua «rinomina»
la magistratura campana ha azzerato i vertici della Protezione civile proprio per reati
attribuiti al modo assai «disinvolto» in cui aveva gestito i rifiuti campani»77. In più,
molteplici ruoli di responsabilità si coagulano intorno alla persona di Bertolaso:
«tutto il potere passa nelle mani del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con
delega all’emergenza rifiuti Giudo Bertolaso che, essendo già capo della Protezione
civile, si trova nella comoda posizione di fare il controllore di se stesso. Altra
anomalia istituzionale, stabilita per decreto» [Morandi 2009]. Questa anomala
concentrazione di poteri è l’ennesima prova di non voler tornare ad una situazione
normale, come denunciato puntualmente da Lucarelli: «Il regime delle competenze,
fissato in Costituzione, in contrasto con quanto affermato dalla Costituzione,
continua ad essere violato ed in particolare sono calpestate le competenze della
Regione. Ciò determina una continua “fuga” dal ritorno al regime ordinario».
Come già accennato, all’art. 9 del decreto in questione, in deroga a tutte le norme
vigenti in materia, comprese quelle comunitarie, troviamo l’autorizzazione per lo
smaltimento nelle nuove discariche anche dei rifiuti pericolosi, fattore che rende
77 Viale G., 2008. “Newsweek e il Berlusconi tossico” in art. de «Il Manifesto».
86
ancora più ferma l’opposizione alla loro realizzazione da parte delle popolazioni
locali78. La beffa è enorme; una terra martoriata dai rifiuti tossici e dai veleni di tutta
Italia, ora può accogliere a norma di legge la maggior parte di quelle sostanze nocive
nelle discariche campane79.
All’art. 3 del decreto troviamo poi, l’istituzione di una “Superprocura” che si
andrà a sovrapporsi alle competenze dei magistrati. In deroga alle norme del codice
di procedura penale e dell’ordinamento giudiziario, prevede l’anomala attribuzione
alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli della competenza
esclusiva ai fini dell’accertamento dei reati ambientali commessi su tutto il territorio
della Campania80. Ancora Lucarelli descrive il fatto come una vera e propria
“devoluzione” dell’ordinamento giudiziario in contrasto perfino con gli articoli della
Costituzione: «Le norme relative alla competenza dell’autorità giudiziaria nei
procedimenti penali relativi alla gestione dei rifiuti nella Regione Campania
introducono di fatto nel nostro ordinamento, giudici regionalizzati, con funzioni
straordinarie, in contrasto con il principio dell’unità della giurisdizione e del divieto
di istituire giudici straordinari o speciali (art. 102 Cost.)». Nei fatti dunque, viene
impedito qualsiasi tipo di controllo alle attività di sversamento.
Il decreto legge, ovviamente, mette sempre in primo piano l’accensione degli
inceneritori in costruzione e apre la strada alla costruzione di nuovi, anche se si
mantiene sul vago e rimanda le impopolari decisioni alla stesura di un piano
nazionale per l’incenerimento. Lucarelli nel suo documento di accusa, ripone su
questo punto molte delle sue critiche: «Il ricorso agli impianti di temodistruzione, in
contrasto con la normativa comunitaria e la normativa interna, assume valenza
78 «Come se non bastasse, all’art. 9 del decreto, in deroga a tutte le norme vigenti in materia, comprese quelle comunitarie, si autorizza lo smaltimento nelle nuove discariche anche dei rifiuti pericolosi, aumentando il carico di veleni già straripante in Campania» di E. Latteri, E. Santoro “Chiaiano, emergenza ambientale e democratica” giugno-luglio 2008. 79 Le considerazioni di Morandi sulle istituzioni, che hanno scelto di sversare di tutto nelle nuove discariche come quella di Chiaiano, sono pienamente condivisibili: «Niente male per una classe politica che non è riuscita a impedire di trasformare una delle regioni più belle d’Italia in un deposito di scarti industriali… deciderlo per decreto, però, questa sì che è una novità! Novità che risulta decisamente poco gradita alla Commissione ambiente del Comune di Napoli il cui staff legale avvia immediatamente due ricorsi: uno per reati ambientali, indirizzato al Tar del Lazio per chiedere la sospensione dell’attivazione della procedura che comporterebbe all’apertura della discarica». 80 «D’ora in avanti un magistrato titolare di una inchiesta sul ciclo dei rifiuti non potrà visitare i siti, sapere con quali criteri vengono allestiti e soprattutto cosa verrà scaricato al loro interno, non potrà decidere un sequestro preventivo di una discarica, di un sito di stoccaggio, di un CDR, anche se attenta alla salute della popolazione» [Letteri; Santoro 2008]
87
prioritaria ed escludente nell’ambito del ciclo integrato dei rifiuti. Le altre fasi, quelle
che si incentrano sulla politica delle “r” (recupero, riciclaggio, riuso, riutilizzo,
riparazione) sono assolutamente marginalizzate, al punto da poter compromettere
anche le future strategie gestionali». Si spinge oltretutto, anche con i pareri contrari
nella Commissione VIA, per la messa in attività dell’inceneritore di Acerra. «Si
autorizza in maniera autoritativa ed immotivata l’esercizio del termovalorizzatore di
Acerra, in deroga al parere della commissione di valutazione di impatto ambientale,
come previsto dal decreto legislativo n. 59 del 18 febbraio 2005, n. 59» [ibidem]. Il
giurista inoltre, contesta il decreto di Prodi che permette di bruciare le cosiddette
“ecoballe” già declassate dalla Magistratura in semplice immondizia tritata, perché
disincentiverebbero la tanta agognata raccolta differenziata. Con la previsione di altri
quattro termovalorizzatori (si aggiungerebbe quello di Napoli) il ciclo integrato dei
rifiuti, in contrasto con la normativa comunitaria e con il diritto interno, si
poggerebbe prevalentemente sulla fase dello smaltimento, scoraggiando la raccolta
differenziata e vanificando i meccanismi virtuosi, ambientali ed economici, ad essa
riconducibili.
Il decreto appena emesso infine, prevede sanzioni pecuniarie e penali dure, fino al
commissariamento dei Comuni che non dovessero portare a regime la raccolta
differenziata. «Il decreto serve anche per punire i Comuni ribelli, visto che alle
proteste spesso hanno osato partecipare anche i sindaci. (…) nella maggior parte dei
Comuni d’Italia, la raccolta differenziata non è affatto a regime – basti pensare alla
capitale – ma è chiaro a tutti che la multa alla fine verrà fatta pagare ai contribuenti
campani, tramite maggioranza della tariffa per lo smaltimento dei rifiuti, la cui
percentuale salirà col passare degli anni e che con l’aumentare del “tetto” di raccolta
differenziata. (…) la cruda realtà che questa gente vedrà aumentare la tassa con cui
paga un servizio che non viene svolto, visto che i sacchetti continuano ad
ammucchiarsi e la puzza appesta l’aria mentre le discariche trasudavano veleni»
[Morandi 2009].
Con decreto ribattezzato dalla popolazione “Decreto di Maggio” il
Commissariato per l’emergenza rifiuti finora travolto dai vari scandali e accuse di
inefficienze ha di nuovo carta bianca. Il 22 giugno, Bertolaso annuncia che il
Governo ha definitivamente deciso di inserire la Cava Tallero (detta Cava del
88
Poligono) a Chiaiano, tra i siti da utilizzare per risolvere l’emergenza, dichiarandola
idonea allo sversamento dei rifiuti e ignorando le obiezioni documentate dai tecnici
incaricati dai comitati locali. L’idea è di allestire una megadiscarica «a fossa» da
700mila tonnellate a qualche centinaio di metri da un insediamento urbano ad
altissima densità abitativa – anzi, in realtà una delle più alte d’Europa – a ridosso
della zona ospedaliera di Napoli, che è anche il più importante polo sanitario di tutto
il Meridione. La selva di Chiaiano a Napoli, ovvero nel Parco delle Colline: una
riserva ambientale a scala metropolitana, fra i territori più pregiati dell’intera
provincia e, in sostanza, l’ultimo polmone verde rimasto in zona.
La decisione è sconcertante, soprattutto per la composizione geologica e
abitativa81: La cava è talmente instabile che richiede uno sperpero di denaro pubblico
altissimo solo per renderla agibile82.
Passano nel frattempo i mesi e con l’ordinanza del 16 luglio 2008, il Presidente
del Consiglio dispone, il commissariamento ad acta dei sette impianti per la
produzione di cdr realizzati dalla FIBE, nel frattempo convertiti in impianti per la
semplice tritovagliatura e l’imballaggio dei rifiuti, ed il 18 luglio l’emergenza
(nell’emergenza) dovuta alla mancata raccolta dei rifiuti solidi urbani in Campania
viene dichiarata chiusa, anche se, in mancanza dell’entrata in funzione di tutti i
termovalorizzatori previsti e di una soddisfacente raccolta differenziata, un ciclo
industriale dei rifiuti non può dirsi stabilmente avviato, mentre restano ancora da
smaltire cinque milioni di ecoballe ancora in giacenza.
Nel tentativo di contenere l’indiscriminato accumulo di rifiuti non smaltibili
ordinariamente, ed a conferma, inoltre, della difficoltà di uscire effettivamente dallo
stato di emergenza, il 6 novembre 2008 il Governo approva il decreto-legge n. 172,
contenente una serie di norme valevoli per i territori in stato di emergenza per lo
smaltimento dei rifiuti, tra le quali la previsione dello specifico reato di abbandono di
rifiuti pericolosi, speciali ovvero ingombranti, punito con la reclusione fino a cinque
81 «Nessuno proporrebbe di realizzare una discarica a Milano in Parco Sempione, ma nemmeno a Monte Stella; oppure a Roma, non dico a Villa Borghese, ma neppure a Villa Ada. Perché allora a Napoli una delle poche aree verdi, oltretutto densamente abitata, deve diventare la discarica di tutta la città?» [Viale 2009] 82 «La scelta del sito è demenziale anche dal visto economico: per utilizzare la cava sono necessari interventi statici, idrogeologici, urbanistici e di bonifica ambientale che comporterebbe un aggravio di spesa indicato dai tecnici intorno ai 50 milioni di euro nonché, ovviamente, un ulteriore prolungamento dei tempi svariati mesi» [Morandi 2009].
89
anni. Il 18 febbraio 2009, dopo numerose proteste, appelli alla Comunità Europea,
consultazioni e proposte alternative molto più fattibili da parte dei comitati in lotta,
avviene l’apertura della contestata discarica di Chiaiano. Il 26 marzo 2009, si
dichiarano chiusi i lavori anche se i comitati continuano a denunciare irregolarità,
smottamenti delle pareti circostanti e una massiccia presenza di amianto. Poco tempo
dopo viene avviata la fase di collaudo del termovalorizzatore di Acerra, che secondo
il Commissariato dovrebbe concludersi entro dicembre con la consegna dell’impianto
al gestore, la società A2A, nel frattempo l’impianto funziona a intermittenza o forse
come denunciano i comitati in difesa della Salute e dell’Ambiente ha funzionato solo
quei pochi giorni successivi alla sua inaugurazione.
6. Il fattore di Shock: una possibile interpretazione dell’emergenza rifiuti in
Campania.
Nel libro “Shock Economy” Naomi Klein interpreta con uno schema unitario
molte vicende degli ultimi decenni: disastri di origine naturale o indotti da interventi
politico-militari o da misure economiche che offrono l’occasione per azzerare gran
parte della normativa vigente – a partire dai fondamenti costituzionali – in nome
dell’«emergenza»; per esautorare istituzioni previste dall’ordinamento giuridico; per
consegnarne le funzioni a uno o più imprese private, che le gestiscono con risorse
pubbliche e tariffe di favore in contesti di totale deregolamentazione, perpetuando le
condizioni dell’emergenza e aggravando il disastro83. Questo schema è purtroppo in
molti casi sovrapponibile allo svilupparsi dell’emergenza rifiuti in Campania. Il
disastro sanitario e ambientale è stato provocato come abbiamo visto da aziende e
istituzioni che prima di agire per la risoluzione della crisi, sono intervenuti per
interessi personali per trarne profitto a tutti i livelli. In questo capitolo dunque 83 Naomi Klein nella sua trattazione parla di una tendenza mondiale a sfruttare le situazione di emergenza e i disastri economici ed ambientali professata da un economista di fama mondiale Milton Friedman, vincitore peraltro di un premio Nobel per l’economia e fondatore della famigerata scuola economica di Chicago. Friedman spese gran parte della sua vita a diffondere, con la collaborazione di molti Governi, la dottrina neoliberista attraverso delle scuole capillarmente diffuse. Queste scuole hanno formato i cosiddetti “Chicago boys” cioè i numerosi economisti che entrarono a far parte poi nei governi di quasi tutti i più grandi paesi del mondo. Friedman pensava che la terapia dello shock poteva essere usato sul corpo sociale allo stesso modo degli psichiatri che negli anni ‘50 usavano l’elettroschock sui corpi dei singoli individui per renderli ubbidienti e disposti a collaborare.
90
tenteremo di trarre una interpretazione della vicenda finora analizzata, consapevoli
che l’emergenza è una situazione di eccezionalità che ha permesso e permette di
intraprendere azioni e affari che in una condizione di ordinarietà sarebbero
considerati come prevaricazioni e soprusi, un’emergenza che ancora adesso si
perpetua a scapito della popolazione, che ha provocato nella società campana enormi
danni sanitari provocando un trauma collettivo di vaste proporzioni.
Guido Viale ha riportato sia nel suo libro che nei suoi articoli, l’analogia
“dell’economia dello shock” e constata che l’emergenza campana «inizia negli stessi
anni a cui la Klein fa risalire l’avvio di questo processo: prima il colera; poi il
terremoto; infine, quando cessano di operare i disastri naturali, l’emergenza rifiuti.
Altrettante occasioni per derogare alle norme sulla gestione del territorio e
consegnarla alla fine nelle mani di un commissario straordinario e, attraverso questo,
di un’impresa privata: la Fibe. Alla quale è stata affidata, con una gara di cui è
accertata l’irregolarità, la gestione di tutta la parte lucrativa del ciclo dei rifiuti – lo
smaltimento finale e trattamento intermedio, cioè discariche, inceneritori e i
cosiddetti CDR» [Viale 2008].
Massimo Morisi e Stefano Passigli, nel corso di una ricerca sulla trasformazione
urbana negli anni novanta rilevano già il formarsi di queste tendenze in Italia che,
come abbiamo visto, tutt’ora persistono e proliferano. «Lo scenario che a tutt’oggi si
apre dinanzi ai nostri occhi è quello delineato puntualmente nelle relazioni della
Corte dei Conti anno dopo anno: un paese perennemente “…in cantiere”, sempre in
deficit di armature civili e infrastrutturali, sempre alla rincorsa di qualche scadenza
storica o irripetibile, sempre con qualche emergenza o opportunità da fronteggiare o
inseguire, sempre in regime di straordinaria necessità ed urgenza”, e sempre più
pervasivamente in bilico tra le regole del diritto amministrativo e le norme del codice
penale [Morisi e Passigli 1994, 14 cit. in della Porta 1999].
«L’irresistibile propensione ai commissariamenti» secondo Antonio di Gennaro,
agronomo, è «una delle eredità della prima repubblica, con alcune differenze: mentre
quella rispolverava i commissari soprattutto in occasione dei grandi hazard, sciagure
naturali, terremoti, alluvioni, la seconda tende a farvi ricorso per gestire i rischi
tecnologici – rifiuti, inquinamento, degrado ambientale – le conseguenze indesiderate
91
della modernizzazione che caratterizzano la società del rischio descritta da Ulrich
Beck»84.
Anche della Porta, osserva che la tendenza del sistema italiano è di approfittare
sistematicamente degli stati di emergenza «Situazioni di emergenza reale o
“prodotta” hanno poi permesso di adottare procedure più discrezionali nella
distribuzione degli appalti pubblici. Proprio «la cultura dell’emergenza» (secondo la
definizione utilizzata dalla Corte dei conti) ha rappresentato una componente
importante di un intreccio di inefficienza e illegalità [della Porta pag. 294; 1999].
L’emergenza campana ha avuto dei picchi massimi di crisi, in cui si sono
registrati altrettante svolte repentine nell’ordinamento giuridico che regolava la
questione. Come abbiamo visto si protraeva un’emergenza che veniva riprogrammata
a geometria variabile con un uso sistematico delle deroghe. È provato che la prassi
del riformulare le leggi con grande rapidità prima che la collettività prenda coscienza
della gravità dell’atto, sia una tecnica ormai utilizzata in più occasioni anche in giro
per il mondo. Scrive Klein «Per più di trent’anni, Friedman e i suoi potenti seguaci
avevano perfezionato questa strategia: attendere il verificarsi di una grande crisi o di
un grande shock, quindi sfruttare le risorse dello Stato per ottenere un guadagno
personale mentre gli abitanti sono ancora disorientati, e poi agire rapidamente per
rendere “permanenti” le riforme»85. La scrittrice precisa anche che: «Qualunque
strategia che si basi sullo sfruttamento di una finestra di opportunità aperta da uno
shock traumatico deve fare affidamento su un elemento di sorpresa. Uno stato di
shock, per definizione, è un momento in cui c’è uno iato tra la velocità con cui
evolvono gli eventi e le informazioni disponibili per spiegarli». Anche questa
affermazione sembra calzare a pennello sulla vicenda rifiuti, infatti è innegabile che
solo parecchi anni dopo dall’inizio dell’emergenza si è riusciti a fare il quadro del
grande affare che si muoveva dietro la crisi dei rifiuti con il loro accumularsi per le
strade causa di rischi sanitari. Durante quel tempo le misure intraprese dai
Commissariati preposti sono apparsi come salvifici e sensati, ma come abbiamo visto
invece erano frutto di scelte sconsiderate o superficiali che hanno creato opportunità
di profitto legali e non. Osserva Lucarelli rispetto all’impossibilità di operare in
84 Di Gennaro A., 12.01.2008. “Commissariati straordinari in Campania: emergenza o stato di eccezione?”, su www.eddyburg.it 85 Klein N., 2008. “Shock economy – l’ascesa del capitalismo dei disastri ”, Bur.
92
modo ordinario per regolamentare il flusso dei rifiuti: «L’emergenza, quale
incapacità a gestire in via ordinaria il ciclo integrato dei rifiuti, è divenuta in senso
assoluto fonte del diritto. Uno stato di fatto, tra l’altro, privo dell’eccezionalità,
proprio per il protrarsi sine die di competenze e funzioni extra ordinem86»
Klein definisce dunque «capitalismo dei disastri» questi raid orchestrati contro la
sfera pubblica in seguito ad eventi catastrofici, legati a una visione dei disastri come
splendide opportunità di mercato.
Friedman il padre di questa teoria nel suo libro “Capitalismo e libertà” scrisse
chiaramente: «Soltanto una crisi – reale o percepita – produce vero cambiamento.
Quando quella crisi si verifica, le azioni intraprese dipendono dalle idee che
circolano. Questa, io credo, è la nostra funzione principale: sviluppare alternative alle
politiche esistenti, mantenerle in vita e disponibili finché il politicamente impossibile
diventa politicamente inevitabile». Per Klein i “friemaniani” accumulano idee per il
libero mercato come alcune persone accumulano cibo in scatola e acqua in
previsione di grandi disastri. «E quando la crisi colpisce – ne era convinto il
professore dell’Università di Chicago è necessario agire in fretta, imporre un
mutamento rapido e irreversibile prima che la società tormentata dalla crisi torni a
rifugiarsi nella “tirannia dello status quo”. Friedman stimava che “una nuova
amministrazione dispone di un periodo di sei-nove mesi in cui realizzare i principali
cambiamenti; se non coglie l’opportunità di agire incisivamente in quel periodo, non
avrà altra occasione del genere”»87. È impressionante la somiglianza con quello che
ha fatto l’Impregilo in Campania con l’immondizia campana; con il CDR per
l’inceneritore e come è riuscita ad ottenere quello che voleva. «Le modifiche
contrattuali caldeggiate dall’ABI, tenute in caldo da Rastrelli e approvate da
Bassolino comportano in teoria un maggior guadagno per Impregilo di quasi
settecento milioni di euro. Ecco perché Impregilo non vuole mollare i CDR»
[Rabitti]. L’Impregilo ha trattenuto sul territorio campano 6 milioni di “ecoballe”
illegalmente fino a quando fosse pronto l’inceneritore di Acerra per ricevere i fondi
del CIP6. Ha avuto però il via libera a bruciare tutto il suo “patrimonio” di
86 Lucarelli A., 2007. “Il jolly dell’emergenza in un coacervodi irresponsabilità ed inefficienze” Bollettino delle Assise della città di Napoli e del Mezzogiorno di Italia n. 6, 27 settembre 2007. 87Friedman M., Friedman R., 1984. “Tiranny of the Status Quo”, Harcout Brace Jovanovich, San Diego, p.3; trad. it “La tirannia dello status quo”, Loganesi, Milano 1984, pp. 4-5.
93
immondizia tritata solo al cambio di Governo avvenuto nel 2008 nel più alto picco
dell’emergenza rifiuti. Il governo a distanza di soli cinque mesi dal suo insediamento
ha varato un Decreto che conteneva al suo interno alcune le misure per rendere legale
tutto quello che in dieci anni gli organi preposti hanno impedito di fare all’azienda. Il
“Decreto di Maggio” arrivava proprio in un momento di instabilità politica fortissima
con alcuni scandali che hanno travolto alte cariche dello Stato e della Regione
campana, mentre sfociava in sommossa popolare l’azione dei comitati frutto di una
pressione sociale, sanitaria e ambientale al limite del sopportabile. «E’ così che
funziona il capitalismo dei disastri: il disastro originario – il colpo di Stato, l’attacco
terroristico, il crollo dei mercati, la guerra, lo tsunami, l’uragano – getta l’intera
popolazione in uno stato di shock collettivo». Ed è forse un cataclisma del genere che
ha sconvolto la popolazione campana. «(…) È come se uno tsunami avesse investito
le coste di un’intera regione italiana. Le immagini che la televisione ci trasmetteva
dopo il disastro che alla fine del 2004 aveva investito le coste della Thailandia,
dell’Indonesia e dell’India non erano così diverse da quelle che ci hanno raggiunto
dalla Campania. L’onda anomala aveva rovesciato sulle strade tutto quello che aveva
trovato e spazzato via dalle abitazioni di indigeni e turisti, corpi umani compresi; qui
le montagne di rifiuti accatastati e bruciacchiati sulle strade, insieme ai cadaveri degli
animali sterminati dalla diossina, sono testimoni della quotidianità della vita che si
svolge all’interno delle case prima che le cose utilizzate prendano la strada senza
sbocco del cassonetto» [Viale 2008].
Sulla stessa analisi si muove anche Sabina Morandi che parla de «il meccanismo
diabolico di un sistema capace di trasformare i disastri in occasioni di profitto a
fronte del fallimento delle capacità gestionali di un gruppo di amministratori che si
sono fatti coinvolgere in un’enorme truffa ai danni delle future generazioni»
[Morandi 2009].
«Il punto cruciale» però osserva Klein «è che il modello economico di Friedman
può essere parzialmente imposto in una democrazia, ma per attuarlo in tutta la sua
portata ideale sono richieste condizioni di natura autoritaria». E di fatto la piena
realizzazione in Campania del progetto della Fibe si realizza proprio con
l’imposizione della forza per quanto riguarda l’avvio dell’inceneritore e il business
delle discariche, altrimenti ostacolata dalla popolazione consapevole dei veleni che
94
ha subito per decine di anni. Alberto Lucarelli riferendosi al tanto contestato
“Decreto di Maggio” ne deduce tutta la sua pericolosità fino a giudicarlo un
pericoloso passo falso per la democrazia e la libertà del Paese. «Il ricorso non a
eventi straordinari ed imprevedibili, ma allo stato di necessità, cioè ad una categoria
meta-giuridica, mina alla radice la legittimità del decreto-legge e degli atti che sulla
base di esso verranno adottati – in violazione del principio di legalità - facendo
risorgere, dopo il disarmo delle istituzioni pubbliche, un diritto pubblico autoritario,
minaccioso e violento che intende attribuire allo Stato, nella sua dimensione politico-
amministrativa, unicamente la funzione di paladino della sicurezza, assolutamente
irresponsabile nei confronti dei conflitti sociali. Ciò azzera i successi e i traguardi
dello Stato democratico, regredendolo a Stato di polizia della fine dell’Ottocento.
Uno Stato debole ed inefficiente sul versante socio-economico, ma capace di “tirar
fuori i muscoli” nel regolare il mitico rapporto autorità-libertà» [Lucarelli 2008].
Una situazione preoccupantemente ciclica in cui si abitua la popolazione ad una
continua regressione dei diritti fondamentali dei cittadini. «Dieci, quindici anni
d’emergenza di routine, costellati dalle cicliche esplosioni di rabbia della
popolazione alle quali, ciclicamente, si risponde con i manganelli dalle
amministrazioni di ogni colore. Un sistema analizzato e ricostruito in ogni dettaglio
che si configura come l’ennesima variante del solito capitalismo all’italiana, quello
in cui profitti di pochi privilegiati vengono pagati, direttamente o indirettamente, da
tutti noi» [Morandi 2009].
