Primo Levi - Le notizie e i video di politica, cronaca...

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DOMENICA 18 GENNAIO 2009 D omenica La di Repubblica TORINO M i ha colpito il suo desiderio di rendere testi- monianza sulla tragica esperienza nel lager: quando è nato questo desiderio? «Questo de- siderio, del resto comune a molti, mi è nato nel lager. Volevamo sopravvivere anche e soprattutto per racconta- re ciò che avevamo visto: questo era un discorso comune, nei po- chi momenti di tregua che ci erano concessi. Del resto è un de- siderio umano: lei non troverà mai un reduce che non racconti. (No, mi correggo, ve ne sono alcuni che non raccontano; ve ne sono alcuni che sono stati feriti talmente a fondo che hanno cen- surato il loro passato, l’hanno sepolto per non sentirselo più ad- dosso). In primo luogo c’è il bisogno di scaricarsi, di buttare fuo- ri quello che si ha dentro. Poi ci sono anche altri motivi... c’è for- se anche il desiderio di farsi valere, di far sapere che siamo so- pravvissuti a certe prove, che siamo stati più fortunati, o più abi- li, o più forti». (segue nelle pagine successive) i sapori Eating London, paradiso dei gourmet ENRICO FRANCESCHINI e LICIA GRANELLO l’incontro Aznavour e la vita oltre la musica LAURA PUTTI cultura Cercando la radice araba del Messico TAHAR BEN JELLOUN l’attualità George W Bush, ritratto di un ex MARIO CALABRESI MARCO VIGLINO TORINO « M arco, vieni, c’è Primo Levi al telefo- no…». Marco Viglino aveva dicianno- ve anni e si stava preparando alla ma- turità in un liceo cattolico privato quando una sera dell’aprile 1978 arrivò, a sorpresa, la telefona- ta dello scrittore dalla quale è nata l’intervista inedita che Re- pubblica propone qui accanto. Trent’anni dopo, l’autore di quella intervista è diventato magistrato, mentre a Torino è nato il centro di studi che dovrà raccogliere e catalogare il grande la- scito di appunti e lettere dello scrittore. Un lavoro affidato alla direzione dello storico Fabio Levi che procede silenziosamente, con quello stesso stile schivo e riservato che caratterizzò la vita dello scrittore e — dopo la sua morte l’11 aprile del 1987 — quel- la dei suoi eredi, la vedova e i figli. Ma nelle scuole di Torino e del mondo l’opera di Levi assume oggi, mentre ci si prepara alle ini- ziative per il Giorno della Memoria, un nuovo significato. (segue nelle pagine successive) VERA SCHIAVAZZI spettacoli Carmelo Bene, ultimo atto CARMELO BENE e RODOLFO DI GIAMMARCO FOTO RUE DES ARCHIVES Primo Levi intervista inedita Un ragazzo di vent’anni e l’anziano autore di “Se questo è un uomo” Una lunga conversazione, registrata e mai rivelata, che torna ora, alla vigilia del Giorno della Memoria Repubblica Nazionale

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DOMENICA 18GENNAIO 2009

DomenicaLa

di Repubblica

TORINO

Mi ha colpito il suo desiderio di rendere testi-monianza sulla tragica esperienza nel lager:quando è nato questo desiderio? «Questo de-siderio, del resto comune a molti, mi è nato nel

lager. Volevamo sopravvivere anche e soprattutto per racconta-re ciò che avevamo visto: questo era un discorso comune, nei po-chi momenti di tregua che ci erano concessi. Del resto è un de-siderio umano: lei non troverà mai un reduce che non racconti.(No, mi correggo, ve ne sono alcuni che non raccontano; ve nesono alcuni che sono stati feriti talmente a fondo che hanno cen-surato il loro passato, l’hanno sepolto per non sentirselo più ad-dosso). In primo luogo c’è il bisogno di scaricarsi, di buttare fuo-ri quello che si ha dentro. Poi ci sono anche altri motivi... c’è for-se anche il desiderio di farsi valere, di far sapere che siamo so-pravvissuti a certe prove, che siamo stati più fortunati, o più abi-li, o più forti».

(segue nelle pagine successive)

i sapori

Eating London, paradiso dei gourmetENRICO FRANCESCHINI e LICIA GRANELLO

l’incontro

Aznavour e la vita oltre la musicaLAURA PUTTI

cultura

Cercando la radice araba del MessicoTAHAR BEN JELLOUN

l’attualità

George W Bush, ritratto di un exMARIO CALABRESI

MARCO VIGLINO

TORINO

«Marco, vieni, c’è Primo Levi al telefo-no…». Marco Viglino aveva dicianno-ve anni e si stava preparando alla ma-turità in un liceo cattolico privato

quando una sera dell’aprile 1978 arrivò, a sorpresa, la telefona-ta dello scrittore dalla quale è nata l’intervista inedita che Re-pubblica propone qui accanto. Trent’anni dopo, l’autore diquella intervista è diventato magistrato, mentre a Torino è natoil centro di studi che dovrà raccogliere e catalogare il grande la-scito di appunti e lettere dello scrittore. Un lavoro affidato alladirezione dello storico Fabio Levi che procede silenziosamente,con quello stesso stile schivo e riservato che caratterizzò la vitadello scrittore e — dopo la sua morte l’11 aprile del 1987 — quel-la dei suoi eredi, la vedova e i figli. Ma nelle scuole di Torino e delmondo l’opera di Levi assume oggi, mentre ci si prepara alle ini-ziative per il Giorno della Memoria, un nuovo significato.

(segue nelle pagine successive)

VERA SCHIAVAZZI spettacoli

Carmelo Bene, ultimo attoCARMELO BENE e RODOLFO DI GIAMMARCO

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PrimoLeviintervistainedita

Un ragazzo di vent’annie l’anziano autoredi “Se questo è un uomo”Una lunga conversazione,registrata e mai rivelata,che torna ora, alla vigiliadel Giorno della Memoria

Repubblica Nazionale

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32 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 18GENNAIO 2009

la copertinaIntervista inedita

“Volevo sopravvivere anche e soprattutto per testimoniareciò che avevo visto”. Comincia così, trent’anni fa, il lungocolloquio tra Primo Levi e uno studente che si preparavaalla maturità con una tesina sullo scrittore. Nel flussodei ricordi, anche la storia, mai scritta, del gesto di umanitàdi un kapò comunista verso un medico ebreo

(seguedalla copertina)

Il punto di contatto tra i primi libri equelli di fantascienza, mi pare possa es-sere la sua «indignazione», che prima èrivolta al lager e poi verso certe storturedella civiltà. È giusto?

«Sì, è giusto: è una domanda che mifanno in molti e a cui veramente non sonoil più autorizzato a rispondere, perchénon è detto che chi scriva sappia semprebene “perché” scrive. Io ho due radici: unaè il senso del lager e l’altra è il senso dellachimica con le sue dimensioni. Avevo inmente di scrivere qualcosa sulla storia na-turale ancora prima di entrare nel lager:già da studente sentivo un desiderio delgenere (non come progetto chiaro e di-stinto, ma come vaga aspirazione) e tro-vavo un terreno fertile nel mio mestiere dichimico. Perciò — dopo aver terminato Sequesto è un uomoe La tregua— non è cheio abbia “scritto” gli altri due libri: ho rac-colto alcune idee e anche alcuni raccontiche avevo già scritto prima. Per esempio,il primo racconto delle Storie naturali,quello del vecchio medico che raccoglieessenze, l’ho scritto prima di Se questo è unuomo. E... probabilmente sì, benché il te-ma sia diverso, anche gli altri scritti risen-tono dell’esperienza del lager, in una for-ma molto indiretta, in una forma di delu-sione profonda, di un ritirarsi dalla vita».

Tra i personaggi che si incontrano neisuoi libri, Lei mostra particolare simpa-tia e indulgenza verso alcuni che incar-nano una certa “furbizia” o arte di arran-giarsi, come Cesare o il Greco.

«Anzitutto questi personaggi agisconoin un contesto tutto particolare, che èquello della fine della guerra: ora, su que-

sto fondale, direi che si può essere abba-stanza indulgenti. Non ammetterei, oggi,un Greco; lo eviterei, mi terrei lontano dalui, ma in quel momento lo sentivo quasiun maestro. Egli soleva dire: la guerra èsempre. E poi ancora mi diceva: “Vedi lescarpe belle che io ho: è perché sono an-dato a rubarle nei magazzini dei russi. Tusei uno sciocco, non sei andato a cercar-le”. Io rispondevo che pensavo che laguerra fosse finita e che i russi avrebberoprovveduto. “La guerra è sempre”, mi ri-peteva, e, allora, io ero d’accordo con lui.Oggi sarei più severo nei suoi riguardi, co-sì anche nei riguardi di Cesare: ma la fur-bizia di Cesare era così solare, così aperta,così ingenua in fondo e così innocua chemi sta bene ancora adesso. Non sarei uncensore tanto severo da escluderla, inquella forma: furbizia così “italiana”,sempre mescolata con bonomia. Cesareingrassava i pesci con l’acqua, poi però,davanti ai bambini affamati della donnarussa, glieli regala. Questo fa parte diun’arte di vivere che è vecchia come ilmondo e davanti alla quale non si può es-sere troppo severi».

Quella carica di ribellione che sta allaradice dei primi due libri si è attenuatacon gli anni oppure no?

«Io contesto “quella carica di ribellio-ne”: di indignazione sì; di ribellione pur-troppo no perché non c’era modo, alme-no per chi era al mio livello. Ribellioni insenso tecnico ve ne sono state, in alcuni la-ger: l’episodio che ho raccontato di quel-l’impiccato che muore gridando “io sonol’ultimo!” si ricollega a una ribellione chec’era stata in un altro campo: i prigionieriavevano fatto saltare i forni crematori po-chi giorni prima e costui, di cui non cono-sco neppure il nome, era implicato nellafaccenda, probabilmente aveva procura-to dell’esplosivo. Riprendendo, l’indi-

gnazione sì persiste, ma diciamo che si èramificata. Sarebbe stupido oggi conti-nuare a vedere il nemico solo lì, solo il na-zista, anche se a mio parere è ancora ilprincipale. Però il mondo di oggi è moltopiù articolato che non quello di una volta.Non erano bei tempi quelli in cui io erogiovane, però avevano il grande vantag-gio che erano netti; l’alternativaamico/nemico era molto netta e la sceltanon era difficile. Oggi lo è molto di più. Per-ciò anche l’indignazione persiste, ma è...erga omnes. Verso molti, non più verso“quelli”».

Nella famosa lettera al suo editore te-desco, lei dice che non può capire i tede-schi e quindi non si sente di giudicarli.

«No, ho detto che non li capisco, ma ligiudico sì».

E come, allora?«Li giudico male: sì, anche i tedeschi di

oggi. Non tutti, naturalmente; io ho moltiamici tedeschi, anche per il fatto che par-lo la loro lingua, e mi interessano, e mi ri-fiuto di giudicarli in blocco. Però devo di-re che, statisticamente, sono un paese pe-ricoloso. Sono un pericolo intanto perchésono divisi in due e questo essi non lo ac-cettano: pochi fra i tedeschi accettanoquesta divisione. E poi hanno delle virtùche diventano pericolose: questa lorostraordinaria passione per la disciplina(che a noi manca — ed è male — ma lorone hanno troppa!) per cui sono pronti adaccodarsi a chiunque comandi, mi fa pau-ra».

Com’è che allora, sempre in quella let-tera, lei dice che i tedeschi, oltre ad esse-re pericolo, sono speranzaper l’Europa?

«Ecco... la lettera io l’ho scritta molti an-ni fa, nel ‘60, sulla corda dell’entusiasmoche avevo provato io per il fatto che un edi-tore tedesco aveva accettato di pubblica-re la mia testimonianza, e anche a seguitodi vari contatti che avevo avuto allora coni giovani tedeschi degli anni Sessanta. E miera sembrato che la Germania fosse vera-mente un’altra. Sembrava una roccafortedella democrazia, allora: oggi un po’ me-no, anzi molto meno».

Come reagiva vedendo i compagni disventura andare ogni giorno alla morte acausa della selezione: lo prendeva, alla fi-ne, come un dato di fatto, o questo le pro-curava ogni volta lo stesso dolore e lostesso disgusto?

«Ci si incontrava, al mattino, all’appel-lo e quando ne mancava uno, era consi-derato di cattivo gusto andare a fondo, unpo’ come capita oggi quando uno muoredi cancro: non se ne parla volentieri. Erauna forma di accettazione, in sostanza,per cui l’atteggiamento verso il compa-gno morto in selezione non era molto di-verso da quello verso uno morto di mortenaturale. Quel mio amico Alberto, di cuiho parlato a lungo, era in campo con il pa-dre: era un ragazzo molto intelligente e in-sieme parlavamo sovente di queste cose,senza inibizioni e senza cedere a questatendenza di negare la verità. Pure, quan-do il padre fu scelto per la selezione, Al-berto disse di essere sicuro che suo padrenon era mandato nelle “camere” bensì ve-niva trasferito con altri pri-gionieri in un

altro campo di convalescenza. E io erostupito e impressionato nel constatarecome il mio amico si fosse prontamentecostruito un riparo, per celarsi una realtàaltrimenti intollerabile».

Data la mortalità elevatissima, pensache la sua sopravvivenza sia dovuta a for-tuna o ad altri fattori?

