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PROCESSO PENALE E GIUSTIZIA Diretta da Adolfo Scalfati 1-2015 Comitato di direzione: Ennio Amodio, Giuseppe Di Chiara, Paolo Ferrua, Giulio Garuti, Luigi Kalb, Sergio Lorusso, Mariano Menna, Gustavo Pansini, Francesco Peroni, Giorgio Santacroce Verso una riforma della giustizia penale? Dubbi e speranze Towards a reform of criminal matter? Doubts and perspectives Messa alla prova per adulti: anatomia di un nuovo modello processuale Probation for adults: analysis of a new proceedings model Sequestro e internet: un difficile binomio tra “vecchie” norme e “nuove” esigenze Seizure and internet: a "difficult" combination between old standards and new requirements La rescissione del giudicato: esegesi di una norma imperfetta Breach of res iudicata: exegesis of an imperfect rule G. Giappichelli Editore – Torino Processo penale e Giustizia: Rivista telematica bimestrale pubblicata da G. Giappichelli s.r.l. – Registrazione Tribunale di Torino n. 2/2015 – ISSN 20394527 – Direttore Responsabile Prof. Adolfo Scalfati

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  • PROCESSO PENALE E GIUSTIZIADiretta da Adolfo Scalfati 1-2015

    Comitato di direzione:Ennio Amodio, Giuseppe Di Chiara, Paolo Ferrua, Giulio Garuti, Luigi Kalb,Sergio Lorusso, Mariano Menna, Gustavo Pansini, Francesco Peroni, Giorgio Santacroce

    Verso una riforma della giustizia penale? Dubbi e speranze

    Towards a reform of criminal matter?Doubts and perspectives

    Messa alla prova per adulti:anatomia di un nuovo modello processuale

    Probation for adults: analysis of a new proceedings model

    Sequestro e internet: un dif�cile binomio tra “vecchie” norme e “nuove” esigenze

    Seizure and internet:a "dif�cult" combination between

    old standards and new requirements

    La rescissione del giudicato:esegesi di una norma imperfetta

    Breach of res iudicata:exegesis of an imperfect rule

    G. Giappichelli Editore – TorinoProcesso penale e Giustizia: Rivista telematica bimestrale pubblicata da G. Giappichelli s.r.l. – Registrazione Tribunale di Torino n. 2/2015 – ISSN 20394527 – Direttore Responsabile Prof. Adolfo Scalfati

  • Diretta da Adolfo Scalfati 1-2015

    G. Giappichelli Editore – Torino

    PROCESSOPENALE E GIUSTIZIA

    Comitato di direzione:Ennio Amodio, Giuseppe Di Chiara, Paolo Ferrua, Giulio Garuti, Luigi KalbSergio Lorusso, Mariano Menna, Gustavo Pansini, Francesco Peroni, Giorgio Santacroce

  • © Copyright 2015 - G. GIAPPICHELLI EDITORE - TORINOVIA PO, 21 - TEL. 011-81.53.111 - FAX 011-81.25.100

    http://www.giappichelli.it

  • Comitato di direzione

    Ennio Amodio, professore di procedura penale, Università di Milano Statale Giuseppe Di Chiara, professore ordinario di procedura penale, Università di Palermo Paolo Ferrua, professore ordinario di procedura penale, Università di Torino Giulio Garuti, professore ordinario di procedura penale, Università di Modena e Reggio Emilia Luigi Kalb, professore ordinario di procedura penale, Università di Salerno Sergio Lorusso, professore ordinario di procedura penale, Università di Foggia Mariano Menna, professore ordinario di procedura penale, Seconda Università di Napoli Gustavo Pansini, professore di procedura penale, Università di Napoli SOB Francesco Peroni, professore ordinario di procedura penale, Università di TriesteGiorgio Santacroce, primo presidente della Corte di cassazione

    Coordinamento delle Sezioni

    Teresa Bene, professore associato di procedura penale, Seconda Università di Napoli Maria Elena Catalano, professore associato di procedura penale, Università dell’InsubriaPaola Corvi, professore associato di procedura penale, Università Cattolica di PiacenzaDonatella Curtotti, professore associato di procedura penale, Università di FoggiaMitja Gialuz, professore associato di procedura penale, Università di Trieste Vania Maffeo, professore associato di procedura penale, Università di Napoli Federico IICarla Pansini, professore associato di procedura penale, Università di Napoli ParthenopeNicola Triggiani, professore associato di procedura penale, Università di Bari “Aldo Moro”Cristiana Valentini, professore associato di procedura penale, Università di Ferrara Daniela Vigoni, professore associato di procedura penale, Università di Milano Statale

    redazione

    Gastone Andreazza, magistrato – Fulvio Baldi, magistrato – Antonio Balsamo, magistrato – Giuseppe Biscardi, ricercatore di procedura penale, Università di Roma Tor Vergata – Orietta Bruno, ricercatore di procedu-ra penale, Università di Roma Tor Vergata – Lucio Camaldo, ricercatore di procedura penale, Università di Milano Statale – Sonia Campailla, ricercatore di diritto dell’unione europea, Università di Roma Tor Vergata – Laura Capraro, ricercatore di procedura penale, Università di Roma Tor Vergata – Assunta Coco-mello, magistrato – Marilena Colamussi, ricercatore di procedura penale, Università di Bari “Aldo Moro” – Antonio Corbo, magistrato – Gaetano De Amicis, magistrato – Alessandro Diddi, ricercatore di procedura penale, Università di Roma Tor Vergata – Ada Famiglietti, ricercatore di procedura penale, Università di Roma Tor Vergata – Rosa Maria Geraci, ricercatore di procedura penale, Università di Roma Tor Vergata – Paola Maggio, ricercatore di procedura penale, Università di Palermo – Antonio Pagliano, ricercatore di procedura penale, Seconda Università di Napoli – Giorgio Piziali, magistrato – Roberto Puglisi, dottore di ricerca in procedura penale, Università di Roma Tor Vergata – Alessia Ester Ricci, assegnista di ricerca in diritto processuale penale, Università di Foggia – Nicola Russo, magistrato – Alessio Scarcella, magistrato – Elena Zanetti, ricercatore di procedura penale, Università di Milano Statale

  • Peer review

    La “revisione dei pari” garantisce il livello qualitativo dei contenuti della Rivista. La valutazione viene compiuta tenendo conto della fisionomia tradizionale dei generi letterari (Articolo e Nota), misurandone la chiarezza espositiva, i profili ricostruttivi, il grado di ricerca, la prospettiva critica e le soluzioni interpretative offerte. La verifica è effettuata a rotazione da due professori ordinari di discipline corrispondenti o affini alle materie oggetto dei lavori, i quali esprimono un giudizio sulla meritevolezza o meno della pubblicazione. Nell’ipotesi di valutazioni contrastanti tra i revisori, detto giudizio è rimesso al Direttore della Rivista.Il controllo avviene in forma reciprocamente anonima. I contenuti editi nella Sezione denominata “Scenari” non sono soggetti a revisione.

    Peer reviewerS

    Enrico Mario Ambrosetti, professore ordinario di diritto penale, Università di Padova Alessandro Bernasconi, professore ordinario di procedura penale, Università di Brescia Piermaria Corso, professore ordinario di procedura penale, Università di Milano Statale Agostino De Caro, professore ordinario di procedura penale, Università del Molise Mariavaleria del Tufo, professore ordinario di diritto penale, Università di Napoli SOB Marzia Ferraioli, professore ordinario di procedura penale, Università di Roma Tor Vergata Carlo Fiorio, professore straordinario di procedura penale, Università di Perugia Novella Galantini, professore ordinario di procedura penale, Università di Milano Statale Maria Riccarda Marchetti, professore ordinario di procedura penale, Università di Sassari Oliviero Mazza, professore ordinario di procedura penale, Università di Milano Bicocca Paolo Moscarini, professore ordinario di procedura penale, Università di Roma LUISS Angelo Pennisi, professore ordinario di procedura penale, Università di Catania Tommaso Rafaraci, professore ordinario di procedura penale, Università di Catania Antonio Scaglione, professore ordinario di procedura penale, Università di Palermo Andrea Scella, professore ordinario di procedura penale, Università di UdineGianluca Varraso, professore ordinario di procedura penale, Università di Milano Cattolica

  • Processo penale e giustizia n. 1 | 2015 V

     SOMMARIO

    Sommario

    Editoriale | Editorial GIANLUCA VARRASO Verso una riforma della giustizia penale? Dubbi e speranze / Towards a reform of criminal matter? Doubts and perspectives 1

    Scenari | Overviews Novità sovranazionali / Supranational news (ELENA ZANETTI) 7 De jure condendo (MARILENA COLAMUSSI) 12 Corti europee / European Courts (FRANCESCO TRAPELLA) 17 Corte costituzionale (DONATELLA CURTOTTI) 22 Sezioni Unite (ANTONIO PAGLIANO) 26 Decisioni in contrasto (PAOLA CORVI) 32

    Avanguardie in giurisprudenza | Cutting Edge Case Law Potere istruttorio d’ufficio del giudice e prove inutilizzabili Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 26 giugno 2014, n. 27879 – Pres. Giordano; Rel. Magi 35

    L’iniziativa probatoria del giudice nel processo penale accusatorio: la Cassazione defini-sce i limiti all’esercizio del “potere di completamento istruttorio” di cui all’art. 507 c.p.p. / The Judge’s power to complete the investigations in the adversary criminal trial (IRENE GUE-RINI) 42

    L’incompatibilità del giudice che ha applicato la pena su richiesta nei confronti del con-corrente necessario Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 26 giugno 2014, n. 36847 – Pres. Santacroce; Rel. Conti 55

    Gli strumenti per rilevare il pre-giudizio di chi ha emesso la sentenza di patteggiamento verso il coimputato nel medesimo reato / Defining the tools to note when a judge has already voiced his own conviction (LUCIA IANDOLO) 62

    Restituzione delle cose sequestrate: incertezze interpretative Corte di Cassazione, Sez. I, sentenza 4 giugno 2014, n. 23333 – Pres. Siotto; Rel. Magi 69

    Procedimento di restituzione delle cose sequestrate: potenziali equivoci e problemi ap-plicativi / Process of confiscated goods: potential misunderstandings and application problems (ROBERTO DE ROSSI) 73

    L’invalidità dell’accertamento fiscale e i suoi effetti sul processo penale Corte di Cassazione, Sezione III, sentenza 1° aprile 2014, n. 2487 – Pres. Squassoni; Rel. Franco 84

    L’autorizzazione del procuratore della Repubblica all’accesso presso i locali del contri-buente: natura e regime giuridico / The Public Prosecutor’s authorization to access into the premises of taxpayer: legal nature (TERESA ALESCI) 87

  • Processo penale e giustizia n. 1 | 2015 VI

     SOMMARIO

    Dibattiti tra norme e prassi | Debates: Law and Praxis Messa alla prova per adulti: anatomia di un nuovo modello processuale / Probation for adults: analysis of a new proceedings model (LORENZO PULITO) 97

    Sequestro e internet: un difficile binomio tra “vecchie” norme e “nuove” esigenze / Sei-zure and internet: a "difficult" combination between old standards and new requirements (ANTONINO PULVIRENTI) 111

    Analisi e prospettive | Analysis and Prospects La rescissione del giudicato: esegesi di una norma imperfetta / Breach of res iudicata: exegesis of an imperfect rule (GIANRICO RANALDI) 123

    Il giudizio “rapido” spagnolo / The spanish speedy trial (IGNACIO FLORES PRADA) 134

    Indici | Index Autori / Authors 145

    Provvedimenti / Measures 146

    Materie / Topics 147

  • Processo penale e giustizia n. 1 | 2015 1 

     EDITORIALE | VERSO UNA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA PENALE?

