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PRODUZIONI VEGETALI V ANNO AGRARIA AGROALIMENTARE E AGROINDUSTRIA - Il SUOLO - la struttura, le funzioni, la fauna - Le Minacce del Suolo - L'Agricoltura Biologica - L'Agricoltura Integrata - Coltura o Coltivazione - Differenze tra Piante Arboree e Piante Erbacee - Le Tecniche di Coltivazione dell'Olio - Le Tecniche di Produzione dell'Olio - Viticoltura - Tecniche di Coltivazione degli Agrumi - Definizione di Arboricoltura da Legno - Gli Alberi da Frutto, la Coltivazione e la Manutenzione - L'Inerbimento

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PRODUZIONI VEGETALI V ANNO

AGRARIA AGROALIMENTARE E AGROINDUSTRIA

- Il SUOLO - la struttura, le funzioni, la fauna - Le Minacce del Suolo - L'Agricoltura Biologica - L'Agricoltura Integrata - Coltura o Coltivazione - Differenze tra Piante Arboree e Piante Erbacee - Le Tecniche di Coltivazione dell'Olio - Le Tecniche di Produzione dell'Olio - Viticoltura - Tecniche di Coltivazione degli Agrumi - Definizione di Arboricoltura da Legno - Gli Alberi da Frutto, la Coltivazione e la Manutenzione - L'Inerbimento

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CHE COS'E' IL SUOLO

Il suolo è un habitat estremamente vario, uno dei più ricchi di organismi di tutta la biosfera soprattutto dal punto di vista della fauna, detta pedofauna. Il suolo, che può essere considerato quasi un ecotono (vedi 1) in cui si intersecano l’atmosfera, l’idrosfera e la litosfera, è un sistema integrato, con ogni componente calibrata e coordinata con le altre, e in cui qualsiasi alterazione si ripercuote nel funzionamento di tutto l’insieme. Si tratta di una struttura dinamica, che ha una sua origine, una sua vita ed una fase terminale (Bernini et al. 1984). Nel 1911, Raman definiva il suolo come “lo strato superiore della crosta terrestre sottoposto alle intemperie. Esso è costituito da frammenti della roccia madre sbriciolati e rimaneggiati chimicamente, e da detriti di piante e animali”(Coineau, 1974). Nel 1998 la FAO ha fornito un’ ulteriore definizione di suolo: il suolo è un corpo naturale continuo, caratterizzato da tre importanti proprietà: - organizzazione in strutture, specifiche per il mezzo pedologico, che ne determinano la morfologia; - composizione, caratterizzata da costituenti minerali e organici, che comprende fasi solide, liquide e gassose; - costante evoluzione nel tempo. Il suolo è quindi un’entità dinamica in continua evoluzione. Questo fenomeno è dato dall’interazione tra diversi aspetti: - aspetto fisico, - aspetto chimico, - aspetto biologico. ASPETTO FISICO Le due caratteristiche fisiche più importanti per definire un suolo sono la tessitura e la struttura. La tessitura è la classificazione dei terreni in base alle dimensioni delle particelle minerali che lo costituiscono (granulometria): i sassi (< 2 cm), la ghiaia (da 2 cm - 2 mm), la sabbia grossolana (2 - 0,2 mm), la sabbia fine (0,2 - 0,05 mm), i fanghi grossolani (0,05 - 0,02 mm), i fanghi fini (0,02 -0,002mm), l’argilla (< 0,002 mm). In base alla granulometria caratteristica di un certo terreno è possibile distinguere la tipologia di appartenenza; per questo si individuano normalmente quattro tipi principali di suolo:

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sabbioso: è un suolo facilmente lavorabile, la sostanza organica viene velocemente mineralizzata, ha una scarsissima capacità di ritenuta idrica ed è povero in elementi nutritivi. Il suolo sabbioso contiene più del 65% di sabbia. argilloso: viene definito anche “terreno pesante” a causa della sua resistenza alle lavorazioni, ma trattiene risorse idriche ed elementi nutritivi. A causa della scarsa permeabilità può dar origine a fenomeni di ristagno idrico con conseguente asfissia radicale. Il suolo argilloso contiene mediamente più del 40% di argilla. humifero: è un suolo contenete più del 10% di sostanza organica; normalmente costituisce i terreni forestali, torbosi o quelli che per lunghi anni (anche secoli) sono stati coltivati ad orto. calcareo: è un suolo che contiene elevate quantità di calcare, normalmente più del 20%. La roccia calcarea tende a creare superficialmente una crosta che impedisce all’aria e all’acqua di penetrarla e circolare liberamente, condizionando negativamente l’ossigenazione delle radici delle piante e la germogliazione dei semi. La struttura è la modalità con cui le diverse particelle di terreno si aggregano formando dei grumi aventi diametro fino a 10 mm; l’aggregazione è possibile a seguito delle interazioni fisiche e chimiche tra le componenti minerali e la sostanza organica costituita dall’humus. In ogni grumo saranno presenti tutte i componenti del terreno; la struttura sarà migliore quanto più il grumo sarà resistente alle forze (es. pioggia) che tendono a disgregarlo. La struttura influenza importanti proprietà fisiche dei suoli quali l’aerazione, la permeabilità e di conseguenza la ritenzione idrica totale di un suolo, ovvero il volume complessivo di acqua che un suolo può trattenere in modo temporaneo. ASPETTO CHIMICO I parametri che caratterizzano chimicamente un suolo sono il pH, la sostanza organica e gli elementi nutritivi per la vita delle piante presenti nel terreno. Il pH è un parametro chimico che consente di determinare l’acidità o l’alcalinità (vedi 2) della soluzione circolante del terreno. Conoscere il pH del terreno è molto importante poiché le piante presentano diversi gradi di tolleranza e poiché a diversi livelli di pH corrispondono diverse disponibilità di elementi nutritivi. I valori di pH variano da 1 a 14 e in base a questi si distinguono tre tipi di terreno: - terreni acidi con valori da 1 a 6.8 - terreni neutri con valori tra 6.8 e 7.2 - terreni alcalini o basici con valori tra 7.2 e 14 I terreni migliori sono quelli neutri ai quali riescono ad adattarsi la maggior parte delle piante.

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La sostanza organica è una qualsiasi materia di origine biologica presente nel terreno (biomasse vegetali, resti animali…). Quando la sostanza organica ha subito una notevole trasformazione, causata dall’attacco dei microrganismi, si presenta omogenea e di colore scuro e viene detta humus (vedi 3). Le funzioni della sostanza organica sono molteplici e rivestono una grande importanza per il mantenimento della fertilità del suolo. In particolare la sostanza organica incrementa la capacità di acqua tra le particelle minerali, apporta sostanze nutritive in modo equilibrato, stimola l’attività radicale e più in generale lo sviluppo complessivo delle piante. Gli elementi nutritivi rappresentano quella categoria di ioni o molecole la cui assunzione è indispensabile per gli organismi viventi, siano essi vegetali, animali, funghi o batteri. Sono costituiti o derivano dalla combinazione di elementi che possono essere raggruppati, sulla base della loro rappresentatività percentuale, in macroelementi e microelementi: - i macroelementi sono le sostanze che si riscontrano con maggiore frequenza in tutte le principali molecole biologiche. Ossigeno, azoto, carbonio, idrogeno, sono gli elementi preponderanti, ma grande importanza hanno anche zolfo, fosforo, sodio, potassio, calcio, magnesio e cloro sotto forma di ione cloruro (Cl). - i microelementi sono richiesti in quantità estremamente ridotte. I più importanti sono: ferro, manganese, zinco, rame, cobalto, nickel, selenio, molibdeno, cromo, iodio come ioduro e silicio. 1 ECOTONO L’ ecotono è un ambiente di transizione tra due ecosistemi e più in generale tra due ambienti omogenei. Gli ecotoni contengono specie proprie delle comunità confinanti e specie esclusive dell'area ecotonale stessa e quindi possiedono un'elevata biodiversità e ricchezza. Queste sue peculiarità rendono l'ecotono indispensabile poiché proprio attraverso queste strutture avviene il collegamento fra ambienti molto diversi tra loro (boschi-prati, laghi-foreste, acque dolci-acque salate). 2 ACIDI E BASI Nel mondo esistono milioni di sostanze chimiche. Alcune di esse hanno proprietà acide ed altre basiche. Gli acidi sono sostanze che poste in acqua liberano ioni idrogeno (H+), chiamati anche idrogenioni. Le basi sono sostanze che poste in acqua liberano ioni idrossido (OH). Questi ioni reagiscono con gli ioni idrogeno formando molecole d'acqua: H+ + OH- = H2O

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In questo modo le sostanze basiche fanno diminuire la concentrazione degli ioni idrogeno. Una soluzione ricca di ioni idrogeno è acida, una sostanza povera di ioni idrogeno è basica. Nello stesso modo, anche le basi possono essere più o meno forti. Acidi e basi diluite sono meno concentrate e meno aggressive, mentre quelle concentrate sono molto corrosive e pericolose. 3 L’HUMUS Uno dei fattori più importanti che determinano la fertilità dei terreni agrari è la sostanza organica. In quanto costituita dall’insieme di tutti i composti di origine non minerale presenti nel terreno, comprende sia il materiale, la biomassa, i tessuti e i residui, vegetali e animali freschi, sia quelli in stato di decomposizione più o meno avanzata. Ma ciò che fornisce la maggior capacità nutritiva alle piante, è una forma particolarmente elaborata di sostanza organica: l’humus. Esso deriva dalla sostanza organica decomposta negli strati superficiali del terreno, attraverso un ciclo di reazioni biologiche particolarmente articolato. Una buona dotazione di sostanza organica, e quindi di humus, sta alla base di una soddisfacente fertilità del terreno, di una buona struttura dello stesso e garantisce lo svolgimento delle più importanti attività microbiche. La struttura del suolo Quando le condizioni sono favorevoli, le azioni congiunte dei fattori fisici, chimici e biologici portano alla formazione, sulla roccia madre e sotto la copertura vegetale, di uno strato relativamente complesso che evolve verso un certo equilibrio. Quando si raggiunge tale condizione si ha un suolo maturo. Un simile tipo di suolo è costituito da più strati disposti gli uni sotto gli altri. Come mostrato in Fig.1, il profilo di un suolo completamente sviluppato, ovvero gli strati (o orizzonti) che lo compongono, sono: la zona attiva formata: - dalla lettiera - dalla lettiera in decomposizione - dall'humus la zona inerte formata: - dallo strato di minerali - dalla roccia madre

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Figura 1 Il profilo di un suolo completamente sviluppato. LETTIERA (L-A01) La lettiera o orizzonte superiore è formata dall’accumulo dei residui vegetali ed animali sulla superficie del suolo. Vi si possono riconoscere, infatti, resti vegetali quali foglie di alberi, erbe secche, resti di muschi. Questo strato superficiale e semimobile è soggetto a marcate fluttuazioni dal punto di vista della temperatura e del suo contenuto in acqua, ciò nonostante vi possono permanere alcuni organismi adattati alle condizioni più stabili del suolo profondo. Nella lettiera, i detriti organici sono sottoposti ad una lenta decomposizione sotto l’effetto dell’azione congiunta della microflora e della microfauna (dimensioni corporee inferiori a 0,2 mm) e mesofauna (dimensioni corporee comprese tra 0,2 e 2 mm) che abita nello strato superficiale del suolo. Quest’orizzonte offre una buona protezione agli strati inferiori per quanto riguarda temperatura e umidità. LETTIERA IN DECOMPOSIZIONE (L-A02) Generalmente, al di sotto dell’orizzonte A01 si trova l’orizzonte A02. A questo livello, i resti vegetali più o meno decomposti ed i resti fecali dei microartropodi (dimensioni corporee comprese tra 0,2 e 100 mm) sono mescolati a piccole parti minerali, costituite dalle sostanze dilavate superiormente e che, depositandosi, precipitano sotto forma di sali insolubili. Questo processo è favorito anche dall’azione meccanica svolta dai vermi (tale azione conferisce al suolo il tipico

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aspetto granulato). Comincia così la formazione dei complessi argillo-umici, il cui ruolo è decisivo per la vita delle piante (Coineau, 1974). STRATO MINERALE (ORIZZONTE B) Sotto all’orizzonte A si trova uno strato di roccia madre fortemente decomposta, nel quale la quantità di humus decresce dall’alto verso il basso. È da questo strato che provengono gli elementi minerali che risalgono e si mescolano agli elementi organici dell’orizzonte A02. La ripartizione della componente biotica non è omogenea in questo orizzonte. Nelle parti compatte essa è poco presente, mentre raggiunge un grande sviluppo lungo i cosiddetti canali radicali che provengono dalla decomposizione delle radici morte e che costituiscono una vera intrusione dell’orizzonte A nell’orizzonte B. Allo stesso modo, le gallerie scavate dai vermi in quest’orizzonte costituiscono aree maggiormente favorevoli alla vita. ORIZZONTE C Vi si trova la roccia madre, in via di alterazione più o meno avanzata. Questo orizzonte rappresenta la transizione, più o meno marcata, tra l’orizzonte B e la roccia madre. Non in tutti i suoli si osserva il pieno sviluppo degli orizzonti descritti: spesso la lettiera e/o l’orizzonte B possono essere assenti, in altri casi bisogna, al contrario, considerare una suddivisione più approfondita. Le funzioni del suolo Le funzioni del suolo sono innumerevoli, da semplice supporto fisico per la costruzione di infrastrutture, impianti industriali e insediamenti umani, a base produttiva della maggior parte dell’alimentazione umana e animale, del legname e di altri materiali utili all’uomo. Il suolo è deposito e fonte di materie prime come argilla, ghiaia, sabbia, torba e minerali; ha funzione di mantenimento dell’assetto territoriale, in quanto fattore determinante per la stabilità dei versanti e per la circolazione idrica sotterranea e superficiale. Il suolo regola il ciclo naturale dell’acqua, dell’aria e delle sostanze organiche e minerali, filtra e depura l’acqua, immagazzina, trasforma e decompone le sostanze.

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Figura 2 Il ruolo del suolo nel ciclo dell'acqua.

Da non sottovalutare anche la funzione naturalistica del suolo quale habitat di una grandissima varietà di specie animali e vegetali. In tutte le sue attività, l’uomo deve sempre considerare che: - il suolo è una risorsa non rinnovabile; - il suolo reagisce agli influssi esterni con molto ritardo: i problemi vengono individuati solo a posteriori, quando spesso è troppo tardi per rimediarvi; - il suolo immagazzina anche gli inquinanti (motivo per cui spesso la contaminazione chimica è irreversibile); - la piena funzionalità del suolo può essere garantita solo da una struttura intatta. La fauna del suolo Nel suolo è rappresentato oltre il 95% della biodiversità dell’intero pianeta. In un grammo di suolo infatti vivono milioni di microrganismi, molti dei quali ancora sconosciuti. La biodiversità dei microrganismi del suolo ha un ruolo importante nel mantenere gli ecosistemi in uno stato funzionalmente efficiente. Da un punto di vista funzionale, gli animali che vivono nel suolo (detti anche pedofauna o fauna edafica) si possono suddividere in predatori, che si nutrono di altri organismi viventi, e detritivori, che utilizzano quali fonti alimentari residui organici di origine animale o vegetale già parzialmente degradati. Molti elementi della pedofauna possono essere collegati ai differenti ambienti del

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suolo. L’ambiente umicolo (legato agli strati più superficiali del suolo) è ricco di materia organica ed è il più popolato. In superficie il suolo si diversifica ed arricchisce in un mosaico di microambienti particolari, tra cui si possono riconoscere i cosiddetti ambienti annessi: ambiente muscicolo (legato ai muschi), lapidicolo o sassicolo (massi o sassi), saprossilico (tronchi in decomposizione). Tali ambienti svolgono un ruolo di rifugio, oltre ad essere abitati da comunità specializzate. L’ambiente saprossilico è caratterizzato da numerosi animali xilofagi, che decompongono il legno, preparando il terreno agli invertebrati umicoli, che restituiranno gli elementi al suolo. I principali abitanti del suolo PROTOZOI Questi organismi unicellulari sono presenti nel suolo come flagellati, amebe e ciliati. Svolgono principalmente un ruolo di natura chimica, di decomposizione (mineralizzazione) della sostanza organica fresca. MOLLUSCHI Tra i molluschi vi sono le chiocciole e le lumache, che possono avere sui suoli effetti di natura chimica e fisica come l'azione di alterazione della materia organica e la liberazione di composti che favoriscono la struttura dei terreni. ANELLIDI Un ruolo di primo piano è ricoperto dai lombrichi. Questi animali possono nutrirsi delle foglie della lettiera forestale, in una misura che può anche superare la tonnellata per ettaro. Nei loro intestini transita inoltre una grossa quantità di terra, che viene restituita sotto forma di escrementi depositati in superficie. Il loro lavoro aumenta la capacità di infiltrazione dell'acqua nel suolo. ARTROPODI Sotto l'aspetto pedologico appartengono a questo gruppo numerosissime specie, con ruoli importanti nella genesi e nello sviluppo di un suolo. Quasi tutti svolgono un importante ruolo di trasformazione della sostanza organica nel suolo, sia alterandola chimicamente (come certe specie di formiche), che procedendo ad un suo sminuzzamento (è il caso di alcune specie di Miriapodi), che, ancora, trasportandola fisicamente nelle parti basse del profilo (come le termiti). Fra gli Aracnidi assumono grande importanza gli acari, che si rinvengono in suoli forestali in numero variabile tra 100.000 e 400.000 per metro quadro; per quanto riguarda i crostacei, predominano gli isopodi. Più vasto è il numero di Insetti che interagiscono positivamente o negativamente con le piante:

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- organismi fitofagi (che si nutrono di piante) - ausiliari (predatori, parassiti di organismi fitofagi). MAMMIFERI Gli animali appartenenti a questa classe sono essenzialmente animali scavatori. Gli effetti della loro presenza sono lo scavo di gallerie che vengono poi riempite con altra terra o sostanza organica proveniente dall'alto e la produzione di cumuli formati dall'accumulo della terra di scavo delle suddette gallerie. I Mammiferi del suolo sono le talpe, le marmotte, i conigli, molti roditori (topi, arvicole, ratti) e, nelle praterie nordamericane, i cani della prateria. Un effetto pesante sul suolo hanno anche i grossi animali, pur non facendo parte della pedofauna, tra questi un esempio sono i grossi erbivori che possono provocare, con ripetuti passaggi, compattazioni del suolo oppure, con l'alimentazione, danni diretti alle coltivazioni.

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LE MINACCE DEL SUOLO

Per degrado del suolo si intende la riduzione progressiva della sua potenziale produttività, con una conseguente diminuzione della capacità di sostenere comunità vegetali e animali, attività agricole e forestali. La degradazione del suolo è la risultante di uno o più processi, alcuni naturali, altri indotti dall’antropizzazione. I due terzi dei suoli italiani presentano preoccupanti problemi di degradazione a causa di una gestione territoriale spesso non corretta, che generalmente non si è ispirata ai criteri fondamentali della conservazione del suolo (ANPA, 2001). La capacità del suolo di svolgere le proprie funzioni viene seriamente compromessa da processi di origine naturale e antropica, tra i quali ricordiamo l’erosione del suolo, la contaminazione chimica ed il consumo di suolo dovuto all’urbanizzazione. L’EROSIONE Il processo di formazione del suolo è lentissimo: possono occorrere molti secoli. Gli alberi svolgono un’indispensabile funzione protettiva del terreno, poichè le loro fronde impediscono alla pioggia di raggiungere il suolo con troppa violenza e di trascinare via lo strato superficiale. Inoltre le radici consolidano il terreno, lo trattengono, impedendo le frane, e facilitano l’assorbimento dell'acqua, che sarà utile nei periodi di siccità. Nel corso dei secoli l'uomo, per procurarsi terreni adatti alla coltivazione e all'allevamento del bestiame, ha distrutto gran parte dei boschi che un tempo ricoprivano la superficie terrestre, con conseguente perdita di tutte le piante e gli animali che nel bosco avevano trovato il loro ambiente ideale per nutrirsi e riprodursi. Drastico ed invasivo è anche l’intervento dell’uomo sui corsi d’acqua. Le sponde di alcuni fiumi sono state ricoperte di cemento pensando di costruire così un argine più solido ed è stata eliminata la vegetazione che le ricopriva. In questo modo l'acqua piovana che cade su un terreno montano disboscato non viene trattenuta e si riversa subito in corsi d'acqua non più in grado di contenerla e assorbirla, provocando così piene e straripamenti. LA CONTAMINAZIONE CHIMICA Le principali fonti di inquinamento del suolo sono: - gli scarichi industriali, - gli scarichi urbani, - la presenza di prodotti chimici, - l’inquinamento atmosferico,

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- i rifiuti solidi, urbani e industriali, accumulati spesso in discariche a cielo aperto, - l’uso di fertilizzanti minerali e concimi aziendali. Un terreno inquinato non è più adatto alla coltivazione perché i veleni in esso contenuti, oltre a ridurne la fertilità, possono passare nei prodotti agricoli, rendendoli dannosi per la salute di uomini e animali. Alcune di queste sostanze si accumulano nel terreno, altre finiscono nell’acqua e nell’aria o raggiungono, attraverso le piante, la catena alimentare, danneggiando gli organismi che vivono nel suolo. Ad esempio per proteggere i raccolti da agenti che ne possono danneggiare l’integrità è necessario che un fitofarmaco (sostanza di sintesi in grado di combattere le malattie delle piante) sia tossico e ciò lo rende potenzialmente inquinante per l’ambiente. Se il pesticida si deposita solo sulla superficie esterna del vegetale, può essere eliminato facilmente prima del consumo; se invece la sostanza penetra nel tessuto profondo del vegetale rimarrà depositata e potrà essere assunta facilmente dell’uomo o dall’animale. L’URBANIZZAZIONE E IL CONSUMO DI SUOLO L’urbanizzazione, soprattutto quella incontrollata, è la minaccia più frequente ed estesa all’ambiente naturale. Il consumo di suolo, ovvero la trasformazione in aree urbanizzate o fortemente antropizzate, con la conseguente perdita del contenuto di naturalità, è, in modo indiretto, consumo della natura stessa e della sua biodiversità. Tra il 1990 e il 2000, l’urbanizzazione e la costruzione di nuove infrastrutture hanno consumato in Europa il 9% di boschi e vegetazione naturale, il 36% di pascoli, il 6% di prati naturali, lo 0,3% di aree umide e il 47% di aree agricole. In Italia non esiste un dato preciso e ufficiale sul consumo di suolo; quel che è più evidente è che i più ingenti consumi riguardano le aree agricole. La superficie agraria utilizzabile è in costante calo a causa della costruzione di molte infrastrutture e dell’ampliamento delle aree urbane nelle zone più sviluppate e nei territori di pianura ad alto valore produttivo. La consistente presenza di insediamenti produttivi e urbani nel territorio rurale provoca una frammentazione paesaggistica con conseguente perdita di naturalità. Si tratta di una perdita permanente di aree che non potranno più svolgere in futuro alcun ruolo naturale e di rafforzamento della biodiversità.