«Io penso che, in primo luogo, moltoabbia giocato la fortuna. Inoltre non sonostato mai ammalato: mi sono ammalatopiù tardi, in modo provvidenziale. Ed ec-co come avvenne. Io, lavorando in fabbri-ca, rubavo al laboratorio ciò che mi pote-va servire per la sussistenza e puntual-mente dividevo il bottino con Alberto; c’e-ra infatti un patto tra di noi, per cui divide-vamo fraternamente ogni colpo buono(ecco qui l’arte di arrangiarsi!). Un giornoche avevo rubato del tè in laboratorio, an-dai con Alberto a venderlo all’ospedale,dove ne avevano bisogno per gli ammala-ti. Ci pagarono con una gamella di zuppa,quasi gelata e già un po’ intaccata. Proba-bilmente era stata toccata da un malato discarlattina: io presi la scarlattina, fui man-dato in ospedale e sopravvissi; Alberto cheaveva avuto la malattia da bambino, nonne fu contagiato e morì in campo. Altrofattore fondamentale per me è stato quel-l’operaio, Lorenzo, di Fossano, che mi haportato per molti mesi quanto bastava perintegrare le calorie man-canti. Egli,

MARCO VIGLINO

“Io, scampato al lagerper poterlo raccontare”

(segue dalla copertina)

Èalla letteratura, infatti, ma anche al cinema, alla musica, alteatro che si affida il ricordo della Shoah, ora che i testi-moni in grado di parlarne diventano sempre più rari. Il 26

gennaio a Torino Ernesto Ferrero, scrittore edirettore della Fiera del Libro, ne parlerà allagiornata di studi promossa dalla comunitàebraica, con un intervento dedicato proprioallo scrittore torinese: «Primo Levi sapeva be-nissimo che la memoria da sola non basta,perché la memoria a suo modo è una scrittu-ra, anzi, una ri-scrittura continua che si allon-tana ogni volta dal ricordo originale. La me-moria è un materiale tra i tanti, e come è spie-gato magistralmente ne I sommersi e i salvati,va sottoposta a un vaglio stringente, a verifi-che, controprove documentarie. Solo così, fa-cendone oggetto di un’attività di laboratoriorigorosa e continua, può essere utile a una ve-ra antropologia della banalità del male».

Anche per questo l’intervista inedita ritrovata da Viglino haun valore speciale, soprattutto per chi ha avuto la fortuna di rac-coglierla. «La lettura di Se questo è un uomo mi aveva sconvolto— racconta Viglino, oggi giudice al Tribunale di sorveglianza diTorino —. Così, avevo dedicato a Levi la tesina che ognuno do-veva preparare per l’esame finale. Ma una zia, a mia insaputa,

ne fece una copia e la diede a una vicina di casa lontana paren-te dello scrittore. Quel compito da liceale arrivò fino a lui, glipiacque e mi telefonò. Ancora oggi, trent’anni dopo, mi com-muovo pensando a quella semplicità, uno scrittore famoso chechiama un ragazzo sconosciuto».

Al telefono, Levi chiede a Viglino: «C’è qual-cosa che posso fare per te? Qualcosa che ti fa-rebbe piacere?», e l’altro non esita: «Vorrei in-contrarla». «Mi invitò per il giorno dopo nellasua casa di corso Re Umberto (è l’appartamen-to alla Crocetta, dove Levi visse fino al giornodella morte, ndr), alle nove di sera. Mi fece ac-comodare sul vecchio sofà del suo studio, unapiccola stanza piena di libri. Ero emozionato,febbricitante, quasi non osavo chiedergli dipoter usare il registratore, ma per fortuna tro-vai il coraggio… Ora la sua voce — che era bel-lissima — è ancora lì, in una cassetta C90 daun’ora e mezza che non ho mai riascoltato do-po il lavoro fatto per scrivere l’intervista: hopaura che il nastro sia diventato fragile e possa

rompersi. Passammo insieme tutta la serata, molte cose sul na-stro non sono rimaste…». «Per trent’anni — conclude Viglino —quelle pagine scritte a macchina sono rimaste nel cassetto dellamia scrivania di casa, non le ho mostrate quasi a nessuno perchéne ero geloso, ogni tanto andavo a rileggerle. Ma forse sono sta-to egoista, ed è venuto il momento di condividerle».

L’infaticabilelaboratorio

della memoriaVERA SCHIAVAZZI

SU REPUBBLICA TVSu Repubblica Tv,

l’audiogallery del dialogo

tra Levi e Viglino (nella

foto), i ricordi del lager

e il racconto di quando

Natalia Ginzburg

rifiutò il manoscritto

di Se questo è un uomo(a cura di Anna Zippel )

LA MONTAGNAA destra, Primo

Levi in bicicletta

nel 1941; nella foto

grande, lo scrittore

in montagna nel 1983

Repubblica Nazionale

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 33DOMENICA 18GENNAIO 2009

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L’OPERA DI LEVI

In occasione del Giorno

della Memoria Repubblicae L’espresso presentano

Primo Levi. Opere, una collana

in quattro volumi. Il primo,

con Se questo è un uomo,

La tregua e Storie naturali sarà

in edicola venerdì 23 gennaio

al prezzo di 9,90 euro in più

con Repubblica più L’espressoGli altri tre volumi saranno

in edicola nei tre venerdì

successivi

che pure non era un prigioniero, è torna-to molto più disperato di me: era un uomomolto mite e molto pio, rozzo e insiemereligioso, e era terrificato di quanto avevavisto, spaventato, ferito. È tornato in Italiada solo, a piedi, e non ha voluto più vivere.Ha incominciato a bere e, a me che lo an-davo a trovare spesso, diceva molto fred-damente che non desiderava più vivere,che ne aveva viste abbastanza. Morì tu-bercoloso; e infelice».

Qualche episodio insolito che ricordae che non è stato detto nei suoi libri.

«C’era con noi un medico ebreo osser-vante. Lei sa che la religione ebraica pre-vede dei digiuni molto rigorosi: in queigiorni non si mangia niente e neppure silavora. Questo medico alla sera — dopo illavoro — disse al capo-baracca che la zup-pa non la voleva, perché era giorno di di-giuno e lui non la poteva mangiare. Il ca-po-baracca era un comunista tedesco,abbastanza indurito dal suo mestiere(aveva dieci anni di lager alle spalle), però,colpito dalla forza morale del prigioniero,

gli conservò la zuppa fino a quandoquest’ultimo non ter-

minò il

suo digiuno. Questo atto di umanità miaveva molto impressionato».

Può stabilire un rapporto tra lei e gli al-tri scrittori di religione ebraica (Ginz-burg, Bassani)?

«Un rapporto complesso c’è, evidente-mente. L’ambiente di Natalia Ginzburg èil mio stesso ambiente; abbiamo parentiin comune; lei è nata Levi e suo fratello erail nostro medico. L’ambiente della bor-ghesia ebraica torinese è quello in cui so-no nato e cresciuto. Quello di Bassani è di-verso; sia Bassani che i suoi personaggiappartengono ad un’altra borghesiaebraica, quella di Ferrara, che io conoscoabbastanza poco. E che non mi piace tan-to, perché erano una classe abbastanzaconsapevole dei propri privilegi, abba-stanza esclusiva (vedi il famoso muro dicinta) e riservata e chiusa».

Per quale motivo la Ginzburg le ha ri-fiutato il manoscritto?

«Premetto che non le serbo rancore(ma forse sì, per un certo periodo gliene hoserbato). Ho pensato a tante cose: forseera satura di manoscritti — fare il lettore inuna casa editrice è un brutto mestiere; si ècostretti a falciare... poi... è un fatto che,pur conoscendola bene, non abbiamo

mai chiarito».Ha ancora

dei contatti con i compagni del lager?«Enick l’ho perso di vista completa-

mente. Ho ritrovato invece quel Pikolo,quello del canto di Ulisse; con lui ci vedia-mo sovente; viene a fare le vacanze in Ita-lia e fa il farmacista in un piccolo paese vi-cino a Strasburgo. È uno di quelli che han-no rimosso tutto: si è imborghesito com-pletamente e non ama parlare di questecose. Sono stato a trovarlo, l’ultima volta,con la Televisione italiana; gli ho chiesto diriceverci e mi ha risposto: te sì, ma le tele-camere no. Poi però ha accettato anche lo-ro, ma non volentieri».

Che pensa dei giovani d’oggi?«La differenza fondamentale tra la no-

stra giovinezza e la giovinezza attuale ènella speranza di un futuro migliore, chenoi avevamo in modo clamoroso e che cisosteneva anche negli anni peggiori, an-che nel lager: la meta c’era e era costruireun mondo nuovo di uguali diritti, dove laviolenza era abolita o relegata in un ango-lo, costruire il Paese per riportarlo a livelloeuropeo. Invece, i giovani d’oggi, mi pareabbiamo molte meno speranze. In gene-rale vedo che tendono a scopi immediati,e questo forse è anche abbastanza giusto,in quanto non distinguono un altro futu-ro. Mi pare, paradossalmente, che sia sta-

ta più facile la nostra giovinezza, perchéoggi sono troppi i mostri all’orizzonte: c’èil problema della violenza, il problemaenergetico, dell’inquinamento; il mondoè diviso in blocchi, c’è una totale incapa-cità di prevedere l’avvenire e nessuno osafare previsioni sensate di qui a due anni.C’è sempre il problema atomico. Trovoche sono pochi i giovani che pensano difare o studiare in qualche modo per un lo-ro preciso futuro. È il senso del tramontodei valori, per cui bisogna godere e bru-ciare tutto subito».

Come mai ha lasciato passare tantotempo, quindici anni, da Se questo è unuomoalla seconda opera?

«Se questo è un uomo, edito nel ‘47 pres-so De Silva, uscì in duemilacinquecentocopie: avevo delle buone recensioni, maho avuto cinquemila lettori (un libro loleggono due persone in media). Dopodi-

ché... non ho avuto più incentivo a scrive-re; mi pareva di avere fatto il mio dovere ditestimone, di essermi scaricato delle mietensioni e non sentivo il bisogno di scrive-re altro. Solo dopo molti anni mi ha ripre-so questo desiderio, perché si è ricomin-ciato a parlare della Seconda guerra mon-diale, e dei lager in specie, in modo diver-so, in senso storico appunto. Verso il ‘60, oforse prima, si tenne un ciclo di conferen-ze sul tema e io mi sono ritrovato protago-nista: molti allora mi hanno incoraggiatoa raccontare anche la seconda parte dellamia esperienza, cioè il ritorno dalla Rus-sia. Ripresi la penna anche per un altromotivo: era cessata la Guerra fredda e orapotevo raccontare la verità completa,umana. Prima era impossibile parlaredella Russia: o se ne parlava come dell’in-ferno o come del paradiso. E io non me lasentivo, in un ambiente così, di scrivereun libro-verità come La tregua. Solo dopola distensione è diventato possibile scri-vere di queste cose in un linguaggio nonretorico».

Perché è nato Malabaila?«Perché sarebbe stato scandaloso a

quel tempo: non avrei potuto, io, lo scrit-tore di Se questo è un uomo venire fuori aquei tempi con aneddoti, storie fantasti-che. Proposi allora questo pseudonimoall’editore, il quale accettò con entusia-smo, pensando forse di farne un “caso let-terario”: poi il caso non ci fu, ed io ripresi ilmio nome».

LE IMMAGINILa foto in alto e quella in basso di Primo Levi con Alberto Salmoni sono gentilmente

concesse da Bianca Guidetti Serra, 88 anni, avvocato torinese, l’“amica prediletta”

come amava definirla lo stesso Levi. Sono state scattate nell’estate del ’40 a Cortina

IL MUSEO

Le foto di queste pagine

fanno parte della mostra

Primo Levi. I giorni e le opere,

prodotta dal Centre

d'Histoire de la Résistance

et de la Déportation di Lione

e per l’Italia dal Museo

diffuso della Resistenza

di Torino che ospita fino

al 22 febbraio la mostra

Cecenia, dedicata

ad Anna Politkovskaja

(www.museodiffusotorino.it)

Repubblica Nazionale

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ca, ha risalito a piedi il pontile, senza accompagna-tori, e si è diretto lontano dalla casa principale, scom-parendo in un edificio più piccolo, alle 11.12.

L’orda di giornalisti è stata scortata verso l’ingres-so della casa, dove Potus, Flotus, Bush padre e Bar-bara Bush aspettavano in piedi nel vialetto l’arrivo diSarkozy. Potus indossava una camicia a manichecorte blu scura e calzoni scuri, Flotus indossava unagiacca bianca e pantaloni dello stesso colore.Sarkozy è arrivato alle 11.50 a bordo di un suv verde,con una giacca sportiva blu, una camicia bianca e unpaio di jeans, e a piedi, senza accompagnatori, è an-dato incontro a Potus e Flotus. Dopo essersi stretti lamano, Potus ha chiesto ai giornalisti se avevanoqualche domanda per Sarkozy e ha detto che il pre-sidente francese «non è mai timido con la stampa».Sarkozy ha risposto a qualche domanda prima che

9 giugno 2007. La panne

Il corteo di auto diretto dal Vaticano all’ambascia-ta americana ha attraversato le trafficate vie cittadi-ne, con folle di curiosi ai lati, molti armati di macchi-ne fotografiche digitali. Lungo il percorso c’eranoanche decine e decine di poliziotti. E, al-meno qui, nessun segnale della forteostilità anti-Bush diffusissima in questopaese. Non lontano dall’ambasciata, lamacchina del presidente si è bloccata, fer-mando il corteo di auto per cinque minuticirca. Alla fine è ripartita e ha completato ilpercorso. Proprio all’ingresso dell’amba-sciata, però, la limousine ha incontrato pro-blemi a passare per il cancello, quindi Bush èuscito fuori, ha salutato la folla (così dicono) edè entrato a piedi.