Il capitalismo dei disastri si può legittimare dunque solo attraverso l’uso della
forza «questo fondamentalismo capitalista è stato invariabilmente partorito dalle più
brutali forme di coercizione, inflitte sul corpo politico collettivo come su
innumerevoli corpi individuali» [Klein 2008]. Lo stesso corpo collettivo che in
Campania è stato avvelenato, condannato alle malattie più atroci, e che adesso se
prova a decidere del proprio futuro viene punito con il carcere o represso duramente.
«Nel concreto aver lasciato che il ciclo dei rifiuti finisse nelle mani della criminalità
organizzata non comporta soltanto il disastro ecologico e sanitario (…), ma anche i
molteplici disastri che si manifesteranno in futuro, quando gli effetti dei veleni sul
corpo sociale diventeranno visibili come lo sono quelli prodotti sull’organismo dei
singoli cittadini. Perché l’Emergenza S.p.a. garantisce lauti profitti a molti, ma non
95
ammette concorrenza: una volta che il territorio è stato consegnato ai veleni della
chimica non si può tornare indietro né restare fuori dal gioco» [ibidem].
Lo stato di eccezione creatosi nell’”emergenza” in Campania, secondo di
Gennaro, presenta caratteristiche simili ad alcune scelte intraprese anche in ambito
globale, quando la comunità internazionale dopo l’11 settembre 2001 ha dato inizio
alla famosa “Guerra al terrore”, durante la quale sono state riscritte in maniera
permanente le regole di guerra e di controllo della popolazione. «Lo stato di
eccezione ha questa caratteristica: come nel caso della guerra al terrorismo
internazionale, è più semplice decretarne l’inizio che programmarne la scadenza,
dichiarando preventivamente con chiarezza gli obiettivi da perseguire, oltre i quali lo
stato di eccezione non ha più ragion d’essere. Può allora succedere che la
sospensione del regime ordinario possa dilatarsi indefinitamente, ben al di là delle
motivazioni iniziali, inducendo testimoni avvertiti come Donato Ceglie a considerare
i commissariati di governo campani come una “riforma istituzionale non dichiarata”»
[di Gennaro 2008]. La spinta autoritaria è forte quanto più si protrarrà l’emergenza
rifiuti: «lo stato di eccezione, lo stato di emergenza stanno spingendo e, soprattutto,
legittimando purtroppo, l’adozione di scelte e provvedimenti che rischiano di
pregiudicare progressivamente il futuro del nostro territorio, mettendo a repentaglio
l’ambiente e la salute dei cittadini, lo sviluppo socio-economico ed in particolare i
diritti delle generazioni future» [Gribaudi 2008]. Il protrarsi dello stato di emergenza
e dei poteri eccezionali «attribuiti a rami della pubblica amministrazione estranei al
circuito democratico del consenso (si pensi al ruolo ed ai poteri extra ordinem del
Commissario delegato all’emergenza rifiuti) ha determinato una sospensione
dell’ordine costituzionale delle competenze e delle garanzie dei diritti fondamentali»
[Lucarelli 2008]. La conseguenza principale della “dottrina dello shock” individuata
da Klein è infatti, quella di una regressione dello stato di diritto, di un annichilimento
delle proteste e delle resistenze, di una perdita di memoria collettiva su quello che è
accaduto, di uno slittamento in negativo della vita democratica di un Paese. «Il
problema è per dirla ancora con le parole di Stefano Masini, è che “quando una
comunità perde la capacità di indignarsi è in grande difficoltà rispetto ai problemi
oggettivi. Se mancano gli anticorpi si rischia una metastasi sociale generalizzata”,
dalla quale è poi molto difficile guarire» [Morandi 2009]. «I politici sfuggono»
96
denuncia il Comitato di Chiaiano, «non rispondono alla crescente insoddisfazione di
bisogni collettivi. Hanno perso la memoria: “La democrazia si fonda su regole certe e
condivise finalizzate ad indirizzare i rapporti politici, sociali ed economici di una
comunità verso una condizione di benessere diffuso”. Siamo costretti a ripeterlo
spesso».
In un articolo memorabile di Gabriella Gribaudi si trovano le parole giuste per
descrivere la decadenza di una classe politica costretta a legittimare le proprie scelte
e quelle altrui con la repressione e la coercizione. «Ci troviamo di fronte a una classe
politica del tutto delegittimata a livello locale come a livello nazionale, ma
ostinatamente attaccata al potere conquistato, tanto da accettare di adeguarsi e celarsi
dietro ai diktat autoritari del nuovo governo. Da un canto, quindi, una classe politica
che non ha più credibilità e legittimità per agire, se mai lo volesse, dall’altro i nuovi
governanti che usano una procedura autoritaria e antidemocratica. Altro che
protestare! Sembra che non ci siano più possibilità di “voice”, per usare la famosa
espressione di Hirschman che stava a indicare gli spazi per una protesta democratica
che venisse ascoltata, ma che l’unica possibilità sia per chi può l’ “exit”, cioè
andarsene, che è, purtroppo, quello che stanno facendo tutti i giovani più
intraprendenti. Viene voglia di stare zitti, di scegliere un doloroso e appartato
silenzio88». In queste condizioni di regressione da “shock terapia” avverte la Klein
non tutto è perduto, ci si può rialzare: bisogna saper resistere, accumulare memoria
storica e condividerne le conoscenze. Quello che sta avvenendo ed è avvenuto nei
comitati è che anche nei momenti di contrazione e di sconforto della popolazione ci
si riorganizza e nel frattempo si socializzano le loro scoperte, si avviano le buone
pratiche. Questi processi di ricostruzione dal basso sono per l’autrice «l’antitesi
dell’ethos proprio del capitalismo dei disastri» [Klein 2008]. Anche nei momenti più
neri di una democrazia afferma Lucarelli bisogna lottare: «La lotta per il diritto
accompagna tutti i momenti della vita dei diritti, non solo la loro conservazione, ma
anche la loro fondazione e trasformazione, e ricordiamoci che la manifestazione più
estrema è il diritto di resistenza»89. Tocca a tutti resistere alle deformazioni di un
sistema troppe volte avviluppato su se stesso che si alimenta e si sostenta sulle spalle
88 Gribaudi G., 2008. “Intellettuali e debolezze della politica” «Il Mattino» 8 giugno 2008. 89 Lucarelli A., 2007. Intervento al convegno “Ambiente e Salute in Campania. Quali Soluzioni?” tenutosi a Napoli il 26 marzo 2007 presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici.
97
di tutta la comunità. Occorre una coscienza critica verso ciò che riguarda tutti, verso i
beni comuni a cui attinge e fa riferimento tutta la comunità come l’ambiente e la
salute. In questo modo le comunità in lotta possono consegnare il futuro ai propri
figli: «Ricordiamoci, infine, quale obbligo morale e professionale, che la lotta per il
diritto va sempre accompagnata al compito di stimolare le nuove generazioni a
studiare con rigore i problemi della pubblica amministrazione, a studiare i problemi
dei beni comuni ed i diritti fondamentali ad essi riconducibili» [ibidem].
98
Capitolo III
«Mentre l’estate è alle porte, riaffiora anche la paura che il sito venga invaso dalla
munnezza, ecco che avviene il sospirato miracolo: Gianturco non verrà usata come il
rifugio per la munnezza! Questa vittoria mi riempì di gioia e, anche se penso che Gianturco
è libera, so che bisogna lottare ancora per Chiaiano o Marano, e io sarò con loro, finché
anche loro non saranno liberi!»
Anna Ceraso “La Terra del Rifiuto, il diario della lotta contro la MUNNEZZA”
«Eppure proponiamo solo soluzioni alternative per la nostra vita, che proteggano la salute
già minacciata. La nostra e quella degli altri, in qualunque posto vivano. Not In My Back
Yard, non nel mio giardino. Ma non abbiamo più giardini. E questo ci unisce»
Relazione del Comitato di Chiaiano”Chiaiano, emergenza ambientale e democratica”
«Non saranno più accettate azioni di minoranza organizzate che calpesteranno
la legalità [...], che per un motivo o per un altro potranno bloccare una
ferrovia, bloccare un aeroporto, bloccare una discarica bloccare un cantiere.
Lo Stato in questi casi deve intervenire puntualmente immediatamente
usando la sua autorevolezza, la sua autorità e la sua forza»
Intervento del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, durante la conferenza stampa del Primo Consiglio dei
Ministri tenutosi a Napoli il 21 maggio 2008.
1. Dopo Pianura viene individuato il sito di trasferenza temporaneo a
Gianturco: le azioni dei comitati per Napoli Est.
Il giorno 8 Gennaio 2008 “La Repubblica” annunciava la predisposizione delle
nuove misure del Governo per fronteggiare l’emergenza, mentre a Pianura da giorni
era in corso una rivolta furibonda della popolazione. Era pronto dunque per
l’ennesima volta «Il piano del governo per superare l’emergenza rifiuti in Campania.
– Previsto l’intervento dell’esercito per le situazioni “di necessità e urgenza” – Prodi:
99
“De Gennaro commissario e tre termovalorizzatori”» 90. Si dispone l’utilizzo dei siti
previsti dalla legge 87 del 2007 per lo smaltimento in «un numero sufficiente di
discariche tali da consentire l’autosufficienza regionale a medio termine nella
gestione dei rifiuti» [ibidem], Entro 4 mesi, pena il commissariamento, i Comuni
dovranno avviare la raccolta differenziata, l’apertura di tre termovalorizzatori91. Sarà
richiesto il contributo dell’esercito nell’immediato, per fronteggiare l’emergenza. Il
piano operativo per il breve termine, precisa il presidente del Consiglio Prodi, è
quello di “avvalersi del concorso qualificato delle forze armate, per le situazioni
straordinarie di necessità e urgenza”. Saranno utilizzati “cento camion dell’Esercito
per movimento terra e altri mezzi speciali come ruspe e bobcat”. L’appello alla
popolazione. Il governo chiede collaborazione delle regioni ad accogliere i rifiuti
campani92. Il Governo cerca inoltre di rassicurare la popolazione in rivolta di
Pianura, della mutevole situazione in atto e sulla possibilità di spostare altrove la
localizzazione del sito di stoccaggio dei rifiuti, avendo la consapevolezza che il
quartiere è già stato abbondantemente penalizzato dalla discarica regionale chiusa
dopo trent’anni93.
Le prime informazioni su l’individuazione di un sito metropolitano di trasferenza
delle “ecoballe” alternativo a Pianura circolano già dal 15 gennaio 2008. Sul sito dei
movimenti sociali di sinistra Indymedia Napoli si annuncia l’individuazione di un
sito di stoccaggio provvisorio di rifiuti a Gianturco in un ex-manifattura tabacchi
ormai dismessa da anni: «(…) Pare che l’ordinanza commissariale per il sito di 90 «Repubblica.it», 8 gennaio 2008. 91 «Roma. - Gianni De Gennaro commissario straordinario per 120 giorni, l’apertura di tre termovalorizzatori, ad Acerra, Santa Maria La Fossa e Salerno, (…) il ‘‘concorso qualificato delle forze armate, nelle situazioni di straordinaria necessità e urgenza” per il rapido superamento dell’emergenza, quattro mesi per avviare la raccolta differenziata, scaduti i quali i Comuni inadempienti verranno commissariati. (…) Un supercommissario a tempo determinato al posto del solito commissario straordinario: a Napoli sono stati 14 in 14 anni. De Gennaro sarà affiancato, con il ruolo di vicario e con responsabilità operativa e logistiche, dal generale di divisione Franco Giannini. De Gennaro e Giannini subentrano all’attuale commissario Umberto Cimmino che a fine anno aveva preso il posto di Alessandro Pansa. (…)I siti per lo smaltimento. Sulla base di quanto detto da Prodi, si tratta, almeno in prima battuta, di Serre in provincia di Salerno, Savignano Irpino in provincia di Avellino, Terzigno in provincia di Napoli e Sant’Arcangelo Trimonte in provincia di Benevento. Pianura, ancora tutto da decidere» [ibidem]. 92 «Per domani alle 15 sono stati convocati alla presidenza del Consiglio i presidenti delle Regioni. Il premier chiederà alle Regioni di assicurare “un contributo su base volontaria, limitato nelle quantità e nel tempo”, per il superamento dell’emergenza immediata in Campania. Molte regioni tra ieri e oggi hanno già dichiarato la propria impossibilità a dare tale contributo» [ibidem]. 93 «Fonti di palazzo Chigi puntualizzano in serata “come non si possa pensare di risolvere i problemi della discarica di Pianura, ma non solo, con la violenza. Serve invece collaborazione anche da parte della popolazione evitando di dare per scontate scelte che devono essere ancora definite’’» [ibidem].
100
stoccaggio nella zona orientale esista già»94. Il quotidiano “La Repubblica”, del 16
gennaio 2008 nella sezione Napoli, pubblica uno dei primi articoli apparsi sulla
stampa in cui viene confermato il via libera del Comune di Napoli all’inizio dei
lavori che porteranno alla costruzione di una piattaforma cementificata per il
posizionamento di 39.000 eco balle. «È il 16 gennaio 2008 e – accanto ai numeri
ormai consueti dell’emergenza rifiuti “La Repubblica” annuncia, sostituendosi alle
amministrazioni locali del Comune e della Provincia di Napoli, e nazionali del
Commissariato all’Emergenza Rifiuti, i 5000 metri quadri di spazio dell’ex
Manifattura Tabacchi come futuro sversatoio di rifiuti all’interno della città95». Si
tratta, di uno spazio destinato pochi mesi prima dal Comune alla costruzione della
nuova Cittadella della Polizia96. La notizia arriva stranamente attraverso le fonti
pubblicistiche e non attraverso fonti ufficiali di governo. La signora F., 50 anni dice:
“Abbiamo saputo dai giornali quello che ci stava succedendo, quello che doveva
succedere, cioè che la manifattura tabacchi stava per essere invasa da quintali e
quintali di spazzatura”. R., media-attivista di Insu^Tv, descrive così come ha appreso
la notizia: “Era il 14, 15 Gennaio 2008, la Sindaca Iervolino rilasciò un’intervista
all’emittente Sky News 24 in cui veniva individuato il dazio che Napoli doveva
pagare, parlando appunto dell’ex Manifattura Tabacchi di Gianturco» [Manunza
2009].
La mobilitazione a Gianturco è immediata, utilizzando semplicissimi strumenti di
comunicazione, dalle telefonate al volantinaggio, dalle assemblee pubbliche
all’utilizzo dei media indipendenti, che trasmettevano gli aggiornamenti sui circuiti
dell’informazione paralleli al mainstream. Il 18 gennaio 2008 la popolazione si
94 «Dovrebbe essere stata firmata il 13 gennaio (ordinanza n.14). L’area individuata sarebbe quella dei capannoni che stanno alle spalle degli “uffici per il gioco” (una specie di bingo) in cui rimangono a lavorare 30 impiegati dell’ex-manifattura tabacchi. In tal caso l’accesso sarebbe da via Galileo Ferraris, dopo l’incrocio con via Gianturco, quando raggiunge di nuovo e costeggia il binario della ferrovia. Dicono che passando si veda già una ruspa al lavoro da un paio di giorni per preparare la strada. Ricordiamo che tutta l’area della manifattura tabacchi è attualmente gestita dalla Fintecna, una società immobiliare di diritto privato ma a capitale pubblico, del ministero delle finanze. Dovrebbero essere stoccate provvisoriamente (per quel che significa provvisiorio da queste parti e di questi tempi...) almeno 6 - 7.000 tonnellate...» Postato il 15 gennaio 2008, http://napoli.indymedia.org/. Autore articolo: Noglobalnet. 95 Manunza L. 2009. “Gianturco: Le ruspe nel dormitorio”, in A. Petrillo (a cura di) “Biopolitica di un rifiuto, le rivolte antidiscarica a Napoli e in Campania”, Ombre corte,Verona pp. 109-128. 96 L’accordo era arrivato «attraverso un protocollo d’intesa tra Ministero dell’Interno, Regione Campania, Comune di Napoli, Inail, Fintecna (proprietaria dell’ex Manifattura Tabacchi), Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato e Agenzia del Demanio» [ibidem].
101
riunisce nuovamente per organizzarsi e affermare il proprio no al sito di trasferenza e
organizzare i primi blocchi al traffico e le relative proteste. Nel quartiere, come del
resto in tutto l’hinterland napoletano, la situazione è insostenibile, data la quantità di
rifiuti sversati sulle strade interne al quartiere, anche se più volte la cittadinanza
riunitasi per l’occasione in comitato aveva ribadito la necessità alle municipalità di
un immediato e pronto intervento da parte dell’Asia per la rimozione dei rifiuti97.
Data la velocità di evoluzione degli eventi, i comitati cittadini affiancati dai militanti
del C.S.O.A. di Gianturco “Officina99” danno subito avvio ad un reportage
quotidiano dal quartiere, tanto che “Radiolina”, la radio pirata del centro sociale, è la
prima a dare la notizia dei blocchi stradali98. Nel comunicato pubblicato da
“Comitato di quartiere zona est” su Indymedia Napoli si legge: «Oggi centinaia di
abitanti della zona orientale, con famiglie e bambini ma anche realtà sociali del
quartiere (come il centro sociale Officina99), e alcuni consiglieri di municipalità
hanno pacificamente invaso per alcune ore la stazione metropolitana di Gianturco e
la linea ferroviaria Napoli-Roma per protestare contro la decisione autoritaria di
insediare una bomba ecologica in mezzo al quartiere Gianturco. L’occupazione è
durata fin quando, per ordine pubblico, non è stato garantito un incontro col sindaco
per lunedì mattina»99. Il 21 gennaio maggiori informazioni sulla condizione del
quartiere vengono redatte in un dossier, preparato dal variegato gruppo di
informazione napoletana “M.i.na.” (Media Indipendenti Napoli) che fanno
riferimento al centro sociale Officina 99. Il Report dichiara che «Gianturco e la Zona
97 «L’assemblea ha dato vita ad un primo blocco stradale terminato solo quando si è assicurato alla cittadinanza l’intervento immediato dell’Asia» [ibidem]. 98 «Questa è Radiolina, sono le 18:26, qui a Gianturco ci sta un blocco stradale oramai da più di cinquanta minuti, è stato bloccato l’incrocio che va da via Galileo Ferraris a via Gianturco la stessa traversa limitrofa al Centro Sociale Officina 99 è stata bloccata da altri ragazzi attraverso l’utilizzo delle campane del vetro. La situazione è comunque molto tranquilla, sono presenti anche numerose donne e bambini e la prima richiesta sembra essere quella di iniziare una raccolta ordinaria dei rifiuti già presenti a Gianturco ormai da svariate settimane» [ibidem]. 99 «(…) un sito per circa diecimila tonnellate di immondizia “talquale” da cui non viene nemmeno separata la parte putrescente. Un sito che rischia di essere molto poco “temporaneo”, ma anzi addirittura di aumentare nel tempo, visto che nessun provvedimento è stato adottato per diminuire la produzione quotidiana di rifiuti, per diminuire la produzione di imballaggi o separare il secco dall’umido. Quindi una piccola discarica che seppellirebbe anche simbolicamente le tante chiacchiere sul cambiamento del quartiere. (…)è stato garantito un incontro col sindaco per lunedì mattina. Lo stesso sindaco che nel passato ha lasciato nel vuoto petizioni con migliaia di firme per riaprire gli spazi socio-aggregativi della manifattura tabacchi e ora annuncia in Tv che ha offerto quegli spazi per portarci la monnezza di tutta Napoli... Complimenti!». Postato il 18 gennaio 2008, Http://napoli.indymedia.org/. Autore articolo: Comitato Napoli Est.
102
Orientale sono già una discarica»100: nel quartiere sarebbe già esistente uno
sversatoio abusivo e permanente di rifiuti putrescenti, nascosto tra i depositi di gas e i
serbatoi di carburante.
Lo stesso giorno avvengono primi incontri tra i comitati e gli organi istituzionali
a seguito del blocco dei binari della stazione metropolitana di Gianturco. I risultati di
questo incontro non sono per niente rassicuranti hanno esiti negativi: “Senza esito
l’incontro tra cittadini di Gianturco e vicesindaco” 101. Il 21 Gennaio le proteste
esplodono nel quartiere: «No alla Bomba ecologica! Blocchi anche oggi a
Gianturco». Il giorno dopo, martedì 22 Gennaio una notizia flash sul sito
www.carta.org titolava «Ore 13:14. Rifiuti. Occupata l’ex Manifattura Tabacchi a
Gianturco – Un centinaio di cittadini a Gianturco, hanno occupato l’ex Manifattura
Tabacchi. E’ uno dei siti individuato dal commissario straordinario De Gennaro
come area dove stoccare la spazzatura presente nelle strade».
La notizia viene diffusa in rete attraverso un comunicato ufficiale dei comitati e
gli attivisti di officina 99: «Occupata manifattura tabacchi a gianturco. Sarà un sito di
rifiuti differenziati per la città»102. Il giorno dopo, 23 gennaio 2008 , ”La
100 A Gianturco, in via Nuova delle Brecce, l’Asia scarica rifiuti non differenziati (tal quale) all’interno di un’area apparentemente adibita a deposito dei mezzi per la raccolta. Siamo nella zona in cui il 21 dicembre 1985 esplosero 25 serbatoi dell’Agip causando cinque morti e 165 feriti. In una palazzina adiacente al deposito abitano alcune famiglie. Davanti al posto di guardia, sorvegliato da alcuni vigilantes, una donna denuncia la situazione. “Ci hanno detto che si trattava di un’area di stoccaggio delle suppellettili, ma sono anni che ci portano la spazzatura così com’è”. Sopra le montagne di spazzatura addossate ai muri di cinta volteggiano decine di gabbiani. Ai piedi delle cataste si stendono vaste pozzanghere di fanghiglia marrone, il tanfo si avverte in tutta l’area circostante. (…) Accanto alla discarica a cielo aperto, un alto cancello protegge un deposito di carburante della Q8. Il cartello all’entrata raccomanda: “Vietato fumare, vietato accendere fuochi liberi…”.Il deposito in questione si trova a poche centinaia di metri di distanza in linea d’aria dalla Manifattura Tabacchi di Gianturco, la zona designata nei giorni scorsi per accogliere il sito di trasferenza napoletano con migliaia di tonnellate di spazzatura “tal quale” che stanno per arrivare. “Il quartiere le discariche ce le ha già”, rispondono gli abitanti di Gianturco». 21 gennaio 2008, dossier a cura di «MINA – Media Indipendenti Napoli: Indymedia, InsuTv, Monitor, RadioLina» pubblicato su http://napoli.indymedia.org/. 101 «Indisponibile la Iervolino ( a S. Lucia in riunione con De Gennaro, bassolino e di palma) i cittadini sono stati ascoltati dal vicesindaco Sabatino Santangelo dopo aver rifiutato di interloquire con l’assessore Gennaro Mola. Intanto le notizie sugli organi di stampa non tranquillizzano i cittadini “Undici, invece, sono i siti di stoccaggio provvisori che negli ultimi 11 giorni il Commissariato, d’intesa con Consorzi e Comuni, hanno in parte attivato. A Napoli e in provincia stanno per aprire: i capannoni della Manifattura Tabacchi -un sito su cui si consuma ancora il braccio di ferro con i cittadini e con i no global di un vicino centro sociale...” cita il quotidiano La Repubblica di oggi». Postato il 21 gennaio 2008, http://napoli.indymedia.org/ Autore articolo: “il_corvo”. 102 «Questa mattina diverse centinaia di abitanti del quartiere di gianturco del comitato salute e ambiente napoli est hanno occupato la ex manifattura tabacchi indicata da De Gennaro come “sito temporaneo” per lo stoccaggio dei rifiuti tal quale. Il comitato che ora presidia l’ex fabbrica intende allestire nell’area della manifattura un’isola ecologica per i rifiuti differenziati e lancia l’appello ai
103
Repubblica” titolava «Occupata la Manifattura Tabacchi. Il piano rifiuti apre due casi
in città»103.
Durante la prima notte di presidio di Gianturco104 viene ritrovato un cospicuo
quantitativo di amianto stoccato all’interno dello stabile. «Preoccupazione tra la
gente per la scoperta di stamattina: nel capannone che si allestiva giacevano decine di
sacchi di amianto, alcuni aperti... dopo che ieri è stato individuato lì nei paraggi un
altro “sito di trasferenza temporaneo” attivo da oltre 5 anni. In meno di mezza
giornata sono state allestite dagli occupanti aree diverse per la raccolta differenziata:
carta, vetro e plastica, dove i cittadini tutti sono stati invitati a portare la loro
differenziata per contribuire così concretamente in prima persona e con
l’autorganizzazione alla risoluzione di questa “emergenza”» [ibidem].
