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1 Dante e Alchimia E se la ”Divina Commedia” fosse un'opera alchemica la cui "prima materia " è l'uomo? Cerchiamo di comprendere il significato nascosto nel testo effettuando una lettura spirituale alla ricerca del messaggio esoterico lasciatoci da Dante. E' Dante stesso che ci invita a fare così, questo è il suggerimento che si trova nella lettera a Cangrande della Scala dove ci avverte che il poema si può leggere in diversi modi: quello letterale, quello allegorico, quello morale e in quello anagogico o spirituale 1 ( già indicato come " sovrassenso" nel Convivio) ed indica quest'ultimo come il più difficile ed il più importante (questo modo di interpretare i testi deriva dalla tradizione ebraica del cosiddetto ”giardino” Pardes: Peshat 1 Ad evidentiam itaque dicendorum sciendum est quod istius operis non est simplex sensus, uno dici potest polisemos, hoc est plurium sensuum; nam primus sensus est qui hahetur per litteram, alius est qui habetur per significata per litteram. Et primus dici Iitteralis, secundus vero allegoricus, sive moralis, sive anagogicus. ( Epistola XIII )

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Dante e Alchimia

E se la ”Divina Commedia” fosse un'opera alchemica la cui "prima materia " è

l'uomo? Cerchiamo di comprendere il significato nascosto nel testo effettuando

una lettura spirituale alla ricerca del messaggio esoterico lasciatoci da Dante.

E' Dante stesso che ci invita a fare così, questo è il suggerimento che si trova nella

lettera a Cangrande della Scala dove ci avverte che il poema si può leggere in

diversi modi: quello letterale, quello allegorico, quello morale e in quello

anagogico o spirituale 1( già indicato come " sovrassenso" nel Convivio) ed indica

quest'ultimo come il più difficile ed il più importante (questo modo di interpretare

i testi deriva dalla tradizione ebraica del cosiddetto ”giardino” Pardes: Peshat

1 Ad evidentiam itaque dicendorum sciendum est quod istius operis non est simplex sensus, uno dici potest polisemos, hoc est plurium sensuum; nam primus sensus est qui hahetur per litteram, alius est qui habetur per significata per litteram. Et primus dici Iitteralis, secundus vero allegoricus, sive moralis, sive anagogicus. ( Epistola XIII )

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letterale,Remez allegorico,Derash morale,Sod spirituale). Anche nella

“Commedia” ci invita più volte a cercare il significato nascosto ad es. : "o voi che

avete gli intelletti sani /mirate la dottrina che s'asconde / dietro il velame delli

versi strani."( Inf.IX, 61-63 ), “ Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero,/chè ‘l velo

è ora ben tanto sottile,/ certo che ‘l trapassar dentro è leggero” ( Purg.VIII ,19-

21). Per far questo è necessario affidarsi alla polivalenza semantica del simbolo.

Soltanto dopo i primi dell'ottocento sì iniziarono a proporre interpretazioni

anagogiche, tra le prime voci ci furono quelle del Foscolo, del Rossetti, del

Pascoli, del Valli, più recentemente del Guenon, del John e del Cerchio che, tra

l'altro, ritengono Dante molto vicino ai templari; infatti non é improbabile che

l'Ordine, mirabile fusione di religiosi, guerrieri, finanzieri, proponendo un

efficiente esempio di regime teocratico, abbia fornito più di uno stimolo alla

dottrina dantesca di una suprema interdipendenza tra Chiesa ed Impero. La triste

vicenda del Tempio attraversa il Poema come qualcosa di sinistro; altri eventi

storici sono narrati senza veli, mentre la tragedia templare beneficia solo di cenni

sparsi che però si riuniscono a formare una tela inquietante. I responsabili della

distruzione del Tempio sono bollati con parole più dure di quelle riservate ad altri

malvagi. Filippo il Bello, che nell'inferno (terminato probabilmente prima del

1312, data dell’ abolizione ufficiale dell'Ordine) é vagamente definito “ chi Francia

regge ", campeggia quale concentrato di cattiveria nel Purgatorio, concepito negli

anni del disastro (“ Veggio il novo Pilato sì crudele, / che ciò nol sazia, ma sanza

decreto/ porta nel Tempio le cupide vele” Purg. XX 91-93). Illuminanti sono poi i

versi: ”O Segnor mio, quando sarò io lieto/a veder la vendetta che, nascosa / fa

dolce l’ira tua nel tuo secreto” ( Purg. XX 94-96).

Nell'antipurgatorio incontriamo Filippo III di Francia ed Enrico I di Navarra,

padre e suocero di Filippo il Bello i quali più che dolersi dei propri peccati

lamentano quelli di colui che viene definito ” mal di Francia”. Successivamente

Dante incontra Ugo Capeto, capostipite della dinastia regnante francese che così

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si autodefinisce: "io fui radice della mala pianta/ che la terra cristiana tutta

aduggia/ sì che buon frutto rado se ne schianta." (Pur. XX 43-45).

Anche la scelta di San Bernardo come guida finale per il celeste viaggio non è

priva di importanza: San Bernardo è l'ispiratore dell'Ordine del Tempio alla qual-

cosa si fa forse cenno con la scelta dei termini “contemplando” e "contemplante"

(Par. XXXI, lll- XXXII, 1). La presunta appartenenza o familiarità di Dante con i

Templari è interessante perchè questa potrebbe essere stata la fonte da cui attinse

quelle conoscenze esoteriche, cabalistiche ed orientali che affiorano nella sua

opera. Si può considerare la Divina Commedia come un testo d’alchimia

medioevale, cioè un testo che tratta della trasformazione della materia, della

materia umana, e della realizzazione dell'Opera. L'alchimia è l'opera di

trasmutazione dei metalli per mezzo del fuoco con il fine di ottenere l'oro dei

filosofi. Il metallo di partenza è il piombo, pesante, oscuro, simbolo della

condizione della materia, anche umana, privata della luce e tendente verso il

centro di gravità terrestre. Attraverso un certo numero di passaggi si giunge dopo

il lavoro dell'alchimista all'ottenimento dell'oro filosofale, alla materia trasmutata,

perfetta, piena di luce che consentirà l’”Aurea apprehensio”, la conoscenza aurea