5 agosto 2007. Karzai a Camp David

Per quelli tra voi che hanno letto il Pool reportdi domenica scorsa, quello sull’arrivo dell’onore-vole Gordon Brown, primo ministro del RegnoUnito, la puntata di questa settimana vi sembreràquasi identica. Solo il menù è cambiato. Il presi-dente Bush sta servendo al presidente Karzai una“All American Camp Supper”: pollo fritto, patateschiacciate, fagiolini saltati, zucchette gialle griglia-te, salsa di carne casereccia, formaggio e biscotti al-l’aglio e torta all’ananas upside-down [rove-sciata]. Gli inglesi, che hanno soprannomi-nato la visita di Brown della settimana scorsail «Roast Beef Summit», magari avrebberoscelto di chiamarlo il «Chicken Summit», ma ilvostro pooler propone «Upside Down Summit».

Partendo presto, il presidente Bush (giaccasportiva grigia, pantaloni grigio scuro,camicia bianca, senza cravatta) èarrivato alle 15.42 su ungolf cart insieme al-la first ladyLaura Bu-sh (in unt a i l l e u rpantalonecolor, uh,avocado?).Bush è uscitonon appena ilMarine One èatterrato con abordo Karzai ed èandato incontroal presidente afga-no insieme alla firstlady, passando at-traverso due file didieci marines in divi-sa di gala e dieci mari-nai nella loro divisabianca. In cima alla filac’era una guardia d’ono-re, tre per parte: un grup-po portava la bandieraamericana e l’altro la ban-diera afgana. Dopo essersistretti vigorosamente la ma-no, Bush e Karzai hanno par-lato per qualche secondo alla base della scaletta delMarine One. Karzai, che sembrava Magellano nelsuo tradizionale qaraqul grigio (sì, quel berretto fat-to con la soffice peluria dei feti di agnello abortiti), eche oltre a quello portava un chapan [caffetano] ver-de chiaro, non smetteva più di sorridere.

11 agosto 2007. Sarkozy a Kennebunkport

Alle 10.58 Dana Perino ha informato il vostro poo-lerche la moglie di Sarkozy, Cécilia, e i figli di SarkozyNON avrebbero partecipato al pranzo. Sarkozy haun figlio da Cécilia, la sua seconda moglie, e quattrofigli dalla prima moglie, ma non era chiaro di quantidi quei figli stesse parlando. «Cécilia e i figli non sisentono bene», ha detto la Perino. Sulla strada per ilWalker’s Point, siamo passati davanti a una ventinadi manifestanti antiguerra, uno dei quali mi ha chie-sto: «Perché la marijuana è illegale?». «Chiederemo»,ha risposto il vostro pooler.

Alle 11.08, mentre il vostro pool aspettava di nuo-vo nei furgoni sopra alla tenuta, Potus si è fatto vede-re sotto di noi, in acqua, alla guida del motoscafo delpadre, il Fidelity III, con altre due o tre persone a bor-do. Potus, che indossava un paio di pantaloncini e ungiubbotto blu scuro, ha guidato abilmente il moto-scafo all’interno della baia e ha virato verso il pontilead andatura sostenuta. Dopo aver ormeggiato la bar-

l’attualitàCronaca e storia

A turno, giorno dopo giorno, quattro cronisti affiancanoil presidente americano in tutti i suoi spostamentie scrivono un resoconto riservato agli altri colleghiEcco, attraverso una scelta di questi “Pool report”,abitudini, vezzi, gusti, gaffe dell’uomo che, dopo otto annialla Casa Bianca, sta per entrare nel mondo degli “ex”

“Guida abilmenteil motoscafo nella baiadi Kennebunkport e viraad andatura sostenuta”

“Oggi, invece di andarein chiesa, si è fatto un giroin bicicletta...Oggi ha fattotutte e due le cose...”

34 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 18GENNAIO 2009

8 giugno 2007. Heiligendamm

Potus ha problemi di stomaco. La Casa Biancadice che non è niente di serio. Forse è qualcosa cheha mangiato: il dottor Tubb è con lui e sta tenendosotto controllo le sue condizioni. Potus ha incontra-to Sarkozy nella sua stanza; salterà le riunioni mat-tutine del G8 e spera di raggiungere più tardi la con-ferenza. Non è previsto nessun cambiamento di pro-gramma. Tutto questo secondo Bartlett, che hascherzato dicendo che Bush «non voleva seguire leorme di suo padre in Asia».

Ora la storia di contorno. Il vostro pool è arrivatosenza intoppi a Heiligendamm questa mattina, ed èstato scortato sul prato di fronte al castello biancocon la promessa di poter fare una foto a Bush eSarkozy alle otto del mattino, ma della foto non se n’èfatto niente. Alle nove, Sarkozy è uscito da solo dallariunione e ha parlato ai giornalisti in francese. Il vo-stro pooler è riuscito a decifrare solo qualche sparu-to dettaglio: hanno parlato di Libano e Darfur.Sarkozy considera interessante (non adotta gli stes-si termini di Bush) il piano di difesa antimissile e di-ce che il loro incontro è stato proficuo. Gli ho chiestodov’era Bush. «Non sono il suo portavoce», ha detto.E poi ha aggiunto: «Sta nella sua stanza».

8 giugno 2007. Heiligendamm

È TORNATOOO! Potus è appena tornato a pren-dere parte ai lavori e si sente «ringiovanito», dice Bar-tlett, che insieme a Dana ha appena fatto la sua com-

parsa nella smorta stanza grigia per informare il vo-stro affamato pooler. Aggiunge che il presidente nonè «al cento per cento, ma si sente abbastanza bene dariprendere i colloqui». (Non sono sicuro di comepossano quadrare questi due concetti.) Seguirà sbo-binamento. Bartlett dice che probabilmente non èstato il cibo, verosimilmente si è trattato di qualchetipo di malattia virale, anche la signora Bush un paiodi giorni fa non è stata troppo bene. Non avvertite unvago sentore di un tentativo di non offendere la si-gnora Merkel con sconvenienti osservazioni sullaqualità delle sistemazioni qui a Heiligendamm?

8 giugno 2007. Jurata Hel

Percorriamo in macchina una serie di strade ven-tose per arrivare alla spettacolare tenuta in riva almare del presidente polacco. È molto boscosa — unaspecie di Camp David polacco — ma dà proprio sulmare, che è veramente sfavillante. Il presidente Le-ch Kaczynski e sua moglie Maria, insieme al cane Ti-tus, un sosia in nero di Barney, hanno accolto Potuse Flotus nella principale delle cinque ville della tenu-ta. I Kaczynski, il loro cane e i Bush hanno posato perle foto su un patio situato tra la villa e l’acqua. Potusindossava una camicia con collo a V sotto la giacca;la signora Bush indossava un tailleur pantalone ne-ro. Il clima era perfetto: sole splendente e una piace-vole brezza. «Oh, è bellissimo», ha detto la signoraBush. Ha guardato il cane, che era al guinzaglio, e haaggiunto. «Ci sentiamo proprio a casa».

9 giugno 2007. Benedetto XVI e Berlusconi

Il presidente Bush e Papa Benedetto XVI non han-no fatto dichiarazioni pubbliche, preferendo optareper dichiarazioni scritte. Il vostro pooler è stato am-messo per meno di un minuto in piena riunione, al-le 11.10 del mattino: solo un po’ di chiacchiere gene-riche sul vertice del G8 e sulla visita di Bush alla Co-munità di Sant’Egidio, in programma dopo l’incon-tro col papa. L’acustica era cattiva, ma si sentiva Bu-sh che diceva, parlando del G8: «È stato un incontromolto positivo». Poi ha detto: «Ho un’iniziativa mol-to forte sull’Aids». Mentre il vostro pool stava andan-do via, i microfoni hanno intercettato questo scam-bio. Benedetto: «Anche il TUO dialogo con Putin èstato positivo?». Bush: «Ah, te lo dirò tra un minu-

to…».Il papa ha ricevuto la first ladyLaura Bush,che portava un velo in testa. Poi i Bushhanno posato per le foto ai due lati del

pontefice. Bush e il Papa sorridevano esembravano ridacchiare insieme sopra lo

schiamazzo dei fotografi che scattavano. IlPapa ha regalato al presidente la medaglia uf-

ficiale del Vaticano (in oro), alcune monete euna litografia del Diciassettesimo secolo che

mostra la Basilica di San Pietro.Tra i regali del presidente: un «bastone di Mosè»,

un bastone da passeggio intagliato a mano da un exsenzatetto di Dallas. Le incisioni raffigurano i diecicomandamenti. Hanno sentito Bush descrivere ilbastone come «un’opera d’arte fatta da un ex senza-tetto del Texas, a Dallas». Quando Bush ha descrittole incisioni sul bastone, Benedetto ha detto: «I diecicomandamenti?», e Bush: «Sissignore, i dieci co-mandamenti».

George W BushMr Presidentdietro le quinte

NEW YORK

Il presidente degli Stati Uniti non è mai solo:vive circondato dagli uomini del secret ser-vice ed è perennemente seguito da quattroombre che non lo lasciano mai: lo accom-

pagnano nei viaggi di lavoro e in vacanza, in Chie-sa la domenica mattina o nelle gite in bicicletta, aivertici internazionali o alle raccolte fondi in caseprivate. Sono tre giornalisti e un fotografo che al-l’alba si presentano alla Casa Bianca con l’incari-co di annotare ogni incontro e spostamento del-l’uomo più potente del mondo. Formano il Pool:rappresentano i quotidiani, le televisioni, le radioe i settimanali americani, cambiano ogni giornocon un meccanismo di rotazione mensile, e nonappena accade qualcosa degno di nota invianodai loro telefonini un resoconto scritto — chia-mato Pool report — a tutti i colleghi accreditati al-la Casa Bianca. Le loro note sintetiche raccontanoin anteprima incontri storici e dichiarazioni chefaranno le prime pagine dei giornali, ma ancheparticolari minuscoli capaci di illuminare unapresidenza.

I report del Pool sono scritti benissimo, talvoltasono ironici, spiritosi e divertenti, ma devonosempre essere precisi e dettagliati, non pretendo-no di commentare o spiegare ma vogliono essereuna cronaca con cui si potrà fare la storia. Legger-li — sia pure una piccola selezione, come quellapubblicata di seguito — è illuminante per rico-struire la vita quotidiana della presidenza ameri-cana al tempo di George W Bush. Leggerli vi faràscoprire che il giornalismo è fatto di lunghe atte-se, pazienza e molte letture. Chi fa parte del Pool— solo giornalisti americani con l’eccezione delrappresentante del londinese Financial Times —non dimentica mai un buon libro: serve ad ingan-nare l’attesa mentre il presidente fa la sua pedala-ta mattutina.

MARIO CALABRESI

I testi che seguono sono trattidai Pool report degli ultimi due anni

Nei resoconti, Potus è Bush (PresidentOf The Unites States), Flotus la moglie

Laura (First Lady Of The UnitedStates), Barney è il cane dei Bush

Dana è Dana Perino, la portavoce

Repubblica Nazionale

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una stanza bellissima, il Salotto d’Angolo, passandodavanti al presidente e a un infervorato Silvio Berlu-sconi. Si sono scambiati qualche battuta e si sonostretti la mano, ma nei pochi secondi disponibili, co-stati rabbia ed energia in abbondanza, non si è riu-

scito a sentire niente.[...] I due leader stannocenando mentre ilpool se ne rimane indue piccole stanzemangiando divina-mente.

4 gennaio 2009

È domenicamattina alla CasaBianca. Cos’hafatto Potus?

A. È andato al-la funzione inuna chiesa asua scelta

B. È andatoa fare in giroin bici

C. Tutte edue

La rispo-sta corret-ta questadomeni-ca matti-na era C.

Il cor-teo di auto è uscito

dalla Casa Bianca alle 7.36, diret-to alla Saint Paul’s Church, arrivando alle

7.39, con Potus che si avvicinava al suo Dio e si avvi-cinava anche alla famiglia del suo successore (tem-poraneamente accampata nella vicina Hay Adamsaspettando il previsto arrivo, più tardi in giornata, diPotus-eletto). Potus ha presenziato alla funzionedelle 7.45, che ha visto tra l’altro il discorso del reve-rendo Luis Leon, incentrato sul periodo delle festi-

vità e in particolare sui tre Re Magi. «Non è necessa-rio fare tutto giusto fin da subito», ha detto il reve-rendo Leon per sottolineare la tesi del suo discorso,che ha visto citati anche il violoncellista Yo-Yo Ma e icampioni di basket Larry Bird e Michael Jordan, evo-cati per cercare di esprimere momenti di grandezzaa cui aveva assistito, nella sala concerti e sul campodi gioco. [...]

