PRIMO PIANO Francesco Troiano: “Anche le imprese non ......2 27 Dicembre 2009 Lettera aperta del...

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PRIMO PIANO RUGBY “Occorre un campo in terra battuta” RELIGIONI Insieme a mormoni e pentecostali SCREENING L’Asp avvia la ricerca oncologica 7 GIORNI La Civetta va in vacanza 11 10 16 Gesù nasce in una discarica Il vescovo Pappalardo: “Sono con gli ultimi” A PAGINA 5 (Perna) SERATA INTERRELIGIOSA Domenica 27 Dicembre 2009 Anno 1, n. 13 • Settimanale gratuito di fatti e di opinioni • Reg. Trib. di Siracusa n°1509 del 25/08/2009 • E-mail: [email protected] • Direttore: Franco Oddo • Vicedirettore: Marina De Michele edizione online: www.lacivettapress.it “Siracusa non può subire altri tagli” PAG.2 (Alosi) CGIL SCUOLA “Tra poco apriremo uffici in Albania” PAG.4 (Mainenti) DISTR. MECCANICA Dovrà risarcire doni fatti per 300ml euro PAG.5 LOMBARDO Molti istituti trasformati in progettifici con risorse PON, POR, FSE. A PAG. 15 (Bruno) Scuole Progettificio Anzitutto il cimitero, poi palestre, scuole di danza, Ortigia e pub. A PAG. 15 (Lanaia) I luoghi L’amore Le decisioni assunte senza alcun confronto aperto con la città. PAGG. 8-9 (De Michele) Visentin Porti turistici Oggi si insiste sul fatto che non esiste più la licitazione privata ma si deve pure am- mettere che i pubblici incan- ti hanno ormai poco o nulla di trasparente: innanzitutto perché è possibile presenta- re l’offerta dopo l’istanza di partecipazione. A questo si aggiunge il fatto che le gare possono essere sospese e poi riprese: non sono più soggette al vincolo della continuità. PAG. 7 (Privitera) L’avvocato Corrado Giuliano, uno dei promotori della nascita di questo studio legale: “Pun- goleremo le amministrazioni perchè rilescino i permessi di soggiorno entro i venti gior- ni perevisti e non dopo molti mesi, quando sono già scaduti”. A PAG.12 (La Leggia) Ventitre avvocati difendono i migranti “Nelle aste pubbliche non c’è più nulla di trasparente” Francesco Troiano: “Anche le imprese non sono soddisfatte da questo sistema”

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PRIMO PIANO

RUGBY“Occorre uncampo interra battuta”

RELIGIONI Insieme a mormoni epentecostali

SCREENINGL’Asp avviala ricercaoncologica

7 GIORNILa Civetta vain vacanza

11

10

16Gesù nasce in una discaricaIl vescovo Pappalardo: “Sono con gli ultimi”

A PAGINA 5 (Perna)

SERATA INTERRELIGIOSA

Domenica 27 Dicembre 2009Anno 1, n. 13• Settimanale gratuito di fatti e di opinioni • Reg. Trib. di Siracusa n°1509 del 25/08/2009

• E-mail: [email protected] • Direttore: Franco Oddo • Vicedirettore: Marina De Michele

edizione online: www.lacivettapress.it

“Siracusanon può subire

altri tagli”PAG.2 (Alosi)

CGIL SCUOLA“Tra poco

apriremo ufficiin Albania”

PAG.4 (Mainenti)

DISTR. MECCANICADovrà risarcire

doni fattiper 300ml euro

PAG.5

LOMBARDO

Molti istituti trasformati in progettifici con risorse PON, POR, FSE.

A PAG. 15 (Bruno)

ScuoleProgettificio

Anzitutto il cimitero, poi palestre, scuole di danza, Ortigia e pub.

A PAG. 15 (Lanaia)

I luoghiL’amore

Le decisioni assunte senza alcun confronto aperto con la città.

PAGG. 8-9 (De Michele)

VisentinPorti turistici

Oggi si insiste sul fatto che non esiste più la licitazione privata ma si deve pure am-mettere che i pubblici incan-ti hanno ormai poco o nulla di trasparente: innanzitutto perché è possibile presenta-re l’offerta dopo l’istanza di

partecipazione. A questo si aggiunge il fatto che le gare possono essere sospese e poi riprese: non sono più soggette al vincolo della continuità.

PAG. 7 (Privitera)

L’avvocato Corrado Giuliano, uno dei promotori della nascita di questo studio legale: “Pun-goleremo le amministrazioni perchè rilescino i permessi di soggiorno entro i venti gior-ni perevisti e non dopo molti mesi, quando sono già scaduti”.

A PAG.12 (La Leggia)

Ventitre avvocatidifendono i migranti

“Nelle aste pubbliche non c’èpiù nulla di trasparente”

Francesco Troiano: “Anche le imprese non sono soddisfatte da questo sistema”

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2 27 Dicembre 2009

Lettera aperta del segretario provinciale FLC Cgil ai deputati regionali e nazionali

CGIL: “Il sistema scolastico della nostra provincia non può più sopportare altre riduzioni del servizio”

Onorevoli Deputati e Onorevoli Senatori,con questa lettera la Federazione Lavoratori della Conoscenza CGIL di Siracusa vuole portare alla Vostra attenzione le diffi-coltà che la scuola italiana in generale e quella siracusana in particolare si trovano ad affrontare alla luce dell’effettiva ap-plicazione della prima tranche di riduzioni di risorse per effet-to sia della legge 133/2008 che di altri provvedimenti legisla-tivi. Il piano di risparmi previsto dalla citata legge determinerà nel triennio di riferimento una riduzione nel Paese di 87.341 docenti e 44.500 ausiliari, tecnici e amministrativi. Nella sola nostra provincia, la previsione di riduzione è di 1200 docen-ti e 600 unità di personale ATA. La prima parte dei tagli è già stata fatta nel corrente anno scolastico determinando con-seguenze gravissime anche nella nostra provincia sia sotto il profilo occupazionale (la riduzione ha già prodotto nel nostro territorio un taglio di 400 docenti e 200 ATA) che per quanto riguarda la didattica e l’offerta formativa. Infatti, si è prodotta una diminuzione del tempo scuola, delle discipline insegnate, degli spazi di flessibilità per tutte le attività di arricchimento e diversificazione dell’offerta (recupero, valorizzazione delle eccellenze, sostegno e integrazione), mentre sono aumentate le complessità sociali e culturali della nostra società. I vincoli im-posti all’amministrazione scolastica a livello territoriale sulla dotazione organica complessiva hanno, inoltre, comportato un aumento generalizzato del numero di alunni per classe, molto spesso oltre i parametri già elevati con i nuovi regolamenti, con diffuse situazioni oltre i 30 alunni per classe ed anche in presenza di più alunni con disabilità. Troppo spesso nelle nostre scuole non sono state rispettate le norme sulla sicurezza. I servizi amministrativi, tecnici ed ausi-liari di supporto sono al collasso e non più in grado di garantire il servizio. A fronte di 95 scuole disseminate nel nostro territo-rio, molte delle quali con pochissimi collaboratori scolastici e

dunque non in condizione di assicurare l’apertura, la vigilanza, la pulizia, è prevista nei prossimi due anni la riduzione di ul-teriori 400 posti in provincia, gran parte dei quali riguarderà il profilo del collaboratore scolastico. E’ evidente l’incompa-tibilità di questa previsione con il funzionamento del servizio pubblico.Inoltre, sul piano didattico e non solo, questo provvedimento ha già prodotto conseguenze devastanti sul versante del perso-nale docente di ruolo determinando mobilità forzata con con-seguente lesione della continuità didattica per gli allievi e, per molte migliaia di precari, dopo anni di impegno nella scuola, l’impossibilità di continuare ad avere un lavoro e uno stipen-dio. La situazione si aggraverà ancora, considerato che, nei prossimi due anni, sono già previsti ulteriori tagli di personale, secondo quanto stabilito dalla legge 133/2008. Se si vuole evitare la paralisi del sistema è urgente che questi tagli di organici e di fondi siano immediatamente fermati. In-fatti, il sistema pubblico di istruzione del Paese e della nostra provincia non sono più in grado di sopportare ulteriori riduzio-ni del servizio.Per queste ragioni, approssimandosi la discussione sulla legge finanziaria 2010, si chiede un Vostro intervento affinché:• siano rivisti e cancellati quegli “obiettivi di rispar-mio” che stanno mettendo in ginocchio la scuola pubblica ita-liana con particolare accanimento nei confronti delle regioni meridionali;• sia predisposto un piano triennale di assunzioni a tem-po indeterminato per personale docente educativo e ATA su tutti i posti liberi in organico di diritto;• siano stanziate risorse adeguate per i rinnovi contrat-tuali.La FLC CGIL chiede, inoltre, che si apra un tavolo di con-fronto sulle nostre proposte relative alle dotazioni organiche

di ROBERTO ALOSI*

del personale scolastico, alle risorse finanziarie e al precariato. L’istruzione è alla base dello sviluppo economico, politico e sociale di un paese e perciò deve essere oggetto di investimenti e di interventi di qualificazione. La FLC CGIL chiede, per queste ragioni, la Vostra collabora-zione e il Vostro impegno per il futuro del paese e per il futuro delle prossime generazioni.

*Segretario Generale FLC Cgil Sr

Una serie di video su Youtube mettono in dubbio l’aggressione al premier

Berlusconi fu ferito, fu ferito a una guanciaBerlusconi che comanda, che comanda il pdl

di MARINA DE MICHELE

La prima reazione è di incre-dulità, di totale scetticismo. Si può non stimare l’uomo, avere mille riserve sulle sue capacità imprenditoriali, es-sere convinti che arricchi-menti improvvisi siano giu-stificabili solo se inseriti in un certo contesto, essere certi che l’unico suo obiettivo sia se stesso, inizio mezzo fine di ogni azione, di ogni pensie-ro, ma non si riesce a credere che si possa arrivare a stru-mentalizzazioni di tal fatta, che si sia capaci di ordire una tale farsa, avere fino a que-sto punto una totale assenza di rispetto verso il prossimo ritenuto meritevole di qual-siasi menzogna, avere un tale senso dell’impunità, oltre che dell’immunità, da ritenere di poter coinvolgere in una grot-tesca messinscena un numero imprecisato di comprimari: gli uomini della Fininvest utilizzati come guardia del corpo al di fuori di qualsiasi norma o protocollo, i came-ramen presenti sul posto, il proprio medico curante come infermieri e altro personale del San Raffaele e via discor-rendo.Eppure quei tanti video che ogni giorno si affollano nu-merosi sul network più poten-te del globo stanno là a dirti:

credi alle parole o a ciò che vedi?Sappiamo che a volte anche gli occhi ingannano, che an-che gli Americani hanno do-vuto riconoscere la falsità di quella strana istantanea scat-tata sul suolo lunare, eppure una volta che il dubbio si è in-sinuato nella mente è difficile allontanarlo.I fermo immagine sono una prova che appare inconfutabi-le: l’oggetto che non si vede se non stretto nella mano dell’aggressore (che fine ha fatto? di quale materiale era, ferro o gomma?), quel fazzo-letto portato immediatamente alla guancia: ma perché nero se ricordiamo i tanti fazzo-letti bianchi del premier su cui restano in genere le trac-ce evidenti di un esagerato maquillage? Ma come mai immediatamente disponibile? Ma se l’effetto è stato la rottu-ra del setto nasale, se addirit-tura sono partiti due incisivi, come mai si è coperta proprio la guancia e non gli altri punti ben più sensibili?E il sangue? Come mai non esce subito? Chi ha esperien-za di colpi violenti al naso sa bene quale fiotto di sangue ne possa scaturire, quale sia il dolore acuto che si prova, le tumefazioni che lascia. Dove

sono i segni di tutto questo? Scompariranno del tutto sotto i bisturi di un esperto chirur-go? Come mai il collo del-la camicia è rimasto bianco immacolato come quando è uscita dal cassetto del guar-daroba?E poi perché tornare veloce-mente in macchina spinto di impeto dai “suoi” uomini per poi, dopo qualche minuto, tornare fuori per rimontare su quel famoso predellino a mo-strare un volto sanguinante, anzi macchiato di sangue già rappreso, rintuzzando i ten-tativi della guardia del corpo che alza verso di lui un in-dumento quasi a volerlo pro-teggere o coprire da sguardi indiscreti?E cosa ha in mano nella macchina quell’altro uomo? Cos’è quello strano aggeggio di ferro luccicante? È vera-mente una sorta di bombolet-ta da cui spruzzare sangue fin-to? E come mai appare sotto l’occhio un segno che prima di entrare in macchina non c’era? E perché in alcuni scat-ti la bocca appare sanguinante e in altri i denti risplendono smaglianti?Ma poi subentra la raziona-lità: tutto discutibile, è vero? Ma forse che non hai visto an-che il lancio della statuetta del

duomo? Non hai visto quei tre tentativi mentre Massimo Tartaglia prende la mira? Sa-ranno sfuggiti alle guardie del corpo improvvisamente di-mentiche del loro compito ma tu li vedi al ralenty, al fermo immagine? Ne vuoi negare l’esistenza?Gesti innegabili: li ho visti, certo non ho visto l’oggetto colpire il volto, non ho visto qualcuno che lo raccoglieva, che ne mostrava fattura e ma-teriale, ma il lancio l’ho visto. Così come i video del mondo libero di youtube consentono di vedere quello strano perso-naggio con le cuffie alle orec-chie che, a un passo da Tarta-glia, sembra dirgli qualcosa. Non abbiamo soluzioni, non siamo noi a doverle dare. Noi registriamo, divulghiamo, facciamo conoscere nella cer-ta convinzione che chiunque abbia cervello per vedere per comprendere per giudicare. Sappiamo solo che eventual-mente, prima della magistra-tura, devono essere i nostri rappresentanti politici ad ave-re il coraggio di raccontare le cose come stanno, anche a rischio di essere definiti anti-taliani, comunisti e sfascisti. Mentre restiamo in attesa del-lo scatto di dignità sulla rete le risposte ai dubbi.

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327 Dicembre 2009

Avv. Pierfrancesco Rizza: “La raccolta differenziata ferma al 4% è di facciata, non serve a niente”

“Il Comune metta a pagamento tutti i parcheggi del centrocontrolli e multi le auto posteggiate in doppia e tripla fila”

di ISABELLA MAINENTI

Se vi si chiedesse di dire la prima parola che vi viene in mente in riferimento al problema dell’inquinamento nella nostra città, cosa direste? E’ ovvio, la risposta sarebbe ‘zona industriale’. Chi potrebbe negarlo e soprattutto, chi potrebbe rispondere in maniera diversa? In effetti è risaputo che se la nostra Siracusa non è con-siderata una città-benessere modello dalle classifiche de Il Sole 24 Ore è anche merito del polo industriale che riempie le nostre giornate di aria sana e pura. Ma il problema dell’inquinamento non si risolve qui, cioè non è limitato alla sola zona industriale. Ci sono infatti aspetti della questione che ci riguardano molto più da vicino e di cui ognuno di noi è responsabile. Certo non si tratta di qualcosa di inquinante come le ciminiere di Priolo, ma di certo non è comunque possibile sottovalutare le conseguenze dei nostri atteggiamenti e comportamenti quotidiani in fatto di ambiente. Parliamo a tal proposito con l’avvocato Francesco Rizza che oltre di problemi di ambito civile si occupa nel proprio lavoro anche di problemi dell’ambiente. Quali sono i problemi di Siracusa in fatto di ambiente al di là di quelli legati alle industrie?“Abbiamo un sistema di trasporto urbano che sicuramente è am-ministrato con un criterio vetusto e un sistema di mobilità all’in-terno della città che è folle. Nel senso che si è venuto a creare un circolo vizioso perché il cittadino da una parte non è incentivato a usare il mezzo pubblico, poiché i parcheggi a pagamento hanno una quota ristretta e quindi si ha più convenienza a uscire con la macchina, dall’altra è disincentivato a usare il mezzo pubblico perché questo non gli dà garanzie di corse e orari. L’Ast, dal canto suo, dice che si hanno difficoltà a rispettare orari e percorsi perché le strade sono quelle che sono e c’è troppo traffico veicolare. E’ come un cane che si morda continuamente la coda. Nella realtà dei fatti il problema è che l’Ast chiaramente non è in grado di svolgere un servizio pubblico serio per quelle che sono le esigen-ze di una città come Siracusa. L’altra assurdità è il sistema dei parcheggi”. L’avvocato fa riferimento alla situazione siracusana reale: gente che lavora per l’intera mattinata in negozi o uffici e che quindi per tutto il tempo dell’occupazione si appropria di un posto auto lasciando che il resto del traffico nel corso della giornata sia co-stituito da gente che come in un ‘limbo dantesco’ gira per trovare un ‘buco’ in cui lasciare il proprio mezzo. “Le macchine vanno messe in tripla fila e il mezzo pubblico viene scartato perché poco affidabile. L’amministrazione potrebbe allora fare la scelta di met-tere in centro tutti i parcheggi a pagamento come succede in tutte le città normali. E’ chiaro che quando tutti i parcheggi diventano a pagamento e si controllano le soste in doppia e tripla fila, allora la gente ci pensa tre volte a prendere la macchina. Perché il dramma non sono solo le macchine circolanti, ma soprattutto quelle messe in doppia fila”. E in effetti se proviamo a pensare, per esempio, a un corso Gelone senza macchine in doppia fila riusciamo pure a immaginare una strada a due corsie per ogni senso di marcia! E lo stesso vale per strade come viale Tica e via Tisia. “È importante poi individuare anche all’interno di vari e deter-minati quartieri (Ortigia, Neapolis) specialmente in certi periodi dell’anno dei sistemi di spostamento. In molte città, anche se un po’ più grosse, ci sono dei sistemi di navetta che girano proprio all’interno del quartiere per consentire alle persone per esempio di fare shopping. Sono gli stessi consorzi e l’amministrazione che organizzano questi sistemi. In Ortigia già ci sono, ma anche lì abbiamo grossi problemi. Però per fare girare le navette bisogna drasticamente diminuire il traffico veicolare perché altrimenti in-vece di migliorare si intasa ancora di più e l’unico modo per far ciò è quello di mettere tutti i parcheggi almeno in determinate fa-sce orarie a pagamento. Potrà sembrare una scelta impopolare, ma io sono convinto che alla fine la gente potrebbe anche capirla, ma solo se si rende conto che dall’altra parte c’è un servizio pubblico che gratifica e dà la possibilità di potersi spostare”.Altri problemi?“C’è la questione dei rifiuti. A paragone di città come Catania e Palermo noi viviamo in un’isola felice. Abbiamo però un appalto che comunque risale a quarant’anni fa. Come qualità ambientale siamo tra le ultime città perché siamo un centro che ha la raccolta differenziata al 4% e che non ha le infrastrutture per fare la stessa differenziata. Magari i cittadini si sforzano di fare la differenziata, ma all’atto pratico quando poi viene raccolta finisce tutta quan-ta in discarica indifferentemente perché non c’è la piattaforma polifunzionale per poter separare l’umido dal vetro, dalla carta, dalla plastica, dall’alluminio. Da parte dell’appaltatore si dice che anche se si facesse la raccolta differenziata si avrebbero enormi difficoltà perché il piatto di plastica viene conferito con i residui di cibo attaccati, la bottiglia di plastica con l’etichetta di carta per cui la plastica che poi si va a riconvertire non essendo pura non viene piazzata. In parte questo è vero. “Però in tante altre città dove la differenziata è a percentuali a due cifre non è che la gente prima di buttare i piatti di plastica li lava in lavastoviglie o prima di gettare la bottiglia di plastica vuota stacca l’etichetta e la pulisce. Evidentemente qui non hanno i macchinari necessari che servono proprio a purificare e pulire

