Progetto Ascolto, di Giulia Bussi
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Ideogramma cinese “zaì” = “di nuovo” “un’altra volta”
“PROGETTO ASCOLTO”
La costruzione di una nuova alleanza tra
aziende e persone nel nuovo millennio
di Giulia Bussi
2 “Progetto Ascolto”. Una nuova alleanza tra aziende e persone, di Giulia Bussi
Con la linea IDEOGRAMMI Mida si propone di pubblicare le sue ricerche, intese come risultato di studi, pensieri, interpretazioni che gli autori
traggono dalla diretta esperienza sul campo. Ma non solo. I contributi sono anche frutto del desiderio di raccontare l’approccio
peculiare di Mida alla professione attraverso i suoi stessi protagonisti.
“PROGETTO ASCOLTO”
La costruzione di una nuova alleanza
tra aziende e persone
nel nuovo millennio
di Giulia Bussi
“Progetto Ascolto”. Una nuova alleanza tra aziende e persone, di Giulia Bussi 3
Introduzione
Lo scorso settembre Mida ha compiuto 40 anni e tutti noi, partner e consulenti, ne siamo molto fieri. Abbiamo festeggiato con gioia
un compleanno che cade in un’epoca per tutti difficile da interpretare e da vivere. Alcune domande ci “inseguono” da un po’ di tempo: che cosa fanno effettivamente le aziende per gestire le
loro persone in modo da ottenere prestazioni di successo? E cosa fanno verso i dipendenti per facilitare che siano soddisfatti, ingaggiati, motivati, malgrado i tagli, le incertezze, il sovraccarico di lavoro? Così abbiamo pensato di andare a
chiederlo a chi le aziende le gestisce davvero - Direttori Generali, Direttori Operativi, Capi del Personale - e abbiamo realizzato più di 30 interviste, di cui ci fa piacere raccontarvi quello che abbiamo “capito”1 .
Facendo la sintesi e aggregando i pareri di tutti gli intervistati non emergono profili omogenei, perché le caratteristiche indicate come
ideali - per i capi, per i collaboratori - si combinano in modo
differente e vario, per i diversi intervistati. Troverete un elenco di caratteristiche che non possono certamente essere “incarnate” da una sola persona, a meno di non essere “super-man/woman”, ma che costituiscono la somma dei punti di vista di tutti.
Grazie e buona lettura!
1 In appendice trovate l’elenco delle aziende che hanno partecipato alla nostra ricerca
e la struttura dell’intervista. Una prima presentazione dei risultati del nostro progetto,
che abbiamo chiamato “Ascolto”, è stata fatta nel corso della festa per i 40 anni di
Mida, che si è tenuta il 25 settembre 2014.
4 “Progetto Ascolto”. Una nuova alleanza tra aziende e persone, di Giulia Bussi
1. Le caratteristiche ideali che oggi le persone
dovrebbero possedere
Un primo aspetto che emerge dalla ricerca è che gli
intervistati, pur non essendo degli specialisti di HR in senso
stretto (a parte gli HR manager che hanno fatto parte del
campione), utilizzano un linguaggio da esperti di gestione e
sviluppo delle persone: parlano di competenze e ne sanno
dare una connotazione “concreta” e precisa.
E’ come se ci fosse stato, in questi anni di crisi, un affinarsi
del modo di parlare delle competenze, non più terreno
specialistico delle HR, ma linguaggio comune ai manager
che, disponendo di un numero sempre più ridotto di risorse
su cui contare, hanno potenziato la conoscenza tecnica delle
loro persone.
Uno dei fattori più citati è la propensione al cambiamento, la
flessibilità, l’adattabilità. Sappiamo che parlare di questo
potrebbe significare parlare di tutto e niente; viceversa, gli
esempi delle persone sono concreti. Cosa vuol dire essere
adattabile? Vuol dire farsi domande del tipo “Dove posso
migliorare?”, “Come posso crescere?”, avere la disponibilità,
la voglia di reinventare nuovi modi di lavorare (magari
quando si è “over fifty”), saper vedere gli aspetti di
opportunità nelle situazioni difficili.