Potus e Flotus sono usciti dalla chiesa alle 8.26, conPotus che ha passato qualche istante in più del con-sueto a chiacchierare con il reverendo Leon sullaporta. Il pool, come al solito, era a distanza di teleo-biettivo e non è riuscito a sentire nulla della conver-sazione tra il predicatore e il presidente. Il corteo diauto è arrivato alla Casa Bianca alle 8.29, per consen-tire al presidente di cambiarsi rapidamente d’abito eindossare l’attrezzatura da bici. Alle 8.36 abbiamo la-sciato la Casa Bianca, arrivando alla struttura delBeltsville Secret Service alle nove per la pedalata. Lapartenza da Beltsville per tornare alla Casa Bianca èavvenuta alle 10.51. Arrivo alla Casa Bianca alle 11.19,e a quel punto ci hanno mandati via. Per vostra infor-mazione, alla pedalata odierna ha partecipato l’alle-natore capo dei Washington Redskins Jim Zorn.

7 gennaio 2009. Con Obama

Un’aggiunta al Pool Report 1, a seguito di una do-manda di un altro giornalista sulla photo opportunitycon Potus, George HW Bush, Bill Clinton, JimmyCarter e il presidente eletto Obama. Dopo che il pre-sidente Bush ha detto: «…Ti auguriamo tutto il me-glio e lo stesso ti augura il paese», Obama ha detto«grazie, signor presidente», e si sono stretti la mano.Bush poi ha detto, rivolto ai media, «grazie a tutti». Isuoi collaboratori stavano cercando di mandare igiornalisti fuori dalla stanza, ma si sono fermatiquando Obama ha fatto qualche breve commento,cominciando con «voglio solo ringraziare il presi-dente per la sua ospitalità…». I commenti del presi-dente Bush e del presidente eletto Obama non era-no preventivati, secondo Pete Seat, assistente stam-pa alla Casa Bianca.

Traduzione di Fabio Galimberti

Potus chiudesse l’improvvisataconferenza stampa e cacciassevia il vostro pool, a mezzogiorno.Poi i Bush e Sarkozy sono andati apranzo: in menù, secondo Dana Pe-rino, il «classico cibo da picnic ameri-cano, hot dog e hamburger compresi».

30 settembre 2007. Giro in bici

Il presidente evangelico oggi invece diandare in chiesa si è fatto un giro in bici. Halasciato la Casa Bianca alle 7.53 del mattinoed è arrivato a Fort Belvoir alle 8.20. Il poolquindi ha passato un’ora da Starbucks. Il cor-teo di auto è partito alle 10.25 ed è rientrato alla CasaBianca alle 10.52. Poi ci hanno mandato via.

6 giugno 2008. Compleanno

L’Air Force One è decollato da Dulles, perché la pi-sta più lunga consente all’aereo di caricare più car-burante e potremmo riuscire ad arrivare in Giappo-ne senza fare soste per il rifornimento. Dana è venu-ta verso la fine del volo a dirci che lo staff aveva orga-nizzato una piccola festa di compleanno per i ses-santadue anni del presidente intorno alle 23 ora diWashington (le 12 di domenica in Giappone). I col-laboratori stretti si sono riuniti in una sala conferen-ze e uno steward ha messo un’unica candelina soprauna torta al cocco. Hanno abbassato le luci e quan-do è entrato il presidente con Laura hanno detto«sorpresa!» e gli hanno cantato «Happy Birthday»(secondo il racconto della Perino). «Lui ha doverosa-mente fatto finta di essere sorpreso», ha detto Dana.Lo staff ha dato a Bush come regalo una semplice sca-

toletta dilegno ri-

cavatad a

una gi-g a n t e s c a

quercia caduta sulprato della Casa Bianca nel

2007 (era stata piantata dalla figliadi Benjamin Harrison nel 1892): una par-

te del legno dell’albero era stata inviata in Texasper far realizzare una piccola scatola (quarantacin-que centimetri per trenta) che è stata riempita conbiglietti e cartoline d’auguri dei collaboratori strettidel presidente. Dana ha detto anche che Bush hadormito un po’ durante il viaggio, ha ascoltato il quo-tidiano rapporto dell’intelligence e ha tenuto unariunione con i suoi collaboratori sul G8.

12 giugno 2008. Ah, Roma.Il corteo di auto presidenziale è partito da Villa Ta-

verna alle 18.24 e ha attraversato la Città Eterna, ol-trepassando grandi folle di persone, ma nessunamanifestazione, con l’aiuto della polizia e dei cara-binieri. Il presidente è arrivato a Villa Madama, suMonte Mario, pochi minuti dopo, accolto da unaguardia in uniforme, anche se il ricevimento ufficia-le si è svolto lontano dagli occhi del pool, che è rima-sto bloccato sulle ripide scale della villa. Ne è segui-ta una di quelle scene che rendono l’Italia simpati-camente frustrante: il parapiglia selvaggio per poterscattare una foto. Dopo un bel po’ di urla e spintoni,ma senza ferite evidenti, il pool è sfilato attraverso

Il regalo a Benedetto XVIun bastone intagliatocon i dieci comandamentida un ex homeless di Dallas

La limousine presidenzialesi blocca attraversandoRoma. La panne definitivaal cancello di Villa Taverna

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 35DOMENICA 18GENNAIO 2009

Crema di zucca al limone

Fonduta di aragostadel Maine

Ravioli di carciofie parmigiano reggiano

Chardonnay PonziRiserva 2005

Agnello Elysian Farmin crosta di rosmarino

con melanzane e bietole

Cabernet Robert MondaviRiserva 2005

Dolce al cioccolatoNapoleon Santa Maria

Russian River CuvéeIron Horse 2003

Menù/1

Con Berlusconialla Casa Bianca,13 ottobre 2008

Tacchino ruspante arrostoCornbread dressing

(salsa alla focaccia di mais)Salsa di mirtilliFagiolini saltati

Gazpacho Morelia Style(alla messicana)

con insalata di spinaciZucchine gratinate

Crema di patate dolciallo sciroppo d’acero

Purè di patate al burroSugo di frattaglie

Clover Rolls(una specie di panini)

al burro e mieleTorta di zucca

guarnitaTorta di mele

Dolce di marzapanealla mousse di zucca

Frutta fresca

Menù/2

Per Thanksgivimga Camp David,

26 novembre 2008

Repubblica Nazionale

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Quandosono arrivato a Campeche, città 1295 chilo-metri a sud di Città del Messico, mi è sembrato dientrare in un romanzo del grande autore messica-no Juan Rulfo (1918-1986). «Veder salire e scende-re l’orizzonte con il vento che fa muovere le spighee la sera increspata da una pioggia turbinosa. Il co-

lore della terra, l’odore dell’erba medica e del pane. Un villag-gio che odora di miele diffuso…», scrive in Pedro Paramo. Sal-vo che non c’era pioggia e l’erba era secca. Ma c’erano miele epane di riso.

Questa città, che fu uno dei maggiori centri della civiltà maya,con le sue piramidi, le mura e le leggende, è la metafora di unPaese diviso tra l’attrazione per la modernità all’americana e lavenerazione delle sue radici indie, spagnole, nere e arabe. Quel-le origini sono lì presenti, visibili, nell’architettura, nello stile divita, nei gesti e nei comportamenti della popolazione. Una si-mile ibridazione culturale nel tempo e nello spazio è una bellatraccia delle civiltà che vi si sono alternate.

Campeche sembra paralizzata in un’epoca lontana, verso glianni Cinquanta o anche prima. Le case sono modeste, le viestrette, i marciapiedi alti per evitare di camminare nell’acquaquando ci sono delle inondazioni, cosa che succede raramen-te. La gente è piccola di statura, con i lineamenti marcati, losguardo brunito, il sorriso vero. Contrariamente alla capitale,qui non si vive in alto; le case hanno terrazzi e non superano idue piani. Il mare è lì, ma la città gli volta le spalle. Forse è perquesto che non se ne sentono gli odori, gli effluvi.

Infatti c’è un importante progetto per un por-to turistico, campi da golf, grandi alberghi etutto ciò che si fa dappertutto per attirare i tu-risti ricchi. Campeche non vuole più restare indisparte. Vuole vendersi emostrarsi. Per giustificarequesta trasformazione delpaesaggio, i sostenitori dell’i-niziativa dicono: «Quattromilaanni fa non c’era un mercato deivalori, eppure i Maya sapevano dove in-vestire». Campeche mira all’industriadel turismo puntando sui valori di mer-cato. Non so che cosa ne pensino gli abi-tanti, che sembrano vivere su un piane-ta dove il mondo li ha dimenticati, doveil tempo passa senza che nessun profe-ta si fermi. I prodotti cinesi hanno già in-vaso la piazza. La povertà attira la Ci-na. Per fortuna l’artigianato localeresiste ed è di buona qualità.

All’albergo, incantevole, insie-me alla chiave mi danno un flacone di un prodottocontro le zanzare. Dico che non vedo zanzare. Sonoeffettivamente invisibili e la loro puntura è dolorosa ebrucia. Si chiamano “chaquistes”. Abituato alle zanza-re mediterranee che arrivano accompagnate dalla mu-sica, cantando attorno all’orecchio prima di pungere, lìnessun rumore mi ha informato; ho passato un bel pez-zo a cercarle per la camera. Zanzare virtuali o sempli-cemente così piccole che a occhio nudo non si vedono.

Le mura della città, molto spesse, sembrano conservare lamemoria di questo popolo, depositata nelle fessure e nelle scre-polature della pietra. È il mormorio dei Maya e il ricordo del-l’occupazione spagnola. Un ricordo mitigato. Nel 2010 il Mes-sico celebra il bicentenario dell’indipendenza. Il vento cambiail colore delle cose. La gente ha qualcosa di mediterraneo sen-za saperlo. Ma io l’ho visto nel loro modo di essere e di accoglie-re gli stranieri.

Cuernavaca è vicina a Città del Messico, a un centinaio di chi-lometri. In pieno centro c’è una chiesa del Sedicesimo secolo.Le pareti immense sono nere di muffa. Si direbbe un luogo diculto abbandonato. Siamo in un film di Sergio Leone. Manca-no solo il vento e la palla di sterpi secchi che rotola come per av-vertire che il dramma è imminente. Ma in questa città c’è il cen-tro storico Coyoacan e la più importante fabbrica di mosaicidell’America latina. Anche qui c’è il miele, la buona cucina conl’inevitabile peperoncino che ti strappa la lingua e che un sorsodi tequila allevia appena. Una caratteristica apprezzabile ovun-

con i suoi ebrei e i suoi musul-mani.

Questo Paese, confinantecon gli Stati Uniti, non sfugge al-

la crisi e alle sue angosce. Se neparla e non si sa quello che succe-

derà. Il cittadino — una grande classemedia — continua a lavorare come sequanto avviene nel mondo gli fosseestraneo. Uomo pacifico, il messica-no ama la derisione a cominciare dal-la sdrammatizzazione della morte.Una vecchia tradizione ereditata de-gli amerindi, i cui antenati hanno

avuto molto a che fare con lamorte, vuole che la si rappre-senti in vesti comiche e ridicole.Lo testimonia il Museo delle Arti

popolari, dove gli scheletri ballanoil tango o la rumba, prendono la tintarella, sisposano e portano a spasso i figlioletti in un pa-radiso verdeggiante.

Gli uomini messicani non si baciano: simettono petto contro petto e si danno pacchesulla schiena. Le donne si baciano su una solaguancia. Sono piccoli dettagli che definisconoi gesti e i modi del vivere insieme. I compli-

menti si prodigano sistematicamente; la parolache ho sentito più spesso per dire che qualcuno è buono, me-raviglioso, è stata «rico» (ricco)! Ma non nel senso finanziario.Essere ricosignifica essere molto gentili, umani, calorosi. A unadonna non si dirà «guapa», la parola spagnola che significa bel-la, bensì «hermosa», che significa graziosa. Nei negozi, le com-messe ti dicono «saremo sempre qui per servirla». Quando siviene da Parigi, queste piccole attenzioni fanno piacere.

Ai messicani dispiace che l’Europa dia del loro Paese un’im-magine oscura, con omicidi in serie, aggressioni a mano arma-ta, rapimenti eccetera. Le Figaro del 16 dicembre 2008 titolavain seconda pagina su sei colonne: «Ciudad Juarez, la città piùmortale del mondo». Il giornalista spiega che «da quando il pre-sidente Felipe Calderón ha dichiarato guerra ai narcotraffican-ti, gli omicidi sono esplosi. La città sul confine con gli Stati Uni-ti batte tutti i record di violenza». Da quando gli Stati Uniti han-no assegnato un aiuto di 1,4 miliardi di dollari nell’arco di tre an-ni per finanziare questa lotta, in un anno la violenza è aumen-tata del 117 per cento (5376 omicidi in tutto il Paese).

I messicani dicono: «Ma quello succede lontano dalla capi-tale; sono criminali che si ammazzano tra loro…». È vero, ma lemisure di sicurezza personale si sono generalizzate, un po’ co-me in Brasile. La paura del rapimento è oggettiva. Mi hannosconsigliato di prendere un taxi a caso, bisogna passare per unacentrale o una stazione dove sia presente un agente di control-lo. A parte questo, la vita scorre con una certa dolcezza, le stra-de sono piene di gente giorno e notte, nei bar e nei ristoranti cisono cantanti e musicisti vecchio stile. Per cinque euro vi inter-pretano la canzone che volete. Romantico. La violenza è lonta-na. I giovani che uccidono per mille pesos (sessantanove euro)sono a Ciudad Juarez!

