Principali innovazioni della disciplina urbanistica dal...

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Principali innovazioni della disciplina urbanistica dal secondo dopoguerra ai giorni nostri. 1 Cheti Pira Dipartimento Ingegneria di Ingegneria civile, ambientale e architettura Università degli Studi di Cagliari

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Principali innovazioni della disciplina urbanistica dal secondo

dopoguerra ai giorni nostri.

1

Cheti Pira

Dipartimento Ingegneria di Ingegneria

civile, ambientale e architettura

Università degli Studi di Cagliari

Sommario

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Urbanistica e pianificazione nel secondo dopoguerra

La città contemporanea: nuove forme nuove politiche

Urbanistica e pianificazione nel secondo dopoguerra

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Urbanistica e pianificazione nel secondo dopoguerra

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L'immediato dopoguerra segna una forte ripresa dei temi della pianificazione sui quali, nelle nazioni colpite dalla guerra, pesano i problemi della ricostruzione fisica ed economica, e in qualche caso l'idea di un nuovo corso politico e sociale .

Il raggio d'azione dell'urbanistica sembra ampliarsi, aprendo la strada in molti paesi a prospettive di pianificazione ai vari livelli amministrativi e nei vari settori, che si intrecciano a forme di pianificazione economica ai livelli regionale e nazionale.

Urbanistica e pianificazione nel secondo dopoguerra

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I fondamenti teorici della disciplina appaiono, però, ancora immaturi. La disorientante impreparazione degli urbanisti, la labile consistenza di tante certezze precostituite, ma anche le difficoltà di una visione unitaria dei problemi, le resistenze a un atteggiamento di paziente verifica delle ipotesi, la separatezza/conflittualità fra tanti corpi amministrativi dell'apparato pubblico..

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Le deficienze si misuravano già sul piano tecnico, nella natura dei piani regolatori concepiti più come ‟somma di iniziative possibili" che come ‟insieme di operazioni da compiere" (G. Astengo), e pertanto strumenti di regolazione tecnica e non di coordinamento spazio-temporale. Con l'accelerazione dei mutamenti sociali e il cambiamento di scala dei fenomeni aumentava, anziché ridursi, il divario fra l'assetto del territorio come portato fondamentale dell'azione delle forze dominanti (anzitutto economiche) e come risultato di un reale controllo da parte dell'urbanistica. Quest'ultima finiva per caratterizzarsi spesso come semplice strumento di legittimazione delle trasformazioni in atto o al massimo come fattore di mediazione degli interessi delle varie forze in campo.

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Le distruzioni dell'ultima guerra hanno portato molte città europee a dover affrontare con la ricostruzione i problemi, non solo organizzativi ma anche teorici, dell'intervento nei centri storici, con risultati - sui due piani - generalmente diversificati in base alla diversa capacità di un'efficace presenza a tutti i livelli dell'amministrazione pubblica.

Nell'immediato dopoguerra, mentre si riprende e si va specificando in molti paesi un'articolazione più precisa della pianificazione urbanistica soprattutto a livello urbano (piano regolatore come strumento inteso a dare coerenza alle spinte e alle tensioni disparate provenienti dai diversi gruppi sociali), le realizzazioni pianificate ruotano dapprima intorno alla dimensione del quartiere, come minima unità progettuale ed esecutiva, equilibrata rispetto a una serie di servizi primari e in grado di garantire effetti di comunità organizzata.

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A fronte delle impetuose accelerazioni della crescita e della dimensione urbana, i centri delle città sono stati sottoposti a una serie di tensioni anche contraddittorie (degrado, aumento vertiginoso della rendita fondiaria, terziarizzazione, innovazione tecnologica). Gradualmente, l'ottica degli interventi è andata via via spostandosi verso: a) un più consapevole coordinamento e una globalità delle scelte

di piano; b) l'idea della salvaguardia fisica ed ecologica, in presenza di un

patrimonio di valore ambientale e storico.

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Le esperienze migliori si attuano nell'Europa settentrionale, fra gli anni 1945-1955, soprattutto nell'ambiente anglosassone e nei paesi scandinavi.