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L'AGRICOLTURA BIOLOGICA

L'agricoltura biologica è un metodo di produzione definito dal punto di vista legislativo a livello comunitario con un primo regolamento, il Regolamento CEE 2092/91, sostituito successivamente dai Reg. CE 834/07 e 889/08 e a livello nazionale con il D.M. 18354/09.

Il termine "agricoltura biologica" indica un metodo di coltivazione e di allevamento che ammette solo l'impiego di sostanze naturali, presenti cioè in natura, escludendo l'utilizzo di sostanze di sintesi chimica (concimi, diserbanti, insetticidi). Agricoltura biologica significa sviluppare un modello di produzione che eviti lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, in particolare del suolo, dell'acqua e dell'aria, utilizzando invece tali risorse all’interno di un modello di sviluppo che possa durare nel tempo.

Per salvaguardare la fertilità naturale di un terreno gli agricoltori biologici utilizzano materiale organico e, ricorrendo ad appropriate tecniche agricole, non lo sfruttano in modo intensivo. Per quanto riguarda i sistemi di allevamento, si pone la massima attenzione al benessere degli animali, che si nutrono di erba e foraggio biologico e non assumono antibiotici, ormoni o altre sostanze che stimolino artificialmente la crescita e la produzione di latte. Inoltre, nelle aziende agricole devono esserci ampi spazi perché gli animali possano muoversi e pascolare liberamente.

Le coltivazioni

In agricoltura biologica non si utilizzano sostanze chimiche di sintesi (concimi, diserbanti, anticrittogamici, insetticidi, pesticidi in genere). Alla difesa delle colture si provvede innanzitutto in via preventiva, selezionando specie resistenti alle malattie e intervenendo con tecniche di coltivazione appropriate, come, per esempio: la rotazione delle colture: non coltivando consecutivamente sullo stesso terreno la stessa pianta, da un lato si ostacola l'ambientarsi dei parassiti e dall'altro si sfruttano in modo più razionale e meno intensivo le sostanze nutrienti del terreno; la piantumazione di siepi ed alberi che, oltre a ricreare il paesaggio, danno ospitalità ai predatori naturali dei parassiti e fungono da barriera fisica a possibili inquinamenti esterni; la consociazione: coltivando in parallelo piante sgradite l'una ai parassiti dell'altra. In agricoltura biologica si usano fertilizzanti naturali come il letame opportunamente compostato ed altre sostanze organiche compostate (sfalci, ecc.) e sovesci, cioè incorporazioni nel terreno di piante appositamente seminate, come trifoglio o senape. In caso di necessità, per la difesa delle colture si interviene con sostanze naturali vegetali, animali o minerali: estratti di piante, insetti utili che predano i parassiti, farina di roccia o minerali naturali per correggere struttura e caratteristiche chimiche del terreno e per difendere le coltivazioni dalle crittogame. Il ricorso a tecniche di

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coltivazione biologiche ricostruisce l’equilibrio nelle aziende agricole; qualora, comunque, si rendesse necessario intervenire per la difesa delle coltivazioni da parassiti e altre avversità, l’agricoltore può fare ricorso esclusivamente alle sostanze di origine naturale espressamente autorizzate e dettagliate dal Regolamento europeo (con il criterio della cosiddetta “lista positiva”).

Chi controlla e garantisce le produzioni biologiche?

L’agricoltura biologica è l’unica forma di agricoltura controllata in base a leggi europee e nazionali. Non ci si basa, quindi, su autodichiarazioni del produttore ma su un Sistema di Controllo uniforme in tutta l’Unione Europea. L’azienda che vuole avviare la produzione biologica notifica la sua intenzione alla Regione e ad uno degli Organismi di controllo autorizzati.

L’Organismo procede alla prima ispezione con propri tecnici specializzati che esaminano l’azienda e prendono visione dei diversi appezzamenti, controllandone la rispondenza con i diversi documenti catastali, dei magazzini, delle stalle e di ogni altra struttura aziendale. Se dall’ispezione emerge il rispetto della normativa, l’azienda viene ammessa nel sistema di controllo, e avvia la conversione, un periodo di disintossicazione del terreno che, a seconda dell’uso precedente di prodotti chimici e delle coltivazioni può durare due o più anni. Solo concluso questo periodo di conversione, il prodotto può essere commercializzato come da agricoltura biologica. L’Organismo provvede a più ispezioni l’anno, anche a sorpresa, e preleva campioni da sottoporre ad analisi. Le aziende agricole che producono con il metodo biologico devono poi documentare ogni passaggio su appositi registri predisposti dal Ministero, ciò assicura la totale tracciabilità.

Più salute con gusto

Sicurezza igienico-sanitaria, contenuto nutrizionale e qualità organolettica, in altre parole nutrirsi con gusto: questo è quello che ciascuno di noi vuole dal cibo che porta a tavola. I prodotti biologici, proprio per le tecniche agronomiche adottate, in particolare il non uso di sostanze chimiche di sintesi, sono di norma più sicuri degli altri dal punto di vista igienico-sanitario. Diverse ricerche dimostrano, poi, che il valore nutritivo dei prodotti biologici è spesso superiore a quello dei prodotti convenzionali. In particolare è stato rilevato di frequente una maggiore presenza di preziose sostanze antiossidanti. Infine, nei pochi studi che mettono a confronto il gusto dei prodotti convenzionali e di quelli biologici, questi ultimi si collocano in genere al livello della qualità medio-alta dei primi. È sempre più frequente, infine, il buon posizionamento dei prodotti biologici nei concorsi.

Più amico dell’ambiente

Inquinamento di aria, acqua e suolo; erosione e perdita di fertilità del suolo; riduzione della biodiversità; elevati consumi energetici e produzione di gas serra (il

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“contributo” dell’agricoltura è stimato attorno al 7%): questi sono alcuni dei problemi creati dall’agricoltura convenzionale e che nemmeno la sua versione geneticamente modificata è in grado di risolvere, anzi. Su tutti questi problemi l’agricoltura biologica ha invece dimostrato di essere capace di offrire delle soluzioni, sia attraverso l’applicazione del Regolamento Cee, sia attraverso regole più restrittive adottate volontariamente dagli agricoltori. L’agricoltura biologica, infatti, riduce al minimo il rilascio di residui nel terreno, nell’aria e nell’acqua, conserva la naturale fertilità del suolo, salvaguarda la complessità dell’agroecosistema e la sua biodiversità, consuma meno energia.

Libertà dagli OGM

Nel 1991, quando fu approvato il Regolamento Cee per l’agricoltura biologica, gli OGM – Organismi Geneticamente Modificati – erano molto meno noti e, soprattutto, erano molto meno diffusi di quanto lo sono oggi. Eppure, già allora un articolo di quel regolamento ne vietava espressamente l’uso in agricoltura biologica. Il movimento internazionale per l’agricoltura biologica, che aveva voluto e promosso quel regolamento, aveva intuito le incognite e i rischi insiti nell’uso di OGM in agricoltura. Come è risultato più chiaro dopo, si tratta di incognite e rischi che investono l’ambiente, la salute umana e la stessa possibilità dei popoli di scegliere cosa produrre e come alimentarsi. La strada proposta dall’agricoltura geneticamente modificata è l’opposto di quella proposta dall’agricoltura biologica: per questo la loro coesistenza è impossibile.

Sai cosa mangi

Sapere cosa si mangia significa conoscere nelle linee essenziali in che modo un alimento è prodotto in tutti i suoi passaggi, dal campo al punto vendita. Perché ciò sia possibile almeno due condizioni sono necessarie: un insieme di regole cui deve sottostare la produzione e la distribuzione di un cibo, uno o più organismi indipendenti che controllano l’applicazione delle norme e la certificano ai consumatori. Questo è ciò che accade per i prodotti biologici, con l’applicazione del Regolamento Cee 2092/91, attraverso un’attività di ispezione che investe sia il processo produttivo, sia il prodotto finale, dal campo alla tavola. Si tratta di un sistema sicuramente suscettibile di miglioramento e attualmente, a oltre vent'anni dall’inizio della sua applicazione, è sottoposto a un processo di revisione. Tuttavia, quello del biologico è ancora oggi quello che, almeno in campo alimentare, offre maggiori garanzie.

Gli organismi di controllo italiani

Gli organismi nazionali che possono effettuare i controlli e la certificazione delle produzioni biologiche sono nove, questi sono riconosciuti con decreto del Ministero delle Politiche agricole e forestali, e sono sottoposti a loro volta al controllo dello stesso ministero e delle regioni.

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L'AGRICOLTURA INTEGRATA

L’agricoltura integrata o produzione integrata è un sistema agricolo di produzione a basso impatto ambientale, in quanto prevede l’uso coordinato e razionale di tutti i fattori della produzione, allo scopo di ridurre al minimo il ricorso a mezzi tecnici che hanno un impatto sull’ambiente o sulla salute dei consumatori.

In particolare, il concetto di agricoltura integrata prevede lo sfruttamento delle risorse naturali, finché sono in grado di surrogare adeguatamente i mezzi tecnici adottati nell’agricoltura convenzionale, e solo il ricorso a questi ultimi quando si reputano necessari per ottimizzare il compromesso fra le esigenze ambientali e sanitarie e le esigenze economiche. In merito alle tecniche disponibili, a parità di condizioni, la scelta ricade prioritariamente su quelle di minore impatto e, in ogni modo, esclude quelle di elevato impatto. Gli ambiti di applicazione dei principi dell’agricoltura integrata sono principalmente quattro: fertilizzazione, lavorazioni del terreno, controllo delle infestanti e difesa dei vegetali.

Fertilizzazione La fertilizzazione è condotta secondo criteri conservativi della fertilità chimica, perciò il ricorso alla concimazione minerale è ammesso per mantenere alti i livelli di fertilità e di produttività delle colture. I criteri dell’agricoltura integrata si applicano, in generale, sfruttando nei limiti del possibile il ciclo della sostanza organica, ricorrendo a tecniche che riducono la mineralizzazione e che apportano al terreno materiali organici, e integrando i fabbisogni delle colture con la concimazione chimica. Per quanto concerne la concimazione chimica, le dosi, l’epoca e la tecnica di distribuzione devono essere approntate con l’obiettivo di prevenire i fenomeni di dilavamento e conseguente inquinamento delle falde acquifere.

Lavorazione del terreno

Le lavorazioni del terreno devono essere condotte con l’obiettivo di prevenire la degradazione della struttura del terreno e l’erosione. Nonostante non ci siano preclusioni alle lavorazioni tradizionali, trovano un inserimento ottimale tecniche conservative quali il minimum tillage (= minima lavorazione), il sod seeding (= non lavorazione del terreno), l’inerbimento, ecc. Tali tecniche sono spesso imposte dai disciplinari di produzione integrata, nei terreni declivi oltre certe pendenze, al fine di prevenire del tutto l’erosione e il dissesto idrogeologico.

Controllo delle infestanti

Il controllo delle piante infestanti va naturalmente fatto sfruttando tecniche che limitano il ricorso al diserbo chimico. Sono compatibili con questo obiettivo, ad

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esempio, le false semine, le rotazioni colturali, il diserbo meccanico, ecc. Il diserbo chimico si adotta impiegando principi attivi a basso impatto, poco persistenti o con un’azione residuale limitata, soprattutto per evitare possibili effetti residui nel terreno e l’inquinamento delle falde. La difesa dei vegetali è l’ambito in cui la produzione integrata ha trovato una più larga applicazione. La strategia di difesa si basa esclusivamente sulla lotta integrata, ossia sull’impiego razionale di mezzi di difesa biologici, chimici, biotecnici, agronomici.

Regolamentazione

Attualmente le normative e le linee guida che regolano l’agricoltura integrata sono di carattere regionale e non hanno né un inquadramento nazionale, né europeo. La gestione delle produzioni, le regole e i controlli sono improntati su base territoriale o, addirittura, associazionistica: i disciplinari di produzione integrata sono infatti definiti dalle regioni o da altri enti locali, oppure da associazioni di produttori e la loro connotazione può differire molto da contesto a contesto. I "prodotti integrati" sono spesso distribuiti con marchi privati di tipo commerciale.

Produzione integrata e agricoltura sostenibile

L’agricoltura integrata può rappresentare un compromesso tra l’agricoltura convenzionale e quella biologica. Secondo un punto di vista che rispecchia molteplici esigenze, è il modo più evoluto per realizzare l’agricoltura sostenibile per i seguenti motivi: ottimizza l’utilizzazione delle risorse e dei mezzi tecnici disponibili per conseguire la quantità di produzione necessaria alla richiesta nazionale ed internazionale; produce cibi sani e sicuri, conservando e proteggendo le risorse ambientali; osserva le normative nazionali e comunitarie; viene realizzata seguendo le linee guida indicate dai disciplinari e misurando i progressi conseguiti con sistemi di autodiagnosi delle aziende agricole.

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DIFFERENZA TRA AGRICOLTURA BIOLOGICA E AGRICOLTURA INTEGRATA

L’agricoltura biologica non utilizza antiparassitari, erbicidi, o concimi chimici, ma usa metodi naturali per assicurare la produttività delle piante. Inoltre si serve di risorse rinnovabili, riciclando anche rifiuti vegetali e animali, per migliorare e mantenere la fertilità del suolo.

Il prodotto “biologico” è diverso da quello convenzionale perché è stato prodotto, raccolto e lavorato, seguendo le tecniche dell’agricoltura biologica; tutto il ciclo di produzione e trasformazione dal campo fino alla tavola è regolamentato da specifiche norme, controllato e certificato da organismi appositamente autorizzati. È, infatti, il metodo ad essere biologico, non il prodotto.

Questi alimenti non possono contenere additivi come conservanti, coloranti, esaltatori di sapidità e simili e sono esenti da OGM e vengono lavorati, trasformati e confezionati nel pieno rispetto dei loro valori nutrizionali.

La frutta e la verdura “biologica”, cosi come tutti gli altri prodotti definiti così, devono avere una specifica etichetta che deve riportare delle indicazioni particolari. La dicitura "Agricoltura Biologica - Regime di controllo CE” e il logo europeo dell’agricoltura biologica non sono obbligatori, anche se si ritrovano molto spesso.

L’agricoltura integrata utilizza tecniche produttive, di trasformazione e conservazione che prevedono un uso limitato di antiparassitari, concimi e acqua, nel rispetto dell’ambiente: ad esempio per eliminare gli insetti nocivi per le piante vengono allevati alcuni insetti, innocui, che entrano in competizione con quelli nocivi, non permettendone lo sviluppo. I prodotti “a produzione integrata” spesso sono caratterizzati da specifici marchi che il produttore impiega volontariamente per farli individuare meglio al consumatore.

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COLTURA O COLTIVAZIONE

In agraria è quella parte della tecnica che riguarda l'arte di far crescere le piante per ottenerne i prodotti, o comunque l'utilità che possono dare. La parola coltivazione ha significato più ristretto di coltura o cultura, ma frequentemente le due espressioni si usano l'una per l'altra, con l'avvertenza di usare la prima solo quando il discorso si riferisca alle piante, mentre la seconda serve anche per significare l'allevamento di alcune specie di animali (es. bachicoltura, piscicoltura, suinicoltura, ecc.) o anche di microbi e batteri.

Per la coltivazione delle piante servono le seguenti operazioni:

a) preparazione del terreno sul quale le piante dovranno crescere, ossia la lavorazione del terreno e la concimazione; b) semina e piantagione; c) governo dello sviluppo delle piante; d) operazioni eseguite sul terreno durante lo sviluppo delle piante per favorire il regolare e rigoglioso accrescimento delle medesime; e) difesa delle piante dalle avversità, cui vanno soggette per sfavorevoli fenomeni meteorici e per malattie dovute ordinariamente ad attacchi parassitari; f) raccolta e confezionamento dei prodotti.

Preparazione del terreno

Per iniziare con buon successo una coltura fa d'uopo rimuovere lo strato arabile del terreno, in modo da renderlo soffice ed arieggiato, sminuzzato e netto dalle cattive erbe.

La meccanica agraria moderna offre macchine e attrezzi perfezionati per bene eseguire la lavorazione del terreno. Secondo la specie delle piante da coltivare i lavori saranno più o meno profondi. Le piante legnose (vite, alberi da frutto, gelso, ecc.) richiedono, all'impianto, un lavoro molto profondo, da cm. 80 a un metro e più, che si dice scasso o sterro. Anche alcune colture erbacee di piante a profonde radici (granoturco, canapa, patata, barbabietola, tabacco, erba medica, ecc.), sebbene in grado minore, esigono lavoro più profondo dell'ordinario, cioè da 35 a 60 centimetri, tale lavoro è detto rinnovo perché con esso si rinnova parzialmente lo strato arabile. Per altre colture erbacee come grano, avena, orzo, leguminose da granella, ecc., bastano lavori di media profondità, da 20 a 35 centimetri, con i quali viene rimosso soltanto lo strato arabile del terreno.

Successivi lavori di complemento (erpicature, estirpature) servono a perfezionare la preparazione meccanica del terreno; inoltre, nei climi più o meno umidi, conviene provvedere al facile scolo delle acque superflue di superficie o sotterranee, mediante opportuni solchi e fognature.

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Ma la preparazione del terreno per una determinata coltura implica anche la concimazione, ossia l'apporto di materie fertilizzanti atte a fornire nutrimento alle piante mediante i sali nutritizi disciolti nell'acqua che, per mezzo delle radici, le piante stesse assorbono dal suolo. Per l'azione combinata della lavorazione e della concimazione viene favorita l'attività d'innumerevoli microrganismi esistenti nel terreno i quali, in condizioni propizie, contribuiscono alla preparazione di sostanze nutritizie per le piante. Pertanto la buona preparazione accresce la fertilità del terreno, sia col migliorarne le condizioni fisiche, sia aumentandone la riserva di materiali nutritizi in istato di poter essere prontamente assorbiti dalle radici delle piante.

Semina o piantagione

Altra operazione iniziale della coltivazione delle piante è la semina o la piantagione.

La maggior parte delle piante vengono riprodotte mediante semina. Le piante erbacee vengono generalmente seminate a dimora, cioè nel terreno dove dovranno crescere. Le piante legnose, invece, vengono generalmente poste in appositi semenzai e per successivi trapianti in vivai o piantonai, dove frequentemente sono anche sottoposte all'operazione dell'innesto; qui vengono allevate finché, grandicelle, siano idonee ad essere poste a dimora.

Non mancano casi in cui conviene formare semenzai anche di piante erbacee da trapiantarsi poi a dimora; ciò è frequente nella coltura ortense, piuttosto raro nella coltura campestre (tabacco, riso). Né mancano casi in cui piante legnose vengono seminate a dimora, come si pratica talora per il mandorlo, il pesco, il carrubo e, su scala più vasta, per numerose piante forestali. Alcune piante non vengono ordinariamente riprodotte per seme, ma per mezzo di tuberi (patata, girasole tuberoso, ecc.) o per mezzo di rizomi (giaggiolo, canna, mughetto, ecc.) o di talea (vite, luppolo, fico, ecc.).

La riproduzione delle piante, sia per seme, sia per via agamica, implica più o meno importanti operazioni di selezione. Queste possono essere limitate alla opportuna scelta delle varietà e alla cernita meccanica del seme, oppure possono comprendere l'isolamento dei tipi più pregevoli facenti parte di comuni varietà, o anche la creazione di varietà nuove a mezzo d'incrocio artificiale. Il compito del coltivatore generalmente si limita alla selezione meccanica e alla conservazione in purezza delle razze elette che gli vengono fornite da idonei istituti di genetica vegetale.

