PRIMO PIANO SULL’AFRICAdel continente africano in relazione agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile...

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PRIMO PIANO SULL’AFRICA Funké Michaels Mario Citelli Matteo Aria Olivier Mbabia Messan Daniel Segla Axel Augé

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PRIMO PIANO SULL’AFRICA

Funké MichaelsMario CitelliMatteo Aria

Olivier MbabiaMessan Daniel Segla

Axel Augé

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F u solo al termine della seconda guerra mondiale che gli storici rivolsero la loro attenzione all’Africa, dissipan-do rapidamente l’immagine di Giardino dell’Eden che

il mondo aveva del continente africano. Agli storici si unirono poco dopo gli antropologi e le trasformazioni delle società afri-cane furono analizzate alla luce del contesto storico-temporale in cui erano avvenute. Emerse una storia ricca di accadimenti che contribuì a cancellare l’impressione di «alterità» fino ad allora associata alle società del continente. Oggi è chiaro che lo sviluppo dei popoli africani ha seguito un percorso assimilabile a quello degli altri popoli e che la loro esistenza, individuale o collettiva, è stata orientata dagli stessi presupposti, sia logici sia morali. Le forme assunte dallo sviluppo sono state diverse, quanto l’Africa è diversa dall’Europa, l’Asia o l’America, ma non sono diversi i princìpi di intelligenza e di apprendimento cui tali forme si sono ispirate, né il loro contenuto essenziale.

Le società africane di ieri, in parte riconoscibili anche oggi, dopo il passaggio erosivo del periodo coloniale, erano e sono il prodotto terminale di un’evoluzione antica, «non punti di partenza, ma punti d’arrivo», come diceva delle arti africane l’etnologo africanista Grottanelli.

Gli africani hanno certamente bisogno di una loro rivo-luzione moderna, ampia e profonda, per stimolare lo spirito creativo, per liberare energie fresche e aprire nuovi orizzonti di libertà. L’esperienza del resto del mondo può essere utile. Ma le strutture necessarie dovranno essere erette sul suolo africano.

Basil Davidson, The African Genius: An Introduction to African Social and Cultural History, New York, Little Brown, 1970.

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Desta preoccupazione la performance del continente africano in relazione agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sus-

tainable Development Goals, SDGs) per gli avan-zamenti ancora necessari all’avvio di un percorso stabile di crescita entro il 2030. Non è tuttavia possibile comprendere lo sviluppo di questo continente senza conoscere il variegato tessuto culturale che rende una comunità tipicamente africana.

Per aprire le porte dell’Africa al progresso tec-nologico, al pieno sviluppo dei suoi mercati e alla valorizzazione della sua giovane popolazione, è necessario che i popoli africani insistano per ave-re governi migliori. Gli economisti e gli opinioni-sti (influencer) africani moderni devono acquisire autorevolezza presso le comunità rurali per po-terle indirizzare verso il cambiamento necessario allo sviluppo sostenibile. L’approccio bottom-up e il coinvolgimento delle comunità nella gestione sostenibile delle risorse del continente saranno il passo successivo nel processo di evoluzione e di responsabilizzazione per la crescita futura dell’A-frica.

Per incentivare la partecipazione pubblica e sensibilizzare la politica agli Obiettivi di Svilup-po Sostenibile è necessario analizzare l’equilibrio tra i sistemi di potere delle comunità tradizionali, delle imprese e degli Stati africani moderni.

I 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile saranno raggiungibili solo quando le comunità rurali, che

Lo sviluppo sostenibile nell’Africa sub-sahariana: il ruolo dei poteri statuali intermedi nella crescita economicadi Funké Michaels

In termini d’investimenti esteri e di digitalizzazio-ne dell’economia il con-tinente africano cresce in modo sorprendente, accendendo speranze ma anche lasciando irrisolti i conflitti che infiammano l’area sub-sahariana e le debolezze delle strutture dello Stato e della socie-tà civile

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costituiscono la maggioranza della popolazione, saranno stakeholder «alla pari» nel processo di collaborazione triangolare tra imprese, governo e mondo accademico. Studiando l’esempio di alcuni Paesi, come Giappone, Danimarca, Germania, Svezia, Olanda e Italia, emerge chiaramente che, attraverso un partenariato pubblico-privato e un policy making informato, è possibile aumentare la consapevolezza della popolazione, generando ri-chieste di responsabilità e trasparenza.

È a un’età sempre più giovane che l’africano medio diventa consapevole delle dinamiche della benevolenza aristocratica (doni o favori discrezionali da parte delle classi dominanti) e della piaga dei «fondi utilizzati in modo non etico» da parte dei leader che occupano le posizioni di potere. L’effetto nefasto della cattiva gestione dei fondi pubblici è uno degli argomenti caldi del dibattito nelle comunità africane. Definito in vari modi, lo scambio di favori per ottenere fedeltà e supporto non è certo una novità. Questo par-

Figura 1. Scheda degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile 2030 (Sustainable Development Goals 2030 Score-card, SSA).

