Genitorialità imperfetta · L’arte e l’architettu-ra insegnano, a questo proposi-to. Secondo:...

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Genitorialità imperfetta relazioni tra genitori e figli, ma le impoveriscono. Dunque non resta che direzionarmi verso una man- ciata di principi. Fare sempre del mio meglio. Essere vero, evitare di ingannare me o i miei figli. Educa- to nessuno possiede in as- soluto questa verità. Ecco dunque i verbi che mi vengono immediata- mente in mente. Ascoltare. Comprendere. Risponde- re. Accogliere. Incoraggia- re. Sostenere. Responsabi- lizzare. Motivare. Valoriz- zare. Premiare. Limitare. Ma il verbo più importan- te è sicuramente Amare. Già questi pochi verbi mi paiono un orizzonte com- plesso da raggiungere. Ogni giorno faccio del mio meglio, tra le infinite diffi- coltà della vita iper-mo- derna, cercando di sfuggire da insi- diose e dannose ansie da prestazio- ne genitoriale. Proprio queste ulti- me sono il peggior nemico del ruo- lo stesso, perché lo caricano di aspettative che non arricchiscono le Sono stato genitore per tre volte, in tre momenti molto diversi della mia vita, e con un impor- tante stacco temporale tra ognu- no di essi. Di professione faccio il sociologo, dunque studio i comportamenti sociali e non po- trei non occuparmi di sistemi fa- miliari dato che sono il nucleo vitale di qualsiasi società o co- munità. Avrei dunque dovuto imparare ad essere un genitore perfetto. Invece non è così. Per una serie di motivi. Primo: la perfezione è un’aspirazione, ma non appartiene al corredo uma- no. Al massimo si può aspirare all’armonia. L’arte e l’architettu- ra insegnano, a questo proposi- to. Secondo: la vita è tropo breve per apprendere tutto. Terzo: non si può prevedere ogni circostan- za. C’è sempre una situazione “nuova” da gestire. Quarto: le emozioni, talvolta, tutto a un tratto, rischiano di buttare giù quella lenta e paziente costru- zione che accompagna ogni no- stra giornata. Probabilmente vi sono poi mol- te altre argomentazioni a soste- gno di questa tesi. Mi viene allo- ra naturale pormi un quesito: co- sa significa essere buoni genito- ri? Evidentemente non sono suf- ficienti poche righe per rispon- dere a questa domanda. Forse non basta neppure una vita in- tera per farlo. Però da qualche parte bisogna pur cominciare. Allora, vista la difficoltà del compito, azzardo un piccolo esperimento. Declinare una se- rie di verbi all’infinito. Quelli che mi sembrano più pregnanti e ai quali ciascuno di voi potrà sentirsi libero di aggiungere, to- gliere, modificare, perché di cer- re con l’esempio. Quando è necessario, di- re No. Donare loro forza, amore, bellezza, fiducia, coraggio, autenticità. Questa è la teoria. In pratica non sempre ci riesco, per- ché non sono perfetto. Daniele Callini IL FILO D’ORO e l’attenzione verso i più deboli primi anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale sono stati caratterizzati da una situazione economica particolarmente dif- ficile per il nostro Paese e pertanto è in tale di- rezione che si orienta l’impegno sociale delle suo- re “Figlie di San Francesco di Sales”, particolar- mente orientato verso il mondo dell’infanzia e del- l’adolescenza. La Casa Madre di Lugo, in primo luogo, si attivò a