Governo dello sviluppo delle piante

Per bene regolare lo sviluppo di alcune specie di piante, o per meglio disporle alla produzione, occorrono speciali operazioni da eseguirsi sulle piante stesse; esse sono principalmente la potatura e l'innesto. Con la potatura si sopprimono germogli o rami inutili, superflui o guasti, se ne cimano od accorciano altri in modo da dare una forma conveniente alla pianta e da ridurre il numero delle gemme a quante la pianta stessa è

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in grado di bene svilupparne. Operazioni accessorie della potatura sono talora l'applicazione di sostegni e la legatura dei rami, come pure la raschiatura della corteccia morta, la spennellatura del ceppo o del tronco con latte di calce o poltiglia ferro-calcica, ecc.

La potatura riguarda quasi esclusivamente le piante legnose e in special modo la vite, l'olivo, gli alberi da frutto, il gelso, ecc. Però anche alcune piante erbacee vengono assoggettate ad operazioni di potatura; si eseguisce infatti la scacchiatura e cimatura del tabacco, la scacchiatura del pomodoro, talora la cimatura del granturco, ecc.

L'innesto è altra operazione che si compie su piante legnose da frutto, da fiore o da foglia alimentare od ornamentale. Ha per scopo il miglioramento della varietà o la difesa contro speciali malattie. Così si innestano gemme di piante da frutto di qualità ben nota e pregevole sopra soggetti o piantine selvatiche o parzialmente inselvatichite nella loro riproduzione da seme; oppure si innestano tralci di vite di scelta varietà europea sopra tralci o ceppi di viti americane resistenti ai danni della fillossera; o s'innesta una varietà più pregevole sopra altta di minor pregio per migliorarne o accrescerne la produzione.

Oltre alle operazioni di potatura e d'innesto, altre di minore importanza, o meno frequenti, vengono talora eseguite, come l'impollinazione artificiale per favorire la fecondazione dei fiori e conseguentemente la fruttificazione di alcune piante, ecc.

Operazioni eseguite sul terreno durante lo sviluppo delle piante

Nel corso della vegetazione giovano assai alle piante le lavorazioni superficiali del terreno, cosiddette sarchiature o zappature, eseguite con zappe o sarchielli, o con adatti apparecchi a trazione. Con questi lavori, ripetuti anche due, tre o più volte, durante il periodo primaverile ed estivo, si distruggono le cattive erbe e si mantiene polverulenta la superficie del suolo, il che vale a ridurre al minimo la perdita di umidità per evaporazione diretta del terreno. L'efficacia delle sarchiature è maggiore nelle terre sabbiose che nelle argillose, perché quelle, avendo minore potere assorbente e di ritenzione per l'acqua, ne formano minore riserva e la lasciano più facilmente disperdere.

Dalla sarchiatura, che è semplice rimozione d'un sottile strato superficiale del terreno, differisce il lavoro chiamato rincalzatura, consistente nell'accumulare al piede delle piante una certa quantità di terra.

La coltura del granturco è quella che più comunemente richiede un'abbondante rincalzatura, la quale favorisce l'emissione di nuove radici dalla base dei fusti e facilita la formazione e l'assorbimento della rugiada con vantaggio della freschezza del terreno.

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Nella coltivazione intensiva d'alcune specie di piante si somministrano materie fertilizzanti di pronto effetto (principalmente nitrati), durante il corso della vegetazione, in primavera e anche d'inverno. La pratica italiana della cosiddetta nitrazione del grano, ossia lo spargimento di nitrati, sui campi a coltura di frumento, in piccole dosi ripetute più volte a brevi intervalli di tempo, dall'autunno a primavera, permette di elevare considerevolmente la produzione dell'importante cereale.

Alle operazioni colturali estive si riferisce anche l'irrigazione, ossia l'artificiale somministrazione d'acqua al terreno durante i periodi di siccità. L'acqua ha grandissima importanza per la vegetazione, sia come solvente, sia come mezzo di trasporto, sia come costituente, sia come alimento; è pertanto interesse dell'agricoltore usufruire, sempre che sia possibile, del beneficio dell'irrigazione.

Difesa delle piante nelle avversità

Si può trattare di avversità meteoriche e di attacchi di parassiti vegetali e animali. Contro le avversità meteoriche assai limitata è la possibilità di difesa delle piante da grande coltura, mentre varî provvedimenti di notevole efficacia si possono adottare in orto-frutticoltura e in giardinaggio. Così, contro i freddi intensi e le brinate valgono serre a vetri fredde o calde, cassoni, stuoie di paglia in vario modo collocate, nubi artificiali e persino riscaldamento artificiale all'aperto, come da recenti applicazioni in California. Contro i venti impetuosi apposite piantagioni o siepi frangivento.

Di somma importanza è la difesa delle piante dalle malattie cui vanno soggette specialmente ad opera di parassiti. Ogni pianta ha i suoi nemici e sono purtroppo numerosi, specialmente per le piante più estesamente coltivate, che sono anche le più importanti; i nemici poco nocivi vengono trascurati, ma dai più dannosi è necessario difendere le piante coltivate. E l'agricoltore deve porre molta attenzione a che l'intervento sia efficace, altrimenti ne può scapitare assai la produzione. Così il frumento viene difeso dalla malattia detta carie trattando la semente con adatta sostanza rameica (polvere Caffaro); la patata e il pomodoro vengono difesi dalla peronospora cui vanno soggetti, mediante irrorazioni di poltiglia rameica; la vite viene difesa dall'oidio mediante le insolfature e dalla peronospora viticola mediante trattamenti cuprici liquidi e polverulenti; le piante da frutto vengono difese da parassiti vegetali mediante irrorazioni rameiche e da parassiti animali mediante svariate applicazioni insetticide. Contro la fillossera della vite si provvede adottando viti americane resistenti come porta-innesti . della vite europea.

Raccolta e confezione dei prodotti

Rappresentano l'ultima fase della coltivazione delle piante.

Le operazioni di raccolta variano secondo le colture. Per i cereali si ha la mietitura o raccolta, la trebbiatura e cernita, infine la reposizione in granai, silos, ecc. e la reposizione delle paglie e degli altri prodotti secondarî. Per le colture foraggere si ha

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la falciatura, la fienagione o l'insilamento (riposizione in silos) del foraggio. Per la barbabietola da zucchero si ha l'estirpazione delle piante, la scollettatura, il trasporto delle radici allo zuccherificio o alla prossima stazione ferroviaria, il ritiro delle polpe e l'insilamento delle medesime insieme ai residui della scollettatura. Per la vite si ha la vendemmia, la cernita dell'uva, l'ammostatura e la vinificazione. Per gli alberi da frutto, la raccolta e la cernita della frutta, gli opportuni assortimenti, imballaggio o reposizione in fruttaio. Per l'olivo la raccolta delle olive e l'estrazione dell'olio. Nella coltura ortense e floreale le operazioni di raccolta sono svariate e talora complesse per apprestare i diversi prodotti secondo le esigenze del mercato. La raccolta del prodotto ordinariamente chiude il ciclo annuale della coltivazione delle piante.

L'ampiezza della coltura è stata definita in relazione alla diversa quantità di lavoro umano o animale richiesto. Così è chiamata piccola coltura quella che si compie esclusivamente col lavoro umano senza il sussidio del lavoro animale; grande coltura invece l'altra, in cui il lavoro umano è sussidiato da quello animale. Una definizione simile è quella che si dà del piccolo e del grande podere. Sennonché più che all'ampiezza della coltura e del podere, è all'ampiezza economica dell'azienda o impresa che dobbiamo guardare. E si definisce come grande azienda quella in cui tutta l'attività d'una persona è assorbita dal lavoro di direzione; media azienda quella in cui la direzione non assorbe completamente l'attività d'una persona e questa può dedicarsi ad alcuni lavori manuali nell'azienda stessa o a qualche occupazione fuori di essa; piccola azienda quella in cui l'imprenditore, con l'aiuto della propria famiglia, fa fronte non solo al lavoro di direzione, ma anche a quello manuale richiesto dall'azienda stessa.

Naturalmente ampiezza dell'azienda e ampiezza della proprietà non coincidono. Per l'esercizio dell'industria agraria una grande proprietà può essere divisa in diverse imprese. Ma ci si è valsi delle definizioni date, per concretare il concetto relativo all'ampiezza della proprietà. E si è chiamata grande quella proprietà che assorbirebbe tutta l'attività d'una persona nell'opera di direzione; media quella in cui la direzione non assorbirebbe completamente l'attività d'una persona; piccola quella che può essere diretta non solo, ma anche lavorata manualmente da una sola famiglia. Queste classificazioni, com'è naturale, hanno tutte un valore relativo. Relativo anzitutto alle doti del dirigente e poi al perfezionamento della tecnica che può rendere più o meno larga ed efficace l'attività del direttore.

Alla grande come alla piccola azienda corrispondono determinati vantaggi e svantaggi economici. In genere si può dire che a quello che costituisce un vantaggio della grande corrisponde uno svantaggio della piccola.

I vantaggi della grande azienda si possono così riepilogare: minori spese per unità di superficie e, a parità d'intensità colturale, per sistemazione del terreno, per governo delle acque, per viabilità e costruzioni rurali, e quindi anche minor terreno perduto per linee di confine e divisorie, strade e fossi di scolo; maggior facilità di

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compimento di migliorie fondiarie (di prosciugamento, d'irrigazione ecc.); possibilità di ricorrere a una direzione tecnica e amministrativa più illuminata e capace; minore costo delle forze motrici e del lavoro umano, in quanto può essere più facile il conveniente ricorso all'impiego delle macchine e più largo il campo d'applicazione che può avere l'organizzazione economica del lavoro umano (divisione, specializzazione); migliori e più vantaggiosi rapporti esterni per quanto riguarda l'acquisto di certi mezzi produttivi e la vendita dei prodotti, come pure per quanto concerne il credito. La grande azienda, infine, ha maggiore possibilità d'organizzare ed esercitare convenientemente industrie trasformatrici dei prodotti dell'azienda.

Nella piccola azienda i vantaggi maggiori si possono riassumere nella grande copia di lavoro che il piccolo produttore è portato a dare alla azienda stessa, perché direttamente interessato al buon andamento dell'impresa; nella sorveglianza più agevole e pronta; nell'assenza o quasi di dualismo fra la personalità economica dell'imprenditore e quella del lavoratore manuale, per cui impossibili o meno gravi sono i conflitti fra impresa e mano d'opera. Indubbiamente il piccolo coltivatore, legato alla terra, sia esso piccolo proprietario, piccolo affittuario o colono mezzadro, occupa, nella scala sociale, un gradino ben più elevato del lavoratore salariato non legato alla terra, ha qualità morali superiori e costituisce un elemento di stabilità nell'organismo sociale.

A diminuire gli svantaggi inerenti alla piccola azienda, molto può contribuire lo sviluppo della cooperazione. In genere possiamo dire che l'ambiente più adatto, il luogo economico, della piccola azienda è quello in cui, per le colture che si praticano, hanno importanza decisiva, nei risultati dell'impresa, l'assiduità e la diligenza del lavoro umano, o quello in cui l'ordinamento della produzione risponde a un'economia domestica o di consumo piuttosto che a un'economia di scambio (per es., montagna). Dove invece altri fattori produttivi acquistino decisiva importanza, la grande azienda trova le condizioni adatte per il suo sviluppo. Due svantaggi che si collegano quasi sempre alla piccola azienda sono il polverizzamento e la frammentazione.

L'insieme delle colture che si praticano in un'azienda e la loro successione nel tempo (avvicendamento) costituiscono l'ordinamento o combinazione colturale. Lo determinano diverse condizioni.

Anzitutto l'ordinamento colturale è in dipendenza del clima e del terreno. Ciascuna pianta ha una propria area fisica di coltivazione entro la quale si hanno diverse zone economiche; zone, cioè, in cui ad eguaglianza di produzione unitaria sono diversi i costi. La combinazione colturale è poi in dipendenza del mercato del lavoro e di quello dei capitali. Vi sono colture più o meno attive, che richiedono cioè maggiore o minore mano d'opera, come vi sono colture più o meno intensive, che richiedono cioè maggiori o minori capitali, mobiliari o stabilmente investiti nel fondo. A seconda dell'altezza dei salarî e del maggiore o minor prezzo d'uso del risparmio, verranno favorite combinazioni colturali più o meno attive o intensive. La combinazione

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colturale è poi in dipendenza della destinazione dei prodotti e del mercato di questi. Vi sono prodotti destinati al consumo nell'interno dell'azienda, altri trasformati da industrie annesse all'azienda agraria (industria zootecnica, enologica, caseificio, oleificio), altri venduti sul mercato come tali o dopo aver subito trasformazioni. I prezzi che quota il mercato per questi prodotti, diminuiti delle spese di vendita e trasporto dall'azienda al luogo di smercio, i prezzi all'azienda cioè, influenzano la scelta della combinazione colturale più conveniente. Tutta l'organizzazione commerciale, in quanto si ripercuote su quei prezzi che realizza il produttore influisce sulla scelta delle colture. Per quei prodotti poi che non hanno solo un mercato interno, ma sono destinati all'esportazione, come per quegli altri che devono sostenere la concorrenza dei prodotti importati, tutto il regime doganale dei paesi d'importazione o nazionale ha un'influenza spiccatissima, talora decisiva sulla scelta della combinazione più conveniente.

Dal diverso concorso dei fattori della produzione - terra, capitale e lavoro - si originano varie combinazioni produttive chiamate sistemi di coltura e distinte in sistemi: estensivi, attivi e intensivi. Estensivi sono quei sistemi in cui la produzione è dovuta prevalentemente al fattore terra; attivi quelli in cui è dovuta prevalentemente al lavoro; intensivi gli altri in cui ha prevalente importanza il fattore capitale. Difficile, specie nell'agricoltura moderna, è la distinzione dei sistemi attivi e intensivi, per cui più aderente alla realtà ci sembra distinguere i sistemi in due grandi categorie, estensivi e intensivi, a seconda che predominino, nella combinazione produttiva, i fattori naturali o quelli di capitale e lavoro.

In ordine storico abbiamo poi diverse classificazioni dei sistemi agrari, fra le quali la piú diffusa è quella che distingue i sistemi in tre grandi gruppi: fisici, andro-fisici e androttici. Fisici sono quei sistemi nei quali la produzione è dovuta alle forze spontanee della natura, per cui l'attività dell'uomo si limita alla raccolta diretta dei prodotti e all'utilizzazione di questi per mezzo degli animali. Appartengono a questi il sistema forestale e quello pastorale. Andro-fisici sono quelli in cui l'uomo interviene nella produzione con lavoro e sementi, per ottenere certi prodotti, ma traendo profitto dalla ricchezza naturale del suolo e reintegrando la fertilità col riposo. Sono questi i sistemi a coltura alternante, di aratorio e pascolo, a maggese, il sistema celtico, il sistema degli stagni. Androttici sono poi quei sistemi in cui l'uomo interviene nella produzione in maniera più vasta, reintegrando la fertilità in modo che il terreno possa fornire costantemente e non alternatamente i prodotti. E la reintegrazione della fertilità può avvenire, sia traendo i mezzi di fertilizzazione dal fondo (sistema autositico), sia importandoli dal di fuori (sistema eterositico).

Dal sistema di coltura differisce il sistema di conduzione, costituito dai rapporti che si stringono fra le persone cooperanti alla produzione agricola.

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DIFFERENZE TRA PIANTE ARBOREE E PIANTE ERBACEE

Le specie arboree sono in genere le più alte fra le specie vegetali, si differenziano

dalle piante

a portamento arbustivo per avere spesso un unico fusto principale, e da quelle a

portamento erbaceo, per il fusto composto quasi interamente da tessuto legnoso.

Nella sezione trasversale del fusto in una struttura primaria si distinguono:

epidermide, cilindro corticale e cilindro centrale. Il fusto si accresce annualmente e

diametralmente grazie a due tessuti meristematici: il cambio cibro-legnoso, posto nel

cilindro centrale e, il cambio subero-fellodermico posto nel cilindro

corticale, questi costituiscono la struttura secondaria di un albero.

Le specie arboree sono comunemente suddivise in due gruppi: gli alberi a foglie

persistenti, o sempre verdi, e gli alberi a foglie decidue, o caducifogli.

Tutte le specie arboree sono spermatofite “dotate di semi” e sono suddivise in:

gimnosperme “piante a seme nudo” e angiosperme “con semi racchiusi nell'ovario”.

A loro volta, le amgiosperme vengono classificate come monocotiledoni o

dicotiledoni, in base a differenze nella struttura del seme.

Per specie arboree si intende una pianta perenne, a più cicli, il cui fusto principale,

legnoso, si sviluppa esternamente al terreno,“parte epigea”, in senso verticale, svolge

la funzione di collegamento fra la chioma e le radici e, permette il trasporto delle

sostanze nutritive lungo due percorsi, dalle radici alle foglie e dalle foglie alle radici.

La risalita dell'acqua dalle radici alle foglie è affidata ai vasi legnosi o xilema, mentre

la distribuzione delle sostanze elaborate, a tutti gli organi della pianta avviene per

mezzo dei vasi cibrosi o floema.

Le foglie costituiscono la parte verde della chioma. Le forme variano a seconda della

specie, collegate dal picciolo, rametto più o meno breve, a volte assente.

Questo apparato provvede all'assimilazione delle sostanze nutrienti e trasforma la

sostanza inorganica in sostanza organica, processo denominato: “fotosintesi

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clorofilliana”, per questo le piante sono definite “esseri autotrofi”, in grado di

vivere sintetizzando sostanze organiche a partire da acqua a composti inorganici, in

particolare del carbonio. Il processo di organizzazione prende il nome di fotosintesi e

consiste nella formazione di zuccheri (glucosio, saccarosio, amido, ecc...) a partire da

acqua ed anidride carbonica, sfruttando l'energia luminosa del sole.

In tale processo si ha inoltre liberazione di ossigeno a da ciò deriva la possibilità di

vita sul nostro pianeta.

Il punto di passaggio dalle radici al fusto si chiama colletto ed è all'incirca al livello

della superficie del suolo. Su questa parte dell'albero si possono sviluppare polloni

generati da cellule totipotenti.

Il colletto divide la parte epigea dalla parte ipogea.

La parte “ipogea” è costituita dall'apparato radicale, sotterraneo, ha forma e

dimensione che variano di specie in specie. Ha funzione di assorbimento, “per mezzo

di peli radicali”, trasporto e conservazione dell'acqua e dei sali minerali, oltre che di

ancoraggio della pianta al suolo. Le radici si distinguono dai fusti per l'assenza di

appendici quali gemme e foglie. Il sistema radicale può presentare strutture differenti

a seconda della specie: sistema radicale fascicolato e il sistema radicale a fittone.

Il primo, tipico di specie erbacee, è costituito da molte radici ramificate di dimensioni

pressoché uguali, che si dispongono relativamente vicine e parallele alla superficie

del terreno, cosicché l'acqua piovana non deve penetrare in profondità per essere

assorbita.

Il secondo apparato ha una penetrazione più profonda: la pianta affonda nel terreno

per mezzo di una radice conica con radici laterali più esili. La profondità della radice

e l'estensione laterale dipende da numerosi fattori ambientali, quali la composizione

chimica del terreno, presenza di liquidi circolanti all'interno del suolo, la temperatura

e la natura del suolo.

Sul fusto si distinguono le foglie inserite su nodi e zone comprese fra i nodi, dette

internodi.

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L'aspetto di una piante dipende, in gran parte, dalla disposizione dei rami e dal tipo di

ramificazione, questi costituiscono il portamento. Generalmente all'ascella di ogni

foglia si forma un primordio di ramo che si evolve in una gemma, detta gemma

laterale o ascellare per la sua posizione, mentre la gemma che continua

l'accrescimento del fusto in lunghezza prende il nome di gemma terminale o

apicale. Sono organi di evoluzione vegetativo o riproduttivo o ambedue, si hanno

così gemme: a legno; a fiore; miste. In inverno, la gemma che si era differenziata

durante l'estate viene generalmente coperta da squame protettive, le perule, ed entra

in un periodo di quiescenza, per cui viene detta gemma dormiente o ibernante.

Questo stato comprende tre fasi: l'ectodormienza, dovuta a fattori estrinseci alla

gemma; l'endodormienza, legata a fattori fisiologici e l'ecodormienza indotta da

fattori ambientali.

Per il superamento della dormienza è necessario che le piante maturino un periodo a

basse temperature. Tale condizione è detta “Fabbisogno in freddo” e corrisponde

generalmente a numero di ore a temperatura inferiore a 7°C.

In pratica agronomica si tiene conto dell'accumulo delle Chilling Units “C.U.”

(fabbisogno in freddo) e delle Growing Degree Hours “GDH” (fabbisogno in caldo)

per la stima delle epoche di fioritura e di maturazione dei frutti.

Ad interagire con la temperatura è anche la luce. La successione ciclica di periodi di

illuminazione e di buio nell'arco della giornata è chiamato ritmo circadiano o

nictemerale, che, a sua volta, determina nei vegetali il fenomeno denominato

fotoperiodismo.

Il fotoperiodismo rappresenta l'influenza che ha il rapporto fra lunghezza del dì e

della notte sull'induzione a fiore in certe piante e quindi la possibilità di formare i

frutti e di riprodursi. Le piante utilizzano, quindi, la luce come “orologio”naturale.

A seconda della loro esigenza in fatto di durata continua del periodo di buio, le piante

vengono divise in tre diversi gruppi: piante brevidiurne; piante longidiurne; piante

neutrodiurne o fotoindifferenti (buona parte delle colture arboree).

