Processo al Liceo Classico · MALVALDI: Anche io uso la concessio di Eco, bisogna sempre imparare...
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Processo al Liceo Classico
“Il nostro liceo: cambiare per non morire?”
Un’azione teatrale in forma di processo
(organizzato dalla Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo
e dal Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca; in
collaborazione con il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università
degli Studi di Torino, l’Ufficio Scolastico Regionale del Piemonte,
l’Editrice il Mulino e con la partecipazione di Licei di Alessandria, Chieri,
Chivasso, Cuneo, Ivrea, Novara, Oulx, Pinerolo, Torino e Vercelli)
Torino – Teatro Carignano, 14 novembre 2014
VERBALE DI UDIENZA
(a cura del Cancelliere)
Si dà atto che, alle 9.45 del 14.11.2014, introdotta da Alberto
SINIGAGLIA, Pres.te Ordine Giornalisti del Piemonte è entrata in aula
la Corte, costituita da:
- Armando SPATARO, Procuratore della Repubblica di Torino
(Presidente);
- Marco CANTAMESSA, Presidente dell’ Incubatore I3P, Politecnico di
Torino;
- Gian Arturo FERRARI, Editorialista;
- Luca REMMERT, Presidente della Compagnia di San Paolo;
- Sergio RODA, Università degli Studi di Torino
Letizia TORTELLO, giornalista de La Stampa, ha svolto funzioni di
cancelliere addetta alla redazione del verbale d’udienza.
La funzione di Pubblico Ministero è stata affidata ad Andrea ICHINO
(Economista) e quella di difensore di fiducia ad Umberto ECO
(semiologo, filosofo e scrittore);
Di seguito, in forma sintetica e riassuntiva, vengono riportate le
dichiarazioni dei seguenti testimoni, oggetto di esame e controesame
in aula: Marco MALVALDI (scrittore), Luciano CANFORA (filologo
classico, Univ. “A. Moro” di Bari), Stefano MARMI (Matematico,
Scuola Normale Superiore di Pisa), Ivano DIONIGI (Latinista, Rettore
Univ. di Bologna), Gabriele LOLLI (logico e filosofo della matematica,
Scuola Normale Superiore di Pisa), Adolfo SCOTTO DI LUZIO
(studioso delle istituzioni scolastiche, Univ. di Bergamo);
SPATARO: Sono onorato di presiedere questa corte. Metto a conoscenza
delle parti le mie vicende di studente, ho frequentato il liceo classico fino
al ’66, 48 anni fa. Non sono incorso in recidive, ad ogni modo questo è un
elemento che l’accusa ha da valutare. Inoltre voglio dire che, da quando
sono in magistratura ho sempre fatto il pubblico ministero e, anche se
secondo il sistema italiano il pm dovrebbe ragionare come un giudice, la
circostanza potrebbe non essere gradita alla difesa visto che qui faccio il
giudice. Metto in campo subito queste due circostanze, chiedendo se le
parti confidano che il presidente possa dirigere il dibattimento con la
terzietà che sento di poter assicurare.
PUBBLICA ACCUSA: Nessuna obiezione.
DIFESA: Nessuna obiezione.
SPATARO: Ora mi rivolgo al pubblico. Molti procedimenti in sede penale
si definiscono con il patteggiamento della pena, in questo caso invece le
parti non si sono accordate su alcun patteggiamento. Si discuterà, dunque,
e alla fine la sentenza sarà di condanna o di assoluzione. Dichiaro aperto il
dibattimento, in nome della cultura italiana! Il pubblico ministero illustri le
imputazioni che l’accusa intende provare: prego professor Ichino.
ICHINO: Ringrazio la Corte e il pubblico. Con l’aiuto di dati statistici e
delle testimonianze di Marco Malvaldi e di Stefano Marmi mi propongo di
raggiungere 3 obiettivi. Il primo: dimostrare che il classico NON prepara
meglio dello scientifico allo studio delle materie scientifiche. Il secondo:
dimostrare che il classico non offre agli studenti strumenti adeguati per
affrontare i problemi della società del futuro. Il terzo: dimostrare che il
classico è iniquo perché ha contribuito a ridurre la mobilità sociale
intergenerazionale degli studenti italiani . Tre sono quindi i capi di
imputazione. INGANNO: Gli studenti del classico sono ingannati nel
ritenere che questo liceo li prepari bene per materie scientifiche.
INEFFICENZA: Nel liceo classico vi è un cattivo uso delle scarse risorse
disponibili, primariamente il tempo. Chi intraprende studi umanistici,
lingue morte, rischia di avere una visione distorta della realtà. L’Italia ha
bisogno di scuole “à la carte” e non a “menu fisso”. INIQUITA’: il
classico è figlio di Gentile e della più fascista delle riforme, finalizzata a
ridurre la mobilità sociale e a impedire l’ascesa sociale delle classi meno
abbienti.
SPATARO: Ora mi rivolgo alla difesa e la invito ad illustrare il suo
obiettivo processuale: prego professor ECO.
ECO: La mia difesa partirà da una mossa retorica che si chiama concessio,
l’atto del dar ragione all’avversario per poi contraddirlo. Sono d’accordo
con il pubblico ministero, il liceo classico non prepara meglio alle materie
scientifiche, ma prepara in modo uguale. Discuterei il secondo punto,
mentre è vero che la riforma Gentile era classista e voleva formare la
classe dirigente con un’educazione alla cultura classica. Annuncio già che
la mia arringa di difesa si baserà sulla proposta di eliminare il liceo
scientifico, attendo lo sviluppo del dibattito per potermi fare un’idea che
non mi sono ancora fatto dell’opinione corrente di questi argomenti.
(Applausi)
SPATARO: Raccomando al pubblico di non pensare di condizionare la
Corte con gli applausi, la Corte sarà serena, secondo quanto la legge ci
impone. Nei processi ordinari vengono sentiti prima tutti i testimoni
d’accusa, poi quelli a difesa. In questo caso, le parti, con il consenso della
Corte, si sono accordati per alternarli. I testi d’accusa sono esaminati
prima dal pm, poi dal difensore. Viceversa per i testi a difesa. Nel
controesame sono ammesse domande suggestive. Il pm ci dice chi è il suo
primo testimone?
ICHINO: Marco Malvaldi, scrittore. Cresciuto alla Normale di Pisa, autore
di libri gialli.
Il teste sale sul palco.
ICHINO: Malvaldi, il nostro liceo classico è veramente il liceo che Platone
e Aristotele ci consiglierebbero di offrire ai giovani, se questi filosofi
fossero qui oggi?