    Editoriale | Editorial

    GIANLUCA VARRASO

    Professore ordinario di Diritto processuale penale – Università Cattolica S. Cuore di Milano

    Verso una riforma della giustizia penale? Dubbi e speranze Towards a reform of criminal matter? Doubts and perspectives

    La riforma complessiva che si sta delineando in questi mesi in ambito penale, non sempre chiara nei contenuti e che dovrebbe impegnare il Parlamento e il Governo anche nei prossimi mesi, pare presentare due anime di non facile composizione. Da un lato, si adottano misure immediate e dettate dall’emergenza che, seppur ispirate da lodevoli intenzioni, amplificano le aporie di sistema. Dall’altro lato, si prefigurano deleghe per una risistemazione del codice penale e per una riforma coordinata del codice di procedura penale e della legge sull’ordinamento penitenziario. È indubbio che le prospettive di ampio respiro sono da preferire, anche per superare il contingente. The overall reform that in the last months is being drafted in the criminal matter, which is not completely clear in its contents and that should involve the Parliament and the Government in the next months, seems to have two souls that not easily fit together. On the one hand, the reform provides immediate and emergency measures that, even if are inspired by praise-worthy intentions, amplify the aporias of the system. On the other hand, parliamentary decrees are envisaged about the reorganization of the criminal code, of the criminal procedure code and of the law on the penitentiary system. It is undeniable that perspectives of wider ambitions should be preferred, even to ride out of the present state.

    GLI INPUT SOVRANAZIONALI E LE LINEE DIRETTIVE PER UNA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA PENALE

    Dopo un periodo di sostanziale “fermo” si è registrata nel 2013 e nel 2014 una ripresa della produzione legislativa in ambito penale, ancora una volta sulla spinta dell’emergenza e di situazioni contingenti e a seguito di imperativi input sovranazionali.

    L’occasione è stata determinata in particolare dalle intollerabili condizioni di vita all’interno degli istituti penitenziari italiani, motivo di condanna da parte degli organi di giustizia nazionali ed europei e di richiamo delle più alte Cariche dello Stato: comune la denuncia che la pena detentiva in Italia si è ormai trasformata in un trattamento inumano e degradante, con buona pace dei principi fissati dagli artt. 3 Cedu e 2, 3 e 27 comma 2 Cost.

    Riecheggiano ancora le parole contenute nella sentenza pilota della Corte europea dei diritti del-l’uomo, Torregiani c. Italia dell’8 gennaio 2013 e, ancor prima, nella sentenza 16 luglio 2009, Sulejmanovic c. Italia, nonché nella decisione n. 279 del 22 novembre 2013 della Corte costituzionale e nei messaggi istituzionali del Presidente della Repubblica: occorreva porre mano alle necessarie riforme del sistema penale, processuale e penitenziario, volte al ripristino di condizioni strutturali compatibili con i para-metri costituzionali e sovranazionali, primo fra tutti la dignità della persona che dei diritti inviolabili

  • Processo penale e giustizia n. 1 | 2015 2

     EDITORIALE | VERSO UNA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA PENALE?

    dell’uomo è la matrice (v. art. 1 Carta di Nizza e 6 T.U.E.). E colpisce la perfetta sintonia con le parole recenti del Pontefice ai Professori dell’Associazione Internazionale di Diritto penale del 23 ottobre 2014.

    Le linee direttive erano e sono ben chiare e si tratta, a dire il vero, dei principi base già espressi dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa soprattutto nelle Raccomandazioni (1999)22 e (2006)13, riguardanti proprio il sovraffollamento carcerario e che rappresentano altrettanti principi di civiltà giu-ridica, radicati anche nella nostra Carta fondamentale.

    – La privazione della libertà personale deve considerarsi una extrema ratio, dovendosi, da un lato, ri-durre al minimo il suo utilizzo per ragioni cautelari, dall’altro lato, implementare le misure alternative alla detenzione; in stretta connessione occorre rafforzare la tutela giurisdizionale di diritti del detenuto, soprattutto alla luce dello stato di vulnerabilità di quest’ultimo rispetto ai poteri dello Stato.

    – L’ampliamento delle strutture penitenziarie deve essere anch’essa una misura eccezionale, in quanto non adatta ad offrire una soluzione duratura al problema del sovraffollamento.

    – Occorre introdurre un insieme appropriato di sanzioni e di misure applicate nella comunità; valu-tare l’opportunità di depenalizzare alcuni tipi di reato o di riqualificarli in modo da impedire l’utilizzo di pene privative della libertà; semplificare, nel rispetto dei principi costituzionali e delle tradizioni giu-ridiche interne, la giustizia penale, ispirandosi, in particolare, a forme di diversion per deflazionare il ca-rico processuale.

    Sono queste le linee di intervento lungo le quali si sono sviluppati gli interventi legislativi del 2013 e del 2014 in materia penitenziaria, sulla scorta anche dei risultati espressi dalla Commissione presieduta dal Prof. Glauco Giostra, istituita dal Ministro della Giustizia il 2 luglio 2013 1.

    LA LEGGE N. 67 DEL 28 APRILE 2014 E LA DELEGA AL GOVERNO DI RIFORMA DEL SISTEMA SANZIONATORIO

    Si tratta solo di primi passi che in sé sono ancora del tutto insoddisfacenti, ma che possono assumere un diverso significato se letti all’interno della riforma complessiva che si sta delineando negli ultimi mesi e che dovrebbe impegnare il Governo e il Parlamento nei prossimi.

    In primis, non può trascurarsi come siano parte integrante di un disegno volto ad una depenalizza-zione non solo in astratto, ma anche in concreto, le scelte alla base della l. n. 67 del 28 aprile 2014 2.

    È indubbio che questa legge sia piena di indicazioni eterogenee, disarmoniche e, a volte, di eccessiva timidezza nelle scelte. Allo stesso tempo, presenta innegabili punti di forza, sensibilità e aperture per un seppur limitato superamento della centralità della pena detentiva alla base del codice penale del 1930.

    Proprio nella direzione auspicata dalle Raccomandazioni del Consiglio d’Europa e, a dire il vero, da tanti atti internazionali anche a carattere universale dell’O.N.U., si assiste ai primi sforzi volti a rendere complementari i paradigmi della giustizia penale “tradizionale” con quelli della giustizia c.d. senza spada.

    Va così salutata con favore l’estensione agli imputati adulti dell’istituto della sospensione del processo con messa alla prova, che consente e impone percorsi di mediazione tra autore e vittima del reato e l’espletamento di condotte riparatorie volte ad elidere le conseguenze dannose o pericolose dell’illecito.

    I percorsi di giustizia riparativa devono far parte integrante della “cassetta degli arnesi” degli opera-tori giuridici in ambito penale e, ancor prima, imporre un cambiamento culturale sul ruolo di tutti i protagonisti coinvolti nel processo, non da ultimo della classe forense.

    Non significa ripudiare la finalità cognitiva del processo, ma attribuire pari dignità ai meccanismi al-ternativi al processo con compiti anche del difensore nuovi, che si affiancano, ma non si sostituiscono o si sovrappongono al tradizionale diritto dell’accusato di difendersi cercando e provando.

    Del pari appare condivisibile, con i necessari caveat, l’obiettivo comune alla legge delega contenuta nell’art. 1 l. n. 67 del 2014 (di riforma del sistema sanzionatorio), volto a promuovere un diritto penale minimo che utilizzi il carcere come extrema ratio.

    1 Ci riferiamo, in particolare, al d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito nella l. 21 febbraio 2014, n. 10 (Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria), al d.l. 20 marzo 2014, n. 36, con-vertito nella l. 16 maggio 2014, n. 79 (Disposizioni urgenti in materia di disciplina degli stupefacenti) e, da ultimo, al d.l. 26 giugno 2014, n. 92 convertito nella l. 11 agosto 2014, n. 117 (Rimedi risarcitori in favore di detenuti ed internati): si permette rinviare, per un commento, a C. Conti-A. Marandola-G. Varraso (a cura di), Le nuove norme sulla giustizia penale, Padova, 2014.

    2 Per un commento, oltre al volume indicato nella nota 1, v. N. Triggiani (a cura di), La deflazione giudiziaria, Torino, 2014.

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     EDITORIALE | VERSO UNA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA PENALE?

    Tre sono infatti le direttrice lungo le quali si colloca tale legge delega e che, si spera, impegneranno il Governo in questi mesi: depenalizzazione, allargamento della classe delle pene principali; introduzione dell’istituto dell’irrilevanza del fatto con efficacia estintiva del reato.

    È chiaro che non vi sono solo luci. A titolo esemplificativo, molte delle fattispecie indicate per la depenalizzazione risultano di scarsa

    frequenza pratica, o già affidate al giudice di pace. L’introduzione delle sanzioni pecuniarie civili (che evocano i punitive damages di matrice anglosassone e che si invocano a fronte della depenalizzazione) complicherà la distinzione degli illeciti a carico delle persone fisiche e giuridiche. L’irrilevanza del fatto è costruita come causa di non punibilità e non come condizione di procedibilità, che avrebbe con più facilità prodotto benefici effetti di deflazione processuale.

    Il ruolo della persona offesa in tali meccanismi è tutto da definire, soprattutto alla luce della direttiva 2012/29/UE in tema proprio di giustizia riparativa e alla quale l’Italia deve adeguarsi. Ed anche la messa alla prova, già introdotta, sconta contenuti precettivi per l’accusato (soprattutto in tema di lavoro di pubblica utilità) ed ambiti di applicazione discutibili per i criteri di selezione utilizzati.