( in ebraico AOR=Luce ). Gli alchimisti più illuminati erano consapevoli di

procedere in un cammino spirituale, volevano liberare dalle catene della materia la

scintilla divina che vi era imprigionata. Per rompere i legami della materia (la

“prima materia”, il caos, il piombo) si doveva procedere alla separazione e alla

soluzione (solve) degli elementi nemici (terra, acqua, aria, fuoco) Questa fase era

chiamata "opera al nero”, o nigredo. Disciolta la"prima materia" nei suoi

componenti, si trattava di isolare per mezzo di ripetute distillazioni e successive

coagulazioni (coagula), dette albedo o “opera al bianco", la sostanza

meravigliosa, la sostanza arcana, il lapis philosophorum dal quale ottenere l'oro

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filosofico liberando la particella divina imprigionata nella materia. E' questa la

fase della “rubedo” od opera al rosso2.

La materia era così liberata durante l'opus alchemico, dall'heimarmene vale a dire

dal fato che la imprigionava con l'influenza dei sette pianeti, ai sette pianeti l'opera

associava un metallo.3

I metalli sono così: piombo o Saturno, rame o Venere, stagno o Giove, mercurio o

Mercurio, ferro o Marte, argento o Luna ed infine oro o Sole. Nella

corrispondenza con i giorni della settimana si procede all’indietro dal sabato alla

domenica. Come l'acrostico VITRIOL ci dice che è necessario rettificare la

direzione che credevamo dirigersi in avanti mentre si tratta di ritornare sui propri

passi, di fare ritorno al centro, al centro di noi stessi, così Dante ci parla del suo

viaggio che procede dal "cerchio al centro" (Par.XIV).

2 Nei testi alchemici, oltre ai tre colori fondamentali -nero, bianco, rosso- se ne incontrano spesso altri, di massima si giunge a sette che di solito sono posti in relazione ai pianeti (“Tanto nella natura eterne che in quella esteriore vi sono sette forme, che gli antichi saggi hanno indicato con il nome dei pianeti. “ J. Bohme, De Signatura Rerum”.) 3 La divisione settenaria si rintraccia anche nel simbolismo dei sette giorni della settimana, nei sette gradi di perfezione, nei sette bracci della menorah; il sette rappresenta la totalità dello spazio e la totalità del tempo, associando il numero quattro che è il simbolo della terra < quattro elementi, quattro punti cardinali> e il numero tre, che è il simbolo del cielo, il sette rappresenta la totalità dell’universo in movimento. Il numero sacro degli Ebrei, che ricorre senza fine, è il numero sette. Si comincia dalla cosmogonia, in cui Dio completa la sua creazione in sette giorni. Poi Noè vene comandato di portare nell’arca sette paia di ogni animale mondo e sette paia di ogni uccello mondo, «perché tra sette giorni farò piovere sulla terra... e dopo sette giorni le acque del diluvio furono sopra la terra.» (Gn.7, 2-10). Tra la prima volta che Noè manda fuori dell’arca la colomba al secondo tentativo passarono sette giorni, e così tra il secondo tentativo e il terzo (Gn.8, 10). Quando Abramo conclude un patto con Abimelech: «Abramo mise in disparte sette agnelle del gregge, Abimelech disse ad Abramo: «Che significano quelle sette agnelle che hai messo in disparte?. Rispose: «Tu accetterai queste sette agnelle dalla mia mano, perché ciò mi valga da testimonianza...» (Gn.21,28-30). E nel contesto dello stesso racconto: “Per questo quel luogo si chiamò Bersabea (Beersheva), perché là fecero giuramento tutti e due” (21,31). In ebraico Beer vuol dire pozzo e Sheva' vuol dire sette, e la stessa radice sh-v-a' significa giuramento (Shvua'), quindi sette e giuramento sono la stessa parola. In un contesto simile alla sacralità connessa al patto e al giuramento, associati al numero sette: “Balaam disse a Balak: “Costruiscimi qui sette altari e preparami qui sette giovenchi e sette arieti” (Num.23,1). Balaam spera di riuscire a maledire i figli d’Israele esorcizzando la loro potenza attraverso la forza magica del numero sette. Questo concetto del sette, ossessivo tra gli Ebrei, è presente, in maniera molto più diluita, quasi come la traccia mnestica di qualcosa di molto arcaico, anche nel mito greco e romano, ma non dopo il V secolo a.C. e non prima dell'era cristiana, lasciando un gap di più di quattro secoli, in cui questo numero non appare.

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Anche il labirinto cretese, composto da sette corridoi e che ha un centro fatto a

croce, indica questo processo di liberazione dai veli dei metalli fino alla

manifestazione. Il numero sette nell'ermetismo, conformemente all'insegnamento

tradizionale esoterico, esprime forme trascendenti, non-umane di coscienza e di

energia che stanno alla base delle cose «elementate». La possibilità di un doppio

rapporto rispetto ad esse spiega la dottrina dei due settenari, l'uno legato alla

necessità, l'altro risolto nella libertà. Lo stato di corporeità fisica in cui si trova

l'uomo è legato al mistero di questa differenziazione del settenario e, attraverso i

«centri di vita», contiene altresì il doppio potere delle chiavi: dell'«aprire» e del

«chiudere»4, del solve et coagula ermetico. Purificazioni, distillazioni,

circolazioni, denudamenti, calcinazioni, soluzioni, abluzioni, uccisioni, bagni,

rettificazioni e via dicendo, in quanto direttamente o indirettamente collegate al

numero sette, esprimono, nella letteratura tecnica ermetica, l'opera applicata ai

poteri, per la loro trasposizione da un modo di essere ad un altro modo di essere,

«non umano».

Così Dante parte da una selva oscura e si porta verso il centro della terra,

occupato da Lucifero, "dove si traggon tutti i pesi” (Inf.XXXIV), dopo essere

disceso nei sette gironi dell'Inferno. Poi parte da una piaggia del monte

Purgatorio, in basso, e giunge in cima al monte per sette balze. Volerà quindi per i

sette cieli, giungendo oltre le stelle fino alla candida rosa mistica.