la plastica. Quindi c’è una inadempienza del gestore da un lato e dell’amministrazione dall’altro, i quali non si dotano dei macchi-nari necessari per fare la raccolta differenziata seriamente e rigi-rano l’onere sulle spalle del cittadino. Evidentemente noi allora siamo a zero perché l’amministrazione è male organizzata ma la cosa più grave è che non viene detto ai cittadini che facendo una differenziata spinta si può risparmiare sulla TARSU. Noi paghia-mo una delle tariffe più alte d’Italia come TARSU, davanti a noi credo che ci siano solo 3 o 4 città in tutto il Paese”. La raccolta porta a porta potrebbe aiutare?“La raccolta porta a porta è sicuramente una proposta valida e interessante. L’amministrazione è da un anno che dice di iniziare la raccolta porta a porta in Ortigia, ma ancora non è partito niente. Sarebbe la cosa migliore adottare questa scelta anche perché gira voce che l’IGM abbia un esubero di dipendenti che potrebbero essere impegnati a fare questo tipo di raccolta.“Tutto questo permette di raggiungere due obiettivi: con la diffe-renziata levi spazzatura dalle strade e ne hai meno in discarica. Il terzo obiettivo collaterale e importante per i cittadini è quello di risparmiare sulla tariffa della spazzatura. Questi sono gli obiettive

della raccolta differenziata. Quella che noi facciamo al 4% è una raccolta di facciata, non serve a niente. Serve solamente a educare il cittadino perché poi in realtà viene scaricato tutto nello stesso posto. Io sono convinto che il cittadino si educa più facilmente e più velocemente se ha lo stimolo a risparmiare sulla tariffa”. A Floridia c’è l’idea di una torcia al plasma per lo smaltimen-to dei rifiuti…“Se noi parliamo di rifiuti dobbiamo seguire un percorso a cui deve corrispondere un’attività politica coerente, per differenziare e diminuire i rifiuti. Poi bisogna porsi il problema di dove vada a finire quello che rimane dopo il trattamento, la vendita, lo smal-timento dell’umido. Non è che perché è torcia al plasma non in-quina: inquina comunque. Non dobbiamo vivere di miraggi ma di cose concrete. Se io produco tanta spazzatura questa spazzatura come la devo trattare? Non si può bruciare tutto. Se la risposta è questa io non sono d’accordo. Anche perché bisognerebbe dimo-strare che i cittadini hanno da un’azione del genere un beneficio economico e un beneficio in salute. E una di queste due cose non si può dimostrare perché i bandi per questi termovalorizzatori (poi ritirati dal presidente Lombardo) prevedevano per la provincia di Siracusa un costo tonnellate/incenerimento che variava da un mi-nimo di 105 euro a un massimo di 115 euro a tonnellata. Oggi per conferire i nostri rifiuti alla discarica di Augusta paghiamo 95 euro. Per me cittadino qual è allora la convenienza di bruciare i rifiuti?”Come si possono educare i cittadini?“Il cittadino si educa gradualmente ma anche con gli incentivi perché solo con questi la gente risponde davvero positivamente, molto più di quando gli si dice ‘fate la differenziata perché è bel-lo!’. E’ chiaro che per fare una differenziata seria bisogna fare del-le isole ecologiche con i cassonetti per l’umido, per l’alluminio, per la carta come in tutte le città consentendo lo scarico giorna-liero solo per l’umido e lo scarico a giorni prestabiliti per tutto il resto. Secondo me è una favola il fatto che i cittadini non vogliono collaborare. E’ vero che ci vuole tempo per abituare la gente ma se mai inizi mai ci arrivi. L’incentivo è importante averlo all’inizio perché tu devi inserire nella vita della gente l’abitudine. Allora il cittadino farebbe la differenziata con la convinzione che tutti ci guadagniamo. Se il punto di partenza è fare la torcia al plasma allora no. Il cittadino che interessi ha a fare la differenziata? Tanto alla fine pago sempre lo stesso, tutto quello che prendo va a essere bruciato e allora se lo metto insieme o lo metto differenziato che cambia? Non serve a nulla e allora il cittadino trova inutile orga-nizzarsi con i diversi sacchi per la differenziata e la cosa diventa contraddittoria e senza senso”.

“Le centrali nucleari non risolvono il problema, il futuro è nel sole”

Rubbia: A Priolo 4 mila megawatt di solarein Spagna in costruzione impianti da 14 milaMentre il governo affretta i tempi per la costruzione di centrali nucleari e l’on. Ste-fania Prestigiacomo batte i pugni sul tavolo per avoca-re al proprio ministero l’iter autorizzativo degli impianti, forti critiche al progetto sono state espresse dal premio No-bel Carlo Rubbia, padre de-gli impianti a energia solare termodinamica, la cui prima realizzazione in Italia è in fase di realizzazione a Prio-lo. “Si sa dove costruire gli impianti? - ha detto Rubbia -, Come smaltire le scorie? Si è consapevoli del fatto che per realizzare una centrale occor-rono almeno dieci anni? Ci si rende conto che quattro o otto centrali sono come una rondine in primavera e non risolvono il problema, per-ché la Francia per esempio va avanti con più di cinquan-ta impianti? E che gli stessi francesi stanno rivedendo i loro programmi sulla tecno-

logia delle centrali Epr, tanto che si preferisce ristrutturare i reattori vecchi piuttosto che costruirne di nuovi? Se non c’è risposta a queste doman-de, diventa difficile anche solo discutere del nucleare italiano”. Secondo lo scienziato, “la strada promettente è piut-tosto il solare, che sta cre-

scendo al ritmo del 40% ogni anno nel mondo e dimostra di saper superare gli ostacoli tecnici che gli capitano da-vanti. Ovviamente non parlo dell’Italia. I paesi in cui si concentrano i progressi sono altri: Spagna, Cile, Messico, Cina, India Germania. Stati Uniti”.E proprio la Spagna è il pa-

ese che lo ha accolto a brac-cia aperta dopo la delusione dell’esperienza di Priolo. “La tecnologia a energia so-lare termodinamica, svilup-pata quando ero alla guida dell’Enea, a Priolo produrrà 4 megawatt di energia men-tre la Spagna ha già in via di realizzazione impianti per 14mila megawatt e si è di-mostrata capace di avviare una grossa centrale solare nell’arco di 18 mesi. Tutto questo mentre noi pas-siamo il tempo a ipotizzare reattori nucleari che avranno bisogno di un decennio di lavori. Dei passi avanti nel solare li sta muovendo an-che l’amministrazione ame-ricana, insieme alle nazioni latino-americane, asiatiche, a Israele e molti paesi arabi. L’unico dubbio ormai non è se l’energia solare si svilup-perà, ma se a vincere la gara saranno cinesi o statuniten-si”.

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4 27 Dicembre 2009

163 imprese di cui l’85% localizzate nel siracusano, il resto distribuito su Milazzo e Gela

Drago (Distretto Meccanica): “Due nostre società impegnate in Libia, tra poco apriremo in Albania

Dinnanzi a una crisi economica mondiale e al rischio retroces-sione, con dati Inps per niente lusinghieri nella nostra realtà territoriale, Siracusa ha da poco più di un anno ottenuto il privi-legio di ospitare il distretto in-dustriale della meccanica. Ciò è da imputare certamente al nuovo concetto di cooperazio-ne tra le imprese, fattore deter-minante per la loro crescita, e alle scelte strategiche messe in campo dalle stesse. L’industria meccanica italiana rappresenta uno dei settori più importanti della nostra economia e con-tribuisce, secondo una ricerca dell’Unicredit Corporate Ban-king e Federazione dei Distretti Italiani, al 7,5% del Pil nazio-nale. Ha conquistato una quota di produzione del 9% sul to-tale europeo e coinvolge circa 60.000 imprese (senza contare quelle artigiane) e oltre 1,5 mi-

lioni di lavoratori. Tra gli scopi principali della Federazione dei Distretti Italiani vi è quello di favorire la crescita delle reti per veicolare informazioni ed espe-rienze, utilizzando strumenti efficaci per lo sviluppo di azio-ni e progetti distrettuali comu-ni. Ma come si pone dinnanzi ai temi attuali il distretto della meccanica? Quali proposte si vogliono realmente mettere in campo nella nostra realtà? E con quali difficoltà le piccole e medie imprese si debbono mi-surare sul territorio? Ne abbia-mo parlato col presidente, dott. Guglielmo Drago.Dottor Drago quali sono le maggiori difficoltà con le quali vi dovete misurare?“Partiamo da un dato oggetti-vo: una forte crisi sta attana-gliando l’economia mondiale e la nostra realtà, intesa come Siracusa e Sicilia, ha risentito

delle congiunture economiche negative. E’ pur vero però che numerose aziende hanno ricer-cato sul mercato internazionale e nazionale nuove nicchie im-parando a cambiare mentalità culturale. Finora la parola si-nergia non era nel dizionario degli imprenditori, che tende-vano ad operare separatamente e non in concertazione tra loro; oggi, invece il passo importan-te per una collaborazione tra le imprese è un dato di fatto che ci ha spinto anche ad operare, a partire dal 2010, con la Libia. Altro punto di difficoltà è l’ac-cesso al credito e riteniamo che sarebbe utile un alleggerimento sugli indici di Basilea 2 renden-do il credito più flessibile per lo sviluppo della Sicilia e non solo; i rischi annessi sono quelli di ostacolare la sopravvivenza delle piccole e medie imprese che invece vogliono proseguire

gli investimenti e creare occu-pazione sul territorio”.Ci accennava ad investimenti in Libia.“Siamo in procinto di aprire a Tripoli la sede del Distretto della Meccanica Siciliana in un’area del Mediterraneo che consentirà alle nostre aziende associate di espandersi pro-duttivamente sfruttando così al meglio l’evidente favore con il quale la Libia sta attualmen-te vedendo evolvere i rapporti commerciali con l’Italia, frut-to delle intese tra i leader dei due Paesi. Secondo gli accor-di stipulati, due nostre società consortili opereranno l’una per la realizzazione di opere infrastrutturali nella città di Tripoli (metanizzazione della città, opere di ingegneria edile, gestione del ciclo dei rifiuti), l’altra per la ristrutturazione dell’Azzawiya, un’impresa di

di CONCETTA LA LEGGIA

raffinazione. Dopo due incon-tri sul territorio libico, siamo pronti a partire. A febbraio poi, avendo già avviato contatti con l’Albania, ci recheremo in loco per ulteriori approfondimenti e passaggi”. Quanto il distretto della mec-canica ha inciso ed incide sull’economia della nostra provincia? “I bilanci delle nostre aziende nel 2007 hanno prodotto un fatturato di 450 milioni di euro mentre quelli del 2008 sono pe-raltro in crescita con 520 milio-ni. Occupiamo 4000 dipenden-ti fissi ma la nostra capacità è quella di raddoppiare il numero dei lavoratori sia con l’indotto sia nei momenti di massima produttività. Il know-how del-le nostre aziende è riconosciu-to nel mondo per i 50 anni di cultura e specializzazione che abbiamo acquisito sul campo. Possediamo forte professiona-lità e specializzazione che ci consente di operare e di realiz-zare qualunque lavoro. Contia-mo 163 imprese di cui l’85% localizzate sul siracusano, il resto è distribuito su Milazzo e Gela”.Ritiene che la classe politica regionale e locale risponda alle esigenze delle vostre im-prese? “Certamente sarebbe meglio che la finissero di litigare per le poltrone e che centrassero la loro attenzione sui problemi veri e concreti del territorio. Prima litigi tra maggioranza ed opposizione, oggi scontri all’interno della stessa maggio-ranza e dentro l’opposizione! A livello regionale abbiamo comunque assistito ad un’azio-ne di continuità rispetto agli anni precedenti e siamo in attesa che finalmente i fondi della comunità europea pos-sano essere sboccati e dunque utilizzati dalle nostre aziende. L’assessore regionale Bufar-deci ha stanziato per i distretti produttivi 100 milioni di euro per l’innovazione, i servizi e gli investimenti, per migliora-re la relazione tra gli stessi e il nostro distretto, che risulta uno dei più attivi; presenterà, a breve, piani di filiera e progetti specifici per accedere ai fondi”.Dottor Drago qual è la vostra posizione sul rigassificatore?“Riteniamo la realizzazione dell’opera di estrema impor-tanza e siamo dispiaciuti delle

ulteriori perdite di tempo che si stanno verificando. Il rischio è che gli investitori scelgano di andar via ed investire su altri territori proprio come è acca-duto per il porto di Augusta. Abbiamo una burocrazia estre-mamente farraginosa che im-pedisce e rallenta lo sviluppo della nostra realtà e dell’intera regione mentre la realizzazio-ne del rigassificatore non solo creerebbe nuove opportunità occupazionali ma vedrebbe an-che il nascere di una “linea del freddo” che porterebbe un ulte-riore incremento di occupazio-ne e di investimenti. E’ chiaro che su un’opera tanto importan-te riuscire a trovare il consenso unanime sia alquanto difficile ma poiché i rigassificatori esi-stono in altre parti del mondo e ci risultano impianti sicuri consideriamo il rallentamento nella realizzazione dell’opera assolutamente negativo. Chi fa impresa non viene da Marte ma se il sito viene riconosciuto si-curo e l’attività idonea sarebbe il caso di avviare la realizzazio-ne dell’opera”.I dati sull’occupazione in Ita-lia ed in Sicilia sono sconfor-tanti: qual è la situazione oc-cupazionale nelle imprese del distretto?“Le nostre imprese stanno scon-tando una crisi internazionale che comunque è realmente forte in Sicilia e alcune aziende han-no dovuto far ricorso alla cassa integrazione ma è pur vero che quelle imprese che hanno avuto capacità di trovare commesse all’estero non hanno risentito del problema né hanno fruito di tale strumento”.Quali iniziative avete intra-preso e quali linee program-matiche sono in cantiere per lo sviluppo del distretto e dell’economia provinciale?“Intanto abbiamo in mente di realizzare aree specializzate e ben strutturate al fine di render-le fruibili sia per le opere che partiranno sia come aree d’ec-cellenza. Penso a Punta Cugno che, sistemata, potrebbe essere sfruttata per costruire pezzi che verranno trasportati via mare ed inoltre, poiché esiste a nostro avviso uno scollamento tra for-mazione scolastica e mondo del lavoro, pensiamo a una forma-zione locale mirata, a un centro di formazione dove i capocan-tieri siano i docenti col compito di formare i futuri tecnici”.

Il PD a Siracusa conta 1.500 iscritti e nessuna linea politica definita

Tesserati del Partito Democraticoautoconvocatevi spontaneamente

di SEBASTIANO DI MARIA

Il punteruolo rosso è un vorace animaletto che pre-dilige annidarsi nel tronco delle palme. Come il tarlo, rosicchia la parte interna della pianta, scavando tor-tuose gallerie sino a deter-minarne la morte. Si cal-cola che il fitofago, entro il 2015, distruggerà tutte le palme esistenti nella città di Roma. Un vero e proprio flagello. Qualcosa di simile, temiamo, stia accadendo nel Partito Democratico, tra-ballante a livello naziona-le, confusionario in Sicilia e inconsistente a Siracusa. Riavvolgiamo la pellicola e ricordiamo alcuni significa-tivi passaggi di questi due anni di vita del PD. Alle prima-rie del 14 ottobre 2007, più di tre milioni di persone inve-stirono Veltroni segretario nazionale del PD; per esprimere il voto (dettaglio non trascurabile) l’elettore fu obbligato a versare almeno un euro. Nel 2008 cade il governo Prodi e il PD, sebbene dato per favorito, perde le elezioni, sia pure dignitosamente, riportando un consenso del 33%. Passa un anno e, dopo un oceanico raduno al circo Massimo, Veltro-ni, inspiegabilmente, si dimette. La circostanza, ambigua nei suoi risvolti, non ha una plausibile motivazione: perché le dimissioni se il segretario aveva ricevuto un chiaro, ampio e diretto mandato da parte di militanti e simpatizzanti? Misteri della politica. E arriviamo alle primarie dello scorso ottobre con ancora tre milioni di votanti, obbligati questa volta a versare due euro. Dopo la scelta statutaria dei tre candidati, Bersani, a primo turno, la spunta su Franceschini e Marino. In Sicilia, nella contestuale competizione per l’elezione del segretario regionale, Lupo, pro-console di Franceschini, ha la meglio su Lumia e Mattarella. Dal primo vagito sono passati due anni abbondanti e, ad oggi, nessuno ha capito esattamente quale sia l’obiettivo politico del PD. Sui giornali e nei servizi radiotelevisivi appaiono quasi sempre le stesse facce (D’Alema, Finocchiaro, Bindi, Letta) che, a rimorchio di squallidi personaggi della maggio-ranza, puntualizzano, precisano, distinguono, auspicano e si riservano di valutare qualsiasi strampalata affermazione degli

interlocutori. Mai una con-troproposta politica chiara, semplice e comprensibile ai più! Anzi, in questi gior-ni, con imprudenti dichiara-zioni e successive smentite, esponenti di spicco (Letta, La Torre, D’Alema), in re-lazione ai processi in corso a carico del premier, hanno dato l’impressione di non essere contrari a contrattare strane norme ad personam (lodi costituzionali, legitti-mo impedimento ecc.). In-ciuci. In Sicilia le cose sono an-cora più ingarbugliate. Al-cuni esponenti del PD sono contrari a qualsiasi dialogo

con l’attuale Governatore, spalleggiato da una parte minori-taria del PDL, mentre altri non disdegnerebbero un appoggio esterno, magari con la nomina di qualche assessore di area PD. Il segretario regionale Lupo, dopo una iniziale contra-rietà a sostenere Lombardo, a seguito di ambigue valutazioni della segreteria nazionale, ha corretto il tiro trasformando il “no” in “ni”. Ma per che cosa? per qualche posto di sotto-governo? Qui a Siracusa è tutto più semplice: il PD è… in buone mani. I tre deputati regionali, anzi due, perché Bonomo è diventato rutelliano, non ci fanno mancare la dose quotidia-na di bellicose dichiarazioni su tutto: università, circuito, ospedali, autostrada ecc. Al Comune e nei Consigli di quar-tiere, ognuno va per conto suo, stringendo alleanze multi-colori. Organismi statutari? Sulla carta, in città, esistono tre circoli, segreteria cittadina, ufficio politico e quant’altro ma nulla di operativo. Il PD a Siracusa conta, a tutto luglio 2009, 1.500 tesserati e nessuna linea politica ben definita; non è stata mai convocata un’assemblea di circolo (ex se-zione), struttura di base indispensabile per la partecipazio-ne democratica e la disamina dei problemi reali. Poco male, sanno tutto gli on. Foti, Brancati e Consiglio. Prima che il punteruolo (più bianco che rosso) faccia collassare il PD, auspichiamo uno scatto d’orgoglio dei tesserati per discu-tere, con autoconvocazioni spontanee, lo stato di salute del partito. Tertium non datur.

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527 Dicembre 2009

Mercoledì 30 serata interreligiosa di solidarietà presente il vescovo e l’indomani cenone

Nella chiesa di Bosco Minniti Gesù nasce in una discarica“Alberi, animali, esseri umani esclusi, sfruttati e gettati via”

di MASSIMILIANO PERNA

L’ingresso centrale della par-rocchia di Bosco Minniti è un portone aperto sulla strada, una strada che attraversa il mondo, i suoi drammi, i suoi dolori, ma anche le speranze, i moltepli-ci colori dei sogni, il profumo raro ed essenziale della solida-rietà, quella più genuina, silen-ziosa ed operosa. Lo scorso 19 dicembre, in un freddo sabato invernale, chi entrava in quel-la chiesa, indipendentemente dalla propria fede, poteva re-spirare il calore di una comuni-tà che si tendeva la mano, che riempiva un’ora e mezza del proprio tempo a spendere pa-role necessarie e vere, interro-gandosi, a partire dai bambini, su quello che accade oggi nel mondo, sul senso profondo di ciò che il Natale dovrebbe rap-presentare. Padre Carlo D’An-toni, nel celebrare la messa, ha ribadito più volte la necessità di non stravolgere il messaggio del Vangelo, di non trasforma-re il Natale in quello che non dovrebbe essere, cioè una festa banale, ovattata, retorica, lon-tana anni luce da quella che fu la nascita di Cristo, una nasci-ta avvenuta in una mangiatoia fredda e buia. Una baracca, come quelle in cui oggi cerca-no riparo gli ultimi, gli invisi-bili della Terra, coloro che la società ha scartato, abbando-nato dietro di sé, senza curarsi del loro destino. Poveri, immi-grati, senzatetto, esseri umani per cui non c’è Natale, non c’è festa, ma una fredda solitudine che deve pure fare i conti con una società distratta, sprecona, individualista, ostile, trince-rata nel suo ghetto culturale e materiale, decisa a chiudere gli occhi davanti alla sofferenza, fingendo che non esista o che sia lontana, per evitare di sen-tirsi in colpa, per difendere avi-damente quel mondo dorato e spensierato, superficiale, in cui è conveniente rinchiudersi. Ma in questa chiesa di perife-ria l’unico mondo che esiste è quello reale, in cui gioia e dolo-re si incontrano e si accettano, si sostengono a vicenda. Gli es-seri umani sono al centro, sono nel cuore dell’azione di questa piccola comunità, ogni giorno, ogni ora, non solo a Natale. Ecco perché il presepe, inaugu-rato proprio sabato scorso, non poteva che essere diverso da tutti gli altri, svuotato di molte di quelle figure che campeg-giano nei modellini acquistati per abbellire le nostre case. Un presepe che vive nel cuore del-la parrocchia, proprio in fondo alla navata centrale, dove una volta vi era l’altare. Un prese-pe realizzato dai parrocchia-ni, guidati dal pittore Salvo Bonnici e dall’architetto Santi Bonnici, con l’aiuto decisivo degli immigrati, anche quelli di fede musulmana, e dei vo-lontari dell’associazione Arra-kkè. Un’opera che risponde ad una domanda ben precisa: “Se Gesù nascesse oggi, dove deci-derebbe di venire al mondo?”.