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Generalmente ad essere condizionate notevolmente dal fotoperiodismo sono gran

parte delle piante erbacee.

Le piante erbacee sono organismi vegetali che presentano un ciclo biologico breve

che, può durare da pochi mesi a più di uno o due anni. Hanno una struttura anatomica

ben definita differente dalle piante arboree, in alcuni casi tale struttura può risultare

modificata (tuberi, bulbi, rizomi).L'apparato radicale di solito fascicolato,

superficiale, prevale rispetto alle specie erbacee aventi apparato radicale fittonante.

I fusti erbacei sono teneri e verdi perché svolgono la sintesi clorofilliana. Si

distinguono tre tipi di fusto erbaceo: stelo, culmo, scapo. Lo stelo porta fiori e foglie

e, al suo interno, è pieno di midollo.

Il culmo è cavo per mancanza di midollo interno, solo i nodi sui quali si inseriscono

le foglie e i fiori sono pieni (frumento).

Lo scapo è un fusto senza rami che porta fiori e foglie, rispettivamente, sulle due

estremità opposte (tulipano).

Le gemme si differenziano dalle gemme arboree per la non presenza di perule, per

tanto, vengono definite gemme nude.

I periodi che corrispondono ad una determinata fase di sviluppo della coltura,

dall'inizio alla fine del ciclo di coltivazione, prende il nome di stadio fenologico.

I vegetali, nel loro complesso, rappresentano dei veri e propri laboratori biologici

viventi. L'aspetto che riguarda la propagazione delle piante assume un importanza

fondamentale nel campo agricolo, in quanto il suo approfondimento consente di

aumentare la produzione, dal punto di vista qualitativo e quantitativo.

Organo principale della riproduzione del vegetale è il fiore, definita per via sessuata

o gamica.

Il fiore è l'organo riproduttivo, esclusivo delle piante con fiori o angiosperme.

Su di esso sono inserite numerose appendici specializzate.

Il verticillo più esterno è detto calice formato in genere da una serie di sepali che

proteggono la gemma fiorale prima che il fiore sbocci. All'interno del calice è inserita

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la corolla, formata da una serie di petali che hanno la funzione di attirare gli insetti

impollinatori; per questo hanno spesso colori sgargianti e sono dotati di ghiandole

che secernono nettare e altre sostanze zuccherine.

Verso l'inverno del fiore si incontra l'androceo, formato dagli stami: lunghi filamenti

sormontati da antere piene di granuli pollinici, contenenti gameti maschili.

Il verticillo centrale è detto gineceo ed è costituito dai carpelli, spesso fusi assieme.

Ogni carpello contiene un ovario che porta i gameti femminili, detti ovuli.

Solitamente i fiori sono ermafroditi, ovvero presentano i caratteri di entrambi i sessi.

Quando invece, i fiori sono unisessuati, le piante sono dette monoiche o dioiche a

seconda che, rispettivamente, portino i fiori di entrambi i sessi o di uno solo dei due

su ciascun individuo.

Si possono avere diverse modalità di fecondazione. Nelle piante autogame, si ha la

fusione dei gameti maschili e femminili provenienti dallo stesso individuo

(ermafrodita); nelle piante allogame, il gamete femminile viene fecondato da

polline proveniente da un altro individuo e nelle piante apomittiche, si ha la

formazione del seme senza una precedente fecondazione.

Il colore del fiore è dovuto a due tipi di pigmenti: quelli liposolubili e quelli

idrosolubili, che si trovano all'interno delle cellule epidermiche della pianta.

Il profumo dei fiori è dovuto alla presenza di oli essenziali.

L'impollinazione può avvenire per via anemofila o entomofila.

Al momento della fecondazione un nucleo spermatico del polline feconda l'oosfera

generando l'embrione; il secondo nucleo pollinico si unisce con quello diploide del

sacco embrionale con formazione dell'endosperma. I tegumenti dell'ovulo evolvono

nel tegumento del seme, che si presenta rigido ed impermeabile, mentre le altre

strutture dell'ovario si trasformano nel frutto.

Nella struttura dell'embrione sono già presenti gli elementi miniaturizzati della futura

pianta: radichetta, fusticino, cotiledoni o foglie embrionali. Tale fecondazione prende

il nome di riproduzione gamica o sessuata, usata nell'ambito agronomico per ricavare

incroci di vario genere, semi ibridi utilizzati rispetto ai semi comuni per i diversi

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vantaggi che essi apportano; ovvero la capacità di maggiore sviluppo e produzione

detta “eterosi”.

La moltiplicazione asessuata o propagazione agamica è quella che si verifica senza

l'intervento degli organi sessuali e sfrutta l'attitudine che alcuni organi vegetativi

hanno di produrre radici oppure di saldarsi tra di loro (innesto).

La moltiplicazione riguarda in modo particolare le piante arboree ed il campo

floricolo.

Le tecniche che più frequentemente si impiegano per la propagazione agamica delle

piante sono la talea (di ramo, di foglia, di radice), sfrutta la capacità di emettere

radici che, prende il nome di attitudine rizogena. Per facilitare la radicazione delle

talee si usano tecniche di forzatura: il cassone riscaldato, il riscaldamento basale,

substrati di radicazione e la tecnica della nebulizzazione. Frequentemente le talee

vengono trattate con ormoni (l'acido alfa-naftalenacetico NAA), ecc... Meno diffusa

la propaggine e la margotta, mentre l'innesto ancora oggi è il metodo più utilizzato

per propagare le piante, ma anche per sfruttare alcune specifiche proprietà del

portinnesto: indurre resistenza a malattie; adattare la pianta a condizione

pedoclimatiche limitanti.

I tipi di innesto sono molto numerosi e si possono suddividere; per approssimazione;

a gemma; a marza.

La micropropagazione, tecnica recente, sfrutta la capacità organo genetica che

hanno determinate

cellule vegetali, poste in particolari condizioni, di rigenerare l'intera pianta

(totipotenza).

Tale tecnica è effettuata in vitro, su appositi substrati ed ha i seguenti scopi: permette

di riprodurre piante di qualità selezionata (clone) in numero elevato ed in breve

tempo; risanamento da virosi; miglioramento genetico; studi e ricerche di fisiologia

vegetale.

I vantaggi di tale tecnica sono: rapida propagazione delle piante; maggiore vigoria

delle piante ottenute; riduzione dei costi di propagazione; uniformità delle piante

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prodotte con certezza della clonazione; riduzione dei tempi per il miglioramento

genetico; riduzioni dell'importazione del materiale, non sempre di sicura provenienza.

Gli espianti utilizzati, per tale tecnica, sono costituiti da porzioni di tessuto vegetale

di diversa natura, es: gemme apicali o laterali, meristemi gemmari, frammenti di

foglie, embrioni, ovari ed ovuli per miglioramento genetico.

Le fasi della micropropagazione sono:

1. Sterilizzazione del materiale da espiantare.

2. Esecuzione degli espianti.

3. Preparazione dei substrati e messa a coltura. Il substrato deve contenere in dosi

variabili in base alle esigenze: macroelementi, microelementi, nutrienti organici, ed

ormoni ( auxine, gibberelline, citochinine).

4. Proliferazione degli espianti in ambiente controllato.

5. Induzione alla radicazione dei germogli.

6. Acclimatazione delle plantule e loro passaggio all'esterno. In questo periodo che

può durare da uno a due mesi devono essere tenute sotto controllo la temperatura,

l'umidità e la luminosità dell'ambiente.

Dopo le seguenti fasi, la pianta, è pronta per essere trapiantata in pieno campo

secondo una determinata modalità in relazione alla specie.

Da qui ha inizio il ciclo colturale che va, da pochi mesi, nelle specie erbacee, a secoli

nelle colture arboree.

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LE TECNICHE DI COLTIVAZIONE DELL'OLIVO

L'olivicoltura italiana, presente in 72 province su oltre 1 milione di ha, è praticata in condizioni ambientali e colturali molto diverse. Ai fini della gestione dell'oliveto gli aspetti economici e sociali hanno un ruolo altrettanto importante di quelli agronomici, in quanto l'olivo svolge spesso anche funzioni produttive, importanti compiti di conservazione del territorio e del paesaggio mediterraneo (suolo, sistemazioni collinari, biodiversità). La conduzione a tempo parziale dell'olivicoltura è diffusa e rappresenta la forma principale in aree marginali, talvolta così estese da interessare intere regioni come nel caso della Liguria. La qualità dell'olio extra-vergine di oliva nasce in campo a partire da olive sane, integre, ad un giusto grado di maturazione. Le successive fasi di conservazione delle olive, di trasformazione in olio e di stoccaggio dell'olio possono al massimo conservare il potenziale qualitativo iniziale, ma non consentono di ripristinare caratteristiche compromesse da una scadente qualità della materia prima. SUOLO E CLIMA La coltivazione dell'olivo è indissolubilmente legata al clima mediterraneo, caratterizzato da inverni miti, estati calde e secche e precipitazioni concentrate nel periodo autunno-primaverile. Per quanto riguarda il terreno, l'olivo non ha particolari esigenze di pH, tessitura o fertilità; si adatta bene anche a terreni calcarei e poco fertili, purché drenati, privi di ristagni di umidità e non eccessivamente compatti. DIFESA DA PARASSITI E MALATTIE La difesa dell'oliveto non richiede un numero elevato di interventi e, soprattutto nei climi freschi, si possono produrre olive sane con al massimo due trattamenti antiparassitari all'anno. L'insetto chiave in tutte le regioni italiane è la mosca delle olive (Bactrocera oleae), le cui larve scavano gallerie nel frutto alimentandosi della polpa. I danni sono di sottrazione di prodotto, scadimenti qualitativi per contaminazioni microbiche ed ossidazioni, e cascola precoce dei frutti nei casi più gravi. Parassiti minori, ma che possono risultare molto nocivi in particolari condizioni, sono la cocciniglia mezzo grano di pepe (Saissetia oleae), la tignola (Prays oleae), la tignoletta (Palpita unionalis), il rodilegno giallo (Zeuzera pyrina L.) e l'oziorrinco (Otiorrhynchus cribricollis). Altre specie di insetti possono occasionalmente produrre danni gravi agli oliveti, ma di solito vengono controllati naturalmente dalle condizioni ambientali e dall'entomofauna utile. Tra le malattie fungine le più frequenti sono l'occhio di pavone (Spilocea oleagina), la piombatura (Mycocentrospora cladosporioides) e la verticilliosi (Verticillium dahliae), che colpisce soprattutto gli oliveti irrigui e i nuovi impianti. La batteriosi più diffusa è la rogna (Pseudomonas savastanoi).

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VARIETA'

Un'indagine commissionata dalla FAO e pubblicata nel 1998 riporta 538 varietà autoctone italiane su un totale di 1275 nel mondo, la Spagna, il primo paese produttore di olio al mondo, conta 183 varietà autoctone, seguita dalla Grecia con 52. La varietà influisce sensibilmente sull'accrescimento e sul portamento dell'albero, sulla resistenza a malattie, parassiti e fattori ambientali, sull'entrata in produzione, sulla produttività, sulle caratteristiche dell'oliva e dell'olio, sull'epoca e scalarità di maturazione dei frutti, sul processo di accumulo dell'olio. La varietà non è modificabile, se non a costi proibitivi in oliveti esistenti. Nei nuovi impianti la scelta deve tener conto dell'auto-incompatibilità riproduttiva di molte varietà e degli obiettivi qualitativi che si vogliono perseguire. Sebbene sia possibile produrre oli extra vergini di oliva di alta qualità con qualsiasi varietà di olivo, le differenze varietali nel contenuto in componenti minori dell'olio e nel profilo organolettico possono essere enormi. La varietà influisce soprattutto sulla composizione in acidi grassi, sul rapporto tra acidi grassi insaturi e saturi, sul contenuto in composti fenolici e sui composti volatili ad impatto sensoriale che si sviluppano durante la trasformazione delle olive in olio. DENSITA' DI PIANTAGIONE

La densità di impianto varia molto a seconda delle condizioni di suolo e clima. Nel passato l'olivo era spesso consociato ad altre colture con densità di impianto molto basse e raramente superava i 200 alberi ad ettaro. Moderni oliveti intensivi hanno di solito una densità compresa tra 300 e 600 alberi ad ettaro. L'aumento del numero di alberi per unità di superficie in olivicoltura porta vantaggi produttivi soprattutto nei primi anni dall'entrata in produzione, ma i costi iniziali di impianto e gestione sono maggiori. Di recente si stanno diffondendo, soprattutto all'estero, oliveti ad altissima densità di oltre 1000 piante/ha per la raccolta in continuo con macchine scavallatrici del filare. La verifica della sostenibilità e della durata produttiva di questi oliveti oltre i 10 anni di età richiedono ulteriore sperimentazione POTATURA La potatura è una pratica costosa, ma indispensabile che deve essere eseguita tenendo conto delle prerogative biologiche dell'olivo, tra cui il portamento naturale della specie e della varietà, l'elevata attività vegetativa, le tipologie di gemme e rami, il modo di fruttificare prevalentemente sulle infiorescenze ascellari dei rami misti, l'alternanza di produzione. Inoltre, per potare correttamente bisogna considerare l'età, la produttività, lo sviluppo vegetativo, lo stato fito-sanitario ed eventuali sintomi di squilibrio o deperimento dell'albero (e.g. eccessiva emissione di rami succhioni). La potatura non influisce sulle caratteristiche analitiche, organolettiche e salutistiche dell'olio, purché sia eseguita in modo da consentire una buona illuminazione della superficie a frutto e un agevole accesso alla chioma per la difesa da parassiti e

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malattie. Si sta diffondendo il concetto di "potatura minima", ovvero la riduzione e semplificazione delle operazioni di potatura senza però indurre effetti negativi sulla produzione, qualità del prodotto e sostenibilità dell'oliveto. Dal punto di vista tecnico la potatura viene eseguita mediante tagli di eliminazione o di ritorno nel periodo compreso tra la fine dell'inverno e la primavera fino al completo allungamento delle infiorescenze. L'intensità di potatura aumenta con l'età dell'albero, per cui è più leggera in fase di allevamento e più severa in oliveti vecchi o deperiti. Potature severe durante la fase di allevamento sono errate in quanto riducono il potenziale di crescita dell'albero, stimolano l'emissione di rami a legno vigorosi e allungano il periodo improduttivo. La potatura di alberi vecchi, di scarso vigore, deperiti per abbandono o traumi deve essere severa per stimolare l'accrescimento vegetativo e il rinnovo dei rami a frutto. Negli interventi di ricostituzione, così come nella potatura di produzione, viene effettuata l'asportazione dei polloni almeno una volta all'anno. FORMA DI ALLEVAMENTO La forma di allevamento è il risultato del portamento dell'olivo e delle operazioni di potatura che si sono succedute negli anni. La scelta della forma di allevamento viene fatta prima dell'impianto dell'oliveto e deve essere basata principalmente sul tipo di raccolta che si vorrà attuare. Per la raccolta meccanica con vibroscuotitori è necessario formare un tronco unico privo di ramificazioni laterali per almeno 1 m dal suolo (1,3 m se si vogliono impiegare scuotitori con telaio intercettatore). Per la raccolta manuale o con attrezzi agevolatori portati dall'operatore non è necessario impalcare le piante su un unico fusto. La forma di allevamento più diffusa nell'olivicoltura italiana è quella a vaso, che presenta numerose varianti. Alberi allevati a vaso hanno di solito un fusto unico di altezza variabile da cui si dipartono da tre a sei branche diversamente orientate nello spazio per intercettare la massima quantità di radiazione luminosa. La parte centrale della chioma viene potata in modo da lasciare un varco ampio per la penetrazione della luce. Altre forme di allevamento sono il monocaule e il cespuglio. Nel monocaule l'asse principale dell'albero viene mantenuto con alcuni tagli di diradamento durante la fase di allevamento. Le branche primarie sono selezionate tra quelle formatesi spontaneamente e vengono periodicamente potate con tagli di ritorno o eliminate per il rinnovo della superficie fruttificante. Il cespuglio è una forma che richiede pochissima potatura durante la fase di allevamento, ma non è adatta per la raccolta meccanica. Indipendentemente dalla forma di allevamento è importante che l'altezza della chioma non superi i 5 m in modo da consentire l'esecuzione delle operazioni di potatura, difesa e raccolta da terra, avvalendosi anche di attrezzi agevolatori portati su aste. GESTIONE DEL SUOLO Comprende le lavorazioni del terreno, il controllo delle infestanti o dell'eventuale prato e la distribuzione dei fertilizzanti e influisce sulle proprietà fisiche e sugli equilibri chimici e microbiologici del suolo, mentre non sono noti effetti diretti sulla

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qualità dell'olio. Una corretta gestione consente di migliorare la regimazione idrica, favorendo l'infiltrazione e riducendo lo scorrimento superficiale delle acque, aspetto molto importante considerato che il 73% degli oliveti italiani si trova in collina o in montagna. La tecnica più diffusa è la lavorazione periodica che riduce la competizione delle infestanti, ripristina la porosità superficiale del suolo, consente l'infiltrazione in profondità della pioggia e l'interramento dei concimi. Le lavorazioni vengono fatte con attrezzi superficiali in modo da limitare i danni all' apparato radicale dell'olivo. Un metodo efficace ed economico per il controllo delle infestanti è il diserbo con prodotti chimici, che però risulta deleterio per la fertilità del suolo. Oggi si preferiscono metodi conservativi di gestione del suolo meno aggressivi per l'ambiente, in modo da ridurre l'erosione, preservare la struttura e limitare il compattamento del suolo. L'inerbimento permanente totale o parziale dell'oliveto è consigliato in are CONCIMAZIONE L'olivo è considerato una specie frugale per gli elementi nutritivi, ma in realtà ha elevate esigenze in azoto, potassio, fosforo e boro e si adatta bene ai terreni calcarei. Le concimazioni servono a reintegrare gli elementi minerali perduti con le asportazioni (frutti raccolti, legno di potatura, foglie cadute) o utilizzati per sostenere la crescita dei vari organi. I fabbisogni nutritivi variano con l'età e la fase fenologica dell'albero. In fase di allevamento, la concimazione riguarda prevalentemente l'azoto, distribuito frazionato durante la stagione di crescita e localizzato sulla fila. La concimazione di produzione include 2-3 interventi con azoto a partire dal germogliamento in modo da assicurarne un'ampia disponibilità per lo sviluppo del ramo e per la fioritura ed almeno due applicazioni con concimi contenenti fosforo e potassio. I concimi possono essere dati al suolo, alla chioma, con l'acqua di irrigazione (fertirrigazione) Il metodo più diffuso è la concimazione al suolo. e con una certa piovosità e in oliveti dotati di impianto irriguo. La presenza del prato, infatti, esercita competizione per l'acqua e gli elementi nutritivi nei confronti degli apparati radicali dell'olivo. I vantaggi dell'inerbimento consistono nell'aumentare la portanza del suolo al transito delle macchine, ridurre l'azione battente della pioggia, l'erosione e lo scorrimento superficiale dell'acqua, e apportare sostanza organica nel suolo. IRRIGAZIONE Nonostante l'olivo sia la coltura arborea da frutto più resistente alla carenza idrica, esso beneficia notevolmente dell'irrigazione. I vantaggi sono tanto maggiori quanto più arido è il clima e poco profondo o sabbioso il terreno. La maggiore diffusione degli impianti irrigui si ha, quindi, nelle regioni dell'Italia meridionale ed insulare ove il lungo periodo di aridità estiva limita notevolmente la produttività dell'oliveto. Un'elevata disponibilità idrica nel suolo nel corso della stagione di crescita aumenta la produzione, la pezzatura, il rapporto polpa-nocciolo e il contenuto in olio delle olive espresso in percentuale di peso secco. Sebbene sia possibile produrre oli extra

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vergini di oliva in assenza di irrigazione, l'irrigazione consente di migliorare e diversificare la qualità dell'olio. Dal punto di vista organolettico, le sensazioni di amaro e di piccante dell'olio si attenuano all'aumentare della quantità di acqua somministrata. Siccome l'acqua è scarsa nelle regioni olivicole italiane, l'impiego di questa risorsa deve essere ottimizzato erogandola con metodi localizzati (e.g. a goccia), che riducono le perdite di acqua per evaporazione, e secondo protocolli di irrigazione in deficit controllato, cioè mediante la somministrazione di volumi di acqua inferiori al fabbisogno giornaliero della pianta. RACCOLTA

La raccolta può essere effettuata a mano direttamente dall'albero (brucatura), con attrezzi agevolatori, con macchine vibroscuotitrici del tronco o scavallatrici del filare. La raccolta delle olive cadute per cascola naturale o attacchi parassitari, eseguita a mano o con macchine spazzatrici da terra, pregiudica quasi sempre l'ottenimento di oli extra vergini di oliva in quanto i processi ossidativi che hanno luogo in frutti sovra-maturi o danneggiati peggiorano le caratteristiche sensoriali e salutistiche dell'olio. Scadimenti qualitativi significativi si hanno anche raccogliendo le olive cascolate su reti. La brucatura assicura l'integrità dei frutti e non pone vincoli per l'epoca di raccolta, ma è il metodo di raccolta più costoso. Un'ottima alternativa alla brucatura è la raccolta con attrezzi agevolatori, che può anche raddoppiare la capacità oraria di raccolta, si adatta a qualsiasi forma di allevamento e sistemazione dell'oliveto e non richiede elevati investimenti di capitale. La raccolta meccanica delle olive con vibroscuotitori del tronco è un metodo collaudato che consente di raccogliere elevate quantità di prodotto per unità di tempo. L'operazione di scuotitura è rapidissima, mentre la movimentazione dei teli e il recupero delle olive raccolte richiedono tempo; macchine vibro-scuotitrici dotate di telaio intercettatore consentono di migliorare notevolmente le prestazioni del cantiere di raccolta, ma richiedono olivi distanziati di almeno 4.5 m sulla fila per poter lavorare agevolmente. La raccolta con macchine scavallatrici del filare è il metodo più rapido. Richiede elevati investimenti iniziali di capitale ed oliveti ad altissima densità appositamente progettati con idonee varietà, ma consente di raccogliere tempestivamente ampie superfici. La raccolta delle olive con vibro-scuotitori del tronco non altera la qualità dell'olio rispetto alla brucatura se le olive sono allo stesso stadio di maturazione. La raccolta meccanizzata con pettini pneumatici o elettrici può risultare in danni qualitativi, non tanto per le lesioni provocate sulle olive direttamente dai pettini quanto per lo schiacciamento dei frutti sulle reti di raccolta a causa del calpestio di operatori disattenti.