    I PROGETTI GOVERNATIVI DEL LUGLIO 2014 DI RIFORMA DEL CODICE PENALE, DEL CODICE DI PROCEDURA PENALE E DELLA LEGGE SULL’ORDINAMENTO PENITENZIARIO

    In questo quadro complessivo della riforma manca il tassello finale, non di certo di minore importanza. Le Raccomandazione del Consiglio d’Europa, senza una particolare originalità, impongono di sem-

    plificare la giustizia penale e di salvaguardare i diritti fondamentali della persona. E si tratta di una direttiva rivitalizzata dalla crisi economica (e sociale), ma anche di valori, nella

    quale si dibatte il nostro Paese. L’esigenza di recuperare la durata ragionevole del processo penale, al pari di quello civile, non è sol-

    tanto una necessità imposta dalla concreta attuazione dei principi del giusto processo legale di cui all’art. 111 comma 1 Cost. e dalle Carte internazionali dei diritti dell’uomo.

    Una giustizia civile e penale che non funziona allontana gli investitori esteri e affossa l’economia. Una giustizia senza la “lealtà” dei suoi protagonisti è, comunque, destinata al fallimento.

    La semplificazione e l’abbattimento dei tempi processuali, nel rispetto imprescindibile delle garanzie dei soggetti coinvolti, primo tra tutti l’imputato, è oggi improcrastinabile per vivere con pari dignità all’interno della comunità internazionale.

    In questa direzione è andato il Governo alla fine di luglio del 2014, con l’approvazione di una serie complessa di progetti di cui però non sono ancora ben chiari (e noti) i contenuti e che dovrebbero occu-pare il Parlamento nei prossimi mesi.

    Sulla scorta dei lavori della Commissione istituita dal Ministro della Giustizia in data 10 giugno 2013 e presieduta dal Presidente della Corte d’Appello di Milano Giovanni Canzio e dei risultati della Commissione ministeriale di studio per la riforma del codice di procedura penale, istituita con decreto del Ministro della Giustizia del 26 luglio 2006 e presieduta dal Prof. Giuseppe Riccio, si sono proposte modifiche negli ambiti che nella prassi hanno rivelato le maggiori criticità proprio sulla tempistica delle cadenze procedimentali per il loro carattere complesso.

    Si tratta degli ambiti che necessitano di interventi urgenti, volti proprio a semplificare le procedure e a disincentivare le prassi devianti di abuso del processo: la prescrizione dei reati; le indagini prelimina-ri, ancora una volta le misure cautelari, i procedimenti speciali, la prova in dibattimento, le impugna-zioni, la cooperazione giudiziaria internazionale, l’esecuzione penale.

    Possiamo tentare una sintesi almeno per quanto riguarda gli aspetti più significativi sotto il profilo sistematico di questi disegni di legge.

    Si deve partire dal primo, più complesso ed ampio, “recante modifiche alla normativa penale, so-stanziale e processuale, e ordinamentale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragio-nevole dei processi, oltre che all’ordinamento penitenziario per l’effettività rieducativa della pena”.

    Continuando nell’opera di depenalizzazione in concreto già iniziata dalla l. n. 67 del 2014 con l’introduzione della messa alla prova e della programmata “particolare tenuità del fatto”, si estende al sistema penale generale un altro istituto già previsto per i reati di competenza del giudice di pace: la causa estintiva delle condotte riparatorie del danno derivante da reato.

    Lo spettro delle fattispecie coinvolte è più ampio di quello della messa alla prova di cui condivide

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     EDITORIALE | VERSO UNA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA PENALE?

    gli effetti: una sospensione temporanea del procedimento, con contestuale sospensione della prescri-zione, per dare all’imputato il tempo necessario ad adempiere alle condotte e poter poi beneficiare di una sentenza di proscioglimento.

    Si introduce una delega per la riforma del regime di procedibilità di taluni reati che recano una mo-desta offesa all’interesse tutelato di natura individuale della persona offesa e per una “risistemazione” del codice penale.

    Si modifica la disciplina della prescrizione: in particolare, il fulcro delle modifiche ruota attorno all’emissione della sentenza di condanna di primo grado. Questa sentenza, ritenuta incompatibile con il decorso tout court del termine utile al c.d. oblio collettivo rispetto al fatto criminoso, determina una so-spensione dei termini estintivi (due anni per l’appello, un anno per il ricorso per cassazione) per con-sentire lo svolgimento dei giudizi di impugnazione

    Si prevede una delega per la revisione della disciplina processuale delle intercettazioni al fine di raf-forzare il diritto alla riservatezza soprattutto delle persone estranee al procedimento e di coloro che, pur coinvolti nello stesso, siano controllati anche su aspetti della vita privata estranei al tema di prova.

    Con il fine dichiarato di evitare che l’udienza preliminare si trasformi in un momento dai poteri giudiziali cognitivi talmente estesi da sovrapporsi ad un giudizio nel merito della vicenda processuale, vengono eliminati (art. 421 c.p.p.) o ridimensionati (art. 422 c.p.p.) i meccanismi introdotti dalla legge Carotti per garantire la completezza delle indagini. L’incompletezza patologica delle indagini nelle in-tenzioni dei conditores dovrebbe condurre ad una sentenza di non luogo a procedere.

    Riguardo ai procedimenti speciali, il patteggiamento è il rito che subisce maggiori modifiche. Si elimina il c.d. patteggiamento allargato introdotto dalla l. n. 134 del 2003, riservando il patteggia-

    mento oggi previsto dall’art. 444 c.p.p. ai reati che consentono pene non superiori ai tre anni di reclu-sione (il limite della sospensione dell’ordine di esecuzione), ai quali si estendono tutti i benefici del rito biennale di cui all’art. 444 comma 1 c.p.p.

    Si introduce un istituto inedito: la condanna emessa su richiesta dell’imputato, che prescinde dal consenso del p.m.

    Ad esclusione dei casi oggi elencati nell’art. 444 comma 1 bis c.p.p., l’imputato che ammette il fatto, rendendo confessione, può chiedere l’emissione immediata di regola in udienza preliminare di una sen-tenza di condanna a pena non superiore a 8 anni, con una riduzione premiale da un terzo alla metà. Il giudice è chiamato a valutare la richiesta compiendo un accertamento pieno sula colpevolezza del-l’imputato, che deve essere previamente interrogato per una più ponderata valutazione della confessione. Il giudice rigetta la richiesta o per incongruità della pena o perché ritiene non sufficienti le fonti di prova a disposizione. In tal caso dispone però il giudizio abbreviato e non più il rito ordinario, in quanto l’imputato ha già manifestato la sua volontà di essere giudicato sulla base degli atti di indagine preliminare.

    Appare chiara la ratio del legislatore di puntare su tale ultimo ed inedito istituto per tentare la mas-sima deflazione possibile del dibattimento.

    Ancora più significative le novità in tema di impugnazioni, in un’ottica sempre di deflazione, razio-nalizzazione ed efficacia.

    Si limita all’appello la possibilità per l’imputato di impugnare personalmente le sentenze, riservando al solo difensore il ricorso per cassazione.

    Si reintroduce il patteggiamento sui motivi d’appello e si incide sull’istituto della rinnovazione del-l’istruttoria dibattimentale, a fronte del ribaltamento di una sentenza di assoluzione, come imposto dal-la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

    Interessanti anche le modifiche del giudizio di cassazione, ormai ritenute indispensabili dalla stessa Suprema Corte3.

    Si limita la ricorribilità per tutte le parti nel caso di doppia conforme. Si valorizza il contraddittorio cartolare a fronte di una possibile declaratoria di inammissibilità ex

    art. 610 c.p.p., che viene resa più “facile” a fronte di vizi formali. Si modifica l’art. 618 c.p.p., imponendo alle sezioni unite l’enunciazione del principio di diritto

    nell’interesse della legge. Soffermandoci, seppure sempre in una necessaria prospettiva di sintesi, sul secondo disegno di leg-

    ge approvato a fine luglio recante “Delega al governo per la riforma del libro XI del codice di procedura

    3 Cfr. AA.VV., La Corte assediata. Per una ragionevole deflazione dei giudizi penali di legittimità, Milano, 2014.

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     EDITORIALE | VERSO UNA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA PENALE?

    penale”, questa si ispira a principi volti alla semplificazione soprattutto della cooperazione tra i Paesi membri dell’Unione europea rispetto alla cooperazione con gli altri stati.

    In particolare, avendo riguardo all’U.E, si chiede di modificare la disciplina codicistica in nome di una progressiva attuazione del principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie.

    Da qui, per le rogatorie c.d. passive si valorizza la trasmissione diretta all’autorità giudiziaria com-petente all’esecuzione della rogatoria, assicurando l’esame immediata delle rogatorie urgenti, al fine di depoliticizzare l’assistenza giudiziaria, con il Ministro della Giustizia che vede ridimensionato il suo ruolo. Per l’estradizione, si vogliono salvaguardare le garanzie giurisdizionali dell’imputato o del con-dannato all’estero, differenziando, allo stesso tempo, le aree di esercizio delle concorrenti potestà dell’autorità politica e dell’autorità giudiziaria e potenziando i meccanismi di interlocuzione diretta dell’autorità giudiziaria con le autorità dello Stato richiedente.

    LA LEGGE DELEGA IN MATERIA DI “RISISTEMAZIONE” DEL CODICE PENALE, E DI “RIFORMA” DELLA DISCI-PLINA PROCESSUALE E PENITENZIARIA: L’AUSPICIO DI MODIFICHE ORGANICHE

    Il Governo pare consapevole che i vari provvedimenti che si sono succeduti in materia penale e peni-tenziaria nel 2013 e nel 2014 hanno inciso sulla coerenza sistematica del sistema e impongono una rivi-sitazione complessiva della materia.

    Allo stesso tempo, sembra trasparire in nuce la coscienza che le riforme sostanziali e processuali messe in campo devono integrarsi in una prospettiva di più ampio respiro, nella quale sarà fondamen-tale il coordinamento.

    Non è un caso che gli artt. 4, 21-23 dello “Schema di disegno di legge recante modifiche alla norma-tiva penale, sostanziale e processuale” prevedano una delega per la “risistemazione” del codice penale e per una riforma coordinata del codice di procedura penale e della legge di ordinamento penitenziario, secondo le linee direttive già evidenziate e una delega in tema di appello.

    Quest’ultimo cessa di essere un gravame ad effetto interamente devolutivo e si trasforma in uno strumento di verifica a critica vincolata sui motivi identificati dalla legge e non più ai punti.

    È indubbio che tale modifica si correla a quella del modello di motivazione della sentenza in primo grado ai sensi di un nuovo art. 546 lett. e) c.p.p., che impone al giudice di dar conto dell’iter logico se-guito nell’accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono all’imputazione, alla qualificazione giuridica, alla punibilità e alla determinazione della pena, oltre che sulla responsabilità civile derivante da reato e sui fatti ai quali dipende l’applicazione di norme processuali (è significativo il richiamo alla struttura dell’art. 187 c.p.p.).

    Anche nei progetti legislativi approvati alla fine di luglio convivono, comunque, anime diverse e in-conciliabili.