E la risposta è semplice, alme-no per chi conosce davvero, per fede o per cultura, il messaggio di Cristo: nascerebbe nel posto più povero del mondo, lontano dagli sfarzi, dalle luci scintil-lanti delle vetrine, in un luogo dotato di un forte valore simbo-lico. Gesù Cristo nascerebbe in una discarica. Così, nel presepe che abbraccia le attività natalizie di questa piccola parrocchia affacciata sul mondo, il Bambinello ci offre il suo primo sguardo e il suo primo respiro adagiato in un cencio, circondato da rifiuti di ogni genere, da immondizia, dallo spreco di ogni bene ter-reno, dall’inquinamento, ma anche dalla povertà degli uo-mini, da barboni ed immigrati sdraiati su panchine consunte, coperti alla meno peggio aspet-tando che passi la notte. Una discarica, il frutto di un pianeta in cui i potenti fanno a gara a chi conquista più territori, a chi ne inquina di più, violentando l’ambiente in nome del profitto, rifiutando egoisticamente gli accordi sul clima e sulle ener-gie pulite. I potenti della Terra decidono il destino di milioni di persone, si accaparrano ogni risorsa, privatizzano tutto, per-sino l’acqua, senza curarsi delle sofferenze e degli stenti vissuti dall’80% della popolazione mondiale, costretta a racimo-lare le briciole, materialmente e idealmente, in quelle disca-riche che diventano gabbie avvelenate, patiboli moderni. E l’ambiente distrutto produce miseria, fabbrica profughi, co-lonie di uomini e donne costret-ti a scappare via, a lasciare le proprie terre aride e martoriate, scippate loro da multinazionali senza scrupoli, come sta avve-nendo soprattutto in Africa. “La discarica – ci dice padre D’Antoni – incarna quella situazione in cui viene a tro-varsi ogni essere vivente: le piante, gli alberi, gli animali, ma soprattutto gli esseri uma-ni, esclusi, scartati, sfruttati e spremuti come dei limoni e, infine, gettati via. Il presepe rappresenta proprio questo. È la testimonianza di ciò che ac-cadde a Cristo, nato in una stal-la, perché rifiutato dalla città. E l’autorità politica del tempo, Erode, ebbe paura dell’annun-cio della nascita di un Re”. Oggi non c’è nemmeno questa paura, perché quell’annuncio viene neutralizzato in manie-ra subdola: “Il messaggio del Natale – prosegue padre Car-lo - viene banalizzato, depo-tenziato, castrato. Si sfrutta questo messaggio per fini mi-seri, vuoti, banali”. E ciò è la conseguenza di quanto avviene quotidianamente durante l’an-no. Perché Cristo nasce ogni giorno, respira con i polmoni dei poveri, vive dentro coloro che non hanno nulla. Cristo non è un’entità onnipotente che siede al di sopra del mon-do giudicando il bene e il male, ma è Uomo, vestito di carne e

di abiti semplici. Gesù Cristo, sia nell’accezione spirituale e religiosa dei credenti, sia in quella storica dei non credenti, è ultimo tra gli ultimi, profeta rivoluzionario che indica agli uomini la via della pace, della fratellanza, del rispetto, del-la solidarietà. E non potrebbe stare dalla parte di chi va con-tro l’uomo, di chi antepone la legge e il profitto al cuore e all’umanità. Gesù Cristo disse che “è più facile che un cam-mello passi dalla cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli”. In quella frase Cri-sto ha indicato in modo netto e

chiaro da che parte sta. Oggi la Chiesa deve fare la stessa scel-ta. In parte lo fa, in parte no. A Siracusa, il vescovo Pappa-lardo ha chiarito la sua posizio-ne. Egli sta con i poveri, con gli immigrati, con gli ultimi. Ha parlato di tolleranza e di Natale multicolore, ha accol-to senza esitazioni e con gioia l’invito della chiesa di Bosco Minniti, punto di riferimento per tanti immigrati e per tanti poveri di periferia, per una se-rata multicolore e interreligiosa all’insegna della solidarietà. Si svolgerà mercoledì 30 dicem-bre, alle 20.30, nella stessa par-

rocchia, dove tutti coloro che frequentano la comunità e che, durante l’anno, stanno accanto agli immigrati di ogni religio-ne, ai poveri, agli anziani soli, ai ragazzi di strada, passeranno una serata conviviale mangian-do insieme i piatti cucinati dai parrocchiani e gustandosi il piacere di stare insieme. “La presenza del vescovo – afferma padre Carlo - rappresenta una presa di posizione chiarissima, un’occasione per chiarire da che parte sta la Chiesa. Mon-signor Pappalardo passerà una serata con quei siracusani che bazzicano tutti i giorni nella

mia parrocchia e che, quotidia-namente, prestano attenzione alle situazioni di emargina-zione presenti in questa città”. Giorno 31, inoltre, sarà orga-nizzato un cenone di fine anno, nel quale saranno gli immigrati a cucinare i loro piatti tipici e tutti insieme si brinderà all’an-no nuovo. Una risposta forte, un gesto esemplare che viene dall’estremo Sud d’Italia, un evidente segno di condanna di fronte a chi, con ostentata crudeltà ed immoralità, parla di “bianco Natale” oltraggian-do Cristo e i suoi compagni di strada.

Per la Corte dei Conti spesa incongrua e non rivolta all’esterno

Regali per 300mila euro ai deputatiLombardo dovrà risarcire la Regione

Ha messo per iscritto che pagherà tutto lui, di tasca propria. E costerà di certo cara, a Raffaele Lombardo, la generosità con cui giusto un anno fa attinse dalle casse regionali per fare i regali di Natale a deputati, dirigenti regionali, gior-nalisti. In una lettera alla Procura regionale della Corte dei conti, ora il governatore si è detto disponibile a rifondere l’amministrazione. Lombardo ha deciso di rimborsare la cifra illegittimamente spesa per l’acquisto dei cadeaux sul quale la magistratura, nel marzo scorso, aveva aperto un’in-chiesta. Nell’elenco dei doni natalizi figuravano 90 paia di gemelli con lo stemma dell’autonomia, omaggiati a deputati e assessori. Costo: 358 euro a pezzo. C’erano poi 70 palmari Blackberry (390,83 euro più Iva) recapitati ai giornalisti, 39 cravatte e cinque sciarpe di seta per i dirigenti regionali (da 50 a 84 euro). Ma gli uffici di Lombardo, in quell´occasione, acquistarono pure due teste in ceramica dei discendenti della famiglia reale Borbone (115 euro l´una), tre cupole sempre in ceramica (308 euro l’una), e ancora bottiglie di vino, ce-stini natalizi, confezioni di prodotti tipici.Il consigliere della Corte dei conti Tommaso Brancato, sin dal primo minuto, aveva mosso due rilievi a Palazzo d’Or-leans: l’incongruità della spesa, che in questi casi per buona prassi deve essere di «modica entità», e la violazione del concetto di rappresentanza. L’attività di rappresentanza, in particolare, deve essere rivolta all’esterno dell’amministra-

zione. Che senso ha promuovere, con fondi pubblici, l’im-magine della Regione nei confronti di organismi interni all’ente quali assessori e burocrati?

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6 27 Dicembre 2009

La drammatica testimonianza di una donna che ha subito per anni un marito violento

di STEFANIA FESTA

Sono nata e cresciuta in una famiglia dove mio padre picchiava regolarmente mia madre dalla mattina alla sera. A quindici anni ho conosciuto l’uomo che poi sarebbe diventato mio marito, la persona che speravo mi avrebbe tolta dalla si-tuazione invivibile in cui mi trovavo. Così mi sono sposata. Lo amavo alla follia, per lui ho ri-nunciato a tutto, alla mia gioventù, alla mia vita, ai miei amici, perché ormai avevo la mia casa, cucinavo, lavavo, stiravo. Ho cambiato anche il mio modo di essere, perché prima ero una perso-na solare, mi piaceva uscire, stare con gli amici, andare a ballare. Lui era una persona solitaria, non gli piaceva stare fra la gente, e io, pur di assecondarlo, di farlo felice, mi sono adeguata al suo stile di vita. Solo adesso mi rendo conto che per più di vent’anni sono stata succube di que-sta persona, ma per me prima era tutto normale. Tutto quello che mi ha fatto passare, come mi trattava, il mio bisogno di assecondarlo per me era normale. Sicuramente, come mi ha detto la psicologa, vivevo questa situazione come ‘nor-male’ perché provenivo da un ambiente familia-re dove vivere in questo modo era ‘normale’. Lui non mi rispettava come persona, tutta la sua vita ruotava intorno al bar e ai suoi amici del bar. Per esempio, qualche anno fa, durante un con-trollo post parto, il medico mi fece un’ecografia e trovò delle macchie all’utero. Fece avvicinare mio marito, che quel giorno era venuto con me, ci disse che poteva trattarsi di un tumore e mi invitò a fare una biopsia. Ebbene, il giorno che dovevo fare quest’esame mio marito mi lasciò davanti all’ospedale e mi disse di chiamarlo non appena avessi finito, che lui nel frattempo anda-va al chiosco a bere con gli amici. Solo adesso mi rendo conto che non avrebbe dovuto com-portarsi così, che avrebbe dovuto starmi vicino, eppure all’epoca non ho battuto ciglio, non mi sono neanche arrabbiata. Mi diceva che tutte le mogli dei suoi amici o della gente che conosceva facevano di tutto per accontentare i mariti. E io ho sempre pensato che avesse ragione e ho fatto tante scelte di cui adesso mi pento pur di accon-tentarlo e non dargli un dispiacere, come quello di far crescere mio figlio il grande con una zia anziana di mio marito. Lui era stato allevato da questa sua zia, e aveva paura che le succedesse qualcosa dal momento che abitava da sola. Per questo motivo Paolo (nome di fantasia, n.d.r.) ha dormito da lei per quasi dieci anni, viveva da lei e io mangiavo tutti i giorni là pur di stare con lui. Due anni fa mio figlio maggiore mi ha detto una frase che mi è rimasta impressa. Mi ha detto che io stavo facendo soffrire lui e suo fratello perché non avevo il coraggio di uscire le palle e mandare mio marito a quel paese, costringendo me e loro a sopportare i suoi continui sbalzi di umore e le sue violenze. Quando mio figlio mi ha detto questa frase, sono rimasta spiazzata, gli ho domandato se avesse idea di cosa significasse crescere senza un padre o con i genitori separati e sai cosa mi ha risposto? “Perché, io per dodici anni a chi ho avuto come padre?” Non potevo dargli torto. Questi vent’anni sono stati caratte-rizzati dall’assenza di mio marito, nella mia vita così come in quella dei suoi figli. Quand’ero piccola mia madre non è mai venu-ta a scuola mia per parlare con gli insegnanti, non ha mai assistito ad una recita scolastica, non c’era mai, e io invece ho voluto dare ai miei figli quello che a me è mancato. Non mi sono persa una riunione a scuola, ho sempre accompagnato i miei figli agli allenamenti, seguo le loro partite e cerco di essere presente a tutti quegli eventi che so per loro essere importanti. Mio marito dov’era in tutte queste occasioni? Al bar a bere con gli amici, e il suo essere alcolista ha condi-zionato pesantemente la nostra vita. Per il lavoro che fa ha una pistola, che porta a casa, e mi ha spesso minacciato di uccidermi e poi di ammaz-zarsi se lo avessi lasciato. Quando parlavo con i miei familiari di queste minacce, loro mi dice-vano che non lo avrebbe mai fatto. Ma siccome spesso mio marito non era in sensi perché tor-nava a casa quasi sempre ubriaco, avevo paura che lo avrebbe fatto davvero, sentendo anche le

notizie al telegiornale di donne uccise dai mariti o fidanzati.L’inferno è cominciato lo scorso novembre, per i morti. Devo fare una premessa. Qualche anno prima avevo avuto un bambino che purtroppo non ce l’ha fatta. Comunque, era novembre e si avvicinavano i morti. Non mi ricordo per quale motivo, ma avevamo litigato con mia sorella e mio cognato, non ci parlavamo, però lei mi ave-va detto che voleva andare a trovare suo nipote al cimitero. Mio marito ha cominciato a minac-ciare di fare una bella ‘festa’ se avesse trovato mia sorella al cimitero, anche se per me non era un problema perché avevamo litigato noi, ed era giusto che mia sorella andasse a trovare mio fi-glio. Quel giorno al cimitero ero così in ansia per quello che sarebbe potuto accadere che mi sono sentita male, mi hanno dovuto accompagnare in farmacia perché avevo la pressione altissima. Dopo un paio di giorni ho preso i miei figli e sono andata da mia sorella. Sono stati i bambini a dirmi di andarcene. Il pic-colo mi diceva che era stanco di vedermi triste, di vedermi piangere, di sopportare suo padre sempre arrabbiato. Anche se non mi picchiava tutti i giorni, mi lanciava oggetti, tirava qualsiasi cosa avesse in mano, mi insultava, anche con i bambini si rivolgeva con toni aggressivi e trop-po volgari. Non c’era più pace. Ormai, prima di rincasare, i bambini telefonavano e chiedevano se il padre fosse in casa. Se non c’era, allora ve-nivano, se invece mio marito era dentro mi chie-devano se fosse arrabbiato, se aveva bevuto, e la maggior parte delle volte rimanevano dalla zia. Mi ero resa conto che stavo perdendo i miei figli per una persona che non valeva niente, e questo mi ha spinto a reagire. Quando lui è tornato a casa e non ci ha trovati, mi ha telefonato. È ve-nuto da mia sorella, mi ha promesso che sareb-be cambiato, che non avrebbe più bevuto, che non mi avrebbe più alzato le mani. Ha giurato sull’anima di suo figlio, e io sono tornata a casa e sono rimasta con lui altri sei mesi. Dopo qualche giorno è successo un altro episo-dio. Il grande era uscito e doveva tornare alle undici. Mio marito era tornato ubriaco, ha chie-sto dove fosse Paolo, gli ho detto che era usci-to e che gli avevo dato l’orario. Erano le undici meno un quarto, ha cominciato ad arrabbiarsi dicendo che ora gliel’avrebbe fatto vedere lui, che non erano modi di comportarsi e così via. Ho cercato di calmarlo, dicendogli che ancora Paolo non era in ritardo e che non c’era motivo di scaldarsi tanto. Siamo andati a letto. Quella sera avevo mandato mio figlio il piccolo, Luca (nome di fantasia, n.d.r.), a dormire in camera sua, perché era abituato a dormire nel letto con noi e volevo fargli perdere quest’abitudine. Non erano passati neanche dieci minuti da quando ci eravamo messi a letto che mio marito mi disse di scendere in camera di Luca e vedere se il bambi-no era tranquillo perché sapeva che non era abi-tuato a dormire da solo. Ho fatto il giro del letto e lui, non so cosa gli sia preso, si è alzato e me ne ha date di santa ragione. Poi mi ha afferrato per i capelli e voleva buttarmi giù dalle scale. Nel frattempo era tornato il grande, e siccome il piccolo gli aveva detto che il papà era arrabbiato perché lui era in ritardo, è scappato in mutandine dalla zia. Luca, invece, è salito su da me e ha visto cosa mi stava facendo mio marito. Dopo due giorni me ne sono andata da mia ma-dre. Lui è venuto, di nuovo suppliche, preghiere e giuramenti e l’ho perdonato di nuovo. Sono ritornata a casa ma ormai per me il matrimonio era finito. Da gennaio a marzo siamo stati come due separati in casa. Lui mi diceva che mi ero allontanata perché avevo un altro uomo, e io ho sbagliato di nuovo perché, pur dimostrargli che così non era, lo assecondavo. Un giorno ho fis-sato un appuntamento con un’assistente sociale, l’ho minacciato che se non fosse venuto me ne sarei andata un’altra volta, l’assistente sociale gli ha detto chiaro e tondo che aveva un proble-ma di alcolismo e lo ha invitato a rivolgersi al Sert. Ci siamo andati solo una volta, poi lui mi ha detto che si vergognava, che si sarebbe im-

pegnato e sarebbe riuscito a smettere di bere da solo. A casa non beveva più, ma io sono sicura che lo faceva di nascosto perché da quel giorno ha cominciato a riempirsi di caramelle per non far sentire l’alito.Poi mio figlio il piccolo ha avuto un torneo im-portante. Avevo chiesto a mio marito di prender-si dei giorni di ferie per venire con noi. Prima ha detto di sì, una settimana prima di partire ha detto che non poteva venire perché non aveva giorni liberi. Sono partita da sola con Luca, e quando sono tornata ho scoperto che lui aveva lavorato solo un giorno, e aveva passato gli altri due giorni al bar a bere con gli amici. Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, e che mi ha aperto gli occhi. Gli ho detto che non me ne andavo solo perché lui minacciava di uccidermi, altrimenti l’avrei fatto. Lui si è preso una settimana di ferie per stare a casa a control-larmi, ma il primo giorno che è rientrato a lavoro me ne sono andata da mia madre con i bambini. Ho detto basta, o mi ammazza o si ammazza, ma io me ne devo andare. L’ho fatto per i miei figli, che ormai dormivano sempre dalla zia perché a casa non ci volevano stare. Come aveva fatto in precedenza, è venuto da mia madre a supplicar-mi. Io gli ho detto che prima doveva dimostrar-mi che era cambiato, e poi avrei preso la mia decisione. Dopo dieci giorni è ritornato, eravamo in cu-cina mentre mia madre era in camera sua. Mi ha chiesto cosa provassi per lui, e quando gli ho risposto che non provavo niente si è alzato e mi ha dato uno schiaffo impressionante. Mia madre, sentendo il rumore, è venuta in cucina e gli ha detto di andarsene. Per tutta risposta lui mi ha tirato il marsupio con la pistola. Per fortu-na ho avuto i riflessi pronti e mi sono scansata, ma ancora c’è il buco nel muro della cucina di mia madre. Se mi avesse preso mi avrebbe am-mazzata. Quando è venuto avevo paura, ma ero stanca di avere paura. Il giorno prima non ero andata a lavoro perché i miei cognati mi avevano telefonato per avvertirmi che si era messo in te-sta di venire dove lavoravo e scaricarmi addosso quindici proiettili e poi si sarebbe ammazzato. Dopo che se n’è andato da casa di mia madre, ha telefonato ai miei figli dicendo loro di uscire entro tre secondi dalla casa della nonna perché

stava mettendo una bomba e ci avrebbe fatti saltare tutti per aria. Si è messo dietro la porta minacciando di buttarla giù, poi si è appostato in macchina aspettando che io uscissi. Ho chiamato i carabinieri, ma non c’era una pat-tuglia disponibile. Qualche giorno dopo mi ha telefonato un mio cognato, dicendomi che mio marito mi doveva parlare, che ci sarebbero stati anche i mariti delle altre mie sorelle, così sono venuti. Quando gli ho ripetuto che per me il matrimonio era finito, mi ha tirato il tavolo ad-dosso e si era lanciato per darmi un pugno ma ha colpito un mio cognato che si era frapposto fra noi. Lo hanno portato via, ma a mezzanot-te è ritornato. Di nuovo calci e pugni alla por-ta, minacce, e io ho chiamato i carabinieri. Ho spiegato al maresciallo la mia situazione e gli ho detto che volevo andarmene dal paese. Lui mi ha detto di sporgere denuncia, perché se mi fossi portata i bambini dietro mio marito mi avrebbe potuto denunciare per sequestro di minori. Così ho fatto. Prima sono stata ospitata da una mia amica, l’unica che non mi ha chiuso la porta in faccia perché gli altri avevano paura. Lei mi ha messo in contatto con il centro antiviolenza “La Nereide”, sono stata un paio di mesi presso una casa famiglia e ora sono qui. Adesso ci sono due processi in corso, uno pena-le per maltrattamenti e uno per la separazione. Mio marito ha una diffida nei miei confronti, deve stare almeno a trecento metri da me e non può frequentare i posti che frequento io, altri-menti rischia l’arresto. I suoi figli li può vedere tramite l’avvocato. Gli hanno sequestrato la pi-stola e ha perso il posto, ma io non ritiro niente. Mi sono dovuta allontanare dal paese perché sono diventata una vergogna per la mia fami-glia. Mio cognato non mi parla più per questo motivo, perché secondo lui, e secondo la gente, io sarei dovuta rimanere a fianco di mio marito e accettarlo così com’era. Mi ha tenuta per anni nella paura, e ora io voglio solo ricominciare, trovarmi un altro lavoro che mi consenta di prendermi in affitto anche una stanza per stare con i miei figli e dar loro un po’ di tranquilli-tà. Avrei dovuto pensarci prima, ma ho sempre sperato che un giorno sarebbe cambiato. Adesso basta. Rivoglio la mia vita e voglio serenità per i miei bambini.

