PROGETTO DI TESI PER IL CONGRESSO STRAORDINARIO...
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PROGETTO DI
TESI PER IL CONGRESSO STRAORDINARIO
DEL PARTITO DEMOCRATICO
DI VENEZIA
GRUPPO 7 luglio
10 dicembre 2015
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PREMESSA
Il Gruppo 7 luglio nasce dalla riflessione di alcuni iscritti ed elettori del PD a seguito
del risultato elettorale delle ultime elezioni amministrative nel Comune di Venezia e
nel Veneto.
Il Gruppo nasce per impegnarsi per un PD nuovo e diverso, che diventi realmente
quel luogo di costruzione di idee e politiche che avrebbe dovuto essere fin
dalla sua fondazione: un partito aperto, dinamico, concreto, propositivo e
coraggioso. Non un partito liquido, ma un partito strutturato e attivo, che sappia
però dialogare con le forze e l’intelligenza diffusa fra tutti i cittadini di centrosinistra
appassionati di politica e di impegno civico.
Per questo motivo, presentiamo una proposta affinché il prossimo congresso
straordinario del Partito Democratico di Venezia si differenzi dagli ultimi, non solo
aprendolo anche ad elettori e sostenitori, ma anche facendone un luogo di
dibattito partecipato sui contenuti, con tesi e mozioni che si sfidino
apertamente, per trovare la linea da seguire nei prossimi anni.
È, infatti, importante che il PD riesca a generare un nuovo grande progetto, a lungo
termine, per il futuro di Venezia e del Veneto.
Questo, dunque, è il progetto di tesi che offriamo alla discussione del Congresso e,
prima, a tutti i cittadini e alle cittadine del veneziano.
Questa prima elaborazione vuole rappresentare solo l’inizio di un percorso per offrire
un contributo importante al PD, e per fare in modo che il prossimo Congresso riesca
a coniugare i principi e valori in cui crediamo con risposte e proposte concrete per
una Città Metropolitana a misura di cittadine e cittadini.
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Pur nella consapevolezza della diversità dei territori e delle questioni che investono
oggi il nostro territorio, il centro del nostro ragionamento è la città di Venezia, che è
anche, a nostro avviso, il motore della costruzione della Città Metropolitana.
Crediamo che Venezia, non sia un luogo qualsiasi, ma pensiamo che, attraverso un
disegno serio e pro-futuro della costituenda Città Metropolitana, possa diventare
baricentro di tutto il Nordest, trasformando le criticità attuali in opportunità da
cogliere, anche alla luce dell’attuale contesto globale ed economico.
La nostra tesi è convintamente in formato aperto per accogliere contributi e
integrazioni, che vogliamo sollecitare, sia attraverso la discussione online, sia
attraverso incontri e assemblee pubbliche.
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PARTE PRIMA
LE IDEE PER VENEZIA
Essere Città Metropolitana
1. E’ nelle aree urbane più dinamiche che – da sempre - si costruisce la
capacità di un territorio di misurarsi con gli attori e le reti globali
dell’economia, dello sviluppo, della cultura e della politica. Oggi è la
dimensione metropolitana che, nelle città più avanzate in Europa e nel
mondo, risponde alle esigenze dello sviluppo socio-economico,
dell’economia della conoscenza, e dei servizi avanzati. Ogni paese ha
cercato la sua strada per innovare i modelli amministrativi tradizionali
creando istituzioni di scala territoriale adeguata, capaci sia di gestire la
complessità e le differenze in un disegno omogeneo di sviluppo, sia di
individuare gli interventi necessari a ricompattare e rendere efficiente il
territorio, proponendo soluzioni in grado di unire i diversi “centri” esistenti in
un disegno coerente e vantaggioso per tutti. Anche l’Italia ha saputo
imboccare questa strada individuando nelle 10 Città Metropolitane i nodi
fondamentali di una rete urbana sulla quale riorganizzare i servizi di
eccellenza indispensabili allo sviluppo di tutto il territorio nazionale. In una
realtà policentrica e variegata come quella veneziana, l’istituzione della
Città Metropolitana rappresenta una fondamentale opportunità per
innovare il sistema di governance territoriale, riuscendo a dare una
identità più coesa al territorio e un disegno comune. La costituenda Città
Metropolitana è chiamata a valorizzare al meglio le opportunità presenti,
definendo un nuovo “patto” di sviluppo per il territorio, che tenga insieme
in un progetto di crescita comune Venezia, la città insulare, la laguna, la
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terraferma e tutti gli altri centri esistenti, da Chioggia a Portogruaro. La Città
Metropolitana è la “chiave di volta” del nostro sviluppo, a cui arriviamo dopo
decenni di dibattito. È l’opportunità di riparare i danni di una crescita
impetuosa e, spesso, disordinata, e di rinnovare l’identità del territorio,
tenendo insieme le diverse realtà in un progetto comune di crescita e
sviluppo, oltre i retaggi del passato.
2. L’istituzione della Città Metropolitana deve essere accompagnata da un
progetto partecipato condiviso dai cittadini, dagli attori istituzionali e da
quelli economici, e non può rimanere una mera sovrastruttura istituzionale.
In questa prospettiva, la Città Metropolitana esisterà e sarà riconosciuta
politicamente e socialmente, solo se saprà essere interprete della necessità
di offrire servizi di scala “metropolitana” nel campo dei trasporti, della
mobilità e del pendolarismo; se saprà favorire l’integrazione organizzativa e
lo “snellimento” burocratico in settori chiave dello sviluppo; se saprà
razionalizzare l’esistente a favore di nuove occasioni di crescita e lavoro e,
soprattutto, se saprà essere un attore chiave della pianificazione strategica,
anche in rapporto con il Governo centrale. Il suo Statuto e la sua
organizzazione sono nodi cruciali, insieme al rapporto con la Regione, che
dovrà assegnare le deleghe previste dalla Legge Del Rio. L’elaborazione
compiuta fin qui, sotto la guida dell’Amministrazione Brugnaro, è solo un
primo passaggio che deve essere migliorato, anche attraverso una visione
politica più consapevole e ambiziosa.
3. Venezia è capitale del territorio metropolitano, non necessariamente
coincidente con l’attuale perimetro della Città Metropolitana. Il progetto per
Venezia deve guardare a Padova e Treviso, un’area “effettivamente”
metropolitana che, per estensione e popolazione, è già - naturalmente e nei
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fatti - tra le prime trenta città europee, e può diventare il vero motore di un
nuovo modello di Nordest, innovativo, competitivo, solidale.