    Da un lato, ci troviamo di fronte a modifiche immediate, ispirate alla tradizionale logica dell’e-mergenza e al più volte evidenziato bisogno di semplificare. È chiaro che in questo modo si finisce per incidere in profondità sugli equilibri già precari del codice penale, di procedura penale e della legge di ordinamento penitenziario, senza dimenticare l’ambito (che non si è trattato) delle misure di preven-zione e più in generale del contrasto alla criminalità organizzata.

    È lodevole la volontà dichiarata de iure condendo di trovare un equilibrio tra l’esigenza di efficienza connessa alla ragionevole durata delle procedure con i principi del giusto processo legale; ma al di là delle buone intenzioni qualsiasi modifica su segmenti del diritto penale e del procedimento non fa che complicare, in via ulteriore, il quadro astratto e le ricadute concrete, limitandosi a soddisfare il bisogno dell’opinione pubblica del “tutto e subito”.

    Dall’altro lato, sono, per contro, da apprezzare i propositi di ampio respiro. È forse utopico, ma nelle deleghe il seme in tale direzione esiste e va coltivato con cura ed attenzione. Riformare il sistema sanzionatorio senza una riforma organica del codice penale (è emblematico che

    si parli solo di una “risistemazione” di tale codice), nonché senza la contestuale e coordinata modifica del codice di rito e della l. n. 354 del 1975 serve a poco.

    Il sovraffollamento carcerario maschera, per quanto interessa, un problema antico: il dialogo tra so-stanzialisti e processualisti non solo deve avvenire a livello accademico, ma tradursi in una concreta at-tività legislativa che superi la contingenza.  

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    Processo penale e giustizia n. 1 | 2015

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     SCENARI | NOVITÀ SOVRANAZIONALI

     

    NOVITÀ SOVRANAZIONALI SUPRANATIONAL NEWS

    di Elena Zanetti

    LA CONVENZIONE DEL CONSIGLIO D’EUROPA SULLA MANIPOLAZIONE DI COMPETIZIONI SPORTIVE (CETS N. 215)

    In occasione della XIII Conferenza dei ministri dello sport degli Stati membri del Consiglio d’Europa – svoltasi a Macolin (Svizzera) il 18 settembre 2014, sui temi della corruzione nelle manifestazioni sporti-ve e della cooperazione in ambito sportivo su scala paneuropea – è stata aperta alla firma la Convenzione sulla manipolazione di competizioni sportive. La convenzione – messa a punto da un gruppo di redazione intergovernativo istituito dal Comitato di Direzione dell’EPAS (Enlarged Partial Agreement on Sport, or-gano che fornisce una piattaforma di cooperazione intergovernativa nell’ambito dello sport tra le auto-rità pubbliche dei suoi Stati membri) – era stata adottata il 9 luglio 2014, nel corso della 1205ª riunione dei delegati dei Ministri.

    Come si legge nel Rapporto esplicativo (§ 3) che accompagna la convenzione, con l’espressione “mani-polazione di competizioni sportive” si è inteso far riferimento non soltanto agli “incontri” – competizioni in cui si confrontano due atleti o due squadre – né alla sola manipolazione del risultato finale di una com-petizione sportiva, ma più in generale a tutte le possibili modifiche intenzionali e irregolari dello svol-gimento o del risultato di una competizione sportiva al fine di interferire in tutto o in parte con il carat-tere imprevedibile della competizione stessa per ottenere un indebito vantaggio personale o in favore di terzi. L’accresciuta commercializzazione degli eventi sportivi e la loro esposizione mediatica hanno favorito – specie a partire dagli anni 2000 – un consistente incremento degli interessi economici legati ad alcuni risultati sportivi e incentivato lo sviluppo di nuove attività lecite ed anche illecite. In questo contesto generale si segnalano due fenomeni peculiari: in primo luogo il moltiplicarsi delle tipologie di scommesse offerte, a volte in assenza di un controllo efficace da parte delle autorità competenti, così da favorire la diffusione di scommesse più facili da influenzare e di forme di manipolazione più difficili da scoprire. A ciò si aggiunge lo sviluppo di un consistente mercato illegale, che offre agli utenti margini di rendimento particolarmente elevati, in grado di attirare le organizzazioni criminali, interessate alla manipolazione delle competizioni sportive su cui sono effettuate le scommesse, al fine di ricavare pro-fitti grazie ad esse, riciclando, in tal modo, denaro di provenienza illecita.

    Tali fenomeni – legati alla frode, alla criminalità organizzata e alla corruzione – generano indubbia-mente interessi economici considerevoli, ma più in generale rappresentano una seria minaccia per il fu-turo dello sport, inteso come pratica sociale, culturale, economica e politica. Non sorprende, quindi, che il Consiglio d’Europa abbia assunto varie iniziative in difesa dell’integrità della partica sportiva, sia sul fronte della lotta al doping (v., in particolare, la Convenzione contro il doping del 1989, ETS n. 135; seguita dalla Risoluzione RES (2007) 8 dell’11 maggio 2007, istitutiva dell’EPAS), sia su quello delle competi-zioni manipolate, della corruzione e delle scommesse illegali (v. la Risoluzione n. 1 sulla promozione dell’integrità dello sport contro la manipolazione dei risultati, adottata all’esito della Conferenza di Baku del 22 settembre 2010, nonché la Raccomandazione (2011) 10, del 28 settembre 2011, specificamente de-dicata alle partite “truccate”).

    In particolare, ai sensi della Raccomandazione (2011) 10, il segretariato dell’EPAS è stato invitato a predisporre, di concerto con altri organismi nazionali ed internazionali, uno studio di fattibilità in merito all’eventuale adozione di un nuovo strumento giuridico in tema di partite “truccate” atto a colmare le la-cune della vigente normativa internazionale. Alcuni importanti aspetti della corruzione in ambito sporti-vo sono, per vero, già coperti dalle convenzioni sulla criminalità organizzata e sulla corruzione – rispetti-

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     SCENARI | NOVITÀ SOVRANAZIONALI

    vamente la Convenzione delle Nazioni Unite sulla criminalità organizzata transnazionale (Palermo, 2000) e la Convenzione O.N.U. contro la corruzione (Merida, 2003). Esse, però, non considerano, espressamente i casi di manipolazione delle competizioni sportive che esulano dal contesto della criminalità transnazio-nale o dalla nozione di corruzione in senso proprio. Del pari, come riferimenti normativi per elaborare strumenti di lotta alle organizzazioni criminali che corrompono gli sportivi e si servono delle scommesse per riciclare denaro “sporco” e per finanziare le loro attività potrebbero essere utilizzate due convenzioni del Consiglio d’Europa in materia di corruzione (la Convenzione penale sulla corruzione del 1999, STE n. 173) e di riciclaggio (la Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di rea-to e sul finanziamento del terrorismo del 2005, STE n. 198). La manipolazione delle competizioni sportive può, però, essere attuata attraverso pratiche non riconducibili alla Convenzione sulla corruzione, così co-me le scommesse illegali e i profitti che derivano dalla manipolazione dei risultati sportivi non necessa-riamente rientrano nell’ambito di applicazione della Convenzione sul riciclaggio.

    Alla luce di tali considerazioni, dunque, l’opzione rappresentata dall’elaborazione di uno strumento ad hoc in grado di riunire tutte le misure preventive e repressive per un’efficace lotta alla manipolazione delle competizioni sportive, potenziando nel contempo il profilo della cooperazione internazionale, è parsa la più idonea. L’interesse per una convenzione internazionale in materia risiede, in prevalenza, nella promozione di un approccio globale in vista dell’adozione di principi condivisi volti a prevenire, individuare e punire la manipolazione delle competizioni sportive.

    Per perseguire efficacemente tale obiettivo la nuova convenzione “associa” – sul piano del contenuto – tutti i potenziali soggetti che operano nella lotta alle manipolazioni de quibus, vale a dire autorità pub-bliche, organizzazioni sportive e operatori di scommesse. In tal senso, i governi vengono sollecitati ad adottare misure idonee, anche di natura legislativa, per indurre, ad esempio, le autorità di controllo sul-le scommesse sportive a contrastare le frodi, anche limitando o sospendendo la possibilità di effettuare scommesse, o per limitare, in caso di necessità, l’accesso agli operatori coinvolti e il blocco dei flussi fi-nanziari tra questi ultimi e i consumatori (art. 11). Le organizzazioni sportive sono, invece, invitate a dotarsi di regole più stringenti contro la corruzione, nonché a prevedere sanzioni e misure disciplinari per i casi di violazione, oltre a principi di buona governance (art. 7).

    Nella stessa ottica, per garantirne una più ampia diffusione – ai sensi dell’art. 32, § 1 – la Convenzio-ne è stata aperta alla firma non solo dei Paesi membri del Consiglio d’Europa, ma anche degli Stati ade-renti alla Convenzione culturale europea, degli Stati membri dell’Unione europea e degli Stati non membri che abbiano partecipato alla sua elaborazione o che godano dello status di osservatore presso il Consiglio d’Europa, nonché di ogni altro Paese non membro su invito del Comitato dei Ministri (art. 32, § 2). Quanto alla data di entrata in vigore della convenzione, l’art. 32, § 4 dispone che essa coincida con il giorno successivo al decorso di un periodo di tre mesi seguenti il raggiungimento di cinque ratifiche (strumenti da depositarsi presso il Segretariato Generale del Consiglio), almeno tre delle quali prove-nienti da Stati membri del Consiglio d’Europa.

    Rispetto alla struttura, il testo si compone di 41 articoli, suddivisi in nove capitoli, rispettivamente dedicati a Scopo, linee guida e definizioni (artt. 1-3); Prevenzione, cooperazione ed altre misure (artt. 4-11); Scambio di informazioni (artt. 12-14); Diritto penale sostanziale e cooperazione in materia d’esecuzione (artt. 15-18); Giurisdizione, procedura penale e misure d’esecuzione (artt. 19-21); Sanzioni e misure (artt. 22-25); Coope-razione giudiziaria internazionale in materia penale (artt. 26-28); Follow up (artt. 29-31); Disposizioni finali (artt. 32-41).

    Sul piano del contenuto, in tale articolazione spiccano, anche in ragione delle caratteristiche del fe-nomeno della manipolazione delle competizioni sportive, gli aspetti della repressione e della coopera-zione internazionale.

    In ordine al primo profilo – come sottolinea il Rapporto esplicativo (§ 20) – la convenzione individua talune condotte da perseguire in ambito nazionale (in particolare il riciclaggio dei proventi derivanti dai reati relativi alla manipolazione delle competizioni sportive), senza peraltro imporre agli Stati la creazione di nuove fattispecie di reato. La definizione di tali comportamenti (riferimenti specifici sono operati al riciclaggio di denaro e alla responsabilità delle persone giuridiche) mira ad agevolare la coo-perazione giudiziaria e di polizia tra gli Stati parte. Al fine di assicurare, inoltre, un efficace sistema di applicazione, la convenzione considera un ampio ventaglio di possibili sanzioni di natura penale, am-ministrativa e disciplinare, raccomandando agli Stati di determinarle in modo effettivo, dissuasivo e proporzionato.