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LE TECNICHE DI PRODUZIONE DELL'OLIO

Relativamente alle operazioni che si svolgono in oleificio, si riportano, di seguito, le modalità razionali con cui devono essere effettuate al fine di conseguire una produzione olearia di qualità e con le caratteristiche organolettiche desiderate. STOCCAGGIO DELLE OLIVE IN FRANTOIO

L'operazione di stoccaggio delle olive, dopo la raccolta e prima della loro lavorazione per l'estrazione meccanica dell'olio, deve essere effettuata, per un tempo limitato non superiore a 24-48 ore, utilizzando le cassette forate o i cassoni di plastica forati (bins), che si prestano bene allo scopo di evitare strati di olive di eccessivo spessore, che potrebbero causare lo schiacciamento dei frutti con inevitabili negative ripercussioni sulla qualità dell'olio. I bins consentono l'aerazione delle olive, essendo sovrapponibili riducono la superficie richiesta per lo stoccaggio e ben si prestano ad essere movimentati meccanicamente. Bisogna evitare lo stoccaggio delle olive in grossi cumuli a contatto diretto con il terreno e l'impiego dei sacchi, di iuta o di plastica, per la conservazione delle olive in attesa della molitura. In ogni caso, lo stoccaggio delle olive deve essere effettuato in locali coperti, freschi e ben arieggiati, al riparo dall'acqua, dal freddo eccessivo e, soprattutto, dalle gelate che rendono difficoltosa la separazione dell'olio dalle altre fasi nel corso della successiva lavorazione delle olive con i differenti sistemi. Negli ambienti di stoccaggio delle olive, inoltre, devono essere evitati gli odori (gradevoli o sgradevoli) originati da altre attività ed anche valori eccessivi di temperatura (non superiore a 20 °C) e di umidità che possono favorire il processo di formazione delle muffe sulle drupe. DEFOGLIAZIONE E LAVAGGIO DELLE OLIVE

Le olive destinate alla produzione di olio extra vergine di qualità, prima di essere immesse nel ciclo di lavorazione vero e proprio, sono sottoposte alle operazioni di defogliazione e lavaggio sia per ragioni igienico-sanitarie sia per ragioni tecnico-meccaniche e di qualità dell'olio. Essendo l'olio un prodotto alimentare è corretto e doveroso, nel rispetto delle più elementari norme igienico-sanitarie, che la materia prima da cui si ottiene sia esente da materiali estranei. Inoltre rimuovere il materiale che accompagna spesso le olive è particolarmente opportuno quando l'oleificio adotta il frangitore metallico per la preparazione della pasta di olive ed il decanter centrifugo per la separazione dell'olio. In questo caso, infatti, la presenza di foglie potrebbe incidere sulle caratteristiche organolettiche dell'olio, mentre la presenza di materiale minerale potrebbe risultare abrasivo sulle parti metalliche degli impianti rotanti ad alta velocità. Naturalmente, per il lavaggio delle olive, si utilizza acqua potabile da ricambiare con frequenza tale da assicurare l'igiene dell'operazione e da

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evitare l'insorgenza di cattivi odori che potrebbero inquinare l'olio. Le lavatrici, infine, sono dotate di idoneo spruzzatore a doccia supplementare che opera il lavaggio finale con acqua di rete per eliminare ogni eventuale rischio di inquinamento e per assicurare la rimozione di possibili residui di sostanze organiche impiegate per la difesa della coltura dalle avversità. MOLITURA E FRANGITURA DELLE OLIVE

L'estrazione dell'olio dalle olive con mezzi meccanici è resa possibile da un insieme di operazioni tecnologiche che hanno la finalità di liberare le goccioline di olio dai tessuti vegetali che le contengono e di aumentarne le dimensioni fino a conseguire la separazione della fase oleosa dall'impasto. L'olio, infatti, è presente nelle cellule della polpa delle olive, racchiuso, per la maggior parte, nei vacuoli e disperso, in minor misura, nel citoplasma, mentre, in minima percentuale, è contenuto nell'epicarpo e nell'endosperma dell'oliva. La principale, e più importante, operazione che si deve effettuare per liberare l'olio è la molitura, o frangitura, delle olive che determina la rottura, più o meno profonda, delle cellule della polpa contenenti l'olio e che si realizza impiegando il frantoio a macine di granito (molitura) o i frangitori metallici rotanti ad alta velocità (frangitura). Il frantoio a macine ha una bassa capacità di lavorazione con azione lenta e non violenta che assicura una buona preparazione della pasta e l'ottenimento di oli che risultano armonici ed equilibrati, con sensazioni di amaro e piccante meno intense. I frangitori metallici, invece, hanno una elevata capacità oraria di lavorazione poiché effettuano la frangitura delle olive in maniera molto rapida e con azione più o meno violenta, a seconda del tipo di frangitore che si utilizza (a martelli fissi o mobili, a dischi, a coltelli, a coni o a rulli). Gli oli ottenuti da paste di olive preparate con il frangitore metallico risultano più amari e piccanti, rispetto a quelli ottenuti da paste di olive preparate con il frantoio a macine, poiché presentano un più alto contenuto di fenoli totali che, oltre ad avere proprietà antiossidanti, conferiscono all'olio anche il sapore amaro e piccante. Sebbene gli oli con un contenuto medio-alto di fenoli totali, ed anche amari e piccanti, siano da ritenere di buona qualità ed anche a più elevato valore nutrizionale, è da tener presente che una parte di consumatori preferisce quelli con caratteri organolettici meno intensi, più dolci e dal fruttato maturo, che meglio rispondono alle loro abitudini alimentari. Con l'operazione di frangitura o molitura, o con l'abbinamento dei due metodi, pertanto, si può variare, entro certi limiti, le proprietà sensoriali degli oli vergini, ottenuti da una stessa partita di olive, in modo da poter uniformare, o differenziare, la produzione olearia dell'azienda. GRAMOLAZIONE DELLA PASTA DI OLIVE

La preparazione finale della pasta di olive si effettua con l'operazione di gramolazione che consiste in un lento e continuo movimento della pasta generato dalla rotazione di nastri elicoidali e palette saldate su un asse orizzontale che ruota a

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20-30 giri/minuto. Le gramolatrici devono essere a chiusura ermetica, hanno forma semicilindrica, sono costruite in acciaio inox e sono dotate di camicia esterna per la circolazione di acqua calda necessaria per riscaldare l'impasto alla temperatura opportuna, in dipendenza del sistema di estrazione adottato. Il lento rimescolamento della pasta di olive favorisce la riunione delle piccole gocce di olio e la formazione di gocce di dimensioni maggiori che tendono a separarsi in una fase liquida continua. In tal modo si incrementa la quantità di olio libero e si favorisce, di conseguenza, l'aumento della resa in olio con i differenti sistemi di estrazione impiegati. I parametri tecnologici di gramolazione (tempo e temperatura) risultano importanti perché possono incidere sulla resa in olio e su alcune caratteristiche qualitative dell'olio. È opportuno evitare un prolungamento eccessivo dell'operazione che potrebbe favorire l'azione degli enzimi, naturalmente presenti nella pasta di olive, con possibili riflessi negativi sulla qualità dell'olio, in particolare sul contenuto di sostanze fenoliche. La temperatura di gramolazione deve essere opportunamente controllata, mediante il termostato di cui l'apparecchio è dotato, per una adeguata preparazione della pasta di olive e per evitare possibili negative conseguenze all'olio di risulta. Qualunque sia il sistema adottato nell'oleificio, la temperatura di gramolazione non dovrebbe superare i 28 - 32 °C poiché tali valori assicurano, in dipendenza delle caratteristiche e della qualità delle olive, buone rese di estrazione ed anche una buona qualità dell'olio. Tuttavia, nel caso in cui il produttore voglia commercializzare l'olio con l'indicazione "estratto a freddo" o "prima spremitura a freddo" riportata in etichetta, è necessario che durante tutto il ciclo di produzione dell'olio la temperatura non superi 27 °C LA SEPARAZIONE DELL'OLIO DALLE ALTRE FASI DELLA PASTA DI OLIVE

La pasta di olive, opportunamente preparata con le operazioni tecnologiche descritte, è pronta per la separazione dell'olio che si effettua con un sistema meccanico che, esercitando una forza fisica sull'impasto, è in grado di conseguire la separazione delle fasi liquide da quella solida. Allo stato attuale, i sistemi industriali che si adottano, per l'estrazione meccanica dell'olio dalle olive, sono quelli della pressione, del percolamento e della centrifugazione PRESSIONE

È il sistema più antico adottato per ottenere l'olio dalle paste di olive, e da diversi decenni perfezionato meccanicamente per consentire elevata efficienza estrattiva. Questo sistema, in relazione alla qualità ed allo stato sanitario e di maturazione delle olive, consente di ottenere oli di qualità che, in genere, risultano, dal punto di vista organolettico, armonici ed equilibrati soprattutto per l'impiego delle macine di granito nella fase di molitura delle olive. Tuttavia, l'impiego del sistema richiede una cura ed un'attenzione particolari per assicurare la pulizia dei locali e delle macchine, specie dei diaframmi filtranti (fiscoli), al fine di evitare l'inquinamento dell'olio da parte

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delle sostanze volatili di neo-formazione generate dalla alterazione della sostanza organica ad opera dei microrganismi presenti nella pasta di olive e nell'ambiente. PERCOLAMENTO (O FILTRAZIONE SELETTIVA)

L'estrazione dell'olio con il sistema del percolamento si basa sul fatto che quando una lamina di acciaio si immerge nella pasta di olive, l'olio aderisce maggiormente alla superficie metallica. Il sistema, in genere abbinato con la centrifugazione, pur non molto diffuso, consente di ottenere, dal punto di vista qualitativo, oli la cui qualità é quella massima conseguibile, in relazione alla qualità delle olive, poiché la macchina é inerte ed opera solo con il lento movimento delle lamelle di acciaio e non richiede altri mezzi intermedi, come l'acqua o i diaframmi filtranti, per favorire l'uscita dell'olio. Tuttavia, anche per questo sistema è di estrema importanza assicurare la pulizia della vasca, in cui sono alloggiate le lamelle di acciaio ed i pettini, al fine di evitare il possibile inquinamento dell'olio ad opera delle sostanze volatili prodotte dalla fermentazione dei residui vegetali che restano negli interstizi della macchina. CENTRIFUGAZIONE

Il sistema di lavorazione delle olive più diffuso nel settore della trasformazione olivicola, ed attualmente ancora in espansione, è quello della centrifugazione continua delle paste di olive mediante i decanter ad asse orizzontale rotanti ad alta velocità (circa 3500 giri/minuto) e che richiedono l'aggiunta dell'acqua per la fluidificazione della pasta di olive. L'impianto centrifugo, comparso negli oleifici negli anni '60, ha risolto il problema della lavorazione delle olive in continuo, cosa non possibile con i sistemi discontinui della pressione e del percolamento, consentendo di incrementare la capacità produttiva del frantoio e di ridurne i costi di esercizio. Dal punto di vista quantitativo, il sistema della centrifugazione a 3 fasi consente di ottenere rese in olio che dipendono, a parità di modalità di preparazione della pasta di olive, dalla portata di alimentazione del decanter e dalla quantità di acqua di fluidificazione aggiunta. Dal punto di vista qualitativo, l'olio che si ottiene con il decanter centrifugo a 3 fasi non risulta, in genere, inquinato dai residui di partite di olive precedenti e presenta caratteristiche organolettiche che dipendono, oltre che dalle olive, dal metodo di frangitura e dall'acqua aggiunta che, lavando l'olio, asporta parte delle sostanze fenoliche idrosolubili. Alcuni degli inconvenienti presentati dal decanter centrifugo a 3 fasi (elevato volume di acqua di vegetazione e oli con più basso contenuto di fenoli totali) sono stati superati dall'introduzione nel mercato dei decanter a 2 fasi (che producono solo olio e sansa) o a 2 fasi e mezzo (che producono olio, sansa e poca acqua di vegetazione). Tali decanter innovativi hanno la possibilità di poter effettuar e la separazione dell'olio dalla pasta di olive utilizzando una quantità nulla o ridotta di acqua di diluizione e consentono, quindi, di evitare la produzione di acqua di vegetazione, o di farne ottenere un volume limitato (10-30 l/100 kg di olive), e di ottenere oli con un alto contenuto di fenoli totali.

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Le caratteristiche dell'olio extra vergine di oliva

L'olio extra vergine di oliva è composto per circa il 98% da trigliceridi e per il rimanente 2% da componenti minori.

I trigliceridi sono composti chimici formati da una struttura di glicerolo a cui sono legati gli acidi grassi tra cui predomina l'acido oleico (55-80%), un acido grasso monoinsaturo che conferisce resistenza all'ossidazione durante la conservazione e la cottura rispetto ai principali oli di semi ma mantiene i benefici di acido grasso insaturo. Particolare importanza rivestono anche gli acidi grassi linoleico e linolenico, rispettivamente ω 6 e ω 3, definiti essenziali e che devono essere assunti con l'alimentazione in quanto l'organismo non è in grado di sintetizzarli.

I componenti minori comprendono oltre 200 diverse sostanze che si ritrovano nell'olio in virtù della tecnica estrattiva di natura esclusivamente meccanica ed a basse temperature. Tra tutti, rivestono un'importanza preminente:

• i fenoli che hanno una spiccata attività antiossidante e conferiscono all'olio il tipico carattere amaro e piccante;

• i tocoferoli, ossia le vitamine liposolubili come la vitamina E, anche essi a carattere antiossidante;

• i pigmenti come le clorofille e i carotenoidi che conferiscono rispettivamente una colorazione verde o gialla all'olio;

• le sostanze aromatiche sono le sostanze volatili che danno all'olio quei profumi caratteristici che ricordano l'erba appena tagliata, la mandorla, i vegetali amari e la foglia fresca.

Per la sua composizione l'olio extra vergine di oliva è dunque l'olio vegetale più stabile all'ossidazione e che dà maggiori benefici al nostro corpo.

IL TERRITORIO

L'olivicoltura è estremamente diffusa in tutto il Paese e la sua importanza è determinata, prima ancora che in termini quantitativi, dalla sua qualità naturale e dal profondo radicamento nel territorio e nella cultura locale. Gli oliveti fanno da cornice alle più importanti città d'arte, rappresentando anche un presidio dal punto di vista idrogeologico nei terreni a forte pendenza. C'è un filo giallo che unisce l'Italia, da Nord a Sud, e accomuna tradizioni culinarie e gastronomiche. E? questo il grande valore dell'olio extravergine di oliva, principe indiscusso della dieta mediterranea, ingrediente buono, salubre e fondamentale delle nostre tavole. l'Olio è uno straordinario ambasciatore, al pari delle bellezze paesaggistiche, condisce con il suo

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sapore le testimonianze storiche e arricchisce con i suoi colori un'offerta culturale tipica di tanti luoghi diversi. In ogni paese c'è, infatti, un olio diverso. E' l'estensione in senso longitudinale dell'Italia a determinare l'ampia varietà di cultivar di olive da olio. Da Nord a Sud del Belpaese s'incontra una molteplicità di espressioni organolettiche che conferiscono al prodotto locale una tipicità unica e spesso irripetibile. La vera ricchezza dell'olio extra vergine di oliva italiano di qualità europea sta nella sua diversità dalle miscele standard, alle quali ci ha abituato nel tempo un mercato poco attento al concetto dell'alta qualità. A livello locale, la realizzazione delle miscele non è sempre uguale, ma varia secondo le cultivar disponibili e la percentuale utilizzata. Gli altri fattori che contribuiscono a diversificare la produzione di alta qualità sono il clima, l'altitudine, il paesaggio rurale circostante nel quale l'albero di olivo è perfettamente integrato. Numerose le varietà di olive presenti nella Penisola. Tra queste: Taggiasca e Lavagnina in Liguria; Frantoio e Leccino in Toscana; Casaliva sul Lago di Garda; Moraiolo in Umbria; Carboncella in Sabina; Gentile in Abruzzo; Rotondella in Campania; Ogliarola, Coratina, Cima e Cellina in Puglia; Carolea e Dolce di Rossano in Calabria; Nocellara del Belice e Tonda Iblea in Sicilia; Bosana, Nera di Gonnos, Pizz'e Carroga in Sardegna. Sono queste le varietà prevalenti che determinano la differenza tra i profili organolettici degli extra vergini locali. Si va dall'olio delicato, dall'aroma dolcissimo e pronto per l'immediato consumo, a quello fruttato e ricco di sapore. C'è l'extra vergine con sensazione erbacea e quello con retrogusto amaro di mandorla con pizzicore lieve. Giallo oro, con tonalità intense e velato. Dai riflessi verdi ed aranciati con profumi di erba di sfalcio. Tutti i colori del sole, che racchiudono i mille sapori dell'olio extra vergine di oliva, di alta qualità europea che condisce la vita.

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LA VITICOLTURA

La viticoltura rappresenta l'insieme delle tecniche che prevedono la coltivazione delle viti (da tavola e da vino) e può considerarsi come una branca dell'Arboricoltura.

L'attività di viticoltura va dall'epoca di messa a dimora delle barbatelle innestate fino all'epoca dell'espianto. Le barbatelle sono piccole viti innestate su portainnesti americani. I portainnesti americani sono infatti resistenti alla fillossera (insetto appartenente all'ordine dei Rincoti) contrariamente alle viti europee. In questo arco di tempo piuttosto lungo (mediamente un vigneto può vivere fino a 20-30 anni) sono necessari svariati interventi:

Sistemazione del terreno

Si rende necessaria specialmente in terreni collinari. La sistemazione dei vigneti con forti pendenze ha come obiettivo la riduzione delle ore necessarie alle pratiche colturali che sono molto gravose potendo arrivare ad impiegare il triplo o il quadruplo del tempo rispetto alla pianura (fino a 2000 ore per ettaro). Bisogna dire che sono però i terreni migliori dal punto di vista del vino prodotto. I vini prodotti in collina hanno potenzialità qualitative superiori in confronto a quelli prodotti in pianura. Fin dai tempi dei romani la vite viene coltivata sulle colline e la filosofia tradizionale del vigneto collinare prevede fondamentalmente due tipologie: secondo le linee di massima pendenza (rittochino) o perpendicolarmente (girapoggio) ad esse. Esistono inoltre soluzioni intermedie come il cavalcapoggio in cui il filare segue una direzione (tipo est - ovest) risultando sia a rittochino che a girapoggio, si tratta di situazioni marginali. La prima (rittochino) non ostacola l'erosione ma consente un buon livello di meccanizzazione. La seconda invece si oppone con forza al ruscellamento e quindi all'erosione ma è difficilmente meccanizzabile. Le soluzioni moderne prevedono la sistemazione dei nuovi terreni collinari secondo due forme razionali:

• Terrazzamenti di medie dimensioni

Si preparano ricostruendo sia le piccole terrazze che le murate di sostegno con cemento armato. Sulle terrazze così formate si sistemano a rittochino i filari. In questo caso è possibile meccanizzare alcune operazioni colturali con trazione funicolare e cannoni irroratori. Non è possibile accedere alla terrazza con un trattore.

• Ciglioni

Si sistemano i ciglioni (zona del terreno al margine di una scarpata) a giropoggio con filare sull'esterno del ciglione, la scarpata di sostegno viene inerbita. All'interno (verso il lato monte), il ciglione sostiene un filare in piano

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su cui può circolare un trattore per gli interventi al verde. A seconda della pendenza i ciglioni possono essere larghi (due o più filari) se la pendenza è lieve o stretti (un unico filare) se la pendenza è eccessiva e/o la roccia è superficiale.

LA POTATURA

La potatura di allevamento assicura un rapido sviluppo della struttura scheletrica e radicale della vite ed una rapida messa a frutto. Questa fase può durare dai 2 ai 3 anni. La potatura di produzione ha lo scopo anche di mantenere le piante "pulite" e nella forma di allevamento stabilita, ma soprattutto di massimizzare la produzione di uva, eliminando i rami che portano meno frutti, garantendo un adeguato carico gemmario limitando la vigoria: lasciare solo i rami "essenziali" fa sì che la pianta concentri tutta la sua energia nei grappoli d'uva anziché distribuirla in molti rami e foglie.