MALVALDI: Anche io uso la concessio di Eco, bisogna sempre imparare
da chi ne sa più di noi. Io sono completamente a favore del liceo classico,
ma il nostro non è un liceo classico, attualmente. Di fronte alla Scuola di
Platone stava scritto: “Non entri qui chi ignora la Geometria”. La cultura
classica è fatta di sapienza umanistica e sapienza scientifica, entrambe le
cose sono necessarie per la formazione di una cultura corretta. Quindi, mi
chiedo: gli studenti del liceo classico (non chiedo di alzare le mani, non è
consentito!) saprebbero dimostrare l’infinità dei numeri primi, o la
quadratura delle lunule? Se non sappiamo come costruire questi strumenti,
per quale motivo dobbiamo scegliere di ignorare una parte così
fondamentale della cultura umana? Il De rerum natura di Lucrezio, che era
un anatomista, ci fa osservare come il pigro olio scende non facilmente
come fanno l’acqua e il vino, l’olio è più viscoso dell’acqua perché le
catene molecolari di cui l’olio è costituito (acidi grassi) sono più lunghe.
Lucrezio l’aveva capito, così come aveva compreso perché alcune sostanze
sono dolci altre salate, ma non aveva gli strumenti chimici e fisici per
ipotizzare il corretto funzionamento del recettore. Sarebbe stato una bestia
Lucrezio…
SPATARO: La prego di non insultare gli assenti…
MALVALDI: … se avesse conosciuto la matematica che conosco io. Il
liceo classico forma per quanto riguarda le materie umanistiche, non
informa per le scientifiche. La cultura è qualcosa che non cambia.
L’energia è qualcosa che non cambia, il Teorema di Pitagora non lo
potremo mai rifiutare. La cultura è un prodotto della nostra capacità di
verificare e immaginare. Il nostro non è un liceo classico, esattamente
come lo scientifico non è un liceo scientifico. Sono licei, punto.
SPATARO: Altre domande? No.
ECO: Lei ha fatto il classico o scientifico?
MALVALDI: lo scientifico.
ECO: Ecco, allo scientifico le hanno spiegato il problema delle lunule e il
teorema di Fermat?
MALVALDI: No.
ECO: Quindi dopo lo scientifico lei si è fatto una cultura classica di storia
della scienza.
MALVALDI: Certamente!
ECO: Appunto, sono contento.
SPATARO: preciso che, in questa sede, i testimoni non giurano, ma tutti
hanno dato assicurazione di dire la verità in nome della cultura. Passiamo
ora al primo teste della difesa...
CANFORA sale sul palco (tripudio in sala): Essere qui è un dovere civile.
La scuola è il cuore di una società aperta. Nella sua forma più completa,
cioè il liceo, la scuola è la trincea della democrazia, nel senso più alto della
parola. Ciclicamente, però, l’utilità del liceo è stata messa in discussione
da involontari amatori di esso. Chi formula critiche è innamorato del liceo,
però è deluso da come concretamente funziona. Voglio andare incontro
alla loro sofferenza, mettendo in luce i tratti salienti di un tipo di scuola
nata molto prima di Giovanni Gentile. Platone non raccomandava di
studiare il latino, anche se Malvaldi sa cosa c’era scritto sulle porte della
sua scuola. Elencherò alcuni punti per parlare della validità profonda di ciò
che chiamiamo liceo: il cardine della “licealità” è la storia del pensiero
filosofico e scientifico, questa è l’asse di una scuola veramente formativa.
La capacità di conoscere la storia del pensiero è fruizione ben diversa da
pensieri leggeri e volatili. Secondo punto che elencherò: la conoscenza
della storia passata. La storia non si può tagliare a fette, è tutta
contemporanea. Ci serve a distinguere, se possibile, il falso dal vero, a
resistere a coloro che negano che ci sia mai stata la Shoah. Terzo punto:
l’abito mentale filologico, che impone la domanda: “Dove sta scritto ciò
che mi viene detto?” Quarto punto: la traduzione. Tutta la cultura è
traduzione, noi traduciamo non solo davanti all’esecrato aoristo passivo,
che tanti odiano pur essendo un tempo che ha tutta la rispettabilità del
perfetto e del più che perfetto, traduciamo quando cerchiamo di capire
un’epoca storica, facciamo al tempo stesso uno sforzo analitico e sintetico,
nella comprensione degli altri. Se queste quattro virtù sono praticate, come
dice Tucidide, “mi basta”: “Ho cercato di capire la verità dei fatti accaduti,
per produrre esempi per chi dopo si troverà ad affrontare gli stessi fatti in
futuro”. Se questo accade, mi basterà.
ECO: La cultura filosofica dello scientifico è insufficiente rispetto al
classico? E’ una vera curiosità, la mia.
CANFORA: Se fatta con serietà è davvero appassionante. Geymonat
produsse manuale di filosofia per gli scientifici con un accento sulle
materie filosofico-scientifiche. Io dico, però, che sia da difendere la
licealità tout court.
ECO: Geymonat ha fatto il classico o lo scientifico?
CANFORA: Non gliel’ho mai chiesto, ma suppongo il classico.
ECO: Grazie, è tutto per me.
ICHINO: Pensiamo agli anni ’70, nei licei classici si facevano 10 ore di
latino e greco, 2 sole ore di matematica e 1-2 di fisica. Dal 1861 a oggi,
qual è il cumulo delle conoscenze in campo scientifico e tecnico che
l’umanità ha acquisito? Altissimo. Ma la distribuzione delle ore al liceo è
rimasta sostanzialmente invariata. E’ utile la storia, ma ci sono altre cose
utili a uno studente. Studiata la storia e la filologia, lo studente non ha
appreso tutto ciò che deve sapere. Deve anche acquisire informazioni di
tipo scientifico. Non solo imparare a ricordare, ma anche ad utilizzare
informazioni, per risolvere problemi. Date le ore limitate di studio di uno
studente, lei ritiene che vada tutto bene così, o che oggi sia necessario un
riequilibrio?
CANFORA: A me risulta che le ore di greco e latino siano 7, matematica e
fisica 3 e 3.
ICHINO: Parlo del liceo che ho fatto io.
CANFORA: Sarà stato un momento sventurato della sua vita.
SPATARO: Che scuola ha fatto?
CANFORA: Il liceo classico, di cui sono piuttosto fiero.
SPATARO: Passiamo ora ad un altro teste dell’accusa...
MARMI sale sul palco.
