Progetto dottorato vite -...

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1 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SIENA SCUOLA DI DOTTORATO DI RICERCA “ RICCARDO FRANCOVICH” SEZIONE DI ARCHEOLOGIA MEDIEVALE PROGETTO DI RICERCA Candidato: Anna Maria Grasso La viticoltura come indicatore paleoeconomico, paleoambientale e paleoclimatico applicato allo studio dei contesti archeologici medievali INDICE 1- Introduzione 2- La viticoltura nel medioevo 2.1- Fonti documentarie e sintesi storica 2.2- Fonti archeologiche: rinvenimenti di vinaccioli di Vitis vinifera L. 2.3- Influenza del clima sulla viticoltura 3- Obiettivi di ricerca 4- Problematiche di ricerca 4.1-Determinazione sub- specifica dei vinaccioli archeologici: dalla morfometria al aDNA 4.2- Implicazioni paleoclimatiche delle caratteristiche fenologiche della vite 5- Metodologie 5.1- Analisi di profilo del vinacciolo tramite software d’analisi d’immagine e confronto con l’aDNA 5.2- Ricostruzione paleoclimatica tramite proxy data storici e glaciologici 6- I tempi della ricerca 7- Bibliografia analitica

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SIENA SCUOLA DI DOTTORATO DI RICERCA “ RICCARDO FRANCOVICH”

SEZIONE DI ARCHEOLOGIA MEDIEVALE

PROGETTO DI RICERCA Candidato: Anna Maria Grasso

La viticoltura come indicatore

paleoeconomico, paleoambientale e paleoclimatico applicato allo studio dei contesti archeologici medievali

INDICE 1- Introduzione

2- La viticoltura nel medioevo

2.1- Fonti documentarie e sintesi storica

2.2- Fonti archeologiche: rinvenimenti di vinaccioli di Vitis vinifera L. 2.3- Influenza del clima sulla viticoltura

3- Obiettivi di ricerca

4- Problematiche di ricerca 4.1-Determinazione sub- specifica dei vinaccioli archeologici: dalla

morfometria al aDNA

4.2- Implicazioni paleoclimatiche delle caratteristiche fenologiche della vite

5- Metodologie

5.1- Analisi di profilo del vinacciolo tramite software d’analisi d’immagine e

confronto con l’aDNA

5.2- Ricostruzione paleoclimatica tramite proxy data storici e glaciologici

6- I tempi della ricerca

7- Bibliografia analitica

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1- Introduzione L’approccio alla comprensione di un fenomeno di natura antropica che ha lasciato

testimonianza archeologica è stato differente nel tempo. Il semplice induttivismo o

deduttivismo hanno dimostrato tutti i limiti intrinseci nell’applicazione schematica di un

modello che in realtà deve contemplare al suo interno una variabile indipendente e

spesso non parametrizzabile che è il comportamento umano.

La conoscenza di questo termine è, per gli archeologi, possibile solo attraverso l’analisi

delle testimonianze materiali superstiti lette in associazione problematica con un

contesto che può essere ambientale o anche, nei casi più fortuiti, politico-sociale.

L’ambiente a cui ci si riferisce non è quello inteso in termini naturalistici, quanto quello

inteso nel senso economico di risorsa (ecofatto)1 . La lettura di questa informazione

all’interno di un contesto archeologico è, in parte, demandata allo studio dei resti vegetali

ivi rinvenuti. A seguito di ciò Riccardo Francovich, in occasione dell’apertura dei lavori

relativi al II Ciclo di Lezioni sulla Ricerca Applicata all’Archeologia, fissava i nuovi confini

della ricerca archeologica proprio nel fondamentale mutamento rappresentato dal

possibile riconoscimento, all’interno di uno strato, di un’informazione naturalistica e

tecnologica2. Così facendo vengono annessi nuovi soggetti d’indagine alla ricerca

archeologica, un procedimento questo che deve però comportare una “profonda

rielaborazione dei contenuti disciplinari [che consenta di ] raggiungere una migliore

definizione degli stessi processi storici implicati” 3.

La ricerca archeologica condotta sui siti d’età storica ha un ulteriore soggetto di dialogo

costituito dalla fonte scritta. Proficuo ed allo stesso tempo “conflittuale” è stato in

particolare il rapporto tra questa e l’archeologo medievista: l’archeologia medievale nasce

con l’intento di colmare il “silenzio documentario” del “popolo senza storia” (WOLF

1990),ma deve anche tenere conto del “rumore documentario” che, al contrario, è

presente per alcuni periodi e che può indurre l’archeologo verso la “tirannia del

documento scritto”4 come se questa fosse la fonte per antonomasia.

L’approccio ad ogni problematica che l’archeologia medievale di volta in volta pone

richiede quindi un dialogo costante tra dati archeologici, dati documentari e, ove

possibile, dati di campo (parafrasando Pfister, si intendono per dati di campo quelli

derivati da misurazioni scientifiche).