Per individuare quali sono i rami fruttiferi occorre dividere i rami in categorie, a seconda della loro distanza dalla radice:

• categoria zero: è il fusto principale della pianta, a partire dalla radice, e comprende i rami legnosi, di colore marrone e con superficie ruvida;

• rami del primo anno: sono quelli che partono dai rami di categoria zero, sono flessibili e di colore verde;

• rami del secondo anno: partono dai rami del primo anno; • rami del terzo anno: partono dai rami del secondo anno;

e così via.

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Come si può intuire dal nome dato alle categorie di rami, la nascita di nuovi rami avviene una volta all'anno, in primavera. Si è verificato sperimentalmente che l'uva migliore e più abbondante cresce dai rami del secondo anno, conseguentemente si tende a lasciare solo rami del secondo anno e quelli del primo anno, i quali servono per avere da questi ultimi, l'anno successivo, dei rami del secondo anno che produrranno uva. Il numero dei rami che si lascia dipende dalle usanze della zona: da un minimo di un solo ramo del primo anno e un solo ramo del secondo anno (ed è questo il metodo più diffuso) fino a tre rami del primo anno e a tre rami del secondo anno.

Il periodo più adatto alla potatura è all'inizio della primavera, quando sono già nati i rami dell'anno in corso ma non si vedono ancora i nuovi grappoli. Le viti "piangono" a causa della potatura (ma in certi casi anche a causa di maltrattamento). Secondo un'osservazione empirica, i tralci che piangono di più portano più frutto. Poco prima della vendemmia in talune zone si usa sfoltire ancora la vite, togliendo un po' di tralci e foglie, sia per far prendere ancora un po' di sole all'uva sia per facilitare il lavoro dei vendemmiatori.

Concimazione  Anche la concimazione della vite ricopre una notevole importanza se si vuole ottenere dei prodotti di qualità. Si parte già prima della messa a dimora delle barbatelle con una concimazione di fondo effettuata con del letame maturo per una quantità di circa 500 q/ha. Nel corso degli anni dov'è necessario è utile effettuare due tipi di concimazione: una autunnale con letame maturo e l'altra nella primavera successiva con concimi complessi a base di azoto fosforo potassio. Qualora nel corso della stagione le nostre viti manifestino segni di carenze nutrizionali è bene ricordare che esistono anche dei concimi fogliari che possono aiutarci a superare le carenze ma attenzione questi concimi non risolvono il problema della mancanza di elementi ed è quindi opportuno eseguire le concimazioni che sopra abbiamo consigliato. Una concimazione eseguita correttamente porta notevoli miglioramenti nel nostro vigneto, ma una concimazione fatta in modo scorretto è molto dannosa e si ripercuoterà in negativo anche sulla produzione. Inquadramento botanico della Vite La vite europea (Vitis vinifera sativa) appartiene al genere Vitis, famiglia Vitacee, classe Dicotiledoni. Il genere Vitis comprende il gruppo delle viti americane (Vitis rupestris, V. berlandieri, V. riparia) usate come portainnesti e il gruppo delle viti eurasiatiche comprendenti la Vitis vinifera, nell’ambito di quest’ultima si distinguono la vite selvatica e quella sativa o europea o coltivata.

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Tecnica colturale La qualità di un prodotto dipende da molti fattori che possiamo sintetizzare in: a) condizioni pedo–climatiche; b) azioni dell’uomo. a) Condizioni pedo-climatiche E’ noto che uno degli aspetti che più pesano sul risultato colturale della vigna è il condizionamento esercitato dai fattori ambientali, in primis il terreno e il clima che in varie interazioni sono gli elementi fondamentali. Una vastissima letteratura è di supporto a queste affermazioni, perché la fisiologia della pianta e soprattutto le azioni reciproche ed antagoniste della fase vegetativa e della fase di accumulo sono influenzate dai nutrienti e dall’energia disponibile. Per quanto riguarda il terreno dobbiamo dire che la vite si adatta ai terreni più disparati, anche se predilige quelli di medio impasto dotati di buone caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche. La risposta qualitativa del prodotto è diversa a seconda della natura del terreno, infatti in quelli calcarei si ottengono vini con un buon grado zuccherino, ma scarsa acidità, i terreni umiferi, ricchi di sostanza organica, sono in genere da scartare non tanto per la produzione che risulta abbondante ma per la qualità scadente fornendo vini grossolani e di scarsa serbevolezza, i terreni argillosi se associati a calcare possono offrire vini corposi, di buon colore e grado alcolico, la produzione è scarsa ma in compenso si ottengono vini di qualità superiore, i terreni sabbiosi consentono un buon sviluppo della pianta e danno produzioni pregiate in quanto la sabbia conferisce al vino leggerezza e profumo. Del clima il fattore termico è determinante nella buona riuscita del prodotto, è dimostrato che tale fattore è quello che maggiormente influenza le fasi fenologiche (dal germogliamento alla raccolta) determinando condizioni più o meno favorevoli alla maturazione dell’uva e alla sua qualità. E’ stato anche dimostrato che sull’accumulo di zuccheri e degradazione degli acidi nell’uva sono il fattore termico e quello idrico che giocano il massimo ruolo, le temperature massime non sempre fanno segnalare grossi problemi alla coltura, mentre quelle ottimali, a seconda della fase fenologica, devono essere le seguenti: a) durante il germogliamento 9 – 10°C b) durante la fioritura 18 – 22°C c) fino alla maturazione 20 – 24°C d) dall’inizio alla fine della vendemmia 18 – 22°C, non meno di 12 – 14°C. Altri aspetti importanti della viticoltura sono:

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Giacitura – La vite trova in collina l’habitat ideale, l’esposizione è molto importante nelle zone collinari più nordiche ove la vite preferisce le esposizioni soleggiate di Sud o Sud Ovest. Altitudine – Rappresenta un limite all’areale della vite in quanto oltre una certa altezza la pianta non cresce, nelle nostre zone, dell’Appennino meridionale, altitudini di 800–1000 m s.l.m. sono proibitive alla coltivazione della pianta, aumentando l’altitudine infatti diminuisce la temperatura e si ritarda la maturazione dell’uva. b) Azioni dell’uomo Premesso che la vite fornisce i migliori risultati nelle zone vocate, concetto che racchiude sia le condizioni pedo climatiche ma anche l’insieme di strutture e favorevoli prospettive di mercato, individuata l’area, la principale azione dell’uomo è sicuramente l’impianto del vigneto. Scelta la zona la prima operazione da fare è l’analisi del terreno che fornisce i principali dati sulla composizione chimico fisica evidenziando eventuali carenze quali quantitative o eccessi di calcare o della sostanza organica per intervenire tempestivamente con correttivi o ammendanti oppure rinunciare all’impianto stesso nel caso in cui le condizioni siano inidonee. Altra operazione per la buona riuscita della vigna è la scelta del portainnesto e della cultivar. Dei portainnesti dobbiamo dire che la maggior parte sono di origine americana e le specie più utilizzate appartengono alla Rupestris, Riparia e Berlandieri in purezza o come ibridi. Nella provincia di Avellino i portainnesti più utilizzati sono: Kober 5BB (Berlandieri x Riparia), 140 RV (Berlandieri x Rupestris), 420 A (Berlandieri x Riparia), 1103 P (Berlandieri x Rupestris), quest’ultimo il più utilizzato. Le cultivar sono Aglianico, Fiano di Avellino, Greco di Tufo , Coda di volpe, Sangiovese, Piede Rosso. Impianto

Va ricordato che prima dell'impianto è utile conoscere a fondo l'ambiente colturale ed il terreno (analizzandolo) per scegliere al meglio le varietà adatte ad un ambiente piuttosto che ad un altro.

Per il tracciamento dei sesti d'impianto è importante decidere le distanze a cui porre le piante poiché un volta cresciute è molto difficile modificarle, tenendo sempre ben presente il tipo di forma d'allevamento scelta ed inoltre la possibilità di meccanizzazione (oggi fondamentale).

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Palatura: i pali ovviamente devono essere messi in verticale con la massima precisione, per questo oggi si usano macchine che li piantano con altissima precisione.

Importantissimi inoltre sono i pali di testata che devono avere una certa inclinazione e delle ancore ad almeno 1 m sotto terra.

È necessario decidere che forma di allevamento scegliere tra quelle in volume (tridimensionali), ovvero ad alberello; a controspalliera (bidimensionali), ovvero a tralcio rinnovato fra cui: guyot, capovolto, archetto o a cordone permanente (speronato, sylvoz o casarsa, cordone verticale); a tetto (parallelo al terreno) come pergola, tendone, raggi (belussi), spalliere-pergole; doppie cortine (G.D.C., duplex), cortina semplice (cordone libero).

Si passa quindi all’impianto vero e proprio che prevede le seguenti fasi: – livellamento del terreno – scasso totale o parziale – concimazione – affossatura o drenaggio – affinamento del terreno – squadratura e picchettatura – portamento e cura delle piantine. Operazione indispensabile per la buona riuscita del vigneto è la concimazione di impianto che deve apportare per ettaro di superficie almeno 600–800 q.li di letame maturo, 15–20 q.li di perfosfato minerale e 4-5 q.li di concimi potassici. I concimi vanno sparsi sul terreno prima della lavorazione e successivamente interrati. Quando lo scasso è a buche o a trincee si devono utilizzare i seguenti quantitativi: letame 20–30 kg più 0,5 kg di concime complesso per ogni pianta, mescolati al terreno e interrati fra 30 e 80 cm al momento della chiusura delle buche, l’accortezza è di tenere i concimi lontano dalle radici almeno di 15 cm. – L’epoca dell’impianto deve ricadere nella prima decade del mese di novembre, infatti se si impianta il vigneto in autunno si guadagna un anno in quanto le radici nel periodo invernale presentano un certo sviluppo e sono pronte in primavera per il germogliamento.

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Le barbatelle innestate devono avere un anno di età, le piantine devono avere un apparato aereo ben sviluppato, una regolare saldatura al punto di innesto e non presentare sintomi di malattia. Prima della messa in opera delle piantine si taglia l’apparato radicale fino a 10 cm di lunghezza, mentre nella parte aerea si tiene un tralcio con 3-5 gemme. Si pianta la barbatella facendo aderire la terra fine o sabbia alle radici, il punto di innesto deve risultare sopra il livello del terreno, poi si copre l’apparato aereo con cumuletto di sabbia o terreno per evitare danni da freddo, vento o da sole al punto di innesto. I filari vanno orientati N–S onde favorire una equilibrata illuminazione alle piante.

Impalcatura La vite, essendo una pianta arbustiva, richiede una robusta impalcatura per sostenere la parte aerea, quelli ammessi dal disciplinare sono i pali morti di castagno collegati da una intelaiatura più o meno complessa fatta di fili di ferro e sostenuti da eventuali ancoraggi laterali.

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• Sesto di Impianto Il sesto d’impianto deve essere, se alla Guyot, 1,20 – 2,00 m fra le file; 1,00 – 1,50 m

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sulla fila, tanto da sistemare 2.800 – 8.000 piante per ettaro di superficie con 10 – 12 gemme per pianta e 50.000 – 80.000 gemme per ettaro. Il cordone speronato prevede una distanza fra le file di 2 – 3 m, sulla fila 1,5 – 2,00 con 1.600 – 3.000 piante per ettaro, 20 – 30 gemme per pianta con un numero di gemme per ettaro di 60.000 – 80.000. Cure colturali alla vite in produzione • Potatura di produzione Ricordiamo che la vite fruttifica sui rami dell’anno inseriti sui rami di un anno che la potatura invernale ha lasciato sul legno vecchio. La potatura invernale della vite deve essere energica e richiede l’asportazione di tutti i tralci che hanno prodotto e di buona parte di quelli nuovi. Il tempo della potatura invernale va dalla fine della vendemmia al germogliamento. • Potatura verde Consiste nelle operazioni di cimatura, scacchiatura, legature, sfogliature e incisioni anulari, accorgimenti che servono a migliorare la qualità del prodotto, esponendo i grappoli all’azione del sole e all’arieggiamento, si controlla lo sviluppo delle malattie fungine, si favorisce la lignificazione dei tralci, si riduce il consumo idrico. • Concimazione E’ buona norma concimare il terreno apportando mediamente ogni anno per ettaro 80–100 kg di azoto, sotto forma di nitrato o solfato ammonico, 50–60 kg di anidride fosforica sotto forma di perfosfato minerale e 130–170 kg di ossido di potassio sotto forma di solfato potassico. Il fosforo e il potassio possono essere somministrati tutti o in parte in autunno ed interrati con una lavorazione profonda, l’azoto è bene somministrarlo alla fine dell’inverno inizio della primavera. Completano le cure colturali alla vigna le lavorazioni superficiali al terreno e la lotta alle erbe infestanti o con le sarchiature o col diserbo chimico. Avversità Per ottenere prodotti di qualità e quantità non si possono trascurare le avversità parassitarie ricorrendo o alla prevenzione o alla cura delle malattie. Tra le micopatie più pericolose della vite in primo luogo segnaliamo: • Peronospora (Plasmopara viticola) La peronospora rappresenta una delle più gravi micopatie della vite, questa malattia è

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presente in Europa fin dal 1878, probabilmente introdotta dall’America. Il fungo colpisce quasi tutti gli organi erbacei della pianta (germogli, infiorescenze, infruttescenze) determinando abbattimenti della produzione e scarsa qualità del prodotto finale. Se non si vuole compromettere il raccolto è necessario l’intervento umano con prodotti di copertura, endoterapici citotropici ed endoterapici sistemici. I prodotti di copertura come i rameici (poltiglia bordolese) ditiocarbammati (Zineb, Mancozeb etc), devono essere utilizzati preventivamente all’attacco fungino, gli altri hanno azione curativa, tra i citotropici ricordiamo il cimoxanil tra i sistemici di ultima generazione annoveriamo le acilalanine e l’etilsolfito di alluminio. • Oidio o Mal bianco (Uncinula necator) E’ un fungo epifita che aggredisce tutti gli organi della pianta ove forma una efflorescenza biancastra che porta a morte dei tessuti e spaccatura degli acini con conseguente attacco di un altro parassita la botrite. La lotta a questa malattia va fatta in coincidenza con la lotta alla peronospora. Anche per questa parassitosi si dispongono di prodotti di copertura come lo zolfo e prodotti endoterapici come il fenarimol, benomil, etc. • Muffa Grigia o Botrite (Botrytis cinerea) E’ un fungo che colpisce i grappoli, gli acini e le altre parti erbacee della pianta formando una muffa grigia, i tessuti colpiti manifestano il tipico marciume molle. In alcune zone del nord Europa vi è un ceppo di botrite che talvolta determina una disidratazione degli acini senza la comparsa del marciume molle e della muffa, questa condizione favorisce una concentrazione zuccherina determinando nella vinificazione vini particolarmente aromatici e pregiati (Tokai), questa infezione viene chiamata muffa nobile e costituisce un pregio e non una malattia. In altri casi se si vuole preservare il raccolto è indispensabile prevenire l’attacco creando nel vigneto condizioni di aerazione riducendo al minimo le concimazioni azotate, favorendo invece quelle potassiche. Fare trattamenti molto presto con un prodotto assai efficace la Vinclozolina. Tra i parassiti animali segnaliamo: • Tignoletta (Lobesia botrana) Trattasi di un micro lepidottero che arreca seri danni alla vite colpendo fiori, acini; si può intervenire con trappole sessuali per la cattura dei maschi oppure fare trattamenti con esteri fosforici. • Fillossera (Viteus vitifoliae) Trattasi di un afide originario dell’America arrivato in Europa nella metà dell’800,

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danneggia le piante con le punture per asportazione della linfa. La lotta è da anni effettuata mediante una pratica di propagazione: l’innesto di viti europee su portainnesto di viti americane. Vendemmia L’epoca della vendemmia dipende dalla maturazione delle uve e dall’obiettivo enologico prefissato. Durante la maturazione negli acini diminuiscono gli acidi ed aumentano gli zuccheri e gli aromi, il grado di maturazione è valutato mediante indici scientifici e indici empirici. Per i primi si ricorre alla misura del grado zuccherino delle uve con il rifrattometro o il mostimetro di Babo, ricordando che moltiplicando il grado zuccherino per il coefficiente di trasformazione zucchero in alcool (0.6) si ottiene la probabile gradazione alcolica del futuro vino. Gli indici pratici più seguiti dal viticoltore sono il colore dell’uva, del rachide e dei pedicelli, il sapore dolce, etc. Generalmente la raccolta inizia prima per i vini bianchi, si continua con quelli rosati e i rossi, da ultimo sono raccolte le uve per vini rossi da invecchiamento e quelli passiti.

Il Vino In base alla definizione CEE il vino è il prodotto ottenuto esclusivamente dalla fermentazione alcolica totale o parziale di uva fresca, pigiata o non, o di mosto di uva. Con il termine fermentazione si intende la demolizione dei carboidrati, da parte dei lieviti, senza intervento di ossigeno atmosferico, con la formazione di alcole etilico e anidride carbonica che sono i prodotti principali, secondo lo schema accertato da Gay-Lussac nel 1813:

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C6H12O6 = 2CH3–CH2OH + 2CO2

• Costituenti del vino – L’acqua è il costituente più abbondante, il suo contenuto va dall’80% nei vini a elevata alcolicità al 90% in quelli poco alcolici. – L’etanolo è il prodotto della fermentazione alcolica, è il costituente più importante, il suo tenore varia da meno dell’8 fino a oltre il 17%. – Il metanolo è un sottoprodotto che accompagna sempre l’alcool etilico, il suo contenuto aumenta con il prolungamento della macerazione. Il contenuto massimo tollerato dalla legge è di ml 0,2 per 100 ml di alcole anidro nei vini bianchi e di 0,3 ml/100 ml di alcole nei vini rossi. – Alcoli superiori come il propilico, isobutilico, amilico, isoamilico, etanolo e fenil-etanolo. – Polialcoli: inositolo, sorbitolo. – Aldeidi: etanale. – Chetoni: acetoino. – Zuccheri pentosi: arabinosio, ribosio, xilosio. – Zuccheri esosi: galattosio, levulosio. – Zuccheri disaccaridi: maltosio, lattosio e saccarosio. – Acidi fissi: tartarico che è l’acido caratteristico del vino; i nostri ne contengono mediamente 2 g nei vini più ricchi di alcole fino a 5 g in quelli più poveri di alcole; malico più abbondante nei vini settentrionali che non in quelli meridionali; citrico mediamente è contenuto in 0,2–0,3 g/l. – Acidi volatili Fra essi il più importante è l’acido acetico, che è il costituente fondamentale dell’acidità volatile del vino, generalmente nei vini giovani il suo tenore è inferiore a 0,4 g/l, il suo contenuto aumenta nel corso della conservazione del prodotto, esso costituisce l’85% dell’acidità volatile, altri acidi sono il propionico, butirrico, caprinico, caprilico, caprico, laurico, questi acidi insieme ai rispettivi esteri danno

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l’aroma primario del vino. Il vino che accusa acidità volatile oltre certi limiti > 18/20 meq/l è definito spunto, se è ancora più elevata acescenza. – Acido lattico, il suo contenuto varia da 0,2–0,3 g/l, il Taurasi ne può contenere fino a 5 g/l; acido metilmalico, acido piruvico, acido alfachetoglutarico. – Polifenoli che influenzano l’aroma e il sapore del vino. – Protidi semplici, polisaccaridi, sostanze minerali, composti solforati vitamine. In base al colore i vini si distinguono in bianchi e rossi; le norme CE classificano il vino in: vino da tavola e vini di qualità prodotti in regioni determinate (VQPRD) corrispondenti ai DOC (denominazione di origine controllata) e DOCG (controllata e garantita), vini spumanti, vini frizzanti, vini liquorosi e bevande a base di vino. – Il vino da tavola deve avere un titolo alcolico non inferiore a 9° e non superiore a 15°, un’acidità totale, espressa in acido tartarico, superiore a 4,5 g/l. – I vini di qualità prodotti in regioni determinate (VQPRD) sono i vini la cui produzione deve sottostare a precise norme che sono indicate nel disciplinare di produzione di ciascun vino come da Decreto Ministeriale. Tali norme riguardano l’area di produzione esattamente delimitata, il clima, il terreno, i vitigni che devono essere allevati secondo determinati criteri in modo che la produzione per ettaro di uva non superi il limite stabilito, le uve siano vinificate secondo determinati sistemi e il relativo vino abbia un titolo alcolico naturale non inferiore a quello minimo indicato dal disciplinare oltre che composizione e caratteristiche organolettiche riportate anch’esse nel disciplinare. – Il vino frizzante è il prodotto ottenuto da vini da tavola e da VQPRD, che conservato a 20°C in recipienti chiusi, presenti una pressione dovuta all’anidride carbonica endogena in soluzione non inferiore a 1 e non superiore a 2,5 Bar. – Il vino frizzante gassato differisce dal precedente perché la gassatura è ottenuta con l’aggiunta di CO2 esogena. – Il vino liquoroso è il prodotto avente un tenore alcolico totale non inferiore al 17,5%, deve essere ottenuto da mosto d’uva di vino proveniente da vitigni determinati e deve avere un tenore alcolico naturale di almeno 12% in volume, è consentito l’aggiunta di alcol puro a 95° di origine vinica.