Il Messico vede tutto in grande: le librerie sono immense, ecosì i musei. Presto il Paese avrà la sua mascotte: un cagnolinochiamato Xico disegnato da Cristina Pineda, un’artista tra le piùapprezzate del Messico. Trentasei anni, è un vulcano di idee. Ar-tista e donna d’affari, cerca di ispirarsi alla tradizione degli an-tenati maya per disegnare vestiti e oggetti della vita moderna.Così, di fronte alla chiesa del Sedicesimo secolo di Cuernavaca,un cane di mosaico alto due metri veglierà sulla città e sullo spi-rito d’innovazione di un Messico che vuole contrassegnare lapropria presenza nel mondo con un’immagine diversa dallaviolenza. Il fatto che l’ospite principale del Salone del libro di Pa-rigi che si svolgerà nel marzo 2009 sia la letteratura messicana èun bel riconoscimento della grande cultura di questo Paese, il-lustrata tanto dall’immenso talento di Juan Rulfo, che da quel-lo di Carlos Fuentes, o del premio Nobel Octavio Paz, che evo-cando le bougainvillee di Città del Messico parla di una «trac-ciata dal sole / purpurea calligrafia della passione».

Traduzione di Elda Volterrani

36 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 18GENNAIO 2009

Diario di viaggio dello scrittore nordafricanonel Paese delle tre culture: quella amerindia,quella spagnola e quella meticcia. O meglio

cinque, perché la Spagna sbarcò in America centrale anchecon i suoi ebrei e suoi arabi musulmani. Da Campeche a Cuernavacafino alla smisurata capitale, una nazione divisa tra il richiamodella modernità yankee e la venerazione per le sue intricate radici

CULTURA*

que è la disponibilità dei ristoratori. Ti servono a qualunqueora e in più sono di grande gentilezza, un aspetto affasci-nante per chi arriva da certe capitali europee dove il clien-te non è né re né servitore, ma una preda da spennare e mal-trattare.

Città del Messico è una megalopoli di venti milioni di abi-tanti. Il pensiero di attraversarla fa paura. Apparentemente, loStato ha ridotto il tasso d’inquinamento rispetto a una ventinadi anni fa, quando facevo fatica a respirare. Detto questo, c’è untraffico assurdo e conviene accontentarsi di circolare in unospazio limitato e non cercare di presentarsi a un appuntamen-to all’altro capo della città. Non ci arrivereste, a meno che met-tiate in preventivo qualche ora di auto. Non so perché ma inquesta capitale non ho visto biciclette né moto, mentre sareb-be un buon modo per lottare contro gli imbottigliamenti. I mes-sicani non corrono su due ruote. È così e nessuno se lo spiega.

Questo vasto Paese manca di spazio, e lo dimostra il fatto chelo Stato non riesce a spostare l’aeroporto, che si trova quasi nelcentro della città, tant’è che le piste d’atterraggio sono fian-

cheggiate da edifici. Gli aerei passano sopra la città in conti-nuazione, come gli elicotteri. Questo spiega gli incidenti avve-nuti negli ultimi anni, l’ultimo dei quali è costato la vita al gio-

vane ministro dell’Interno e a parte del suo staff. Hanno dettoche non è stato un incidente. Qualcuno pensava che potessetrattarsi di un colpo dei narcotrafficanti, contro i quali lo Statoha deciso di condurre una guerra senza tregua.

Qui non si parla molto di politica, ma si osserva con ironiaquanto accade nel Paese di Chávez. Nondimeno, l’ex presi-dente Echeverría, Segretario di Stato all’epoca della rivolta stu-dentesca del 1968 in Plaça de Las Tres Culturas a Tlatelolco, do-ve una repressione selvaggia causò la morte di centinaia di con-testatori, ora siede al banco degli imputati (Octavio Paz, alloraambasciatore a Parigi, si era dimesso dalla carica per protestacontro il massacro). Quarant’anni dopo, le ferite sono ancoranelle memorie. Le tre culture sono la cultura amerindia, quellaspagnola e la cultura meticcia. Hanno trascurato quella araba,benché la Spagna del dopo Inquisizione fosse sbarcata anche

MessicoLettera

TAHAR BEN JELLOUN

LE IMMAGINI

Le immagini di queste pagine sono tratte dal libro

di Massimo Livi Bacci Conquista. La distruzione degliindios americani (Il Mulino, 2005). L’immagine grande

è una pagina del Codex Mendoza, il cui originale

è alla Bodleian Library di Oxford (edizione facsimile:

Berkeley, University of California Press, 1992)

TAHAR BEN JELLOUN

dal

NATIONAL GEOGRAPHIC DI GENNAIO

IN EDICOLA

IL PREZZO DELL’OROGALILEO, L’UOMO CHE SCOPRÌ IL CIELO

LA PALMA, UN’ISOLA TRA LE STELLE

Repubblica Nazionale

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 37DOMENICA 18GENNAIO 2009

Repubblica Nazionale

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QUADERNIDall’alto in basso,

da sinistra a destra,

il quaderno di appunti

sull’adattamento

televisivo

del Lorenzaccio;

pagine dei taccuini

privati; Faust-Marlowe-Burlesque del 1976

con Franco Branciaroli

e Carmelo Bene

di Aldo Trionfo

e Lorenzo Salveti

La sorella lancia sospetti inquietantisulla sua morte. Franco Branciaroligli dedica uno spettacolo

che sembra recitato dall’aldilà. Mentre il grande attoretorna alla ribalta, saltano fuori gli scritti ineditie il canovaccio della sua ultima impresa visionaria

SPETTACOLI

Con Gassman aveva in comune varie coseIntanto il giorno di nascita, primo settembre,e poi un destino che entrambi identificarononel genio e nel non-somigliare-a-nessunoT

ra i due più grossi miti dellascena italiana del Novecen-to, tra Carmelo Bene (chenon è stato ucciso, comegiorni fa ha paventato la so-rella malata, ma che morì vi-

cino ai sessantacinque anni nel 2002 pertumore al colon con numerose metasta-si) e Vittorio Gassman (scomparso quasisettantottenne nel 2000), c’erano in co-mune varie cose. Intanto il giorno di na-scita, primo settembre, e poi un destinoaffine che Gassman identificò nel genio esregolatezza, nell’amore per la poesia,nel fanatismo, nel non-somigliare-a-nessuno (nemmeno l’uno all’altro). Unacoappartenenza/parentela che dal can-to suo Bene attribuiva al bere come paz-zi, al trascinarsi un’esistenza di troppo,all’essere troppo intelligenti per essereattori, al furioso darci dentro nel nulla, eall’essere entrambi simboli fallici. Inoltretutti e due — lo provano gli stralci di pagi-ne-cimelio di Carmelo qui riprodotti —erano maniacalmente grafomani, nonmeno che scultori e architetti della voce.

Ora, a testimonianza di un binomiovertiginoso di suoni memorabili del tea-tro, ecco anche uno spettacolo che è unduplice omaggio a loro, maestri antiteti-

ci e inderogabili: un Don Chisciotte pro-gettato, diretto e interpretato da FrancoBranciaroli che “nasconderà” i proprimezzi vocali per ricreare affettuosamen-te i toni di un Gassman/Hidalgo e di unBene/Sancio Panza sorpresi insieme inun aldilà di alcolici e sigarette su cui in-combe (scena di Margherita Palli) un si-pario di nuvole.

Nell’aldiqua, nel futuro prossimo, Car-melo sembra intanto diventato oggettodi ulteriori attenzioni. Sono in corso ri-cerche sullo sterminato materiale che halasciato, soprattutto bozze di progetti ar-tistici e scritture preziose tuttora inedite.Un documento ministeriale relativo al2000/2002 dimostra per esempio che erapronto a intervenire sul bellissimo testoteatrale La serata a Colonodi Elsa Moran-te e sul Pandolfo IV di Beneventodi Tom-maso Landolfi. Un altro esempio riguar-

da il Rigoletto e L’uomo che ride di VictorHugo (oltre che a Rimbaud) al quale si eradichiaratamente ispirato per la stesuradel poema-testamento ‘l mal de’ fiori del2000 ma che poi aveva lasciato seguendoaltre strade. Un mare di risorse in parteancora da decrittare, e con cui ricostruireuna parabola sempre inquieta, si trovanonei generosi (ora accantonati) materialidella mostra La voce e il fenomeno tenu-tasi alla Casa dei Teatri di Roma nel 2005,senza contare il valore di quanto raccoltonell’archivio della fondazione L’Imme-moriale di Carmelo Bene.

Oltre ai suoi tanti fogli di riflessioni epi-grammatiche, a un suo curioso story-board del 1979 per un progetto coreogra-fico intitolato Alfiere nero (mai realizza-to), oltre ad alcuni fulminei appunti colmidi citazioni per Hamlet-Suite, Pentesileaeper diversi suoi lavori, e in aggiunta ad an-

notazioni per il suo Lorenzacciotelevisivo(ci sono anche carte contenenti idee perdocumentari scientifici), il vero e inesti-mabile patrimonio ancora inesplorato diCarmelo Bene è costituito dall’ultimo suotesto poetico per la scena, una partituraintitolata Leggenda, un’opera per certiversi più organica ma anche più ardua delpoema ‘l mal de’ fiori. È una composizio-ne pervasa dall’orale del corpo scritto,dalla dinamica sonora, dall’indicibiledell’accadere del mondo, e da arcaismi,assonanze, allitterazioni, idioletti e viru-lenze (ma anche presagi e alterità).

Di questo progetto l’11 giugno 2001 Be-ne scrive al Maestro Gaetano Giani Lupo-rini (già musicista di altri suoi lavori):«L’argomento nasce come idea cimite-riale che innanzi tutto verifica come l’IOnella solitudine sia davvero una ressa ru-morosa da spacciare». E ancora sottoli-nea «l’autentico automatico come unicapossibile destituzione della volgarità del-l’umano e dei suoi valori». Fino a dettar-ne così il percorso: «Il flusso lirico pro-gressivamente si riduce a scheletro testi-moniante il paradosso di una parola de-stinata a dire il Nulla della Voce-Ascolto».Scorrendo le quarantasette pagine diLeggenda, si ha l’impressione che sul se-rio Carmelo Bene fosse giunto ad affran-carsi da ogni mediazione filologica e les-

sicale, fosse andato oltre ogni codice, eancora una volta e più di sempre fosse sta-to «straniero nella propria lingua» comecon grande acutezza aveva constatatoDeleuze.

Leggenda inizia così: «Rassegnare letue dimissioni imperiali / dal mondocondòmino è no che non basta / a sicco-me disperso escremento in chissà del maipiù figurarti // Nell’un poveraccio ch’èsolo tumultua una folla / di strepite vociBabelica ressa / ch’è turbine d’echi stor-dente in nessuna la fiera / ché implosa madentro che svuota / la testa Sbiancate cheguance / raccese del sangue l’enfiate / nelsoffio deliro dicente non so / vaneggian-te la fiaba orfanella / dell’IO che altro più/ — poveraccio! — non è / se non questoch’è solo ed è no / perché troppo Dal co-ro inghiottito dei tanti / gli estranei sgri-dato (!) // Ah soltanto esser solo UNA VO-CE! / Visitare al meriggio un’amica l’eter-na inumana l’inferma // Tra il thè le tisa-ne Un’amica / mai nata Per te costruita /a vegliare / che senza comprendereascolti il tuo dire / che dici ti dice / — fin-ché batte il povero cuore malato — / pa-role Si dice per non si morire...».

E finisce con: «...Signorina impensatatradita / dal sempre mai stata / siccomecorrotta che povera cosa / di legno metal-lo che salma tra i veli relitta / su tanto lo

“Essere solo una voce”Le parole mai andate in scenaRODOLFO DI GIAMMARCO

38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 18GENNAIO 2009

Repubblica Nazionale

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APPUNTIDall’alto in basso in senso

orario: Branciaroli

in Don Chisciotte; appunti

per Pentesilea del 1989;

Carmelo Bene nell’edizione

del 1968 di Don Chisciottecon Leo de Berardinis

e Perla Peragallo; appunto

di Bene del 1979

per la coreografia AlfiereNero; stralcio di poema

Sì mental ch’a mepar ve’! sin troppo/... scritto

nello stesso periodo

di Leggenda. L’immagine

grande è una foto di scena

di Carmelo Bene

IL TRIBUTO

Lo spettacolo Don Chisciotte con progetto,

regia e interpretazione di Franco Branciaroli

è prodotto dal Teatro degli Incamminati,

ed è atteso in prima nazionale il 27 gennaio

al Teatro Argentina di Roma (dove resterà in scena

fino all’8 febbraio), con repliche successive

dal 10 al 15 febbraio al Teatro Strehler di Milano,

il 17-18 febbraio al Teatro Ariosto di Reggio Emilia,

il 20-22 febbraio al Teatro Morlacchi di Perugia

specchio frantume dell’acqua mai più //Morire mi tace quest’alito spento / Te po-vera guasta la mia signorina disvuole —spietata una sorte / ...da tua ch’era quellapiù sentimentale / — ma quanto anima-ta! — l’insignificanza / a ignavia ch’è que-sta umiliata di statua / soltanto immorta-le (!)».

