Progetto Ascolto, di Giulia Bussi

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Ideogramma cinese “zaì” = “di nuovo” “un’altra volta” “PROGETTO ASCOLTO” La costruzione di una nuova alleanza tra aziende e persone nel nuovo millennio di Giulia Bussi

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Che cosa fanno effettivamente le aziende per gestire le loro persone in modo da ottenere prestazioni di successo? E cosa fanno verso i dipendenti per facilitare che siano soddisfatti, ingaggiati, motivati, malgrado i tagli, le incertezze, il sovraccarico di lavoro? Abbiamo pensato di andare a chiederlo a chi le aziende le gestisce davvero - Direttori Generali, Direttori Operativi, Capi del Personale - e abbiamo realizzato più di 30 interviste e in questo booklet vi raccontiamo quello che abbiamo compreso.

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Ideogramma cinese “zaì” = “di nuovo” “un’altra volta”

“PROGETTO ASCOLTO”

La costruzione di una nuova alleanza tra

aziende e persone nel nuovo millennio

di Giulia Bussi

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2 “Progetto Ascolto”. Una nuova alleanza tra aziende e persone, di Giulia Bussi

Con la linea IDEOGRAMMI Mida si propone di pubblicare le sue ricerche, intese come risultato di studi, pensieri, interpretazioni che gli autori

traggono dalla diretta esperienza sul campo. Ma non solo. I contributi sono anche frutto del desiderio di raccontare l’approccio

peculiare di Mida alla professione attraverso i suoi stessi protagonisti.

“PROGETTO ASCOLTO”

La costruzione di una nuova alleanza

tra aziende e persone

nel nuovo millennio

di Giulia Bussi

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“Progetto Ascolto”. Una nuova alleanza tra aziende e persone, di Giulia Bussi 3

Introduzione

Lo scorso settembre Mida ha compiuto 40 anni e tutti noi, partner e consulenti, ne siamo molto fieri. Abbiamo festeggiato con gioia

un compleanno che cade in un’epoca per tutti difficile da interpretare e da vivere. Alcune domande ci “inseguono” da un po’ di tempo: che cosa fanno effettivamente le aziende per gestire le

loro persone in modo da ottenere prestazioni di successo? E cosa fanno verso i dipendenti per facilitare che siano soddisfatti, ingaggiati, motivati, malgrado i tagli, le incertezze, il sovraccarico di lavoro? Così abbiamo pensato di andare a

chiederlo a chi le aziende le gestisce davvero - Direttori Generali, Direttori Operativi, Capi del Personale - e abbiamo realizzato più di 30 interviste, di cui ci fa piacere raccontarvi quello che abbiamo “capito”1 .

Facendo la sintesi e aggregando i pareri di tutti gli intervistati non emergono profili omogenei, perché le caratteristiche indicate come

ideali - per i capi, per i collaboratori - si combinano in modo

differente e vario, per i diversi intervistati. Troverete un elenco di caratteristiche che non possono certamente essere “incarnate” da una sola persona, a meno di non essere “super-man/woman”, ma che costituiscono la somma dei punti di vista di tutti.

Grazie e buona lettura!

1 In appendice trovate l’elenco delle aziende che hanno partecipato alla nostra ricerca

e la struttura dell’intervista. Una prima presentazione dei risultati del nostro progetto,

che abbiamo chiamato “Ascolto”, è stata fatta nel corso della festa per i 40 anni di

Mida, che si è tenuta il 25 settembre 2014.

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1. Le caratteristiche ideali che oggi le persone

dovrebbero possedere

Un primo aspetto che emerge dalla ricerca è che gli

intervistati, pur non essendo degli specialisti di HR in senso

stretto (a parte gli HR manager che hanno fatto parte del

campione), utilizzano un linguaggio da esperti di gestione e

sviluppo delle persone: parlano di competenze e ne sanno

dare una connotazione “concreta” e precisa.