ICHINO: Parliamo della probabilità di ammissione alla Normale di Pisa
per chi viene dal classico e dallo scientifico. Teniamo presente che gli
studenti che vanno alla Normale sono generalmente i migliori da ogni tipo
di scuola. Qual è la probabilità di entrare a seconda del tipo di scuola di
provenienza?
MARMI: Mostrerò una scheda fornita dalla segreteria studenti.
SPATARO: Ammettiamo il documento.
MARMI: I dati sono degli ultimi tre anni, perché solo da tre anni i dati
sono disponibili in forma digitale. Lo scopo della tabella è illustrare la
frequenza con cui gli studenti che si presentano al concorso per
l’ammissione alle classi di Scienze e Lettere riescono a superarlo: quello
che emerge è chiaro. La frequenza con cui gli studenti provenienti dal
classico, per il concorso delle Scienze, sono ammessi è intorno a 1
studente su 60-80, mentre la frequenza con la quale gli studenti dello
scientifico vengono ammessi nella classe di Lettere è di 1 su 10.
ICHINO: Quindi alla Normale non ci sono nella classe di Scienze studenti
del classico nonostante ce ne siano che fanno domanda: una frequenza di
ammissione pari a zero; mentre tra quelli dello scientifico la frequenza di
ammissione è positiva.
Seconda domanda più generale. Il Paese non è ancora uscito da una crisi
nata nei mercati finanziari, che altri paesi hanno affrontato forse meglio.
C’è chi sostiene, con attendibili fonti statistiche, che parte del problema sia
la scarsa alfabetizzazione finanziaria degli italiani. Le competenze di tipo
quantitativo sono necessarie anche a questo fine. Chiedo a Marmi, che
insegna modelli dinamici applicati alla finanza: quanto il liceo classico
rende gli studenti capaci davvero di capire cosa succede in un mercato
finanziario oggi, per non rimanere succubi di una situazione quale quella
che ci ha travolti?
MARMI: La comprensione del mondo attuale attraverso gli strumenti
quantitativi è importante. Spesso agli studenti propongo un gioco:
immaginate di fare un investimento che a giorni alterni, rende o più 10% o
meno 10%, con regolarità. Che cosa succede al vostro investimento se voi
non fate nulla e lasciate lì i soldi? La stragrande maggioranza delle persone
risponde che non succede niente. Invece no, l’investimento perde l’1%
ogni due giorni. Questo tipo di riflesso è sistematico in Italia, non ho un
controllo sul fatto che il pubblico che scivola su questa cosa provenga da
studi classici. Ma noi non prepariamo le persone per capire in modo
adeguato il mondo che ci circonda. L’aoristo passivo per me è l’aoristo
passivo. L’incapacità di leggere la realtà ha dei costi molto alti. Non ho
strumenti per capire se la formazione classica contribuisca allo sviluppo
successivo. Ho fatto il liceo scientifico, anche se mi consigliavano il
classico. Volevo portare una riflessione: abbiamo generato in Italia una
società in cui, anche in salotti molto buoni e determinanti per il futuro
dell’economia, si può affermare senza vergogna “non so nulla del teorema
di Pitagora”. E’ come dire che non sappiamo chi sia Alessandro Manzoni e
mi sembra un po’ grave.
ECO: C’è una sproporzione enorme tra studenti che fanno il classico e lo
scientifico. Non mi convince la statistica. Ovviamente quelli del classico
vanno alla Normale di Pisa scegliendo materie classiche, in cui sono molto
più preparati.
MARMI: Questa analisi ha lo scopo di dire che forse chi ha fatto studi
classici non ha un vantaggio per l’accesso agli studi scientifici. Io dico
sempre agli studenti svegliatevi, oggi avete una quantità straordinaria di
possibilità, molto più di quelle che ho avuto io alla vostra età. Volevo
portare alla riflessione della Corte questi dati.
CANTAMESSA (giudice componente la Corte): Per venire incontro alla
scarsa capacità intellettiva della Corte, vi dico che avrei gradito percentuali
e non valori assoluti, anche perché andando a guardare i dati non mi pare
che ci sia un’associazione statisticamente significativa.
MARMI: Questi dati non sono una prova scientifica. Mi sembra che
questo dibattimento non si costituirà solo di prove scientifiche. Vi
portiamo alcuni elementi di riflessione. L’incidente, cioè quello che la
tabella mostra, è che in una prova molto selettiva la frequenza con cui gli
studenti del classico hanno accesso agli studi scientifici è molto inferiore
alla frequenza con cui gli studenti dello scientifico hanno accesso agli
studi classici. Non è una prova scientifica ma è un fatto.
CANTAMESSA: Lei dice che non è sufficiente la conoscenza umanistica,
ma questa conoscenza scientifica è necessaria e anche sufficiente? Per
“affrontare le sfide” mi chiedo se non sia necessaria anche una formazione
di tipo tecnico.
MARMI: Non penso che la conoscenza scientifica da sola sia sufficiente.
Il mio è un grido d’allarme sulla tragica assenza in troppi contesti
importanti dove si decide l’agire di questo tipo di formazione. Per quanto
riguarda la crisi finanziaria, ad esempio, è stato ampiamente mostrato che
un problema importante è venuto dal fatto che nelle banche l’unico terreno
di incontro tra gli incentivi dei decisori e di chi ha gli strumenti
quantitativi era nella costruzione di un meccanismo che consentisse di
pagare velocemente le stock options. E’ un problema di comunicazione tra
due insiemi di persone che hanno una forte capacità di cambiare la realtà
ma che non si incontrano sul terreno proprio della conoscenza scientifica
che è quello del dubbio.
FERRARI (giudice componente la Corte): Lei ha usato questi numeri non
per dire la verità ma per convincerci, c’è una retorica dei numeri secondo
lei?
MARMI: Ci sono diverse sfumature tra la retorica e la verità scientifica e
la stessa verità scientifica è una verità che è sottoposta a revisione. La
prova scientifica non la possiamo dare, non è un uso retorico ma un
argomento reale.
FERRARI: La retorica è realissima, non ho disistima.
ICHINO: Possiamo discutere di cosa sia prova scientifica, ma questo è un
fatto.
SPATARO: La fase di esame dei testimoni prevede domanda e risposta,
sig. Pubblico ministero. Le valutazioni le farà in sede di requisitoria finale.
MARMI: Il PM è incolpevole, cioè volevo dire è stato indotto da me a fare
questa domanda perché come matematico ho difficoltà a parlare di
probabilità in questo contesto.