Ascoltando i vari contributi ci ha colpito un elemento
ricorrente: quasi tutti gli intervistati si aspettano
collaboratori che sappiano stare nelle contraddizioni,
facendole diventare una risorsa. Infatti le competenze che
abbiamo raccolto non sono riconducibili ad una singola
capacità (per esempio, l’adattabilità), ma costituiscono
“Progetto Ascolto”. Una nuova alleanza tra aziende e persone, di Giulia Bussi 5
l’integrazione di due capacità, potenzialmente tra loro in
contraddizione o, come minimo, in opposizione.
Cominciamo a guardare una di queste, l’”agility”.
Agility
Prima competenza per numero di citazioni, l’”agility” si
sviluppa quando si è capaci di tenere insieme l’adattabilità
alle diverse situazioni, con la velocità e la brillantezza del
pensiero.
La combinazione dei due elementi porta ad un pensiero in
qualche modo “concreto”, che sa stare collegato con la
realtà del momento e che, per esempio, si sostanzia nella
rapidità con cui ci si prepara agli scenari che si modificano:
l’astrazione e la concretezza del pensiero coniugati!
Self leadership
Chiamiamo il secondo ambito di competenza “Self
leadership”: comprende la capacità di proporsi, di utilizzare
la propria influenza e contemporaneamente saperlo fare in
modo compatibile al contesto.
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Self leadership è un po’ più stuzzicante del termine
“leadership diffusa”, ma il senso è quello: la capacità, da
parte di tutti, qualunque sia il ruolo organizzativo occupato,
di esercitare la propria influenza, di proporre le proprie idee
e convincere gli altri della loro bontà, di essere protagonisti.
In questi tempi di crisi tutto serve alle imprese, tranne
persone che “stiano indietro”, passive, rinunciatarie.
La cosa interessante, a nostro parere, è che self leadership
comprende la capacità di auto-motivarsi, ma anche di auto-
controllarsi: questo è l’altro lato della medaglia, l’opposto
che - se integrato - genera comportamenti virtuosi. La self
leadership funziona se si ha il senso del limite, se si capisce
dove fermarsi, evitando di diventare aggressivi,
ingombranti, poco rispettosi degli spazi altrui: è un grande
esercizio di equilibrio.
Passione e partecipazione
Passione e partecipazione includono gli opposti della spinta
in avanti - propria della curiosità e della voglia di fare - con
l’ancoraggio alla realtà dell’impresa, alla vera, leale
identificazione con l’azienda, che porta a spendersi per il suo
successo.
Se sono molto appassionato di quello che faccio, se seguo la
mia curiosità, le mie idee, corro il rischio di perseguire una
strada personale, di andare avanti come imprenditore di me
stesso. La lealtà all’impresa, il coordinare gli sforzi personali
perché siano strettamente connessi con il business, è
l’aspetto che genera una sinergia virtuosa. Questo ci è stato
raccontato e noi ce lo/la immaginiamo questo uomo/donna
così “contemporaneo”, che si spinge verso il futuro e
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contemporaneamente è ancorato/a all’oggi; ci immaginiamo
i suoi dubbi, le sue perplessità, la fatica.
Costanza e coraggio
L’ultimo ambito di competenza è:
La costanza e l’eccezionalità della prestazione, insieme,
connotano questa competenza. Ci è stato raccontato che ci
si aspettano persone che sappiano lavorare con continuità,
per “dare risultati oggi”, perché in questi tempi difficili c’è
bisogno di grande motivazione a fare, con continuità e
pazienza, giorno dopo giorno. Contemporaneamente serve
accostare, non sempre, non tutti i giorni, la capacità di “fare
di più”, l’eccezionalità della prestazione, come risultato a
tendere, come aspirazione diffusa. Una competenza
bellissima e così realistica, comprensibile, seria, come quelle
che l’hanno preceduta.
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2. I principali bisogni delle persone oggi
Se queste sono le caratteristiche ideali, che chi dirige le
aziende desidera trovare nei propri collaboratori, quali sono
viceversa i bisogni delle persone, cosa si aspettano oggi i
dipendenti dalle imprese? Sembra che ci sia una diffusa
domanda di “adultità”, forse non ancora pienamente
affermatasi. Le persone si aspettano di stabilire con
l’azienda un patto chiaro, basato sul reciproco rispetto. Gli
ultimi travagliati anni hanno fatto emergere un bisogno
“antico”, il rispetto, e posto le premesse per la costruzione
di una relazione nuova tra l’azienda e i suoi dipendenti,
basata su concretezza e realismo.