E’ come se ci fosse stato, in questi anni di crisi, un affinarsi

del modo di parlare delle competenze, non più terreno

specialistico delle HR, ma linguaggio comune ai manager

che, disponendo di un numero sempre più ridotto di risorse

su cui contare, hanno potenziato la conoscenza tecnica delle

loro persone.

Uno dei fattori più citati è la propensione al cambiamento, la

flessibilità, l’adattabilità. Sappiamo che parlare di questo

potrebbe significare parlare di tutto e niente; viceversa, gli

esempi delle persone sono concreti. Cosa vuol dire essere

adattabile? Vuol dire farsi domande del tipo “Dove posso

migliorare?”, “Come posso crescere?”, avere la disponibilità,

la voglia di reinventare nuovi modi di lavorare (magari

quando si è “over fifty”), saper vedere gli aspetti di

opportunità nelle situazioni difficili.

Ascoltando i vari contributi ci ha colpito un elemento

ricorrente: quasi tutti gli intervistati si aspettano

collaboratori che sappiano stare nelle contraddizioni,

facendole diventare una risorsa. Infatti le competenze che

abbiamo raccolto non sono riconducibili ad una singola

capacità (per esempio, l’adattabilità), ma costituiscono

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“Progetto Ascolto”. Una nuova alleanza tra aziende e persone, di Giulia Bussi 5

l’integrazione di due capacità, potenzialmente tra loro in

contraddizione o, come minimo, in opposizione.

Cominciamo a guardare una di queste, l’”agility”.

Agility

Prima competenza per numero di citazioni, l’”agility” si

sviluppa quando si è capaci di tenere insieme l’adattabilità

alle diverse situazioni, con la velocità e la brillantezza del

pensiero.

La combinazione dei due elementi porta ad un pensiero in

qualche modo “concreto”, che sa stare collegato con la

realtà del momento e che, per esempio, si sostanzia nella

rapidità con cui ci si prepara agli scenari che si modificano:

l’astrazione e la concretezza del pensiero coniugati!

Self leadership

Chiamiamo il secondo ambito di competenza “Self

leadership”: comprende la capacità di proporsi, di utilizzare

la propria influenza e contemporaneamente saperlo fare in

modo compatibile al contesto.

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Self leadership è un po’ più stuzzicante del termine

“leadership diffusa”, ma il senso è quello: la capacità, da

parte di tutti, qualunque sia il ruolo organizzativo occupato,

di esercitare la propria influenza, di proporre le proprie idee

e convincere gli altri della loro bontà, di essere protagonisti.

In questi tempi di crisi tutto serve alle imprese, tranne

persone che “stiano indietro”, passive, rinunciatarie.

La cosa interessante, a nostro parere, è che self leadership

comprende la capacità di auto-motivarsi, ma anche di auto-

controllarsi: questo è l’altro lato della medaglia, l’opposto

che - se integrato - genera comportamenti virtuosi. La self

leadership funziona se si ha il senso del limite, se si capisce

dove fermarsi, evitando di diventare aggressivi,

ingombranti, poco rispettosi degli spazi altrui: è un grande

esercizio di equilibrio.

Passione e partecipazione

Passione e partecipazione includono gli opposti della spinta

in avanti - propria della curiosità e della voglia di fare - con

l’ancoraggio alla realtà dell’impresa, alla vera, leale

identificazione con l’azienda, che porta a spendersi per il suo

successo.

Se sono molto appassionato di quello che faccio, se seguo la

mia curiosità, le mie idee, corro il rischio di perseguire una

strada personale, di andare avanti come imprenditore di me

stesso. La lealtà all’impresa, il coordinare gli sforzi personali

perché siano strettamente connessi con il business, è

l’aspetto che genera una sinergia virtuosa. Questo ci è stato

raccontato e noi ce lo/la immaginiamo questo uomo/donna

così “contemporaneo”, che si spinge verso il futuro e

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contemporaneamente è ancorato/a all’oggi; ci immaginiamo

i suoi dubbi, le sue perplessità, la fatica.