“Mi picchiava, l’ho perdonato più volte inutilmenteQuando l’ho lasciato la mia famiglia mi ha isolato”

Foto da un manifesto di Amnesty International

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“Per non essere escluse le imprese, per ogni appalto, presentano tutte un ribasso del 7,3152%”

Troiano (Provincia): “La licitazione privata non esiste piùI pubblici incanti non hanno più nulla di trasparente”

di ALESSANDRA PRIVITERA

Si stupisce il dott. Francesco Troiano, Project Manager Programma-zione Negoziata della Provincia di SIracusa, quando gli chiediamo di fissarci un appuntamento per parlare di gare d’appalto, di leggi in vigore relative a questo tema, del loro funzionamento e della loro trasparenza. «L’opinione pubblica non è più attenta a questi temi – sostiene – anzi sembra che si sia assuefatta alla consuetudine dell’as-senza di trasparenza. La mia esperienza trentennale in questo campo mi dimostra come le leggi siano sempre andate contro il principio di un veloce e trasparente funzionamento». Sembra un paradosso questa affermazione, dal momento che l’ag-giudicazione a privati di contratti di appalto o fornitura per la pub-blica amministrazione rappresenta in tutta Italia l’asta di maggiore interesse. Cerchiamo, allora, di tracciare insieme al dott. Troiano il quadro della situazione attuale.«Inquadrare il tema delle gare d’appalto dal punto di vista storico diventa importante per capire la situazione attuale. La storia dice che in Sicilia esisteva un meccanismo che permetteva gli accordi tra le imprese: meccanismo esasperante – legato alla licitazione pri-vata – in voga alla fine degli anni ’80 e agli inizi degli anni ’90. La licitazione privata prevedeva tre fasi: bandita una gara d’appalto, le imprese dotate dei requisiti presentavano un’istanza (con la qua-le richiedevano di partecipare alla gara) e aspettavano di ricevere l’invito a partecipare alla gara. Rese note le imprese invitate, queste avevano a disposizione una ventina di giorni per presentare le of-ferte: mi sembra chiaro come in questo lasso di tempo le imprese avessero tutto il tempo per fare “cartello”, cioè per prendere accordi tra di loro eliminando la vera competizione.“Poco prima dello scoppio del caso Tangentopoli, la Sicilia si fa sensibile al problema degli appalti e l’allora presidente Campione fa approvare, nel ’92, una legge di vera trasparenza: sono fermamente convinto, infatti, che si sia trattato della migliore riforma in fatto di appalti pubblici che la Sicilia abbia mai avuto. Le licitazioni private vengono sostituite con i pubblici incanti: la fase di invito e la fase di gara coincidono. Le imprese, perciò, sono costrette a presentare – contestualmente alla dimostrazione di avere i requisiti necessari per partecipare alla gara – anche l’offerta per la gara. Viene, cioè, impe-dito alle imprese di mettersi d’accordo dopo aver ricevuto l’invito. Le gare, inoltre, devono procedere senza soluzione di continuità”.Come è possibile allora che le infiltrazioni mafiose più acute av-vengano proprio nell’ambito degli appalti pubblici?“In Sicilia siamo terribili: la riforma Campione è stata uccisa solo dopo qualche anno dalla sua attuazione. Dapprima con le gare a prezzi unitari: mantenuta la procedura della riforma Campione, al posto dell’offerta al ribasso, le imprese presentavano offerte per i singoli materiali necessari alla realizzazione del progetto che doveva essere appaltato. Il calcolo della media delle offerte per ogni mate-riale comportava una immane dilatazione dei tempi di verifica”. E oggi?«Il decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Testo Unico “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazio-ne delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”, ndr) fa in modo che, lavori, servizi e forniture abbiano finalmente meccanismi e proce-dure di stipulazione contrattuale unificati. In Sicilia, tale normativa è stata recepita e viene applicata solo per le forniture e i servizi (è stato, cioè, attuato un rinvio dinamico). In materia di lavori pubblici, invece, il Codice dei contratti non trova applicazione (se non per gli aspetti innovativi) perché la Regione Siciliana ha per questi una legislazione esclusiva: le norme regionali, quindi, sono prevalenti rispetto a quelle nazionali. Perciò tutte le norme abrogate a livello nazionale in Sicilia sono in vigore». La situazione odierna – nello specifico – vede la regione Sicilia basarsi sulla legge quadro italiana dell’11 febbraio 1994, modi-ficata in alcune parti dalle leggi regionali n.7 del 2 agosto 2002 e n.7 del 19 maggio 2003. L’aggiudicazione degli appalti viene effettuata con il criterio del prezzo più basso inferiore a quello posto a base di gara. Quali i pro e quali i contro?“Oggi si insiste sul fatto che non esiste più la licitazione privata ma si deve pure ammettere che i pubblici incanti hanno ormai poco o nulla di trasparente: innanzitutto perché è possibile presentare l’of-ferta dopo l’istanza di partecipazione (addirittura anche tre o quattro giorni prima della scadenza del bando di gara). A questo si aggiunge il fatto che le gare possono essere sospese e poi riprese: non sono più soggette, cioè, al vincolo della continuità. E ancora: la pubblica amministrazione che prima era fuori dal meccanismo (e a fare car-tello erano solo le imprese), oggi – stabilendo la base di gara – non fa altro che spingere a comprimere le offerte al ribasso”. Può spiegarci meglio?“Certo. Il maggiore ribasso andrebbe calcolato tra le offerte delle imprese rimaste in gara dopo l’esclusione delle imprese che hanno presentato, rispettivamente, l’offerta più alta e quella più bassa. Per non essere escluse le imprese hanno cominciato a inseguire il ribas-so fino al punto che in Sicilia tutte le imprese, per qualsiasi tipo di gara d’appalto, presentano un ribasso del 7,3152%. Di fatto, perciò, si fa un sorteggio: non è più una gara d’appalto. Il controllo dei re-quisiti prima della gara diventa quasi una perdita di tempo: si sa già che tutte le imprese proporranno un ribasso del 7,3152 %, perciò sarebbe più conveniente (in termini di snellimento delle procedure e

di riduzione dei tempi di assegnazione) sorteggiare le imprese dalle graduatorie e controllare i requisiti solo del sorteggiato. Il mecca-nismo del “taglio delle ali” previsto dalla normativa nazionale è un meccanismo “a crescere” e fa in modo che il ribasso si attesti sopra al 20% facendo gli interessi della pubblica amministrazione: il 20% è un buon guadagno per le imprese che hanno una grande capacità tecnica nella realizzazione dei lavori; il 7,3152% invece permette di fare impresa a chiunque, a prescindere dalle prestazioni. Il danno va comunque alle pubbliche amministrazioni che si ritrovano a pagare – in molti casi – più del dovuto”.Tutto a vantaggio delle imprese, dunque?“Assolutamente no: anche le imprese non sono soddisfatte da questo sistema. Non hanno più neanche l’interesse a tutelarsi da eventua-li inesattezze nell’espletamento del sorteggio perché, comunque, la tutela legale non porterebbe a vincere la gara ma ad un nuovo sor-teggio”.Le imprese dunque hanno tutte la stessa possibilità di essere sor-teggiate?“In realtà il meccanismo è più complesso perché per essere ammes-se al sorteggio le imprese vanno valutate non solo nella sostanza dei loro requisiti ma anche nella forma della presentazione delle istanze: su quest’ultimo punto, molto spesso, si fa scrematura non ammet-tendo l’una o l’altra impresa alla gara”. Ma come è possibile superare certa discrezionalità che sembra trapelare dalle sue parole? L’U.R.E.G.A. (Ufficio regionale per l’espletamento di gare per l’appalto di lavori pubblici) non è sta-to, forse, istituito proprio per l’esercizio dei controlli di legalità nella delicata fase di affidamento dei lavori pubblici? “L’Urega (istituito ai sensi dell’art.7ter della legge 109/94 – Legge quadro sui lavori pubblici – nel testo vigente in Sicilia recepito con la legge 2 agosto 2002 n.7 e sm.i., ndr) è un organismo irrespon-sabile negli atti che compie. La norma dispone sostanzialmente il parziale trasferimento delle competenze inerenti le procedure di af-fidamento degli appalti di lavori pubblici dagli Enti amministrativi all’Urega. Questo significa che l’Urega predispone il bando di gara ma ad approvarlo e a pubblicarlo – senza avere la possibilità di mo-dificarlo o metterlo in discussione – sono gli enti amministrativi, che ne diventano responsabili. L’attuazione spetta all’Urega che, subito dopo, re-invia un’aggiudicazione provvisoria agli enti che dovranno far fronte ad eventuali ricorsi da parte delle imprese e rispondere di decisioni che non hanno preso. Insomma l’Urega non è una sta-zione appaltante né può dirsi un vero e proprio organo di controllo anche perché la costituzione di questo Ufficio può essere letta come la mancanza di fiducia da parte della Regione nei confronti degli enti amministrativi locali in quanto soggetti non più competenti ad espletare le gare d’appalto. Un’altra cosa potrebbe essere l’istituzio-ne delle commissioni miste, cioè commissioni di gara composte, di volta in volta, da funzionari esperti appartenenti a diversi enti ammi-nistrativi: ma gli enti devono ritornare ad essere stazioni appaltanti in tutto e per tutto, perché l’Urega ha un sistema farraginoso che rallenta i lavori delle amministrazioni pubbliche”.Come può la pubblica amministrazione ovviare alle mancanze normative? “Un tempo gli enti potevano scegliere le modalità di gare d’appal-to tra più modelli (migliore offerente, taglio delle ali, busta segre-ta) prediligendo il migliore: oggi la pubblica amministrazione non ha possibilità di scelta né voce in capitolo, si limita solo ad attuare quanto previsto dalla legge. E, siccome il governo regionale non è interessato a rivedere la normativa vigente, non ci sono possibilità di cambiamento”.

Cosa modificherebbe se ne avesse la possibilità?“Innanzitutto credo che dovrebbero essere molto più seri i criteri di valutazione delle SOA (Società Organismi di Attestazione, a carat-tere privato, autorizzate dall’Autorità di vigilanza dei lavori pubbli-ci a valutare l’idoneità di un impresa e a rilasciarne un attestato di qualificazione: un’impresa, per ottenere la qualificazione, deve sti-pulare un contratto con una SOA, la quale, dopo aver valutato l’ido-neità della stessa, rilascia l’attestato, ndr). Se, per risultare idonea ad ottenere la qualificazione, un’impresa – oltre ad adeguarsi alle normative riportate nel DPR 34/00 e a dimostrare di aver realizzato negli ultimi 5 anni lavori pari all’importo per cui chiede la qualifi-cazione – fosse valutata secondo il protocollo di legalità, prima di essere iscritta all’Albo, gestito dall’Autorità di Vigilanza dei lavori pubblici, gli enti pubblici – che non sono preparati a questo tipo di valutazione ma sono costretti a eseguirla dalla legge vigente – sareb-bero sgravati da un onere che non è per natura di loro competenza. E questo permetterebbe, inoltre, una scrematura a valle delle imprese, secondo le procedure antimafia. “Necessita poi puntare a sistemi di gara che escludano la discrezio-nalità della pubblica amministrazione nello stabilire quali imprese possano o no partecipare ma anche utilizzare meccanismi semplici che agevolino le imprese nel partecipare alle gare d’appalto senza costi eccessivi”.

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SORPRENDE SENTIR PARLARE IL SINDACO DI PIANO DEL PORTO, CHE NON ESISTEDi porti turistici ora se ne fanno due nel silenzio di chi dovrebbe tutelare la città

Quando i soprintendenti dissero no al Porto Commerciale“Radicale cementificazione di un luogo sacro per la storia” Era la primavera del 1986 quando si riunirono tutti i soprinten-denti ai beni ambientali e culturali della Sicilia: c’era un’emer-genza e si era sentita forte l’esigenza di inviare una protesta co-mune alla direzione dell’assessorato regionale di riferimento. Il rischio era la cementificazione del Porto Grande di Siracusa: era stato infatti presentato dal genio civile alle opere marittime un progetto relativo alla realizzazione del porto commerciale per un importo complessivo di 50 miliardi di lire. “Il proget-to consiste nella totale e radicale cementificazione della co-sta del Porto Grande di Siracusa dal Molo Sant’Antonio alle foci dell’Anapo con l’interramento di una consistente fascia di mare e nella creazione di un molo rilevantissimo per impegno costruttivo che si sviluppa, con andamento lievemente curvi-lineo, lungo l’asse della baia per una lunghezza complessiva di circa 1800 metri”: questa la segnalazione dei soprintendenti convinti che, insieme alle altre strutture necessarie, ciò avreb-be portato allo sconvolgimento di “un luogo sacro per la storia e la cultura del Mediterraneo”. Seguivano alcune citazioni di storia patria tratte da fonti scritte, si citavano i nomi di Tucidi-de Diodoro Pindaro Cicerone quali storici di eventi epocali che nel porto grande di Siracusa si erano svolti, ma si faceva an-che riferimento alle presenze monumentali “che si affacciano e fanno da corona al Porto di Siracusa di una tale importanza che solo enumerarle, da Ortigia alla fonte Aretusa, dalle foci dell’Anapo e del Ciane allo scoglio della Galera e al Plemmi-rio, esime da qualsiasi illustrazione. E non di secondaria im-portanza sono poi i valori paesaggistici tutelati da un apposito vincolo”. Quale la tesi dei soprintendenti? Che nonostante le trasfor-mazioni urbane della città, gli insediamenti umani sin dalla preistoria, le continue modifiche apportate alla città nel corso del tempo, “Siracusa ha conservato i principali connotati di riconoscibilità della topografia storica” facilmente ravvisabili in Ortigia con la sua inconfondibile immagine, nella terrazza dell’Epipoli sul margine della quale si sviluppano i 27 chilo-metri delle fortificazioni dionigiane e nell’immensa costruzio-ne di Castello Eurialo. “Ma se questi sono gli elementi fon-damentali del paesaggio urbanizzato da secoli, il vero punto focale aggregante di questi elementi è rappresentato sicura-mente dall’arco del Porto Grande dal Castello Maniace all’on-doso Plemmirio di virgiliana memoria”.Nell’86 ancora era lontano il sacco dell’Epipoli, ancora non si era concesso di edificare in maniera indiscriminata fino al bordo estremo della balza, proprio a ridosso delle ultime tracce delle antiche mura. Ancora non era stato assediato quel per-corso degno di ben altra tutela dell’acquedotto Galermi, una delle più imponenti costruzioni idrauliche del Mediterraneo, costruito dai Greci nel V secolo a.C., interamente ricavato nel-la viva roccia calcarea. Da Sortino, dalle sorgive del Calcinara – Bottigliera una portata d’acqua pari a 700 litri al secondo, dopo 2500 anni, continua a scendere con pendenza naturale sfruttando il dislivello di 133 mt, per circa 40 km, fino alla grotta del Ninfeo al teatro greco. Un’opera che ancora oggi stupisce per come i Greci abbiano saputo risolvere gli enormi problemi di costruzione per garantire la pendenza costante per lo scorrimento delle acque e regolare un corso caratterizzato da numerose deviazioni, un esempio di alta ingegneria idrau-lica, è oggi in pericolo a causa dei continui lavori di edifica-zione dei “condomini orizzontali” nell’indifferenza di chi non ha saputo valorizzare quella che avrebbe potuto essere un altro importante centro d’attenzione per turisti e cittadini. Nell’86 stava anche solo iniziando l’aggressione all’area delle mura dionigiane che avrebbe visto in pochi anni la costruzione abusiva della Fiera del sud, che oggi si vuole trasformare in centro commerciale, la “ristrutturazione” di una voliera e di un vivaio in ristoranti e sale per convegni, una masseria divenuta villa, e ancora palazzine e villette che avanzano lentamente verso la cinta muraria per ricucire gli spazi vuoti (quella della “ricucitura” è una delle vie per la cementificazione del terri-torio autorizzata dal prg della giunta Bufardeci), per portare verde linfa nelle tasche dei costruttori e probabilmente per assicurare perenne gratitudine agli amministratori della città.Inutili allora i tentativi del soprintendente in carica Giuseppe Voza di porre un argine, distante e distratta oggi la soprinten-

di MARINA DE MICHELE

dente Mariella Muti. Ma almeno, in quegli anni ottanta, si riu-scì a salvare il porto di Siracusa, a impedirne una metamorfosi che ne avrebbe sancito, per sempre, la irriconoscibilità. “In conclusione, le evocazioni mitiche legate a questo porto – scrivevano i soprintendenti -, gli avvenimenti storici ad esso connessi, la possibilità di riconoscimento di questi elementi nell’immagine ormai storicizzata del porto, da secoli conse-gnato ai valori culturali - e pertanto sicuramente proponibile come monumento naturale oltre che soggetto a vincoli di in-teresse storico – si traducono nell’assoluta incompatibilità di interventi di consistenti trasformazioni che incidano sul suo assetto attuale”.Di tutto questo sembra non rimanere alcuna traccia nelle di-

scussioni che in questi giorni si svolgono intorno alla realizza-zione del secondo porto turistico privato della città, così come del tutto ininfluenti queste indicazioni sono state quando si è dato il via libera al primo porto, quello dei Caltagirone. Eppure in ambedue i casi, trattandosi di concessioni demaniali, non è stato acquisito, per quanto ci risulta, il parere del Consiglio regionale per i beni culturali e ambientali, così come stabilisce la legge 80 del 1977, trattandosi di opere da realizzare in aree sottoposte a vincolo paesaggistico ai sensi della legge 1497 del 39. Ma neanche la Soprintendenza di Siracusa sembra aver sollevato eccezioni: evidentemente ritiene che sia tutto perfet-tamente a norma laddove emergono profili di illegittimità. Ma siamo in Italia!