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    In merito al secondo profilo, si rileva – ancora nel Rapporto esplicativo (§ 21) – come la dimensione trans-nazionale assunta con sempre maggiore frequenza dai fenomeni di manipolazione abbia reso indispensa-bile il rafforzamento della cooperazione internazionale, sia sul fronte delle indagini, sia su quello della re-pressione dei reati. In tali ambiti la convenzione non interferisce comunque con gli strumenti vigenti nei settori dell’assistenza giudiziaria e dell’estradizione, quali in particolare la Convenzione europea di estra-dizione del 1957 e la Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 1959 e il Proto-collo addizionale del 1978. Il ruolo degli Stati parte nell’incoraggiare il principio del reciproco riconosci-mento delle sanzioni disciplinari adottate da organizzazioni sportive nazionali di Paesi stranieri mira ad evitare che un atleta sanzionato da una federazione nazionale si sottragga all’applicazione della sanzione partecipando a competizioni diverse o, viceversa, si esponga al rischio di una duplice sanzione.

    Ai sensi dell’art. 2, i principi-guida ai quali deve ispirarsi la lotta alla manipolazione delle competi-zioni sportive, sono costituiti da: i diritti dell’uomo, le regole di legalità e di proporzionalità, la prote-zione della vita privata e dei dati personali. Quanto alle numerose definizioni fornite dall’art. 3, risulta-no particolarmente dettagliate quelle relative alle nozioni di “scommessa sportiva” – rispetto alla quale sono differenziate le ipotesi di “scommessa illegale”, “scommessa irregolare” e “scommessa sospetta” – e di “partecipante alla competizione” – in cui rientrano le figure di atleti, personale di supporto ed “offi-cial/officiel”, ovvero proprietari, azionisti, dirigenti e personale delle società sportive nazionali ed inter-nazionali, nonché arbitri e componenti delle giurie.

    Dopo aver illustrato gli strumenti di prevenzione e cooperazione – coordinamento interno (art. 4); valutazione e gestione dei rischi (art. 5); educazione e sensibilizzazione (art. 6); misure concernenti le organizzazioni sportive e gli organizzatori di competizioni (art. 7); misure riguardanti il finanziamento delle organizzazioni sportive (art. 8); misure dedicate all’autorità di controllo sulle scommesse ed altre autorità (art. 9); misure riguardanti gli operatori di scommesse sportive (art. 10) – la convenzione fa ca-rico agli Stati parte di individuare e di adottare, in conformità con la legge applicabile e la giurisdizione interessata, i mezzi più efficaci di lotta contro le scommesse illegali. A tal fine, l’art. 11 indica, a scopo esemplificativo le seguenti ipotesi: blocco o limitazione diretta o indiretta dell’accesso agli operatori “remoti” di scommesse illegali e chiusura degli operatori stessi; blocco dei flussi finanziari tra gli opera-tori di scommesse illegali e i consumatori; il divieto per gli operatori de quibus di pubblicizzare le loro attività; la sensibilizzazione dei consumatori verso i rischi connessi alle scommesse illegali.

    Tra gli interventi che gli Stati parte sono chiamati ad attuare sul piano dello scambio di informazioni si segnala l’identificazione – tenuto conto delle strutture già esistenti e della ripartizione di funzioni tra di esse – di una “piattaforma nazionale” operativa nella lotta alla manipolazione delle manifestazioni sportive. Ai sensi dell’art. 13, § 1 la “piattaforma nazionale” dovrà, in particolare, fungere da centro di informazioni, raccogliendo e trasmettendo i dati rilevanti alle autorità ed organizzazioni interessate. Essa si occuperà, inoltre, di coordinare la lotta alla manipolazione delle competizioni sportive; di rice-vere, centralizzare ed analizzare le informazioni relative a scommesse “atipiche” e sospette su competi-zioni sportive che si svolgano nel territorio degli Stati parte, emettendo, se del caso, gli opportuni “al-lerta”; di trasmettere informazioni alle autorità o alle organizzazioni sportive e agli operatori di scom-messe, segnalando possibili infrazioni delle norme indicate dalla convenzione stessa; di cooperare con tutte le organizzazioni e le autorità interessate a livello nazionale e internazionale, comprese le piatta-forme nazionali degli altri Stati. A cura di ciascuno Stato parte gli estremi e l’indirizzo della “piattafor-ma nazionale” dovranno essere comunicati al Segretariato Generale del Consiglio d’Europa (art. 13, § 2).

    Le previsioni in tema di diritto penale sostanziale contenute negli artt. 15-18 appaiono ispirate all’esigenza che la manipolazione delle competizioni sportive sia espressamente sanzionata dal diritto interno degli Stati parte così da poter essere punita in modo adeguato. A tale riguardo la convenzione ha operato la scelta di non elaborare fattispecie di reato ad hoc, limitandosi a ricondurre le condotte di manipolazione – secondo la definizione fornita dall’art. 3, § 4 – alle ipotesi di estorsione, corruzione o truffa come disciplinate dagli ordinamenti nazionali. In quest’ottica, l’art. 16, § 1 impone, in particolare, agli Stati parte l’adozione delle misure necessarie all’incriminazione sul piano interno delle condotte connesse al riciclaggio di denaro, qualora il reato principale, generando un profitto, integri una delle ipotesi previste dagli artt. 15 e 17 della convenzione in esame o, quantomeno, in caso di estorsione, cor-ruzione o truffa. A tal fine, proprio per non introdurre una ulteriore definizione del reato di riciclaggio, la convenzione si riporta a quelle contenute, rispettivamente, nell’art. 9, § 1 e § 2 della Convenzione del Consiglio d’Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato e sul finan-

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     SCENARI | NOVITÀ SOVRANAZIONALI

    ziamento del terrorismo (CETS 198); nell’art. 6, § 1 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale (Palermo, 2000) e nell’art. 23, § 1 della Convenzione delle Na-zioni Unite contro la corruzione (Merida, 2003). Nel definire la gamma dei reati da considerare “princi-pali” ai sensi e per gli effetti dell’art. 16, § 1 ogni Stato parte è comunque libero di decidere, secondo il diritto interno, come formulare tali fattispecie e i loro elementi costitutivi. Al fine di ricondurre i casi di manipolazione delle competizioni sportive nell’ambito della prevenzione del riciclaggio gli Stati parte dovranno altresì adoperarsi perché gli operatori di scommesse sportive applichino la necessaria “dili-genza” nei confronti dei consumatori e nell’esercizio della loro attività (art. 16, § 3).

    Sempre sul piano del diritto interno si dovrà, inoltre, intervenire perché siano sanzionate penalmen-te le attività intenzionali di concorso nella commissione dei reati indicati dall’art. 15 della convenzione (art. 17). Come osserva il Rapporto esplicativo (§ 146) l’inserimento di una norma di questo tipo – che ri-chiama quella contenuta nell’art. 5.1.b della Convenzione O.N.U. di Palermo, relativa alle condotte vol-te “a fornire assistenza, aiuto o consiglio” in vista della commissione del reato – è di fondamentale im-portanza poiché nella manipolazione delle competizioni sportive con sempre maggiore frequenza sono coinvolte organizzazioni criminali, formate da numerose persone che concorrono in modo diverso, di-rettamente o indirettamente, alla commissione delle attività illecite. Alla medesima ratio va ascritta an-che la previsione di una responsabilità per i reati considerati dagli artt. 15-17 della convenzione a carico delle persone giuridiche, in presenza delle condizioni indicate dall’art. 18. In tal senso si dispone che, negli ordinamenti nazionali, vengano adottate misure legislative – o di altra natura – idonee a persegui-re i reati commessi nell’interesse di una persona giuridica da soggetti che agiscano sia individualmente sia come componenti di un organo dell’ente dotato di poteri di direzione. In base al § 1 dell’art. 18 l’esistenza di un simile potere nell’agente viene presunta nei casi di rappresentanza della persona giu-ridica, di potere di adottare decisioni in nome dell’ente e di esercitare un controllo su di esso. La con-venzione non prende però posizione – come del resto già la Convenzione O.N.U. di Palermo – in ordine alla natura della responsabilità configurata a carico delle persone giuridiche, lasciando decidere agli Stati parte se qualificarla di tipo penale, civile o amministrativo.

    Si deve all’art. 19 la previsione dei criteri in ossequio ai quali gli Stati parte sono tenuti a stabilire la competenza rispetto ai reati de quibus. Ciascuno Stato dovrà, in primo luogo, perseguire i reati commes-si sul proprio territorio, ai quali si aggiungono quelli avvenuti a bordo di navi battenti bandiera nazio-nale e su aerei immatricolati secondo la legge nazionale, nonché quelli commessi da un cittadino o da una persona che abbia la residenza abituale sul territorio dello Stato. La convenzione fa comunque sal-va la possibilità degli Stati di formulare – all’atto della firma o del deposito dello strumento di ratifica, accettazione o approvazione – riserve volte ad escludere l’applicazione di alcune di tali regole, o a limi-tarne l’impiego a casi o a condizioni determinati (art. 19, § 2).

    Dal momento che i reati riconducibili all’area della manipolazione di competizioni sportive implica-no sovente l’utilizzo di tecnologie informatiche e della comunicazione, nella convenzione è considerato anche il profilo della conservazione delle prove “elettroniche”. A tale scopo, l’art. 20 riconosce agli Stati parte la possibilità di ottenere, nel corso delle indagini relative ai reati previsti dagli artt. 15-17, la con-servazione rapida dei dati informatici raccolti, la conservazione e la divulgazione rapide del traffico dei dati; quella di emettere ordini, di procedere a perquisizioni e sequestri di dati informatici; di raccogliere in tempo reale i dati relativi al traffico e l’intercettazione del loro contenuto. In ogni caso, tali operazioni dovranno svolgersi nel rispetto delle norme interne e di quelle internazionali relative alla protezione dei dati personali, in linea con quanto previsto dall’art. 14 della convenzione. Completa il quadro delle disposizioni di rilievo processuale la previsione che gli Stati parte adottino misure idonee ad assicurare, sul piano interno, l’efficace protezione di informatori, testimoni e dei loro familiari (art. 21).

    Quanto al profilo delle sanzioni applicabili, la convenzione non si limita a considerare l’adozione di quelle penali a carico delle persone fisiche (art. 22), ma affianca ad esse la previsione di sanzioni dirette alle persone giuridiche (art. 23) e di quelle di natura amministrativa (art. 24). In merito alle prime, la cui definizione è comunque rimessa agli Stati parte, si precisa come esse – tanto se di natura pecuniaria che detentiva – debbano essere efficaci, proporzionate e dissuasive. Nel novero delle misure applicabili nei confronti delle persone giuridiche rientrano, oltre alle sanzioni pecuniarie, forme di interdizione tem-poranea o definitiva dall’esercizio di un’attività commerciale, ipotesi di commissariamento giudiziale e lo scioglimento. L’art. 23 denota quindi una certa flessibilità, non implicando in particolare nessun ob-bligo per gli Stati parte di prevedere sanzioni di tipo penale.