Costanza e coraggio

L’ultimo ambito di competenza è:

La costanza e l’eccezionalità della prestazione, insieme,

connotano questa competenza. Ci è stato raccontato che ci

si aspettano persone che sappiano lavorare con continuità,

per “dare risultati oggi”, perché in questi tempi difficili c’è

bisogno di grande motivazione a fare, con continuità e

pazienza, giorno dopo giorno. Contemporaneamente serve

accostare, non sempre, non tutti i giorni, la capacità di “fare

di più”, l’eccezionalità della prestazione, come risultato a

tendere, come aspirazione diffusa. Una competenza

bellissima e così realistica, comprensibile, seria, come quelle

che l’hanno preceduta.

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2. I principali bisogni delle persone oggi

Se queste sono le caratteristiche ideali, che chi dirige le

aziende desidera trovare nei propri collaboratori, quali sono

viceversa i bisogni delle persone, cosa si aspettano oggi i

dipendenti dalle imprese? Sembra che ci sia una diffusa

domanda di “adultità”, forse non ancora pienamente

affermatasi. Le persone si aspettano di stabilire con

l’azienda un patto chiaro, basato sul reciproco rispetto. Gli

ultimi travagliati anni hanno fatto emergere un bisogno

“antico”, il rispetto, e posto le premesse per la costruzione

di una relazione nuova tra l’azienda e i suoi dipendenti,

basata su concretezza e realismo.

Le risorse sono scarse e le persone lo sanno bene, tanto che

dagli intervistati la risposta circa una aspettativa di carriera

o di crescita della retribuzione è sostanzialmente inesistente.

E allora come si sostanzia questo patto tra azienda e

dipendenti, cosa si scambiano le due parti, perché i bisogni

dei dipendenti siano soddisfatti?

Sono soprattutto quattro le direttrici dello scambio;

in primo luogo, le persone sono disponibili ad assumersi

responsabilità, in cambio di coinvolgimento.

Mi assumo la responsabilità delle mie azioni, lavoro orientato

al risultato, anziché al compito, se tu, azienda, mi trasmetti

le informazioni su quello che succede e sulle ragioni delle

decisioni - con continuità, non in modo occasionale - perché

io possa dare senso a quello che faccio ed essere

consapevole dei pericoli.

Quando le informazioni non sono buone (ad esempio, non

stiamo fatturando quello che serve per mantenere tutta la

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struttura), c’è una forte preferenza delle persone ad essere

informate, piuttosto che tenute all’oscuro: è meglio sapere

che stiamo correndo dei rischi, che non saperne niente; così

ci proteggiamo in modo adulto, consapevole.

E’ una nuova forma di protezione che le persone si

aspettano dalle imprese, che passa dalla trasparenza e dalla

visibilità delle informazioni. Si modifica il modo di lavorare

delle Direzioni del Personale e anche dei capi operativi: dare

“cattive notizie” implica la capacità di gestire richieste,

conflitti, dissenso … e non è detto che tutti siano preparati.

Questo ci porta al secondo ambito di scambio tra azienda e

dipendenti:

risultati, performance contro cura, welfare.

La cura che le persone si aspettano è l’esito di una gestione

manageriale tecnica e competente. Come si esplicita questa

cura? Nel preoccuparsi/occuparsi da parte dei capi dei

problemi professionali o personali dei collaboratori? No! Si

esplicita in una buona gestione per obiettivi e del team, nel

creare condizioni di empowerment, nel dare un contributo

concreto alla realizzazione delle attività e nel riconoscere il

merito, essendo coerente nei criteri e nei giudizi. Questa è la

cosa interessante: la cura come competenza manageriale!

Così passiamo alla terza area di scambio:

riconoscimento contro ingaggio.