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SORPRENDE SENTIR PARLARE IL SINDACO DI PIANO DEL PORTO, CHE NON ESISTEDopo i secoli bui degli anni fatuzziani, dell’artiani e bufardeciani un rinascimento visentiniano

L’interramento di una grandissima porzione del porto non può realizzarsi senza confronto con la città

di RICCARDO DE BENEDICTIS

La relazione del sindaco Vi-sentin, recentemente presentata in aula consiliare in occasione del suo primo anno e mezzo di legislatura, contiene una raccol-ta di buone intenzioni. Non c’è che dire. È un buon programma. Leggendola, sembra che la città di Siracusa si stia preparando a vivere un nuovo rinascimen-to. Sì, infatti, dopo i secoli bui, così definiti dal Petrarca, che noi potremmo assimilare agli anni fatuzziani, dell’artiani o bufar-deciani, Siracusa si appresta a vivere il suo rinascimento visen-tiniano. In quella relazione c’è di tut-to e di più. Pochi, pochissimi a mio parere i risultati conseguiti, molti moltissimi, ovviamente, i risultati da perseguire. Ciò detto, a me pare molto strano che nella relazione manchi del tutto un ri-ferimento esplicito al redigendo progetto del porto turistico della Spero srl.In effetti, a pensarci bene, come mai il sindaco, nella sua relazione programmatica, si è dimenticato di annoverare tra i tanti interven-ti quello che, in considerazione

del serrato iter di approvazione previsto nel DPR 509/97, sem-bra non poter subire imprevisti che ne possano pregiudicare la realizzabilità? Chissà, forse si è trattato di una semplice dimenti-canza? Una imperdonabile man-canza e una mancata occasione di inno alla sua gloria per il suo rinascimento visentiniano.Io non ho nulla contro gli inter-venti di iniziativa privata, anche se di questa entità. Semmai riten-go che questa Amministrazione stia dando dimostrazione di vo-ler abdicare a gestire, pianificare e governare i processi di trasfor-mazione in atto nel nostro terri-torio, riservandosi in tal modo un ruolo del tutto marginale.La realizzazione di un secondo porto turistico, accanto a quello denominato Marina di Archime-de, diverrà uno degli interventi più impattanti sotto il profilo storico, ambientale, sociale ed economico, che il territorio di Siracusa si appresta a vivere nei prossimi anni. Io prendo le distanze da una equazione tanto in voga specie nelle aree sottou-tilizzate qual è la nostra, che ma-

gnifica qualunque sia l’iniziativa dei mecenati del turismo purchè si faccia qualcosa. Molto francamente, se ci sono delle persone che stanno inve-stendo dei soldi, per un progetto ritenuto dall’Amministrazione strategico ai fini di uno sviluppo economico e turistico della città, io al momento non mi sento a mio agio nel riconoscere la mia gratitudine di tanta disponibilità né agli uni né agli altri.Lo sviluppo sostenibile non è un nemico da abbattere, e nem-meno un impedimento ai pro-cessi di trasformazione in atto. E non è neppure un concetto dal quale prendere le distanze, quasi fosse soprattutto foriero di processi poco convenienti dal punto di vista economico. Lo sviluppo sostenibile non è nient’altro se non “uno svilup-po che risponde alle esigenze del presente senza compro-mettere la capacità delle gene-razioni future di soddisfare le proprie”. In altri termini, la cre-scita odierna non deve mettere in pericolo le possibilità di cre-scita delle generazioni future.

A mio modesto parere, tali in-terventi dovrebbero essere af-frontati attraverso un processo di progettazione partecipata e concertata, al fine di individua-re e stabilire le scelte più op-portune e necessarie alla pro-mozione e alla valorizzazione del nostro territorio. Ossia, at-traverso un tavolo di confron-to, di collaborazione e di par-tecipazione tra i vari portatori di interessi sociali, economici, culturali, il cui unico obiettivo deve essere quello di persegui-re obiettivi sociali e condivisi. Gli obiettivi sociali e condivisi, come tali, non possono essere calati dall’alto, subiti dai citta-dini, o peggio, imposti. Gli enti chiamati a partecipare al tavo-lo dell’accordo di programma sono preposti a valutare la fat-tibilità tecnica dell’intervento; non rientra nelle loro compe-tenze tutelare l’interesse pub-blico su quello privato.Le scelte politiche sul territorio, pertanto, devono contenere ed anticipare quegli elementi che caratterizzeranno gli scenari futuri della nostra economia. È

indispensabile sviluppare una seria politica del territorio sul turismo e sulla sua economia. Una politica che sia in grado di programmare ed individuare con ampio anticipo i fattori de-terminanti della crescita e dello sviluppo del nostro territorio, e di arginare quell’uso ampia-mente praticato che vuole il territorio della politica; ovvero un territorio di appannaggio della politica e delle logiche di potere, e come tali miopi e speculative, le quali spesso fi-niscono per governarlo. Il mio timore, ma più di un timore è una conferma, è che purtroppo l’attenzione verso questi temi sia assolutamente trascurabile. Se l’interramento di una superficie del mare pari a quella di dieci piazze S. Lucia messe insieme, non diventano oggi occasione vibrante per avviare un confronto allargato e per proporre un approfondi-mento su temi che coinvolgono la città ai suoi vari livelli isti-tuzionali, politici e culturali, è vero allora che questa città probabilmente preferisce ri-

nunciare alla propria storia e al proprio futuro. Lo ripeto, io non ho nulla da obiettare all’iniziativa privata, tuttavia mi sorprende sentire il sindaco Visentin parlare di Piano del Porto, che non esiste, di Piano Strategico, di Piano per lo Sviluppo Sostenibile della città, di Piano della Mo-bilità Urbana, di Piano Urbano del Traffico, insomma di tutti questi cosiddetti programmi complessi che dovrebbero con-tribuire a coadiuvare una Am-ministrazione nell’avviare le linee di azione programmatica e di sviluppo urbano economi-co e sociale di una città.

Cesare Brandi (anni ’60): “Si apre, Siracusa, come quando s’allentala stretta di due braccia”. Castello Eurialo e il cementificio

Al fine di ricostruire la storia della percezione di questo ambito pae-sistico appare opportuno qui riprodurre uno scritto di Cesare Brandi degli anni ‘60, parte del diario di un viaggio per mare compiuto verso la Libia:“...Doveva essere l’arrivo a Siracusa a ricondurre l’ordine nel viag-gio. Vista dal mare, è codesta città protesa come una zattera, galleg-gia, con le sue facciatine appena dorate, la roccia appena sopraelevata sul pelo dell’acqua, così simile e così diversa da Brindisi. Diversa perchè, sebbene il colore sia quasi lo stesso e il verde cupo, quasi restio, del Sud non differisca, si apre, Siracusa, come quando s’al-lenta la stretta di due braccia, e a Brindisi, invece, quelle braccia si stringono.“Il porto era deserto, sembrava di entrare nel bacino gentile di una fontana, non in un porto; e con la nave s’arrivò fino in fondo; si scese dalla nave come dalla porta di casa, senza barcarizzo ponendo il pie-de sulla banchina lastricata di sole.“C’era tanta gente in città, bella come il sereno dopo la pioggia: con gli occhi neri e umidi, le labbra lilla, e la pelle scura, appunto come la terra bagnata.“Avrei visto il castello Eurialo.“Via via che l’automobile saliva io provavo il senso di quando ci si comincia a staccare da terra con l’aereo che basta il primo salto delle ruote perchè non si sia ancora in aria e non si sia più in terra. Qui il salto poteva parere rispetto alle case della città che, appena lasciate, era una roccia bellissima a venir fuori, traforata di colombari e di ca-verne, ma anche traforata d’aria e di luce e scritta due volte dal tempo come un’epigrafe consunta. Era terrestre, ma subito così remota da non parere più terrestre, quella roccia, e questo dava quello scatto repentino come in un altro tempo, appunto come con l’aereo si fa il salto in un altro elemento, e non è più la stessa cosa, allora, che se uno sta alla medesima altezza, ma coi piedi sulla terra. Il tempo, in cui sentivo di progredire, non era mitico ma come il recupero di un modo di essere eterno dello spirito, o come un andante rispetto ad un allegro, che siamo sempre dentro la musica, ma per ogni tempo in

una temperie diversa, in uno strato che combacia senza identificarsi col nostro tempo. In codesto tempo remoto e tuttavia pertinente io salivo ma come se a poco a poco lo recuperassi a me stesso. Una foresta di mandorli verdissimi e fittissimi si assiepò ai lati della strada e, per essere fitti, non riuscivano tuttavia a sopprimere i raggi di luce leggera come perennemente mattutina, sotto a quelle foglie. Anche se non ci fosse stato niente altro da vedere, bastava quella strada. E poi i mandorli finirono, il terreno essudò la pietra, e sul margine del costone apparve una lunga assise irregolare di regolarissime pietre squadrate, le quali subito parlarono greco e si dissero la cinta grande del Castello. Finchè si passò dalla porta, superstite appena nelle due spalle, e ritrovati i mandorli, aumentati i fiori, svoltata la strada, ap-parvero le rovine, lì per lì neppure grandiose, del Castello Eurialo.“Spesso è così delle rovine greche, che acquistano solo da vicino le proporzioni, e da lontano, anche ciclopiche, non lo sembrano. Se in-vece le rovine romane non fossero sempre dei ruderi immens, che non riescono ad estinguersi, anche ridotte a tronconi, ma col senso irrecusabile del potere terreno. Anche Castello Eurialo era un atto di forza di un tiranno greco, e permanente, ma persino da poco lon-tano sembra ridotto ad una spanna, e quelle pietre squadrate e non cementate si sono sgranate irremissibilmente a terra come materiale intonso da impiegare ora per la prima volta. Cadute a terra, le divine pietre, tagliate precise come diamanti, non ritroveranno mai più il loro posto. Guai a tentarlo: sarebbe un modo di profanare ancor più che falsare.“Ma le costruzioni romane erano fatte di mattoni, legati da una malta ferrea e, per quanto rosicate, riescono sempre a farsi sentire in opera, disperatamente al loro posto, come sentinelle cadute senza arrender-si; e questo non le riduce mai sperdute nella notte della memoria, in-capaci di riprendere la quota primitiva e il rango eccelso, come è dei meravigliosi conci greci, subito adespoti, una volta staccati dall’idea. Sulla grandezza reale delle rovine di Castello Eurialo dovevo per al-tro ricredermi subito; ed il primo fossato non lascia in dubbio. Già questi fossati o latomie, tagliate come enormi loculi per giganti, e

scoperchiati così che mai il cielo appare più membranaceo e teso, che visto di laggiù in fondo, e se passa un uccello sembra che sia entrato da uno strappo; questi fossi di roccia, che al fondo custodiscono pian-te gentili e indifese, piante di pace, come aranci e mandarini, ma così carichi di odori che sembra facciano luce,questi spacchi grandi come il taglio di un istmo, per cui si cala nell’ombra come fosse il piano interrato della casa della luce; rendono il passato rispetto al presente, sembra di viverci a ritroso: e di doverne uscire senza voltarsi indietro. Castello Eurialo non è sopra terra, è sotto terra, in uno di questi fossi prodigiosi.“Dal fossato immane si parte un condotto sotterraneo, e torno tor-no un passaggio coperto, scavato anch’esso nella roccia, con feritoie grandi come cappelle, ariose come finestroni. Il silenzio, là dentro, cresce come un’alta marea.“Poi si risale, e fra le pietre perfette ma orfane, circondate di fiori gremiti come pulcini sotto la chioccia, si arriva fino in fondo, dove c’è uno sprone, quasi un rostro puntato verso l’aria aperta, più che verso il mare. E c’è anche il mare, all’orizzonte, ma in primo luogo è l’aria, tanto limpida e lustra, come vista attraverso lo spessore di una lente. L’Anapo è a destra, ma chi lo vede, soffocato di piante intense, corpose, fitte come fossero un foraggio, e sono agrumi dalla chioma di verde antico, a capo tondo, a capo scoperto, lanoso. E sono spalliere alte di cipressi o di pioppi, e improvvisi lunghi sciaveri di verde, come la gonna buttata là dalla ragazza, e lei è nuda sotto le foglie, rabbrividente e beata. Né il mare è lontano, azzurro, tiepido, senz’alito.“Per questo io so che non c’è bestemmia pari al cementificio che sorge in fondo a sinistra, enorme, impossibile a nascondersi, come il peccato davanti all’occhio di Dio.“In quel momento si vorrebbe essere Polifemo e scagliare un masso grande come l’Etna; in quel momento l’odio è un sentimento tenero e caritatevole: filiale”.

Cesare BrandiCittà del deserto

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10 27 Dicembre 2009

Viaggio nelle religioni – I pastori: “Ci autofinanziamo con le decime dei seguaci”

500 i mormoni a Siracusa. “Con altre religioni collaboriamo”I pentecostali: “A volte siamo stati guardati con diffidenza”

di MASSIMILIANO GRECO

Italia terra di poeti, navigatori, santi e... religiosi. Siracusa non fa eccezione: la storia della nostra città, infatti, s’intreccia strettamente con quella religiosa: basti pensare a Santa Lucia o alla Ma-donna delle Lacrime. Sarebbe però ingeneroso non parlare della presenza dei culti non cattolici, che sono fortemente rappresentati.Fra questi vi è la ‘Chiesa dei Santi degli Ultimi Giorni’ spesso chiamata con l’acronimo S.U.G. ma ai più nota come chiesa mormonica. In città ve n’è una in Via Politi, molto grande e ben fatta.Fondato all’inizio dell’800 negli USA, adesso il culto conta seguaci in tutto il mondo, superando la quota di tredici milioni. In Italia hanno chiese in tutte le città e a Siracusa contano circa 500 fe-deli, sparsi fra il capoluogo e la provincia, come dichiara il loro capo spirituale, il presidente An-tonino Caggegi, che aggiunge: “Noi crediamo molto nel valore della famiglia che purtroppo al mondo non è tutelata come dovrebbe. Sarebbe bello che la si tutelasse in ogni modo”.

I mormoni hanno sempre vissuto pacificamente e hanno buoni rapporti con tutti: “Noi”, dichiara ancora Caggegi, “non siamo in conflitto con nes-suno perchè amiamo il prossimo e consideriamo tutti nostri fratelli. Collaboriamo con altre reli-gioni: una volta abbiamo prestato la nostra sala agli avventisti che ne erano privi”.Presidente, il comune vi ha mai sostenuto?“Se intende dire economicamente, no: noi ci auto finanziamo tramite la decima, una pratica volontaria per il mezzo della quale il fedele dona il 10% dei propri guadagni per il sostentamento della chiesa. Se invece intende altri tipi di so-stegno, allora sì: ogni volta che abbiamo avuto bisogno di qualcosa, ci è stato concesso. Spesso abbiamo fatto del volontariato per il Comune. Noi sosteniamo ogni governo e ogni istituzione, senza badare al colore politico”.Una caratteristica dei mormoni, (o santi, come preferiscono essere chiamati), è il battesimo dei morti, tramite il quale un fedele vivo può far-

si battezzare al posto di non mormoni morti, in modo da aiutarli a salvarsi. Caggegi assicura che la pratica “ha un preciso fondamento biblico”. I mormoni pongono al centro della loro visione l’operato dell’uomo: “Siamo noi a far sì che il mondo sia malvagio oppure buono”, sono i soli non cattolici a essere rappresentati a Siracusa: a loro si aggiunge la Congregazione Cristiana Pentecostale o C.C.P. Anche le origini storiche di quest’ultima religio-ne sono ancora una volta negli Stati Uniti qual-che decennio dopo i mormoni. Ora sono diffusi in tutto il mondo, Siracusa compresa che, lungo la SS 124 che la collega a Floridia, ospita una loro chiesa. Il loro culto pone una speciale enfasi sull’effusione dello Spirito Santo’ conferito dal Cristo agli Apostoli, il giorno di Pentecoste. Per loro è molto importante lo studio della Bibbia, tramite il libero esame. Questo, assieme al riget-to per le gerarchie e al mandato universale dei fedeli, fa sì che, nonostante la giovane età, Ste-

fano Piazzese possa parlare a nome di tutti loro: ciò che conta è la conoscenza dei testi biblici.Da quanto tempo siete a Siracusa? “Dall’inizio del secolo: prima eravamo a piazza Santa Lucia all’ex cinema Italia e, prima ancora, al villaggio Miano; in questa sede, invece, siamo solo dal ‘90”.In tutto questo tempo, che rapporti avete avu-to con la città, la popolazione e le istituzioni?“I rapporti sono buoni, sebbene a volte, special-mente in passato, siamo stati guardati con diffi-denza. Quali sono i rapporti con le altre confessioni?“Non abbiamo collaborazioni interconfessionali , ma neppure ostilità”.I pentecostali si auto finanziano e attualmente hanno una chiesa per ogni città principale.Per loro, “l’importante è avere fede. Bisogna es-sere nel mondo ma non del mondo. Uno dei se-gni dell’effusione dello Spirito Santo sul fedele è la capacità di parlare altre lingue, note e ignote”.

Da sinistra Elio Grasso, il presidente mormoni Siracusa Antonino Caggegi e Ottavio Gibilisco - L’esterno della chiesa - Da sinistra Stefano Piazzese con Stefano Brigiotta

Crescono le contestazioni di enti locali e cittadini a Floridia, Noto, Avola, Augusta

La legge che autorizza la gestione privata dell’acqua è inaccettabile nel merito e anticostituzionale

di PAOLO PANTANO*

L’esperienza della privatizzazio-ne del servizio idrico, negli ulti-mi anni in Italia, ha dato ovunque prova di inefficienza gestionale per la manutenzione delle reti idriche, la gestione dei depura-tori (non rispettando la direttiva 2000/60/CE), crollo degli inve-stimenti per le infrastrutture e au-mento delle bollette per gli utenti.Il processo di privatizzazione del servizio idrico avviato nella nostra regione è negativo e vi è un crescendo di contestazioni di molti amministratori locali e dei cittadini: Comuni che non con-segnano le reti (Melilli, Monrea-le, ecc.), o fanno delibere per la ripubblicizzazione del servizio (Vittoria, Menfi, Caltavuturo) o si organizzano in aziende specia-li municipalizzate (Salaparuta, Gangi, Petralia Soprana, Petralia Sottana, ecc.), poiché la legge lo consente, o per tornare alla ge-stione pubblica (Caltanissetta, Modica, Palermo, ecc.), o dichia-rando il servizio idrico privo di rilevanza economica come a Mi-lazzo, Castelvetrano e Termini Imerese (poiché il servizio idrico, infatti, è considerato “servizio pubblico essenziale” e, riferen-dosi alla nozione comunitaria di

“servizio di interesse generale privo di rilevanza economica”, la giurisprudenza afferma che la gestione di tale servizio è atti-vità inidonea ad essere condotta da soggetti privati per scopo di lucro). Anche nella provincia di Siracusa nei Comuni (a Floridia, Noto, Avola, Augusta) si organiz-zano iniziative. La Carta Europea dell’Acqua (Strasburgo 1968) definisce e riconosce l’acqua come “bene comune” per eccellenza e il suo uso come diritto fondamentale dell’uomo. La risoluzione del Par-lamento Europeo dell’11 marzo 2004, al paragrafo 5, afferma che “essendo l’acqua un bene comune dell’umanità” la gestione delle ri-sorse idriche non deve essere as-soggettata alle norme del mercato interno. La risoluzione del Parla-mento europeo del 15 marzo 2006 dichiara “ l’acqua come un bene comune dell’umanità e come tale l’accesso all’Acqua costituisce un diritto umano fondamentale per la persona umana; pertanto, l’acces-so all’acqua alle popolazioni più povere deve essere garantito” ed insiste affinché “la gestione delle risorse idriche si basi su un’impo-stazione partecipativa e integrata

che coinvolga gli utenti ed i re-sponsabili decisionali nella defi-nizione delle politiche in materia di acqua livello locale e in modo democratico”. L’ art. 15 del D.L. n. 135/2009, che privatizza la gestione dell’ac-qua potabile in Italia, oltre ad essere inaccettabile nel merito, appare palesemente in contrasto con l’art. 114 della Costituzione italiana: “La Repubblica è costi-tuita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle re-gioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzio-ni secondo i principi fissati dalla Costituzione”. Quindi l’art. 15 è una violazione del principio di autonomia degli enti locali nella determinazione della scelta del sistema di gestione dei servizi pubblici locali. Inoltre l’ art. 43 della Costituzione recita che “a fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire ad enti pubblici servizi pubblici essenziali che abbiano carattere di preminente interesse generale”.