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    Per quanto concerne, infine, il settore della cooperazione giudiziaria in ambito penale l’art. 26 si li-mita a stabilire che gli Stati parte cooperino tra loro nella misura più ampia possibile a fini investigativi e processuali in conformità agli strumenti nazionali ed internazionali vigenti, oltre che in tema di estra-dizione e di assistenza giudiziaria in materia penale, in base ai trattati internazionali, regionali e bilate-rali applicabili. Anche a questo riguardo è evidente l’intenzione di non creare un regime di assistenza differenziato a causa del significativo quadro normativo di cui già da tempo dispone il Consiglio d’Europa – v. le Convenzioni europee di estradizione e di assistenza giudiziaria ed i rispettivi protocolli addizionali – che può applicarsi efficacemente anche alla cooperazione rispetto ai reati relativi alla ma-nipolazione delle competizioni sportive. A tal fine vengono inoltre in considerazione gli strumenti ela-borati in seno all’Unione Europea, quale in particolare la Decisione quadro del 13 giugno 2002 istitutiva del mandato d’arresto europeo. Qualora la Parte richiesta condizioni però la concessione dell’estra-dizione o dell’assistenza alla presenza di un trattato ad hoc la convenzione in esame può essere conside-rata dallo Stato interessato – ai sensi dell’art. 26, § 4 – quale base legale per la cooperazione relativa ai reati previsti dagli artt. 15-17, pur sempre nel rispetto degli obblighi di diritto internazionale e delle condizioni previste dal diritto interno della Parte richiesta.

    Completano la convenzione alcune disposizioni volte a favorirne l’efficace applicazione, tra cui l’istituzione di un apposito comitato, le cui funzioni sono disciplinate dall’art. 31.

  • Processo penale e giustizia n. 1 | 2015 12

     SCENARI | DE JURE CONDENDO

    DE JURE CONDENDO di Marilena Colamussi

    DAI TRIBUNALI MILITARI A SEZIONI AD HOC DEI TRIBUNALI ORDINARI

    Apre un interessante dibattito in ordine alla semplificazione e al riassetto dell’ordinamento giurisdizio-nale la proposta di legge costituzionale C. 2657, a firma dell’on. D’Ambruoso e altri, in tema di “Modifi-che agli articoli 102 e 103 della Costituzione in materia di soppressione dei tribunali militari e istituzione di una sezione specializzata per i reati militari presso i tribunali ordinari”, presentata l’8 ottobre 2014 e attualmente assegnata alla Commissione Affari Costituzionali in sede referente.

    Il disegno di legge consta di tre articoli, dei quali i primi due incidono direttamente sulla Carta costi-tuzionale, mentre il terzo è rappresentato da una “norma finale” utile a completare il quadro della ri-forma regolamentandone i profili attuativi. La principale novità consisterebbe nell’abrogazione dell’art. 103, comma 3, Cost., con la soppressione dei tribunali militari su tutto il territorio nazionale e delle ri-spettive corti d’appello militare (art. 2 d.d.l.). L’obiettivo è di eliminare tali giudici speciali, che attual-mente sono titolari di una competenza per materia piuttosto circoscritta: in tempo di guerra secondo la giurisdizione statuita dalla legge e in tempo di pace limitatamente ai reati militari commessi da coloro che appartengono alle forze armate.

    Per colmare il vuoto che si creerebbe in termini di competenza per materia, la proposta di legge pre-vede l’istituzione, presso ogni organo giudiziario ordinario, di «una sezione specializzata per i reati mi-litari commessi da appartenenti alle Forze armate in tempo di pace e per i reati previsti dal codice pena-le militare di guerra in tempo di guerra», da realizzare ampliando il dettato dell’art. 102, comma 2, Cost. (art. 1 d.d.l.).

    A completamento della riforma, l’art. 3 d.d.l. prevede una delega al Governo utile a disciplinarne i profili attuativi, tra i quali: le modalità di soppressione dei tribunali militari e del Consiglio della magi-stratura militare; l’istituzione delle sezioni specializzate militari presso gli organi giudiziari ordinari; i criteri e le modalità di trasferimento dei magistrati militari presso la magistratura ordinaria; le modalità di trasferimento dei dirigenti e del personale civile impiegato presso gli uffici giudiziari militari nei ruoli del Ministero della giustizia e la contestuale riduzione del ruolo del Ministero della difesa; e, infi-ne, la rimessione, all’autorità giudiziaria ordinaria, dei procedimenti penali pendenti alla data di entra-ta in vigore del decreto legislativo adottato nell’esercizio della delega (in un termine utile a permettere la conclusione delle indagini ovvero delle fasi dibattimentali pendenti, specie per i delitti punibili con la pena dell’ergastolo).

    Significativa appare la modifica proposta in termini di riassetto dell’ordinamento giurisdizionale che, salvo per la particolare complessità del percorso normativo dovuta all’introduzione di una norma di rango costituzionale, di per sé non comporta un particolare stravolgimento del dettato costituziona-le, in quanto elimina un giudice speciale, di cui è vietata l’istituzione ma non la soppressione e, al con-tempo, istituisce una sezione specializzata presso gli organi giudiziari ordinari in linea con il dettato dell’art. 102, comma 2, Cost. Appare, invece, più complessa la regolamentazione del profilo attuativo.

    I vantaggi – evidenziati anche dalla relazione di accompagnamento al disegno di legge – sembrano di rilevante entità sul piano dell’ottimizzazione delle risorse umane e delle unità lavorative che attual-mente risultano impiegate presso i tribunali militari e che, in fondo, mantengono in vita una giurisdi-zione autonoma fruibile da un numero di militari oramai piuttosto contenuto (300.000), specie da quando il servizio di leva non è più obbligatorio. La ridistribuzione dello stesso personale presso gli uf-fici giudiziari ordinari contribuirebbe a far fronte alle ingenti carenze di forza lavoro favorendo, al tem-po stesso, lo smaltimento del carico giudiziario, da tempo considerato concausa dello spaventoso ral-lentamento del sistema giustizia.

    Da non trascurare che anche il contenzioso di competenza dei tribunali militari risulta considere-

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     SCENARI | DE JURE CONDENDO

    volmente ridotto, innanzitutto per il venir meno dei tipici illeciti derivanti dal rapporto tra lo Stato e il cittadino chiamato alle armi, proprio da quando il servizio di leva non è più obbligatorio e, di conse-guenza, coloro che scelgono di appartenere alle forze armate sono titolari di una più elevata professio-nalità. A tale considerazione si aggiunge un altro dato di tutto rilievo che concerne gli orientamenti giu-risprudenziali della Corte costituzionale, la quale, in numerose occasioni, ha sostanzialmente sottratto alla giurisdizione militare una cospicua parte della competenza per materia attribuendola alla magistra-tura ordinaria.

    D’altronde un processo di razionalizzazione dell’ordinamento giudiziario militare, al fine di conte-nere le spese della pubblica amministrazione, risulta da tempo avviato. La legge 24 dicembre 2007, n. 244, infatti, ha ridefinito la “geografia” dei tribunali militari e a partire dal 1° luglio 2008 sono stati sop-pressi i tribunali militari e le rispettive procure militari della Repubblica delle sedi di Torino, La Spezia, Padova, Cagliari, Bari e Palermo, mantenendo in vita le sole sedi di: Verona, che ha assorbito la compe-tenza territoriale per tutta l’area coperta dalle regioni del Nord-Italia; Roma, a cui è stata attribuita la competenza per territorio delle regioni del centro-Italia e della Sardegna; e, infine, Napoli, competente per le regioni del sud e della Sicilia (art. 2, comma 603, l. n. 244/2007). Con la stessa legge si è provve-duto a: ridimensionare la composizione del Consiglio della magistratura militare (art. 2, comma 604, l. n. 244/2007); ridistribuire il carico giudiziario pendente tra le sedi rispettivamente competenti per terri-torio (art. 2, comma 605, l. n. 244/2007); fissare le modalità e i criteri di transito nella magistratura ordi-naria dei magistrati militari eccedenti la nuova dotazione organica (art. 2, comma 606, l. n. 244/2007); rideterminare le nuove piante organiche degli uffici giudiziari militari (art. 2, comma 607, l. n. 244/2007). Tutte queste riforme sono poi transitate integralmente nel recente “Codice dell’ordinamento militare”, approvato con decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, che ha sostanzialmente abrogato la di-sciplina preesistente.

    Esiste ancora un altro argomento quanto mai significativo che, accanto all’antieconomicità, nonché al notevole ridimensionamento del carico giudiziario dei tribunali militari, fa propendere per la defini-tiva soppressione di tale organo giudiziario: la necessità di adeguare l’ordinamento giurisdizionale in-terno a quello della maggior parte degli Stati dell’Unione europea, che propendono per l’unicità della giurisdizione.

    SQUADRE INVESTIGATIVE COMUNI PER CONTRASTARE LA FENOMENOLOGIA CRIMINALE TRANSNAZIONALE

    Uno dei principali elementi di novità che caratterizza la sfera d’azione attuale delle organizzazioni cri-minali è rappresentato dall’espansione delle loro diramazioni ben oltre i confini del territorio nazionale, a cui si accompagnano anche il mutamento delle fattispecie criminose tipiche, nonché le modalità di commissione dei crimini transnazionali, definiti anche “cross-border crime”.

    Indubbiamente questa situazione si è determinata anche in seguito all’approvazione dell’Accordo di Schenghen del 1985 che, se da un lato ha favorito la libera circolazione delle persone e delle merci all’interno dell’Unione europea eliminando drastici controlli alle frontiere, dall’altro ha facilitato la ra-mificazione dei mercati criminali gestiti da organizzazioni transnazionali che hanno esteso a dismisura il loro campo d’azione. Basti pensare a fattispecie che hanno sempre maggiore risonanza su scala inter-nazione in materia di terrorismo, traffico di stupefacenti e di armi, tratta di esseri umani, pedoporno-grafia e reati informatici.

    Conseguenza inevitabile degli scenari criminali transnazionali è l’amplificazione delle difficoltà che incontrano gli organi inquirenti sul terreno dell’accertamento probatorio, causate, tra l’altro, dalle con-nessioni tra diverse giurisdizioni nazionali in cui sono costretti ad operare. Difficoltà che si potrebbero superare elaborando uno “spazio giudiziario comune” per consentire una cooperazione più immediata e diretta tra le autorità dei singoli Stati in sede giudiziaria penale.