favore delle giovani orfane o in condizioni particolarmente disagiate, provveden- do gratuitamente al mantenimento, educazione ed istruzione di una ventina di loro nell’anno scola- stico 1948/49, impegnandosi a non fare mai di- stinzione alcuna “di trattamento né di divisa fra queste beneficate e le altre educande”, come si leg- ge in una nota del “Filo d’Oro” del settembre 1949. Si faceva qui tra l’altro riferimento alle attività di un altro orfanotrofio, quello di Bibbiena, in pro- vincia di Arezzo, dove, dalle prime tre bambine ospitate nel 1944, appena passato il Fronte in quel- la zona, si era passati, cinque anni dopo, a più di trenta. Vicino a Lugo, e più precisamente a Massa- lombarda, fu aperto, proprio nel 1949, un altro or- I fanotrofio che andò ad aggiungersi alle strutture già esi- stenti, dove operavano da anni le suore “Figlie di San Fran- cesco di Sales”: asilo, doposcuola, scuola di lavoro e servizio agli infermi nell’Ospedale locale. Proprio “Il Filo d’Oro” del dicembre 1949 ci dà un ampio resoconto delle vicende che re- sero possibile quell’iniziativa che tanto beneficio ha portato alle tante ragazze che qui sono state ospitate nel corso degli anni. Il tutto era stato reso possibile grazie alla disposizione testamentaria del cavalier Ricci Signorini che, in data 23 ago- sto 1944, aveva donato all’Istituto, un podere e una villa se- midistrutta a Massalombarda. Era questa la prima eredità notevole giunta alla Congregazione in più di settant’anni di vita, arrivando, tra l’altro, in un momento particolarmente critico, con la Casa Madre sinistrata, la Comunità divisa e le alunne dell’Istituto Magistrale in condizioni di particolare disagio per lo svolgimento degli esami. La carità del bene- merito cavaliere era senza dubbio un dono di Dio, ma al mo- mento erano più urgenti altri bisogni materiali, come il ri- fornimento di “patate, fagioli e frutta” o la carne che “i con- tadini facevano larga parte”, piuttosto che occuparsi della ri- strutturazione della villa. Tra l’altro in quei drammatici mo- menti “in bicicletta o a piedi, le Suore partivano col sicuris- simo passaporto: la benedizione e l’obbedienza e tornavano cariche di ogni ben di Dio così da permetterci – leggiamo ancora sul “Filo d’Oro” del dicembre 1949 – la grande con- solazione di aiutare anche tanti più poveri di noi”. Conclu- sasi la lunga parentesi bellica e affrontati i più urgenti biso- gni, mentre gli anni passavano, si arrivò finalmente a quel- la che venne chiamata “l’ora di grazia”, il momento cioè in cui muratori, fabbri, falegnami e “pittori” ristrutturarono la villa del cavalier Ricci Signorini, dopo che era stato deciso di aprirvi un orfanotrofio femminile, essendo questo assente a Massalombarda. Accanto alle prime quattro suore, saranno accolte una ventina di orfanelle. Sei mesi dopo, una grande “Kermesse di Beneficenza” verrà organizzata proprio” a pro’ degli Orfanotrofi dell’Istituto S. Giuseppe di Lugo”, tra i qua- li segnaliamo anche quello del piccolo paese di Ciola, nel- l’Appennino romagnolo, dove nel 1950 erano ospitate 33 bambine, di cui una di appena 19 mesi. Giordano Dalmonte L’orfanotrofio di Bibbiena L’orfanotrofio di Ciola La scuola di lavoro L’istituto Maria Immacolata La nuova struttura per le mamme

