PRIMITIVISMO - · PDF fileGli artisti francesi iniziarono ad avvicinarsi all’arte...

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PRIMITIVISMO

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La storia del colonialismo europeo ebbe inizio in concomitanza con le grandi scoperte geografiche del XV secolo che portarono le principali potenze politiche ed economiche del tempo ad ampliare i propri domini in America, Africa e Asia. All’inizio dell’Ottocento la Francia, dopo aver perso il controllo dei territori che aveva acquisito in America settentrionale, nelle Antille e in India, diresse le proprie mire espansionistiche verso i paesi dell’Africa settentrionale, conquistando Algeria, Marocco e Tunisia, per poi estendersi anche nelle regioni occidentali sudsahariane e in gran parte dell’Africa centroccidentale, giungendo sino al fiume Congo. Il dominio su tali territori permise non solo di impiegare la forza lavoro indigena, di sfruttare le risorse minerarie e di esportare le materie prime indispensabili per le industrie europee, ma anche di avere per la prima volta accesso a prodotti e manufatti tradizionali delle popolazioni locali.

Questi materiali, in una prima fase considerati come semplici curiosità etnografiche, andarono progressivamente a incrementare l’interesse degli artisti e dei collezionisti nei confronti delle popolazioni considerate selvagge e primitive, inserendosi a pieno titolo all’interno del fenomeno del primitivismo. Tale tendenza affondava le proprie radici nel pensiero del filosofo settecentesco Jean-Jacques Rousseau, il quale, proponendo un ritorno allo “stato di natura”, diede vita al mito del buon selvaggio, descritto come puro e incontaminato per essere vissuto in armonia con le regole della natura e lontano dalla corruzione ingeneratasi nella civiltà europea contemporanea.

Gli artisti francesi iniziarono ad avvicinarsi all’arte africana nei primi anni del Novecento, ammaliati dalle novità iconografiche e stilistiche dell’immaginario africano, la cui essenza poteva essere colta attraverso le sculture in legno e in avorio, i totem, le maschere per le danze rituali, le statuette propiziatorie, i costumi, gli accessori e gli oggetti decorativi che cominciavano a circolare nel mercato d’arte. Come per le altre culture extraeuropee, un efficace veicolo di promozione e conoscenza divennero le Esposizioni universali, internazionali e nazionali, così come le mostre tematiche espressamente dedicate alle arti straniere. Dopo gli eventi espositivi organizzati a Lipsia nel 1892, ad Anversa nel 1894 e a Bruxelles nel 1897, anche Parigi si dimostrò pronta a introdurre nel panorama culturale francese mostre di arte africana, allestendo la fondamentale manifestazione del 1907, che tanta influenza ebbe su Pablo Picasso e sulla realizzazione del suo capolavoro Les Demoiselles d’Avignon. Sebbene questo genere di mostre fosse nato per esaltare la superiorità della civiltà europea rispetto alle popolazioni colonizzate e per dimostrare la capacità civilizzatrice del colonialismo, gli artisti e gli intellettuali del tempo seppero cogliere il valore e le potenzialità creative delle opere esposte, andando oltre il dato meramente etnografico. Altrettanto importanti si rivelarono le collezioni del primo museo etnografico di Parigi, il Musée d’Ethnographie du Trocadéro inaugurato nel 1878, e del successivo Musée de l’Homme, fondato da Paul Rivet in occasione dell’Esposizione universale del 1937, luogo frequentato assiduamente dagli artisti, come Picasso e Matisse.

Echi di questi codici stilistici si ritrovano nella scansione volumetrica potente e unitaria delle opere cubiste, nelle composizioni geometriche e nell’iconicità arcaica delle figure femminili dipinte da Amedeo Modigliani e nella libertà espressiva e cromatica della pittura fauve, in particolare di de Vlaminck, Derain e Matisse. Quelle scoperte, interpretate attraverso l’esempio delle arti figurative, ebbero ben presto conseguenze anche sulle arti decorative, sulla moda, sulla grafica e sulla pubblicità.

L’arte moderna è un’arte d’invenzione; parte come slancio del cuore. Per la sua stessa essenza, dunque, è più vicina alle arti arcaiche e primitive che

all’arte del Rinascimento.