Venezia città globale e speciale
4. Venezia è una città globale, internazionale e simbolica, ma è anche una
città vasta con un territorio dai molti “centri”: da Chioggia, a Mirano, a
Portogruaro. Ha bisogno di modernità e innovazione, con interventi che
sappiano: rigenerare la residenzialità nelle aree urbane e nella “città
diffusa”, riqualificando e ricompattando il patrimonio edilizio esistente, gli
spazi pubblici e i servizi; conservare, valorizzandoli, gli straordinari patrimoni
culturali, artistici, agricoli e paesaggistici; utilizzare le tecnologie come fattore
capace di generare nuove prospettive di crescita e di lavoro. Le forme stesse
dello sviluppo urbano implicano che la città cresca attraverso trasformazioni
che riguardano il suo costante riuso, senza nuovo consumo di suolo, con
un modello di progresso che aumenti l’efficienza del sistema rispettando e
valorizzando l’ambiente nel suo complesso a partire dalla dimensione
acquatica che caratterizza il territorio veneziano facendo perno sulla laguna,
dal litorale al sistema della risorgive.
Crescita e innovazione
5. Venezia metropolitana ha bisogno di rigenerazione urbana e
reindustrializzazione. Le azioni da svolgere devono riguardare la città nella
sua interezza, che va “ricostruita” dalla laguna alla terraferma, ma anche aree
specifiche del territorio, nella consapevolezza che ogni strategia di carattere
generale deve trovare riscontro in azioni che i cittadini devono poter
conoscere, valutare e apprezzare. Non può essere eluso il tema della
sostenibilità economica degli interventi: l’attuale fase economica – con la
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drastica diminuzione delle risorse pubbliche in gioco – impone nuovi criteri di
valutazione e selezione dei progetti sui quali concentrare gli sforzi per
promuovere iniziative davvero coerenti con l’economia e le istanze della
società.
6. Venezia e la sua area metropolitana devono puntare a un nuovo modello di
sviluppo economico per affrontare il futuro, con prospettive di lungo respiro e
che non si limitino alla convenienza contingente dello sfruttamento della
risorsa del turismo di massa. Le politiche per il rilancio della
residenzialità a Venezia sono, da questo punto di vista, cruciali, perché
una città vuota non è più una città. C’è una stretta correlazione tra le
dinamiche demografiche e la capacità di un territorio di mantenere una sua
identità socio-culturale e di produrre ricchezza. Oggi la Venezia insulare ha
circa 90.000 abitanti: in circa trent’anni il centro storico di Venezia ha
dimezzato la sua popolazione residente. Ma anche la Venezia di “terra”,
Mestre, sta subendo una dinamica demografica negativa. Oggi l’intero
territorio comunale ha una popolazione di circa 270.000 abitanti con un saldo
demografico in diminuzione e lo spostamento di residenti verso i comuni
limitrofi, ma anche oltre, verso Treviso e Padova. Una nuova e seria politica
di pianificazione del territorio, con un’attenzione particolare alla
progettazione degli spazi residenziali e ai servizi correlati, non è
ulteriormente rimandabile.
7. Il depauperamento industriale e la mancata riconversione di aree strategiche
per il lavoro e l’occupazione rappresentano l’altra drammatica questione da
affrontare, altra faccia della stessa medaglia. Negli anni ‘70, Porto Marghera
contava circa 35.000 occupati, oltre all’indotto. Oggi Porto Marghera conta
poco più di 10.000 addetti, di cui solo 4.500 impiegati nelle attività
manifatturiere. La riconversione di Porto Marghera non è più rimandabile,
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così come il rilancio del VEGA e del progetto, solo tentato, di attrarre
insediamenti ad alto tasso di innovazione, in quella che fu una delle più
grandi aree industriali d’Europa.
8. Porto Marghera impone l’urgenza anche della sua bonifica. Se non si
completa la bonifica delle aree, nessuna vera politica di riconversione potrà
essere fruttuosa. E se la bonifica non sarà portata a termine in tempi rapidi, si
rischia, inoltre, di vanificare le ingenti risorse già spese, quantificabili in oltre
700 milioni. Vanno trovati i fondi necessari per completare i lavori, per
evitare che i tratti non bonificati aggravino l’inquinamento esistente,
determinando una sciagura non solo ambientale, ma anche e
soprattutto socio-economica.
9. Venezia è, di fatto, una città in cerca di un’identità e di un modello
economico in grado di coniugare la bellezza e insieme l’onerosità di un
patrimonio culturale, artistico e ambientale unico (in grado di attirare
ventiquattro milioni di turisti l’anno) e la necessità di rilanciare le attività
produttive per generare nuova occupazione, unico vero volano di
un’auspicata ripresa della crescita demografica. È necessario, quindi,
mettere in cantiere diverse azioni:
a. rafforzare la capacità competitiva delle attività produttive attuali e
facilitarne lo sviluppo, in stretto collegamento con le Università, le
Istituzioni Culturali e i centri di ricerca del territorio e ricorrendo anche
alle partecipate del Comune quali strumenti attivi di sviluppo del
territorio;
b. mettere a sistema la dotazione infrastrutturale del territorio (i tre
porti (Chioggia, Marghera, Venezia, l’aeroporto, il sistema ferroviario e
viario), coerentemente con il nuovo disegno della Città Metropolitana,
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come asset strategico per valorizzare la competitività del territorio e
l’attrazione di investimenti;
c. promuovere Venezia come ecosistema unico per l’innovazione e
la nascita di iniziative economiche in grado di attrarre capitale
umano di qualità e nuovo capitalismo imprenditoriale, per
innestare un processo di reindustrializzazione, legato in primis
all’innovazione, anche sfruttando sinergie con nuove iniziative
imprenditoriali e finanziarie, anche molto innovative, che stanno
sorgendo già nei territori limitrofi, da Roncade ad Asolo nel trevigiano.
10. Il reperimento di risorse finanziarie da nuove fonti è un altro fattore
chiave per rendere praticabile un nuovo modello di sviluppo economico.
Se la logica dei trasferimenti dal governo centrale o del finanziamento a
pioggia non è più un modello perseguibile, bisogna comunque considerare
che Venezia ha tutte le carte per attrarre importanti finanziamenti, pubblici e
privati, a partire dai finanziamenti europei. In un ambito in cui l’Italia sconta
una storica inefficienza, Venezia deve attrezzarsi meglio, anche sollecitando
la Regione a occuparsi di più del territorio veneziano come chiave di sviluppo
di tutto il Veneto, attraverso la proposta di interventi mirati e strategici. Allo
stesso tempo, non va sprecata l’occasione del PON METRO, Piano
Operativo Nazionale Città Metropolitane, che per la prima volta assegna
direttamente ad alcuni comuni, quelli metropolitani per l’appunto, la
programmazione di risorse comunitarie. Venezia non deve fare l’errore di
usare queste risorse (circa 39 milioni per il settennio 2014-2020) a pioggia
per micro-interventi, ma deve, in una logica di disegno del nuovo spazio
metropolitano, usare questi fondi per progetti pro-futuro, in una logica
condivisa con tutti i comuni dell’area metropolitana. Infine, è oramai
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matura la possibilità di chiedere l’istituzione di una o più SEZ (Special
Economic Zone), ovvero di zone a fiscalità agevolata per un periodo
temporaneo. Questa opzione favorirebbe il rilancio economico e sociale delle
aree più depresse del territorio, e appare sicuramente opportuna e
percorribile per Porto Marghera o per alcune aree della Venezia insulare (ad
esempio Burano).