Tornando allo spettacolo cervantinoche è un tributo sia a Carmelo sia a Vitto-rio, va detto che Bene s’era imbattuto duevolte in idee chisciottesche, realizzando-ne uno studio con Leo de Berardinis nel1968, e immaginandone un’interpreta-zione di Eduardo che non si fece mai.«Con Carmelo ho recitato nel 1976 in duelavori, Faust-Marlowe-Burlesque e Ro-meo e Giulietta, ed era davvero un anticosignore del Sud: mai un litigio, mai unacena che non fosse pagata da lui, mai unanotte senza bere fino alle cinque o alle seidel mattino a parlare di teorie d’arte e tea-tro — ricorda Branciaroli —. E ho condi-viso la nascita della foné, quando, reducida una selva di venti microfoni usati per ilFaust, per pagarci le prove di Romeo eGiuliettane facemmo in contemporaneaun’edizione a RadioTre e poi, logorati,senza memoria, usammo in scena i nastriregistrati della Rai come playback. Unatecnica che da lì in poi fece storia».

Ora l’evocazione delle voci dei due gi-

ganti del teatro sarà un dialogo-sfida as-sai cameratesco, con apologia di due tim-bri autorevoli e contrapposti. «Gassmanè erede della recitazione declamata fran-cese, e alla maniera di Ricci poggia la ma-schera sul diaframma, mentre Bene por-ta più su la maschera, nasalizza, va versoil palato, l’esterno, l’osso frontale. Se as-sumo la postura di Carmelo, irrigidisco ilcollo, e se faccio Vittorio gonfio il torace,apro le braccia, mi spuntano quasi le ali».I cultori, le tifoserie distinte dell’uno e del-l’altro non udranno o assisteranno a unmatch: è come se l’altro mondo, salvoqualche schermaglia (magari sul V Cantodell’Inferno dantesco) abbinasse i desti-ni di questi due fuoriclasse, alle prese peril sessanta per cento con Cervantes e peril resto inclini a discussioni, battute d’al-ta scuola, incisi “buffoneschi”.

I due (si) parleranno come in realtà ac-cadde solo di rado (e solo con franco di-saccordo), e l’impresa, grazie a Brancia-roli, ha tutta l’aria d’essere un eventoodierno ultraterreno e conciliante. Poi,non sarà un caso se Gassman/Cavalieredalla Triste Figura introdurrà lo spettaco-lo condiviso con Carmelo/Sancio dicen-do agli spettatori: «Buonasera e benve-nuti, signore e signori, nell’aldilà. Comevedete esiste, e questo è il primo bel rega-lo che vi porterete a casa».

CARMELO BENE‘‘La musicandroide sconcerta

bambina immortale guardate!guardate! svenuta ’me mortain puerina pavana eseguita

’nterrotta — Pur esso ch’è questoinfoliato lo strazio vien menosiccome l’ansare automaticofermo — Spogliatela! presto!

de gli abiti lisiDe’ mantici artati al dismessorespiro imminente restauro

invocate! alle biette incrinatedistorte a gli offesi da polvere

ruggine i perniIl forato metallo brunite!

Da Leggenda

Nel poema “Leggenda”, si ha l’impressioneche sia oltre ogni codice, e ancora una voltae più di sempre sia “straniero nella proprialingua”, come aveva constatato Deleuze

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39DOMENICA 18GENNAIO 2009

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Come e perché

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Benvenutinella Eating London, nuova capitale europea del buon mangiare. Detto dieci anni fa, sa-rebbe suonato come un’eresia. Detto cinque anni fa, il concetto sarebbe stato respinto al mitten-te per motivi economici: anche convenendo sui progressi strabilianti dell’offerta gastronomicabritish, per godersi un week end “eating&swinging” bisognava accendere un mutuo. Più che Gor-don Ramsey e Jamie Oliver, i due superchef che hanno disancorato la cucina inglese dalla noia diporridge e roast-beef, poté la crisi. Con la sterlina scesa vertiginosamente, di colpo Londra è di-

ventata una capitale appetibile da tutti i punti di vista, tavola compresa. Se fino a pochi mesi fa la sola colazione impegnava buona parte del budget quotidiano del turista medio, og-

gi ci si può crogiolare tra offerte gourmand di tutto rispetto, azzardando perfino una puntata ai quartieri alti del-la cucina d’autore senza uscirne finanziariamente devastati. Situazione speculare sul mercato interno: due set-timane fa, la JD Wetherspoon — portaerei alcolica da settecento pub — ha infranto un vero tabù sociale, fissan-do il prezzo della pinta un penny sotto il pound.

Prima ancora dei turisti, sono i londinesi doc a vivere la rivoluzione gastro-economica, scoprendo che non èobbligatorio scegliere tra i baracchini di fish and chips e il pig’s trotter (zampone). Buona parte del merito va aigastro-pub, locali sfiziosi, con cucina bilanciata fra tradizione e tecnologia, a prezzi più che accessibili. Una for-mula che avvince amanti del prosciutto glassato e del cous cous, irriducibili del pudding e frequentatori della

cucina indiana (baluardo gastronomico della vecchia Londra, su cui ancora svetta la mitica Bombay Brasserie).Certo, non di soli gastro-pub vive la nuova cucina londinese. Al di là dei super-ristoranti french-style tanto ama-ti dalla guida Michelin, splendono all’ombra del Big Ben gli interpreti della cucina italiana in versione british,come la Locanda Locatelli e il Neal Street di Antonio Carluccio.

Opposto e speculare il fascino d’antàn delle istituzioni alimentari che hanno puntellato per secoli la modestarealtà gastronomica del Regno Unito: l’english breakfast — con il suo ventaglio sontuoso di uova, pani, mar-mellate e carni — da assaporare al Claridge’s Hotel; e il tea time, con la sua esibizione di pasticceria burrosa e lemeravigliose miscele figlie dell’impero coloniale, che hanno reso celebre “Fortnum&Mason”.

Ma in realtà, è l’offerta nel suo complesso, a fare di Londra un approdo internazionalmente riconosciuto, daisontuosi pasticci di carne del sempiterno Rules ai food store dei grandi magazzini — Harrod’s in testa — che esi-biscono varietà sempre più trionfanti di leccornie, fino agli estri del Fat Duck (a quaranta minuti dal centro cit-tadino) dove Heston Blumenthal fa indossare le cuffie per ascoltare il suono del mare gustando una moderna,elegantissima insalata di pesce. Così, nessuno si è stupito quando qualche mese fa Gourmet Magazine l’ha elet-ta “Gourmet Capital of the World”.

Se poi avete un cuore verde, sappiate che Londra sta diventando il contraltare di New York e San Franciscoquanto a cultura alimentare organic: il programma “London Food Board”, varato nel 2004 dall’allora sindacoKen Livingstone, si è arricchito di nuove regole per rendere il cibo cittadino sempre più sano ed eco-sostenibi-le. Testimonial d’eccezione il principe Carlo, che ha scelto Massimo Spigaroli, norcino-poeta di Polesine Par-mense, per migliorare la qualità dei prodotti della sua azienda, rigorosamente bio. Per assaggiare il culatello ma-de in London, comunque, occorrerà aspettare ancora qualche anno.

i saporiRivincite

Soltanto dieci anni fa chi avesse puntato sull’offertagastronomica inglese sarebbe stato preso per pazzoMa da allora la Swinging London si è trasformatain Eating London. E oggi la caduta della sterlinarende una vacanza da gourmet davvero conveniente

LICIA GRANELLO

Una crisi tutta da mangiare

Cresciuto tra le pinte di birradel pub dei genitori, Jamie Oliverè la superstar della cucina britannica,ma anche rocker, conduttore tv

e scrittore. Nel suo “Fifteen” lavoranoquindici ragazzi recuperati da vite difficili

DOVE DORMIRE

THE ROOKERY

12 Peters Lane

Tel. (+44) 20-73360931

Camera doppia da 135 euro,

colazione inclusa

BLAKES HOTEL

33 Roland Gardens,

Tel. (+44)20-73706701

Camera doppia da 300 euro,

colazione inclusa

NUMBER SIXTEEN

16 Sumner Place

Tel. (+44) 20-75895232

Camera doppia da 190 euro,

colazione inclusa

THE ZETTER

86-88 Clerkenwell Road

Tel. (+44) 20-73244444

Camera doppia da 165 euro,

colazione inclusa

DOVE MANGIARE

MOMO

27 Heddon Street

Tel. (+44) 20-74344040

Senza chiusura, menù da 30 euro

MAZE

10 Grosvenor Sqaure

Tel. (+44) 20-71070000

Senza chiusura, menù da 35 euro

THE MARQUESS TAVERN

32 Canonbury Street,

Tel. (+44) 20-73542975

Senza chiusura, menù da 28 euro

HAKKASAN

8 Hanway Place

Tel. (+44) 871-2238002

Senza chiusura, menù da 40 euro

LANGAN’S BRASSERIE

Stratton Street, Piccadilly, London W1J 8LB.

Tel. (+44) 20-74918822

Chiuso domenica, menù da 35 euro

DOVE COMPRARE

PAXTON & WHITFIELD CHEESE SHOP

93 Jermyn Street

Tel. (+44) 20-79300259

WHOLE FOODS MARKET

The Barkers Building

63–97 Kensington High Street

ALLENS OF MAYFAIR BUTCHER’S

117 Mount Street

Tel. (+44) 20-74995831

THE FOOD HALL

22-24 Turnpike Lane

Tel. (+44) 20-88892264

POPINA BAKERY

Greenlea Park and Prince George’s Road

Tel. (+44) 20-32120110

itinerari

i ristoranti

6.000

i pub

5.000

la

di

40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 18GENNAIO 2009

Londrac cina

gli idiomi parlati

300

una pinta di birra

1 sterlina

gli abitanti

7.600.000

Repubblica Nazionale

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PorridgeColazione invernale per generazioni

di bambini, è una zuppa calda di avena,

cotta in acqua o latte (o entrambi). Può

essere arricchita con frutta secca, panna,

pezzetti di mela, uva passa, zucchero

Versione estiva fredda, come dessert

LONDRA

Per secoli, gli inglesi non hanno avutouna cucina degna di questo nome. Né ci te-nevano ad averla. Il British Empire, l’impe-ro più grande della storia, che al suo apicesi stendeva su un quarto delle terre emersedel globo, era fondato su una dieta essen-ziale, parca, priva di fronzoli: roast-beef,pesce in padella, pasticci dal contenutomisterioso. A eccezione che alla mensa delre, il cibo era un’esigenza alimentare, nonun piacere: in Inghilterra si mangiava pocoe male, insomma si mangiava per vivere,non certo il contrario.Del resto, grazie a unagastronomia di tal fat-ta, o meglio all’assenzadi una gastronomia, gliabitanti delle isole bri-tanniche avevano con-quistato il mondo e lofacevano funzionarecon la precisione di unorologio: perché muta-re abitudini? La buonatavola, ritenevano, eraun vizio da popoli ram-molliti, come i “man-giatori-di-rane” fran-cesi e i pittoreschi cugi-ni meridionali di que-st’ultimi, gli italiani.

Le cose sono cam-biate solo negli ultimivent’anni, in particola-re nello scorso decen-nio, durante il lungoboom economico delblairismo, che ha tra-sformato la capitale, ebuona parte del Regno Unito, in una scin-tillante “Cool Britannia”, una Britanniarinfrescata, ringiovanita, ricca, edonista emaledettamente trendy, che sembrerebbeirriconoscibile a Winston Churchill. I soldi,l’afflusso di sofisticati stranieri e la decisio-ne di abbracciare il multiculturalismohanno influenzato anche il modo di cibar-si. Ciò era inevitabile, e ha prodotto risulta-ti straordinari: Londra ha oggi una varietàe una qualità di ristoranti probabilmentesenza uguali sul pianeta. Si può mangiareargentino, australiano, brasiliano, france-se, italiano, tailandese, cubano, russo, un-gherese, persiano, libanese, messicano,vietnamita, marocchino, spagnolo, greco,turco, naturalmente cinese e indiano, oltre

che pakistano e del Bangladesh, meglioche in ognuno dei paesi che hanno inven-tato quei tipi di cucina.

Ma non è solo questione di ristoranti egastro-pub, ossia pub dove, invece del fishand chips, adesso ti servono mozzarella dibufala e tonno alla griglia — che sarannopresto la maggioranza. È che la buona ta-vola, qui, è diventata un’ossessione. Nonc’è giornale quotidiano che non abbia uninserto patinato di gastronomia. Non c’ècanale televisivo che non abbia un talk-show di ricette di cucina. Non c’è libreriache non abbia un’intera sezione dedicata

agli autori di similitalk-show: cioè i “cele-brity chef”, i cuochi-celebrità, categoriasorta dal nulla nell’o-dierna Gran Bretagna erapidamente elevata acasta, per cui gli chefsono dei divi come gliattori da Oscar e le stel-le del football, pedina-ti dai paparazzi, con-cupiti da procaci ra-gazze che cercano diinfilarglisi nel letto,adorati da fan che spa-simano per un auto-grafo.

Tutto questo, agliocchi di uno straniero,è un po’ buffo. Talvol-ta, sfiora il limite del ri-dicolo. Ma si sorridecon benevolenza: siaperché è consolantescoprire che gli inglesisi sono un po’ rammol-

liti, sia perché a Londra si mangia infinita-mente meglio di prima. Perfino il premierGordon Brown, nutrito spartanamente inScozia da un padre pastore presbiteriano,confessa che ora il suo piatto preferito so-no i fagottini di mozzarella: ha imparato adapprezzare la buona tavola, e a cucinarla,anche lui. Quanto a chi ha nostalgia di uo-va con pancetta e fagioli o degli innomina-bili pasticci di carne, la crisi economica haprovveduto a richiamare in servizio i piattipoveri della vecchia cucina inglese: qual-che indigeno li preferisce al sushi o al chi-nese-fusion, se non altro per risparmiare.La stampa parla di un «ritorno della salsic-cia». Che non è poi male. Una volta ognitanto.