E' evidente la strutturazione simbolica della Divina Commedia in relazione alla

trasmutazione dei metalli.

L'Inferno rappresenta il fornello alchimistico, l'atanor: la storta è identificabile con

la "natural burella" attraverso la quale Dante giunge alla piaggia del Purgatorio.

4 Le chiavi erano un attributo dell’antica divinità italica Giano, assimilabile a Saturno. Ovidio nei “Fasti” fa parlare così Giano;”Tutto quel che vedi, il cielo, il mare, le nuvole, le terre, la mia mano le apre e le chiude volta per volta. Io solo ho la custodia dell’immenso universo; il potere di far girare i cardini mi appartiene senza riserve”.

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Anche riguardo al fuoco di cottura della materia ,materia che è Dante stesso,

troviamo stretti paralleli con l'opera alchemica.

Nell'Inferno il fuoco è energia che brucia, che incenerisce che bolle.

Nel Purgatorio è fuoco che purifica, è sofferenza e fatica; è anche luce

abbagliante nell'aspetto dei ministri di Dio, gli angeli, che vengono incontro ai due

pellegrini per farli procedere di balza in balza.

Nel Paradiso è luce beatifica, che trascende la forma e i sensi, luce d’amore che si

riflette da anima ad anima come da specchio a specchio. Senza il moto di questo

fuoco-amore non sarebbe pensabile il procedere del poeta lungo il suo percorso

oltre mondano. Questo fuoco-amore, che "move il sole e l'altre stelle", e anche il

fuoco-sole che conforta il pellegrino nella selva oscura, è colui che manca

nell'Inferno, e colui senza il quale nel Purgatorio non si può procedere, è ancora

colui che si moltiplica all'inizio del paradiso fuori ma anche dentro Dante, è il

fuoco della coscienza, della comprensione, è il fuoco divino non quell’umano.

Ecco di cosa parlavano gli alchimisti quando parlavano del fuoco. Nel primo

canto della Divina Commedia sono indicate le due possibili vie per la

realizzazione dell'opera alchemica, la via secca e la via umida. La via secca, o

diretta, necessita di un confronto diretto con le tre fiere. Dante non ritiene dì poter

seguire questa via per uscire dalla selva oscura, cioè per trasformare la materia

prima. Tale "corto andar" non è praticabile, egli non si ritiene degno ( “ l'anima tua

è da viltade offesa” gli dice Virgilio).

La via umida, indiretta, lunga, necessita invece di umiltà e corrisponde al percorso

del pellegrino lungo i tre regni. Tale percorso gli è consigliato da Virgilio: "a te

convien tener altro viaggio/ rispuose poi che lacrimar mi vide/ se vuò campar

desto loco selvaggio" (Inf.I, 91-93).

Nella Commedia la realizzazione della nigredo corrisponde all'Inferno, quella

dell'albedo al Purgatorio, quella della rubedo al Paradiso.

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Mediante la nigredo si deve arrivare alla dissoluzione della corporeità attraverso

la morte iniziatica.

L'opera al nero è la più pericolosa perchè bisogna dominare l'energia primordiale

e caotica della materia, della corporeità, dell'istintualità, dell'io legato al proprio

egoismo. L'energia primordiale per quanto caotica è sempre manifestazione del

principio divino per questo sarebbe fuori luogo condannarla moralmente.

L'iniziato ha il compito di rettificarla (VITRIOL). Le tre fiere, lonza, leone, lupa

corrispondono simmetricamente alle tre donne celesti che chiamano Dante al

viaggio: Beatrice incarna la sapienza (“ Veni, sponsa, de Libano cantando/ gridò

tre volte, e tutti li altri appresso” Purg. XXX, 11-12. La sponsa de Libano è

appunto, Chokmàh5 (la scienza di tutte le scienze, quella che fissa quel tutto al di

là del quale non c’è più nulla da sapere), la Sapienza di cui Salomone dice:

“Questa ho amato e ricercato fin dalla mia giovinezza, ho cercato di prendermela

come sposa, mi sono innamorato della sua bellezza”. Vedi anche Proverbi 8,22-

30 in cui è indicata come “architetta “ dell’universo) Lucia (anagramma di acuil-

aquila) la giustizia, e Maria la potenza essendo "là dove si puote ciò che si

vuole".La lonza dovrebbe quindi rappresentare la corruzione della sapienza, la

frantumazione del sapere unico e sacro nella molteplicità delle conoscenze

profane per questo la sua pelle "di pel maculato era coverta"

L'iniziazione ed i passaggi graduali sono invece il mezzo con cui si supera il

sapere profano e si accede alla Sapienza ( “ Le tue parole e ‘l mio seguace

ingegno/ rispuos’io lui m’hanno amor discoverto,/ ma ciò m’ha fatto di dubbiar

più pregno;/ chè s’amore è di fuori a noi offerto,/ e l’anima non va con altro

piede,/ se dritta o torta va , non è suo merto./ Ed elli a me : Quanto ragion qui

vede / dir ti poss’io ; da indi in là t’aspetta/ pur a Beatrice , ch’è opra di fede.”

Purg. XVIII, 40-48.) Seguendo la via dell'Ars Regia, la Grande Opera alchemica

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deve iniziare il più possibile intorno all'equinozio di primavera e così Dante spera

di superare la lonza perchè "a ben sperar m'era cagione di quella fiera a la gaetta

pelle/ l'ora del tempo e la dolce stagione" 6. La lonza, più che la lussuria com’è

solitamente ritenuta, rappresenta la forma degenerata di un’energia: l'amore per

sapere; tale energia rettificata porta alla Sapienza.