Uno dei temi più controversi dell’archeologia medievale è quello inerente le dinamiche insediative che sembrano seguire logiche differenti e non del tutto chiare all’interno di un

1 BUTZER 1982 2 FRANCOVICH 1990, pp. 5- 6 3 MORENO 1997, p. 89 4 CHAMPION 1990

3

panorama geografico, storico e politico estremamente eterogeneo quale è quello della

penisola italiana.

L’ottica attraverso la quale il presente Progetto vuole guardare il fenomeno è quella della

contestualizzazione ambientale degli insediamenti utilizzando come proxy data il

fenomeno della viticoltura.

Un tentativo in questa direzione è già oggetto di ricerca del Laboratorio di Archeobotanica e Paleoecologia (Dir. Scient. Prof. G. Fiorentino) del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento che, in collaborazione con il Laboratorio di Archeologia Medievale (Dir. Scient. Prof. P. Arthur) del medesimo Dipartimento, ha in

analisi i macroresti vegetali, attestanti la pratica della viticoltura, dell’insediamento

bizantino di Supersano (LE)5.

2- La viticoltura nel medioevo 2.1- Fonti documentarie e sintesi storica Numerose sono le fonti che descrivono i vari aspetti coinvolti nella produzione e

consumo dell’uva e del vino, ed altrettanto alta e proficua è stata l’attenzione che gli

storici medievisti le hanno riservato. Inizialmente essa costituiva uno degli aspetti

indagati da storici dell’agricoltura quali Emilio Sereni, Giorgio Giorgetti, Elio Conti e poi

Vito Fumagalli, Giovanni Cherubini, Raffaele Licinio, Massimo Montanari, Alfio Cortonesi,

Bruno Andreolli, ecc. . Recentemente la storia della vite e del vino ha assunto interesse

a sé stante: aspetti economici, politici, sociali, materiali e mentali sono stati approfonditi.

“Il Medioevo nel bicchiere” di Antonio Ivan Pini (1990) costituisce una prima sintesi di

queste ricerche svolte anteriormente agli anni Novanta, a cui faranno seguito “ Dalla vite

al vino. Fonti e problemi della vitivinicoltura italiana medievale” di Jean Louis Gaulin e

Allen J. Grieco (1994), il “Tempus vindemie” di Gabriele Archetti (1998), gli Atti del

Convegno Internazionale “La vite e il vino. Storia e diritto (secoli XI- XIX)” (2000) ed

ancora gli Atti del Convegno “La civiltà del vino. Fonti, temi e produzioni vitivinicole dal

Medioevo al Novecento” (2003).

Dalla lettura di questi saggi emerge il ruolo di primo piano che avrebbero avuto gli enti

ecclesiastici, con le loro sedi dislocate sul territorio, nel mantenimento e la propagazione

di questa coltura durante l’Alto Medioevo. Il bisogno di vino era costante per gli obblighi

della celebrazione eucaristica, ma anche per il sostentamento dei religiosi (la regola di

San Benedetto, ad esempio, ne consentiva un uso moderato), degli operai e dei

pellegrini di passaggio nei monasteri.

5 ARTHUR & MELISSANO 2004;

4

La coltivazione della vite era difesa e apprezzata anche dai regnanti: Rotari, nel suo

Editto del 650, punisce chi ne ruba più di tre grappoli, Carlo Magno, nel Capitulare de

Villis, gli dedica vari articoli.

Emilio Sereni è però tra i pochi storici che si spinge oltre, nel tentativo di delinearne

anche le modalità di coltura ed arrivando ad affermare che nell’Alto Medioevo la vite era

coltivata in appezzamenti necessariamente chiusi (difesi quindi da tentativi di furto e dal

pascolo delle greggi) in “filari di viti basse in coltura specializzata”6 . Ma le prove che egli

porta per suffragare la sua tesi sono testimonianze iconografiche bassomedievali.

Quanto accadde invece nell’età successiva (Basso Medioevo), e soprattutto a partire dal

XIII secolo può ritenersi abbastanza chiaro: le fonti letterarie (“Ruralium Commodorum

libri duodecim” di Piero de’ Crescenzi ,1303, “De naturali vinorum historia” di Andrea

Bacci, 1596, “Tractatus de vinea, vindemia et vino” di Prospero Rendella , 1629), quelle

iconografiche (dai testi miniati alle vetrate delle grandi cattedrali europee, ai Lavori dei

mesi dei calendari medievali) (Figg.1-2), quelle d’archivio in senso lato, hanno contribuito

a creare un quadro più chiaro, seppur frammentario, dei vari aspetti necessari e connessi

alla produzione di uva e vino.

La sintesi di questi aspetti può essere facilmente desunta dalla lettura dei saggi citati, nei

quali si spazia dai lavori necessari per l’impianto ed il mantenimento della vigna, alla

tipologia di coltura (promiscua o specializzata), al tipo di impianto (viti maritate, a

alberello, a palo secco ecc.), ai tempi e le modalità di vendemmia, alla

commercializzazione del prodotto finale.