Oltre ai quartieri inglesi soprattutto di Londra, in parte derivanti da ricostruzioni interne alla città, come Pimlico, o in siti di nuova urbanizzazione come il famoso Roehampton progettato dal London County Council, notissimi sono i quartieri svedesi di Gröndal (1946), Råcksta (1948), Blackeberg (1948), Danvikslippan (1948), nei pressi di Stoccolma, e il complesso Baronbackarna a Örebro (1954), degli architetti S. Backström e L. Reinius: tutti di notevole importanza per la loro influenza su alcuni coevi progetti italiani, nei quali la ‛cultura' del quartiere e le teorie del vicinato da un lato parevano una risposta appropriata a mediare l'impatto metropolitano di una popolazione rurale che si andava travasando nelle città.

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Esiste tuttavia un divario dell’Italia rispetto ai Paesi scandinavi nelle politiche urbanistiche attuative. In Olanda, Inghilterra, nei paesi scandinavi e in Francia, i piani regolatori urbani, impostano e sostengono nel quadro di un controllo ormai maturo della crescita urbana, esperienze realizzative più articolate e complesse.

Di massimo rilievo in questo senso è la situazione inglese, per la coerenza, l'ampiezza e la vitalità delle iniziative, per la capacità di attualizzare e valorizzare la propria tradizione, per la pazienza sperimentale.

Il piano della Grande Londra

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Si pensi, ad esempio, al piano della Grande Londra (1944), studiato da Patrick Abercrombie, nel quale vengono a confluire in una sintesi originale: a) gli orientamenti espressi dalle indagini governative sullo stato

generale del paese, eseguite dal 1940 al 1941 (rapporti Barlow, Scott e Uthwatt, rispettivamente riguardanti la situazione delle città e dei territori del Regno Unito, lo stato delle aree rurali e le soluzioni da adottare per una regolamentazione più aggiornata del regime dei suoli);

b) la cultura della garden city, su una linea di pensiero che attraverso molti epigoni risale fino a Howard, ma qui proiettata su un programma di realizzazione di città nuove (new towns) in funzione del decongestionamento dell'area londinese;

c) l'organizzazione interna della città esistente e delle nuove città mediante una struttura per nuclei del tipo della neighborhood unit definita da C. Stein.

Il piano della Grande Londra

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Il Piano di Londra è stato pensato in una concezione organica ad una metropoli di 10 milioni di abitanti, inaugurando una nuova fase dell’urbanistica moderna.

Gli aspetti più importanti del Piano furono:

1. Suddivisione della città in anelli

2. Progetto delle New Towns, otto città satelliti all'esterno della cintura verde di Londra, di cui riconobbe la fondamentale necessità. Vincolò le New Towns a un massimo di 60 000 abitanti, e ne studiò minutamente le infrastrutture, le zone verdi, i collegamenti con le metropoli, gli insediamenti industriali. Lo scopo del suo progetto fu quello di decentrare le attività e la popolazione e di decongestionare la metropoli.

Le new towns

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Le new towns, dette anche "città giardino" (in realtà "figlie" della città giardino) sono ben collegate con la capitale tramite servizi ferroviari ed autostradali provviste di tutti i servizi, dai cinema alle università. Vi vive attualmente circa un milione di persone. Le new town seguono generalmente lo stesso schema urbanistico: al centro si trova un'area amministrativa-commerciale, circondata interamente da quartieri residenziali, separati da parchi e piccole aree agricole caratterizzati da colorate villette a schiera con il tradizionale giardino - Le new towns hanno conosciuto un successo internazionale e il loro modello è stato esportato in tutto il mondo.

Le new towns

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Fonte: “ La costruzione delle New Towns” di Charles Benjamin Purdom, disponibile su Internet alla pagina

mall.lampnet.org/filemanager/download/1110/Purdom_49_Mall.pdf

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Con il New towns act del 1946 (che si accompagnava a una serie di altre misure coordinate, studiate dal governo laburista e interessanti l'edilizia, l'industria, le infrastrutture e la legislazione urbanistica) la pianificazione delle new towns può decollare, applicandosi non solo a Londra, ma anche alle aree metropolitane maggiori del paese. Fra il 1946 e il 1956, nella sola area londinese, sono in costruzione 14 new towns.