Le risorse sono scarse e le persone lo sanno bene, tanto che
dagli intervistati la risposta circa una aspettativa di carriera
o di crescita della retribuzione è sostanzialmente inesistente.
E allora come si sostanzia questo patto tra azienda e
dipendenti, cosa si scambiano le due parti, perché i bisogni
dei dipendenti siano soddisfatti?
Sono soprattutto quattro le direttrici dello scambio;
in primo luogo, le persone sono disponibili ad assumersi
responsabilità, in cambio di coinvolgimento.
Mi assumo la responsabilità delle mie azioni, lavoro orientato
al risultato, anziché al compito, se tu, azienda, mi trasmetti
le informazioni su quello che succede e sulle ragioni delle
decisioni - con continuità, non in modo occasionale - perché
io possa dare senso a quello che faccio ed essere
consapevole dei pericoli.
Quando le informazioni non sono buone (ad esempio, non
stiamo fatturando quello che serve per mantenere tutta la
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struttura), c’è una forte preferenza delle persone ad essere
informate, piuttosto che tenute all’oscuro: è meglio sapere
che stiamo correndo dei rischi, che non saperne niente; così
ci proteggiamo in modo adulto, consapevole.
E’ una nuova forma di protezione che le persone si
aspettano dalle imprese, che passa dalla trasparenza e dalla
visibilità delle informazioni. Si modifica il modo di lavorare
delle Direzioni del Personale e anche dei capi operativi: dare
“cattive notizie” implica la capacità di gestire richieste,
conflitti, dissenso … e non è detto che tutti siano preparati.
Questo ci porta al secondo ambito di scambio tra azienda e
dipendenti:
risultati, performance contro cura, welfare.
La cura che le persone si aspettano è l’esito di una gestione
manageriale tecnica e competente. Come si esplicita questa
cura? Nel preoccuparsi/occuparsi da parte dei capi dei
problemi professionali o personali dei collaboratori? No! Si
esplicita in una buona gestione per obiettivi e del team, nel
creare condizioni di empowerment, nel dare un contributo
concreto alla realizzazione delle attività e nel riconoscere il
merito, essendo coerente nei criteri e nei giudizi. Questa è la
cosa interessante: la cura come competenza manageriale!
Così passiamo alla terza area di scambio:
riconoscimento contro ingaggio.
I collaboratori vogliono essere riconosciuti per quello che
fanno, avendo concordato in modo chiaro quello che il
capo/l’azienda si aspetta e avendo ricevuto una
informazione trasparente sui percorsi di carriera praticabili.
A queste condizioni le persone lavorano ingaggiate, anche in
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assenza di premi e riconoscimenti in denaro, e non sono
disponibili a cedere su questo punto: è un elemento
fondamentale del contratto.
L’ultima area è:
visibilità contro impegno per lo sviluppo.
Le persone desiderano essere “viste” e “visibili” e si
aspettano che i loro contributi siano resi noti, comunicati,
con il nome del proprio autore. Anche in questo caso, si
tratta di una aspettativa che sta nella logica di una relazione
“adulta”, tra un capo che non nasconde il merito altrui -
appropriandosene - e un collaboratore disposto, in cambio, a
dare una vera spinta allo sviluppo dell’azienda e del
business. Uno scambio tra “pari” e alla pari.
Scorrendo i temi rilevati, abbiamo avuto l’impressione che
mancasse qualcosa da questa lista. Pochissimi intervistati
dicono che le persone si aspettano di fare delle cose belle,
cose che a loro piacciono, come se la funzione desiderante -
in questi tempi difficili - non avesse la possibilità di
esprimersi veramente. E’ un dato che registriamo. Tornando
alla vecchia cara scala di Maslow, potremmo sinteticamente
dire che i bisogni principali delle persone vanno a finire su
sicurezza e stima e l’autorealizzazione resta sullo sfondo.
Cosa è cambiato, negli ultimi dieci anni, che ci ha portato a
questa assetto della relazione tra aziende e dipendenti?
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3. Cosa è cambiato negli ultimi dieci anni
Negli ultimi dieci anni c’è stata una “accelerazione radicale”,
che ha avuto tre “driver” principali: evoluzione tecnologica,
globalizzazione dei mercati e crisi economica.