La coltivazione e/o la raccolta delle bacche di Vitis vinifera L. (vite) e il conseguente

consumo come uva fresca, passa o come derivato nella confezione dell’agresto ( un

condimento che si otteneva aggiungendo sale al succo dell’uva acerba) e del vino,

costituivano quindi una risorsa alimentare e dunque economica di primaria importanza .

A questa facevano seguito la valenza simbolica attribuita al vino dal rito cristiano che lo

rendeva indispensabile nella celebrazione della Mensa Eucaristica, e la dimensione

pubblica e conviviale nella quale si inseriva il suo consumo.

Così durante tutto il Medioevo la coltivazione della vite ha goduto del favore dei

governanti, della Chiesa e del popolo, da qui la sua capillare diffusione che la rende un

potenziale termine di confronto per comprendere le dinamiche storico- politiche ed

economiche di sfruttamento del territorio e di commercializzazione del prodotto finale.

6 SERENI 1972, pp. 95- 97

5

Fig. 1- Ciclo dei Mesi che si trova nella Torre Aquila Fig. 2- Theatrum sanitatis, tav. XX

del Castello del Buonconsiglio di Trento, Ottobre.

2.2- Fonti archeologiche: rinvenimenti di vinaccioli di Vitis vinifera L. Le attestazioni archeologiche della pratiche connesse alla viticoltura generalmente sono

cancellate dalla continua rifunzionalizzazione del territorio. Le tracce che, quantomeno,

possono attestare il consumo di uva e solo indirettamente la sua coltivazione sono

leggibili, ma a patto che le strategie di intervento sul cantiere abbiano previsto il

campionamento di sedimento degli strati archeologici.

Da una prima analisi dei contesti archeologici medievali ( nei i quali è stato richiesto

l’intervento archeobotanico) emerge che il consumo di uva appare diffuso

diacronicamente e sincronicamente sul territorio della penisola italiana, ma oltre al dato di

presenza (che ben si accorda con quanto noto sulla diffusione di questa specie nel

territorio) gli archeologi individuano poco o null’altro. Le tracce archeologiche della

catena produttiva che porta questo bene dai campi alle tavole sembrano scomparse .

L’unico elemento probante e diffuso capillarmente è il rinvenimento del seme

(vinacciolo) (Fig.3) , o di pochi altri resti della bacca o del legno. Da qui la necessità di

esplicare il potenziale informativo di questa tipologia di macroresti vegetali.

Poiché l’unica specie Vitis vinifera L. presente nella nostra flora può presentarsi nella

forma spontanea come elemento della flora locale (Vitis vinifera L. subsp. sylvestris

Hegi), coltivata (Vitis vinifera L. subsp. vinifera), subspontanea (cioè nata da semi di vite

coltivata che può dare origine a forme selvatiche) o infine post- colturale (rinselvatichita

per abbandono), ne consegue che il riconoscimento dell’appartenenza del vinacciolo ad

6

una di queste forme porta con sé una serie di considerazioni. In primo luogo se il seme di

Vitis rinvenuto archeologicamente appartiene ad una forma selvatica è probabile che il

consumo di uva fosse irregolare e legato alla raccolta di frutti spontanei, inquadrabile

quindi in una società nella quale prevaleva l’uso delle risorse disponibili nella catchment

area. Al contrario se esso appartiene ad una forma coltivata è indice di modalità razionali

di sfruttamento agricolo del territorio. Le forme subspontanee o subcolturali potrebbero

invece delineare fasi di decadenza o abbandono dell’insediamento.

Per chiarire i rapporti tra siti potrebbe essere utile arrivare ad un migliore livello di

risoluzione tassonomica. Il riconoscimento della varietà a cui appartiene il vinacciolo

archeologico può indicarne infatti l’appartenenza a cultivar autoctoni oppure importati.

Fig. 3- Vinacciolo di Vitis vinifera L. in norma rispettivamente dorsale, ventrale e laterale, rinvenuto a Supersano (LE) (Foto archivio autore)

2.3- Influenza del clima sulla viticoltura La famiglia delle Vitaceae comprende numerosi generi (17) , ma l’unico ad avere avuto

nel tempo un rilevante ruolo economico, sociale, culturale e cultuale è il genere Vitis. A

tale genere appartengono circa 120 specie inter- fertili, la metà delle quali diffuse

esclusivamente nell’Emisfero Settentrionale7 . L’areale di diffusione della Vitis è

determinato dalla latitudine, poiché condizione essenziale per la sua crescita sono la

radiazione solare globale e la durata del giorno solare. Infatti la vite è una pianta eliofila

che per fruttificare necessita di molte ore di luce al giorno. Le regioni europee che

garantiscono tale requisito minimo sono comprese nell’area delimitata a nord da 47° 15’

di latitudine (presso le foci della Loira nell’Atlantico, Francia), per risalire andando verso

oriente a 50° nella regione renana (Germania), arrivando ad un massimo di 52° 30’

7 THIS et al. 2004

7

presso Posen (Polonia) e ridiscendendo a 48° in Moldavia. Il limite meridionale è invece

segnato dall’area mediterranea8 (Fig.4).