Vicino all’ultimo miglio Troppo poco, obiettivo lontano È necessario un cambio di rotta

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CA SUB-SAHARIANA

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Target 8.1

Target 1.1 – Eliminare la povertà estrema

Target 2.1 – Sconfiggere la fame nel mondo

Target 3.1

Ridurre il tasso di mortalità materna

Target 4.1 – Istruzione secondaria universale

Target 5.3

Eliminare il m

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Target 6.2

Accesso per tutti ai servizi igienico sanitari

Target 7.1 – Accesso per tutti all’energia

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Target 12.5 –

Ridurre la

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Target 13.2 – Lotta al cambiamento climatico

Target 14.2 – Proteggere gli ecosistemi marini

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iSostenere la crescita economica pro capite Target 16.1 – Ridurre la violenza e la

conseguente mortalità

Target 17.1 – Mobilitare le risorse locali

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ticolare modello neo-patrimonialistico accompagna tutta la storia socio-politica del continente africano e ha creato un paradiso che garantisce lauti e duraturi profitti alle imprese che hanno imparato a muoversi nei sistemi di potere. Calandosi nella realtà culturale dell’Africa e operando all’interno dei confini etici definiti dalla corporate governance, le imprese hanno fatto leva sulle popolazioni rurali per promuovere beni, servizi, best practices e altri princìpi per loro importanti al fine di creare un rapporto tra le società stes-se e le comunità cui sono indirizzati.

Per consolidare il concetto di sviluppo sostenibile nell’opinione pubbli-ca, sono necessari un impegno formativo coordinato e una salda triango-lazione tra le strutture del potere statuale, delle imprese e delle comunità. Nei villaggi africani le donne hanno un ruolo centrale nel diffondere la co-noscenza della lingua, della cultura e dei valori etici e morali e quindi nel generare nei giovani la consapevolezza dell’importanza degli SDGs e delle ricadute positive della sostenibilità sul futuro dell’Africa.

Per capire come l’influenza esercitata in modo strategico possa favorire la crescita economica sostenibile di una comunità, è opportuno osservare alcuni esempi tratti dai settori finanziario, automobilistico, dei beni di lar-go consumo, delle telecomunicazioni, del petrolio e del gas. La nostra ana-lisi esplora il contesto storico dei sistemi di potere in Africa partendo dalle autorità tribali tradizionali, attraversando i passaggi di potere avvenuti in epoca coloniale, indagando sulle diversità religiose, tribali e ideologiche dei partiti dell’epoca post-coloniale e giungendo infine alle dittature militari come conseguenza della benevolenza aristocratica e del «franchising del potere», dove la fedeltà a un’autorità superiore travalica l’etica del dovere.

Lo studio si sofferma sugli apparati tradizionali di potere del periodo pre-coloniale, tuttora operativi all’interno delle singole comunità, per os-servare come tali apparati siano stati usati proficuamente dalle imprese operanti in Nigeria. Premesso che la spinta al cambiamento sostenibile deve avvenire prima a livello locale e poi globale, analizzando l’equilibrio di potere tra le imprese e lo Stato africano, si può capire meglio come gestire

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la partecipazione pubblica nello sviluppo sostenibile. È utile reclutare i lea-der e gli influencer delle comunità rurali e ottenere l’appoggio delle imprese per la creazione di cluster industriali, le cui catene di valore diano spazio alle attività commerciali a livello regionale. Assicurandosi l’apporto della popolazione femminile delle comunità agricole, gli influencer potranno es-sere certi che la consapevolezza dell’importanza degli SDGs sarà trasmessa alle comunità rurali, rafforzando le basi per la diffusione delle informazioni e per il comportamento etico nella vita quotidiana. Partecipando ai pro-getti come stakeholder, le comunità potranno sfruttare gli strumenti tradi-zionali esistenti per limitare i danni di una cattiva gestione dei fondi e fare in modo che i benefici infrastrutturali arrivino anche a loro.

C’è molto da imparare dal rapporto simbiotico tra i sistemi di potere statuali e il potere delle imprese sul mercato africano. Il progresso del sub-continente potrà avvenire sensibilizzando la popolazione rurale alla neces-sità di pretendere dai leader eletti la realizzazione delle infrastrutture sociali necessarie per una crescita economica organica. Quest’ultima potrà essere portata avanti affiancando la tecnologia moderna alle competenze tradi-zionali per aumentare la produttività, mantenendo l’equilibrio tra i poteri attraverso il controllo da parte dei watchdog (gli stakeholder), adattando gli antichi metodi tribali alla società moderna, riaprendo e digitalizzando i ca-nali di feedback per rendere trasparente l’operato dei leader e sviluppando una cultura meritocratica di valutazione che permetta agli africani di essere informati sui progetti che incidono direttamente sulla vita delle comunità.

L’importanza delle alleanze tribali

Per l’africano medio, lo scambio di favori è una sorta di valuta socia-le tangibile e riscattabile. Noto popolarmente come Kitu-Kidogo (qualcosa di piccolo) in Kiswahili, Egunje (qualcosa da mangiare) in Yoruba, o Ima-mmadu (conoscere le persone) presso la comunità Igbo, o semplicemente Ghana must go nella lingua pidgin1, con riferimento ai grossi sacchi usati per

1 Pidgin, idioma risultante dalla mescolanza tra la lingua ufficiale e l’inglese (N.d.R.).

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contenere le ingenti somme di danaro destinate all’elargitore di favori, ogni tribù ha un proprio modo di definire il pagamento informale eseguito per ottenere fedeltà e sostegno.