*esponente del Forum Prov. Acqua Bene Comune

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Reg. Trib. di Siracusa n°1509 del 25/08/2009

Stampa: Tipolitografia GenyCanicattini Bagni (SR)

“Qui si è molto indietro rispetto ad altre città, c’è troppa indifferenza per le attività sportive”

Il coach Syrako: “In Sicilia siamo rimasti l’unica città in cui il rugby si gioca in un campo in terra battuta”

di MONICA LANAIA

La parola rugby evoca alla mente i college sta-tunitensi, quelli dei film per intenderci, in cui dei fusti muscolosi, bardati di una griglia davan-ti la faccia e con delle spalle immense, tirano una palla ovale e si lanciano gli uni sugli altri, mentre delle ragazze, a bordo campo, cantano e agitano dei “pon pon”. Ora, dimenticate queste immagini che vi attraversano la mente: il rugby, per chi non lo sapesse, si pratica pure a Siracusa. Ebbene sì, uomini, il calcio non è l’unico sport al mondo.Il rugby è definito uno sport di contatto e di si-tuazione perché il confronto fisico tra i giocatori è una costante del gioco e perché è importante la capacità di comprendere le situazioni con-tingenti di ogni fase della partita. Nel rugby le porte hanno la forma di “H” ed è vietato passare il pallone in avanti, quindi il terreno può essere guadagnato solo correndo con il pallone o cal-ciandolo (anche qui, come vedete, il nesso con il calcio, anche solo per il fatto di tirare una palla con i piedi, c’è).Abbiamo sentito Rosario Buscema, il coach, o team manager se preferite, di un’importante squadra di rugby siracusana, la Syrako club.Qual è l’importanza dello sport e, in partico-lare, del rugby nel territorio di Siracusa?“Noi siamo insediati nel territorio da ben vent’anni e prima, oltre a noi, c’era anche un’al-tra squadra, il Siracusa rugby; in seguito i due team si sono fusi e ora esiste solo la Syrako. Il rugby è, innanzitutto, come tutti gli sport, alta-mente educativo; io dico però che, rispetto agli altri sport, il rugby ha “una marcia in più” per-ché è uno sport di contatto e di combattimento; in queste attività sportive, come il rugby o come la boxe, se i giocatori non avessero dei principi e dei valori vi sarebbe una rissa per ogni partita o per ogni incontro: invece questo non accade. Di più il rugby è uno sport nato nella scuola e, anche ora, durante le ore di educazione fisica, sarebbe da preferire al calcio; purtroppo in Ita-lia esiste una mentalità calcistica mentre in altri stati il rugby è, addirittura, materia di insegna-mento; è uno sport che educa i ragazzi al vive-re civile perché consente loro di affrontare ciò che si affronta, di solito, nella vita: si combatte, si reagisce, si sta con gli altri; nello spirito del rugby c’è proprio questo”.Qual è il rapporto della squadra con i tifosi siracusani?“Negli ultimi anni siamo stati abbastanza se-guiti dai tifosi ma, in realtà, non abbiamo mai

avuto un pubblico numeroso per il semplice fatto che manca una struttura in cui poter te-nere regolarmente le partite quando giochiamo in casa contro altre squadre; per questo motivo non abbiamo mai fatto campagne pubblicitarie delle nostre partite: non sappiamo mai dove gio-chiamo. La domenica la gente viene a vederci tutto sommato; però, certo, se avessimo un po-sto dove farla sedere e se potessimo offrire uno spettacolo di rugby sull’erba, sarebbe meglio; è la struttura che implica che ci sia poca tifoseria. Fra l’altro abbiamo avuto anche la conferma, qualche tempo fa, del fatto che il pubblico non ama seguirci solo perché le condizioni logistiche sono disagiate; l’anno scorso c’è stato un incon-tro con una squadra inglese, l’Hsbc, e in quella partita siamo riusciti – non so come, ancora me lo chiedo – a giocare allo stadio di Siracusa, il De Simone. Abbiamo saputo solo dodici ore pri-ma della partita che avremmo potuto disputare lì l’incontro e abbiamo raccolto più di cinquecento tifosi, numero per noi elevatissimo; penso che se solo lo avessimo saputo, non dico una settimana, ma almeno ventiquattro ore prima, e avessimo pubblicizzato la partita, avremmo avuto più di duemila spettatori e avremmo potuto allargare l’invito pure alle scuole”.Dove giocate attualmente?“Da un paio di anni stiamo giocando al campo del villaggio Miano in via Epipoli. Purtroppo siamo costretti a giocare su un campo in terra battuta e chi se ne intende sa che questa cosa è assurda per il rugby: si dovrebbe giocare sull’er-ba. Non osiamo lamentarci visto che, almeno, abbiamo trovato questa sistemazione al villag-gio Miano però si tratta solo di un arrangia-mento: non c’è una tribuna, gli spogliatoi sono piccoli, dobbiamo pagare per giocare visto che la struttura è privata e siamo sempre ospiti, non è il nostro campo”.E per gli allenamenti? “Finalmente ora abbiamo trovato alloggio al campo Pippo Di Natale; prima questo campo chiudeva alle 18:45 mentre adesso, forse an-che grazie a noi che abbiamo fatto pressioni per vent’anni, possiamo allenarci fino alle 22:30. Al campo Di Natale, inoltre, abbiamo più visibilità e, qualche volta, si avvicinano perfino dei ragaz-zi nuovi; fino all’anno scorso ci allenavamo al buio, la situazione logistica era molto critica, mentre ora, per fortuna, abbiamo la luce, gli spo-gliatoi, le docce e, soprattutto, non ci facciamo male allenandoci. Prima, invece, correvamo co-stantemente il rischio, sia nelle partite che negli allenamenti, di infortunarci giocando al buio e, per giunta, in terra battuta. È assurdo che, in tutta la Sicilia, oramai siamo rimasti l’unica città in cui una squadra di rugby gioca in un campo in terra battuta; tutti gli altri campi vengono fatti, invece, in erba. Dal punto di vista dello sport, Siracusa è anni luce indietro rispetto ad altre cit-tà, c’è molta indifferenza per le attività sportive. Inoltre, ma questo è vero in tutta Italia, lo sport che si reputa più importante è il calcio, uno sport dignitoso indubbiamente, ma il mio cruccio è che tanti ragazzi che potrebbero fare altre atti-vità non conoscono alternative, nemmeno sanno che potrebbero praticare il rugby”.Quali sono le prospettive per il futuro?“L’ideale sarebbe poter giocare anche le partite al campo Di Natale; il terreno è erboso e le di-mensioni vanno bene, anche se, certo, dovrem-mo fare qualche piccola modifica, per esempio spostare o quantomeno coprire con dell’erba sintetica una pedana di lancio che si trova pro-prio nel punto in cui dovremmo segnare le mete. Quindi prima dobbiamo fare questi lavori, e contiamo di avviarli già durante le vacanze di Natale, e poi speriamo, con l’anno nuovo, di po-ter giocare in questo campo in erba e non più in quello in terra battuta di via Epipoli. Purtroppo i problemi e gli ostacoli che incontra lo sport del rugby sono moltissimi e rimarranno fino a quan-do non risolveremo, innanzitutto, questa situa-zione del campo da gioco”.Nonostante le avversità, però, la Sirako è ben piazzata in classifica.

“Sì, per fortuna, nonostante questi problemi stia-mo raggiungendo lo stesso ottimi risultati. Pur-troppo ogni anno siamo penalizzati, all’avvio del campionato, da un deficit di otto punti e ciò perché non abbiamo le squadre giovanili, gli un-der 14 e gli under 16. E anche questo è collegato alla faccenda del campo da gioco: dove faccia-mo allenare e giocare i bambini? Già la situazio-ne è problematica per gli adulti, figuriamoci fare i giocare i bambini senza campi in erba, senza alcuna sicurezza: io non me la sento di fare ca-dere i bambini sul duro, sarebbe un trauma per loro. Se la Syrako non fosse stata penalizzata di quegli otto punti a quest’ora sarebbe prima in classifica. Inoltre, anche qualora arrivasse prima nel campionato una squadra, come la nostra, che

non ha le giovanili, non potrebbe accedere alla serie B; si tratta di un obbligo imposto dalla fe-derazione perché, ovviamente, senza giovani la squadra non può andare avanti, non può rinno-varsi. Non sappiamo fino a quando persisteranno queste difficoltà, speriamo e confidiamo che la situazione cambi a breve; forse, potendo allenar-ci e disputare gli incontri al Di Natale, i nostri problemi potrebbero pure, in parte, risolversi”.Allora, siracusani che la domenica state incol-lati al televisore a seguire tutte le partite di cal-cio della serie A, impegnatevi, almeno qualche volta, a fare una passeggiata e, tanto per variare, andate a seguire un incontro di rugby. Chissà che anche a Siracusa, tra qualche anno, non arrivino le cheerleader con i pon pon.

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Con sede in via Piave 167, ha tra i promotori Adorno e Giuliano

Nasce lo studio legale per i diritti dei migrantiVentitre avvocati con diversa specializzazione

di SEBASTIANO DI MARIA

Ogni tanto una buona notizia. Un fatto. Martedì 22 dicembre è stata inaugurata a Siracusa la sede dello “Studio legale per i diritti dello straniero cittadino rifugiato, migrante, clandesti-no, lavoratore“. La sede di via Piave 167 è stata intestata alla memoria di Dino Frisullo che ha dedicato la propria esistenza alla causa dell’immigrazione e delle minoranze etniche. L’iniziativa è frutto della colla-borazione e della disponibilità professionale di ben ventitré avvocati di diversa specializ-zazione: penale, civile, ammi-nistrativa, del lavoro e inter-nazionale. Nella circostanza, l’avv. Corrado Giuliano, uno dei principali promotori, ha illu-strato a grandi linee l’obiettivo che si prefigge lo studio legale, nel quale opereranno molti gio-vani procuratori, solitamente dotati di maggiore entusiasmo

e di più larghe vedute sociali. Il professionista ha anticipato, al-tresì, che lo studio legale non si limiterà a fornire il gratuito pa-trocinio, ma si propone di: dia-logare costantemente con i vari enti pubblici (Comune, Provin-cia, Questura, Prefettura, TAR ecc.) per far valere legalmente il riconoscimento dei diritti e l’in-tegrazione di quanti, con moti-vazioni diverse (asilo politico, ricongiungimento familiare, riconoscimento di cittadinanza ecc.), intendono stabilirsi nel nostro Paese; allacciare stretti rapporti con il variegato mondo del volontariato per attivare la prima accoglienza e la più rapi-da soluzione temporanea della quotidianità. Ha quindi preso la parola l’avv. Paolo Tuttoilmondo, da sem-pre impegnato nel sociale e molto noto alla rete territoriale dell’associazionismo solidale.

Senza enfasi ma con cognizio-ne di causa, ha tracciato una approfondita panoramica della questione “migranti” e relative problematiche. Ovviamente, ha fatto riferimento alla legisla-zione in materia e alla recen-te discutibile normativa sulla “sicurezza”, non del tutto in linea con le direttive europee e i principi sanciti dall’ONU. Il legale ha anche evidenziato le paure e le mille riserve di mol-ti (troppi) italiani che plaudono alla “fermezza” del Governo in carica, forte – diciamo noi – con i deboli e permissivo con i forti. Basti pensare ai bellicosi proclami della Lega, al dilaga-re di sentimenti xenofobi e alle pulsioni di rigetto nei confronti di tanti infelici residenti e non nel nostro territorio. Molti no-stri concittadini, evidentemente per ignoranza o per convenien-za, hanno rimosso il ricordo di

milioni di italiani che, per tutto il novecento, sono emigrati nel-le due Americhe, per il classico tozzo di pane; altri nostri con-terranei, per lo stesso motivo, spesso clandestinamente, hanno attraversato le Alpi per andare a morire nelle miniere di carbo-ne di Francia, Belgio e Germa-nia. Oggi è il turno dei popoli dell’Est che, dopo la caduta del muro di Berlino, in massa, fug-gono dalla miseria nella quale sono piombati i regimi satelliti dell’ex Unione Sovietica. Ben più tristi sono le vicende che riguardano gli afro-asiatici che, tra mille peripezie, sfidan-do le insidie del Mediterraneo, raggiungono miracolosamente le nostre acque territoriali. Strin-ge il cuore vedere scorrere sugli schermi televisivi le immagini degli sbarchi che mostrano i vol-ti emaciati - questi sì impauriti - di giovani, donne e bambini allo

stremo delle forze e di quanti non ce l’hanno fatta. E’ bene ricorda-re ai duri e puri dell’ultima ora (con la pancia piena) che questi nostri fratelli vengono a trovar-ci non già con intenti turistici o per delinquere, ma per sfuggire a persecuzioni etniche, politiche e al peggiore dei mali: la fame. Tornando alla conferenza, molti

gli interventi tra i quali quello di Ermanno Adorno, ideatore dell’iniziativa e inguaribile tu-tore dei diritti civili e politici, nonché quello dell’avvocatessa Tamara Sanabria, espulsa da Cuba ed esule in Italia. Auguri di buon lavoro, dunque, a questi novelli interpreti della solida-rietà umana.

“Abbiamo subito percepito negli uffici la diffidenza di alcuni dipendenti e funzionari”

Corrado Giuliano: “Pungoleremo le amministrazioni perchè rilascinoi permessi di soggiorno entro 20 giorni e non quando sono scaduti”

di CONCETTA LA LEGGIA

Il 10 dicembre si è celebrata la “Giornata internazionale dei Diritti umani”, per celebrare la firma da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite della “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani”, av-venuta a Parigi nel 1948 e basata sui principi fondamentali dei diritti umani inalienabili. Il “preambolo” recita testualmente: “il riconosci-mento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”. Firmato 3 anni dopo la fine della seconda guerra mondiale il testo racchiudeva in sé le spe-ranze di chi aveva vissuto nell’odio e nella violenza e che desiderava lasciare alle future generazioni un mondo migliore. Sono trascorsi so-lamente 61 anni da quando quel preambolo è stato redatto e sottoscrit-to eppure oggi i concetti di rispetto, umanità, tolleranza e solidarietà sembrano vivere in un contesto avulso dal mondo. Basta ascoltare le interviste dei giovani lombardi, aderenti alla Lega, per capire quanto misto di ignoranza e xenofobia sia ormai insito nell’animo di chi nul-la sa né vuole conoscere o capire. Ha ragione il Segretario generale delle Nazioni unite, Ban Ki Moon, quando sostiene che nessun paese è immune dalla discriminazione e l’Italia, aggiungiamo noi, non è da meno. Così i disperati che giungono sulle nostre coste vengono sem-pre più visti come ostili e nemici, come indesiderati ospiti dei quali è meglio liberarsi il prima possibile. Invece che affidarsi ai principi della nostra carta costituzionale ci si lascia trasportare dalla gretta mentalità che ormai si fa largo tra la gente comune. Certo, molti di noi sanno che chi parla così è l’incolto, l’uomo della strada senza valori ma chi tra noi non si accorge di come nell’opinione pubblica questi pensieri stiano trovando spazio e forza? Fossero solo parole potremmo misurarci su quelle ma che dire di chi avvista le carrette del mare e, come Malta, fa finta di non vedere? Non è lontano il natale del 1996 quando nel canale di Sicilia, nello scontro tra due natanti, morirono 283 tra immigrati pachistani cingalesi ed indiani e poi ancora accadimenti simili, tragedie per le quali nessuno paga e migliaia di persone giacciono in fondo al mare. Così a Siracusa, ter-ra di approdo delle carrette del mare ma anche di migrazioni (quanti dei nostri giovani vanno via in cerca di lavoro?) per difendere i diritti degli stranieri , siano essi cittadini, rifugiati, migranti, clandestini o la-voratori e sulla scia degli articoli 2-3-10 c.3 della nostra Costituzione, si è costituito lo studio legale dedicato alla memoria di Dino Frisullo, segretario dell’associazione Senzaconfine, giornalista e difensore dei diritti del popolo curdo, delle minoranze e dei migranti. I promotori sono un gruppo di avvocati siracusani: Corrado V. Giu-liano, Paolo Tuttoilmondo, Francesco Caruso, Salvatore Pecoraro, Francesco Favi, Emanuele Tringali, Maria Grazia Guardo, Umber-to Di Giovanni, Sebastiano Grimaldi, Gianfranco Vojvodic, Giu-seppe Arnone, Emma Signorino, Giancarlo Giuliano, Lucia Sciac-ca, Paolo Munafò, Marilena Del Vecchio, Federico Ares, Isabel Tamara Pino Sanabria, Mirko Karamuz Razhavi, Giacomo Malfa, Nicola Giudice, Paolo Ezechia Reale, Giorgia Lo Monaco, dott. Edoardo Di Mauro, dr.ssa Francesca Felice, con la collaborazione di Ermanno Adorno. Abbiamo sentito il promotore dell’iniziativa,

l’avvocato Corrado Giuliano. Avvocato, lei è il promotore dell’idea di costituire uno studio lega-le per i diritti dei migranti. Da dove nasce questa esigenza?“Da confronto e collaborazione con Ermanno Adorno e Paolo Tuttoil-mondo, due colleghi. L’idea si propone di prestare un utile servizio proprio nelle nostre aree locali e siciliane, poiché la nostra isola è terra d’arrivo per chi, costretto a fuggire dalla propria nazione, giunge in una terra straniera, bisognoso d’assistenza e di garanzie che i suoi di-ritti fondamentali vengano rispettati. Quando ho iniziato a progettare l’idea di uno studio ero stato fortemente colpito da una frase che suo-nava più o meno così “prima cominciano gli scafisti e poi finiscono gli avvocati” quasi a voler sottolineare come la giustizia e gli avvocati, nonostante il fondamentale ruolo sociale, non sempre abbiano agito per il meglio. Così ho pensato di coinvolgere colleghi e professioni-sti , in parte siracusani, altri catanesi e palermitani penalisti, civilisti, penalisti, del lavoro e non solo. Tamara Pino Sanabria, solo per citare un esempio , è di nazionalità cubana , avvocato per 20 anni nella sua terra, radiata dall’albo a Cuba per aver citato documenti internazionali non riconosciuti dall’isola. Un anno e mezzo fa è giunta in Sicilia ed oggi fa parte del nostro staff. Ciò, assieme ad altri colleghi, ci consen-tirà di capire ancor più i problemi e le difficoltà con cui i migranti si devono confrontare giunti nelle nostre realtà e ci consente inoltre di confrontare tra noi avvocati esperienze personali e lavorative diverse al fine di impostare un lavoro quanto più globale”.Entriamo nel merito: di cosa vi occuperete come studio?“Lo studio legale, che fornirà il gratuito patrocinio, si raccorderà, tra-mite un confronto che ci auguriamo divenga costante, con i vari Enti pubblici (Comune, Provincia, Questura, Prefettura, TAR ecc.) per il riconoscimento dei diritti e l’integrazione di quanti, si sono o intendo-no stabilirsi nel nostro Paese e intende allacciare stretti rapporti con il variegato mondo del volontariato per la prima accoglienza. Pensia-mo di coinvolgere anche l’editoria per la funzione centrale che essa occupa nella nostra società. La verità è che spesso, quando nascono contenziosi, queste persone immigrate vengono tutelate in modo li-mitato e le loro istanze ed esigenze non sono portate né in appello né in Cassazione ma si fermano al primo grado di giudizio. Bene noi intendiamo rappresentare chi a noi chiederà assistenza a tutti i livelli confrontandoci dunque in tutte le assisi”.Perché avete dedicato lo studio a Dino Frisullo?“Lo studio legale è dedicato a Dino Frisullo per l’impegno da questi profuso a vantaggio delle minoranze e delle popolazioni in difficoltà ma lo studio di per sé non ha un nome poiché ritengo che tutti gli avvocati che ne fanno parte si possano sentire liberi e perché il sito diventi un luogo concreto di interscambio culturale e di esperienze diverse, capace di mettere in moto diritti e tutele. Abbiamo scelto ap-positamente la Borgata poiché in essa risiede il maggior numero di migranti”.Quali sono i soggetti, gli enti e le istituzioni con i quali gli avvocati ed i migranti devono confrontarsi sul territorio? “Innanzitutto le Rappresentanze diplomatiche e consolari che rilascia-

no il visto d’ingresso, poi la Questura che è l’ente a cui va richiesto il permesso di soggiorno che è il primo documento che serve all’im-migrato per potere soggiornare nel territorio dello Stato. Ribadisco la necessità di prendere l’abitudine a frequentare gli uffici da parte di noi professionisti, perché spesso per lo straniero uno degli impedimenti all’esercizio dei diritti consiste proprio nella difficoltà a relazionarsi con i dipendenti pubblici. A tal fine il nostro compito sarà quello di pungolare le amministrazioni e gli uffici competenti affinchè rilascino i permessi di soggiorno, come stabilito per legge, entro 20 giorni e non, come accade, dopo mesi, poiché in tal caso si corre il rischio di consegnarli all’interessato scaduti. Interessanti contatti si potran-no intraprendere con le Università chiamate, ai sensi dell’art. 39 del T.U. Immigrazione, a garantire il diritto allo studio “stipulando intese con gli atenei stranieri per la mobilità studentesca”. Così come saremo pronti a presentare eventuali ricorsi al giudice di pace contro i decre-ti di espulsione amministrativa emessi dal prefetto, o direttamente al Tar del Lazio per i provvedimenti emessi dal Ministero dell’Interno, ovvero ai TAR” territoriali (in grado di appello Consiglio di Stato e Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana) per gli altri provvedimenti amministrativi censurabili. Siamo poi forte-mente convinti che, data l’importanza che ricoprono i giudici di pace, competenti per il reato di immigrazione clandestina, vadano sensibi-lizzati in modo che essi stessi sollevino il tema dell’incostituzionalità del reato di immigrazione e puntino ad una modifica della legge. Vi è poi da parte nostra l’idea che l’immigrato deve integrarsi nella società e per questo sarà significativo segnalare tutte quelle cooperative socia-li, associazioni, e altri enti simili che collaborano con i Servizi Sociali degli Enti Locali che sono chiamati dalla legge a perseguire proprio lo scopo dell’accoglienza e dell’integrazione e dell’assistenza sanitaria”. Siracusa e la Sicilia sono ancora terre d’accoglienza?“Lo sono ma oggettivamente abbiamo percepito subito ad esempio un atteggiamento di insofferenza da parte di alcuni dipendenti di uffici e molti funzionari ci hanno guardato con diffidenza. E’ chiaro che al di là dei singoli casi l’uomo è un essere razionale che vive in una società civile e dunque dovrebbe imparare a controllare gli istinti che dalla civiltà lo allontanano.”Oltre la Costituzione Italiana anche la Carta dei Diritti dell’uo-mo, sancita nel ’48 dall’Onu, si prefigge obiettivi simili. Quale va-lidità hanno entrambi i documenti nel mondo d’oggi?“Un valore immenso e ad essi ci riferiamo oltre che, solo per citarne un altro, al consiglio di giustizia della comunità europea. A tutti questi organismi faremo riferimento al fine di difendere e garantire quei di-ritti spesso negati o parzialmente tutelati”.Come esperienze personali sono giunti, in questi anni da lei, im-migrati che chiedevano aiuto? Quali sono i motivi principali?“I motivi per i quali molti migranti in questi anni si sono rivolti al mio studio sono vari: dalla mancanza di permesso di soggiorno, alla ri-chiesta di ricongiungimento famigliare, al lavoro nero, alla richiesta di diritto d’asilo perché rifiutata. Non esiste un solo problema, purtroppo gli aspetti sono intrecciati e molteplici”.