Le aree vitate della penisola italiana sono quindi numerose, ma la loro distribuzione è, in

questo caso, strettamente dipendente dalle fasce altimetriche territoriali. L’Italia, infatti,

rientra sì tra le regioni a clima temperato, ma la particolare conformazione orografica del

territorio determina la compresenza di più fasce climatiche. Dunque, per l’Italia, l’areale di

diffusione della vite in età preindustriale, coincide con gli ambienti costieri e sub-collinari

(0- 800 m)9 (PIGNATTI 1982).

Le precise caratteristiche ecologiche della vite hanno fatto sì che l’estensione degli areali

di diffusione variasse nel corso del tempo, in conseguenza delle fluttuazioni climatiche

succedutesi. Durante le fasi più fredde (come abbiamo avuto modo di vedere, temute da

questa specie) essa ha continuato a resistere solo nelle regioni meridionali della penisola

iberica, italiana e balcanica10 .

Durante l’ età medievale e la prima età moderna si sono verificate proprio una serie di

queste variazioni climatiche a elevata frequenza, due delle quali si sono imposte per

l’ampiezza e la durata delle variazioni termiche riscontrate. La prima tra queste è nota

come “Medieval Warm Epoch”11 e definisce una fase di contrazione dei ghiacciai

verificatasi tra il 900 ed il 1300 d.C., la seconda è nota come “Little Ice Age” 12 e

definisce, al contrario, una fase di espansione dei ghiacciai verificatasi tra il 1550 ed il

1850 d. C..

Le recenti ricostruzioni climatiche che individuano il MWP e la LIA 13 si basano soprattutto

sulla gestione di dati indiretti (proxy data) di origine glaciologica, geologica o biologica,

partendo dal presupposto teorico e pratico di una variazione nella composizione dei

sedimenti terrestri e marini che avverrebbe a seguito di variazioni degli eventi

atmosferisci.

Uno dei primi e più efficaci tentativi di utilizzare come proxy data dei dati storici è stato

invece effettuato da Le Roi Ladurie (1972) il quale, sapendo che il ciclo fenologico della

vite è direttamente influenzato dalle condizioni climatiche, ha ricostruito le oscillazioni

termiche dei territori d’oltralpe attraverso i dati sul periodo e la qualità della vendemmia.

Un tentativo in questa direzione non è stato ancora effettuato per il territorio della

penisola italiana,eppure il potenziale dell’indagine potrebbe risultare assai interessante.

Lopez, in La nascita dell’Europa 14 scriveva infatti: “ E’ assai probabile che lo studio del

clima possa aiutarci a capire la apparente simultaneità delle principali fluttuazioni

8 EYNARD & DALMASSO 1990

9 PIGNATTI 1982 10 BENNET at al. 1991; TABERLET & CHEDDADI 2002 11 LAMB 1965 12 MATTHES 1939 13 JONES & MANN 2004; MOBERG et al. 2005; MATTHEWS & BRIFFA 2005; OSBORNE & BRIFFA 2006 14 LOPEZ 1966, p. 35

8

demografiche ed economiche a lungo termine estese da un capo all’altro dell’Eurasia

civilizzata”.

Fig.4- Limite della coltivazione di Vitis vinifera L. in Europa (da EYNARD & DALMASSO 1990, modificato)

3- Obiettivi di ricerca L’obiettivo che si propone di raggiungere attraverso il presente progetto di ricerca è

quello di fornire un ulteriore elemento di confronto e dialogo nella comprensione delle

dinamiche insediative medievali. Nello specifico se ne vuole proporre la

contestualizzazione climatica, ambientale ed economica attraverso lo studio delle

dinamiche connesse alla pratica della viticoltura.

Tale macro- obiettivo richiede il raggiungimento di due sotto-obiettivi, che sono i

seguenti:

• L’individuazione di parametri morfometrici e morfologici diagnostici che

consentano la determinazione sub-specifica e varietale dei semi di Vitis

vinifera L. rinvenuti nei contesti archeologici.

• L’individuazione di una corretta metodologia che consenta di ipotizzare l’entità

delle oscillazioni climatiche verificatesi durante il medioevo utilizzando come

proxy data le caratteristiche fenologiche di Vitis vinifera L. .

9

4- Problematiche di ricerca 4.1- Determinazione sub- specifica dei vinaccioli archeologici: dalla

morfometria al aDNA

Il riconoscimento di vinaccioli appartenenti a Vitis vinifera L. ssp. sylvestris (vite selvatica)

ed alla subspecie vinifera (vite coltivata) si basa sul presupposto morfometrico in base al

quale il primo ha dimensioni ridotte, corpo tendente al globulare e becco tozzo, il secondo

al contrario ha dimensioni totali maggiori, corpo piriforme ed il becco allungato (Fig.5).

Questi criteri sono stati il presupposto per la creazione di alcuni indici che

consentirebbero di parametrizzare la distinzione tra le due subspecie.