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Genitorialità imperfetta

relazioni tra genitori e figli, ma leimpoveriscono. Dunque non restache direzionarmi verso una man-ciata di principi. Fare sempre delmio meglio. Essere vero, evitare diingannare me o i miei figli. Educa-

to nessuno possiede in as-soluto questa verità. Ecco dunque i verbi chemi vengono immediata-mente in mente. Ascoltare.Comprendere. Risponde-re. Accogliere. Incoraggia-re. Sostenere. Responsabi-lizzare. Motivare. Valoriz-zare. Premiare. Limitare.Ma il verbo più importan-te è sicuramente Amare.Già questi pochi verbi mipaiono un orizzonte com-plesso da raggiungere.Ogni giorno faccio del miomeglio, tra le infinite diffi-coltà della vita iper-mo-derna, cercando di sfuggire da insi-diose e dannose ansie da prestazio-ne genitoriale. Proprio queste ulti-me sono il peggior nemico del ruo-lo stesso, perché lo caricano diaspettative che non arricchiscono le

Sono stato genitore per tre volte,in tre momenti molto diversidella mia vita, e con un impor-tante stacco temporale tra ognu-no di essi. Di professione faccioil sociologo, dunque studio icomportamenti sociali e non po-trei non occuparmi di sistemi fa-miliari dato che sono il nucleovitale di qualsiasi società o co-munità. Avrei dunque dovutoimparare ad essere un genitoreperfetto. Invece non è così. Peruna serie di motivi. Primo: laperfezione è un’aspirazione, manon appartiene al corredo uma-no. Al massimo si può aspirareall’armonia. L’arte e l’architettu-ra insegnano, a questo proposi-to. Secondo: la vita è tropo breveper apprendere tutto. Terzo: nonsi può prevedere ogni circostan-za. C’è sempre una situazione“nuova” da gestire. Quarto: le

emozioni, talvolta, tutto a untratto, rischiano di buttare giùquella lenta e paziente costru-zione che accompagna ogni no-stra giornata. Probabilmente vi sono poi mol-te altre argomentazioni a soste-gno di questa tesi. Mi viene allo-ra naturale pormi un quesito: co-sa significa essere buoni genito-ri? Evidentemente non sono suf-ficienti poche righe per rispon-dere a questa domanda. Forsenon basta neppure una vita in-tera per farlo. Però da qualcheparte bisogna pur cominciare.Allora, vista la difficoltà delcompito, azzardo un piccoloesperimento. Declinare una se-rie di verbi all’infinito. Quelliche mi sembrano più pregnantie ai quali ciascuno di voi potràsentirsi libero di aggiungere, to-gliere, modificare, perché di cer-

re con l’esempio. Quando è necessario, di-re No. Donare loro forza, amore, bellezza,fiducia, coraggio, autenticità. Questa è lateoria. In pratica non sempre ci riesco, per-ché non sono perfetto.

Daniele Callini

IL FILO D’OROe l’attenzione

verso i più deboli

primi anni successivi alla fine della secondaguerra mondiale sono stati caratterizzati dauna situazione economica particolarmente dif-ficile per il nostro Paese e pertanto è in tale di-

rezione che si orienta l’impegno sociale delle suo-re “Figlie di San Francesco di Sales”, particolar-mente orientato verso il mondo dell’infanzia e del-l’adolescenza. La Casa Madre di Lugo, in primoluogo, si attivò a favore delle giovani orfane o incondizioni particolarmente disagiate, provveden-do gratuitamente al mantenimento, educazione edistruzione di una ventina di loro nell’anno scola-stico 1948/49, impegnandosi a non fare mai di-stinzione alcuna “di trattamento né di divisa fraqueste beneficate e le altre educande”, come si leg-ge in una nota del “Filo d’Oro” del settembre 1949.Si faceva qui tra l’altro riferimento alle attività diun altro orfanotrofio, quello di Bibbiena, in pro-vincia di Arezzo, dove, dalle prime tre bambineospitate nel 1944, appena passato il Fronte in quel-la zona, si era passati, cinque anni dopo, a più ditrenta. Vicino a Lugo, e più precisamente a Massa-lombarda, fu aperto, proprio nel 1949, un altro or-

I

fanotrofio che andò ad aggiungersi alle strutture già esi-stenti, dove operavano da anni le suore “Figlie di San Fran-cesco di Sales”: asilo, doposcuola, scuola di lavoro e servizioagli infermi nell’Ospedale locale. Proprio “Il Filo d’Oro” deldicembre 1949 ci dà un ampio resoconto delle vicende che re-sero possibile quell’iniziativa che tanto beneficio ha portatoalle tante ragazze che qui sono state ospitate nel corso deglianni. Il tutto era stato reso possibile grazie alla disposizionetestamentaria del cavalier Ricci Signorini che, in data 23 ago-sto 1944, aveva donato all’Istituto, un podere e una villa se-midistrutta a Massalombarda. Era questa la prima ereditànotevole giunta alla Congregazione in più di settant’anni di