Un’altra best practice è rappresentata dal piano regolatore della Grande Stoccolma, redatto nel 1952, nel quale gli insediamenti residenziali sono abilmente inseriti nel paesaggio naturale e variati nelle loro espressioni tipologiche e morfologiche.

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Inizia negli anni ‘50 un dibattito sulle debolezze dello zoning, che viene visto come strumento che, incasellando le singole attività in un proprio spazio, ne irrigidisce e impoverisce i rapporti. Negli Stati Uniti si parla di aderenza del progetto al luogo (place making) e alle identità delle culture locali. Alcuni gruppi dell’Università di California e di Yale, affermano con forza la necessaria reattività dell’urbanistica agli stimoli del contesto urbano, piuttosto che alle funzioni che essa è chiamata a controllare.

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È importante sottolineare, dopo il ‘68, lo svolgersi di esperienze che si pongono come alternative ai modelli decisionali classici, per porre in primo piano la partecipazione diretta dell’utenza alle scelte di piano. L’origine storica della partecipazione si può ricondurre ai primi episodi di patrocinio urbanistico (advocacy planning), sviluppatasi negli Stati Uniti intorno agli anni ‘60 nell’acutizzarsi delle lotte urbane delle minoranze etniche delle grandi città, quando alcuni architetti si sono fatti interpreti per la prima volta delle istanze di alcune comunità locali contro le iniziative centrali che tendono a disgregarle e disperderle (generalmente attraverso operazioni di rinnovo urbano) .

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Con tutti gli insuccessi che derivano all'advocacy planning non solo dalla mancanza di risultati tangibili, ma dallo stesso ricorso alla ‛delega' che limita la partecipazione effettiva dell'utenza, il movimento ha il merito di rimettere in discussione il ruolo dell'urbanistica nei confronti della committenza reale.

Negli anni ’70 questo tema è ripreso in più occasioni, in diversi paesi. Altre difficoltà intervengono nelle forme di partecipazione ‛istituzionale' derivanti dall'assunzione, anche nell'assetto italiano, di provvedimenti di ‛decentramento urbanistico' (consigli di circoscrizione con competenze consultive per gli strumenti urbanistici generali e deliberative per l'uso di beni e servizi locali).

La città contemporanea: nuove forme, nuove politiche.

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La città contemporanea: nuove forme, nuove politiche.

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“Il futuro non è solo qualcosa che ci viene incontro e che cerchiamo di prevedere. Il futuro è almeno in parte un nostro costrutto, esito delle nostre capacità analitiche e

progettuali, delle nostre capacità di costruzione e di realizzazione di programmi coerenti ed efficaci” (Sechi, 2002)

La crisi della città moderna è un fenomeno che si è diffuso in Europa tra la fine degli anni ‘60 e i primi anni ‘70. La grande concentrazione di forza lavoro nelle aree urbane assunse la perdita di coesione dei grandi aggregati sociali (la classe operai urbana). Assumendo la forma di problemi legati alla casa, al divertimento, allo spostamento. Secchi raggruppa sotto tre etichette le costruzioni politiche che nei vari paesi europei hanno cercato di reagire alla crisi urbana.

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La “renovatio urbis”, la più appariscente e nota raggruppa l’insieme di politiche che, con una serie di interventi puntuali, cercano di dare un nuovo senso simbolico-rappresentativo e logico-funzionale alla città o sue parti importanti (Parigi di Mitterand, la Barcellona di Bohigas, la Londra della Tatcher). Il “ritorno neoclassico” è un esperienza limitata e consiste nel ritorno a una forma di spazio urbano che reagisca al disordine della città contemporanea con un maggior “contegno”. In particolare vengono riproposti gli aspetti linguistitici rivisitati della città ottocentesca come l’isolato e la casa in linea (Belino e Milano ne sono esempi). Queste due prime soluzioni colgono alcuni aspetti fondamentali della crisi urbana, e per uscirne propongono un processo di profonda ristrutturazione del sistema urbano europeo, guidato da immagini forti in cui ogni città deve reinventarsi ridefinendo la propria posizione e il proprio ruolo con nuove strategie economico-produttive, eventualmente di conversione, ma anche con strategie territoriali, ed urbanistiche attente allo spazio abitabile, all’ambiente e al sistema infrastrutturale.