Fig. 4- Morfologia e nomenclatura del vinacciolo (da DI VORA & CASTELLETTI 1995).

L’Indice di Stummer (1911) mette in rapporto diretto la larghezza totale del vinacciolo

con la sua altezza totale, un risultato compreso tra 0,44 e 0,53 indicherebbe che il

vinacciolo appartiene ad una forma selvatica, al contrario un valore compreso tra 0,76 e

0,83 indicherebbe che è coltivata. Tale Indice è spesso utilizzato ma con risultati

discutibili, esso infatti è stato calcolato a seguito delle misurazioni effettuate su vitigni

coltivati e selvatici austriaci. Dunque perchè sia applicabile alle nostre subspecie è

innanzitutto necessario ripetere una nuova fase di misurazioni e crearne il conseguente

indice.

10

L’Indice di Perret (1997) mette in relazione la lunghezza del becco con la lunghezza

totale del vinacciolo, i valori compresi tra 0,21 e 0,29 indicherebbero che il vinacciolo

appartiene ad una specie coltivata, al contrario tra 0,16 e 0,18 indicherebbero

l’appartenenza a vite selvatica. In questo caso la sperimentazione è stata condotta su un

numero maggiore di campioni e varietà ma tutte comprese tra la Svizzera, l’Ungheria e la

Germania. Dunque si ripropone il medesimo problema di affidabilità dell’Indice per le

nostre varietà.

Questi studi non tengono inoltre conto del fatto che la morfologia e le dimensioni del

vinacciolo sono collegate al numero di vinaccioli per acino oltre che alle dimensioni

dell’acino stesso ed alla posizione di questo all’interno del grappolo. Kisley15 ha

dimostrato che negli acini monopireni il seme ha un regolare sviluppo dorso-ventrale,

dove vi sono due semi questi sono più larghi e piatti, e nel caso di un numero superiore il

corpo ed il becco tendono ad allungarsi.

A tutto ciò bisogna aggiungere che i vinaccioli provenienti dai contesti archeologici hanno

subito variazioni morfometriche in conseguenza dei processi post deposizionali che ne

hanno permesso la conservazione: i vinaccioli carbonizzati tendono all’arrotondamento16,

quelli conservati in ambiente umido tendono a perdere i primi due strati del tegumento

esterno (con ovvia modificazione degli indici di misura)17, quelli mineralizzati subiscono

variazioni che dipendono strettamente dallo stadio al quale era giunto il processo di

calcificazione dell’elemento organico al momento del rinvenimento.

La ricerca effettuata da Mangafa & Kotsakis18 è, allo stato attuale, il punto di riferimento

migliore per l’identificazione di semi di Vitis coltivati e selvatici carbonizzati. Vengono

proposte quattro formule ottenute a seguito dell’analisi statistica di tre variabili che sono

l’altezza totale del vinacciolo (L), l’altezza del becco (LS) e la posizione della calaza

(PCH) (Tab.1) .

Il limite nell’applicazione di queste formule sui vinaccioli combusti dei nostri contesti

archeologici è che, ancora una volta, la sperimentazione è stata effettuata su varietà

prettamente greche. Resta comunque valido il protocollo di sperimentazione adoperato.

Queste, in sintesi, le metodologie, le problematiche ed i limiti per la distinzione dei semi

appartenenti a vite selvatica o coltivata utilizzate nell’analisi morfologica classica

effettuata dagli archeobotanici.

15 KISLEY 1988 16 SMITH & JONES 1990 17 DI VORA & CASTELLETTI 1995 18 MANGAFA & KOTSAKIS 1996

11

Formula 1 -0.3801 + (- 30.2 LS/L) + 0.4564 PCH –

1.386 L + 2.88 PCH/ L + 9.4239 LS)

Valori inferiori a 0.2= semi di vite selvatica

Valori maggiori di 0.8= semi di vite coltivata

Valori compresi tra -0.2 e 0.2= semi che hanno il 64.7% di possibilità di essere selvatici

Valori compresi tra 0.2 e 0.8= semi che hanno il 76.2% di possibilità di essere coltivati

Formula 2 0.2951 + (-12.64 PCH/L – 1.6416 L + 4.

5131 PCH + 9.63 LS/L)

Valori inferiori a 0.2= semi di vite selvatica

Valori maggiori di 0.9= semi di vite coltivata

Valori compresi tra -0.2 e 0.2= semi che hanno il 64.7% di possibilità di essere selvatici

Valori compresi tra 0.2 e 0.8= semi che hanno il 76.2% di possibilità di essere coltivati

Formula 3 -7.491 + (1.7715 PCH + 0.49 PCH/L + 9.56

LS/L)

Valori inferiori a 0.2= semi di vite selvatica

Valori maggiori di 0.9= semi di vite coltivata

Valori compresi tra 0 e 0.5= semi che hanno il 90.1 % di possibilità di essere selvatici

Valori compresi tra 0.5 e 0.9= semi che hanno il 63.3 % di possibilità di essere coltivati

Formula 4 0.7509 + (-1.5748 L + 5.297 PCH – 14.47

PCH/L)

Valori inferiori a -0.9= semi di vite selvatica

Valori maggiori di 1.4 = semi di vite coltivata

Valori compresi tra -0.9 e 0.2= semi che hanno il 91% di possibilità di essere selvatici

Valori compresi tra 0.2 e 1.4= semi che hanno il 76.2% di possibilità di essere coltivati

Tab. 1- Le quattro formule proposte da Mangafa & Kotsakis (1996) e i conseguenti indici per l’interpretazione del risultato.