    In questa prospettiva, e nel preciso intento di contrastare in modo più efficace ed efficiente le nuove frontiere della criminalità organizzata, come pure per dare attuazione a diversi accordi internazionali, su iniziativa delll’on. Garavini, in data 6 febbraio 2014, è stata presentata la proposta di legge C. 2055, dal titolo: «Modifiche al codice di procedura penale e altre disposizioni concernenti l’istituzione di squadre inve-stigative comuni sovranazionali, in attuazione della decisione quadro 2002/465/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002»), attualmente assegnata all’esame della Commissione Giustizia in sede referente.

    Il disegno di legge non è inedito, e ricalca sostanzialmente il d.d.l. S. 1271, dal titolo: “Istituzione di

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    squadre investigative comuni sovranazionali”, risalente alla XV legislatura e già approvato (15 maggio 2007) dal Senato, il cui iter parlamentare si è arrestato nel passaggio alla Camera dei Deputati a causa della conclusione anticipata della legislatura.

    Numerose anche le fonti di diritto internazionale che convergono nella direzione di promuovere l’istituzione delle “squadre investigative comuni”. L’intervento normativo, pertanto, si rende quanto mai necessario anche per attuare una serie di accordi internazionali sottoscritti dallo Stato italiano.

    Nell’ambito degli accordi assunti dall’Unione Europea, si parla per la prima volta di istituzione di “squadre investigative comuni” – per far fronte a fattispecie criminose connesse con la criminalità or-ganizzata – nella conclusione n. 45 del Consiglio europeo di Tampere (15-16 ottobre 1999), dove vengo-no indicate come una delle priorità da perseguire tra le politiche del terzo pilastro. In attuazione di tale decisione, l’Unione Europea introduce la disciplina delle “squadre investigative comuni” con l’art. 13 della Convenzione di Bruxelles, siglata il 29 maggio 2000, riguardante l’assistenza giudiziaria in mate-ria penale (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee n. C. 197 del 12 luglio 2000), en-trata in vigore sul piano internazionale il 23 agosto 2005. A completamento della disciplina, in data 13 giugno 2002, il Consiglio d’Europa assume la decisione Quadro 2002/465/GAI, il cui termine di attua-zione da parte degli Stati membri è scaduto il 31 dicembre 2002. Da ultimo, per integrare la normativa appena descritta, con la Raccomandazione dell’8 maggio 2003, il Consiglio europeo adotta il modello formale di accordo per la costituzione della squadra investigativa comune.

    Tra le altre fonti di diritto internazionale, l’istituto della squadra investigativa comune è contempla-to dall’art. XXI dell’Accordo tra Italia e Svizzera, in tema di assistenza sanitaria, stipulato a Roma il 10 settembre 1998 e ratificato con legge 5 ottobre 2001, n. 367.

    Per quanto concerne le fonti multilaterali, le squadre investigative comuni sono previste: dall’art. 19 della “Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transazionale”, adottata dall’As-semblea generale il 15 novembre 2000 e ratificata dall’Italia con legge 16 marzo 2006, n. 146; dall’art. 5 dell’“Accordo sulla mutua assistenza giudiziaria tra Stati Uniti d’America e Unione Europea”, sotto-scritto a Washington il 25 giugno 2003 e ratificato con legge 16 marzo 2009, n. 25; nonché dall’art. 49 della “Convenzione delle Nazioni Unite contra la corruzione”, adottata dall’Assemblea generale con la Risoluzione 58/4 del 31 ottobre 2003.

    L’istituzione di squadre investigative comuni è evidentemente strumentale a potenziare la coopera-zione internazionale mediante la creazione di un organismo più stabile di intervento, che superi i tradi-zionali limiti della collaborazione giudiziaria e investigativa interstatuale a carattere occasionale. Si trat-ta di creare una sorta di task force in grado di monitorare costantemente le linee di collegamento – sem-pre più sofisticate – tra le organizzazioni criminali che gestiscono i mercati del crimine transnazionale. L’orbita di intervento delle squadre investigative comuni non è funzionale a introdurre semplici misure di coordinamento tra organi inquirenti provenienti da diverse nazioni, ma si propone di individuare uno specifico ambito d’azione comune, in cui, senza ostacolo alcuno e in tempo reale, la polizia giudi-ziaria può operare oltre le frontiere di ciascuno Stato che sottoscrive l’accordo, per un periodo di tempo definito nell’atto costitutivo.

    Si aggiunga che, limitatamente ai rapporti tra gli Stati membri dell’Unione Europea, la squadra in-vestigativa comune può coinvolgere, accanto alle autorità giudiziarie e di polizia, istituzioni non statali come il personale appartenente all’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF), ovvero all’Ufficio eu-ropeo di polizia (Europol) o, ancora, all’Unità europea di cooperazione giudiziaria (Eurojust).

    Per dare attuazione nell’ordinamento interno alla Decisione Quadro 2002/465/GAI, come anche agli obblighi assunti nei citati accordi e convenzioni internazionali in tema di squadre investigative comuni, il d.d.l. C. 2055 prevede sei articoli che introducono una serie di novità inserite nel V libro del codice di procedura penale.

    Una volta enunciate le finalità (art. 1), la proposta di legge si occupa del meccanismo istitutivo delle squadre investigative comuni (art. 2), inserito in una dettagliata disciplina contenuta agli artt. 371-ter e seguenti c.p.p., nell’ambito dell’attività investigativa del pubblico ministero, subito dopo la normativa riguardante l’“attività di coordinamento del procuratore nazionale antimafia” (art. 371-bis c.p.p.). La collocazione sistematica della normativa pare quanto mai coerente e in linea con la necessità di far fron-te a particolari esigenze investigative, che possono essere soddisfatte solo attraverso specifici strumenti organizzativi.

    Il disegno di legge prevede una doppia procedura istitutiva delle squadre investigative comuni: la

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    prima di natura attiva e la seconda passiva, rispettivamente disciplinate dagli artt. 371-ter e 371-quater c.p.p., a seconda che l’iniziativa venga assunta dall’autorità giudiziaria italiana (procedura attiva), ov-vero provenga dall’autorità straniera (procedura passiva). In entrambe le ipotesi, intanto è possibile at-tivare il meccanismo istitutivo di dette squadre investigative nei soli casi previsti dagli accordi interna-zionali in vigore per lo Stato italiano, quindi viene sancito un principio di tassatività.

    Condizione generale di applicabilità della “procedura attiva di istituzione di squadre investigative comuni” è che si debba procedere al coordinamento e allo sviluppo di indagini collegate con quelle condotte in altri Stati nei confronti di organizzazioni criminali operanti contemporaneamente negli stessi, ovvero quando sussista l’esigenza di eseguire – sempre in Stati stranieri – attività investigative caratterizzate da particolare complessità. La disciplina prevede anche due limiti oggettivi riconducibili alla gravità dei reati in ordine ai quali si procede: un limite di natura quantitativa rappresentato dai rea-ti punibili, secondo la legislazione italiana, con una pena massima non inferiore a quattro anni di reclu-sione; un limite di carattere qualitativo, relativo alla tipologia dei reati, con specifico riferimento a fatti-specie criminose in materia di traffico di stupefacenti, tratta di esseri umani, riciclaggio, corruzione e pirateria informatica.

    Titolare dell’iniziativa è il procuratore della Repubblica; tuttavia, qualora vi sia l’avocazione delle indagini, ai sensi dell’art. 372 c.p.p., la richiesta può essere formulata dal procuratore generale presso la corte d’appello, ovvero su impulso del procuratore nazionale antimafia nei casi indicati dall’art. 371-bis, comma 3, lett. h), c.p.p.

    La richiesta di istituzione della squadra investigativa comune viene trasmessa alla competente auto-rità dello Stato estero, informando contestualmente dell’iniziativa il procuratore generale presso la cor-te d’appello, o il procuratore nazionale antimafia, quando le indagini attengono ai delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, c.p.p., allo scopo di attivare un eventuale coordinamento investigativo.

    Dal punto di vista operativo, sul territorio dello Stato la squadra investigativa comune sarà diretta dal pubblico ministero titolare dell’indagine (art. 371-ter c.p.p.).

    Nella “procedura passiva di istituzione di squadre investigative comuni”, la richiesta viene formula-ta dall’autorità competente per uno Stato estero e il procuratore della Repubblica che la riceve – sempre per garantire un eventuale coordinamento dell’attività investigativa – è tenuto ad informare il procura-tore generale presso la corte d’appello, ovvero il procuratore nazionale antimafia, ove si tratti di inda-gini aventi ad oggetto i delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, c.p.p.

    La disciplina prevede anche un meccanismo diretto a risolvere l’eventuale incompetenza per territo-rio o di natura funzionale dell’ufficio della procura che riceve la richiesta, mediante la trasmissione immediata della stessa, da parte del procuratore della Repubblica, all’autorità giudiziaria ritenuta com-petente, avendo cura di avvisare l’autorità straniera richiedente.

    La richiesta di istituzione di squadre investigative comuni promossa dall’autorità di uno Stato estero può essere rigettata, allorché sia finalizzata al compimento di atti d’indagine vietati espressamente dal-la legge o contrari ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico interno. In tal caso, il procurato-re della Repubblica, previo parere del procuratore generale presso la corte d’appello, ovvero del procu-ratore nazionale antimafia (quando le indagini hanno ad oggetto i delitti di cui all’art. 53, comma 3-bis, c.p.p.), provvede a comunicare il rigetto della richiesta sia all’autorità dello Stato estero richiedente, sia al Ministro della giustizia (art. 371-quater c.p.p.).

    L’atto istitutivo della squadra investigativa comune – in base alla novella che si intende introdurre con l’art. 371-quinquies c.p.p. – è redatto in forma scritta ed è elaborato congiuntamente dal procuratore della Repubblica (ovvero per competenza funzionale, a seconda dei casi sopra descritti, dal procuratore generale presso la corte d’appello o dal procuratore nazionale antimafia) e dalle competenti autorità straniere. Tale atto deve contenere talune indicazioni essenziali, espressamente richieste, quali: il titolo di reato, nonché la descrizione sommaria del fatto oggetto d’indagine; i motivi su cui si fonda la neces-sità di istituire la squadra investigativa comune; il nominativo sia del direttore sia dei componenti na-zionali e stranieri della squadra; gli atti d’indagine che si intendono compiere; la presunta durata dell’indagine; l’indicazione degli Stati, delle organizzazioni internazionali e degli organismi istituiti all’interno dell’Unione europea (come ad esempio: OLAF, Europol o Eurojust), ai quali è richiesta la de-signazione di rappresentanti esperti nelle materie attinenti l’indagine comune, precisando le modalità di partecipazione di quest’ultimi. A tale proposito, il disegno di legge prevede una norma ad hoc (art. 371-septies c.p.p.) per regolamentare in termini puntuali le modalità di partecipazione, i ruoli e le re-

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    sponsabilità dei membri distaccati dell’autorità giudiziaria o investigativa di altro Stato, distinguendoli dai rappresentati ed esperti designati da altri Stati, da organizzazioni internazionali, ovvero da organi-smi istituiti all’interno dell’Unione europea. I primi – salvo che l’atto istitutivo della squadra investiga-tiva comune non preveda diversamente – possono partecipare sia al compimento degli atti d’indagine nel territorio dello Stato, sia all’esecuzione dei provvedimenti disposti dall’autorità giudiziaria, con l’attribuzione delle funzioni di agenti di polizia giudiziaria. Si aggiunga che, se costoro risultano rego-larmente autorizzati al porto d’armi sul territorio dello Stato (art. 9 legge 21 febbraio 1990, n. 21), pos-sono altresì beneficiare dell’esimente di cui all’art. 53 c.p. Per i secondi, la regola appena esposta diven-ta eccezione, nel senso che per i rappresentanti e gli esperti sopracitati occorre una specifica autorizza-zione per partecipare al compimento degli atti d’indagine, espressamente contenuta nell’atto istitutivo della squadra investigativa comune, con l’attribuzione delle funzioni di agenti di polizia giudiziaria.