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In provincia dovremmo avere 120 posti letto e ne abbiamo 148. Il regno di Tigano

Sgarlata: “Una vita protettiva dei malati mentali in comunitàli rende automi privi di aspettative. Il lavoro li gratifica”

di MARINA DE MICHELE

Un percorso difficile quello del-la psichiatria perché nulla appa-re più insondabile della mente umana ma anche perché altret-tanto variegate sono le risposte che si possono dare al disagio dei pazienti, diverse le strate-gie che si possono adottare per il loro recupero, differenti gli obiettivi ultimi che si intende conseguire dal momento che non sembra esistere un modello condiviso di sanità fisico-men-tale. Si pone così quale primo irrinunciabile traguardo quello di una formazione professionale degli operatori della salute men-tale che consenta di individuare un paradigma unico delle mete possibili.Due le parole chiave, quelle intorno alle quali occorrerebbe elaborare una comune strategia secondo il dottore Tati Sgarla-ta: recovery e empowerment. Il concetto di recovery in psi-chiatria non è nuovo nella sua formulazione ma lo è senz’altro se si guarda alla sua reale appli-cazione, soprattutto se la realtà indagata è quella meridionale, quella siracusana nello speci-fico. “Oggi si guarda al malato psichico in prospettiva diversa rispetto al passato: se un tempo si pensava che ne fosse impos-sibile la guarigione, attualmen-te, alla luce delle tante ricerche e delle esperienze sommate, sappiamo che per molti sogget-ti quest’obiettivo è diventato possibile, non necessariamente nel senso del conseguimento di una completa autonomia quan-to piuttosto dell’opportunità di raggiungere il più alto livello delle sue effettive possibilità, di sfruttare ogni opportunità di una personale realizzazione. E’ ciò che si definisce empower-ment: la consapevolezza di sé e delle proprie reali capacità, la convinzione di poter apprende-re dai propri errori, come anche dalla personale esperienza di malattia, proprio partendo da essa per ricostruire se stessi, per affrontare la vita e le sue sfide, per assumere comportamenti responsabili. È necessario pen-sare al malato come ad un es-sere come tutti gli altri, con le stesse esigenze dei cosiddetti sani, con aspettative e desideri spesso nascosti, da interpretare, da comprendere, come a un in-dividuo, a una persona, che non può essere in alcun caso emar-ginato. Solo un’equipe multi professionale ad alta compe-tenza può assolvere a questa funzione, ha le conoscenze, gli strumenti opportuni per accom-pagnare e supportare il malato non solo quando si trova nelle comunità terapeutiche o nella case famiglia ma anche quando esce da esse, quando inizia, do-vrebbe iniziare, il suo percorso di reinserimento nella società. È quindi evidente che perché questo accada occorre pensare alla società come a un luogo aperto a tutti, anche a coloro che hanno bisogno di sostegno e comprensione per ritornare a farvi parte”.

Pur riconoscendo l’indiscutibile efficacia delle terapie farmaco-logiche, il loro essere essenziali, irrinunciabili, nel recupero dei pazienti, occorre dunque uscire da una dimensione di ospeda-lizzazione, da quell’azione di esclusione del disabile psichi-co che si ripropone oggi spes-so nelle comunità terapeutiche come ieri negli ospedali psi-chiatrici. “I farmaci sono in-dispensabili e se anche non portano alla totale guarigione, hanno un sicuro effetto su com-portamenti più gravi, aiutano a limitare la volontà auto o etero distruttiva del malato, o la sua chiusura esterna agli affetti e al mondo, incidono quindi sul-le pulsioni sui pensieri e sugli affetti dei pazienti, ma devono essere associati a una filosofia diversa: alla convinzione, dif-fusa e condivisa, che sia possi-bile credere nel loro recupero, saper riconoscere e valorizzare la salute dentro ed oltre la ma-lattia, progettare per loro un futuro normale in cui le mani-festazioni del loro disagio siano controllabili e possano essere gestite come temporanee e non determinanti neanche a livello di stigma sociale”.Una convinzione del dottore Sgarlata che, paradossalmen-te, può capitare di non vedere condivisa neanche tra gli stessi psichiatri o tra chi organizza i servizi necessari all’assistenza perlopiù organizzati alla meno peggio su schemi desueti ba-sati ancora sul mero controllo del paziente, su interventi volti a ridurne la pericolosità sociale, su attività quotidiane standard proposte al di fuori di precise e significative finalità, molto spesso lontane dalle reali neces-sità e dagli effettivi interessi dei pazienti, sia quando i pazienti vivono a casa loro, sia quando vivono nelle comunità terapeu-tiche, sia quando frequentano i centri diurni. Ogni paziente ha diritto a un suo progetto ed a un suo percorso, sennò si fa solo custodia e assistenza.“I nostri familiari vengono la-sciati a vegetare. Nessuno pen-sa per loro a un reale percorso di inserimento nel mondo del lavoro, vengono proposte ini-ziative del tutto inutili: la pas-seggiata, la tombolata, attività che hanno il solo scopo a volte di giustificare la presenza degli operatori ma che non hanno nessuna rilevanza sulla vita dei nostri cari. Noi famiglie siamo lasciate nell’angoscia di non sapere quale sarà il futuro dei nostri figli, dei nostri parenti, quando noi non ci saremo più e non potremo dare loro neanche

Nome CTA Comune Posti Letto Proprietà

Villa Elce Augusta 36 Rizzo

La Magnolia Città Giardino(Melilli) 20 Tigano

Villa Mauritius Siracusa 20 Tigano

CTA 1 ASP Siracusa(viale Tica) 20 ASP di Siracusa

CTA 2 ASP Siracusa(ex ONP) 20 ASP di Siracusa

Villa Rossana Avola 12 Tigano

Villa delle Zagare Noto 20 Tigano

quella parte di affettività che essi ci richiedono. Le nostre esi-stenze sono state stravolte dal dramma che ci ha colpito, che ha condizionato negativamente anche la nostra stessa qualità di vita e non ci si può chiedere, come a volte avviene, di ripren-dere in carico i nostri cari perché non ne abbiamo le competenze, perché non siamo in grado di affrontare le difficoltà che po-trebbero presentarsi, perché non abbiamo neanche le risorse eco-nomiche per sostenerli”. È questo lo sfogo di un padre la cui figlia, oggi ventiseienne, dai 14 anni soffre di una forma di schizofrenia. L’accusa è nei confronti dello Stato, delle isti-tuzioni che non fanno per questi malati quanto sarebbe invece possibile come suggerisce l’or-ganizzazione più efficiente di altre realtà nazionali.“Sono a volte gli stessi genitori, i parenti che non credono nelle possibilità di recupero dei loro

cari, che se ne ritraggono spa-ventati – commenta Sgarlata -. Eppure è possibile pensare a uno spazio fisico e psichico in cui il disabile psichico, ciascu-no nella propria diversità, possa elaborare una propria proget-tualità, imparare ad avere stima di sé, pensare di avere la capaci-tà di incidere sugli eventi, parte-cipare a una vita di relazioni, in una parola essere responsabile di sé e del suo mondo. La vita in comunità o nella stessa famiglia tutta basata su un sistema mera-mente protettivo e tendente solo alla stabilizzazione sintomato-logica, genera una deresponsa-bilizzazione dell’individuo, lo rende una sorta di automa privo di stimoli e di aspettative, lad-dove anche le poche ore di lavo-ro che alcuni di loro riescono a svolgere ne valorizzano il ruolo sociale, li fanno sentire come autosufficienti anche per quel poco che guadagnano”. Problemi da affrontare ad am-

pio raggio dunque, ma non si tratta solo, anche se ciò è fonda-mentale, dell’esiguità di risorse che vengono stanziate dagli enti pubblici, una delle voci di bilan-cio più penalizzata in tempi di crisi, bensì anche della mancata formazione degli stessi opera-tori. “Occorre un’organizzazio-ne diversa dei servizi basata su una flessibilità degli interventi, sulla presa in carico appropria-ta e personalizzata del malato, sull’azione continuativa di una equipe multiprofessionale sem-pre reperibile e pronta nelle situazioni di emergenza come nella quotidianità. È’ necessario – continua Sgarlata – una diver-sa azione di formazione. Occor-re che gli operatori psichiatrici possano scambiare tra loro le proprie conoscenze, le proprie esperienze, bisogna parlarsi per trovare strategie condivise, è necessaria una formazione con-tinua mentre ora la propria pre-parazione è affidata a tecniche

informatiche o alle case farma-ceutiche mosse da obiettivi del tutto specifici”. Villa Mauritius non è la Clinica, ma proprio una comunità tera-peutica assistita per pazienti psi-chiatrici che ha lo stesso nome e si trova accanto alla casa di cura.Mediamente per ogni 20 posti letto le strutture private ricevo-no dai 100.000 ai 120.000 euro al mese (le variazioni sono do-vute al turn-over dei pazienti e alle loro assenze per permessi in famiglia).Gli standard regionali prevedo-no 3 posti letto ogni 10.000 abi-tanti. Ogni CTA non dovrebbe superare i 20 posti. Villa Elce fu autorizzata con una prece-dente normativa che prevedeva moduli fino a 40 posti. Per la provincia di Siracusa dovrem-mo avere 120 posti letto e ne abbiamo invece 148. L’ultima autorizzazione, quella dei 12 posti per Villa Rossana che è del 2007, è stato un abuso.

IPOCRISIA BORGHESE E STUPIDITA’

Padre Carlo, il crocifisso e il perbenismoL’altra sera eravamo a un presepe viven-te fatto da genitori di ragazzi scout, a cui è seguita abbuffata di pandori e dolci per scambiarsi gli auguri di Natale. Una mamma e una nonna discutono anima-tamente di un articolo scritto da padre Carlo, il parroco di Bosco Minniti. Noi esclamiamo “Ah, quello sul crocifisso! Bellissimo, vero? Siamo d’accordo al 100%!”. Le due gentili signore ci guar-dano impietrite e noi, cominciando a camminare sulle uova, capiamo di stare dal lato sbagliato della barricata. “Come bellissimo? Ma l’avete letto?”, “Sì, forse è un po’ forte però ha ragione! Si sa, pa-dre Carlo ogni tanto è difficile da capire, ma con il pugno allo stomaco che ci dà parlando in un certo modo ci costringe a riflettere su molte cose…”, “Ma dice che il crocifisso se lo mettono sul sedere!”. Allora a questo punto serve ben più di una battuta. Padre Carlo, che certo non possiamo definire un diplomatico e ne siamo contenti, in un bimestrale locale, “Idea Solidale”, si dichiara per l’elimi-nazione del Crocifisso dai luoghi pub-blici, per un semplice fatto di coerenza, perché tante scuole e uffici, ma anche tanti edifici ecclesiastici, sono ormai molto lontani da ciò che il Crocifisso rappresenta. Sarebbe quindi ipocrita appenderlo per fregiarsi di valori che in realtà non si condividono. In poche pa-role, il Crocifisso bisognerebbe portarlo nel cuore. E dovremmo ricordare che si tratta – continua padre Carlo e noi con-dividiamo – non di un simbolo culturale o storico, ma del ricordo del Sacrificio Supremo e del simbolo di ogni misero

essere umano che noi e la nostra “cul-tura” releghiamo in ghetti semiabban-donati. Il parroco estremista commenta – anche qui incompreso – che dovrebbe anche essere “proibito stupidiare con il Crocifisso, ridotto a orecchino, accesso-rio di collanine…, ma oggi si usa anche metterselo sul culo”: questa è la frase incriminata, ma più chiara di così non potrebbe essere. Padre Carlo non afferma che fa bene chi lo riduce a piercing, ma al contrario deplora chi lo indossa come ornamen-to, perché tale non è. Concludiamo con le parole di questo nostro stra-ordina-

rio concittadino, “i crocifissi languono e ci muoiono tra i piedi. Ci inciampia-mo sopra e li malediciamo sperando che presto le nostre città vengano ripu-lite”. Certo sarebbe diverso, come ha detto un altro vituperato personaggio, Daniele Luttazzi, se i crocifissi aves-sero le fattezze di Claudia Schiffer! E se, invece di sbarcare su chiatte della speranza, arrivassero con yacht extra-lusso. Ricordate Qualcuno che dai Suoi con-temporanei veniva definito estremista e impudente?

Giusy Scarcella

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LA CITTA’ A CUI NON TI ABITUI

C.da Tremmilia - Forse si faranno belle da grandi

Carlo Giuliano: “Molti atti debordano rispetto alla corretta amministrazione”

Dense nuvolaglie sull’Associazione Allevatori“La gestione Bronzino è troppo autoritaria”

di FRANCO ODDO

Tanto tuonò che piovve. Ora anche il presidente della Com-missione Affari Istituzionali dell’ARS, on. Riccardo Minar-do (MPA), ha firmato l’inter-rogazione proposta da quattro deputati del Partito Democrati-co (primi firmatari Bruno Mar-ziano e Roberto De Benedic-tis) sulla controversa gestione dell’associazione regionale allevatori siciliani da quando presidente ne è il ragusano Ar-mando Bronzino. L’ARAS “è un ente con personalità giuridi-ca riconosciuta dalla Regione Siciliana che, per delega della stessa e del Ministero per le Politiche Agricole, attua (do-vrebbe attuare, ndr) iniziative di miglioramento zootecnico, di consulenza agli allevatori e di promozione delle produzio-ni utilizzando un contributo erogato in parte dal bilancio regionale e in parte assegna-to all’Assessorato Agricoltura e Foreste dal Ministero per le politiche agricole” e sostanzia-to in piccola parte anche dalle quote di iscrizione degli alle-vatori.Armando Bronzino, insomma, gestisce annualmente più di 15 milioni di euro, trenta miliar-di delle vecchie lire che non tutti sono convinti che siano spesi in maniera oculata. Da più parti è stata lamentata una eccessiva disinvoltura nell’ar-ticolazione dei servizi, tanto che dal 2006 va avanti un’in-chiesta della Guardia di Finan-za in seguito a una denuncia presentata dall’avvocato Carlo Giuliano, allora componente il Cda dell’Associazione, il qua-le chiedeva ufficialmente di acquisire documentazione di alcune delibere di giunta ma volta per volta ne riceveva solo silenzio. “Ritengo – dichiarò

Giuliano alla Polizia Tributaria di Palermo – che tale atteggia-mento possa essere sintoma-tico di gravi irregolarità od abusi nella gestione dei conti che attingono per la massima parte dai fondi della Regione Siciliana” e, a meglio fondare i suoi sospetti, riferì le dicerie di alcuni associati su “atti che debordano rispetto alla corretta amministrazione”.Ma Carlo Giuliano – che è stato per anni vicepresidente della Regione e poi presidente facente funzione dopo l’ucci-sione di Mattarella – non è il solo ad avare alzato la voce. Recentemente. “48 allevatori, soci della stessa associazione, hanno segnalato un sistema di gestione autoritaria dell’attua-le presidenza dell’ARAS, che – si dice nell’interrogazione parlamentare – avrebbe in que-sti ultimi anni fatto scadere la qualità e la quantità dei servi-zi agli allevatori, demotivato e mortificato molti dei dipenden-ti impegnati nell’assistenza alle aziende e determinato ricorren-ti irregolarità nella gestione amministrativa dei contributi pubblici della Regione Sicilia”.Gestione autoritaria, incapa-cità di motivare i dipendenti, irregolarità. Com’è ovvio, le prime due accuse – pur gravi nell’espletamento di un incari-co pubblico – non costituisco-no motivi “ad excludendum”. Ma, ove fossero riscontrate irregolarità amministrative, la situazione sarebbe diversa. Che i circa 200 dipendenti dell’ARAS siano demotivati non stupisce. Ove fosse vero che sono stati dati aumenti di più di 300 euro al mese al al-cuni dipendenti “fuori dal con-certo sindacale e dal contratto collettivo” ci sarebbero state

promozioni non legate al me-rito che certo non rasserenano i rapporti del personale. Del resto, Armando Bronzino, nei primi tre anni della sua presi-denza, che risale al 2003, for-tificò il suo personale potere con una serie di assunzioni che furono ritenute “capricciose e clientelari” e che ovviamente gli assicurarono il placet della politica e degli organismi che dovevano garantirgli lunga vita alla presidenza. Fatto sta che adesso Bronzino si avvia a festeggiare sette anni di pre-sidenza. Parallelamente all’au-mento di spesa per il personale sarebbero stati sensibilmente ridotti i premi agli allevatori per il miglioramento genetico. Ma non basta. Dice l’avv. Giu-liano: “Tra compensi, gettoni di presenza, rimborsi spese, au-tovetture in leasing per Ragusa e Palermo, telefoni, alberghi, pranzi, cene, viaggi in Italia e all’estero, spese di rappresen-

tanza, carte di credito, inutili consulenze, assunzioni di per-sonale a capriccio, promozioni e aumenti di stipendio fuori contratto, compenso annuo al Presidente fissato al netto degli oneri fiscali (modo inusitato), compenso per la direzione del giornale” si è arrivati a cifre astronomiche. Una gestione che certo non si addice all’amministrazione di soldi pubblici. Ma non è la sola accusa che si muove al presidente Bronzino. L’ARAS, infatti, avrebbe intrapreso una campagna di marketing per piazzare il formaggio ragu-sano, oltre che in Europa, in America e in Estremo Oriente. Nulla di male, si dirà, nono-stante il formaggio siciliano non copra che il 18% del con-sumo locale. Senonchè – af-ferma l’avv. Giuliano - “i for-maggi venduti pare siano quasi esclusivamente di Ragusa latte il cui direttore e consigliere