11. La trasformazione digitale è la nuova frontiera della crescita. Si tratta di
un fattore cruciale per creare sviluppo e «buona» occupazione. Venezia è fra
le città in Italia che meglio può investire nel cambiamento, anche grazie alla
sua infrastruttura pubblica di rete in fibra ottica di alta qualità unica in Italia e
in Europa, che può essere una piattaforma abilitante di una nuova visione
dell’economia cittadina. Venezia è già interamente cablata, dotata di nodi
fissi o mobili che possono gestire oltre 200 gigabyte di dati che sono già
utilizzati ogni giorno da oltre 40.000 utenti. È tempo di valorizzare il grande
investimento che è stato fatto dalle amministrazioni di centro-sinistra
negli ultimi 15 anni, coinvolgendo il sistema economico del territorio in
un percorso di utilizzo delle infrastrutture e del “paradigma” digitale per
ripensare in «avanti» il modello produttivo. Interi distretti dell’economia
veneziana, da quello artigianale del vetro a quello della ricerca su ambiente e
acque, possono essere accompagnati in una reale trasformazione digitale,
che sappia tenere insieme conoscenza “antica” con tecnologie
“contemporanee”. Utilizzando l’infrastruttura esistente e puntando su un
salto tecnologico delle proprie imprese, anche quelle turistiche, Venezia può
diventare un esempio virtuoso di come una città “antica” possa arrivare
preparata all’appuntamento della modernità digitale.
12. È necessario progettare e facilitare la nascita di nuove attività
economiche e servizi che sappiano far leva sul marchio “Venezia”, con
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elementi di spiccata innovazione. Venezia può farcela: è il capoluogo di
una delle regioni più produttive d’Europa, è al centro di un sistema logistico
integrato, ha grandi università e istituzioni culturali. Venezia deve essere
presentata, anche agli investitori esteri come un territorio dove fare impresa
innovativa non è solo possibile, per una serie di fattori economici e
infrastrutturali positivi, ma anche “bello” per l’unicità della sua localizzazione
e per la potenzialità di sinergie che si possono realizzare nella Città
Metropolitana, e oltre, da Padova a Treviso
13. Premessa per qualsiasi iniziativa su scala metropolitana che tenda allo
sviluppo sociale ed economico rimane la necessità di intestare alla Città
Metropolitana competenze oggi in capo ad altri enti sovraordinati
(Regione, Stato, Autorità Portuale, Aeroporto). La città insulare e la laguna
così come l’area strategica di Porto Marghera, presenze indispensabili per il
valore dell’area metropolitana, sono soggette al controllo e alle decisioni di
istituzioni sovraordinate che ne determinano prospettive e investimenti, con
le distorsioni e le “incompiute”, che sono ogni giorno all’onore della cronaca.
Un esempio attuale è la redazione del nuovo Piano Regolatore Portuale, atto
pianificatorio fondamentale per qualsiasi futuro sviluppo di tutto il territorio.
Le decisioni prese in quella sede, infatti, interessano la portualità, ma anche
la possibile reindustrializzazione di Marghera e la riorganizzazione di un’area
che va dalla Marittima ai raccordi autostradali e ferroviari, capace di rendere
credibile la sostenibilità di un diverso progetto di città. Tuttavia esso rischia
di essere redatto secondo linee politiche esclusive dell’Autorità portuale con
un’idea di un porto tarato sulla “Marittima”, sulla piattaforma offshore e su un
retroterra portuale infrastrutturato solo ai fini logistici che impedisce l’analisi
delle soluzioni reali di rigenerazione ambientale, portuale, industriale e
commerciale attivabili con una grande riallocazione di funzioni oggi presenti
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nell’area di Porto Marghera e ripensando la “Marittima” come nuova
estensione della città insulare. Soluzioni che possono dare una prospettiva
credibile di sviluppo duraturo, nella richiamata logica del “lavoro+residenza”,
e diventare investimento economico virtuoso al contrario delle logiche
spartitorie e di rendita politica che fino ad ora hanno spesso caratterizzato
ogni decisione.
Accoglienza e sicurezza
14. Venezia, da sempre crocevia di civiltà. Vogliamo che rimanga e sia sempre di
più una città accessibile e accogliente, in cui ci sia attenzione per ogni fase
della vita e per tutte le condizioni. Le diversità e le possibili condizioni di
marginalità devono essere comprese in un progetto di Venezia inclusiva
e plurale: un progetto che, ancora una volta, passa per la qualità del
tessuto urbano, delle opportunità di lavoro e dei servizi offerti.
15. L’orizzonte dell’accoglienza deve essere praticato e perseguito, in un
contesto epocale di migrazioni e di tensioni internazionali, per non
dimenticare la vocazione e l’identità di Venezia. In questo contesto, il
crescente bisogno di sicurezza va garantito sempre di più a tutta la
comunità, sia rispetto alla minaccia terroristica, sia soprattutto
all’esplosione della piccola criminalità. Sicurezza e libertà non sono in
contrasto, perché la prima è la condizione preliminare per l’esercizio
della seconda.
Giovani
16. Le politiche destinate ai giovani non possono limitarsi agli slogan. Come in
tutta Italia, purtroppo, anche nel veneziano i tassi di disoccupazione giovanili
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sono preoccupanti (oltre il 23%), e i cosiddetti NEET (cioè quei giovani tra i
15 e i 29 anni che non sono iscritti a scuola né all’università, che non
lavorano e che nemmeno seguono corsi di formazione, stage o
aggiornamento professionale) sono circa il 16%. Il rapporto “Oltre il PIL” di
Unioncamere del 2015 ci conferma che non solo il numero di laureati rimane
sotto la media nazionale e ben lontano dai target europei, ma anche che i
moltissimi “nuovi” cittadini potenziali, gli studenti fuorisede degli Atenei
di Venezia, non rimangono più dopo la laurea nel nostro territorio, per
mancanza di opportunità. È del tutto evidente che occorre disegnare una
prospettiva diversa che non solo consenta al territorio di trattenere
giovani talenti, ma permetta anche di far tornare Venezia un punto di
riferimento nel mondo per tutti le professioni creative. Fra le misure
concrete da affrontare ci sono in primis quelle della residenzialità e del
sostegno nuove forme d’imprenditorialità. Anche per le politiche giovanili,
solo attraverso il binomio casa-lavoro si può immaginare una Venezia che si
ripopola di energie, all’insegna di un vero rinnovamento sociale ed
economico.