Il 29 gennaio De Gennaro annuncia l’arrivo delle ecoballe a Gianturco come atto
improrogabile come riportato da Repubblica : «Nell’ area di Manifattura tabacchi, a
Napoli, andranno a breve 39 mila balle di rifiuti, preceduti da un monito. “Tempo
scaduto, non possiamo tentennare: andremo avanti sulle decisioni prese come carri
armati”105. Mercoledì 30 Gennaio 2008 la promessa del commissario è mantenuta:
«Ore 10:57 Rifiuti. La polizia entra nell’ex Manifattura Tabacchi, 200 persone ne
bloccano l’ingresso106». Allo sgombero gli occupanti per l’ennesima volta,
cittadini a portarvi fin da oggi carta, cartoni, plastica e vetro. La differenziata porta a porta subito è l’unico modo per uscire dalla crisi voluta per 14 anni. La dove le istituzioni preposte sono inadempienti i comitati di cittadini si iniziano ad autorganizzare per mostrare che si può fare e pretendere che venga fatto sotto il controllo popolare. All’interno dell’area sono stati trovati ingenti quantità di amianto stoccati in sacchi e poco distante come gia denunciato con i video distribuiti nella conferenza stampa di ieri sotto il comune di napoli, una mini discarica a cielo aperto. A Gianturco ed in tutta la Campania non c’è più posto per discariche di rifiuti tal quale ed inceneritori che aggravano ulteriormente la drammatica situazione sanitaria ed ambientale. Venga adesso de Gennaro a cacciare i cittadini che fanno ciò che istituzioni non hanno saputo fare si renderebbe ridicolo agli occhi del mondo intero. Il re è finalmente nudo!». 22 Gennaio 2008, http://napoli.indymedia.org/, Autore articolo: Comitato Salute/Ambiente Napoli est. 103 “Prima notte di Presidio a Gianturco”, «La Repubblica» a pagina 4, sezione: NAPOLI, 23 gennaio 2008. 104 Postato il 23 Gennaio, 2008 da Anonimo http://napoli.indymedia.org/ 105 Conchita Sannino “Scontro tra De Gennaro e i sindaci – Non stravolgerò il mio piano”, «La Repubblica» , 29 gennaio 2008 pagina 6 . sezione: NAPOLI. 106 « All’alba gli agenti della Polizia sono entrati all’interno dell’ex Manifattura Tabacchi, nella zona orientale di Napoli. E hanno buttato fuori le circa venti persone che presidiavano il sito. Gli abitanti del quartiere, allertati dalle persone salite subito sulle ciminiere, si stanno raggruppando fuori dai cancelli, dove per ora ci sono circa 200 persone, ben decise a non fare entrare i camion carichi di rifiuti. (…)La protesta, portata avanti da comitati dei cittadini e da un gruppo del centro sociale ‘Officina 99’, aveva all’origine la preoccupazione che i rifiuti, in maniera indiscriminata, fossero depositati in una zona popolosa con centinaia di palazzi e condomini residenziali. Il ‘no’ era dovuto anche all’individuazione, all’interno dei capannoni, di alcuni sacchi contenenti amianto. I cittadini
104
reagiscono come possono e dato il precipitare degli eventi si ricorre a gesti
estremamente pericolosi. Viene diramato un comunicato che poi sarà inviato alle
maggiori testate giornalistiche: «Sgomberata all’alba la Manifattura Tabacchi,
blocchi a Gianturco ed attivista su ciminiera»107. Nel frattempo però le buone
pratiche di raccolta differenziata portate avanti dai comitati occupanti della
Manifattura Tabacchi cominciano a essere emulate da altre organizzazioni presenti in
città per spingere a cominciare sin da subito a raccolta differenziata in modo capillare
e sistematico soprattutto in momenti di emergenza come quello che si stava
attraversando108. Il 31 gennaio continuano comunque le proteste a Gianturco con un
blocco stradale spontaneo in prossimità del rione Luzzati, Napoli Est, attuato con due
autobus di passaggio. Nelle stesse ore «i cittadini di Gianturco consegnano gli ultimi
documenti necessari agli avvocati per il confezionamento di una denuncia penale alla
procura della Repubblica, per l’incompatibilità ambientale del sito della ex-
manifattura tabacchi a causa della presenza di amianto e falde acquifere
superficiali»109. Le azioni di protesta radicali di spostano anche in sede istituzionale e
il giorno seguente i cittadini di gianturco prendono parte al consiglio municipale
della IV municipalità, al termine del quale 4 cittadini sono saliti sul tetto degli uffici
avevano chiesto una bonifica dei luoghi e la possibilità di stoccare carta, vetro e plastica. (…)Rimane però un presidio di cittadini e attivisti del centro sociale Officina 99. Almeno un centinaio di persone che continuano a bloccare l’incrocio stradale vicino al sito. Secondo fonti locali, sembra che la polizia abbia aperto un secondo ingresso all’area per far entrare i camion che dovrebbero scaricare la spazzatura raccolta», 30 gennaio 2008, www.carta.org 107«All’interno della struttura un’ attivista della Rete campana dei comitati per la salute e per l’ambiente (in lotta per un diverso piano rifiuti senza discariche ed inceneritori) rimane attaccato ad una vecchia ciminiera alta circa 100 metri per rivendicare a nome dei comitati che, lo spazio in un’area piena di amianto, con una falda acquifera che affiora in superficie ed in una zona fin troppo degradata, come felicemente sperimentato in questi giorni venga adibito ad oasi di stoccaggio e lavorazione di rifiuti differenziati» Postato il 30 Gennaio, 2008 http://napoli.indymedia.org/ Autore articolo: Ag. Com. NoglobalNET 108 «Si allarga anche il cerchio dei cittadini che provano ad auto-organizzare la raccolta differenziata, anche dopo la “conquista” poliziesca dell’ex Manifattura Tabacchi di Gianturco, occupata dai cittadini nei giorni scorsi e trasformata in una delle isole della raccolta differenziata “dal basso”. La Funzione pubblica della Cgil Campania ha lanciato un appello a tutti gli enti pubblici per attuare la raccolta differenziata. Dalla prossima settimana, la Fp lancerà una campagna per sensibilizzare enti pubblici, ospedali, beni culturali e sedi Inps sulla necessità di incentivare la raccolta differenziata. L’esasperazione è tale che perfino una cosa ovvia come la raccolta differenziata sembra rivoluzionaria. La situazione è gravissima anche in provincia di Caserta e Benevento. Si moltiplicano le proteste per l’ individuazione degli altri siti» “Ultimatum dell’Ue all’Italia: un mese di tempo” 31 Gennaio 2008 su www.carta.org. 109 Postato il 31 Gennaio, 2008 su http://napoli.indymedia.org/ Autore articolo: autore imc_napoli
105
municipali in via gianturco minacciando di lasciarsi cadere110. In quegli stessi giorni
il piano irremovibile di De Gennaro comincia a ridimensionarsi. Rainews24.it
annuncia il repentino cambiamento di programma del commissario e i problemi
emersi in questo breve frangente: «Non apriranno 5 discariche sulle 6 previste. La
discarica di Montesarchio non riaprirà, Pianura ospiterà un sito provvisorio di
ecoballe, quello di Ferrandelle è già in allestimento mentre per Villaricca, Difesa
Grande, Marigliano e l’ex Manifattura Tabacchi sono in corso le verifiche tecniche
per accertare il reale utilizzo senza compromettere la salute dei cittadini»111. A
Napoli nel frattempo si registrano momenti di tensione tra manifestanti e forze
dell’ordine durante il corteo organizzato per favorire la raccolta differenziata. Vi
prendono parte esponenti di centri sociali, disoccupati e studenti: in corteo un camion
carico di sacchetti della differenziata. Le decisioni intraprese sembrano comunque
irrevocabili «Scatta il piano De Gennaro: si parte con l’ex Manifattura dove viene
“Esclusa la presenza di amianto”112. Il 5 Febbraio vengono consegnati alla Procura
della Repubblica di Napoli il Testo e documentazione dell’esposto sui gravi rischi
ambientali derivanti dall’utilizzo come sito di stoccaggio per rifiuti della Manifattura
Tabacchi (con relativa documentazione fotografica e di mappe)113. Nello stesso
110 «Le forze dell’ordine e vigili del fuoco hanno quindi bloccato la zona, interrompendo il traffico, per evitare un epilogo tragico. alle ore 13:00 i cittadini sono scesi dal tetto ed i manifestanti si sono dati appuntamento per l’allestimento di un gazebo-presidio in prossimità della ex-manifattura tabacchi, con l’obbiettivo di vigilare l’eventuale arrivo di camion con i rifiuti» “Aggiornamento da Gianturco, 31 gennaio ore 15:00, Postato il 31 Gennaio, 2008 su http://napoli.indymedia.org/ Autore articolo: imc_napoli. 111 Si conferma il via libera al sito di Ferrandelle, nel Casertano, che dovrebbe diventare quasi subito operativo, mentre sono ancora in corso rilievi per altre due discariche, quelle di Ariano Irpino (Avellino) e Villaricca (Napoli), in localita’ Cava Riconte. Insomma, l’obiettivo e’ di partire e non fermarsi piu’, dando cosi’ il via agli sversamenti solo in zone che non diano alcun problema dal punto di vista ambientale. Questa e’ l’indicazione che ha fornito De Gennaro e per questo a Marigliano si è deciso di avviare i carotaggi per capire se nel terreno di località Boscofangone effettivamente, come denunciano i comitati che si oppongono all’apertura del sito di stoccaggio, sono stati sversati nel corso degli anni rifiuti tossici. Di qui la decisione di sospendere i blocchi in attesa dei risultati degli esami.(…) Le proteste non si fermano. Manifestazioni e blocchi stradali nel Casertano dei residenti che si oppongono all’apertura del sito di Ferrandelle, ma anche di cittadini esasperati per la mancata rimozione. Melito, a nord di Napoli, si e’ trasformata in una vera e propria discarica a cielo aperto. La rabbia e’ tale che i residenti scesi ieri in piazza hanno impedito che un bob-cat accantonasse l’immondizia ai margini delle strade.» “Rifiuti, De Gennaro modifica il piano. Non si fermano le proteste” «RAI NEWS 24.IT», 2 febbraio 2008. 112 Postato il 4 Febbraio, 2008 da Anonimo http://napoli.indymedia.org/ 113« L’esposto è stato siglato in procura da due persone con allegate firme e documentazione anagrafica di cento cittadini del quartiere disposti a costituirsi parte civile in un eventuale procedimento. Nelle stesse ore decine di persone del Comitato “Salute e Ambiente” di Napoli Est ha invaso l’ASL di piazza Nazionale. Poi una delegazione è andata a incontrare un responsabile dell’ARPAC. I motivi sono l’assoluta mancanza di trasparenza degli organi preposti in merito alle
106
momento a Gianturco i comitati riescono ad intercettare gli stessi tecnici Arpac che
stavano facendo i carotaggi del suolo, che chiaramente ammettono che l’Arpac non
dispone di un suo laboratorio per analisi di diossina e di amianto, che tutto viene
spedito a società private a Brescia e che potrebbero volerci dei mesi. «Intanto però il
disastro avanza... E a noi non resta che la protesta!» [ibidem]. La protesta infatti
continua con l’occupazione della sede dell’Arpac che dopo un lunga attesa , produce
ottimi risultati: «Ci sono volute sette ore di occupazione della sede centrale
dell’ARPAC, in via Don Bosco, (dalle 10.00 del mattino alle ore 15.00) da parte di
una cinquantina di attivisti e cittadini del quartiere Gianturco, per poter avere una
documentazione che dovrebbe invece essere assolutamente trasparente! Le
motivazioni dell’occupazione sono legate alla contestazione del ruolo subalterno
dell’ARPAC (Che dovrebbe tutelare ambiente e salute) rispetto alle scelte del
Commissariato e non solo su Gianturco. In particolare contestiamo i troppi silenzi e
omissioni, e chiediamo finalmente di avere la documentazione prodotta dall’ENTE
sulla scelta del sito di stoccaggio nella Manifattura Tabacchi. I documenti sono stati
ottenuti tramite la richiesta formale di due consiglieri municipali, ma non prima di
aver visto addirittura la celere schierarsi e aver subito minacce di sgombero
violento...Inizialmente volevano darceli entro...30 giorni!»114. Dopo questo braccio di
ferro con l’Arpac i risultati dell’occupazione vengono diffusi sui giornali e in tv, non
prima però di aver effettuato ulteriori blocchi stradali nel quartiere115. Il 13 febbraio
alle 16:30 il Comitato Napoli Est insieme ai militanti di Rete Campana Salute e
Ambiente organizza una «Manifestazione/Fiaccolata a Gianturco contro la “Bomba
valutazioni sul rischio ambientale costituito da 39.000 sedicenti “ecoballe” che si vogliono depositare in mezzo al quartiere Gianturco (Nell’area della ex-Manifattura tabacchi). Infatti l’unica cosa che si sà è che “sono stati acquisiti i pareri favorevoli” e che secondo il Commissario De Gennaro “non c’è amianto”...! Postato il 5 Febbraio, 2008 Autore: “Comitato Napoli Est” su http://napoli.indymedia.org/ 114Dalla documentazione integrale dell’ARPAC, emergono alcune cose che in precedenza erano state dette solo verbalmente: 1) E’ assente ogni parere sulla presenza di amianto nella Manifattura!. 2) Viene sollevata la questione della presenza di una falda acquifera superficiale ma non se ne trae alcuna conseguenza! Gli stessi tecnici addetti ai carotaggi hanno candidamente ammesso che non ci sono laboratori Arpac per la diossina e che le analisi verranno fatte a Brescia con tempi non inferiori ad un mese. 3) Dopo che è emersa l’inagibilità dei capannoni, l’Arpac da parere favorevole per l’utilizzo dello spiazzo esclusivamente per rifiuto secco e inerte, viste le caratteristiche dei luoghi e la vicinanza all’abitato. Domani porteremo questa documentazione e le relative riflessioni alla Procura della Repubblica per aggiungerle all’esposto già presentato. “Comunicato sull’Occupazione dell’ARPAC Campania e documentazione su Manifattura Tabacchi” 8 febbraio indymedia http://napoli.indymedia.org/ Autore: Comitato Napoli Est. 115 “Una lettera per Bassolino. Domani inizia «Arcipelago Napoli»“ su www.carta.org 8 febbraio.
107
Ecologica” nella Manifattura Tabacchi»116. Il giorno della chiusura delle festività di
Carnevale Officina 99 organizza con gli abitanti di Gianturco il presidio in maschera
ovviamente il tema non poteva essere che uno solo: i rifiuti e il loro riutilizzo.
Sabato 23, a Napoli a piazza Dante, dalle 12 a mezzanotte, si tiene il «Giorno del
Rifiuto» autofinanziato. Aderiscono alcuni nomi illustri ed esperti dell’argomento:
Franca Rame, Alex Zanotelli, Maurizo Pallante, Paul Connet, Alessandro Iacuelli, e
diversi musicisti. Dopo pochi giorni il commissario De Gennaro ordina la
smilitarizzazione del sito di Gianturco come riportato da un articolo apparso su
carta.org: «Dopo l’ammissione che il piano anticrisi non funziona, che le vecchie
discariche non sono idonee De Gennaro ieri sera ha abbandonato anche il sito
dell’ex-Manifattura Tabacchi, “liberato dalla militarizzazione e dai lavori che
volevano farne un sito di stoccaggio per 39mila ecoballe”, dice il Comitato salute e
ambiente Napoli est. Però non ne ha parlato nessuno e i cittadini si domandano
perché. “Perché non si rendono pubblici i risultati dei carotaggi, da cui emerge, oltre
alla falda acquifera superficiale, la densa presenza di catrame e altre sostanze
inquinanti?”. Forse la risposta sta nel fatto che non si vuole creare “difficoltà alla Q8
cui si stanno per dare in concessione i suoli per altri decenni”, dicono quelli nel
Comitato che nei prossimi giorni continueranno «il pressing sul Commissariato e
sulle istituzioni per rendere pubblica e definitiva la decisione di abbandonare questa
folle scelta e pretendere l’avvio di una vera bonifica ambientale ed altri interventi di
riqualificazione territoriale»117. Il 20 febbraio la seduta del consiglio della IV
Municipalità di Gianturco approva l’ Odg contro il sito ecoballe in ex-Manifattura
Tabacchi prontamente commentato dai comitati118. A distanza di una decina di giorni
116 Nel volantino di indizione emerge tutto l’impegno e la propositività dei comitati: «Fino ad ora solo la protesta ha ostacolato questa scelta sbagliata e pericolosa. Ma c’è bisogno della mobilitazione di tutti i cittadini! Oggi nessuno può garantire nemmeno il tempo di permanenza delle ecoballe, che rischiano di diventare un simbolo negativo rispetto a tutto il futuro dell’area Orientale...Perciò facciamo appello ai cittadini, alle associazioni, alla società civile, ai lavoratori, alle scuole e tutte le altre realtà sociali del quartiere Gianturco, di Sant’Erasmo, del Rione Luzzatti, di San Giovanni e del resto della città che sa e vuole essere solidale. Questa è una battaglia comune! Non siamo il partito del no! Chiediamo immediatamente la raccolta differenziata “porta a porta”, le isole ecologiche, le norme sugli imballaggi per ridurre i rifiuti a monte. Ma diciamo no alle scelte sbagliate e autoritarie! Comunicato “Volantino di indizione della fiaccolata/manifestazione” su http://napoli.indymedia.org/ Autore: Comitato Napoli Est. 117 “Liberata l’ex manifattura tabacchi a Gianturco”, www.carta.org, 19 Febbraio 2008. 118 «Finalmente approvato (con appena un mese di ritardo..) un Odg contro la scelta del sito della ex-manifattura Tabacchi come possibile sito di stoccaggio per le ecoballe, motivandolo sia per ragioni di carattere sanitario e ambientale sia per l’ostacolo che quest’operazione rappresenterebbe rispetto ai
108
si susseguono ulteriori notizie di cambi di programmi: «L’Arpac: sì alle ecoballe
nella Manifattura tabacchi. La manifattura tabacchi potrebbe ospitare le ecoballe: lo
dimostrano i risultati delle analisi consegnati ieri dall’Arpac al commissariato di
governo»119. Il 4 marzo si accendono nuove minacce per Gianturco, ma questa volta
le posizioni prese dalle istituzioni sembrano essere meno legittimate dall’emergenza
e più criticabili come una mera presa di posizione data la verificata presenza di
sostanze tossiche nell’area designata e gli evidenti problemi geografici, sanitari,
ambientali e urbanistici120. Il giorno 8 marzo feste delle donne, il C.S.O.A.
“Officina99” organizza un presidio con dibattiti sulla condizione femminile dove
partecipano anche diverse donne del quartiere che fanno parte del comitato. Nelle
settimane successive altre protestano sottolineano la volontà di non desistere di
fronte la reiterata minaccia di localizzazione, anche se emergono notizie di
trasferimento all’estero dei rifiuti campani: «Ieri un gruppo di attivisti del comitato
Napoli Est in lotta per la salute e l’ambiente del territorio ha dato a Gianturco
[Napoli] ad un blocco stradale per dire ancora una volta No alla ipotesi di apertura di
un sito di stoccaggio di ecoballe all’interno della ex Manifattura tabacchi. L’ipotesi
sembrava scongiurata a seguito della mobilitazione dei cittadini ma il Commissariato
potrebbe disporre a giorni l’inizio dei lavori. Oggi invece si attende la firma progetti urbanistici di rilancio dell’area (in tal senso l’obiezione vale per qualunque sito dentro l’abitato dell’area Orientale della città). Nell’ Odg approvato si da via libera alla presidenza di intraprendere eventuali azioni legali, come il ricorso urgente al Tar, avverso la delibera commissariale, partendo dalle motivazioni di carattere ambientale emerse anche nelle recenti ispezioni all’area e dalla vicinanza col centro abitato che contrasta con le norme di legge». Postato il 20 febbraio 2008, http://napoli.indymedia.org/ Autore articolo: Comitato Salute e Ambiente Napoli Est. 119 «L’agenzia ha svolto uno screening sul terreno e sul catrame ritrovato in alcuni fusti, e non ha trovato nulla di pericoloso. La palla torna dunque a De Gennaro che ha, però, nel frattempo, ordinato rilievi anche sulla falda acquifera. Il destino del sito sarà stabilito solo quando anche queste ultime analisi saranno completate. Si teme, infatti, che un carico eccessivo sul terreno potrebbe creare fuoriuscite della falda». Dal «Mattino» di domenica 2 marzo 2008. 120 «In un incontro tenutosi giovedì sera con la presidenza della IV municipalità e con una delegazione del Comitato Napoli Est, Antonio Reppucci, capo di gabinetto del Commissariato ai rifiuti, e il responsabile del Ministero dell’Ambiente hanno comunicato l’assurda decisione di ritornare alla ex-Manifattura Tabacchi per realizzare un sito di stoccaggio per 40.000 (finte) ecoballe! Le motivazioni sono incredibili sul piano ambientale (perchè non rendono pubbliche le analisi? nell’acqua c’è in abbondanza manganese, altri metalli, catrame e idrocarburi - e del resto che il sito sia inquinato lo dice anche il fatto che c’è già un piano di caratterizzazione e di bonifica), inaccettabili per la salute (è in mezzo al quartiere e vicino ai depositi della benzina) e sul piano urbanistico (il commissariato non pone tempi limite alla presenza delle ecoballe, in quello che doveva essere un polo chiave per lo sviluppo per l’area orientale). Ma soprattutto sono un’offesa alla democrazia e alla ragione! Reppucci, infatti, ha confermato candidamente che siti come questo non hanno praticamente nessuna funzione o utilità dal punto di vista del sedicente “piano rifiuti”, se non quello di dimostrare “che anche Napoli paga i suoi prezzi”». “Comitato Napoli Est Ex-Manifattura Tabacchi: - Ricomincia la Protesta”. Postato il 3 Marzo 2008, http://napoli.indymedia.org/ Autore: Comitato Napoli Est.
109
dell’accordo tra il Commissariato per l’emergenza rifiuti e alcune aziende tedesche
per il trasferimento in Germania di 160 mila tonnellate di spazzatura»121. Seguono a
questo evento, diverse manifestazioni e numerose riunioni che porteranno a
partecipare anche ad altri presidi che nel frattempo si creavano nei luoghi designati
come siti di stoccaggio, come per esempio a Chiaiano. La conferma della rinuncia da
parte del Commissariato del deposito di ecoballe a Gianturco avviene un mese dopo
in contemporanea con l’individuazione dell’altro sito di stoccaggio nell’area
metropolitana di Napoli. «Solo dopo mesi di controinformazione, e una azione di
serrata uguaglianza popolare che pur essendosi ristretta a numeri più esigui ha
continuato a presidiare il territorio, il 5 maggio 2008 si apprende dalle prime pagine
dei giornali la “revoca delle ordinanze per la realizzazione di siti di stoccaggio
provvisorio per le ecoballe alla ex Manifattura Tabacchi”» [Manunza 2009].
2. Il sito di stoccaggio nelle cave di Chiaiano e Marano: le opposizioni dei
comitati popolari.
La decisione di localizzare a Chiaiano uno sversatoio provinciale arriva a ridosso
della rinuncia al sito previsto a Gianturco dal Commissario all’emergenza rifiuti De
Gennaro. Un articolo del 21 aprile de “La Repubblica” chiarisce sin da subito i nodi
in questione e le perplessità su questa ulteriore localizzazione nell’area metropolitana
di Napoli. Dubbi sulla fattibilità del sito che come vedremo, saranno sempre presenti
durante la protesta. «Prossimo braccio di ferro, Chiaiano. Il supercommissario De
Gennaro ha in serbo per le cave a nord di Napoli il progetto definitivo di una super-
pattumiera da 900mila metri cubi; ma comitati di cittadini, municipalità ed Ente
Parco metropolitano delle colline hanno già proclamato la loro netta opposizione a
quel disegno122. A chi ha stigmatizzato la scelta come scellerata dal punto di vista
121 www.carta.org “Per Pasqua la spazzatura resta in casa”, 20 Marzo 2008. 122 Intanto la soluzione alla crisi rifiuti - che torna a far sentire il suo peso in città ed in provincia, con complessive 700 tonnellate di immondizia sparse sotto il caldo dei 22 gradi e poi avvolte dalla fitta nebbiolina della sera - passerà soprattutto per la periferia collinare. Se ne parlerà stamane in Comune. (…) Il primo cittadino aveva già messo le mani avanti su Chiaiano. “De Gennaro è persona corretta, vedremo come Napoli può collaborare”». Napoli, intanto, è di nuovo incalzata dall’ immondizia. Oltre 400 tonnellate sono rimaste sulle strade sotto il sole di aprile già molto caldo, dal centro (piazza Cavour, via Foria) alle periferie (Bagnoli, Barra), a causa della mancata autorizzazione a sversare una quota maggiore di rifiuti (la cui produzione aumenta, in questo periodo), e delle paralisi a singhiozzo
110
geologico-urbanistico, De Gennaro ha più volte obiettato che, al di là dei limiti legati
ad un’ area tra le più densamente popolate d’ Europa, si impone la necessità che
Napoli offra un sito per il deposito di balle e rifiuti, anche per equilibrare la
distribuzione dei volumi di rifiuti da stoccare. Insomma attivarsi per dimostrare alle
altre località in lotta nella regione che le popolazioni di Napoli produttrici di una
grande mole di rifiuti giornaliera faccia la sua parte per uscire dall’impasse che si è
creata con questa enorme opposizione popolare a qualsiasi scelta del Commissariato.