E la Cool Britanniainventò il gastro-pub

ENRICO FRANCESCHINI

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 41DOMENICA 18GENNAIO 2009

Fish and ChipsIl pasto povero della tradizione inglese

non può prescindere da merluzzo

di buona qualità e patate (dorate e cotte

in forno). I filetti vengono immersi due volte

nella pastella di farina, uova, birra

e burro fuso prima di essere fritti nell’olio

Butter ShortbreadFriabile e fragrante, il biscottone di pasta

frolla – da tagliare a cubetti una volta

raffreddato – parte dal burro, lavorato

con zucchero e farina. Steso sulla teglia

e bucherellato, l’impasto va cotto a fuoco

dolce e cosparso di zucchero semolato

Apple CrumbleLa più tradizionale delle torte sbriciolate

utilizza le mele, sbucciate, tagliate

e insaporite con succhi di frutta

e zucchero granulare. Sopra, una pastella

ruvida di farina, burro e zucchero scuro

Si serve con gelato di crema o panna

PuddingLa trasposizione inglese del nostro

panettone nasce come piatto salato,

il frumenty, composto da carne, frutta

e spezie. Battezzato come dolce natalizio

dalla regina Vittoria, s’è arricchito di rum,

zucchero, birra, frutta secca e candita

Roast BeefLa ricetta parte dal controfiletto

ben frollato, spalmato con una miscela

di farina tostata (o melassa), senape

e burro. Si lega e si cuoce in forno,

pennellandolo con vino e sugo di cottura

(interno rosato o rosso). Si sala alla fine

Yorkshire PuddingSecondo tradizione, le focaccine leggere

fatte con farina, uova, latte e poco sale

vanno cotte sotto la teglia del roast-beef

domenicale, che le irrora di sugo. Il tipo

farcito con salsicce è chiamato

the toad in the hole (il rospo nella tana)

‘‘Da 84, CHARING CROSS ROAD di Helene Hanff

Dorato e croccanteNon so esattamente come descriverlo a una persona

che non lo ha mai visto, ma un buon Yorkshire puddingdeve gonfiarsi parecchio, deve diventare dorato e croccante,

e quando lo si taglia si scopre che all’interno è tutto vuoto

l’appuntamentoLa prossima settimana,

al Riverside Cafè del Morden

Hall Park, durante

la Farmhouse Breakfast Week

tutte le mattine, dalle dieci

a mezzogiorno, si farà

colazione con le delizie

dei migliori artigiani alimentari

di Londra: muffin, cioccolata

calda con whipped cream e tè

aromatici, quiche salate, torte

multistrato. Il tutto secondo

le regole bio e km-zero

Eggs and BaconRicetta obbligata dell’english

breakfast, vanta diverse cotture

di uova: strapazzate, benedict

e fritte. Alla fine, sale, pepe, latte

e panna. Accanto: pane tostato,

champignon, fagioli, salsicce

Repubblica Nazionale

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le tendenzeElisir di bellezza

42 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 18GENNAIO 2009

Non conosce crisi il settore delle cremeanti rughe. Siamo il Paese dell’apparire,e per apparire al meglio il viso deve es-sere disteso e i contorni ben definiti.Avere per sempre vent’anni. O al mas-simo trenta. L’imperativo sociale è fer-

mare il tempo: forever young. Le rughe si combattono,ma ancora meglio è prevenirle. Prima si corre ai riparie meglio è. Glicazione è il nuovo nemico: i sieri di ulti-ma generazione vanno a contrastare quel processoper cui lo zucchero che ingeriamo indurisce e sgretolainesorabilmente il collagene e le fibre di elastina.

Sono tante le creme che promettono performancesspettacolari. La crema che aiuta la riparazione del dnastimolando il gene sirt-1, o gene della longevità. Quel-la a base di un peptide che permette di risvegliare dalsonno le proprie cellule staminali madri. Quella a ba-se di resveratrato, o molecola della giovinezza, checonsente alle trentenni di preservare scientificamen-te il loro patrimonio di freschezza cutanea. La cremache sfrutta le proprietà cosmetiche di gemme e pietrepreziose: polveri a base di rubini, zaffiri, perle, oro, dia-manti o anche semplice malachite e tormalina, dal po-tere rigenerante e protettivo. E ancora: la crema ai mi-nerali presenti nell’ossidiana vulcanica, capace di sti-molare l’attività dei fibroblasti, la crema a base di sali-va di sanguisuga, che fa furore a Hollywood, e quellache vanta fra i suoi principi attivi la bava di lumaca, unpotente cicatrizzante naturale e un anti macchie. Dif-ficile districarsi fra tanta offerta, e capire quali pro-messe saranno mantenute.

Una cosa è certa: anche nei tempi bui sulle cremeanti-età non siamo disposti a tirare la cinghia. «In unafase di revisione dei consumi si risparmia sull’abbi-gliamento, sulla tecnologia, ma non sulla bellezza.Prendersi cura di sé è diventato un gesto naturale e dif-

fuso, non più un lusso — osserva Gian Andrea Posita-no, direttore del centro studi Unipro, l’associazioneitaliana delle imprese cosmetiche —. Il settore tienebene. Ha registrato addirittura un più 0,5 per cento.Nel 2008 gli italiani hanno speso in cosmetici oltre no-ve miliardi di euro, di cui un miliardo e 200 milioni cir-ca in creme per il viso e un miliardo e 250 milioni in pro-dotti per il corpo».

Di tutto e di più. Creme al caviale, tensore naturale,ed esfolianti-illuminanti alla polvere di diamante — lecosiddette creme da cassaforte — si vendono senzaflessioni. «Assistiamo a una polarizzazione dei consu-mi — spiega Positano —. In tempi di crisi vanno forte idue estremi: l’alto di gamma e i prodotti a basso prez-zo ma che garantiscono ottima qualità. A soffrire è tut-to ciò che sta nel mezzo». Un’indagine sul campo svol-ta negli Usa dalla rivista Consumer Reportsha accerta-to che il prodotto più efficace per spianare le rughe co-sta solo 19 dollari. Spendere molto, forse, può aiutarea credere che ciò che si compra a così caro prezzo ab-bia poteri taumaturgici. Siamo un popolo di vanitosi.In rete, segnalano gli esperti, è scoppiata la cosiddetta“beauty-mania”, ad opera di cybernauti sempre piùnarcisi. Solo nell’ultimo anno sono stati venti milionigli italiani che hanno cliccato siti di bellezza e di be-nessere. Una vera fame di notizie. Uno dei forum piùvivaci, con recensioni personali di creme e scambi dipareri sull’effettiva efficacia dei vari prodotti, è suwww. saicosatispalmi. org.

Cosa ti spalmi ma soprattutto quando. Domandacruciale: a che età è bene cominciare a usare una cre-ma anti-age? «Bisognerebbe fare prevenzione già sul-la soglia dei trent’anni, quando compaiono le pri-missime rughe molto leggere attorno agli occhi e leprime tracce di disidratazione, utilizzando cremespecifiche — afferma Carla Scesa, docente di chimi-ca dei prodotti cosmetici all’Università Cattolica delSacro Cuore di Roma —. Un momento fondamenta-

Il boom controventodelle creme antirugheLAURA LAURENZI

PROFUMO DELICATOSprigiona profumo

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Una cosa è certa:anche nei tempi buinon siamo dispostia risparmiaresull’estetica. Secondogli ultimi dati, il settoreha registrato addiritturaun incrementoNel 2008, gli italianihanno speso in cosmeticioltre nove miliardidi euro di cui un miliardoe duecento milionisolo per le anti-age

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 43DOMENICA 18GENNAIO 2009

le è quello della pulizia, che viene spesso trascurata.Gli antirughe fanno meno effetto se la pelle non è bendetersa». Da una ricerca della British Skin Founda-tion risulta che solo il 50 per cento delle donne che sitruccano si dedicano poi alla routine di una puliziaaccurata. «Curarsi fa bene e ancora meglio fa curarsipresto, da giovani — suggerisce Carla Scesa —. Le re-gole sono poche ma vanno rispettate con scrupolo.Igiene, per cominciare. Poi farsi consigliare periodi-camente sul proprio tipo di pelle da un esperto: puòessere un dermatologo ma può anche essere unabrava profumiera. Proteggersi dalle radiazioni sola-ri. Infine avere molta costanza. I risultati si vedonoma solo con un utilizzo duraturo ed equilibrato: i mi-racoli non esistono».

Teniamo così tanto al nostro aspetto da non fer-marci alle semplici creme. La medicina estetica è incontinua ascesa. Ogni anno si eseguono in Italia cir-ca 250mila mini ritocchi riempitivi, “punturine” abase di filler (collagene, elastina, acido ialuronico),iniezioni di botox, peeling profondi. Nove milioni diitaliani usano abitualmente integratori alimentari,in parte tarati per migliorare il tono della pelle; è in ar-rivo anche il ridensificante cutaneo in pillole. C’èpersino un sedicente vaccino antirughe, con tanto dirichiamo, in realtà una crema a base di un pentapep-tide ad azione botulino-simile. Aumenta — e questo“vaccino” ne fa parte — la richiesta dei cosiddettiprodotti cosmeceutici, creme e sieri hi-tech che sicollocano a metà strada fra il cosmetico e il farmaco:«Ma va ricordato che giuridicamente questi prodot-ti non esistono — mette in guardia Carla Scesa —. Cisono i cosmetici e ci sono i farmaci. È un termine cheè stato inventato con molto successo per designare lecreme superattive che agiscono in profondità».

Spesso le donne vanno in profumeria con le ideegià chiarissime su che cosa acquistare. A segnalare

questa crescente consapevolezza è Sephora, che coni suoi 856 punti vendita è la più grande catena di pro-fumerie del mondo, con vendite diffusamente inascesa. I sieri, una volta conosciuti soltanto dalle co-siddette beauty addicted, vengono oggi utilizzati dal-la maggior parte delle donne prima della crema anti-rughe, fungendo così da base agli altri trattamenticon cui lavorano in sinergia. Secondo dati Unipro re-lativi all’Italia il 35 per cento delle donne che acqui-stano creme hanno più di cinquant’anni. Una veracorsa contro il tempo. E un business che aumenta dipari passo con l’avanzare dell’età media.

L’ultimissima frontiera è quella degli antirughe aimpronta genetica, tagliati e studiati a misura mole-colare di pelle. I ricercatori hanno scoperto che sullapelle di ognuno di noi esistono numerose proteinediverse che costituiscono una sorta di “firma protei-ca”, firma che distingue una pelle dall’altra. Cosìhanno potuto ricreare in laboratorio pelli identichesecondo le varie decadi di età (dai 20 ai 75 anni) e spe-rimentare gli elisir antirughe più efficaci. Per ora so-no state identificate due “firme” importanti: quelladella pelle giovane e quella, ben più utile, della pellematura. Ed è stato anche scoperto come le due tipo-logie reagiscono, a livello genetico e poi molecolare,di fronte alle aggressioni esterne.

Decodificato questo segreto genetico verrà for-mulato l’anti-età più indicato. I nuovi imminenti eli-sir di bellezza promettono di riscrivere una “firmaproteica” giovane su quella vecchia, restituendo allapelle le caratteristiche della gioventù. La scoperta,giudicata fondamentale, è stata appena fatta dai ri-cercatori L’Oréal insieme all’ospedale Saint Louis diParigi e all’ospedale universitario Laval nel Quebec,in Canada.

(Ha collaborato Agnese Ferrara)

MULTIRIGENERANTEDuplice effetto tensore

e micro-levigante

per Sérum Phyto-Tenseur di Clarins

ai polisaccaridi di avena,

proteine di sacha inchi, ibisco e silicio

SORGENTE GIAPPONESEÈ a base d’Acqua di Kirishima, leggendaria

fonte del Giappone La Crème de l’Eaudi Issey Miyake addizionata con tre principi

anti-età: estratto di mirto, micro-proteine

antirughe e carnosina

RIATTIVANTE CELLULAREÈ ispirato alla scienza

dell’attivazione cellulare

Time Zone, l’anti-age di Estée

Lauder che mira a pre-datare

l’età visibile, idratando la pelle

dal di dentro, riempiendo

e distendendo i segni profondi

ESTRATTI BOTANICISiegesbeckia Orientalis

e Betulla Bianca

sono gli estratti botanici

tra gli ingredienti

di Youth Surge SPF 15,

nuovo idratante di Clinique

CURA DEL MATTINOProtegge

dall’invecchiamento

cutaneo causato

dai raggi del sole

Expert Lift, antirughe

giorno di Nivea

che rimpolpa

la pelle dall’interno

e ridefinisce

i contorni

RICOSTRUTTIVAC’è anche la Vitamina C

tra i componenti di LiftactivCxP, trattamento

ricostruttivo antirughe

e rassodante di Vichy

che rinforza

la moltiplicazione

cellulare notturna

EFFETTOLEVIGANTERiduzione

delle rughe,

aumento

della densità

cutanea,

gli effetti

promessi

da RetinologyTotal agesolutiondi Lancaster

PRODIGIO VEGETALECellule vegetali

di Sequoia e di Fiore

di Vigna gli ingredienti

attivi naturali

della crema ProdigyExtreme di Helena

Rubinstein contro

l’invecchiamento

radicalizzato

delle pelli mature

AZIONE SINERGICACombina insieme acido ialuronico

(polisaccaride) e retinolo (vitamina A)

Retin-Ox Rides Filler,il filler di Roc dall’assorbimento

immediato che raddoppia

la naturale produzione di collagene

LIFTING NATURALEPrimo trattamento

effetto lifting la cui tecnologia

si ispira al reticolo naturale

della pelle. Si presenta così

(e con il volto di Juliette Binoche)

Rénergie MorpholitR.A.R.E. antirughe targato

Lancôme

TUTTA IN UNA NOTTESotto la ruga, rinasce la vita è il motto

di Dior che promuove Capture R 60/80 XPNuit per ottimizzare i meccanismi naturali

di riparazione notturna della pelle:

“La notte diventa per la pelle l’universo

in cui tutto è possibile”

LUCE DEL GIORNOCombatte le rughe

e si adatta in particolare

a pelli molto secche CrèmePrécieuse Extra Riche,

la nuova crema giorno morbida

e fondente di Bulgari

con olio di cocco

e burro di Karité per una intensa

azione nutriente

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44 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 18GENNAIO 2009

l’incontro

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‘‘Monumenti

dre Mischa in pieno Quartiere latino,non sarebbe mai nato uno dei più grandiartisti di tutti i tempi, un musicista al qua-le quarantacinque album e quasi otto-cento canzoni hanno già regalato l’eter-nità.