Da alcuni anni si sta tentando di superarne i limiti affiancandovi le potenzialità dell’analisi

del DNA antico, questa infatti permette di raggiungere una risoluzione tassonomica di

dettaglio che consente anche di ipotizzare gli areali di provenienza della specie oltre che i

probabili focolai di domesticazione19. L’ origine e la storia dei cultivar antichi può essere

studiata tramite il confronto tra i marcatori microsatellitari e la compararazione con i

microsatellite database di cultivar moderni20.

Il limite applicativo più evidente è legato alla preservazione dell’ aDNA nel campione

archeologico, infatti, dopo la morte dell’individuo, il DNA subisce un processo di

degradazione a seguito di fattori biotici e abiotici, portando ad una frammentazione e

degradazione della sequenza originaria. I dettagli del processo di preservazione e/o

modificazione sono ancora oggetto di ricerca21, ma è emerso comunque che

generalmente le condizioni ambientali ottimali perchè si preservi il DNA sono di freddo o

caldo secco in assenza di ossigeno.

Il processo di carbonizzazione incide negativamente sulle probabilità di sopravvivenza,

ma non è escluso che se tale processo è avvenuto a basse temperature con ridotto

apporto di ossigeno ed ha comportato solo una superfiale “tostatura” del macroresto

vegetale, ci possano essere possibilità di sopravvivenza del DNA22.

Allo stesso modo anche l’immersione in acqua per lungo tempo (waterlogging remains)

non favorisce la preservazione del DNA in quanto il processo di idrolisi costituisce una

delle maggiori cause del decadimento. Quindi, di fronte ad un campione che ha questa

19 SCHLUMBAUM et al. 2007; per l’applicazione di questa metodologia alle problematiche di domesticazione della Vitis vinifera L. si veda anche: SEFC et al. 2000, SEFC et al. 2001, ARADHYA et al. 2003. 20 MANEN et al. 2003. 21 GILBERT et al. 2003, 2007; PÄÄBO et al. 2004; HANSEN et al. 2006; STILLER et al. 2006 22 THREADGOLD et al. 2003

12

origine, solo i semi con esocarpo legnoso restano una buona fonte per l’estrazione del

DNA23.

A tali problematiche intrinseche al campione è necessario aggiungerne una ulteriore che

riguarda le sue modalità di rinvenimento: generalmente i macroresti vegetali d’origine

archeologica sono separati dal sedimento tramite flottazione o setacciatura in acqua, ma

non sono stati ancora studiati gli effetti di questa sul contenuto e la preservazione del

DNA.

Lo studio del genotipo comunque (ove possibile e con le problematiche ed i limiti

applicativi sopra esposti) può costituire un utile strumento di confronto e dialogo con

l’analisi morfometrica tradizionale.

4.2- Implicazioni paleoclimatiche delle caratteristiche fenologiche della vite

Le ricostruzioni climatiche individuano il Medieval Warm Period e la Little Ice Age come

eventi climatici chiaramente riconoscibili nell’Emisfero Settentrionale, ma la loro entità e

durata è variabile per regioni geografiche più ristrette24.

Quello che si vuole indagare è proprio l’incidenza che queste variazioni climatiche globali

hanno avuto sulla penisola italiana. La difficoltà del confronto nasce dal fatto che il nostro

territorio non ha a disposizione gli stessi archivi naturali (che conservano dati di natura

glaciologica) il cui studio costituisce la base dei moderni modelli di ricostruzione

paleoclimatica. E’ dunque necessario selezionare una fonte di dati alternativa, da

relazionare a questi per operare un confronto e la dovuta sintesi.

L’obiettivo che ci si è preposti è quello di utilizzare come fonte i dati provenienti dalla

viticoltura, di seguito se ne espongono le principali motivazioni.

Poiché la vite ha avuto storicamente un imponente valore economico, essa è rientrata tra

le specie per le quali era prevista una annotazione documentaria delle caratteristiche

del raccolto e del suo prodotto finale (il vino). Ciò si è verificato con maggiore puntualità a

partire dall’Età Moderna, ma tale pratica è attestata, con caratteristiche più discontinue

ed indirette,anche per le fasi precedenti.