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Il terzo caso è tipicamente italiano, e come lo era stato, per la città moderna si presenta in forma estrema. Il prodotto di questa politica, si manifesta nel decentramento produttivo, la nascita di un economia sommersa, il rafforzamento e la nascita di innumerevoli distretti produttivi , la decadenza delle aree metropolitane con lo sviluppo delle aree esterne (le aree urbane toroidali). La conoscenza di tutti questi fattori ha portato alla nascita della cosiddetta città “diffusa. ” Secondo Sechi, quello che caratterizza la città contemporanea, a differenza della città moderna, dove si ricercava la continuità, è proprio il frammento e la dispersione.

Le vicende di ciascuna delle nostre città (le grandi, le medie, le piccole) lo dimostrano nei fatti: ogni anno di più, la capacità di attrarre iniziative economiche, flussi d'interessi e di visita, la capacità di essere oggetto di una domanda d'insediamento da parte di aziende produttive di beni o di servizi, è in proporzione diretta con la qualità urbana (Salzano,

2008)

La città contemporanea: nuove forme, nuove politiche.

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Oggi le città tentano di organizzare nuove forme e nuove risorse tramite la costruzione di grandi connessioni ecologiche, agricole, urbane cercando di perdere il carattere dell’occasionalità localizzativa.

Passare da una politica territoriale per parti a una politica territoriale sistemica significa creare un’unità concettuale tra politica dell’ambiente e del territorio (Ronchi, 2005).

Le politiche urbane, dunque, non possono essere separate dalle politiche territoriali e ambientali: vanno invece risolte con l’assunzione della problematica della sostenibilità delle città e con la consapevolezza della necessità di politiche pubbliche in grado di far affermare valori che il mercato non è in grado di apprezzare adeguatamente.

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L’attuale situazione delle politiche di governo del territorio è inadeguata rispetto alle nuove necessità di buone ed efficaci politiche pubbliche. Queste soffrono l’inadeguatezza, a volte perfino la mancanza di una visione comune, e questa carenza accentua le difficoltà di coordinamento fra i diversi livelli istituzionali e la mancanza di coerenza fra i diversi piani e programmi.

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Per non confondere la concertazione con la contrattazione è necessario possedere, insieme a linee fondamentali comuni e condivise, la certezza delle competenze assegnate ai diversi piani e programmi.

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Per essere efficace, la concertazione dovrà consentire di esprimere, in forma condivisa, le valutazioni preliminari sugli obiettivi generali, sulle scelte strategiche e sull’individuazione di massima dei limiti e delle condizioni per lo sviluppo sostenibile del territorio. È fondamentale la completezza e l’aggiornamento del sistema di conoscenza dello stato del territorio, dei suoi processi evolutivi, dei limiti e delle condizioni alla sua trasformazione, per verificarne l’effettiva condivisione da parte delle amministrazioni partecipanti.

L’importanza della valutazione come supporto alla pianificazione

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Situazione ottimale La trans-scalarità delle politiche ambientali-territoriali deve inevitabilmente fondarsi sull’interazione dinamica, continuamente aperta al confronto interistituzionale dei diversi momenti decisionali e dei diversi piani.

Criticità: Difficoltà di coordinamento tra i diversi livelli istituzionali di governo

Presupposto: Il piano locale dovrebbe seguire ed essere conforme ai piani di livello sovracomunale

Riferimenti bibliografici consigliati

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Secchi B. (2001), Prima lezione di Urbanistica, Bari Laterza (Biblioteca Urbanistica).

Ildefonso Cerdà (1995), Teorie generali dell’urbanizzazione , a cura di Antonio Lopez de Aberasturi, Milano : Jaca Book (Biblioteca Urbanistica).

Salzano E. (2008), La città sostenibile, disponibile in internet sul sito http://eddyburg.it/article/articleview/1559/1/14 [ultimo accesso: 27 settembre]

Gabellini P. (2001), Tecniche urbanistiche, Roma, Carocci (Biblioteca urbanistica).