Questo comportamento non è peculiare del continente africano e si ma-nifesta in modi del tutto simili nella maggior parte delle comunità umane. Nella comunità cinese, per esempio, Guanxi è lo scambio di favori per fini personali. Non essendo limitato alla tradizione africana, in diverse altre lingue si trovano termini simili per descrivere la pressione esercitata attra-verso le istituzioni, in cui la fedeltà si compra con il danaro o altri favori. È quindi opportuno sottolineare che la definizione che Linz dà di sultanismo è adeguata alla situazione africana solo come spiegazione socio-politica. Nonostante gli effetti negativi del patrimonialismo neoliberale sull’econo-mia, è tuttavia possibile creare una situazione win-win2 da cui possono trar-re beneficio tanto la popolazione quanto le imprese, e i governi nazionali possono godersi la gratitudine degli elettori e una buona reputazione per un periodo più lungo di quello che intercorre fino alle elezioni successive.

L’arma principale per combattere il sottosviluppo è da sempre l’istruzione. Le imprese possono quindi impegnarsi in cause di Corporate Social Respon-sibility (CSR) nelle aree dove è richiesto un livello d’istruzione più elevato. L’i-struzione mirata allo sviluppo può essere diffusa con la stessa strategia utiliz-zata dalle imprese per educare le comunità ad apprezzare i loro brand. Inoltre, sfruttando gli stessi canali di comunicazione creativa usati dalle imprese per la realizzazione di un mercato per i loro prodotti, è possibile diffondere nella po-polazione la consapevolezza del ruolo del singolo individuo nella costruzione di una nazione, della crescita economica e dello sviluppo sostenibile.

In Africa, grazie alla rapida ascesa del progresso tecnologico e alla cre-scita costante della popolazione giovanile come mercato da conquistare, le strategie d’impresa possono contare su ottime basi per una crescita eco-nomica sostenibile del continente.

2 Win-win è una situazione che porta benefici a tutti i soggetti coinvolti (N.d.R.).

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Il mantenimento dell’equilibrio tra i diversi poteri è risultato positivo per la coesistenza proficua di imprese e sistemi statuali. La popolazione è disposta a pagare per i beni e i servizi offerti sia dal settore pubblico sia da quello privato. L’analisi di quest’equilibrio può essere utile per capire cosa fare per aumentare la partecipazione pubblica allo sviluppo sostenibile. Affiancando le forze strategiche delle imprese ai poteri statuali intermedi, è possibile rafforzare le reti tradizionali per sostenere la governance interattiva e il policy making partecipativo.

Stato e territorio

Il percorso storico della democrazia nell’Africa sub-sahariana ha abituato la popolazione a un sistema trado-sultanista3 trasversale a tutti i livelli di go-vernance. Le tribù-nazioni che furono unificate per formare dei Paesi avevano sistemi tradizionali di governance in cui lo «Stato» significava (a tutti gli effetti) il «Regnante», e in cui l’allocazione delle risorse a tutti i livelli era a discrezio-ne del leader. È quasi naturale assistere oggi all’evoluzione del sultanismo in chiave neo-liberale nei modelli di governance presenti nel continente africano. 

Nell’antica Yorubaland, il vecchio Impero Oyo (che ha regnato dal 1640 al 1890 circa) era comandato da un Re, l’Alaafin di Oyo, il cui potere era controllato dagli Oyomesi, un gruppo di anziani che si assicurava che i monarchi non usurpassero o gestissero male il regno che era stato loro affidato. Gli anziani potevano costringere alla deposizione un Alaafin che si fosse macchiato d’infamia, ma solo in cambio della vita di uno di loro. Quest’altissimo prezzo non ha impedito agli Oyomesi, quando necessario, di spodestare una serie di re. Secondo una tradizione familiare, il ruolo di «guardiane del palazzo» (palace chief) era affidato alle Iyaloja e alle Iyalode, che dovevano fornire, rispettivamente, un riscontro costante sulle attività commerciali e sul comportamento sociale. I membri della comunità parte-cipavano e contribuivano quindi direttamente alla governance pubblica, e la condotta dei monarchi Oyo era regolata dalle norme tradizionali Yoruba.

3 «Trado» è l’abbreviazione di cultura tradizionale (N.d.R.).

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Nel Nord della Nigeria, in Niger, Ciad e alcune zone del Mali, l’aristocra-zia feudale che governa la popolazione locale sopravvive attraverso il diritto di primogenitura. Anche oggi, come nei tempi antichi, la leadership e la gestione della giustizia sono nelle mani del monarca. La prosperità delle attività commerciali dipende in gran parte dall’ideologia, dalle preferenze e dai legami del regnante al potere in un determinato momento. La pecu-liarità del contesto religioso rende necessario un lavoro di riappacificazione quando al tavolo delle trattative sono presenti più stakeholder con posizioni ideologiche diverse. Ci vuole destrezza per costruire un equilibrio tra diffe-renti tribù, religioni propense al conflitto e affiliazioni politiche all’interno degli apparati dello Stato e delle imprese.