I collaboratori vogliono essere riconosciuti per quello che

fanno, avendo concordato in modo chiaro quello che il

capo/l’azienda si aspetta e avendo ricevuto una

informazione trasparente sui percorsi di carriera praticabili.

A queste condizioni le persone lavorano ingaggiate, anche in

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assenza di premi e riconoscimenti in denaro, e non sono

disponibili a cedere su questo punto: è un elemento

fondamentale del contratto.

L’ultima area è:

visibilità contro impegno per lo sviluppo.

Le persone desiderano essere “viste” e “visibili” e si

aspettano che i loro contributi siano resi noti, comunicati,

con il nome del proprio autore. Anche in questo caso, si

tratta di una aspettativa che sta nella logica di una relazione

“adulta”, tra un capo che non nasconde il merito altrui -

appropriandosene - e un collaboratore disposto, in cambio, a

dare una vera spinta allo sviluppo dell’azienda e del

business. Uno scambio tra “pari” e alla pari.

Scorrendo i temi rilevati, abbiamo avuto l’impressione che

mancasse qualcosa da questa lista. Pochissimi intervistati

dicono che le persone si aspettano di fare delle cose belle,

cose che a loro piacciono, come se la funzione desiderante -

in questi tempi difficili - non avesse la possibilità di

esprimersi veramente. E’ un dato che registriamo. Tornando

alla vecchia cara scala di Maslow, potremmo sinteticamente

dire che i bisogni principali delle persone vanno a finire su

sicurezza e stima e l’autorealizzazione resta sullo sfondo.

Cosa è cambiato, negli ultimi dieci anni, che ci ha portato a

questa assetto della relazione tra aziende e dipendenti?

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3. Cosa è cambiato negli ultimi dieci anni

Negli ultimi dieci anni c’è stata una “accelerazione radicale”,

che ha avuto tre “driver” principali: evoluzione tecnologica,

globalizzazione dei mercati e crisi economica.

L’evoluzione tecnologica ha modificato il modo di

comunicare, per velocità e numero dei contatti, per la

riduzione del lavoro in team - quantomeno in presenza - a

favore di forme di lavoro individuale e a distanza (talora

queste in team virtuali) e per la perdita di separazione tra

vita di lavoro e vita privata. La stessa tecnologia ha

consentito il nascere di modalità di lavoro “home based” che

ben rispondono all’esigenza di ridurre i costi che la crisi

economica ha portato con sé, ma che contrastano con

l’esigenza delle aziende di avere strutture integrate, con un

alto livello di collaborazione, per fornire un ottimo servizio al

cliente.

Le persone sono diventate una risorsa strategica per

l’impresa, sono più importanti rispetto a dieci anni fa, la loro

qualità è una leva competitiva e, nello stesso tempo, le

risorse scarse non consentono di prestare l’attenzione che

serve al benessere interno.

Ai manager è richiesto di avere cura dei collaboratori e dei

clienti e contemporaneamente di fare “risultati subito”, cosa

che rischia di abbassare il livello del servizio e la

motivazione dei collaboratori, sotto stress.

E’ aumentata l’importanza della dimensione

internazionale e, di conseguenza, del confronto tra culture

e modi di lavorare diversi; allo stesso modo è cresciuta

l’esigenza di una più ampia capacità di collaborazione e di

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integrazione tra generi e generazioni, cosa non sempre

facile. Le mutate condizioni del mercato del lavoro, che

hanno allungato a dismisura i tempi del precariato, hanno

reso difficile per i giovani affezionarsi all’azienda e per le

persone “senior” - che hanno visto allontanarsi il tempo nel

quale andranno in pensione - è difficile mantenere alta la

motivazione e la prestazione.

Ci sono molti “inter-qualcosa” che contano, che lasciano un

segno: inter-genere, inter-generazione, inter-cultura. La

ricerca di nuove forme di collaborazione internazionali,

interculturali, intergenerazionali è uno dei punti di maggiore

attenzione di questo periodo.