vita, arrivando, tra l’altro, in un momento particolarmentecritico, con la Casa Madre sinistrata, la Comunità divisa e lealunne dell’Istituto Magistrale in condizioni di particolaredisagio per lo svolgimento degli esami. La carità del bene-merito cavaliere era senza dubbio un dono di Dio, ma al mo-mento erano più urgenti altri bisogni materiali, come il ri-fornimento di “patate, fagioli e frutta” o la carne che “i con-tadini facevano larga parte”, piuttosto che occuparsi della ri-strutturazione della villa. Tra l’altro in quei drammatici mo-menti “in bicicletta o a piedi, le Suore partivano col sicuris-simo passaporto: la benedizione e l’obbedienza e tornavanocariche di ogni ben di Dio così da permetterci – leggiamoancora sul “Filo d’Oro” del dicembre 1949 – la grande con-solazione di aiutare anche tanti più poveri di noi”. Conclu-sasi la lunga parentesi bellica e affrontati i più urgenti biso-gni, mentre gli anni passavano, si arrivò finalmente a quel-la che venne chiamata “l’ora di grazia”, il momento cioè incui muratori, fabbri, falegnami e “pittori” ristrutturarono lavilla del cavalier Ricci Signorini, dopo che era stato deciso diaprirvi un orfanotrofio femminile, essendo questo assente aMassalombarda. Accanto alle prime quattro suore, sarannoaccolte una ventina di orfanelle. Sei mesi dopo, una grande“Kermesse di Beneficenza” verrà organizzata proprio” a pro’degli Orfanotrofi dell’Istituto S. Giuseppe di Lugo”, tra i qua-li segnaliamo anche quello del piccolo paese di Ciola, nel-l’Appennino romagnolo, dove nel 1950 erano ospitate 33bambine, di cui una di appena 19 mesi.

Giordano Dalmonte

L’orfanotrofio di Bibbiena L’orfanotrofio di Ciola La scuola di lavoro

L’istituto Maria Immacolata

La nuova struttura per le mamme

2 aprile 2014

Anche quest’anno un successo per la gita dei ragazzi della Scuola Media San Giuseppe di Lugo

l 25 e 26 marzo 2014 le sei classi della Scuola Se-condaria di primo grado San Giuseppe sono par-tite da Lugo per una gita a Roma attraverso l’ar-

te, la storia e la cultura della capitale. Eravamo tuttiemozionatissimi, perché era la prima volta che ave-vamo l’opportunità di andare due giorni a Roma dasoli e senza genitori! Ci siamo dovuti svegliare pre-stissimo, cosa forse poco divertente per tutti, ma ne èvalsa la pena!! Alle 4:15 finalmente siamo partiti.Dopo questa “impegnativa alzata da letto” il viaggioè iniziato e si è svolto più o meno nei tempi stabiliti…Il programma prevedeva ricchi appuntamenti attra-verso il centro storico della città, ma era minato dal-le infauste previsioni del tempoche avevano creato ansie, preoc-cupazioni e un po’di rabbia neipartecipanti.Fortunatamente la Provvidenza,anche in questa occasione, non hadeluso, per cui il tempo non harispettato le previsioni ci ha per-messo di trascorrere due bellissi-me giornate. Solo la lieve pioggiadel secondo giorno in Piazza SanPietro, ci ha obbligato ad apriregli ombrelli. Durante il viaggio inostri compagni ‘calciatori’ han-no pure esultato alla sola vista delcartello dello stadio Olimpico.Certo che si accontentano di po-co!!!Prima tappa: la visita ai Fori Im-periali che con sè portano una grandissima storia ebellezza, sono pieni di fascino e ti spingono a chie-dere: ”Che cosa avranno visto in tutto questo tem-po?”… Le rovine non mostravano molto degli edifi-ci originari. Abbiamo chiuso gli occhi e abbiamo pro-vato a ripensare com’erano... Abbiamo ripensato allabravura degli ingegneri, alla capacità degli scultori eci hanno impressionato le dimensioni del luogo. Suc-cessivamente, siamo andati a vedere il Colosseo chepurtroppo è in restauro, ma è stato comunque fanta-stico pensare all’impegno messo dall’uomo nella co-struzione e al fatto che lo possiamo ancora ammira-re dopo quasi 2000 anni. È ancora bellissimo, anche seun po’ scalfito dalle piogge, dai venti e dai…. vanda-li.Dopo uno storico pranzo vicino alla Domus Aurea