Nella Nigeria orientale e in alcune zone del Camerun è ancora presen-te un sistema democratico tradizionale fondato sull’organizzazione per gruppi di età, in cui ognuno di essi nomina un portavoce che ha il com-pito di portare avanti le istanze sociali del proprio gruppo presso la lea-dership della comunità. Si ritiene che lo sviluppo economico sostenibile sia direttamente correlato alla capacità di ogni gruppo di comprendere il proprio ruolo nella governance, nello sviluppo economico e nel policy making.

Nelle comunità Maasai in Kenya e in Tanzania, la leadership e il proces-so decisionale collettivo sono tuttora organizzati in base ai gruppi di sesso maschile suddivisi per età. Vige ancora il sistema giudiziario tradizionale, che prevale sui moderni sistemi legali ed etici. Per soddisfare le esigenze del-la cultura tradizionale Maasai, il governo e il management strategico delle imprese hanno dovuto concordare alcune deviazioni dalla norma sociale e concedere dispense speciali alle tribù Maasai dell’Africa orientale. Trattan-dosi di un popolo nomade, la cui necessità principale è il diritto illimitato al pascolo, i governi della Tanzania e del Kenya hanno dovuto gestire insie-me le esigenze dello sviluppo turistico e il suo impatto sullo stile di vita dei Maasai. Da Serengeti fino alla riserva nazionale di Maasai Mara, gli Stati, le imprese e la giurisprudenza sono giunti a un accordo che rispetta e pre-serva la sacralità dello stile di vita Maasai.

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L’Africa vista da prospettive diverse

Perché l’Africa compia i progressi necessari per prosperare nel mondo di oggi, è necessaria una conoscenza condivisa del contesto tradizionale. La realtà africana deve essere letta alla luce della cultura e dei valori dei suoi popoli per comprenderne le necessità e per assicurare il successo dei pro-getti governativi. I partenariati pubblico-privato devono soddisfare, oltre alle aspettative finanziarie dei singoli Paesi, anche le esigenze dei rispettivi sistemi culturali e valoriali, attraverso l’informazione, la formazione e l’em-powerment imprenditoriale all’interno delle comunità rurali.

Mentre al resto del mondo il continente africano appare suddiviso in Stati, definiti principalmente dai governi coloniali, l’Africa opera tuttora attraverso clan e tribù che estendono il loro potere nei limiti dei confini tri-bali e nel rispetto di tradizioni e sistemi valoriali antichi. Esiste un’organiz-

Figura 2. Mappa politica dell’Africa.

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zazione parallela per l’istruzione, la governance e la comunicazione che non rispetta le frontiere degli Stati e che viene tramandata da una generazione all’altra secondo identità etniche spesso non visibili ai non africani.

È opportuno notare che questi sistemi educativi paralleli siano storica-mente e principalmente gestiti dalle donne. Insegnare a scrivere e a parlare, le norme comportamentali e le alleanze tra comunità sono di competenza femminile nell’ambito familiare e delle donne anziane nell’ambito della co-munità.

Le dinamiche di potere tra i due sessi hanno subito l’impatto della moder-nità, ma nel continente africano sono tuttora presenti numerosi esempi di leadership femminile. Il ruolo storico delle donne forti sopravvive nei raccon-ti delle Amazzoni del Togo, Ghana, Dahomey e della Repubblica del Benin,

Figura 3. Mappa etnico/tribale dell’Africa.

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mentre esempi analoghi di leadership si osservano tra gli Hausa con la Re-gina Amina di Zazzau, tra i Somali con la Regina Araweelo, tra i Kikuyu con la Capo Tribù Wangu wa Makeri, e tra i Giriama con la leader degli attivisti Mekatilili Wamenza. Queste dinamiche si riflettono nel passaggio dei ruoli e della leadership nell’Africa sub-sahariana. Nonostante il diritto di primo-genitura e la ricerca di figli maschi, le alleanze tra famiglie, clan e tribù sono state tramandate dalle donne che hanno conservato le testimonianze della storia di ogni famiglia e di ogni comunità. È da questi precoci insegnamenti che potrebbe dipendere la propensione della società africana moderna ad accettare il trado-sultanismo e le aristocrazie feudali che costituiscono una parte integrante del moderno patrimonio economico africano. Non sorpren-de dunque che il neo-patrimonialismo continui a prosperare come strascico della benevolenza aristocratica che era presente, fin dall’inizio, nelle comunità. Cultura e governance si appoggiano quindi alla medesima base familiare.