SPATARO: Mi ha colpito la prima parte della sua risposta al pm. Lei
afferma che gli studenti manifestano difficoltà nel capire la realtà. Ma dal
suo punto di vista, la realtà è tutta nel capire i numeri? E’ una domanda
che solitamente faccio anche alla magistratura, per valutare le cui
professionalità qualcuno sostiene siano necessari degli algoritmi. Vorrei
capire il suo giudizio. La sua risposta serve anche per valutare la sua
attendibilità.
MARMI (si asciuga la fronte): Mi ha messo in difficoltà psicologica,
perché io non mi considero una persona attendibile. Viviamo in un mondo
che subisce una rivoluzione dettata dal numero, non dalla chimica e dalla
fisica come quelle del XVIII e XIX secolo, ma domina la matematica,
attraverso il suo braccio armato che è il computer. Le “non decisioni” che
prende l’Italia ci porteranno al paradiso dei milionari di indiani e
statunitensi che verranno qui a svernare. Ma allora smettiamola di dire che
non abbiamo abbastanza innovazione. Questa cravatta è stata fatta usando
la matematica, questo non accadeva trenta o quaranta anni fa. Ci può
piacere o non piacere, ma è così. Per cortesia forniamo strumenti adeguati
a capire almeno un pochino le questioni che in questo momento ci
interessano molto da vicino. Dopodiché la realtà è molto più complessa,
nessuno pensa che la matematica da sola fornisca le risposte. Tutte.
REMMERT (giudice componente la Corte): Chiedo a un professore e a un
matematico quanto sia giusto ingabbiare i giudizi nell’importanza dei
numeri. Uno dei problemi di oggi è la concessione del credito dalle
banche, che si basa oggi sempre di più sulla valutazione del rating di un
soggetto. Ma le valutazioni non sono mai soddisfacenti, per capire se un
soggetto è affidabile.
MARMI: Il rating non è matematica, è un’opinione. Se l’impresa è grande
si fa fare il rating da Moody’s, non dal desk di rischio della banca. Le
grandi agenzie di rating si sono sempre difese dicendo “noi usiamo anche
algoritmi, ma i rating sono sempre opinioni”.
ECO: Non contraddirò mai il teste perché è il mio rettore! Avanti Ivano
Dionigi.
DIONIGI sale sul palco: Sgombro il campo da conflitti di interessi: dirigo
la rivista “Latinitas”, per incarico del Papa, e dichiaro il mio interesse
privato per il latino, perché ne traggo uno stipendio dignitoso. Il pm dice
che latino e greco sono lingue morte. Io sto con Eliot, secondo il quale
latino e greco sono lingue fortunatamente morte, così ce ne spartiamo
l’eredità. Ci sono idola da cui dobbiamo prendere le distanze. Qui il
dibattito oscilla tra “i classici” e il liceo “classico”: il liceo classico non è
una sorta di corpo mistico, ma la differenza la fanno gli insegnanti. In
questo Paese, tutti i giovedì dei mesi di maggio, che Dio manda in terra, da
14 anni, nell’Aula Magna del mio Ateneo si tiene un ciclo di letture di
classici: se parlassimo di politica avremmo davanti 100 persone; ma visto
che parliamo di classici sono 2000, per tacere dei tanti altri che seguono
via streaming. Sono tutti ingannati? Molti sono 18enni. In Francia e in
Germania è vero che il classico non gode di ottima salute, ma gli Stati
Uniti riempiono le nostre summer school e gli studenti cinesi vengono
apposta da noi per questo. Vi racconto un aneddoto: 25 anni fa Ciampi
Presidente ci convocò all’Enciclopedia italiana, era ospite di Scevola
Mariotti. Disse: “Ti ricordi, Scevolino, quando alla Normale di Pisa
ascoltavamo le lezioni di filologia e papirologia? Sapessi quanto questo mi
ha giovato, nel rimettere a posto i conti dello Stato!” (Ciampi si è laureato
in Lettere, poi – siccome “carmina non dant panem” – ha preso anche la
laurea in Giurisprudenza).
ECO: Le risulta che Ciampi abbia diretto bene la Banca d’Italia?
DIONIGI: Mi pare un po’ più che bene. Ho un giudizio positivo,
confortato dai dati.
ICHINO: Insegno in università internazionali in cui vedo studenti che
sanno almeno 3 lingue in modo quasi perfetto. In Italia è difficile che gli
studenti sappiano anche solo l’inglese. Secondo lei è sufficiente per gli
studenti del classico il tempo scolastico a disposizione per imparare le altre
lingue? Per imparare inglese, cinese, arabo? In un mondo globale, una
volta imparato il latino e greco lei ritiene che si possa imparare tutto il
resto facilmente?
DIONIGI: Tralascio ogni discorso d’ordine cognitivo o epistemologico, ed
evito di spiegare quel che hanno di più il latino e il greco. Sulle lingue dico
semplicemente questo: ci sono alcune cose che si possono imparare
mandando i figli all’estero; ce ne sono altre che solo la scuola può dare.
Quanto al dover bilanciare le ore, riscontro che noi ci siamo rassegnati alla
cultura del come dire: o fai l’informatica o fai la storia, o fai l’inglese o fai
il latino. Questa è la rigida razionalità ministeriale. Alla cultura dell’aut-
aut io contrappongo l’et-et: siamo forse costretti a indossare o la camicia
di lino o il piumino? Forse sono uno sprovveduto, ma dico: perché non
dilatare gli orari della scuola? Ci vogliono investimenti, meno compiti a
casa, di più a scuola; in alcune zone sottrarremmo anche i ragazzi alla
malavita. E dobbiamo pagare di più gli insegnanti. Allora sarà l’et-et. Il
Rinascimento a cui tutti teniamo è stato un miracolo ma non ha rottamato
il passato: ha rottamato il presente in nome di un passato (quello classico)
ancora più remoto.
ICHINO: Debbo concludere che per il rettore dell’università di Bologna il
tempo e lo spazio sono dilatabili. L’economia è detta la scienza triste,
perché ricorda all’umanità che esistono vincoli di bilancio. Non si può fare
l’et-et. Perché in 5 anni di latino e greco i nostri studenti non parlano latino
e greco, mentre dopo 5 di inglese o francese iniziano a parlare queste
lingue?
DIONIGI: Latino e greco non sono fatte per scimmiottare altre lingue
moderne, ma per capire i testi. Queste lingue e culture sono antagoniste,
plurali, noi abbiamo bisogno della differenza. Sono per l’inversione della
gerarchia attuale, che mette al primo posto l’economia, quindi la politica, e
alla fine la cultura. Marx e Rockefeller, Robespierre e Tocqueville,
Gramsci e Croce, tutti hanno fatto il classico. Come ha detto Mandel’stàm,
“Classico è ciò che ancora ha da essere”. Per questo ci riguarda tutti.