Eccellenze e normalità
17. La rigenerazione del tessuto produttivo, industriale, ed economico veneziano
deve essere occasione per collegare al lavoro (e, di conseguenza, alla
residenzialità) una concreta possibilità di accogliere nuovi cittadini. È
necessario, pertanto, un doppio intervento, che consenta sia di rendere
Venezia territorio d’elezione per percorsi di eccellenza (es. artigianato, arte,
beni immateriali, manifatture tecnologiche) ma, contemporaneamente, faccia
ritornare nella città insulare anche la classe media, occupata
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nell’impresa o nei servizi, così da dare a Venezia la connotazione di città
speciale ma anche “normale”.
Cultura
18. La cultura rappresenta per Venezia una delle primarie fonti di ricchezza
e di lavoro e un potente motore di sviluppo per una città caratterizzata,
come pochi altri luoghi al mondo, dalla presenza di un enorme
patrimonio culturale e da un gran numero di attività e imprese culturali
che, della città stessa, costituiscono uno dei principali elementi qualificanti,
rappresentando, per ricchezza generata e numero di operatori impiegati, uno
dei più rilevanti settori economici della città. Se, infatti, alle attività
direttamente legate ai Beni Culturali, ai Musei, al cinema, alla musica, allo
spettacolo dal vivo, all’ambiente (parchi e laguna), aggiungiamo la
formazione e l’alta formazione (non solo in ambito universitario), il settore
della cultura rappresenta un complesso sistema di attività e relazioni che
produce significativi risultati, sia in termini di indotto economico sia di
produzione di lavoro, contribuendo concretamente alla formazione
dell’immagine della Città. Nonostante ciò, sembra sempre sul punto di
affievolirsi la consapevolezza dell’importanza di questo settore, delle sue
correlazioni con il territorio e delle sue grandi possibilità per la creazione di
nuove opportunità di sviluppo economico e di ricchezza per la città,
alternative e/o complementari all’economia turistica veneziana che esiste
solo ed esclusivamente in connessione al patrimonio culturale veneziano,
creato e conservato sapientemente in secoli di attuazione di attenta gestione.
Bisogna porre più attenzione alla gestione e valorizzazione
dell’inestimabile patrimonio culturale di Venezia, anche e soprattutto
ripensando e innovando l’offerta turistica e i servizi connessi. Venezia
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non deve essere solo una vetrina di eventi, ma deve riappropriarsi del suo
ruolo di autonomo centro di produzione culturale, anche attraverso la
vastissima rete di associazioni, gruppi, che operano nella città, in un’ottica di
crescita e promozione delle realtà locali anche “di frontiera”.
Turismo
19. Da molti anni, a Venezia il turismo è argomento di discussione quotidiana e
sono innumerevoli le analisi prodotte. Purtroppo, però, a queste analisi non
sono seguite politiche di governo a medio termine, in grado di
valorizzare la risorsa turismo in maniera seria e con strategie di lungo
respiro, anche in relazione al territorio metropolitano. Compiere scelte
strategiche, fissando obiettivi di lungo periodo, smettendo di inseguire le
conseguenze di scelte inerziali, è un’opzione non più rimandabile. Bisogna
disincentivare il turismo “mordi e fuggi”, puntare di più sulla domanda di
qualità con un “posizionamento di sistema” idoneo, e regolare meglio i
segmenti con maggiori esternalità negative. Bisogna velocemente adottare
modelli e strumenti di previsione, e trovare strumenti per “ripagare” la
collettività degli effetti. Il turismo è una delle più grandi ricchezze di
Venezia: valorizzarlo in una prospettiva strategica, con soluzioni ad alto
tasso d’innovazione è cruciale per lo sviluppo sostenibile della città e
della sua area metropolitana. Oggi, attraverso le tecnologie e sfruttando la
rete in fibra esistente la previsione, anticipazione, gestione e governo dei
flussi è possibile, anche in chiave di valorizzazione economica. Bisogna farlo.
Così come vanno pianificati interventi sui collegamenti e i trasporti
nell’area metropolitana, per permettere una maggiore interazione dei vari
luoghi del territorio, non solo come posti per soggiorno alternativo, ma come
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mete per itinerari non tradizionali (es. laguna, riviera del Brenta, percorsi
archeologici, ecc.).
Buongoverno del Comune
20. Un bilancio in equilibrio, nella sua parte corrente, è un bene pubblico di
grande valore. Significa, in poche parole, che le entrate, devono coprire le
spese correnti (in pratica il costo della macchina amministrativa e dei servizi
forniti). Un concetto semplice, intuitivo, che però non sempre è stato
praticato. Il decisore politico, pressato dalle sollecitazioni esterne e dalla
volontà di realizzare il suo programma, tende sempre a credere che nel
bilancio esistano margini inesauribili o che eventuali squilibri possano essere
colmati da trasferimenti statali straordinari. Ma l’epoca dei trasferimenti è
finita da molto tempo. Ciascuno deve contare sulle proprie forze. Nuove
risorse possono essere acquisite solo attraverso un aumento della pressione
fiscale locale, oppure riducendo e razionalizzando le spese correnti. Per
questo la logica dell’amministrazione deve essere completamente innovata.
È necessario utilizzare in modo efficace le risorse a disposizione. La
macchina pubblica deve essere più efficiente, guardando alla qualità dei
servizi forniti ai cittadini attraverso la razionalizzazione del sistema delle
aziende comunali, un controllo diffuso che coinvolga i beneficiari e -
soprattutto - un’analisi costante dei costi standard e diffusione delle buone
pratiche. Quest’azione è possibile perché, nonostante gli allarmismi, i conti
del comune di Venezia non sono in una situazione drammatica. Serve
una correzione strutturale, tra il 4 e il 5 per cento, attivabile in un triennio
senza procedure straordinarie. Una correzione possibile, attuabile con le
forze della città, e molto utile per il futuro di Venezia, perché non c’è rilancio
senza prima un bilancio in ordine. Ma una spending review seria non si fa
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con i tagli lineari. Si fa attraverso un’analisi vera e approfondita delle
spese correnti, intervenendo sulle spese non più necessarie e
razionalizzabili, e mantenendo i costi incomprimibili e necessari. Tagliare
con l’accetta, produce solo ulteriori iniquità e disservizi.