Il leone e Lucia sono legati da corrispondenze più dirette come non vedere nella

"test' alta" e nella "rabbiosa fame" la violenza, la forza cieca e feroce che opprime

il diritto. Chiara è anche la simmetria tra la lupa e la potenza-Maria. La lupa è

potenza che brama diventare atto solidificandosi nelle forme individuali e

materiali, è la cieca forza vitale che tiene attaccati all'individualismo, impedendo

la dissoluzione alchemica premessa alla conquista della trascendenza, ( la lupa e

Maria sono accostate nel XX Purg.10-19). Beatrice-Sophia, come già detto, è la

Sponsa de Libano, vale a dire la sposa del Cantico dei Cantici, nigra sed formosa

.... sícut Tabernaculum Cedar (1, 4-5). Il Cantico, il più misterioso dei Libri

Sapienziali della Bibbia, fu per il Medioevo cristiano il testo mistico per

eccellenza, che simboleggiava l'unione estatica dell'anima con Dio e pertanto il

manuale della dottrina dell'Amore cosmico; manuale iniziatico, perché il

linguaggio erotico non poteva essere compreso da tutti nel suo significato

esoterico, fermarsi al senso letterale del Cantico sarebbe un errore mostruoso.

Solo il senso mistico permette di coglierne il contenuto, perché l'intenzione di quel

poeta fu di narrarci per mezzo di parabole e segreti e immagini la forma della vera

profezia, la sua natura e come raggiungerla.

Beatrice, come sposa del Cantico, è dunque immagine dell'anima trasfigurata che

accoglie l'iniziato alla fine del suo cammino, dell'immagine di luce mazdea, della

veste di luce degli gnostici Atti di Tommaso, dell'anima intellettiva di Abulafia,

Chokmah la saggezza, è la rappresentazione che estrae dall’Assoluto ciò che essa vuole חכםה5rendere manifesto ed il risultato di questa scelta sarà l’intellegibile; è il Sapere, la concezione prima di tutte le verità fondamentali.

6 Il viaggio comincia simbolicamente la sera del giovedì santo del 1300

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della «Natura perfetta» descritta dagli ermetisti islamici. La natura perfetta è

l'entità spirituale, l'angelo del filosofo, la sua guida personale che lo inizia alla

sapienza. Essa non è altro insomma che la Daena, l’alter Ego celeste, figura di

luce a somiglianza dell'anima che, nello zoroastrismo e nel manicheismo, appare

all’eletto al momento del suo exitus...7

Beatrice ci appare dunque anche immagine di una Sapienza individuale, presente

nel profondo dell'anima, che conduce l'uomo a Dio attraverso l'iniziazione di

Amore. Questa doppia valenza delle donne di Dante, come in tutte le donne dei

Fedeli d'Amore, appare analoga a quella dell'Intelletto, il Nous del Pimandro,

ipostasi presente in Dio ed insieme “scintilla di luce che rende l'uomo a Dio

somigliante”, come scriverà Pico della Mirandola.

Nella Vita Nova Beatrice-Sophía appare a Dante prima vestita di rosso e poi di

bianco. Robert John ha giustamente associato questi colori a quelli templari,

anche l'abito degli Ismaeliti (gli «Assassini») ordine esoterico e guerriero

musulmano, era bianco e rosso e come è noto quest'ordine iniziatíco sciita ebbe

rapporti stretti con quello dei templari. Bianco e rosso sono anche i colori

dell'Uovo Filosofico dell'Alchimia, che racchiude in sè la Pietra Filosofale; la

Pietra deriva dalla Materia che, nel suo stadio vergine e lamellare nella figura di

Maria della chiesa di San Francesco di Paola a Firenze8, è simboleggiata da un

libro chiuso (“ Nel suo profondo vidi che s’interna/ legato con amore in un

volume,/ ciò che per l’universo si squaterna” Par. XXXIII,85-87).

Nell'architettura del ciborio, dipinto attorno alla Madonna non sorprenderà allora

notare la presenza della rosa a cinque petali ( “In forma dunque di candida rosa/

mi si mostrava la milizia santa/ che nel suo sangue Cristo fece sposa;”

7 E’ possibile ritrovare la natura perfetta anche sotto altri nomi, è alla sua ricerca che parte il pellegrino delle epopee mistiche persiane di Attar; la si ritrova nella scuola di Najm Kobra, sotto il nome di testimone del cielo, di guida invisibile; essa è anche il daimon socratico, il daimon personale di Plotino.

8 Detta “Madonna del parto”, proveniente in realtà da una chiesa templare che si trovava vicino a Ponte Vecchio

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Par.XXXI,1-3), simbolo della Quintessenza e della Pietra della Sapienza, di

quella quinta parte dell'uomo che l'Asclepio fa corrispondere all'intelletto.

Nella Divina Commedia, Beatrice appare a Dante su un carro, insieme con tre

fanciulle vestite di rosso, di bianco e di verde (tradizionalmente identificate con le

tre virtù teologali) ed è ella stessa vestita dei tre colori (Purgatorio, XXX, 30-

33),è da notare come tutto l'esterno della cattedrale di Firenze, Santa Maria del

Fiore, è impostato su questa tricromia sacra, col marmo bianco di Carrara, col

serpentino verde di Prato, col rosso del cotto o del marmo rosa; anche la

Madonna di San Francesco di Paola a ben guardare, ha il manto candido orlato di

una striscia di verde marino, nella sua figura si ritrovano dunque tutti e tre i colori

di Beatrice, Sapienza che guida Dante nei misteri più profondi del cammino

iniziatico della Commedia.

Queste coincidenze cromatiche fra Beatrice e la Madonna templare ci confermano

ancora una volta che nel Medioevo, e nei Fedeli d'Amore in particolare, esisteva

una tendenza ad identificare Maria con la divina Sophia, con quel principio

femminile presente nella sfera soprannaturale, che era comune anche

all'esoterismo delle altre religioni del Libro, quella ebraica e quella islamica. E’

probabile che questa tendenza fosse comune anche ai Templari, dei quali Robert

John ha dimostrato che i Fedeli d’Amore facevano parte come una sorta di terzo

ordine. Nel pensiero cristiano ortodosso del XIII secolo Maria non coincide con

la Sapienza così come nel pensiero rabbinico legato alla Torah la Shekinah non

coincide con Chokmah, da questo derivava la necessità di un linguaggio velato

per evitare accuse d’ eresia.