Nella cultura Yoruba, l’iledi è la sede della governance religiosa e sociale, che ha un codice d’onore tramandato dalla tradizione e dal culto ancestra-le. Nella comunità Igbo, il chi è una divinità personale da cui dipendono la governance della persona e la prosperità concesse dagli antenati. Ai clan Maasai dell’Africa orientale, la conoscenza della governance per gruppi di età e del codice comportamentale dello stile di vita nomade è impartita fin dalla più tenera età e successivamente tramandata come bagaglio culturale necessario per questo particolare stile di vita. Nelle tribù Shona dell’Africa meridionale, i princìpi religiosi Chivanhu riflettono la volontà della divinità Mwari, i cui legami con la politica, la letteratura e la medicina costituisco-no le fondamenta del comportamento etico sia dei leader sia del popolo. In modo analogo, nonostante la separazione fisica dal continente africano, la comunità haitiana conserva un saldo legame con il patrimonio di cono-scenza ancestrale e valoriale africano.

In Africa l’istruzione di primo livello era impartita a casa da mamme e nonne, mentre la gestione dei sistemi paralleli di governance era principal-mente in mano agli uomini e il ruolo delle donne dipendeva dai limiti previ-sti dalla tradizione di ogni comunità. Laddove il colonialismo e le religioni

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straniere hanno catalizzato il processo di auto-determinazione, le comuni-tà africane hanno subito, in misura variabile, l’influenza del rapporto tra Stato e Chiesa nell’ambito del cristianesimo e del persistente legame tra fede e governance secolare nell’ambito della religione islamica e della legge della Shari’a. Per governare le comunità, le religioni africane tradizionali hanno quindi dovuto adattare i loro precetti religiosi all’efficienza moder-na. Questi conflitti d’influenza si manifestano in forme diverse in tutto il continente. L’applicazione iniqua della legge e i focolai di violenza tribale disseminati in tutta l’Africa evidenziano il fatto che le rivalità tribali com-promettono i processi elettorali moderni che mirano a influenzare. Si può quindi desumere che le ondate di violenze inter-tribali cui assistiamo oggi siano spesso lo strascico di conflitti sorti in passato e che abbiano provoca-to l’antagonismo tra tribù per ragioni ormai dimenticate. Per raggiungere gli SDGs nell’Africa sub-sahariana, le comunità devono capire la necessità di formare un fronte unito e i vantaggi derivanti dalla collaborazione tra tribù geograficamente e socialmente vicine.

La collaborazione globale implica uno scambio culturale e valoriale dove ciascuno possa vedere obiettivamente l’altro, senza arroganza o posizioni pregiudiziali. Gli studiosi sono oggi impegnati su molti fronti in un proces-so di co-apprendimento interattivo, con il duplice obiettivo di insegnare e di imparare, con onestà, l’uno dall’altro. Questo processo può avvenire solo riconoscendo che quante più verità si riescono a vedere e condividere, tanto maggiore sarà il progresso che si porterà nel mondo. Per molti anni ancora le chiavi del progresso globale resteranno nelle mani del mondo accademico, che sarà chiamato a farsi portavoce di questo nuovo pen-siero. Le numerose entità demografiche che compongono l’Africa hanno competenze e ruoli diversi, e la cultura è un insieme di accordi istituzionali tra tribù-nazioni differenti, unite – in seguito al colonialismo – in un’unica struttura politica collettiva. La diversità culturale ha dato vita a una sot-tocultura che permea il tessuto sociale e che si riflette in alcune istituzioni nazionali, come il servizio civile, la polizia e i partiti politici. Quando quasi ogni elemento della vita sociale fa capo all’entità tribale, è difficile valutare il progresso su base nazionale.

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La coesione sociale è importante per due motivi: prima di tutto per riu-nire gli africani in una sola squadra. In secondo luogo, attraverso il dialogo e il co-apprendimento, per evidenziare al resto del mondo il potenziale di crescita socio-economica del continente africano. La costruzione di ponti culturali permetterà di identificare le analogie tra popoli diversi, mentre un’istruzione formale sulla realtà africana migliorerà la comprensione e ri-durrà i conflitti. Inoltre, il lancio di programmi di scambio promuoverà la conoscenza e l’acquisizione di patrimoni culturali diversi a un’età utile per poterne fare un uso positivo. I vantaggi che l’Africa può offrire possono essere sfruttati realmente solo con la comprensione dei modelli sociali che guidano l’evoluzione politica africana.

Per consentire allo sviluppo sostenibile di superare gli ostacoli trado-sul-tanistici e attecchire in questo contesto, è necessario che le imprese conce-dano finanziamenti e supporto durante tutto il percorso di crescita. Grazie alla formazione, i popoli devono essere messi nelle condizioni di perseguire la strada dello sviluppo insieme. Il mercato e il settore privato, da parte loro, possono fare pressione sul governo per la creazione di un ambiente favorevole allo sviluppo sostenibile. Per esempio, affinché l’agricoltura rie-sca ad accedere al mercato globale, è necessaria una formazione collettiva (mass training) della comunità agricola. La Danimarca riuscì in questo in-tento negli anni Quaranta del secolo scorso formando i propri agricoltori presso le volkskools, dove non solo i contadini, ma interi nuclei familiari ve-nivano aggiornati sui progressi tecnologici dei macchinari agricoli e sull’in-dustrializzazione dell’agricoltura nei Paesi vicini.