21. In questa logica, parimenti, la dismissione del patrimonio pubblico,
laddove non sia finalizzata ad un immediato reinvestimento o a una
“vera” valorizzazione ma, viceversa, solo finalizzata al ripianamento dei
debiti, deve costituire un fatto gravissimo ed eccezionale, che sembra,
in ogni caso, nel presente contesto, evitabile, vista l’enorme ricchezza
che Venezia può generare, se ben amministrata. Per la valorizzazione,
inoltre, appare evidente come la misura della “concessione”, di lungo
periodo, sia la via maestra, anche per la maggiore disponibilità di investitori
che, attarverso questo strumento, possono tentare intraprese di riuso dei
beni, senza bloccare capitali nell’acquisto.
22. La parte capitale del bilancio, quella concernente gli investimenti, si muove,
invece, su un piano completamente diverso. Venezia può essere un
formidabile attrattore e deve diventare un volano che non ha bisogno di
leggi speciali per decollare, ma di progettualità e di scelte. Non basta un
progetto lanciato dall’ente locale, serve l’apporto di tutti le forze del territorio
per disegnare il futuro della città. Le scelte d’investimento devono essere
fortemente integrate in politiche economiche comuni; non solo tra laguna e
terraferma, ma in tutta la Città Metropolitana, la Regione e lo Stato con il
coinvolgimento delle forze economiche locali, nazionali e internazionali.
Salvaguardia
23. La storia della salvaguardia di Venezia non è solo storia di errori e di
malaffare. Basta scorrere le immagini degli anni settanta per ricordarci che
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in questi anni è stata una restaurata una grandissima parte della città storica
e della laguna e si è iniziato a rimediare agli errori di una industrializzazione,
che ha avuto un devastante impatto, ma che pure ha portato benessere in
città, nel Veneto, e in tutta Italia. Ora è il tempo di un piano strategico che
faccia tesoro di quanto già fatto, valorizzando le esperienze del mondo
scientifico locale, basandoci sulle nostre eccellenze riconosciute
internazionalmente, e che possono essere trasferite in tante altre diverse
situazioni. È urgente, tuttavia, porsi il problema di come disegnare le strutture
che dovranno gestire nel futuro la salvaguardia della città, a partire da quanto
realizzato. E’ ora di valutare seriamente i costi di gestione ordinaria e di
manutenzione del MOSE, anche per individuare le misure di mitigazione
e compensazione necessarie.
24. L’urgenza di provvedere alla salvaguardia dello speciale ecosistema
veneziano, peraltro, non è solo e tanto la necessità di ottenere il
rifinanziamento della Legge Speciale, e usarlo esclusivamente a questi fini
specifici e speciali, ma soprattutto quella di vedersi riconosciuta autonomia
normativa e fiscale su alcune materie, fra cui turismo, commercio,
residenza, edilizia. Ciò può essere attuato con trasferimenti di poteri mirati
ma anche, eventualmente, con legislazioni ad hoc. Non è più possibile, ad
esempio, che la normativa turistica di Venezia insulare sia identica a quella di
Padova piuttosto che di Treviso, né che non tenga conto delle sue esternalità
sull’area metropolitana, così come una almeno marginale autonomia fiscale,
ad esempio sulla tassa di soggiorno, potrebbe generare risorse aggiuntive da
dedicarsi al mitigamento delle esternalità.
Metodo e priorità
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25. Affinché tutto ciò non rimanga solo un elenco di buoni propositi è
discriminante l’individuazione del metodo e delle priorità. Il metodo dovrà
essere quello delle “buone pratiche” che partendo da una capacità
progettuale originale sia in grado di massimizzare i risultati e, nello
stesso tempo, di minimizzare i costi. La priorità, invece, non può che
essere la riorganizzazione del territorio metropolitano in funzione della
qualità della vita dei suoi abitanti. L’ambiente urbano influenza il benessere
sociale, fisico, mentale ed economico dei suoi cittadini. Un ambiente
favorevole e salutare è indispensabile per la qualità della vita nella città e la
sua capacità di attrazione. La gente ha bisogno di respirare aria pulita, di
vivere in case confortevoli, di godere del silenzio e di spazi pubblici piacevoli.
Aree verdi e di gioco accessibili, di buona qualità, ben mantenute sono un
elemento chiave della qualità della vita urbana, così come lo sono un sistema
di trasporto sicuro, moderno ed efficiente e spazi pubblici e aree verdi che
incoraggino l’attività fisica e le buone relazioni sociali.
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PARTE SECONDA
LA POLITICA
26. Decifrare il mondo globalizzato è difficile. Da una parte, si registra un
significativo miglioramento delle condizioni di vita. Il numero complessivo
delle persone che soffrono la fame è sceso a 795 milioni - 216 milioni in
meno rispetto al biennio 1990-92 - vale a dire circa una persona su nove - si
legge nell'ultima edizione del rapporto annuale delle Nazioni Unite sulla fame
(Lo stato dell'insicurezza alimentare nel mondo 2015 - SOFI). Entro il 2030 il
ceto medio globale raddoppierà passando da 2.5 a 5 miliardi di persone; due
terzi di esse vivranno in Asia (e molti di loro programmeranno un viaggio a
Venezia).
27. Dall’altra parte, l’ecosistema mondiale mostra difficoltà crescenti e gli scenari
prospettati dall’organizzazione No profit Climate Center, in vista della
ventunesima conferenza sul clima di Parigi sono catastrofici (nelle simulazioni
al 2100, New York e Shangai si trasformeranno in lagune e Venezia, che già
lo è, diventerà una città sommersa). Aumenta, inoltre, a dismisura, la
disuguaglianza. Nello studio OCSE “Focus Inequality and Growth” del 2014
si mostra come le differenze di reddito siano ai massimi storici degli ultimi
trent’anni: oggi, nell’area Ocse, il 10 per cento più ricco della popolazione
guadagna 9,5 volte di più del 10 per cento più povero, mentre negli anni ’80 il
rapporto era di 7. Anche l’indice di Gini, che misura le disuguaglianze sociali,
è aumentato in media di tre punti percentuali, passando da 0,29 a 0,32 (in
una scala in cui 0 è nessuna disuguaglianza sociale e 1 è tutto il reddito
concentrato nelle mani di una sola persona). Anche l’Italia ha registrato
proprio lo stesso aumento di indice Gini della media Ocse, passando da
0,291 a 0,321. La questione, che è stata messa a fuoco, da ultimo, da
Thomas Piketty nel libro “Il Capitale nel XXI secolo”, deve rappresentare un
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elemento centrale del dibattito del PD, anche perché, all’aumentare delle
disparità economiche corrisponde una riduzione della capacità di crescita.