«La vita è fatta di incontri», dice Aznà.E non allude soltanto a Pierre Roche, conil quale nel ‘41 formò un duo musicaleche per anni animò i club di Parigi. Nonsoltanto a Edith Piaf, incontrata nel ‘46,della quale fu segretario, autista, amico,compositore. «Ho avuto con lei, fino allafine dei suoi giorni, una specie di amici-zia amorosa, di complice fraternità, sen-za mai condividerne il letto. Sono entra-to nel suo strano universo in una sera del1946 e il corso della mia esistenza è cam-biato», scrive Aznavour in Le temps desavants (2003), la sua autobiografia. Nonallude a tutti i “copains”, da Montand aBécaud, Brel, Brassens, Ferré, ma soprat-tutto Charles Trenet, perduti per strada.Parla di sua moglie Ulla, naturalmente,sposata nel 1967, ma anche dei giovanimusicisti dei quali è attento sostenitore eche, dal rock al rap, lo ammirano senzacondizioni.

«Sono una vacca sacra, oramai», ripe-te a ogni intervista, per forza di cose, “an-tologica”. Di recente si è tolto lo sfizio diradunare in un doppio cd, Duos, il megliodella musica pop: Sting, Elton John, Celi-ne Dion, Bryan Ferry, Laura Pausini, PaulAnka, Placido Domingo, Liza Minnelli,Carole King, Johnny Hallyday, Julio Igle-sias cantano, devoti, le sue canzoni infrancese, in inglese, in italiano, in spa-gnolo, in tedesco. Con Piaf, Sinatra eDean Martin fa duetti virtuali. DallaFrancia, che considera al cento per cen-to la sua patria, proprio come allo stessotempo considera l’Armenia (ne ha appe-na ottenuto la cittadinanza), ha avuto laLegion d’Onore, è cavaliere delle Arti edelle Lettere e domani al Mercato dellaMusica di Cannes gli sarà consegnato ilpremio alla carriera.

«Non voglio passare accanto alla miaepoca: voglio viverci dentro. Dico che ilpassato è un meraviglioso serbatoio dalquale attingere per scrivere, non per vi-vere. Vado sempre avanti e le nuove ge-nerazioni mi interessano enormemente.Sono aperto alla gioventù perché attra-verso i giovani recupero la giovinezza chenon ho avuto». Non gliela ha permessa laStoria? «Mi è stata rifiutata. Mi hannosempre detto che non valevo nulla, mihanno ignorato». Parla dell’adolescen-za? «Parlo del mio mestiere». Ma la gente,oramai, queste sue frustrazioni le ha di-menticate. «La gente, non io». Si fa serio,solenne, come se un trauma del passatolo disturbi ancora. L’aspetto fisico gli hapesato, questo è noto. Fu Piaf, in manie-ra piuttosto energica, a suggerirgli unaplastica al naso e a offrirgliela. «Questasemplice operazione ha cambiato la miavita», scrive Aznavour nell’autobiogra-fia. «Offrendomi un sensibile cambia-mento di profilo, questa amputazione

ne d’amore commerciale. Ma sono unoche non molla. Non insisto per fare di-ventare le mie canzoni successi di vendi-ta, ma successi di scena. Quando unacanzone diventa un successo di scena re-sta nel cuore del pubblico». Com’è tristeVenezia: commerciale o no? «Se si tolgo-no i la-la-la diventa un testo, un vero te-sto e su questo sono pignolo (“pointu”),lo sono sempre stato, anche a trent’anniquando cantavo Ma jeunesse che alloranessuno ascoltava, ma che poi è diventa-ta una canzone di culto. Perché dice unacosa fondamentale: “Il faut boire jusqu’àl’ivresse sa jeunesse”, bisogna bere la pro-pria gioventù fino ad ubriacarsene, biso-gna andare fino in fondo alla giovinezza,alle follie, alle rivendicazioni, perché co-munque, anche se alla fine si fa marcia in-dietro, quello che abbiamo messo su dagiovani resta. Come resta il Sessantotto.Si ami o no, si discuta o no, ma resta. È sta-ta la prima volta che gli studenti sono sce-si in strada, uniti».

Da noi continuano a farlo, soprattuttodopo la legge Gelmini. «Potrei chiamareBerlusconi. L’ho conosciuto prima dellapolitica. Potrei parlargli. È un signore cheama la musica, che suona il piano, checanta. Potrei fare come con i presidentiarmeni ai quali ho sempre detto quelloche penso e ha sempre funzionato. An-che oggi, a tavola, il presidente armenomi ha spiegato che ha dato terre ai giova-ni, che ha concesso incentivi alle coppieche si sposano e che fanno figli, e ai con-tadini per fare fruttare la terra. E tuttoquesto è accaduto anche grazie a me».Crede che sia tutto vero? «Se non lo fosse,se mi avesse mentito, mi opporrei. Io nonfaccio politica, faccio umanitarismo. Lofaccio in modo diverso da chi si occupa direaltà difficili: io mi occupo di un interopopolo. Ma è difficile attirare l’attenzio-ne sull’Armenia. Oggi tutto va alle malat-tie di moda. Ci sono cinquanta artisti im-pegnati per l’Aids, quaranta sul cancro esoltanto due su quella malattia ancorapiù terribile che è l’essere orfani. Li cono-sco quegli artisti che si fanno pagare viag-gio e albergo per parlare di Aids. Io mi pa-go sempre e tutto da solo».

Parla con più entusiasmo del suo im-pegno sociale che della musica. «Perchého un’età, e a partire da una certa età,quando hai una vita riuscita, non cerchiil piacere del primo giorno di successo.L’hai avuto, il successo, sei riuscito inquello che volevi, sei solido. Allora devimettere questa solidità al servizio deimeno fortunati». La musica è diventataroutine? Affronterà la prossima tournéeamericana pensando ad altro? «Non èroutine, ma neanche è al primo posto.Non è del tutto secondaria, ma quasi».Dice così perché si sente solo, perché nonha più compagni di strada? «Non è vero.Ancora ci sono grandi musicisti un po’ignorati dalla stampa e dalla televisione,ma che hanno un pubblico fedele». Peresempio? «Serge Lama». E Juliette Gréco?«Ha avuto decenni di vuoto, poi a un trat-

mi ha permesso di pensare che avrei po-tuto anche cantare alcune delle canzonid’amore che scrivevo per gli altri».

L’amore. È stato il primo a parlare diamore sensuale (Après l’amour), ma an-che il primo a scrivere del quotidiano,della vera vita di un’umanità “normale”.Nel 2007, però, su Colore ma vie, il discoregistrato a Cuba, comparvero quattrocanzoni inconsuete nel suo repertorio.Quattro temi molto importanti: l’ecolo-gia (La terre meurt), la periferia (Moi, je visen banlieue), la patria dei suoi avi (TendreArménie), e la sua propria morte (La fêteest finie). «Non si può sempre e solo farepiacere al pubblico. Bisogna anche edu-carlo, stimolarlo, scuoterlo. Questequattro canzoni non sono commerciali.Non lo saranno mai. Quel disco non eracommerciale. C’è altro oltre alle vendite.Per esempio Emmenez-moi, che oggi èun enorme successo, quando è uscita,quarant’anni fa, non ha funzionato. Mesemmerdesnemmeno. Per non parlare diNon, je n’ai rien oublié».

Come mai? «Era il lato B di una canzo-

to è diventata la signora della canzonefrancese. Mah…».

Esiste una “nuova canzone francese”?«No, c’è una continuità. Non è la stessacosa». La sua era “la nuova canzone”?«Forse sì, forse io ho portato una “nuovacanzone”, ma prima di me lo ha fatto Tre-net. Poi sono arrivati Ferré, Brel, Bras-sens, Béart». E Bécaud? «Bécaud nonscriveva i testi, ma li ha aiutati. E questo èun talento. Era intelligente Bécaud, maaveva una vernice. Non bisognava grat-tare». Anche gli attori, aiutando i testi,hanno una vernice? «Un vero attore è unsignore che ha letto Shakespeare, Cor-neille, Molière, Cechov. Ha un’altra base.I cantanti hanno un corpo, una voce e ba-sta. Ma se un cantante è curioso, si sforzae si fa una cultura».

Lei si è fermato alla quinta elementare.«Ma ho una grande biblioteca della qua-le ho letto quasi tutto. In testa non mi è ri-masto molto, ma comunque le parole visono entrate e quando scrivo riappaio-no, quando si discute escono». Chi le hadato la voglia di sapere? «La miseria. No,non la miseria. La povertà». E la famiglia?«Mia madre. Mio padre non era un uomoistruito, ma era curioso. La curiosità èquello che conta». Perché ha smesso distudiare? «Eravamo poveri. Ai miei tem-pi la scuola era gratuita fino alla quintaelementare. Poi però ho incontrato per-sone alle quali chiedere i libri da leggere.Jean Cocteau e tanti amici che amavanola pittura e la poesia. Per istruirsi bastafrequentare gente istruita. Con il mioamico Fred Mella (uno dei Compagnonsde la Chanson, leggendario gruppo diPiaf negli anni Quaranta-Cinquanta,ndr) siamo sempre stati in competizioneletteraria. Ancora litighiamo. Ho letto piùdi te; no, sono io ad avere letto di più. Main comune abbiamo Céline. Siamo celi-niani assoluti. Céline per noi è il più gran-de di tutti».

Le nuove generazionimi interessanoenormemente. Sonoaperto ai ragazziperché attraversodi loro recuperola giovinezzache non ho avuto

A ottantaquattro anni ha appenaricevuto la cittadinanza armenaed è diventato il primo ambasciatored’Armenia in Svizzera, dove risiede,per attirare l’attenzione sul Paese

delle sue origini. Perché,dice, “quando il successolo hai avuto, sei riuscitoin quello che volevi,sei solido, devi metterequesta solidità al serviziodei meno fortunati”E la musica,

che gli ha fatto vendere milionidi dischi, “non è più al primo posto,non è del tutto secondaria ma quasi”

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LAURA PUTTI

Charles Aznavour

PARIGI

La porta si spalanca e, a passodi carica, Charles Aznavourirrompe nel suo ufficio pari-gino. «Avete davanti a voi il

nuovo ambasciatore d’Armenia in Sviz-zera», dice. È orgoglioso, più che cerimo-nioso. Passionale, più che diplomatico.Ha appena pranzato con il nuovo presi-dente armeno Serzh Sargsyan, che gli haproposto di aprire una sede diplomaticanel Paese nel quale Aznavour vive daquasi quarant’anni. E lui ha accettato. Sitratta di cominciare da zero. Di trovareun luogo, di assumere personale, di or-ganizzare un’ambasciata. Me lo raccon-ta in una stanzetta disadorna, gli occhiche brillano.

Uno sguardo molto diverso da quellocon il quale, nel dicembre 1988, mi ac-colse al Grand Hotel di Roma. In Armeniala terra aveva appena tremato e sotto lemacerie erano rimaste più di quaranta-mila persone. Sprofondato in una pol-trona, il cantante sembrava ancora piùminuto. Sembrava piccolissimo. Solo gliocchi erano immensi. Lo sguardo dolen-te, ma fermo. Fu allora che decise di inau-gurare la Fondazione Aznavour per l’Ar-menia. Fu allora che le sue radici lo cat-turarono, lo avvolsero, lo stritolarono. Èfiero quando dice di essere l’armeno piùconosciuto al mondo. Sembra quasi cheottantaquattro anni di vita siano servitisoltanto a questo: riscattare l’esilio deisuoi genitori, fuggiti entrambi dal geno-cidio armeno, dalla persecuzione turca,e arrivati a Parigi in attesa di un visto pergli Stati Uniti per fortuna mai arrivato. Al-trimenti il 22 maggio 1924, in un ospeda-le per indigenti accanto a un piccolo ri-storante armeno (“Restaurant Cauca-se”, rue de la Huchette) aperto da suo pa-

Repubblica Nazionale