Nel loro libro How the West Grew Rich, Nathan Rosenberg e L.E. Birdzell4 evidenziano l’importanza della crescita condivisa. L’esportazione della bir-ra tra Germania e Danimarca ha migliorato le infrastrutture dei trasporti che collegano i due Paesi, mentre la costruzione di un ponte ha permesso di estendere fino alla Svezia il cluster farmaceutico della Medical Valley da-nese, apportando benefici a tutte le comunità presenti sul territorio. Attra-

4 N. Rosenberg e L.E. Birdzell, How the West Grew Rich, New York, Basic Books, 1985.

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verso scambi commerciali e il co-apprendimento, le nazioni assorbono le reciproche e principali competenze e costruiscono partenariati più forti, aperti e collaborativi, che lasciano poco spazio al conflitto.

Per raggiungere gli SDGs in Africa, è necessario che i leader abbiano una visione più ampia rispetto ai loro mandati e decidano di contribuire attiva-mente allo sviluppo sostenibile già a livello rurale-regionale. La costruzione cogestita di ponti e infrastrutture tra comunità precedentemente divise, da parte degli stakeholder delle imprese, porterebbe benefici alle economie vicine.

La necessità di un consenso pubblico

Nei casi in cui sia la leadership sia l’allocazione dei fondi statali siano gestiti in modo discrezionale, è necessario che i popoli si facciano portatori di una domanda di progresso e trasparenza.

Quando Calestous Juma, professore dell’Università di Harvard, parlò delle ricadute positive dell’innovazione tecnologica sulla geografia africa-na, pensava alla Kenyan Tech Valley e al suo impatto sul mercato nigeriano. Riuscì a prevedere quello che fino a poco tempo prima era considerato un evento improbabile: il sodalizio tra le app e i sistemi sviluppati dai kenyoti e il fiuto nigeriano per gli affari. Nelle imprese indigene come la Cellulant (Kenya e Nigeria), il progetto per la diffusione dei fertilizzanti ha permesso a un numero maggiore di contadini di accedere alle sovvenzioni per questi prodotti, incrementando la produttività agricola dei rispettivi Paesi. Ades-so gli agricoltori sanno che è possibile definire dei calendari digitali per la semina e accedere ai sussidi per i fertilizzanti. Ora ci si deve assicurare che i progressi continuino. Attraverso le piattaforme di cross-learning e le oppor-tunità di partenariati regionali, l’Africa si sta rapidamente preparando a sfruttare queste opportunità di formazione.

I popoli devono avere anzitutto fiducia nella possibilità di un cambia-mento positivo. Hanno bisogno di sapere che possono avere un ruolo fon-

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damentale nella crescita globale e che i popoli possono unirsi. Non possia-mo parlare dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile se gli abitanti dei villaggi non sanno come esercitare i loro diritti umani fondamentali. La democra-zia e il consenso pubblico costituiscono la base della struttura socio-poli-tica necessaria per il raggiungimento degli obiettivi sostenibili. Il consenso pubblico deve avere una solida base culturale ed essere concesso ai leader che abbiano un senso di responsabilità superiore al loro periodo elettorale e al calendario politico. La fiducia delle comunità tribali potrà essere loro accordata solo quando saranno adeguatamente formati e pronti a fare degli investimenti a lungo termine per avviare l’Africa verso un percorso di crescita. Il rapporto tra singoli, tribù e leader potrà essere tradotto in obiettivi tangibili per le imprese intenzionate a promuovere la crescita del mercato attraverso importanti catene di fornitura.

Tra valori antichi e sistemi moderni, questi leader informati dovranno comprendere l’importanza di comunicare attraverso i canali di governance tradizionali. Dovranno impegnarsi a trovare analogie e convergenze strate-giche per soddisfare «la domanda non ideologica di efficacia ed efficienza» del popolo. Saranno un anello cruciale di congiunzione tra gli SDGs, la crescita socio-economica e gli FDI (Investimenti Esteri Diretti), rendendo lo sviluppo sostenibile uno sforzo comunitario globale con soluzioni con-divise.

Nei primi anni Duemila, l’azione diplomatica condotta dalla British American Tobacco Iseyin Agronomy (BATIA) ebbe un ruolo determinante nello sviluppo delle coltivazioni di tabacco nell’area sud-occidentale del-la Nigeria. Finanziando la formazione finalizzata all’uso di metodologie agricole avanzate, alle infrastrutture agricole e al business management, l’impresa riuscì a ottenere politiche favorevoli allo sviluppo agricolo della zona. La costruzione di una fabbrica del valore di alcuni milioni di dollari a Ibadan (la città più grande a Sud del Sahara) aumentò in misura espo-nenziale la manodopera specializzata e il trasferimento delle skill in quella parte del Paese. L’attenzione dedicata alla costruzione di strade, alla di-sponibilità di energia elettrica e allo sviluppo edile fu il risultato dell’impe-

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gno congiunto tra Stato e impresa. Tutto questo fu possibile facendo leva sulla leadership Yoruba e rispettando lo spirito del progetto attraverso la partecipazione degli stakeholder e delle comunità. Ne risultò un boom eco-nomico replicabile nei cluster agricoli di tutto il Paese per le coltivazioni di altri prodotti, come il cacao, la gomma, l’olio di palma, la manioca, il mais e le arachidi.