Dal citato rapporto OCSE si evince che, un aumento del coefficiente di Gini
in media di tre punti, ha prodotto, nei ventuno paesi esaminati, una perdita di
8,5 punti di PIL, tra il 1985 e il 2010 (0,35 per cento all’anno). L’Italia ha perso
il 6,6 per cento di Pil a causa della disuguaglianza, registrando una crescita
dal 1985 al 2010 leggermente superiore all’8 per cento, mentre sarebbe
potuta essere del 14,7 per cento. Come dire, il nostro prodotto interno lordo
sarebbe potuto crescere di quasi il doppio rispetto a quanto è cresciuto se la
nostra società avesse diminuito drasticamente le disuguaglianze.
28. Anche la governance geo-politica presenta elementi contraddittori. Da una
parte il superamento della contrapposizione tra i blocchi, dopo il
dissolvimento dell’Unione Sovietica, ha ridotto la corsa agli armamenti
nucleari e il rischio latente di un’evoluzione distruttiva della guerra fredda, più
volte sfiorato. Dall’altro il passaggio dal bipolarismo al multipolarismo non
ha portato con sé un mondo tranquillo e pacifico. Nessuno e più in grado
di controllare, nel complesso, la stabilità dell’intero pianeta e le istituzioni
internazionali, preziose e da potenziare, non riescono ad esprimere questa
funzione. Gli effetti negativi sono evidenti. Anche l’Europa ha avuto, con gli
attacchi terroristici di Parigi, il suo 11 settembre. La sicurezza, dato acquisito
per le generazioni europee nate dopo la seconda guerra mondiale, non è più
certa. È un fatto nuovo, che condizionerà la politica interna dei paesi europei
nei prossimi anni e che si somma al crescente caos di una vasta area,
contigua all’Europa, dal medio-oriente, alla Libia, all’Iraq. È evidente
l’urgenza di una reazione, diplomatica e di intelligence ma anche, se
necessaria, militare, che deve fondarsi sull’accordo tra le grandi potenze (in
primo luogo tra USA e Russia), sul coinvolgimento delle potenze regionali
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dell’aera (il tavolo di Vienna), sulla maggiore collaborazione tra i servizi di
sicurezza, sulla condivisione in ambito ONU. I partiti politici, e tra questi il
PD in primo luogo, possono dare il contributo più importante: evitare
che la lotta al terrorismo si trasformi in una guerra di religione (obiettivo
principale dell’ISIS), ribadire che proprio i musulmani moderati (la
stragrande maggioranza dell’Islam) sono il principale bersaglio
dell’estremismo religioso, denunciare posizioni demenziali quali “nuove
Lepanto”, crociate, espulsione dei richiedenti asilo che, purtroppo,
annoverano molti epigoni nel nostro territorio.
29. Negli ultimi decenni l’Italia è cresciuta ogni anno un punto in meno dei
principali paesi europei. Recuperare questo divario è cruciale, per evitare una
progressiva emarginazione. Il governo Renzi sta cercando di farlo e di
quest’azione cominciano a intravvedersi i primi risultati. Nel primo
semestre del 2015 gli investimenti sono cresciuti del 6 per cento
(rispetto all’1 per cento dell’Eurozona). E sensibile è il riflesso
sull’occupazione. Nei primi nove mesi del 2015 sono stati recuperati un
quarto dei posti di lavoro persi dall’inizio della grande crisi (2008), e la metà
di questi (95.000 su 185.000, secondo l’ISTAT) sono a tempo indeterminato.
Se si guardano i dati INPS si scopre che i contratti a tempo indeterminato, al
netto delle cessazioni, sono aumentati di 470.000 unità.
30. Molto, tuttavia, resta ancora da fare, per recuperare i circa dieci punti di PIL
perduti negli anni della grande crisi (2008 – 2014) e, soprattutto, per
raggiungere la piena occupazione, in quanto l’esclusione dal mondo del
lavoro, a qualsiasi età si verifichi, è una condizione che mina la dignità di
un individuo e il dettato costituzionale. Un buon esempio è rappresentato
dagli Stati Uniti, dove la piena occupazione (cioè un tasso di disoccupazione
intorno al 5 per cento) è stata raggiunta attuando politiche economiche
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d’ispirazione keynesiana fondate su una politica monetaria accomodante
(bassi tassi di interesse e iniezione di liquidità nel sistema) e un deciso
intervento pubblico per rilanciare gli investimenti (800 miliardi di dollari nella
manifattura e nell’innovazione) ciò che consente, oggi, una crescita annua
del 4%. L’Europa sta cercando, con difficoltà, di muoversi nella stessa
direzione. Le azioni della BCE (azzeramento dei tassi, prestiti alle banche e
ora, quantitative easing), e il piano Junker, sono sulla stessa lunghezza
d’onda, ma l’azione europea si sviluppa con grande difficoltà, alimentando
disillusioni e tendenze xenofobe. Alla moneta unica non è seguito un salto nel
processo d’integrazione e l’Euro è rimasto una moneta senza stato. Il
progetto di costituzione europea s’è arrestato, il bilancio comunitario è
troppo esiguo per rispondere agli squilibri regionali. Le divergenze tra le
economie dei ventotto paesi sono rilevanti e, a queste, si sovrappone la
separazione crescente tra i paesi dell’area euro e quelli che hanno mantenuto
la propria divisa (tra cui, in particolare, il Regno Unito). Nel G8 del 2050 non
sarà presente nessun paese europeo, neppure la Germania. La
globalizzazione rende indispensabile l’Europa unita per la competizione
globale. L’alternativa sarebbe il declino, l’emarginazione di piccoli stati
incapaci di rispondere alle sfide del futuro (tra cui i considerevoli flussi
migratori). Riteniamo possibile, come sostiene il filosofo tedesco Jurgen
Habermas, realizzare una maggiore “solidarietà tra estranei” in uno
spazio pubblico europeo, in cui fare coesistere, integrandole, la
cittadinanza nazionale e quella comunitaria. È possibile ma c’è molto
lavoro da fare, e poco tempo.