Le crisi dell’ultimo decennio stanno determinando un

nuovo profilo di azienda eccellente (o resiliente!), che

sembra essere caratterizzata dalla capacità di stare nelle

contraddizioni, nei paradossi. Le organizzazioni che riescono

a “navigare” nelle acque tempestose di questo inizio di

nuovo millennio, sviluppano la capacità di tenere insieme

spinte opposte, i cui estremi sono entrambi necessari o

inevitabili.

Gli esempi più ricorrenti sono:

– rapidità delle decisioni e coinvolgimento delle persone,

– prudenza/pragmatismo e sguardo verso il futuro,

– lavorare da soli (con le tecnologie per essere veloci) e

lavorare in team,

– orientamento al risultato economico a breve e

innalzamento del livello di servizio,

– attenzione al benessere interno e gestione decisa per

l’ottenimento dei risultati.

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Certo, in alcuni casi possono sembrare dei risultati

impossibili, ma l’”esercizio” di provare a sostituire le e alle o

è forse una delle competenze più importanti per chi guida le

aziende oggi.

Se questo è il contesto, che cosa è richiesto ai manager, che

caratteristiche devono avere per sopravvivere nel nuovo

millennio?

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4. Quali caratteristiche dovrebbero oggi avere

i manager

La prima considerazione che ci sentiamo di fare, sulla base

delle risposte alla domanda sulle caratteristiche dei

manager, è che si sono sfatati alcuni miti: il mito

dell’innovazione, della gestione del cambiamento e della

competenza emotiva. Quante volte abbiamo sentito

nominare queste competenze come le competenze chiave

del management oggi! La nostra ricerca le mostra sotto una

nuova luce.

L’innovazione è una competenza articolata che tiene, dentro

di sé, concretezza e diagnosi dell’esistente insieme a

visionarietà sul futuro. E’ come se l’innovazione pura e

semplice non interessasse più, troppo costosa, troppo

rischiosa, a volte troppo poco coerente col marchio e le

specificità dell’impresa. Il manager efficace è un visionario

che sa immaginare una buona strada da percorrere per

l’impresa ed è anche ancorato, saldato al business, per

poterlo coerentemente reinventare. E’ quello che è successo,

ad esempio, in alcune grandi aziende della moda e del lusso,

nelle quali gli stilisti che si sono affermati, ricevendo il

testimone dal fondatore dell’azienda e del marchio, ci sono

riusciti valorizzando gli archivi storici della “maison”,

reinventando la tradizione. Il manager innovatore è capace

di un continuo rinnovamento dentro la tradizione, ha “visioni

in movimento” - come qualcuno degli intervistati ci ha

raccontato - che prendono ispirazione dalla concreta realtà

dell’impresa. Per gli stake holder, gli azionisti e anche i

collaboratori, questa modalità è rassicurante perché la

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continuità consente di comprendere le scelte, le decisioni e

la novità di sentire che c’è anche un pensiero strategico,

orientato al futuro. Se dovessimo dare un nome a questa

competenza, potremmo chiamarla l’innovazione concreta.

La gestione del cambiamento è la seconda area di

competenza che si profila in modo nuovo. Il cambiamento

veloce richiede continui aggiustamenti e così i capi devono

continuare a organizzare e riorganizzare. ”Riorganizzare”

può voler dire accorpare, delocalizzare, concentrare,

decentrare e tutto questo ha a che fare con il lavoro e la vita

delle persone. Così il capo che sa gestire questi frequenti

cambiamenti, agisce con moderazione e concretezza,

“riorganizzando”, giorno dopo giorno, attraverso piccoli

aggiustamenti progressivi, cambiando e in parte

conservando, sapendo lavorare sui limiti - organizzativi,

geografici, culturali - senza fare rivoluzioni. Dovessimo

qualificare lo stile di questa forma di gestione del

cambiamento (che è anche gestione della conservazione),

potremmo dire che si tratta di una prudenza audace, che

comprende la voglia e l’interesse di spiegare le ragioni dei

cambiamenti, contenendo l’ansia propria e dei collaboratori.