ICHINO: Quanti di quelli che hanno studiato greco e latino sanno leggere
opere greche e latine? La realtà è che passano il loro tempo solo a fare
versioni.
DIONIGI: L’unico punto su cui sono d’accordo con lei: molti sono malati
di quella che Pasquali chiamava conjunctivitis professoria. Ma questo non
è il liceo classico nella sua forma autentica. Lei ne fa una caricatura.
SPATARO: E’ stato detto che il latino ha una duplice natura, una struttura
profonda intrinseca e un’altra struttura profonda estrinseca. Abolire il
latino o il greco? Quando moriranno gli ultimi conoscitori di sanscrito e
latino, avremo un’umanità smemorata? Incapace di capire il passato?
DIONIGI: Questo è il rischio. La memoria. Sto con Thomas Khün: la
scienza si nutre di dimenticanza; una scoperta rimuove la precedente,
secondo il paradigma sostitutivo della dimenticanza. Ma c’è un altro
paradigma, quello cumulativo della memoria. Quando avremo fatto
davvero l’Europa, forse gli Europei non ci saranno più. Ma per noi che
veniamo di lì la nostra è lingua greca, lingua latina. Senza classici si può
vivere, ma si vive peggio.
SPATARO: Do atto che non sono presenti in aula altri testi d’accusa, non
essendo comparso Michele BOLDRIN, che sarà sentito in video
conferenza. Si accomodi allora l’altro teste a difesa, LOLLI.
LOLLI: Insegno alla Scuola di Pisa, appartengo alla classe di Lettere, ma
faccio corsi sulla matematica. Nella mia esperienza didattica ricordo
quando a Torino insegnavo a Informatica, venivano studenti da filosofia a
seguire il corso di Logica, erano i più bravi; i miei studenti della classe di
Lettere vedo che si appassionano alla matematica, e la capiscono. Per dirla
in due parole, non c’è differenza di genere tra Umanesimo e Scienze ed è
quasi inutile insistere sull’argomento. Ho l’impressione che qui si stia
processando l’imputato sbagliato. Forse ciò che c’è nei nostri ricordi… La
scuola ha da tempo perso la sua funzione di mobilità o immobilità sociale
e di preparare tecnici di alto livello. I governi reagiscono annaspando a
questi cambiamenti. La commissione dei 40 saggi di Berlinguer
raccomandò “forti alleggerimenti dei contenuti disciplinari”, che si sono
tradotti in dequalificazione. Oggi i programmi sono turgidi, quasi che gli
studenti fossero otri da riempire di nozioni… da verificare alla fine con i
test. Abbiamo invece infine la possibilità di far sì che la scuola si dedichi
alla sua vera funzione, non di preparare a professioni che non ci sono più,
ma far crescere la personalità e il desiderio di conoscenza degli studenti. I
dati presentati dal PM non sono significativi. La scienza e la matematica
non sono numeri, ma pensieri, concetti, storie, dimostrazioni. Il tempo da
dedicare all’una o all’altra lasciamo che lo decidano studenti e docenti. Il
problema del Paese è che non si risolve il rebus della formazione se non si
decide un investimento massiccio d’emergenza sulla preparazione e sulla
formazione di docenti capaci di lasciar liberi di crescere i loro studenti.
ICHINO: E’ sorprendente e drammatico sentire che fatti e numeri siano
irrilevanti! Se davvero non ci fosse differenza tra preparazione in materie
scientifiche e materie umanistiche dovremmo vedere le stesse probabilità
di entrare alla Normale di Pisa indipendentemente dal tipo di liceo. Perché
sono diverse?
LOLLI: Il pubblico ministero usa ideologia nei suoi attacchi. Non sono
irrilevanti i numeri quando fai i conti della spesa, anche di un paese, ma se
si deve decidere quale è la cultura che offriamo e a cui chiediamo alle
nuove generazioni di aprirsi, la matematica non è quella dei numeri, ma
dei concetti, delle teorie, dei risultati ottenuti in una storia che parte da
lontano e si prolunga fino all’oggi. Il pm mi insegna che quel campione
non è ottenuto in modo scientifico, è una popolazione che si presenta
all’esame con dietro una storia di stimoli, ambizioni, è un campione
estremamente distorto, sapete che ci sono scuole che preparano
appositamente gli allievi al concorso per la Normale?
ECO: Voglio concentrarmi sull’uso della parola “fatti”. Come filosofo,
ritengo che i fatti siano individuali, diverse le interpretazioni dei fatti. Un
fatto statistico è un fatto o è una media ottenuta da una particolare scienza
che è la statistica?
LOLLI (occhi chiusi): I fatti sono l’indicazione delle preferenze di coloro
che fanno appello ai fatti. Il Gradgrind di Dickens in Hard Times dice
“Fatti, fatti, fatti”, ma è un positivista utilitarista che oggi viene dileggiato;
è chiaro che nella ricerca scientifica a un certo punto bisogna riferirsi a dei
fatti per verificare le teorie, eppure i fatti sono pregni di teoria. Si può e si
deve cercare di renderli il più trasparenti possibile, per mettere in luce le
assunzioni nascoste. La popolazione che interessa a noi è l’intero paese, e
anche alla Normale di Pisa interessa una popolazione più ampia di quella
che attualmente bussa alle sue porte. La Normale riflette sui dati che
possiede, ma deve arricchirli e depurarli. Allo stato attuale delle cose, dai
dati che possiede la Scuola non si può concludere nulla.
REMMERT (giudice componente la Corte): Lo studente non sta al centro
dell’offerta formativa. Dipende da un difetto delle regole o dei docenti?
LOLLI: Le indicazioni ministeriali sono testi illeggibili, gonfiati per la
preoccupazione di non dimenticare nulla dello scibile contemporaneo, e
non sembrare incolti (i funzionari). Io dico, invece, che non si dovrebbe
ingabbiare in regole troppo rigide quella che deve essere un’attività viva.
Gli studenti devono studiare scienza, in modo da dare, sotto la guida di
docenti adeguati, un contributo creativo, anche piccolo, per capire l’etica
della scienza.