31. Le difficoltà dell’integrazione europea hanno prodotto, nella governance della
finanza pubblica, un reticolo di “vincoli stupidi” che rendono particolarmente
difficile il rilancio dell’economia. La grande crisi non è stata indotta da
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politiche di bilancio inadeguate, come riconosce la migliore dottrina
economica, ma i rimedi, su questo fronte, sono ruotati principalmente intorno
all’inasprimento delle sanzioni. Per salvare i sistemi bancari europei, messi in
crisi non certo dalle politiche di bilancio, bensì dall’assorbimento dei
cosiddetti “titoli tossici”, sono stati impiegati circa 25 punti di debito
pubblico. Anziché riconsiderare questo limite, adeguandolo alla nuova
situazione, nella riforma del Patto di stabilità del 2011 è stata attivata anche
la regola sul debito, creando difficoltà enormi alla ripresa europea. E anche le
politiche positive, come quelle azionate dalla BCE sul fronte monetario, sono
state contrastate, fortunatamente invano, da posizioni rigoriste sostenute con
particolare enfasi dalla banca centrale tedesca. In questo quadro così difficile
il Partito Democratico, che è il maggiore partito europeo, e il Governo
italiano, hanno investito tutta la loro autorevolezza per attivare la
flessibilità possibile. La clausola per le riforme strutturali, quella per
investimenti, quella per l’assistenza ai migranti, sono state contrattate con
vigore. Senza il peso dell’Italia non ci sarebbe probabilmente stato il piano
Junker e la vicenda greca avrebbe potuto avere un esito dirompente per
l’unità europea. L’Italia è stata al centro di questa complessa vicenda, ha
cercato e realizzato le giuste alleanze, ha fatto l’interesse dell’Europa,
offrendo una sponda ai greci in difficoltà (come ha riconosciuto anche
Tsipras).
32. Per essere autorevoli in Europa e modificare, senza velleitarismi, le
regole, in senso espansivo, è necessario avere un’economia solida e
dinamica. È generalmente riconosciuto che il nostro paese ha vissuto un
lungo periodo d’immobilismo, causa della minore crescita economica. È
altresì evidente che il governo attuale ha realizzato e messo in cantiere
importanti riforme strutturali, che da molto tempo attendevano la loro
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attuazione. Elenchiamo solo quelle principali. La più rilevante manovra
redistributiva dall’autunno caldo del 1969: con i “cosiddetti” 80 euro
sono stati ridistribuiti 10 miliardi di euro ai percettori di redditi da lavoro
inferiori a 15.000 euro. Una radicale riforma della scuola, cui sono stati
destinati, dopo anni di tagli, 3,5 miliardi di euro per eliminare il fenomeno del
precariato (e consentire, finalmente, l’introduzione del concorso annuale
come metodo di accesso), oltre al rilancio dell’autonomia scolastica, (anche
attraverso la responsabilizzazione della figura del preside). Una riforma
costituzionale che attendeva da almeno trenta anni (la prima commissione
bicamerale per le riforme è stata istituita nel 1983), ormai in dirittura d’arrivo,
che consente, tra l’altro, il superamento del bicameralismo perfetto,
l’abolizione delle competenze concorrenti delle regioni (frutto amaro della
riforma costituzionale del 2001), la creazione di una camera espressione delle
autonomie territoriali e una riorganizzazione del procedimento legislativo che
dovrebbe porre fine all’abuso del decreto-legge. Una riforma del mercato
del lavoro che ha adeguato le norme al nuovo paradigma post-fordista
che caratterizza la società globalizzata, in cui la tutela deve concentrarsi
sul lavoratore, anziché sul posto di lavoro (che non ha escluso peraltro
la presenza attiva del governo nella soluzione di decine di crisi
aziendali). La legge di stabilità per il 2016 rafforza questo processo,
tentando di coniugare la necessità espansiva e quella di una maggiore equità
sociale.
33. In questo contesto, è da sottolineare l’importanza della riorganizzazione in
corso di tutti i livelli di governo: l’attuazione della legge Delrio e la
cancellazione delle province dalla Costituzione, ha creato le premesse per
nuovi passi, tra cui la riduzione delle Regioni, che potrebbe consentire di
superare l’ormai anacronistica distinzione tra ragioni ordinarie e
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speciali, prevedendo un minore numero di regioni i cui statuti potrebbero
essere approvati tutti con legge costituzionale (e recepire così le specialità
ancora attuali). Si formerebbe in questo modo la regione del Nordest
(Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige), che già oggi non è
un’espressione geografica, ma una delle regioni più dinamiche
d’Europa, da qualche tempo analizzata in forma unitaria sotto il profilo
economico, come dimostrano anche gli ultimi Rapporti Nordest.
34. Resta, però, molto da fare, in un paese in cui, oltre al dramma della
disoccupazione e alle difficoltà della trasformazione industriale, si
registra una forte inefficienza e inefficacia delle politiche pubbliche, in
cui è necessario che la recente Riforma della Pubblica Amministrazione (che
deve passare da una visione prettamente autorizzatoria, che ancora la
caratterizza, a un’altra, fondata sul conseguimento degli obiettivi) trovi nei
decreti attuativi allo studio una compiuta realizzazione. Bisogna, inoltre, fare
di più per razionalizzare la spesa senza ridurre il perimetro del settore
pubblico, con interventi fatti da orologiai e non da tagliaboschi, e senza
dimenticare il potenziamento della lotta all’evasione fiscale, di quella alla
corruzione e di quella alla criminalità. Peraltro, alcuni recenti provvedimenti in
materia di innalzamento della soglia minima per i pagamenti i contanti o con
riferimento alla tassazione della casa hanno lasciato evidenti perplessità
rispetto, più che altro, all’idea di equità sociale che sta perseguendo il
Governo.
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PARTE TERZA
IL PD
35. L’incisività della politica del Governo non si è tradotta in una stagione
felice per il PD. Ciò non solo per le tensioni nazionali e per il significativo
complessivo calo di iscritti, ma soprattutto per il rischio di un abbassamento
della qualità e quantità del dibattito interno. In particolare, il momento di
grave difficoltà colpisce i partiti locali, non solo e non tanto per il succedersi
di numerosi scandali che hanno colpito giunte e organismi del PD, ma anche
per la sensazione che il PD abbia smarrito un percorso ventennale di buone
pratiche di governi locali di centrosinistra, essendosi progressivamente
allontanato dalla società civile, con il rischio di venire percepito come luogo
di conservatorismo e di difesa di rendite di posizione. Tale percezione non
riguarda solo il PD. Tutte le indagini demoscopiche, periodicamente
ripetute, ci dicono che, su 100 cittadini, solo 4 ritengono i partiti politici
organismi con cui vale la pena rapportarsi. Gli altri 96 pensano che siano
strutture contigue al malaffare, infiltrate dalla criminalità e, nella
migliore delle ipotesi, finalizzate alla realizzazione di interessi personali.
Le cronache quotidiane avvalorano, purtroppo, questa convinzione, che
tende a radicarsi, sviluppando disaffezione per le istituzioni, antipolitica,
sfiducia. La questione morale non è un’invenzione giornalistica, anche se,
ovviamente, il padrone che morde il cane fa più notizia del suo contrario.