Un’azione, in sostanza, per sedare la rabbia che cresce, dall’ Irpinia al casertano
contro “l’immondizia di Napoli e provincia”. «Proteste cui la Iervolino replica
puntualmente: “Ma Pianura è stata per 40 anni lo sversatoio della Campania, e dell’
Italia del nord”» [ibidem]. Il 24 aprile la situazione di crisi nella provincia di Napoli
è in rapida ascesa e i siti indicati dal Commissario De Gennaro sono già quasi tutti
inutilizzabili per diverse motivazioni tra cui lo sversamento di natura legale e
criminale di rifiuti123. Il braccio di ferro su Chiaiano è appena all’inizio. Avviene il
primo incontro il 23 aprile alla sede dell’ Asìa, tra i tecnici della task force di Palazzo
Salerno (l’ alto funzionario Reppucci, con gli ingegneri Giangrasso e Rupoli) e la
pattuglia di consiglieri comunali e docenti (Carlo Migliaccio presidente della
commissione Ambiente, con il docente Franco Ortolani, e i consiglieri Moxedano e
Santoro). In questa sede comincia l’annosa lotta sulle analisi di fattibilità o meno
della discarica nelle cave di tufo. Come si commenta nell’articolo, l’incontro tra i
tecnici «si è chiuso con la solita riproposizione delle tesi contrapposte. Per Ortolani,
“realizzare una discarica a Chiaiano significa mettere in conto un inquinamento della
falda”» [ibidem].
nei CDR. Sannino C., “Rifiuti, 700 tonnellate nelle strade” «La Repubblica», 21 aprile 2008 pagina 3 sezione: NAPOLI. 123«Parola d’ ordine: offrire soluzioni. E sfornare due opzioni parallele e complementari prima che un’ emergenza possa rimettere in ginocchio la Campania: la discarica di Chiaiano a Napoli e quella di Vallata, in Irpinia. Mentre 700 tonnellate di rifiuti sommergono ancora molte strade di Napoli, e quasi altrettante giacciono lungo i marciapiedi della provincia, si fa più concreto il rischio di un’ altra crisi. La minaccia di saturazione dei siti è vicina, basta dare uno sguardo agli impianti “provvisori” faticosamente aperti dal supercommissario De Gennaro. (…) A Ferrandelle, una disposizione della Asl impedisce di ammucchiare i rifiuti fino ai 16 metri di altezza, i tecnici hanno dovuto rimodulare il piano e intervenire con l’ apertura di una quarta piattaforma; a Marigliano, altro sito provvisorio, si è già superata la quota di 56 mila tonnellate a fronte delle 30 mila annunciate. Analoghi problemi di eccessiva concentrazione si registrano a Macchia Soprana, nel salernitano. Un quadro cui si aggiungono i fronti di rivolta tuttora in corso: dopo la rabbia di Savignano, sono partiti i lavori per la discarica di Sant’ Arcangelo Trimonte con inevitabile coda di polemiche e accuse di “tavoli istituzionali farsa” da parte del Pdl», Sannino C., Rifiuti, “ Iervolino su Chiaiano: la discarica scelta inevitabile “, «La Repubblica», 24 aprile 2008 pagina 4 sezione: NAPOLI.
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Il 30 aprile la soluzione Chiaiano diventa realtà e si annuncia la decisione di
procedere nell’approntamento delle cave per poter sversare. Le divergenze politiche,
che fino a quel punto si contrapponevano anche per quanto riguarda le soluzioni alla
crisi rifiuti, si appianano velocemente e scendono in piazza tutti i rappresentanti degli
schieramenti politici locali come ben sottolineato da un articolo di “La
Repubblica”124. L’11 maggio un migliaio di manifestanti, abitanti Chiaiano,
appoggiati dai cittadini del comune limitrofo di Marano, unitisi con le associazioni
dei disoccupati organizzati, scendono in piazza e assediano il Maschio Angioino,
sede per l’occasione, del Consiglio comunale. Alla fine le pressioni ottengono anche
un parziale risultato. Complici i documenti antidiscarica che molti consiglieri, anche
di maggioranza, avevano preparato in aula, il sindaco Rosa Russo Iervolino chiude la
giornata annunciando di voler chiedere un incontro al commissario Gianni De
Gennaro per rappresentargli il no alla discarica sia della popolazione che del
Consiglio.
Il 3 maggio 2008, comincia il presidio permanente alle cave in via Cupa dei Cani
per opporsi alla costruzione della discarica. La notizia della possibilità di approntare
uno sversatoio di rifiuti (ormai di dubbia sicurezza) in una zona densamente popolata
a ridosso del polo ospedaliero, ha subito convinto la popolazione ad attivarsi. In una
notte una della vie che conducono alle cave viene completamente bloccata con
l’abbattimento degli alberi che costeggiano il viale. Tale scelta radicale può essere
spiegata dal fatto che solitamente, data l’enorme emergenza campana, all’annuncio
pubblico seguivano immediatamente i fatti. In località differenti come Lo Uttaro, 124 «Un corteo “bipartisan”, pieno di gente comune. Mamme con i bambini per mano e anziani che marciano accanto ai senzalavoro di “Movimento disoccupati Scampia”, “Salario sociale” e “Oss Napoli”. Tutti uniti per dire no al progetto che prevede la realizzazione di un sito di smaltimento tra le cave di Chiaiano. (…).Tra i più bersagliati, sindaco e governatore, anche se tra la folla ci sono esponenti di tutti gli schieramenti. Carlo Migliaccio, presidente della commissione Ambiente del Comune, eletto con l’ Udeur, sottolinea: “Questa è un’ area da risanare, non si può utilizzare un polmone verde per metterci i rifiuti”. (…) Francesco Iacolare, consigliere di Municipalità eletto con il Pd, ricorda che “in quella zona dovrebbe essere costruito un maneggio, un’ area attrezzata per i giovani, certo non un invaso per l’ immondizia”. Ludovico Di Maio, capogruppo di An nel consiglio di municipalità, parla di «scelta scellerata. Ma la gente è compatta, “diremo no a questa soluzione”. In corteo c’ è anche Raffaele Bruno, vice segretario nazionale del Mis, che invita Bassolino e Iervolino “a farsi da parte”. E contro la discarica si esprimono sia i consiglieri comunali del Pdci, Gaetano Sannino e Antonio Fellico, sia Pietro Diodato, consigliere regionale di An. In serata, la manifestazione di Chiaiano si fonde con quella partita da Marano. Il numero dei partecipanti aumenta ancora. “Si può fare, no alla discarica”, recita uno striscione. Ma la strada è lunga, e la partita di Chiaiano sembra appena iniziata» Del Porto D., “Corteo bipartisan a Chiaiano: Non vogliamo la discarica” , 30 aprile 2008, «La Repubblica» “, pagina 2 sezione: NAPOLI.
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Pianura, Giugliano la scelta dei siti di stoccaggio è stata accompagnata
dall’immediato arrivo dei camion già pronti a sversare e scortati dalla polizia in
tenuta antisommosa. Il blocco viene effettuato sulla via che costeggia l’abitato della
Cave di Chiaiano, rimangono libere le altre due strade secondarie, ma ben più larghe.
Lungo il percorso presidiato vengono poi posizionate auto vecchie e qualsiasi
oggetto che possa impedire il passaggio dei camion e viene approntato un gazebo
protetto da una piccola banchina prefabbricata di cemento dove la gente comincia a
riunirsi per effettuare i turni di guardia e a scambiarsi le prime informazioni su quello
che stava accadendo. È importante notare che la connotazione di critica fortemente
politica delle proteste a Chiaiano, avviene quasi immediatamente, anche con
l’apporto dei militanti di sinistra dei centri sociali che si riuniscono nei pressi di
Chiaiano nel centro sociale “Insurgençia”. La modalità di relazione con la
popolazione dei militanti politici è sempre di tipo orizzontale e partecipata e in
definitiva di tipo popolare, interagendo sul territorio e sottoponendo le decisioni alle
assemblee pubbliche di piazza. In tutte le fasi della protesta i militanti di
“Insurgençia” sono sempre presenti, ma spesso appaiono come membri del comitato
di Chiaiano di cui sono parte attiva e propositiva.
Il 9 maggio si allargano ancora di più le proteste a Chiaiano: «gruppi di cittadini
permangono in Via Cupa dei Cani e in P.za Rosa dei Venti, mentre cassonetti,
immondizie e masserizie ingombrano le strade intorno all’area. I vigili del fuoco
nella notte intervengono in almeno 50 roghi dolosi di cassonetti e di rifiuti giacenti
per strada, soprattutto nella periferia di Napoli, nella zona vesuviana, a Casoria ed
Afragola»125. Il 19 maggio il piano del governo viene annunciato alla stampa «dieci
discariche da aprire subito e l’Esercito per la raccolta. Ma il premier è preoccupato
ed esorta i suoi a fare in fretta126». L’obiettivo è quello di superare la crisi prima che
125 Centro Studi Libertari Napoli “Scarti di produzione, cronache parziali e riflessioni sulla devastazione di un territorio”, Napoli, marzo 2009 126Silvio Berlusconi vuole accelerare. (…) Il pacchetto, allora, si muoverà lungo tre direttrici: l’individuazione di una “decina” nuove aree da adibire a discarica, lo sveltimento delle procedure per la costruzione dei termovalorizzatori già messi in cantiere e il rafforzamento dell’esercito nella funzione di “pulizia” delle strade e di trasporto delle balle». Il provvedimento mira ad annichilire tutte le forme di proteste con interventi repentini e inappellabili. «Ieri il Cavaliere ha sentito al telefono tutti i ministri interessati e domani illustrerà in un pre-consiglio le misure che probabilmente verranno adottate nel consiglio dei ministri di mercoledì a Napoli. “Guardate che se non risolviamo in tempi brevi il problema - ha avvertito avocando di fatto a sé l’intera pratica - la colpa ricadrà solo su di noi. Anzi, solo su di me. Nessuno potrà dire che è il frutto della passata malagestione. Bisogna sbrigarci, anche “costringendo” i sindaci dei comuni ad accettare i nuovi siti”. Berlusconi, poi, vuole comunque
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il caldo trasformi l’emergenza rifiuti in una emergenza sanitaria.
Il 21 maggio 2008 proprio in occasione del primo Consiglio dei Ministri del
neoeletto governo, viene organizzata a Piazza Dante una manifestazione di protesta
indetta dalle reti, comitati e cittadini campani contro la devastazione ambientale,
precarietà e razzismo127. Il lancio della manifestazione esorta a portare un sacchetto
di differenziata contro la soluzione repressiva dell’emergenza rifiuti. “Pulizia _ non
Polizia”. In conferenza stampa il presidente del Consiglio espone il suo piano rifiuti.
La modalità di risoluzione della crisi sarà un repentino e radicale cambiamento delle
politiche di concertazione territoriale. Vengono sostituiti i vertici del Commissariato,
le discariche vengono equiparate a siti di interesse strategico nazionale. Vengono poi
applicati nuovi codici di regolamentazione ai rifiuti e il codice penale a chi protesta.
Inoltre alla direzione distrettuale antimafia di Napoli sono trasferiti tutti i
procedimenti per reati in materia ambientale e di rifiuti, mentre la competenza sui
sequestri passerà da un pm a un organo collegiale128. «Trenta mesi per tornare alla
normalità». Il compito principale di Bertolaso è quello di avviare forzatamente ogni
provvedimento sulle localizzazioni anche quelle indesiderate. «Ora avrà il compito di
coordinare l’azione del governo “come se ci fosse un terremoto o un’eruzione
vulcanica: piazza pulita delle marce indietro, facendo tesoro di errori ed esitazioni
del passato”, anticipa Berlusconi (corsivo nostro N.d.A.). Ecco il punto, le nuove
discariche. L’elenco è secretato fino alla pubblicazione del provvedimento sulla
Gazzetta Ufficiale» [ibidem]. Bertolaso ha carta bianca senza nessun vincolo
ambientale nella progettazione delle discariche e punire duramente chi si oppone a
queste scelte. «Potrà lavorare per l’attivazione dei siti, senza criteri geografici in una
tenere il consiglio dei ministri nel capoluogo campano anche se, all’interno dell’esecutivo, c’è chi suggerisce di far slittare l’appuntamento per evitare i possibili problemi di sicurezza. Sul tavolo del Viminale, infatti, è già arrivato il dossier sulle proteste in corso in Campania (con i temuti blocchi di strade, autostrade e linee ferroviarie) che avranno il culmine con il corteo organizzato per dopodomani dai centri sociali. Riportare la riunione da Palazzo Reale a Palazzo Chigi equivarrebbe, per il presidente del Consiglio, ad una resa» [ibidem].Tito C., “Rifiuti, Berlusconi in pressing - Svelti o daranno la colpa a me” su «Repubblica.it» 19 maggio 2008 127http://alessandroingegno.wordpress.com/2008/05/20/manifestazione-contro-i-rifiuti-a-napoli-21-maggio/. 128«Un decreto legge di 17 articoli. La nomina di Bertolaso a sottosegretario, la secretazione dell’elenco delle nuove discariche, la loro equiparazione alle aree di interesse strategico nazionale (una sorta di militarizzazione) e l’arresto per chi le blocca, l’ordine al sindaco di Napoli di individuare entro 30 giorni un’area urbana in cui costruire un termovalorizzatore cittadino» Carotenuto A. “Napoli, decise le nuove discariche - Arresto subito per chi le blocca”, 21 maggio 2008, «Repubblica.it».
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prima fase, per poi sceglierne una per ciascuna provincia. (…) E le proteste? Pugno
duro. Le discariche saranno aree di interesse strategico nazionale. In sostanza zone
militari, presidiate dalle forze armate. Scatterà l’arresto per disordini e boicottaggi.
“Non saranno accettate azioni di minoranze organizzate”. Via libera pure ai
contestati termovalorizzatori. Berlusconi li dichiara sicuri: “Non bisogna avere
paura”» [ibidem] .
Il 23 maggio nel D.L. n. 90 viene individuato per la realizzazione di una discarica
per l’accumulo definitivo di rifiuti comprendenti anche rifiuti pericolosi, il sito
corrispondente alla cava di tufo attualmente usata come poligono di tiro nel comune
di Napoli, al confine tra il quartiere di Chiaiano e il Comune di Marano. Alla stampa
vengono annunciate dieci discariche, tra cui Chiaiano a Napoli e vengono sono
inserite nel decreto firmato da Giorgio Napolitano. Ma in serata, «proprio a Chiaiano,
esplode, fortissima, la protesta: manifestanti contro forze dell’ordine, blocchi
stradali, scontri, lanci di pietre. Il bilancio è di dieci dimostranti contusi, e cinque
persone fermate»129. I blocchi cominciano già dal pomeriggio dai manifestanti e
vengono duramente repressi dalla polizia. Vengono bloccate le strade di accesso alla
zona e rovesciati due autobus130. Il racconto di una docente di Storia testimone
oculare degli scontri di quella sera davanti alla discarica di Chiaiano è utile per
capire quelle fasi concitate: «Ho avuto la netta sensazione che tutto fosse
preordinato. Una carica non motivata. La gente aveva le braccia alte, quelli
strappavano gli orologi per farle abbassare»131. Il 24 maggio avvengono altri scontri
129 “Dieci discariche nel decreto rifiuti e a Chiaiano esplode la protesta” , 23 maggio 2008, «Repubblica.it». 130 «Di fronte a questo comportamento, le forze dell’ordine hanno compiuto due cariche: una decina di persone hanno riportato contusioni, una ha avuto un malore ed è stata trasportata in ospedale. L’inviato del tg3, Romolo Sticchi, ha riferito di essere stato bastonato dai poliziotti. In serata, la tregua. Ma intanto una trentina di persone si è recata davanti alla questura di Napoli, in via Medina, per sollecitare il rilascio dei cinque fermati dalla polizia. Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, ha commentato così: “Era prevedibile una reazione di questo tipo, lo capisco, ma è interesse di tutti porre fine a questa vera e propria tragedia nazionale”» [ibidem]. 131 Tra le 19,05 e le 20,20 i due schieramenti si sono solo fronteggiati. Poi la polizia, in tenuta antisommossa, ha iniziato a caricare. «La scena sembrava surreale: a guardarli dall’alto, i poliziotti sembravano solo procedere in avanti. Ma chi era per strada ne ha apprezzato la tecnica. “Calci negli stinchi, colpi alle ginocchia con la parte estrema e bassa del manganello. I migliori strappavano orologi o braccialetti. Così, nel vano tentativo di recuperali, c’era chi abbassava le mani e veniva trascinato a terra per i polsi. La loro avanzata non ha risparmiato nessuno. Mi ha colpito soprattutto la violenza contro le donne: tantissime sono state spinte a terra, graffiate, strattonate. (…) Quando sono scappata, più per la sorpresa che per la paura, trascinavano via due giovani uomini mentre tante donne erano sull’asfalto, livide di paura e rannicchiate». La zona viene isolata dalle forze armate che impediscono l’accesso alla zona oggetto di contesa. «Chiusa ogni via di accesso, alle 21, le camionette
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con la polizia, ancora più violenti: le forze dell’ordine caricano alcuni manifestanti
mentre stavano trattando con i dirigenti di piazza, vengono picchiati anche anziani,
ed effettuano almeno due arresti. Un ragazzo, per scappare alle cariche, cade da un
muretto di cinque metri riportando diverse fratture. Dopo le cariche i manifestanti
asseriscono di non voler trattare più con la polizia e approntano ulteriori barricate più
consistenti posizionandole in fondo al viale in prossimità della “Rotonda Titanic”.
Viene creato un secondo sbarramento con due fila di cassonetti e filo spinato,
impedendo l’accesso, se non pedonale, alla zona. Il percorso presidiato si estende
dunque per diverse centinaia di metri, lungo il quale si allestiscono gazebi per la
notte, e postazioni telematiche come quello di Indymedia Napoli, che trasmettere in
diretta il repentino evolversi della situazione attraverso una innovativa piattaforma di
trasmissione video on-demand via web, approntata con video autoprodotti. Il 25
maggio il sottosegretario Bertolaso incontra i sindaci e autorità locali dei comuni che
dovrebbero ospitare la discarica , si discute sulle modalità di risoluzione del conflitto
e ben presto si raggiunge un accordo. «L’accordo è stato sottoscritto dal presidente
della Municipalità di Chiaiano, (…) dal sindaco di Marano, (…) dal sindaco di
Mugnano (…) e dall’assessore competente del comune di Napoli. Non è detto però
che venga accettato da tutti i gruppi che hanno finora partecipato alla protesta132». Il
26 maggio alle ore 14:00 nella sede del Commissario di Governo si tiene un’altra
riunione, presieduta dalla dott.sa Marta Di Gennaro, per la messa a punto e
approvazione delle indagini geologiche, geotecniche ed ambientali del sito. Il
governo annuncia il pugno fermo chiedendo lo smantellamento delle barricate. I
tempi si fanno concitati e le assemblea dei comitati in lotta nella notte, contesta il
compromesso effettuato dagli amministratori con il commissariato. «Notte carica di
tensione a Chiaiano. E’, probabilmente, all’assemblea notturna in piazza Rosa dei
erano già almeno venti. Ma la gente di Chiaiano non se ne era andata. Alle 21.30, oltre 1000 persone erano ancora in strada. “La storia è questa. (…) Lo stato di polizia e l’atmosfera violenta di questa sera somigliano troppo a quelli dei regimi totalitaristi. Proprio quelli di cui racconto, con orrore, ai miei studenti durante le lezioni di storia”». “Così ho visto i poliziotti scatenati picchiare donne e persone anziane”. Intervista a Elisa Di Guida docente di Storia e Filosofia – Napoli . 24 maggio 2008, «Repubblica.it» 24 maggio 2008. 132 La parte più “radicale” si è sempre attestata sul “no” all’ingresso dei tecnici. Anche oggi, al tavolo in Prefettura è stato chiesto che, nel caso in cui si facessero entrare i tecnici dell’Arpac e delle amministrazioni locali per la ‘caratterizzazione’ dei terreni, la polizia “non prenda possesso dei siti”. Sul punto, però, Bertolaso è stato chiaro e “tranchant”: “Le forze dell’ordine non si muovono e non arretreranno di un centimetro”». “Chiaiano, accordo con i sindaci 24 ore per calmare gli animi”, 25 maggio 2008, «Repubblica.it».
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Venti che spetta decidere la linea da tenere quando alle sette di stamattina
arriveranno i tecnici per effettuare i sondaggi geologici nella cava133. (…) Il nodo è
una barricata di cassonetti saldati tra loro, filo spinato e catene a piazza Titanic, la
porta d’accesso di Chiaiano: se sarà ancora lì lo scontro con le forze dell’ordine e
quindi con lo Stato, sarà molto difficilmente evitabile»134. Evidentemente quei
blocchi sono diventati l’emblema controverso della popolazione di Napoli che
ancora una volta, dopo Pianura e Gianturco, non permette che si esegua più nessun
intervento che non sia un radicale cambio della gestione dei rifiuti con una scelta dei
siti fatto su criteri idrogeologici alternativi135. «Lo Stato non entra dalla porta di
servizio» ribadisce chiaro e tondo il prefetto di Napoli, Alessandro Pansa, ai
rappresentanti dei manifestanti. Il 27 maggio è la data d’inizio delle indagini: viene
effettuato un primo rilievo tramite laser-scanner delle pareti di tufo, il
campionamento dei terreni superficiali nel piazzale di cava. In mattinata, avviene
infine la rimozione dei blocchi dalla strada che introduce al Parco Poggio Vallesano
per permettere l’ingresso ai tecnici. Vengono mantenuti però tutti i presidi e si
rafforza l’afflusso delle persone per portare contributi a monitorare il viale di
accesso.
Il 28 maggio 2008 arrivano le prime osservazioni sul decreto legge n. 90 per
l’emergenza rifiuti da diversi magistrati della procura di Napoli: «Il pm di Napoli
contro il governo “Il decreto non ci aiuta”. Un documento con critiche precise e
circostanziate al decreto del governo Berlusconi sull’emergenza rifiuti136».
133 “Chiaiano, notte carica di tensione. Il governo: «Via quelle barricate»”, 27 maggio 2008, «Repubblica.it». 134 Quando il sindaco annuncia l’esito del colloquio l’atmosfera è carica di attesa: “Alle 7 verranno i tecnici del comune di Napoli che, come concordato con Bertolaso, cominceranno i rilievi tecnici nelle cave”, ha esordito durante l’assemblea notturna in piazza il sindaco di Marano Salvatore Perrotta. L’annuncio di Perrotta è stato accolto prima con un gelido silenzio da parte dei circa mille manifestanti. “Vi siete venduti i presidi”, ha poi urlato una parte della folla. Il sindaco di Marano si è appellato ai manifestanti “affinché siano loro stessi a togliere i blocchi per evitare l’intervento delle ruspe”. Ma da parte dei centri sociali in no è netto: “Noi i blocchi non li vogliamo togliere”» [ibidem]. 135 «Il vero problema non è tanto quello di consentire a tecnici e macchinari di raggiungere il sito, cosa che può essere anche fatta da una strada secondaria, quanto l’intenzione, da parte del governo, di non fare brutta figura sull’emergenza rifiuti, e dunque anche su Chiaiano, dopo gli impegni presi sulla questione. 136 Lo hanno spedito al Consiglio superiore della magistratura i magistrati della procura della Repubblica di Napoli dopo l’assemblea convocata l’altro giorno proprio per analizzare le misure varate dal governo. Discussa in particolare la norma che attribuisce competenza regionale in materia di rifiuti al procuratore Giandomenico Lepore e assegna a un tribunale in composizione collegiale le decisioni sulle misure cautelari. Nel documento inviato a Roma si conclude: «“il decreto legge modifica radicalmente, per il territorio della regione Campania, l’assetto del procedimento e del
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Il 30 maggio Berlusconi a Napoli dichiara inequivocabilmente : “Chiaiano è idonea.
Lo Stato non farà passi indietro”. (…)”Chi ostacolerà l’apertura delle discariche
finirà davanti al giudice”137. Il 1 giugno dopo le dichiarazioni del premier, si tiene a
Chiaiano a Marano una manifestazione con più di 10.000 partecipanti. La
composizione è eterogenea, ma è evidente l’unione di intenti e di critica al sistema
esistente di gestione dell’emergenza e dell’ambiente in Campania è pienamente
condivisa. «Gli abitanti del quartiere insieme ai no global contro la discarica.
Manifestazione pacifica, polemica sulla frenata di Bruxelles sul decreto138». A
Chiaiano, da tutta Italia al corteo si uniscono le lotte nel patto di mutuo soccorso che
poche settimane prima si era riunito in Calabria. Gli intenti del corteo sono di
cominciare un percorso di lotta comune anche con le altre realtà mobilitate in Italia
contro grandi progetti non voluti dalla popolazione e, motivati dalla popolazione
all’interno dei presidi territoriali nati nelle località in conflitto139. Il 5 giugno
vengono pubblicati sulle maggiori testate i progetti che erano avviati all’interno delle
cave. Era in programma un grande Acquapark ecostenibile140.