A conclusione dei “Documenti D’amore “ di Francesco da Barberino, troviamo

l’immagine di un re coronato, posto in cima ad una scala composta da dodici

gradini, corrispondenti ai gradi d’amore descritti nell’opera; essa tiene in una

mano lo scettro e con l’altra solleva una pietra. La pietra che il re tiene in mano è

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il simbolo della profezia e dell’eternità, della contemplazione della Sapienza di

Dio.

La ricerca di questa pietra è la ricerca del Graal. 9

Il cuore già dagli egiziani veniva rappresentato nei geroglifici con un vaso; il vaso

è anche il simbolo di Maria perché ha accolto il Verbo dentro di sé.

Questo vaso lo ritroviamo anche nell'alchimia, dove rappresenta l’atanor, il

fornello chiuso, entro il quale si forma la pietra filosofale, che gli alchimisti

definiscono spesso come il bambino. Per questo l'atanor, il vaso, è divenuto per

loro allegoria sia dell'anima che di Maria che accolgono in sé, fanno crescere e

partoriscono il Verbo.

Nelle varie fasi dell'Opera gli alchimisti riconoscevano dunque allegorie e simboli

che riconducevano all'Opera di redenzione divina, la quale, pur avvenuta nella

storia, si ripeteva continuamente nell'anima dell'iniziato. Il principio fondamentale

di questa alchimia interiore è racchiuso nella formula cristiana dell'Ave Maria .

“Maria corrisponde contemporaneamente sia alla materia prima che all'aníma nel

9 Il ciclo del Graal nasce improvvisamente e fiorisce in un lasso di tempo piuttosto breve, circa 150 anni.

Alla fine del XII secolo Chetretien de Troyes scrive il “Conte del Graal”. Nel 1190 Robert de Boron

scrive il “Joseph d’Arimathie, verso il 1207 appare il “Parzifal” di Wolfram von Eschenbach ( nel quale

il Graal è una pietra ) e, quasi contemporaneamente, nel 1210 la”Queste del Saint Graal” scritto in

ambiente cistercense; intorno al 1270 Albrecht von Sharffenberg scrive “Der jungere Titurel”. Come si

vede i racconti del Graal fioriscono negli stessi anni che vedono diffondersi dall’oriente ad occidente una

rinascita mistica intrisa di ermetismo e di gnosticismo: la poesia dell’amore mistico dei sufi persiani, la

cabbalah ebraica, la lirica d’amore che si diffonde dalla Provenza [ Wolfram scrive che la storia del

Graal è stata rinvenuta dal provenzale maestro Kyot a Toledo, in un manoscritto arabo il cui autore,

Flagetanis, è sì nato da padre arabo, ma discende dalla stirpe di Salomone. Si trovano così sintetizzate

da Wolfram tutte le componenti che in quegli anni avevano trasmesso in occidente la sapienza gnostica

ed ermetica.].

Tutte hanno un unico denominatore comune: la certezza che con un paziente cammino fatto di disciplina interiore, l’uomo possa separarsi dal proprio corpo e nel silenzio dei sensi ricevere per grazia un’illuminazione che è visione e conoscenza ineffabile di Dio. Questa conoscenza viene chiamata conoscenza del cuore per sottolinearne il carattere intuitivo e trascendente ( esprit de finessse, Pascal).

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suo stato di pura ricettività, mentre le parole dell'angelo sono come íl

prolungamento del fiat lux divino. Il “frutto del ventro Tuo” (fructus ventris tui)

corrisponde all'elisir miracoloso, alla Pietra Filosofale che è il fine stesso

dell'opera interiore. Secondo l'esegesi medievale, l'angelo saluta la Vergine

“mutans Evae nomen“ ( “Ave” è, in effetti" “Eva” rovesciato): il che indica la

trasmutazione dell'anima caotica nel puro specchio del Verbo divino. “A chi

obiettasse che l'angelo non poteva esprimersi in latino e che in ebraico Eva si

dice Khawwa, si può facilmente rispondere che il caso non esiste nella sfera del

sacro e che tutte le apparenti coincidenze che vi si offrono non sono altro, in

realtà, che segni della Provvidenza.” (Titus Burckhardt)

La materia prima dell'alchimia era dunque simbolo e allegoria di Maria e la

corrispondenza che gli alchimisti introducevano tra le operazioni materiali ed i

misteri della Fede confermava in loro la certezza che tutto il cosmo, con le sue

leggi, fosse specchio dell'Opera di Dio. Alla luce di quanto abbiamo detto, non

suscita sorpresa che nel XIII Canto del Paradiso, per bocca di San Tommaso

d'Aquino (a cui è attribuito un trattatello alchemico “Aurora consurgens”10),

Dante esplicitamente paragoni Maria alla Terra, cioè alla materia prima degli

alchimisti: “Così fu fatta già la terra degna / di tutta l'animal perfezione; / così fu

fatta la Vergine pregna...”Dante segue in questo Ugo di San Vittore il quale

scrive:”La terra da cui nacque il primo uomo significa la Vergine, dalla quale

nacque il secondo uomo: vergine la terra, vergine Maria ... Terra dunque Maria”.

Ancora nel Paradiso Dante ha un altro riferimento alchemico: egli introduce il

paragone di una vergine, che definisce figlia del Sole, la cui pelle da nera diventa

bianca:

“Così si fa la pelle bianca nera

10 Dagli “Acta Bollandiana”( raccolta di fonti latine testimonianze del processo di canonizzazione di S. Tommaso) si deduce che l’”Aurora Consurgens” derivi proprio dagli appunti delle ultime lezioni di san Tommaso tenute nell’abbazia di Santa Maria di Fossanova

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nel primo aspetto della bella figlia

di quel ch'apporta mane e lascia sera...” (Paradiso, XXVII, 136-138).