Henri Matisse, da una conversazione con André Léjard, 1952

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La storia del colonialismo europeo ebbe inizio in concomitanza con le grandi scoperte geografiche del XV secolo che portarono le principali potenze politiche ed economiche del tempo ad ampliare i propri domini in America, Africa e Asia. All’inizio dell’Ottocento la Francia, dopo aver perso il controllo dei territori che aveva acquisito in America settentrionale, nelle Antille e in India, diresse le proprie mire espansionistiche verso i paesi dell’Africa settentrionale, conquistando Algeria, Marocco e Tunisia, per poi estendersi anche nelle regioni occidentali sudsahariane e in gran parte dell’Africa centroccidentale, giungendo sino al fiume Congo. Il dominio su tali territori permise non solo di impiegare la forza lavoro indigena, di sfruttare le risorse minerarie e di esportare le materie prime indispensabili per le industrie europee, ma anche di avere per la prima volta accesso a prodotti e manufatti tradizionali delle popolazioni locali.

Questi materiali, in una prima fase considerati come semplici curiosità etnografiche, andarono progressivamente a incrementare l’interesse degli artisti e dei collezionisti nei confronti delle popolazioni considerate selvagge e primitive, inserendosi a pieno titolo all’interno del fenomeno del primitivismo. Tale tendenza affondava le proprie radici nel pensiero del filosofo settecentesco Jean-Jacques Rousseau, il quale, proponendo un ritorno allo “stato di natura”, diede vita al mito del buon selvaggio, descritto come puro e incontaminato per essere vissuto in armonia con le regole della natura e lontano dalla corruzione ingeneratasi nella civiltà europea contemporanea.

Gli artisti francesi iniziarono ad avvicinarsi all’arte africana nei primi anni del Novecento, ammaliati dalle novità iconografiche e stilistiche dell’immaginario africano, la cui essenza poteva essere colta attraverso le sculture in legno e in avorio, i totem, le maschere per le danze rituali, le statuette propiziatorie, i costumi, gli accessori e gli oggetti decorativi che cominciavano a circolare nel mercato d’arte. Come per le altre culture extraeuropee, un efficace veicolo di promozione e conoscenza divennero le Esposizioni universali, internazionali e nazionali, così come le mostre tematiche espressamente dedicate alle arti straniere. Dopo gli eventi espositivi organizzati a Lipsia nel 1892, ad Anversa nel 1894 e a Bruxelles nel 1897, anche Parigi si dimostrò pronta a introdurre nel panorama culturale francese mostre di arte africana, allestendo la fondamentale manifestazione del 1907, che tanta influenza ebbe su Pablo Picasso e sulla realizzazione del suo capolavoro Les Demoiselles d’Avignon. Sebbene questo genere di mostre fosse nato per esaltare la superiorità della civiltà europea rispetto alle popolazioni colonizzate e per dimostrare la capacità civilizzatrice del colonialismo, gli artisti e gli intellettuali del tempo seppero cogliere il valore e le potenzialità creative delle opere esposte, andando oltre il dato meramente etnografico. Altrettanto importanti si rivelarono le collezioni del primo museo etnografico di Parigi, il Musée d’Ethnographie du Trocadéro inaugurato nel 1878, e del successivo Musée de l’Homme, fondato da Paul Rivet in occasione dell’Esposizione universale del 1937, luogo frequentato assiduamente dagli artisti, come Picasso e Matisse.

Echi di questi codici stilistici si ritrovano nella scansione volumetrica potente e unitaria delle opere cubiste, nelle composizioni geometriche e nell’iconicità arcaica delle figure femminili dipinte da Amedeo Modigliani e nella libertà espressiva e cromatica della pittura fauve, in particolare di de Vlaminck, Derain e Matisse. Quelle scoperte, interpretate attraverso l’esempio delle arti figurative, ebbero ben presto conseguenze anche sulle arti decorative, sulla moda, sulla grafica e sulla pubblicità.

Henri MatisseRitratto di Yvonne Landsberg, 1914, Olio su tela, cm 147,3 x 97,5 Philadelphia Museum of Art