La rielaborazione dei dati, di natura prevalentemente fiscale, in corrispondenti indici

climatici è resa possibile dal fatto che questa specie ha singole fenofasi ben definite e

strettamente influenzate dalle caratteristiche climatiche25. Generalmente infatti la prima

fioritura della pianta è anticipata o ritardata a seconda delle temperature di maggio (ma

una fioritura precoce può essere conseguenza di un aprile particolarmente caldo).

23 MANEN et al. 2003; ELBAUM et al. 2005; POLLMANN et al. 2005 24 MANN et al. 2003 25 HUGLIN 1969

13

L’analisi statistica multivariata ha rivelato che sono proprio le temperature comprese tra

aprile e giugno quelle che si correlano meglio con le conseguenti date di vendemmia26 . A

ciò aggiungiamo il fatto che la produzione annua e la qualità del vino sono anch’esse

direttamente influenzate da condizioni favorevoli che si devono verificare in periodi ben

definiti, nello specifico e rispettivamente metà estate e tarda estate/inizio autunno27.

Perchè la rielaborazione di questi dati in chiave paleoclimatica sia corretta è necessario

avere una documentazione su microscala, che cioè annoti anno per anno almeno una

delle caratteristiche del ciclo vegetativo, riproduttivo e produttivo della vite.

Le ricostruzioni effettuate per l’Europa Centrale (con alla base questa tipologia di dato)

sono state possibili proprio grazie al patrimonio documentario imponente che alcune di

queste regioni possono vantare. La frammentazione storico- politica, gli eventi bellici ecc.

susseguitisi nella nostra penisola fanno si che, al contrario, le serie complete di dati

d’archivio siano ben poche28.

Per ovviare a tale carenza ed al contempo per non annullare il potenziale informativo dei

dati superstiti si vuole procedere alla creazione di un modello che permetta di

relazionare, per un arco cronologico definito, i dati provenienti da archivi naturali

glaciologi con quelli connessi a periodo, qualità e quantità di vendemmia.

5- Metodologia 5.1- Analisi di profilo del vinacciolo tramite un software d’analisi

d’immagine Il riconoscimento varietale dei semi di Vitis vinifera L. rinvenuti nei contesti archeologici

costituisce un obiettivo ambizioso il cui raggiungimento richiede l’integrazione di più

metodologie d’indagine.

Come presupposto e fondamento dell’attività di ricerca vi deve innanzitutto essere la

creazione di un’adeguata Collezione di Riferimento di vinaccioli di Vitis vinifera L.

comprendente sia le varietà selvatiche che coltivate attualmente presenti nel Bacino del

Mediterraneo.

Un campione per ogni varietà posseduta sarà sottoposto ad analisi morfometrica

classica, le misure da rilevare saranno quelle corrispondenti alle dimensioni totali del

vinacciolo (lunghezza, larghezza, spessore) oltre che quelle (della medesima tipologia) di

ogni sub-elemento del vinacciolo (becco, calaza ecc.). Si valuterà la correlazione tra le

singole misure, quelle correlate in maniera lineare verranno selezionate in modo da

ridurre le successive misurazione ad una sola tra queste.

26 GARNIER 1955 27 EYNARD & DALMASSO 1990 28 CAMMEROSANO 1991

14

Lo stesso campione verrà sottoposto ad analisi del profilo attraverso un software d’analisi d’immagine. Sull’immagine acquisite verrà innanzitutto effettuata una

operazione di resizing di modo che l’altezza totale di ogni vinacciolo acquisito sia sempre

pari ad 1. Attraverso un sistema di assi cartesiani esterno ad esso verranno prese le

coordinate (x;y) di 80 punti del profilo. Il risultato ottenuto sarà una matrice che individua,

in modo puntuale e confrontabile, il profilo di ogni vinacciolo.

A sua volta, ogni matrice di dati verrà trasformata, mediante equazione di grado pari a 3

(o superiore) o Analisi di Fourier, in parametri geometrici identificativi di ogni singola

varietà processata.

Perchè i parametri geometrici identificativi di ogni varietà possano però essere utilizzati

sui vinaccioli provenienti da contesti archeologici è necessario creare un adeguato

Protocollo di Sperimentazione che consenta di valutare le variazioni qualitative e

quantitative dei parametri morfometrici e morfologici che avvengono in conseguenza di

un processo di: parziale combustione, conservazione in ambiente anossico,

disidratazione. Questi sono infatti i probabili processi post- deposizionali che consentono

la conservazione del campione nei contesti archeologici.

Si esclude volutamente in questa fase la replicazione del fenomeno di mineralizzazione

del vinacciolo poiché le stesse cause che concorrono alla formazione di questa tipologia

di resto non sono, ad oggi, ancora chiare29.

Nei casi in cui il campione archeologico è stato sottoposto anche ad analisi del aDNA, si

provvederà al confronto dei risultati tra le due tipologie di dato.

Un proficuo tentativo in questa direzione è stato presentato al 37th International Symposium on Archaeometry, utilizzando i vinaccioli provenienti dal contesto

archeologico altomedievale di Supersano (LE)30.