RODA (giudice componente la Corte): La formazione degli insegnanti, la
loro condizione economica. Il problema vero è come avere docenti in
grado di svolgere una didattica formativa. Questo comporterebbe una
laurea specifica per l’insegnamento di materie scientifiche come la
matematica, un aggiornamento serio, periodico, una vita dignitosa con uno
stipendio adeguato. Quella dell’insegnante è una missione e non un lavoro.
FERRARI (giudice componente la Corte): Lei sottolinea un fatto della
riforma Gentile, che ha dato l’ultima confezione al classico, cioè che si
fornisce allo studente una formazione complessiva. Lei dice di privilegiare
non il sapere strumentale, quanto quello complessivo, giusto? Ho capito
bene?
LOLLI: In ogni liceo e scuola dovrebbe aumentare il peso della cultura
scientifica, nessun sapere strumentale è possibile senza una profonda
comprensione della matematica, ma è possibile aumentare l’attenzione per
le scienze anche dando spazio alla storia di queste discipline. Una
conoscenza più viva degli argomenti, dunque una certa elasticità.
Viene introdotto l’ultimo teste a difesa presente in aula.
SCOTTO DI LUZIO: Mi occupo di Storia della Scuola, la discussione sul
liceo classico ha, per quello che ci riguarda, un’origine recente, coincide
con la nascita dello Stato nazionale unitario. Parlare del liceo classico
significa dover sfatare due miti negativi che gravano sulla sua immagine.
Li abbiamo sentiti evocare anche dal Pubblico Ministero. Il primo,
riguarda il suo presunto classismo; il secondo, è il fascismo. Il professor
Ichino ha evocato a questo proposito la formula mussoliniana della più
fascista delle riforme riferito al lavoro di Gentile, ministro della Pubblica
istruzione. Cominciamo con il classismo. Vi siete chiesti cos’era l’Italia
nel 1860, qual era la struttura di classe della società dell’epoca? L’Italia
era un paese nel quale la stragrande maggioranza degli italiani era esclusa
di fatto dalla possibilità di partecipare a qualsiasi forma di cultura
superiore. Era un paese povero, fatto di milioni di contadini analfabeti. Lo
sforzo veramente titanico, la grande prova giacobina delle sue classi
dirigenti, fu, innanzitutto, di portare i figli di questi contadini nelle aule
della scuola elementare. Non si trattò affatto di costruire una scuola di
classe, ma semmai di dare una scuola ad una classe che per secoli era stata
esclusa da qualsiasi tipo di istruzione. E poi, c’era l’altro obiettivo, la
qualificazione delle classi dirigenti, la necessità di una scuola che
unificasse culturalmente i ceti borghesi della nuova Italia, problema
tutt’altro che secondario per uno Stato. C’è un’ulteriore considerazione da
fare, la legge Casati dice che l’istruzione secondaria è la scuola classica.
Accanto ad essa c’è il ramo dell’istruzione popolare che comprende scuola
elementare e scuola tecnica. Questo nel 1859. Già nel 1860, quando cioè la
legge varca i confini dello spazio politico in cui era stata elaborata, tra
Lombardia asburgica e Piemonte sabaudo, questa distinzione scompare. La
scuola secondaria italiana sorge sul terreno dell’incontro e del
compromesso tra principio aristocratico-classicista e principio democratico
popolare. Scuola classica e scuola tecnica stanno fin dall’inizio alla base
del sistema dell’istruzione secondaria del nostro paese e diventano i due
principali canali attraverso i quali passano generazioni di italiani e che
accompagnano l’imponente modernizzazione del paese. L’idea che il
classico abbia distrutto la preparazione tecnica è storicamente falsa per
tacere poi del fatto che l’istruzione scientifica nel nostro paese è debitrice
ancora una volta di Gentile. E’ lui ad aver istituito il liceo scientifico,
innalzando la sezione fisico-matematica dell’istituto tecnico al rango di
liceo. Qui discutiamo, tra l’altro, come se le società moderne fossero
regolate esclusivamente dalla competenza, ma alla base delle società
moderne c’è una tensione non risolta tra competenze e consenso. La scuola
classica sorge sul terreno del problema di tenere insieme competenza e
consenso. Riguardo poi all’altra colpa storica, la matrice fascista della
riforma Gentile, ci sono troppi studi storici che hanno messo in luce come
i più accaniti avversari del ministero stessero nel Partito nazionale fascista
e non fuori per poter continuare a ripetere questa accusa. Il fascismo non
poteva accettare i tratti rigorosamente selettivi della scuola gentiliana, i
quali contraddicevano profondamente alla sua natura di regime di massa.
ECO: Forse il teste non ha chiarito se il modello Gentile sia attuale o
debba subire modifiche. Faccio l’avvocato del diavolo.
SCOTTO DI LUZIO: La scuola italiana e con essa il liceo classico hanno
smesso da molto tempo di essere “gentiliani”. Negli ultimi 20 anni c’è
stato un vero e proprio assalto alla scuola italiana. I suoi guai derivano da
qui, non da ciò che è accaduto 80 anni fa.
ICHINO: Lei è uno studioso di storia delle istituzioni scolastiche. Anche
di altri paesi, giusto? Allora perché Germania e Francia, che avevano un
sistema molto simile al nostro, lo hanno abbandonato?
SPATARO. Integro la domanda del PM, chiedendo preliminarmente se è
vera questa cosa che si sta dicendo di Germania e Francia?
SCOTTO DI LUZIO: È vero e non vero che hanno abbandonato
l’istruzione classica. Il caso francese è profondamente diverso da quello
tedesco. Quando si parla di scuola bisogna anche considerare che si parla
di oggetti che hanno un alto tasso di ideologizzazione, le riforme che la
riguardano riflettono sempre le ideologie prevalenti nella società e in
particolare tra i gruppi prevalenti all’interno delle élite nazionali. Lì, in
Germania in modo particolare, hanno prevalso correnti ideologiche
avverse al primato degli studi umanistici. Voglio anche ricordare, a questo
riguardo, che il punto non è tanto liceo classico sì liceo classico no, ma se
il liceo classico debba essere o meno il culmine di un sistema scolastico
pubblico. In Inghilterra, ad esempio, paese con il quale pure amiamo
confrontarci e che certamente rappresenta un termine di paragone
ineludibile, la riforma di tipo comprensivo dell’istruzione secondaria, a
metà degli anni Sessanta, fu pagata al prezzo della definitiva migrazione
delle élite dal sistema dell’istruzione pubblica statale (molte Grammar
Schools ebbero infatti la possibilità di trasformarsi in Public Schools, che a
dispetto del nome sono tutto fuorché delle scuole pubbliche). Questo
perché, le élites in qualsiasi paese difendono il modello educativo che
garantisce la loro riproduzione culturale. Allora, c’è da chiedersi, cosa
diverrebbe la scuola pubblica italiana senza il liceo classico? Si
trasformerebbe in un apparato residuale dello Stato applicato alla gestione
culturale di una moltitudine sommariamente scolarizzata.