Di questi versi è stato giustamente notato il riferimento alla”sposa nigra sed

formosa “del Cantico dei Cantici, che abbiamo visto essere stato considerato dal

Medio Evo come il libro iniziatico per eccellenza. Ma i versi di Dante, che i

commentatori non riescono a spiegare, diventano espliciti quando si pensi alle fasi

dell'Opera che vedono la materia che si trasmuta passare dal nero al bianco

(Opera al Nero ed Opera al Bianco); ed alla Tavola Smeraldina, il testo ermetico

basilare dell'Alchimia composto nel IX secolo da un anonimo autore musulmano,

la quale afferma che il Sole è il Padre della materia e della Pietra che essa

partorisce: «Suo Padre è il Sole e sua Madre la Luna. Il vento l'ha portato nel suo

ventre e la Terra è la sua nutrice».La vergine di Dante ci appare allora come la

materia che, passando dal colore nero a quello bianco, si trasmuta, dando vita a

quel mercurio filosofico, che esotericamente corrisponde allo spirito luminoso

presente nell'uomo. Questo spirito è l'immagine di luce che introduce nel

Paradiso, è Daena, è la Sposa del Cantico dei Cantici. Ibn Arabi nelle

«Rivelazioni della Mecca» aveva parlato prima di Dante della compagna di luce

che guida l'iniziato nel suo transitorio cammino all’interno della terra celeste:

«Quando uno di noi cerca la via d'accesso a quella terra, quella degli iniziati di

qualunque categoria si tratti, uomini o geni, angeli o abitanti del paradiso - la

prima condizione che deve soddisfare è la pratica della gnosi mistica e

dell'isolamento fuori dal corpo materiale. Allora egli incontra quelle forme che si

levano e vigilano agli ingressi dei viali, poiché Dío le ha particolarmente preposte

a tale cura. Una di esse corre incontro a colui che amava, lo riveste di un abito

che conviene al suo rango spirituale, lo prende per mano, passeggia con lui per

quella terra e ne usano a loro piacímento... Allorquando egli ha raggiunto il suo

sul Cantico dei Cantici . I primi cinque capitoli dell’A.C. riguardano l’apparizione di una figura femminile chiamata la Sapienza di Dio

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intento e pensa di ritornare alla sua dimora, la sua compagna gli cammina accanto

per ricondurlo fino al luogo per il quale era entrato. Là gli dice addio,- lo spoglia

dell'abito di cui l'aveva rivestito, e si allontana da lui. Ma egli ha raccolto una

massa di conoscenze e di indízi e la sua conoscenza di Dío si è accresciuta di

qualcosa di cui non aveva ancora avuto l'appercezione visionaria. Non penso che

la comprensione penetri mai in profondità con una rapidità paragonabile a quella

con cui progredisce quando si compie in quella terra». Nello specchio

del'Opera alchemica, i filosofi scorsero riproporsi anche il mistero profondo

dell'Annunciazione.

All'Annunciazíone, primo Evento dell'Opera di Redenzione, continuamente

riproposto ed interiorizzato nel cuore dell'uomo che si converte, gli alchimisti

accostarono la sequenza della prima fase dell'Opera alchemica ed il primo gradino

che conduce alla rinascita spirituale, cioè quel momento in cui la Materia, per le

successive purificazioni che ha subito, da nera diventa bianca ed è pronta per la

generazione successiva e finale, la cosiddetta opera al rosso:

«Nell'Annunciazione, Maria è la Terra pura che non conosce uomo, e insieme la

terra pura totalmente devoluta alle forze fecondatrici dello Spirito ... ». La festa

dell'Annunziata (25 marzo), venendo nove mesi prima del Natale, cade nei giorni

dell’equinozio di Primavera, quando il Sole entra nel segno dell'Ariete, momento

che tutti gli alchimisti definirono il più propizio per l'inizio della loro opera

essendo questa la stagione della rinascita della natura, nella quale con più forza si

manifesta la potenza generativa dell'universo. Non è un caso che il segno

dell'Ariete coincida con il simbolo alchemico dello Zolfo puro, cioè della forza

generativa maschile presente nel cosmo e nella natura. E non a caso il

Cristianesimo ha posto proprio nell’equinozio di primavera, sotto il segno

dell'Ariete, la festa dell'Annunciazíone, che rappresenta l'inizio dell'opera

redentríce. I gigli, che nell'íconografia tradizionale spesso accompagnano

l'Annunziata, simboleggiano il candore della purificazione e, con le parole del

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padre Vannucci, «l'immagine della sostanza bianca femminile ... che eleva l'uomo

verso l'alto».

Il numero cinque compare spesso nell'iconografia dell'Annunziata: cinque sono i

gigli posti nel vaso fra l'Angelo e Maria, nella robbiana della Verna. Il cinque

nella simbologia alchemica è segno della quinta essenza, della sofferta unione dei

quattro. L'Opera al Nero comporta quindi una discesa all'interno del terra, del

proprio io (conosci te stesso), per rettificare l'energia nel senso della

trascendenza.

Per far questo Dante giunge fino davanti a Lucifero (che è tricefalo, immagine

rovesciata della trinità superiore) ed è qui che ha compiuto una trasformazione

interiore con cambiamento di direzione di 180°. E' la mente (Virgilio), che attua il

superamento, il passaggio è tanto istantaneo che Dante non se ne accorge. Il

capovolgimento (o conversione, o metanoia), che è un evento interiore, instaura

un nuovo modo di vedere di cui non ci si rende immediatamente conto: "io levai li

occhi e credetti vedere/ Lucifero com'io l'avea lasciato, / e vidili le gambe in su

tenere" (Inf. XXXIV 88-90). Si passa così, dall'illusione umana di essere al

centro del cosmo, all'intuizione di una realtà che trascende questa centralità

illusoria.

Dal punto di vista alchemico è finita la "nigredo", è stata trovata la pietra nera, la

materialità plumbea-saturnina, che opportunamente trattata darà origine alla

"pietra filosofale”. Ora sul nero assoluto del "compost" alchemico deve apparire

un segno: la stella ("e quindi uscimmo a riveder le stelle” [Inf. XXXIV, 139];

“Dolce color d’oriental zaffiro,/ che s’accoglieva nel sereno aspetto/ del mezzo,

puro infino al primo giro,/ a li occhi miei incominciò diletto/ tosto ch’io uscì fuor

del’aura morta/ che m’avea contristati li occhi e ‘l petto./ Lo bel pianeta che

d’amar conforta/ faceva tutto ridere l’oriente” [Pur. I,13-20] ; “L’alba vinceva

l’ora mattutina/ che fuggia innanzi, si che di lontano/ conobbi il tremular della

marina"[ Pur.I 115-117]). E' l'alba della Pasqua di Resurrezione del 1300,e non è

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a caso che sia Venere la stella dell’amore a chiudere il ciclo notturno e ad aprire

quello del nuovo giorno.