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TECNICHE DI COLTIVAZIONE DEGLI AGRUMI

Classificazione botanica

Gli agrumi appartengono a diversi generi, di cui i principali sono Citrus, Fortunella e Poncirus. Vengono coltivati prevalentemente per la produzione di frutti da destinare al consumo fresco o alla trasformazione industriale, ma anche per scopi ornamentali. Hanno luoghi di origine diversi e quasi sempre ricadenti in una vasta area dell’Asia sud-orientale. Compatibilmente con la loro scarsa resistenza alle basse temperature, si sono diffusi in molte altre parti del mondo, dal bacino del mediterraneo all’America e al Sudafrica, attraversando la storia delle più grandi civiltà. In Italia hanno trovato una zona d’elezione nelle regioni meridionali, per il clima mite e per il tipo di terreno. Come piante ornamentali hanno una notevole tradizione in Toscana e nelle regioni dei grandi laghi del Nord, dove è diffusa l’abitudine di costruire, all’interno delle ville, particolari strutture adatte ad ospitare gli agrumi nei mesi invernali, e cioè aranciere e limonaie.

Gli agrumi appartengono alla famiglia delle Rutaceae, sottofamiglia Aurantioideae, tribù Citreae, sottotribù Citrinae. La classificazione degli agrumi ha impegnato a lungo i tassonomi a causa della presenza di individui derivati da ibridazione naturale considerati da alcuni come specie a sé stanti. Dell’origine di questi ibridi naturali si è persa ogni traccia, mentre di quelli ottenuti in epoca più recente si conoscono più o meno bene le specie d’origine. Il genere Citrus è sicuramente il più importante.

Caratteri morfobiologici

Le foglie sono spiravate, oppure opposte, e prive di stipole. I fiori (zagare) sono ermafroditi con corolla costituita per lo più da 5 petali. L’apparato maschile è formato da due verticilli di quattro-cinque stami (nel genere Citrus sono saldati lateralmente per i filamenti e disposti in gruppi, arrivando fino a 25-40 stami); l’apparato femminile ha in genere cinque carpelli (più raramente quattro), uniti in un ovario supero diviso in cinque-dieci logge. Il frutto è più spesso una bacca, ma può anche essere una drupa o una capsula. Il genere Citrus ha come frutto una bacca, detta esperidio, caratterizzata da un epicarpo o esocarpo (la parte esterna) di notevole spessore, colorato e ricco di ghiandole contenenti oli essenziali: è denominato flavedo. Il mesocarpo (albedo), parte interna saldata all’epicarpo, è bianco e spugnoso: si chiama albedo. L’endocarpo, la parte più interna, è suddiviso in logge (spicchi) per mezzo di sottili membrane; all’interno si trovano cellule, le vescicole, ripiene di una soluzione acquosa di zuccheri e acidi. Entro ogni loggia si possono riscontrare da 4 a 8 ovuli i quali possono o meno originare altrettanti semi. I semi, di colore biancastro, di forma ovoidale, contengono, in genere, più embrioni, di cui uno ha avuto origine dalla fecondazione, mentre i restanti sono apodittici e pertanto con

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patrimonio cromosomico identico a quello della pianta madre. L’epoca di fioritura è alquanto variabile andando da febbraio-marzo all’estate; parimenti varia l’epoca di maturazione che va dall’autunno alla primavera dell’anno successivo. Gli agrumi hanno una certa attitudine alla rifiorenza.

Esigenze pedoclimatiche

Essendo piante di origine tropicale, hanno particolari esigenze nei confronti del clima; per ottenere, infatti, una produzione commerciale valida occorre che questo sia caldo, sufficientemente umido, con inverni miti e senza ampie escursioni termiche, anche se una moderata presenza di queste ultime consente nelle zone mediterranee la comparsa di pigmenti antocianici e carotenoidi, responsabili del colore nelle arance e nei mandarini, cosa che risulta impossibile, proprio per la loro assenza, nelle aree tropicali di origine. In genere svolgono la loro attività vegetativa a temperature comprese tra i 13 e i 30°C. Relativamente al freddo, vengono danneggiati da temperature inferiori a 0°C con intensità variabile in relazione alla specie e alla varietà. Dannose risultano pure le temperature superiori ai 38°C, specie se si verificano in coincidenza di condizioni di bassa umidità relativa e durante la fase dell’allegagione. La presenza di venti forti e persistenti può provocare gravi danni alle colture di agrumi (disseccamento delle foglie e dei giovani germogli, rotture meccaniche di rami, ferite da sfregamenti sugli stessi frutti). Per ovviare a tali inconvenienti si ricorre spesso ai frangivento (vivi o morti).

Nei nostri climi, per ottenere una produzione valida, la piovosità annua dovrebbe essere ben distribuita e superare i 1.800 mm. Quindi, in Italia, l’irrigazione è quasi sempre necessaria.

Riguardo al terreno, gli agrumi prediligono quello sciolto o di medio impasto, profondo, fertile, ben drenato (non sopportano i ristagni idrici), con pH compreso tra 6,5 e 7,5 e ben dotato di sostanza organica. Rifuggono i terreni troppo argillosi, calcarei e salsi.

Propagazione e portinnesti

Gli agrumi presentano spesso la possibilità di riprodurre per seme delle piante geneticamente identiche alla pianta madre grazie alla poliembrionia nucellare. Tali piante hanno il pregio di essere prive delle più importanti infezioni virali, tant’è che la selezione nucellare è stata la prima tecnica utilizzata per risanare il materiale di propagazione. Nel lavoro di miglioramento genetico e di risanamento delle infezioni virali vengono oggi impiegate la micropropagazione, la coltura in vitro di embrioni e il microinnesto.

Per prevenire alcune fitopatie che colpiscono l’apparato radicale si ricorre all’innesto (a gemma, a penna e a corona). L’innesto a corona si utilizza su fusti o rami di grande

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diametro, anche per reinnestare piante la cui produttività è diminuita o per cambiare la varietà coltivata. Altri metodi di propagazione impiegati sono la talea e la margotta. I portinnesti usati per gli agrumi sono diversi e individuabili nell’arancio amaro, arancio dolce, arancio trifogliato, ibridi di arancio trifogliato, tipo limone, mandarino e mandarino-simili, lime, altre specie e altri generi.

I portinnesti più utilizzati in Italia sono:

- Arancio amaro (Citrus aurantium): è adatto per terreni sciolti, sabbioso-limosi e moderatamente argillosi; buona la resistenza al gelo; tollera una modesta presenza di sali e un pH elevato; in alcune specie costringe a ritardare la raccolta perché i frutti restano acidi a lungo e si addolciscono solo con il tempo; dal punto di vista fitopatologico è suscettibile alla tristezza e al mal secco, sensibile ai nematodi e molto resistente alla Phytophtora; in genere permette di ottenere piante con un vigore da moderato ad alto, con un’ottima qualità del frutto, di pezzatura piccola; è incompatibile con la varietà di limone “Monachello”.

- Limone volkameriano (Citrus volkameriana): è adatto per terreni sciolti o sabbiosi e sopporta acque con una modesta salinità; buona la resistenza al gelo; riguardo a malattie e parassiti è suscettibile ai nematodi e alla psorosi, mentre tollera la tristezza e la exocortite (mediamente la Phytophtora e il mal secco); permette di ottenere frutti di pezzatura grande; la produzione è abbondante ma la qualità molto modesta; non sono segnalate incompatibilità.

- Alemow (Citrus macrophylla): si adatta a tutti i tipi di terreno e sopporta una modesta salinità; è sensibile al gelo; resiste alla Phytophtora, mentre è sensibile e mal secco e suscettibile alla tristezza; la produzione che si ottiene è abbondante; i frutti si ingrossano precocemente ma la qualità è molto bassa; è un portinnesto utilizzato soprattutto per il limone e le clementine.

- Arancio trifoliato (Porcirus trifoliata): ama i terreni di medio impasto, non gradisce il calcare (il tenore di calcare attivo non deve superare il 4%) e richiede acqua di buona qualità; è sensibile alla salinità, mentre resiste alle gelate nelle aree con inverni non troppo miti; può soffrire in terreni sabbiosi, in caso di siccità, perché ha radici piuttosto superficiali; resiste ai nematodi e alla Phytophtora e tollera la tristezza; discreta la resistenza al mal secco; lo sviluppo della pianta è normale e la produzione elevata, con una qualità eccellente dei frutti che sono anche di pezzatura notevole e hanno una colorazione intensa; è utilizzato per mandarini, aranci, kumquat e, in genere, per le piante coltivate in vaso, dove dà i migliori risultati.

- Citrange (Citrus sinensis x Porcirus trifoliata): si adatta a una notevole varietà di terreni, anche con un elevato contenuto di calcare attivo, e ha bisogno di acqua di buona qualità; sopporta poco la salinità, mentre tollera le gelate moderate; resiste alla Phytophtora e al mal secco, tollera la tristezza e ha una resistenza media ai nematodi;

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la produzione è abbondante, con frutti di pezzatura grande e di eccellente qualità; è utilizzato per aranci, pompelmi, mandarini e limoni; in Italia si utilizza la cultivar “Troyer”, in America anche la “Carrizo”.

Miglioramento genetico

Il lavoro di miglioramento genetico nella costituzione ei portinnesti è rivolto particolarmente ad ottenere oggetti con:

- maggiore adattabilità alle condizioni pedoclimatiche più difficili;

- elevata resistenza ai principali parassiti animali e vegetali;

- ottima affinità d’innesto con le diverse specie;

- capacità di indurre una precoce messa a frutto ed una produzione elevata e di ottima qualità;

- capacità di indurre una limitata vigoria al nesto;

Per quanto riguarda gli obiettivi del miglioramento genetico a livello di cultivar, gli obiettivi principali sono:

- piante altamente produttive, longeve, non soggette ad alternanza di produzione, resistenti alle basse temperature, esenti da infezioni virali (nel limone, tolleranti gli attacchi del mal secco);

- produzione uniforme, frutti di media pezzatura, con forma regolare, con buccia liscia e di spessore contenuto, di colore ed aroma caratteristico, privi di semi e con elevato contenuto di succo.

Impianto, concimazione e irrigazione

Il momento migliore per mettere a dimora le giovani piante di agrumi è la primavera, da fine marzo a maggio, a seconda delle zone, quando il rischio di gelate è ormai passato. La lavorazione profonda del terreno deve essere preceduta, alcuni mesi prima, da una concimazione di fondo. Molto importante è la predisposizione di un buon impianto di drenaggio, soprattutto nei terreni piuttosto pesanti. Lo scasso deve è seguito da un’erpicatura profonda. Prima della messa a dimora delle piante (generalmente disponibili in fitocelle) bisogna predisporre le buche. Attorno a ogni pianta si scava un piccolo “tornello” per trattenere l’acqua nelle prime fasi dopo la messa a dimora e si irriga abbondantemente.

Per una corretta concimazione è sempre necessaria l’analisi del terreno, da integrare con l’analisi fogliare che permette di sapere quali sono i livelli nutrizionali raggiunti dalla pianta e diagnosticare così eventuali situazioni di carenza o di eccesso dei

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diversi elementi nutritivi. Per l’analisi fogliare il prelievo va fatto a fine estate-inizio autunno, prelevando foglie emesse cinque-sette mesi prima da rami non fruttiferi. Le foglie degli agrumi, durante la fase di attività vegetativa, possono assorbire una certa quantità di elementi nutritivi. Questo consente di intervenire con la concimazione epigeica soprattutto in caso di carenze di alcuni elementi o di stress vegetativi.

L’ambiente mediterraneo è caratterizzato da una scarsa piovosità, oltretutto concentrata nel periodo autunno-vernino. Necessario risulta quindi il ricorso all’irrigazione per sopperire alla deficienza di acqua nel periodo estivo. Gli agrumi, poi, risultano particolarmente esigenti nei confronti della qualità delle acque irrigue; infatti un elevato contenuto di cloro, boro e sodio ed altri elementi provocano una sintomatologia caratteristica a causa di un loro accumulo nelle foglie e nei casi gravi una riduzione della qualità e quantità di produzione. La tolleranza nei confronti dei vari sali risulta altamente variabile in relazione al portinnesto e alla specie. Per quanto riguarda i sistemi di irrigazione, oltre ai tradizionali metodi per sommersione a conche e infiltrazione a solchi, risulta attualmente preferito, negli agrumeti della Sicilia e della Calabria, quello per aspersione sotto chioma e in alcuni casi a goccia. Per il controllo delle erbe infestanti, responsabili di esercitare una spiccata competizione idrica nel periodo primaverile-estivo, viene generalmente praticato il diserbo.(raramente la pacciamatura), generalmente stagionale, cioè attuato solo nel periodo primaverile-estivo dopo che con una lavorazione superficiale si è provveduto alla triturazione delle erbe accresciutesi nel corso delle due precedenti stagioni. In questo modo si ha, durante l’anno, lo coesistenza dell’inerbimento e del diserbo, il che permette di non rinunciare ai vantaggi del primo (es. accumulo di sostanza organica).

Forme di allevamento e potatura

La forma di allevamento che maggiormente si riscontra negli agrumeti è il globo. Per ottenere tale forma si parte da una pianta già impalcata a circa 0 cm dal terreno e presentante 3-4 branche. Tali branche devono essere inclinate di 60° rispetto alla verticale, essere in posizione simmetrica ed i loro punti di inserzione devono essere distanti circa 10-15 cm uno dall’altro; eventuali rami in eccedenza saranno eliminati. In ogni caso gli interventi cesori devono essere limitati al minimo indispensabile. Tali branche saranno ricoperte da una vegetazione più o meno folta, in relazione alla specie ed alla varietà. Le attuali tendenze, al fine di utilizzare tutto lo spazio disponibile, puntano ad ottenere una forma di allevamento a chioma piena, cioè a far espandere la vegetazione delle branche fino al suolo. Molto utilizzato il sesto d’impianto in quadrato 5 x 5 m.

Le attuali tendenze sono quelle di adottare un sesto d’impianto temporaneo di m 4-5 x 3-3,5, al fine di ottenere un rapido ammortamento delle spese di impianto (anticipo della massima produttività per ettaro). Allorché le piante avranno raggiunto uno

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sviluppo tale da ostacolarsi l’un l’altra, queste dovrebbero essere diradate, eliminando le file in modo alterno, ottenendo un sesto di m 4-5 x 6-7 m.

Negli agrumi la fruttificazione avviene sui rami dell’anno precedente e l’accrescimento dei rami si verifica normalmente in tre periodi: primavera, inizio estate e autunno. L’induzione fiorale delle gemme comincia durante il periodo di riposo invernale, mentre il massimo contenuto di sostanze di riserva nelle foglie e nei rami lo si ha nei mesi di febbraio e marzo. L’allegagione dei fiori è in funzione della quantità di sostanze di riserva presenti nella pianta. La potatura, dunque, non andrebbe mai eseguita in febbraio e marzo, quando si ha l’accumulo delle sostanze di riserva. E vanno ugualmente evitati i periodi in cui le temperature sono molto basse o molto alte. Non bisogna esagerare con le potature, limitandosi solo ad alleggerire la chioma eliminando i rami secchi, rotti o debilitati dopo che hanno già fiorito o quelli curvi verso il basso. I secchioni, cioè i lunghi rami privi di frutti, vanno eliminati quando provengono dalla parte basale delle branche più grosse, mentre per quelli situati nelle zone più periferiche della chioma ci si può limitare alla spuntatura. In alcune specie, come nel mandarino o nelle clementine, si osserva un certo affastellamento dei germogli: li si deve quindi diradare per far sì che i rametti siano correttamente distanziati. Su questa specie, la potatura dovrebbe essere effettuata tutti gli anni, per evitare l’alternanza di produzione; per altre specie, come l’arancio, il turno di potatura può invece essere pluriennale. Nella fase giovanile di allevamento i tagli sono da evitare il più possibile, per non ritardare l’entrata in produzione, procedendo eventualmente alla sola asportazione dei secchioni. E anche sulle piante adulte non si deve intervenire troppo severamente per non alterare il rapporto tra vegetazione e produzione: tagli eccessivi favoriscono infatti la vegetazione a scapito della formazione dei frutti. Le potature sono invece necessarie quando si verificano attacchi parassitari da cocciniglie e quando l’altezza della pianta non permette più un’agevole raccolta da terra.

Raccolta e conservazione dei frutti

La raccolta va effettuata quando i frutti hanno raggiunto un grado di maturazione sufficiente: al contrario di altre specie, infatti, la maggior parte degli agrumi non può completare la maturazione dopo che i frutti sono stati staccati dall’albero (i limoni invece possono maturare anche una volta staccati dalla pianta).

Si raccoglie con tempo asciutto e dopo che i frutti non sono più umidi della rugiada che si è condensata durante la notte. Durante l’operazione bisogna badare a non provocare danni ai frutti, per non aprire inavvertitamente la strada ai parassiti. La raccolta viene attuata sia da terra che con scale e i frutti, raccolti con l’ausilio di apposite forbici, per non privarli della rosetta, vengono posti in cesti di plastica o nei cesti a sacco e successivamente in cassette di plastica del contenuto medio di 20-22 kg. Le cassette, poi, vengono portate ai bordi degli appezzamenti ed accatastate sui pallets o caricate direttamente sui mezzi di trasporto e da qui trasferite ai magazzini

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di lavorazione e/o conservazione. Una volta che il prodotto è arrivato al magazzino, questo subisce una lavorazione consistente in: lavaggio, trattamento anticrittogamico, ceratura, selezione, calibratura e confezione. A tali operazioni possono, poi, esserne aggiunte altre, in dipendenza della specie e della destinazione del prodotto, così come alcune di esse possono essere eliminate.

La conservazione dei frutti, che deve essere preceduta da una efficace lotta preventiva contro le alterazioni di postraccolta, può essere effettuata in atmosfera normale o controllata. Un’operazione tipica degli agrumi è la deverdizzazione, che scaturisce dal fatto che i frutti di alcune specie e varietà, pur commercialmente maturi, non hanno perso completamente il colore verde della buccia, e riguarda i limoni autunnali, le arance tardive, i mandarini, le clementine ed i satsuma.

Oltre che per il consumo fresco, gli agrumi possono essere utilizzati nell’industria, cui sono destinati il cernimento di magazzini, lo scendialbero e lo scarto di campagna. I prodotti che si possono ottenere sono: essenze o oli essenziali, succhi, scorze in salamoia e candite, confetture, olio di semi, vino e aceto, paste aromatizzanti, alcool industriale, mangimi zootecnici, pectine e acido citrico.

Avversità e parassiti

Avversità non parassitarie

Sono rappresentate dalle avverse condizioni climatiche (basse o elevate temperature, vento e grandine), dalle carenze nutrizionali, comprese quelle idriche, dall’uso errato di fitofarmaci e dagli inquinanti atmosferici.

Gli agrumi sono altamente sensibili alle basse temperature, tanto che già a valori termici superiori a 0°C si possono verificare delle alterazioni.

Virosi e Batteriosi

Tra le virosi in grado di determinare gravi danni agli agrumi ricordiamo: Exocortite, Maculatura anulare, Psorosi, Tristezza, Impietratura, Cristacortis, ecc. La batteriosi più dannosa è quella causata da Pseudomonas syringae.

Parassiti vegetali

Numerose sono le malattie che causano danni, anche di notevole entità, sugli agrumi. Quelle di maggior interesse sono il Mal secco (Deuterophoma tracheiphila), la Gommosi del colletto, il Marciume pedale e i Marciumi delle radici ( causati da alcune specie del genere Phytophthora), il Cancro gommoso (Botryosphaeria ribis), la Fusariosi (Gibberella baccata), l’Antracnosi (Colletotrichum gloeosporioides), la Carie del legno (determinata da diversi patogeni, tra cui alcune specie dei generi

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Fomes, Polyporus, Stereum, Schyzophyllum, Ganoderma e Trametes), il Marciume radicale lanoso (Rosellinia necatrix) e quello fibroso (Armillaria mellea), l’Allupatura o Marciume bruno (Sintomo sul frutto causato dagli stessi agenti della Gommosi del colletto e dei Marciumi del pedale e delle radici). Gli agrumi sono attaccati anche da altri agenti patogeni (es. Fusaggini, Mal di terra dei mandarini, Marciume acido, ecc.) più rari e che difficilmente provocano danni seri.

Parassiti animali

Gli agrumi sono attaccati da numerosi insetti, acari e nematodi in grado di provocare danni alquanto elevati. Tra le specie più dannose ricordiamo:

- Insetti: il Tripide degli agrumi (Heliothrips haemorrhoidalis), la Camicetta verde (Calocoris trivialis), l’Empoasca (Asymmetrasca decens), la Mosca bianca (Dialeurodes citri), la Mosca fioccosa (Aleurothrixus floccosus), l’Afide verde (Aphis citricola), lAfide bruno (Toxoptera aurantii) e l’Afide del cotone (Aphis gossypii), la Cocciniglia cotonosa-solcata (Peryceria purchasi), il Cotonello (Planococcus citri), la Cocciniglia mezzo grano di pepe (Saissetia oleae), la Cocciniglia del fico (Ceroplastes rusci), la cocciniglia a virgola (Mytilococcus beckii), la Cocciniglia grigia (Parlatoria pergadei), la cocciniglia bianca (Aspidiotus nerii), la cocciniglia rossa forte (Aonidiella aurantii), la Tignola della zagara (Prays citri), l’Oziorrinco (Otiorrhynchus cribricollis), la Mosca della frutta (Caratitis capitata), la Tortricide dei germogli (Archips rosanus) e la Celidonia della zagara (Contarinia citri).