I del famigerato Nerone, abbiamo fatto un tour con unaguida che ci ha mostrato parte dei monumenti più im-portanti di Roma: la fontana di Trevi, i quadri del Cara-vaggio all’ interno della Chiesa di San Luigi dei France-si, Palazzo Madama, sede del Senato della Repubblica,Palazzo Chigi, sede della Presidenza del Consiglio, Pa-lazzo Montecitorio, sede della Camera della Repubblicae piazza Navona. Non possiamo dimenticare il Panthe-on: è grandissimo, enorme… e forse anche un po’inquie-tante. L’altezza dell’edificio è uguale al suo diametro, alsuo interno il Phanteon presenta un buco sul soffitto cheserviva per osservare il volo degli uccelli. Una leggendanarra che quando piove l’acqua non riesce ad entrare ma

in realtà non è vero perchè quando siamo entrati noi sta-va piovendo e l’acqua entrava comunque.Infine siamo arrivati in albergo, alcuni un po’ stanchi, matutti di certo soddisfatti. Abbiamo cenato e giocato finoalle 22:30 e poi ci siamo ritirati nelle nostre camere a farbaldoria (però questo i prof non devono saperlo, mi rac-comando!). Dormire con i nostri compagni di classe, sen-za i genitori e i prof. è stato davvero divertente!La seconda giornata si può sintetizzare in quattro paro-le: preghiera, storia, arte, entusiasmo.L’incontro con Papa Francesco nell’Udienza del merco-ledì in Piazza San Pietro ha arricchito di un significato an-cora più profondo la nostra esperienza romana: che emo-zione! Insieme alla visita a Castel Sant’Angelo, è stato ilmomento più bello della gita e la pioggia ha fatto sì chein Piazza San Pietro questa nuova esperienza fosse an-cora più “avventurosa”…È stato emozionante immaginare in tempi di guerra il Pa-pa rifugiarsi a Castel Sant’Angelo, un mondo tutto nuo-vo, con una vista meravigliosa sul Tevere. Ci ha incurio-sito molto il fatto che il Papa durante le invasioni scap-passe nella fortezza utilizzando un corridoio segretochiamato Passetto. Ah…ci siamo dimenticati l’avventura del pranzo al self-service del Gianicolo, ma non vi aspettate un colle, ma unascensore che vi fa salire per cinque piani e poi vi fa pran-zare su sedie avveniristiche, senza pioli, sospese…… e infine si risale sul pullman per tornare a Lugo, perraccontare questa super gita e condividerla con chi ciaspetta a casa… “pronti per partire verso nuove avven-ture con la scuola”! Federico Benedetti, Benedetta Faccani, Filippo Guerra,

Margherita Regazzi, Federico Ricci, Veronica Savini,Brando Savioli, Jessica Tornese, Rebecca Zanforlini

Classe 1ª A

Roma ci accoglie: viaggio tra passatoe presente, tra storia e fede

on sempre svegliarsi presto vuol dire sonnolenza estanchezza. Martedì 25 marzo, mentre non era nem-meno l’alba, i ragazzi dell’istituto San Giuseppe era-no già pronti e carichi per partire per la capitale. Do-