L’evoluzione tecnologica ha modificato il modo di
comunicare, per velocità e numero dei contatti, per la
riduzione del lavoro in team - quantomeno in presenza - a
favore di forme di lavoro individuale e a distanza (talora
queste in team virtuali) e per la perdita di separazione tra
vita di lavoro e vita privata. La stessa tecnologia ha
consentito il nascere di modalità di lavoro “home based” che
ben rispondono all’esigenza di ridurre i costi che la crisi
economica ha portato con sé, ma che contrastano con
l’esigenza delle aziende di avere strutture integrate, con un
alto livello di collaborazione, per fornire un ottimo servizio al
cliente.
Le persone sono diventate una risorsa strategica per
l’impresa, sono più importanti rispetto a dieci anni fa, la loro
qualità è una leva competitiva e, nello stesso tempo, le
risorse scarse non consentono di prestare l’attenzione che
serve al benessere interno.
Ai manager è richiesto di avere cura dei collaboratori e dei
clienti e contemporaneamente di fare “risultati subito”, cosa
che rischia di abbassare il livello del servizio e la
motivazione dei collaboratori, sotto stress.
E’ aumentata l’importanza della dimensione
internazionale e, di conseguenza, del confronto tra culture
e modi di lavorare diversi; allo stesso modo è cresciuta
l’esigenza di una più ampia capacità di collaborazione e di
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integrazione tra generi e generazioni, cosa non sempre
facile. Le mutate condizioni del mercato del lavoro, che
hanno allungato a dismisura i tempi del precariato, hanno
reso difficile per i giovani affezionarsi all’azienda e per le
persone “senior” - che hanno visto allontanarsi il tempo nel
quale andranno in pensione - è difficile mantenere alta la
motivazione e la prestazione.
Ci sono molti “inter-qualcosa” che contano, che lasciano un
segno: inter-genere, inter-generazione, inter-cultura. La
ricerca di nuove forme di collaborazione internazionali,
interculturali, intergenerazionali è uno dei punti di maggiore
attenzione di questo periodo.
Le crisi dell’ultimo decennio stanno determinando un
nuovo profilo di azienda eccellente (o resiliente!), che
sembra essere caratterizzata dalla capacità di stare nelle
contraddizioni, nei paradossi. Le organizzazioni che riescono
a “navigare” nelle acque tempestose di questo inizio di
nuovo millennio, sviluppano la capacità di tenere insieme
spinte opposte, i cui estremi sono entrambi necessari o
inevitabili.
Gli esempi più ricorrenti sono:
– rapidità delle decisioni e coinvolgimento delle persone,
– prudenza/pragmatismo e sguardo verso il futuro,
– lavorare da soli (con le tecnologie per essere veloci) e
lavorare in team,
– orientamento al risultato economico a breve e
innalzamento del livello di servizio,
– attenzione al benessere interno e gestione decisa per
l’ottenimento dei risultati.
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Certo, in alcuni casi possono sembrare dei risultati
impossibili, ma l’”esercizio” di provare a sostituire le e alle o
è forse una delle competenze più importanti per chi guida le
aziende oggi.
Se questo è il contesto, che cosa è richiesto ai manager, che
caratteristiche devono avere per sopravvivere nel nuovo
millennio?
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4. Quali caratteristiche dovrebbero oggi avere
i manager
La prima considerazione che ci sentiamo di fare, sulla base
delle risposte alla domanda sulle caratteristiche dei
manager, è che si sono sfatati alcuni miti: il mito
dell’innovazione, della gestione del cambiamento e della
competenza emotiva. Quante volte abbiamo sentito
nominare queste competenze come le competenze chiave
del management oggi! La nostra ricerca le mostra sotto una
nuova luce.
L’innovazione è una competenza articolata che tiene, dentro
di sé, concretezza e diagnosi dell’esistente insieme a
visionarietà sul futuro. E’ come se l’innovazione pura e
semplice non interessasse più, troppo costosa, troppo
rischiosa, a volte troppo poco coerente col marchio e le
specificità dell’impresa. Il manager efficace è un visionario
che sa immaginare una buona strada da percorrere per
l’impresa ed è anche ancorato, saldato al business, per
poterlo coerentemente reinventare. E’ quello che è successo,
ad esempio, in alcune grandi aziende della moda e del lusso,
nelle quali gli stilisti che si sono affermati, ricevendo il
testimone dal fondatore dell’azienda e del marchio, ci sono
riusciti valorizzando gli archivi storici della “maison”,
reinventando la tradizione. Il manager innovatore è capace
di un continuo rinnovamento dentro la tradizione, ha “visioni
in movimento” - come qualcuno degli intervistati ci ha
raccontato - che prendono ispirazione dalla concreta realtà
dell’impresa. Per gli stake holder, gli azionisti e anche i
collaboratori, questa modalità è rassicurante perché la
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continuità consente di comprendere le scelte, le decisioni e
la novità di sentire che c’è anche un pensiero strategico,
orientato al futuro. Se dovessimo dare un nome a questa
competenza, potremmo chiamarla l’innovazione concreta.