- Acari: l’Acaro delle meraviglie (Eriophyes sheldoni), l’Acaro rugginoso (Aculops pelekassi), i Tenuipalpidi (Brevipalpus phoenicis e Brevipalpus californicus), il Ragnetto rosso (Tetranichus urticale) e un nuovo ragno rosso (Panonychus citri).

- Nematodi e altri parassiti animali: tra i nematodi, il Tylenchulus semipenetrans, il Pratylenchus vulnus, il Meloidogyne javanica e il Radopholus similis; tra gli altri parassiti animali che possono causare danni più o meno gravi e frequenti agli agrumi si ricordano le limacce, le lumache, i roditori e le arvicole.

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Definizione di arboricoltura da legno Per arboricoltura da legno s’intende: “una coltivazione di un semplice insieme di alberi forestali, costituente un sistema artificiale temporaneo o transitorio che può anche evolversi verso un ecosistema forestale, allo scopo di ottenere in tempi più o meno brevi prodotti legnosi in elevata quantità e con specifiche qualità, in relazione alle diverse regioni fitogeografiche, alle condizioni ambientali e socio-economiche” (Ciancio et al., 1981). In un altro modo: ”L’Arboricoltura da legno è oggi intesa come coltivazione di specie arboree ed arbustive finalizzata all’esclusiva produzione di legno” (Buresti et al., 2003). L’A.d.L. è una disciplina che si colloca a metà strada tra l’agricoltura e la selvicoltura, infatti la coltivazione si svolge su terreni agrari, con obiettivi tipici della selvicoltura, ma conserva le caratteristiche di temporaneità e reversibilità tipiche delle coltivazioni agronomiche.

Illustrazione 1: Impianto di arboricoltura da legno misto

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Obiettivi dell’Arboricoltura da legno L’obiettivo principale dell’A.d.L. è l’ottenimento, anche coesistente e contemporaneo, di prodotti legnosi variamente caratterizzati e con caratteristiche tecnologiche funzionali alla destinazione d’uso, così riassumibili: –Tronchi da trancia e sfogliatrice (Arboricoltura di qualità) – Tronchi da sega – Biomassa generica (Arboricoltura di quantità – SRF) Nel caso in cui si sovrappongano altri obiettivi produttivi (ad es. la produzione di miele o la valorizzazione paesaggistica) che esulano da quelli citati si può parlare di Arboricoltura multifunzionale. Funzioni dell’arboricoltura da legno Gli impianti dell’arboricoltura da legno possono svolgere funzioni dirette e indirette: – Riduzione del deficit nazionale della materia prima legno – Riconversione produttiva dei terreni agricoli e creazione di occupazione nelle zone rurali – Riduzione dell’introduzione di concimi e agrofarmaci nell’ambiente – Diversificazione degli habitat – Funzione paesaggistica – Riduzione dei fenomeni erosivi nelle zone interessate dagli impianti – Contributo nell’assorbimento della CO2 atmosferica. Diagramma di flusso delle operazioni in un impianto tipo Fase progettuale: – Inquadramento normativo dell’impianto e predisposizione della documentazione necessaria – Inquadramento cartografico, con valutazione della viabilità esterna ed interna all’azienda

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– Diagnosi stazionale (aspetti pedologici, microclimatici e vegetazionali) – Specie indicatrici dei parametri stazionali – Selezione delle specie o varietà più adatte alle condizioni di progetto e definizione del sesto d’impianto – Scelta della tipologia d’impianto, valutazione delle finalità produttive e di mercato – Definizione del modulo d’impianto in funzione del punto precedente – Computo metrico estimativo – Definizione del piano di coltura, con la descrizione di tutte le operazioni colturali previste – Presentazione del progetto alla committenza Fase esecutiva: – Preparazione del terreno (lavorazioni, squadro, ecc) e messa a dimora delle piante – Concimazione del terreno, se prevista – Sostituzione delle fallanze e irrigazione almeno nel primo quinquennio – Inizio delle operazioni di potatura di formazione e successivamente di produzione, con moduli specifici da definire in base alle potenzialità dell’impianto – Diradamenti, se previsti – Lavorazioni periodiche del terreno al fine di limitare il piano erbaceo, finché necessario – Utilizzazione Tipologie di impianto e finalità produttive Le principali tipologie di impianto applicabili in arboricoltura da legno sono: a) Impianti monospecifici: negli ultimi anni sono stati piuttosto criticati perché richiedono alti apporti di energia esterna e sono sistemi biologici instabili in quanto, nel momento in cui subiscono stress ambientali, diventano vulnerabili alle malattie, alla competizione, al parassitismo e alla predazione (Odum 1973).

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b) Impianti plurispecifici o misti: per piede d’albero, si caratterizzano per la coesistenza sulla stessa superficie di una specie “principale” che di solito è una specie a legname pregiato e una di “accompagnamento” o secondaria, sia albero che arbusto, il cui scopo è quello di svolgere un’azione benefica a vantaggio di quella principale. Questi benefici sono: – maggiore sviluppo in altezza del fusto della specie principale – contenimento della ramificazione della specie principale – miglioramento del suolo, sia per apporto di lettiera, che per fissazione biologica di azoto – maggiore stabilità e diversità biologica (Mercurio e Minotta, 2000). Diversamente si possono realizzare impianti misti alternando piccoli gruppi monospecifici di specie diverse riconducibili agli impianti a mosaico. Esiste poi la possibilità di prevedere una specie secondaria cosiddetta paracadute, la quale viene allevata come una specie principale con lo scopo di sostituire quest’ultima qualora non sia in grado di raggiungere gli obiettivi colturali prefissati. In questo modo, nel caso in cui sia possibile, è possibile limitare il rischio di insuccesso, salvaguardando l’utilizzazione. Impianti a duplice attitudine: in cui si prevede l’utilizzo di specie selezionate per il frutto ma che vengono allevate anche tenendo conto della produzione legnosa (ad es. noce comune). Impianti in filari: possono essere puri o misti semplici o doppi, si realizzano dove vi sono esigenze di carattere estetico e paesaggistico da rispettare (Bourgery e Castaner, 1988). Il modulo d’impianto Può essere definito (Buresti e Mori, 2001) come lo schema in cui è rappresentata l’unità minima di superficie che: – Comprende tutte le specie scelte – Ha rappresentato almeno una volta per intero, cioè con piante intere, il sesto e la distanza d’impianto relativa a ciascuna specie e le reciproche relazioni spaziali

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– Consente di riprodurre l’intera piantagione ruotandolo ripetutamente di 180° su ogni lato o, in casi complessi, traslandolo ripetutamente. La doppia pianta Si tratta di prevedere la collocazione di due piantine della specie principale, a distanza di circa 50 cm, invece che una sola, con l’obiettivo comunque di selezionarne, precocemente (3-5 anni di età), una sola che arrivi a fine turno. Adottare la doppia pianta serve ad accrescere la probabilità di ottenere piantagioni che, dopo un diradamento selettivo sulla coppia, risultano più omogenee e dotate di piante mediamente più vigorose e meglio conformate rispetto agli impianti realizzati con una sola pianta per punto (Buresti e Mori 2001). La doppia pianta può essere adottata, in via prudenziale, in quei casi in cui sia abbiano delle incertezze sulle variabili condizionanti l’impianto. È così possibile limitare il rischio d’insuccesso ma, rappresentando la doppia pianta un costo aggiuntivo è necessario valutarne sempre la convenienza economica specifica. Scelta delle specie La scelta delle specie rappresenta uno dei momenti più importanti del processo produttivo, essa deve derivare da una precisa valutazione dei fattori ambientali ed economici locali (Mercurio e Minotta, 2000). I principali elementi di cui tenere conto sono: – adattabilità alle condizioni ecologiche stazionali: in linea generale le specie autoctone sono quelle più adattate ma no ha senso escludere a priori specie esotiche; – elementi discriminanti: rapidità di accrescimento, resistenza ad avversità biotiche e abiotiche; – obiettivi dell’impianto: in termini di assortimenti legnosi che si intendono produrre, tenendo presente che è meglio ottenere un prodotto di buona qualità e quantità, anche se di una specie legnosa meno pregiata, piuttosto che un prodotto non adeguato ma di specie pregiata.

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Illustrazione 2: Impianto monospecifico di noce comune (Juglans regia)

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Gli alberi da frutto, la coltivazione e la manutenzione

Terreno, posizione e varietà sono gli aspetti di cui tenere conto prima di acquistare e piantare un albero da frutto.

Di quale terreno ha bisogno un albero da frutto per crescere bene e non ammalarsi? Di un suolo profondo e ben drenato.

I terreni che si seccano molto facilmente, poco profondi con troppi sassi, non sono molto adatti e dovranno obbligatoriamente essere irrigati frequentemente. Per migliorare questi terreni dovremo creare delle terrazze o comunque delle buche molto grandi che dovranno essere arricchite di terreno ricco di humus e fertile, in modo che le radici possano trovare gli elementi nutritivi necessari al loro sviluppo.

Questo non significa però che i frutti amano stare nei terreni umidi, argillosi o poco drenanti. Al contrario! In questo caso dovremo mettere in fondo alle buche del ghiaione o comunque del materiale drenante. Dovremo poi evitare con cura quelle zone dove d’inverno si creano delle ‘malefiche e poco salubri’ pozze di acqua.

E’ chiaro che stiamo parlando di nozioni generali e che un fico crescerà bene anche in un terreno siccitoso e che un ciliegio sopporterà meglio un suolo umido! Ma proprio per questo è necessario porsi una serie di quesiti prima di acquistare un albero da frutto e domandarsi se sia giusta la collocazione destinata ad accoglierlo.

Dovremo inoltre tenere conto dell‘esposizione solare, dell’indispensabile ventilazione e circolazione dell’aria, nonché dello spazio di cui la pianta avrà bisogno una volta raggiunte le dimensioni dell’esemplare adulto.

Il frutteto può essere quindi promiscuo o composto da una sola varietà. Un frutteto promiscuo è formato da diverse piante o meglio specie di piante, in questo caso si sceglieranno prevalentemente piante autofertili ovvero piante che per produrre frutti non necessitano di essere coltivate con individui maschi e femmine in quanto capaci di auto impollinazione, sono dette anche autofeconde. Frutteti composti da una sola varietà di piante sono molto diffusi, ma spesso sono mantenuti per la produzione di frutta destinata alla vendita. Individuata la specie o le specie di alberi da frutto che si ha intenzione di coltivare si procede ad una comparazione delle diverse esigenze. Come in molti altri casi si sceglieranno soltanto quelle specie adatte al clima di destinazione, si eviteranno tutte quelle inadatte al clima e che non sono capaci di produrre una quantità di raccolto soddisfacente.

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L’impianto

Di importanza primaria è il metodo di impianto delle piante da frutto. Data la loro entità di piante arboree non è possibile spostarle o trapiantarle, per questo motivo è bene prevedere fin da subito quale sarà la loro sistemazione. Molto importante è la distanza di impianto, questa varia molto da pianta a pianta, si può dire in linea generale che deve essere proporzionata secondo le dimensioni finali della chioma, tuttavia è bene accennare subito il fatto che le potature e la forma di allevamento influiscono e anche di molto su queste distanze.

Da notare le distanze molto regolari tra gli alberi che permettono anche il passaggio di mezzi agricoli, oltre che agevoli operazioni di potatura, manutenzione e raccolta

dei frutti.

In genere ogni varietà viene allevata secondo alcuni schemi predisposti (forme), i più diffusi sono: a vaso, a fuso, a piramide, a Y, a U, ne esistono veramente tante e ogni specie è più o meno adatta ad essere allevata secondo alcune di queste forme. Le giuste distanze tra le piante permettono di effettuare in tutta libertà gli interventi di manutenzione come potature, diserbo delle infestanti e raccolta.

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In orti di piccole dimensioni scegliendo delle varietà con una chioma di dimensioni contenute come meli o peri è possibile coltivare per parte dell’anno anche ortaggi, frequenti sono le coltivazioni di bieta e insalate da taglio nei periodo autunno-invernali quando la vegetazione e l’ombra delle piante è ridotta.

La manutenzione

Le piante destinate alla produzione di frutta così come le specie ornamentali necessitano di interventi di manutenzione tra le quali: potature finalizzate alla forma, potature di risanamento (rami vecchi, spezzati o malati), cura di eventuali malattie e raccolta dei frutti.

La potatura è un operazione non molto complessa che va fatta secondo precisi schemi e si differenzia a seconda della varietà di albero da frutto coltivata.

Il contrasto alle malattie è un operazione essenziale che va fatta in modo tempestivo per evitare danni al frutteto e possibili contagi anche ad altre piante, sia dell’orto che del giardino. Per questo motivo è bene identificare fin da subito le probabili avversità della specie che andiamo a coltivare consultando la sezione sulle malattie e parassiti. La lotta non deve essere necessariamente effettuata tramite prodotti chimici, spesso è possibile servirsi di insetti utili che introdotti nel frutteto da soli riescono a contrastare i parassiti.

La scelta delle piante

Senza considerare le piccole piante da frutto come fragole, more, lamponi la scelta degli alberi da frutto è davvero ampia. Nel selezionare la specie desiderata dobbiamo comunque considerare le esigenze della singola varietà e scegliere sempre quella più adatta al luogo di destinazione.

Vediamo quali possono essere le piante coltivabili nel nostro territorio con uno sguardo alle esigenze climatiche e alla loro dimensione finale.

• Agrumi, sono un gruppo di piante che comprendono specie come mandarini, clementine, arance e limoni. Sono alberi che raggiungono altezze di 3-4 metri, hanno origini asiatiche e necessitano di una temperatura calda durante tutto l’arco dell’anno, sono più adatte a zone costiere e di pianura dove difficilmente sono presenti gelate. La coltivazione di queste piante è incentrata in maggior parte al sud dove si concentra la maggior produzione.

• Albicocco, si tratta di alberi con altezze che variano dai 3 ai 5 metri a seconda della varietà scelta. Producono piccoli frutti succosi dotati di una sottile peluria esterna. Riescono a produrre per molti anni, molte specie hanno un età media che supera i 40 anni. Sono piante molto rustiche che riescono a sopportare bene i freddi invernali, possono essere coltivate anche in zone montane.

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• Ciliegio, sono piante che possono essere rinvenute anche spontanee ai margini dei boschi in gran parte della penisola. Esistono varie cultivar, molte di esse si adattano bene a climi rigidi anche di qualche grado sotto lo zero. Raggiunge altezze di 10 metri e oltre formando un tronco robusto e ramificazioni abbastanza ampie. I frutti si differenziano per dimensione, colorazione e sapore a seconda della cultivar coltivata.

• Fico, è una pianta abbastanza rustica, resiste ai geli e può essere molto produttiva. I frutti sono molto apprezzati per la dolcezza, possono essere anche conservati secchi e consumati durante l’inverno.

• Actinidia (Kiwi), come accennato prima questa pianta è una di quelle che per fruttificare necessita della presenza di individui sia maschili che femminili. Sono molto diffusi i frutteti destinati alla sola produzione di kiwi, benché sia una pianta di origini Asiatiche si adatta particolarmente bene al nostro clima e resiste bene alle basse temperature. Le piante sono a portamento rampicante, vengono allevate in pergolati di altezza di 2 metri e più.

• Mandorlo, sono alberi molto longevi che resistono bene ai freddi invernali anche se prediligono luoghi temperati. Il frutto è molto usato in pasticceria e ottimo per il consumo secco.

• Melo, coltivazione molto diffusa in tutto il Paese, pianta che raggiunge i 10 metri di altezza. Si adatta in modo straordinario a diverse condizioni climatiche e resiste bene ai freddi invernali. Ne esistono moltissime varietà che si differenziano per dimensioni, sapore, consistenza, colore della buccia.

• Noce, albero che raggiunge altezze di 20 metri, resiste bene alle basse temperature e può essere coltivato anche in zone montane. Esistono diverse varietà coltivate in vari regioni Italiane.

• Olivo, pianta molto comune e nativa della penisola, può crescere dalla costa fino a quote collinari. Cresce molto in altezza ma tramite le potature può essere allevato sotto varie forme.

• Pero, pianta comunque almeno quanto il melo, può essere mantenuto tramite potature a circa 3-3,5 metri di altezza. Ne esistono molte varietà che si differenziano per forma, dimensioni e colorazione dei frutti.

• Vite, si tratta di una rampicante allevata in filari o pergole, impiegata per la produzione di vino. Ne esistono molte cultivar di forte importanza economica, viene coltivato in tutta Italia prevalentemente in zone collinari.

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L'INERBIMENTO

La tecnica dell’inerbimento è tradizionalmente considerata, in agricoltura, utile a preservare i terreni in pendio dall’azione erosiva dell’acqua e del vento, causa di perdite di suolo. L’inerbimento, infatti, protegge la struttura del suolo dall’azione diretta della pioggia e, grazie agli apparati radicali legati al terreno, riduce la perdita di terra, anche fino a circa il 95% rispetto alle parcelle lavorate, consente una maggiore e più rapida infiltrazione dell’acqua piovana ed il conseguente ruscellamento, determina un aumento della portanza del terreno, riduce le perdite, per dilavamento, dei nitrati ed i rischi di costipamento del suolo dovuto al transito delle macchine agricole, difende e migliora le proprietà fisiche, chimiche e biologiche del suolo ovvero la sostanza organica e quindi la fertilità. L’aumento di sostanza organica genera anche il miglioramento dello strato di aggregazione del suolo e della relativa porosità nonché delle condizioni di aerazione negli strati più profondi, favorendo così la penetrazione dell’acqua e la capacità di ritenzione idrica del terreno, quindi con maggiore disponibilità di acqua per le piante coltivate. All’uopo, va ricordato che la riduzione degli scambi gassosi tra il terreno e l’atmosfera derivante da un’insufficiente porosità produce un accumulo, nel terreno, dell’etilene, con inibizione dello sviluppo delle nuove radici ed impedimento all’attività della microflora. Importante è il ruolo che esercitano le radici del tappeto erboso nel trasferimento del fosforo e del potassio negli strati più profondi del terreno: ciò per effetto delle escrezioni radicali e della sostanza organica rimessa in circolazione col ciclico rinnovamento delle radici. In altri termini, l’arricchimento di sostanza organica interessa, inizialmente, lo strato più superficiale del suolo per, poi, giungere, col tempo, in profondità. Grazie ai notevoli quantitativi di biomassa, il prato così stabilizzato rende superflua la concimazione della coltura arborea. L’inerbimento risulta, quindi, essere una tecnica più rispettosa per l’ambiente. Agronomicamente, l’inerbimento consiste nel mantenimento, nell’arboreto, di un prato costituito da vegetazione spontanea ovvero ottenuto mediante la semina di essenze erbacee. La crescita del cotico erboso viene regolata con periodici sfalci e l’erba tagliata finisce per costituire uno strato pacciamante in grado di ridurre le perdite d’acqua dal terreno per evaporazione e di rallentare la ricrescita della vegetazione. L’inerbimento può essere permanente parziale, permanente totale, adottata in casi di

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elevato rischio di erosione del suolo e di eccellente disponibilità idrica e nutrizionale del terreno, ed, infine, temporaneo, in zone con limitata disponibilità di risorse idriche. E’ da notare che l’ampiezza della superficie non inerbita è generalmente del 20-40% della superficie totale e, comunque, in funzione delle caratteristiche pedoclimatiche della zona, dei sesti d’impianto prescelti, dell’età e del vigore degli alberi coltivati e dell’area della carreggiata delle macchine. Dalle sperimentazioni svolte nel campo, si è osservato che l’apparato radicale che si sviluppa in corrispondenza di un cotico erboso è complessivamente meno sviluppato di quello che cresce in un terreno privo di vegetazione, per via della competizione idrica e nutritiva ed allelopatie: inoltre, il numero ed il peso delle radici risulta depresso e la profondità e la densità radicale, rispettivamente, aumentano e diminuiscono. Notevoli, quindi, sono i vantaggi della gestione del suolo mediante inerbimento. Tuttavia, vanno considerati alcuni aspetti, ritenuti, negativi di tale tecnica, considerata secondaria ed in consociazione, come la competizione con la coltura principale per le riserve del suolo, di natura idrica e nutritiva, l’aumento di rischi di gelate, in quanto la temperatura dell’aria in prossimità della superficie, nei terreni inerbiti, tende ad essere più bassa rispetto ai terreni lavorati, l’attacco di agenti parassitari. Prima di realizzare qualsiasi tipo di inerbimento, è, quindi, necessaria un’attenta valutazione di ciascuna situazione aziendale, prendendo in considerazione la natura del suolo, la pluviometria, le produzioni, l’impostazione e le caratteristiche del vigneto, Per una buona riuscita del cotico sono necessarie alcune condizioni, tra cui buona preparazione del letto di semina, scelta del momento più favorevole per la semina. I momenti più favorevoli sono da fine inverno a metà aprile ed in fine estate. Così, in caso di pianura fertile, profonda e con disponibilità idrica è consigliabile un miscuglio di Lolium perenne 70% (Barrage, Sabor) – Poa pratensis 30% (Barzan, Baron) mentre in collina con rischio- erosione, suolo poco profondo e versanti ben esposti, si può procedere con un miscuglio di Lolium perenne 10% (Barrage, Sabor), Festuca ovina 57% (Bardur, Hardtop), Festuca rubra commutata 10% (Bargreen), Poa pratensis 20% (Barzan, Baron), Trifolium repens 3%.