po un viaggio durato circa sette ore e con due soste, sono ar-rivati a destinazione euforici e con tanta voglia di scoprireil lato “artistico” della città.I Musei Vaticani sono stati i primi ad essere visitati. Al lorointerno sono stati apprezzate bellissime statue di marmo edi bronzo, tappeti ricamati e dipinti, le famose carte geo-grafiche di tante zone conosciute a quei tempi.La guida non ha smesso un secondo di spiegare e il suo aiu-to è risultato determinante per la comprensione delle ope-re esposte. La visita è terminata prima nella Cappella Sisti-na e poi all’interno della maestosa cattedrale di San Pietro.Dopo la sosta pranzo, i ragazzi hanno proseguito con la vi-sita guidata fra alcune bellezze della città: la Fontana di Tre-vi, il Pantheon e Piazza Navona con la Fontana dei QuattroFiumi. Nonostante il tempo non fosse dei migliori, tutto èriuscito nel migliore dei modi e non sono mancati momen-ti indimenticabili come il lancio della monetina nella Fon-tana di Trevi. Come ultima meta della giornata prima del ritiro in hotel,ma non meno importante delle altre, i ragazzi hanno potu-to ammirare il Colosseo in tutta la sua maestosità, simbolodi Roma nel mondo.

Lorenzo Pagani - 3ª A

cominciata molto presto per gli alunni dell’IstitutoSan Giuseppe la seconda giornata a Roma. Dopo unacolazione veloce i ragazzi si sono messi in strada perpartecipare all’udienza generale di Papa Francesco.

La pioggia e il cammino hanno creato non poche difficoltà,ma alla fine i piccoli turisti lughesi sono giunti di fronte al-l’imponente colonnato del Bernini di piazza San Pietro,punto d’incontro quotidiano per migliaia di fedeli cattoliciprovenienti da tutto il mondo. I ragazzi non hanno dovuto attendere troppo tempo primadi vedere Papa Francesco sorridente a bordo della papa-mobile. Il pontefice è apparso molto disponibile, felice di sa-

lutare la folla e addirittura di concedersi per qual-che foto. Durante la lettura del messaggio scrittodal Santo Padre e tradotto in tutte le lingue, il tem-po ha voluto mettere a dura prova i giovani stu-denti i quali, nonostante la pioggia, si sono mostra-ti interessati e decisi a continuare la loro visita in Va-ticano. Alcuni di loro si sono spinti fino al limiteconcesso per vedere più da vicino il palco. L’espe-rienza si è conclusa dopo avere recitato tutti insie-me il Padre nostro in latino. La gita si è conclusa con la visita di Castel San-t’Angelo, situato sulla sponda destra del Tevere. Laguida, già conosciuta il giorno prima ai Musei Va-ticani, ha spiegato che tale monumento è collegatoallo Stato del Vaticano attraverso il corridoio forti-ficato del “passetto”. Dopo diverse nozioni storiche, i ragazzi hanno co-nosciuto in lungo e in largo questo monumento ori-ginale nella struttura e nelle vicende trascorse: l’edi-

ficio, costruito con funzione di mausoleo, è stato una roc-caforte e si è rivelato indispensabile per la salvezza della zo-na del Vaticano in diversi momenti della storia. Queste so-no state le prime occasioni in cui la costruzione è stata chia-mata “Castellum”. Il suo possesso fu oggetto di contesa dinumerose famiglie nobili romane, che spesso lo utilizzava-no come prigione. Già nel VI secolo viene denomina-to “Castellum Sancti Angeli” e coronato da una statua a for-ma di angelo, in ricordo della visione dell’arcangelo Mi-chele avuta da papa Gregorio Magno durante una proces-sione per scongiurare la peste. Essere riusciti a conciliare cultura e spiritualità è stata lacarta vincente del viaggio d’istruzione!

Rubens Pelliconi - 3ª A

N

È

Gli alunni di prima in piazza San Pietro

Viaggio d’istruzione

Gruppi di alunni delle classi seconde

Un gruppo di alunni di terza in piazza San Pietro

3 aprile 2014

ell’Oceano Atlantico li chiamano uragani, nelPacifico tifoni; in Australia "Willy Willy", "ba-gyo" nelle Filippine, "ciclone" in India.