E questo ci porta al prossimo aspetto e mito da sfatare: la

competenza emotiva. E’ importantissima, ma da sola,

secondo i nostri intervistati, non è sufficiente. Quello che

rende un manager un capo autorevole è un mix di

competenza tecnica (la parte concreta, la parte “dura”, la

solidità della competenza, che comprende anche la capacità

di prendere decisioni) e di intelligenza emotiva e relazionale

(la parte morbida, “accogliente”, che si fa permeare con

l’ascolto). Come si mostra l’autorevolezza in azione? Per

esempio, sapendo ascoltare il parere altrui (intelligenza

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16 “Progetto Ascolto”. Una nuova alleanza tra aziende e persone, di Giulia Bussi

emotiva e relazionale), ma poi decidendo, senza indugi, per

mandare avanti il progetto e mantenere gli impegni presi. La

competenza emotiva, da sola, può portare ad estenuanti

riunioni, nelle quali si ascoltano le idee di tutti e si esce con

la sensazione del nulla di fatto; la presa di decisione senza

confronto (per risparmiare tempo e perché si teme il

conflitto) è difficile che faccia proseliti. Così, la “nuova”

competenza emotiva, per i “nuovi” manager, comprende

saper essere accogliente verso le idee degli altri e

contemporaneamente usare la propria influenza per far

affermare le proprie conclusioni e decisioni, facendosi

seguire. Che nome dare a questa competenza? L’ascolto

deciso.

Insomma, anche ritornando a quanto già espresso nel primo

paragrafo, l’eccellenza di oggi sembra proprio consistere

nella capacità di stare nelle contraddizioni, dando vita ad

antinomie generative, con l’integrazione di aspetti

apparentemente contradditori. Ascoltare tutti e decidere da

soli sono due polarità opposte nella relazione con gli altri.

Quando le opposte polarità producono un’antinomia

generativa? Quando io, capo, ad esempio, creo le condizioni

per un dibattito vero, trasparente, del cui esito tenere conto

al momento di prendere la decisione, sapendo ascoltare gli

altri, senza temere che non siano d’accordo con me.

Abbiamo spesso sentito ripetere, come se fosse uno slogan,

che la “capacità di gestire la complessità” è la risorsa chiave

della nostra epoca; forse non sapevamo come

concretamente rappresentarla in azioni. Attraverso la nostra

ricerca, questa capacità si traduce in esempi concreti di

persone che, giorno dopo giorno, sanno (o cercano di)

trovare l’integrazione che funziona tra gli estremi.

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5. Conclusioni

Come concludere? E’ difficile mettere in sintesi la ricchezza

e la varietà dei contributi. Se avessimo fatto queste

interviste cinque o anche dieci anni fa sarebbe uscito

qualcosa di significativamente diverso? A noi vengono in

mente tre cose:

1. più capacità “certe” e “sicure” (le persone, i manager

devono avere a, b, c … perché queste sono le cose che

funzionano!) e meno metacapacità (persone che sanno

stare nel non certo, nel non chiaro, nel mutevole …),

2. più “maschile” e meno “femminile”, meno caratteristiche

quali cura, attenzione, ascolto, che oggi vanno a

sommarsi - non a sostituire - le caratteristiche del

maschile (decisione, guida, influenza …), per costruire

una leadership “realistica”,

3. e, per quanto riguarda le persone, assistiamo al

cambiamento più significativo, perché cominciano a

chiedere davvero qualcosa di più alle aziende e non solo

carriera, soldi e status, ma anche partecipazione, senso,

“lavoro in sé” e (forse solo in parte, come notavamo

alla fine del secondo paragrafo) opportunità per

sviluppare le proprie caratteristiche e i propri talenti.