ECO: Non ho detto assolutamente questo. Ho detto: E’ curioso che nei
licei tedeschi non si insegna filosofia. Eppure dopo il liceo i tedeschi di
filosofia ne hanno sempre fatta tantissima.
CANTAMESSA (giudice componente la Corte): Siamo qui per il popolo
del 2030-40, lei da storico non crede che tutto il dibattito sia pesantemente
rivolto al passato? Quali sono le competenze che più servono, dal punto di
vista delle conoscenze? E quale la forma pedagogica più adatta?
SCOTTO DI LUZIO: La scuola è un’istituzione per definizione costituita
sulla dialettica dei tempi storici. Custodisce il passato sotto forma di
modelli culturali e di professori che educano i giovani, ma alberga in sé al
tempo stesso i germi del futuro. L’Italia del 2030 è qui in questo teatro,
sono gli studenti di oggi che saranno gli adulti di domani. Il punto è
formare dei cittadini che siano non competenti, come si usa dire oggi con
una parola molto ambigua e che molto male ha fatto e fa alla qualità
dell’insegnamento, ma responsabili, pubblicamente responsabili. In grado
di reggere le sorti del paese in maniera responsabile. Per fare questo
bisogna essere in grado di pensare il Paese, di produrre un’immagine
culturale dell’Italia. Altrimenti si interrompe il rapporto affettivo dei
cittadini con la propria identità nazionale. C’è poi un’altra cosa da dire: il
compito dell’educazione non è preparare a una professione, crescere non
significa prepararsi a una professione. L’autonomia dell’educazione va
difesa dalla subordinazione ideologica, dalla formazione alla professione.
Esauriti i testimoni esaminati e controesaminati in aula, sono stati
proiettati ed ascoltati i contribuiti in videointerviste (alle cui registrazioni
si rimanda) di Michele BOLDRIN (economista, Washington University
St. Louis), Massimo CACCIARI (filosofo), Tullio DE MAURO
(linguista), Massimo GILETTI (ex allievo del liceo classico “M.
D’Azeglio” di Torino), e Giulio GIORELLO (filosofo della scienza).
Hanno fatto seguito contributi spontanei in aula di professori di licei
classici e scientifici e di studenti di licei classici (non verbalizzati).
Il Presidente SPATARO, a questo punto, esaurita l’assunzione delle prove,
ha dato la parola al Pubblico Ministero e poi al difensore per la requisitoria
finale dell’uno e l’arringa dell’altro.
Sintesi (ad opera del cancelliere) della requisitoria del prof. ICHINO
(PM):
Si vedano anche le slides allegate a questo verbale che ICHINO ha
utilizzato nell’esposizione
ICHINO: L’indagine Piaac Ocse ha misurato in modo standardizzato le
competenze degli adulti (16-65 anni) in vari campi, tra cui la matematica.
Poiché si tratta di adulti, quanto misurato da questa indagine non può
essere l’effetto dei tagli recenti alla spesa pubblica per la scuola.
Sulla base dei risultati di questa indagine il Governatore della Banca
d’Italia Ignazio Visco ha lanciato un allarme. Le competenze matematiche
evidenziano per Italia un grado evidente di analfabetismo funzionale. Il 70
per cento circa degli adulti italiani non è in grado di utilizzare ed elaborare
adeguatamente informazioni matematiche (contro il 52 per cento nella
media degli altri paesi). Serve un nuovo equilibrio tra cultura umanistica e
tecnico-scientifica?
Nessuno vuole abolire la cultura umanistica. Chiedo solo disponibilità a
ripensare l’equilibrio. Siamo l’unico paese al mondo in cui le élites degli
studenti dedica il massimo delle energia a studiare latino e greco, senza
imparare a leggere veramente una tragedia greca o un poema latino.
Si sente dire che questo non è un problema perché i diplomati del classico
non hanno difficoltà a laurearsi in materie scientifiche anzi sono i migliori.
E’ vera questa affermazione o è solo basata su aneddoti? Voglio andare a
vedere, al di là degli aneddoti, se queste informazioni sono vere. Se è
meglio che i giovani studino la logica attraverso il latino, oppure studiando
direttamente logica. Le ore di tempo sono limitate. C’è una parola indiana
che indica lo stato fortunato di “colui che può non scegliere”, ma non
siamo in questa condizione, non abbiamo tempo sufficiente per studiare
tutto. Ad esempio, dobbiamo scegliere se studiare l’aoristo passivo o i
mitocondri. Ossia, se studiare la cultura greca all’origine della nostra
civiltà europea, oppure gli organismi nei quali si nasconde probabilmente
l’origine della vita sul nostro pianeta. Voglio sfatare il mito secondo cui,
studiando al classico, si può fare qualsiasi cosa.
Purtroppo non disponiamo di un esperimento controllato come quelli che
in campo medico consentono di stabilire se una terapia è efficace o no. Un
esperimento che compari studenti uguali che siano andati al classico o allo
scientifico. Ma mentre in campo medico questi esperimenti sono frequenti,
in campo sociale non si fanno. Tuttavia, l’evidenza che porto è
sufficientemente informativa
Utilizzo dati sui circa 10 mila studenti che hanno tentato il test di Medicina
a Bologna tra il 2005 e il 2012; circa 8000 vengono dal classico e dallo
scientifico. Quelli del classico partono con un enorme vantaggio. Inizio
dai 1700 studenti che vengono da licei bolognesi per i quali ho l’intera
distribuzione dei voti di maturità. Gli studenti del classico che tentano il
test, sono i migliori nelle loro scuole di origine, sia rispetto alla media che
rispetto alla mediana dei voti. Per lo scientifico non è così.
L’indagine nazionale sui laureati dell’Istat, del 2001, dice che gli studenti
del classico hanno un background familiare più favorevole di quello degli
studenti dello scientifico. Gli studenti del classico vengono da famiglie più
istruite e con professioni più privilegiate.
Nonostante questo vantaggio, gli studenti del classico che tentano il test di
medicina vanno meglio alla maturità e in cultura generale ma vanno
peggio in chimica e in fisica. E non vanno meglio nei primi due anni di
università in questo corso di laurea, se ammessi. A chi obiettasse che i test
di medicina non misurano nulla di significativo posso mostrare questi
grafici da cui si desume una forte e significativa correlazione tra risultato
nel test di ammissione e performance nei primi due anni in termini di
crediti e voti.