Il 10 giugno in contemporanea con le nuove verifiche disposte nel sito, un folto
numero dei presidianti indice una manifestazione sotto palazzo Chigi per effettuare
pressioni sul Parlamento. L’11 giugno 2008 in attesa della comunicazione ufficiale
dei risultati dei carotaggi della cava, la cui data è ancora da definire, la situazione si
processo penale in tema di reati ambientali nonché, almeno in parte, anche le norme dell’ ordinamento giudiziario in tema di poteri del dirigente dell’ Ufficio di Procura” . “I pm di Napoli contro il governo «Il decreto non ci aiuta»”, 28 maggio 2008, «Repubblica.it» 137 “Berlusconi: “Chiaiano è idonea. Lo Stato non farà passi indietro”“, 30 maggio 2008, «Repubblica.it». 138 “Chiaiano, da tutta Italia al corteo in diecimila contro la discarica – Gli abitanti del quartiere insieme ai no global contro la discarica. Manifestazione pacifica”, 1 luglio 2008, «La Repubblica.it» 139 «Sono sfilati in diecimila per le strade di Chiaiano. Sullo striscione che apriva il corteo, una grossa scritta con la vernice rossa ordinava “Jatevenne”, Andatevene. C’erano gli abitanti di Chiaiano e decine di rappresentanti dei no global, del comitato “No Dal Molin” di Vicenza e del gruppo “No Tav” della Val di Susa» [ibidem]. 140 «Prima che il commissario De Gennaro decidesse sulla discarica di Chiaiano e prima dell’inchiesta sui passaggi di proprietà di alcune cave acquistate da Fibe la Regione aveva già deciso, con delibera 416 del 7 marzo scorso proposta dagli assessori Cundari e Cozzolino, di avallare lo sviluppo dell’Ente Parco delle Colline di Napoli, finanziando con 1 milione e 350 mila euro la stesura di sei progetti preliminari all’accesso ai fondi Por 2007-2013. Sei proposte dello stesso Ente comprensive del Parco Acquatico con impianto fotovoltaico nelle cave di via Cupa Vrito, un “giocattolone” da 38 milioni che per la verità un progetto finito con tanto di business-plan firmato dal Dipartimento di Progettazione Architettonica e Ambientale della Federico II già ce l’ha e coinvolge tre invasi della Fibe, uno di privati (della Zara Estrazioni Srl dell’acerrano Sposito) ed uno comunale, da trasformare ora con laghi artificiali (quello della Zara) e balneabili, ora con strutture turistico-ricreative, ristorazione compresa». Marconi L., “A Chiaiano un acquapark finanziato dalla Regione: pronti 1,3 milioni per la progettazione”, 5 giugno 2008, «Corriere del Mezzogiorno.it»
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tranquillizza alcuni attivisti allestiscono un media center che trasmette video e audio
sul web e dove la sera si chiacchiera attraverso un microfono aperto. «La protesta è
condotta da abitanti di Chiaiano, Marano e dintorni, di ogni età, da centri sociali e
altri collettivi politici e dalla rete di comitati che da anni accompagna le varie
proteste che avvengono in Campania contro l’emergenza rifiuti. Presenti sono anche
le giunte dei Comuni interessati, facenti capo a vari partiti. (…) Con linguaggio
militare, diremmo che Chiaiano è solo una delle battaglie di una guerra contro un
mostro: la gestione straordinaria dei rifiuti. A Chiaiano si protesta contro tutto
questo, il presidio non vuole la discarica perché non accetta il piano
commissariale»141. Le informazioni diffuse nei presidi e le argomentazioni molto
articolate emergono dalle interviste dei media ogni volta e descrivono bene il grado
di preparazione che in questi anni i comitati hanno saputo sviluppare sull’argomento,
ma anche l’utilità del riferirli e discuterli con le comunità locali come prospettive
alternative. «Perché si ignorano queste proposte dei comitati di base? La scusante
più diffusa è che i napoletani non sono “culturalmente pronti” a effettuare la
raccolta differenziata. Ma questa è una scusa credibile? Malgrado tutta la
drammatica sollecitazione sul tema dei rifiuti? E perché poi i napoletani non
sarebbero pronti?. (…) Cambiare ciclo è vantaggioso solo per i cittadini, non per le
lobby, l’attacco alla partecipazione popolare è necessario, confondere le acque è
d’obbligo, la Campania cerca di riscattare la propria dignità ma in pochi lo
capiscono» [ibidem]. L’11 giugno, la commissione tecnica di parte sostiene che, alla
luce dei rilievi effettuati con il laser-scanner, i fonti di cava di tufo di Chiaiano non
141« Facendo un pò di interviste tra i manifestanti, vengono fuori le loro proposte alternative al ciclo dei rifiuti commissariale. Quello che si chiede, soprattutto per Napoli, è un ciclo basato sulla raccolta differenziata, quindi sul riciclaggio, in linea con la legislazione europea in materia, un ciclo generico, attivabile subito, suddiviso tra umido e secco, aggiungendo in seguito carta, vetro e plastica, che sono rifiuti riciclabili quasi al 100 per cento. I 7 impianti della Fibe andrebbero convertiti per la selezione automatizzata dei rifiuti secchi (conversione attuabile in poche settimane), e questi impianti verrebbero utilizzati anche per differenziare la spazzatura che giace ora nelle strade, la tal quale. L´umido invece verrebbe trasformato in compost, fertilizzante per le campagne, affidandolo alle aziende coltivatrici, o in altri utilizzi, come quello per la composizione morfologica delle cave. A queste modalità a valle, ne andrebbero aggiunte altre a monte: limitare gli imballaggi e obbligare le miriadi di ipermercati a creare nelle loro aree isole ecologiche per il riciclo, eliminare alcuni prodotti come i pannolini con componente plastica a vantaggio della gomma, eccetera. .Questo, molto brevemente, è lo schema che prevale tra quanti si oppongono non solo al ciclo commissariale ma anche alla sua gestione straordinaria che, visti gli effetti ottenuti finora, vorrebbero che tornasse ordinaria, cioè nelle mani delle Regione Campania» [ibidem]. » Braucci M., “Una guerra contro il mostro” , 11 giugno 2008, «Repubblica.it».
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sono in condizione di sicurezza142. Il 13 giugno arriva l’approvazione del governo al
provvedimento che affida alle Forze Armate la difesa delle discariche. I militari
vengono equiparati ad agenti di polizia143. Quest’ultimo provvedimento pone il
sigillo definitivo alle intenzioni del Governo e del Commissariato ai rifiuti. «La
discarica di Chiaiano si farà: lo ha confermato il sottosegretario all’emergenza rifiuti,
Guido Bertolaso, al termine di un incontro con le istituzioni locali in Prefettura a
Napoli. Tempo di realizzazione, tre mesi. L’area verrà prima bonificata e, al pari
delle altre, sarà presidiata dall’esercito. Forte del sostegno di Silvio Berlusconi,
Bertolaso ha però assicurato che il confronto continuerà e ha annunciato da subito
un’immediata riconvocazione del tavolo tecnico»144. La situazione ritorna molto tesa,
al limite della disperazione come spiega bene un articolo di Tonia Limatola su Carta:
«Un cartello dice “Benvenuti a Baghdad” e un altro “Giornalisti fuori dai piedi”»145.
I rappresentanti delle istituzioni locali nel frattempo prendono contatto con il
Commissario Europeo Dimas con il quale prevedono di incontrarsi la settimana
successiva146. Il 25 giugno, a causa delle restrizioni fortissime applicate alle
discariche, le metodologie di protesta dei comitati in lotta per la difesa Chiaiano si
142 Centro Studi Libertari Napoli “Scarti di produzione, cronache parziali e riflessioni sulla devastazione di un territorio”, Napoli, marzo 2009. 143 «Rifiuti approvato il decreto l’esercito gestirà gli impianti. Sancito anche l’obbligo di terminare il termovalorizzatore di Acerra. Decisioni in parte attese. Il sottosegretario all’emergenza rifiuti dopo un incontro in Prefettura a Napoli». Sannino C. “Rifiuti approvato il decreto l’esercito gestirà gli impianti, I militari equiparati ad agenti di ps”, 13 giugno, «Repubblica.it». 144 “Chiaiano, via libera di Bertolaso «Fra tre mesi la discarica aprirà»”, 22 giugno, «La Repubblica» 145«Al presidio di Marano si respira aria di guerriglia, ma è solo per la rabbia. Si attendono le ultime notizie e si sa già che non saranno buone. Se vai in giro col taccuino, ti guardano storto. Nell’area pedonale, dove tutte le sere si svolge l’assemblea pubblica durante la quale si diffondono notizie e iniziative di lotta, sarebbe meglio che gli «spioni» non ci fossero. E i ragazzi su questo non hanno tutti i torti: non sempre i giornali hanno reso un buon servizio alla causa di chi vive qui e teme per il futuro. Ecco perché è nato il media center che diffonde notizie in diretta on line da un sito web. Dove c’era un poligono di tiro, ci sarà una discarica. Lo hanno deciso, lo hanno ribadito e sembra proprio che la apriranno anche se, stando alle promesse di Bertolaso, i tempi si allungheranno di tre mesi: per bonificare la zona da piombo e antimonio e mettere in sicurezza delle pareti a rischio di crollo. Un impegno che non rasserena affatto gli animi, ma spinge a “tenere alta l’attenzione”. Non si molla, si resiste. “Questo territorio ha già sacrificato ampi spazi in nome dell’emergenza rifiuti. Ora basta”, aggiunge Gennaro Carandente, che di professione fa il medico. Abitava a Qualiano fino all’anno scorso ed ha partecipato alla protesta contro l’apertura di Cava Riconta, a due passi da casa sua ma sul territorio di Villaricca. Ora si ritrova a lottare di nuovo. “Devo, anche se non ne posso più: questo è un territorio massacrato”, aggiunge» [ibidem]. Limatola T., “L’attesa di Chiaiano” «CARTA» 27 giugno-3 luglio 2008 anno x n. 24. 146 «E i comitati restano sul piede di guerra: “le parole di Bertolaso si autosmentiscono perchè quando ammette che la cava è da bonificare (e quindi inquinata) - denuncia Ivo Poggiani - quando dice che “bisogna cementare le pareti (perchè a rischio crollo), quando afferma che non c’è ancora un piano trasporti credibile, ci ripete come la cava di Chiaiano non sia idonea per una discarica”» [ibidem].
120
diversificano. Si decide di congestionare soprattutto gli snodi principali della città di
Napoli manifestando in auto creando una simulazione dell’afflusso massiccio di
camion pieni di rifiuti che travolgeranno giornalmente la città di Marano una volta
aperta la discarica147. «Un centinaio di auto condotte dai cittadini dei comuni
Marano, Mugnano e Chaiano entrano nella tangenziale di Napoli, percorrendola a
bassa velocità per circa 15 chilometri, creando enormi disagi agli altri automobilisti.
(…) Il corteo era composto da 139 auto “tante quante - ha spiegato Antonio, uno dei
componenti del comitato - sono gli autocompattatori che ogni giorno passeranno da
Chiaiano e Marano, per recarsi alla cava”»148.
Nei giorni seguenti si susseguono notizie di aperture di nuove discariche. Apre
Sant’Arcangelo, chiude quella di Serre. Il 27 giugno rifiuti tossici precedentemente
sversati vengono ritrovati nelle cave di Chiaiano149. Lo stesso giorno i comitati
contro la discarica di Chiaiano manifestano in piazza del Plebiscito insieme ai
disoccupati contro l’arrivo del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi con azioni
di intralcio al traffico denominato “Soft Walking”150. L’obiettivo dei comitati e dei
militanti dei centri sociali, con queste creative forme di protesta, è quello mettere in
condizione tutti i partecipanti ai comitati, di poter esprimere il proprio dissenso senza
ricorrere a blocchi che con l’ultimo decreto sarebbero puniti penalmente; in sintesi:
147 “Napoli, tutti in coda in tangenziale continua la protesta di Chiaiano – Lunghe file di auto per la manifestazione contro l’apertura della discarica”, 25 giugno 2008 Ansa. 148 «Le vetture sono entrate dallo svincolo di Arco Felice, alle porte di Napoli hanno percorso una quindicina di chilometri scortate dalla polizia stradale poi, senza mai lasciare l’autostrada cittadina, hanno imboccato lo svincolo dell’Arenella ed hanno compiuto il percorso all’inverso. Il ‘muro’ di auto era scortato, in testa e in coda, dalla polizia stradale. La protesta ha avuto inizio alle ore 10,30 e secondo quanto riferito dalla Tangenziale di Napoli spa, si è conclusa alle ore 12,10. “E’ una forma di protesta - ha aggiunto il rappresentante del comitato - che è stata organizzata anche in segno di solidarietà con le popolazioni di Agnano e Bagnoli dove sarà realizzato l’inceneritore. Con noi oggi anche rappresentanti delle amministrazioni comunali toccate dalla discarica, a dimostrazione della forte unità della protesta”» [ibidem]. 149 Pellegrino C. «Il Napoli», 27 giugno 2008 150«I momenti di tensione tra manifestanti e Polizia che hanno preceduto l’arrivo del presidente del Consiglio a Napoli sarebbero stati scatenati dal lancio di una sedia da parte dei disoccupati. A quel punto nei loro confronti sarebbe partita quella che le Forze dell’ordine locali definiscono «un’azione di alleggerimento: i poliziotti in tenuta antisommossa e manganelli alla mano hanno cominciato a correre contro chi protestava per farli allontanare da piazza del Plebiscito dove il premier sarebbe arrivato qualche minuto dopo. Cinque dei manifestanti che protestavano chiedendo lavoro sono stati portati in questura per essere identificati. In precedenza a Piazza Plebiscito stavano anche manifestando i gruppi antidiscarica di Chiaiano. “Nel giorno in cui il premier Berlusconi viene in città, vogliamo dimostrargli che di fronte a un governo che sceglie la strada dell’autoritarismo, i cittadini che vengono calpestati dalle decisioni possono paralizzare le città”. Così i comitati contro la discarica di Chiaiano spiegavano in una nota la decisione di adottare il “soft walking”, la protesta con l’attraversamento lento avanti e indietro delle strisce pedonali nel centro cittadino». [ibidem] “Entro luglio stop ai rifiuti a Napoli” 1 luglio 2008, «il corriere del Mezzogiorno».
121
fare notizia senza cercare lo scontro con la polizia. Nel pomeriggio tre ordigni di tipo
artigianale vengono lanciati nella notte nei pressi dell’area presidiata dalle forze
dell’ordine destinata a ospitare la futura discarica di Chiaiano a Napoli151. L’episodio
rischia di essere associato dai giornali alle azioni del comitato organizzato di
Chiaiano, che immediatamente si affretta a precisare la diversità delle modalità di
azione: «Stamattina è andata bene, non ci avviliamo con queste notizie sui presunti
ordigni- dice Ivo Poggiani, di Insurgençia – Chi dà la colpa a noi, vuole solo
dissuaderci». Nel frattempo lo stato del presidio al Poggio Vallesana è molto
cambiato: «l’isola pedonale non c’è più: il tronco dell’albero abbattuto, simbolo della
protesta è stato spostato per far passare le auto. Il media center è stato
temporaneamente smobilitato, ma verrà riattivato in uno degli stand all’ingresso del
viale. “Di disagi Marano ne ha sopportati fin troppi, ora continueremo a far sentire la
nostra voce a Napoli”» [ibidem]. Il 2 luglio viene presentata al TAR del Lazio un
ricorso con due precise richieste «un’ ordinanza che sospenda la decisione del
sottosegretario ai rifiuti, Guido Bertolaso, di aprire la discarica di Chiaiano; la
nomina di un consulente super partes, che valuti l’ idoneità di Cava Cupa del cane a
diventare una discarica»152. Il 10 luglio dalle prime ore dell’alba i militari della
Brigata Garibaldi prendono possesso della cava di Marano dove sorgerà la discarica.
Le prime operazioni sono quelle di delimitare la zona. Nella notte, secondo fonti
della Questura, almeno tre ordigni rudimentali realizzati con bombolette a gas da
campeggio sono stati gettati contro il presidio militare, senza tuttavia causare danni o
feriti. «A Chiaiano iniziano i lavori di realizzazione della discarica, e, come previsto
dalla legge approvata ieri dal Parlamento in materia di gestione dei rifiuti in
Campania, dalle prime ore di questa mattina sono presenti nel sito anche le Forze
Armate, supportate dalle Forze dell’Ordine»153. La pattuglia che presidia la cava
151 «Ignoti, che sono poi fuggiti a bordo di un motorino, hanno lanciato tre ordigni composti da bombolette del gas del tipo da campeggio in via Marano Pianura, all’incrocio con via Cinque Cercole, territorio già pertinente al comune di Marano. Due bombolette sono esplose in strada, mentre un’altra ha danneggiato il paraurti di un’auto della polizia di pronto intervento, senza causare feriti» [ibidem]. La sera stessa i comitati smentiscono qualsiasi collegamento al lancio di ordigni lanciati a Chiaiano: «Ma quali ordigni, noi con queste cose, non abbiamo nulla a che fare. Siamo delle persone perbene e lo abbiamo dimostrato stamattina a Napoli. La nostra è stata una protesta pacifica, i tafferugli non ci hanno coinvolto». Limatola T., “La soft-walking napoletana atto secondo”, 1 Luglio 2008, www.carta.org. 152P.C. “La cava di Chiaiano non è idonea per la discarica” «La Repubblica — 03 luglio 2008 pagina 2 sezione: NAPOLI» 153 «Chiaiano, via ai lavori. Nel sito c’è l’esercito» 10 luglio 2008, «Repubblica.it»
122
diventa ancora bersaglio di ordigni rudimentali. «Ancora ordigni esplosivi
rudimentali contro le forze dell’ordine che presidiano la cava di Chiaiano, destinata
ad essere trasformata in discarica. Poco prima delle due di stanotte alcune bombolette
a gas da campeggio, collegate ad un petardo, sono esplose in via Cupa dei Cani, dal
lato d’accesso alla cava, dove si trova un presidio dei carabinieri. Gli ordigni sono
esplosi ad alcune decine di metri di distanza dai militari, provocando solo fragore ma
nessun danno»154.
Continuano nel frattempo azioni di “soft walking” di una cinquantina di pedoni
che, con tanto di cartelli contro il governo e slogan, attraversano le strade lentamente
paralizzando il traffico tra il Beverello e piazza Municipio. Poi la stessa sera le
barricate fanno di nuovo la loro comparsa a Chiaiano155. Il 12 luglio un altro corteo
della metropolitana di Chiaiano fino a Marano, con la partecipazione di circa 1500
persone. «Oltre mille manifestanti sfilano contro l’apertura della discarica156. Nella
stessa notte un altro ordigno rudimentale viene scagliato contro il commissariato. Il
15 luglio vengono annunciati i decisivi i treni per la Germania, le discariche e due
cave segrete al Sud. Il ritorno a Napoli di Berlusconi ha i toni del trionfo: «È finita
l’emergenza rifiuti»157. Un centinaio di cittadini di Chiaiano e Marano occupano
immediatamente nel pomeriggio il Duomo di Napoli dopo l’annuncio di Berlusconi
di aver risolto l’emergenza rifiuti in Campania. Durante l’occupazione viene esposto
lo striscione “Padre non perdonare loro, perché sanno quello che fanno” con a fianco
le foto di Iervolino, Bertolaso, De Gennaro, Bassolino e Berlusconi158.
Il 17 luglio alle 17,30, alla metropolitana di Chiaiano continuano le iniziative
154 “Chiaiano, petardi sui carabinieri e nuove barricate anti-discarica”, 11 luglio 2008, «Repubblica.it» 155 «intorno alle 20, duecento abitanti hanno bloccato con un’automobile e alcuni cassonetti la strada che da Poggio Vallesana conduce verso Marano. Il blocco stradale è stato accompagnato dai raid di alcune decine di giovani che a volto coperto e a bordo di motorini hanno bloccato gli autobus in transito, sono saliti a bordo e hanno preso le chiavi di accensione costringendo gli autisti a fermarsi e i passeggeri a scendere» [ibidem]. 156 “Chiaiano, corteo contro la discarica. Bombola di gas contro gli agenti”, «Repubblica.it», 12 luglio 2008 157 Bufi F., «Il corriere del Mezzogiorno» 16 luglio 2008. 158«Ieri i rappresentanti dei comitati hanno scelto la strada della protesta plateale, occupando il Duomo partenopeo. Hanno chiesto un incontro con l’arcivescovo, cardinale Crescenzo Sepe. “Vogliamo parlare con Sepe per esporgli le nostre ragioni visto che la cava scelta per la discarica è di proprietà della Curia”. La cava “Lallalero” è in effetti di proprietà dell’arciconfraternita dei Pellegrini, ente privato ma su cui Palazzo Regina ha una forte influenza». Pellegrino C., “Chiaiano lunedì iniziano i lavori. Berlusconi: emergenza finita” , 16 luglio 2008, Neapolis.
123
delle donne del comitato che per l’occasione si preparano «al lutto». Decine di donne
rigorosamente vestite di nero si ritrovano «per unire tutte le zone e partire per zona
Camaldoli con un autobus privato159. Il 29 luglio un nutrito gruppo di attivisti si
inoltra nella Selva fino a giungere a poche centinaia di metri dalle cave. Si scopre la
presenza di una postazione della Guardia Forestale con tanto di jeep e filo spinato
che costituisce un vero e proprio check point per chiunque si inoltri sui sentieri verso
la cava. Il 7 agosto in serata, un ragazzo ed una ragazza residenti a Chiaiano, al
termine di un indagine della Questura di Napoli, sono stati arrestati. Le accuse rivolte
ai due giovani, che hanno preso parte alle mobilitazioni contro la costruzione della
discarica nelle cave di Chiaiano, sono di incendio, devastazione e saccheggio, blocco
stradale. A Chiaiano prove tecniche per il Jatevenne day160: «e proprio con il coro
«Massimo libero» è partita la manifestazione di sabato scorso che si è conclusa
davanti allo schieramento di forze dell’ordine, all’ingresso della cava Cinque
Cercale». Il 10 agosto vengono rilasciati i due ragazzi accusati di aver dato alle
fiamme un autobus in piazza Rosa dei Venti a Marano in segno di protesta contro la
costruzione della discarica161. Il 13 agosto 2008, Regione, Comune e Provincia di
Napoli, Soprintendenza ai Beni Archeologici, Arpac, Corpo forestale, Ente Parco
delle Colline, Autorità di bacino, Asl Napoli 1 e 2 si esprimono favorevolmente per
la realizzazione della discarica di Chiaiano.
Il 27 settembre seimila persone partecipano al corteo “Jatevenne Day”,
organizzato a Chiaiano per dire no alla discarica162. Al passaggio del corteo, quasi
tutti i negozi di via Santa Maria a Cubito abbassano le saracinesche in segno di
solidarietà, e centinaia di persone si sono unite spontaneamente alla protesta. Tra le
fila del corteo anche rappresentanti dei No dal Molin, di Vicenza e delle “Reti
Romane per il bene comune”163. La cava scelta è ormai largamente presieduta
159 “Non avremo megafoni o fischietti, sarà un momento di coscienza – dice Serena, una delle partecipanti – Avremo solo dei cartelloni attaccati al collo per facilitare questo percorso che comprenderà proprio la zona della cava che vogliono allestire a discarica”». 17 luglio 2008 ww.carta.org 160 Limatola T., 8 Settembre 2008, www.carta.org 161 Del Porto D., “A Palazzo Salerno sono arrivati i pareri tecnici favorevoli delle istituzioni interessate. Un ulteriore passo in avanti verso la costruzione della discarica di Marano, assalto al bus confessa il ventinovenne” «La Repubblica», 11 agosto 2008 pagina 2 sezione: NAPOLI 162 “Jatevenne Day’ a Chiaiano contro la discarica, scontri con la polizia. 4 agenti feriti”, Rainews 24.it , Napoli, 27 settembre 2008 163 «L’obiettivo dei manifestanti era dare rilevanza mediatica a una vertenza che, dopo giugno era stata relegata all’oblio dell’agenda dell’informazione nazionale nonostante che, di fatto, una forte
124
dall’esercito, i manifestanti si ritrovano nuovamente faccia a faccia con un foltissimo
plotone di polizia in tenuta antisommossa. «Dopo che il sindaco e un deputato
dell’Italia Dei Valori hanno ripetutamente chiesto di poter visitare con una
delegazione dei comitati la cava ricevendo, solo dinieghi; inevitabile lo scontro»164.
A pochi giorni da questi ultimi scontri, i comitati in difesa delle cave di Chiaiano
hanno la conferma dalla magistratura di quello che denunciavano, attraverso un
video pubblicato su “YouTube” e cioè dell’utilizzo della cava come sversatoio
abusivo ed una considerevole presenza di amianto stoccato in modo illecito.