Mafia Capitale, il MOSE, gli appalti truccati della sanità lombarda, l’uso
disinvolto del pubblico denaro, appaiono come una storia infinita,
inarrestabile, che ogni settimana si arricchisce di un nuovo capitolo. Alla
magistratura indipendente, garanzia fondamentale di legalità e, finora, unico
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baluardo alla corruzione, il Governo ha affiancato l’ANAC, presieduta da
Raffaele Cantone, per svolgere una decisa attività preventiva nella pubblica
amministrazione. Quel che è certo, è che il PD deve rigenerarsi. Come si
può fare? Chi decide e cosa? Come si fa a prendere decisioni efficaci?
Quando (e quanto) va allargato il processo decisionale e chi va
coinvolto? Quali percorsi partecipati, e su quali temi, vanno attivati?
36. Venezia è ricca d’idee e di energie. Negli ultimi anni, svariate esperienze
hanno posto al centro la necessità di aumentare e migliorare gli spazi aperti
all’ascolto e al confronto. Una città già molto frammentata, in questo periodo
di crisi ha visto approfondirsi la demarcazione tra gruppi, posizioni, soggetti,
e scarsissime sono state le occasioni per sviluppare quella minima dialettica,
a fondamento di qualsiasi idea di polis. Più spesso, l’ambito decisionale ha
preferito operare dall’alto, confondendo il consenso garantito da pochi
con la qualità delle scelte; considerando più che sufficienti le
conoscenze in proprio possesso; ritenendo i propri canali informativi
capaci di cogliere la complessità dei problemi e delle soluzioni, dei
vincoli e delle opportunità.
37. Il risultato, già piuttosto deprimente sul piano della fiducia dei cittadini nelle
istituzioni, è da riscontrarsi nella scarsità, se non proprio nella totale assenza,
di una visione che mostri gli obiettivi perseguiti, e che permetta a chiunque di
valutare se e come entrare in gioco. La partecipazione pubblica è stata
scambiata troppe volte per impossibilità di giungere a decisioni; una
perdita di tempo, per alcuni, un modo inefficiente di scegliere, per altri.
Certo, un policy maker potrebbe ‘fare da sé’ e ne sarebbe totalmente
legittimato. Tuttavia, una ventina d’anni di pratiche sperimentate anche
nell’ambiente italiano dimostrano quanto l’attivazione di un percorso
partecipativo, sia conveniente da più punti di vista. Laddove le scelte si
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debbano operare in condizioni di massima incertezza, o sia particolarmente
ampia la gamma d’interessi in gioco e le possibilità di conflitto; e quando le
scelte rinviino a modificazioni nei modi d’uso di un bene, o sia necessario un
apporto creativo e innovativo perché le soluzioni alla portata non soddisfano.
Insomma, molto spesso.
38. Gli iscritti rappresentano una risorsa preziosa per il PD. Vanno
incrementati e valorizzati. La struttura dei circoli, portato di un radicamento
territoriale che continua a rappresentare una matrice importante, deve essere
mantenuta. Non è necessario quindi costruire nuovi contenitori per i “nuovi”,
quasi fossero un corpo estraneo. Serve rivitalizzare l’azione dell’intera
struttura territoriale, magari con alcuni aggiustamenti. L’importante è
realizzare a una struttura a matrice, che se da un lato ha, tra le sue
righe, i circoli territoriali, deve vedere, nelle colonne, momenti di
approfondimento tematico, anche temporaneo, sulle questioni
strategiche. In questo modo è possibile intercettare realtà nuove, individuali
e collettive, con cui costruire sinergie, elaborare progetti e linee di lavoro,
arricchire, anche di nuove adesioni, il partito. Inoltre è necessario utilizzare
con sistematicità le metodologie di comunicazione rese possibili dalle nuove
tecnologie. Non possiamo essere super connessi individualmente, e usare
ancora la TV in bianco e nero quando ragioniamo come partito. Obiettivo di
questa trasformazione è fare del PD un luogo capace di produrre idee,
un intellettuale collettivo, formato prevalentemente da donne e da
giovani. Una vera rivoluzione, il contrario di un partito liquido, una forza
strutturata e attiva, che sappia dialogare con le forze e l’intelligenza
diffusa di tutti i cittadini appassionati.
39. Per questo, pensiamo che l’impegno nel PD sia importante, perché
crediamo che il PD sia tuttora l’unico partito con un radicamento territoriale e
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con la possibilità di parlare e ascoltare gli elettori, sia un partito in cui c’è
spazio per il dibattito, in cui maggioranze e minoranze possano scontrarsi e
rispettarsi, e siano capaci di sintesi non al ribasso. Il PD può rappresentare la
speranza del socialismo europeo, l’unico soggetto in grado di rilanciare il
progetto progressista. Per questo nasce il progetto del Gruppo 7 luglio: per
un congresso su tesi contrapposte che garantisca all’idea che prevale, la
maggioranza necessaria per esprimersi compiutamente e realizzare i propri
intenti. Il gioco di contrapposizioni tattiche, i falsi unanimismi,
producono immobilismo e scollamento, esponendo il partito a scelte
fallimentari, come è accaduto nelle recenti elezioni comunali.
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PARTE QUARTA
LA NOSTRA PROPOSTA PER IL CONGRESSO
40. La nostra proposta si basa su un modello congressuale aperto anche agli
elettori ed elettrici, preceduto da assemblee per l’elaborazione di
mozioni/tesi aperte. Votano gli iscritti, i votanti alle precedenti primarie, gli
iscritti nell’albo (online) fino a 7 giorni prima della data del congresso;
possono candidarsi solo gli iscritti; l’assemblea avrà 60 componenti – ogni
lista potrà avere massimo 60 candidati/e; le liste di candidati/e all’assemblea
devono essere 50% donne e 50% uomini; per i candidati all’assemblea i
votanti possono esprimere fino a 5 preferenze purché alternate nel genere; la
lista che vince godrà di un premio di maggioranza per ottenere il 60 %
dell’assemblea. Lo svolgimento del congresso rispetta i principi dello statuto
del partito democratico nazionale e le indicazioni in esso contenute: si votano
le liste e gli iscritti al PD che andranno a costituire l’assemblea metropolitana
del PD di Venezia e il segretario secondo lo schema allegato. Gli organismi
eletti indicheranno la direzione metropolitana e gli organismi dirigenti.
41. Un gruppo di iscritti e sostenitori possono mettersi insieme per l’elaborazione
di una tesi congressuale. Lavorano, aperti a nuovi contributi, riunendosi
pubblicamente almeno 3 volte per affinare le idee emerse e accoglierne di
nuove. Dopo essere stata discussa ed eventualmente emendata, la tesi è
votata da iscritti e sostenitori e presentata come tesi congressuale.
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