La gestione del cambiamento è la seconda area di
competenza che si profila in modo nuovo. Il cambiamento
veloce richiede continui aggiustamenti e così i capi devono
continuare a organizzare e riorganizzare. ”Riorganizzare”
può voler dire accorpare, delocalizzare, concentrare,
decentrare e tutto questo ha a che fare con il lavoro e la vita
delle persone. Così il capo che sa gestire questi frequenti
cambiamenti, agisce con moderazione e concretezza,
“riorganizzando”, giorno dopo giorno, attraverso piccoli
aggiustamenti progressivi, cambiando e in parte
conservando, sapendo lavorare sui limiti - organizzativi,
geografici, culturali - senza fare rivoluzioni. Dovessimo
qualificare lo stile di questa forma di gestione del
cambiamento (che è anche gestione della conservazione),
potremmo dire che si tratta di una prudenza audace, che
comprende la voglia e l’interesse di spiegare le ragioni dei
cambiamenti, contenendo l’ansia propria e dei collaboratori.
E questo ci porta al prossimo aspetto e mito da sfatare: la
competenza emotiva. E’ importantissima, ma da sola,
secondo i nostri intervistati, non è sufficiente. Quello che
rende un manager un capo autorevole è un mix di
competenza tecnica (la parte concreta, la parte “dura”, la
solidità della competenza, che comprende anche la capacità
di prendere decisioni) e di intelligenza emotiva e relazionale
(la parte morbida, “accogliente”, che si fa permeare con
l’ascolto). Come si mostra l’autorevolezza in azione? Per
esempio, sapendo ascoltare il parere altrui (intelligenza
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emotiva e relazionale), ma poi decidendo, senza indugi, per
mandare avanti il progetto e mantenere gli impegni presi. La
competenza emotiva, da sola, può portare ad estenuanti
riunioni, nelle quali si ascoltano le idee di tutti e si esce con
la sensazione del nulla di fatto; la presa di decisione senza
confronto (per risparmiare tempo e perché si teme il
conflitto) è difficile che faccia proseliti. Così, la “nuova”
competenza emotiva, per i “nuovi” manager, comprende
saper essere accogliente verso le idee degli altri e
contemporaneamente usare la propria influenza per far
affermare le proprie conclusioni e decisioni, facendosi
seguire. Che nome dare a questa competenza? L’ascolto
deciso.
Insomma, anche ritornando a quanto già espresso nel primo
paragrafo, l’eccellenza di oggi sembra proprio consistere
nella capacità di stare nelle contraddizioni, dando vita ad
antinomie generative, con l’integrazione di aspetti
apparentemente contradditori. Ascoltare tutti e decidere da
soli sono due polarità opposte nella relazione con gli altri.
Quando le opposte polarità producono un’antinomia
generativa? Quando io, capo, ad esempio, creo le condizioni
per un dibattito vero, trasparente, del cui esito tenere conto
al momento di prendere la decisione, sapendo ascoltare gli
altri, senza temere che non siano d’accordo con me.
Abbiamo spesso sentito ripetere, come se fosse uno slogan,
che la “capacità di gestire la complessità” è la risorsa chiave
della nostra epoca; forse non sapevamo come
concretamente rappresentarla in azioni. Attraverso la nostra
ricerca, questa capacità si traduce in esempi concreti di
persone che, giorno dopo giorno, sanno (o cercano di)
trovare l’integrazione che funziona tra gli estremi.