“Magistratura pensaci tu”165. I Comitati infatti sperano in un provvedimento della
Procura dopo il ritrovamento dell’amianto nella cava destinata a ospitare la discarica
contestata da cittadini, comitati civici e amministrazione comunale. Il caso è finito
anche al Parlamento europeo grazie all’interrogazione della deputata dei verdi
Monica Frassoni che invoca la dichiarazione di disastro ambientale e chiede dei
provvedimenti contro il governo che insiste con l’attivazione di un sito in cui
sarebbero stati fatti anche dei carotaggi per attestarne l’idoneità, ma nel quale sono
stati ritrovati “ben diecimila tonnellate di amianto in fibre libere e altri rifiuti tossici
contenuti in sacchi di plastica, alcuni recanti anche marchio Enel”. Materiale
ritrovato per il quale – secondo le immagini filmate dagli attivisti dei comitati – «ci
sarebbe stato anche un tentativo di occultamento. Le foto ritrarrebbero i militari con
maschere antigas che interrano i rifiuti speciali»166.
opposizione alla futura discarica in particolare, alla gestione dell’emergenza in generale, non ha mai avuto sosta» [ibidem]. 164 Fumogeni da una parte contro manganelli e gas lacrimogeni. Una prima carica di alleggerimento, poi lo scontro con lancio di lacrimogeni da parte delle forze dell’ordine. La polizia è poi avanzata con le camionette, respingendo indietro i manifestanti fino alla parte iniziale di via Cupa del Cane. Dopo che le file della polizia hanno sciolto con le cariche le file dei manifestanti, sono tornate sulla via di Marano e Chiaiano le barricate già viste a Giugno. “La cosa che rammarica è che siamo di fronte ad un’autentica occupazione militare del territorio -ha continuato Perrotta (sindaco di Marano N.d.A.)- che peraltro impedisce a centinaia di cittadini di rientrare nelle proprie abitazioni”. “Siamo stati aggrediti mentre il corteo avanzava disarmato per riappropriarsi del proprio territorio, dopo il fallimento della trattativa per l’ingresso di una delegazione nella cava”. È questa la versione dei comitati antidiscarica, “il nostro tentativo di entrare nel sito - aggiungono i rappresentanti della protesta - era un gesto simbolico, ma significa anche che la gente di questo quartiere è pronta a lottare per evitare che si apra la discarica”». Di Rienzo A., «Rifiuti. “Jatevenne Day”, a Chiaiano scontri tra polizia e manifestanti Prestigiacomo: Una minoranza provoca tensioni» agenziami.it 29 settembre 2008. 165 Limatola T., “La Procura conferma: amianto a Chiaiano”, 12 Novembre 2008 www.carta.org 166 Si va avanti anche col ricorso al Tar Lazio per la sospensiva dei lavori per danno alle proprietà, anche se sull’iniziativa i comitati civici si sono divisi. «Quella giudiziaria in sede civile è l’unica arma che abbiamo in mano per opporci, si dice convinto l’avvocato Andrea Faiello, membro della commissione ambiente dell’Ordine degli Avvocati di Napoli» [ibidem].
125
Nei mesi successivi si susseguono manifestazioni di varie dimensioni ed entità,
ma i membri dei comitati sembrano non demordere, anzi nei comunicati diramati
successivamente nell’anno 2009 si ha la percezione di una strutturazione più politica
dei comitati che commentano le azioni anche le più radicali in modo pubblico, danno
voce al “diritto di resistenza” a cui faceva riferimento Alberto Lucarelli
commentando il “decreto di maggio” applicato dal Governo Berlusconi. Altri
comunicati postati sul sito www.chiaianodiscarica.it riportano le maggiori novità
sugli accadimenti recenti. Nella notte del 16 Maggio 2009 vengono assaltati gli auto
compattatori a Chiaiano167. La notte tra il 23 maggio e il 24 il comitato di Chiaiano
ricordando le cariche indiscriminate dell’anno precedente annuncia pubblicamente
l’occupazione di via Cupa dei cani, riprendendo le forme di Presidio notturno e
impedendo ai camion che scaricano e lavorano nella discarica di utilizzare quella
strada. «Presto vogliamo coordinarci con gli altri territori per estendere il presidio
anche alle altre arterie utilizzate dalla discarica per bloccare questa bomba ecologica
che sta affondando il nostro territorio!»168. Nell’agosto del 2009 i cittadini di
Chiaiano apprendono dello sversamento e trasporto di rifiuti tossici nella cava e che
le amministrazioni comunali accettavano compensi dal governo per indennizzo alla
167 «Apprendiamo dai cittadini del posto che nella notte diverse decine di persone hanno messo in atto un blitz in Via Cupa dei Cani, la strada di collegamento con la discarica di Chiaiano. La rabbia scatenata nella notte di ieri ci sembra assolutamente legittima davanti alla mancanza di volontà politica del governo di avviare un tavolo interistituzionale che veda la presenza dei cittadini di Chiaiano e Marano per discutere della chiusura della discarica e del passaggio delle altre cave della zona di proprietà della Presidenza del consiglio dei ministri agli enti locali per destinarli ad un uso sociale nel pieno rispetto della salute e dell’ambiente. Non sappiamo chi abbia messo in atto il blitz della notte scorsa, caratterizzato, da quello che apprendiamo, da un fitto lancio di fumogeni contro gli auto compattatori e dall’innalzamento di alcune barricate, ma comprendiamo la rabbia e la determinazione di una cittadinanza esasperata dalla mancanza di democrazia e dalla assoluta indifferenza delle istituzioni alla difesa della salute e dell’ambiente». Comunicati Stampa Presidio permanente contro la discarica di Chiaiano e Marano. “Nella notte assaltati gli auto compattatori a Chiaiano”, www.chiaianodiscarica.it , 16 Maggio 2009. 168«Intanto prepariamo il nostro “ringraziamento elettorale” ai politici di tutti i colori che hanno tradito la fiducia popolare, lanciando “il voto della sacchetta”, distribuendo gli stencil di un sacchetto dell’immondizia con cui annullare la scheda elettorale in segno di protesta…! (…) Accade inoltre che i camion diretti alla discarica scarichino il percolato sulle strade, in Via Santa Maria a Cubito, in Via Cupa dei Cani, in Via Cinque Cercole, ed a seguito di questo scempio numerosi incidenti hanno visto protagonisti i cittadini in transito. Addirittura un autocompattatore finisce in una villetta in Via Cinque Cercole scivolando sul percolato. I cittadini del presidio sempre piu’ incazzati, lanciano una nuova piattaforma di lotta per l’autunno, dalla vergogna del percolato e dei miasmi che rendono impossibile vivere di notte nel circondario di Chiaiano e del comune di Mugnano, per la chiusura del sito, contro il piano rifiuti». Comunicato stampa del Presidio permanente contro la discarica di Chiaiano e Marano “Bloccata via cupa dei cani” 24 maggio 2009.
126
costruzione della discarica169. I comitati sanno ora che tutte le preoccupazioni, i
timori su quello che ipotizzavano potesse avvenire alla loro salute e allo loro terra,
una volta chiusi i riflettori su Chiaiano si stanno avverando e lanciano una nuova
stagione di lotta. «I cittadini del presidio lanciano le vere ronde utili, quelle che
andranno a controllare dai primi di settembre il percorso della raccolta Napoli».
Nello stesso mese di agosto, un camion carico di rifiuti radioattivi viene bloccato dai
militari nella discarica di Chiaiano170. I cittadini apprendono dalla Protezione civile
che per 35 volte nei pressi delle loro abitazioni sono giunti camion carichi di rifiuti
radioattivi. «Accade che un parlamentare europeo (De Magistris) ed un consigliere
provinciale (Sodano) annunciano il ritrovamento del carico, ma nessun è in grado di
capire come abbiano fatto a saperlo visto che nemmeno i residenti si erano accorti
della scoperta» Per l’autunno, i comitati annunciano nuove mobilitazioni del Presidio
permanente contro la discarica di Chiaiano e Marano. Il comitato annuncia di
intraprendere una lotta «(…) più determinata che mai, a cominciare dalle ronde in
difesa della salute e dell’ambiente, fino alla presentazione di nuovi ed interessanti
avversari come il neo presidente della Provincia Luigi Cesaro ed il neo presidente
dell’Arpac Volpicella».
La lotta del Presidio Permanente contro la discarica di Chiaiano e Marano è
quindi ancora ben lontano dallo svanire e risulta essere ancora determinata a
resistere.
3. Una possibile conclusione: il rilancio della partecipazione attraverso il
presidio permanente.
169 «Nella calura estiva nel territorio di Chiaiano e Marano si sono consumate nuovi e rocamboleschi avvenimenti la cui gravità ha automaticamente rilanciato in avanti la lotta per la difesa del territorio e contro il piano rifiuti. Succede infatti, che dopo mesi e amministrazioni comunali accettino le “compensazioni” elargite dal governo, ovvero soldi in cambio della discarica. Succede che i fondi alcune centinaia di milioni di euro vengono anche tagliati, frutto del diverso orientamento del fondo nazionale per le emergenze che vede i soldi migrare ora dalla Campania all’Abruzzo. Anche il Comune di Marano accetta le cosiddette compensazioni dopo aver scampato non si sa come la richiesta di scioglimento per inadempienza sulla raccolta differenziata». Comunicato stampa del Presidio permanente contro la discarica di Chiaiano e Marano “Un Agosto pieno di sorprese…” agosto 2009. 170 Un sito controllato da circa un centinaio di militari, che fermano questo camion non all’ingresso, ma dentro la discarica. Nessuno riesce a dare spiegazioni su come quel camion sia finito lì, da dove venga, cosa aveva raccolto e dove. La Protezione Civile si limita a dire che a Chiaiano è successo altre 35 volte…(sic!) [ibidem].
127
Le opposizioni locali nell’area metropolitana di Napoli, scoppiate durante la fase
acuta della crisi dei rifiuti nell’anno 2007-2008, possono essere lette a nostro parere
con un certo grado di continuità. Potremmo infatti porre lungo un continuum le tre
proteste di Pianura, Gianturco e Chiaiano secondo un grado di strutturazione degli
attori in conflitto, di articolazione delle manifestazioni e progettualità nei discorsi
oppositivi rispetto a quelli dati dai governi per la localizzazioni degli impianti. Le
opposizioni di Pianura, anche se in questa trattazione vengono solo citate, sono
sfociate quasi immediatamente in rivolta e poi in guerriglia urbana con blocchi
stradali, incendi di macchine e scontri violenti con le forze di polizia. Le proteste
hanno avuto una enorme radicalità e violenza per il fatto che la discarica che si
voleva riaprire era uno sversatoio regionale (ed anche nazionale), chiuso da poco e
che aveva già causato enormi danni ambientali e sanitari alla popolazione. Queste
proteste ormai divenute dei veri e propri “riot” urbani, sono state la miccia che ha
fatto esplodere definitivamente il caso Campania in tutta Italia e hanno dato ragione
alla popolazione sulle accuse rivolte alle istituzioni. Da quel momento in poi tutte le
azioni della struttura Commissariale, dei politici, delle aziende coinvolte nell’affare
dei rifiuti sono state messe sotto la lente di ingrandimento dei media nazionali e
internazionali.
In quello stesso periodo è poi arrivata l’individuazione del sito dell’ex
manifattura Tabacchi a Gianturco, proposto dal commissario come luogo alternativo
anche a quello di Pianura. Le opposizioni nate nell’area Est di Napoli rispecchiano
una maggiore conoscenza e consapevolezza da parte della cittadinanza campana
rispetto l’affaire dell’emergenza rifiuti e una strutturazione dei conflitti che ha
portato le proteste anche in sedi istituzionali come Consigli Municipali negli enti di
monitoraggio ambientale nonché nelle aziende di smaltimento dei rifiuti. Le proteste
si sono caratterizzate anche per una critica “propositiva” alla gestione ordinaria dei
rifiuti come la mancata applicazione della raccolta differenziata a Napoli e Caserta.
L’occupazione da parte dei comitati in lotta della ex manifattura, individuata come
sito di trasferenza temporaneo delle “ecoballe”, si è subito caratterizzata per la sua
progettualità, organizzando una raccolta differenziata autogestita del quartiere come
primo gesto virtuoso da fare obbligatoriamente per uscire dall’emergenza. Infine la
denuncia di ritrovamento nella struttura di materiali tossici come l’amianto e di siti di
128
smaltimento di rifiuti abusivi nel quartiere, ha portato argomentazioni validissime
alla protesta che si è prolungata per alcuni mesi, coinvolgendo in modo capillare la
popolazione che ha poi portato alla rinuncia da parte del commissariato del sito in
questione.
Le opposizioni popolari che hanno avuto luogo a Chiaiano possono essere viste
come un’ulteriore passo avanti nella protesta campana alla gestione dei rifiuti, vista
la complessità degli argomenti presentati alle istituzioni e alla stampa nazionale dai
comitati ritenuti come fondamentali per la risoluzione dell’emergenza. Le proteste
inoltre si sono caratterizzate per essersi vivacemente diversificate, anche in relazione
al fatto che in questo periodo viene varato il famoso “Decreto di Maggio”, che
prevede la militarizzazione dei siti che impedisce alla popolazione di opporsi,
organizzarsi o occupare gli impianti, pena l’arresto. Anche in questa situazione però
le battaglie vengono fatte in primis nelle piazze, luoghi comuni dove si esprime
sempre il proprio dissenso e dove si socializzano giornalmente saperi e informazioni.
La costruzione dei presidi in questo caso è ancora più sistematica e si formano vere e
proprie postazioni telematiche, e stand dove sostare la notte durante i blocchi. I
conflitti però vengono portati anche in sedi legali e giudiziarie, nonché politiche e il
comitato si compone sempre più di scienziati che affrontano sullo stesso campo i
tecnici del commissariato e danno puntualmente soluzioni alternative. Si
costruiscono collettivamente dunque soluzioni alternative a quelli esistenti e i
risultati vengono resi pubblici attraverso interventi in piazza o con i contributi di
ospiti di grande rilievo esperti dell’argomento (il geologo Franco Ortolani o il
professore statunitense Paul Connet). Infine è da sottolineare la diversa articolazione
nel medio e lungo periodo delle opposizioni, che si esplicano attraverso la
controinformazione e gli aggiornamenti periodici sulla situazione nella cava, nonché
l’adesione a piattaforme contro l’incenerimento dei rifiuti e al patto di solidarietà tra
le comunità in lotta.
3.1 La lotta più dura spetta alle donne: presidiare il territorio, ricucire le
relazioni frammentate, guardare al futuro.
129
Nei due casi di opposizione alla localizzazione delle discariche presi in
considerazione in questa tesi, emerge in maniera evidente il ruolo delle donne nei
conflitti locali, nell’organizzazione dei presidi territoriali e nel prolungamento nel
tempo delle lotte dei comitati, con una capacità impressionante di dare nuove forme
alla lotta anche più simboliche o maggiormente comunicabili ad un vasto pubblico.
In tutti e due i casi il contributo della componente femminile della popolazione è
stato essenziale per dare continuità a determinate proteste e una più forte
progettualità alle iniziative. La presenza numerosa delle donne però nei conflitti non
sarebbe un fattore determinante in termini di efficacia della lotta, se non
corrispondesse anche alla grande capacità relazionale di questa componente. Una
capacità di messa in comune delle diversità degli intenti dei soggetti in conflitto,
peculiarità da sempre fondamentale per i presidi territoriali che aspirano ad una
persistenza sul luogo. La presenza significativa del genere femminile nei nuovi
conflitti locali è sottolineata anche nel libro di Pierluigi Sullo, direttore del
settimanale «Carta», una rivista che da anni studia i nuovi movimenti sociali e
territoriali. «La comunità è senza ombra di dubbio femmina. Sono le donne che
soprattutto, nelle lotte che ho visto da vicino, cuciono le relazioni, moderano i
dibattiti, coltivano il senso dello stare insieme, promuovono convivialità, insomma si
prendono cura di quella cosa impalpabile ma essenziale che è il desiderio di
comunità»171.
Nella vicenda dell’emergenza rifiuti in Campania il dato è assolutamente
esponenziale ed è riscontrabile il protagonismo delle donne praticamente in tutte le
lotte per la salute e l’ambiente come constatato anche dal Dottor Marfella oncologo
da anni in lotta contro la devastazione ambientale e sanitaria in Campania: «Non ho
conosciuto un solo Comitato ambientalista in Campania che non sia guidato,
coordinato e/o reso efficiente da una Donna : dalle “Donne del 29 agosto” di Acerra
alle Donne di Taverna del Re, dalle Donne di Pianura e Marigliano sino alle stesse
Donne della Assise di Palazzo Marigliano. Da Napoli a Caserta, a Benevento, a
Salerno, ad Avellino, oggi sono le Madri, le Donne Campane che chiedono, senza se
e senza ma, senza dubbi e incertezze, senza giochi di numeri, percentuali e
significatività, senza nessuna possibilità di mediazione, chiarezza, impegno e
171 Sullo P., 2008. “Postfuturo” , Carta / Intra Moenia, Napoli.
130
soluzioni chiare in risposta all’unica cosa che ha significato per loro: la tutela della
salute dei figli»172.
Analizzando il primo caso del comitato di Gianturco, il colpo d’occhio del
comitato restituisce subito la sua connotazione femminile. «(…) Una composizione
singolare, perché insieme agli attivisti del centro sociale e ad un unico consigliere
municipale conta tra i suoi referenti 27 donne su 30. Ufficialmente la spiegazione è
che “gli uomini lavorano di più”, come dice Carmen, ma Anna aggiunge che “il
quartiere gli appartiene di meno, perché non lo vivono mai”»173. “Vivere il territorio”
come dice l’intervistata o semplicemente “essere presente” in un posto, è forse il
passo fondamentale per riconoscersi con un luogo, è la prima tappa verso la
caratterizzazione identitaria di un territorio, ed è la prova pubblica dell’esistenza di
una persona che nel caso dei presidi si concretizza nell’esercizio del diritto a resistere
e decidere della propria terra. «Ragazze giovani e giovanissime, o madri, o nonne,
che con linguaggi differenti raccontano la stessa fiaba: che è possibile vincere senza
“combattere” (nel senso guerresco N.d.A.), ma semplicemente occupando lo spazio –
il luogo che si vuole difendere e il luogo mentale dei concittadini – con la promessa
pratica di un altro modo di vivere, i cui indizi sono ben evidenti nel modo stesso in
cui si fanno il presidio, la petizione, la manifestazione, l’assemblea o la festa» [Sullo
2008].
Come scrivono i giornalisti di Napoli Monitor, anche loro accorsi a testimoniare
le lotte di Gianturco: «È come se la retorica della madre che accudisce, usata per
confinare le donne in casa, in queste circostanze si prestasse ad un uso sovversivo di
questo stesso ruolo, a legittimare la presa di possesso delle strade, i sit-in,
l’occupazione dell’Arpac (ente regionale all’ambiente). E soprattutto l’occupazione
della stessa ex-Manifattura, trasformata per dieci giorni in isola ecologica autogestita
e punto di raccolta per la differenziata. Finalmente un “luogo in comune” per
ricostruire il tessuto relazionale di un quartiere in cui la discontinuità degli
insediamenti abitativi, le grandi strade e i ponti che sembrano gallerie disegnano una
quotidianità di separatezze e solitudini» [“Napoli Monitor” 2008].
172 Relazione al Convegno “Ambiente e donna e salute” II° Policlinico universitario Federico II, 9 aprile 2008. Su http://napoli.blogolandia.it/2008/04/12/a-donna-campania-dottor-marfella. 173 Angrisano N., “Quelli della Manifattura”, Napoli Monitor, N°13 / Marzo 2008
131
Il desiderio di risollevare il proprio quartiere rivalutandolo, di ristabilire relazioni
personali, nasce in questo caso da esigenze comuni e dalla percezione molto diffusa
che la frammentazione del quartiere sia data principalmente dall’assenza di luoghi di
aggregazione, come testimoniato da alcune donne del comitato ai microfoni di
“Insu^tv”, emittente televisiva di “Officina99”. Una giovane trentenne racconta che
«Tutte le persone che sono venute alla manifestazione e che hanno partecipato a
questa lotta, siamo tutte persone che comunque ci conosciamo da piccole, ci siamo
riunite proprio per questa occasione. Ci siamo perse di viste perché ognuno vive la
sua vita in casa propria, però ultimamente ci siamo riunite un po’. Io ho incontrato
persone che non vedevo da anni» (corsivo nostro N.d.A.)174. Continuando a
raccontare la propria esperienza spiega quale fosse stata la spinta a mobilitarsi:
«Sono incazzata perché la mia zona non è rivalutata per niente, perché io devo fare il
pensiero che me ne devo andare da Napoli perché la mia zona volgarmente parlando
fa schifo…io non voglio andarmene dalla mia zona dove sono nata, figurati, io sono
nata in casa a Gianturco, neanche in clinica. Quindi essendo nata nel mio quartiere io
nel senso di affetto ci tengo. Però se la mia zona deve essere più martoriata di quello
che gia è.. siamo costretti ad andarcene» [ibidem].
La spinta propulsiva che ha messo in moto molte donne in difesa del quartiere
potrebbe essere racchiusa nella dichiarazione di una signora di circa quarant’anni che
spiega come la notizia dell’arrivo delle “ecoballe” sia stata presa come un’ urgenza
da cui far ripartire il desiderio personale di riscatto e di rilancio collettivo della zona:
«Forse noi avevamo bisogno proprio di questa spinta, di una spinta per risollevare un
poco la zona, perché prima la zona era industriale, però adesso le industrie sono
andate via, le persone ci abitano, ci sono giovani, ci sono bambini, ci sono anziani.
Cioè ci siamo, viviamo. Allora è possibile mai che nel quartiere non c’è una scuola
(…) non c’è un ritrovo, un ritrovo per anziani, un ritrovo per i giovani (una palestra,
una piscina).. è impossibile! Partecipano soprattutto donne, perché vuoi un po’ i
mariti lavorano e quindi non è che abbiano tanto tempo, e poi le donne perché…
siamo stufe, ma stufe al massimo!» [ibidem].
La percezione che partecipare alla lotta contro la gestione dei rifiuti fosse un
primo passo verso la riconquista del quartiere è ben spiegata da Anna, 53 anni 174Intervista alle donne del presidio di Gianturco, “GianTurca ribelle” in «Domenica Aut», su http://www.insutv.it/domenicaut/gianturco-ribelle
132
infermiera che descrive la sensazione intensa che provò durante l’occupazione della
Manifattura vedendo un’area talmente grande inutilizzata: «Appena entrati
iniziammo a scrutare il luogo dove eravamo: la Manifattura Tabacchi era enorme,
oltre i giganteschi capannoni dove un tempo centinaia di operai avevano lavorato,
c’erano incredibili spazi vuoti. Rimasi stupita, perché non sapevo che la Manifattura
Tabacchi fosse così immensa e ancora di più accese in me la rabbia di constatare che
nel quartiere c’era tanto spazio e soprattutto che tutto questo spazio, invece di essere
usato per il bene del quartiere, era lasciato in abbandono. Mi ricordai che avevo
sentito dire, tempo prima, che le mamme del quartiere, chiedevano a chi di
competenza che fosse costruito un campo di pallone e che la Municipalità e la venuta
della Iervolino avevano dato un esito favorevole, ma tutto ciò non fu mai attuato.
Guardando questi spazi vuoti la mente cominciò a fantasticare immaginando campi
da calcio per ragazzi, piscine, giardini, centri per anziani: tutto ciò nel quartiere
Gianturco non c’è. Ma contro questa mia fantasia incombeva una realtà ben diversa,
la parola era: montagne di munnezza»175.
Per molte donne l’aver partecipato all’occupazione dell’ex manifattura, aver
effettuato con grande capacità i blocchi stradali e ferroviari, aver contribuito a far
crescere capillarmente nel quartiere la lotta, sono state tutte occasioni per allacciare
nuove relazioni e ricucirne di vecchie, come testimoniato dalle donne del comitato.
Anna racconta, per esempio, il primo incontro ravvicinato con i militanti del centro
sociale “Officina99” avvenuto proprio durante l’occupazione dell’ex manifattura
tabacchi: «(…) Intanto lottando, lottando lo stomaco cominciò a borbottare e ancora
una volta scattò in me la voglia di risolvere il problema. Raccolsi tutto quello che
avevamo: crackers, merendine, anche caramelle e misi tutto a disposizione di tutti su
un piccolo tavolino tra le macerie, aggiustai il tutto in modo che anche l’occhio
avesse la sua parte e vidi che intorno al mio semplice “bancariello” si formò un
crocchio di ragazzi di Officina99, che manifestavano il loro entusiasmo e mi
elogiavano. A quel punto toccai il cielo con un dito e tutto ciò che in negativo avevo
pensato di loro svanì in una nuvola di fumo, vedendo e percependo il loro entusiasmo
e la loro affettuosità verso di me, che in quel momento per loro ero una sconosciuta,
capì che erano diversi da come li avevo immaginati, cioè arroganti attaccabrighe»
175 Ceraso A., 2008. “La terra del Rifiuto, il diario della lotta contro la munnezza”.
133
[ibidem]. Una ragazza più giovane intervistata, osserva a malincuore invece che la
condivisione di momenti talmente intensi ha risaldato sì vecchie amicizie, ma che
queste relazioni difficilmente potrebbero prolungarsi nel tempo data l’assenza di
luoghi di aggregazione. «Ho incontrato persone che non vedevo dai tempi delle
scuole medie, possibilità di incontrarsi dopo non lo so, i punti di aggregazione
continuano a non esserci, sì per la strada ti incontri e ti saluti con più piacere perché
magari si è condivisa questa esperienza, però continua a non esserci nulla che possa
aggregare. Né persone che noi già ci conosciamo, né un luogo che possa favorire
nuovi incontri» [«Domenica Aut» 2008].