5.2- Ricostruzione paleoclimatica tramite proxy data storici e glaciologici Per poter ipotizzare l’entità delle oscillazioni climatiche verificatesi su scala regionale

durante il medioevo è necessario innanzitutto effettuare una ricognizione attenta delle

fonti d’archivio nelle quali sono presenti indicazioni cronologiche oltre che qualitative e

quantitative precise sui dati di vendemmia.

I Fogli di minuta per i Comuni , emanati dalla direzione Generale dell’Agricoltura con lo

scopo di avere notizie annuali sui raccolti agrari, possono essere un buon punto di

partenza. Qui infatti oltre al dato di produzione correlato con l’estensione del territorio

29 GREEN 1979 30CAPPELLINI,E., GILBERT, M.T.P., GEUNA, F., FIORENTINO, G., HALL, A., THOMAS- OATES, J., ASHTON, P., ARTHUR, P., CAMPOS, P., WILLERSLEV, E., COLLINS, M. : Shotgun proteomics and DNA analysis of waterlogged medieval grape seeds.

15

messo a coltura, si fa anche esplicita richiesta di segnalare la qualità del prodotto (ottima,

buona, mediocre o cattiva) e le cause speciali che possono avere influito sulla qualità e

quantità del raccolto.

I dati desunti da queste fonti, di natura descrittiva, dovranno essere quantizzati e le

variazioni più durature e significative dei dati campionati saranno calcolate attraverso il

sistema delle deviazioni cumulative da una media (le deviazioni cumulative si

ottengono facendo la somma cumulativa delle singole deviazioni dalla media). Questo

metodo consente, al pari del più semplice sistema delle medie mobili, di avere una chiara

percezione delle fluttuazioni di breve e lunga durata, ma in aggiunta a questa, è in grado

di evidenziare il carattere improvviso o graduale dei mutamenti31.

La curva ottenuta sarà confrontata con ulteriori altre , create in questo caso utilizzando i

valori di CO2 (anidride carbonica) e di δ18O (isotopo stabile dell’ossigeno) presenti

nell’atmosfera nel medesimo arco temporale considerato per la creazione della prima

curva. E’ stato infatti dimostrato che i quantitativi di CO2 e di δ18O intrappolati nelle calotte

artiche ed antartiche sono strettamente correlati con le oscillazioni termiche verificatesi

nel corso degli anni32. Questa tipologia di dato è accessibile grazie all’immissione in rete

dei risultati delle analisi ad opera della NOAA (National Oceanic and Atmospheric

Administration).

I risultati di ogni carotaggio indicano trends comuni ma non identici, così la selezione

della “carota” che dovrebbe indirettamente riflettere il dato regionale di nostro interesse

viene effettuata proprio attraverso il confronto fra il dato annuale di composizione chimica

del ghiaccio e quello di vendemmia. In questo modo si avrà a disposizione un dato climatico su scala regionale che può però arrivare a coprire archi temporali anche di

migliaia di anni ( in relazione alla lunghezza della “carota”).

6- I tempi della ricerca A- Attivazione di un protocollo di collaborazione con i principali Orti Botanici dei

Paesi del Bacino del Mediterraneo, per il reperimento di vinaccioli delle principali

varietà di Vitis vinifera L. diffuse in questo areale.

B- Allestimento della Collezione di Riferimento.

C- Ricerca bibliografica sui contesti medievali che hanno restituito elementi

attestanti, direttamente o indirettamente, la pratica della viticoltura.

31 BELL 1984 32 STENNI 2005; INDERMUHLE et al. 1999

16

D- Richiesta di collaborazione con gli Enti in possesso di vinaccioli provenienti da

contesti archeologici medievali.

E- Ricerca bibliografica sui moderni modelli paleoclimatici e le serie di dati utilizzate

per la creazione degli stessi.

F- Ricerca archivistica per individuare serie annuali dei dati di vendemmia.

G- Allestimento del Protocollo di Sperimentazione finalizzato a valutare gli effetti di

carbonizzazione e assorbimento idrico sui vinaccioli.

H- Acquisizione digitale dei vinaccioli di provenienza archeologica e della

Collezione.

I- Analisi morfometrica dei vinaccioli moderni e archeologici mediante apposita

strumentazione microscopica .

J- Analisi del profilo del vinacciolo mediante il software d’analisi d’immagine .

K- Rielaborazione statistica dei dati provenienti da analisi morfometrica e del profilo.

L- Confronto tra i dati emersi a seguito della rielaborazione statistica e le analisi sul

genoma.

M- Indicizzazione dei dati annuali sui periodi di vendemmia.

N- Confronto tra il proxy dato storico e quello glaciologico.

O- Rielaborazione critica dei risultati emersi a seguito dell’attività di ricerca e

sperimentazione.

P- Stesura dell’elaborato finale (Tab.2).

17

I Sem.

II Sem.

III Sem.

IV Sem.

V Sem.

VI Sem.

Azioni

A

B

C

D

E

F

G

H

I

J

K

L

M

N

O

P

Tab. 2- Azioni e tempi della ricerca.

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