Forse il filo conduttore di queste righe è contenuto in alcune

parole chiave, tra loro simili: serietà, trasparenza, equilibrio,

rispetto. Sono valori antichi e nuovi nello stesso tempo, che

- affermandosi - diventano costituitivi di una nuova etica

d’impresa, alla base di un’alleanza tra azienda e dipendenti,

costruita su basi solide, concrete, oneste.

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18 “Progetto Ascolto”. Una nuova alleanza tra aziende e persone, di Giulia Bussi

Appendice

Le domande della nostra intervista

1. Pensando alle persone che lavorano nella tua azienda,

alle sfide in atto e al momento storico che

attraversiamo, quali sono le caratteristiche ideali che le

persone, a tuo parere, dovrebbero possedere?

2. E quali caratteristiche dovrebbero avere i manager?

3. Da questo punto di vista, che cosa è cambiato negli

ultimi dieci anni?

4. Puoi mettere a fuoco la distanza, se c’è, tra questo

ideale e la situazione attuale?

5. Quali sono, secondo te, i principali bisogni - rispetto alla

loro esperienza professionale - che hanno le persone

della tua azienda?

6. Quali sono le azioni coerenti che la tua azienda sta

mettendo a punto rispetto alle persone2?

2 Ringrazio particolarmente Paola Ellero che – insieme a me – ha riletto e messo in

sintesi le interviste, ricercando i temi comuni.

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“Progetto Ascolto”. Una nuova alleanza tra aziende e persone, di Giulia Bussi 19

Le aziende che hanno partecipato alla nostra

ricerca

– Amplifon

– Autogrill

– Azimut-Benetti Group

– Bausch&Lomb

– Brico

– Cerved Group

– CGT

– Conforama Italia

– Decathlon Italia

– Diversey -Gruppo Seledair

– EOC

– Finiper

– FPT Industrial

– Gamestop

– GDF Suez Italia

– Groupama

– IMS Health

– Instrumentation Laboratory

– Intesa SanPaolo

– KPNQWest

– La Rinascente

– Lundbeck

– Luxottica

– Meda Pharma

– Novacoop

– Oto Melara

– Parexel

– SAP Italia

– Tech Data

– Versace

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20 “Progetto Ascolto”. Una nuova alleanza tra aziende e persone, di Giulia Bussi

Giulia Bussi

Consulente, formatore e coach, lavora per la società di consulenza

Mida S.p.A. Si occupa di formazione finalizzata allo sviluppo di

comportamenti organizzativi funzionali all’efficacia nel ruolo e nel

contesto organizzativo, al coordinamento di persone e gruppi, alla

collaborazione in team. In consulenza, lavora su progetti di

accompagnamento al cambiamento, attraverso il modellamento di

esperienze di successo e l’individuazione dei principi di

funzionamento e dell’identità organizzativa delle imprese. Sta

frequentando la Scuola di Counselling presso la cooperativa

Terrenuove di Milano.

[email protected]

“PROGETTO ASCOLTO”. La costruzione di una nuova alleanza tra aziende e

persone nel nuovo millennio, by Giulia Bussi is licensed under a Creative Commons

3.0 Italia License, dicembre 2014.

Page 21: Progetto Ascolto, di Giulia Bussi

Mida SpA Via Antonio da Recanate, 1

20124 Milano - Italy Tel. 026691845 - Fax 026697220 www.mida.biz – [email protected]

In copertina

L’ideogramma 再 significa: “di nuovo”, “un’altra volta”.

Rappresenta qualcosa che c’è già stato e che si ripresenta.

Per noi significa il ritorno, oggi, di valori antichi, quali la serietà, la trasparenza, l’equilibrio e il rispetto, sui quali costruire una nuova alleanza tra aziende e dipendenti.