I mesi delle mobilitazione hanno dato, in quell’intenso periodo, alcuni momenti
per discutere della condizione femminile come per esempio i dibattiti organizzati in
occasione dell’otto marzo, che pare abbiano risvegliato la consapevolezza della forza
femminile anche nelle partecipanti al comitato. Per Anna l’evento oltre che essere
una giornata di mobilitazione è stato un momento per fare il paragone sulla diversità
della sua vita prima dell’inizio della lotta: «(…) era l’8 marzo, giornata simbolo del
riscatto femminile, della volontà di partecipazione e di affermazione del valore delle
donne. Per rendere omaggio alla femminilità distribuì volantini invitando le donne
del quartiere a partecipare e in cambio della solita mimosa davamo il prezzemolo per
ricordare la tragedia degli aborti clandestini. Per la maggior parte delle donne questo
8 marzo non è stata un’occasione per riflettere sulle lotte effettuate negli anni
addietro dalle donne, che per la loro dignità hanno preferito morire invece di
soccombere alla volontà dei loro capi, al contrario è diventata per loro una giornata
di puro divertimento…e pensare che anche fino all’anno scorso anch’io andavo a
divertirmi e mi ritiravo a casa all’alba mentre adesso, grazie alle donne di Officina
99, sono riuscita a capire tante cose sulla condizione femminile» [Ceraso 2008].
La crescente consapevolezza sulla propria condizione di donna da parte delle
presidianti emerge anche in altre occasioni, come per esempio nell’organizzazione
del presidio per il Carnevale dei bambini, quando la stessa Anna riconosce il suo
cambiamento e l’accresciuta responsabilità verso il proprio luogo di appartenenza e
verso chi vi abita. «Essendo noi cittadini pacifici, con la venuta del Carnevale non
potevamo permettere che i bambini di Gianturco non avessero la loro festa. E
pensare che sono andata sempre a divertirmi con le amiche nei locali alla moda,
134
tornando a casa con trofei, ora invece, mi trovavo in piazza vestita con una maschera
antigas e fiocchi ricavati dalla plastica nera dei sacchetti della spazzatura. Dopo la
gioia di vedere i bambini del rione ridere e scherzare con coriandoli, bisognava
pensare che Gianturco non poteva finire nel nulla» [ibidem].
Le opposizioni contro la gestione dei rifiuti, come abbiamo visto, dunque sono
inestricabili dal contesto in cui sono nate e dalle persone che vi prendono parte, e
spesso sono state strumento di ricomposizione sociale del quartiere, per ridare
progettualità al proprio futuro e alla collettività anche attraverso una denuncia della
propria condizione sociale e materiale. Per rilanciare e rivalutare il proprio ruolo
propositivo, anche in un contesto più ampio delle lotte campane, il comitato di
quartiere di Gianturco ha deciso, in quel periodo, anche di avviare percorsi virtuosi
come quello della raccolta differenziata, cosa secondaria per le istituzioni napoletane,
ma che per le donne e gli uomini di Gianturco ha significato la prova che è possibile
uscire dall’imbarbarimento sociale e culturale che l’emergenza rifiuti ha creato negli
anni.
Bisogna dire che quasi tutte le opposizioni locali analizzate in questa tesi hanno
avuto la capacità di riaggregazione sociale, ma alcune, grazie anche al trascorrere del
tempo e all’ accumulazione della conoscenza sul problema dei rifiuti, hanno fatto un
notevole salto di qualità rendendo comunicabili e intelligibili le motivazioni della
lotta. La popolazione è riuscita, come per esempio nel caso di Chiaiano ed Acerra
(quest’ultima in lotta da anni contro l’inceneritore), a prefiggersi obiettivi più
generali, a dotare le lotte di strumenti di critica più efficaci all’intero sistema dei
rifiuti. A Chiaiano infatti le lotte contro la discarica si sono allargate all’intero
sistema di gestione dei rifiuti, ed ha visto tra i suoi contestatori più perseveranti
ancora una volta un folto numero di donne che denunciavano la pericolosità e la
limitatezza della gestione commissariale. Queste donne hanno cominciato a riunirsi e
ad organizzarsi anche come gruppo a sé stante che portava nella lotta proprio la
specificità del loro genere e ne rivendicavano le peculiarità e le prospettive. Nel caso
di Chiaiano è interessante analizzare il gruppo delle cosiddette “Donne in lutto”. «In
fila indiana (sono centinaia) hanno percorso la zona della cava, dove dovrebbe
135
sorgere la nuova discarica da 700.000 tonnellate al servizio di Napoli»176. L’idea
della rappresentazione del lutto è nata sull’esempio del movimento “Donne in nero”
che asserisce che la militarizzazione dei territori è il conflitto più doloroso che le
tante popolazioni devono subire, come confermato dalle stesse partecipanti. Serena
una ragazza di 23 anni, studentessa di lingue e letterature straniere all’Università
Orientale di Napoli è una delle promotrici di “Donne in lutto” e in un intervista
rilasciata ad un giornale locale testimonia la grande valenza simbolica delle lotte al
femminile: «La donna è il simbolo della Madre Terra, vestita a lutto denuncia
proprio la morte del territorio. Le donne in lutto hanno sentito il bisogno di urlare
attraverso cortei simbolici la morte della democrazia e ancora più forte i possibili
lutti che verrebbero qualora si aprisse una megadiscarica di tal quale e rifiuti
tossici»177. Come viene sottolineato in un comunicato, le donne in lutto sfilano in
cordoglio come dietro un feretro, «per il Parco delle colline dei Camaldoli, per la
contaminazione dei rifiuti pericolosi, per la militarizzazione del proprio territorio e,
probabilmente, piangerà fra 20 anni per la morte dei suoi figli» [Gitto 2008].
La composizione del gruppo militante risulta essere anche molto eterogenea e
riesce a rappresentare uniformemente tutta la società civile femminile di Marano e
dintorni. «Siamo giovani, anziane, lavoratrici, disoccupate, madri. Molte hanno il
volto segnato dal tempo e dalla fatica, altre il viso luminoso della giovinezza»178. Lo
scopo del gruppo è principalmente quello di informare, di ricordare e far ricordare,
di non lasciar precipitare nell’oblio i nomi e le innumerevoli forme della
devastazione che si sta perpetrando sul territorio di Chiaiano e della Campania tutta.
«Stiamo, insieme a voi, pagando l’ingordigia e l’infamia di un mostro che non ha
volto ma mille profili: della camorra, della politica corrotta, di amministratori inetti e
collusi, di affaristi, di medici consenzienti, di preti che indossano l’abito comodo del
don Abbondio. Noi, però, abbiamo deciso di conoscerlo e combatterlo quel mostro,
ci siamo informate, documentate e adesso ci fa meno paura perché conosciamo il suo
tallone d’Achille. Egli teme l’informazione corretta, le nostre continue denunce, la
nostra determinazione, il nostro coraggio. Ha paura della mobilitazione della gente»
176Gitto E., 20 Luglio 2008. “Chiaiano: le Donne in lutto scendono in campo contro la mega discarica”, http://www.ecostiera.it/ 177 “Intervista alle donne in lutto” su http://www.maranoweb.it/articles.asp?id=6 178Lettera pubblicata il 9 Marzo 2009 sul quotidiano “La Repubblica” in risposta alla lettera “L’8 marzo delle oligarchie”.
136
[«La Repubblica 2009»]. Anche di fronte alle pressanti restrizioni, il fervore delle
“donne in lutto” non si è spento e anzi si è rafforzato nel momento in cui guardano
alla vita delle generazioni future: «Noi donne, che diamo la Vita, noi donne di
Chiaiano-Marano abbiamo deciso di difendere la vita dei nostri figli, del territorio,
della democrazia. (…) E, insieme ai nostri compagni, ai nostri mariti, ai nostri
ragazzi non ubbidiremo mai alla consegna del silenzio» [ibidem].
Il legame indissolubile tra madre e figlio è insito, pertanto, nel discorso
femminile delle donne che lottano in Campania per preservare le generazioni future.
Come ci spiega Marfella: «Sono la stessa antica Grande Madre della stessa antica
Grande Terra. E i figli maschi, come me, non sono mammoni, ma non possono non
essere obbligatoriamente devoti e ubbidienti alla Mamma, a colei che non
rappresenta, ma è, la “CASA” (in greco “OIKOS” da cui “ECOLOGIA” = La
scienza che studia l’Ambiente = CASA ). Può esistere pertanto (e forse rispetto a
tutto il mondo) sensibilità femminile più attenta ai problemi della ECOLOGIA di una
Donna Campana? Io non credo».
Una commovente e coraggiosa lettera della signora Lucia, di Taverna del Re,
potrebbe restituirci il sentimento massimo che sia dato provare ad una donna per
l’amore della propria “casa”, della propria terra, dei figli da lei stessa generati. Lucia
si diede fuoco di fronte la discarica di Taverna del Re, uno dei luoghi più inquinati al
mondo e dei più martoriati dai tumori, in un disperato tentativo di fermare i camion
che da giorni stavano sversando ininterrottamente rifiuti. «(…) non ci piace vedere i
nostri figli, le nostre membra soffrire. Siamo pronte a dare la nostra vita per
combattere questo, dalla droga alla mondezza. Siamo sempre pronte a scendere in
Piazza. Le donne sì, noi donne abbiamo forza e coraggio da vendere, non provate
mai a soffocarci, le nostre unghia sono sempre aguzze. È accaduto a Taverna del re ai
piedi dell’ecomostro (…) Guardandomi allo specchio, aumenta la mia forza e la mia
rabbia, di fatti la lotta al diritto alla vita continua ancora oggi con lo sciopero della
fame ad oltranza» [«Domenica Aut» 2008].
Un atto disperato che fortunatamente non ebbe un esito mortale. Ma è diventato
monito per chi continua a lottare per invertire la rotta di quello che succede ogni
giorno. «Non intendiamo rimanere impassibili – dichiara Maria Rosaria Mariniello
del coordinamento civico Area Flegrea - lotteremo fino allo strenuo con tutte le
137
nostre forze e le nostre possibilità, ma non accetteremo mai l’idea della
militarizzazione e di non poter decidere il destino della nostra terra» [Gitto 2008].
Le donne, dunque, possono essere il motore propulsore delle lotte per la difesa
della salute, per la riconquista della propria terra espropriata dalle militarizzazioni.
Una lotta di cui non si può fare a meno e su cui tutti fanno affidamento. «Oggi, in
Campania, se abbiamo una sola possibilità di recuperare e di uscire da questa
tragedia dei rifiuti urbani e dei rifiuti tossici, dobbiamo puntare sulle Donne:
offrendo loro saggezza e fermezza virile, con indirizzi di diagnosi e cura chiari e non
contraddittori e con una comunicazione anche scientifica che non faccia
dell’arroganza la coperta corta di palesi menzogne. Si rischia solo di provocare la
loro ben nota ed invincibile Furia! Lasciamole vegliare ed operare serene, al
capezzale del figlio, ad aspettare che la febbre passi: adda passà ‘a nuttata…»
[Marfella 2008].
3.2 Le “buone pratiche comunicative” dei comitati e dei movimenti sociali a
Gianturco e Chiaiano.
Nelle campagne di opposizione ai siti di stoccaggio dei rifiuti un elemento che ha
contribuito a far salire l’attenzione dell’opinione pubblica sugli eventi è sicuramente
stato il fattore comunicativo. Quasi tutta la vicenda campana, come abbiamo già
detto, ha avuto una maggiore attenzione politica e sociale solo dopo l’intensa
esposizione mediatica delle vicende di Pianura, vicenda finita agli onori della
cronaca. Quello che invece può essere caratterizzante per questi due casi è la
gestione dei riflettori mediatici che ormai erano accesi sulla Campania. Per riflettori
mediatici ci riferiamo alla miriade di giornalisti anche internazionali che, per un
periodo molto lungo, hanno praticamente invaso la città di Napoli per raccontare ciò
che stava accadendo, alle volte purtroppo scadendo anche nei cliché ritriti della
Napoli bella ma sporca. Dopo Pianura, infatti, i comitati hanno utilizzato in modo
intenso la possibilità di rivolgersi ad un pubblico vasto per poter portare le proprie
argomentazioni. In questo senso da Pianura in poi si è assistito, in misura
inversamente proporzionale alla strutturazione delle proteste, ad una fase
138
discensionale dell’esposizione mediatica dei grandi mainstream nazionali. Questo
veloce calo della notiziabilità delle opposizioni locali in Campania è stato
prontamente bilanciato da un uso crescente delle tecnologie della rete informatica e
delle autoproduzioni, che hanno tenuto in costante aggiornamento gli utenti
interessati a seguire le evoluzioni dell’emergenza rifiuti. Nel produrre la cronistoria
dei due comitati, come si sarà notato, si è fatto un uso abbondante dello strumento
della rete informatica, utilizzata dagli stessi militanti dei comitati e dell’area
antagonista, come il mezzo più diretto per reperire le notizie. È significativo come ci
sia stata una vera e propria evoluzione dell’uso di internet per la diffusione di tutto il
materiale informativo. È da notare infatti, come dal caso di Gianturco, dove
l’aggiornamento quotidiano delle iniziative veniva fatto su piattaforme informatiche
preesistenti come Indymedia179 e siti “amici”, si sia passato nel caso di Chiaiano, ad
un uso diffuso della rete talmente intenso da parte dei cittadini da dare vita ad un
vero e proprio sito dedicato con tanto di canale televisivo.
Va detto però che le due esperienze di mediattivismo non sono separate, ma sono
frutto di interazione continua ed intensa tra i due comitati e soprattutto tra le due
strutture mediatiche dei centri sociali di “Officina99” e “Lab. Occupato Insurgençia”
che hanno il merito di essersi profuse in un opera gigantesca di informazione. Il
frutto di tale lavoro ha dato vita a programmi televisivi via web veri e propri,
documentari di grandissimo pregio e piattaforme di tv on-demand. Quello che si
vuole sottolineare in questa sede è, dunque, l’evoluzione cronologica di questa
interazione che ha prodotto negli esiti della “pubblicità” del conflitto (nel senso del
rendere pubblico), risultati straordinari.
Nelle opposizioni di Gianturco l’apporto del centro sociale “Officina99” è stato
fondamentale sia per la capacità di usare la rete informatica per informare gli utenti e
gli altri media, sia per la intelligente capacità di trasformazione in analisi politica di
un evento come quello dello stoccaggio delle “ecoballe” che sapeva più di catastrofe
inevitabile, che di decisione di una struttura commissariale. Luca Manunza,
179 «A volte Indymedia viene considerata come un’avversaria dei mezzi di comunicazione di massa tradizionali (RAI, ANSA, eccetera). In realtà sarebbe più appropriato dire che Indymedia è un esempio di rete/comunità aperta per lo scambio di informazioni di particolare interesse per gli attivisti di sinistra e no-global. A causa della sua organizzazione aperta e delle sue regole interne (ad esempio l’uso del copyleft, o il fatto che nessun centro Indymedia può diventare una organizzazione commerciale), sarebbe impossibile per chiunque prenderne il controllo». Fonte Wikipedia.org.
139
scrivendo a proposito del ruolo del centro sociale all’interno delle proteste di
Gianturco, si sofferma sulle varie anime che vivono all’interno della struttura
occupata : «Officina 99 si inserisce in maniera capillare all’interno del tessuto urbano
del quartiere promuovendo azioni e iniziative in grado di riportare visibilità nel
complesso scenario delle problematiche sociali che imperversano nella città di
Napoli. All’interno del centro sociale trovano spazio diversi collettivi che lavorano
su differenti tematiche come il Neapolis HackLab, nato nel 2002, Radiolina, radio
pirata che trasmette sulla frequenza 104.90 Fm dal 2003 coprendo il centro storico
della città e Insu^Tv, telestreet napoletana. Officina 99 sarà un nodo importante di
supporto alle mobilitazioni» [Manunza 2009].
L’uso così enorme della rete da parte dei militanti consiste inoltre proprio nella
possibilità di riuscire a trasmettere video e immagini usando anche una
strumentazione essenziale e minima come un PC portatile. Nel giro di pochissimo
tempo si è dato vita ad una trasmissione radio dedicata alla mobilitazione in atto
attraverso il sito di “RadioLina”, e ad alcune puntate in trasmissioni televisive come
«Domenica Aut» di Insu^tv. Come scrive Luca Manunza, anche lui mediattivista del
centro sociale, in breve tempo si approntano reportage sulla situazione ambientale a
Gianturco ad opera dei militanti di “Officina99”. Nel particolare si da’ avvio a «la
produzione di un istant-video di denuncia sulla situazione di uno sversatoio di rifiuti
indifferenziati a cielo aperto in via Nuova delle Brecce, (strada adiacente alla ex
Manifattura Tabacchi) e l’occupazione da parte degli abitanti del quartiere del futuro
sito di trasferenza». Il dossier e il video inchiesta sono a cura di “M.i.na.”, i Media
Indipendenti Napoli.
Al momento dell’occupazione dell’ex Manifattura Tabacchi si appronta
immediatamente il cosiddetto “Media Center”, riuscendo a trasmettere subito su
Internet la cronaca di ciò che stava accadendo. «Viene creato un punto informativo,
con il collegamento a Radiolina, la radio indipendente di Officina 99 [104.90,
www.radiolina.info] e la rassegna stampa quotidiana» [Formisani 2008].
Le iniziative assumono il ruolo di testimone oculare dell’occupazione all’interno
della Manifattura, rendendo pubblico il forte atto politico intrapreso dagli occupanti
«Ogni iniziativa diventa informazione dal basso, e ogni informazione dal basso viene
divulgata e “rimbalzata” nell’etere meticolosamente, da Radiolina e dalla televisione
140
indipendente INSU^TV» [Manunza 2009]. Le trasmissioni, i reportage, le interviste,
le immagini della Manifattura inoltre, sono state usate tutte come prova schiacciante
dell’inidoneità della struttura a causa della massiccia presenza dell’amianto rilevato
in svariati sacchi stoccati illegalmente nello stabile. La grande mobilitazione
popolare, la precisa ricostruzione di tutti gli elementi contrastanti con le norme in
materia di salute ambientale, la comunicazione puntuale di tutte le azioni di protesta
sono stati solo alcuni elementi vincenti che hanno dato la possibilità a Comitati in
difesa di Gianturco di opporsi efficacemente alle scelte del Commissariato e non far
sversare le migliaia di “ecoballe” in progetto.
L’esperienza di Chiaiano con le sue pratiche comunicative si realizza subito dopo
l’esperienza proficua di Gianturco e contiene in sé le pratiche del mediattivismo non
solo in termini informativi, ma anche nella costruzione di manifestazioni e azioni di
protesta altamente simboliche e comunicative. Il caso di Chiaiano ha subito attirato
l’attenzione per la capacità dei manifestanti di comunicare in tempo reale gli
accadimenti principali, come nel caso delle immagini delle prime famose cariche
della polizia immesse quasi istantaneamente nella rete e sui maggiori broadcast come
“YouTube”. Sabina Morandi, in un articolo su “Liberazione”, descrive così la
specificità dell’evento in cui attraverso la rete si è riuscito finalmente a vedere quello
che accaduto senza nessun filtro o taglio censore. «YouTube, avete presente? Il
regno del narcisismo e del gossip, a sentire i nostri quotati giornalisti. Per evitare di
perdersi nei meandri di internet meglio scrivere “scontri Chiaiano”, semplice
semplice. Qualche secondo ed ecco apparire non solo una fila interminabile di
immagini che altrove non avevamo mai visto, e non solo la testimonianza, con tanto
di sonoro, di quelli che tutto sono stati meno che scontri – a meno che con questa
parola non s’intenda lo scontrarsi dei manganelli sulle mani nude, aperte, il più delle
volte alzate»180. Quell’evento è l’inizio di una proficua pubblicazione di documenti e
dati che tuttora i cittadini aggiornano quasi quotidianamente. «Nell’arco di poche
ore, in rete, viene confezionato una sorta di telegiornale a più voci sull’argomento
più censurato del giorno, e viene offerto a spettatori che sanno perfettamente che
quelle sono voci parziali. E questo vogliono: punti di vista soggettivi, non filtrati, per
180Morandi S., “Palma d’oro a Chiaiano il film denuncia collettivo su YouTube”, martedì 27 maggio 2008, «Liberazione» pag. 3.
141
cercare di ricostruire una realtà che si sa complessa e tragica, e per la quale non
bastano le solite menzogne» [ibidem].
Proprio dopo quelle cariche nel presidio di Chiaiano nasce l’esigenza di riuscire a
riportare le testimonianze degli abitanti sulla vita tra i blocchi stradali e le analisi
degli scienziati, professori schierati al fianco della popolazione per supportare
analiticamente le motivazioni della protesta. Nel periodo tra maggio e giugno i
militanti dei collettivi mediatici di “Officina99” e quelli del “Lab. Occupato
Insurgençia” danno inizio ad una proficua collaborazione nel presidio che ha portato
alla costruzione del sito chiaianodiscarica.it con la messa in onda di tutto il materiale
raccolto sia dalla rete che prodotto nel presidio tramite interviste e reportage. La
piattaforma video è anche una delle più avanzate perché è interattiva e permette di
selezionare i video organizzati per tema, direttamente dalla schermata di
visualizzazione: insomma una vera e propria tv on-demand. Il sito, con il passare del
tempo, si è strutturato ed adesso è frequentatissimo giornalmente da molti visitatori e
dagli stessi membri del comitato che lo aggiornano continuamente.
Un’altra peculiarità delle pratiche comunicative del comitato di Chiaiano consiste
nell’organizzazione di forme di protesta particolari al di fuori delle manifestazioni
classiche, che si rifanno anche a modalità nord-europee come il “soft-walking”.
Questa pratica è stata usata più volte dal comitato di Chiaiano per eludere le misure
restrittive del governo riguardo le proteste contro le discariche diventate per la
Campania siti di interesse strategico nazionale e dunque militarizzate. La tecnica che
consiste nel congestionare principalmente il traffico automobilistico è stato effettuato
sia in macchina che a piedi. La prima volta il soft-walking viene usato dal comitato
sul raccordo autostradale, con l’ausilio di più di una centinaia di macchine,
simulando il traffico che lo stesso numero di camion provocherebbe a Chiaiano nello
sversare i rifiuti di tutta l’area di Napoli. La seconda volta invece vengono provocati
ingorghi nei pressi del porto di Napoli attraverso un ripetuto e continuo
attraversamento pedonale dei manifestanti sulle strisce pedonali o in incroci di
particolare rilevanza.
Ultimo, ma non per importanza, sono le manifestazioni altamente simboliche
delle “donne in lutto” di Chiaiano che protestano contro la devastazione ambientale.
Questo gruppo effettua marce di cordoglio per la morte del territorio martoriato dalle
142
nocività e ha creato non pochi problemi al traffico cittadino e veicolare in occasioni
di protesta contro le decisioni del Governo riguardo l’emergenza rifiuti usando la
tecnica del soft-walking.
Le pratiche di comunicazione si sono nel tempo anche diversificate con eventi di
comunicazione scientifica o di denuncia come grandi raduni di piazza con ospiti
illustri ed intellettuali solidali. Infine, denunce video come nel caso di Gianturco
sono state usate per denunciare le irregolarità all’interno della cava in allestimento e
per segnalare alle autorità competenti la presenza anche qui di amianto stoccato
illegalmente in precedenza. Periodicamente inoltre gli avvistamenti di trasporto di
materiale tossico da parte di camion sospetti vengono descritti sul sito con tanto di
foto dimostrative.
È dunque attribuibile all’informazione e alle pratiche comunicative un ruolo
importantissimo per le opposizioni locali attuali che, attraverso internet, siti
autoprodotti e reportage d’assalto, denunciano e mettono alle strette politici
conniventi e aziende criminose, informano la gente e la rendono meno vulnerabile
alla propaganda mediatica delle grandi lobby interessante a mettere mani nel
business dei rifiuti. Come titola il sito di Chiaianodiscarica.it “la disinformazione
nuoce gravemente alla salute” ed è proprio con l’informazione capillare e reticolare
tra le persone che le comunità possono resistere all’assalto dei grandi agglomerati
economici e proporre nuove strategie di uscita dall’emergenza attraverso pratiche
virtuose, coinvolgendo nella visione di questo progetto migliaia di persone senza
passare dal filtro dei grandi media. «Una volta il vice-presidente Cheney disse che
per i governanti internet era un problema. Il bello è che non sono ancora riusciti a
risolverlo» [Morandi 2009].
3.3 Resistere allo “shock” dei rifiuti: la costruzione di un network di resistenze
locali, il ruolo di “Rete Campana Salute e Ambiente” verso l’obiettivo «Rifiuti
Zero».