La carica distruttiva, la potenza, quelle sì, sono sem-pre uguali. Che si chiamino tifoni, uragani o cicloni,questi straordinari fenomeni della natura, si lascianodietro una scia di morte e distruzione che trova sem-pre l’uomo impotente. Il 7 novembre 2013, il tifone di nome Haiyan, hamesso in ginocchio le Filippine.I venti soffiavano a 315 chilometri orari, le onde ave-vano un’altezza di 15 metri e in poche ore sono ca-duti fino a 400 millimetri di pioggia. Undici milio-ni di filippini sono rimasti coinvolti. Molti di lorosono rimasti senza casa, cibo, acqua corrente ed elet-tricità.Un evento naturale di questa portata non si era mairegistrato; per i meteorologi si è trattato di una del-le tempeste più possenti che abbiano mai colpito laterraferma.Le suore Figlie di San Francesco di Sales, insieme

N

La furia di Haiyan unisce tutte le popolazioni mondiali

Le suore Figlie di San Francesco di Sales a Tacloban per aiutare la popolazione filippina

Filippine

con alcune maestre della scuola “Don Carlo Cavina” diManila, il 9 gennaio 2014 decidono di partire per Taclo-ban per aiutare la popolazione. Durante il difficile viag-gio in traghetto, per arrivare nel capoluogo di Leyte, af-frontano la furia del mare non ancora pago delle vittimegià mietute. Nell’animo delle consorelle aleggia uno sta-to di ansia e paura ma la voglia di aiutare la popolazio-ne filippina a rimettersi in piedi non lascia spazio al pa-nico e rafforza lo spirito donando loro, se possibile, an-cora più forza. Una volta arrivate a destinazione le sorelle e le maestresi "accampano” insieme ai sopravvissuti in una chiesadevastata. Una chiesa senza tetto che potesse ripararedalla pioggia che continua a battere incessante. Eventiavversi che non fermano la loro determinazione. Insie-me con altri volontari si rimboccano le maniche mentreaspettano i camion degli aiuti umanitari. Cibo, vestiti egeneri di primo soccorso per la gente di Burauen, unpaese lontano da Tacloban. Sono coraggiose le suore e lemaestre che dormono per terra, come delle sardine, sen-za elettricità sotto la pioggia. Sono coraggiose e tenaci.Non mollano. Lavorano per la popolazione e per i tantibambini rimasti senza famiglia per la furia distruttricedi Haiyan. Sotto l’acqua, a tratti anche violenta, aspet-tano di ricevere cibo e acqua da distribuire ai tanti cheaffollano la chiesa senza tetto e la zona circostante. I

bambini le guardano, si affidano alle sorelle e allemaestre, con gli occhi pieni di terrore, di sgomento,di solitudine. Lontani dagli affetti familiari, lontanidalle case, travolti e storditi dalla vita che ha cam-biato corso per sempre. Le suore non possono arre-trare, in nome della sofferenza che queste piccolecreature devono affrontare.Con loro sono in tanti. Dall’Italia la comunità delle

suore Figlie di San Francesco di Sales è in azione epromuove una raccolta fondi per le popolazioni col-pite e per le famiglie delle consorelle filippine ri-maste senza nulla. E dalle lontane isole devastate epiegate dal tifone, arrivano parole che scaldano ilcuore e portano, fino in Italia, il senso della missio-ne: “A voi sorelle lì in Italia, il nostro grazie di cuo-re per il vostro aiuto! Grazie per tutto e per sem-pre.” San Francesco di Sales nelle Filippine ha por-tato il suo amore profondo fino all’altro capo delmondo. E ci si ritrova, nella tragedia, ancora più vi-cini e fratelli.

Federica Cirella

4 aprile 2014

inquant’anni di professione religiosa e non li dimo-stra. La promessa diventa adulta ma non perde vi-gore, entusiasmo, forza, mistero. Il 16 gennaio suorInnocenza Turchi, unita a tutta la comunità delle