E' il momento di condensare gli spiriti (coagula), comincia 1' "albedo", è la

catarsi, la rinascita.

Al regno della terra succede quello dell'acqua e dell'aria (il Purgatorio) preludio al

fuoco celeste.

La materia dissolta, deve ora purificarsi nelle acque per rinascere dalla

putrefazione nella purezza dei suoi elementi costitutivi( battesimo con la rugiada

Pur. I, 121-129), reintegrando la personalità in uno stato superiore. La "ricetta"

alchemica per quest’operazione prevede di fissare il "mercurio" congiungendolo a

"saturno" cioè lo spirito vitale (Mercurio) liberatosi nel corso dell'opera al nero

dai legami che lo tenevano prigioniero nella materia (Saturno) risorge; ma si deve

di nuovo congiungere alla materia-saturno in un rapporto funzionale ribaltato

("spiritualizzare il corpo dando corpo allo spirito" "volatilizzare fisso fissando il

volatile").

Il prodotto di tale congiunzione (le cosiddette "nozze chimiche") è raffigurato

emblematicamente nell’androgino, l'essere maschio-femmina che evoca l'unità

primordiale corrispondente all’Adam Quadmon della Cabbalà, all’Anthropos

degli gnostici. L’androgino è l'unità che trascende il dualismo per questo anche

detto Rebis (res-bis due cose in una). Nel Paradiso terrestre, superate le tensioni

tra cielo e terra, si ricostituisce quello che la tradizione iniziatica designa come 1'

"uomo primordiale", immagine riflessa di Dio (Dio si rivelerà a Dante solo nel

Paradiso celeste); si raggiunge così uno stato non più d’innocenza ma di purezza.

Nella terza cantica, il Paradiso, Dante giunge alla realizzazione dell'opera al

rosso, l'autoidentificazione nell’eterno, in pratica s’immedesima nel principio

divino e diventa partecipe della sua essenza (Dante usa i termini “trasumanar“,

”india”).Ha fatto l’esperienza del Dio vivente dai più nascosti recessi dell’inferno

fino, appunto, all'unione finale con Lui. Quanto egli ha "visto “trascende il suo

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tempo e la personalità del singolo, riguarda tutta l’umanità. La portata del

messaggio che Dante ci ha lasciato è enorme. Il messaggio di salvezza per

l'umanità è, all'inizio dell'opera, proiettato sul Cristo, ma alla fine del suo viaggio

balena al poeta per un attimo la certezza che la salvezza è immanente in ognuno.

In ognuno, infatti, è presente la totalità espressa nella visione finale a seguito della

sacra unione tra lo Spirito e l'Antropos, il quale rappresenta tutta l'umanità

reintegrata in Maria, la Grande Madre (Quaternità è simbolo di totalità, ma che

cosa significa l'opposizione di triade e quaternità e che cosa significa la triade di

fronte alla totalità? Per gli alchimisti questo problema si chiama “ Assioma di

Maria Prophetissa ( nome con cui è più nota Miriam sorella di Mosè) “: "L'UNO

DIVENTA DUE, I DUE DIVENTANO TRE, E PER MEZZO DEL TERZO, IL

QUARTO COMPIE L'UNITÀ". Tre11, come numero maschile, quattro12 come

11 Nella fantasia occidentale il numero tre si staglia come l’espressione della sintesi del tutto: l’inizio, la fine, e quello che è compreso entro questi parametri. Spinoza, il primo laico della storia moderna, disse che se il triangolo potesse parlare, direbbe che Dio è per eccellenza triangolare: “deum eminenter triangularem esse.” Freud ci ha mostrato che il numero tre è il simbolo del genitale maschile (Sigmund Freud, «Simbolismo nel sogno», in Opere, B. Boringhieri, Torino 1989, Vol.8, p.335):”Se questo numero debba eventualmente a questa relazione simbolica il suo carattere sacro, è una questione ancora aperta. Sembra però accertato che parecchie cose tripartite che compaiono in natura, per esempio il trifoglio, derivano da questo significato simbolico il loro impiego in stemmi ed emblemi. Anche il cosiddetto giglio francese tripartito e il singolare stemma di due isole così lontane tra loro come la Sicilia e l’isola di Mann, il triscele (tre gambe semipiegate che si dipartono da un comune centro), sembrano essere solo stilizzazioni del genitale maschile. Nell’antichità le effigi del membro maschile erano ritenute i più potenti mezzi apotropaici, cioè di difesa contro gli influssi malefici, e con ciò si connette il fatto che gli amuleti portafortuna del nostro tempo sono nell’insieme facilmente riconoscibili come simboli genitali o sessuali .” Il tre in Occidente è simbolo di completezza, punto di riferimento dell’astrazione in tutte le sue forme, dal sentimento religioso in tutta la poliedricità delle sue manifestazioni, alle speculazioni metafisiche. 12 Simbolo della terra posto nel suo quadrato; il grande grembo che accoglie tutta la specie. Il suo valore mistico è quello della croce, nel senso universale di proseguimento della vita. Il numero 4 dà luogo al quadrato in quanto quadrilatero regolare ed alla croce in quanto quadrilatero regolare a forma di stella. Queste figure hanno in comune l’angolo retto, alla periferia nel quadrato, e al centro nella croce, e perciò potremmo dire che l’angolo retto è il “manifestante” del numero 4. Quanto sia importante l’angolo retto nella vita dell’uomo, unico essere vivente in posizione verticale e quindi di perpendicolarità rispetto alla superficie terrestre, escludendo le piante perché fisse al suolo, lo si può ricavare dalla riflessione che la sua facoltà pensante è strettamente legata al suo uso; e per comprendere ciò basta portare il nostro sguardo nel campo della matematica, e scorgeremo che presso gli antichi greci e quindi al momento dello sviluppo della razionalità del pensiero nell’uomo, si trova per la prima volta

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numero femminile, tra la triade e la quaternità c'è quindi in primo luogo

l'opposizione tra spirito e materia, tra unità e molteplicità, tra immanenza e

trascendenza che Dante risolve in modo illuminato. L’Essere che appare come

luce emerge da uno stato unitario di non dualità e la molteplicità non proviene per

emanazione o uscita dall’Unità, ma è compresa nell’unità primaria, tenuta insieme

dalla forza coesiva dell’Amore cosmogonico.).