Ampliando i distretti industriali, realizzando prodotti di interesse globa-le e catene di valore attraverso il continente, l’Africa potrà partecipare agli scambi commerciali a livello mondiale, facendo leva sul suo popolo e sulle competenze delle imprese. La crescita economica e il conseguente sviluppo industriale darebbero lavoro ai giovani africani, fermandone la fuga nel de-serto tra pericoli mortali, e alleviando la pressione sui Paesi europei causa-ta dagli arrivi continui di imbarcazioni piene di migranti africani alla ricerca di condizioni di vita migliori. L’allocazione più equa delle risorse pubbliche e la gestione etica dei fondi pubblici saranno il primo passo per restituire dignità al popolo africano.

Ogni singolo ecosistema economico deve essere valutato nel quadro del suo contesto storico, evitando una generica categorizzazione. L’equità è ne-cessaria, ma non può prescindere dalla coesione sociale, affinché i «gover-nati» siano consapevoli del loro ruolo di cittadini globali. Sfruttare lo svi-luppo sostenibile per il progresso dell’Africa significa utilizzare le tecnologie disponibili adattandole al contesto africano. Solo nel momento in cui le soluzioni scelte saranno applicabili all’abitante dei villaggi, potremo assiste-re a un autentico progresso e confidare in un miglior punteggio nel 2030.

Il focus su STEM5 e il ruolo dell’industria creativa in Africa

Quando la pianificazione diventa pubblica, le imprese possono be-neficiare dall’innovazione locale, sponsorizzare o sostenere la cresci-

5 L’ acronimo inglese STEM si riferisce alle discipline accademiche della scienza, della tecnolo-gia, dell’ingegneria e della matematica (N.d.T.).

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ta imprenditoriale e migliorare l’economia locale. La reputazione delle imprese deriva principalmente dal coinvolgimento delle persone, che a loro volta premono sul governo o sui capi locali, spingendoli a parte-cipare ai progetti con fondi gestiti dallo Stato a favore delle comunità. L’errore comune di allocare i finanziamenti soprattutto in progetti non sperimentali ha messo molti imprenditori innovativi alla mercé di perso-naggi poco affidabili. La presenza di corporate partner in settori collegati e complementari permette ai leader di richiedere fondi sicuri per sostenere gli imprenditori innovativi, le cui idee possono avere un impatto diretto sulle economie locali. Analogamente, avere come partner gli imprendito-ri locali permette alle imprese di partecipare al processo di policy making fin dall’inizio, aumentando le possibilità di un esito positivo. Nella fase di concezione del progetto, l’esperienza e il codice etico delle imprese possono rappresentare un punto di riferimento per l’operazione e per-mettere ai co-stakeholder di modificare, riorganizzare o aggiustare le policy per bypassare l’approccio neo-patrimonialistico e ottenere dei benefici per la comunità.

In Africa il linguaggio dei creativi ha un ruolo importante nella comu-nicazione sociale, testimoniato dall’impatto crescente dei termini coniati dalle menti creative per descrivere alcuni comportamenti dell’ambito so-cio-politico e per tradurre le politiche in parole comprensibili alle persone comuni. In tutto il mondo, i leader politici e le imprese hanno sfruttato la creatività artistica per influenzare e convincere la popolazione. In Nigeria, l’industria cinematografica locale Nollywood è stata usata per aumentare la popolarità dei politici e per svolgere azioni mirate a ottenere il soste-gno delle comunità, informando ed evidenziando i progressi compiuti e i traguardi raggiunti, e promuovendo ideali, concetti e prodotti presso il pubblico.

Il mondo digitale di oggi permette di raggiungere un pubblico molto più vasto che in passato. Per sfruttare questo vantaggio, i leader politici e le imprese devono unire i loro sforzi per un’efficiente diffusione bottom-up delle informazioni importanti riguardanti lo sviluppo, dalle comunità rurali

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fino ai principali media e alle piattaforme digitali. Quando il bilancio degli Stati nigeriani fu digitalizzato e reso pubblico nei primi mesi del 2018, la maggior parte dei nigeriani lo vedeva per la prima volta. Ciò che era stato accessibile solo agli specialisti e agli addetti ai lavori poteva essere visto e letto dai cittadini normali, le cui vite e le cui decisioni dipendono anche da questi numeri. L’accesso a tali informazioni ha sollevato alcune domande da parte della cittadinanza e la conseguente apertura di nuovi canali di co-municazione ha permesso al pubblico di incominciare a capire cosa avviene a livello comunitario. Si prevede che in futuro lo sviluppo di una cultura tardo-moderna di feedback possa servire a creare un indice di accountability per valutare i leader al governo.

Gestione strategica delle strutture tradizionali con adattamenti moderni

Per comunicare con i diversi popoli dell’Africa, i leader dovranno parlare una lingua comune a tutti. L’uso delle lingue indigene è utile all’inizio per ri-volgersi a un ampio segmento della popolazione e per raggiungere la gente comune. Le catene del valore delle ONG e dei centri di assistenza sanitaria che interagiscono con le comunità rurali possono svolgere un ruolo impor-tante per fornire informazioni sullo sviluppo.