Le due campagne di opposizione allo stoccaggio dei rifiuti nell’area napoletana
descritte in questa sede non possono essere analizzate fino in fondo se non le si
143
colloca all’interno del contesto più ampio di tutte le opposizioni locali accumulatesi
in dieci e più anni di lotte alla gestione dei rifiuti in Campania. L’efficacia
comunicativa e la persistenza nel tempo di alcuni comitati denotano una grande
varietà di argomentazione da parte di questi ultimi, impegnati in un aggiornamento
continuo di notizie da tutta la regione e oltre ed in una sistematizzazione di tutte le
informazioni accumulate sui protagonisti coinvolti nell’ “infinita emergenza”. In
questo paragrafo si ripercorrerà la nascita di uno dei network che ha dato slancio e
vitalità alle proteste in Campania, in particolar modo di quella rete che nei due casi
sopra riportati è riuscita a mettere in relazione i comitati di quartiere con i centri
sociali cittadini, con le aree più politicizzate, attraverso un approccio di tipo
orizzontale e “popolare”, cioè interagendo sul territorio con la cittadinanza,
riportando informazioni utili nei presidi per cominciare la lotta, rafforzando la
convinzione di un uscita “dal basso dell’emergenza rifiuti”, praticando le
autogestioni nei presidi.
Come nota Antonio Musella, portavoce del Lab. Occupato Insurgençia, le prime
lotte che sono collocabili nel 2001 sono gli albori della nascita di tutte le
organizzazioni che attualmente si interessano dei rifiuti in Campania. «Le forme
dell’organizzazione delle lotte in difesa della salute e dell’ambiente in Campania
hanno una storia più lunga di quella che può sembrare. Già tra il 2001 ed il 2002 si
formano i primi gruppi informali ed i primi comitati, a cominciare da coloro che si
mobilitarono contro la costruzione del mega-inceneritore di Acerra»181. Nel 2004,
con le lotte scoppiate proprio all’apertura del cantiere per la costruzione
dell’inceneritore di Acerra, secondo Musella si manifesta palesemente il movimento
in difesa della salute e dell’ambiente. In quella giornata i manifestanti, tra cui anche
sindaci, si scontrarono per 5 ore con la polizia che represse duramente le rivolte. È
subito dopo quel famoso evento che l’azione dei movimenti sociali territoriali e dei
neo-comitati diventa un fronte popolare comune sul quale lavorare ininterrottamente
per dare una soluzione diversa da quella attuale concordato con le comunità. «Negli
anni successivi intorno alla questione Acerra comincia un lavoro lento e costante di
formazione, controinformazione e costruzione di un piano di rifiuti alternativo»
[ibidem]. La nota che si trova sul sito di riferimento esplicita chiaramente le 181 Musella A., 2008. “Mi rifiuto!, le lotte per la salute e l’ambiente in Campania”, Sensibili alle foglie
144
prospettive di questa rete: «siamo un insieme di comitati, realtà di base ed attivisti
della Campania che in autonomia da partiti e sindacati confederali lottano per un
altro piano dei rifiuti concordato, partecipato e controllato dalle comunità»182. Chi
aderiva a questa rete per molti anni ha lavorato in sordina nei comitati, nei presidi,
nella manifestazioni di dissenso non organizzate, acquisendo informazioni sulla
vicenda del territorio e restituendo alla popolazione informazioni necessarie
sull’allora poco conosciuto problema. Con queste pratiche di sensibilizzazione e di
messa a conoscenza sui fatti si tentavano le prime opposizioni allo sversamento
indiscriminato dei rifiuti, si denunciavano i soprusi e gli illeciti ambientali perpetrati
sul territorio attraverso i media. Il lavoro della rete si caratterizza per un approccio
popolare, politico (nel senso di attribuzione delle responsabilità agli enti coinvolti),
ma non partitico; solitamente si esplicava e tuttora si esplica nella costruzione di reti
solidali e amicali nei presidi situati inizialmente nei paesi di provincia per prima
colpiti dall’accumulo sconsiderato delle poco ecologiche balle di rifiuti campani. «La
Rete Campana Salute Ambiente [che] nasce nel 2003 dalle mobilitazioni popolari di
Acerra contro la costruzione del Termovalorizzatore più grande e nocivo d’Europa
(…) propone di collegare la mobilitazione di Acerra con le resistenze che nel
frattempo nascono in Campania per la chiusura delle discariche non a norma che
negli anni hanno inghiottito tonnellate di rifiuti illegali, tossici come tal quale
localizzate a Pianura, Giugliano, Campagna, Serre, Difesa Grande, Lo Uttaro ed in
tutte le province della Campania» [ibidem].
Ma nel 2007, con l’aumentare della crisi nella città di Napoli fino ad allora poco
colpita dall’accumulo dei rifiuti, avviene il decisivo balzo in avanti nella lotta sia
dello strumento “rete”, sia per quanto riguarda la partecipazione dei militanti. Le
contraddizioni della gestione commissariale sono oramai evidenti e la rete comincia
ad allargarsi velocemente data anche la crisi insostenibile nelle periferie e in
provincia. Da quel momento in poi, «la Rete non è più uno strumento di
sensibilizzazione come lo era stato dai giorni di Acerra in poi, ma diventa uno
strumento di lotta. I comitati nascono spontaneamente o per l’intraprendenza di
piccoli gruppi di individualità legate anche solo emotivamente ed in termini di
opinione al ciclo delle lotte del movimento no global» [Musella 2008].
182Rete Campana Salute e ambiente 2008, “Chi siamo”, su www.rifiutizerocampania.org
145
La Rete comincia ad essere un network in cui i comitati, quasi tutti i paesi di
provincia, si confrontano, discutono e decidono strategie comuni nel tentativo di
costruire un soggetto che ne rappresenti le ragioni. La consapevolezza però è quella
di approntare una resistenza popolare alle scelte del commissariato e nel frattempo
promuovere un nuovo piano rifiuti. «E’ intorno a questa scommessa/necessità che
crescerà la Rete Campana Salute Ambiente costruendo iniziative locali, regionali e
nazionali di mobilitazione, informazione, mettendo insieme resistenza e proposta
alternativa. Cortei, presidi, azioni di lotta che cercheranno di porre l’accento sulle
responsabilità politiche e sulle alternative necessarie. Sfida nella quale oggi siamo
più che mai impegnati» [Rete Campana 2008].
Questo approccio dal basso, autonomo rispetto ai partiti, di carattere oppositivo
rispetto alle promesse fatte dai governi che si susseguivano, è stato in molti casi
derubricato come un’interferenza delle contrattazioni degli enti con le comunità,
come opposizioni locali “Nimby” o di gruppi facinorosi ciechi rispetto alla situazione
emergenziale e sorde alle proposte delle istituzioni. Ma la risposta forse è da
ricondurre nella ricerca di autonomia di giudizio e valutazione delle politiche
territoriali in atto, nella prospettiva di risaldare le comunità intorno alle proprie
esigenze, spingendo al protagonismo popolare. «Le lotte in Campania non sono mai
state Nimby. Forse proprio perché tutto cominciò contro la costruzione
dell’inceneritore di Acerra, e dunque bisognava ragionare necessariamente di un altro
piano rifiuti che non prevedesse l’incenerimento. La Rete Campana Salute e
Ambiente ha avuto un ruolo decisivo in questo, dal punto di vista della formazione
verso i nuovi comitati per la costruzione di un nuovo piano, dal punto di vista
dell’apporto scientifico e tecnico, e soprattutto dal ruolo importantissimo di collante
della comunità. La fitta rete di relazioni costruite, proprie appunto di un metodo
d’organizzazione rizomatico, permetteva alle comunità di conoscersi confrontarsi e
ragionare insieme» [Musella 2008]. La consapevolezza e l’intransigenza che si
sviluppava era dovuta anche dal fatto della tragica situazione ambientale in cui la
Campania si ritrovava, dove anche la più sicura delle discariche è diventata
sversatoio di rifiuti tossici, aumentando nelle comunità la percezione di essere
rimaste sole ed inermi di fronte al “mostro dei veleni”. L’unica soluzione rimane
dunque quella di approntare nel modo più virtuoso e salubre un nuovo piano rifiuti.
146
«Se la resistenza locale delle comunità, nella maggior parte dei casi lasciate sole a se
stesse dalla politica ufficiale tranne che nel momento di chiudere mediazioni al
ribasso, rappresenta il concreto ostacolo ai disegni degli avvelenatori, la connessione
di queste resistenze sul piano regionale e nazionale diventa la principale necessità per
andare oltre l’ambito locale è vincere davvero la battaglia. Per questo l’obbiettivo di
un nuovo piano regionale partecipato rispettoso dei territori, della salute e
dell’ambiente è il salto di qualità politico che unifica le mobilitazioni contro la logica
di piano del potere» [Rete Campana]. La proposta della Rete campana sin da subito
è stata la “riscrittura partecipata” dalle popolazioni del Piano di smaltimento e nel
caso Campano il rientro ai poteri ordinari ed un adeguato controllo dal basso, che
coinvolga e responsabilizzi direttamente le comunità rappresentano l’inizio e la fine
di un buon processo e di una civile gestione dei rifiuti.
La Rete in questo senso rappresentava un meccanismo di raccordo che provava,
attraverso questa prospettiva, a costruire un modo unico di vedere il piano rifiuti dal
Nord al Sud della Campania.
La Rete e i comitati alla fine dell’estate decidono di lanciare una manifestazione
nazionale per il mese di ottobre, e fanno appello di solidarietà e partecipazione al
“Patto di Mutuo Soccorso”183. La Rete Campana Salute e Ambiente entra a far parte
di questo patto di Mutuo Soccorso conoscendo le storiche località in lotta,
183 Nella nota di presentazione sul sito si specificano gli intenti di questi incontri tra le comunità resistenti: «il Patto Nazionale di Solidarietà e Mutuo Soccorso è uno strumento al servizio di chi nel nostro paese lotta per la difesa del proprio territorio, contro le grandi opere inutili e contro lo scempio delle risorse ambientali ed economiche. E’ una cornice entro cui si ritrovano le diverse realtà che aderiscono al Patto per mettere in relazione le esperienze e le lotte, ma non è una sede decisionale: è piuttosto un contenitore per valorizzare queste esperienze, per non disperderle e per farne patrimonio comune; è un sostegno per dare loro maggior visibilità e in questo modo rafforzarle e aiutarle a crescere; è un supporto per una memoria collettiva che non vuole dimenticare i risultati acquisiti e intende ripartire dalle sconfitte subite; è una sede in cui praticare la solidarietà e l’aiuto reciproco. Nel suo ambito nascono e circolano proposte condivise, ma non è una sede di elaborazione e definizione di strategie in cui gli aderenti sono tenuti a riconoscersi. Il Patto Nazionale di Solidarietà e Mutuo Soccorso non è certo un tentativo per infiltrarsi di soppiatto nella politica di palazzo nè intende farsi ospitare nei palazzi della politica; non ha governi amici a cui guardare con fiducia; non ha partiti a cui consegnare deleghe in bianco e non intende certo percorrere una strada che lo porti a diventare esso stesso partito. Non per questo rifugge dalla politica e dal confronto, e sa distinguere chi opera con trasparenza da chi tenta di imbrigliare le lotte. Il modello che propone è al tempo stesso l’unico metodo che è disponibile ad accettare: quello della partecipazione attiva dei cittadini. Questo sito web è soltanto uno strumento al servizio del Patto: una scatola da riempire con il contributo di tutte le realtà che vi aderiscono. E’ una scatola di scarpe che contiene questo lungo stivale che va dalla Valle d’Aosta alla Sicilia e dal Friuli alla Sardegna: uno stivale che vogliamo conservare nelle migliori condizioni possibili, e vogliamo difendere da chi fa di tutto per rovinarlo. Sarà dura, ma ce la faremo». Patto Mutuo Soccorso 2008, “Chi siamo” su www.pattomutuosoccorso.org
147
attraversando per esempio le assemblee di Venaus in Val di Susa contro la TAV nel
luglio 2007 e quelle di Vicenza contro la base Dal Molin nel settembre del 2007.
L’entrata nel patto di mutuo soccorso consente alla rete di dare risalto nazionale alle
comunità resistenti campane contro il piano rifiuti, contro il commissario
straordinario e per la raccolta differenziata e la conversione degli impianti CDR in
trattamento meccanico biologico. Nel comunicato di presentazione la Rete Campana
Salute e Ambiente sintetizza così: «La Rete Campana Salute Ambiente aderisce al
patto di Mutuo Soccorso nazionale e si batte per la partecipazione ai processi
decisionali, la difesa della salute, dell’ambiente e dei beni comuni. Per tali motivi fa
della critica complessiva all’attuale modello di sviluppo il suo carattere strategico
generale» [Rete Campana].
Inizialmente, un’opposizione così radicale ai piani di incenerimento dei rifiuti è
stata considerata irrealistica, ma con il trascorrere degli anni, con l’accumulo di
informazioni e la tessitura di relazioni con esperti del settore, questa possibilità si è
palesata come un sistema alternativo già preso in considerazione in altre parti del
mondo. «Anche le cosiddette “strutture organizzate” del movimento non hanno
creduto sin dall’inizio nella Rete.(…) La raccolta differenziata “porta a porta” ed il
trattamento a freddo dei rifiuti con il metodo meccanico biologico e dunque senza
l’utilizzo dei bruciatori. È il frutto in sintesi della proposta politica alternativa che la
Rete Campana Salute e Ambiente costruisce con l’apporto degli scienziati e
ricercatori che orbitano intorno alla Rete Nazionale Rifiuti zero» [Musella 2008]. La
stessa rete che promuove la riduzione a monte dei rifiuti ed una completa filiera del
riciclaggio per arrivare appunto ad azzerarli e non aver più bisogno degli impianti di
incenerimento. «E’ una strategia di gestione dei rifiuti radicalmente opposta all’
attuale incentrata, anche in violazione delle norme europee sulla devastante coppia
inceneritori/megadiscariche. Rifiuti Zero punta alla loro riduzione, riuso, recupero e
riciclo dei materiali post consumo mirando a zero rifiuti nel 2020. La strategia (…)
permette il più alto bilancio energetico ( e quindi il più alto risparmio in rapporto a
tutti gli altri sistemi (inceneritori, rigassifficatori, dissociatori molecolari)»184 [Rete
184 «E’ una modalità strategica di gestione dei rifiuti già adottata in diversi posti del mondo come a Fresno (California), S.Francisco, San Jose (capoluogo popolosissimo della “mitica” silicon valley), Sidney, Oakland, Palo Alto, Tel Aviv, Santa Cruz, Sacramento,Los Angeles, Nuova Zelanda, Seattle, Buenos Aires ed applicato di fatto in tantissime altre città.
148
Campana]. Le prospettive della Rete, insieme agli altri movimenti campani aderenti
alla piattaforma Rifiuti Zero, sono divenute pertanto un collegamento con le altre
realtà in lotta contro l’incenerimento dei rifiuti e delle altre grandi opere accusate di
produrre nocività sul territorio a scapito della salute dei cittadini. La Rete Campana
Salute e Ambiente sintetizza così il suo operato in questi anni sul territorio regionale:
«Resistiamo nei differenti territori della Campania alla devastazione ambientale e
territoriale provocata in 14 anni dal centrosinistra e dal centrodestra che in complicità
con camorra, ecomafie e lobbie industriali hanno ridotto la Regione ad una discarica
cielo aperto riempiendola di rifiuti tossici ed immondizia tal quale. Lottiamo per un
piano rifiuti compatibile con la salute collettiva senza inceneritori e megadiscariche
incentrato sulla strategia “ZERO RIFIUTI” e siamo parte di una rete nazionale ed
internazionale che si batte per gli stessi obbiettivi contro la potente lobbie
inceneritorista che va dalle multinazionali Veolia/Vivendi alle italiane Impregilo,
HERA, ASM, A2A» [Rete Campana].
Secondo Gianni Piazza, la tendenza delle comunità in lotta a voler generalizzare
gli obiettivi delle proteste locali deriva dall’ambizione a veder realizzato un altro
modello di pianificazione territoriale e di sviluppo economico e sociale. Queste
opposizioni trascendono il carattere localistico e diventano conflitti “transterritoriali”
che permettono di connettere le diverse opposizioni e le diverse popolazioni presenti
nei luoghi. «Le mobilitazioni territoriali contro la Tav in Val di Susa, il Ponte sullo
Stretto di Messina, il Mose a Venezia, l’allargamento della base Usa Dal Molin a
Vicenza e, da ultimo, quella contro le discariche e gli inceneritori in Campania, In particolare la strategia prevede: 1) il recupero dei materiali “post consumo” attraverso l’allungamento del ciclo di vita delle merci (sia in fase di progettazione che di uso mediante il riutilizzo. 2) La messa al bando della plastica monouso e la riduzione degli imballaggi inutili a monte. 3) La raccolta differenziata porta a porta che rende possibile percentuali di recupero vicine all’80 %. Con il raggiungimento di queste percentuali così come avviene in migliaia di città nel mondo, che fanno a meno di inceneritori e discariche, il problema “rifiuti” sarebbe per la gran parte risolto. 4) L’attivazione della filiera per il riciclo del secco da trasformare in nuova materia e dell’umido da inviare a compostaggio. 5) L’utilizzo degli impianti di TBM trattamento a freddo o meccanico/biologico, capaci di inertizzare, il residuo 20% dei rifiuti attraverso un processo del tutto naturale e paragonabile a ciò che avviene normalmente in un bosco in inverno (digestione aerobica). Questo processo permetterebbe la riduzione di peso di circa la metà ed il deposito sicuro del materiale di risulta, tra l’altro utilizzabile per la sotto pavimentazione stradale. Gli impianti di TMB a chiusura del ciclo in alternativa agli inceneritori, oltre che essere sicuri sotto il profilo ambientale e sanitario sono anche molto più economici e forse è proprio questo il vero motivo di tanto ostracismo. 6) La visibilità dei residui del ciclo è fondamentale per il fatto che attraverso di essi è possibile affrontare a monte il problema in termini di una diversa progettazione dei beni e degli stessi materiali in maniera tale da abolire a monte, dal lato della produzione i rifiuti non recuperabili». Rete Campana Salute e ambiente 2008, “Chi siamo”, su www.rifiutizerocampania.org
149
hanno infatti assunto sempre più una dimensione che va oltre quella locale,
diventando progressivamente conflitti di portata nazionale (ed in alcuni casi
sovranazionale), collegandosi in rete sia tra loro (prima i gemellaggi, poi il Patto
Nazionale di Solidarietà e Mutuo Soccorso), sia alle mobilitazioni dei movimenti
contro la guerra e per la giustizia globale. Si tratta dunque di conflitti locali
“transterritoriali” che, nel momento in cui diventano pubblici e quindi politici,
coinvolgono direttamente o indirettamente anche gli attori politici sia istituzionali
che non istituzionali»185. Una prospettiva di cambiamento della società talmente
“radicale” avviene secondo le reti delle “comunità resistenti” proprio attraverso un
processo di ricomposizione sociale e territoriale che i “conflitti progettuali”
producono tra i luoghi, opponendosi alle politiche globali di militarizzazione e
controllo del territorio e puntando invece verso una sua gestione popolare. «I conflitti
progettuali in atto definiscono nuove possibilità e nuove potenzialità e alludono alla
volontà di costituzione sia di altri quadri di vita, che di soggettività realmente
autonome capaci di trasformazione sociale verso nuove relazioni tra uomo/donna –
natura– società. (…) Occorre partire dalle potenzialità del movimento, avviare
processi diversificati di ripotenziamento e di rafforzamento dei movimenti urbani e
rurali, dei comitati popolari e delle reti, costruendo il passaggio dalle comunità
resistenti alla sovranità territoriale fondata sulla reale autonomia dei movimenti e
sulla sua difesa. Non si parte da zero. Al contrario: si parte da una straordinaria ed
estesa accumulazione di esperienze, di resistenze, di sapienze, saperi, conoscenze, di
pratiche vincenti (Accumulazione di potenza). Detto altrimenti, si tratta di opporci
con rinnovata capacità ai processi di deterritorializzazione prodotti dal Capitale
globale e contemporaneamente avviare processi collettivi di riterritorializzazione,
verso una reale autonoma sovranità territoriale che costruisca nuove forme di
socialità e metta in comune saperi, città, spazi sociali, beni ecologici e storici
fondamentali, a cominciare dai beni da collocare fuori dal mercato»186. Sta
avvenendo quindi anche in Italia quello che Naomi Klein analizza in altri luoghi del
185 Piazza G., 2008. “Le sinistre istituzionali e antagoniste nei conflitti locali “transterritoriali” in Italia” , Università di Catania, XXII Congresso SISP, Pavia, 4-6 settembre 2008. 186Collettivo Liberate gli Orsi, Assemblea ex presidio “Giulio Maccacaro” per la chiusura dell’inceneritore di Montale, 2008. “Dalle comunità resistenti alla sovranità territoriale dal basso per la messa in comune – appello per un Incontro Nazionale delle comunità resistenti, dei comitati popolari, delle reti. Due giorni di confronto, crescita collettiva, proposte operative”.
150
pianeta e cioè che la crescita della capacità della popolazione di accumulare
conoscenze riguardo gli shock economici, sociali, politici e ambientali possono
essere la base dalla quale ricomporre una nuova società minacciata ciclicamente dalle
politiche neoliberiste in atto. «Questi movimenti non vogliono ricominciare da zero,
ma dai brandelli, dalle macerie che sono tutte intorno a loro. Mentre la crociata
corporativista prosegue nel suo violento declino, alzando al massimo i livelli di
shock per penetrare la sempre maggiore resistenza che incontra, questi progetti
mostrano una nuova via tra i diversi fondamentalismi. Radicali solo nel loro senso
pratico, radicati nella comunità in cui vivono, questi uomini e queste donne si vedono
come semplici artigiani, che prendono ciò che è rotto e lo aggiustano, lo rafforzano,
rendendolo migliore e più equo. Ma soprattutto stanno accumulando resistenza: per
quando arriverà il prossimo shock» [Klein 2008].
151
Ringraziamenti
Questa tesi non avrebbe avuto luogo, se non ci fosse stato il contributo continuo dei miei parenti
più vicini e dei compagni che ho conosciuto in questi anni a Napoli. Devo i miei ringraziamenti e
le mie scuse ai miei genitori Rosa e Santi per aver affrontato in maniera del tutto “fuoritempo”
una piccola e ormai insoddisfacente laurea triennale. A loro devo l’assiduità nello studio e il
carattere pragmatico nella ricerca sui movimenti, attivandomi con mente e corpo per capire nel
profondo queste realtà in lotta. Ai miei parenti tutti, vanno i ringraziamenti per avermi “tirato giù
con i piedi per terra” nei momenti più difficili di allontanamento dallo studio e per avermi fatto
capire che cosa significa occuparsi del territorio, dei propri luoghi, della sociologia. Devo poi dei
ringraziamenti a tutti i movimenti napoletani e ai centri sociali che sono stati per me una vera e
propria scuola politica e di ragionamento. A loro devo la mia formazione riguardo la salvaguardia
del territorio dalle nocività e contro il neoliberismo in generale. I compagni che ho conosciuto in
questi anni di permanenza a Napoli mi hanno insegnato ad attivare in prima persona, ad
organizzare eventi a mettere in relazione i pezzi di puzzle forse più grandi di me. Un
ringraziamento speciale va ad Officina99, Lab. Occupato Ska, Terzo Piano Autogestito della
Facoltà di Architettura, al vecchio T.N.T., al Lab. Occupato Insurgençia e a tutti i movimenti in
difesa della salute e dell’ambiente in Campania. Un ringraziamento speciale va poi a Raffaele “il
medico”, Roberto Radice, Mauro Forte, Massimo Di Dato e Sabina Laddaga per le interessanti
iniziative in cui mi hanno sempre coinvolto. Un ringraziamento poi ai compagni di sempre con
cui “Perdere-Tempo”, Luca, Roberta e Ornella a loro carezze e schiaffi, a Pastore per le ardite
analisi, a Livio per la sua irriducibile radicalità, al Compare per l’autonomia da tutto e tutti, a
Leonardo per le “cazziate” telefoniche, a Niso per i cori molesti, al Buglione e Daniele per le
analisi lucide, ma sempre ardenti. Un ringraziamento poi a Fabietto per non aver mai ceduto alla
precarietà, a Ninetta per le ramanzine contro il mio presunto “sessismo”, ad Amalia “l’architetto”
per le lunghe chiacchierate e analisi sociologiche ed urbanistiche, a tutti i Massari e Massare del
Cilento, a Sasà e Pino per le loro rocambolesche avventure, a “Marchitiello”, Roby Hdm e Mao,
a Mariolino per le bravate, a Lisandro per le sinestesie, al famigerato Festa per le sue analisi
continue sui movimenti e all’immancabile Alfonsino. Grazie anche a Gianni mio fratello, Anna
mia sorella e mia cognata Stefania per la pazienza e le idee per le prospettive future, a Nicola
1000 watt per la politica in spiaggia e ovviamente a tutti i miei pazienti e pigri coinquilini
Giambattista, Nico e Cristian. Un ringraziamento particolare va a Vittorio che mi ha seguito nella
stesura della tesi lasciandomi alle volte anche delirare e alla prof. Zaccaria per aver accettato la
tesi nella sua interezza. Un ricordo va infine a Nina “’A Banda” la mia prima scuola di pensiero
sulla decrescita felice, a Nicola, a Giampietro, a Peppe, Damiano e Giovanni Persico. È anche per
loro che si continua a resistere in questo Sud Italia.
152
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