delegato è stato recentemente assunto quale direttore gene-rale dell’ARAS”. Peraltro, re-centemente l’Associazione ha sguarnito la sede siracusana, che ha deciso (stranamente) di mantenere uno sportello dentro la sede della Col diretti, spo-standosi in quel di Rosolini, il comune più periferico della provincia ma limitrofo alla Ra-gusa di Bronzino, grazie a una delibera di quel Comune che, il 3 febbraio scorso, ha affidato in comodato d’uso per dieci anni all’ARAS i locali “in ragione delle valenze di pubblico inte-resse in favore della collettività amministrata”. Parole che fan-no a cazzotti con ciò che si è verificato all’apertura di questa sede. Infatti, l’ARAS ha deciso di aprire nei locali, che avreb-bero dovuto essere destinati soltanto a servizi per gli alle-vatori, “un recapito della Co-nai srl, dove si potrà acquistare materiale per uso zootecnico e veterinario: guanti, guaine, detersivi per gli impianti di mungitura eccetera”. “Gli al-levatori – commentava Santina Giannone de “La Sicilia” – non si spiegano il motivo di tale of-ferta commerciale proveniente da un ente pubblico”. Amme-nochè non vi siano, ma è da di-mostrare, interessi privati.E’ da tempo che la gestione Bronzino nell’ARAS suscita malumori. Di essi si sono fatti portavoce anche il presidente provinciale della CIA, Enzo Aglieco, e della Confagricoltu-ra, Biagio Bonfiglio, che hanno espresso preoccupazione “per lo sviluppo di alcune dinami-che che evidenziano parzialità assolutamente non trascurabi-li”. Altri malumori sono stati espressi anche dalla Federcolti-vatori di Nino Gozzo. Un fatto è sicuro. L’assessorato Agricol-tura e Foreste della Regione ha già posto mano al problema. In una lettera del Dipartimento per gli interventi strutturali, inviata all’ARAS di Palermo e all’As-sessore regionale, figurano ben 15 contestazioni di irregolarità tra cui incrementi “ingiustifica-ti” di spese, “elargizioni di pro-mozioni”, “spese elevate per consulenze esterne, “chiusura

ingiustificata del laboratorio di analisi di Palermo, con tra-sferimento delle attrezzature a Ragusa”, strane nomine e altre cosette del genere. Ma, chissà perché, Bronzino è riuscito lo stesso a portare avanti una po-litica dell’ente che potenzia la struttura di Ragusa e rafforza il suo potere personale anche a detrimento di altre organizza-zioni e di altre province.Al di là delle voci critiche di al-cuni avveduti conoscitori delle situazioni interne all’ARAS, le aziende associate finora si sono tenute il mal di pancia, hanno propalato il loro malessere ma non avevano mai espresso il malcontento in un documen-to ufficiale. Fino a quando il presidente Bronzino, in un’as-semblea estiva al President di Palermo, non ha proposto e fatto approvare delle modifi-che statutarie che, è scritto nel documento firmato da 48 alle-vatori, “così come introdotte sono fortemente lesive della struttura organizzativa degli allevatori siciliani, soprattutto per i Consorzi Provinciali Alle-vatori, persone giuridiche rico-nosciute che con tali modifiche vengono di fatto soppressi con accentramento della rappresen-tatività dell’universo allevato-riale siciliano nell’ARA Sici-lia e nella presidenza stessa”. Insomma, un colpo di mano, secondo questa denuncia che impugna il verbale dell’assem-blea. Adesso si parla aperta-mente di struttura dell’ARAS “centralizzata e verticistica” perseguita senza una preven-tiva dettagliata informazione di ciò che si sarebbe andato a votare. Con queste modifiche si prosegue – incalzano ora gli allevatori – nella “gestione au-toritaria dell’attuale presidenza ARA che ha in questi ultimi anni di gestione fatto scadere la qualità e quantità dei servizi Ara agli allevatori…”.Ce n’è d’avanzo per guardar meglio “nei rendiconti e nei bilanci dell’associazione ed effettuare un controllo nel più breve tempo possibile”. Pro-prio ciò che chiedono i parla-mentari firmatari dell’interro-gazione alla Regione Siciliana.

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“C’è un posto in via Arsenale in cui guardi il mare e le stelle libando champagne e…”

I luoghi dell’amore a Siracusa. “Anzitutto il cimiteroPoi il Talete, le scuole di danza, le palestre, Ortigia e i pub”

di MONICA LANAIA

Una volta Morandi chiedeva alla sua morosa di farsi mandare a prendere il latte. Alle porte del 2010 i giovani non hanno biso-gno di questi escamotage per in-contrarsi avendo gli sms e il ‘68 modificato regole e costumi del-le nuove generazioni. Non sarà più la latteria ma, allora, in quali luoghi si incontrano, si innamo-rano, si imboscano i siracusani? Voi, per esempio, lo sapevate che uno dei posti più “in” per furtivi incontri d’amore è l’oscu-rità del cimitero? Negli anfratti del camposanto, ottimi per lo scopo se si riesce a tollerare l’at-mosfera un tantino macabra che vi regna, troverete le coppie già collaudate oppure, al contrario, le coppie ancora in clandestinità. Diverso è il discorso dei primi approcci: in questi casi servono, ovviamente, luoghi più affollati per individuare il destinatario del coup de foudre e attaccare botto-ne. Balere e milonghe, palestre e pub, comitive e discoteche: ogni luogo potrebbe essere quello giusto per una cotta. Avete mai provato a iscrivervi in una scuola di tango, danza pas-sionale in cui i ballerini stanno avvinghiati nove passi su dieci? Sono moltissimi i single, giovani e meno giovani, che tentano di incontrare l’anima gemella fra un ocho adelante e un gaucho;

e se il partner vi pesta i piedi (o voi li pestate al partner), il che è possibilissimo se siete alle prime armi? Niente paura, il bello di queste scuole di danza è che il metodo didattico presuppone il cambio di coppia quasi per ogni sequenza di passi, caratteristi-ca che rende questi luoghi poco indicati, quindi, per le coppie gelose. Una ragazza siracusana, che ha chiesto di non menzionare il suo nome, commenta: “Per co-noscersi, il luogo per eccellen-za a Siracusa è Ortigia: i pub e le vie della zona sono luoghi di ritrovo per moltissimi giovani; anche le palestre e i cortei sono un buon trampolino di lancio dei fidanzamenti, anche perché incontrare un partner in queste circostanze implica già l’esisten-za di un interesse in comune, lo sport o gli ideali politici e sociali. Quando le coppie vogliono stare in intimità possono scegliere fra luoghi poco romantici ma molto immersi nell’oscurità, come il parcheggio del cimitero, il par-cheggio Talete o piazza Adda oppure possono optare per il cinema e le zone di mare come l’Arenella, anche questi ultimi scarsamente illuminati”. Alessandra Attardo, invece, ci spiega: “A Siracusa è normale che i differenti gruppi, a secon-

da dello stile che adottano, del linguaggio che usano, dell’abbi-gliamento che portano, scelgano di ritrovarsi in posti diversi; così, in base al ragazzo che si frequen-ta o che si spera di incontrare, bisogna andare nei differenti luoghi di incontro: i ragazzi con i rasta, per esempio, stanno nei pub di Ortigia, mentre altri ra-gazzi sono dei “tipi da piazza” e trascorrono interi pomeriggi e serate in piazza Adda. Il luogo quindi cambia quando cambia il partner. Anche le palestre – pro-segue la ragazza – sono ideali per i flirt: si attacca bottone, ci si allena insieme e, poi, una cosa tira l’altra e magari il ragazzo propone alla nuova conquista di andare a prendere un caffé o di riaccompagnarla a casa. Per i romantici che desiderino appar-tarsi, il piano di sopra del par-cheggio Talete è l’ideale: è uno

spiazzo sul mare in cui hanno posizionato panchine e lampion-cini. Per una passeggiata con il fidanzato, invece, si può andare in piazza Duomo e – quando an-cora esisteva – si poteva passeg-giare anche alla Marina”.Pure una voce maschile, quella di Francesco Mantuano, ci parla dei luoghi dell’amore a Siracusa: “Quando facevo pallavolo quasi tutti i miei compagni di squadra facevano coppia fissa con le pal-lavoliste del turno precedente; invece, io e la mia ragazza ci siamo conosciuti facendo insie-me gli scout. Luoghi adatti per una passeggiata di coppia sono i centri commerciali: vi si può chiacchierare tranquillamente, osservare le vetrine, mangiare un boccone e, se fa freddo, si evita di camminare all’addiaccio delle vie cittadine; se poi, gli innamo-rati vogliono proprio far qualco-

sa di diverso, ci sono sempre le spiagge e le zone del mare, tem-po permettendo ovviamente”.“Però qui a Siracusa – continua il giovane – è difficile proporre alla fidanzata, come accade spes-so nei film d’amore, «Tesoro, andiamo a fare una passeggiata al parco» e questo per il picco-lo inconveniente tecnico che nella nostra città dei parchi non c’è neanche l’ombra. Una nuo-va tendenza è quella di portare il fidanzatino a casa; ormai non è più un problema, i genitori lo accettano anche se i figli sono ancora adolescenti. E se poi il partner in questione non si rivela l’amore della vita? Pazienza, in-tanto si è goduto del calduccio e delle comodità della casa”.Secondo i nostri intervistati, i luoghi in cui è più facile fare in-contri sono quelli che si frequen-tano abitualmente: scuole, posti

di lavoro, palestre, oratori, disco-teche; anche nelle comitive e fra “gli amici degli amici” è possibi-le scovare un partner. Per scam-biarsi effusioni, invece, in pole position le case e, in subordine, le auto, parcheggiate indifferen-temente davanti al mare o da-vanti al cimitero purché il luogo sia buio; i più abbienti possono anche prenotare una camera in un albergo, per qualche ora o per una notte. Una ragazza tedesca, Melanie Merzbacher, ci con-fida: “Siracusa è una città così romantica. C’è un posto, in via Arsenale, vicino al monumento ai caduti, ottimo per una coppia che voglia osservare il mare, ma-gari stappando una bottiglia di spumante sotto le stelle”. La fan-tasia non mancherà di certo agli innamorati siracusani e di luoghi dell’amore reconditi, a quanto pare, la nostra città è piena.

Melanie MarzbacherAlessandra_Attardo

Ce ne sono che ne attuano decine con più di 60 esperti. E’ diventato l’outlet della conoscenza

In molti istituti boom di progetti con PON, POR, FSE“Offriamo di tutto di più”, l’imperativo delle scuole azienda

di PINO BRUNO

PON, POR, FSE, acronimi alieni per i non addetti ai la-vori. Sigle che richiamano, alla mente dei più avverti-ti, il cospicuo flusso di euro che arriva da Bruxelles, in mille rivoli, a finanziare le più disparate attività e i più originali progetti. Un fiorire di progetti è stata anche la scuola a partire già dagli anni ’80, ma mai aveva raggiunto, come in quest’ultimo perio-do, un boom tanto smisurato da identificarsi come la scuo-la del progetto, il progettifi-cio dove se ne producono per tutti i gusti e per tutte le sta-gioni allo scopo di accedere al finanziamento “comune”, a quello “perequativo”, a quello per la “complessità”, a quelli dei fondi strutturali europei integrati dai fondi nazionali (PON) e dai fondi regionali (POR), a quelli straordinari per le attività extracurricula-ri, per le attività aggiuntive, per le attività integrative, per l’arricchimento e il migliora-mento dell’offerta formativa, per le educazioni trasversali quali, ad esempio: l’educa-zione ai Diritti umani, alla Pace, alla Solidarietà, alla Tolleranza, all’Interculturali-

tà, alla Legalità, alla Salute, all’Ambiente, per l’educazio-ne stradale, per la promozio-ne delle lingue straniere e per l’informatica.POF è l’altra parolina magica, il piano dell’offerta formativa che contiene le mille varie-gate attività che ogni scuola offre ai suoi “clienti”. Per attrarli, in una competizio-ne che si svolge sul terreno delle immagini, delle lusin-ghe, spesso non della qualità ma della quantità, in molti casi addirittura della quantità “industriale”. E Siracusa? Le scuole della nostra provincia? Per la prima volta non siamo ultimi in questa speciale clas-sifica dell’outlet della cono-scenza. “Offriamo di tutto e di più”, l’imperativo delle scuo-le azienda. E così, cinquanta sono le pagine che le nostre scuole riempiono nell’ana-grafe delle prestazioni pub-blicata dal ministero della funzione pubblica. E così, settecento le consulenze e le collaborazioni esterne affida-te dagli istituti scolastici sira-cusani di ogni ordine e grado nel 2008. Un elenco incom-pleto, parziale, perchè non tutti hanno comunicato i loro

dati. Per dimenticanza, per non conoscenza della norma, per pudore, non lo sappiamo. Immaginiamo che il “miraco-lo” sia ancora più grande, più estesa quella che qualcuno ha chiamato la “moltiplicazione dei PON e dei pesci”. Alle centinaia di migliaia di euro previsti e in parte già spesi che si conoscono se ne devo-no aggiungere senz’altro altre decine di migliaia di cui non è dato sapere.“Mi cimento”, “mi sperimen-to”, “imparo la chitarra”; ed ancora, “restare a scuola”, “costruiamo insieme” e l’im-mancabile “prevenzione del disagio giovanile”. Chissà se questo disagio non nasce proprio dalle molte, troppe attività a cui sono sottoposti i ragazzi. Sarebbe il caso di dire “chi previene la preven-zione?”. La progettualità della scuola dell’autonomia si è raffinata a tal punto che sono nati nuovi mestieri: l’esperto in proget-ti. Esperto nel coordinamen-to, organizzazione, gestione, assistenza tecnico-contabile di progetto. La stessa perso-na può in tal modo ricevere anche decine di incarichi,

dalle indagini statistiche al monitoraggio e valutazio-ne finale, dalla consulenza tecnico-amministrativa alla vera e propria gestione di un progetto, qualunque esso sia. In tal modo la stessa perso-na può anche ricevere decine di migliaia di euro senza che nessuno sappia se quello che ha fatto è servito realmente a qualcosa. Certo, formalmente tutto a posto, ma chi organiz-za e gestisce può anche valu-tare i risultati di quello che fa? Ovviamente vi sono poi esperti nelle più disparate materie “tecniche”, dalle me-todologie informatiche alla “danza flamenga”. Altrettanto ovviamente vi sono scuole che dichiarano uno o due iniziative mirate, altre che ne attuano decine arruolando più di sessanta esperti. Così come lo stesso esperto possiamo ritrovarlo in decine di scuole.Sembra quasi che sia avve-nuta una mutazione genetica, la competizione ha aperto un vulnus invertendo il rapporto fisiologico tra la normalità curriculare e le attività inte-grative. Sembra che l’obiet-

tivo non sia più quello di migliorare semplicemente le competenze in lettura, scrittu-ra e conoscenze scientifiche,

piuttosto quello di vendere un prodotto il più allettante possibile. Venghino signori, venghino!

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Un lavoro complesso che riguarderà tutto il territorio e coinvolgerà molti servizi

di PINO BRUNO

Nell’ambito del piano nazionale per la prevenzio-ne, la regione Sicilia ha ricevuto un finanziamento aggiuntivo di 10 milioni e 800 mila euro per mi-gliorare ed estendere gli screening oncologici alla popolazione interessata. Si tratta, come dicevamo, di risorse aggiuntive destinate alle regioni meri-dionali ed insulari per colmare il deficit in questo campo rispetto all’offerta già garantita alla restan-te popolazione italiana. I programmi di screening oncologici nascono da un accordo tra il ministero della sanità e le regioni nel marzo 2001, vengo-no inseriti successivamente tra le prestazioni da garantire all’interno dei livelli essenziali di assi-stenza, ricevono negli anni finanziamenti specifici nelle varie finanziarie, la loro attuazione rappre-senta uno degli adempimenti previsti dai vari ac-cordi Stato-Regioni che sono stati sanciti nel corso dell’ultimo decennio. In particolare per la Sicilia, l’attuazione del programma era uno degli adempi-menti non rispettati che sono stati inseriti nel piano di rientro e riqualificazione del sistema sanitario regionale che ci ha visto (e ancora oggi in parte ci vede) sotto monitoraggio dei ministeri della salute e dell’economia. Il cancro della cervice uterina, della mammella e del colon retto sono tre dei principali tumori che colpiscono la popolazione italiana, la loro evolu-zione può essere modificata dalla diagnosi precoce e appunto dagli screening effettuati sulla popola-zione nelle fasce di età a rischio. Si tratta quindi di una spesa che ha un ritorno notevole in termini di salute. Al momento le conoscenze scientifiche han-no fornito prove sufficienti sull’efficacia di questi tre protocolli, in futuro potranno aggiungersi nuovi programmi per altre tipologie di tumori. Si tratta di una serie di esami clinici, strumentali o di labora-torio per individuare una malattia, in questo caso alcuni tumori, prima che essa si sia manifestata. Un programma di screening è però organizzato in maniera tale che la popolazione viene invitata attivamente a sottoporsi ad un test. Fondamentale diventa quindi la comunicazione per poter raggiun-gere quante più persone possibili. Altro momento importante è rappresentato dal coinvolgimento dei medici di medicina generale che hanno un rappor-to diretto e privilegiato con i propri assistiti. Molto sinteticamente è questo ciò che si propone il piano nazionale per gli screening 2007-2009 elaborato dal ministero della salute attraverso l’organo tec-nico del centro nazionale per la prevenzione ed il controllo delle malattie.Come si può vedere dalla tabella (fig.1), per ogni screening sono individuate le fasce di età della po-polazione interessata, il tipo di esame da praticare, la cadenza temporale con cui deve essere effettua-to, l’efficacia del test nel prevenire il tumore. Trat-tandosi di prestazioni incluse nei livelli essenziali

di assistenza sono completamente gratuite.La regione siciliana, come quelle meridionali in genere, è in ritardo rispetto al centro-nord, tuttavia in recupero tanto che il ministero che in precedenza l’aveva dichiarata inadempiente, nello scorso mese di ottobre ha certificato il raggiungimento degli obiettivi programmati per l’anno 2008 (fig.2). Pro-prio in questi giorni inoltre, l’assessore alla sanità Russo ha annunciato un rilancio dei programmi, invitando le nuove aziende sanitarie ad individuare o confermare i referenti per ogni singolo screening il cui compito sarà quello di curare la parte organiz-zativa in ogni realtà provinciale. Anche l’ASP di Siracusa ha già avviato questa nuova fase, peraltro non partendo in questo campo da una situazione di carenza rispetto al resto della Sicilia (come può evidenziarsi nelle figure 3 e 4) ad eccezione del programma per la prevenzione del cancro colo-rettale dove sconta una notevole arretratezza che l’accomuna a tutta la regione siciliana rispetto al resto d’Italia (vedi figura 5). Vogliamo soffermarci sul progetto di screening del tumore colo-rettale perché è sicuramente quel-lo che richiederà il maggior impegno considerato che nella nostra provincia è quasi tutto da creare ex novo. Il medico individuato dall’ASP di Sira-cusa quale referente per questo progetto è il dott. Sebastiano Romano, professionista capace e dalle indubbie qualità umane, che avrà però un altrettan-to indubbio gravoso compito. Dovrà infatti coordi-nare un complesso lavoro che consiste nell’invitare con lettera tutte le persone di entrambi i sessi che rientrano nella fascia di età target dello screening. In una prima fase il test da effettuare è quello della ricerca del sangue occulto nelle feci (SOF). Il ma-teriale per il campionamento dovrebbe poter essere ritirato presso i distretti, gli ambulatori medici, le farmacie o eventualmente anche inviato per posta. Per minimizzare il numero dei test inadeguati, le istruzioni devono essere quanto più chiare possibili e ciò presuppone che vi sia anche una formazione specifica del personale che parteciperà al progetto. Sarà necessario organizzare in maniera adeguata un sistema di riconsegna, trasporto e conservazio-ne del materiale in sedi prescelte. In caso di esito negativo, si dovrà inviare una lettera di risposta consigliando di ripetere il test dopo due anni. I pazienti positivi dovranno invece essere contattati per effettuare approfondimenti diagnostici (retto-sigmoidoscopia, colonscopia, ecc.). Come dicevamo un lavoro abbastanza impegna-tivo che dovrà riguardare tutta la provincia e che quindi coinvolgerà più servizi dell’azienda sanita-ria. Un augurio al dott. Romano e a chi lo colla-borerà, perché riuscire a vincere questa sfida potrà significare ridurre in maniera significativa la mor-talità per questo tipo di tumore.

L’Azienda Sanitaria avvia lo screening oncologicoPer il tumore colo rettale referente è il dott. Romano