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5. Conclusioni
Come concludere? E’ difficile mettere in sintesi la ricchezza
e la varietà dei contributi. Se avessimo fatto queste
interviste cinque o anche dieci anni fa sarebbe uscito
qualcosa di significativamente diverso? A noi vengono in
mente tre cose:
1. più capacità “certe” e “sicure” (le persone, i manager
devono avere a, b, c … perché queste sono le cose che
funzionano!) e meno metacapacità (persone che sanno
stare nel non certo, nel non chiaro, nel mutevole …),
2. più “maschile” e meno “femminile”, meno caratteristiche
quali cura, attenzione, ascolto, che oggi vanno a
sommarsi - non a sostituire - le caratteristiche del
maschile (decisione, guida, influenza …), per costruire
una leadership “realistica”,
3. e, per quanto riguarda le persone, assistiamo al
cambiamento più significativo, perché cominciano a
chiedere davvero qualcosa di più alle aziende e non solo
carriera, soldi e status, ma anche partecipazione, senso,
“lavoro in sé” e (forse solo in parte, come notavamo
alla fine del secondo paragrafo) opportunità per
sviluppare le proprie caratteristiche e i propri talenti.
Forse il filo conduttore di queste righe è contenuto in alcune
parole chiave, tra loro simili: serietà, trasparenza, equilibrio,
rispetto. Sono valori antichi e nuovi nello stesso tempo, che
- affermandosi - diventano costituitivi di una nuova etica
d’impresa, alla base di un’alleanza tra azienda e dipendenti,
costruita su basi solide, concrete, oneste.
18 “Progetto Ascolto”. Una nuova alleanza tra aziende e persone, di Giulia Bussi
Appendice
Le domande della nostra intervista
1. Pensando alle persone che lavorano nella tua azienda,
alle sfide in atto e al momento storico che
attraversiamo, quali sono le caratteristiche ideali che le
persone, a tuo parere, dovrebbero possedere?
2. E quali caratteristiche dovrebbero avere i manager?
3. Da questo punto di vista, che cosa è cambiato negli
ultimi dieci anni?
4. Puoi mettere a fuoco la distanza, se c’è, tra questo
ideale e la situazione attuale?
5. Quali sono, secondo te, i principali bisogni - rispetto alla
loro esperienza professionale - che hanno le persone
della tua azienda?
6. Quali sono le azioni coerenti che la tua azienda sta
mettendo a punto rispetto alle persone2?
2 Ringrazio particolarmente Paola Ellero che – insieme a me – ha riletto e messo in
sintesi le interviste, ricercando i temi comuni.
“Progetto Ascolto”. Una nuova alleanza tra aziende e persone, di Giulia Bussi 19
Le aziende che hanno partecipato alla nostra
ricerca
– Amplifon
– Autogrill
– Azimut-Benetti Group
– Bausch&Lomb
– Brico
– Cerved Group
– CGT
– Conforama Italia
– Decathlon Italia
– Diversey -Gruppo Seledair
– EOC
– Finiper
– FPT Industrial
– Gamestop
– GDF Suez Italia
– Groupama
– IMS Health
– Instrumentation Laboratory
– Intesa SanPaolo
– KPNQWest
– La Rinascente
– Lundbeck
– Luxottica
– Meda Pharma
– Novacoop
– Oto Melara
– Parexel
– SAP Italia
– Tech Data
– Versace
20 “Progetto Ascolto”. Una nuova alleanza tra aziende e persone, di Giulia Bussi
Giulia Bussi
Consulente, formatore e coach, lavora per la società di consulenza
Mida S.p.A. Si occupa di formazione finalizzata allo sviluppo di
comportamenti organizzativi funzionali all’efficacia nel ruolo e nel
contesto organizzativo, al coordinamento di persone e gruppi, alla
collaborazione in team. In consulenza, lavora su progetti di
accompagnamento al cambiamento, attraverso il modellamento di
esperienze di successo e l’individuazione dei principi di
funzionamento e dell’identità organizzativa delle imprese. Sta
frequentando la Scuola di Counselling presso la cooperativa
Terrenuove di Milano.
“PROGETTO ASCOLTO”. La costruzione di una nuova alleanza tra aziende e
persone nel nuovo millennio, by Giulia Bussi is licensed under a Creative Commons
3.0 Italia License, dicembre 2014.
Mida SpA Via Antonio da Recanate, 1
20124 Milano - Italy Tel. 026691845 - Fax 026697220 www.mida.biz – [email protected]
In copertina
L’ideogramma 再 significa: “di nuovo”, “un’altra volta”.
Rappresenta qualcosa che c’è già stato e che si ripresenta.
Per noi significa il ritorno, oggi, di valori antichi, quali la serietà, la trasparenza, l’equilibrio e il rispetto, sui quali costruire una nuova alleanza tra aziende e dipendenti.