    Quanto agli adempimenti esecutivi, secondo l’art. 371-sexies c.p.p. che s’intende introdurre, una vol-ta redatto l’atto istitutivo della squadra investigativa comune, sia per la procedura attiva sia per quella passiva, lo stesso deve essere trasmesso senza ritardo al Ministro della giustizia e al Ministro del-l’interno. Tale obbligo di informazione, come spiega la relazione di accompagnamento al disegno di legge, promana dalla «funzione di rappresentanza dello Stato che il Ministro (della giustizia) riveste nei rapporti internazionali e dalla correlata responsabilità politico-istituzionale che su di lui incombe. La comunicazione al Ministro dell’interno è invece prevista per consentire all’organo titolare della funzio-ne di coordinamento e di indirizzo in materia di pubblica sicurezza di esercitare i poteri previsti dall’art. 6 della legge 1° aprile 1981, n. 121».

    È fissato anche un tetto massimo di durata delle indagini che non può essere superiore a sei mesi, prorogabile in caso di oggettiva impossibilità di conclusione entro il termine prefissato, che comunque non può superare un anno. Anche l’eventuale prolungamento delle indagini svolte dalla squadra inve-stigativa comune sovranazionale deve essere comunicato al Ministro della giustizia e al Ministero dell’interno.

    A completamento della disciplina, il disegno di legge si occupa dell’“utilizzazione delle informazio-ni investigative” ottenute grazie all’operato della squadra investigativa comune (art. 371-octies c.p.p.). In tema, assume particolare rilevanza, ai fini dello sviluppo successivo delle indagini, la facoltà attribui-ta al procuratore della Repubblica di richiedere all’autorità dell’altro Stato con cui ha istituito detta squadra, di poter temporaneamente congelare, nel senso di ritardare – per un periodo non superiore a sei mesi – l’utilizzo delle informazioni acquisite, per finalità investigative e processuali diverse rispetto a quelle indicate nell’atto istitutivo della squadra comune. La richiesta è comunicata anche al Ministro della giustizia per le stesse ragioni sopra esposte.

    Necessaria è la modifica che s’intende introdurre all’art. 431, comma 1, lett. d), c.p.p., in base all’art. 3 del d.d.l. in esame, per adeguare il contenuto del fascicolo per il dibattimento ai risultati dell’attività in-vestigativa posta in essere dalla squadra investigativa comune. Si prevede che, oltre ai documenti ac-quisiti all’estero tramite rogatoria internazionale, nonché ai verbali degli atti irripetibili assunti con le stesse modalità, siano inclusi nel fascicolo per il dibattimento anche i verbali degli atti non ripetibili compiuti dalla squadra investigativa comune all’interno del territorio dello Stato italiano.

    Al di fuori delle modifiche finora descritte, che incidono sul codice di procedura penale, la proposta di legge ribadisce la normativa in materia di “disciplina e direzione dell’attività investigativa” (art. 4 d.d.l.), obbligando la squadra investigativa comune ad operare sul territorio dello Stato secondo le re-gole dettate dal codice di procedura penale e dalle leggi complementari, sotto la direzione del pubblico ministero titolare delle indagini, in omaggio al principio della lex loci, comunemente accolto dai trattati internazionali, che lo stesso disegno di legge richiama.

    Per concludere, oltre alla copertura finanziaria (art. 6 d.d.l.), la proposta di legge attribuisce alla Sta-to italiano la “responsabilità civile per danni” causati da eventuali atti illeciti commessi sul territorio italiano dai funzionari stranieri e dai membri distaccati della squadra investigativa comune, in ossequio a quanto previsto dall’art. 13 Convenzione europea e dall’art. 3 decisione quadro 2002/465/GAI. Lo Stato italiano rinuncia pertanto a chiedere ad altro Stato membro dell’Unione europea il risarcimento dei danni causati, nello svolgimento dell’attività della squadra investigativa comune, dal funzionario straniero o dal membro distaccato (art. 5 d.d.l.).

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     SCENARI | CORTI EUROPEE

    CORTI EUROPEE EUROPEAN COURTS

    di Francesco Trapella

    CARCERI ITALIANE (Corte e.d.u., 16 settembre 2014, Stella e altri c. Italia; Corte e.d.u., 16 settembre 2014, Rexhepi e altri c. Italia)

    È positivo il bilancio dei giudici europei circa lo stato delle nostre prigioni dopo la sentenza Torreggia-ni: con l. 21 febbraio 2014, n. 10 e d.l. 26 giugno 2014, n. 92, convertito in l. 11 agosto 2014, n. 117, l’Italia ha predisposto strumenti idonei a risolvere, o almeno ad attenuare, il problema del sovraffollamento carcerario, sia potenziando l’accesso alle misure alternative alla detenzione, sia offrendo ai detenuti il risarcimento del danno derivato loro da una degradante prigionia.

    In via incidentale, poi, le sentenze in parola sono interessanti per la peculiare applicazione del prin-cipio del previo esaurimento dei ricorsi interni (art. 13 Cedu): «la Corte osserva che i ricorrenti, se ritengono di avere subìto un trattamento detentivo contrario all’art. 3 Cedu, possono accedere alle misure introdotte con d.l. n. 92 del 2014, onde ottenere, a livello nazionale, un riconoscimento dell’infrazione e, semmai, un risarcimento adeguato» (così, Corte e.d.u., 16 settembre 2014, Stella e altri c. Italia, § 67).

    Nei casi de quibus, i ricorsi a Strasburgo, formulati tutti da detenuti in Italia, risalivano al 2009-2010 e lamentavano l’asserita violazione dell’art. 3 Cedu per il sovraffollamento carcerario. La Corte dichiara che i rimedi interni sulla scorta dei quali valutare il rispetto dell’art. 13 Cedu comprendono anche quelli predisposti, pur dopo il 2009, ad esito dell’adeguamento del sistema normativo interno ad una sentenza pilota come la Torreggiani. Altrimenti detto, non importa che all’epoca del ricorso, gli odierni istanti non avessero rimedi di diritto nazionale contro il sovraffollamento: ciò che rileva è che al momento del-la decisione, il giudice europeo possa individuare nell’ordinamento italiano uno strumento utile ai ri-correnti, evidentemente preferibile – in ossequio al principio di sussidiarietà – alla condanna strasbur-ghese (il modus decidendi non è estraneo alla Corte: in tema di ragionevole durata del processo, ad esito di una sentenza pilota, già si era fatto riferimento allo stato attuale dell’ordinamento interno in Corte e.d.u., 6 settembre 2001, Brusco c. Italia).

    Pare opportuno indulgere ancora un momento sull’effettività del rimedio: guardando bene al conte-nuto della sentenza, il risarcimento ex d.l. n. 92 del 2014 è assolutamente idoneo a ristorare il detenuto che abbia subito un trattamento carcerario inumano; in tal senso, la possibilità di domandarlo al giudice interno rende inutile l’istanza a Strasburgo, essendo – come si diceva – rimediato il vulnus ai diritti tute-lati dalla Cedu. Sul piano processuale, pertanto, consegue la declaratoria di irricevibilità dei ricorsi pre-sentati ex art. 3 Cedu per sovraffollamento carcerario senza previo esperimento dei rimedi individuati nel 2014 dal legislatore nostrano.

    ACQUISIZIONE DELLA PROVA TESTIMONIALE ED EQUITÀ DEL PROCESSO (Corte e.d.u., 23 settembre 2014, Cevat Soysal c. Turchia)

    La Corte di Strasburgo affronta nuovamente il tema dell’equità processuale: pur non competente a pro-nunciarsi sul giudizio di ammissibilità delle prove compiuto dai tribunali interni, i giudici europei pos-sono esprimersi sul rispetto dell’art. 6 Cedu in base ad un esame complessivo del giudizio che contem-pli, tra le altre cose, la valutazione delle garanzie offerte all’accusato secondo i canoni del processo ad-versary.

    La vicenda riguarda un cittadino tedesco, C.S., accusato in Turchia di appartenenza ai vertici dell’organizzazione illegale denominata PKK: l’addebito si fondava su dichiarazioni rese da membri

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     SCENARI | CORTI EUROPEE

    dell’ente nei processi a loro carico, separati da quello che coinvolgeva l’attuale ricorrente, e da intercet-tazioni che avrebbero compromesso C.S.

    Senza successo l’odierno istante domandava che fossero escussi i propri accusatori ed esaminate le tracce dei colloqui intercettati; peraltro, negando l’intervento di C.S. alle conversazioni captate, la difesa chiedeva un’analisi vocale dei dialoganti: attività che veniva, sì, compiuta, ma che risultava affidata a personale di polizia di cui era contestata l’imparzialità; il ricorrente rifiutava, poi, di offrire un campio-ne vocale, considerata la reiezione di tutte le proprie istanze istruttorie.

    Seguiva la condanna di C.S., censurata, a seguito del rigetto delle impugnazioni proposte, davanti alla Corte di Strasburgo per violazione dell’art. 6, §§ 1 e 3, lett. d), Cedu.

    Sotto il primo profilo, il ricorrente lamentava di avere tentato, senza buon esito, di confutare il con-tenuto delle intercettazioni, peraltro ottenute senza che alcun giudice le avesse ordinate; la Corte ricor-da come la discovery degli elementi d’accusa sia uno dei tratti distintivi del processo equo (Corte e.d.u., 31 marzo 2009, Rowe and Davis c. Regno Unito) e come esso possa venire meno solo in caso di prevalenza di interessi superiori, quali la tutela dei testi o esigenze di rango pubblicistico, che nel caso de quo non occorrevano (Corte e.d.u., 6 marzo 2012, Leas c. Estonia); a ciò si aggiungeva che in corso di processo le dichiarazioni non erano state ascoltate alla pr