Per quel che riguarda la mobilità intergenerazionale, avere un padre
laureato aiuta a laurearsi molto più in Italia che non negli Stati Uniti. E per
aumentare la probabilità di avere un reddito elevato, in USA è più efficace
laurearsi piuttosto che nascere da un padre con reddito elevato, mentre in
Italia è vero il contrario: conviene scegliersi bene la famiglia. Il sistema
scolastico italiano offre meno pari opportunità di quello americano e il
liceo classico ha la sua dose di responsabilità nel fallimento della scuola
italiana come ascensore sociale.
Se il liceo classico fosse così formativo e utile, come mai nessuno nel resto
del mondo oggi segue l’esempio italiano? Come mai chi lo seguiva (Italia,
Francia) lo ha abbandonato? Come mai nelle scuole straniere l’offerta
formativa non è fatta a menù fisso come in Italia ma consente la possibilità
di scelte à la carte?
La scuola che auspico non è senza materie classiche: è una scuola in cui gli
studenti possano gradualmente costruirsi il mix che preferiscono di materie
umanistiche, scientifiche e tecniche. Se questo fosse un processo civile,
offrirei questa come transazione. Non si può forzare un ragazzo a scegliere
tra pacchetti di materie a14 anni senza possibilità di ri-modulare in corso
d’opera quel che vuole fare. Andate a vedere il sito della Boston Latin
School.
Sintesi (ad opera del cancelliere) della arringa del prof. ECO
(Avvocato Difensore):
ECO: Partirò dalla concessio al mio contraddittore, accetto ciò che dicono
i testimoni, Gentile riteneva che la classe dirigente dovesse avere una
cultura umanistica, lui aveva poca fiducia nelle materie scientifiche. Il
classico non aveva insegnamenti di lingue tranne al ginnasio, e poi,
bizzarria, dedicava pochissimo tempo alla storia dell’arte (io studiavo su
libri che dei quadri avevano solo foto in bianco e nero sbiadite). Nessuno
mi ha mai insegnato qualcosa sul colore o sulle tecniche artistiche.
Ripensare un equilibrio significherebbe stabilire come si guadagnerebbe
spazio e tempo per le scienze, le lingue, e pure per l’arte. Noi facevamo 8
anni di latino, ma dopo la maturità non eravamo in grado di leggere Orazio
a prima vista. C’è qualcosa che non va nel modo in cui il latino viene
insegnato. Ok, capire i testi serve. Ma perché non si prova a dialogare in
un latino elementare, a leggere anche il latino medievale e quello
ecclesiastico, che sono più facili. A formare un latinista completo ci pensa
l’università, il liceo deve insegnare cosa sia la cultura espressa dalla lingua
latina. Si possono persino studiare lingue straniere comparandole col
latino, per far vedere come funzionano le diverse sintassi. Lo stesso si dica
del greco. Perché far lavorare lo studente sul greco di Omero, che pone
problemi anche agli esperti e non sul greco ellenistico, su quella koinè
parlata fino alla dissoluzione dell’impero romano, e tradurre da Aristotele?
Sto pensando alla nascita di un liceo umanistico-scientifico. Adriano
Olivetti assumeva ingegneri e geni dell’informatica, ma assumeva anche
chi avesse fatto una tesi su Machiavelli o Senofonte, perché riteneva che,
se una educazione scientifica serviva per inventare lo hardware, per
inventare del software era utile una mente educata sulle avventure della
creatività. Io, appena ho avuto in mano l’Olivetti M20 nell’82, ho imparato
il Basic in una settimana e sono riuscito a programmare un sistema per
produrre i sillogismi classici. E questo perché sapevo qualcosa della logica
classica, da Aristotele agli stoici. Una volta, molti anni dopo, qualcuno
dell’Olivetti mi ha mostrato come si poteva far fare al computer dei links
ipertestuali e delle ricerche incrociate, ma non sapevano cosa mettere
dentro a quella macchina prodigiosa. Ho radunato 5 laureati in materie
filosofiche che hanno costruito un software bellissimo per CDRom, sulla
storia delle civiltà, arti e scienze comprese. Penso che quello che è
mancato in tutte queste statistiche illustrate stamane è il calcolo del
numero dei giovani che hanno inventato un nuovo mestiere, e quanti di
questi start upper sono usciti dal classico. Non dico che gli informatici che
pensano alla intertestualità debbano aver letto i formalisti russi o Bacthin,
ma hanno assorbito per via indiretta molte di queste ricerche sulla
testualità e Steve Jobs non è solo un esecutore di equazioni. A cosa serve
la cultura umanistica? Quando Hitler ha deciso di invadere la Russia non
aveva studiato la storia dell’invasione napoleonica, altrimenti avrebbe
saputo che non si può sfidare l’inverno russo. E quando Bush ha deciso di
invadere l’Afghanistan non si era informato sulle sventure ottocentesche di
inglesi e russi in quel paese e non avrebbe capito che la sua struttura
orografica e le divisioni tribali non avrebbero mai permesso di controllarlo
completamente. La cultura contemporanea sta perdendo la memoria, si
vive solo nel presente. Grandi scienziati, da Einstein a Heisenberg,
avevano una solida cultura alle spalle, per sapere se un dio gioca o no a
dadi bisogna saper qualcosa, oltre che di fisica, di teologia. Marx aveva
fatto la tesi di laurea su Democrito. Chi ci dice che i test di medicina citati
da Ichino non siano stati concepiti solo per chi ha una formazione
scientifica, mentre un buon medico dovrebbe anche sapere chi era
Vesalio?? Così si creano sacche di iperspecializzazione, dove l’esperto di
malattie rare non sa più curare un raffreddore. Nel liceo umanistico-
scientifico bisognerà insegnare il Teorema di Pitagora, ma anche le idee di
Pitagora sulla teoria delle sfere e il suo terrore dell’infinito.
Alle ore 13.45, il Presidente, esaurita la discussione, dichiara chiuso il
dibattimento.
LA CORTE SI RITIRA IN CAMERA DI CONSIGLIO PER
DELIBERARE .
Alle 15.30, la Corte, rientrata in aula, attraverso il Presidente, dà lettura
della sentenza di assoluzione con formula piena del Liceo Classico e della
motivazione contestuale (al cui testo si rimanda).
F.to Il Cancelliere F.to Il Presidente
Letizia Tortello Armando Spataro