La realtà digitale africana riflette una società divisa in due: da un lato ci sono coloro che le imprese correttamente definiscono i Cosmocrats, cittadini aristocratici e cosmopoliti, noti influencer e abili netizens. Dall’al-tro c’è la popolazione rurale, il segmento più numeroso, che non ha ac-cesso all’informazione digitale, non possiede una consapevolezza socio-politica autodeterminata, ma è tuttavia in grado di esercitare un impatto molto forte sulla società tradizionale e spesso decide il successo o il fal-limento di un progetto con il semplice passaparola. La chiave per avviare l’Africa sub-sahariana verso la crescita socio-economica è l’opportuna identificazione e utilizzo dei suoi cluster per diffondere la conoscenza degli SDGs e per definire correttamente l’impronta ecologica della co-munità.

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I cluster economici si formano sempre in modo spontaneo, salvo nelle situazioni in cui alcuni gruppi di persone vengano assegnati ad aree spe-cifiche in seguito ad azioni mirate del governo. La creazione di aree indu-striali e di cluster commerciali è un esempio di creazione mirata di uno di questi. In tutti gli altri settori, i cluster sono creati dal movimento sponta-neo delle persone per ragioni sociali o commerciali. In Italia, per esempio, la legge Gelmini del 2010 promuove la diversità e lo scambio culturale riservando il 20% delle nuove cattedre universitarie ai docenti stranieri, permettendo così la formazione di nuovi cluster culturali all’interno della comunità accademica italiana. I cluster africani possono essere identifi-cati per tipologia e scopo in modo analogo. Quelli delle comunità noma-di seguono un modello diverso e necessitano di un approccio differente per promuovere la comunicazione e la partecipazione all’interno del par-ticolare tipo di comunità.

Figura 4. Il cluster naturale della comunità.

Lingua e cultura originali

Crescita dei cluster concentrati

Contagio minimo

Formazione dei cluster naturali

Influenza

socio

lingu

istica

(unidire

zionale

)

GroundZero

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La chiave per la gestione strategica del cluster è la trasformazione della tradizione in uno strumento moderno teso allo sviluppo socio-economico. Per sfruttare questi poteri intermedi, le corporate e i privati dovranno fare investimenti diretti nella cultura e nelle attività commerciali, prestando un’attenzione particolare all’Anello Medio Mancante (l’anello imprendito-riale) nei Paesi interessati. La soluzione olistica arriverà dall’allineamento tra la formazione STEM6, importante per l’industria, e quella umanistica, promossa dagli imprenditori culturali, uniti su entrambi i fronti per ele-vare il livello culturale della popolazione e realizzare un’«immersione cul-

6 Vedi nota 4.

Figura 5. Il cluster della comunità nomade.

Linguaggio e cultura originali

Crescita del cluster (interno)Formazione cluster nomade

Influenza

socio

lingu

istica

GroundZero

Nota: Mappa del cluster socio-economico eseguita per lo Sloan Regional Entrepreneurial Acceleration Lab del MIT (REAL 15.505) nel gennaio 2013 con la Professoressa Fiona E. Murray.

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turale» che permetta a tutti gli stakeholder di comunicare con le comunità locali.

Gestire l’evoluzione della povertà in Africa

L’azione strategica per la crescita socio-economica dell’Africa deve af-frontare il problema della povertà nella prospettiva di sradicarla. Come ci insegna il proverbio Yoruba, «la povertà impedisce all’occhio affamato di intendere la ragione». È fondamentale che l’impegno globale per il bene dell’Africa tenga conto del concetto di orgoglio nei valori tradizionali, e che gli SDGs – come gli altri concetti globali – riescano a mettere in comuni-cazione la leadership con le forti radici comunitarie, adattando i processi tradizionali ai requisiti di trasparenza e responsabilizzazione.

Il passo successivo sarà un progetto equivalente a quello delle volkskools danesi per formare i popoli e i loro leader nella gestione delle risorse e nel processo di responsabilizzazione, affinché vi siano persone adeguatamente informate sugli SDGs per occupare le posizioni pubbliche e per definire gli standard necessari a una collaborazione globale nell’ambito culturale, commerciale e industriale.

«In una nazione i cui leader non credono nella protezione ambientale, lo sviluppo sostenibile è un’illusione», ha detto Ebele Jonathan Goodluck, ex Presidente della Nigeria.

Solo tenendo conto degli aspetti culturali dello sviluppo africano, senza arroganza o preconcetti stereotipati, si potrà mettere il vasto tesoro delle culture dell’Africa a disposizione dello sviluppo delle comunità sub-saha-riane di oggi.

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Figura 6. Evoluzione della Povertà.

80%

60%

40%

20%

0

Cina India

Tassi di povertà estrema

Mondoin via di sviluppo

Africasub-sahariana

1981 1990 1999 2010

Funké Michaels è Mason Fellow presso l’Università di Harvard a Boston (John F. Kennedy School of Government) e, in precedenza, lo era stata della Sloan School al MIT. Ha un’esperienza ventennale nell’ambito della pubblicità, nel marketing e nella risoluzione dei conflitti di importanti imprese internazionali.