“Figlie di S. Francesco di Sales”, ha ringraziato e lodatoDio per il giubileo di Professione religiosa. La sua storia èintessuta di dedizione, di sacrificio e di gioia. Sentimenti di-laganti che suor Innocenza non ha potuto trattenere: comeacque gonfie di fiume si sono riversati su tutte le personeche hanno avuto la fortuna di incontrarla, lungo il cammi-no della sua vita.Lontana nel tempo ma non nello spirito, la decisione diquesta sorella di partire per il Brasile. In testa e nel cuoreun’idea: aiutare i bimbi meno fortunati. Con tenacia, fer-mezza, risolutezza e costanza suor Innocenza fonda il cen-tro “Santa Rita” a São Bernardo do Campo. Insieme alleconsorelle si rimbocca le maniche, organizza la struttura ela conduce, come i bambini che accudisce, verso la solidi-tà capace di contrastare un quotidiano difficile. Toglie i pic-coli dalla strada, offre loro un “rifugio sicuro”. Non è faci-le combattere, in quelle zone. Non è facile alla periferia diSão Bernardo do Campo, São Josè Opraio, Parque S. Ge-raldo, S. Rosa, S. Rita, Jardim Silvina e tanti altri posti do-ve è sempre presente, fianco a fianco di uomini e donne abi-tuati a combattere, ogni giorno. Ed è battaglia per ogni pez-zetto di terra, per una casupola da collegare con luce e ac-qua. E’ lotta e gioia insieme, alla scoperta di un percorsodenso di ostacoli ma illuminato dalla forza e dall’amore diDio. Nasce così “Casa da Vida” che significa, prima di tut-to, speranza. E poi vuol dire: centro di accoglienza per ibimbi delle favelas.

L’avventura è nata così eora è arrivata a spegnere50 candeline, una perogni anno di vita religio-sa. Quei cinquant’anniche la promessa si ostinaa non dimostrare, quoti-dianamente rinnovatanell’entusiasmo e nellagioia. La storia di suor Innocen-za è tutta qui, nella lungae intensa corrispondenzad’amore e di predilezione di Dio verso le sue creature. Co-sì è stata gioia pura la celebrazione di un anniversario sen-tito e profondo "festeggiato" nella parrocchia di San Bene-detto (Ithanaem). A dire Messa, 9 sacerdoti. Con loro, Ma-dre Mariarita Foli e Suor Miriam Ancarani venute dall’Ita-lia. Tante le persone presenti, amici e benefattori di città vi-cine come São Bernardo do Campo, Praia Grande, Caiça-ra, Itanhaem, con in prima fila gli ospiti della Casa da Vidache hanno portato fiori e cantato tutta la letizia del mondo.Una celebrazione semplice e intensa, sottolineata dal-l’omelia nella quale i sacerdoti hanno ricostruito il cammi-no di suor Innocenza, raccontato le sue battaglie, ripercor-so le sue gioie e le tante difficoltà, fino a consacrare il gran-de, meraviglioso premio ottenuto dalla sua determinazio-ne: la “Casa da Vida”. Traguardo e insieme testimonianzadella caparbia volontà di una sorella, della sua tenacia e delsuo amore profondo. Umile tra gli umili, seguendo l’esem-pio che oggi indica al mondo Papa Francesco.

Attorno a suor Innocenza, la sua famiglia di consorelle e ilsuo popolo sofferente. Per levare, tutti insieme, una pre-ghiera profonda al Signore affinché continui a benedire efortificare la sua vocazione e la sua missione con il fruttodi perseveranza, fedeltà e allegria che sino ad oggi ha sem-pre regalato sia alla Congregazione che alla Chiesa.“Ed ora Suor Innocenza, sei chiamata a gettare le reti in ac-que più profonde, insieme alle tue compagne, discepole emissionarie. Continua e continuate a gettare il seme delRegno e non avere, non abbiate paura perché il Signoredella Storia, come al tempo del Profeta e degli Apostoli,oggi ci ripete: “ non avere e non abbiate paura, io sono conte, con voi.”, l’ha esortata don Nicola nell’omelia. Con co-raggio e determinazione, perché ogni giorno torni, come èstato fino ad oggi, la voglia di rinnovare quella promessache ha compiuto cinquant’anni ma sembra appena sboc-ciata.

Federica Cirella

C

Suor Innocenza Turchi50 anni di professione religiosa

e ancora tanto da donare

Suor Innocenza (al centro) con due consorelle

La “Casa da Vida”

La santa Messa celebrata da Don NicolaUn momento della festa

Foto di gruppo