Maria quindi è la Terra che ci ha generato, ci ha dato la vita, ha edificato il nostro

corpo, il suo sangue, che scende dalle nuvole, sgorga dal suo grembo

mormorando nei ruscelli di montagna, scorre dentro di noi; l'aria che respiriamo è

il Suo respiro che è azzurro nelle altezze del cielo....Noi siamo in Lei….Lei è in

noi; siamo nati da Lei, viviamo in Lei e torneremo in Lei il giorno in cui dovremo

restituirle il nostro corpo...La consapevolezza finale per Dante, l'uomo, nasce da

Maria, lo stato femminile d’Amore ("donna è gentil nel ciel, che si compiange”,

Inf II, 94). Maria accoglie nello splendore della Rosa finale l'uomo, che ad

imitazio Christi accetta di morire al proprio egoismo per rinascere al Sé, al divino

realizzando quello hieros-gamos tra materia e spirito che porta alla realizzazione

dell'Unus Mundus.L'uomo nuovo, reintegrato da Dante nel suo processo, viene

dal basso, dalla notte, dalle tenebrose prigioni del vizio. Viene estratto con

processo d’alchimia spirituale, dalla "prima materia" (la "selva"). La "prima

materia "è in sé trascendente (come in alto, così in basso) anche se ne possiamo

vedere solo la fenomenologia. A questo mistero materno, terreno, viene in aiuto

dall'alto la Grazia, l'Eterno femminino trascendente, spirituale. Realizzando

alchemicamente la“coincidentia oppositorum”, si chiude il cerchio degli effetti

universali, armonizzando nell'Unità Cosmica quanto apparentemente discorda,

dimostrando l'unicità essenziale della realtà fisica e metafisica, è il ritorno alla

l’approccio alla geometria per mezzo del pensiero, vedi Talete, Pitagora, Euclide; e non soltanto loro, ma ancora noi oggi studiamo il mondo delle forme geometriche con l’aiuto dell’angolo retto sotto forma di triangolo rettangolo, il quale ultimo ci riporta ancora al 4 non essendo esso che la metà del rettangolo.

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perfetta identità indifferenziata primeva. Alla fine del viaggio celeste Dante si

scontra col mistero del male, che fa parte di un invisibile disegno divino ("le menti

tutte nel suo lieto aspetto / creando, a suo piacer di grazia dota / diversamente; e

qui basti l'effetto." (Par. XXXII, 64-66), La presenza del male nei mondo, il

significato del sorgere e tramontare delle civiltà, dipendono dall'uomo ma anche

da fattori sconosciuti (fortuna, predestinazione...). Rientrato con questa

consapevolezza nella vita fenomenica, l'uomo deve evitare di cadere in un

opposto o nell'altro (bene, male) ma rimanere ogni volta nei mezzo della scelta

etica (edificare templi alla virtù, scavare oscure e profonde prigioni ai vizio).

L'attualità del messaggio dantesco è la capacità di spiegare attraverso l’incanto

della poesia, come sia possibile trasformare in energia positiva gli ostacoli che si

incontrano; per affrontare un così duro cammino è necessaria quella forza

dell’Eros che, in tutte le culture, tiene uniti l’uomo e l’universo:

” L’amor che move ‘l sole e l’altre stelle” (Par. XXXIII,145).Consiste, quindi,

nell'eterno tentativo di risvegliare l'"uomo celeste" che dorme dentro di noi, di

realizzare la nostra natura immortale. Per far questo bisogna abbandonare la

maschera che adoperiamo nella vita di tutti i giorni, bisogna compiere un

sacrificio lasciando la vita così come l'abbiamo condotta fino a questo momento;

bisogna "morire", scendere negli inferi per rinascere. Morire e rinascere sono

un'esperienza interiore difficile da intendere per i profani ma chiara per gli iniziati.

"In verità, in verità, io dico che se alcuno non è nato di nuovo, non può vedere il

Regno dei cieli. Ciò che è nato dalla carne è carne ma ciò che è nato dallo spirito

è spirito Non meravigliarti ch'io ti dica che vi conviene nascere di nuovo."

(Giovanni III, 4-7) Dopo la "morte volontaria" alla vita profana si ha il rinascere

alla vita non più come "persona" ( in latino significa maschera ) ma come

coscienza di essere (Dante dice "mi ritrovai"). Questa Grande Opera di

sacralizzazione universale è in "grande" quello che in "piccolo" è l'Opera

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individuale con cui ogni uomo, sacralizzando la "propria" terra" (il corpo e la

mente fisica) diventa Iniziato. Così l'opera d'istruzione che tende all'Iniziazione di

un uomo è anch'essa un opera sacra. Per la Legge di Progresso (individuale) per -

progredire- non è l'Insegnamento a dover -scendere- all'uomo fisico (il mondo

infernale) ma è la coscienza metafisica dell'uomo, l'Ego , a dover -ascendere-

all'Insegnamento (il mondo spirituale o paradiso interiore).

Lasciare dietro di noi la selva, la vita precedente piena di contraddizioni,

avventurandoci con gli occhi aperti in quella nuova, penetrando e svelando il

grande arcano primigenio di tutti i misteri, l'unità polare della vita e la morte, dello

spirito e della materia, l'unione armonica di cielo e terra che porta alla scoperta

dell'"uomo vero" dell'"uomo celeste" che è in potenza in ognuno di noi. E’ il

compito che abbiamo soprattutto noi che lavoriamo con il nostro perfezionamento

interiore al bene e al progresso dell'umanità.